IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr
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precedente inerenza, estendendosi a delle aperture di senso che il ritmo non stava chiamando. Una danza può suggerire lo schema motorio della malattia, del nuoto, del cucinare. Da queste non ne segue necessariamente la distruzione della rappresentazione, o meglio, della forma simbiotica precedente, anche perché il rito sottratto non ubbidisce agli imperativi di alcuna unità concettuale dai contorni definiti che possa imporre di essere seguita ciecamente o abbandonata del tutto. Nel caso delle ambiguità vi è un salto percettivo, che è come l’essere sollevati da un’onda ad occupare un territorio diverso, dove poter ristabilire degli accenti in quanto tratti di una forma da focalizzare e da assecondare. Ma non tutti i cambi di forma richiedono la vertigine di un salto: non vi è necessariamente una rottura di un’unità concettuale perché qui ogni ordine di sensatezza è sfumato, sottratto e centrato sul movimento del senso, non sulla sua vestizione specifica. Nel passaggio da una corporeità attivata in simbiosi con la musica all’evocazione di una gestualità, ovvero al ricordo di una corporeità esperenziale richiamato da quella stessa simbiosi, vi è semplicemente un’estensione del senso vibratorio e delle possibilità di risonanza. Lo schema motorio che guida le ondulazioni nel corpus può essere talmente simile alla corporeità di un gesto acquisito in un contesto differente che la sua capacità areale si estende. Il corpo si amplifica con gli strumenti del suo sapere acquisito, la sua motilità va in risonanza con altri territori areali che portano con sé il ricordo di una situazione, un contesto che non viene seguito nelle forme ordinarie, ovvero secondo l’ordine scandito dalla sua percezione in un contesto quotidiano, ma che viene messo “tra virgolette”, perché è richiamato nel rito. La forma grammaticale di questa trasposizione non si traduce nella proposizione «sto nuotando» bensì «sto danzando il mare». La motilità del nuoto e l’ondeggiare delle onde vengono messi tra virgolette perché nel rito non vi è il mare. La dimensione è un’altra: il mare è richiamato non dalla visione delle onde o dal contatto con l’acqua, ma da una risonanza con le oscillazioni musicali, amplificate da una motilità coreutica, da una danza. Questa armonia, da una prospettiva acustica, è più ampia dello schema concettuale nel quale Sperber cerca di inserire il simbolismo: Il simbolismo dà luogo quindi a un secondo modo di accesso alla memoria: un’evocazione che si adatta là dove la convocazione fallisce 214 . Nel rito sottratto, se una convocazione fallisce vi è un salto percettivo, avviene un ribaltamento: l’equilibrio dei passi non sa comporre tra loro due forme differenti e quindi crea nuovi sfondi. Ma questo è un caso particolare di un fenomeno più 214 Ibidem. IL RITO SOTTRATTO 130
generale, che ubbidisce sempre alla stessa dinamica dei suoni, la cui diffusione sferica fa risuonare tutti i corpi che ne subiscono l’onda. Il contatto risonante può generare un’armonia diretta, ovvero può diffondere la stessa forma oscillatoria anche nei domini delle corporeità acquisite, oppure può interrompere quella specifica forma, pur continuando a diffondere la vibrazione secondo ondulazioni diverse, che nondimeno risuonano in armonia con lo stimolo oscillatorio di partenza e che quindi possono a loro volta richiamare nel rito una memoria operativa compatibile alle oscillazioni. Questo aspetto diviene più chiaro nel momento in cui ricordiamo di essere immersi in un pensiero sottratto da ogni soggetto intenzionale. Seguendo il solo potere delle forze del rito, il corpo non vede alcuna differenza tra l’evocazione e la convocazione, perché il richiamo del ricordo è di fatto una convocazione nel corpus, una sua riattuazione. Il riverbero è la forza capace di comporre e amplificare i legami areali. Le forze del rito attraverso il riverbero creano una simbiosi che ora può dirsi anche simbolica, un’unione di forze che si amplificano tra di loro, estendendosi ai territori dei gesti acquisiti dalla prassi comune 215 . La risonanza non è riducibile al potere delle singole forze separate ma centra l’attenzione sul tutto della connessione, che mostra un legame più potente della somma delle sue parti 216 . Questa amplificazione simbiotica proietta attorno alla motilità dei corpi uno spazio nel quale aderire, un territorio che dapprima è solo acustico, ma che poi si colora delle analogie con altri contesti, che accolgono la danza a modellarne le ondulazioni. Lo spazio è extra-quotidiano: il danzatore si muove nel cortile ma la sua danza irradia un terreno nuovo attorno al corpus. I movimenti che aprono a queste dimensioni sono potenzialmente assimilabili a dei gesti, sono sottoposti alla