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500<br />

Fabrizio Fontani<br />

una truffa presso un albergo di Torrenieri, ai danni di un tal Cristofano<br />

da Montieri. In questa occasione, il malcapitato, giocando a carte, perse<br />

trenta ducati ed un cavallo. Ma scoperto l’inganno, il mariolo ed i suoi<br />

compari furono arrestati e condannati. Dieci anni più tardi, lo stesso<br />

Nibbio venne nuovamente incarcerato per aver ingannato un lombardo,<br />

conosciuto in un albergo fuori porta Camollia. Sempre in compagnia<br />

dei suoi fiancheggiatori, che fingeva di non conoscere, convinse la<br />

vittima a seguirlo in un campo nei pressi dell’albergo dove, giocando<br />

con l’imbroglio, riuscì a vincergli due ducati e dieci carlini, che il baro<br />

divise, poi, con i suoi amici 5 .<br />

5 M. TULIANI, Osti, avventori e malandrini cit., p. 193. Descrizioni particolareggiate su quelle<br />

che potevano essere le tecniche di frode attuate dai gaglioffi, ci vengono offerte pure da Antonio Maria<br />

Cospi nel suo Giudice Criminalista. In questa opera si dice che non fosse stata infrequente la richiesta<br />

da parte dello sventurato, dimostrando una certa diffidenza per l’ambiente, di un mazzo di carte diverso<br />

da quello profferto da uno dei giocatori. In tal caso i marioli, secondo un copione prestabilito dalla<br />

loro esperienza, acconsentivano senza alcuna esitazione al cambio con dei naibi nuovi, poiché uno dei<br />

furfanti, con indifferenza, era pronto a sbirciare da dietro, per poi informare i compagni (attraverso<br />

particolari cenni) delle carte che il malcapitato aveva avuto in sorte. Al fine di far comprendere meglio<br />

quanto sviluppata fosse l’astuzia dei marioli, il Cospi descrisse, con molta dovizia di particolari, come<br />

fossero ben organizzati i briganti che, quando agivano, fingevano di non conoscersi. Uno di questi era<br />

incaricato addirittura di impersonare la figura del matto, il quale, grossolanamente, mostrava sempre<br />

più denari <strong>degli</strong> altri e si curava poco di nascondere le carte avute in sorte dagli sguardi altrui, invitando<br />

gli altri a giocare. Ad accettare l’invito erano inizialmente i suoi “soci”, coi quali mostrava sempre di<br />

perdere per la sua sconsideratezza. E siffatta tecnica avrebbe invogliato anche altri a prendere parte ad un<br />

gioco che, all’apparenza, sembrava foriero di una facile vittoria. Ma quando si presentava un estraneo,<br />

il matto, come per magia, mutava tattica. Di fronte alla occasionale vittima, il mariolo cominciava a<br />

lamentarsi di questi giochi e della sua continua perdita, al punto tale « che vuol fare all’erbette, che è<br />

un giuoco, che al mio paese chiamano il banco fallito. Il matto mette fuori molti danari, & esso tiene<br />

il banco, e nel far le carte lascerà sotto un Cavallo, o un Re, e fingendo pareggiar le carte, lassa vedere<br />

a chi giuoca seco un Cavallo, o un Re». La vittima, avendo l’illusione di avere in mano una bella<br />

occasione, per aver visto «una carta quasi sicura vi mette sopra una buona posta. Ma allo scoprire delle<br />

carte sempre il matto, c’ha il punto superiore, o l’hà pari, perche del punto pari vince chi tiene il banco:<br />

E cosi allo spiccar delle tende il Matto ha sempre rastrellato tutti i danari». E se qualcuno avesse avuto<br />

da obiettare qualcosa o avesse scoperto l’inganno, tanto da «far risentimento col Matto tutti gli altri<br />

gli sono addosso bravando, e minacciando, tanto chi hà perduto suo danno». A riguardo si veda A. M.<br />

COSPI, Il Giudice Criminalista, Firenze, Zenobi Pignoni, 1693, pp. 561-562. Sulle tecniche dei bari si<br />

legga anche: B.GEREMEK, Mendicanti e miserabili cit., p. 65; Y. CASTAN - N. CASTAN, Les figures du jeu<br />

dans la société languedocienne au XVIII e siècle, in Les jeux à la Renaissance, a c. di Ph. Ariès, J.C.<br />

Margolin, Parigi, J. Vrin, 1982, p. 237.

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