1671. Festeggiate a Genova le nozze Doria-Pamphilj - Banca Carige
1671. Festeggiate a Genova le nozze Doria-Pamphilj - Banca Carige
1671. Festeggiate a Genova le nozze Doria-Pamphilj - Banca Carige
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
<strong>1671.</strong> <strong>Festeggiate</strong> a <strong>Genova</strong><br />
<strong>le</strong> <strong>nozze</strong> <strong>Doria</strong>-<strong>Pamphilj</strong><br />
di Vincenzo Ceniti<br />
Giornalista<br />
Lo spirito di donna Olimpia a<strong>le</strong>ggia sul matrimonio<br />
della nipote Anna <strong>Pamphilj</strong> con il principe Giovanni<br />
Andrea III <strong>Doria</strong>, ce<strong>le</strong>brato il 25 ottobre 1671, che in vita<br />
avrebbe benedetto per aver unito due potenti famiglie<br />
in un unico casato, <strong>Doria</strong>-<strong>Pamphilj</strong>.<br />
I<br />
l Festival Barocco di quest’anno, che si svolge a Viterbo e in alcuni centri dei dintorni<br />
dal 13 agosto al 15 ottobre, accoglie nel nutrito cartellone una Cantata a tre per<br />
due soprani, basso e continuo, scritta da A<strong>le</strong>ssandro Stradella (Nepi 1639-<strong>Genova</strong><br />
1682) per <strong>le</strong> <strong>nozze</strong> del principe Giovanni Andrea III <strong>Doria</strong> con la principessa Anna <strong>Pamphilj</strong><br />
ce<strong>le</strong>brate per procura a Roma il 25 ottobre 1671 e festeggiate a <strong>Genova</strong> con un “fasto<br />
ecceziona<strong>le</strong>” pochi giorni dopo, tra il 7 e il 30 novembre. La Cantata, dal titolo “L’avviso al<br />
Tebro giunto” (o “Lamento del Tebro a due ninfe”) venne commissionata al musicista di Nepi<br />
(nella Tuscia Viterbese) dal marchese genovese Rodolfo Sa<strong>le</strong>-Brigno<strong>le</strong>, uomo di vasta cultura,<br />
amante della poesia e della musica, mecenate del teatro Falcone, tanto che il suo palazzo<br />
di <strong>Genova</strong> era un cenacolo di raffinata e<strong>le</strong>ganza. Giunto appositamente a Roma per<br />
scortare la sposa nel suo lungo viaggio, il marchese sottopose a Stradella, conosciuto attraverso<br />
l’amico Monesio, la composizione da lui stesso scritta ottenendone un benevolo assenso.<br />
Per comodità di esecuzione gli chiese di limitare la strumentazione a tre personaggi,<br />
il Tebro e due Ninfe. La partitura, seppur condizionata da un testo poetico circoscritto all’evento<br />
nuzia<strong>le</strong>, risultò di intensa musicalità e straordinaria vivacità. La Cantata è strutturata<br />
in due arie e tre trii preceduti dai rispettivi recitativi; la parte del basso (Tebro) inizia<br />
con un “Lamento” per la partenza della principessa e per la perdita che Roma ne subirà e<br />
<strong>le</strong> due Ninfe accompagnano questa mestizia, sottolineandola con preziosismi vocali. Poi<br />
esplodono il gaudio e la gioia per gli sposi cui vengono augurati felicità e ricchezza.<br />
