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Inferni contemporanei.pdf - Liceo Muratori

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

Carlo Varotti<br />

<strong>Inferni</strong> e mondo<br />

contemporaneo<br />

1. Renzo agli inferi<br />

2. Curzio Malaparte, La pelle<br />

3. Dino Buzzati, Viaggio agli inferni del secolo<br />

Proponiamo un breve percorso dedicato alla<br />

rappresentazione 'infernale' del mondo<br />

contemporaneo. Non abbiamo l'ambizione di<br />

catalogare in maniera sistematica o particolarmente<br />

ricca tipologie e forme. Soltanto proponiamo la<br />

lettura di alcuni testi corredati di un agile apparato<br />

che fornisca indicazioni didattiche concrete.<br />

Abbiamo escluso dalla scelta molti possibili testi di<br />

natura filosofica, polemica, teologica o quant'altro.<br />

Non ci interessava infatti documentare una storia<br />

della rappresentazione dell'inferno tra modernità e<br />

<strong>contemporanei</strong>tà, ma proporre alcuni esempi<br />

concreti di narrazione, individuando la riutilizzazione<br />

di elementi dell'immaginario collettivo per<br />

rappresentare eventi o situazioni di grande (spesso<br />

traumatico) impatto emotivo sull'osservatore<br />

contemporaneo.<br />

Abbiamo perciò limitato il nostro lavoro alla<br />

selezione di alcuni testi narrativi, che ci consentono<br />

di mettere in rilievo non tanto generiche indicazioni<br />

tematiche, ma modalità concrete di costruzione del<br />

testo.<br />

In particolare leggeremo alcune pagine (Manzoni;<br />

Malaparte; Buzzati) in cui la rappresentazione<br />

dell'inferno cristiano - depositatasi nella memoria<br />

collettiva attraverso una plurisecolare tradizione<br />

folklorica e letteraria - fornisce un paradigma di<br />

rappresentazione della realtà. Il paradigma infernale<br />

diviene allora il mezzo che rende visibile (e 'dicibile')<br />

l'orrore; o una chiave straniante che svela un<br />

'inferno' quotidiano smarritosi nella banalità di una<br />

condizione di vita alienata.<br />

Alcuni dati preliminari<br />

Il passaggio dell'inferno da luogo reale della<br />

punizione divina a metafora di una certa realtà<br />

storico-sociale presuppone la crisi nella credenza<br />

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dell'inferno. Il trasferimento dell'inferno da realtà<br />

oltremondana a rappresentazione di una condizione<br />

terrena e storica è uno degli aspetti del processo di<br />

secolarizzazione che segna l'età moderna.<br />

La messa in discussione dell'inferno e della sua<br />

esistenza è un tratto caratteristico del pensiero dei<br />

philosophes illuministi, ma è già presente nei<br />

libertini e in un geniale anticipatore del pensiero<br />

illuminista come Pierre Bayle (seguiamo alcune<br />

indicazioni contenute in G. Minois, Piccola storia<br />

dell'Inferno, Il Mulino, Bologna 1995; ed. orig.<br />

1994). A questo proposito si potrebbe utilmente<br />

leggere la voce Inferno nel Dizionario filosofico di<br />

Voltaire. Il filosofo francese, che contro la tesi<br />

leibniziana della terra come "il migliore dei mondi<br />

possibili" aveva fatto attraversare al suo Candido più<br />

di un 'inferno' mondano (non ultimo quello della<br />

Lisbona distrutta dal terremoto: evento che fu uno<br />

dei traumi del secolo), nel Dizionario propone una<br />

razionale eziologia dell'inferno, trovandone la genesi<br />

in quel bisogno umano di giustizia terrena che<br />

continuamente l'esperienza storica elude.<br />

Nel corso dell'Ottocento la rappresentazione<br />

dell'inferno e delle sue creature diventa un elemento<br />

ricorrente in letteraura e in poesia. Quanto meno si<br />

crede nell'inferno (quale predicatore penserebbe di<br />

dissuadere il male minacciando le fiamme eterne...)<br />

tanto più si afferma la tendenza a fare della<br />

rappresentazione dell'inferno la condizione stessa<br />

dell'uomo: la sua angoscia esistenziale o l'esito<br />

necessario del dispiegamento distruttivo delle sue<br />

passioni.<br />

Tramontate le visioni tradizionali di pene eterne, i<br />

bui antri lacerati dai pianti e "guai" dei dannati<br />

cessano di parlare alla coscienza moderna: meglio,<br />

cessano di esprimere con forza il principio della<br />

proibizione e della paura per la sanzione morale.<br />

Il diavolo zoccolato e cornuto (dopo aver per secoli<br />

popolato gli incubi notturni di pii credenti e<br />

peccatori) non può che fare la sua comparsa in un<br />

contesto straniante; che sarà, di volta in volta,<br />

archeologico recupero della tradizione folklorica,<br />

ironico viaggio nell'area magico-naive dell'infanzia,<br />

oppure figura simbolica, archetipo aperto alla<br />

molteplicità delle interpretazioni, tanto più efficace<br />

quanto più sfuggente e molteplice ne è la figura,<br />

polisemico il linguaggio.<br />

L'Ottocento si apre con la ricca galleria di diavoli<br />

della letteratura tedesca romantica. Ma sono tutti<br />

veramente (verrebbe da dire con Faust) "poveri<br />

diavoli" (arme teufel). Si tratti di un diavolo degno di<br />

abitare una favola infantile (come nello Schlemihl di<br />

Von Chamisso); o dei diavoli 'perturbanti' di alcuni<br />

racconti di Hoffmann; siamo comunque di fronte a<br />

un universo 'fantastico', che presuppone di necessità<br />

una visione razionale del mondo, che ha bandito da<br />

sé il meraviglioso e il miracolo. Oppure è un diavolo<br />

che - come il mefistofele di Goethe - è destinato a<br />

perdersi in un labirinto di complessità che anche per<br />

lui - creatura sovrumanamente dotata - è sfuggente<br />

e inafferrabile.<br />

Il diavolo e l'inferno sembrano dunque sopravvivere<br />

solo nello spazio riservato e artefatto della<br />

letteratura fantastica. Ma in realtà il paradigma<br />

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infernale conserva una grande forza simbolica e<br />

