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666<br />

Notiziario bibliografico<br />

principe romano Luigi Santacroce - che manifestava “empietà”, discorrendo sulla<br />

libertà dell’uomo e sulla predestinazione e dichiarandosi ateo – e punire poco dopo<br />

altri giovani collegiali, che leggevano libri “di Russot” e del “Volterre” – come ricorda<br />

un diarista del tempo – nonché alcuni docenti dello stesso Collegio, come Giuseppe<br />

Passalacqua, Urbano Lampredi e Francesco Lensini. Quest’ultimo, dopo aver<br />

pronunciato un coraggioso discorso in occasione della festa celebrata il 7 aprile 1799<br />

nella Piazza del Campo per l’innalzamento dell’albero della libertà, pubblicò circa<br />

un mese dopo una lettera aperta al “cittadino arcivescovo di Siena” nel “Monitore<br />

fiorentino”, dove invitava il presule a lasciarsi illuminare dalla “scintillante luce della<br />

democrazia” e a convincersi della fine dell’aristocrazia e dello “stomachevole fasto<br />

prelatizio”. Dopo la capitolazione dei francesi, Lensini subì persecuzioni ed esilio e<br />

quasi analogo trattamento sopportò il monaco cassinese Egidio Holler, le cui vicende<br />

furono oggetto, anni or sono, di una tesi di laurea, basata su documenti dell’Archivio<br />

Arcivescovile senese (S. Ciccarelli, Il monaco giacobino, in “Annuario dell’Istituto<br />

Storico Diocesano 1996-97”, Siena 1998, pp.337-347).<br />

Piselli riprende l’esame del processo a questo “giacobino mostruoso”,<br />

colpevole di diffondere “massime giansenistiche, sediziose, sovversive della gerarchia<br />

ecclesiastica”. Il monaco cassinese – giunto a Siena nel 1794, ospite dei benedettini<br />

di sant’Eugenio a Monastero e in contatto con Fabio de Vecchi – aveva scritto sugli<br />

abusi del potere temporale del papa e cercato di consolarsi della delusione per il<br />

mancato ritorno alla purezza della Chiesa delle origini con una sorta di millenarismo<br />

escatologico, alimentato da opportune profezie bibliche. Anche lui, come Lensini, attaccò<br />

l’arcivescovo Zondadari, chiedendogli conto del suo atteggiamento compromissorio<br />

nei confronti <strong>degli</strong> occupanti francesi: “Temeva Ella di perdere il Vescovado, – gli<br />

chiede in un lettera dell’agosto 1799 – d’essere carcerata, maltrattata, esiliata ?”.<br />

Il pagmatismo dello Zondadari, che accettò anche remunerative cariche dallo<br />

stesso Napoleone, è riconosciuto dai funzionari del Dipartimento dell’Ombrone, come<br />

attestano documenti reperiti da Piselli nelle Archives Nationales di Parigi. Eppure<br />

l’arcivescovo aveva agevolato l’arrivo a Siena delle bande aretine del “Viva Maria” nel<br />

giugno 1799; aveva aspramente criticato i francesi nell’omelia pronunciata per la morte<br />

di Pio VI e aveva punito gli ecclesiastici filogiacobini e filogiansenisti. Alcuni di questi<br />

sono ricordati nel volume, anche se i loro nomi non sono citati in una Nota dei giacobini,<br />

discoli, irreligiosi della Città e Diocesi di Siena trovata tra le Cause civili dell’Archivio<br />

Arcivescovile e datata 23 giugno 1800. L’interessante e inedito documento menziona<br />

complessivamente 194 individui con età, professione, condizioni economiche, qualità<br />

morali e fisiche, stato civile e provenienza, permettendo all’Autrice di segnalare che<br />

circa il 60% dei “giacobini” erano giovani dai venti ai trent’anni, con un certo numero<br />

di appartenenti al ceto medio intellettuale e professionale. Undici di essi sono ebrei,<br />

“che servono di scandalo alla loro Nazione – si legge nella Nota redatta dall’attuario<br />

arcivescovile Giuseppe Pavolini – e disprezzano con parole ingiuriose la nostra Santa

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