La Cantata che ebbe una favorevo<strong>le</strong><br />
accoglienza a palazzo,<br />
come confermato,<br />
dopo <strong>le</strong> <strong>nozze</strong>, dall’ambasciatore<br />
genovese Luca Durazzo,<br />
viene ora ripresa dal<br />
Festival Barocco di Viterbo<br />
ed eseguita il 14 Agosto<br />
2005 nella Sala Olimpia del<br />
Palazzo <strong>Doria</strong>-<strong>Pamphilj</strong> di<br />
San Martino al Cimino (a<br />
cinque chilometri da Viterbo),<br />
nell’ambito dei<br />
“Concerti aperitivo”.<br />
San Martino al Cimino.<br />
Stemma araldico dei<br />
<strong>Pamphilj</strong>-Maidalchini.<br />
San Martino al Cimino.<br />
Palazzo <strong>Doria</strong> <strong>Pamphilj</strong>.<br />
A fronte<br />
<strong>Genova</strong>, Palazzo<br />
del Principe. Domenico<br />
Piola, Al<strong>le</strong>goria<br />
per il matrimonio<br />
<strong>Doria</strong>-<strong>Pamphilj</strong>.<br />
specia<strong>le</strong> romA<br />
23
specia<strong>le</strong> romA<br />
24<br />
Una carrozza<br />
principesca in<br />
un’incisione<br />
di Giuseppe Vasi.<br />
A fianco<br />
Filippo Parodi<br />
(attribuzione), progetto<br />
per l’esecuzione della<br />
sp<strong>le</strong>ndida carrozza<br />
dorata costruita<br />
in occasione del<strong>le</strong> <strong>nozze</strong><br />
<strong>Doria</strong>-<strong>Pamphilj</strong>.<br />
(<strong>Genova</strong>. Disegno<br />
n. 3393 della Civica<br />
Raccolta di Palazzo<br />
Rosso).<br />
<strong>Genova</strong> con i suoi<br />
superbi palazzi<br />
“interpretata” da un<br />
anonimo pittore veneto<br />
della fine del XVII<br />
secolo.<br />
I due giovani sposi (18 anni<br />
Andrea e 19 anni Anna)<br />
non avranno certo avuto<br />
occasione di frequentarsi<br />
molto prima del<strong>le</strong> <strong>nozze</strong>,<br />
forse neanche di conoscersi<br />
essendo in quei tempi<br />
abissa<strong>le</strong> la distanza tra <strong>Genova</strong><br />
e Roma. Il loro fu<br />
dunque un matrimonio di<br />
convenienza, organizzato<br />
dal<strong>le</strong> due potenti famiglie<br />
<strong>Doria</strong> e <strong>Pamphilj</strong>, come del<br />
resto era solito accadere in<br />
quei tempi, e favorito dal<br />
principe di Gallicano grande<br />
amico della famiglia <strong>Doria</strong>.<br />
Su Anna incombeva<br />
l’ombra protettrice della nonna paterna, Olimpia Maidalchini-<strong>Pamphilj</strong>, cognata del pontefice<br />
Innocenzo X. Originaria di Viterbo dove nacque nel 1591, dopo una breve e fallimentare<br />
esperienza in un convento, a diciotto anni, nel 1608, venne data in sposa ad un ricco<br />
viterbese (Paolo Nini) che tre anni dopo la lasciò vedova con una ricca eredità. Ciò <strong>le</strong><br />
consentì di frequentare, grazie allo zio Paolo Gualtieri, una del<strong>le</strong> famiglie più in vista della<br />
nobiltà romana di allora, i <strong>Pamphilj</strong>, rappresentati dai fratelli Panfilio e Giovan Battista.
