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Leggi - I Cistercensi

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NOTIZIE<br />

CISTERCENSI<br />

3-4<br />

MAGGIO - AGOSTO<br />

1972<br />

ANNO QUINTO<br />

Periodico bimestrale - Spedizione in Abbonamento Postale - Gruppo IV


NOTIZIE CISTERCENSI<br />

Periodico bimestrale di vita cistercense<br />

SOMMARIO<br />

PAOLO CHERUBELLI, Tradizione spirituale-culturale alla<br />

Certosa di Firenze: Una laude inedita di Edoardo<br />

Acciaiuoli (1425)<br />

Sollecitudine di un Papa per i monaci Certosini di Roma<br />

Florilegio Cistercense<br />

P. BENEDETTO FORNARI, Un personaggio dantesco a Casamari:<br />

Gioacchino da Fiore<br />

Cronaca<br />

P. JEAN DÀNG, Cbaà-Tbù», dal Vietnam del Sud.<br />

P. MALAcHIA FALLETTI, Criteri per il rinnovamento delle<br />

Costituzioni<br />

GIUSEPPE FREDIANI, Verso l'auspicata realizzazione in<br />

Lombardia del museo storico dell'agricoltura nella<br />

tradizione e nell'ambiente Cistercense .<br />

<strong>Cistercensi</strong> di ieri e di oggi: Bartolomeo di Tienen .<br />

J. DE LA CROIX BOUTON, Storia dell'Ordine Cistercense<br />

(tredicesima puntata)<br />

Direttore e Redattore<br />

Don Filippo Agostini O. Cisto<br />

Monastero Cistercense<br />

Certosa del Galluzzo - 50124 Firenze<br />

Tel. 289.226<br />

Pago 117<br />

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Abbonamento annuo: Italia L. .3.000<br />

Abbonamento annuo: Estero L. 4.000


Tradizione spirituale -culturale<br />

alla Certosa di Firenze<br />

Riproduciamo da La Rinascita, diretta da Giovanni<br />

Papini, 2 (1939), nn. 8-9, 703-718, un articolo<br />

il cui contenuto può interessare agli studiosi e<br />

agli affezionati della Certosa di Firenze. (N. d. R.)<br />

UNA LAUDE INEDITA DI EOOARDO ACCIAIUOLI (1425)<br />

Nel codice Strozzi (Classe VI, II II 90. Membranaceo in-4°), dei<br />

secoli XV-XIV si trova, dopo una Cronaca del Regno di Sicilia di<br />

Edoardo degli Acciaiuoli (Aeduardi Acciaiuoli Incipit Cronica dominorum<br />

Regni Sicilie ab anno Domini millesimo octogesimo sexto. Igitur<br />

prenotato die XX martii obiit dux Robertus Viscardus), una laude alla<br />

Vergine Annunziata scritta nello stesso carattere della Cronica. Per poter<br />

stabilire con una certa precisione la paternità di questa laude, dobbiamo<br />

partire innanzi tutto da una prima supposizione, essere cioè dello stesso<br />

autore della Cronica siciliana. Troviamo una notizia chiave nella dichiarazione<br />

autografica « Questo libro è d'Aduardo degli Acciaiuoli di Firenze<br />

scritto per lui nel munistero di santo Lorenço dell'Ordine della<br />

Certosa et finito la vigilia d'Ognisanti. Deo gratias anno Domini 1425 ».<br />

Edoardo di Lodovico Acciaiuoli, nacque in Firenze nel 1381 o<br />

13.82 1: la madre rimasta vedova 2 ancor giovane dedicò tutta la sua atttvità<br />

all'educazione dei due figli Edoardo ed Albizzo 3. La prima notizia<br />

sul nostro, la troviamo nel testamento del Card. Angelo Acciaiuoli<br />

Vescovo Suburbicario di Ostia, fatto in Pisa, nella Cappella di S. Iacopo<br />

dei Speronari nella Casa di Bartolomeo di Scorno, il 28 maggio del<br />

1408, nel quale Edoardo viene costituito erede di mille fiorini 4. Sposatosi,<br />

intorno al 1413, con Tita di Domenico Corsi, ebbe questi figli:<br />

l Dal Catasto - Vipera - Quartiere Santa Maria Novella del 1427 (Arch. di Stato<br />

Fiorentino) si rileva che in tale data Edoardo aveva 45 anni: «Edoardo d'età anni 45 »,<br />

risultando perciò l'anno di nascita il 1382; ma al Catasto del 1446 è segnato «Edoardo di<br />

anni 65» venendo così ad anticipare di un anno la data di nascita.<br />

2 Nel Libro delle Gabelle del Migliore (Cod. Magl., Classe XXVI-143 della Bibl.<br />

Naz. di Firenze) al 1396: «Marina ux. oL Lodovici Adovardi de Acciaiuolis et fili q. Iohis<br />

Dom. De Arzayo de Mediolano ».<br />

3 Lib. cit.: «Marina q. Frane. de L de Mediolano ux q. Ludovici Adovardi de Ac·<br />

ciaiuoli - Adovaro e Albizzi figli eredi ».<br />

4 Arch. Fiorentino, Carte della Certosa di Firenze.<br />

- 117-


Agnolo che emigrò in Napoli forse a portarvi l'arte dei suoi avi, Lodovico,<br />

che seguì il padre negli affari -fiorentini ed occupò uffici importanti<br />

politici militari, Maria, andata in isposa a Bernardo di Francesco Cavalcanti,<br />

e Caterina della quale non abbiamo trovata traccia s. Una notizia<br />

catastale ci fa credere che la posizione -finanziaria di Edoardo fu abbastanza<br />

florida, avendo egli dato in doto alla figlia Maria ottocento<br />

fiorini 6, e gli immobili descritti nel Catasto del 1427, cioè oase e fondachi<br />

in Borgo SS. Apostoli, poderi a S. Felice a Ema, e una parte dei<br />

possessi Ubaldini venuti a lui per eredità da parte di Eugenia Ubaldini<br />

sua zia paterna 7.<br />

Iscritto all'arte dei Mercatanti di Calimala 8 egli prese parte attivissima<br />

alla vita politica fiorentina, ottenendo le maggiori cariche. Fu infatti<br />

due volte dei Priori, per il Gonfalone della Vipera del Quartiere di<br />

S. Maria Novella, nel gennaio 1412 e nel maggio 1425 9 (anno in cui<br />

scrisse la Cronaca e la Laude), Gonfaloniere di Giustizia nel 1434 e<br />

1437, Gonfaloniere di Compagnia nel 1424, 1425, 1427 e quindi nel<br />

1434 e 1436 avendo a compagno l'amico e ammiratore Matteo Palmieri;<br />

non solo ebbe a coprire cariche onorifiche, ma prese parte ad uffici per i<br />

quali occorreva una certa attitudine scientifica, politica e sociale, riuscendo<br />

eletto tra gli Otto di Balìa per la riforma dell'Ufficio dei Capitani di<br />

Parte Guelfa; collaborando attivissimamente con i Dieci di Libertà (7<br />

aprile 1413) e i Dodici (12 giugno 1418-15 dicembre 1429): fu due volte<br />

tra i « Consules Maris » {settembre 1435-8 marzo 1442), come pure tre<br />

volte tra gli «Otto di Custodia» (giugno 1417-marzo 1426, marzo<br />

1440), per essere poi via via eletto tra gli « Approbatores Statutorum »<br />

per l'arte di Calimala (1423-1444), tra i « Regolatori » (1415), i « Salis<br />

Magistri » (1424-1432: rinuncia in quest'anno perché inviato Provveditore<br />

delle Gabelle, in Arezzo), « Pupillorum Officiales » (1436: che<br />

lascia perché eletto Gonfaloniere) e insomma in quasi tutte le cariche del<br />

tempo. Per le Cariche Estrinseche, noi troviamo l'Acciaiuoli tra le più<br />

importanti: Podestà di Barga (1413), di Castiglion Fiorentino (1438),<br />

di Modigliana ( 1446) lO; Vicario di Lari in Val del Sere (1423), del Val-<br />

5 Catasto Quartiere Santa Maria Novella, Vipera, 1427; Arch. Fiorentino.<br />

6 Idem.<br />

7 Idem.<br />

8 Registro delle Tratte Intrinseche, degli anni 1426-56; Arch. Fiorentino.<br />

9 Arch. Fiorentino: Priorista di Palazzo.<br />

Per le varie cariche ed uffici ci siamo serviti dei Registri delle Tratte Intrinseci ed<br />

Estrinseci, e dei Registri dei Signori e dei Collegi, esistenti presso l'Archivio di Stato<br />

di Firenze.<br />

lO In un codice della Bibl. Marucelliana di Firenze (A. [CXXIX (M). 5] è erroneamente<br />

segnata la data del 1440, dovuta alla cattiva lettura del Registro delle Tratte Estrinseche,<br />

nel quale si legge 1446.<br />

- 118-


darno inferiore (1431), della Valle del Serchio (1434); Capitano di Castrocaro<br />

(1418: e di nuovo eletto nel 1440, rinunciando, questa seconda<br />

volta, come si rileva dal Registro delle Cariche Estrinseche dell'Archivio<br />

Fiorentino, per mezzo del Consiglio, e 1444) e due volte ancora in<br />

Pistoia! ( 1422-1436), per citare solo le maggiori anche tra queste 11.<br />

Prove di stima e di devozione verso Edoardo ne troviamo in quantità<br />

citate nei documenti dell'epoca, che abbiamo potuto consultare:<br />

l'arte dei Mercadanti, invitata a prendere parte ai festeggiamenti per la<br />

festa di S. Nicolò, nel 1429, durante la quale venne offerto l'anello per<br />

la statua del Santo, delega Edoardo e Antonio Segnini 12 a rappresentare i<br />

Consoli; il testamento del Card. Angelo Acciaiuoli, l'eredità Ubaldini,<br />

sono una prova dell'affetto che i famigliari ebbero verso di lui, come si<br />

nota nel documento che abbi-amo visto nelle Carte diplomatiche della<br />

Certosa del Galluzzo 13 in una pergamena del 25 agosto 1421, di Lorenzo<br />

Acciaiuoli 14 con la quale il «nobilis viri Adohardi de Axaiolis»<br />

viene, unitamente al Priore della Certosa, Fra Nicolò da Cortona, nominato<br />

procuratore dei beni per gli affari che Lorenzo aveva in Firenze.<br />

Prova pubblica del 1416, redatto « in Civitate Florentiae in Palatio Populi<br />

FIorentini Civitatis Florentiae » nel quale Edoardo, con Nofrio di<br />

Palla Strozzi, Vieri Guadagni, Francesco di Donato Acciaiuoli, e Nicola<br />

di Vieri de Medici, è chiamato a comporre la vertenza sorta tra i fratelli<br />

Iacopo e Neri di Donato Acciaiuoli per la divisione di una eredità 15.<br />

Della famiglia di Niccolò fondatore della Certosa Edoardo, soleva,<br />

come del resto molti degli altri illustri uomini del Rinascimento (vedi<br />

DELLA TORRE, Storia dell'Accademia Platonica), ritirarsi nella settimana<br />

santa alla Certosa del Galluzzo onde prepararsi alla solennità Pasquale<br />

con devote meditazioni. Il Della Torre nell'opera citata ci fa conoscere<br />

11 D. A. CIPRIANI, nel Governo della Rep. Fiorentina, Mss. della Bibl. Marucelliana<br />

di Firenze (Cod. Cart. in-f. sec. XVII, di pagine 146), scrive: «Gli uffizi per fuori della<br />

città di stima in quei tempi antichi erano i seguenti cioè: Il Vicariato dell'Alpi, il Vicariato<br />

di Podere, il Capitanato di Colle Val d'Elsa, la Podesteria di Barga, di S. Miniato,<br />

di Modigliana e di Lucignano; perché tali cariche furono riservate solamente a quelli dell'arte<br />

maggiori »; ma qualche anno dopo il 1400 la nota degli Uffici per fuori della città<br />

fu fatta nel seguente modo, cioè: «i principali e maggiori erano il Capitano di Pisa,<br />

Capitano d'Arezzo, Capitano di Pistoia e Capitano di Volterra; essi erano signori di quelle<br />

terre per sei mesi et avevano grande autorità, e Balla per la guardia di quei luoghi di ragione<br />

e di fatto ». ,<br />

12 Bibl. Maruc. di Firenze - Cod. A 199, dal Quaderno di Ric. dell'Arte dei Mercadanti,<br />

lego I dal 1429 al 1437 - « Per adornare il dito di S. Nicola di S. Maria Novella<br />

per la cappella degli Acciaiuoli deliberano i consoli che con Adovardo Acciaiuoli fosse<br />

Antonio Segnini ».<br />

13 Arch. Fiorentino, Carte dipl. Certosa di Firenze, 25 agosto 1421.<br />

14 Carte del Convento della Certosa di Firenze; Arch. Fiorentino.<br />

15 Pronipote di Niccolò Acciaiuoli fondatore della Certosa fiorentina e cugino di<br />

Angelo e Donato eminenti personaggi della nobile Casa.<br />

- 119-


una di queste spirituali riunioni alla quale oltre Eduardo Acciaiuoli (che<br />

sembrauno dei più assidui) troviamo Angelo Acciaiuoli, Giannozzo Manetti<br />

e Gherardino ambasciatore del Marchese di Ferrara. Giannozzo<br />

Manetti colpito dalla morte del figliuolo, non aveva trovato altro<br />

rimedio all'umano dolore che il ritirarsi per un po' di giorni alla Certosa<br />

in compagnia di sì illustri personaggi. In una delle diuturne salutari discussioni,<br />

Angelo Acciaiuoli e il Manetti trattarono del dolore e non<br />

trovando una soluzione concordante pensarono di rivolgersi ai più distinti<br />

e còlti della brigata, prescegliendo Edoardo e l'ambasciatore.<br />

Sebbene anch'essi non risolvessero la questione, perché la demandarono<br />

al Priore della Certosa, non dobbiamo credere che ciò sia avvenuto<br />

per incapacità, ma forse per un rispetto in cosa teologica e morale al sacerdote,<br />

ministro della verità.<br />

Anche Matteo Palmieri, nella Prefazione alla vita di Niccolò degli<br />

Acciaiuoli, ha parole riguardose per Edoardo 16, che ha avuto compagno<br />

tra i Gonfaloni di Compagnia, e oltre che parlare della bontà e pietà<br />

di lui, dà anche la certezza che la Cronica siciliana sia opera di Edoardo,<br />

perché questi continuamente, come dice lo stesso Palmieri, parlava a lui<br />

della sua famiglia: «Questo (Edoardo) nel raccontarmi i detti e i fatti<br />

degli uomini illustri mi lodava spesse volte Niccolò Acciaiuoli, come persona<br />

nella famiglia sua, e Cittadino di grandissimo valore ». «Fu dunque<br />

Edoardo l'ispiratore della vita del fondatore della Certosa ». L'amore<br />

alla sua casa, che « non pure in Firenze» era grande ed onorata, ma<br />

aveva « ancora in Cicilia » portata la fama dovuta ad opere illustri, lo<br />

spinse a scrivere la Cronica, e, forse a riposo dell'anima, volle contemporaneamente<br />

scrivere un'ode alla, Vergine Annunziata della quale Firenze<br />

in ogni tempo fu devotissima.<br />

Due lettere ad Averardo de Medici, cugino di Cosimo il Vecchio,<br />

Commissario generale al Campo, ci presentano Edoardo uomo di fine<br />

tatto politico militare, spirito arguto e pronto. Vicario Commissario a<br />

S. Miniato, come egli stesso si firma nella sua lettera 14 settembre 1431,<br />

inviando forse munizioni di guerra, adopera un simpatico frasario che si<br />

legge ancor oggi con piacere, così pure nella lettera 24 luglio 1431, lo si<br />

16 li LITTA nelle Famiglie illustri italiane, dà un giudizio tolto da Giovanni Cavalcanti<br />

(Istorie fiorentine, Firenze, all'insegna di Dante, 1839), inesatto, I confondendo<br />

Edoardo con Dardano attribuendo a lui fatti poco onesti. Ma a confutare e -a provare tale<br />

inesattezza sono le affermazioni di Matteo Palmieri che nella Prefazione alla Vita di Niccolò<br />

Acciaiuoli scrive: «avvenne che io fui dei gonfaloni di compagnia con Adovardo<br />

Acciaiuoli, della cui persona osavo io di dire, che la degnità dei sedici gonfaloni fu grandissimamente<br />

accresciuta. Fatta dunque tra noi insieme colla Repubblica in cotai Magistrato<br />

una dolcissima compagnia, usava di poi molto spesso con tale huorno, e praticando<br />

di continuo con giocondissima conversazione seco l'honorava come padre »,<br />

- 120-


può conoscere tra i Consiglieri di Cosimo il Vecchio, e incitatore ai giovani<br />

di arruolarsi per la guerra 17.<br />

Preso dall'attività politico-militare, forse non ebbe il tempo di dedicarsi<br />

agli studi, verso i quali si sentiva inclinato: il poco che di lui<br />

è giunto sino a noi ci può dare un'esatta idea della cultura e dell'amore<br />

allo studio umanistico di Edoardo.<br />

Il codice che contiene la laude, oggetto del presente studio, ha pure<br />

di mano dell'Acciaiuoli una trascrizione del Libro degli Ammaestramenti,<br />

recato a certo ordine per messere Bono Giamboni » (c. 1-32) alcuni « fiori<br />

cavati dalla rectorica di Tulio del primo libro» (c. 32-37); il « Volgarizzamento<br />

dell'oraz. di Cicerone per Ligario» che è preceduto da<br />

un'epistola di Brunetto Latini volgarizzatore «al suo amico caro et<br />

verace messer Manetto » (c. 37-43); dopo tre fogli di carattere corrente,<br />

non calligrafico come il resto del codice, «Orazione per Marco Marcello,<br />

volgarizzata da Brunetto Latini» vi è la Cronaca del Regno di<br />

Sicilia, opera questa composta dall'Acciaiuoli, come abbiamo visto, per<br />

far risaltare l'attività della sua famiglia nelle cose siciliane; Cronaca che<br />

17 Arch. Fiorentino, Md. a. p. filza III 355 la prima lettera; Md. a. p. filza IV 192<br />

per la seconda.<br />

Riportiamo per intiero le due lettere che meritano di essere conosciute, sia per la<br />

forma arguta e spiritosa, come pure come contributo alla storia dell'attività politico-militare<br />

non solo di Edoardo Acciaiuoli, ma anche di Averardo de' Medici, uno dei personaggi<br />

illustri della nobile Casa principesca, e ausilio valido a Cosimo il Vecchio che ebbe<br />

per lui stima e fiducia.<br />

«Adouardo Acciaiaoli a Medici Aucrardo Commissario al Campo presso il Trebbio.<br />

«Onorevole maggiore ecc. lo tenni certi ragionamenti in onore di Cosme con Francesco<br />

di Rinieri da San Casciano e con Francesco di Curaduccio da Vivaia, e fui cagione<br />

insieme con ser Filippo di Ser Ugolino Pieruzzi che Cosmo dei Medici e alcuni suoi compagni<br />

desseloro buona licenzia per dare essecuzione a quanto per non s'era praticato.<br />

Comprendo chiaro che quelle tali cose non anno auto esecuzione per loro perche non<br />

anno potuto; ora io sento chiaro che delle mani vostre la terre (sic) non può fuggire e<br />

questo fie imbrieve. Vorrei preghare che quando questo avverrà vi siena raccomandati i<br />

sopradetti Francesco da San Casciano e Francesco da Vivaia e due che colloro erano famigli<br />

paesani di cotesti luoghi e teneteli a ciò che adagio voi siate chiaro di quello vi scrivo e<br />

di questo vi gravo quanto più posso. Iddio per sua gratia vi conceda vittoria presta di<br />

tutto cotesto paese, apparecchiato a vostri comandi sempre.<br />

« In Firenze ad XXIV di luglio [1431] per Adovardo di Lodovico Acciaiuoli ».<br />

«Adouardo Acciaiuoli, Vicario e Commissario a S. Miniato ad Auerardo de Medici<br />

Civ. Florenl. Comm. Generalis. (14 settembre 1431).<br />

«Hqnorande maior fratr. perché io sono certo cbe voi siete male fornito a pesche<br />

excepto che di quelle da Settignano pero tenemando a1chune di quelle si ricolgono qua e<br />

di quelle da Settigniano ti priegho ne sie cortese a quegli di Calci che sono giente che<br />

meritano tale fructi, ricordanti che le pomeruzzolle de le pesche da Settigniano come tu sai<br />

sono di briccolla e di lombarda [due macchine da guerra antiche], so che piaccerà si<br />

loro il fructo che serveranno il nocciolo al coperto. Non ti presento vino di qua perche anne<br />

delargente e vietelalo (sic) la berovaria [i' gendarmi] per le maschere di Marti e di Palaga,<br />

le tortore anno bando del mio vicariato. E per questa cagione non posso fare mio<br />

debito in verso di te. Raccomandomi a chotesto victorioso e magnifico Capitano. Sono<br />

sempre a tuoi piacceri, in S. Miniato ad XIII di settembre 1431.<br />

- 121-


presenta elementi interessantissimi per la storia della Sicilia nei secoli<br />

XIII, XIV e XV.<br />

Poco, è vero, ma quanto può bastare per far risaltare con quanto<br />

amore, nel tempo libero dal commercio e dalla vita politica, egli seguisse<br />

lo svilupparsi degli studi umanistici.<br />

La morte lo colse mentre era Operaio del Monastero delle Convertite.<br />

Il 24 luglio 1450, una paralisi lo strappava alla patria e alla famiglia<br />

18. Dal palazzo in Borgo SS. Apostoli, nel quale aveva trascorsa la<br />

sua operosa vita, fu trasportato in S. Croce ove egli stesso, nel 1440,<br />

aveva stabilita la sepoltura famigliare 19.<br />

Oltre agli scritti suaccennati non conosciamo altro dell'Acciaiuoli 20<br />

per poter con sicurezza affermare la paternità della Laude, ma la supposizione<br />

può essere accettata se raccogliendo dati venuti sino a noi, dobbiamo<br />

ritenere Edoardo non solo colto, ma bensì pio. La Laude che trascriviamo<br />

è tutta ispirata a pietà e devozione filiale verso la Vergine,<br />

non disgiunte da una profonda conoscenza teologica, che sappiamo comune<br />

a moltissimi uomini illustri del Rinascimento. La « Laude » merita<br />

di essere conosciuta perché ci addentra nello spirito di sana religiosità<br />

di cui furono ricchi i nostri antichi padri, e a salvare dalla tinta di papaganesimo<br />

che si è voluto dare al Rinascimento, come gratuito titolo da<br />

cultori superficiali.<br />

Il Rinascimento è stato fucina di uomini che seppero riconciliarsi<br />

con sé medesimi e volgersi a Dio per nuove strade (GIOVANNI PAPINI,<br />

Pensieri sul Rinascimento, in Rinascita, I-II, gennaio-aprile 1938). L'accostarsi<br />

a Dio è un bisogno degli uomini della Rinascita; ed è per questo<br />

che non può essere respinta la supposizione che l'Acciaiuoli, polirico,<br />

militante nella vita sociale del suo tempo, ritirato nella solitudine<br />

della Certosa si sia sentito ispirato a scrivere questa Laude all' Annunziata<br />

(se pensiamo anche che la festa dell' Annunciazione cade nel periodo<br />

quaresimale e moltissime volte nella settimana santa o di passione,<br />

periodo nel quale I'Acciaiuoli si ritirava nel silenzio del monastero).<br />

18 Arch. Fiorentino, Libro dei Morti di Firenze: Medici e Speziali, 244: «24 luglio<br />

1450: Adovardo Acciaiuoli del popolo di S. Apostoli riposto in S. Croce, di gocciola»<br />

(paralisi).<br />

19 «Una sepoltura senza lapida con chiusino di pietre nel mezzo delle due colonne<br />

che sono dinanzi alla Cappella del Biffoli fra le sepolture de' Benvenuti et Barberino.<br />

Al lib," quale fu creato l'anno 1440 dice d'Adovardo di Lodovico Acciaiuoli »: (Fra Raffaele<br />

Fonte - Francescano - Estratto di tutte le Cappelle e sepolture che l'anno 1439 si<br />

trovavano nella chiesa di S. Croce in Firenze), Cart. in-4°, sec. XVI. di C. 288, Bibl.<br />

Marucelliana di Firenze.<br />

20 Il codice passò alla Pubblica Libreria Magliabechiana nel 1786, proveniendo dal<br />

Fondo Palatino dei Medici Lorena.<br />

- 122-


Comunque la bella Laude alla Vergine, oltre un saggio letterario,<br />

è lo sfogo di un'anima che ama.<br />

Il manoscritto è in carattere gotico e in scrittura nera con titoli in<br />

rosso, legato con altri in asse e mezza pelle di provenienza Strozzi<br />

nn. 1404,231 e 215 dei mss. in-fol.) 21.<br />

LAUDE DELLA BEATA VERGINE MARIA DELL'ANNUNZIATA<br />

Dal ciel mandato a salutar Maria 22<br />

fu lagnol gabriel chaddio servia 23.<br />

La vergine ripiena dumiltare<br />

et di virtù più chaltra creatura<br />

addio servando sua verginitate<br />

si dimorava honesta casta et pura 24<br />

et stando si langelica natura 25<br />

ispesse volte allei servir venia.<br />

Quando fuI tempo di redenzione 26<br />

langnol discese allei in forma humana<br />

et salutolla con devozione<br />

dun a salute si dolce et sovrana<br />

ella temendo come cosa strana<br />

tacente stando quasi nesmarria. 27 •<br />

Da poi che fu dallagnol confortata 28<br />

la vergine pulzella imantanente<br />

21 Citiamo alcune lezioni di altri codici che hanno delle varianti, per dimostrare come<br />

tutte le laudi hanno origine dalla nostra, essendo le varianti solo a carattere grammaticale<br />

e non sostanziale:<br />

22 Cod. Mare.: Dal cielo mandato assalvatore maria<br />

» Vat.: Dacciel mandasti assalutar maria<br />

» Magl. II-VII-4: Dacciel mandato asalutar maria<br />

» Magl, II-IX-58: Dal cielvenuto a salutar maria.<br />

23 Cod. Mare.: fu langelo gabriello chaddio servia<br />

» Vat.: fu langel gabbriel caddio servla<br />

» Magl. II-VII-4: fu langiolo gabriello cheddio servìa<br />

» MagI. II-IX-58: fu l'angiolo ghabriel chadio servìa.<br />

24 Cod. Vat. manca « si ».<br />

25 Cod. Mare. invece di « natura» «innamorata» e al Magi. II-VII-4 «criatura ».<br />

26 Magl. II-IX-58 «fu tempo »; Magl. II-VII-4: «fu il tempo ».<br />

27 Cod. Mare.: tacita stava e quasi losmariva<br />

» Vat.: tacita stando quasi nesmarria<br />

» Magl. II-VII-4: (taci) taciendo et quasi nesmarzia<br />

» Magl. II-IX-58: tacita stava et quaxi lo smarriva.<br />

28 Al Mare. e al Magl. II-IX-58 al posto di «confortata» vi è «salutata » e al MagI.<br />

II-VII-4 «Ma» invece di «Da ».<br />

- 123-


dallo spirito santo ammaestrata<br />

silli rispose humile et reverente 29<br />

eccho lancilla diddio ubbidente 30<br />

come tu ai parlato cosi sia 31<br />

Homette accettato la donzella 32<br />

ripiena fu dello spirito santo<br />

e in gravido rimanendo pulzella<br />

del filgluol diddio vivo comi canto 33<br />

et di lei prese carne tutto quanto<br />

com altra creatura chessi cria.<br />

Rimasa piena la vergine santa 34<br />

la sua cognata volle visitare<br />

sicome la scrittura dice et canta<br />

santisabetta nel suo salutare<br />

nel ventre suo sentì inginocchiare<br />

santo giovanni et adorar maria 35.<br />

Compiuti nove mesi naturali<br />

si partori la vergine gioiosa 36<br />

nel freddo tempo fra due animali<br />

lo dolce filglo, et ella gloriosa<br />

vergine si rimase et madre sposa<br />

di Gesù Cristo et cosi sempre sia.<br />

Glangeli santi venuti da cielo<br />

con dolce melodie quivi cantaro<br />

et li pastori pien del santo zelo<br />

sicome gli angeli gli annunziaro 37<br />

ivi piatosamente ladoraro 38<br />

ma in prima ladoro la madre pia.<br />

29 Cod. Mare.: rispuose humilmente e reverente<br />

» Vat.: rispose humil nel viso reverente<br />

» Magl. II-VII-4: rispose humile et nelviso reverente<br />

» MagI. II-lX-58: rispuose umil nelviso reverente.<br />

30 Cod. Vat.: « Omnìpotente » al posto di «ubbidiente ».<br />

31 A questo verso terminano le lezioni del Cod. Marc., Magl. II-lX-58, Chigh. VII-266<br />

(una) e Ricc. 2929 (una). Alla lezione del Magl. II-VII-4 manca tutta la sestina che segue.<br />

32 Cod. Vat.: Doppo chebbe accectata la donzella.<br />

33 Cod. Vat.: del figluol diddio de santi santo.<br />

34 Cod. Vat.: leggesi «pregna» invece di «piena ».<br />

35 Cod. Vat.: lo suo figluol et adorar maria<br />

» MagI. II-VII-4: losu figiuol eadorar maria.<br />

36 Cod. Vat.: «pietosa ».<br />

37 Cod. Vat.: comera nato allora annuntiaro<br />

» Magl, II-VII-4: chomo gli angioli alloro annunçiaron.<br />

38 Cod. Vat.: et quei piatosamente ladoraro.<br />

- 124-


Lottavo giorno poiché fu venuto<br />

la verginel suo filgluol circoncise 39<br />

lo nome che dinnanzi aveva creduto<br />

gesu glimpose come allui promise<br />

questo giammai dallei non si divise 40<br />

ora per noi allui virgo maria 41.<br />

In oriente la stella apparita 42<br />

tredici di dopol parto passati 43<br />

li santi magi con fede chiarita 44<br />

sendo solo dalla stella guidati 45<br />

giunsono alluogo e ivi dismontaro<br />

silladoraro et ciascun glofIeria.<br />

O vergine maria che partoristi<br />

lo nostro redentore et lui lattasti<br />

dopo quaranta di che tu venisti 46<br />

con lui al tempio ivi la presentasti 47<br />

come tu sola più chaltri lamasti<br />

pregal per noi che salute ci dia. Amen 48.<br />

Il Tenneroni nei suoi lnizii di antiche poesie italiane religiose e<br />

morali (Firenze, Olschki, 1909), cita solo la lettura dei Cod. « Vaticano<br />

Ottoboniano » e « Marciano »; il Frati nell'articolo « Giunte agli Inizii<br />

di antiche poesie ecc. del Tenneroni» (Archivum Romanicum, 1918)<br />

aggiunge le seguenti lezioni: Chigiano LVII-266, c. 38, c. 185 (Roma,<br />

Vat.); MagI. II VII-4 1008, c. 1P (Firenze, Bibl. Naz.); Ricc. 1119,<br />

c. 185 v ; Ricc. 2929, c. 30 v (Firenze, Laur.); Bib. Un. Bologna 4019,<br />

c. 93 V • Nello schedario ms. di Mgr. Giuseppe Galli di Milano ci sono<br />

oltre le suaccennate, due altre Riccardiane (2870; 3687): una ai Conv.<br />

soppressi (Bibl. Naz. Fir. g. 7. 609) e una alla Comunale di Verona<br />

(651-653). Nessuno cita la nostra. È da notarsi che mentre tutti i codici<br />

39 Cod. Vat.: la dolce madrel figluol circoncise.<br />

40 Cod. Vat.: et questo ma danno(i) non si divise.<br />

41 Cod. Vat.: ora per noi chessalute ci dia.<br />

42 Cod. Vat. nell'Oriente si apparve la stella.<br />

43 Mogl. II-VII-4: «tre dì »,<br />

44 Cod. Vat.: « fede bella ».<br />

45 Cod. Vat.: sol dalla stella siffuron guidati.<br />

46 Magl. II-VII-4: edoppo e quaranta di coUui venisti.<br />

47 Magl. II-VII-4: alternpio asimeone lo presentasti.<br />

48 Cod. Vt.: facci far venia per tua cortesia.<br />

- 125-


nominati sono laudari, la nostra e la veronese sono in codici vari. (La veronese<br />

è in una raccolta di trattati ascetici, con varie laudi).<br />

La Laude del codice Strozziano come abbiamo visto in principio<br />

del nostro studio, porta la data del 1425, risultando così la prima volta<br />

che appare scritta, dato che tutti gli altri codici sono posteriori; il codice<br />

Marciano porta la data del 25 maggio 1455 49 : l'Ottoboniano Vaticano<br />

è della metà del XV secolo; il Chigiano è tra il 1448 e il 1464 50;<br />

gli altri sono tutti della metà e della fine del XV secolo.<br />

L'essere prima in ordine di data, non vuol certo provare che essa<br />

sia dell'Acciaiuoli, ma certamente anche l'elemento cronologico non è<br />

trascurabile: come è importante domandarsi se è ancora inedita, a<br />

quanto risulta a noi, dopo ricerche accurate e minuziose, è questa la<br />

prima volta che essa passa sotto i torchi.<br />

È vero che il Frati, nel suo studio, la dà per edita in una raccolta<br />

di Anselmo Giaccarello 51 ma noi per quanto abbiamo cercato e consultato<br />

non siamo riusciti a confrontare l'edizione citata. Vien fatto di<br />

chiedersi se il Frati ha data la notizia attraverso le sue schede personali,<br />

o se si è fidato delle Carte Bellincioni. Vogliamo su questo aggiungere<br />

due parole che chiariranno almeno a nostro parere, l'errore, nel quale<br />

è incorso il Frati. Egli in una nota del suo lavoro 52 si appella al Crescimbeni<br />

e al Quadrio a sostegno dell'edizione l'uno come l'altro però,<br />

menzionano un'edizione del Giaccarello 53 che non ·corrisponde a quella<br />

voluta dal Frati. Abbiamo vista l'edizione 1551 del Giaccarello, esistente<br />

nella Biblioteca Centrale di Firenze, la quale non solo non contiene la<br />

nostra laude, ma non concorda nemmeno col titolo.<br />

Ci fa meraviglia come l'edizione citata sia sfuggita al Fontanini e<br />

al Sorbelli, che anch'essi parlano dell'edizione della Nazionale 54. S. Mor-<br />

49 È un laudario offerto, alla Compagnia di S. Zanobi di Firenze, da nove confratelli,<br />

il 26 maggio 1455 (notizia dovuta alla cortesia del dotto Zorzanello della Marciana).<br />

50 Copiato in grandissima pane da Lorenzo Benci che ha scritto il suo nome ai H. 241"<br />

255 v , 270 v , 288 v 299 v c per quattro volte ha segnata la data 1448, 1455, 1456, 1464<br />

(descrizione favoritami dalla dott.ssa L. Banti della Vaticana).<br />

51 «A laude e gloria I del onnipotente I Iddio e della gloriosa Vergi I ne Maria incomincia<br />

il li I bro delle laude di Jesù Christo e della Ma I donna e di diversi I santi e<br />

sante. In Bologna, per Anselmo Giaccarello, 1551, a di 12 Marzo, 4°, C. 50 »,<br />

