Luigi Pulci, Morgante, La battaglia di Roncisvalle - Aula Digitale

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L’Umanesimo e il Rinascimento Firenze capitale dell’Umanesimo Luigi Pulci
Luigi Pulci
La battaglia di Roncisvalle
Morgante ■ XXVII, 50-57
La battaglia
di Roncisvalle
dal punto
di vista
dei diavoli
Orlando, Ulivieri e un piccolo drappello di paladini si recano a Roncisvalle per ricevere il pagamento
di un tributo da parte del re spagnolo Marsilio. Per tradimento di Gano, che aveva preso
accordi segreti con Marsilio, l’appuntamento a Roncisvalle si rivela una trappola: i cristiani vengono
attaccati dall’esercito del re spagnolo e, per la prima volta, sono sconfitti. Durante la battaglia
muoiono i migliori paladini di Carlo Magno, Orlando, Ulivieri, Astolfo e molti altri. Si tratta
dell’episodio culminante di tutta la saga del paladino Orlando.
50 E’ si vedeva 1 tante spade e mane 2 ,
tante lance cader sopra la resta 3 ,
e’ si sentia tante urle 4 e cose strane,
che si poteva il mar dire in tempesta 5 .
Tutto il dì tempelloron 6 le campane 7 ,
sanza saper chi suoni a morto o festa 8 ;
sempre tuon sordi 9 con baleni a secco 10 ,
e per le selve rimbombar poi Ecco 11 .
51 E’ si sentiva in terra e in aria zuffa,
perché Astarotte, non ti dico come,
e Farferello 12 ognun l’anime ciuffa 13 :
e’ n’avean sempre un mazzo per le chiome 14 ,
e facean pur 15 la più strana baruffa,
e spesso fu d’alcun 16 sentito il nome:
– Lascia a me il tale: a Belzebù 17 lo porto. –
L’altro diceva: – È Marsilio 18 ancor 19 morto?
L. Pulci, Morgante,
a cura di F. Brambilla Ageno, cit.
1. E’ si vedeva: ‘si vedevano’.
2. mane: ‘mani’.
3. tante … resta: ‘tante lance che si abbattevano
sulla resta’. La «resta» era
un gancio fissato al pettorale destro
dell’armatura sul quale si appoggiava il
manico della lancia, e serviva per mantenere
la lancia in posizione orizzontale
durante l’attacco.
4. urle: ‘urla’.
5. che si poteva … tempesta: ‘che (il
campo di battaglia) poteva essere paragonato
al mare in tempesta’.
6. tempelloron: ‘rintoccarono’.
7. campane: le campane della chiesetta
di Roncisvalle, che si trovava nei pressi
del luogo della battaglia (vedi Morgante
XXVI, 89).
8. senza … festa: ‘senza sapere quale
campana suoni a morto e quale a festa’.
9. tuon sordi: ‘tuoni dal suono cupo’.
10. baleni a secco: ‘fulmini senza pioggia’.
11. Ecco: ‘Eco’; nella mitologia classica
era una Ninfa che con le sue incessanti
chiacchiere distraeva Giunone dai
tradimenti di Giove. Fu per questo condannata
dalla dea a poter parlare solo
pronunciando le ultime parole che sentiva.
Innamoratasi di Narciso, non corrisposta,
si consumò d’amore fino a ridursi
a pura voce.
12. Astarotte … Farferello: nomi di
due diavoli; il primo, Astarotte, è in ori-
METRO

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La caduta
delle anime
all’inferno
L’Umanesimo e il Rinascimento Firenze capitale dell’Umanesimo Luigi Pulci
52 E’ ci farà stentar 20 prima che muoia.
Non gli ha Rinaldo ancor forbito il muso 21 ,
che noi portian giù l’anima e le cuoia 22 ? –
O Ciel, tu par’ questa volta confuso!
O battaglia crudel, qual Roma o Troia 23 !
