IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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11.06.2013 Views

dell’oricha, danze sacre, sebbene il fenomeno vissuto abbia a che fare con questo repertorio. Si tenterà di trattare queste espressioni evitando di ricadere immediatamente nel riferimento al loro vestito culturale. In questo modo sarà possibile individuare un nucleo primario che mostrerà il potere attrattivo, magnetico e contagioso di queste forze corporee, pur seguendo le tecniche e la prassi rituale della loro evoluzione. Ritmo, danza e canto saranno descritti nelle loro capacità di unire corpi, stabilire relazioni, di diffondere come un riverbero i movimenti, di trasformare, secondo la guida di un’armonia sui generis, delle qualità musicali in qualità motorie, per mostrare le forze e il movimento che questo circolo di forze genera. Entrando in questo amalgama di scambi riverberanti, ogni tentativo di ordine causale è compromesso. La stesura di questa parte ha necessitato di un’estrema attenzione allo stile espositivo che, dovendo articolarsi secondo un andamento fatto di successioni quale è quello imposto dalla scrittura, spesso ricorre all’uso di termini doppi e logicamente circolari, per mantenere l’attenzione su una connessione di espressioni simultanee e riverberanti. L’esposizione ha tuttavia conservato un andamento scandito da successioni: ritmo, danza, canto e coro. Con una certa frequenza verrà ribadito il monito di evitare di cadere nella tentazione di attribuire a questa sequenza un valore causale: perciò le descrizioni separate verranno spesso riportate all’unica residenza che esse abitano, alla loro esposizione reciproca nello spazio del rito sottratto. Ogni elemento espressivo verrà trattato dalla sua prospettiva corporea specifica, che sarà di volta in volta quella del percussionista, del danzatore, del cantante, del corista, non come soggetti culturali ma denudati anch’essi, sospesi dal loro volere separato in favore di un’adesione alle forze del rito attraverso le vie espressive e gli schemi articolatori delle loro differenti attività. Una simile descrizione è stata possibile in quanto l’esperienza è stata vissuta nel perimetro del rito, nel luogo del coro, in quel circolo di partecipanti che simultaneamente suona, danza e canta, seppur in forme rarefatte. La compresenza di queste attività nel corpo ha permesso la comprensione generale degli schemi e delle evoluzioni di queste differenti attività. In questa prima parte il rito verrà considerato solo nel suo momento iniziale, dove le forze iniziano a esporsi vicendevolmente, avviando una serie di riverberi sonori e articolatori nei partecipanti. Il corpus inizia a muoversi su se stesso, senza assumere ancora una tendenza specifica, un cammino. La terza parte (Il cammino dei santi) seguirà l’evolversi delle forze nel cammino rituale che esse percorrono tradizionalmente, giungendo cioè al compimento del rito. Tale cammino verrà sviluppato mantenendo in sospensione tutte le pressioni culturali e si poggerà sul solo riferimento ai caratteri antropici del corpo. Si mostrerà come l’unione di forze possa crescere di intensità e svilupparsi verso delle zone di più densa corporeità, verso delle nebulose, dei grumi di senso non ancora sensato, che però aggiungono qualcos’altro alla mera esposizione in termini di vibrazioni e ondulazioni. Il cammino sarà strutturato secondo una via IL RITO SOTTRATTO 12

detta “dei suoni” (cap. 8), che partirà dallo spazio aperto dalle vibrazioni e dalle ondulazioni fino a giungere alla descrizione di un movimento oltre questa nuda arena, esteso a una potenzialità di senso (cap. 9). Il territorio si colorerà di toni che non hanno ancora i contorni definiti dall’appartenenza culturale o da un concetto formato. In questo tratto del cammino sarà possibile cogliere degli addensamenti di gesti imparentati che si legano tra loro sulla base di una memoria antropica. Questa è una facoltà corporea spesso usurpata dall’idea di mente: il corpo umano non è solo abile a spaziare secondo le modalità che trova nei suoi spazi articolatori, ma sa depositare in sé, anche senza la supervisione di una coscienza, alcune sequenze di movimenti a formare un sapere e una memoria operativa. Si mostreranno le modalità con cui alcuni movimenti possono essere messi in accordo con un’esperienza passata 14 , della quale si manterranno sospese le sue specificità storiche e culturali allo scopo di proseguire la riflessione in un ambito sottratto, evitando così di confondere i piani del corpo e del senso comune, che nella realtà si intrecciano continuamente tra di loro. Questo lavoro non cercherà di individuare il tipo d’uso con cui un certo gesto si mette in consonanza: l’esposizione difenderà solo la necessità di un tale legame mnemonico, distinguibile dall’individuazione storica dei fatti culturali. Più che trovare una tipologia pragmatica, la riflessione si avvicinerà a un’archetipologia motoria, tracciando grossolanamente una prima differenziazione di tendenze nei movimenti. Queste sono solo dei vettori che non puntano ad alcun oggetto o fine focalizzabile –poiché la sottrazione ha sospeso questi riferimenti- ma riescono a mostrarci la loro adesione a un certo “tono corporeo”, a uno “stile” del movimento che viene mantenuto durante lo svolgimento di tutto il cammino del rito. L’uomo, per quanto sottratto, ridotto, decostruito da questo metodo della riflessione, rimane uomo, con le sue proprietà metessiche, con la sua capacità elastica di mettere in relazione un’esperienza con un’altra, un gesto – di per sé incompiuto – con un’azione –determinata da un senso comune. Allora il corpus umano può assumere un’orientazione, uno svolgimento, un cammino che, sebbene non possa istituire degli oggetti culturali (gli orichas, nel fenomeno in questione) si avvicina ad essi raffinando la sua corporeità. Ogni partecipante accoglie il fenomeno vissuto nella sua memoria antropica. Questo incontro scatena una rete di consonanze e di dissonanze col sapere acquisito, la cui forma è pragmatica: sono gesti, movimenti che, se ripetuti, possono istituirsi come azioni e godere di una linea di senso compiuta nella specifica forma di vita in cui si praticano. Un senso si deposita, inscindibile 14 Il ruolo della memoria nel depositare e richiamare sequenze operazionali, non solo per riattivarle ma per evolverle nella loro forma e nell’estensione delle loro funzioni, è stato oggetto di molte riflessioni, che qui verranno appena toccate. Per il momento basterà richiamare il contributo di Merleau-Ponty, che afferma che un’impressione può richiamarne altre «solo a condizione di essere dapprima compresa nella prospettiva dell’esperienza passata, in cui essa si trovava a coesistere con quelle che si trattava di risvegliare» [Merleau-Ponty M., Fenomenologia della percezione, Studi Bompiani, Milano, 2003, p. 52]. IL RITO SOTTRATTO 13