rappresentativa. Assistiamo però a un interessante<br />

mutamento di prospettiva, per cui la<br />

rappresentazione tradizionale del'inferno fornisce un<br />

paradigma descrittivo non già del mondo 'infero', ma<br />

del mondo tout court.<br />

Relegato dunque il diavolo della tradizione, come si<br />

diceva, alla dimensione straniante della favola o del<br />

recupero folclorico, il "paradigma infernale" viene<br />

trasferito nel quotidiano, diviene misura del<br />

quotidiano, rappresentazione della società<br />

contemporanea.<br />

Renzo agli inferi<br />

Nella sua prima avventura milanese Renzo incontra<br />

una Milano in rivolta. Nel romanzo manzoniano<br />

Renzo è l'eroe itinerante: percorre le strade del<br />

mondo (dal borgo a Milano; da Milano al<br />

bergamasco; dal bergamasco a Milano ecc.),<br />

incontrando avventure, ma anche compiendo una<br />

sua personale parabola di crescita. In un saggio<br />

uscito ormai da alcuni decenni, Girardi (Renzo agli<br />

inferi, in Manzoni reazionario, Cappelli, Bologna,<br />

1972) osservava che Renzo compie nei Promessi<br />

sposi una descentio ad inferos che ha molti punti di<br />

contatto (e altrettanti significative differenze)<br />

rispetto alle descentiones compiute da eroi<br />

archetipici (Ulisse, Enea e Dante). La discesa<br />

infernale di Renzo è connotata dal suo essere di<br />

natura intimamente cristiana. E' cioè un'esperienza<br />

in cui il contatto diretto con l'errore e il traviamento<br />

morale conferma e rafforza la sostanza morale e<br />

religiosa della persona. Renzo - anche se coinvolto<br />

nell'esperienza 'infernale' della città rivoluzionaria -<br />

conserva intatta infatti la sua struttura morale,<br />

trasformando così l'esperienza del tumulto in un<br />

fattore di reale crescita interiore.<br />

La realtà sociale e il mondo cittadino in rivolta<br />

vengono descritti da Manzoni utilizzando forme e<br />

modelli descrittivi desunti dalla rappresentazione<br />

dell'inferno. Ci limitiamo a segnalare (e non ad<br />

approfondire) il significato ideologico della scelta<br />

manzoniana che di fatto propone una sorta di<br />

identificazione tra rivoluzione e inferno: in<br />

ottemperanza a un progetto politico-ideologico<br />

connotato in senso liberale e moderato.<br />

Il passo è tratto dal cap. 14° del romanzo. E' la sera<br />

del giorno di San Martino, segnato dall'assalto ai<br />

forni e alla casa del Vicario di provvisione. Renzo ha<br />

appena tenuto una piccola orazione in una strada<br />

traendo un suo bilancio di quella giornata<br />

memorabile. Ora è tardi: occorre pensare a un<br />

ricovero per la notte.<br />

"Chi è di questi bravi signori che voglia insegnarmi<br />

un'osteria, per mangiare un boccone, e dormire da<br />

povero figliuolo?" disse Renzo.<br />

"Son qui io a servirvi, quel bravo giovine,"disse<br />

uno, che aveva ascoltata attentamente la predica, e<br />

non aveva detto ancor nulla (1).<br />

"Conosco appunto un'osteria che farà al caso vostro;<br />

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e vi raccomanderò al padrone, che è mio amico, e<br />

galantuomo." (2)<br />

"Qui vicino?" domandò Renzo.<br />

"Poco distante," rispose colui.<br />

La radunata si sciolse; e Renzo, dopo molte strette<br />

di mani sconosciute, s'avviò con lo sconosciuto,<br />

ringraziandolo della sua cortesia.<br />

"Di che cosa?" diceva colui: "una mano lava l'altra, e<br />

tutt'e due lavano il viso. Non siamo obbligati a far<br />

servizio al prossimo?" E camminando, faceva a<br />

Renzo, in aria di discorso, ora una, ora un'altra<br />

domanda. "Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi<br />

parete molto stracco: da che paese venite?"<br />

"Vengo," rispose Renzo, "fino, fino da Lecco."<br />

"Fin da Lecco? Di Lecco siete?"<br />

"Di Lecco... cioè del territorio."<br />

"Povero giovine! per quanto ho potuto intendere da'<br />

vostri discorsi (3), ve n'hanno fatte delle grosse."<br />

"Eh! caro il mio galantuomo! ho dovuto parlare con<br />

un po' di politica (4), per non dire in pubblico i fatti<br />

miei; ma... basta, qualche giorno si saprà; e allora...<br />

Ma qui vedo un'insegna d'osteria; e, in fede mia,<br />

non ho voglia d'andar più lontano." "No, no; venite<br />

dov'ho detto io, che c'è poco," disse la guida: "qui<br />

non istareste bene."<br />

"Eh, sì;" rispose il giovine: "non sono un signorino<br />

avvezzo a star nel cotone: qualcosa alla buona da<br />

mettere in castello (5), e un saccone, mi basta:<br />

quel che mi preme è di trovar presto l'uno e l'altro.<br />

Alla provvidenza!" Ed entrò in un usciaccio, sopra il<br />

quale pendeva l'insegna della luna piena.<br />

"Bene; vi condurrò qui, giacchè vi piace così," disse<br />

lo sconosciuto; e gli andò dietro.<br />

"Non occorre che v'incomodiate di più," rispose<br />

Renzo. "Però," soggiunse, "se venite a bere un<br />

bicchiere con me, mi fate piacere."<br />

"Accetterò le vostre grazie," rispose colui; e andò,<br />

come più pratico del luogo, innanzi a Renzo, per un<br />

cortiletto; s'accostò all'uscio che metteva in cucina,<br />

alzò il saliscendi, aprì, e v'entrò col suo compagno.<br />

Due lumi a mano, pendenti da due pertiche<br />

attaccate alla trave del palco, vi spandevano una<br />

mezza luce. Molta gente era seduta, non però in<br />

ozio, su due panche, di qua e di là d'una tavola<br />

stretta e lunga, che teneva quasi tutta una parte<br />

della stanza: a intervalli, tovaglie e piatti; a<br />

intervalli, carte voltate e rivoltate, dadi buttati e<br />

raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto. Si vedevano<br />

anche correre berlinghe, reali e parpagliole, che, se<br />

avessero potuto parlare, avrebbero detto<br />

probabilmente: - noi eravamo stamattina nella<br />

ciotola d'un fornaio, o nelle tasche di qualche<br />

spettatore del tumulto, che tutt'intento a vedere<br />

come andassero gli affari pubblici, si dimenticava di<br />

vigilar le sue faccendole private. - Il chiasso era<br />

grande. Un garzone girava innanzi e indietro, in<br />

fretta e in furia, al servizio di quella tavola insieme e<br />

tavoliere: l'oste era a sedere sur una piccola panca,<br />

sotto la cappa del cammino, occupato, in apparenza,<br />

in certe figure che faceva e disfaceva nella cenere,<br />

con le molle; ma in realtà intento a tutto ciò che<br />

accadeva intorno a lui. S'alzò, al rumore del<br />

saliscendi; e andò incontro ai soprarrivati. Vista<br />

ch'ebbe la guida, - maledetto! - disse tra sè: - che<br />

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tu m'abbia a venir sempre tra' piedi, quando meno ti<br />