52 La nota dice: «Cfr. Crescimbeni (III, 239) e Quadrio (T. II, P. I, p. 355). A p.<br />

131 e sg. si leggono ventisei laudi sotto il nome di S. Lorenzo Giustiniani, la ventunesima è<br />

di Lorenzo de Medici, e la ventiduesima, ventitreesima, ventiquattresima e venticinquesima<br />

sono del Castellano Castellani. Ristampato a Bologna nel 1580 ».<br />

53 Il Crescimbeni e il Quadrio dànno alle pagine citate un'edizione di rime del Giaccarello,<br />

ma non quella nominata dal FRATI: Libro Quarto delle Rime di diversi eccellentiss.<br />

Autori nella lingua volgare, nuovamente raccolte. In Bologna, presso Anselmo Giaccarello,<br />

1551 (alli X di Genaro MDLI, Rercol Bottigaro).<br />

54 FONTANINI, Biblioteca dell'Eloquenza italiana, T. II, p. 71; SORBELLI A., Storia<br />

della Stampa in Bologna (Zanichelli, 1929), p. 102.<br />

- 126-


purgo 55 dice espressamente inedita la nostra laude; né la troviamo ricordata<br />

da Giulio Gnaccarini: Indice delle antiche Rime volgari a stampa<br />

che fanno parte della Biblioteca Carducciana (Bologna, 1909). Così la<br />

bella Laude alla Vergine, nascosta per cinquecento anni tra le pagine di<br />

interessanti codici, oggi viene a portare un piccolo contributo alla dimostrazione<br />

di religiosità della Rinascita, e a ricordare agli studiosi dell'aurea<br />

età, che sistono nascoste, quali umili viole profumate, laudi<br />

maravigliose.<br />

PAOLO CHERUBELLI<br />

5S Ministero della Pubblica Istruzione, «Indici e Cataloghi », XV: I Manoscritti<br />

della R. Biblioteca Riccardiana di Firenze (Roma, 1893), «Laudi Sacre» (187a, 248b 299b,<br />

302b). Tutte adesp. e anepigr.: sono ballate quelle cui non si aggiunge altra indicazione.<br />

Il n. 32 è il notissimo «Credo» di Dante; i nn. l, 6, 12, 17, 25, si attribuiscono a<br />

Iacopone da Todi; i nn. lO, 23, 46, 48 al Bianco Ingesuaro; i nn. 4, 7-9, 13-16, 24, 26, 41,<br />

si trovano a stampa nelle antiche raccolte fiorentine di laudi spirituali riprodotte dal<br />

Galletti (Firenze, 1863). Nella c. 187 mutila di più d'una metà, è un resto dell'indice dei<br />

capoversi, a cominciare dal n. 38; e se ne può ricavare che il codice doveva avere più di<br />

126 carte.<br />

La nostra laude è segnata n. 3, cioè tra quelle inedite: «3 Da cciel mandato a ssalutar<br />

Maria» (190b), (p. 149).<br />

- 127-


Sollecitudine di un Papa per i monaci<br />

Certosini di Roma<br />

Clemente XIV ebbe relazioni più che paterne con i certosini della Certosa<br />

di Santa Maria degli Angeli a Roma. Le due lettere indirizzate al Priore<br />

di questa Certosa dimostrano da una parte l'umanità e la prudenza del papa<br />

Ganganelli, che conosce gli uomini e le difficoltà in cui possono uenirsi a trovare,<br />

anche se professi di un ordine religioso di così stretta osservanza come<br />

il Certosino, e dà consigli al Superiore perché possa veramente essere il<br />

padre della sua comunità; e la carità squisita di questo papa che non si interessa<br />

solo dei grandi problemi, ma sa comprendere anche le piccole necessità<br />

dei suoi figli e intercede presso il Priore perché anche lui comprenda e conceda<br />

ai suoi figli di fare il sonnellino pomeridiano, così in uso a Roma, ma del<br />

tutto contrario agli usi austeri della Certosa. (N. d. R.)<br />

1. A D. GAILLARD - PRIORE DELLA CERTOSA DI ROMA<br />

Giacché ella mi apre tutto il suo cuore circa le cose che seguono<br />

in Certosa, in codesta comunità, le aprirò anch'io il mio con la medesima<br />

candidezza: Le dirò che sarebbe desiderabile moltissimo in un<br />

ordine tanto rigido come il suo, che i superiori fossero più comunicativi;<br />

che non lasciassero passare una settimana senza far visita ai loro<br />

religiosi; che s'insinuassero amichevolmente nel loro spirito; e che<br />

per mezzo di salutari consigli e di un dolce incoraggiamento gli aiutassero<br />

a sopportare il giogo della solitudine. Il regno di Gesù Cristo non è un<br />

regno di dispotismo, e far degli schiavi è cosa tanto contraria alla religione<br />

quanto all'umanità. Chi ha fatto voto di ubbidire ai suoi superiori,<br />

non ha inteso già d'obbligarsi a rispettare i capricci di essi. Si crede<br />

comunemente che il posto di superiore sia un posto di autorità che<br />

consista nel comandare e nel vedere i religiosi tremanti ai suoi piedi laddove<br />

un capo di una comunità è un uomo che deve essere tutto a tutti:<br />

studiandone i diversi caratteri, penetrandone il vero spirito e arrivando<br />

persino a conoscere quello che può nuocere ad uno ed essere utile ad un<br />

altro e quel tanto che può adempiere ciascuno in particolare. Vi sarà<br />

alcun religioso che non sente il bisogno di parlare perché taciturno<br />

per sua natura; un altro si sentirà uccidere da un perpetuo silenzio<br />

perché è amante della conversazione e ID tal caso il superiore deve<br />

- 128


usare differenti maniere nella sua condotta, scusando quello più facilmente<br />

di un altro per aver commesso qualche mancanza di regola.<br />

Nessun ordine religioso può avere uno spirito diverso da quello<br />

di Gesù Cristo che sempre mansueto ed umile di cuore trattò tutti i<br />

suoi discepoli come suoi fratelli ed amici, chiamandosi loro servo e<br />

facendone proprie le funzioni. La Regola sarebbe una matrigna se punisse<br />

senza pietà tutti coloro che per una vivacità troppo grande o<br />

per una eccessiva lentezza si facessero rei di qualche omissione. Vi<br />

sono certi religiosi che hanno bisogno di essere visitati più spesso<br />

dai superiori, perché si sentono più spesso tentati e trovano il ritiro<br />

molto più difficile a sopportarsi. Un superiore dunque che non abbia<br />

questo spirito di penetrazione e di discernimento potrà chiamarsi una<br />

statua, ed il suo governo farà pietà. Non avrà che una sola maniera di<br />

dirigere, quando vi abbisognano quasi altrettanto direzioni diverse<br />

quante sono quelle persone che debbonsi regolare. Vi sarà uno che retrocederà<br />

nella via della salute, se si pensa di fargli delle forti riprensioni;<br />

un altro al contrario si avanzerà nella medesima a passi di gigante<br />

se si procura di non passargliene neppure una.<br />

L'Ordine dei Certosini merita ogni venerazione possibile per non<br />

avere avuto bisogno in otto secoli ch'egli esiste né di mutazione, né<br />

di riforma, ma per altro bisogna che io le confessi che mi è sempre<br />

parso che i priori abbiano un'aria troppo cupa e troppo severa e che<br />

nell'andare così soli al Capitolo Generale si facciano da per loro<br />

giudici. Per quella stessa ragione che essi possono sovente ricevere<br />

visite, che hanno tutta la libertà di scrivere e di uscir fuori, non conviene<br />

a loro di molestare un povero religioso per essergli scappato di<br />

. bocca qualche parola alla sfuggita. Se si vuole punire ogni cosa e nulla<br />

dissimulare si diventa un inquisitore della propria causa. Tanto nelle<br />

comunità come nelle private famiglie accadono certe piccole alterazioni<br />

le quali non avrebbero sussistenza veruna se il superiore non ne facesse<br />

alcun conto.<br />

Faccia dunque le sue visite ai suoi confrati amichevolmente senza<br />

mai discorrere sulle cose passate e vedrà che i medesimi si vergogneranno<br />

dei loro mancamenti. Non c'è cosa tanto pericolosa per quelle<br />

persone che si trovano in qualche posto, quanto il non voler mai convenire<br />

di essersi ingannato. Cerchi anche di rimediare nella propria casa<br />

ai difetti e mancanze dei suoi religiosi, senza renderne inteso il suo<br />

generale; imperocché facendosi delatore s'irritano moltissimo le persone<br />

e si'dà sgraziatamente a conoscere di aver poco talento per governare.<br />

Tale è la maniera mia di pensare. Se m'inganno ella mi farà piacere<br />

a provarmelo e se le ragioni saranno buone mi arrenderò perché<br />

- 129-


non sono mai in favor mio né prevenuto né ostinato. In tutta questa<br />

lettera è stato il cuore che ha parlato conforme quello che esso è,<br />

e quello che l'assicura di tutta la sincerità di quei sentimenti coi quali<br />

mi dico ecc.<br />

Roma, 21 giugno 1754<br />

2. A D. GAILLARD - PRIORE DELLA CERTOSA DI ROMA<br />

La «meridiana» che si fa a Roma, mio caro Rev. Padre, non<br />

l'avrebbe tanto disgustato se ella si fosse ricordato che essendo in Roma<br />

bisogna vivere alla maniera dei romani « cum romano, romanus eris ».<br />

Sarà dunque uno scandalo, una disgrazia, che un povero religioso<br />

in un paese dove si sente oppresso da un caldo eccessivo, si prenda una<br />

mezz'ora di riposo per poi ritornare ai propri esercizi con una maggior<br />

attività? Rifletta che questi sono appunto quei momenti nei quali si<br />

osserva maggiormente il silenzio, giacché ella mette nel numero dei<br />

peccati capitali una sola parola proferita in tempo di silenzio. Osservi<br />

un poco Gesù Cristo quando trova i suoi discepoli addormentati:<br />

« Ah - dice con bontà infinita - voi dunque non avete potuto meco<br />

vegliare neppure mezz'ora? ».<br />

Ma come fa ad accordare quell'obbedienza che ella vuole esigere<br />

dai suoi religiosi con quella che ella ricusa al Sommo Pontefice?<br />

Non potrà ignorare che tutte le regole claustrali in tanto hanno tutto<br />

il vigore in quanto furono approvate dai Sommi Pontefici e se quello<br />

che regna presentemente vuol dispensare i suoi religiosi da certe pratiche<br />

egli è il legislatore e il maestro della legge.<br />

Il mitigare certe austerità o dal tempo o dal luogo o dalle circostanze:<br />

non chiamasi mai intaccare la sostanza dei voti.<br />

La lettera uccide e lo spirito vivifica, ma vi sono dei superiori<br />

che sono sempre inquieti sul timore che non si ometta una sillaba delle<br />

costituzioni. Di grazia dunque, si dia pace e per il bene dei suoi religiosi<br />

ed anche della sua salute. Fintantoché ella mi consulterà, io le risponderò<br />

sempre in questa maniera: non basta allegare la propria<br />

coscienza, bisogna anche illuminarla.<br />

L'abbraccio di vero cuore essendo ecc.<br />

Roma, 21 settembre 1754<br />

130 -


Florilegio Cistercense<br />

Il dovere della correzione tra amici<br />

DA «L'AMICIZIA SPIRITUALE» DI AELREOO DI RIEVAULX<br />

( 1110-1167) I<br />

trattato: 2<br />

Nel prologo Aelredo spiega il motivo che lo ha indotto a scrivere il<br />

« Ero ancora scolaretto e già la grazia dei miei compagni<br />

mi affascinava; e tra i vizi a cui tale età suole abbandonarsi,<br />

tutta la mia anima si diede agli affetti e all'amore;<br />

così che nulla mi sembrava più dolce, niente più giocondo,<br />

niente più utile che amare ed essere amato 3.<br />

Così fluttuante tra diversi amori ed amicizie, l'anima<br />

mia era sbattuta qua e là, ignara della vera legge dell'amicizia<br />

e spesso ingannata dalla sua apparenza.<br />

Finalmente mi venne tra mano il libro 4 che Tullio Cicerone<br />

intitolò « Dell'Amicizia »; mi sembrò subito utile per la<br />

ponderatezza della dottrina e dolce per la soavità dell'eloquio.<br />

Sebbene non mi sentissi in grado di attuare tale genere di<br />

amicizia, ero tuttavia felice di aver trovato un modello a cui<br />

ispirare la pratica dei miei affetti e dei miei amori.<br />

Quando peraltro piacque al mio buon Signore di correggere<br />

l'errante, rialzare il caduto e mondare illebbroso con un<br />

salutare contatto, entrai in monastero. Subito mi diedi a leggere<br />

la Scrittura santa, che il mio occhio abituato alle tenebre<br />

carnali non aveva neppure sbirciata alla superficie. E mentre<br />

la Scrittura santa mi diventava dolce, la poca scienza datami<br />

dal mondo mi sembrava in suo confronto una meschinità.<br />

1 Brevi notizie sulla vita di Aelredo sono state pubblicate in Not. Cist., 3 (1970),<br />

19-20. L'opera fondamentale per una conoscenza approfondita della vita e dell'attività di<br />

Aelredo è di WALTER DANIEL, Life oi Ailred, abbot of Rieuaulx, ed. di F. M. POWICKE,<br />

Londra 1950 (testo latino e traduzione inglese con ampia introduzione). Crf anche M. A.<br />

CALABRESE,Aelredo, in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1961, vol. I, 276-279.<br />

2 Per le citazioni dei brani che seguiranno ci siamo serviti della traduzione di<br />

P. M. GASPAROTTO,comboniano, Aelredo di Rieuaulx, L'amicizia spirituale, Siena 1960.<br />

3 Cfr. S. AGOSTINO,Confessioni, 2, 2; 3, 1.<br />

4 Vedi la scoperta simile di S. Agostino con YOrtensio di Cicerone (Confess. 3, 4).<br />

- 131-


Ripensavo a ciò che avevo letto in quel libro sull'amicizia, e mi<br />

meravigliavo che non mi piacesse più come prima. Fin d'allora<br />

niente che non fosse dolcificato dal miele del dolcissimo<br />

Gesù 5, niente che non fosse condito dal sale fatale della<br />

Santa Scrittura, riusciva più a rapir tutto il mio affetto.<br />

Ripensavo più e più volte a quelle cose, e mi domandavo<br />

se potevano essere suffragate dall'autorità delta Santa<br />

Scrittura. Lessi poi negli scritti dei Santi Padri molte cose<br />

sull'amicizia. Volevo amare spiritualmente e non riuscivo.<br />

Decisi allora di scrivere intorno all'amicizia spirituale e fissare<br />

così le regole di un casto e santo amore.<br />

Abbiamo divisa quest'operetta in tre libri. Nel primo<br />

esponiamo che cosa sia l'amicizia e quale sia il suo sorgere e<br />

la sua causa. Nel secondo proponiamo il suo frutto. ed eccellenza.<br />

Nel terzo abbiamo chiarito come ci fu possibile conservare<br />

fino alla fine una indissolubile amicizia ».<br />

I suggerimenti di Aelredo procedono con un tatto e una delicatezza<br />

tale che solo un grande maestro di spirito poteva suggerire.<br />

L'intimità degli amici, afferma Aelredo, non deve essere disgiunta<br />

da una certa riservatezza e rispetto reciproco:<br />

131. «Anzitutto siano solleciti l'un dell'altro, preghino<br />

vicendevolmente, arrossiscano e godano l'uno per l'altro;<br />

l'uno pianga come propria l'altrui caduta, ritenga come suo<br />

l'altrui progresso. Come può incoraggi l'amico pusillanime, lo<br />

accolga se è malato, lo consoli se è triste e lo sopporti se è<br />

adirato. Abbia inoltre tanto rispetto dello sguardo dell'amico<br />

da non osare mai di fare o dire ciò che sia sconveniente. Infatti<br />

qualunque mancanza ricade sull'amico. Non solo egli<br />

arrossisce e si duole nel suo intimo, ma anche chi vede e ascolta<br />

si rimprovera come avesse peccato. Perciò se non vuole<br />

avere pietà di se stesso, l'abbia almeno per l'amico» 6.<br />

132. «La riservatezza è dunque un'ottima compagna<br />

dell'amicizia; e perciò "toglie all'amicizia l'ornamento più<br />

bello chi le toglie il rispetto" 7. Quante volte un cenno di un<br />

5 Cfr S. BERNARDO, Sermone XV sulla Cantica: Gesù è miele in bocca.<br />

6 AELREDO Dr RIEVAULX, L'amicizia spirituale, trad. GASPAROTTO.<br />

7 CICERONE, Am., 82.<br />

- 132-


mio amico frenò e spense la fiamma dell'ira già accesa nell'intimo<br />

e pronta ad esplodere apertamente. Quante volte il<br />

suo contegno più riservato represse sul labbro una parola indecente!<br />

Quante volte, lasciatomi andare incautamente al riso<br />

e a perditempi, al suo arrivo ritrovai la dovuta gravità! » 8.<br />

Ma questa riservatezza non è sinonimo di austerità e severità:<br />

119. «Guardarsi soprattutto dal sospetto, veleno dell'amicizia,<br />

così da non pensare mai male dell'amico né credere<br />

a chi ne parla male. Va qui aggiunta l'amabilità del parlare,<br />

l'ilarità del volto, la soavità del tratto, la serenità anche nel<br />

cenno degl occhi: ecco spesso un eccellente condimento dell'amicizia.<br />

Il tratto austero e piuttosto severo dà per lo più<br />

una rispettabile gravità, ma l'amicizia deve essere meno sostenuta,<br />

più libera e più affabile, più portata alla facile compagnia<br />

senza cadere nella leggerezza e dissipazione» 9.<br />

In questo clima la correzione fraterna tra amici diventa un dovere<br />

impreteribile quando l'amico ha errato, soprattutto per il grande<br />

prestigio che gode la correzione dell'amico. Infatti non basta ammornre:<br />

bisogna correggere anche se l'amico sembra offendersi:<br />

133. «Inoltre dovendo convincerci di qualcosa, da un<br />

amico lo si accetta più facilmente e lo si ricorda più a lungo,<br />

avendo l'amico una grande autorità nel persuadere lO, perché<br />

la sua fedeltà è fuori discussione e non sospetta di adulazioni.<br />

L'amico dunque persuada l'amico di ciò che è onesto con<br />

sicurezza, chiaramente, con libertà. Né gli amici si devono<br />

solo ammonire, ma anche rimproverare. A certi la verità dà<br />

fastidio e perciò da essa nasce l'odio, secondo il detto: ((La<br />

compiacenza genera amici, la verità odio" 11. Ma tale compiacenza<br />

è molto più fastidiosa, perché indulgendo ai peccati<br />

lascia che l'amico cada in rovina.<br />

Soprattutto l'amico è da condannare e quindi da rimproverare,<br />

se disprezza la verità ed è spinto al male da compiacenze<br />

e da lusinghe» 12.<br />

8 AELREDODI RIEVAULX, 11-112.<br />

9 AELREDO, 105.<br />

lO CICERONE, Am., 44.<br />

11 TERENZIO, Andria, 68.<br />

12 AELREDO, 112.<br />

- 133-


135. «Anche se l'amico si ritiene offeso, tu correggilo.<br />

Anche se l'amaro della correzione ferisce il suo animo, tu<br />

correggilo. Sono più tollerabili le ferite dell'amico che i baci<br />

degli adulatori 13.<br />

Correggi dunque l'amico che sbaglia. Soprattutto, però,<br />

nel correggere devi guardarti dall'ira e dall'acerbità dell'animo;<br />

che non sembri sfogare la tua bile più che correggere<br />

l'amico.<br />

Ho conosciuto infatti alcuni che, nel correggere gli<br />

amici, mascherano l'interna amarezza e gli scoppi di furore col<br />

nome di zelo e di libertà. Seguivano l'impeto dello sfogo,<br />

non la ragione, e così la loro correzione non portò mai frutto,<br />

anzi fece molto male.<br />

Ma tra amici questo vizio non può avere scuse » 14.<br />

Anzi questo vizio non potrà mai attecchire se veramente si può<br />

esclamare:<br />

39. «Quale felicità invece, quale sicurezza e gioia avere<br />

uno cc con cui parlare come a te stesso " 15; uno a cui non temi<br />

di confessarti se sei caduto; cui non arrossisci di rivelare i<br />

progressi nelle cose spirituali, uno al quale puoi affidare tutti<br />

i segreti del cuore e scoprirne i progetti!<br />

Che c'è di più bello che unire cuore a cuore, fare di due<br />

una sola cosa, senza temere violenza, senza sospetti? Senza<br />

che uno si lamenti d'essere corretto dall'altro, e l'uno debba<br />

rimproverare l'altro di lodare per adulazione? ...<br />

" L'amico, disse il Sapiente 16, è una medicina di vita".<br />

Come è vero! Non c'è infatti medicina più forte o più ~fficace<br />

o più eccellente per le nostre ferite, in tutte le cose terrene<br />

che avere chi soffra con noi in ogni sventura, e goda nei successi.<br />

Così che, come dice l'Apostolo 17 cc unendo le loro spalle<br />

portano insieme i loro pesi, o meglio ognuno trova più legger-al'offesa<br />

fatta a sé che quella fatta all'amico ".<br />

L'amicizia rende dunque la prosperità più splendida e<br />

13 CICERONE, Am., 89-90.<br />

14 AELREDO, 113.<br />

15 CICERONE, Am. 22.<br />

16 Eccl. 6, 16.<br />

17 Gal. 6,2.<br />

- 134-


l'avversità più leggera 18,dividendola un po' ciascuno. L'amico<br />

è dunque la medicina 19 migliore della vita. Anche i pagani infatti<br />

compresero che l'amico è usato ancora più spesso dell'acqua<br />

e del fuoco.<br />

In ogni azione, in ogni ricerca, nella certezza, nel dubbio,<br />

in ogni evenienza, in ogni disavventura, in segreto e in<br />

pubblico, in ogni decisione, in casa e fuori, dovunque l'amicizia<br />

è gradita, l'amico è necessario, il suo favore utile» 20.<br />

Fondamento di questa unione deve essere la sincerità e la verità:<br />

137. «L'amico si conformi e si adatti all'amico, come<br />

conviene al suo carattere. Se deve corrergli in aiuto nelle difficoltà<br />

esteriori, tanto più accorri trattandosi di cose contrarie<br />

allo spirito.<br />

Perciò ammonire ed essere ammoniti è proprio dell'amicizia.<br />

L'uno lo faccia liberamente, ma non con asprezza; l'altro<br />

accetti con pazienza, senza reagire. Per questo nelle amicizie<br />

non c'è peste più grande dell'adulazione e delle smancerie:<br />

cose di uomini leggeri, falsi, che parlano secondo il capriccio,<br />

non secondo verità.<br />

Nessuna esitazione dunque tra amici, nessuna finzione,<br />

che ripugna moltissimo all'amicizia. All'amico si deve dire<br />

la verità; senza di essa il nome di amicizia non vale più<br />

nulla »21.<br />

Non si deve però confondere la simulazione che tradisce la verità<br />

con la dissimulazione che tace la verità fino al momento più propizio per<br />

la correzione:<br />

138. «" Il giusto, dice il santo re David 22 mi correggerà<br />

e sgriderà, ma l'olio del peccatore non profumerà la mia<br />

testa "; il falso e l'astuto provocano l'ira di Dio. Ecco perché<br />

il Signore dice 23 per mezzo del profeta: "Popolo mio, coloro<br />

che ti proclamano felice ti ingannano, e sviano il cammino<br />

18 CICERONE, Am. 22.<br />

19 Eccl. 6, 16.<br />

20 AELREDO, 54-55.<br />

21 AELREDO, 114.<br />

22 Salmo, 140, 5.<br />

23 Isaia, 3, 12.<br />

- .135 -


dei tuoi passi ". "Chi finge con le parole, disse Salomone 24,<br />

tradisce il suo amico" L'amicizia va dunque coltivata in<br />

modo che, se talora si deve ammettere per precisi motivi la<br />

dissimulazione, mai si tolleri la simulazione » 25.<br />

139. «Gualtiero: Come, ti prego, può ammettersi talora<br />

la dissimulazione, che a me sembra sempre un vizio?<br />

Aelredo: Sbagli, figlio mio. Anche di Dio si dice che dissimula<br />

i peccati dei traviati, non volendo la morte del peccatore,<br />

ma che si converta e viva 26.<br />

Gualtiero: Ti prego, distingui bene tra dissimulazione e<br />

simulazione.<br />

Aelredo: La simulazione mi pare un certo consenso ingannatore<br />

contro il giudizio della ragione. Terenzio lo ha<br />

reso elegantemente nella persona di Gnatone: "Uno nega?<br />

Nego anch'io; afferma? Affermo. Infine mi sono imposto di<br />

essere sempre del loro parere" 27. Forse quel pagano apprese<br />

tali cose dai nostri tesori, perché esprime con le sue parole<br />

l'idea di un nostro profeta. È noto infatti che un profeta ha<br />

messo queste stesse idee in bocca a un popolo perverso 28:<br />

" Vedete per noi cose vane, dite cose che ci piacciano". E altrove<br />

29: (( I profeti profetarono il falso, i sacerdoti applaudivano<br />

con le mani, e il popolo ci prendeva gusto". Questo<br />

vizio è sempre detestabile, va sempre e dovunque evitato ».<br />

140. «Ma c'è una dissimulazione doverosa, che consiste<br />

nel differire la pena o la correzione, senza approvare internamente<br />

la mancanza, a seconda del luogo, del tempo, delle<br />

persone. Così se un amico ha mancato in pubblico, non si<br />

deve rimproverarlo subito e davanti a tutti. Ma si deve dissimulare<br />

a seconda dei luoghi. Anzi, per quanto è possibile<br />

senza offendere la verità, lo si deve scusare, aspettando il segreto<br />

della famiglia per fare la dovuta correzione».<br />

141. « Così talora l'amico è preoccupato da molte cose<br />

e meno capace di attendere a ciò che si dice; oppure per<br />

24 Proverbi, 11, 9.<br />

25 AELREDO,114, 115.<br />

26 Sapienza, 11, 24 ed Ezechiele, 33, 11.<br />

27 TERENZIO,Eunuco, 252. AeIredo riprende questo passo da Cicerone (Am 93), ma<br />

non è improbabile che avesse letto le opere di Terenzio, molto stimato nelle abbazie<br />

medioevali (dr DUROIS, L'amitié Spirituelle, p. 181, nota 1».<br />

28 Isaia, 30, lO.<br />

29 Geremia, 5, 31.<br />

- 136-


sopraggiungere di altri motivi il suo cuore è molto agitato e<br />

abbastanza turbato. Allora bisogna dissimulare, finché, placatosi<br />

il tumulto interiore, possa accettare il rimprovero con<br />

disposizione più pacata.<br />

Il re David, travolto dalla passione, unì l'omicidio all'adulterio<br />

30. Il profeta Nathan per correggerlo fu deferente<br />

alla maestà regia. Non subito, né con l'animo turbato rimproverò<br />

a tanta persona il suo crimine; ma dopo conveniente<br />

dissimulazione, con tatto, strappò al re stesso la condanna<br />

contro sé medesimo » 31.<br />

La correzione dovrà essere fatta con calma e dolcezza anche con<br />

persone iraconde:<br />

76. «Gualtiero: Eppure noi abbiamo sentito dire, salvo<br />

errori, che tu coltivasti scrupolosamente l'amicizia con un<br />

uomo furioso. E abbiamo sentito anche che fino all'ultimo<br />

della sua vita mai fu da te offeso, benché lui spesso ti avesse<br />

offeso.<br />

Aelredo: Ci sono alcuni che per naturale temperamento<br />

sono iracondi. Tuttavia si sforzano di moderare e vincere questa<br />

passione, così da non cadere mai nelle cinque cose che,<br />

secondo la testimonianza della Scrittura 32, corrompono e distruggono<br />

l'amicizia. Sebbene talvolta offendano l'amico con<br />

parole sconsiderate o con atti o con zelo poco discreto. Se<br />

avremo qualche amico di questo genere, è da sopportare con<br />

pazienza e, una volta sicuri del suo affetto, bisogna passare<br />

sopra ai suoi eccessi nella parola e nell'azione. Anzi conviene<br />

rimproverarlo delle sue esagerazioni, ma senza irritazione<br />

e con dolcezza » 33.<br />

E molte volte è messa a dura prova la pazienza:<br />

107. «Ed ora vediamo la prova del criterio. Ci sono<br />

certi pervertiti, a dir poco, che vogliono dall'amico le qualità<br />

che essi non possono avere 34. Essi non tollerano neppure le<br />

30 2 Re, 12, 1-15.<br />

31 AELREDO, per i numeri 139, 140 e 141, p. 115-116.<br />

32 Eccl., 22, 25-27.<br />

33 AELREDO, 79-80.<br />

34 CICERONE, Am., 82.<br />

- 137-


lievi mancanze degli amici, correggono con severità e, privi di<br />

criterio come sono, trascurano le cose importanti per inalberarsi<br />

ad ogni sciocchezza. Arruffano tutto, senza badare al luogo,<br />

al tempo, alle persone cui convenga dire o nascondere<br />

una data cosa. Per questo bisogna provare la discrezione di<br />

colui che scegli. Perché tu stesso non vada a procurarti liti e<br />

baruffe quotidiane, stringendo amicizia con uno scriteriato o<br />

un imprudente.<br />

Certo è facile capire che tale virtù è necessaria all'amicizia.<br />

Se uno ne è privo sarà sempre travolto da un impulso<br />

cieco e instabile, come una nave senza guida, sbattuta secondo<br />

la forza del vento.<br />

Né mancheranno molte occassioni con cui provare ed<br />

esercitare la sua resistenza» 35.<br />

In quest'arte così difficile del correggere, l'amico non solo deve<br />

vedere, ma addirittura sentire che la correzione sgorga da un cuore<br />

che rimprovera per amore:<br />

136. «L'amico deve avere compassione dell'amico condiscendendo<br />

alla sua debolezza; ritenere come proprio il vizio<br />

di lui; correggere con umiltà, soffrendo con lui. Lo corregga<br />

con tristezza nel volto, con voce smorzata, mescolando<br />

parole con lagrime. Così che egli non solo veda, ma addirittura<br />

senta che la correzione sgorga dall'amore e non da rancore.<br />

Se per caso avrà respinto la prima correzione, riceverà almeno<br />

la seconda. Intanto tu prega, piangi, col volto atteggiato<br />

a mestizia e conservando un tenero affetto. Si deve anche tenere<br />

conto deI suo carattere. Ci sono infatti di quelli a cui<br />

le carezze giovano; e di quelli che le disprezzano e si correggono<br />

più facilmente con la parola e con la verga» 36.<br />

La diversità di carattere fa capire all'amico che alle volte sono<br />

più fruttuose le correzioni franche, senza complimenti:<br />

150. «Ma questa franchezza di pensiero e di parole non<br />

fece che aumentare la nostra amicizia, perché io volevo averlo<br />

non come un amico ordinario. S'avvide egli che io ero con-<br />

35 AELREDO, 98.<br />

36 AELREDO, 113.114.<br />

- 138-


tento di ciò che aveva detto, che avevo risposto umilmente ad<br />

ogni punto, che gli avevo dato ragione in tutto, senza peraltro<br />

offendermi, ottenendo anzi un maggior frutto di amicizia.<br />

Allor-a cominciò ad amarmi molto più strettamente del solito,<br />

allentando le briglie dell'affetto 37 e tutto immergendosi nel<br />

mio cuore. Così io provai la sua franchezza e lui la mia pazienza.<br />

Anch'io poi ricambiando l'amico, alla prima occasione<br />

pensai bene di rimproverarlo assai duramente, non risparmiando<br />

i mezzi insulti: egli non fu né ingrato, né intollerante della<br />

mia franchezza. Cominciai allora a rivelargli i segreti dei<br />

miei progetti, e lo trovai fedele » 38.<br />

Altri caratteri invece devono essere presi con le pinze, più dolcemente.<br />

Talora, dopo certe mancanze, la rottura dell'amicizia diventa<br />

inevitabile e definitiva. Ma, lungi dall'esplodere in odio, la rottura va<br />

fatta per gradi, insensibilmente e per quanto possibile si conservi sempre<br />

verso l'amico un certo deferente ossequio:<br />

90. «Ci sono altri vizi per i quali l'amicizia non va<br />

troncata, ma piuttosto, come abbiamo già detto, va sciolta<br />

gradualmente: cc Cercando di non arrivare fino alla inimicizia,<br />

da cui nascono liti, maledizioni e insulti".<br />

È infatti cosa molto vergognosa fare una simile guerra<br />

contro uno con cui sei vissuto in intimità 39.<br />

Infatti tu hai un bel soffrire tutte queste cose da colui<br />

che avevi scelto per amico. Qualcuno ha l'abitudine di buttare<br />

la colpa sull'amico ogniqualvolta gli capita qualche contrarietà.<br />

Mentre era vissuto in modo da non meritare più l'amore,<br />

dice che l'amicizia è stata offesa e tiene per sospetto ogni<br />

consiglio che viene dall'amico di un tempo. Scoperta e divulgatasi<br />

in pubblico la loro colpa, non sapendo più che fare,<br />

uniscono gli odi e le maledizioni con maldicenze ad ogni angolo<br />

e mormorii nell'oscurità, scusandosi e accusandosi con<br />

menzogne.<br />

Se dunque, rotta l'amicizia) sarai colpito da cose simili,<br />

finché è possibile, devi lasciare correre, facendo questo atto<br />

37 CICERONE, Am., 45. Qui Cicerone cita Euripide, Ippolito, VV. 253-260.<br />

38 AELREDO, 121.<br />

39 CICERONE, Am. 77-78.<br />

- 139-


di rispetto alla vecchia amicizia: che il torto sia da parte di<br />

chi fa e non da parte di chi riceve l'ingiuria.<br />

L'amicizia infatti è eterna, come sta scritto: cc In ogni<br />

tempo ama chi ti è stato amico" 40. Se chi ami ti avrà offeso,<br />

tu amalo ugualmente. Se avrà tali qualità che si deve togliere<br />

l'amicizia, non togliergli tuttavia la carità. Provvedi quanto<br />

puoi alla sua salvezza, custodiscine la fama, né rivelare mai i<br />

segreti della sua amicizia, anche se lui avesse rivelato i<br />

tuoi» 41.<br />

Aelredo sa quanto è difficile trovare un amico e quanto più costa<br />

mantenerlo, proprio per l'instabilità dei sentimenti umani. L'amicizia,<br />

essendo un dono di Dio va ottenuta e conservata con la preghiera e<br />

con questo ammonimento l'abate di Rievaulx termina il suo trottato:<br />

157. «Si aggiunga la preghiera vicendevole, tanto più<br />

efficace nel ricordo dell'amico quanto più affettuosamente si<br />

rivolge a Dio, accompagnata dalle lacrime spremute dal timore<br />

o eccitate dall'affetto o causate dal dolore. Così, pregando<br />

il Cristo per l'amico e per lui volendo essere esaudito<br />

dal Cristo, in Lui si fissa con amore e desiderio. Talora infatti<br />

improvvisamente e quasi senza accorgersi si passa da un sentimento<br />

ad un altro. Quasi sfiorando da vicino la dolcezza di<br />

Cristo stesso, si comincia a gustare quanto è dolce e sentire<br />

quanto è soave. Così, da quel santo amore con cui si stringe<br />

un amico, si sale a quello con cui si abbraccia il Cristo.<br />

Felice, gusterà allora a bocca piena il frutto spirituale dell'amicizia.<br />

Attende più tardi la pienezza di tutto: quando sarà<br />

tolto ogni timore di cui a vicenda temiamo e ci preoccupiamo.<br />

Allora, quando sarà scacciata ogni avversità che ora bisogna<br />

sostenere uno per l'altro; quando sarà sterminato con<br />

la morte anche il suo pungiglione 42, le cui punture tanto ci<br />

stancano, che è necessario piangere insieme. Allora, conquistata<br />

la sicurezza, godremo eternamentte del Sommo Bene.<br />

Perché allora questa amicizia, a cui ora ammettiamo pochi,<br />

40. Proverbi, 17, 17.<br />

41 AELREDO, 88-89.<br />

42 I Corinti, 15, 54-55.<br />

- 140-


si espanderà su tutti e da tutti si riverserà su Dio, quando<br />

« Dio sarà tutto in tutti " » 43.<br />

Quante cose da apprendere e tradurre in pratica nelle nostre amicizie<br />

da questa breve carrellata sull'aspetto più complicato dell'amicizia:<br />

la correzione fraterna che Aelredo ci ha suggerito e che egli stesso<br />

prima di insegnarla ha vissuto intensamente!<br />

43 Ibidem, 15, 28; il testo di AELREDO, 125.<br />

- 141-


Un personaggio dantesco a Casamari:<br />

Gioacchino da Fiore<br />

... e lucemi da lato<br />

il calavrese Abate Gioacchino<br />

di spirito pro/etico dotato.<br />

DANTE, Paradiso, XII, 139-141<br />

Dante esalta nel Paradiso Gioacchino da Fiore, il grande Abate<br />

della Sila che, dopo essere stato cistercense, fondò la Congregazione<br />

Florense, approvata da Celestino III nel 1196. L'Alighieri lo pone tra<br />

una corona di beati dove figurano santi e teologi come Tommaso d'Aquino,<br />

Anselmo d'Aosta, Giovanni Crisostomo, Ugo da San Vittore.<br />

Per un concetto di superiore riconciliazione (Sapegno) l'Abate è posto<br />

a risplendere accanto a San Bonaventura che perseguitò aspramente<br />

gli spirituali Gioachimiti. L'omaggio che Dante rende all'inquieto riformatore<br />

ha una motivazione precisa: la trepida attesa di un mondo rigenerato<br />

moralmente e socialmente preconizzata da Gioacchino presenta<br />

molti punti di consonanza con gli ideali di riforma spirituale e politica<br />

auspicati da Dante l.<br />

Ma oltre che in Dante, l'influsso esercitato dalle idee gioachimite<br />

è stato enorme anche in altri ingegni. Movimenti religiosi medievali,<br />

apocalittici, spirituali, francescani, si sono ispirati a lui e lo hanno venerato<br />

e difeso con grande accanimento. Molti ne hanno fatto un precursore<br />

di San Francesco d'Assisi ... 2 Recentemente qualcuno lo ha addirittura<br />

definito la più singolare e affascinante figura del medioevo cristiano 3.<br />

Ma la personalità di Gioacchino presenta ancora aspetti sconcertanti,<br />

nonostante anche le appassionate ricerche condotte in quest'ultimo<br />

secolo, soprattutto dagli studiosi tedeschi, per natura inclini alle<br />

estenuanti precisazioni storiche 4. L'enigma è sempre lo stesso: santo o<br />

eretico? È un po' il Savonarola del secolo XII.<br />

1 Cfr L. TONDELLI, Gioacchino da Fiore e Dante, Torino 1944; BRUNO NARDI, Dante<br />

e Gioacchino da Fiore, in Almanacco Calabrese, Roma 1965, pp. 59-66.<br />

2 F. Russo, Gioacchino da Fiore, in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1965, vol. VI,<br />

p. 473. Cfr C. BONDATTI, Gioachinismo e Francescanesimo nel '200, Assisi 1924.<br />

