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sfregano, la percuotono, la soffiano, ci cantano dentro, attivando l’intera costruzione che<br />
risponde suonando a sua volta, riecheggiando i canti e ondeggiando.<br />
Il compimento del rito<br />
Durante il wemilere le forze scorrono sempre più velocemente,<br />
aumentando di intensità, come se rispondessero alla frequenza sempre maggiore dei giri della<br />
spirale. Le pressioni del corpus finiscono col saturare le possibilità coreutiche del corpo centrale.<br />
Il tono drammatico che si percepisce in questi momenti può essere messo in accordo con queste<br />
stesse pressioni, che il corpo centrale non riesce più a contenere se non perseguendo una<br />
denudazione continua del proprio muoversi, per non fissare nulla in sé al di fuori del contatto<br />
dell’attraversamento 253 .<br />
La danza di un passo tradizionale è una conformazione a un<br />
modello già appreso, fissato nella memoria corporea al pari di un comportamento istintivo.<br />
L’apprendimento necessario alla formazione di questo sapere necessita di tempi lunghi, di<br />
tentativi ripetuti e soprattutto di una dimensione differente, che è quella dello studio coreutico,<br />
non della partecipazione al rito effettivo. Quando il danzatore si immette nel rito, la sua<br />
corporeità acquisita prende il sopravvento sul suo volere, proprio perché la motilità che si<br />
scatena con la musica fa riferimento a un sapere corporeo fuori dal controllo del soggetto.<br />
Questo sapere viene fissato in ondulazioni e ripetuto ciclicamente come una forma tradizionale.<br />
Con l’aumento delle dinamiche il repertorio corporeo viene messo a dura prova dal rapido<br />
passaggio delle forze del rito: i tempi si fanno più rapidi e gli spazi stessi che risuonano sono<br />
sempre diversi. In questa urgenza pressante il corpo è sempre più irretito, preso, “posseduto”.<br />
Esso libera tante forme che subito abbandona al loro svolgersi sottratto, alla loro connessione<br />
riverberante. Ogni tentativo di fermare o di rallentare il flusso delle forze – un tentativo che<br />
rivela uno scostamento e quindi un atto intenzionale – impedisce la libera e risonante liberazione<br />
coreutica. Del resto il rito sottratto non ha mai fatto riferimento alla coscienza e a un’integrità<br />
soggettiva: anzi, è proprio dalla loro privazione che ne è stata tratta una definizione iniziale. Se<br />
anche ammettessimo l’esistenza di un residuo di controllo sul corpo, magari non da parte del<br />
soggetto ma dallo stesso schema corporeo che non vuole cedere il passo a nuovi equilibri –che<br />
non vuole ascoltare-, ebbene in questi momenti più dinamici anche tale residuo finirebbe con lo<br />
scomparire. L’essere è abbandonato in un cammino a spirale dove ad ogni suo giro, a ricordarne<br />
253 In ciò consiste la definizione stessa di sottrazione, o denudazione, in Nancy: un processo infinito in cui la nudità<br />
è «infinitamente vicina e offerta da toccare al desiderio dell’altro, ma che così infinitamente si ritrae ed è sempre da<br />
raggiungere». La nudità, come la risonanza, «non è uno stato ma un movimento» che non giunge mai a una presa<br />
solida [Nancy J. – L., Il pensiero sottratto, p. 20].<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 155