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11.06.2013 Views

marcare la differenza con le dimensioni quotidiane. Nel caso di una cultura che coltiva queste forme come tradizionali, il vissuto del rito significa semplicemente l’inerenza a uno spazio cerimoniale, che non è “nuovo” ma è lo spazio del rito, al pari di quello del mercato e della spiaggia, che la presenza dei partecipanti rinnova 217 di volta in volta. Una danza ci permette di cogliere un altro spazio, aperto da intendere uditivo. Il territorio così istituito, sciolto dai riferimenti visivi, viene esplorato con una danza. Questa è una motilità che il corpo sa connettere ad altre dimensioni, nello stesso modo con cui un gesto, una parola o un oggetto sanno suscitare un ricordo, riuscendo a rievocare tutta una serie di comportamenti e di azioni legati ad esso. Armonizzando la percezione visiva con gli altri sensi informativi, è possibile ricomprendere il senso dello spazio, una superficie che non è tenuta assieme tanto dalla sua continuità visiva quanto dal nostro attraversamento di essa, dal nostro toccarla, dal percorrerla con lo sguardo e con l’ascolto, dal nostro risuonare con essa in un corpus, in un mondo. Questa nuova interpretazione ci permette di ristabilire le tecniche della comprensione, la prassi di un movimento collettivo, le ricerche di un senso su una base partecipativa, coreutica, sonora. È allora che lo spazio si ricongiunge alle sue potenzialità vibranti e l’ascolto si connette all’idea di un’incorporazione come spaziatura 218 . Ricomprendere questa dimensione significa anche ripensare ogni modalità di residenza in essa. I corpi sono delle cavità ampie in cui il rito risuona, amplificando percezioni ed esperienze acustiche, coreutiche, vocali, musicali, che sono anche culturali, religiose, linguistiche, pragmatiche. Il riverbero così si estende a una cassa di risonanza sempre più grande, che amplifica le vibrazioni di tutte le possibilità insite nella motilità esperenziale dell’uomo. Queste comprendono musiche, danze, gesti, parole, significati, credenze, insomma il riverbero si diffonde nella cultura, nel dominio degli usi pragmatici della motilità, comprese le pratiche religiose. Così il rito della santería può tracciare un percorso vibratorio capace di portare la motilità dei partecipanti a uno stato di corporeità talmente nuovo e completo da permettere l’istituzione di un oricha come termine per pensarlo. Se l’oricha può godere dell’accordo con un qualche significato, è perché esso esprime una motilità con la quale il corpo ha vissuto 217 Il rito, come del resto le altre dimensioni collettive, si rinnova perché poggia la sua essenza sulla compartecipazione di individui sempre diversi. É la loro unione a fare la singolarità del rito, una singolarità plurale nella sua stessa essenza. Detto con Nancy: «Ciò che esiste, qualsiasi cosa sia, dal momento che esiste, co-esiste. La co-implicazione dell’esistere è la spartizione di un mondo. Un mondo non è nulla di esterno all’esistenza, non è l’addizione estrinseca di altre esistenze: un mondo è la co-esistenza che le dis-pone assieme» [Nancy J. – L., Essere singolare plurale, p. 44]. 218 I termini di corpo e spazio si compenetrano nell’ascolto, al punto da necessitare una trasformazione radicale della speculazione, non solo nell’ordine di una filosofia, ma anche di un’antropologia. É ciò a cui perviene Beneduce, nel momento in cui deve sciogliere il nodo complesso dei legami di un gruppo etnico, con le sue ripercussioni nella rappresentazione del sé: tale complessità si fa «comprensibile solo a condizione di pensare il sé come «processo» e il corpo come «territorio» sottoposto a incessanti inscrizioni, una dinamica che il tempo scandisce secondo modi e processi diversi, attraverso fasi di separazione e aggregazione» [Beneduce R., op. cit., pp. 211-212]. IL RITO SOTTRATTO 132