3 A. CROCCO, G. da Fiore, la più singolare e affascinante figura del Medioevo Cristiano,<br />

Napoli 1960.<br />

4 Fra le tante opere citiamo: H. SCHNEIDER, ]oachim von Fiore und die Apokaliptiker<br />

des Mittelalters, Dillingen 1873; H. GRUNDMANN, Studien ùber ]oachim uon Fiore,<br />

Leipzig 1927; J. C. HUCH, [oacbim von Fiore und ]oachitische Literature, Freiburg<br />

in Breisgau 1938.<br />

- 142-


Non è nostra intenzione condurre una indagine rigorosa per far<br />

luce sulla reale posizione di Gioacchino nei riguardi della Chiesa, anche<br />

perché una riabilitazione « in senso cattolico» toglierebbe al grande abate<br />

quel fascino che egli ha sempre esercitato sugli « spiriti liberi ». A noi<br />

interessa questa figura per le sue relazioni con la nostra terra ciociara e<br />

per l'influsso che la sua formazione ha subìto dal contatto con la regola<br />

e i costumi dei cistercensi di Casamari.<br />

Un fenomeno analogo si verificava quasi contemporaneamente nell'animo<br />

di un altro grande ribelle, Thomas Becket, arcivescovo di<br />

Canterbury che, esule volontario in Francia, si preparò tra i <strong>Cistercensi</strong><br />

di Pontigny 5 in Borgogna, all'epico conflitto con Enrico II, conclusosi<br />

in maniera così assurda e tragica con L'assassinio nella cattedrale 6.<br />

Tra i monaci cistercensi visse dunque Gioacchino dopo una strana<br />

esperienza di « eremita pellegrino» che lo condusse in Siria e in Palestina<br />

in occasione della Crociata del 1148-1149. Il primo monastero che<br />

lo accolse fu Sambucina presso Luzzi in Calabria, fondata da Casamari<br />

nel 1160, nel periodo cioè di maggiore splendore dell'abbazia e dell'Ordine<br />

7. Passò quindi al monastero di Corazzo (Catanzaro) 8 dove<br />

nel 1177 venne eletto abate. Ma la carica gli impediva di dedicarsi completamente<br />

agli studi scritturistici che costituivano la sua grande passione.<br />

Decise perciò di lasciare l'abbazia e di chiedere ospitalità ai monaci<br />

di Casamari che furono ben lieti di accogliere un tanto personaggio,<br />

già circondato da stima e ammirazione. Qui compose la Concordia<br />

utriusque Testamenti, l'Expositio in Apocalypsim e diede inizio al<br />

Psalterium decem chordarum 9.<br />

Tornò a Corazzo, ma, inquieto e insoddisfatto nelle sue aspirazioni,<br />

non vi resisté a lungo e col monaco Ranieri si ritirò prima a Pietralata<br />

5 Pontigny, abbazia fondata direttamente da Citeaux nel 1114, è una delle prime<br />

quattro filiali dell'Ordine Cistercense. Le altre sono La Ferté, Clairvaux e Morimond.<br />

Becket dimorò a Pontigny dal 1164 al 1166 e dopo di lui anche gli altri due arcivescovi<br />

Stephen Langront e Edmond Rich vi furono ospitati. Per questo motivo uno scrittore frano<br />

cese medioevale definisce l'abbazia l'asile de tous les prélats anglais exilés pour la [ustice,<br />

Cfr C. WIENER, Pontigny, La Pierre qui Vire, 1964, pp. 4·5; C. O. EOWAROS, L'Abbaye<br />

Cistercienne de Pontigny, Auxerre 1947, p. 16.<br />

6 Uno studio approfondito ed esauriente sui rapporti di Thornas Becket e i <strong>Cistercensi</strong><br />

è stato pubblicato recentemente da BENNET D. HILL dell'Università di Illinois (USA)<br />

su Anacleta Cisterciensia, fasc. I, 1971 col titolo: Archbishop Tbomas Becket and the Cistercian<br />

Order (pp. 64-80).<br />

7 Cfr GUSTAVO BEOINI, Le Abbazie <strong>Cistercensi</strong> d'Italia, Casarnari 1966, pp. 58-59.<br />

<strong>Leggi</strong>amo con piacere sull'Osservatore Romano del 2-3 maggio 1972 che, per interessamento<br />

del Soprintendente ai monumenti della Calabria, Sambucina verrà restaurata.<br />

8 Ibidem, pp. 71-72.<br />

9 Per le opere di Gioacchino ci sembra indispensabile l'opera di F. Russo, Bibliografia<br />

Gioachimita, Firenze 1954; e inoltre B. DE RISO, Della vita e delle opere dell'Abate<br />

Gioacchino, Milano 1872.<br />

- 143-


quindi nella solitudine della Sila dove fondò la Congregazione Florense,<br />

malgrado l'opposizione dei <strong>Cistercensi</strong>. Ammalatosi gravemente in seguito<br />

ai disagi del suo preregrinare, morì il 30 marzo 1202, assistito amorevolmente<br />

dagli abati cistercensi della Sambucina, di Corazzo e di Santo<br />

Spirito di Palermo. Prima di morire aveva composto un testamento spirituale<br />

nel quale, fra l'altro, con molta umiltà affermava di volersi sottomettere<br />

al giudizio della Chiesa per quanto riguardava l'ortodossia delle<br />

sue dottrine.<br />

Quasi tutte le notizie fin qui riferite sono tratte dalla biografia di<br />

Gioacchino scritta da un'altra grande personalità del tempo, formatasi<br />

tra i <strong>Cistercensi</strong> della nostra abbazia: Luca Campano lO. Dapprima monaco<br />

e priore di Casamari, dove conobbe Gioacchino, Luca fu eletto<br />

Abate di Sambucina e come tale esplicò una vasta azione sociale a servizio<br />

dei Pontefici Il. Innocenzo III gli affidò l'incarico di predicare, insieme<br />

a Lorenzo, arcivescovo di Siracusa, la Crociata in Sicilia e in Calabria<br />

12. Nel 1203 fu creato dal Papa Innocenzo III arcivescovo di Cosenza<br />

13 dove, fra l'altro, si rese benemerito per la costruzione della famosa<br />

cattedrale, da lui consacrata il 28 gennaio 1222 alla presenza<br />

dell'imperatore Federico II e della sua corte. Per la sua forte tempra e<br />

la sua rettitudine fu inviato più volte da Onorio III a dirimere liti tra<br />

prelati e a invistigare sulla condotta di alcuni vescovi indisciplinati.<br />

Come scrittore, Luca ci ha lasciato la biografia più preziosa ed antica<br />

del suo grande amico e maestro. La Beati [oacbim Vitae Synopsis.<br />

Scritta con discreta sobrietà seppure con ardente entusiasmo, è frutto<br />

di osservazioni dirette e di testimonianze abbastanza attendibili.<br />

«Ego Lucas Archiepiscopus anno II Pontificatus Domini papae<br />

Lucii jam monachus, primo in Casarnarii, vidi virum nomine Joachim,<br />

tum abbatem Curatii, filii Sambucinae, filiae Casaemarii » 14. Luca dunque<br />

ci lascia una fisionomia di Gioacchino tratta da esperienza diretta e da<br />

contatti personali e fraterni. «Con ogni onore e amore - continua<br />

Luca - Gioacchino era trattato a Casamari, perché abate di Corazzo...<br />

ma soprattutto per il dono di sapienza e di prudenza ricevuto dal Signore<br />

» IS. Nella vicina città di Veroli Gioacchino si incontra con Lu-<br />

IO LUCA CAMPANO, Beati [oacbim Vitae Svnopsis in UGHELLI, Italia Sacra t. IX, col.<br />

205-208 e in Acta Sanctorum, Venezia 1739, pp. 444445.<br />

11 Cfr L. DE BENEDETTI, I monaci dell'abbazia di Casamari al servizio della S. R.<br />

Chiesa, in Rivista Storica Benedettina, An. XXI, Roma 1952.<br />

12 Cfr BALUTIUS, Epist. Innoc. III, T; l° p. 83.<br />

13 F. UGHELLI, Italia Sacra, Venezia 1716, t. IX col. 206.<br />

14 Ibidem.<br />

15 Ibidem.<br />

- 144-


cio II e viene incoraggiato dal papa a dedicarsi con passione alle ricerche<br />

scritturistiche e ad altri studi sacri 16.<br />

Ma quello che colpisce l'attenzione di Luca non è tanto la profondità<br />

del pensiero di Gioacchino quanto la sua semplicità di vita. « Mi meravigliavo<br />

poi che un uomo di tanta fama, così efficace nel parlare, indossasse<br />

vesti tanto logore e spregevoli e in parte consumate dalle cinture<br />

» 17. E l'assidua sollecitudine nella preghiera: «Trascorreva tutta la<br />

notte pregando e scrivendo, e tuttavia si affrettava al mattutino insieme<br />

alla comunità, cantando con umiltà e vegliando, tanto che non l'ho mai<br />

visto dormire nel coro di Casamari » 18.<br />

Il racconto di Luca si fa commosso e denso di stupore quando<br />

ritrae episodi di fortezza e di virtù. « Mi raccontò un giorno che trovandosi<br />

solo in Siria, già monaco, fu ospitato da una vedova che, guardandolo<br />

con occhi impudichi e lascivi, lo invitava ad crimen. Ma il servo di Dio<br />

resistette con sapienza e fortezza. E poiché era buio ed era impossibile<br />

uscire senza pericolo, mentre la misera se ne andò a dormire, egli trascorse<br />

tutta la notte vegliando e pregando. Rifiutato il letto preparatogli<br />

dall'ospite si adagiò su dei fasci di legna, superando cosi la tentazione.<br />

E la mattina seguente, aperta la porta di casa, se ne andò senza neppure<br />

salutare la tentatrice » 19.<br />

Sono atteggiamenti che alla spregiudicata mentalità odierna sembrano<br />

impossibili e persino ridicoli. Ma talvolta non capiamo i santi<br />

perché siamo paurosamente mediocri e ridicolmente scettici.<br />

Per volere di Gerardo Abate di Casamari , Luca fu a completa<br />

disposizione di Gioacchino, e gli prestò velidissima collaborazione nella<br />

stesura delle sue opere. Insieme ad altri due cistercensi di Corazzo egli<br />

16 F. Russo, in Bibliotbeca Sanctorum, voI. VI, voce Gioacchino da Fiore asserisce che<br />

la regola cistercense vietava ai monaci di poter attendere allo studio e Gioacchino venne<br />

a Casamari per chiedere al papa Lucio II allora residente in Veroli la dispensa da questa<br />

rigorosa prescrizione. Anche lo studioso francese E. AEGERTER,Vie de [oacbim de Fiore,<br />

Paris 1928, pp. 79-80, crede che Gioacchino lascerà i cistercensi a causa di una statuto<br />

del capitolo generale del 1198 che incaricava l'abate di Clairvaux di punire un monaco<br />

di Poblet in Catalogna perché aveva preso delle lezioni di ebraico da un giudeo. Cfr. CA-<br />

NIVEZ, Statuta cap. gen. ord. cist., anno 1198, n. 27, t. I, p. 227. L'idea che i <strong>Cistercensi</strong><br />

all'inizio siano stati nemici dichiarati dello studio è ormai definitivamente superata.<br />

Si sa infatti da ricerche approfondite che i Cstercensi al più hanno dato alcune norme disciplinari<br />

riguardanti particolari circostanze, ma non si sono mai spinti a imporre inutili<br />

e poco intelligenti proibizioni. Per un'ampia documentazione a riguardo consigliamo la<br />

lettura degli atti della IV Settimana di Studi Monastici tenuta in Poblet nel 1961: Los<br />

monjes y los estudios, Abadia de Poblet 1963.<br />

17 F. UGHELLI, Italia Sacra, Venezia 1716, t. IX, col. 206.<br />

18 Ibidem.<br />

19 Ibidem. La virtù che più spiccava in Gioacchino agli occhi di Luca era la castità.<br />

«Numquam vere fateor vidi virum ita semper fortiter pro castitate zelantem; ita cunctos,<br />

quos poterat, ad pudicitiam animantem, et impudicitiam in omnibus, quo poterat corrigentem<br />

».<br />

- 145-


fu infatti lo scriba fedele e attento del grande abate. « Sedendo dunque<br />

ai suoi piedi, sia in Casamari che nella grangia 20 di Sant'Angelo in Monte<br />

Corneto, presso al monastero, con attenzione e umiltà, scrivevo in<br />

un cc quaderno" quel che egli dettava e che poi correggeva in margine.<br />

Erano con me due altri cc scriptores " suoi monaci, Fra Giovanni e Fra<br />

Nicola, il primo dei quali fu in seguito eletto abate e il secondo priore<br />

di Corazzo » 21.<br />

È probabilmen te su questa testimonianza che si basa la lunga e<br />

incontrastata tradizione che Gioacchino, sempre alla ricerca di assoluta<br />

solitudine, si fosse appartato sul colle SaneAngelo (o Sant' Agnello, come<br />

si preferisce oggi) presso l'Antera, alle falde del Monte Pedicino, dove<br />

Casamari possiede da secoli una specie di casa colonica, chiamata in<br />

termine monastico « grangia». Su quel colle in cui il silenzio della natura<br />

è ancora incontaminato, c'è un vecchio casolare che presenta un'abside<br />

rudimentale e primitiva echeggiante in modo vago lo stile romanico.<br />

È quasi certamente il luogo preciso in cui Gioacchino, in perfetta solitudine,<br />

compose, con l'aiuto dei suoi « scribi » i famosi « Commentari ».<br />

Siamo stati una mattina di sole a visitare questo luogo: è in una<br />

posizione felicissima per la luce che lo inonda dal sorgere del sole fino<br />

al tramonto; come una villa adagiata sul mare. Abbiamo parlato anche<br />

con il vecchio colono che ci ha fatto da « cicerone » e ci ha detto fra<br />

l'altro che suo nonno raccontava di un famoso eremita ..., che anche<br />

lui non aveva mai visto.<br />

Non ci sono purtroppo nell'archivio di Casamari documenti autentici<br />

o antiche cronache che diano notizie più ampie e sicure circa il<br />

soggiorno di Gioacchino a Sant'Angelo. Il motivo è da attribuire alla<br />

leggerezza con cui i cardinali commendatari 22 dispersero il patrimonio<br />

archivistico dell'abbazia. Gli abati commendatari infatti, con i beni<br />

dell'abbazia, ereditavano anche i documenti relativi alle donazioni, ed<br />

altri manoscritti preziosi 23.<br />

20 Per gràngia o grància si intende una specie di fattoria di proprietà di un monastero<br />

in cui risiedevano per buona parte dell'anno due o più fratelli conversi per attendere ai<br />

lavori e alla custodia dei campi.<br />

21 Cfr. L. ]ANAUSCHEK, Originum Cisterciensium, Vienna 1877, t. I, p. 168,<br />

CCCCXXX. COTTINEAU, Repertoire topo-bibliograpbique des Abbayes et Prieurés, Maçon<br />

1945, col. 866.<br />

22 I cardinali commendatari avevano dalla Santa Sede il titolo di abate di un monastero,<br />

con diritti e privilegi su qualunque proprietà e su eventuali proventi. La commenda<br />

istituita in origine per una più saggia amministrazione del patrimonio ecclesiastico<br />

si rivelò a lungo andare un vero disastro per i monasteri.<br />

23 La raccolta più preziosa di documenti e di cronache riguardanti Casamari e qualche<br />

altro monastero fu compilata nel 1490 dal monaco Gian Giacomo Dell'Uva e fu chiamata<br />

Chartarium Casaemariense. L'ultima famiglia principesca che ebbe il Chartarium fu la<br />

Casa Albani che lo cedette probabilmente con altri manoscritti al governo prussiano nel<br />

- 146-


E così ci si deve contentare di notizre incerte e di supposizioni,<br />

Tra le tradizioni più singolari ci sembra degna di menzione quella riportata<br />

da Filippo Rondinini nella «Brevis Historia» di Casamari,<br />

scritta nel 1707 in elegantissimo latino. Descrivendo l'altare di Casamari<br />

egli nota: «Sub eadem ara reconditum traditur venerabile corpus<br />

Sancti Abatis Jochimi, sed fama incerta» 24. Purtroppo, solo questo sappiamo<br />

circa la presenza delle spoglie di Gioacchino nella nostra basilica.<br />

Luigi De Persiis, uno studioso a volte ingenuo e prolisso di fine<br />

ottocento, autore anch'egli di una storia di Casamari 25, afferma che probabilmente<br />

il Rondinini si sarebbe servito di « un certo codice del secolo<br />

XVI, allegato da taluno, siccome fonte dalla quale dimanò la prima<br />

volta quella voce intorno alla traslazione e alla sepoltura delle spoglie<br />

dell'abate Gioacchino a Casamari »26. Dice di non essere riuscito a vedere<br />

quel codice e si affanna con argomenti morali (sic! )... che non dicono<br />

nulla, a dimostrare che certamente il Beato Gioacchino non fu mai<br />

trasferito nella nostra basilica n. E adduce fra l'altro una suggestiva testimonianza<br />

del monaco florense Giacomo Greco che ribadisce l'interesse<br />

della Congregazione Florense ad avere il corpo del loro fondatore. « Piacuit<br />

tandem filiis suis tanti patris ergastulum in Florem tranferre, ubi,<br />

donec tuba canat, in monumento atque parato coenotaphio quiesceret » 28.<br />

E ci sembra più logica e più attendibile questa testimonianza. Ma forse<br />

sarebbe stato interessante sapere quali profondi motivi affettivi hanno<br />

sempre legato la comunità di Casamari all'illustre ospite tanto da<br />

« creare l'esigenza» di averlo sempre tra le sue mura.<br />

A conclusione di queste modeste ricerche mi sia permesso di fare<br />

una considerazione su questo nobile confratello cistercense. Egli è visto<br />

da alcuni come un irrequieto e persino irrazionale visionario. Forse lo<br />

fu. Ma in sua difesa mi piace citare una paradossale affermazione di<br />

1862. Tutto il prezioso materiale perì nel naufragio, al largo di Civitavecchia, della nave<br />

che lo trasportava a Berlino nel 1863. Cfr KEHR, P. F., Italia Pontificia, Berlino 1907,<br />

voI. II, p. 168. È interessante a riguardo anche la lettera del bibliotecario della Vaticana<br />

Dott. Campana scritta il 20.12.1949 al Prof. C. Scaccia Scarafoni in cui, fra l'altro si afferma<br />

a riguardo del Chartarium: «L'ipotesi più probabile mi sembra dunque la più dolorosa,<br />

cioè che il codice di Casamari sia perito con gli altri nel naufragio ». Archivio di<br />

Casamari.<br />

24 F. RONDININI,Monasterii 5. Mariae et 55. [obannis et Pauli de Casae-mario breuis<br />

bistorta, Roma 1707, p. 82.<br />

2S L. DE PERSIIS, La Badia di Casamari, Roma 1878.<br />

26 L. DE PERSIIS, Il Ven. Gioacchino abate florense e le sue reliquie a Casamari,<br />

Alatri 1890, p. 10.<br />

n Il Moroni afferma che nel 1722, in occasione del rinnovamento del pavimento del<br />

coro, fra le altre reliquie, furono rinvenute anche quelle dell'Abate Florense. Ma quelle<br />

del Moroni, si sa, sono notizie di cui ci si può fidare poco. Cfr G.. MORONI,Dizionario<br />

di Erudizione Storico-Ecclesiastica, voll. 109, Venezia 1840-1890, voI. XCIV, p. 100.<br />

28 ACTASANCTORUM, Venezia 1739, tomo VI, die XIX Mai, p. 461.<br />

- 147-


G. B. Shaw (1.856-1950): «L'uomo razionale adatta se stesso al<br />

mondo; l'irrazionale insiste nel cercare di adattare il mondo a se stesso.<br />

Perciò ogni progresso dipende dall'uomo irrazionale» 29. In questo senso<br />

forse Gioacchino fu un irrazionale ...<br />

Ma non si può accettare l'idea che egli sia stato un sovversivo<br />

turbolento. Può bastare a cancellare questa fama immeritata IQ lapidaria<br />

espressione contenuta nel libro «De Concordia », dove il concetto<br />

gioachimita di libertà è quello universale e veramente moderno di<br />

libertà morale, nel rispetto e, ancor più, nell'amore alle leggi:<br />

Ubi timor ibi servitus<br />

Ubi magisterium ibi disciplina<br />

Ubi amor ibi libertas<br />

La sua è stata una ricerca sincera e talvolta dolorosa e drammatica<br />

della verità. Anche noi, come Pascal, ci sentiamo profondamente legati<br />

non tanto a quelli che posseggono la verità ma a quelli che la cercano<br />

in umile ansia e attraverso dubbi, incertezze e dolore - « ceux qui<br />

cherchent en gémissant ». - Perché, in fondo, l'unica cosa che conti<br />

nella vita è l'amore per la verità. « E se ameremo la verità, comparirà<br />

negli scritti e nelle parole nostre una libertà sincera e prudente, un disinteresse<br />

e una calma di pensieri e di affetti, anche allorché ci perseguita<br />

l'errore e il falso ». (Muratori)<br />

A nessuno come a Gioacchino sembra adattarsi questa stupenda riflessione<br />

del grande storico italiano.<br />

P. BENEDETTO FORNARI, O. CISTo<br />

29 The reasonable man adapts himself to the world; the unreasonable one persists in<br />

trying to adapt the world to hirnself. Therefore ali progress depends on the unreasonable<br />

man ». (G. B. Shaw)<br />

- 148-


ApPENDICE<br />

VITA DEL BEATO GIOACCHINO DA FIORE<br />

SCRITTA DA LUCA CAMPANO, MONACO DI CASAMARI<br />

ARCIVESCOVO DI COSENZA<br />

(traduzione dal latino)<br />

lo Luca arcivescovo di Cosenza, nell'anno I del Pontificato di<br />

Lucio II vidi per la prima volta in Casamari un uomo chiamato<br />

Gioacchino, allora abate di Corazzo, monastero fondato da Sambucina<br />

che a sua volta era stata fondata da Casamari. Pertanto egli era trattato a<br />

Casamari con ogni onore e amore quasi fosse un nipote; ma soprattutto<br />

per il dono di sapienza e intelligenza ricevuto dal Signore. Allora dinanzi<br />

al suddetto Papa e alla su corte, egli cominciò subito a rivelare la sua<br />

preparazione nelle Scritture e la sua bravura nel far concordare il Nuovo<br />

col Vecchio Testamento; ricevette il permesso di scrivere e cominciò<br />

subito.<br />

Mi meravigliavo poi che un uomo di tanta fama, cosi efficace nel<br />

parlare, indossasse vesti tanto logore e spregevoli e in parte consumate<br />

dalle cinture: seppi dopo che per tutta la sua vita non si curò mai degli<br />

abiti che indossava. Rimase fedelmente a Casamari quasi un anno e mezzo,<br />

dettando e correggendo ad un tempo il Libro sull'Apocalisse e il Libro<br />

della Concordia. Quivi iniziò anche il Libro del salterio dalle dieci<br />

corde.<br />

Non appena si accorse che io capivo qualcosa e che ero segretario<br />

del mio abate, chiese a questi se poteva servirsi di me come scriba.<br />

E cosi avvenne. Niente infatti l'abate Gerardo gli poteva negare, tanto<br />

fortemente lo amava. Sedendo dunque ai suoi piedi, sia in Casamari<br />

che nella grangia di Sant'Angelo in Monte Corneto, vicino al monastero,<br />

con attenzione ~ umiltà scrivevo in un quaderno quel che egli<br />

dettava e poi correggeva in margine. Erano con me altri due « scriptores»<br />

suoi monaci, Fra Giovanni e Fra Nicola, il primo dei quali fu in<br />

seguito eletto abate e il secondo priore di Corazzo.<br />

Gli servivo anche la Messa, ammirando tutte le sue abitudini.<br />

Infatti quando celebrava alzava più degli altri sacerdoti la mano per<br />

benedire l'ostia, e faceva gli altri segni e le cerimonie con più dignità.<br />

Pur avendo il volto quasi sempre pallido come una foglia secca, al momento<br />

della Messa lo mostrava veramente angelico, come notai e chiaramente<br />

ricordo. Anzi una volta lo vidi piangere nella Messa durante<br />

- 149-


la lettura della passione del Signore. Sentii anche dire da lui che non<br />

provava mai tanto sollievo per tutto l'anno come nei quindici giorni<br />

della passione; tanto che si rattristava quando volgevano a termine. E appunto<br />

per questo forse nel sabbato (in cui si canta il Sitientes) gli fu<br />

concesso di ardere del desiderio di morte e, raggiunto il vero sabbato,<br />

di affrettarsi come cervo alle sorgenti delle acque.<br />

Per ordine del mio abate tenne anche dei sermoni in capitolo sia<br />

nelle feste che nei giorni feriali; e nessuno gli si poteva paragonare.<br />

Anche allora guardavamo il suo volto e ci sembrava che fosse un angelo<br />

a presiedere la nostra assemblea. Infatti iniziava il discorso con voce bassa;<br />

man mano che avanzava imprimeva nelle menti degli ascolttori la<br />

parola di Dio con voce più forte e con vivo affetto, non come un uomo ma<br />

veramente come un angelo. Nessuno si lamentò mai che protraesse<br />

troppo il discorso spirituale, poiché nessuno di noi poteva saziarsi delle<br />

delizie della sua orazione.<br />

Trascorreva tutta la notte pregando e scrivendo e tuttavia si affrettava<br />

al mattutino insieme alla comunità, cantando con umiltà e vegliando,<br />

tanto che non l'ho mai visto dormire nel coro di Casamari. Non<br />

si curava affatto della qualità o della scarsità del cibo o della bevanda, e,<br />

in alcuni giorni non prendeva cibi caldi a mensa. E quando, per errore<br />

de servitori, non gli veniva somministrato il vino, si contentava dell'acqua.<br />

Mi raccontò un giorno che, trovandosi solo in Siria, già monaco, fu<br />

ospitato da una vedova che, guardandolo con occhi impudichi e lascivi,<br />

lo invitava ad crimen. Ma il servo di Dio resistette con sapienza e fortezza.<br />

E poiché era ormai buio ed era impossibile uscire senza pericolo,<br />

mentre la misera se ne andò a dormire egli trascorse tutta la notte vegliando<br />

e pregando. Rifiutato il letto preparatogli dall'ospite si adagiò su<br />

dei fasci di legna, superando così la tentazione. E la mattina seguente,<br />

aperta la porta della casa, se ne andò senza neppure salutare la tentatrice.<br />

Confesso di non aver mai visto un uomo così zelante per la castità:<br />

spronava tutti, per quanto gli era possibile, alla pudicizia e in tutti correggeva<br />

I'impudicizia. Mi riferì il monaco Ranieri, suo fedele amico, di<br />

non aver mai visto un uomo così libero da questo vizio e asseriva che<br />

la stessa cosa riferivano vescovi e molti confratelli.<br />

L'ho visto talvolta in ginocchio, con le mani a terra e gli occhi<br />

rivolti al cielo, in colloquio ardente col Cristo, come se lo mirasse faccia<br />

a faccia. Trascorsi con lui in Pietralata un'intera quaresima durante la<br />

quale, eccetto nei giorni di domenica e nelle feste, si nutriva solo di<br />

pane ed acqua, che del resto assaggiava appena. Giorno e notte scriveva<br />

- 150-


o leggeva o pregava, e quotidianamente celebrava la Messa. Ebbe da<br />

Dio la forza di astenersi dai cibi e dalle bevande; e più si asteneva, più<br />

forte e agile appariva. Fuori del monastero mangiava con gli altri quello<br />

che veniva offerto, con sentimento di gratitudine.<br />

Quando, per suggerimento suo e di Ranieri fui richiesto come abate<br />

dai confratelli di Sambucina, mi scrissero entrambi di accettare senza<br />

esitazione e di non accampare la scusa di essere troppo impacciato e incerto<br />

nel parlare. Ho conservato le loro lettere con il dovuto rispetto.<br />

Eletto abate nella festa di San Clemente, tenni il discorso in Capitolo alla<br />

comunità nella seconda domenica di Avvento, portando in petto quelle<br />

due lettere, perché confidavo più in coloro che le avevano scritte che<br />

nelle mie capacità. Ringraziai il Signore per la scioltezza della mia parola<br />

che ritenni un miracolo da attribuirsi ai meriti di quanti mi avevano fatto<br />

coraggio.<br />

Colpito a Sambucina da una febbre altissima che mi ridusse agli<br />

estremi, egli mi venne a visitare e mi condusse amorevolmente (a San<br />

Giovanni) in Fiore, e vedendomi indebolito per mancanza di appetito,<br />

giacché né potevo né volevo mangiar carne mi portò una pietanza di<br />

cavoli e mi disse: « Mangia tranquillo, mangia cavoli ogni giorno, e bevine<br />

anche il succo, nel nome del Signore ». Dopo pochi giorni tornai<br />

in perfetta salute.<br />

Nel successivo mese di novembre andai con lui a Palermo. E forse<br />

perché si cenava tardi la sera dopo aver digiunato tutto il giorno, durante<br />

la notte soffrivo la sete e bevevo continuamente. Una mattina mi fece<br />

notare che non era secondo le regole bere tanto di notte e mi consigliò<br />

di astenermene confidando nella misericordia di Dio. Accettai il suo<br />

consiglio e da allora non soffro più la sete.<br />

Un venerdì santo mi trovai con lui nel monastero di Santo Spirito<br />

in Palermo quando egli venne chiamato alla reggia per confessare<br />

l'imperatrice Costanza. Egli andò e la trovò in chiesa seduta sul trono.<br />

Si sedette anch'egli dietro invito su una sedia appositamente preparata.<br />

Quando però la regina gli manifestò il desiderio di confessarsi, le disse<br />

con cortesia ma con fermezza: «Giacché io ora rappresento Cristo e tu<br />

la Maddalena penitente, scendi dal trono, inginòcchiati e conféssati<br />

con umiltà, altrimenti non posso ascoltarti ». L'imperatrice scese, si inginocchiò<br />

e, sotto gli sguardi attoniti dei presenti, confessò i suoi peccati,<br />

riconoscendo nell'abate l'autorità apostolica.<br />

Aveva imparato da Cristo la mitezza e l'umiltà. Infatti quando andava<br />

'a Corazzo, il che avveniva spesso, nettava personalmente tutta l'infermeria:<br />

il soffitto prima, poi le pareti e il pavimento, e infine i ripo-<br />

- 151-


stigli più nascosti. Ciò fatto, si preoccupava di preparare i cibi. Nella maniera<br />

più opportuna e sollecita provvedeva in cucina alle necessità dei<br />

malati quasi avesse una speciale predilezione per gli infermi e i deboli.<br />

Dal profondo del cuore compativa non solo i malati ma anche i suoi domestici,<br />

stanchi a volte per il viaggio. Un giorno scese da cavallo e costrinse<br />

il suo servo a salire mentre egli li segui a piedi fin quando quello<br />

non ebbe recuperate le forze.<br />

Nell'inverno in cui morì vi fu anche tale carestia in Sicilia e in<br />

Calabria che molti poveri morivano di fame. Egli con la massima carità<br />

soccorreva tutti quelli che poteva e esortava gli altri a fare altrettanto.<br />

