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11.06.2013 Views

Intermezzo CAPITOLO 8 Il simbolismo come riverbero Le forze del rito si sono diffuse come vibrazioni nelle articolazioni dei corpi e si sono arricchite di oscillazioni sempre nuove, creando un amalgama dinamico. Prima di affrontare gli sviluppi di questa costruzione nello svolgersi del rito, è importante soffermarsi un poco a ripensare a quanto è finora accaduto, per capire a fondo le modalità di organizzazione del rito e la trasformazione dei suoi corpi, nonché per cogliere appieno la tipologia della costruzione che ne è emersa. Nel coinvolgimento rituale non è possibile soffermarsi su queste riflessioni, perché gli imperativi operativi che realizzano la partecipazione stessa impongono un’adesione a un terreno che non è mai fermo e proprio per questo il corpo che vi aderisce è preso nella continua liberazione di forme mutevoli. Messo-in-gioco dal flusso delle oscillazioni rituali, il corpo mostra la sua apertura come una forma di permeabilità, di soggezione al ruolo delle parti, non tanto essere-parte quanto fare-parte di un tutto. Questo capitolo si pone come “intermezzo” allo scorrere del flusso delle forze rituali. In queste pagine le forze vengono sospese per un attimo; allora è possibile fermarsi a riflettere sul coinvolgimento trasformativo di questa esperienza non solo in quanto modalità di estensione dei movimenti, ma anche come un’apertura di senso, un senso certamente sottratto, ma non per questo assente, fermo, o morto 190 . La sospensione da cui nasce questo capitolo servirà a cogliere non un’elaborazione di senso ma solo a toccare lo spazio aperto dalle forze del rito, per comprendere che questo è terreno fertile, che è un buon luogo dove costruire musiche, danze, linguaggi e idee. Con ciò non si costruisce un senso ma lo si guarda-attraverso, nell’estensione delle sue potenzialità di significare, che tuttavia rimangono inespresse, o meglio sospese, abbandonate. Queste potenzialità vengono misurate sulla base di un ordine metessico, ovvero sulla capacità di diffusione delle forze, allo scopo di mostrare fin dove può spingersi l’azione riverberante, fin dove può arrivare la spartizione e il contagio. La riflessione si è mossa 190 Pur in riferimento a Sartre e Bataille, Nancy coglie il senso della loro angoscia, che è il senso della sottrazione stessa, che possiamo ritrovare anche in queste pagine, come un’«esperienza di una cessazione di senso che non è una mancanza, né una perdita, ma in cui la verità emerge come questa cessazione stessa» [Nancy J. – L., Il pensiero sottratto, p. 40]. IL RITO SOTTRATTO 120

a partire dalle vibrazioni sonore, considerate nella singolarità della loro diffusione. Le onde attraversano i corpi, come se questi fossero degli strumenti musicali. Ma non lo sono: questi hanno una forma che cambia e ad ogni trasformazione mutano le rispettive frequenze di risonanza. Le oscillazioni, che il suono di una corda rimanda come vibrazioni sonore, in un corpo diventano ondulazioni. Queste possono essere amplificate dal tamburo, dalle corde vocali, dai passi. Lo stimolo sonoro è il termine di paragone per cogliere le proprietà di un flusso cinestetico, afferrabile dall’udito o dalla vista e nondimeno sensibile al tatto come contatto 191 . Il suono in un corpus partecipativo si estende a una danza: una vibrazione si confonde con la sua risonanza coreutica e il corpo, ascoltando, danza. Quindi l’attenzione si è concentrata su questa attività, mossa dal riverbero dei suoni. Le sue ondulazioni creano dei cicli sui quali è possibile risalire a una somiglianza con alcune proprietà acustiche, a quelle vibrazioni che in ogni istante il movimento amplifica in forma di danze. Uno schema motorio mostra così la sua affinità con una forma sonora. Dall’arena coreutica, ovvero dal solo riverbero del suono nella danza, si irradiano non solo movimenti astratti ed extra-quotidiani, ma anche dei gesti, che estendono ulteriormente il potere riverberante in dimensioni di senso sempre più ampie, giungendo a toccare le tante operazioni pragmatiche depositate nelle azioni di un corpo nudo. Lo schema motorio dell’ondulazione coreutica finisce con l’accordarsi a dei gesti situazionali. La portata di questa risonanza sui generis ha perciò oltrepassato il connubio con la sola musica, diffondendosi in tutte quelle ampiezze di senso che possono scaturire dalle azioni concrete di un corpo in movimento. Così è possibile richiamare nel rito anche dimensioni non attuali, interi scenari quotidiani rispecchiati nella sola forma di una memoria gestuale. Allora un movimento della danza può trasformarsi nel gesto di un’azione, arricchendosi della sua compiutezza in uno spazio di senso, in una situazione che, rievocata, ha il valore di riattivare buona parte della corporeità quotidiana e intenzionale. Tutte queste estensioni di senso sono intrecci di tessuto, sono strati di veli che vanno a confondersi con la pelle nuda del corpo preso nel rito. Per mezzo della sola corporeità si è riusciti a passare da un soggetto denudato, sottratto da ogni volere, all’emersione di una forma che sembra quasi un’“intenzionalità situazionale”: essa è veicolata dalle operazioni gestuali ma è pur sempre soggetta al terreno sonoro delle connessioni collettive. Si è passati dalla musica alla danza e da questa all’evocazione di una situazione quotidiana, altra dal contesto rituale, che per definizione dovrebbe essere fuori dal luogo del rito, eppure ora vi è dentro, in una forma tutta nuova. Infatti questa “alterità” non è riattivata come se fosse “reale”, come se una 191 In questo termine si concentra la riflessione più importante di Nancy, cui fanno riferimento molti suoi lavori che ora sarebbe fuori luogo citare nella loro estensione e complessità. Qui è importante ribadire la parentela tra il “suo” contatto e questo flusso dinamico e oscillante, il cui continuo rinvio lo disegna come il «con» del contatto rituale. IL RITO SOTTRATTO 121