un’esperienza: esso è l’entificazione di una direzione archetipica del movimento. Se non ci fosse un contatto vibratorio mantenuto dalla motilità del corpus, il santo non avrebbe nome. Gli orichas sono tali perché hanno un nome proprio, che è un condensato di significati, di esperienze pragmatiche 219 . Perciò ci si riferisce ad essi come a dei simboli 220 : l’oricha è un simbolo che sta per un amalgama di significati; il suo nome fa emergere un groviglio semantico che è tale solo perché vi è una comunità che gli ruota attorno, che viene coinvolta nella partecipazione al rito in suo onore. Senza queste casse di risonanza collettive, ogni comportamento singolo perderebbe la possibilità stessa di avere un senso e un nome 221 . Adesso è possibile riconnettere la riflessione alla sua arena di suoni e movimenti, con la consapevolezza che ogni passo all’interno del rito può essere inteso come il nucleo di un movimento del senso, di una sensatezza non ancora determinata da concetti, ma che già dispiega lo spazio dove il pensiero potrà costruire. Il rito sottratto invade territori gestuali, situazionali, archetipici che, prima ancora di essere considerati come appartenenti a un gruppo culturalmente istituito, già possono svelare una natura antropica, una proprietà nuda dell’essere-umano: quella di legare aspetti differenti tra loro sulla base di una semplice simpatia 222 , per una somiglianza nei cicli oscillatori, per sola armonia. Concetti, volontà e soggetti potranno emergere solo come tessuti di senso a coprire la nudità di un corpo sottratto: sospesi per mostrare la loro arena dinamica, questi ritorneranno a vestire il corpo, ma un corpo trasformato, la cui mutazione è il prodotto di un movimento vorticoso del rito nel “cammino dei santi”. 219 Tutti i sensi connessi al nome dell’oricha, che poi non sono altro che l’insieme dei loro caratteri, sarebbero di poco conto se non venissero esplorati concretamente dai partecipanti. Qui il corpo umano e il simbolo sacro divengono gli estremi di una relazione percorsa e ripercorsa continuamente, poiché solo sulla base di questo cammino è possibile concepire il nome di un dio e allo stesso tempo l’estensione di un mondo percorribile con le proprie spaziature. Come spiega M. Augé, «il corpo umano è prima di tutto simbolo di se stesso. È insieme la parte e il tutto in rapporto a cui ha senso la relazione simbolica, in questo simile al corpo degli dei-oggetti. Sono questi a simbolizzare il mondo, affermando solo con la loro esistenza che il senso di ogni sistema è nella relazione con gli altri, ma suggerendo con la loro forma e la loro materia che essi sono anche […] lo strumento e il termine di questa relazione […], il dio riassume il mondo […] e significa la necessità di percorrerlo. Il corpo umano significa la stessa cosa, ma ha anche il compito concreto di compiere il percorso» [Augé M., Il dio oggetto, Meltemi, Roma, 2002, p. 74 (corsivo mio)]. 220 Tante sono le rappresentazioni simboliche degli orichas. Molte di queste sono ben illustrate in Thompson R. F., Flash of the Spirit, Random House, New York, 1984. 221 Questo sfondo di risonatori è assimilabile al concetto di «forma di vita» in Wittgenstein. Senza questo sfondo non potrebbe esservi comunicazione, linguaggio, senso. Cfr. Wittgenstein L., Della certezza, p. 74, § 461. 222 É interessante la citazione di Plotino, che descrive la simpatia proprio sulla base delle percezioni acustiche: «una parte dell’universo è in simpatia con un’altra, come in una corda tesa, nella quale la vibrazione dal basso si trasmette in alto; spesso, anzi, mentre una corda vibra, l’altra ne ha, per così dire, la percezione, a causa della consonanza e anche perché è accordata alla stessa armonia. E se da una lira la vibrazione si trasmette persino in un’altra –a tanto giunge la simpatia!- anche nell’universo regna un’unica armonia, sebbene essa derivi dai contrari: essa nasce anche dai simili come dai contrari, poiché tutte le cose sono affini» [Plotino, Enneadi, IV 4, 41, Bompiani, Milano, 2000, p. 689]. «Simpatia» potrebbe essere definita anche con le qualità del «sentire» estetico, come un’attrazione che ci porta al contatto con un mondo prima ancora della sua conoscenza, come una spinta verso «quella comunicazione vitale con il mondo che ce lo rende presente come luogo familiare della nostra vita» [Merleau-Ponty M., op. cit., p. 96 (corsivo mio)]. IL RITO SOTTRATTO 133