Distribuile sue vesti con tanta compassione che a Cosenza fu visto dormire<br />

col solo scapolare.<br />

Durante l'ottava di Pasqua e di Pentecoste celebrava la Messa ogni<br />

giorno.:e se era costretto ad uscire dal monastero portava con sé i paramenti<br />

e il calice per poter celebrare in qualsiasi chiesa gli fosse possibile.<br />

Diceva infatti che i cristiani non dovevano essere da meno degli ebrei<br />

i quali per sette giorni mangiano il pane azzimo.<br />

Godeva di tale autorità presso i concittadini, quando dava consigli<br />

pratici, che i nobili di Cosenza, in caso di assedio della città, si sentivano<br />

più rassicurati dalla sua presenza che da quella di cento mila soldati<br />

armati.<br />

Nella recita del divino ufficio era cosi scrupoloso che una volta lo<br />

vidi sulla Sila piantare una croce e accendervi attorno dei ceri su candelabri<br />

di legno perché ricorreva una festività. E dinanzi ad essa cantò<br />

con devozione insieme ai confratelli il mattutino e il vespro. Inoltre,<br />

dovunque si trovasse, si preoccupava moltissimo del decoro e della<br />

suppellettile dell'altare. Esigeva dai monaci la stessa totale ubbidienza<br />

alla quale egli stesso si era sottoposto. Correggeva i disubbidienti con<br />

continui richiami fino a che non li avesse indotti all'umiltà di cuore e<br />

alla spontanea sottomissione.<br />

Fu sempre ed ovunque generosissimo con gli ospiti e li onorava<br />

soprattutto a mensa con cortesia e gentilezza. Solo coi parenti era duro<br />

e sgarbato, e li guardava come sconosciuti e non dava loro alcunché<br />

se non sotto pressante richiesta dei domestici e dei confratelli. Nei lavori<br />

pesanti dimostrò una forza incredibile e spesso vi si dedicava volentieri<br />

con gli altri confratelli. Per questa robustezza di corpo non SI curava<br />

del freddo, del caldo, della fame e della sete.<br />

- 152-<br />

P. BENEDETTO FORNARI


CRONACA<br />

1. CERTOSA DI FIRENZE - 1-2 Luglio<br />

I nostri lettori furono informati nel numero precedente della nostra<br />

Rivista del Convegno sul «Monachesimo e mondo d'oggi» che si<br />

sarebbe tenuto in Certosa nei primi due giorni di luglio.<br />

II convegno ebbe regolare svolgimento. Le Relazioni del P. Calati<br />

del P. Zakar e di Bianchi misero a fuoco la complessa problematica<br />

monastica con una competenza veramente encomiabile. Altrettanto interessanti<br />

furono gli interventi che ne seguirono.<br />

Ci eravamo impegnati a pubblicare gli atti del Convegno in questo<br />

numero della Rivista, ma difficoltà redazionali non ci hanno permesso<br />

di attuare per il momento la promessa.<br />

I lettori ci sappiano comprendere e non appena sarà possibile offriremo<br />

loro le relazioni e gli interventi successivi.<br />

(N. d. R.)<br />

2. CONGREGAZIONE DI SAN BERNARDO IN ITALIA<br />

Capitolo Generale .<br />

DallO al 14 luglio si è tenuto a Roma presso l'Abbazia di Santa<br />

Croce in Gerusalemme il Capitolo ordinario della Congregazione Cistercense<br />

di San Bernardo. .<br />

Questo Capitolo che seguiva a soli 20 mesi quello straordinario<br />

dell'aggiornamento, non aveva sul tappeto molte questioni da trattare;<br />

doveva piuttosto verificare il rodaggio delle nuove norme che la Congregazione<br />

si era date. Tuttavia i 15 Padri Capitolari - assenti solo i rappresentanti<br />

del monastero brasiliano - si sono trovati intensamente<br />

impegnati per cinque giorni.<br />

Il primo giorno - nell'unica sessione - il discorso di apertura<br />

del Padre Abate Presidente, ed altre formalità di rito dettero il via<br />

ai lavori del Capitolo.<br />

Il secondo giorno era dedicato ad un attento esame dei resoconti<br />

amministrativi. Anche l'aspetto economico è un elemento molto importante<br />

per la vita di un monastero.<br />

- 153


Il terzo giorno fu occupato dalle « relazioni ». L'abate Presidente<br />

presentava un quadro ben dettagliato della vita della Congregazione:<br />

le luci e le ombre che hanno maggiormente caratterizzato l'ultimo sessennio.<br />

A questa relazione generale sullo stato della Congregazione<br />

faceva seguire una breve relazione su ogni singolo monastero, che a<br />

sua volta veniva ulteriormente illustrata e integrata dal rispettivo<br />

Superiore.<br />

Così tutti i Capitolari hanno avuto un quadro completo ed esauriente<br />

della vita e dell'attività di tutta la Congregazione.<br />

Il quarto giorno passò nell'esame di alcune proposte presentate<br />

e nelle soluzioni di alcune questioni pendenti. Non mancò, come non<br />

poteva mancare, il problema delle vocazioni<br />

Elezione del nuovo Abate Preside<br />

Terminati così tutti i lavori del Capitolo, nel quinto ed ultimo<br />

giorno si è proceduto al rinnovamento delle cariche che hanno una<br />

rotazione di sei anni. Mentre quasi tutti i Superiori sono stati riconfermati<br />

per altri sei anni, a presiedere alla Congregazione è stato eletto<br />

Don Goffredo Venuta.<br />

Il neo-eletto, che succede a Don Giovanni Rosavini, abate di<br />

Chiaravalle Milanese, è nato a Luogosano (Avellino) il 7 maggio del<br />

1925. È stato quindi alunno del Seminario minore Cistercense di<br />

San Severino Marche, novizio a Foce di Amelia (Tr), dove 1'11 agosto<br />

1942 si consacrava a Dio con la Professione monastica.<br />

A Roma nell'abbazia di Santa Croce in Gerusalemme completava la<br />

maturità classica. Quindi al Sant' Anselmo dei PP. Benedettini frequentava<br />

i corsi di filosofia e teologia, ed il 2 aprile 1949 riceveva l'Ordinazione<br />

Sacerdotale. L'anno seguente coronava con la laurea gli studi<br />

teologici. Iniziato lo studio del diritto presso il Laterano, nel 1955 conseguiva<br />

la laurea in « utroque iure » summa cum laude.<br />

Da molti anni ricopre importanti cariche nella nostra Congregazione<br />

e l'ufficio di giudice per le cause matrimoniali presso il Vicariato<br />

di Roma.<br />

Quasi a coronamento di un generoso servizio alla nostra Congregazione<br />

e alla Chiesa di Dio, il 14 luglio scorso il Capitolo lo chiamava<br />

alla guida della Congregazione.<br />

Al nuovo Abate Preside gli auguri filiali di tutta la famiglia Cistercense.<br />

Dalla Ciribiciaccola, 4 (1972) nn. 2-4, 11-12<br />

- 154-


3. CERTOSA DI FIRENZE<br />

Al Pro]. Guido Marazzi riconoscimento degli «Amici della Certosa»<br />

Mercoledì sera 19 luglio il gruppo «Amici della Certosa», in<br />

collaborazione con la comunità monastica cistercense, ha organizzato<br />

una simpatica manifestazione per onorare il Prof. Arch. Guido Morozzi,<br />

Soprintendente ai Monumenti per le province di Firenze e Pistoia. Al Morozzi<br />

è stata offerta, a testimonianza di stima e di apprezzamento per<br />

la sagace e appassionata opera di restauro alla Certosa e a tanti complessi<br />

fiorentini, una artistica targa in argento che riproduce nelle<br />

linee essenziali il famoso cenobio fondato da Niccolò Acciaiuoli nel<br />

secolo XIV. La cerimonia si è svolta in un clima di franca cordialità<br />

e di leale amicizia nei locali, recentissimamente restaurati, siti al piano<br />

superiore del « Palazzo del Papa ».<br />

Visibilmente felice e quasi commosso, il Prof. Morozzi ha ringraziato<br />

per la spontanea e inattesa attestazione di simpatia; ha affermato,<br />

con molta modestia, che il merito di quanto si è fatto a Firenze in<br />

questi ultimi anni va diviso in parti uguali tra i suoi collaboratori<br />

della Soprintendenza e le validissime maestranze fiorentine, per nulla<br />

inferiori a quelle dei secoli d'oro; ha puntualizzato gli ostacoli che spesso,<br />

per varie cause e in vari frangenti, si frappongono alla sua opera che<br />

egli considera un « servizio» reso alla sua città; si è detto tranquillo<br />

e conscio di aver lavorato sempre e solo per il bene di Firenze; e infine<br />

ha voluto gentilmente ringraziare i monaci cistercensi per la collaborazione<br />

da essi offerta nel ripristino della Certosa del Galluzzo.<br />

Il Prof. Procacci, già Soprintendente alle Gallerie e ai Monumenti,<br />

ha rievocato con soddisfazione le tante battaglie combattute assieme con<br />

l'amico Morozzi; ne ha esaltati i meriti di modestia e di intelligenza, la<br />

squisita sensibilità artistica e la costanza nel rivalorizzare tanti monumenti<br />

fiorentini deturpati dal tempo o dalla mano improvvida dell'uomo.<br />

Il sindaco di Firenze, Avv. Luciano Bausi, dopo aver espresso<br />

il compiacimento suo personale, ha portato al Prof. Morozzi il plauso<br />

e il ringraziamento della cittadinanza. Egli ha detto inoltre che nel<br />

prossimo autunno sarà programmato dal Comune di Firenze un itinerario<br />

turistico giovanile di massa, per sensibilizzare sempre più e sempre<br />

meglio il mondo dei giovani e dei giovanissimi, studenti e non studenti,<br />

alle innumerevoli ricchezze artistiche e culturali di Firenze, che<br />

devono diventare patrimonio intimo, spirituale, di ogni singolo cittadino.<br />

- 155-


Partecipando a questo itinerario tunstico giovanile, in cui è compresa<br />

anche la Certosa, si avrà la gradita sorpresa di ammirare capolavori meravigliosi<br />

dimenticati per secoli, solo ora tornati a nuova vita per la<br />

solerzia dell'Arch. Morozzi.<br />

Il Padre Priore della Certosa, con parole molto dense e appropriate<br />

ha ringraziato l'Arch. Morozzi per quanto ha fatto alla Certosa.<br />

Ha aggiunto poi che per rendere vivo un Monumento, il ripristino della<br />

sua architettura è condizione indispensabile, ma non è condizione<br />

sufficiente: è necessario che anche coloro che vi abitano operino in<br />

maniera viva. Dopo i grandi restauri durati oltre quindici anni, la<br />

comunità dei monaci cistercensi e la comunità laica degli « Amici della<br />

Certosa» devono, ora, lavorare con generosità d'animo e con unità<br />

d'intenti, per far sì che la Certosa torni come la voleva l'Acciaiuoli<br />

e come già fu, un polo di richiamo e di interesse per la vita spirituale<br />

di Firenze in questo ultimo scorcio del secolo ventesimo.<br />

Dopo i brevi ma cordialissimi interventi dell'Avv. Lorenzo Cavini,<br />

Presidente della Cassa di Risparmio, e dell'Avv. Raffaello Torricelli,<br />

già Presidente dell'Azienda Autonoma di Turismo, l'« amico»<br />

Renzo Berti ha sintetizzato per le numerose personalità presenti, la<br />

fisionomia della comunità laica denominata « Amici della Certosa », ne<br />

ha tratteggiate le finalità, ed ha fatto appello a tutti coloro che in un<br />

modo o nell'altro han voce in capitolo, affinché il gruppo degli « Amici »<br />

non vada deluso nelle sue attese, ma abbia modo di soddisfare, tra le<br />

mura ospitali della Certosa, le profonde esigenze di vita spirituale che<br />

ogni membro avverte in sé.<br />

La serata si è chiusa con il breve intervento di un monaco cistercense<br />

che si è richiamato ad un convegno organizzato dagli « Amici »<br />

nel giugno 1971 su « I valori spirituali che Firenze deve salvare ». Ecco,<br />

i valori spirituali che Firenze oggi deve salvare, egli ha detto, sono i<br />

monumenti come la Certosa, sono tante altre opere dello spirito che formano<br />

il patrimonio prezioso di un popolo. Firenze deve salvare i<br />

suoi figli più intelligenti, e sono tanti anche oggi. Forse nel secolo decimoquinto,<br />

di Brunellesco a Firenze ce n'era uno solo; forse nel 1972 ce<br />

n'è più d'uno. Questi sono i valori spirituali che Firenze deve salvare.<br />

- 156-


4. MONASTERO DI ASMARA<br />

Ordinazione sacerdotale di tre giovani cistercensi in Asmara<br />

Il 23 luglio 1972, Sua Beatitudine Mons. Abraha François Eparca<br />

di Asmara, ha conferito nella cattedrale di Kidane Mehret, il presbiterato<br />

a tre giovani cistercensi: Abba Luigi Keflu, Abba Tomas Lariebo,<br />

Abba Rafael Woldeghiorghis.<br />

In un primo momento si era pensato che l'ordinazione venisse<br />

fatta nella chiesa del monastero cistercense. Si è giustamente considerato<br />

che la nostra chiesina non poteva contenere tutto quel pubblico<br />

che ha assistito alla sacra funzione.<br />

Diamo alcuni cenni biografici dei Novelli Sacerdoti:<br />

Abba Luigi Keflu: al secolo Bereketeab, nacque in Berakit Abbai<br />

(Akeleguzai) nel 1942, ultimogenito di una numerosa prole del Barambaras<br />

Keflu e della signora Wolette Ghiorghis.<br />

I genitori avevano sempre desiderato avere un figlio sacerdote.<br />

Il piccolo Bereket frequentava assieme al cugino Abraham (anche egli<br />

sacerdote cistercense) la scuola del pio parroco Abba Mahreteab Mosazghi.<br />

Intanto si era a conoscenza che parecchi ragazzi di Berakit entravano<br />

nel seminario dei cistercensi di Asmara. Il vegliardo Barambaras<br />

si dette da fare presso Abba Mateos Hagos, rettore del Seminario monastico<br />

« San Benedetto» di Asmara, affinché suo figlio venisse accolto<br />

tra i candidati alla vita monastica.<br />

La brama del genitore fu premiata dall'accettazione del candidato,<br />

era il 16 dicembre del 1957. Da quel giorno in poi, Bereketeab non desistette<br />

dal suo ideale di divenire ministro di Dio. Nel luglio del 1964<br />

assunse l'abito monastico col nome di Don Luigi Maria. Oggi, è sacerdote<br />

di Cristo nell'Ordine Cistercense.<br />

Abba Tomas Lariebo: al secolo Yohannes, nacque nel 1947 a Weghebeta,<br />

nel Cambatà (Scioa). In tenera età perdette i genitori e trasferitosi<br />

nel villaggio di Berabbiccio, un suo zio materno si assunse la responsabilità<br />

di educarlo cristianamente per cui dopo un po' di tempo<br />

lo portò a Waserà, centro importante della comunità cattolica del Cambatà.<br />

Ivi trascorreva le sue giornate frequentando la scuola della parrocchia<br />

ed aiutando i parenti nelle ore libere. Illuminato dalla predicazione<br />

del monaco Abba Amanuel Hankore, cistercense del monastero<br />

di Mendida, il piccolo Tomas espresse il desiderio di farsi religioso.<br />

Nel 1957 entrò nel seminario monastico. Durante la sua permanenza a<br />

Mendida, apprese con molto profitto il ghe'ez e rivelò sempre grande<br />

- 157-


interesse per la tradizione etiopica. Per la sua spiccata erudizione nella<br />

lingua ghe'ez si è disimpegnato anche come insegnante della medesima<br />

lingua compilando una dispensa ricca di principi grammaticali e di<br />

esercizr.<br />

Abba Rajael Woldeghiorghis: al secolo Woldetensaè, nacque a<br />

Beghedamo presso Waserà nel 1942. Proviene da una famiglia ortodossa.<br />

Verso i 14 anni di età divenne cattolico, e terminate le classi<br />

elementari entrò a Mendida nell'ottobre del 1958.Attese con pazienza<br />

agli studi pur di raggiungere l'ideale tanto bramato: divenire monaco,<br />

sacerdote dell'Ordine Cistercense.<br />

Da ragazzo, quando era illetterato, aveva una grande aspirazione<br />

di divenire catechista. Il Signore però lo destinava ad una missione più<br />

alta: ministro di Dio.<br />

Oggi, il numero dei sacerdoti cistercensi di rito etiopico è salito<br />

a 29, mentre il numero complessivo di tutti i professi e novizi è<br />

di 56 membri.<br />

La funzione dell'Ordinazione<br />

Nella mattinata del 23 luglio scorso, i fedeli cattolici di Asmara<br />

hanno assistito ad una sensazionale funzione nella cattedrale cattolica<br />

di rito etiopico. Sua Beatitudine, preceduto da un lungo corteo di alunni,<br />

monaci e sacerdoti cistercensi, alle 6,30 si è appressato ai piedi della<br />

balaustra della cattedrale, dove, per un quarto d'ora assieme al clero ed<br />

ai fedeli ha cantato la preghiera liturgica « per l'imperatore ». Oggi, difatti,<br />

riccore l'ottantesimo genetliaco di S. M. l'imperatore Haile Sellasie<br />

l.<br />

Alle 6,45 è iniziata la Messa cantata. Dopo il canto della dossologia<br />

(Uno è il Padre Santo...) i diaconi Abba Luigi, Abba Tomas, Abba<br />

Rafael sono stati presentati al vescovo. Fino alla liturgia eucaristica<br />

(anafora) hanno espletato il loro ministero diaconale. Poi ha avuto<br />

luogo la sacra Ordinazione. I fedeli sono stati entusiasti in grado superlativo.<br />

È per la prima volta, dopo la ricostruzione della cattedrale,<br />

che la popolazione cattolica di Asmara diviene testimone di una funzione<br />

del genere, in detta Chiesa. Il numero dei ministri (18 in tutto), i variopinti<br />

colori dei paramenti e l'ordinata esecuzione del rito ha reso imponente<br />

ed attraente la sacra Ordinazione.<br />

Dopo il vangelo, Sua Beatitudine, ha detto toccanti parole intorno<br />

alla ricorrenza del genetliaco del Sovrano ed al ministero sacerdotale<br />

di cui i tre giovani monaci sono stati rivestiti.<br />

- 158-


L'Eparca, dopo l'Ordinazione ha concelebrato assieme ai tre. Alla<br />

Santa Comunione, distribuita sotto le due specie dai nuovi leviti, si è<br />

appressato un ingente numero di fedeli. La distribuzione di Gesù Sacramentato<br />

è durata per una buona mezz'ora. Al sacro rito sono seguiti i<br />

baci dei crocifissi, porti dai novelli sacerdoti allo stragrande pubblico<br />

in Chiesa. Nel contempo sono state distribuite le immaginette ricordo.<br />

La ~acra funzione è terminata alle IO passate. I religiosi <strong>Cistercensi</strong><br />

si sono affrettati a ritornare in monastero, dove tanta gente li ha<br />

seguiti per dare calorose congratulazioni. Molti hanno portato doni.<br />

La comunità a sua volta è stata delicata e generosa nell'ospitalità.<br />

A pranzo, sono state lette lettere di felicitazioni, eseguiti canti religiosi<br />

e danze dal tono liturgico. I novelli sacerdoti sono particolarmente<br />

rimasti contenti per i telegrammi di S. Beatitudine Mons. Sebhatleab<br />

Worku, Vescovo di Addigrat, del Rev.mo P. Abate Preside Nivardo<br />

Buttarazzi e della Comunità di Casamari, dei Rev.mi P. Samuele Asghedom<br />

e . Timoteo Tesemma rispettivamente Rettore e Direttore Spirituale<br />

del Pontificio Collegio Etiopico in Vaticano. Hanno ricevuto anche<br />

il telegramma del gruppo « Amici della Certosa» di Firenze.<br />

I nostri tre Padri hanno trasalito di gioia quando hanno ricevuto<br />

un telegramma (con un po' di ritardo) dal Santo Padre, Paolo VI, tramite<br />

il Cardinale Villot e per sollecitudine del Rev.mo P. Gregorio Battista,<br />

Abate Procuratore dell'Ordine Cistercense.<br />

5. ABBAZIA DI CASAMARI<br />

Il 12 agosto il nostro confratello P. Arcangelo Campoli, dopo essersi<br />

licenziato in Sacra Teologia alla Pontificia Università San Tommaso<br />

a Roma, ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale da S. Eccellenza Costantino<br />

Caminada, Vescovo di Ferentino.<br />

Il primo settembre P. Arcangelo ha accolto l'invito del P. Priore e<br />

comunità della Certosa di Firenze ed ha presieduto la Concelebrazione<br />

con i Padri della Certosa. Erano presenti anche il pruppo degli « Amici<br />

della Certosa ». Dopo la celebrazione eucaristica tutti i presenti<br />

hanno partecipato con il neo-sacerdote al convito offerto dai Padri<br />

A P. Arcangelo i più sinceri auguri di « Notizie <strong>Cistercensi</strong>» affinché<br />

il Signore gli conceda il coraggio necessario per la difficile<br />

missione sacerdotale e affinché l'entusiasmo di questi giorni possa accompagnarlo<br />

sempre.<br />

- 159-


6. ATTUALITÀ CATTOLICHE DI ASMARA<br />

172 Cresime<br />

Il 22 agosto 1972 si celebra in tutta l'Etiopia la festa dell'Assunzione<br />

della Vergine Santissima. In Asmara, la festa dell'Assunta apporta<br />

tanta gioia spirituale per molte famiglie: il 22 agosto da anni<br />

è diventato il giorno delle prime Comunioni e delle Cresime. Questa<br />

volta, Sua Beatitudine Mons. Abraha François, Eparca di Asmara,<br />

ha cresimato 172 bambini. Di questi bambini un centinaio ha avuto la<br />

sua preparazione nell'ambiente della Cattedrale cattolica di rito etiopico;<br />

37 presso i monaci <strong>Cistercensi</strong>; 20 presso i Lazzaristi; i rimanenti<br />

presso altri Istituti.<br />

La festa di San Bernardo Abate<br />

In Asmara la festa di San Bernardo si suole trasferirla alla domenica<br />

dopo l'Assunta. Quest'anno, la festa è caduta il 27 agosto. I Vespri, i<br />

Notturni, la Messa Solenne e la processione hanno destato tanta attenzione<br />

presso la popolazione asmarina. Due potenti microfoni hanno contribuito<br />

a rendere sensazionale la festa.<br />

La processione col Santissimo si è snodata fino alla Chiesa di<br />

San Giuseppe presso il cui portale è stato cantato il « Tamtum Ergo»<br />

ed impartita la benedizione. Tornati nell'ambiente monastico, al piazzale<br />

antistante la chiesa, P. Stefano Kidanè, facente funzione di Superiore<br />

del monastero ha tessuto l'elogio del Santo. Ha esortato con enfasi i fedeli<br />

all'imitazione di San Bernardo nella fedeltà ai propri doveri cristiani.<br />

Un' gesto di solidarietà cristiana<br />

In Asmara, c'è un'Associazione di giovani eritree che porta l'appellativo<br />

di « Figlie di Maria Assunta ». Esse si radunano ogni domenica<br />

nella « Scuola San Bernardo» per approfondirsi in temi di fede.<br />

Ogni anno erano solite radunarsi a mensa per consumare assieme il pranzo<br />

in segno del loro vincolo di fraternità. Questa volta hanno dimostrato<br />

un gesto più sinceramente cristiano. Il pranzo si è cambiato in semplice<br />

rinfresco. I soldi che avevano raccolto da tempo, li hanno devoluti<br />

per medicinali ad infermi nullatenenti.<br />

- 160-


A venti anni di distanza) salito a 35 il numero delle Orsoline etiopiche<br />

Il 24 agosto, 5 giovani etiopiche orsoline hanno fatto la professione<br />

temporanea in Addis Alem (Asmara) nelle mani della Madre Delegata<br />

Suor A. TomaseIli. Il giorno seguente, 25 agosto, altre 5 suore etiopiche<br />

della medesima Congregazione nella loro medesima chiesa di Addis<br />

Alem hanno emesso i voti perpetui davanti a Madre TomaseIli. Attualmente<br />

le suore etiopiche orsoline sono 35.<br />

Suor Adleide Tomaselli muore dopo 32 anni di apostolato in Asmara<br />

Il 29 agosto è scomparsa la Rev.ma Madre Superiora delle Orsoline<br />

di Asmara, Suor Ad1eide Tomaselli. Aveva 69 anni. Gli ultimi<br />

32 anni della sua esistenza li ha passati in Asmara. L'autore di questa<br />

cronaca ha conversato con lei 5 giorni prima della sua morte. Sono rimasto<br />

impressionato per l'entusiasmo che essa nutriva a riguardo delle<br />

vocazioni del luogo. Notizie spigolate dopo la sua morte, sottolineano<br />

la sua grande affabilità ed il suo intenso spirito di dedizione.<br />

I funerali hanno avuto luogo il lO settembre 1972.<br />

P. Benedetto W oldegaber, Cistercense etiopico<br />

- 161-


Dal Vietnam-Sud<br />

CHAU - THÙY<br />

IL NUOVO MONASTERO CISTERCENSE NEL CUORE<br />

DEL TERRITORIO NON CRISTIANO<br />

Nel 1550, il cuore dei Vietnarniti si apre, per la prima volta, all'annuncio<br />

del Mistero della Salvezza, dopo di che il loro sangue incomincia<br />

a scorrere. Dal 1645 sono giustiziati i cristiani; altri nel 1665; e ciò<br />

continua nel corso del XVIII e XIX secolo: in questi periodi la<br />

storia religiosa vietnamita è costellata di esecuzioni capitali e di torture.<br />

Migliaia di cristiani hanno pagato con la propria testa le vittorie<br />

dell' espansione della Buona Novella evangelica.<br />

Ma il sangue dei martiri non è che una sorgente di Grazia. Infatti<br />

la schiera dei neofiti si accresce in continuità:<br />

310.000 fedeli nel 1800 con 20 preti europei - 110 preti indigeni;<br />

420.000 fedeli nel 1840 con 24 preti europei - 144 preti indigeni;<br />

708.000 fedeli nel 1890 con 270 preti europei - 398 preti indigeni 1<br />

Attualmente la Chiesa vietnamita conta quasi 2000 preti indigeni<br />

per tre milioni di cattolici suddivisi in 27 diocesi. Le conversioni continuano<br />

a fiorire e le vocazioni si moltiplicano nei conventi dei vari Ordini<br />

religiosi sia femminili che maschili. La presenza della guerra non ha contribuito<br />

che a purificare la fede e sovente ha condotto alla donazione dei<br />

fedeli al Signore. Di qui, la necessità di nuove case religiose in quelle<br />

zone dove la messe non dispone ancora di operai e dove la testimonianza<br />

al Vangelo deve costituire il pane quotidiano dei credenti in<br />

Cristo. Questa esigenza non comporta soltanto l'impegno degli istituti<br />

religiosi votati all'attività apostolica, ma pure di quelli orientati verso la<br />

vita contemplativa. Il Concilio Vat. II ha evidenziato tale urgenza là<br />

dove parla dell'attività missionaria della Chiesa nel decreto « Ad Gentes<br />

», n. 40:<br />

«Gli Istituti di vita contemplativa, a motivo delle loro preghiere,<br />

delle loro pratiche penitenziali, e delle loro sofferenze, assumono<br />

I Cfr PIERO GHEDDO, Cattolici e Buddisti nel Vietnam, Vallecchi Ed., Firenze 1968.<br />

Una pubblicazione assai imparziale ed interessante con una documentazione imponente ed<br />

una bibliografia importante sul Vietnam. Cfr anche il numero speciale di «Missi »,<br />

n. 319, aprile 1968.<br />

- 162-


una importanza assai grande nel1a conversione delle anime. Tali Istituti<br />

sono invitati a fondare delle case religiose nei territori missionari, affinché,<br />

conducendo in queste residenze la loro vita in forma congeniale<br />

alle tradizioni religiose autentiche di quelle popolazioni, essi rendano<br />

fra i non-cristiani una testimonianza della sovranità e della carità di Dio<br />

e della unità con Cristo ».<br />

La Comunità di Chàu-son 2, essendo situata nel cuore della Chiesa<br />

vietnamita, e pienamente cosciente di quest-a necessità missionaria, ha<br />

in animo, già da parecchi anni, di dare vita ad una fiHale.<br />

È giunto il momento. Il 6 marzo dello scorso anno, i monaci si sono<br />

riuniti, sotto la presidenza del loro Rev.mo P. Abate, Don Etienne Trànngoc-Hoàng,<br />

per scambiarsi il loro punto di vista. La maggioranza che<br />

ha vissuto le direttive del Concilio ed ha seguito assiduamente le vicende<br />

della Chiesa vietnamita e quelle della loro Congregazione della Sacra<br />

Famiglia, ha rilevato che, nell'attuale momento, una filiale costituirebbe<br />

un punto di lancio per un rinnovamento e per una rifioritura della vita<br />

religiosa. Nel momento presente « rinnovarsi» nel Vietnam, come altrove,<br />

significa far ritorno alla sorgente della vita cristiana integrale: l'Evangelo.<br />

Una comunità di una dozzina di monaci che vivano la vita semplice<br />

dei primi cristiani a Gerusalemme, è sommamente desiderabile.<br />

Essa farebbe quanto faceva la primitiva: «assidua all'insegnamento<br />

degli apostoli, fedele convivenza fraterna alla comunione eucaristica ed<br />

alle preghiere comunitarie ». (Cfr Atti 1-42-46). La Chiesa, tramite<br />

la voce del Papa, non chiede che questo. Nella lettera dell'8 dicembre<br />

1968 indirizzata a Don Ignazio Gillet, Abate Generale dei <strong>Cistercensi</strong> Riformati,<br />

Paolo VI scrive:<br />

« La Chiesa non pensa affatto di imporvi di uscire dai vostri monasteri<br />

per dedicarvi all'assistenza dei vostri contemporanei, bensì intende<br />

di affidarviil compito di essere loro presenti in un modo più intimo,<br />

cioè a intendere secondo il Cuore di Cristo. (Cfr Costo Lumen Gentium,<br />

46). Infatti oggi più che mai essa si augura che voi partecipiate alle<br />

gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angoscie degli uomini del<br />

2 Originaria della Diocesi di Phàt-Dièm, nel Vietnam del Nord, questa Comunità<br />

è sorta nel 1935 a Phuòc-son, primo monastero cistercense fondato nel 1918 dal R. P. Enrico<br />

Denis, M. E. P. Attraverso le vicende della natura e della guerra, è riuscita a diffondersi<br />

a tal punto che nel 1945 ha donato alla Chiesa del Vietnam un vescovo nella<br />

persona del suo Superiore, Mons. Anselmo Lè-huu-Tù, vescovo di Phàt-Dièm. Nel 1953, a<br />

motivo del conflitto ideologico, i monaci dovettero sgomberare la zona comunista e dirigersi<br />

verso il Sud; dopo il 1957, si insediarono a Don-Duong, nel Vicariato Apostolico<br />

di Dalat, a 300 km. a Nord di Saigòn. Chi desidera avere un'idea generale circa i nostri<br />

monasteri del Vietnam, ed in particolare quello di Chàu-son, può leggere: Missioni<br />

Estere, di Parigi, n. 135 (sett-ott. 1964, pp. 33-38); STEFANOHOÀNG,ABATE,La vita monastica<br />

nel nostro monastero di Cbàu-son in Notizie <strong>Cistercensi</strong>, n. 3 (maggio-giugno 1970,<br />

pp. 148-153). Una documentazione importante sarà pubblicata prossimamente.<br />

- 163-


nostro tempo. (Cfr Decr. Gaudium et Spes, 1). Essa desidera che, per<br />

niente estranei alla vita e alle realtà che vi circondano, ma anzi consci<br />

delle aspirazioni e dei drammi del mondo moderno e delle grandi cause<br />

della Chiesa, vi prendiate a cuore tali nobili intenzioni» 3.<br />

Il monastero figura dunque agli occhi del Papa come un centro di<br />

preghiera dove il meglio e il peggio di questo mondo si mescola e si<br />

trasforma, in virtù della preghiera dei monaci, in un incenso profumato<br />

che sale al Signore in odore di soavità; in tal modo il monaco resta,<br />

in forza della sua fede, unito a Dio ed ai suoi fratelli, che spartiscono<br />

con lui le loro gioie e le loro amarezze.<br />

Orbene un tale centro di preghiera non esiste, nel Sud-Vietnam, che<br />

in maniera molto modesta. I nostri monaci cistercensi non dispongono<br />

che di quattro case dislocate in quattro diocesi differenti. I vescovi manifestano<br />

spesso il loro desiderio di vederli inseriti nelle loro diocesi;<br />

noi stessi abbiamo constatato più d'una volta che la nostra azione missionaria<br />

non è esaurita perché il campo del Signore è immenso. Per di<br />

più la tremenda guerra, che dura da più di un trentennio, è causa per i<br />

nostri fratelli più di amarezza e di angoscie che di gioie e di speranze.<br />

Per questo motivo, non appena si verificheranno le condizioni sufficienti<br />

che consentano la stabilità della Comunità, il nostro monastero<br />

di Chàu-son sogna di realizzare immediatamente la propria missione nel<br />

cuore della Chiesa vietnamita. Risulta, dalla prima votazione del 6 marzo<br />

1971, che oltre tre quarti dei monaci votanti nutre il desiderio di portare<br />

la testimonianza della loro vita nascosta in un altra regione; il<br />

loro cuore è fortemente amareggiato per il motivo che non è ancora stato<br />

raggiunto in pieno lo scopo della loro Congregazione.<br />

Nel 1918 il R. P. Enrico Denis, dando I'avvìo a questa vita cistercense,<br />

aveva proposto ai religiosi questo traguardo: «Tendere alla perfezione<br />

con la pratica dei consigli evangelici e le pratiche conformi alla<br />

vita contemplativa. Lavorare con la preghiera e la penitenza, per la conversione<br />

degli infedeli » 4.<br />

Orbene, il numero dei non-cristiani nel Vietnam supera lO volte<br />

quello dei cristiani (3 milioni di cattolici su 30 milioni di abitanti!).<br />

Pienamente cosciente di questo divario, la Comuntà di Chàu-son si è<br />

riunita a consiglio per la seconda volta il 20 marzo dello stesso anno per<br />

eleggere colui che sarà al governo della Fondazione. I voti si concen-<br />

3 Trad. dall'originale testo latino.<br />

4 Inform. su « Nostra Signora d'Annam », 1921, p. 1. Cfr « Constitutiones Religiosorum<br />

Nostrae Dominae » (1924), p. 1. Questi due documenti sono inediti e si trovano<br />

negli Archivi del vescovo di Huè. Si confrontino pure «Constitutiones Congregations Religiosorum<br />