Questa è certo più là che al mondano uso 24 .
Il sol pareva di fuoco sanguigno 25 ,
e così l’aire 26 d’un color maligno 27 .
53 Credo ch’egli era più bello a vedere
certo gli abissi, il dì, che Runcisvalle 28 :
ch’e’ saracin cadevon 29 come pere,
e Squarciaferro 30 gli portava a balle 31 ;
tanto che tutte l’infernal bufere
occupan questi, ogni roccia, ogni calle
e le bolge e gli spaldi e le meschite 32 ,
e tutta in festa è la città di Dite 33 .
54 Lucifero avea aperte tante bocche
che pareva quel giorno i corbacchini
alla imbeccata 34 , e trangugiava a ciocche
l’anime, che piovean, de’ saracini 35 ,
che par che neve monachina fiocche 36
come cade la manna a’ pesciolini 37 :
non domandar se raccoglieva i bioccoli,
e se ne fece gozzi d’anitroccoli! 38
20. stentar: ‘penare’.
21. Non … muso: ‘Rinaldo non ha ancora
pulito, aggiustato il muso’, cioè
‘non lo ha ancora percosso’.
22. che noi … cuoia: ‘così che noi possiamo
portare giù all’inferno sia l’anima
sia il corpo’. Per questo trattamento dei
traditori all’inferno, vedi quanto Dante
fa dire a frate Alberigo (Inferno XXXIII,
vv. 122-47); «cuoia» indica per metonimia
l’intero corpo.
23. Roma o Troia: riferimento al sacco
di Roma da parte dei Vandali avvenuto
nel 455 d.C. e alla caduta di Troia in seguito
alla guerra contro i Greci.
24. Questa è certo … uso: ‘questa battaglia
supera quello che accade di solito
nel mondo’.
25. sanguigno: ‘colore del sangue’.
26. aire: ‘cielo’.
27. maligno: ‘funesto’.
28. Credo … Runcisvalle: ‘quel giorno
credo che certo fosse più bello vedere
gli abissi dell’inferno rispetto alla battaglia
di Roncisvalle’.
29. cadevon: ‘cadevano’.
30. Squarciaferro: nome di un altro
diavolo.
31. gli … balle: ‘portava le anime dei
dannati a mucchi’ giù nell’inferno.
32. tanto … meschite: ‘le anime dei saraceni
sono tante che occupano tutte
le bufere, le rocce, le strade, le bolge,
le mura, le fortificazioni’. Le «meschite»
sono in realtà le moschee. Si tratta dei
luoghi descritti nell’Inferno dantesco:
nel V canto è la bufera infernale dei lussuriosi,
mentre le «meschite», gli «spaldi»
e il «calle» sono elementi della città
di Dite descritta da Dante (Inferno VIII,
IX, X); anche le bolge – letteralmente
‘borse’, ‘sacche’ e dunque anche ‘fosse’
– sono nell’Inferno di Dante, nell’ottavo
cerchio, chiamate «Malebolge»
all’inizio del canto XVIII.
33. città di Dite: la città infernale descritta
da Dante in Inferno IX.
34. Lucifero … imbeccata: ‘Lucifero
aveva tante bocche aperte che quel
giorno sembrava vorace come sono i
piccoli corvi nel nido quando prendono
il cibo («all’imbeccata»)’. Per Dante
Lucifero aveva tre teste (e dunque tre
bocche): ma tante erano le anime che
cadevano dal cielo, che Pulci immagina
che le bocche di Lucifero si moltiplicassero
per ingurgitarle tutte.
35. e trangugiava … saracini: ‘e (Lucifero)
inghiottiva a mazzi le anime dei
saraceni che piovevano dall’alto’; una
“ciocca” è un mazzetto di foglie, fiori
o frutti raccolti sullo stesso stelo o ramoscello.
