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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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concettuali che l’osservatore si porta sempre dietro come i connotati della sua stessa identità 263 ,<br />

caratteri che scompaiono non appena egli si immerge nella partecipazione, denudandosi della sua<br />

gabbia identitaria.<br />

Immersi in una dimensione sottratta, ogni movimento<br />

dell’intelletto è sospeso, o comunque incompiuto: le uniche concatenazioni di cui possiamo<br />

disporre sono quelle assorbite nella memoria di un corpo non ulteriormente denudabile. Esso<br />

libera, come degli istinti, delle operazioni depositate nel suo sapere genetico, formatesi nel corso<br />

dell’apprendimento a maneggiare strumenti, nel corso della sua residenza in un mondo scandito<br />

da una serie di situazioni, di episodi che esso riflette inizialmente con gesti e motilità<br />

archetipiche, poi con comportamenti più raffinati il cui senso è ristabilito in un ordine storico e<br />

sociale. Qui non si tratta di riferirsi a uno stadio filogenetico ancestrale della corporeità umana<br />

anche perché, seppure disponessimo dei mezzi fantascientifici per compiere una simile analisi,<br />

non potremmo comunque sfuggire alla tentazione logica di risalire a un patrimonio mnemonico<br />

ancora precedente, radicato nel corpo in virtù di un sapere ancora più antico 264 . Sarà molto più<br />

interessante mostrare come un sapere acquisito ogni volta riesca a riattualizzarsi, a mantenere<br />

una sua “modernità” non attraverso una conservazione delle forme, ma tramite una<br />

trasformazione che ne permetta ogni volta l’adattabilità alla nuova situazione. Così il rito ogni<br />

volta rimette in atto il suo farsi, come se questo fosse di nuovo in via di istituzione, come se si<br />

stesse facendo ogni volta per la prima volta. Come se non potesse riferirsi ai suoi passati<br />

svolgimenti e perciò l’unica maniera che gli resta per proseguire è quella di prelevare un sapere<br />

passato non dal proprio sé – perché il rito in quel momento è in formazione-, ma dai suoi corpi<br />

che, riuniti in un organo collettivo, possono riadattare questo sapere all’attualità della nuova<br />

situazione rituale. Se ci si concede questa riflessione sarà possibile estendere nuovi campi alla<br />

ricerca che, una volta definiti, potranno essere rimessi in gioco con la loro dimensione storica e<br />

culturale.<br />

È importante notare che ogni elemento nuovo può essere assorbito<br />

dalla prassi del corpus. Ciò che non è ancora compreso, non ancora oggettivato, indicibile e<br />

sfuggente, sfugge all’intelletto ma viene filtrato nei gesti; è somatizzato, trasposto in<br />

articolazioni e movimenti contagiosi, con i quali è possibile interagire, aderendo a un organismo<br />

collettivo che, pur non sapendo cosa sta facendo, è preso nella mimesi indeterminata, nella<br />

reiterazione di ciò che, sfuggendo al pensiero, si deposita nel corporeo: danza, suono e gesto<br />

descrivere a parole le culture. Non si tratta di fenomeni presenti nella cultura, ma di etichette per i vari punti di vista<br />

che adottiamo nei nostri studi» [Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976, p. 104].<br />

263 Queste forme sono, per dirla con Wittgenstein, «come un paio d’occhiali posati sul naso, e ciò che vediamo lo<br />

vediamo attraverso essi. Non ci viene mai in mente di toglierli» [Wittgenstein L., Ricerche filosofiche, p. 64, § 103].<br />

264 Cfr. Leroi-Gourhan A., Il gesto e la parola,, pp. 321-322.<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 165

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