Nostrae Dominae» (1926-1927) p. 1 negli Archivi dell'Abbazia di Lérins,<br />

Francia.<br />

- 164-


trarono sulla persona del R. P. Jean Berchmans Nguyen-van-Thao, Direttore<br />

del Tirocinio. Questo Padre è ben meritevole d'essere eletto Fondatore<br />

del nuovo futuro monastero, perché egli ha già più volte coperto<br />

lodevolmente l'incarico di priore ed altre mansioni; d'altronde i suoi<br />

capelli brizzolati dimostrano ch'egli è anziano quanto ad esperienza, ma<br />

ancora sufficientemente giovanile per far fronte alle esigenze del mondo<br />

moderno. Commosso per la fiducia dimostratagli dai confratelli, .ed abbandonandosi<br />

alla Provvidenza Divina, il Padre accettò il suo nuovo incarico<br />

con cuore aperto fra lunghi app1ausi dei monaci.<br />

Alcuni giorni dopo la sua elezione, il Fondatore si mise in viaggio,<br />

accompagnato da un padre e da due fratelli, scelti con speciale deliberazione<br />

dal Rev.mo P. Abate, alla ricerca di una località adatta alla Fondazione.<br />

Percorrendo le varie zone del Vietnam del Sud, si fermarono infine<br />

a Lang-Gòn, un villaggio posto a 7 km. dalla città di Binh- Tuy e<br />

dalla costa del Pacifico, non molto lungi dalla strada nazionale n. 1<br />

a 168 km. a Nord-Est di Sàigon ed a 910 km. a Sud-Est di Huè.<br />

La località che hanno scelta è situata in un cono di foresta vergine<br />

circondato dal fiume Dinh e da due piccole montagne: Nùi-Dàt e<br />

Nùi-Nhon. Dal che deriva la denominazione che sarà assunta dalla futura<br />

famiglia monastica: « Chàu-Thùy » (monte e acqua). Questo nome ricorda<br />

anche quello proprio della Comunità-madre: Chàu-Son (monte del<br />

rubino). Ecco perché vengono preferibilmente scelte queste località<br />

forestali:<br />

1) Anzitutto la vita monastica che i monaci si apprestano ad affrontare<br />

è basata sulla regola di San Benedetto. Ora, questa regola è<br />

scritta per dei monaci cenobiti, cioè per quelli che vivono in comunità<br />

al servizio del Signore: « Dominici schola servitii » (Reg. Ben., Prol.).<br />

Tale servizio è innanzi tutto un servizio d'amore, e questa vita è una vita<br />

di contemplazione. Il luogo viene dunque scelto in funzione della vita<br />

contemplativa:' solitudine (7 km. dalla periferia della città), pace e<br />

bellezza della natura {montagne, ruscelli serpeggianti attraverso la foresta,<br />

temperatura marittima variante da 1 a 30 gradi) ecc. S'intende che<br />

tutto questo complesso di fattori rende questi luoghi quanto mai<br />

confacenti alla vita monastica. Inoltre l'abbondanza dell'acqua e la fertilità<br />

della terra promettono alle fatiche dei monaci dei pingui raccolti!<br />

2) Inoltre una testimonianza vivente del Vangelo è ben necessaria<br />

in queste località: la popolazione che vi abita proviene da varie regioni<br />

del Vietnam. Fra essa vi sono molti emigrati che versano in una estrema<br />

indigenza. Si vedono delle famiglie smembrate i cui bambini sono<br />

mentalmente minorati per mancanza di amore paterno e materno.<br />

- 165-


Frequentemente accade che altri debbano campare alla giornata perché i<br />

loro genitori si trovano a convivere quando hanno già un carattere troppo<br />

differenziato l'uno dall'altra, per il motivo che sono oriundi da due<br />

regioni troppo distanti (l'uomo dal Nord, la donna dal Sud) o perché<br />

appartengono a due diverse razze: vi sono infatti famiglie cambogianovietnamite;<br />

vietnamito-laotiane, o addirittura di razza cinese o meticcia<br />

ecc.; a questi coniugi in difetto di mezzi materiali e di una educazione adeguata,<br />

è venuta meno la libertà nella scelta 'della comparte. Inoltre<br />

l'estrema povertà comporta la debolezza cronica per gli adulti e le malattie<br />

da ascaride o da tenia per i bambini. In queste zone pullulano<br />

le zanzare, e molte famiglie a causa della povertà non sono in grado<br />

di fare acquisto di zanzariera. I bambini, oltre che ad essere afflitti dalla<br />

povertà, sono anche curati male e persino malmenati. Si vedono<br />

spesso dei piccoli che si trascinano per terra e che abboccano tutto ciò<br />

che vi si trova. Come sono lontani da queste creature quegli svaghi<br />

pedagogici che tanto abbondano in Europa!<br />

Gli stessi ragazzini di 6 o 7 anni seguono già i loro genitori sul lavoro<br />

nei campi o nelle foreste.<br />

Un altro aspetto che va considerato è la povertà morale e spirituale.<br />

I genitori dispongono di troppo poco tempo da dedicare ai<br />

bambini e sono poco sensibili alla loro formazione intellettuale ed ai loro<br />

molteplici problemi suscitati dal mondo moderno. Essi si curano ben<br />

poco del problema religioso, di questa dottrina e della predicazione:<br />

tutte cose che incidono minimamente sul loro tenore di vita materiale.<br />

Al contrario, prestano orecchio con facilità alla propaganda comunista<br />

che si mostra, fin dai primi approcci, attenta alle loro preoccupazioni.<br />

Ciò spiega perché fra i 3000 emigrati che vivono nelle immediate vicinanze<br />

del futuro monastero esista appena una dozzina di cattolici, ed<br />

anche questi sono, generalmente, non-praticanti. La maggior parte di<br />

essi non sa nemmeno se sono battezzati, e i loro figli restano dunque<br />

nella più assoluta ignoranza della dottrina cristiana.<br />

La maggior parte di questi emigranti lavora, per il 95 per cento,<br />

nei campi o nelle foreste, giorno e notte. Non dispongono di un minuto<br />

di tempo per pensare a Dio, o se ne hanno la possibilità, non ne approfittano<br />

perché la loro esistenza è troppo dura!<br />

Che cosa fanno i monaci di Chàu-son in presenza di una situazione<br />

materiale e morale così drammatica? È forse sufficiente pregare ogni<br />

giorno il « Padre Nostro », dicendoGli: «Venga il Tuo Regno », oppure<br />

devono anche dare una testimonianza concreta fra queste genti che<br />

non hanno ancora avuta la fortuna di ascoltare la Buona Novella?<br />

- 166-


Il 27 maggio 1971 viene convocato il Consiglio Plenario della Comunità.<br />

Tutti i monaci di Chàu-son uniscono con gioia le loro voci a<br />

quella del loro Rev.mo P. Abate, Dom Etienne Tràn-ngoc-Hoàng, ratificano<br />

la località scelta dal Rev. P. Berchmans e decidono di inviarvi un<br />

gruppo di 3 padri e di 5 fratelli. Essi hanno l'incarico di realizzare la<br />

finalità della Congregazione e nello stesso tempo di attuare i deliberati<br />

del Concilio Vat. II. Il 4 giugno imboccarono la strada per Lang-gòn,<br />

e vi giunsero nel tardo pomeriggio. Immediatamente diedero mano a<br />

costruirsi un altare. All'indomani la prima Messa venne solennemente<br />

celebrata in onore della Vergine Santa, Madre e Patrona di tutti i <strong>Cistercensi</strong>.<br />

Così è sorto il Monastero di Chàu-Thùy!<br />

Il lavoro dei primi giorni a Chàu-Thùy fu il dissodamento del terreno.<br />

Nello stesso tempo i monaci si sforzarono di analizzare la mentalità<br />

della popolazione. La gente di qui ha sempre avuto una paura<br />

terribile, o una millenaria antipatia alla vista dei monaci. Si arrivò poi<br />

al punto che essi giunsero in massa a chiedere che stile di vita conducevano<br />

i nuovi arrivati! Ma in ultimo, la preghiera incessante, il buon<br />

esempio, le opere di carità ed il tatto dei monaci riuscirono a poco a poco<br />

a cattivarsi i loro cuori. Ecco che cosa fanno ora i religiosi fra quelle<br />

genti: è stata istituita una scuola di 5 corsi, anzitutto allo scopo di insegnare<br />

il catechismo ai ragazzi originari di famiglie cattoliche, in seguito<br />

per impartire una istruzione elementare a tutta la popolazione. Un fratello<br />

è a disposizione gratuitamente per l'assistenza medica. Diversi<br />

ettari di terreno sono a disposizione di coloro che desiderano riunirsi in<br />

prossimità del monastero, ecc. In tal modo in pochissimo tempo, con<br />

questa buona tattica, i nemici di ieri si sono trasformati nei migliori<br />

amici dei monaci.<br />

Non appena sono rientrato nel Vietnam, il l O novembre dello scorso<br />

anno mi sono recato il 14 dello stesso mese a Chàu-Thùy, Qui, oltre<br />

la gioia di essere monaco unitamente ai miei confratelli fra i non-cristiani,<br />

sono stato felice di constatare sul posto il rapido sviluppo del nuovo<br />

monastero, sia sotto il profilo materiale che spirituale. Nonostante i<br />

molti lavori di dissodamento e di costruzione, la vita di preghiera è in<br />

pieno vigore: sette volte al giorno i monaci si lavano le mani e quindi si<br />

riuniscono intorno all'altare per cantare il Divino Ufficio secondo le norme<br />

della regola benedettina e del rito cistercense. Dopo l'ufliciatura ciascuno<br />

fa ritorno nuovamente al proprio lavoro: taluni zappano, altri si<br />

dedicano al lavoro di costruzione. Un fratello si occupa degli scolari<br />

che, da una dozzina nel mese di luglio, sono attualmente saliti a 150.<br />

Un altro fratello si occupa degli ammalati che l'aspettano al matti-<br />

- 167-


no e nel corso del pomeriggio nell'unica veranda della casa monastica,<br />

unica nella zona. Essa è a servizio della Fede, come cappella,<br />

dormitorio, biblioteca e refettorio. In avvenire una scuola che disponga<br />

di posti sufficienti ed un ambulatorio adeguato costituiscono<br />

una delle primarie preoccupazioni dei monaci. Un oratorio è pure una<br />

necessità urgente per quanti vogliono dedicarsi alla preghiera ed al<br />

silenzio monastico. Dove potranno i monaci reperire i mezzi necessari?<br />

Quale sarà la loro testimonianza evangelica fra i non-credenti se<br />

dal punto di vista materiale, e soprattutto spirituale, non saranno in<br />

grado di condividere in larga misura le gioie e le speranze, le amarezze<br />

e le angoscie delle creature umane che li circondano? È un problema<br />

che ciascuno di noi potrebbe scegliere come argomento di meditazione<br />

durante la prossima Quaresima. Infatti in questo periodo liturgico è<br />

racchiuso il mistero della Comunione dei Santi ed il nostro desiderio di<br />

donazione agli altri e di aiuto reciproco. Dio ha certamente piacere di<br />

poter vedere che siamo solleciti di dare un contributo alla sua opera!<br />

Formuliamo il voto che tutti i nostri amici e benefattori uniscano la<br />

loro voce alla nostra per lodare e cantare la gloria del Signore, affinché<br />

« Dio sia glorificato in tutte le cose»: è la vera gioia e la vera vita del<br />

nuovo monastero di Chàu-Thùy!<br />

P. JEAN DÀNG,O. CISTo<br />

(Traduzione dall'originale francese di P. FULVIO ANOREOTTI,O. CIST.)<br />

Indirizzo del Nuovo Monastero:<br />

Rev. P. Berchmans Nguyen van Thao<br />

Superiore - Monastero di Nostra Signora di Chàu-Thùi<br />

Hàm Tan Bình- Tuy<br />

SUD-VI ETNA M<br />

Indirizzo di recapito in Svizzera:<br />

Rev.mo Abate Nguyen van Thào<br />

Banca dello Stato di Friburgo<br />

C. C. P. 51321<br />

- 168-


Criteri per il rinnovamento<br />

delle Costituzioni<br />

1. RINNOVAMENTO E AGGIORNAMENTO:<br />

NECESSITÀ POSTCONCILIARI<br />

Dopo il Concilio Vaticano II un nuovo fermento vitale pervade<br />

il mondo cristiano. Ogni uomo e ogni categoria è richiamata<br />

alla necessità di prendere coscienza delle proprie responsabilittà nell'attuazione<br />

e nella diffusione del messaggio di Cristo.<br />

Questo nuovo fermento non poteva non raggiungere coloro che<br />

sono sempre stati all'avanguardia nel compimento di questo dovere:<br />

i Religiosi, questi uomini e donne che hanno deciso di vivere nel celibato<br />

e nella vita comunitaria l'esperienza evangelica l.<br />

Centinaia di Ordini religiosi e di Congregazioni, alcuni secolari<br />

e altri di origine recentissima sono stati chiamati a fare un esame di<br />

coscienza per vedere fino a che punto nella realtà odierna siano fedeli<br />

al proposito, e quanto debbano fare, aggiornando e rinnovando, per poter<br />

corrispondere con maggior fedeltà alla grazia divina.<br />

Questo lavoro di presa di coscienza deve essere fatto dalla base,<br />

da tutti i membri, guidati, sorretti, spronati dagli organi comunitari<br />

competenti: «Un efficace rinnovamento ed un vero aggiornamento -<br />

dice il Concilio - non possono aver luogo senza la collaborazione di<br />

tutti i membri dell'stituto »2. «I superiori, in tutto ciò che riguarda<br />

le sorti interne dell'Istituto consultino ed ascoltino come si conviene i<br />

propri confratelli» 3. Tuttavia « stabilire le norme dell'aggiornamento e<br />

fissarne le leggi, come pure determinare un sufficiente e prudente periodo<br />

di prova è compito che spetta solamente alle competenti autorità, soprattutto<br />

ai Capitoli Generali ».<br />

a) doveri dei fratelli<br />

Quel soprattutto (praesertim) accolla l'onere preponderante in<br />

quest'opera ai Capitoli Generali, ma non esclude, anzi suppone un la-<br />

l T. MATURA, La vita religiosa ad una svolta, Ed. Cittadella, Assisi, 1972, pp. 3844.<br />

2 Perfectae Caritatis (= PC) 4/715.<br />

3 PC 4/716.<br />

- 169-


voro da parte di tutti i religiosi, che devono fare essenzialmente due<br />

cose: aiutare i Capitoli nei loro lavori presentando suggerimenti, proposte,<br />

e poi accettare le conclusioni dei Capitoli, le direttive date, adoperandosi<br />

con ogni buona volontà e spirito interiore all'attuazione,<br />

non solo materiale e meccanica, delle disposizioni date.<br />

b) doveri dei Capitoli<br />

È il decreto Ecclesiae Sanctae che ci dice con precisione il lavoro<br />

che devono svolgere i Capitoli in quest'opera di rinnovamento ed aggiornamento.<br />

«Il ruolo dei Capitoli Generali - si legge - non si<br />

esaurisce nella promulgazione di leggi, ma si compie promuovendo la<br />

vitalità spirituale e apostolica» s. Dal che si deduce che due sono le cose<br />

fondamentali che questi organismi devono fare: 1) promuovere la vitalità<br />

spirituale e apostolica; 2) promulgare delle leggi, siano esse deliberati<br />

capitolari, sia soprattutto rivedere è ristrutturare in questo<br />

spirito il codice fondamentale della vita religiosa: le Costituzioni.<br />

c) doveri reciproci<br />

la lavori e i doveri in vista del rinnovamento sono reciproci tra<br />

superiori competenti e singoli religiosi. Senza una intima collaborazione è<br />

impossibile portare a termine con frutto il lavoro che si deve compiere.<br />

Se i Capitoli e le autorità competenti escludono i singoli religiosi dall'impegno,<br />

non ne ascoltano i suggerimenti, le richieste, i pareri, ma<br />

procedono a passo spedito senza tener conto di quello che si dice, si<br />

pensa, si propone, allora si forma una frattura e si pongono i germi per<br />

le difficoltà nell'attuazione, perché non si partecipa ad una cosa che non<br />

è intimamente sentita come propria, o se si partecipa, difficilmente si<br />

supera una partecipazione puramente materiale ed esteriore, che nel<br />

caso nostro non avrebbe alcun significato.<br />

D'altra parte, però, se i religiosi non si curano di dare il loro apporto<br />

personale, mettono l'autorità nella necessità di agire «motu<br />

proprio» con tutte le conseguenze che ciò comporta. È però un dovere<br />

dell'autorità competente stimolare questa partecipazione e questa collaborazione,<br />

dimostrando di gradirla e di volerne tenere conto.<br />

4 PC 4/716.<br />

5 Ecclesiae Sanctae (= ES L 1/2310.<br />

170 -


2. REVISIONE E AGGIORNAMENTO DELLE COSTITUZIONI<br />

« Il modo di vivere, di pregare e di agire deve convenientemente<br />

adattarsi alle odierne condizioni fisiche e psichiche dei .religiosi »,<br />

« perciò le Costituzioni, i Direttori, i Libri degli usi, delle preghiere,<br />

delle cerimonie ed altri simili codici siano convenientemente riveduti» 6.<br />

È questo un lavoro di estrema importanza che va intrapreso e pertato<br />

a termine nella consapevolezza della delicatezza del momento storico<br />

in cui la chiesa intera opera il suo rinnovamento.<br />

a) criteri fondamentali<br />

Due sono i criteri fondamentali che devono guidare la composizione<br />

del nuovo testo delle Costituzioni: Rinnovamento ed aggiornamento.<br />

Non si può quindi pensare ad un semplice ritocco o correzione<br />

del vecchio resto delle Costituzioni, ma si esige una totale revisione sia<br />

della parte dispositiva che della mentalità che sottostà alle disposizioni<br />

giuridiche.<br />

« Rinnovamento ». « Essendo la vita religiosa innanzitutto ordinata<br />

a far sì che i suoi membri seguano Cristo e si uniscano a Dio con la professione<br />

dei consigli evangelici, bisogna tener presente che le migliori<br />

ferme di aggiornamento non potranno avere successo se non saranno<br />

animate da un rinnovamento spirituale» 7.<br />

« Aggiornamento ». « Il modo di vivere ... deve convenientemente<br />

adattarsi alle odierne condizioni fisiche e psichiche dei religiosi... come<br />

pure, come è richiesto dalla natura di ciascun Istituto, alle necessità<br />

dell'apostolato, alle esigenze della cultura, alle circostanze sociali ed<br />

economiche » 8.<br />

Questi due criteri di fondo, anche se teoricamente scindibili, devono<br />

praticamente essere uniti se si vuole raggiungere lo scopo prefisso.<br />

Non è possibile avere un vero progresso col solo aggiornamento<br />

esterno della vita, coll'adattamento alle mutate condizioni dei tempi,<br />

senza un concomitante rinnovamento interiore, un ritorno allo spirito<br />

evangelico più genuino, senza animare l'attività esterna con un nuovo<br />

spirito di vita interiore. Ma, d'altra parte, neppure è possibile questo<br />

rinnovamento interno in un ambiente sfavorevole, entro quadri completamente<br />

superati che, invece di essere d'aiuto, sono di ostacolo al-<br />

6 PC 3/712 e 714.<br />

7 PC 2e/711.<br />

8 PC 3/712.<br />

- 171-


1'acquisto di quelle condizioni essenziali perché il monaco possa « dilatato<br />

corde, inenarrabili delectationis dulcedine» correre «viam mandatorum<br />

Dei» 9. L'armonica fusione dei due elementi deve apparire in<br />

modo evidente nel nuovo testo delle Costituzioni.<br />

b) eccessi da evitare<br />

Si devono quindi evitare due errori che risulterebbero dall'adozione<br />

unilaterale o preponderante dei due criteri.<br />

« Solo rinnovamento ». Le Costituizioni non sono un testo spirituale<br />

che, posti i principi evangelici della vita religiosa in genere, e le<br />

caratteristiche di una data Congregazione in specie, fa ai membri dell'Istituto<br />

una serie di raccomandazioni prive di qualunque valore giuridico.<br />

L'Istituto religioso è un corpo morale nella chiesa, ed è necessario<br />

che ogni corpo morale abbia un codice fondamentale di leggi che ne regolino<br />

la vita, ne stabiliscano la natura specifica, ne delimitino le varie<br />

competenze, ne abbozzino la forma di governo lO.<br />

« Solo aggiornamento ». Non meno deleterio sarebbe però l'errore<br />

opposto: quello di limitarsi alla revisione delle norme legislative, adattandole<br />

alle mutate condizioni dei tempi, senza introdurvi gli elementi<br />

di base del rinnovamento interiore. L'Istituto religioso è si un corpo morale,<br />

ma si distingue essenzialmente da tutte le persone morali con fine<br />

puramente materiale. In queste ultime quello che importa soprattutto è<br />

l'osservanza materiale della legge che le regola, ed è solo la sua trasgressione<br />

materiale che nuoce, mentre nella società religiosa, radicata<br />

nel Vangelo, il cui ultimo fine è l'attuazione della parola di Dio, conta<br />

molto di più l'animo che sorregge le azioni che l'azione stessa, e le trasgressioni<br />

sono gravi non tanto per la mancanza materiale esterna, ma<br />

in quanto ci si allontana dalla volontà di Dio e si misconosce un principio<br />

evangelico che sottostà ad ogni prescrizione.<br />

Per questo è indispensabile che il codice fondamentale delle leggi,<br />

quali sono le Costituzioni, riporti non la sola disposizione legislativa,<br />

ma proponga nello stesso tempo il principio evangelico che la sorregge,<br />

9 Regola di S. Benedetto - Prologo.<br />

lO Cfr. «Declaratio Capituli Generalis Ordinis Cisterciensis de elementis praecipuis<br />

vitae Cistereiensis hodiernae » n. 81 «Etsi communitas monastica imprimis caritate Christi<br />

et fratrum, atque voluntaria finium munerumque monasterii proprii suseeptione fundetur<br />

oportet, tamen uti unio hominum stabilis ad finem determinatum constitutum<br />

indiget etiam firma structura, seilieet reeta ordinatione per leges et superiorum praeeepta.<br />

Ita enim stabilitas et continuitas vitae firmatur, vires singulorum effieacius ad mero<br />

eommunem diriguntur, vita et aetuositas membrorum in paee eoordinantur ».<br />

- 172-


per dare ai fratelli una visione completa e cnsnana della legislazione.<br />

Senza questo addentellato le leggi rischiano di rimanere senza anima.<br />

c) sintesi da operare<br />

Poste queste premesse tocchiamo il punto centrale del problema che<br />

ci interessa e rispondiamo alla domanda: come dovranno presentarsi le<br />

Costituzioni del futuro?<br />

Una cosa sembra ormai acquisita: le Costituzioni postconciliari<br />

dovranno presentarsi come un testo spirituale e giuridico allo stesso<br />

tempo. Dovranno presentare in forma sintetica i principi evangelicoteologici<br />

ed includervi le conclusioni pratiche statutarie. Sarà della massima<br />

importanza amalgamare talmente principi e norme, che si possa<br />

subito percepire la concatenazione degli uni con le altre.<br />

Tutto questo richiederà un profondo lavoro di sintesi, lavoro tanto<br />

più difficile in quanto si deve partire quasi da zero, essendo ancora<br />

poche le Costituzioni aggiornate e rinnovate, e le Costituzioni antiche<br />

si limitavano a proporre delle leggi senza preoccupazioni dei principi<br />

evangelici che si supponevano acquisiti in altra sede.<br />

Quali le soluzioni possibili?<br />

Prima soluzione: due testi separati<br />

Per eliminare la difficoltà della sintesi, la prima soluzione che viene<br />

proposta è quella della redazione di due testi distinti: uno contenente<br />

i principi ed un secondo con le sole leggi. Dal punto di vista della comodità<br />

redazionale è certamente una proposta valida, ma dal punto<br />

di vista delle finalità che devono prefiggersi le nuova Costituzioni, eccetto<br />

casi particolari 11, è una soluzione da scartar si. In due testi distinti,<br />

infatti, non si può presentare una concatenazione tra principi ed applicazioni,<br />

per cui può accadere che dei principi affermati in un testo, compilato<br />

da esperti di quel ramo, non trovino applicazione pratica nelle<br />

leggi contenute nell'altro testo, e che, viceversa, alcune leggi non trovi-<br />

11 Si tratta di una soluzione ammissibile sono in casi eccezionali di complicate stratificazioni<br />

giuridiche, come è accaduto per le Costituzioni dell'Ordine Cistercense. Queste<br />

Costituzioni dovevano solo essere uno strumento giuridico di collegamento tra le varie<br />

Congregazioni dell'Ordine le quali a loro volta hanno o debbono avere proprie costituzioni.<br />

Le Costituzioni dell'Ordine Cistercense infatti brevissime trattano solo della composizione<br />

giuridica dell'Ordine, delle Congregazioni che lo compongono e del governo<br />

generale di tutto l'Ordine. Ogni altro aspetto della vita religiosa viene demandato alle<br />

Costituzioni delle singole Congregazioni.<br />

173 -


no fondamento nei principi. L'esempio che proporrò in seguito proverà<br />

come queste eventualità non sia una pura immaginazione, ma un pericolo<br />

costante.<br />

C'è poi il fatto che il legislatore, essendo obbligato a un confronto<br />

continuo e diretto col Vangelo, sarà guidato da uno spirito del tutto<br />

diverso da quando si mette al lavoro col solo bagaglio della sua scienza<br />

giuridica per fare un testo umano di leggi. È tutta una mentalità nuova<br />

veramente evangelica che dovrà recepire obbligatoriamente, un binario<br />

del tutto particolare che dovrà percorrere e che lo porterà, anche se con<br />

grande fatica da parte sua, a dare una legislazione veramente cristiana.<br />

Un esempio di come il legislatore può prescindere dal Vangelo e<br />

fondarsi solo sull-a scienza giuridica, lo abbiamo in maniera evidente<br />

nelle antiche Costituzioni, specialmente in quello che riguarda il diritto<br />

penale.<br />

Riporterò in due colonne i testi del Vangelo e i testi delle attuali<br />

costituzioni di Casamari, testo che risale a circa trent'anni or sono. Non<br />

credo sia necessario un commento per notare la pressoché totale divergenza<br />

dei testi:<br />

Vangelo di San Luca<br />

Cap. 15, 11-24<br />

« Un uomo ricco aveva due figli,<br />

ora il più giovane disse al padre:<br />

dammi la parte dei beni che<br />

mi spetta. E il padre divise tra i<br />

figli i suoi beni. Pochi giorni<br />

dopo il figlio minore, messa insieme<br />

ogni cosa, se ne partì per un<br />

paese lontano e là scialacquò tutto<br />

il suo patrimonio vivendo dissolutamente...<br />

Rientrato in se<br />

stesso disse: quanti servi di mio<br />

padre hanno pane in abbondanza<br />

ed io qui muoio di fame. Mi alzerò<br />

e andrò da mio padre ... Alzatosi<br />

andò da suo padre. Lo vide<br />

il padre mentre era ancora lontano,<br />

e ne ebbe pietà, allora correndogli<br />

incontro, gli si gettò al<br />

collo e teneramente lo baciò... Il<br />

- 174-<br />

Costituzioni della Congregazione<br />

di Casamari<br />

Art: 92 - Nell'irrogare pene il<br />

superiore tenga presente il Codice<br />

di diritto Canonico) specialmente<br />

in can 2214, 2° e 2218.<br />

Art. 93 - Nessun religioso si sottragga<br />

all'obbedienza e non esca<br />

dal monastero senza permesso,<br />

neppure per recarsi dal superiore<br />

maggiore. Se qualcuno facesse tali<br />

cose, sia considerato fuggitivo<br />

e come tale sia punito.<br />

Art. 94 - Se un professo solenne<br />

è incorreggibile circa un grave e<br />

dannoso crimine, nonostante reiterate<br />

ammonizioni, si proceda<br />

contro di lui a norma dei sacri canoni.<br />

Art. 95 - Se un professo ... è apo-


padre ordinò ai servi: portate subito<br />

la veste più bella e rivestitelo<br />

e mettetegli l'anello al dito... E<br />

cominciarono a fare festa ».<br />

In cui si noti: il padre mentre<br />

il figlio è ancora lontano<br />

ne ha pietà,<br />

gli corre incontro<br />

gli si getta al collo,<br />

lo bacia teneramente,<br />

lo fa rivestire della veste più<br />

bella,<br />

fa fare grande festa.<br />

stata dalla Religione e viene colpito<br />

da pene non esclusa la scomunica<br />

a norma del canone 2385<br />

e nel caso di ritorno gli si dia l'ultimo<br />

posto tra i professi dal giorno<br />

in cui è ritornato 12.<br />

E così continua fino all'art. 107.<br />

Dov'è finita:<br />

la pietà,<br />

la premura,<br />

l'amore,<br />

la gioia del ritorno,<br />

la festa?<br />

Se il legislatore fosse stato obbligato ad un confronto col Vangelo<br />

non avrebbe potuto materialmente scrivere la pagina che invece ha<br />

scritto, attenendosi soltanto alla prassi giuridica.<br />

Seconda soluzione: testo unico<br />

Da quanto esposto si giunge alla conclusione che è necessario ricorrere<br />

ad altra soluzione: quella di un testo unico che contenga entrambi<br />

gli elementi, principi e norme 13.<br />

Questa soluzione, per altro, è anche quella prescritta dai documenti<br />

della chiesa. Su questo punto il decreto Ecclesiae Sanctae è estrema-<br />

12 «Constitutiones Congregationis Casamariensis Sacri Ordinis Cisterciensis », Isola<br />

del Liri, Tip. Macioce e Pisani, 1943.<br />

« Art. 92. In poenis decernendis Superior prae oculis habeat proescripta Codicis<br />

Iuris Canonici, speciatim Cann. 2214 2", et 2218.<br />

Art. 93 Nemo religiosus religiosae oboedientiae sese subtrahat, nec septa monasterii<br />

absque Iicentia Superioris egrediatur, etsi ad superiorem maiorem adeundum. Si quis<br />

talem culpam commiserit, tamquam fugitivum habeatur; et ut talis puniatur.<br />

Art. 94 Si quis monachus vel conversus solemniter professus in gravi ac pernicioso<br />

crimine, Iicet admonitus et correptus notorie incorreggibilis evaserit, procedatur contra<br />

eum ad norman Sacrorum Canonum.<br />

An. 95 Si quis professus... apostata est a religione, et plectitur poenis non exclusa<br />

excommunicatione ad norman can. 2385, et locum ultimum teneat inter professos a die<br />

reversionis ».<br />

13 «Le prescrizioni delle Nuove Costituzioni appaiono come conseguenza naturale<br />

dei principi, posti sempre in primo piano: è più importante la motivazione che il<br />

precetto stesso. Soltanto se si osserva questo aspetto, si può capire il lavoro delle Costituzioni<br />

nel rinnovamento di mentalità che vogliono portare: più un programma di vita<br />

che un codice di precetti ». Lazzaro da Aspurz «I cappuccini si rinnovano» Ed. francescane,<br />

Torino, 1969, p. 22.<br />

- 175-


mente chiaro, tale da non lasciare sussistere dubbi: «Per ogni Istituto<br />

le leggi generali (Costituzioni, Tipiche, Regole, o comunque si chiamino)<br />

abbracceranno ordinariamente i seguenti elementi: a) Principi<br />

evangelici e teologici della vita religiosa e dell'unione di questa con la<br />

Chiesa ... ; b) le norme giuridiche necessarie per definire chiaramente il<br />

carattere, i fini e i mezzi dell'Istituto ... L'unione di questi due elementi,<br />

spirituale e giuridico è necessaria perché i testi fondamentali dell'Istituto<br />

abbiano una base stabile e perché il vero spirito e la norma vitale<br />

li penetrino; bisogna dunque guardarsi dal comporre un testo che sta<br />

unicamente giuridico o di pura esortazione» 14.<br />

Questa prescrizione può trovare però una duplice attuazione.<br />

1. 'TESTO UNICO CON PARTI SEPARATE:<br />

PRINCIPI EVANGELICI E NORME GIURIDICHE<br />

La prima attuazione evita molte difficoltà redazionali, ma incorre facilmente<br />

negli stessi difetti lamentati nella redazione di due testi separati.<br />

In essa, infatti, ogni capitolo e sezione ha due parti ben distinte:<br />

la prima enuncia i principi evangelici e teologici, la seconda scende alle<br />

precisazioni giuridiche. Essendo i due testi estremamente a contatto, è<br />

più difficile riscontrare una frattura tra i principi esposti e le conclusioni<br />

pratiche, ma tutt'altro che impossibile, e non mancano esempi in cui appare<br />

evidente che, nonostante la buona volontà dei redattori, le due<br />

parti corrono su binari paralleli nell'impossibilità di incentrarsi. La causa<br />

di questa incompatibilità dei due testi sta probabilmente nel fatto che<br />

vengono redatti separatamente e sono poi uniti in maniera materiale,<br />

direi tipografica; non essendoci preoccupazioni di doverle fondare<br />

in un unico testo non ci si accorge di avere unito<br />

. .<br />

connessione reciproca.<br />

due testi che non hanno<br />

Un esempio di questo fatte ci è date in modo molto chiaro dalle<br />

rinnovate, o nuove Costituzioni del Monastero spagnolo di Poblet.<br />

Prendiamo per esempio le prescrizioni circa la povertà,<br />

Art. 9 - Noi esercitiamo la povertà per conquistare la libertà dei figli<br />

di Dio, per usare di questo mondo quasi non ne usassimo, ben<br />

consapevoli che la figura di questo mondo passa. Per questo<br />

desideriamo essere poveri con Cristo povero. Vogliamo essere<br />

dei veri discepoli nella scuola della Chiesa primitiva, nella qua-<br />

14 ES II art. 12-13/2323-2326.<br />

- 176-


le nessuno considerava le cose come proprie, ma tutto era comune<br />

a tutti.<br />

Dopo questo prologo o parte esponente i principi evangelici con<br />

la citazione di S. Paolo e degli Atti degli Apostoli, ci si aspetterebbe<br />

delle conclusioni pratiche circa la povertà della Comunità, dei singoli;<br />

delle precisazioni come vogliano imitare la povertà di Cristo. Invece<br />

nulla di tutto questo troviamo nei tre numeri che seguono sul tema<br />

della povertà:<br />

Art. lO - Nel nostro monastero si osservi la vita comune da tutti, anche<br />

a riguardo del vitto, vestito e suppellettili.<br />

Art. Il -Benché i professi di voti temporanei conservino la proprietà<br />

dei loro beni, tuttavia quello che acquistano col loro lavoro, o<br />

in vista del Monastero, lo acquistano non per sé ma per il<br />

Monastero.<br />

Quello che invece acquistano i professi solenni, qualunque sia<br />

il titolo di questa acquisizione, unitamente a tutti i beni che<br />

essi possiedono, diventano proprietà del monastero. È proibito<br />

ogni peculio, GIri onorari e tutto quello che guadagnano venga<br />

messo a disposizione di tutti. L'Abate potrà dare altre specificazioni<br />

al voto di povertà, col parere del suo Consiglio.<br />

Art. 12 - Ogni anno l'Abate presenti il rendiconto amministrativo al Capitolo<br />

conventuale, a norma dello Statuto speciale del nostro<br />

monastero circa l'amministrazione dei beni 15. .<br />

Altro pericolo in una tale soluzione è che spesso si trovi più semplice<br />

non mettere alcun principio evangelico o teologico a delle disposizioni<br />

15 Statuta pro Abbatia B.M.V. de Populeto Ordinis Cisterciensis, Edizione policopiata.<br />

«N. 9 Paupertas a nobis exercetur ad libertatem filiorum adipiscendam, ad utendum<br />

hoc mundum tamquam non utentes, scientes qquod praeterit figura huius mundi. Ideo<br />

pauperes esse cum Christo paupere cupimus. Volumus esse veri discipuli in schola<br />

primitavae ecclesiae, ubi nemo aliquid suum esse dicebat, sed erant eis omnia communia.<br />

