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11.06.2013 Views

essenziale, originario, centrale per ogni vestizione. Così svelato, il toccare assume una nuova modalità: questa non segue più le gestualità del corpo – siano esse pesantezze articolari o leggere rarefazioni parlate – ma la risonanza con le oscillazioni acustiche della voce. La successione non è più né operazionale né grammaticale, bensì melodica. Abbiamo già notato come ogni nota riveli un microcosmo di frequenze: il corpo vocale può legarsi ad una o più di esse, risuonando secondo più frequenze. In una sola nota cantata è possibile ritrovare molti elementi per costruire un sistema di note. Disposte in un ordine sequenziale, alternate in una successione di intervalli, la voce risuona una melodia. Se questo sistema di note viene fissato in una successione ascendente o discendente, si ottiene una scala tonale in risonanza con una nota sola. Seguendo una melodia, il canto può assumere alcune note della sua scala in forma ciclica, creando così uno spazio melodico che, ripetendosi, si solidifica come il terreno di un’inerenza cantata. Allora il corpo può abitare questo spazio amplificando alcune sue note, poggiandosi su queste come riferimento generale di tutto il ciclo melodico ed esplorando nuove risonanze in relazione ai riferimenti presi. Esso insomma ripercorre quello stesso percorso creativo e connettivo che è stato già esposto a proposito del ritmo e della danza. Così come le improvvisazioni di un tamburo o di una danza possono allontanarsi sempre di più da un riferimento basilare, allo stesso modo la melodia del cantante può assumere sempre nuove forme, introdurre nuove note che prima avrebbero “stonato” e che invece adesso mostrano tutta la loro armonia con i nuovi riferimenti, che sono da intendere come i nuovi punti di appoggio della melodia. Se si considera poi che il cantante in genere non canta da solo ma in relazione ad altri strumenti, allora i riferimenti si moltiplicano, compenetrandosi nel gioco di scambi vibratori che ora è possibile definire come armonia 174 . La scelta melodica non risente solo degli attraversamenti sonori, ma anche di quelli danzati. Le espressioni del danzatore possono essere fatti risuonare dal canto, che amplifica le esplorazioni coreutiche attraverso dei movimenti della vocalità. La scelta melodica non può essere sorda nemmeno ai riferimenti gestuali presenti nelle parole, e con questi il canto esplode in tutta la sua ricchezza: questo non è più un puro vocalizzare note sulla tastiera della voce ma un canto completo, con tutti i suoi rimandi simultanei alla musica, al movimento e al linguaggio 175 . La corporeità rarefatta nelle parole può influenzare la scelta degli intervalli melodici e dei timbri, rispondendo così dell’armonia tra il canto e la gestualità situazionale, tra la vocalità e l’esperienza vissuta, verbalmente evocata. Il canto è perciò una composizione che si affida all’acustica della voce e alle gestualità degli usi linguistici che essa veicola. 174 La definizione di armonia è definita a p. 54, nota 88. 175 Per una visione complessiva delle tante dimensioni richiamate dalla voce si rimanda all’opera di Zumthor P., op. cit., pp. 5-15. IL RITO SOTTRATTO 104

Come ogni tipo di successione la melodia ha una sua scansione interna, ovvero porta con sé un potenziale ritmico che nel rito si accorda a quello dei batá, esprimibile nella forma di un unisono – marcando gli stessi accenti – o di un contrappunto – elaborando sugli accenti dei ritmi uno svolgimento differente. Le risonanze vocali possono generare timbri delicatissimi, voci gutturali, vocali rauche, in armonia con il corpus acustico e con i gesti del danzatore che, come abbiamo già esaminato, possono suggerire tutta una natura archetipica umana. Così ritmi, danze e canti stabiliscono un legame che si manifesta anche al di fuori della dimensione rituale: alcune melodie possono ispirarsi ai versi degli animali, o alle voci dei venditori ambulanti, o a un qualunque gesto che riesce a farsi voce. Ogni suono può essere messo in accordo con una musicalità che ne afferri i cicli vibratori. Se poi, come abbiamo già fatto, si estende la natura oscillatoria del suono anche ai movimenti corporei, allora non vi è più alcun limite alle possibilità connettive tra espressioni diverse. Un cantante, anche quando inizia a cantare, è sempre in risonanza con una sonorità o con una motilità che lo ha irretito, sia essa fisicamente presente o ricordata nel suo corpo musicale, evocata dalle sue qualità oscillatorie. Un canto non emerge mai da nulla, non rompe un silenzio assoluto perché questo non è una privazione dell’ascolto, così come la notte non è l’assenza della percezione visiva: il silenzio è sempre intriso di una tensione di forze acustiche, fosse anche la sola vibrazione muta di un corpo che tende l’ascolto a risuonare un ricordo, una corporeità vissuta 176 . Così il canto rituale, quando dà inizio al rito, non interrompe il silenzio ma gli dà voce: per questo basta la sola compresenza dei fedeli e dell’altare a far sì che il silenzio da essi condiviso finisca col risuonare nella voce come preghiera. Pregare Quando i partecipanti terminano gli omaggi all’altare, la prassi dell’offerta si è già proiettata su tutti i corpi che, seppure ancora muti e fermi, sono già assoggettati alla forma di fedeli: la loro corporeità muta e rispettosa è il prodotto di questo assoggettamento. La curiosità irrispettosa di un turista sarebbe, a prescindere dal suo credo e dalla sua appartenenza etnica, comunque fuori luogo, poiché stonerebbe con l’armonia che già si è creata a connettere i corpi in quella dimensione pragmatica. Il silenzio che preannuncia la fase 176 Il silenzio di un soggetto risonante mostra una «spaziatura intensiva di un rimbalzo acustico che non si chiude in alcun ritorno senza immediatamente rilanciare in forma di eco un richiamo a questo medesimo sé» [Nancy, All’ascolto, p. 33]. Nancy, in riferimento al mito della caverna, non manca di cogliere che fin nella più profonda cavità umana non vi sono solo le ombre degli oggetti portati all’esterno, «ma c’è anche l’eco delle voci di quelli che portano gli oggetti» [Ibidem, nota 40]. IL RITO SOTTRATTO 105

