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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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permetteranno di ripercorrere ancora una volta il cammino dei suoni, a raggiungere di nuovo la<br />

temporanea quiete del vertice.<br />

Il cammino dei suoni ha percorso un aspetto del rito sottratto,<br />

mostrando il potere delle sole forze di un corpus collettivo spogliato di ogni volere e di ogni<br />

coscienza. Perciò, non essendoci coscienza, non può comparire alcuno stato alterato di<br />

coscienza: «trance» e «possessione» qui perdono il loro significato usuale per esprimere<br />

solamente il movimento di una corporeità pura, le cui forme sono in formazione, che persegue<br />

quel centro privo di sostanza che è il punto di convergenza delle forze perimetrali, il cuore delle<br />

connessioni rituali.<br />

Nel momento in cui si istituisce un qualunque oggetto di senso,<br />

allora è possibile riferirsi ai ritmi e alle danze di un oricha e alla sua possessione, allontanandosi<br />

dalla prospettiva aperta dal rito sottratto. Con ciò il rito è vestito di un velo culturale, pragmatico,<br />

intenzionale e oggettivante. Allora compaiono tutte le linee di senso che un soggetto può<br />

desiderare, che sa concettualizzare, ovvero riportare all’accordo con la sua grammatica. Il grande<br />

lavoro dell’antropologo è proprio quello di mostrare la storia e l’evoluzione di questa<br />

grammatica, rivelando la coerenza dei sensi etnici, delle concettualizzazioni di un gruppo e<br />

l’avvicendarsi dei suoi sincretismi con altre culture e altre religioni nel corso della storia 257 . Ma<br />

in questo lavoro è importante ribadire che ogni vestizione di senso implica una nudità, che non è<br />

un nulla ma è un corpo, forte di un suo sapere antropico, di una conoscenza vuota di forme e di<br />

sensi sensati, ma che tuttavia non hanno bisogno di vestirsi di senso per attivarsi in movimenti.<br />

Questi, anche se ciechi, si muovono a cercare connessioni simbiotiche e riverberanti. Prima di<br />

inserire il corpus nel contenitore della sua storia e della sua cultura, bisogna poggiarsi sulla sua<br />

centralità, sul suo nucleo nudo, evidenziandone i tratti sottratti a ogni ragione, che fanno da<br />

corpo alle forme stesse della ragione. Questo sapere antropico, così come è riuscito da solo ad<br />

instaurare connessioni riverberanti, allo stesso modo ha formato un corpus, capace di evolversi<br />

in gruppi, tribù, etnie, culture, finendo con l’istituire linguaggi e concettualizzazioni, scanditi dal<br />

loro fluire storico e oggettivante.<br />

Il danzatore centrale ha mostrato le sue nude proprietà di risuonare<br />

vibrazioni e oscillazioni, di generare movimenti in sinestesia con i suoni. Ma il sapere antropico<br />

che esso conserva è ben più ampio della sua arena vibratoria. Pur rimanendo nel dominio del rito<br />

sottratto, è possibile oltrepassare questa nuda arena per rivolgere la nostra attenzione alle<br />

concatenazioni operazionali del corpo, alle gestualità prosodiche, a delle situazioni altre dal<br />

contesto rituale che però il corpo, dall’interno del rito, sembra proiettare nel corpus stesso,<br />

257 È questa la prospettiva degli strutturalisti e di tutte quelle scuole che appoggiano una teoria “esplicativa” [Cfr.<br />

Scarduelli P., Antropologia del rito, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, pp. 50-51].<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 159

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