N. lO In monasterio nostro vita cornmunis accurate servetur ab omnibus, etiam in<br />

iìs quae ad victum, vestitum et supellectilem pertinent.<br />

N. 11 Quamvis professi votorum temporariorum proprietatem bonorum suorum et<br />

capacitatern alia bona acquirendi conservent, tamen quidquid industria sua vel intuitu<br />

religionis acquirunt, monasterio nostro acquirunt.<br />

Quidquid vero a sollemniter professis quovis modo acquiritur, monasterio acqui.<br />

ritur ac bona eisdem quovim modo obveninentia monasterio cedunt. Omnis species<br />

peculi prohibetur. Honoraria aliaque emolumenta sive in pecunia sive in alia re obvenientia<br />

communi usui applicentur.<br />

Abbatis est, audito voto consilii sui, ulteriores determinationes pro observantia<br />

voti paupertatia dare.<br />

N. 12 Abbas singulis annis computum redituum et expensarum monasterii capitulo<br />

conventuali praesentet, ad norman statuti specialis monasterii nostri de administratione<br />

bonorum ... ».<br />

-177 -


che giuridicamente non si possono omettere. La conseguenza è di nuovo<br />

quella lamentata di non vedere la motivazione spirituale di tante norme<br />

e talvolta di sentire come alcune norme sono in contrasto stridente con<br />

dei principi teologici od evangelici.<br />

Così nelle Costituzioni sopra citate si ha tutta la parte terza:<br />

« Circa i membri del nostro monastero» dal n. 25 al 61 senza alcun<br />

principio, e nelle cui disposizioni si può legger la seguente, che difficilmente<br />

sarebbe stata scritta qualora il redattore avesse dovuto trovarne<br />

ed esprimerne una valutazione teologica: «Il novizio che si trovi in<br />

punto di morte può ottenere dall' Abate il permesso di emettere la professione,<br />

che però non avrà nessun effetto giuridico se il malato dovesse<br />

riacquistare la salute» 16.<br />

E per terminare non si riesce facilmente a comprendere come si possa<br />

concordare con il Vangelo il testo del n. 78 delle medesime costituzioni,<br />

né come possa darsi simile decisione alla luce de principi scritti<br />

nel n. 62 paragrafo 1 e 3.<br />

Ecco i testi che riportano i principi:<br />

N. 62 - par. 1. «L'Abate è innanzi tutto un pastore di anime, cioè<br />

il suo ufficio è innanzi tutto spirituale e diretto al bene delle<br />

anime. La sua autorità è di ministero, ha carattere di umile servizio,<br />

secondo la dottrina e l'esempio di Cristo, di cui fa le<br />

veCI ... ;<br />

par. 2. L'Abate come promotore dell'unità della comunità,<br />

metta da parte tutto quello che denota una certa sua separazione<br />

dalla comunità, conduca vita comunitaria con i fratelli<br />

mostrandosi come esempio di fedeltà e zelo. Anche divenuto<br />

Abate rimane monaco e fratello tra fratelli, cosicché come centro<br />

dell'unità e della carità si adoperi per i fratelli nell'amore<br />

di Cristo » 17.<br />

16 «N. 35 Novitii privilegiis omnibus et gratiis spiritualibus Ordini nostro concessis<br />

gaudent, et si morte praeveniantur, ad eandem suffragia ius habent, quae pro<br />

professis praescripta sunto Novitio in articulo mortis constituto Abbas permittere potest,<br />

ut emittat professionem, quae tamen, si aegrotus convaluerit, nullum effectum iuridicum<br />

habetit ».<br />

17« N. 62 par. 1 Abbas praeprimis est pastor animarum, i.e. munus eius ante<br />

omnia spirituale et ad bonum animarum directum.<br />

Auctoritas eius est ministerium, habet characterem humilis servitii, iuxta doctrinam<br />

et exemplum Christi cuius vices gerit.<br />

par. 2 Abbas uri promotor unitatis comrnunitatis seponet omne id quod ad sui<br />

separationem a sodalibus tendit; vitam communitariam cum fratribus ducet, se illis<br />

exemplar praebens fidelitate et zelo. Factus enim Abbas remanet monachus et frater<br />

inter fratres, ita ut tamquam unitatis et charitatis centrum totum se pIO fratribus in<br />

Christi amore impendat.<br />

- 178-


La disposizione che ne segue al n. 78 fa invece dell'Abate un monaco<br />

tutto particolare, che non segue la regola comune degli altri fratelli,<br />

con dei diritti particolari, con dei doveri in meno, anche quando<br />

terminato il suo ufficio dovrebbe essere veramente soltanto uno dei fratelli:<br />

« L'Abate che per qualunque causa cessa dal suo ufficio, rimanga<br />

nel suo monastero a meno che l'Abate Generale e il nuovo<br />

Superiore maggiore del monastero non giudichino altrimenti.<br />

Sia soggetto all'abate del monastero che lo dovrà trattare con<br />

deferenza (! ) Può avere il primo posto dopo l'abate e continuare<br />

ad usare le insegne pontificali a norma del diritto. Non è<br />

tenuto a partecipare al Capitolo della comunità, ma se vi interviene<br />

ha voce attiva in ogni votazione ... » 18.<br />

Anche quì se il giurista avesse avuto presente quanto disposto prima:<br />

«umile servizio» ecc., se avesse avuto presente chi sono coloro<br />

che nel Vangelo volevano avere il primo posto, non avrebbe certo potuto<br />

scriver una norma simile.<br />

2. TESTO UNICO ELABORATO CON PRINCIPI<br />

E NORME LEGISLATIVE<br />

Ad ovviare agli inconvenienti sopra notati si dovrebbe giungere<br />

ad una stesura di un testo che amalgamasse bene la parte espositiva dottrinale<br />

con le prescrizioni giuridiche, di modo che la concatenazione<br />

dei due elementi ci sia realmente e che inoltre sia subito possibile afferrarla.<br />

Non è necessario far notare come in un testo simile le stesse norme<br />

giuridiche assumerebbero un valore molto più grande perché non solo<br />

fondate sulla ratio iuridica, ma avvalorate dalla parola di Dio e da una<br />

salda dottrina teologica.<br />

In questa scia si sono messi i redattori di altre Costituzioni, anche<br />

se con esiti diversi e forme notevolmente differenziate per l'accentuazione<br />

di un elemento piuttosto che di un altro, per l'adozione di uno stile<br />

piuttosto che un altro. Non si può fare una catalogazione ben precisa,<br />

18 N. 78 Abbas quacumque ex causa resignatus, in suo monasterio moretur, nisi ob<br />

peculiares rationes, Abbati Generali et novo Superiori maiori monasterii nostri, aliter<br />

visum fuerit. Sub auctoritate Abbatis monasterii sit, qui eum humanissime tractet.<br />

Potest post abbatem stare et usum pontifìcalium retinere ad normam iuris. Non tenetur<br />

capitulo conventuali interesse; sed si adest, habet vocem activam in omni suffragatione.<br />

Si autem Abbas resignatus extra monasterium nostrum degat, monasterii nostri est de<br />

eius sustentatione providere. Si res in controversiam venit, Abbatis generalis est rem<br />

decidere.<br />

- 179-


data la grande varietà esistente tra un testo e l'altro. Tuttavia ho cercatc<br />

di coglierne qualche aspetto-chiave, che può servire per una certa<br />

sisternatizzazione, che ci permetta di coglierne gli elementi positivi e negativi<br />

più evidenti.<br />

a) Stile piano} caratterizzazione piuttosto teologica-spirituale<br />

Lo stile piano ci presenta i principi evangelici nella forma più popolare,<br />

dimessa e umile, comprensibile senza difficoltà da tutti, in modo<br />

discorsivo, preoccupato essenzialmente della chiarezza anche per coloro<br />

che non hanno una cultura teologica specializzata. Il suo vocabolario è il<br />

vocabolario di tutti. Nel momento attuale in cui si ama e si cerca la chiarezza,<br />

la semplicità, sembrerebbe essere la forma più adatta. Tuttavia<br />

non è scevra di difficoltà e pericoli. Innanzitutto è uno stile che richiede<br />

una certa calma espositiva, quindi piuttosto prolisso che mal si addice<br />

ad un testo che dovrebbe essere piuttosto breve e conciso in modo<br />

da dare in uno sguardo il panorama della vita religiosa e dei doveri<br />

di un dato Istituto. Inoltre questo stile trova gravi dificoltà ad amalgamare<br />

la parte dispositiva che ha un carattere giuridico e quindi uno stile<br />

asciutto e stringato.<br />

Un esempio di questo tipo di Costituzoni lo troviamo nelle Costituzioni<br />

rinnovate dei Cappuccini. Per facilitare il confronto con i testi<br />

delle Costituzioni già allegati e con quelli che verranno in seguito, mi<br />

limiterò ad alcuni testi del Capitolo sulla povertà e sul lavoro.<br />

Questo tema viene svolto in ventisette numeri per complessive<br />

dieci pagine.<br />

N. 45 - Gesù Cristo, inviato a evangelizzare i poveri, da ricco si è<br />

fatto povero per noi, perché per la sua povertà noi diventassimo<br />

ricchi. Dalla nascita nel presepe fino alla morte in<br />

croce, egli fu una testimonianza vivente dell'amore di Dio per<br />

i poveri, ad esempio dei discepoli. La Chiesa esalta grandemente<br />

la povertà volontaria quale testimonianza luminosa<br />

della sequela di Cristo e desidera che specialmente tutti i religiosi<br />

la coltivino con impegno. Propone inoltre l'esempio di<br />

S. Francesco come immagine profetica della chiesa dei poveri.<br />

È specifico impegno del nostro Ordine osservare concretatamente<br />

il precetto della povertà, confidando nella divina provvidenza<br />

e lavorando con assiduità. Non dobbiamo anzi appropriarci<br />

i doni di natura e di grazia, quasi fossero elargiti a<br />

- 180-


noi e solo per noi, ma cerchiamo di riversarli totalmente a beneficio<br />

del popolo di Dio. Usiamo dei beni temporali con animo<br />

grato e con cuore generoso e sincero rendiamone partecipi<br />

gli indigenti. Così agli uomini che cercano avidamente i piacer<br />

delle cose daremo una prova che saranno felici non con<br />

l'avidità, ma con l'uso responsabile dei beni di questo mondo.<br />

Annunciamo ai poveri che Dio è con loro, aiutandoli e condividendo<br />

le loro condizioni di vita.<br />

N. 46 - ... Sono degni di lode coloro che, in particolari circostanze di<br />

una regione, convivono con i poveri, partecipano alle loro condizioni<br />

e aspirazioni, aiutandoli a svilupparsi socialmente e culturalmente<br />

e infondendo in loro la speranza dei beni futuri.<br />

N. 48 - Come figli dell'Eterno Padre, mettiamo la nostra fiducia nella<br />

divina provvidenza lasciando da parte ogni preoccupazione e abbandonandoci<br />

all'infinita bontà divina. Non accumuliamo quindi<br />

beni eccessivi, neppure quelli necessari al nostro sostentamento.<br />

Procuriamo ci col nostro proprio lavoro i mezzi e i sussidi<br />

necessari alla vita e all'attività. E se questi ci venissero meno,<br />

ricorriamo confidentemente alla mensa del Signore, secondo le<br />

disposizioni della Chiesa universale e locale, in modo tale però<br />

che, mentre chiediamo l'elemosina agli uomini, offriamo<br />

loro una testimonianza di povertà, di fraternità e di francescana<br />

letizia.<br />

N. 54 - ... L'uso del danaro, per i superiori come per i sudditi non<br />

deve eccedere quella misura che è propria dei veri poveri.<br />

Per osservare la povertà, i frati non vadano senza permesso<br />

a chiedere danaro o altre cose agli amici, ai parenti o ai genitori.<br />

N. 61 - Per amministrare il danaro e gli altri beni ci siano, tanto<br />

nella curia generale come in quella provinciale, gli economi<br />

nominati dal rispettivo Definitorio. Anche nelle singole case<br />

ci sia l'economo locale eletto dal Definitorio provinciale e,<br />

nelle case più grandi, sia ordinariamente distinto dal Superiore<br />

...<br />

N. 63 - Chiamati a percorrere la via evangelica della povertà, abituiamoci<br />

a sopportare l'indigenza, sull'esempio di Cristo e<br />

nel ricordo di S. Francesco, che volle essere talmente povero<br />

- 181-


da spogliarsi di tutte le cose e di tutti i vincoli sensibili e abbandonarsi<br />

totalmente al Padre, che ha cura di noi. .. 19.<br />

b) Stile sostenuto, caratterizzazione piuttosto teologico-sociologica<br />

Altre Costituzioni hanno un carattere assai diverso. Lo stile è<br />

molto più conciso, contenuto in brevi sentenze, con minore unzione<br />

spirituale, ma di maggiore incisività. Inoltre introducono con una certa<br />

larghezza concetti non strettamente teologici, ma desunti dalla sociologia,<br />

portando le Costituzioni in un campo eminentemente pratico e molto<br />

aderente alle richieste di gran parte della società di oggi. Hanno meno<br />

calore umano, meno unzione biblica, richiedono una certa abitudine a<br />

concetti astratti che le rendono meno assimilabili.<br />

Ecco il Capitolo riguardo la povertà delle Costituzioni della Congregazione<br />

austriaca:<br />

Art. 56 - par. 1. « Noi viviamo la povertà come segno della nostra imitazione<br />

di Cristo. Essa non significa semplicemente una mancanza<br />

di beni materiali a nostra disposizione. Noi consideriamo la<br />

povertà come valorizzazione ed uso dei beni materiali e spirituali<br />

dati da Dio, secondo la sua volontà. Non vogliamo attaccare<br />

ad essi i nostri cuori, ma indicare agli uomini che la<br />

felicità e la dignità dell'uomo non dipendono dai possedimenti<br />

materiali. La povertà personale deve liberarci dall'egoismo che<br />

ci fa desiderare di riservare per noi soli i beni e le capacità<br />

naturali personali, e deve invece farci crescere nell'apertura<br />

a tutti i bisogni dei fratelli. La povertà cosi intesa deve servire<br />

a farci crescere sempre più nell'amore di Dio. Essa deve portare<br />

ad un disciplinato uso ascetico dei beni.<br />

par. 2. La comunione dei beni è essenziale per la nostra vita<br />

monastica. Essa significa qualcosa di più delle semplici pratiche<br />

regole dell'economia, e richiede ad ognuno uno spirito<br />

di responsabilità circa i beni affidati, modestia e prontezza al<br />

lavoro che ci procuri il necessario alla vita e per il servizio del<br />

prossimo e della chiesa.<br />

par. 3. Il monastero come comunità CUllalo spirito di povertà,<br />

perciò amministra i propri beni in maniera prudente e<br />

19 Costituzioni dei frati minori Cappuccini. Rinnovate dal Capitolo Generale speciale<br />

tenuto a Roma dal 19 agosto al 25 ottobre 1968. Testo italiano dall'originale latino<br />

pubblicato dalla «Conferenza Italiana dei Superiori Provinciali Cappuccini », Piazza della<br />

Consolazione 84, Roma.<br />

- 182-


secondo le esigenze sociali, rendendoci utili alla società.<br />

Essa dimostra con i fatti la nostra salidarietà cogli uomini.<br />

par. 4. Stabilire le norme pratiche del voto di povertà spetta<br />

all'Abate con i suoi Consiglieri.<br />

par. 5. Quello che riguarda l'amministrazione delle case e il<br />

controllo della medesima, viene regolato da uno statuto del<br />

Capitolo della Congregazione, senza pregiudizio dell'autonomia<br />

amministrativa dei singoli monasteri» 20.<br />

Sempre in questa linea ma con uno stile un po' meno conciso e<br />

alquanto più spirituale sono le Costituzioni delle monache del Monastero<br />

di Seligenthal, in Germania. In esse si tratta abbastanza diffusamente<br />

del significato della povertà, della povertà della Comunità,<br />

della povertà delle singole monache e dei vari modi in cui si esprime<br />

questa povertà: mancanza di beni, dipendenza dai superiori, semplicità<br />

di vita, modestia, risparmio.<br />

Eccone alcuni aspetti significativi:<br />

a) Significato e fondamento della povertà<br />

Art. 108-La povertà monastica trova il suo fondamento nella imitazione<br />

di Cristo. Essa significa rinuncia al possesso personale,<br />

libertà e indipendenza di fronte ai beni materiali e una vita<br />

20 Konstitutionen der Oesterreichischen Zisterzienserkongregation - Heiligenkreuz<br />

bei Wien, 1971.<br />

«Art. 56 par. 1 Wir leben die Arrnut zum Zeugnis unserer Nachfolge Christi.<br />

Sie bedeutet uns nicht eifach Mangel an materie11en Giìtern um seiner selbst willen.<br />

Vielmehr pflegen wir Arrnut, um die von Gott geschenkten materiellen und geistigen<br />

Giiter in der von Ihm gewollten Weise einzuschatzen und zu gebrauchen.<br />

Wir wollen nicht einseitig unser Herz an sie hangen, sondern den Menschen<br />

vorleben, dass Gliick und menschliche Vollendung nicht von materiellem Besitz abhangen.<br />

Die personliche Armut soll uns vor dem egoistischen Streben bewahren, Dinge und<br />

Fahigkeiten ausschliesslich fiìr uns selbst zu reservieren, auch erzieben wir uns durch<br />

sie zum Offensein fiìr Not der Mitmenschen. Die so verstandene Armut 5011 uns in der<br />

vertrauenden Hingabe an Gottes sorgende Liebe starken. Sie soll sich besonders in<br />

unserer Zeit in einer zuchtvollen Konzumaszese auswirken.<br />

Par. 2 Die Giitergemeinschaft is fiìr unser klosterliches Leben wesentlich. Sie<br />

bedeutet mehr als bloss praktische wirtschaftliche Regelung, Vom einzelnen verlangt<br />

sie verantwortliches Umgehen mit den anvertrauten Gììtern, Anspruchslosigkeit und<br />

weitherzige Bereischaft zur Arbeit, die uns das Lebensnotwendige schafft und dem<br />

Wohl des Nachsten und der Kirche dient.<br />

Par. 3 Das K.loster als Gemeinschaft pflegt den Geist der Armut, indem es seine<br />

Mittel klug und den sozialem Forderungen entsprechend verwaltet und der menschlichen<br />

Gesellschaft nutzbar macht. Es hat seine Solidaritat mit den Menschen durch die Tat<br />

zu beweisen.<br />

Par. 4 Die praktischen Rischtlinien beziìglich des Armutgeliibdes erlasst der Abt<br />

nach Anhoren des Abtrates.<br />

Par. 5 Die Wirtschaftspriifung und wirtschaftliche Ueberwachung der Kloster ist,<br />

unbeschadet der wirtschaftlichen Selbstandigkeit der Kloster, durch ein eigenes Statut<br />

des Kongregationskapitel geregelt ».<br />

- 183-


scevra da preoccupazioni materiali nell'abbandono fiducioso<br />

nelle mani del Padre di ogni bene. Essa significa impegno serio<br />

al lavoro e una vita di lavoro delle proprie mani. Essa significa<br />

solidarietà con i poveri e con coloro che sono privi dei beni<br />

essenziali alla vita, in modo da farceli sentire vicini e suscitare<br />

il bisogno di impegnarsi per essi con tutte le forze. Assieme all'ubbidienza<br />

e alla verginità anche la povertà ha un carattere<br />

di testimonianza per cui si dà ai beni materiali il giusto posto<br />

nell'ordine delle cose.<br />

b) Esercizio della povertà<br />

c) Stile evangelico<br />

1. Povertà della comunità<br />

La proprietà del monastero è proprietà della comunità. Essa è<br />

amministrata dalla Abbadessa e dall'economa da essa stabilita.<br />

Anche i beni di uso comune sono generalmente comunitari<br />

nel monastero. Cosi per l'abitazione, il vestito, la nutrizione ... 21 •<br />

Appartengono evidentemente alle Costituzioni con uno stile piano,<br />

molto accessibile. Hanno come carattere una aderenza tutta particolare<br />

allo stile evangelico, che ha un colore e un gusto tutto particolare:<br />

sobrio, assai legato ai testi della Scrittura che riporta letteralmente per<br />

quanto è possibile. Proprio per queste sue caratteristiche trova grandissime<br />

difficoltà ad amalgamarsi allo stile giuridico delle norme. Difatti le<br />

Costituzioni redatte in questo stile appartengono per lo più alle nuove<br />

21 Konstitutiones des Cistercienserinnenklosters Seligenthal in Landshut / Bayern.<br />

« 108 Auch die klosterliche Armut findet ihre Begrundung in der Christusnachfolge.<br />

Sie bedeute im einzelnen Verzicht auf personlichen Besitz, grosstmogliche Freiheit und<br />

in Unabhangigkeit den irdischen Dingen gegeniìber und ein von angstlìcher Sorge unbescbwertes<br />

Leben im Vertrauen auf die Vatergiite Gottes. Sie bedeutet ernste Verpfìichtung<br />

zur Arbeit und ein Leben von der Arbeit unserer Hande. Sie bedeutet Solidaritat mit<br />

den Armen und Leidenden, indem wir ibre Anliegen zu den unseren machen und<br />

sie nach Kraften unterstiitzen.<br />

109 Wie Gehorsam und jungfraulichkeit, so hat auch die klosterlìche Armut Zeugnischarakter,<br />

indem sie den materiellen Giitern ihren wabren Ort in der Rangordnung<br />

der Werte zuweist.<br />

110 Der Besitz des Kloster ist Besitz der Gesamtgemeinschaft. Er wird durch die<br />

Aebtissin und die von ibr bestellten Diensttragerinnen verwaltet. Aucb alle Gebrauchsgiìter<br />

im Kloster sint grundsatzlich gemeinsam. Dies kommt in der Gemeinsamkeit von<br />

Wohnung, Kleidunt und Nahrung zum Ausdruck ».<br />

- 184-


forme di vita religiosa, generalmente non istituzionalizzate e libere<br />

quindi di esprimersi in modo del tutto lontano dalle formule giuridiche.<br />

Sempre sul tema della povertà ecco il testo della Regola di vita<br />

della comunità non istituzionalizzata di Bose:<br />

La povertà<br />

La povertà, secondo l'Evangelo significa condividere i beni<br />

e vivere nel massimo provvisorio consentito (Mt. 6, 25 e Ls.<br />

3, Il). Essa in fondo ti aiuta ad abbandonarti totalmente a<br />

Dio. L'imprevidenza non è una virtù né umana né cristiana,<br />

ma tu devi abbandonarti nella fede di Dio. «Non ti inquietare<br />

». Cioè non dubitare dell'azione di Dio che ti è padre.<br />

Per questo è normale che la vita nella comunità si svolga in<br />

una relativa incertezza. Se non fosse così, « fidarsi di Dio» sarebbe<br />

un gioco di parole. Se la comunità arriva a cercare una<br />

sicurezza troppo umana, prevede e calcola come i prudenti<br />

di questo mondo, essa non vivrà più di Dio ma di se stessa.<br />

Ricorda che il popolo di Dio è povero, straniero e pellegrino.<br />

Solo in tali condizioni è possibile camminare verso il Regno<br />

e attenderlo veramente. Tu entrando nella comunità hai scelto<br />

di metterti nella povertà al seguito dei poveri di Jahvè, sapendo<br />

che vivere in questo posto significa vivere in esilio,<br />

lontano dal Signore (2 Coro 5, 6). Dunque tu innanzitutto<br />

conoscerai la povertà mettendo i tuoi stipendi con gli altri in<br />

totale comunione. Li consegnerai al fratello incaricato e cosi<br />

il tuo salario non sarà più tuo ma di tutti. L'evangelo è chiaro<br />

ed esigente su tale punto. Condividere i beni, perfino il mantello,<br />

è un dovere, un'esigenza del discepolo di Gesù. Così tu<br />

cercherai di vivere del tuo lavoro e osserverai un ritmo di<br />

spese e consumi economici adeguato alla vita della comunità,<br />

ai suoi bisogni, e allo stile di vita discreto proprio di un cristiano.<br />

Esprimerai la povertà dunque nel modo di vestirti, di comportarti,<br />

di usare, insomma, dei beni comuni.<br />

Povertà sarà così anche per te semplicità di vita. Lo sai, come<br />

fratello, anche senza divisa o segni esteriori, per la visibilità<br />

della comunità cui appartieni, ti sarà difficile e quasi impossibile<br />

la povertà del povero disprezzato ed oppresso.<br />

In fondo, conosciuto come sei da tanti fratelli, amici e ospiti,<br />

ti è facile trovare accoglienza, essere onorato e stimato. Tutte<br />

cose che non accadono al povero. Per questo l'esigenza di po-<br />

- 185-


vertà deve essere unita ad una grande umiltà di spirito che deve<br />

accompagnarsi dentro e fuori la comunità, da un senso di<br />

piccolezza e da un atteggiamento che fugge onori e riconoscimenti.<br />

Non amerai frequentare i ricchi e gli intellettuali o gli<br />

uomini di potere. Pensa a Cristo. Non fuggire il contatto con<br />

loro, ma evita che essi costituiscano tra te e i poveri, i semplici<br />

cristiani di ogni giorno, un ostacolo nelle relazioni e nel servizio.<br />

Il segno di questa povertà di animo sovente si manifesta<br />

dal modo con cui accogli i poveri e i semplici nella comunità.<br />

Circa il danaro, con tutta la comunità farai sì che non si<br />

conservi una somma superiore ai bisogni immediati. Non farai<br />

riserve né costituirai risparmi. Se ti resta qualcosa fa sì<br />

che la comunità lo dia ai poveri. Ma la povertà non sia economia,<br />

avarizia meschina, maniera di vivere legalisticamente la<br />

esigenza evangelica. Riceverai con semplicità i doni eventuali<br />

fatti con amicizia, se ve ne sarà di bisogno in comunità, ma<br />

rifiuterai con forza che la comunità sia finanziata da qualsiasi<br />

potere. E siccome gli edifici stessi, i muri, condizionano la vita<br />

spirituale ed umana della comunità, la comunità vivrà in case<br />

semplici, come quelle abitate dalla gente comune. Ogni fratello<br />

avrà nella misura del possibile la sua camera, ma tutte avranno<br />

gli stessi comforts. Tutto poi in comunità deve ispirarsi a semplici<br />

tà e povertà, la povertà non laida e pesante, ma la povertà<br />

bella, gioiosa, che aiuta a vivere e a nascondere agli occhi degli<br />

uomini la povertà vera. Niente povertà ostentata, spettacolare.<br />

Applica il Consiglio di Cristo: non affliggerti, ma profumati<br />

il capo, fai bello e splendente il viso affinché il Padre veda<br />

nel tuo segreto (Mt. 6, 18).<br />

Le dimensioni infine della casa, dell'accoglienza, delle attività,<br />

saranno dimensioni povere, capaci di consentire la vita<br />

fraterna, il crescere della conoscenza nelle relazioni tra fratelli<br />

e tra comunità ed ospiti, il rifiuto delle antipatie. Povertà<br />

è piccolezza. La comunità certo potrà organizzare incontri e<br />

convegni a servizio delle chiese e del mondo, ma mai con dimensioni<br />

di folla e di spettacolo. Il tuo cuore non ti esalti dunque;<br />

non cercare cose più alte o più grandi di te, raffrena il tuo<br />

cuore e vivi come un bimbo che riposa sicuro nel seno di Dio<br />

(Salmo 131). In viaggio ti comporterai al modo dei poveri, con<br />

semplicità senza moltiplicare le tue esigenze. In viaggio, come<br />

in comunità, come sul lavoro, come con gli altri. Solo la carità,<br />

il bisogno di dare gioia a te e agli altri, una gioia condivisa,<br />

- 186-


CONCLUSIONI<br />

potrà allargare il concetto di povertà che la comunità ti ha<br />

indicato» 22.<br />

Da quanto sono venuto esponendo e dagli esempi citati con<br />

una certa abbondanza perché rendessero più chiara e pratica l'esposizione<br />

dobbiamo trarre alcune conclusioni che possano essere di guida all'elaborazione<br />

delle costituzioni future, senza avere la pretesa di dare regole<br />

chiare e infallibili. Sarà soltanto la collaborazione fattiva di tutti che<br />

potrà permettere di raggiungere un risultato soddisfacente.<br />

Innanzitutto bisogna attuare il mezzo più idoneo per poter fare un<br />

testo veramente religioso, fondato in modo chiaro ed inequivocabile<br />

sulla dottrina evangelica. Bisognerà avere il coraggio di mettere a confronto<br />

le norme legislative con il Vangelo, per eliminarle se non sono<br />

ad esso conformi, per animarle col suo spirito se invece sono fondate<br />

m esso.<br />

Il secondo lavoro, molto più complesso, ma stimolante per la sua<br />

importanza e per l'influsso che può avere nel futuro della vita religiosa<br />

dei nostri monasteri, è quello di compilare un testo che pur con una<br />

certa concisione, in uno stile per quanto possibile aderente allo stile<br />

evangelico, possa ripresentare il volto della vita religiosa nelle sue esigenze,<br />

nelle sue forme, in modo adatto alla mentalità di oggi; che possa<br />

fare risaltare gli elementi fondamentali, separandoli dalla crusca che<br />

molto spesso si è insinuata.<br />

I tentativi già fatti da altri Ordini e Congregazioni ci devono aiutare<br />

ad evitare quello che nei vari tentativi c'è di meno buono, e di unire i<br />

pregi che in essi si sono manifestati.<br />

P. MALACHIA FALLETTI, O. CISTo<br />

22 «Esortazione al fratello che entra in comunità ». Estratto da «Servitium» 5<br />

1971, pp. 13-15.<br />

- 187-


VERSO L'AUSPICATA REALIZZAZIONE IN LOMBARDIA<br />

DEL MUSEO STORICO DELL'AGRICOLTURA<br />

NELLA TRADIZIONE E NELL'AMBIENTE CISTERCENSE<br />

In questi giorni e nei locali adiacenti al « Salone dell'Economia Lombarda»<br />

(g. c. dalla Cassa di Risparmio delle PP. LL.), dove lo scorso<br />

Anno Accademico il Prof. Dell'Amore aprì il I Convegno di Studi nel<br />

quadro delle celebrazioni del Centenario della Facoltà di Agraria - e<br />

quindi in continuità e nei « voti» di esso - si è riunita la « Commissione<br />

di studio» per la creazione a Milano dell'Istituto di Storia dell)Agricoltura.<br />

A questi lavori, iniziati nel giugno scorso alla Società Agraria<br />

di Lombardia, hanno preso parte il Prof. Imberciadori dell'Ateneo di<br />

Parma e dell'Accademia dei Georgofìli, il Preside della Facoltà di Agraria<br />

Prof. Baldacci, il Prof. Cipolla dell'Università di Pavia, il Prof. Anati<br />

dell'Università di Tel Aviv e Direttore del Centro Studi Preistorici di<br />

Val Camonica; il Prof. Mattini della Società Storica Italiana, mentre i<br />

Proff. Romani e Zaninelli della «Cattolica» avevano già dato la loro<br />

autorevole adesione e collaborazione. .<br />

Con l'occasione è stato esaminato e discusso lo « statuto» del nascente<br />

Istituto nonché il suo collegamento futuro fra la Facoltà di<br />

Agraria di Milano e Piacenza, l'Ateneo Pavese e gli Istituti della « Cattolica<br />

». In questo clima di innovazione e di coraggiosa e nuova attività,<br />

nella eco del successo di studi storico-agrari promossi dal recente convegno<br />

di maggio, è stato con piacere appreso che la «Gazzetta Ufficiale»<br />

del mese di gennaio ha pubblicato la nuova struttura dello<br />

statuto della Facoltà, dove, fra altri insegnamenti complementari, è<br />

stato aggiunto anche il «corso di storia dell'agricoltura »; per cui il<br />

nostro Ateneo si pone decisamente alla testa unitamente alla Università<br />

di Bologna ove detto corso è illustrato dal Prof. Ono Agostino<br />

Bignardi.<br />

Nel fervore di questi studi sappiamo che anche dopo la riuscita<br />

del Convegno di Studi tenuto a Pavia (sulla « Storia dei Vini ») anche<br />

altre vecchie e gloriose Facoltà di Agraria, come quelle di Portici e di<br />

Pisa, stanno preparando altre simili iniziative sul tipo di quelle nello<br />

scorso anno promosse per il Centenario della nostra Facoltà (1871-1971).<br />

Sempre nella sede di questi « lavori » è stato anche esaminato -<br />

in esecuzione alla iniziativa promossa dal « Risicoltore » (Merlo-Frediani)<br />

- anche il progetto - sempre per la creazione a Milano-Pavia nel<br />

- 188-


clima dei futuri studi del nascente Istituto di Studi - il previsto Museo<br />

Storico dell' Agricoltura.<br />

La « Commissione di lavoro» lo scorso anno nominata per la strutturazione<br />

nel nascente Museo dell' Agricoltura e della quale fanno parte<br />

qualificati Docenti ed esperti agricoli, ha sempre in questa nostra citata<br />

sede animato la fertile discussione con la partecipazione del Prof. Dallanno,<br />

Ispettore compartimentale (che rappresentava anche 1'Assessorato<br />

per l'Agricoltura della Regione), del Prof. Pellizzi, Titolare di Meccanica<br />

Agraria, del Prof. Retj dell'Università Californiana (che trovasi<br />

in Italia per lo studio dei reperti leonardeschi), dell'Arch. Prof. Perogalli<br />

(che rappresentava anche 1'« Italia Nostra », che con molto interesse<br />

segue la nostra iniziativa del Museo) e di tanti altri per i quali, nel<br />

triangolo storico-agrario di Chiaravalle, Morimondo, Certosa di Pavia,<br />

il previsto Museo potrebbe realizzarsi.<br />

Tali iniziative, con una più specifica strumentazione professionale<br />

che derivi dai ben noti musei etnografici di Firenze, Roma e Palermo,<br />

si accentrano proprio nelle province agricole della Lombardia, dell'Emilia<br />

e della Toscana. La più anziana e forse la più costruttiva delle iniziative<br />

fu trattata (sia pure nella ristretta cerchia dialcuni maestri dell'Ateneo<br />

pavese, in rapporti di cordialità con altri operosi tecnici dell'agricoltura<br />

padana) nella vecchia città ticinese quando, nell'ormai lontano<br />

1939-1940, in collaborazione cordiale fra Pavia e Milano, furono realizzate<br />

le solenni celebrazioni leonardesche.<br />

Tra le difficoltà del sopraggiunto conflitto mondiale - per cui la<br />

maggior parte del materiale mandato in America e in Giappone andò distrutto<br />