vorrei! - Data poi un'occhiata in fretta a Renzo, disse<br />

ancora tra sé: - non ti conosco; ma venendo con un<br />

tal cacciatore, o cane o lepre sarai: quando avrai<br />

detto due parole, ti conoscerò. - Però, di queste<br />

riflessioni nulla trasparve sulla faccia dell'oste, la<br />

quale stava immobile come un ritratto: una faccia<br />

pienotta e lucente, con una barbetta folta,<br />

rossiccia, e due occhietti chiari e fissi.<br />

Note<br />

1. disse...nulla: è l'agente di polizia incaricato di<br />

trovare un colpevole da affidare alla giustizia.<br />

2. conosco... galantuomo: lo sbirro allude al<br />

tribunale, dove intende condurre Renzo per affidarlo<br />

alle mani della giustizia.<br />

3. da' vostri discorsi: allude ai discorsi fatti per<br />

strada da Renzo, nei quali il montanaro lamentava le<br />

troppe ingiustizie che i deboli e i poveri sono<br />

costretti a subire da aprte dei potenti.<br />

4. con un po' di politica: restando sulle generali.<br />

5. mettere in castello: mangiare.<br />

Proposte di lavoro<br />

Un'analisi del brano potrebbe essere affidata agli<br />

allievi stessi, attraverso una lettura guidata che li<br />

aiuti a individuare aspetti linguistici, immagini o<br />

situazioni riconducibili alla rappresentazione della<br />

realtà 'infernale'.<br />

Ad esempio:<br />

Lo sbirro provocatore<br />

Lo sbirro provocatore (che poi denuncerà Renzo) ha<br />

visto nel giovane un capro espiatorio ideale<br />

(forestiero; montanaro ingenuo). Le parole con cui si<br />

presenta allo sprovveduto provinciale offrendogli<br />

aiuto sono un insieme di ipocrisia e untuosa cortesia<br />

("sono qui io a servirvi, quel bravo giovine"). Una<br />

profferta di aiuto che ricorda l'interessata<br />

disponibilità del diavolo tentatore.<br />

Alla figura dello sbirro risponde, a conclusione del<br />

brano, quella dell'oste. La sua espressione è<br />

immobile e impenetrabile, ma sopratutto conserva<br />

connotati luciferini. Ha una "barbetta" che - oltre a<br />

essere connotato caratteristico del diavolo - è<br />

"rossiccia", con allusione al motivo folclorico che<br />

attribuisce al colore rosso doppiezza e malvagità (il<br />

rosso "malpelo").<br />

La Luna piena<br />

All'inferno allude il nome stesso dell'osteria (la Luna<br />

piena), attraverso l'identificazione della mitologia tra<br />

regina degli inferi e luna stessa (attraverso la<br />

divinità dalla triplice forma di<br />

Proserpina/Diana/Luna). Un'identificazione mediata<br />

con ogni probabilità dal ricordo di un notissimo luogo<br />

dantesco (la profezia di Farinata, in Inferno X, 79<br />

ss.: "Ma non cinquanta volte fia raccesa/ la faccia de<br />

la donna che qui regge").<br />

L'"usciaccio"<br />

L'"usciaccio" che separa come una soglia simbolica<br />

l'osteria, immette in un mondo 'infero' caotico<br />

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

( "chiasso"; il senso di disordine che appare dalla<br />

descrizione), immerso nell'oscurità ("mezza luce"),<br />

che si connota come una sorta di mondo in cui tutti i<br />

valori della civile convivenza sono rovesciati. E'<br />

infatti un luogo popolato di ladri e di biscazzieri<br />

(come rivelerebbero, se potessero parlare, le<br />

monete che corrono sul tavolo), che nelle pagine<br />

successive del romanzo interpreterà<br />

sistematicamente le parole di Renzo sulla giustizia in<br />

senso diametralmente opposto al loro reale<br />

significato.<br />

Il delirio collettivo<br />

Nel delirio collettivo della città in rivolta si iscrive lo<br />

scontro sistematico tra apparenza e realtà che<br />

caratterizza tutta la discesa 'infernale' di Renzo.<br />

Essa vive nel parlare allusivo del mefistofelico<br />

aiutante, le cui parole sono intessute di doppi sensi<br />

("Conosco appunto un'osteria che farà al caso<br />

vostro; e vi raccomanderò al padrone, che è mio<br />

amico, e galantuomo": che designa il palazzo di<br />

giustizia e il bargello). Ma soprattutto si situa nel<br />

grottesco incontro tra il mondo eticamente<br />

rovesciato dei ladri dell'osteria 'infernale' e il solido<br />

mondo morale di Renzo.<br />

Il conflitto che scoppia tra il valore delle parole che<br />

Renzo adotterà per illustrare il suo bisogno di vera<br />

giustizia, e il senso con cui quelle parole verranno<br />

accolte dai divertiti e occasionali ascoltatori,<br />

prefigura simbolicamente un conflitto che riguarda<br />

l'intera città in rivolta, nella quale il sistematico<br />

rovesciamento di diritti, doveri e valori, l'ha<br />

trasformata in una sorta di generale inferno<br />

dell'ambiguità e dell'incertezza.<br />

Si potrebbe assegnare agli allievi il compirto di<br />

leggere l'intero capitolo 14°, individuando le<br />

argomentazioni adottate da Renzo nei discorsi tenuti<br />

all'osteria della Luna piena. Un'analisi delle reazioni<br />

dei presenti alle sue parole potrebbe condurre alla<br />

preparazione di una sorta di griglia in cui indicare il<br />

senso attribuito a determinate parole da Renzo, e<br />

quelo attribuito alle stesse parole dai malavitosi<br />

presenti nell'osteria.<br />

Curzio Malaparte<br />

La pelle<br />

Uscito contemporaneamente in Francia e in Italia nel<br />

1949, il romanzo di Malaparteracconta la Napoli del<br />

1943 e 1944. Occupata dalle truppe alleate la città<br />

conosce un abisso di degradazione e umiliazione<br />

umana. Il paradigma infernale domina l'intero<br />

romanzo, come fosse il solo capce di rendere conto<br />

di una dimensione straniata e perversa, sconvolta in<br />

ogni fondamento morale e civile.<br />

Allo stravolgilmento della realtà in una dimensione<br />

'altra', da aldilà infernale, risponde la ricerca<br />

costante del raccapricciante, lo scandalo dell'osceno.<br />

Siamo di fronte a un inferno penetrato nelle pieghe<br />

del quotidiano, che ha informato di sè ogni aspetto<br />

dell'esistenza, ogni possibile valore. La<br />

mercificazione del corpo e la svendita della dignità,<br />

in una Napoli famelica e affollata, divengono così il<br />

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