detta “dei suoni” (cap. 8), che partirà dallo spazio aperto dalle vibrazioni e dalle ondulazioni fino<br />

a giungere alla descrizione di un movimento oltre questa nuda arena, esteso a una potenzialità di<br />

senso (cap. 9). Il territorio si colorerà di toni che non hanno ancora i contorni definiti<br />

dall’appartenenza culturale o da un concetto formato. In questo tratto del cammino sarà possibile<br />

cogliere degli addensamenti di gesti imparentati che si legano tra loro sulla base di una memoria<br />

antropica. Questa è una facoltà corporea spesso usurpata dall’idea di mente: il corpo umano non<br />

è solo abile a spaziare secondo le modalità che trova nei suoi spazi articolatori, ma sa depositare<br />

in sé, anche senza la supervisione di una coscienza, alcune sequenze di movimenti a formare un<br />

sapere e una memoria operativa. Si mostreranno le modalità con cui alcuni movimenti possono<br />

essere messi in accordo con un’esperienza passata 14 , della quale si manterranno sospese le sue<br />

specificità storiche e culturali allo scopo di proseguire la riflessione in un ambito sottratto,<br />

evitando così di confondere i piani del corpo e del senso comune, che nella realtà si intrecciano<br />

continuamente tra di loro. Questo lavoro non cercherà di individuare il tipo d’uso con cui un<br />

certo gesto si mette in consonanza: l’esposizione difenderà solo la necessità di un tale legame<br />

mnemonico, distinguibile dall’individuazione storica dei fatti culturali. Più che trovare una<br />

tipologia pragmatica, la riflessione si avvicinerà a un’archetipologia motoria, tracciando<br />

grossolanamente una prima differenziazione di tendenze nei movimenti. Queste sono solo dei<br />

vettori che non puntano ad alcun oggetto o fine focalizzabile –poiché la sottrazione ha sospeso<br />

questi riferimenti- ma riescono a mostrarci la loro adesione a un certo “tono corporeo”, a uno<br />

“stile” del movimento che viene mantenuto durante lo svolgimento di tutto il cammino del rito.<br />

L’uomo, per quanto sottratto, ridotto, decostruito da questo<br />

metodo della riflessione, rimane uomo, con le sue proprietà metessiche, con la sua capacità<br />

elastica di mettere in relazione un’esperienza con un’altra, un gesto – di per sé incompiuto – con<br />

un’azione –determinata da un senso comune. Allora il corpus umano può assumere<br />

un’orientazione, uno svolgimento, un cammino che, sebbene non possa istituire degli oggetti<br />

culturali (gli orichas, nel fenomeno in questione) si avvicina ad essi raffinando la sua corporeità.<br />

Ogni partecipante accoglie il fenomeno vissuto nella sua memoria antropica. Questo incontro<br />

scatena una rete di consonanze e di dissonanze col sapere acquisito, la cui forma è pragmatica:<br />

sono gesti, movimenti che, se ripetuti, possono istituirsi come azioni e godere di una linea di<br />

senso compiuta nella specifica forma di vita in cui si praticano. Un senso si deposita, inscindibile<br />

14 Il ruolo della memoria nel depositare e richiamare sequenze operazionali, non solo per riattivarle ma per evolverle<br />

nella loro forma e nell’estensione delle loro funzioni, è stato oggetto di molte riflessioni, che qui verranno appena<br />

toccate. Per il momento basterà richiamare il contributo di Merleau-Ponty, che afferma che un’impressione può<br />

richiamarne altre «solo a condizione di essere dapprima compresa nella prospettiva dell’esperienza passata, in cui<br />

essa si trovava a coesistere con quelle che si trattava di risvegliare» [Merleau-Ponty M., Fenomenologia della<br />

percezione, Studi Bompiani, Milano, 2003, p. 52].<br />

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