Come ogni tipo di successione la melodia ha una sua scansione<br />

interna, ovvero porta con sé un potenziale ritmico che nel rito si accorda a quello dei batá,<br />

esprimibile nella forma di un unisono – marcando gli stessi accenti – o di un contrappunto –<br />

elaborando sugli accenti dei ritmi uno svolgimento differente. Le risonanze vocali possono<br />

generare timbri delicatissimi, voci gutturali, vocali rauche, in armonia con il corpus acustico e<br />

con i gesti del danzatore che, come abbiamo già esaminato, possono suggerire tutta una natura<br />

archetipica umana. Così ritmi, danze e canti stabiliscono un legame che si manifesta anche al di<br />

fuori della dimensione rituale: alcune melodie possono ispirarsi ai versi degli animali, o alle voci<br />

dei venditori ambulanti, o a un qualunque gesto che riesce a farsi voce. Ogni suono può essere<br />

messo in accordo con una musicalità che ne afferri i cicli vibratori. Se poi, come abbiamo già<br />

fatto, si estende la natura oscillatoria del suono anche ai movimenti corporei, allora non vi è più<br />

alcun limite alle possibilità connettive tra espressioni diverse.<br />

Un cantante, anche quando inizia a cantare, è sempre in risonanza<br />

con una sonorità o con una motilità che lo ha irretito, sia essa fisicamente presente o ricordata<br />

nel suo corpo musicale, evocata dalle sue qualità oscillatorie. Un canto non emerge mai da<br />

nulla, non rompe un silenzio assoluto perché questo non è una privazione dell’ascolto, così<br />

come la notte non è l’assenza della percezione visiva: il silenzio è sempre intriso di una<br />

tensione di forze acustiche, fosse anche la sola vibrazione muta di un corpo che tende l’ascolto<br />

a risuonare un ricordo, una corporeità vissuta 176 . Così il canto rituale, quando dà inizio al rito,<br />

non interrompe il silenzio ma gli dà voce: per questo basta la sola compresenza dei fedeli e<br />

dell’altare a far sì che il silenzio da essi condiviso finisca col risuonare nella voce come<br />

preghiera.<br />

Pregare<br />

Quando i partecipanti terminano gli omaggi all’altare, la prassi<br />

dell’offerta si è già proiettata su tutti i corpi che, seppure ancora muti e fermi, sono già<br />

assoggettati alla forma di fedeli: la loro corporeità muta e rispettosa è il prodotto di questo<br />

assoggettamento. La curiosità irrispettosa di un turista sarebbe, a prescindere dal suo credo e<br />

dalla sua appartenenza etnica, comunque fuori luogo, poiché stonerebbe con l’armonia che già si<br />

è creata a connettere i corpi in quella dimensione pragmatica. Il silenzio che preannuncia la fase<br />

176 Il silenzio di un soggetto risonante mostra una «spaziatura intensiva di un rimbalzo acustico che non si chiude in<br />

alcun ritorno senza immediatamente rilanciare in forma di eco un richiamo a questo medesimo sé» [Nancy,<br />

All’ascolto, p. 33]. Nancy, in riferimento al mito della caverna, non manca di cogliere che fin nella più profonda<br />

cavità umana non vi sono solo le ombre degli oggetti portati all’esterno, «ma c’è anche l’eco delle voci di quelli che<br />

portano gli oggetti» [Ibidem, nota 40].<br />

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