simbolo di un'Europa degradata, lacerata terra di<br />

conquista.<br />

Nella prima pagina del romanzo, Malaparte parla<br />

della "terribile folla... squallida, sporca, affamata,<br />

vestita di stracci", che convive con i soldati vincitori<br />

che "urtavano e ingiuriavano in tutte le lingue e in<br />

tutti i dialetti del mondo". Un babelico sovrapporsi di<br />

corpi e voci dissonanti, che rammenta il primo<br />

affacciarsi dell'Inferno allo sguardo e all'udito di<br />

Dante, appena intrapreso il viaggio nell'aldilà<br />

(Inferno, III, 22 ss.):<br />

Quivi sospiri, pianti e alti guai<br />

risonavan per l'aere sanza stelle,<br />

per ch'io al cominciar ne lagrimai.<br />

Diverse lingue, orribili favelle,<br />

parole di dolore, accenti d'ira,<br />

voci alte e fioche, e suon di man con elle<br />

"Diverse lingue" e "orribili favelle" si mescolano in<br />

una confusione dominata dalla violenza, fisica<br />

("urtavano") e verbale ("ingiuriavano").<br />

Ma il paradigma di una descensio ad inferos, che<br />

trasforma la Napoli 'liberata' in una terra di morti<br />

viventi fornisce un'esplicita chiave di lettura poche<br />

righe più sotto (dunque ancora nell'incipit del<br />

romanzo), quando al capitano Malaparte, ufficiale<br />

dell'esercito italiano aggregato agli alleati, viene<br />

presentata la compagnia che dovrà comandare.<br />

... il sergente gridò: "Compagnia, attenti!". Lo<br />

sguardo dei soldati si appesantì su me con<br />

un'intensità dolorosa, come lo sguardo di un gatto<br />

morto. Le loro membra si irrigidirono, scattarono<br />

sull'attenti. Le mani che stringevano i fucili erano<br />

bianche, esangui: la pelle floscia pendeva dalle dita<br />

come la pelle di un guanto troppo largo.<br />

Il colonnello Palese prese a parlare, disse: "Vi<br />

presento il vostro nuovo capitano..." e mentre<br />

parlava io guardavo quei soldati italiani vestiti di<br />

uniformi tolte ai cadaveri inglesi, quelle mani<br />

esangui, quelle labbra pallide, quegli occhi bianchi.<br />

Qua e là, sul petto, sul ventre, sulle gambe, le loro<br />

uniformi erano sparse di nere chiazze di sangue. A<br />

un tratto mi accorsi con orrore che quei soldati<br />

erano morti. Mandavano un pallido odore di stoffa<br />

ammuffita, di cuoio marcio, di carne seccata al sole.<br />

Guardai il colonnello Palese, anch'egli era morto. La<br />

voce che usciva dalle sue labbra era umida, fredda,<br />

viscida, come quegli orribili gorgoglii che escono<br />

dalla bocca di un morto se gli appoggi una mano<br />

sullo stomaco. (C. MALAPARTE, Opere, a c. di L.<br />

Martellini, Mondadori, Milano, 1997, pp. 969-970).<br />

Proponiamo la lettura di una pagina in cui il<br />

paradigma dantesco appare con chiarezza, per altro<br />

esplicitamente (anche se genericamente) richiamato<br />

nel testo.<br />

La sera del 25 luglio del 1943, verso le undici, il<br />

Segretario della regia Ambasciata d'Italia a Berlino,<br />

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

Michele Lanza, se ne stava adagiato in una poltrona<br />

presso la finestra aperta, nel piccolo apaprtamento<br />

da scapolo di un suo collega.<br />

Faceva un caldo soffocante, e i due amici, spenta la<br />

luce e spalancata la finestra, sedevano nella stanza<br />

buia fumando e discorrendo fra loro. Angela Lanza<br />

era partita per l'Italia con la bambina alcuni giorni<br />

innanzi, a trascorrer l'estate nella sua villa presso il<br />

lago di Como. (Le famiglie dei diplomatici stranieri<br />

avevano lasciato Berlino ai primi di luglio, per<br />

fuggire non tanto il caldo afoso dell'estate berlinese,<br />

quanto i bombardamenti, che ogni giorno si<br />

facavano più duri.) E anche Michele Lanza, come<br />

altri funzionari dell'Ambasciata, aveva preso<br />

l'abitudine di passar la notte in casa, ora di questo<br />

ora di quel collega, per non rimaner solo, chiuso in<br />

una stanza, durante le ore notturne, fra tutte le più<br />

lente, e per dividere con un amico, con un essere<br />

umano, l'angoscia e i pericoli dei bombardamenti.<br />

Quella sera Lanza era in casa del suo collega, e i due<br />

amici sedevano al buio parlando della strage di<br />

Amburgo. I rapporti del Regio Console d'Italia in<br />

Amburgo narravano fatti terribili. Le bombe al<br />

fosforo avevano appiccato il fuoco a interi quartieri<br />

di quella città, facendo un gran numero di vittime.<br />

Fin qui nulla di strano, anche i tedeschi sono mortali.<br />

Ma migliaia e migliaia d'infelici, grondanti di fosforo<br />

ardente, sperando di spegnere in quel modo il fuoco<br />

che li divorava, s'erano gettati nei canali che<br />

attraversavano Amburgo in ogni senso, e nel fiume,<br />

nel porto, negli stagni, perfino nelle vasche dei<br />

giardini pubblici, o s'eran fatti ricoprir di terra nelle<br />

trincee scavate, per immediato rifugio in caso<br />

d'improvviso bombardamento, qua e là nelle piazze<br />

e nelle strade: dove, aggrappati alle rive e alle<br />

barche e immersi nell'acqua fino alla bocca, o sepolti<br />

nella terra fino al collo, attendevano che le autorità<br />

trovassero un qualche rimedio contro quel fuoco<br />

traditore. Poiché il fosforo è tale che si appiccica alla<br />

pelle come una viscida lebbra, e brucia solo al<br />

contatto dell'aria. Non appena quei disgraziati<br />

sporgevano un braccio fuor della terra o dell' acqua,<br />

il braccio si accendeva come una torcia. Per ripararsi<br />

dal flagello, quegli sciagurati erano costretti a<br />

rimanere immersi nell'acqua o sepolti nella terra<br />

come dannati nell'Inferno di Dante. Squadre di<br />

soccorso andavano da un dannato all'altro, porgendo<br />

bevande e cibo, attaccando con funi alla riva gli<br />

immersi perché abbandonandosi, vinti dalla<br />

stanchezza, non annegassero, e provando ora<br />

questo, ora quell'unguento: ma invano, poiché nel<br />

mentre ungevano un braccio, o una gamba, o una<br />

spalla, tratti per un istante fuor dell'acqua o della<br />

terra, le fiamme subito si risvegliavano simili a<br />

