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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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colpi dell'iyá, altre volte danno origine a una vera poliritmia fatta apposta per sostenerli 179 . Ma<br />

qui è più interessante comprendere che tali esempi non fanno che esaltare una natura<br />

pragmatica ben consolidata dai riverberi delle parti tra loro. Come se fossero degli accenti<br />

ossessivi in controtempo, questi insulti trovano sempre un accordo con la forma delle<br />

invocazioni, sebbene sembrino stravolgerne i riferimenti. Spesso i canti usano parole<br />

misteriose 180 , il cui significato è comprensibile solo agli adepti più esperti; molte di queste<br />

sono il prodotto di una sintesi di preghiere o di caratteri archetipici: in una parola viene così<br />

depositata tutta l'intensità e il senso religioso di una formula più estesa. In un orizzonte<br />

sottratto la parola misteriosa, pronunciata con enfasi, basta a svelare la sua apertura, poiché<br />

questa è capace di suggerire una motilità che viene incorporata dal fedele prima ancora che<br />

questi possa conoscerne il significato. Ancora una volta emerge il primato dell’apertura dei<br />

corpi, del loro contatto prima di ogni senso e di ogni sapere. Descrivendo i rituali cubani, F.<br />

Ortiz evidenzia il valore sacro-magico delle parole e la composizione della loro forza<br />

attraverso tecniche poetiche, teatrali e musicali:<br />

Riconosciuta la potenza magica di una parola «è naturale che si tratti di<br />

aumentare questa forza magica gridandola, ripetendola, moltiplicando le doppie,<br />

le allitterazioni, i termini simili». Da qui nascono le combinazioni tra suoni,<br />

vocaboli ripetuti e forme di rima, assonanze, consonanze, ecc. 181<br />

È questa «forza magica» a irretire i corpi nel loro potere di<br />

risuonare un’espressione che, prima di essere religiosa, conforme a un qualche ordine di ragione<br />

o di mistica, già si è diffusa come un’onda nei partecipanti, che vengono modellati nei loro modi<br />

d’agire: sono espressioni diverse ma imparentate dal loro riferimento oscillatorio. La sola<br />

preghiera riesce già a creare un corpus, sebbene questo non sia ancora un circolo dinamico: i<br />

partecipanti vengono messi-in-forma nella sola attenzione dei loro sguardi, nella tensione<br />

vibratoria sensibile alla zona centrale, che è il riferimento della preghiera. Questa zona viene<br />

indicata dalla voce che prega, che saluta gli orichas, che li omaggia con brevi frasi che<br />

scandiscono una sequenza, a formare una ciclicità che già è un canto rarefatto: agli omaggi del<br />

sacerdote i fedeli infatti rispondono con un sostegno corale. Le voci si uniscono e confondono i<br />

corpi in una dimensione collettiva: la voce di risposta alla preghiera crea il coro, nel quale ogni<br />

individuo diviene parte, trasformandosi appunto in partecipante, elemento di un corpo corale. La<br />

179 Cfr. ivi, p. 212.<br />

180 Cfr. ivi, p. 221.<br />

181 F. Ortiz, La africania de la musica folklorica de Cuba, p. 200. Ortiz cita tra virgolette E. Doutte, Magie et<br />

religion dans l’Afrique du nord, Argel, 1908, p.104.<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 107

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