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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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esperienze vissute, i significati linguistici. La quotidianità è intrisa di musicalità e la sonorità<br />

della voce è intrisa di gestualità quotidiane. Canto e parola si legano e si confondono nella voce<br />

che, cantando note, risuona accordi 171 . La gestualità connaturata alla parola può essere<br />

amplificata dal canto a tal punto che questo può metterla in voce, purificandola di tutti gli altri<br />

riferimenti di senso: è il caso della vocalità non-verbale, prosodica, espressione di un tono<br />

emozionale che, tacendo la parola, si sottrae dal suo specifico riferimento semantico. Questo può<br />

essere individuato sulla base di quanto il canto ha finora detto, ma se proseguiamo la riflessione<br />

in ambito sottratto, possiamo cogliere il suo riecheggiare nell’arena partecipativa, dove la<br />

vocalità prosodica attraversa i corpi a modellarne i toni, costituiti dall’intensità e dal “colore” di<br />

un’esperienza sfocata, archetipica, che in quanto tale ogni corpo può condividere e al limite, se<br />

proprio ne sente il bisogno, vestire con il ricordo di un vissuto. Questa evocazione non è<br />

intenzionale ma è una messa-in-risonanza attivata dai toni prosodici che attraversano i corpi. La<br />

prosodia è la gestualità di una parola taciuta: essa esalta il complesso gestuale della parola<br />

proprio perché la sottrae. Mentre la parola evoca un uso specifico, la prosodia ci getta ad<br />

abitarlo, orientando ogni percezione ed espressione in conformità con un atteggiamento sfocato<br />

del corpo. Essa viene ad arricchire il canto in maniera analoga a quella con cui le trasfigurazioni<br />

del volto possono modellare una danza.<br />

La melodia<br />

Il senso di una gestualità scevra di parole non si trova nell’accordo<br />

con un vissuto ricordato: esso risiede, sottratto, nella partecipazione a una nuova esperienza,<br />

nell’apertura dei corpi 172 . La vocalità del pianto, proprio perché slegata dal contesto e dalle<br />

motivazioni che possono provocarlo, apre all’esperienza di un ascolto sottratto: fuori da ogni<br />

ragione quotidiana, i partecipanti sono immersi nel contatto con un pianto cantato 173 . La<br />

vocalità, privata della sua veste di senso, può mostrare la sua nudità e stabilire un contatto<br />

171 Accordi armoniosi tra nota e nota, ma anche tra musica e parola, «mostrando in modo in equivoco come i due<br />

codici, verbale e musicale, ‘interagiscono’ non solo a livello di regole formali, ma anche a livello di senso»<br />

[Giannattasio F., op. cit., p. 182].<br />

172 In questo termine vi è l’idea del corpo non come uno spazio pieno, ma come «spazio aperto», accogliente e<br />

invitante, che embra quasi chiamare il contatto, la relazione, l’esposizione reciproca. Prima di questo incontro il<br />

corpo «non è né pieno né vuoto, non ha né dentro né fuori, così come non ha né parti, né funzioni, né finalità» [J. –<br />

L. Nancy, Corpus, pp. 15-16]. Ciò richiama anche l’idea del «corpo senza organi» proposto da Artaud e affrontato<br />

nelle sue implicazioni filosofiche da Deleuze.<br />

173 Con ciò non si intende proporre né un’interpretazione che veda il canto come un’evoluzione della prosodia<br />

vocale, né una prospettiva che intenda il linguaggio come lo sviluppo di un canto primordiale [Vico]. Qui non si sta<br />

facendo alcuna supposizione evoluzionistica. La ricerca è ancorata a un’esperienza: questo non può essere un luogo<br />

di studio filogenetico perché il rito vissuto non è un reperto archeologico. Esso ci apre a una modalità d’essere che è<br />

vivente, attuale e moderna.<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 103

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