serpentelli accesi, e nulla valeva ad arrestare il<br />

morso di quella terribile lebbra ardente.<br />

Per alcuni giorni Amburgo offri l'aspetto di Dite, la<br />

città infernale. Qua e là nelle piazze, nelle strade,<br />

nei canali, nell'Elba, migliaia e migliaia di teste<br />

sporgevano fuor dell'acqua e della terra, e quelle<br />

teste, che parevano mozze dalla mannaia, livide<br />

dallo spavento e dal dolore, muovevan gli occhi,<br />

aprivan la bocca, parlavano. Intorno alle orribili<br />

teste, conficcate nel selciato delle strade o<br />

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

galleggianti alla superficie delle onde, andavano e<br />

venivano notte e giorno i familiari dei dannati, una<br />

folla smunta e lacera, che parlava a voce bassa,<br />

quasi per non turbare quella straziante agonia: e chi<br />

portava cibo, bevande, unguenti, chi un cuscino da<br />

metter sotto la nuca del loro caro, chi, seduto<br />

accanto a un sepolto, gli dava sollievo al viso con un<br />

ventaglio contro il calore del giorno, chi gli riparava<br />

la testa dal sole sotto un ombrello, o gli asciugava la<br />

fronte madida di sudore, o gli umettava le labbra<br />

con un fazzoletto bagnato, o gli ravviava i capelli<br />

con un pettine, e chi, sporgendosi da una barca, o<br />

dalla riva del canale o del fiume, confortava i<br />

dannati aggrappatí alle corde e dondolanti sul filo<br />

della corrente. Bande di cani correvano qua e là<br />

abbaiando, lambivano il viso dei padroni interrati, o<br />

si buttavano a nuoto per soccorrerli. Talvolta alcuni<br />

di quei dannati, presi dall'impazienza, o dalla<br />

disperazione, gettavano un alto grido, tentando di<br />

uscire fuor dell'acqua o della terra, e por fine allo<br />

strazio di quella inutile attesa: ma subito, al contatto<br />

dell'aria, le loro membra avvampavano, e zuffe<br />

atroci si accendevano tra quei disperati e i loro<br />

familiari, che a pugni, a colpi di pietra e di bastone,<br />

o con tutto il peso del proprio corpo, si sforzavano di<br />

rificcar nell'acqua o nella terra quelle terribili teste.<br />

I più coraggiosi, e pazienti, erano i bambini: che non<br />

piangevano, non gridavano, ma volgevano intorno<br />

gli occhi sereni a mirar l'orrendo spettacolo, e<br />

sorridevano ai familiari, con quella meravigliosa<br />

rassegnazione dei bambini, che perdonano<br />

l'impotenza degli adulti, e hanno pietà di chi non può<br />

aiutarli. Non appena scendeva la notte, nasceva<br />

intorno un bisbiglio, un sussurro, come di vento<br />

nell'erba, e quelle migliaia e migliaia di teste<br />

guatavano il cielo con occhi accesi di terrore.<br />

Al settimo giorno fu dato l'ordine di allontanare la<br />

popolazione civile dai luoghi, dove i dannati eran<br />

sepolti nella terra, o immersi nell'acqua. La folla dei<br />

parenti si allontanò in silenzio, sospinta con dolcezza<br />

dai soldati e dagli infermieri. I dannati rimasero soli.<br />

Un balbettio spaurito, uno stridor di denti, un<br />

pianto soffocato, uscivan da quelle orribili teste<br />

affioranti dall'acqua e dalla terra lungo le rive dei<br />

canali e del fiume, nelle strade e nelle piazze<br />

deserte. Per tutto il giorno quelle teste parlaron fra<br />

loro, piansero, gridarono, con la bocca a fior di<br />

terra, facendo smorfie, orrende, mostrando la<br />

lingua agli shupos di guardia ai crocicchi, e pareva<br />

che mangiassero il terriccio, e sputassero i sassi.<br />

Poi scese la notte: e ombre misteriose si aggiravano<br />

intorno ai dannati, si curvavan su loro, in silenzio.<br />

Colonne di autocarri con i fari spenti giungevano,<br />

sostavano. Si alzava da ogni parte uno strepito di<br />

zappe e di badili, uno sciacquio, i tonfi sordi dei remi<br />

nelle barche, e grida subito soffocate, e lamenti, e<br />

schiocchi secchi di pistola.<br />

Proposte di lavoro<br />

Nella pagina di Malaparte di incrociano molteplici<br />

suggestioni riconducibili al modello dantesco.<br />

La condizione degli sventurati colpiti dalle bombe al<br />

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

fosforo richiama analoghe situazioni dantesche:<br />

almeno l'immersione nel sangue dei violenti (canto<br />

12°); l'immersione nella pece bollente dei barattieri<br />

(canti 21-22).<br />

Un operazione sul testo potrebbe essere proposta<br />

come individuazione di un rapporto intertestuale con<br />

il modello dantesco, individuandone la presenza in<br />

uno strato più profondo, linguistico-lessicale, che<br />

non sia quello generico della situazione descritta o la<br />

semplice individuazione di campi semantici che<br />

rinviano al tema della dannazione e della sofferenza<br />

(verrà subito notato che i colpiti sono chiamati 7<br />

volte "dannati": la prima volta in diretta<br />

associazione con l'Inferno dantesco: "erano costretti<br />

a rimanere immersi nell'acqua o sepolti nella terra<br />

come dannati nell'Inferno di Dante")<br />

Come si diceva, l'insegnante potrebbe proporre<br />

un'indagine sul lessico impiegato da Malaparte,<br />

attraverso l'uso di semplici strumenti informatici di<br />

ricerca sui testi (pensiamo alla LIZ, ma l'offerta della<br />

rete è, ormai, piuttosto varia).<br />

Il lavoro potrebbe essre utile per mettere in rilievo la<br />

complessità dei meccanismi allusivi: un circuito di<br />

forme, richiami, sedimentazioni della memoria, in<br />

cui si situa la complessità di ri-uso della lingua<br />

letteraria e i tasselli su cui sono costruite le forme<br />

dell'immaginario. Attraverso un'operazione che<br />

lascia spazio al lavoro individuale di ricerca, lo<br />

studente è messo a contatto con l'idea di profondità<br />

o spessore storico del codice letterario.<br />

Abbiamo individuato alcuni esempi (ma un lavoro<br />

attento, magari di gruppo, potrebbe moltiplicarli):<br />

"Stridor di denti".<br />

In Dante compare tre volte il termine 'strida'. Due<br />

casi sono interessanti:<br />

a. Inf., 5,35: "quivi le strida, il compianto, il<br />

lamento"; che associa strida e (com)pianto; il passo<br />