36. che par … fiocche: ‘(le anime dei
dannati cadevano dall’alto giù nell’inferno)
in modo che pare che cada neve
nera’; «monachina» deriva dal colore
scuro dell’abito dei monaci.
37. come … pesciolini: ‘(le anime che
cadevano come neve) sembravano
quegli insetti chiamati manna dei pesci’;
così erano chiamati gli insetti che,
volando sull’acqua e spesso cadendoci
dentro, diventavano cibo dei pesci.
Questa denominazione deriva dal fatto
che gli insetti, cadendo dall’alto, richiamano,
appunto, la manna, cioè il
cibo miracolosamente fornito da Dio
agli Ebrei durante le loro peregrinazioni
nel deserto.
38. non domandar … anitroccoli: ‘non
domandare se (Lucifero) raccoglieva le
anime che cadevano come fiocchi di
neve e se se ne riempiva le gole, che
sembravano i gozzi degli anatroccoli’.
Il “bioccolo” è propriamente il ciuffo
di lana o di cotone non ancora lavorato.
Gli anatroccoli, essendo molto voraci,
quando mangiano hanno sempre
il gozzo pieno, che arriva ad avere dimensioni
sproporzionate rispetto al resto
del corpo.
© 2011 RCS Libri S.p.A./La Nuova Italia – R. Antonelli, M.S. Sapegno, Il senso e le forme

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Il ballo
all’inferno
e il tegame
La
similitudine
mare in
tempesta/
mare di
sangue
L’Umanesimo e il Rinascimento Firenze capitale dell’Umanesimo Luigi Pulci
55 E’ si faceva tante chiarentane,
che ciò ch’io dico è, disopra, una zacchera 39 ,
(e non dura la festa mademane,
crai e poscrai e poscrigno e posquacchera,
come spesso alla vigna le Romane 40 );
e chi sonava tamburo, e chi nacchera 41 ,
baldosa 42 e cicutrenna 43 e zufoletti 44 ,
e tutti affusolati gli scambietti 45 .
56 E Runcisvalle pareva un tegame 46
dove fussi 47 di sangue un gran mortito 48 ,
di capi e di peducci e d’altro ossame
un certo guazzabuglio ribollito 49 ,
che pareva d’inferno il bulicame
che innanzi a Nesso non fusse sparito 50 ;
e ’l vento par certi sprazzi avviluppi
di sangue, in aria, con nodi e con gruppi 51 .
57 La battaglia 52 era tutta paonazza 53 ,
sì che il Mar Rosso 54 pareva in travaglio 55 ,
ch’ognun, per parer vivo, si diguazza 56 :
e’ si poteva gittar lo scandaglio
per tutto, in modo nel sangue si guazza 57 ,
e poi guardar, come e’ suol l’ammiraglio
ovver nocchier se cognosce la sonda 58 ,
ché della valle trabocca ogni sponda 59 .
39. E’ … zacchera: ‘erano tanti i balli
che si facevano che quello che io racconto
è, al confronto, un nonnulla’;
«chiarentane» è il nome di un ballo in
tondo. La «zacchera» è lo schizzo di
fango: qui sta a significare ‘una cosa da
niente’.
40. e non … Romane: ‘e questa sorta
di festa infernale che non ha una durata
definita, non continua fino alla fine della
mattina («mademane»), o fino a domani
(«crai») a dopodomani («poscrai»)
o al giorno dopo ancora («poscrigno»),
come avviene nelle feste romane per
la vendemmia’; «crai», «poscrai», «poscrigno»
sono voci meridionali, mentre
«posquacchera» è parola senza senso,
invenzione di Pulci per continuare
scherzosamente le serie. Probabilmente
è modellata sulla parola napoletana
“squacquerare”, che indica il rumore
dell’acqua quando, per esempio, bolle.