marcare la differenza con le dimensioni quotidiane. Nel caso di una cultura che coltiva queste<br />

forme come tradizionali, il vissuto del rito significa semplicemente l’inerenza a uno spazio<br />

cerimoniale, che non è “nuovo” ma è lo spazio del rito, al pari di quello del mercato e della<br />

spiaggia, che la presenza dei partecipanti rinnova 217 di volta in volta.<br />

Una danza ci permette di cogliere un altro spazio, aperto da<br />

intendere uditivo. Il territorio così istituito, sciolto dai riferimenti visivi, viene esplorato con una<br />

danza. Questa è una motilità che il corpo sa connettere ad altre dimensioni, nello stesso modo<br />

con cui un gesto, una parola o un oggetto sanno suscitare un ricordo, riuscendo a rievocare tutta<br />

una serie di comportamenti e di azioni legati ad esso. Armonizzando la percezione visiva con gli<br />

altri sensi informativi, è possibile ricomprendere il senso dello spazio, una superficie che non è<br />

tenuta assieme tanto dalla sua continuità visiva quanto dal nostro attraversamento di essa, dal<br />

nostro toccarla, dal percorrerla con lo sguardo e con l’ascolto, dal nostro risuonare con essa in un<br />

corpus, in un mondo. Questa nuova interpretazione ci permette di ristabilire le tecniche della<br />

comprensione, la prassi di un movimento collettivo, le ricerche di un senso su una base<br />

partecipativa, coreutica, sonora. È allora che lo spazio si ricongiunge alle sue potenzialità<br />

vibranti e l’ascolto si connette all’idea di un’incorporazione come spaziatura 218 . Ricomprendere<br />

questa dimensione significa anche ripensare ogni modalità di residenza in essa.<br />

I corpi sono delle cavità ampie in cui il rito risuona, amplificando<br />

percezioni ed esperienze acustiche, coreutiche, vocali, musicali, che sono anche culturali,<br />

religiose, linguistiche, pragmatiche. Il riverbero così si estende a una cassa di risonanza sempre<br />

più grande, che amplifica le vibrazioni di tutte le possibilità insite nella motilità esperenziale<br />

dell’uomo. Queste comprendono musiche, danze, gesti, parole, significati, credenze, insomma il<br />

riverbero si diffonde nella cultura, nel dominio degli usi pragmatici della motilità, comprese le<br />

pratiche religiose. Così il rito della santería può tracciare un percorso vibratorio capace di portare<br />

la motilità dei partecipanti a uno stato di corporeità talmente nuovo e completo da permettere<br />

l’istituzione di un oricha come termine per pensarlo. Se l’oricha può godere dell’accordo con un<br />

qualche significato, è perché esso esprime una motilità con la quale il corpo ha vissuto<br />

217 Il rito, come del resto le altre dimensioni collettive, si rinnova perché poggia la sua essenza sulla<br />

compartecipazione di individui sempre diversi. É la loro unione a fare la singolarità del rito, una singolarità plurale<br />

nella sua stessa essenza. Detto con Nancy: «Ciò che esiste, qualsiasi cosa sia, dal momento che esiste, co-esiste. La<br />

co-implicazione dell’esistere è la spartizione di un mondo. Un mondo non è nulla di esterno all’esistenza, non è<br />

l’addizione estrinseca di altre esistenze: un mondo è la co-esistenza che le dis-pone assieme» [Nancy J. – L., Essere<br />

singolare plurale, p. 44].<br />

218 I termini di corpo e spazio si compenetrano nell’ascolto, al punto da necessitare una trasformazione radicale della<br />

speculazione, non solo nell’ordine di una filosofia, ma anche di un’antropologia. É ciò a cui perviene Beneduce, nel<br />

momento in cui deve sciogliere il nodo complesso dei legami di un gruppo etnico, con le sue ripercussioni nella<br />

rappresentazione del sé: tale complessità si fa «comprensibile solo a condizione di pensare il sé come «processo» e il<br />

corpo come «territorio» sottoposto a incessanti inscrizioni, una dinamica che il tempo scandisce secondo modi e<br />

processi diversi, attraverso fasi di separazione e aggregazione» [Beneduce R., op. cit., pp. 211-212].<br />

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