di Malaparte dice: "uno stridor di denti, un pianto<br />

soffocato".<br />

b. Inf. 12, 102: " dove i bolliti facieno alte strida",.<br />

Qui il termine 'strida' è associato a una situazione<br />

vicina a quella descritta da Malaparte: i "bolliti" sono<br />

i tiranni immersi in un fiume di sangue bollente ("Or<br />

ci movemmo con la scorta fida/lungo la proda del<br />

bollor vermiglio,/dove i bolliti faceano alte strida. Io<br />

vidi gente sotto infino al ciglio...")<br />

Il capo separato<br />

Le "orribili teste" che affiorano dall'acqua o dal<br />

terreno sembrano "mozze dalla mannaia".<br />

Nell'infernale dimensione straniata esse sembrano<br />

una vita propria, quasi mostruose realtà<br />

artificialmente separate dal corpo ("Per tutto il<br />

giorno quelle teste parlaron tra loro"). Dietro<br />

l'immagine sono ravvisabili numerose suggestioni<br />

dantesche. Da Gerione che affiora nel buio, e che<br />

sembra giungere 'a pezzi' (Inf., 17, 8: "sen venne, e<br />

arrivò la testa e 'l busto"). Ma pensiamo soprattutto<br />

ai corpi lacerati dei seminatori di discordie, nella<br />

nona bolgia, e all'invenzione della testa retta col<br />

braccio dal suo legittimo proprietario, il poeta<br />

Bertran de Born (Inf., 28, 129: "levò il braccio alto<br />

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

con tutta la testa/ per appressarne le parole sue").<br />

La degradazione della condizione umana (fino alla<br />

rabbia impotente e furente del 'mangiare il terriccio'<br />

e 'sputare i sassi'), appare fissata - nelle ultime<br />

battute del racconto - in quel 'mostrare la lingua':<br />

gesto impotente e disperato che richiama l'episodio<br />

degli usurai: "qui distorse la bocca e di fuor trasse/la<br />

lingua, come bue che il naso lecchi" (Inf., 17, 74-<br />

75).<br />

Dino Buzzati<br />

Viaggio agli inferni del secolo<br />

Il breve testo di Buzzati (pubblicato nel 1966)<br />

potrebbe occupare un posto significativo all'interno<br />

del percorso che stiamo costruendo. Il processo di<br />

trasferimento dell'inferno nella dimensione laica<br />

della realtà storica è qui piegato fino ad ottenere<br />

effetti grotteschi.<br />

In questo caso all'inferno è tolta persino la<br />

dimensione della tragedia: non più metafora capace<br />

di rendere dicibile la disumanità feroce del male<br />

nella storia, l'inferno diventa allora, semplicemente,<br />

l'espressione di una quotidianità deprivata di ogni<br />

senso.<br />

Lo scrittore attua una sorta di processo inverso<br />

rispetto a quello constatato in Malaparte. Non siamo<br />

di fronte ad una realtà trasformata in visione<br />

apocalittica: capace quindi di esprimere l'orrore di<br />

una tragedia universale. L'eccezionalità grandiosa<br />

del male cessa di essere mistero tremendo. Non c'è<br />

più il muto stupore dell'uomo posto di fronte<br />

all'immobilità di un destino che lo coinvolge come<br />

singolo e come parte dell'umanità, quel destino<br />

feroce e inflessibile, muto come una sfinge: mistero,<br />

appunto, che può - grazie alla potenza comunicativa<br />

di cui ancora è dotato - dare corpo e voce<br />

all'indicibile.<br />

L'inferno stesso diventa piccola cosa, fagocitato<br />

nell'abisso insulso dei gesti, dei doveri, delle<br />

abitudini snaturate di una grande cttà<br />

contemporanea.<br />

La storia - Il protagonista, che si chiama 'Buzzati' e<br />

di mestiere fa il giornalista, viene convocato dal<br />

direttore del giornale, che gli affida un ghiotto<br />

servizio: andare a vedere com'è l'inferno, la cui<br />

porta è stata per caso trovata da due operai durante<br />

gli scavi della Metropolitana. Una volta entrato<br />

nell'aldilà, scopre un mondo esattamente uguale alla<br />

Milano (o a una qualsiasi altra città) contemporanea.<br />

Il protagonista si stupisce semmai per alcuni usi e<br />

costumi particolari. Ad esempio la festa di metà<br />

maggio (chiamata "Entrümpelung") in occasione<br />

della quale si buttano via tutte le cose vecchie,<br />

esseri umani compresi. Il protagonista assorbe<br />

velocemente comportamenti e istinti del luogo:<br />

guida una veloce auto sportiva assumendo<br />

atteggiamenti agressivi nei confronti di chiunque<br />

incontri; sulla sua auto si sente "più giovane e più<br />

forte". Il racconto si chiude con l'acquisto - da parte<br />

di alcuni speculatori edilizi - di un bellissimo giardino<br />

che la proprietaria, una vecchia aristocratica, aveva<br />

sempre rifiutato di vendere.<br />

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

" Caro Buzzati per caso non vorrebbe farmi una bella<br />

inchiesta sui lavori della metropolitana? "<br />

" ... politana? " feci eco, sbalordito.<br />

Accese una sigaretta dopo averne offerta una.<br />

" Nei lavori della metropolitana " disse " avrebbero<br />

trovato... un operaio un certo Torriani... per caso,<br />

nel corso degli scavi... dalle parti di Sempione. ..<br />

beh, insomma... "<br />

Io lo guardavo, io cominciavo a spaventarmi.<br />

Chiesi: " Che cosa dovrei fare? ".<br />

Lui proseguí: " Per caso... durante gli scavi<br />

sotterranei di Milano... dice di aver trovato... aver<br />

trovato per caso ... " sembrava esitasse,<br />

imbarazzato.<br />

" Per caso ... " incoraggiandolo.<br />

" Trovato per caso " mi fissò terribilmente " ... io<br />

stesso stento a crederlo ... "<br />

" Direttore, mi dica ... " Non ne potevo piú.<br />

" La porta dell'inferno, dice di aver trovato... una<br />

specie di porticina. "<br />

Si narra che personaggi grossi e fortissimi, di fronte<br />

a ciò che massimamente avevano desiderato nella<br />

vita, quando si presentò tremarono, diventando<br />

macilenti, piccoli e meschini.<br />

Eppure io chiesi:<br />

" E si può entrare? "<br />

" Dicono. "<br />

" L'inferno? "<br />

" L'inferno. "<br />

" Gli inferni? "<br />

" Gli inferni. "<br />

Ci fu un silenzio.<br />

" E io? "<br />

" Non è che una proposta ... una semplice<br />

proposta... mi rendo conto anch'io ... "<br />

"Nessun altro è al corrente? "<br />

" Nessuno. "<br />

" Noi come l'abbiamo saputo? "<br />