Per la verità, malgrado il titolo di rango che i più generosi fanno discendere da Carlo Magno,<br />
i due non se la passavano tanto bene, per cui furono provvidenziali <strong>le</strong> risorse di Olimpia<br />
che nel 1612 sposò Panfilio di trent’anni più grande di <strong>le</strong>i. Olimpia si stabilì nel palazzo<br />
atavico di piazza Navona a Roma (che poi farà restaurare ed ingrandire con l’intervento<br />
di grandi artisti), avendo cura di tener d’occhio il giovane cognato prete Giovan<br />
Battista in odore di promettente carriera ecc<strong>le</strong>siastica. Quando nel 1621 il pontefice<br />
Gregorio XV (A<strong>le</strong>ssandro Ludovisi) lo nominò nunzio presso il vicereame di Napoli,<br />
Olimpia si trasferì insieme al marito Panfilio nella città partenopea per un sostegno al<br />
cognato, non solo economico. Fu qui a Napoli che nel 1622 nacque il secondogenito Camillo<br />
(unico figlio maschio), padre della nostra principessa Anna. L’insinuazione che il<br />
padre non fosse Panfilio, bensì il fratello Giovan Battista,<br />
ebbe inizialmente alcuni maldicenti fautori, ma alla fine<br />
pochi convinti assertori. Nel frattempo, nel 1623, salì al<br />
soglio pontificio Urbano VIII (Maffeo Barberini). Dopo,<br />
la successiva nunziatura in Spagna, la nomina a cardina<strong>le</strong>,<br />
nel 1630, ed altre circostanze favorevoli - sapientemente<br />
combinate dall’intrigante cognata peraltro rimasta vedova<br />
nel 1639 - Giovan Battista alla morte di Urbano VIII<br />
riuscì ad ottenere il p<strong>le</strong>num dei voti dopo trentotto giorni<br />
di conclave ed il 14 settembre 1644 ebbe il via libera per<br />
la tiara pontificia. Il <strong>Pamphilj</strong> sarà Innocenzo X e donna<br />
Olimpia diventerà la Papessa di Roma. Perché? Perché era<br />
avida, astuta, dispotica, presuntuosa e senza scrupoli, avendo<br />
anzitempo capito che tutto si comprava con il denaro.<br />
E così, complice anche la proverbia<strong>le</strong> ritrosia del pontefice<br />
alla gestione del<strong>le</strong> “cose terrene”, riuscì, come nessun<br />
altro in precedenza, ad impinguare <strong>le</strong> casse vaticane usando<br />
ogni mezzo <strong>le</strong>cito ed il<strong>le</strong>cito possibi<strong>le</strong>, primi fra tutti<br />
il commercio del<strong>le</strong> indulgenze e i favori concessi per “intercessione”<br />
del papa. Sono proverbiali <strong>le</strong> “pasquinate” di<br />
allora, ovverosia <strong>le</strong> colorite e sarcastiche rime messe in<br />
bocca all’anonimo popolino.<br />
Sebastian Wranks,<br />
Piazza Banchi alla fine<br />
del XVII secolo.<br />
San Martino al Cimino,<br />
Museo dell’Abate.<br />
Scuola del Velázquez,<br />
Ritratto di Innocenzo X.<br />
specia<strong>le</strong> romA<br />
25
specia<strong>le</strong> romA<br />
26<br />
<strong>Genova</strong>, veduta<br />
del ce<strong>le</strong>berrimo<br />
“Palazzo del Principe”<br />
in un’acquaforte<br />
di Giolfi-Guidotti della<br />
fine del XVIII secolo.<br />
Per chi vuol qualche grazia dal Sovrano<br />
aspra e lunga è la via del Vaticano<br />
ma la persona accorta<br />
corre da donna Olimpia a mani piene<br />
e quel che vuo<strong>le</strong> ottiene.<br />
L’Anno Santo del 1650, che la vide impegnata a coordinare l’accoglienza (e <strong>le</strong> spese) dei<br />
pel<strong>le</strong>grini, fu forse il primo “giubi<strong>le</strong>o-business” della storia con ben 700.000 arrivi. Provvide<br />
anche a regolamentare l’attività del<strong>le</strong> prostitute costringendo<strong>le</strong> al pagamento del<strong>le</strong> tasse<br />
per il loro lucroso “lavoro”. Non dobbiamo quindi meravigliarci se donna Olimpia orientava<br />
anche i matrimoni di famiglia e <strong>le</strong> nomine cardinalizie. Il suo obiettivo, unico e assillante,<br />
era quello di potenziare e perpetuare l’immagine dei <strong>Pamphilj</strong>. Non a caso la figlia<br />
