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Così come il nuovo tratto ha comportato una nuova residenza e<br />
l’abbandono della vecchia “memoria attiva”, allo stesso modo la danza ha mutato i propri schemi<br />
coreutici in riferimento agli accenti della forma ritmica. Per attestare la nuova posizione, essa<br />
assume la nuova forma come perno su cui ondulare. Non potendo congiungere due schemi così<br />
diversi tra loro, il corpo oscilla a danzare di volta in volta l’uno o l’altro, amplificando gli accenti<br />
che maggiormente lo impressionano. In un dominio sottratto ciò basterebbe da sé alla<br />
descrizione, in quanto non vi è alcuna imposizione di un soggetto o di un modello teorico che<br />
voglia sostituirsi a questo agire connettivo. Ma, che la danza segua uno schema o ne prosegua un<br />
altro, essa non può sottrarsi all’esposizione che il suo agire provoca nello stesso corpo danzante,<br />
in particolar modo nel suo sapere insopprimibile, nelle concatenazioni operazionali che<br />
costituiscono la sua memoria. Allora il movimento coreutico può ricordare, ricreare un accordo<br />
e perciò risuonare, un’esperienza vissuta attraverso quella medesima corporeità. Questa emerge<br />
improvvisamente, come un riverbero del tutto imprevisto, anche perché qui non vi è alcun volere<br />
che si ponga a ricercare questa esperienza come un possibile sviluppo della danza. L’anatra può<br />
trasformarsi in lepre solo se entrambe le immagini sono acquisite nella memoria, che è il centro<br />
da cui si irradiano tante connessioni esperenziali. Lepre ed anatra sono già state assimilate in due<br />
momenti esperenziali passati e differenti. Nella memoria corporea non vi è depositata<br />
l’immagine di una lepre e di un’anatra ma vi sono due diversi spazi di inerenza, che puntano a<br />
differenti vissuti legati all’apprendimento di queste due immagini. Questi spazi portano assieme<br />
alle immagini tutto un contesto percettivo: la fattoria dove lepre ed anatra sono state viste dal<br />
vero, o la pellicola di un documentario di tanti anni fa, o ancora il colore delle pagine su cui<br />
queste sono state illustrate. Comunque sia avvenuta l’esperienza, questa ha modellato il corpo,<br />
aprendolo a un vissuto specifico in un luogo e in un tempo unico e irripetibile.<br />
Nella teoria di Sperber, il vissuto viene ricordato quando arrivano<br />
degli elementi che non sono in grado di armonizzarsi con le forme precedenti. C’è un salto<br />
percettivo che porta a poggiarsi non più sulla “memoria attiva”, ma sulla memoria di un corpo<br />
che ha vissuto tante esperienze, che ha una storia di vissuti e che può richiamarli a stabilire un<br />
accordo con tali elementi. Ma con la sottrazione scompaiono le priorità logiche della coerenza e<br />
della causalità, e rimangono le dinamiche della partecipazione: nel lavoro rituale può accadere<br />
perciò che un tratto, anche se assimilato dalla memoria attiva, fuoriesca dal modello “attivo” per<br />
via della sua nudità dinamica e acustica, riuscendo a stabilire anche un accordo con la memoria<br />
passiva. Pur non rompendo l’armonia sincronica degli stimoli, danza e ritmo possono richiamare<br />
il ricordo di gesti tali da ristabilire nuovi schemi corporei. Questi nascono dalla fluidità dei gesti<br />
danzati e vi si armonizzano anche senza cambi repentini, senza far crollare necessariamente la<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 129