" Combinazione. La moglie di quel Torriani è fi-<br />

glia di un nostro vecchio speditore. "<br />

" Era solo quando ha fatto la scoperta? "<br />

" No, c'era un altro. "<br />

" E quest'altro ha parlato? "<br />

" Sicuramente no. "<br />

" Perché? "<br />

" Perché l'altro è entrato a curiosare. E non ha fatto<br />

piú ritorno. "<br />

" E io dovrei?... "<br />

" Ripeto, una semplice proposta... In fin dei conti, di<br />

queste faccende lei non è uno specialista? "<br />

" Da solo? "<br />

" Meglio. Da solo darà meno nell'occhio. Bisogna<br />

arrangiarsi. Lasciapassare non esiste. E il nostro<br />

giornale, di là, non ha nessuna conoscenza. Che noi<br />

si sappia, almeno. "<br />

" Niente Virgilio? "<br />

" No. "<br />

" Ma quelli là come faranno a capire che io sono un<br />

semplice turista? "<br />

" Arrangiarsi. Quel Torriani dice... lui ha appena dato<br />

una occhiata di là... dice che in apparenza è tutto<br />

come qui da noi, e gli uomini sono di carne ed ossa,<br />

mica come quelli di Dante. Vestiti come noi. E dice<br />

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

che è una città come le nostre con luce elettrica e<br />

automobili dimodoché confondersi mimetizzarsi sarà<br />

abbastanza facile, ma in compenso difficile sarà farsi<br />

riconoscere per forestieri... "<br />

" Dico: e allora dovrei farmi arrostire? "<br />

" Sciocchezze. Chi parla piú di fuoco? Le ripeto:<br />

tutto in apparenza è come qui, comprese le case e i<br />

bar i cinema i negozi. Proprio il caso di dire che il<br />

diavolo non è poi cosí... "<br />

" E... e il compagno. di quel Torriani allora perché<br />

non è tornato?"<br />

" Chissà...potrebbe essersi smarrito... potrebbe non<br />

aver piú trovato il passaggio per rientrare...<br />

potrebbe anche averci trovato gusto... "<br />

" Poi un'altra cosa: perché proprio a Milano e in tutto<br />

il resto dei mondo no? "<br />

" Non è vero. Pare anzi che ce ne siano parecchie di<br />

queste porticine, parecchie in ogni città, solo che<br />

nessuno le conosce... o nessuno ne parla...<br />

Comunque lei ammetterà che giornalisticamente<br />

sarebbe un colpo formidabile. "<br />

" Giornalisticamente... Ma chi ci crederà?<br />

Bisognerebbe documentarsi. Portare almeno delle<br />

fotografie... "<br />

Annaspavo. Mi rendevo conto che la famosa porta<br />

stava aprendosi. Non potevo decentemente rifiutare,<br />

sarebbe stata una diserzione ignobile. Ma, mi faceva<br />

paura.!<br />

" Senta, Buzzati, non anticipiamo le cose. Neanch'io<br />

sono poi del tutto persuaso. Ci sono parecchi punti<br />

oscuri, a parte l'inverosimiglianza complessiva...<br />

Perché non va a' parlare con quel Torriani? " Mi<br />

porse un foglio. C'era l'indirizzo.<br />

(D. Buzzati, Il colombre e altri cinquanta racconti,<br />

Mondadori, Milano, 1966, pp. 388-91)<br />

Proposte di lavoro<br />

I meccanismi di 'riduzione'.<br />

Dietro il viaggio agli inferi che si prospetta c'è<br />

naturalmente l'archetipo dantesco (qui<br />

esplicitamente richiamato con il riferimento<br />

all'assente Virgilio); ma altre, e più interessanti,<br />

sono le concrete possibilità di lavoro cui la pagina si<br />

presta.<br />

Si potrebbe ad esempio mettere in risalto il<br />

sistematico processo di 'riduzione' della realtà<br />

rappresentata, analizzando alcune soluzioni di<br />

scrittura utilizzate dall'autore.<br />

Vediamo alcuni casi:<br />

- diminutivi. Non si tratta solo di diminutivi veri e<br />

propri ("porticina"), ma anche di termini che<br />

sottraggono ogni possibile grandezza all'ipotesi del<br />

viaggio: l'operaio che non ha fatto ritorno è entrato<br />

"a curiosare"; Torriani ha "dato un'occhiata di là". Il<br />

linguaggio ricorre a termini che sembrano voler<br />

escludere ogni eroicizzazione linguistica<br />

dell'esperienza, per trasferirla nella dimensione del<br />

chiacchiericcio quotidiano, con la forza omologante e<br />

banalizzante delle espressioni di cui è intessuto.<br />

- Il processo di deroizzazione è ottenuto anche<br />

attraverso il richiamo all'esperienza di un quotidiano<br />

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

burocratico-aziendale, che evoca la dimensione<br />

parcellizzata e anonima del lavoro nelle società<br />

industruali avanzate. Nel brano che abbiamo<br />

proposto compare la figura di uno "speditore"<br />

dipendente del giornale; nel capitolo successivo sarà<br />

il "perito industriale" Torriani, l' "ingegner Roberto<br />

Vicedomini" ecc.<br />

- Il processo di 'riduzione' dell'esperienza trova<br />

espressione - su di un pano intertestuale nel<br />

confronto con l'archetipo narrativo dantesco.<br />

Il viaggio nell'aldilà generava in Dante dubbi dolorosi<br />

("io non Enea non Paulo sono"). Né poteva essere<br />

altrimenti, prospettandosi un'esperienza totale e<br />

assoluta: un viaggio cioè nel profondo della propria<br />

coscienza di uomo e di credente, lungo un percorso<br />

di crescita morale e religiosa che porterà quasi a<br />

identificare Dante con l'umanità intera. Alla<br />

grandezza del viaggio dantesco fanno riscontro<br />

dubbi legati alla banale gestione di un viaggio<br />

("bisogna arrangiarsi"; "lasciapassare non esiste").<br />

E' significativo che Buzzati si senta (e auspichi anzi<br />

tale ruolo) soltanto "un semplice turista" (versione<br />

banalizzata e consumistica del viaggiatore, ridotto a<br />

frettoloso 'consumatore' di chilometri, monumenti,<br />

pacchetti tutto-compreso).<br />

- Destino/casualità. Se il viaggio dantesco deriva<br />

da un preciso disegno del destino, che lo colloca<br />

(non diversamente dai viaggi precedenti di Enea e di<br />

Paolo) in un compiuto progetto teleologico, il viaggio<br />

di Buzzati è dominato dalla casualità ("per caso...<br />

durante gli scavi sotterranei di Milano... dice di aver<br />

trovato... aver trovato... per caso"; si è avuta<br />

notizia della cosa per "combinazione"). Anche questo<br />

particolare va iscritto nei processi di 'riduzione'<br />

dell'eroico del viaggio ultraterreno alla dimensione<br />

banale del quotidiano.<br />