Maria andrà in sposa ad Andrea Giustiniani, genovese e nipote del più noto e facoltoso Vincenzo<br />
principe di Bassano, da cui erediterà tutto il patrimonio. Per recuperare i rapporti<br />
con i Barberini, incrinati dal mancato matrimonio di suo figlio Camillo con Lucrezia, costringerà<br />
l’ado<strong>le</strong>scente nipote Olimpiuccia (figlia di Maria, di appena dodici anni) a sposare<br />
nel 1653, contro la sua volontà, il giovane Maffeo Barberini. Innocenzo X che era<br />
contrario al matrimonio di Camillo con la Barberini, nominò il nepote cardina<strong>le</strong>, contravvenendo<br />
ad ogni regola di opportunità. Ma dovette retrocederlo allo stato laica<strong>le</strong> quando<br />
Camillo s’invaghì della principessa di Rossano, Aldobrandini, anch’essa di nome Olimpia,<br />
che vorrà sposare ad ogni costo. Per la “Papessa” fu un colpo tremendo che segnò l’inizio<br />
di una lunga rivalità con la nuora e il figlio Camillo.<br />
Dunque Camillo e Olimpia Aldobrandini. Dalla loro unione nacquero quattro figli tra cui<br />
Anna che vide la luce il 12 febbraio 1652, un anno prima dello storico viaggio di Innocenzo<br />
X a Viterbo accompagnato dalla stessa cognata che organizzò il “pel<strong>le</strong>grinaggio” in ogni<br />
particolare. Olimpia morirà di peste nella sua amata San Martino al Cimino – dove fece<br />
costruire un palazzo residenzia<strong>le</strong> oggi sede dell’Apt di Viterbo - nel 1657, quattordici anni<br />
prima del matrimonio di Anna con Giovanni Andrea <strong>Doria</strong> III, ce<strong>le</strong>brato come detto nel<br />
<strong>1671.</strong> Avrà avuto modo di prevederlo? Certamente no, ma la loro unione assecondava, comunque,<br />
il progetto di perpetuare la potenza di casa <strong>Pamphilj</strong>.
Ed eccoci di nuovo agli sposi Andrea ed Anna. Le cronache ci raccontano che Andrea rimasto<br />
orfano da bambino ebbe una madre (Violante Lomellina) forte e risoluta che cercò<br />
in ogni modo di conservare al giovane figliolo <strong>le</strong> prerogative di cui aveva goduto il padre.<br />
Sappiamo che <strong>le</strong> <strong>nozze</strong> vennero ce<strong>le</strong>brate a Roma per procura il 25 ottobre 1671, molti<br />
anni dopo la morte di Olimpia. Alla cerimonia nuzia<strong>le</strong> nella cappella gentilizia di palazzo<br />
<strong>Pamphilj</strong> a piazza Navona, seguirono so<strong>le</strong>nni festeggiamenti per la giovane Anna,<br />
appena diciannovenne. La sposa, accompagnata dal fratello Benedetto e da altri dignitari<br />
fra cui il genovese Rodolfo Sa<strong>le</strong>-Brigno<strong>le</strong>, partì poi alla volta di Livorno dove era ad attenderla<br />
Andrea per condurla a <strong>Genova</strong> con una scorta di quattro ga<strong>le</strong>re. L’arrivo, il 7 novembre,<br />
venne accolto da molta gente, presso il ponte Rea<strong>le</strong>, con grande curiosità ed ovazioni<br />
di giubilo. Anna fu portata su una sedia lussuosa rivestita di velluto e di tela d’argento<br />
fino alla sp<strong>le</strong>ndida carrozza dorata, costruita per l’occasione dall’artista Filippo Parodi.<br />
Il corteo formato da vari cocchi e <strong>le</strong>ttighe, con il principe Andrea a cavallo, si diresse<br />
da piazza Banchi verso il palazzo Fassolo. Le cronache del tempo sono prodighe di particolari.<br />
Si sa come fosse vestita Anna in ogni dettaglio (“…il gipone di tela d’oro spolinato<br />
di verde serrava la persona con alamari d’oro bellissimi”) e si conosce anche la sua<br />
acconciatura “trattenuta da fili di per<strong>le</strong> a nodi”. I festeggiamenti, che si protrassero per tutto<br />
il mese di novembre, costarono 200.000 lire genovesi e non c’è da meravigliarsi considerando<br />
gli intrattenimenti e <strong>le</strong> veglie con centinaia di invitati cui venivano preparate pietanze<br />
ricercate e raffinate, servite su preziosi vasellami, tra scenografie bizzarre e stupefacenti,<br />
