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11.06.2013 Views

dall’influenza di ogni altro comportamento “stonato”, che in questa fase non farebbe altro che sporcare la risonanza. La tipologia di queste corporeità, essendo sciolta da ogni legame con le oggettivazioni dell’ambiente e delle credenze, non è culturale ma archetipica. In essa non si segue una focalizzazione da raggiungere quanto una tendenza da esprimere in forme sempre più risonanti. L’archetipo perciò non verrà assimilato a un oggetto da definire ma a un vettore del movimento, a una guida eletta dalle vibrazioni stesse e dalla ricerca di un’amplificazione che tenda ad approssimarsi al massimo delle possibilità del corpo centrale. In ciò si mostra il senso di un tracciare sottratto, che percorre il cammino in base alla rispondenza vibratoria strutturata dalla composizione stessa del corpus, che assume il movimento della risonanza in un trascorrere di azioni sempre più pressanti e impressionanti. Le possibilità di risonanza da parte di un corpo umano inserito in un corpus rituale sono infinite: queste comprendono le risonanze acustiche delle sue cavità naturali e le sonorità percussive, nonché tutte le “risonanze mute”: i movimenti coreutici, le ondulazioni, e ancora le trasfigurazioni del volto e i gesti, le mimiche, le azioni pragmatiche, che rievocano sensi lontani e li gettano nel mare delle tante onde dell’amalgama rituale. Tutti i partecipanti espongono la loro nudità nella forma di un’apertura verso l’altro, mostrando che in questo gioco di rimandi il senso del rito sottratto è solo nel passaggio, nel movimento che scuote un corpo prima ancora che questo possa individuare il tipo di sapere a cui questo scuotimento dà origine 233 . Nell’avvicendarsi delle forme, il corpo centrale diviene lo “specchio del rito”: in esso si ripercuotono tutte le forze perimetrali, deformate dal rispecchiamento in una danza, in una coreutica, in una cassa di risonanza al centro di tutti gli sguardi. Il movimento del rito intreccia tutti questi aspetti in una forma unica e indissolubile, perciò descrivere il suo cammino è un esercizio disarmante per il linguaggio. Ma questo non vuole sottrarsi al suo pensare e, per quanto denudato di ogni oggetto di senso, disarmato di ogni strumento, mostra il suo sforzo nel tentare una via nell’oscurità che resta del suo sapere sospeso 234 . Questa via è il cammino dei santi, che percorre lo svolgimento effettivo della festa santéra mettendo a nudo i corpi partecipanti, mostrando ciò che resta dopo che ogni velo è stato sottratto e solo in virtù di ciò che resta è possibile ogni vestizione di senso che faccia coincidere il corpo trasfigurato e silenzioso al centro del rito con quello di un oricha rivelato. Ciò che resta del rito sottratto è uno spazio nudo in cui i 233 Se il senso è nel passaggio, allora «il significato si confonde con il senso direzionale», con un “movimento senza materia” [Bachelard], con un archetipo motorio la cui direzione è netta –diremo poi centripeta- e fa da «passaggio in tutti i sensi […] ; il senso direzionale stesso va simultaneamente in tutti i sensi» – qualificando quella diffusione del senso che poi chiameremo centrifuga. [Nancy J. – L., Il pensiero sottratto, pp. 44-45]. 234 Privato di ogni oggetto sensibile e di ogni intenzione oggettivante, il pensiero sottratto non è un vuoto. O al limite, come dice Nancy, «è un vuoto consistente» come la notte. «Ma ciò che vede come la notte nella quale penetra, è anche se stessa: non vedendo nulla, e vedendo che non vede nulla, vede la facoltà o la potenza di vedere ridotta a se stessa». [Ivi, p. 42]. IL RITO SOTTRATTO 140

corpi si toccano, ma questi non possono trasformarsi in orichas propriamente detti. La stessa possessione viene ridotta a una modalità d’essere che si sottrae all’istituzione culturale di un soggetto che è posseduto e di un altro che possiede. Il termine “possessione”, così denudato del soggetto quotidiano e dell’alterità trascendente, perde i suoi riferimenti oggettivati. La sua struttura grammaticale si spoglia, al punto che continuare a chiamarla «possessione» significherebbe intrappolarsi in un circolo vizioso; l’abbandono di questo termine svela ora un’inerenza mantenuta dai movimenti e dalle gesta di un corpo. Ciò che rimane è una nuda arena rituale, la cui sottrazione può esporre senza veli la sua natura dinamica, il suo potenziale organizzativo e il suo spettro di svolgimenti. In questo lavoro non si giunge al nome dell’oricha ma al suo solo corpo, talmente equilibrato e puro nell’agire da mostrare da sé il corpo di un’identità da nominare. Il cammino dei santi sarà diviso in due tappe: - la via dei suoni, che ripercorrerà il farsi del corpus rituale, la genesi delle sue connessioni e delle sue sincronizzazioni in una nuda arena partecipativa, fino al suo compimento. Questo sarà descritto in base alle sole risonanze acustiche e coreutiche, ovvero sulla base della sola rispondenza tra vibrazioni e ondulazioni, che porteranno il corpus a dirigere e a raffinare i suoi movimenti. IL RITO SOTTRATTO 141

corpi si toccano, ma questi non possono trasformarsi in orichas propriamente detti. La stessa<br />

possessione viene ridotta a una modalità d’essere che si sottrae all’istituzione culturale di un<br />

soggetto che è posseduto e di un altro che possiede. Il termine “possessione”, così denudato del<br />

soggetto quotidiano e dell’alterità trascendente, perde i suoi riferimenti oggettivati. La sua<br />

struttura grammaticale si spoglia, al punto che continuare a chiamarla «possessione»<br />

significherebbe intrappolarsi in un circolo vizioso; l’abbandono di questo termine svela ora<br />

un’inerenza mantenuta dai movimenti e dalle gesta di un corpo. Ciò che rimane è una nuda arena<br />

rituale, la cui sottrazione può esporre senza veli la sua natura dinamica, il suo potenziale<br />

organizzativo e il suo spettro di svolgimenti. In questo lavoro non si giunge al nome dell’oricha<br />

ma al suo solo corpo, talmente equilibrato e puro nell’agire da mostrare da sé il corpo di<br />

un’identità da nominare.<br />

Il cammino dei santi sarà diviso in due tappe:<br />

- la via dei suoni, che ripercorrerà il farsi del corpus rituale, la genesi delle sue connessioni e<br />

delle sue sincronizzazioni in una nuda arena partecipativa, fino al suo compimento. Questo sarà<br />

descritto in base alle sole risonanze acustiche e coreutiche, ovvero sulla base della sola<br />

rispondenza tra vibrazioni e ondulazioni, che porteranno il corpus a dirigere e a raffinare i suoi<br />

movimenti.<br />

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