41. nacchera: qui s’intende l’antico
strumento musicale a percussione, di
origine saracena, simile al tamburo e diverso
dalle nacchere di origine spagnola,
formate da due pezzi di legno che si
fanno suonare battendoli l’uno sull’altro
nell’incavo della mano.
42. baldosa: strumento a corde di origine
provenzale.
43. cicutrenna: strumento a fiato, simile
a una zampogna.
44. zufoletti: lo zufolo è uno strumento
a fiato, simile al piffero.
45. e tutti … scambietti: ‘e i passi di
danza («scambietti») erano svelti e precisi
(«affusolati»)’.
46. tegame: ‘pentola’.
47. fussi: ‘ci fosse’.
48. mortito: ‘spezzatino’.
49. capi … ribollito: ‘spezzatino di teste,
zampe e altre ossa, che formavano
una sorta di intruglio («guazzabuglio»)
cotto a lungo’: tutti ingredienti
dello spezzatino o della grande zuppa
alla quale viene paragonata Roncisvalle
durante la battaglia. I «peducci» sono
le estremità delle zampe degli animali
macellati.
50. che pareva … sparito: ‘che pareva
il Flegetonte’, il fiume di sangue bollente
descritto nell’Inferno dantesco.
A differenza del Flegetonte, il fiume di
sangue di Roncisvalle non aveva punti
in cui il livello si abbassava, come quello
presso il quale il centauro Nesso aveva
accompagnato Dante e Virgilio per
permettere loro di passare sull’altra
sponda. Nel canto XII dell’Inferno Dante
descrive il fiume di sangue bollente
(chiamato anche «bulicame», che deriva
da “bolla”) nel quale i violenti contro
il prossimo sono, per punizione, più o
meno immersi, a seconda della gravità
del loro peccato.
51. e ’l vento … gruppi: ‘sembra che il
vento crei con gli spruzzi di sangue dei
mulinelli, con nodi e grovigli («gruppi»)’.
52. la battaglia: ‘il campo di battaglia’.
53. paonazza: ‘rossa (di sangue)’.
54. il Mar Rosso: mare situato tra la penisola
arabica e l’Egitto.
55. in travaglio: ‘in tempesta’.
56. ch’ognun … diguazza: ‘ciascuno,
per sembrare vivo, si agita, ci sguazza
dentro’.
57. e’ si poteva … guazza: ‘in tal modo
si sguazzava nel sangue (il sangue era
tanto) che vi si poteva gettare in ogni
punto lo scandaglio’. Lo scandaglio è lo
strumento che serve a misurare la profondità
di fiumi, mari ecc., costituito da
una funicella graduata alla quale è attaccato
un peso.
58. e poi … sonda: ‘e poi controllare
come suole fare l’ammiraglio o il nocchiero
se sa usare bene («conosce») la
sonda’; la sonda è un’altra parola per
indicare lo scandaglio; l’ammiraglio è il
comandante di una flotta; il nocchiero
è chi dirige una nave e ne determina la
navigazione.
59. ché … sponda: ‘perché il sangue
supera ogni sponda della valle’.
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L’Umanesimo e il Rinascimento Firenze capitale dell’Umanesimo Luigi Pulci
ANALISI DEL TESTO
La battaglia di Roncisvalle dal punto di vista
dei diavoli
La battaglia di Roncisvalle viene descritta da un
punto di vista ben preciso: quello dei diavoli, occupati
ad acciuffare le anime dell’incredibile numero
di saraceni uccisi dai cristiani in battaglia.
In particolare, alle ottave 51 e 52, Pulci immagina
i diavoli che commentano l’esito della battaglia.
La caduta delle anime all’inferno
Alcune similitudini descrivono con efficacia ciò
che avviene nel campo di battaglia. Pulci indugia
sulla caduta nell’inferno delle anime dei
saraceni morti: «e’ saracin cadevon come pere»
(53, v. 3), o come gli insetti che vengono divorati
dai pesci quando volando sfiorano l’acqua
«come cade la manna a’ pesciolini» (54, v. 6); le
bocche di Lucifero sembrano «corbacchini alla
imbeccata» (54, vv. 2-3); le anime cadono come
neve (54, v. 5), e i fiocchi («bioccoli») riempiono
le gole di Lucifero come fossero «gozzi d’anitroccoli»
(54, vv. 7-8).