ricche di invenzioni ed emozioni. E questo per non essere da meno del<strong>le</strong> feste romane,<br />
altrettanto ce<strong>le</strong>bri per fasto e meraviglia, a cui era abituata la sposa. Per non parlare<br />
poi degli arredi e del<strong>le</strong> opere d’arte acquisiti appositamente dai <strong>Doria</strong> per la circostanza.<br />
Pensiamo agli arazzi di Perin del Vaga o ai dipinti datati e firmati di Domenico Piola<br />
(tuttora visibili nel palazzo di Fassolo) che svolgono il tema al<strong>le</strong>gorico del<strong>le</strong> <strong>nozze</strong>. Preziosi<br />
e opu<strong>le</strong>nti i bacili, <strong>le</strong> stagnare, <strong>le</strong> posate ed altre stoviglierie in argento massiccio, peraltro<br />
foggiati in gran parte da “fraveghi” genovesi; deliziosa quella grande “bragiera” d’argento,<br />
rispolverata per l’occasione, con <strong>le</strong> imprese del grande Andrea I. Il gran ballo nuzia<strong>le</strong><br />
del 24 novembre superò, poi, ogni immaginazione.<br />
Per contenere <strong>le</strong> duecento dame e il folto stuolo di cavalieri, venne appositamente al<strong>le</strong>stito<br />
un “padiglione effimero”, come si farebbe oggi con una tensostruttura, progettato<br />
dall’architetto e ingegnere militare Ansaldo De Mari. Per la sistemazione del pubblico,<br />
Domenico Fiasella,<br />
Il banchetto di Assuero<br />
(<strong>Genova</strong>, Palazzo<br />
già Lomellini).<br />
Il fastoso banchetto per<br />
<strong>le</strong> <strong>nozze</strong> <strong>Doria</strong>-<strong>Pamphilj</strong><br />
non doveva discostarsi<br />
di molto da quanto<br />
rappresentato in questo<br />
affresco genovese.<br />
27
specia<strong>le</strong> romA<br />
28<br />
Giovan Battista<br />
Carlone, Scena<br />
di intrattenimento<br />
musica<strong>le</strong>, come era<br />
costume nella <strong>Genova</strong><br />
del Seicento.<br />
chiamato a godere lo spettacolo, si costruì una grande “barraca”. Tappeti persiani sul pavimento,<br />
finissimi arazzi fiamminghi al<strong>le</strong> pareti e nel soffitto i simboli araldici dei <strong>Doria</strong><br />
e dei <strong>Pamphilj</strong> con l’aquila e la colomba, dipinti dal maestro Antonio Ratto. All’illuminazione<br />
provvedevano cinquecento cande<strong>le</strong> capaci di irradiare un “chiarore solare”. I<br />
festeggiamenti si conclusero il 29 novembre, per la festa di Sant’Andrea, con un sontuoso<br />
banchetto nella Gal<strong>le</strong>ria Aurea. Di grande effetto <strong>le</strong> sculture in zucchero (“trionfi”)<br />
come avveniva a Roma coi papi nel<strong>le</strong> ricorrenze più importanti. Qualcosa di simi<strong>le</strong> l’organizzò<br />
nel 1667 la madre di Anna, Olimpia Aldobrandini, in una festa a palazzo. Il menu,<br />
quantunque si fosse alla fine di novembre, proponeva verdure fuori stagione, come<br />
carciofi, piselli e cavolfiori, di contorno ad abbondante cacciagione proveniente dai feudi<br />
di Torriglia e Gremiasco. Da ultimo, carrellate di canditi presentate in varie composizioni.<br />
La festa si concluse al<strong>le</strong> sei di notte con una veglia allietata, tra l’altro, dalla voce di<br />
un’amabi<strong>le</strong> donzella.<br />
Non ci è dato di conoscere <strong>le</strong> vicende della vita matrimonia<strong>le</strong> dei giovani sposi. Sappiamo<br />
che ebbero sei figli: Polissena, Andrea, Giovanna, Violante, Camillo e Olimpia (questi<br />
ultimi due nel ricordo dei genitori).<br />
Anna morì il 21 marzo del 1728, a 76 anni. Andrea otto anni dopo, il 17 dicembre del<br />
1737. Leggiamo insieme il testo della Cantata che A<strong>le</strong>ssandro Stradella musicò per <strong>le</strong> loro<br />
<strong>nozze</strong> fiabesche che consacrarono, come donna Olimpia avrebbe voluto, l’unione dei<br />
<strong>Doria</strong> coi <strong>Pamphilj</strong>.