- quanto rimase fu raccolto nella capitale lombarda fintanto che<br />

un gruppo di coraggiosi iniziatori (con a capo il compianto Ing ..Uccelli,<br />

che alla nobile iniziativa legò la sua operosità e il suo patrimonio) nel<br />

dopoguerra riuscì a potenziarlo e completarlo, dando vita all'originale<br />

Museo della Scienza e della Tecnica che oggi raccoglie una vasta documentazione<br />

del fervore industriale lombardo.<br />

In pari tempo, la vecchia idea tecnico-agricola non veniva abbandonata.<br />

Spostatici in Toscana - ove le tradizioni antiche risalenti alle<br />

opere etrusche sono confermate dal fervore rinnovatore di tutto il periodo<br />

rurale del sette-ottocento - nell'accogliente ambiente familiare<br />

del Bobolino, ove settimanalmente ci si riuniva sotto la serena guida<br />

e il fervido conversare del nostro indimenticabile maestro Arrigo Serpieri,<br />

il vecchio desiderio di studiare e raccogliere i reperti della nostra<br />

evoluzione rurale ebbe modo di essere ancora trattato e discusso. Ma i<br />

tempi non erano ancora maturi per realizzarlo.<br />

- 189-


Oggi ilprogetto acquista attualità. Infatti, in un corsivo apparso nello<br />

scorso dicembre sulla Rivista per la Storia dell'Agricoltura, è stato autorevolmente<br />

rilanciato. E proprio in Lombardia - ove due istituzioni<br />

antiche e qualificate come la Facoltà di Agraria, che compie quest'anno il<br />

suo primo 'secolo di vita operosa e la Società Agraria di Lombardia presiedono<br />

allo studio di importanti problemi tecnico-economici - è<br />

augurabile che il museo trovi pratica attuazione.<br />

Quale potrebbe esserne la sede? Pensiamo potrebbe essere ospitato<br />

nei locali ancora disponibili al primo piano dell'ormai restaurato<br />

Castello visconteo di Pavia, all'ombra' e sotto la guida dell'antico Studio<br />

ticinese. Oppure nei vasti locali facenti parte della foresteria del palazzo<br />

ducale della Certosa di Pavia, ove di recente si sono insediati gli operosi<br />

padri cistercensi, dando vita a una serie di lodevoli iniziative culturali<br />

che bene si armonizzerebbero con le nostre raccolte storico-agricole.<br />

Ciò che più importa, comunque, è di poter passare presto alla fase<br />

di reperimento del materiale tecnico-meccanico che rappresenterà un<br />

po' il nucleo del museo. È questo un momento di profonde, radicali ,trasformazioni<br />

e ristrutturazioni della nostra agricoltura; pertanto, in molte<br />

cascine abbiamo vecchie macchine, torchi, strumenti di cui i nostri agricoltori<br />

debbono necessariamente disfarsi. Tutto quel materiale per le<br />

nostre raccolte del museo potrebbe diventare prezioso. Occorre perciò<br />

iniziare presto la raccolta, evitando che sui reperti possano mettere le<br />

mani antiquari, o pseudo tali, per usarli magari in stravaganti arredamenti.<br />

- 190-<br />

GIUSEPPE FREDIANI


CISTERCENSI DI IERI E DI OGGI<br />

Bartolomeo di Tienen (*)<br />

La fama di Bartolomeo più che alla classe civile cui apparteneva,<br />

è legata alla pietà delle sue opere e alla assidua onestà della sua vita ( ... ).<br />

Egli fondò i tre monasteri femminili cistercensi di Bloemendael<br />

(Valle Fiorita), di Magdendael (Valle delle Vergini) e di Nazaret:<br />

i primi due presso Oplinter nel Brabante, il terzo presso Lier (Antwerpen).<br />

In essi lasciò ai posteri il ricordo della sua santità e della sua<br />

beneficenza.<br />

Aveva sposato Gertrude, donna di spiccata pietà, devota e casta,<br />

regina della casa, sottomessa al suo sposo, cara a Dio, famosa tra le<br />

donne del suo tempo per le sue opere buone.<br />

Di pari nobiltà spirituale furono i figli che nacquero da tale<br />

unione, e che Bartolomeo riconsegnò tutti, come li aveva ricevuti,<br />

al Padre delle misericordie: il figlio primo geni to divenne canonico regolare<br />

premostratense nell'abbazia di Averbode; una figlia, forse la<br />

seconda, fu monaca cistercense nell'abbazia di La Ramée Le Jauchelette,<br />

nel Brabante; Bartolomeo stesso, dopo la morte della sposa, si ritirò<br />

nell'abbazia cistercense di Bloemendael da lui fondata, assieme al figlio<br />

Wicberto e alle figlie Sibilla, Beatrice e Cristina; e ivi visse sei<br />

anni finché, ispirato da Dio, decise di fondare un secondo monastero<br />

nel quale le monache dello stesso ordine cistercense potessero servire<br />

Dio notte e giorno. Sorse così con l'aiuto di Dio l'abbazia cistercense<br />

di Magdendael o Valle delle Vergini. Fu lo stesso fondatore che scelse<br />

il nome per il nuovo monastero. Ed in esso si trasferl insieme a Wicberto<br />

e alle tre figlie. Per quattordici anni visse a Magdendael, mirando<br />

a conformarsi alla volontà di Dio attraverso le osservanze regolari<br />

dell'Ordine.<br />

Quindi, per onorare la Santissima Trinità decise di fondare un terzo<br />

monastero: e fu il monastero di Nazaret, nel quale Bartolomeo<br />

si trasferì ancora una volta assieme ai figli. In esso rimase sino alla<br />

morte, servendo il Signore quale valoroso soldato di Cristo.<br />

,', Il beato Bartolomeo di Tienen, converso cistercense, fu padre della beata Beatrice,<br />

monaca cistercense vissuta dal 1200 al 1268, priora per trenta anni del monastero<br />

di Nazaret. Della beata Beatrice abbiamo una Vita, antichissima, pubblicata in edizione<br />

critica da L. Reypens S. ]., 1964 Antwerpen. L'articolo che pubblichiamo è tratto dal<br />

cap. primo del primo libro di questa Vita.<br />

- 191


In ogni tempo Bartolomeo fu zelante e sollecito nel promuovere<br />

il decoro del culto divino, assiduo nel sollevare il prossimo dall'indigenza.<br />

Non minore fu l'asprezza con cui domava il suo corpo, la sobrietà<br />

e la moderazione con cui si sostentava. Acceso dallo zelo per la<br />

salvezza delle anime, a coloro che a lui si accostavano, rivolgeva parole<br />

di santa edificazione; con l'aiuto della grazia di Cristo condusse molte<br />

persone dalle tenebre del peccato alla luce di una vita corretta; altre<br />

persone sciolse dai legami del secolo e le strinse a Cristo Signore con<br />

la professione religiosa; povero per amore di Cristo, fu nondimeno largo<br />

e benefico verso i poveri, tanto che quando usciva dal monastero per<br />

il disbrigo degli affari, portava sempre con sé una somma di denaro da<br />

distribuire ai poveri che avrebbe incontrato.<br />

Notevolissima era la sua devozione per le anime purganti, in suffragio<br />

delle quali recitava ogni giorno il salterio per intero, cui aggiungeva<br />

la frequentissima ripetizione del salmo 50; con preghiere e discipline<br />

corporali cercava di alleviare le pene cui il giudizio di Dio aveva<br />

sottoposto le anime dei defunti.<br />

Nessuno mai lo vide ozioso, tiepido o pigro. Di giorno imitava<br />

Marta dedicandosi al lavoro manuale, di notte indugiava ai piedi del<br />

Signore in compagnia di Maria, nella preghiera e nella meditazione;<br />

con le veglie prolungate mirava ad acquisire il diritto a quella « ottima<br />

parte che nessuno gli avrebbe potuto portar via ». Mai (lo affermava<br />

egli stesso) le preoccupazioni esterne avevano ostacolato il devoto fervore<br />

del suo cuore; mai un impegno imprevisto aveva diminuito l'intensità<br />

della preghiera. Spesso aveva nel cuore o sulla bocca il ricordo della<br />

Passione del Signore, specialmente nelle ore in cui, secondo l'insegnamento<br />

della Chiesa l, Gesù Signore si sottomise volontariamente alle<br />

contumelie della sua Passione per redimerei dal peccato.<br />

Il pio vegliardo mai cessava di lodare Dio, mai poté saziarsi della<br />

divina parola: la accoglieva piamente nel cuore, ve la custodiva con<br />

cura, e la bagnava dolcemente ogni giorno con l'abbondante pioggia<br />

delle sue lagrime, finché non avesse portato il frutto sperato.<br />

Chi potrebbe esprimere in modo adeguato la purezza di spirito,<br />

la semplicità di parola, la profondità dell'intelligenza di questo uomo<br />

santo? Spesso la sua anima meritò di penetrare le grandezze di Dio e<br />

dei suoi giudizi; spesso il Signore nella orazione gli svelò le meravi-<br />

l Allusione alle Ore Canoniche dell'Ufficio divino, che fin dall'antichità erano state<br />

distribuite lungo il corso della giornata in corrispondenza ai fatti più salienti della Passione<br />

del Signore: ora di Terza. ora di Sesta, ora di Nona. Le Ore Canoniche furono.<br />

specialmente durante il medioevo, l'occasione per meditare la Passione del Signore nel<br />

corso della giornata.<br />

- 192-


glie dei suoi segreti. A cominciare da dieci anni prima della sua morte, il<br />

santo vecchio quasi ogni domenica si cibava del corpo del Signore con<br />

grande affetto e devozione, tra lagrime abbondanti. Le sue virtù eran di<br />

esempio e motivo di riflessione per coloro che lo conoscevano; essi infatti<br />

stupivano che un uomo di circa 95 anni sapesse procedere con tanta alacrità<br />

d'animo nel cammino della santità, superando di slancio con la sua<br />

forza di volontà e con l'acutezza della sua mente tanti giovani forti<br />

e robusti.<br />

Ma a Dio piacque por fine alle fatiche del nostro santo, e premiare<br />

con la felicità eterna le lunghe battaglie del suo servo fedele. Il pio vegliardo,<br />

costretto a letto, consumato da lenta febbre, andò a poco a poco<br />

incontro al suo ultimo giorno.<br />

Accanto al suo letto sedevano in lagrime due delle sue figliole,<br />

Cristina c Beatrice, le più affezionate. Egli si volse a loro col volto<br />

dal quale traspariva una serenità celestiale, e le esortò a mitigare la<br />

loro tristezza: Non piangete, figliole mie carissime; anzi, rallegratevi<br />

con me, perché sono certo che, deposto il peso della mia carne, cadrò<br />

nelle mani del Signore Onnipotente, il quale si è degnato di annoverarmi,<br />

sebbene peccatore, nel numero dei suoi eletti. Egli mi ha consolato annunciadomi<br />

la mia salvezza. Vi dirò di più, mi ha anche rivelato che tutti i<br />

miei figli e le mie figlie sono divinamente predestinati alla luce eterna.<br />

lo godrò dunque ancora della vostra compagnia, in una gioia che non<br />

avrà mai fine.<br />

Non passò molto tempo e le condizioni del malato si aggravarono<br />

ulteriormente. In breve Bartolomeo fu allo stremo. Confortato dal sacramento<br />

che dà la Vita, pronunziata la sua ultima professione di fede,<br />

il servo fedele e prudente entrò felice nel gaudio del suo Signore, per<br />

regnare con lui nei secoli.<br />

O uomo veramente beato, la tua anima sarà nel cielo tanto più<br />

gloriosa senza fine, quanto più brillasti in questo mondo, illustre fra<br />

i più illustri, per il costante esercizio di tante virtù.<br />

Fu sepolto nel monastero di Nazaret, da lui stesso fondato nel<br />

territorio della città di Lier con l'aiuto del Signore nostro Gesù Cristo,<br />

che, Dio col Padre e lo Spirito Santo, regna nei secoli dei secoli.<br />

Amen 2.<br />

Versione dal latino a cura del P. VITTORINO ZANNI, O. CISTo<br />

2 Bartolomeo morì, con ogni probalità, nel 1260. La tradizione, basata forse su una<br />

antica lapide sepolcrale oggi scomparsa, vuole che egli avesse raggiunto l'età di 97 anni.<br />

- 193-


Iean De La Croix Bouton O,C,S.O.<br />

STORIA DELL'ORDINE CISTERCENSE<br />

itredicesima puntata)<br />

Prime fondazioni<br />

Nel Nuovo Monastero le prove si susseguivano. Non era ancora superata<br />

quella della fame e assicurata una vita meno precaria che la<br />

crisi delle vocazioni assunse una forma allarmante. Secondo l'Exordium<br />

paroum, la fonte più autorevole per il periodo della storia di Citeaux<br />

sotto San Alberico, le vocazioni furono sempre poche; «quasi tutti<br />

coloro che li vedevano o ne sentivano parlare pensavano piuttosto a<br />

fuggirli che ad abbracciare un genere di vita dall'eccessiva severità, e<br />

il cui avvenire lasciava dubbiosi ».<br />

Sotto Santo Stefano la situazione pare si aggravasse. L'Exordium<br />

magnum fa allusione a una mortalità eccezionale. L'autore mette queste<br />

parole sulle labbra dell'abate: «Quel che più addolora il mio spirito<br />

è vedere, nonostante il nostro esiguo numero, che la morte colpisce di<br />

giorno in giorno uno dopo l'altro. Mi auguro che questa istituzione che<br />

è iniziata con noi, non finisca anche con noi ». Singuli quotidie morte<br />

interueniente tollimur e medio. Non ci è consentito precisare se si<br />

tratti di un'epidemia vera e propria o d'una conseguenza della carestia,<br />

o semplicemente di decessi naturali a intervalli ravvicinati. L'angoscia<br />

dell'abate e dei sopravvissuti arrivò al punto che i testi parlano di<br />

desperatio; e l'Exordium magnum racconta della domanda accorata di<br />

Santo Stefano a un fratello in punto di morte e della risposta confortante<br />

di questi durante una pausa del lavoro sui campi. Sia quel che sia<br />

di queste rivelazioni, la risposta dal cielo a tante suppliche, meravigliosa<br />

quanto improvvisa, a suo tempo arrivò.<br />

Arrivo di Bernardo e compagni<br />

«In quel tempo il Signore visitò quel luogo ed aprì le viscere<br />

della sua misericordia per coloro che lo supplicavano, gridavano a lui,<br />

- 195-


gli piangevano dinanzi, mandando giorno e notte lunghi e profondi sospiri,<br />

ormai sull'orlo della disperazione, perché quasi non avevano chi<br />

loro succedesse. La grazia di Dio, infatti, inviò a quella chiesa un<br />

tal numero di chierici letterati e nobili e di laici potenti nel secolo<br />

e non meno nobili, che se ne presentarono assieme trenta, desiderosi di<br />

entrare in noviziato. Con sforzi coraggiosi e costanti contro se stessi<br />

e contro lo spirito maligno, essi perseverarono. In seguito altri, vecchi,<br />

giovani, uomini di ogni età e nazione, vedendo attraverso l'esempio<br />

dei primi che quella Regola che essi avevano considerato al di sopra<br />

delle loro forze era in realtà praticabile, accorsero a sottomettersi<br />

al giogo soave di Cristo e, col loro amore ardente dei dure et aspera<br />

della Regola, contribuirono a rallegrare e fortificare quella chiesa<br />

in modo meraviglioso» (Exordium paruum, cap. XVIII). I biografi di<br />

San Bernardo, Guglielmo di Saint-Thierry e Goffredo, raccontano che il<br />

giovane figlio del signore di Fontaine, bramoso di abbandonare il mondo<br />

e disdegnando la vicina abbazia di Saint-Bénigne dov'era inumata sua<br />

madre, disdegnando pure Molesme dove suo padre era ben conosciuto,<br />

riuscì a trascinare con sé nel deserto di Citeaux tutti i parenti stretti<br />

e gli amici. Erano 32 o 33, ma all'ultimo momento due si ritirarono.<br />

Sono noti soltanto alcuni nomi: oltre Bernardo, i suoi zii Gaudry di<br />

Touillon e Miles di Montbard, i suoi fratelli Guido, Gerardo, Andrea,<br />

Bartolomeo, suo cugino Goffredo della Roche, e Ugo di Vitry, Goffredo<br />

d'Aignay, Artaldo, Ugo il povero di Montbard, e senza dubbio Arnoldo<br />

futuro abate di Morimond (cfr Bernardo di Chiaravalle, La vocazione).<br />

Questi coraggiosi arrivarono nell'aprile 1112, poco prima della festa<br />

di Pasqua (21 aprile). Non è questo il luogo per parlare del noviziato<br />

e dei primi anni di vita religiosa di Bernardo. Va rilevato soltanto che<br />

grande fu la gioia di Stefano e dei fratelli, perché erano finalmente giunti<br />

uomini a cui avrebbero trasmesso il tesoro di virtù che il Signore aveva<br />

loro affidato.<br />

Prime figlie di Cùeaux<br />

LA FERTÉ (Firmitas). Si legge nel documento relativo alla fondazione<br />

e alle prime donazioni di La Ferté: «Il numero dei fratelli a Citeaux<br />

era così grande che né il posto era sufficiente a contenerli né le risorse<br />

a sostentarli ». Bisogna pensare a un'esagerazione oratoria in questo<br />

testo scritto molto più tardi? Comunque sia, la carta ci dice che l'abate<br />

Stefano e i fratelli andavano in cerca di un altro luogo dove una<br />

parte di essi, separati nel corpo ma non nello spirito, sarebbero andati<br />

- 196-


a servire Dio. La cosa fu risaputa dal vescovo di Chalon Gualtiero, dai<br />

canonici della sua chiesa e dai due conti di Chalon, Savary e Guglielmo.<br />

Questi ultimi offrirono una parte della foresta di Bragny, sulle sponde<br />

della Grosne, facendola delimitare con croci. L'oratorio fu solennemente<br />

consacrato in onore di Nostra Signora dal vescovo di Chalon in<br />

presenza del vescovo di Langres, Giosserando, e dell'abate Stefano.<br />

Era la domenica 18 maggio 1113. I monaci erano arrivati la vigilia guidati<br />

dall'abte Filiberto, designato per governare la prima figlia di<br />

Citeaux. Dei due conti, fondatori di La Ferté, uno è stato riconosciuto<br />

come il marito di Elisabetta di Vergy: Savary di Donzy, conte di una<br />

parte di Chalon sin dal 1095.<br />

PONTIGNY(Pontiniacus). Nonostante la fondazione di La Ferté, nel<br />

Nuovo Monastero restava ancora un « gran numero di monaci ». Lo afferma<br />

la carta di fondazione di Pontigny, quanto riferisce la domanda<br />

presentata da un prete della diocesi di Auxerre, di nome Ansio, in vista<br />

di costruire un'abbazia in località Pontiniacus, non lontano da Serain.<br />

Trattandosi di un'altra diocesi, diversa da quella del Nuovo Monastero,<br />

Santo Stefano chiese che il vescovo di Auxerre, Umbaldo, fosse messo<br />

al corrente. L'affare fu regolato dopo che il vescovo e i canonici ebbero<br />

approvato la Carta caritatis et unanimitatis che puntualizzava i rapporti<br />

tra il Nuovo Monastero e le figlie.<br />

Trovando la donazione un po' esigua, l'abate Stefano ottenne facilmente<br />

dalla generosità del conte Guglielmo d'Auxerre un aumento<br />

della proprietà con dei diritti di pascolo e di pesca. La fondazione è datata<br />

il 31 maggio 1114. Il primo abate fu Ugo di Vitry, amico di<br />

San Bernardo e suo compagno di noviziato.<br />

CLAIRVAUX(Claravallis). La fondazione di Clairvaux è stata studiata<br />

abbastanza dettagliatamente in occasione del centenario di San Bernardo.<br />

Riteniamo perciò superfluo tornarci sopra (cfr Bernard de Clairuaux,<br />

cap. VI e VII). La data di fondazione è il 25 giugno 1115.<br />

MORIMOND(Morimons). Anche per questa quarta figlia di Citeaux si<br />

suole assegnare come data di fondazione il 25 giugno 1115, benché in<br />

alcuni studi si trovi anche 1'11 luglio (cfr gli studi del R. P. GRILL in<br />

Bernard de Clairuaux e in Festschrift zum 800 Jahrg. des Todes Bernbards<br />

uon Clairvaux, Vienne, 1953).<br />

Dopo la fondazione di Morimond la Casa-Madre respirò per qualche<br />

tempo, poi nel 1118 le fondazioni ripresero.<br />

PREUILLY (Prulliacum). La fondazione di Preuil1y è dovuta<br />

alla generosità di Tealdo II conte di Champagne e Brie e di sua madre,<br />

contessa Adele, figlia di Guglielmo il Conquistatore. Acquistarono da<br />

- 197-


Ilduino di Egligny dei terreni in una vallata della diocesi di Sens, in<br />

località Preuilly, per offrirli a Stefano abate del Nuovo Monastero ed<br />

ai fratelli. L'unico particolare per fissarne una data approssimativa<br />

è l'uso del termine Novum Monasterium. La si pone nel 1118. Il primo<br />

abata fu Artaldo, uno dei compagni di San Bernardo.<br />

La COUR DIEU (Curia Dei). Il vescovo di Orléans, Giovanni II,<br />

avendo sentito parlare dei <strong>Cistercensi</strong>, chiese a Stefano dei monaci.<br />

I dodici inviati dall'abate di Citeaux sotto la direzione di Amaury furono<br />

condotti dal vescovo in una valle incolta della sua diocesi, nella parrocchia<br />

di Ingrannes. Dopo una sistemazione provvisoria a un quarto di<br />

miglio si stabilirono nella nuova abbazia in un momento imprecisato<br />

dell'anno 1119. La carta di fondazione fu redatta nel 1123, a cinque<br />

anni dall'arrivo dei monaci.<br />

BONNEvAux(Bona vallis). Nel suo soggiorno a Digione in occasione<br />

deI sinodo da lui convocato in quella città nel 1117, Guido di Borgogna<br />

arcivescovo di Vienne e Legato della Santa Sede, si recò al Nuovo Monastero<br />

e pregò l'abate Stefano di costruire un'abbazia nella sua diocesi.<br />

L'abate, col consiglio dei monaci, andò a Vienne e dopo aver dato uno<br />

sguardo a tutta la zona fece la sua scelta su una valle solitaria, a cui<br />

l'arcivescovo volle dare il nome di Bona vallis. L'inizio della costruzione<br />

fu ritardata di molto per l'ostinata opposizione dell'abate di<br />

Saint-Pierre-de-Vienne. Un accordo fu tuttavia raggiunto e firmato il<br />

25 settembre (prima che l'arcivescovo Guido salisse al Soglio Pontificio<br />

col nome di Callisto II). Fu pattuito che i <strong>Cistercensi</strong> avrebbero pagato<br />

una decima ai Benedettini di Saint-Pierre-de-Vienne e sarebbero<br />

vissuti nei loro riguardi sicut amici, salvo cisterciensi instituto. Una Bolla<br />

di Callisto II del 28 giugno 1119 sottometteva alla chiesa di Vienne<br />

tutte le abbazie della provincia, compresa Bonnevaux, nostris sumptibus<br />

et laboribus [andata. Ma qualche mese più tardi, il 7 febbraio 1120, lo<br />

stesso Callisto II prendeva Bonnevaux sotto la protezione del Seggio<br />

Apostolico e ne confermava i possedimenti.<br />

Prime ramificazioni. Problemi di organizzazione<br />

Nel frattempo i primi monasteri fondati da Citeaux prosperavano,<br />

tanto da fondarne a loro volta. Diede l'avvio Clairvaux con TROIS-FoN-<br />

TAINESin diocesi di Chàlons nel 1118. L'anno seguente vi furono diverse<br />

fondazioni, di cui è difficile dare la cronologia esatta. Una decisione<br />

del Capitolo Generale fa allusione a un anno in cui gli abati riuniti<br />

attorno a Stefano erano dieci. Nos abbates illo tempore decem ... rogaba-<br />

- 198-


mus domnum abbatem Stepbanum et fratres. Non può essere il 1118.<br />

Se c'è stato il Capitolo Generale in quell'anno, gli abati attorno a Stefano<br />

non potevano essere che sei. Non può essere il 1120, perché, come<br />

afferma l'Exordium paruum, le abbazie in quell'anno erano dodici (costruite<br />

dal 1113 a tutto il 1120). Resta dunque che gli abati erano<br />

riuniti in numero di dieci nel 1119. Tra loro bisogna senza dubbio contare<br />

Filiberto di La Ferté , Ugo di Pontigny, Bernardo di Clairuaux, Arnoldo'<br />

di Morimond, Artaldo di Preuilly, Ruggero di Trois-Fontaines,<br />

Amaury di La Cour Dieu, Giovanni di Bonneuaux. Gli altri due sono<br />

incerti. Se il Capitolo del 1120 riunì dodici abati, bisogna aggiungere a<br />

ques ti Goffredo di Bouras (figlia di Pontigny), Pons di Bellevaux (figlia<br />

di Morimond), Goffredo di Fontenay (figlia di Clairvaux), e forse anche<br />

Enrico di Cadouin (figlia di Pontigny). Lo stesso anno venivano fondate<br />

Tiglieto da La Ferté e Mazan da Bonnevaux. Ora si poneva il grosso<br />

problema delle relazioni con la Casa-Madre.<br />

San Benedetto aveva fatto del monastero una famiglia autonoma e<br />

autosufficiente. Parla di monaci provenienti da altri monasteri e riconosce<br />

agli abati dei dintorni anche un certo diritto di controllo nella<br />

elezione dell'abate; ma nella Regola non parla affatto di legami tra le<br />

diverse abbazie.<br />

Tuttavia, se nell'Alto Medioevo non si incontrano « congregazioni<br />

» propriamente dette, non è raro trovare monasteri uniti in modo speciale<br />

o per l'origine della comunità, o per una parentela nell'osservanza,<br />

o in forza di una traditio (atto con cui un signore o un vescovo cede -<br />

tradit - un monastero di cui è patrono o proprietario a un'altra abbazia),<br />

o infine in virtù di una recommendatio (atto con cui un monastero<br />

si mette spontaneamente sotto la protezione di un'abbazia più<br />

potente). Sulle case sottomesse per traditi o o per recommendatio,<br />

l'abbazia-capo esercitava diritti di visita e di correzione. Spesso nominava<br />

il priore o l'abate, e poteva dimetterli. Talvolta l'abbazia-suddita<br />

conservava la prerogativa di scegliersi l'abate, e faceva un giuramento<br />

di obbedienza. Sui priora ti da essa fondati i diritti dell'abbazia-madre<br />

erano più considerevoli. In pratica, i superiori, i monaci e i beni di<br />

questi priorati erano alla discrezione dell' abbazia-madre. I priora ti dovevano<br />

pagare, in segno di sudditanza, un censo annuo in natura o in<br />

denaro.<br />

Più su abbiamo parlato dell'opera di unione di San Benedetto d'Aniano,<br />

e soprattutto di Cluny dove la centralizzazione era spinta fino all'eccesso.<br />

Anche a Vallombrosa la preminenza dell'abbazia-madre era<br />

molto marcata.<br />

- 199-


D'altra parte esistevano associazioni spirituali di abbazie, ben<br />

diverse da qualsiasi raggruppamento fondato su legami di filiazione o<br />

di dipendenza. E si videro formarsi associazioni, societates o confraternite<br />

monastiche depositate su carte speciali delle lettere di comunione.<br />

Organizzazione dell'Ordine<br />

GENESI DELLA CART A CARIT ATIS<br />

La Carta di Carità è lo statuto fondamentale dell'Ordine Cistercense,<br />

elaborato da Santo Stefano al fine di tenere unite tra loro le varie case<br />

dell'Ordine collegarne della carità, in modo da farne una sola famiglia.<br />

È uno dei documenti fondamentali del diritto monastico ed ha avuto<br />

grande influenza attraverso i secoli.<br />

Fino a qualche anno fa si conosceva un solo testo: quello riportato<br />

nei nostri Usi. Ma nel 1942 Mgr J. Turk, dell'Università di Laymach<br />

(Iugoslavia), scoprl un nuovo testo, senza dubbio più antico del testo<br />

conosciuto, e lo chiamò CC prior (CC = carta caritatis) in opposizione<br />

all'altro, divenuto conseguentemente CC posterior. I lavori di Mgr Turk<br />

apparsi in sloveno nel 1942, furono pubblicati in latino nelle Analecta<br />

S. O. C. t. I, 1945, pp. 11-65, e poi ibid. IV, 1948, pp. 1-159 (edizione<br />

integrale del ms. Laybach 31 ibid. VI, 1950).<br />

Successivamente furono scoperti e pubblicati vari altri testi della<br />

CC prior (cfr Collectanea O. C. R., VIII, n. 1, p. 3-9). Per Mgr Turk non<br />

c'era alcun dubbio: la CC prior era certamente il testo elaborato da<br />

Santo Stefano verso il 1118-1119 e approvato il 23 dicembre 1119 da<br />

Papa Callisto II. Ma il confronto di questa CC con un testo più corto,<br />

considerato fino a quel momento un riassunto della CC e chiamato<br />

Summa cartae caritatis ha provocato la pubblicazione simultanea di due<br />

lavori contestanti le conclusioni di Mgr Turk. Secondo M. G. da Beaufort<br />

(Rev. Hist. Eccl. Louvain, XLIX, 1954, n. 2-3), il testo approvato da<br />

Callisto II non era la CC prior (né la Summa CC), bensì un altro testo,<br />

ancora sconosciuto, più corto e più semplice della CC prior. Per<br />

M. J. A. Lefèvre (studi apparsi nelle Collectanea O. C. R., XVI, 1954,<br />

passim), il testo approvato da Callisto II era semplicemente la Summa<br />

CC seguita da alcuni capitula.<br />

- 200-


Senza fermarci a discutere delle parti di verità o di errore contenute<br />

in queste diverse soluzioni, esporremo l'opinione più probabile.<br />

Per lo studio della genesi della CC, non sarà più l'Exordium parvum a<br />

servirei da guida, ma il testo chiamato Exordium Cistercii che contiene<br />

la Summa CC. Per comprendere meglio quanto stiamo per esporre, è<br />

utile conoscere la natura di questi due documenti.<br />

. . ..<br />

Exordium cisterciensis coenobii ed Exordium Cistercii<br />

L'Exordium cisterciensis coenobii (questo è il vero titolo dell'Exordium<br />

parvum, chiamato così in opposizione all'Exordium magnum)<br />

è la storia della fondazione del Nuovo Monastero. È stato composto per<br />

difendere la legittimità delle osservanze cistercensi dalle critiche formulate<br />

contro quelle austerità insolite e forse sconosciute, asperitatem<br />

insolitam et quasi inauditam. Vuole dimostrare che quel genere di vita<br />

sin dall'inizio è stato approvato dalle autorità più alte: il legato Ugo<br />

di Die, il vescovo di Chalon, i due cardinali legati, i Papi Urbano II<br />

e Pasquale II. Ed esibisce tutti i documenti che provano quam canonice<br />

quanta auctoritate et quam magno consilio et auctoritate è stata fondata<br />

la chiesa di Citeaux.<br />

L'opuscolo fu iniziato nel 1111, poco dopo la «caduta» di Papa<br />

Pasquale (12 aprile) e la morte di Roberto di Molesme (29 aprile),<br />

periodo in cui i poveri monaci del Nuovo Monastero non potevano andar<br />

fieri né di Roberto che li aveva abbandonati così facilmente né dei<br />

vecchi confratelli che continuavano a dubitare della loro perseveranza.<br />

Di qui il tono piuttosto severo nei riguardi di Molesme (cfr soprattutto<br />

i capitoli III, V, IX, XV, XVI, XVII).<br />

Dopo l'arrivo di Bernardo e compagni, le cui mogli e parenti entrarono<br />

a Jully, fondazione femminile di Molesme, tra Citeaux e Molesme si<br />

stabilirono relazioni più distese. Relazioni che divennero addirittura<br />

cordiali quando nel 1119 il successore di San Roberto a Molesme collaborò<br />

con Bernando alla fondazione di Fontenay. Restarono in seguito<br />

sempre strette tra Molesme e Jully da una parte e San Bernardo e<br />

Clairvaux dall'altra. Così, la stesura dell'Exordium parvum sembra da<br />

porsi nel 1111-1112 (il cap. XVIII e senza dubbio i titoli furono aggiunti<br />

nel 1120).<br />

È il messaggio della prima generazione di <strong>Cistercensi</strong>, nos cisterciences<br />

primi fundatores, alla seconda, quella del 1112.<br />

L'autore è quasi certamente Santo Stefano stesso. Vi si riconosce lo<br />

- 201-


stile dell'Enciclica sulla Bibbia e della prefazione all'innario; presenta<br />

infatti espressioni caratteristiche (desudent e haud paruo sudore,<br />

locus ille e ecclesia per designare Citeaux, ecc.).<br />

Abbastanza differente è l'Exordium Cistercii, designato talvolta<br />

anche col titolo di Summa Exordii. Questo testo, ben scritto e tutto<br />

intessuto di reminiscenze bibliche, ha un obiettivo ben diverso da<br />

quello dell'Exordium paruum. Vuol mostrare che i <strong>Cistercensi</strong> sono<br />

riusciti non soltanto ad osservare perfettamente i precetti di San Benedetto<br />

ma anche ad imitarne l'esempio costruendo come lui dodici monasteri.<br />

Tale idea, sconosciuta all'Exordium parvum, fu ripresa ed<br />

esplicata dall'Exordium magnum, opera di Corrado d'Eberbach, nella<br />

seconda metà del secolo XII. «Come il santo patriarca costruì dodici<br />

monasteri e vi prepose degli abati i quali curassero l'osservanza della<br />

Regola, così i nostri Padri, rinnovando l'Ordine Benedettino e riportandolo<br />

alla primitiva purezza, fondarono anch'essi dodici comunità i cui<br />

religiosi, a guisa di dodici apostoli inebriati dello Spirito divino, andarono<br />

a offrire al mondo intero la bevanda della salvezza» (Ex. magnum,<br />

cap. XXIII). Ed abbiamo già visto che gli abati si trovarono veramente<br />

riuniti in numero di dodici attorno a Santo Stefano nel 1120.<br />

Nello stesso tempo l'Exordium Cistercii fa vedere come i <strong>Cistercensi</strong><br />

hanno completato l'opera di San Benedetto unendo tanti monasteri<br />

in una carità intima per mezzo della Carta di Carità. Da un'esposizione<br />

sommaria dei capitoli I, IV, V, VI, VII, VIII della CC (originariamente<br />

la CC non era certamente divisa in capitoli, ma per non dover<br />

citare ogni volta l'incipit e l'explicit di ciascun capitulum o capoverso<br />

seguiremo le divisioni della CC prior testo di Laybach 31). Segue (nei<br />

mss Parigi Ste Geneviève 1207 e Trento 1711) una serie di capitula<br />

che possono dividersi in gruppi: a) capitala che precisano o generalizzano<br />

le prescrizioni dei capitoli IX e XI della CC; b) capitula che precisano le<br />

relazioni tra abbazie indipendenti, i quali in seguito verranno parzialmente<br />

inseriti nella CC; c) capitula relativi alla costruzione di nuove abbazie<br />

e precisanti i capitoli II e III della CC; d) capitula che riportano<br />

le vecchie decisioni prese sotto Alberico e Stefano (ad eccezione della<br />

proibizione fatta al duca); e) gli officia ecclesiastica. Questi capitala<br />

costituiscono la parte più importante del testo. Non sono altro che la<br />

prima collezione degli Instituta Generalis Capituli, e l'Exordium Cistercii<br />

col quale sono intimamente connessi ne forma la prefazione storica.<br />

Quando tratteremo degli Instituta Generalis Capitali faremo vedere<br />

come e quando questa prima collezione è stata costituita dagli abati<br />

riuniti a Citeaux in forza della Carta' di Carità.<br />

- 202-


Origini e fonti della Carta di Carità<br />

L'Exordium Cistercii espone queste origini in poche frasi scritte<br />

con eleganza. Ricorda l'entrata in noviziato di trenta postulanti e<br />

continua: «In seguito a questa visita celeste, tanto imprevista quanto<br />

gradita, giustamente la donna sterile che non aveva ancora generato<br />

prese a cantare la sua gioia, perché numerosi divennero i figli di colei<br />

che era' stata abbandonata. Dio non cessò di moltiplicare di giorno in<br />

giorno la loro stirpe, di accrescere la loro gioia, fino al giorno in<br />

cui, dopo una ventina d'anni circa, la fortunata madre, tra i suoi figli<br />

e i figli dei suoi figli, poté contemplarne dodici divenuti padri di monasteri,<br />