Un mondo come il nostro<br />

Il sistematico meccanismo di riduzione<br />

dell'esperienza eroica del viaggio ultraterreno<br />

risponde a una ragione strutturale essenziale: tra<br />

mondo contemporaneo e mondo infernale<br />

l'omologazione è pressocché totale. Non<br />

intervengono neppure meccanismi metaforici di<br />

identificazione tra le due realtà, che -<br />

semplicemente - coincidono.<br />

Il motivo ricorre nella conclusione del racconto:<br />

... a me stesso che ci sono stato, non è ben chiaro<br />

se l'Inferno sia proprio di là, o se non sia invece<br />

ripartito fra l'altro mondo e il nostro. Considerando<br />

ciò che ho potuto udire e vedere, mi domando anzi<br />

se per caso l'Inferno non sia tutto di qui, e io mi ci<br />

trovi ancora, e che non sia solamente punizione, che<br />

non sia castigo, ma semplicemente il nostro<br />

misterioso destino.<br />

(cit., pp. 450-51)<br />

Ma è presente già in uno dei primi capitoli, segnalato<br />

dalla perfetta coincidenza fisica e visiva tra Inferno e<br />

mondo metropolitano contemporaneo:<br />

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

Guardai intorno. Esattamente la stessa scena<br />

descritta dal Torriani: in cui non c'era niente, a<br />

prima vista, di infernale e diabolico. Tutto anzi<br />

assomigliava alle nostre esperienze quotidiane, più<br />

ancora: non c'era nessuna differenza.<br />

Il cielo era il cielo grigio e bituminoso, che<br />

conosciamo fin troppo bene, fatto di fumo e di<br />

caligini, e di là dal funesto strato si sarebbe detto<br />

non ci fosse il sole bensì una lampada smisurata,<br />

una squallida lampada come le nostre, un<br />

gigantesco tubo al neon, tanto le facce degli uomini<br />

risultavano livide e stanche.<br />

Anche le case erano come le nostre, ne vedevo di<br />

vecchie e di modrnissime, dai sette ai quindici piani<br />

in media, né belle né brutte, come le nostre molto<br />

abitate, con quasi tutte le finestre accese, dietro le<br />

quali si scorgevano uomini e donne seduti al lavoro.<br />

Rassicurante il fatto che le insegne dei negozi e i<br />

manifesti pubblicitari erano scritti in italiano e<br />

riguardavano gli stessi pordotti che giornalmente<br />

pratichiamo.<br />

La strada pure non aveva nulla di straordinario. Solo<br />

era interamente stipata di automobili ferme, come<br />

appunto aveva descritto il Torriani.<br />

Le automobili non erano ferme perché desiderassero<br />

restare ferme o per ordine di un semaforo. Esisteva<br />

un semaforo infatti a una quarantina di metri, e<br />

stava dando luce verde. Le macchine erano<br />

semplicemnete intasate per un gigantesco ingorgo<br />

che può darsi si propagasse all'intero corpo della<br />

città, non potevano andare né avanti né indietro.<br />

Nell'interno delle automobili ferme stavano le<br />

persone, per lo più uomini soli. Anch'essi, non<br />

sembravano ombre bensì individui in carne ed ossa.<br />

Con le mani sul volante, immobili, sulle facce pallide<br />

una ottusa atonia come per effetto di stupefacenti.<br />

Essi non potevano uscire neppure se avessero<br />

voluto, tanto le macchine erano serrate le une sulle<br />

altre. Guardavano fuori, attraverso i finestrini,<br />

guardavano lentamente, con espressione di, anzi<br />

senza nessuna espressione. Ogni tanto qualcuno<br />

toccava il clacson, emetteva un flebie colpetto,<br />

senza fiducia, così, neghittosmaente. Pallidi,<br />

svuotati, castigati e vinti. E più nessuna speranza.<br />

(cit. pp. 404-405)<br />

L'identità ("non c'era nessuna differenza") tra<br />

Inferno e quotidiano contemporaneo è affermata con<br />

insistenza dal sistematico ricorso alla similitudine:<br />

"come le nostre" è formula che ricorre tre volte nel<br />

giro di poche righe.<br />

Trattandosi di un mondo non 'altro', non diverso,<br />

rispetto a quello dell'esperienza quotidiana, il<br />

viaggiatore-Buzzati ricorre insistentemente al 'noi'.<br />

La deroicizzazione dell'esperienza 'infernale' che,<br />

abbiamo visto, è caratteristica del viaggio da lui<br />

compiuto, comporta anche l'assenza dell'eroeindividuo,<br />

protagonista di un'avventura conoscitiva<br />

la cui eccezionalità comporterebbe la solitudine<br />

dell'eroe.<br />

Al viaggiatore dell'incredibile che deve<br />

continuamente fare appello alla fiducia del lettore<br />

('preparati ad ascoltare cosa inaudite'; 'sembra<br />

incredibile eppure è esattamente ciò che ho<br />

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<strong>Inferni</strong> e mondo contemporaneo: Manzoni, Malaparte, Buzzati<br />

visto...'), proponendo un'esperienza che è rottura e<br />

alterità rispetto all'esperienza del lettore, Buzzati<br />

sostituisce un viaggiatore che coincide con l'insieme<br />

dei suoi lettori: sta rivivendo le stesse esperienze;<br />

sta vedendo lo stesso sole, è immobilizzato nello<br />

stesso ingorgo in cui si trovano i suoi lettori.<br />

Una possibile lavoro sull'intero racconto<br />

Natura/artificio - Nelle poche battute dell'ultimo<br />

brano citato troviamo una contrapposizione tra<br />

elementi della natura e elementi artificiali,<br />

caratteristici del mondo 'infernale'. Il sole sembra<br />

"una lampada smisurata", un "tubo al neon".<br />

Si potrebbe proporre una lettura integrale del<br />

racconto di Buzzati, e individuare come il tema della<br />

contrapposizione natura/artificio sia in esso<br />

presente, lavorando su due piani:<br />

a. come esso si leghi a fattori strutturali del<br />

racconto. Si consideri ad esempio come l'ultimo<br />

capitolo racconta la sofferta vendita di un giardino<br />

da parte di un'anziana aristocratica.<br />

b. La verifica sul piano lessicale (e nel ricorso a<br />

locuzioni, a immagini, similitudini ecc.) della<br />

presenza della contrapposizone tra naturale e<br />

artificiale come rapportabili a una contrapposizone di<br />

fondo tra 'naturale' (positivo) e<br />

'artificiale' (negativo).<br />

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05/10/2011

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