Il ballo all’inferno e il tegame
La confusione che si crea all’inferno per l’arrivo in
massa delle anime dei saraceni è descritta come
un ballo: «e’ si facevano tante chiarentane» (55,
v. 1), mentre Roncisvalle viene paragonata a un
tegame (56, v. 1) dove ribollono sangue, carne,
ossa. Immaginare l’inferno attraverso similitudini
culinarie costituiva un topos delle descrizioni medievali
degli inferi (lo stesso, per fare un esempio,
si trova nell’opera De Babilonia civitate infernali
di Giacomino da Verona).
La similitudine mare in tempesta / mare
di sangue
Il passo si apre con una similitudine del suono della
battaglia con il mare in tempesta (50, v. 4 «che
si poteva il mar dire in tempesta»); il tema della
tempesta viene ripreso poi nell’ultima ottava del
passo (57, v. 2 «il Mar Rosso pareva in travaglio»).
È interessante notare che, mentre nella prima
ottava la somiglianza tra la battaglia e il mare in
tempesta è solo accennata e ha una funzione de-
scrittiva, nell’ultima ottava il campo di battaglia
è diventato un mare di sangue (alla similitudine
si aggiunge qui l’iperbole): il sangue «della valle
trabocca ogni sponda» (v. 8), «e’ si poteva gettar
lo scandaglio» (v. 4) per misurarne la profondità.
L’accenno al mare contenuto nell’ottava d’apertura
si realizza concretamente nella descrizione
del mare di sangue attraverso l’iperbole nell’ultima
ottava del passo.
Le similitudini hanno una funzione strutturante
La similitudine è la figura retorica maggiormente
impiegata in questo passo, tanto da diventare
elemento che struttura e organizza la descrizione
della battaglia.
Il linguaggio comico e “infernale”
La scelta del punto di vista dei diavoli porta
l’autore a usare un linguaggio e delle immagini
comiche adatte alla descrizione in chiave infernale
dello scontro, molte delle quali rimandano
all’Inferno di Dante (l’immagine del «muso» di
Marsilio «forbito» da Rinaldo richiama il gesto
raccapricciante compiuto da Ugolino all’inizio
del XXXIII canto dell’Inferno). All’uso di parole
dai suoni aspri (come, per esempio, le parole
in rima «zuffa», «ciuffa», «baruffa»; «paonazza»,
«diguazza», «guazza», alle ottave 51 e 57) e di
similitudini prese dalla vita quotidiana, si aggiunge
un tratto caratteristico della poesia pulciana
e cioè la ricerca lessicale, evidente in particolare
nell’impiego dell’accumulazione; per esempio,
nell’ambito degli strumenti musicali, vedi ottava
55, vv. 6-7: «e chi sonava tamburo e chi nacchera,
/ baldosa e cicutrenna e zufoletti»; oppure, in
un contesto culinario, 56, vv. 2-3 «dove fussi di
sangue un gran mortito, / di capi e di peducci e
d’altro ossame»; fino ad arrivare a un verso come
«crai e poscrai e poscrigno e posquacchera» (55,
v. 4), nel quale Pulci usa termini del dialetto meridionale
(«crai», «poscrai», «poscrigno») e, insistendo
sull’accumulazione e l’allitterazione tra le
parole, inventa «posquacchera» a chiusura della
serie. Nota inoltre come il polisindeto aggiunga
enfasi alle serie delle accumulazioni.
© 2011 RCS Libri S.p.A./La Nuova Italia – R. Antonelli, M.S. Sapegno, Il senso e le forme