come virgulti d'olivo intorno alla sua mensa. Essa infatti trovò del<br />

tutto naturale che dopo aver abbracciato le istituzioni del santo Padre<br />

Benedetto, ne imitasse anche gli esempi. Inoltre, sin dall'inizio,<br />

a principio avendo queste nuove piante cominciato a mettere rami a loro<br />

volta, il venerabile Padre Stefano con la sua penetrazione sempre viva<br />

concepì uno scritto d'una discrezione ammirevole che, a guisa di strumento<br />

per la potatura, recidesse sul nascere ogni eventuale pollone di<br />

scisma che crescendo avrebbe potuto compromettere il frutto della mutua<br />

concordia. È questo il fine di tale scritto, ed egli l'ha voluto chiamare<br />

a proposito col nome di Carta di Carità, essendo il testo tutto permeato<br />

dell'odore della carità; e difatti, nel suo insieme, non sembra perseguire<br />

altro che questa regola di condotta: Verso gli altri non abbiate<br />

altro debito che quello di amarvi scambievolmente (Rom. XIII, 8).<br />

Questa carta, quale fu elaborata da Stefano e confermata dai suddetti<br />

abati nel numero di venti, è provvista anche dell'autorità del sigillo apostolico,<br />

contiene in modo più ampio quel che abbiamo detto, ma noi<br />

ci limitiamo qui ad esporne l'essenziale ».<br />

L'espressione «venti abati », dopo che si è parlato di dodici, ha<br />

suscitato molte discussioni. Per il momento non ci fermiamo su questo.<br />

Notiamo soltanto che tutti i testi conosciuti dell'Exordium Cistercii<br />

(una ventina) parlano dei « venti abati ».<br />

A principio ... Un testo che introduce la Bolla di Callisto II in<br />

qualche manoscritto conferma che l'elaborazione della CC si protrasse<br />

per anni: «Il Papa Callisto ha ratificato con la sua autorità apostolica,<br />

per mezzo di queste lettere e dell'impronta del suo sigillo, la carta<br />

di carità, redatta dopo molti anni e dopo l'erezione di varie abbazie,<br />

col consenso e il consiglio di tutti gli abati che allora presiedevano le<br />

diverse chiese ». Come nota l'Exordium Cistercii, la Carta fu prevista<br />

e meditata (providerat) prima d'essere scritta.<br />

Uno studio delle fonti rivela in Santo Stefano una profonda cono-<br />

- 203-


scenza dei costumi monastici e delle varie collezioni di diritto canonico.<br />

Per la CC possono distinguersi fonti remote e fonti più dirette. Senza<br />

risalire fino a San Pacomio, superiore generale della prima congregazione<br />

monastica, che visitava ogni anno le case da lui fondate, e i cui<br />

abati si riunivano due volte l'anno per discutere dei comuni problemi,<br />

abbiamo degli esempi molto più vicini.<br />

San Benedetto d'Aniano aveva stabilito tra i suoi monasteri una<br />

stretta unione fondata sull'uniformità nel genere di vita,. ed aveva fatto<br />

Inden il monastero-tipo sul quale dovevano modellarsi tutti gli altri.<br />

Parlando del Capitolo Generale vedremo che le riunioni, anche annuali,<br />

non erano sconosciute in Italia e in Lotaringia. L'esempio più<br />

sorprendente è quello di Vallombrosa dove dalla morte di San Giovanni<br />

Gualberto .(1073) gli abati dei monasteri si riunivano ogni anno, in<br />

un'atmosfera di grande carità e di fedeltà alle istituzioni del loro<br />

buon padre, e ciascuno rendeva conto agli altri di quel che gli era<br />

stato affidato. Sono state rilevate varie somiglianze tra Vallombrosa<br />

e Citeaux, fino a quella meravigliosa lettera di San Giovanni Gualberto<br />

sul «vincolo della carità ». Possiamo vedere nelle suaccennate lettere<br />

di comunione, che stabilivano associazioni di preghiere tra monasteri.<br />

dei modelli a cui Santo Stefano si è ispirato per la composizione<br />

della sua straordinaria carta d'unione che ha voluto chiamare<br />

«carta di carità ». Sono state notate anche, oltre i riferimenti molto<br />

chiari alla Regola di San Benedetto, reminiscenze di Bernardo di Worms<br />

e di altre collezioni di canoni (v. nella tesi già citata del P. Colomban<br />

SPAHR,De [ontibus constituitivis ... pp. 104-121 il testo della CC prior<br />

con le sue fonti). Tali reminiscenze affiorano in tutta la carta; il che<br />

sembra dimostrare l'unicità di autore. I riferimenti alla Concordia<br />

Molismensis (fatta circolare nel 1110 tra gli abati di Molesme, d'Aulps<br />

e di Balerne) sono meno probativi, perché si tratta di testi di diritto<br />

che possono avere una fonte comune. È però innegabile la parentela di<br />

questa Concordia Molismensis con alcuni testi della CC.<br />

Formazione della Carta di Carità<br />

L'analisi interna della CC conferma la dichiarazione surriferita:<br />

la CC non fu stesa tutta d'un getto, perché vi si distinguono più parti<br />

consecutive.<br />

La CC apparve la prima volta nella carta di fondazione di Pontigny.<br />

Vi si legge che l'abate Stefano e il sacerdote Ansio si recarono a tro-<br />

- 204-


vare il vescovo di Auxerre, Umboldo. Il vescovo diede il suo consenso<br />

per la fondazione e manifestò la sua gioia al pensiero dei frutti spirituali<br />

che sarebbero ridondati sulla sua diocesi, se uomini veramente<br />

amanti della Regola vi si fossero stabiliti. In forza di questo consenso<br />

e della donazione, del consenso del suo Capitolo e del sacerdote Ansio,<br />

l'abate Stefano ottenne la chiesa di Pontigny per fondarvi un'abbazia.<br />

Lo stesso prelato e il Capitolo ratificarono nella sua interezza la<br />

carta di carità e di unanimità tra il Nuovo Monastero e le abbazie da esso<br />

fondate. La fondazione di Pontigny, come abbiamo visto, porta la data<br />

del 18 maggio 1114. L'espressione abbatias ad eo fundatas solleva delle<br />

discussioni, perché fino a quel momento esisteva solo La Ferté.<br />

È fuor di dubbio che, se la CC non era ancora redatta, il vescovo<br />

fu informato delle condizioni in cui si trovava la costruzione della<br />

nuova abbazia; ed allora la redazione della CC seguì di poco la fondazione.<br />

D'altra parte, il vescovo Umboldo che approvò personalmente<br />

questa carta morì tornando da un viaggio in Terra Santa il 20 novembre<br />

(ottobre secondo alcuni) 1115. Tenendo conto della durata del viaggio,<br />

la carta caritatis et unanimitatis esisteva dunque certamente nella prima<br />

metà del 1115 e forse anche nel 1114. Non è invece certo che l'espressione<br />

salvo ordine nostro della formula del giuramento prestato da Ugo<br />

di Pontigny nelle mani del voscovo Umboldo faccia allusione alla CC.<br />

Diversamente potrebbe dirsi lo stesso anche delle parole della carta di<br />

fondazione di La Ferté: pars ipsorum ab aliis corpore non animo<br />

separata.<br />

Qual era il tenore di questa carta caritatis et unanimitatis?<br />

Troviamo un primo indizio nella netta distinzione di due tipi di<br />

testi nella CC: il primo riguarda Citeaux e le figlie (cp. I, II, III, IV,<br />

V, VI, VII); l'altro suppone una terza generazione: quella delle nipoti<br />

(cap. VIII e i cap. IX e XI che hanno subito rimaneggiarnenti e aggiunte<br />

importanti). Ora, l'Ordine cominciò a contare tre generazioni soltanto<br />

nel 1118. I primi sette capitoli sono dunque anteriori a questa data.<br />

Possono farsi altre precisazioni? Basandosi su una differenza di<br />

stile, M. Lefèvre ha creduto di dover separare i primi tre capitoli, vero<br />

testo primitivo di Stefano, «personale e unilaterale », dal secondo<br />

blocco «contrattuale », aggiunto in seguito. Secondo M. Lefèvre,<br />

l'unità nell'interpretazione della Regola benedettina, l'unità nel genere<br />

di vita, e soprattutto nell'Ufficio divino sono sufficienti a spiegare le modalità<br />

pratiche della cura animarum che l'abate del Nuovo Monastero si<br />

riserva sulle sue figlie.<br />

Ridotta a questi primi tre capitoli la CC viene privata di ciò che<br />

- 205-


costrtuisce uno dei caratteri essenziali dell'organizzazione dell'Ordine<br />

e che mira soprattutto a interessare i vescovi: il diritto di sorveglianza<br />

dell'abate del Nuovo Monastero sulle figlie situate in altre diocesi,<br />

come pure l'obbedienza e il rispetto dovutigli dall'abate-figlio il quale<br />

ha l'obbligo di venire ogni anno a render conto dell'esercizio della<br />

sua carica. È quanto più tardi sarà messo in rilievo dalla Bolla Sacrosancta<br />

di Anastasio IV a proposito della cura animarum. In altre<br />

parole, la carta caritatis et unanimitatis approvata dal vescovo d'Auxerre<br />

e subito dopo da quello di Langres per la fondazione di Clairvaux e<br />

di Morimond, conteneva non soltanto i primi tre capitoli ma anche i quattro<br />

seguenti che riguardano le visite regolari e il Capitolo Generale.<br />

La differenza di stile, innegabile, si spiega sufficientemente con la differenza<br />

degli argomenti trattati.<br />

Nell'evoluzione della CC si possono dunque distinguere tra il<br />

1114-1115 e il 1119 le tappe che seguono: a) la carta primitiva approvata<br />

dal vescovo Umboldo comprendeva i primi sette capitoli; b) il capitolo<br />

IV subì una modifica con l'aggiunta di un'eccezione; c) il capitolo<br />

VIII fu aggiunto nel 1118 o 1119 dopo la fondazione di Trois Fontaines;<br />

d) i capitoli IX e XI furono rimaneggiati; nel loro tenore attuale<br />

non risalgono al di là del 1116; e) il capitolo X, dipendente nel testo<br />

dalla Summa CC, fu aggiunto più tardi.<br />

È importante notare che queste modifiche o aggiunte furono fatte<br />

di comune accordo tra Stefano, la comunità di Citeaux, gli abati<br />

delle prime figlie di Citeaux e i vescovi delle diocesi di tali abbazie,<br />

vale a dire quelli di Chalon, Auxerre, Langres, Chàlon-sur-Marne,<br />

Orléans e Vienne.<br />

Nel 1119 la CC comprendeva un testo più corto di quello di Laybach<br />

(CC priori; mancava il capitolo X, e la redazione dei capitoli IX<br />

e XI era più breve. Prima di provare che è questo il testo approvato<br />

dal Papa Callisto II il 23 dicembre 1119 bisogna esporre le circostanze<br />

che hanno indotto Stefano a sollecitare tale approvazione.<br />

Approvazione pontificia<br />

Alla morte di Gelasio II, avvenuta a Cluny il 29 gennaio 1119 mentre<br />

si recava a Vézelay, l'arcivescovo Guido di Borgogna, zio di Ugo II di<br />

Borgogna, fu eletto papa (1 marzo) nella basilica di San Giovanni in Laterano<br />

col nome di Callisto II. Il nuovo Pontefice conosceva e stimava i<br />

<strong>Cistercensi</strong> poiché quand'era ancora arcivescovo era venuto al Nuovo Monastero<br />

nel 1117 ed aveva preso a suo carico .la fondazione di Bonnevaux.<br />

- 206-


Abbiamo visto che questa settima figlia di Citeaux incontrò serie difficoltà<br />

che attirarono più volte l'attenzione di Stefano e del Papa. Nessuno storico<br />

ha pensato a fare un raffronto tra queste difficoltà e l'approvazione<br />

della CC. Ecco pertanto il sincronismo dei fatti:<br />

- 1117 primi passi in vista della fondazione di Bonnevaux.<br />

- 25 settembre (1118). La tenace opposizione dei benedettini di<br />

Saint-Pierre e dei canonici di Vienne finalmente cede. Un accordo viene<br />

firmato alla presenza dell'arcivescovo. Ma i monaci di Bonnevaux sono<br />

considerati come parrocchiani dell'abbazia benedettina. Devono pagare<br />

alcune decime, promettere di non estendersi senza la sua autorizzazione<br />

su territorio ad essa appartenente e vivere con i monaci neri sicut<br />

amici, salvo cisterciensi instituto. Se rinunziano alla fondazione, la<br />

proprietà tornerà ai canonici (Reg. Daupbinois n. 3282).<br />

- 28 giugno 1119. Callisto II dichiara Bonnevaux, nostri sumptibus<br />

et laboribus [andata, sottomessa alla chiesa di Vienne, come le<br />

altre abbazie della diocesi. Non si fa menzione di una clausola salvo<br />

cisterciensi instituto (Reg. Daupb. n. 3224).<br />

- Il luglio 1919. Data ufficiale della fondazione di Bonnevaux<br />

(n. 3225).<br />

- (1119). Costretto dall'estrema povertà dei fratelli, l'abate Giovanni<br />

di Bonnevaux si reca al castello di Moras per muovere a pietà i<br />

cavalieri. Dietro loro consiglio, chiede all'abate dell'Ile Barbe una<br />

terra contigua. Si delinea a favore di Bonnevaux un vasto movimento<br />

di donazioni (n. 3236).<br />

- (1119) Pregati da Stefano Harding e da Callisto II,i monaci di<br />

Saint-Pierre di Vienne ed altri signori rinunciano alle decime che eSIgevano<br />

da Bonnevaux (n. 3238).<br />

- 23 dicembre 1119. Callisto II approva la Carta di carità che<br />

regola i rapporti tra Citeaux e le figlie.<br />

- 7 febbraio 1120. Callisto II prende Bonnevaux sotto la protezione<br />

del Seggio Apostolico e ne conferma i possedimenti già considerevoli<br />

(n. 3253).<br />

- 12 febbraio 1120. Dedicazione della chiesa di Bonnevaux per<br />

mano di Callisto II.<br />

Questi testi provano che le condizioni di questa figlia di Citeaux<br />

non erano ben definite o piuttosto che l'abbazia si trovava in una<br />

situazione falsa. Bisognava mettere in regola i suoi rapporti con l'Ordine,<br />

con i benedettini di Saint-Pierre e con la chiesa di Vienne.<br />

Il soggiorno del Papa in Francia offrì a Stefano un'occasione favorevole.<br />

Si sa che in quel periodo l'abate si recò personalmente a Saulieu. Sieco-<br />

- 207-


me la Bolla che approvava la Carta di Carità fu spedita da Saulieu,<br />

c'è ben motivo di credere che proprio in questa città fu regolata tra il<br />

Papa e l'abate di Citeaux non soltanto la situazione di Bonnevaux ma<br />

anche tutta l'organizzazione dell'Ordine Cistercense.<br />

Testo approvato da Callisto II<br />

Fino a pochi anni fa la Carta di Carità (CC priod o CC posterior)<br />

è stata sempre considerata il testo approvato da Callisto II. Noi intendiamo<br />

provare che è proprio così, perché il testo del 1119 non differiva<br />

sostanzialmente dalla CC prior; era soltanto un po' più corto, come<br />

abbiamo visto, ed era semplicemente diviso in paragrafi o capitula,<br />

senza titoli.<br />

I manoscritti che conosciamo della CC prior (Laybach 31, Metz<br />

1247, Zurigo 175, Tarragona 88, Poblet EC 27, Donaueschingen 413)<br />

riportano tutti, dopo la Carta di Carità, il testo della Bolla, mentre mai<br />

vediamo la Bolla di Callisto II dopo la Summa CC. In qualche manoscritto<br />

(Metz, Tarragona, Poblet, Donaueschingen) la Bolla è introdotta<br />

da una formula di cui più sopra abbiamo dato la traduzione.<br />

L'Exordium Cistercii è formale: Que quidem carta sicut ab eodem<br />

patre digesta (est) et a preiatis XX abbatibus confirmata (est), sigilloque<br />

apostolici auctoritate munita est ... Né c'è da sospettare un'interpolazione<br />

(la parte di periodo incriminata prova solo una cosa: fu la<br />

CC ad essere munita del sigillo apostolico). Il passo dell'Exordium<br />

Cistercii che ha rapporto con la CC di cui abbiamo dato la traduzione<br />

prova a sufficienza che non può essere stato scritto da Santo Stefano e<br />

tanto meno da lui presentato all'approvazione pontificia. Ora, noi abbiamo<br />

visto che Exordium Cistercii, Summa CC e capitula formano un tutt'uno<br />

inscindibile. E la presentazione di questo «fascicolo» da parte<br />

degli abati del Capitolo Generale suppone nel Capitolo un'autorità che<br />

allora non esisteva e che la Bolla pontificia, la CC e la Summa CC<br />

contraddicono in blocco.<br />

L'autore dell'Exordium magnum ritiene che Santo Stefano si sia<br />

recato a Roma per l'approvazione della CC. Questo errore di dettagli<br />

non indebolisce minimamente la tradizione nell'Ordine secondo cui la<br />

costituzione approvata da Callisto II è la Carta di Carità.<br />

Non meno probante è la forma della Bolla. È indirizzata a Stefano<br />

abate di Citeaux e ai suoi fratelli (cioè i religiosi di Citeaux; (questo<br />

infatti è in tutta la tradizione monastica il senso di abbas et [ratres,<br />

l'espressione si trova anche in uno Statuto del Capitolo Generale: nos<br />

- 208-


abbates il/o tempo re decem rogabamus domnum Stephanum et fratres ... ):<br />

«Col consenso e la deliberazione degli abati e dei fratelli dei vostri<br />

monasteri e dei vescovi nelle cui diocesi sono situati, avete stabilito<br />

vari capitula circa l'osservanza della Regola ed altri punti che sembrano<br />

necessari al vostro Ordine e al luogo in cui vi trovate, e ne avete chiesto<br />

la conferma ad Seggio Apostolico per la maggior tranquillità del<br />

monastero e per l'osservanza della religione »... Callisto II conferma<br />

dunque capitula illa et constitutionem e qualche rigo più avanti anatematizza<br />

chiunque tenterà di opporsi nostre confirmationi huic et constitutioni<br />

vestre. Gr. Mi.iller e M. J. Lefèvre distinguono tra capitula illa<br />

e constitutio. Per il primo, constitutio è la CC; i capitula le prescrizioni<br />

dell'Exordium parvum stabilite da Alberico e Stefano. Per M. Lefèvre<br />

constitutio è la Summa CC; i capitula sono i capitula che la seguono<br />

nei manoscritti Parigi Ste Gen. 1207 e Trento 1711.<br />

In realtà, capitula illa e constitutio indicano la stessa cosa.<br />

I capitula che Santo Stefano e i suoi fratelli presentano all'approvazione<br />

pontificia, Callisto II li approva come costituzione dell'Ordine e proibisce<br />

a chiunque di opporvisi. Ora questi capitula divenuti constitutio<br />

non sono altro che gli statuti della CC, come prova il seguente parallelismo:<br />

·l cap. de observatione RegUlae! !l' II, III<br />

Constituitio == cap. necessaria ordini vestro == CC IV, V, VI, (IX, XI)<br />

cap. necessaria et loco VII, VIII<br />

Nelle pagine che seguono vedremo il funzionamento dell'organizzazione<br />

creata da questa costituzione, esaminando successivamente il<br />

Capitolo Generale, la formazione delle collezioni di Instituta Generalis<br />

Capituli in seguito alla prima collezione costituita dall'Exordium Cistercii,<br />

la Summa CC e i capitula, ed infine l'evoluzione del Diritto<br />

costituzionale dell'Ordine con l'evoluzione della CC.<br />

IL CAPITOLO GENERALE<br />

Nel capitolo III della Regola, De adbibendis ad consilium [ratribus ,<br />

San Benedetto stabilisce il Capitolo del monastero. La parola stessa<br />

capitulum per designare il consiglio dei fratelli non si trova nella<br />

Regola (lo si legge nei canoni 69 e 70 dell'assemblea di Aix-Ia-Chapelle<br />

nell'8I7), ma l'istituzione esiste. È questo consiglio che è divenuto<br />

il Capitolo quotidiano, così denominato perché la comunità si riunrva<br />

- 209-


in una sala chiamata sala del Capitolo sembra perché vi si leggeva un<br />

capitolo della Regola (questa etimologia è preferibile a quella che fa<br />

derivare capitulum da capitolium = luogo di assemblea del Senato romano).<br />

Il Capitolo quotidiano in alcuni giorni rivestiva un'importanza<br />

particolare: quando cioè l'abate, in vista di gravi decisioni da prendere,<br />

convocava non soltanto i monaci dell'abbazia ma anche i superiori dei<br />

priora ti dipendenti dall'abbazia madre. Queste riunioni alle quali prendevano<br />

parte i monaci residenti nei priorati, o per lo meno i loro priori,<br />

costituivano i Capitoli Generali dell'abbazia (spiegazione da preferirsi<br />

a quella dei Capitoli generali particolari proposta da D. J. HOURLIER,<br />

Le Chapitre Général, Parigi, 1936, p. 4), I Capitoli Generali sono rari<br />

nella storia benedettina.<br />

Capitoli Generali di abbazie prima di Citeaux<br />

San Pacomio aveva istituito riunioni generali a Pasqua e nel mese<br />

d'agosto. San Basilio esigeva che i superiori delle comunità si riunissero<br />

in tempi e luoghi stabiliti in anticipo. In occidente alcune grandi<br />

abbazie furono centri di irradiamento, nelle quali si andava ad apprendere<br />

le regole monastiche o a studiare le buone tradizioni. Il tentativo<br />

di unificazione di Benedetto d'Aniano non riuscì, ma lasciò una certa<br />

nostalgia d'unione. A Montecassino, dalla metà del secolo IX l'abate<br />

riuniva ogni anno i superiori delle case di sua dipendenza.<br />

La cronaca riferisce: «Era usanza che alla vigilia delle calende di<br />

settembre la comunità si riunisse in questo luogo insieme ai priori di<br />

tutti i monaci cassinesi per conoscere ciò che bisognava fare, evitare<br />

o correggere e come vivere nell'osservanza della Regola, alla presenza<br />

e nel timore di Dio. L'indomani si distribuivano gli incarichi secondo<br />

i bisogni» (LEONIS MARSICANI ET PETRI DIACONI, Chronicon Cassinense,<br />

lib. I, c. 32, Migne P. L. 173, 532). A Fulda probabilmente era<br />

lo stesso.<br />

Questi sono solo degli esempi isolati. Nel 973 un sinodo provinciale<br />

presieduto dall'arcivescovo Adalberone di Reims stabilì le riunioni<br />

periodiche degli abati della provincia e· fissò la data della prima,<br />

che doveva essere presieduta dall'abate di Saint Rémi. Non sappiamo<br />

quanto tempo durasse quest'istituzione, ma è certo che nel corso del secolo<br />

XI vi furono molte riunioni di abati sia in occasione di sinodi ecclesiastici<br />

sia in convegni particolari. L'esistenza di Capitoli Generali a<br />

Cluny nei secoli X e XI è poco probabile. Il primo, riferito da G. de<br />

- 210-


Valous, è del 1132; né c'è alcun processo-verbale di queste assemblee<br />

prima del 1259.<br />

Sembra che ad ispirare direttamente Citeaux sia stata ancora Vallombrosa.<br />

Durante la vita di San Giovanni Gualberto sembra non ci<br />

siano state riunioni degli abati delle case da lui fondate. Non abbiamo riferimenti<br />

in nessun luogo. Al contrario, l'indomani stesso della sua morte<br />

(12 luglio 1073) i religiosi presenti decisero di non inumare il loro<br />

padre se non dopo che gli abati si erano riuniti. Ed è nel corso di<br />

questa riunione che fu eletto Rodolfo, abate di Moscheta, come successore<br />

di Giovanni. In seguito le riunioni si tennero ogni anno. « I superiori<br />

delle stesse case si riuniscono ogni anno, memori della bontà,<br />

della santità e dei precetti del loro primo buon padre, sottoponendo<br />

tutto ciò che riguarda la loro carica, le persone e le cose, alla discrezione<br />

dell'abate di Vallombrosa che hanno scelto a sostituire Giovanni,<br />

primo abate. Ed hanno una sola fede, un cuore ed un'anima sola, pronti<br />

a morire piuttosto che a separarsi ». (ANDREADI STRUMI,Vita [oannis,<br />

fU 45, scritta tra il 1090 e il 1100). L'archivio di Firenze conserva<br />

i testi degli Instituta del Capitoli Generali di Vallombrosa. Si aprono<br />

con un Decretum di Giovanni Gualberto De Cantu. Nel 1100 troviamo<br />

gli abati riuniti alle none di marzo, congregati divina inspirante gratia<br />

ut in vera unitate cum vinculo perjectionis perpetuo permaneret secundum<br />

antiquam bonamque consuetudinem domni ]obannis abbatis majoris<br />

Vallymbrosi... Il Capitolo non sempre si teneva a Vallombrosa. Ma la<br />

preminenza, perfino la sovranità dell'abate di Vallombrosa, quando viene<br />

eletto dagli abati dell'Ordine e dai monaci di Vallombrosa, è affermata<br />

e riconosciuta dappertutto.<br />

Il Capitolo di Citeaux<br />

Il primo riferimento a riunioni di abati a Citeaux si trova nella<br />

Vita prima di San Bernardo. Bernardo era malato. Il vescovo (Guglielmo<br />

di Champeaux) si recò al Capitolo Cistercense (capitulum cisterciense) e<br />

là, prostrato a terra con umiltà tutta pontificale e carità tutta sacerdotale<br />

davanti ai pochi abati (pauculis abbatibus) presenti, chiese ed ottenne<br />

che Bernardo fosse a lui sottomesso in tutta obbedienza per un solo<br />

anno. Questo grazioso episodio avveniva nel 1116. Gli abati allora riuniti<br />

attorno a Stefano erano Filiberto di La Ferté, Ugo di Pontigny e<br />

Arnoldo di Morimond. A quell'epoca era già redatto il capitolo VII della<br />

Carta di Carità che prescriveva che ogni anno, in un giorno fissato di<br />

comune accordo, tutti gli abati si riunissero nel Nuovo Monastero allo<br />

- 211-


scopo di parlare della salvezza delle loro anime, di regolare quanto vi<br />

era da correggere o da aggiungere nelle osservanze della santa Regola,<br />

e di rafforzare tra loro il vincolo della carità e della pace. Se una<br />

chiesa avesse sofferto di una povertà eccessiva, l'abate avrebbe esposto<br />

la cosa all'assemblea e subito tutti gli abati, infiammati dal fuoco<br />

della carità, si sarebbero affrettati a venire in aiuto a questa chiesa<br />

povera, nei limiti delle possibilità loro concesse da Dio.<br />

Come a Vallombrosa, dunque, il Capitolo di Citeaux è una riunione<br />

fraterna che mira a proteggere lo spirito di famiglia col rafforzare i<br />

legami di carità tra i superiori. Il cap. VIII della Carta di Carità, aggiunto,<br />

come abbiamo visto, nel 1118 o 1119, precisa che l'abate del<br />

Nuovo Monastero ha lui solo - volumus nobisque retinemus - il diritto<br />

di riunire i suoi figli; il che viene affermato in modo ancor più forte<br />

dalla Summa cc: sane hoc sibi praecipuum omnium mater ecclesia cisterciensis<br />

specialiter retinuit. Inoltre, gli abati di ogni paese verranno al<br />

Nuovo Monastero nel giorno da loro fissato ed obbediranno in tutto all'abate<br />

del luogo e al suo capitolo, ibique abbati eiusdem loci et capitalo ...<br />

obediant per omnia, per quanto riguarda la correzione degli abusi e<br />

l'osservanza della santa Regola e dell'Ordine (CC, VIII).<br />

Il Capitolo di Citeaux è dunque organizzato secondo la concezione<br />

primitiva dei capitoli generali di abbazie in cui i superiori delle altre<br />

case venivano ad unirsi ai monaci della casa-madre sotto la presidenza<br />

dell'abate che era il Padre di tutti. La Summa CC mette in maggior risalto<br />

la supremazia dell'abate di Citeaux, con proposizioni come questa:<br />

domino cisterciensi sanctoque illi conventui reverenter singuli bumiliterque<br />

obediant, oppure: abbas cisterciensis quoniam ipse omnium caput<br />

super se abbatem non babet ... È senza dubbio per una strana ignoranza<br />

delle cose che un autore ha potuto recentemente scrivere: «( dopo<br />

il 1114 - prima del 1118) 1'autorità risiedeva nel Capitolo Generale»<br />

(Collectanea OCR, XVI, 1954, p. 29). L'evoluzione del diritto cistercense<br />

nel sec. XII consisterà appunto nel far passare l'autorità suprema<br />

dall'abate di Citeaux al Capitolo Generale, come ha notato giustamente il<br />

P. Joseph Canivez (Czteaux, in Dict. Hist. géogr. eccl., col. 887).<br />

Ma nel 1119·1120 tale evoluzione non era neppure iniziata, il Capitolo<br />

Generale era soltanto un'estensione del Capitolo conventuale del<br />

Nuovo Monastero e Santo Stefano era realmente secondo l'espressione di<br />

San Bernardo noster omnium pater (ep. 359). Si comprende di conseguenza<br />

come nessuna visita canonica era prevista sia per lui che per la<br />

sua comunità. Nel caso in cui si fosse discostato dalla retta via della<br />

Regola gli sarebbero state inviate ammonizioni dai Padri delle prime tre<br />

- 212-


abbazie: La Ferté, Pontigny e Clairvaux; e nell'ipotesi che queste ammonizioni<br />

non avessero avuto alcun risultato, gli abati non avrebbero<br />

potuto né colpirlo coll'anatema né sostituirlo con un altro, ma avrebbero<br />

dovuto avvertire il vescovo di Chalon (come prescriveva la Regola in<br />

casi simili, cap. LXIV). Durante questo tempo il Capitolo non sarebbe<br />

stato tenuto a Citeaux, ma in un monastero designato dai suddetti<br />

tre abati.<br />

L'autorità di Santo Stefano - che nessuno dei suoi figli avrebbe<br />

mai pensato di diminuire - non era onnipotente. L'abate non è al di sopra<br />

della Regola (San Bernardo lo ricorderà nel suo trattato Precetto e dispensa,<br />

cap. IV), e soprattutto, per la Carta di Carità i cui termini<br />

erano stati lungamente meditati e ponderati di comune accordo da Stefano<br />

e dai figli, l'autorità monarchica dell'abate del Nuovo Monastero<br />

veniva attenuata e riconosceva dei diritti imprescrittibili agli altri<br />

superiori: «L'abate del Nuovo Monastero stia attento a non decidere né<br />

a disporre nulla circa i beni del luogo in .cui è venuto, contro la volontà<br />

dell'abate o della comunità» (cap. IV), parole che riecheggiano<br />

quelle di San Benedetto: abbas non conturbet gregem sibi commissum,<br />

nec quasi libera utens potestate injuste disponat aliquid (cap. LXIII).<br />

Sviluppi del Capitolo Generale di Citeaux<br />

La riunione dei superiori dell'Ordine, all'inizio semplice estensione<br />

del Capitolo conventuale, venne assumendo un'importanza sempre<br />

maggiore man mano che il loro numero aumentava. Nella seconda metà<br />

del sec. XII l'autorità era nelle sue mani. Bisogna dire che gli abati,<br />

che erano dodici nel 1120, erano quaranta nel 1130 e trecento nel 1150;<br />

e il numero aumentò ancora. Era una vera assemblea che esercitava i<br />

poteri legislativo, giudiziario e coercitivo, e di cui alcuni membri,<br />

i « quattro primi Padri », vale a dire gli abati di La Ferté, Pontigny,<br />

Clairvaux, Morimond, pretesero più tardi di godere di un diritto di<br />

controllo e di direzione pari, forse anche superiore, a quello dell'abate<br />

di Cìteaux. Dalle antiche descrizioni di Citeaux risulta che l'abbazia<br />

disponeva di una sala abbastanza ampia da contenere comodamente trecento<br />

abati. Questo numero fu superato di molto, ma le assenze furono<br />

sempre relativamente numerose. Nei primi tempi la benedizione di un<br />

novizio era una causa sufficiente (assieme alla malattia) per trattenere<br />

l'abate dal partecipare al Capitolo di Citeaux; in tal caso doveva inviare<br />

il suo priore perché lo rappresentasse e gli riferisse le decisioni<br />

prese. Questo motivo di assenza fu soppresso immediatamente. Ma in<br />

- 213-


compenso furono ammesse altre scuse, la principale delle quali era la lontananza<br />

delle abbazie. «Dalla fine del XII secolo alla fine del XIII gli<br />

abati venivano a Citeaux ogni cinque anni, poi ogni sette, da Palestina,<br />

Siria, Cipro; ogni cinque anni da Grecia, Svezia, Norvegia,<br />

Lituania; ogni quattro anni da Irlanda, Scozia, Sicilia, Portogallo,<br />

Galizia; ogni tre anni da Frigia, Ungheria, Léon, Castiglia; ogni due<br />

anni da Navarra, Aragona, Catalogna. La Danimarca, la Polonia, la<br />

Slavonia non venivano tutti gli anni; non abbiamo dati precisi al riguardo.<br />

L'Inghilterra aveva l'obbligo del viaggio annuale» (HOURLIER,<br />

op. cit., p. 58). Il luogo di riunione fu sempre Cìteaux, salvo qualche<br />

rara eccezione. Il monaco di Vaucelles, continuatore di Sigberto di Gembloux,<br />

ci informa che nel 1162 a causa di congiunture politiche il Capitolo<br />

non si tenne « in quel periodo » {vale a dire a settembre) a Citeaux,<br />

ma si riunì più tardi, nelle vicinanze di Saint Martin, in una grangia<br />

dell'abbazia di Foigny. Questo testo ci fa sapere incidentalmente che<br />

il Capitolo ordinariamente si riuniva nel mese di settembre. All'inizio<br />

la data non era fissa, ma una tradizione in favore di settembre dovette<br />

stabilirsi rapidamente. Il Capitolo Generale del 1209 parla dell'Esaltazione<br />

della Croce come di una data tridizionale, ma il Capitolo del<br />

1233 anticiperà la riunione al 12 settembre.<br />

Traduzione di P. IGINOVaNA,O. CISTo<br />

NUOVE CARICHE DELLA CASA "SUI IURIS" DI CASAMARI<br />

1. Priore claustrale:<br />

P. Leonardo Campoli, Priore di Trisulti<br />

2. Vicepriore:<br />

P. Filippo Agostini, nostro Direttore, Vicepriore a Roma<br />

3. P. Maestro e Prefetto degli studenti:<br />

P. Giuseppe Porretta, Maestro nel noviziato e studentato comune<br />

di Casamari<br />

P. Igino Vona, Vicemaestro<br />

4. Rettori di scuole apostoliche:<br />

P. Severino Perna, Rettore a Trisulti<br />

P. Roberto CineIIi, Rettore a Valvisciolo<br />

P. Vincenzo Quadrini, Rettore a Cotrino<br />

P. Andrea Rossi, Rettore a Martano<br />

5. Lasciano l' Italia:<br />

P. Anselmo Florio, per gJi Stati Uniti<br />

P. Mauro Cavallo, per il Brasile<br />

- 214-

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