L’AVVISO AL TEBRO GIUNTO<br />
Narratore<br />
L’avviso al Tebro giunto<br />
che fra i <strong>le</strong>gami d’un pudico amore<br />
Anna Diva Pamfilia il Ciel stringea,<br />
che in brevi dì dovea<br />
gire in Liguria a consolarne il core<br />
del gran <strong>Doria</strong>, coll’alma a <strong>le</strong>i congiunto,<br />
ei nell’istesso punto<br />
fattosi con <strong>le</strong> Ninfe a Lei davanti<br />
così spiegò nel<strong>le</strong> due voci i pianti.<br />
Trio (Tebro e due Ninfe)<br />
E perchè da noi lontano<br />
o bel so<strong>le</strong> Aldobrandino?<br />
vuoi partir dal ciel latino<br />
vuoi lasciare il suol romano<br />
Perchè togliere a me luci sì bel<strong>le</strong><br />
se su <strong>le</strong> sponde mie regnan <strong>le</strong> stel<strong>le</strong>.<br />
Frena il tuo rapido corso<br />
ne vo<strong>le</strong>r più tormentarmi<br />
quivi resti a consolarmi<br />
de tuoi raggi il bel concorso.<br />
Hor che i folgori altieri ardon benigni<br />
lampeggeranno i tuoi, così maligni.<br />
Tebro<br />
O Prencipe degl’Astri,<br />
che per l’eteree vie conduci il giorno,<br />
Monarca sp<strong>le</strong>ndidissimo del Cielo,<br />
stimino lor disastri<br />
quei che vicino al Polo hanno il soggiorno<br />
fra’ l’ombre involti e sempre esposti al gelo.<br />
Di te non mi querelo;<br />
e chi nel mondo abbandonar non vuo<strong>le</strong><br />
per queste due pupil<strong>le</strong> i rai del so<strong>le</strong>.<br />
Per gl’ecclittici sentieri<br />
Febo guidi Efo e Piro,<br />
corra pur su carro d’oro<br />
a cercar nuovi emisferi<br />
che a gl’occhi miei fan luminose mostre<br />
più dei raggi del sol <strong>le</strong> stel<strong>le</strong> vostre.<br />
Una Ninfa<br />
Noi non siam due sirene al<strong>le</strong>ttatrici<br />
che negl’accenti lor chiudean la morte,<br />
dolci homicide, e furie armoniose.<br />
Altra Ninfa<br />
Ma due ninfe infelici<br />
che pa<strong>le</strong>siam d’una perversa sorte<br />
<strong>le</strong> sventure per noi troppo penose.<br />
Due Ninfe<br />
Qui per te lagrimose<br />
per te do<strong>le</strong>nti a piedi tuoi prostrate<br />
chiediam giusta mercè giusta pietate.<br />
Prima Ninfa<br />
Tu scusa l’ardire<br />
o bella Tiranna<br />
chè troppo s’affanna<br />
il nostro cor se tu vorrai partire.<br />
D’Anna comporterà l’animo regio<br />
Roma privar del più superbo fregio?<br />
Seconda Ninfa<br />
L’antica potenza<br />
di Roma temuta<br />
ravvisa abbattuta<br />
tra’ <strong>le</strong> ruine sue la tua partenza.<br />
D’Anna comporterà l’animo regio<br />
Roma privar del più superbo pregio?<br />
Tebro<br />
Queste de Regi idolatrate sponde<br />