risonanza con la gestualità rarefatta delle parole nel canto e arricchiscono lo spazio di situazioni e contesti esperenziali, messi tra virgolette. Il cortile può trasformarsi in un mare, ma in un “mare” danzato, cantato, risuonato. Questa è una nuova esperienza scaturita dal connubio tra una situazione ricordata e un corpo che vi danza dentro. La pratica tradizionale dei riti non è altro che una reiterazione di queste forme di inerenza, un rievocare quella che finora è stata qualificata come una nuova esperienza al solo scopo di 215 Questo passaggio è stato compreso fin da subito da Durand, seppure in direzione inversa: egli, citando Bachelard, perviene alla natura risonante del simbolo: «Si può dire che il simbolo non faccia parte del territorio della semiologia, ma del settore di una semantica speciale, che cioè possiede più di un senso artificialmente dato, ma detiene un essenziale e spontaneo potere di risonanza» [Durand G., Le strutture antropologiche dell’immaginario, Dedalo Libri, Bari, 1972, p. 22 (corsivo mio)]. 216 Questo legame è la risonanza stessa, assunto non nelle sue proprietà formali, ma nella sua forza. Sempre guidato dai contributi di Bachelard, Durand prosegue la sua interpretazione del simbolo: «i simboli non devono essere giudicati dal punto di vista della loro forma […] ma della loro forza», pervenendo così al cuore della nostra analisi sottratta, quello di un «movimento senza materia», costitutivo della natura degli archetipi come vettori, come costanti di una «direzione», non di «un punto nello spazio immaginario» [Ivi, p. 37. Le citazioni sono tratte da Bachelard G., L’Eau et les rêves, Corti, Paris, 1942, p. 161 e La Terre et les rêveries du repos, Corti, Paris, 1948, p. 60]. IL RITO SOTTRATTO 131
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precedente inerenza, estendendosi a delle aperture di senso che il ritmo non stava chiamando.<br />
Una danza può suggerire lo schema motorio della malattia, del nuoto, del cucinare. Da queste<br />
non ne segue necessariamente la distruzione della rappresentazione, o meglio, della forma<br />
simbiotica precedente, anche perché il rito sottratto non ubbidisce agli imperativi di alcuna unità<br />
concettuale dai contorni definiti che possa imporre di essere seguita ciecamente o abbandonata<br />
del tutto. Nel caso delle ambiguità vi è un salto percettivo, che è come l’essere sollevati da<br />
un’onda ad occupare un territorio diverso, dove poter ristabilire degli accenti in quanto tratti di<br />
una forma da focalizzare e da assecondare. Ma non tutti i cambi di forma richiedono la vertigine<br />
di un salto: non vi è necessariamente una rottura di un’unità concettuale perché qui ogni ordine<br />
di sensatezza è sfumato, sottratto e centrato sul movimento del senso, non sulla sua vestizione<br />
specifica.<br />
Nel passaggio da una corporeità attivata in simbiosi con la musica<br />
all’evocazione di una gestualità, ovvero al ricordo di una corporeità esperenziale richiamato da<br />
quella stessa simbiosi, vi è semplicemente un’estensione del senso vibratorio e delle possibilità<br />
di risonanza. Lo schema motorio che guida le ondulazioni nel corpus può essere talmente simile<br />
alla corporeità di un gesto acquisito in un contesto differente che la sua capacità areale si<br />
estende. Il corpo si amplifica con gli strumenti del suo sapere acquisito, la sua motilità va in<br />
risonanza con altri territori areali che portano con sé il ricordo di una situazione, un contesto che<br />
non viene seguito nelle forme ordinarie, ovvero secondo l’ordine scandito dalla sua percezione in<br />
un contesto quotidiano, ma che viene messo “tra virgolette”, perché è richiamato nel rito. La<br />
forma grammaticale di questa trasposizione non si traduce nella proposizione «sto nuotando»<br />
bensì «sto danzando il mare». La motilità del nuoto e l’ondeggiare delle onde vengono messi tra<br />
virgolette perché nel rito non vi è il mare. La dimensione è un’altra: il mare è richiamato non<br />
dalla visione delle onde o dal contatto con l’acqua, ma da una risonanza con le oscillazioni<br />
musicali, amplificate da una motilità coreutica, da una danza. Questa armonia, da una prospettiva<br />
acustica, è più ampia dello schema concettuale nel quale Sperber cerca di inserire il simbolismo:<br />
Il simbolismo dà luogo quindi a un secondo modo di accesso alla memoria:<br />
un’evocazione che si adatta là dove la convocazione fallisce 214 .<br />
Nel rito sottratto, se una convocazione fallisce vi è un salto<br />
percettivo, avviene un ribaltamento: l’equilibrio dei passi non sa comporre tra loro due forme<br />
differenti e quindi crea nuovi sfondi. Ma questo è un caso particolare di un fenomeno più<br />
214 Ibidem.<br />
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