a partire dalle vibrazioni sonore, considerate nella singolarità della loro diffusione. Le onde<br />

attraversano i corpi, come se questi fossero degli strumenti musicali. Ma non lo sono: questi<br />

hanno una forma che cambia e ad ogni trasformazione mutano le rispettive frequenze di<br />

risonanza. Le oscillazioni, che il suono di una corda rimanda come vibrazioni sonore, in un<br />

corpo diventano ondulazioni. Queste possono essere amplificate dal tamburo, dalle corde vocali,<br />

dai passi. Lo stimolo sonoro è il termine di paragone per cogliere le proprietà di un flusso<br />

cinestetico, afferrabile dall’udito o dalla vista e nondimeno sensibile al tatto come contatto 191 . Il<br />

suono in un corpus partecipativo si estende a una danza: una vibrazione si confonde con la sua<br />

risonanza coreutica e il corpo, ascoltando, danza. Quindi l’attenzione si è concentrata su questa<br />

attività, mossa dal riverbero dei suoni. Le sue ondulazioni creano dei cicli sui quali è possibile<br />

risalire a una somiglianza con alcune proprietà acustiche, a quelle vibrazioni che in ogni istante il<br />

movimento amplifica in forma di danze. Uno schema motorio mostra così la sua affinità con una<br />

forma sonora.<br />

Dall’arena coreutica, ovvero dal solo riverbero del suono nella<br />

danza, si irradiano non solo movimenti astratti ed extra-quotidiani, ma anche dei gesti, che<br />

estendono ulteriormente il potere riverberante in dimensioni di senso sempre più ampie, giungendo<br />

a toccare le tante operazioni pragmatiche depositate nelle azioni di un corpo nudo. Lo schema<br />

motorio dell’ondulazione coreutica finisce con l’accordarsi a dei gesti situazionali. La portata di<br />

questa risonanza sui generis ha perciò oltrepassato il connubio con la sola musica, diffondendosi in<br />

tutte quelle ampiezze di senso che possono scaturire dalle azioni concrete di un corpo in<br />

movimento. Così è possibile richiamare nel rito anche dimensioni non attuali, interi scenari<br />

quotidiani rispecchiati nella sola forma di una memoria gestuale. Allora un movimento della danza<br />

può trasformarsi nel gesto di un’azione, arricchendosi della sua compiutezza in uno spazio di<br />

senso, in una situazione che, rievocata, ha il valore di riattivare buona parte della corporeità<br />

quotidiana e intenzionale. Tutte queste estensioni di senso sono intrecci di tessuto, sono strati di<br />

veli che vanno a confondersi con la pelle nuda del corpo preso nel rito. Per mezzo della sola<br />

corporeità si è riusciti a passare da un soggetto denudato, sottratto da ogni volere, all’emersione di<br />

una forma che sembra quasi un’“intenzionalità situazionale”: essa è veicolata dalle operazioni<br />

gestuali ma è pur sempre soggetta al terreno sonoro delle connessioni collettive. Si è passati dalla<br />

musica alla danza e da questa all’evocazione di una situazione quotidiana, altra dal contesto<br />

rituale, che per definizione dovrebbe essere fuori dal luogo del rito, eppure ora vi è dentro, in una<br />

forma tutta nuova. Infatti questa “alterità” non è riattivata come se fosse “reale”, come se una<br />

191 In questo termine si concentra la riflessione più importante di Nancy, cui fanno riferimento molti suoi lavori che<br />

ora sarebbe fuori luogo citare nella loro estensione e complessità. Qui è importante ribadire la parentela tra il “suo”<br />

contatto e questo flusso dinamico e oscillante, il cui continuo rinvio lo disegna come il «con» del contatto rituale.<br />

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