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Le forze muovono i corpi, li scuotono, li mettono sotto pressione<br />
ed essi generano delle forme nuove in armonia con queste. Tali forme dispiegano nuovi spazi<br />
areali nel rito, facendo sì che questo possa dirigersi dove vuole; l’importante è che ogni passo sia<br />
legato al precedente da una continuità organica e acustica col tutto. Di fatto il rito si concentra su<br />
alcune tipologie di corporeità che vengono esplorate attraverso realizzazioni sempre più<br />
raffinate. Raffinare una corporeità è già un’orientazione: partendo da un primo modello<br />
coreutico, la danza tocca uno spettro di possibilità informative che con il proseguimento del rito<br />
si concentra sempre di più in uno spazio ristretto, all’interno del quale possono emergere<br />
un’infinità di forme sempre più raffinate, sempre più dense di corporeità. Il territorio su cui<br />
scorre il suono è il corpo stesso che, messo in vibrazione, si fa forma, si spazia, libera una<br />
dinamica che non si ferma mai in un modello stabile, ma è in trasformazione, in continua<br />
esplorazione. Questo vale per tutti i componenti del corpus: questi sono messi in vibrazione dal<br />
suono e dalla coreutica che li invade, che preme affinché i loro corpi amplifichino la risonanza,<br />
generando forme su forme. Ma la danza del corpo centrale traccia il percorso pionieristico del<br />
movimento dell’intero corpus. Questo, sorpreso dallo scorrere delle forze, le amplifica in<br />
relazione ai codici formali della sua tradizione, espresse con danze e musiche, rinnovando ogni<br />
volta il gioco trasformativo insito nel riverbero collettivo. Così ogni rito può rinnovarsi, proprio<br />
perché si poggia sulle proprietà di un corpo nudo, pur imponendo a questo il confronto con le<br />
forme vibratorie e coreutiche che sono i ritmi, le danze e i canti del suo repertorio specifico 231 .<br />
Da questo confronto nasce un’evoluzione orientata, un cammino che non può compiere salti a<br />
piacimento da una spaziatura a un’altra: ogni trasformazione si inserisce sempre nel connubio<br />
con le forme tradizionali e conserva sempre gli equilibri capaci di ritornare ad esse. Del resto, lo<br />
spaziare stesso del danzatore è disciplinato dal suo inserimento nel centro attorno a un circolo<br />
che lo circonda, che può controllarlo con la “supervisione” 232 dei suoi stessi corpi risonanti.<br />
Allora lo spaziare da esteso si fa profondo, entra in una terza dimensione dove la corporeità non<br />
è più ampia ma densa, ristretta e concentrata attorno a un roteare di vibrazioni, ondulazioni e<br />
gesti acquisiti. Questi scandiscono un cammino regolato dal loro stesso connubio, capace così di<br />
aprire la possibilità di uno svolgimento del rito sottratto.<br />
Seguendo l’addensarsi dei movimenti e dei gesti è possibile<br />
assistere al raffinarsi delle forme centrali, che arrivano a liberare una corporeità pura, sottratta<br />
231 Il gioco avviato da questo confronto finisce con il trasformare i codici stessi della tradizione: gli stessi ritmi della<br />
santería, per esempio, subiscono delle evoluzioni continue, distanziandosi sempre di più dalle forme precedenti.<br />
Ricercare un codice originario mostra l’errore metodologico tipico di molte scienze logiche: questo è sintetizzabile<br />
nella metafora di Wittgenstein: «per scoprire il vero carciofo, lo avevamo spogliato delle sue foglie» [Wittgenstein<br />
L., Ricerche Filosofiche, p. 89, § 164].<br />
232 La super-visione di un corpo non è un’unità ideale che vede al di sopra delle parti, ma è un’unità spartita, si attua<br />
in quanto facente-parte, dis-ponendosi a comporre la cassa di risonanza perimetrale.<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 139