che idolatre hor si fan di tua bel<strong>le</strong>zza<br />
come o crudel d’abbandonar presumi?<br />
Dunque non si confonde<br />
il fugace rigor di tua fierezza<br />
mentre su gl’occhi miei miri due fiumi?<br />
Permetterete o numi<br />
voi ch’oltre l’acque sue distil<strong>le</strong> amare<br />
sen corra il Tebro a dar tributo al mare?<br />
Il Vaticano soglio<br />
non il Ligure suol la pro<strong>le</strong> attende<br />
che torni ad honorar scettri, e Camauri.<br />
Presago il Campidoglio<br />
già de la tua progenie al crine appende<br />
e destina al<strong>le</strong> Destre, e palme, e lauri.<br />
Altra Ninfa<br />
Questa quivi restauri l’avìte glorie<br />
ove con nuovi honori<br />
gl’Innocenzii ei C<strong>le</strong>menti il mondo adori.<br />
Tebro e Due Ninfe<br />
Ma già sento ch’il Nume Imeneo<br />
a te forma soavi catene,<br />
e ch’il cor già ti manda in trofeo<br />
chi ti sospira in su <strong>le</strong> patrie arene.<br />
Vanne felice e i figli tuoi<br />
la Liguria et il mondo empian d’eroi.<br />
Una Ninfa<br />
Si raconsoli pur del Tebro il duolo<br />
che tu giungendo in quei reali alberghi<br />
de lo sposo genti<strong>le</strong><br />
so che rimirerai con nuovo sti<strong>le</strong><br />
serbati al capo de tuoi figli e al petto<br />
l’ori che illustri e gloriosi usberghi<br />
degl’avi che portò la fama a volo<br />
e dirai visti del consorte i pregi<br />
esser la sua magion tempio de Regi.<br />
Altra Ninfa<br />
E l’Aquila natia poscia vedrai<br />
volta a tuoi vaghi rai<br />
in vagheggiar gl’Aldobrandini rastri<br />
sprezzare il so<strong>le</strong> ed affissarsi agl’Astri.<br />
Tebro e due Ninfe<br />
Hor che avverso il destino dispone<br />
che tu lasci del Tebro <strong>le</strong> rive<br />
ove già di Tiare e Corone<br />
la gloria alla tua stirpe il Cielo ascrive.<br />
Vanne felice e i figli tuoi,<br />
la Liguria et il mondo empian d’eroi.<br />
Le fastose dimore<br />
di Roma e <strong>Genova</strong>,<br />
dove Anna <strong>Pamphilj</strong><br />
trascorse la sua vita,<br />
sono aperte<br />
al pubblico<br />
con i seguenti orari:<br />
Roma,<br />
Gal<strong>le</strong>ria<br />
<strong>Doria</strong> <strong>Pamphilj</strong><br />
(Piazza del Col<strong>le</strong>gio<br />
Romano 2,<br />
tel. 06/6797323);<br />
tutti i giorni, escluso<br />
il giovedì, dal<strong>le</strong> ore<br />
10,00 al<strong>le</strong> ore 17,00.<br />
<strong>Genova</strong>,<br />
Palazzo del Principe<br />
(Piazza Principe 4,<br />
tel. 010/255509);<br />
tutti i giorni, escluso<br />
il lunedì, dal<strong>le</strong> ore<br />
10,00 al<strong>le</strong> ore 17,00.<br />
specia<strong>le</strong> romA<br />
29