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alpinismo su ghiaccio - Scuole di Alpinismo e Sci-Alpinismo CAI

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INTRODUZIONE<br />

Conoscere la storia significa sapere chi siamo, comprendere <strong>su</strong> quali basi si fondano le<br />

nostre possibilità, cogliere le nostre capacità, ma, allo stesso tempo, anche i nostri limiti.<br />

Solamente chi sa cos’hanno fatto gli altri prima, e ne comprende il significato, può agire<br />

con consapevolezza e intelligenza, senza muoversi al buio, sempre, beninteso, entro i<br />

precari limiti umani <strong>di</strong> dominio <strong>su</strong>gli eventi. Quando poi ci si avventura in ambienti dove<br />

tutto è fragile e mutevole, dove quello che ci sovrasta, quello che ci circonda, lo stesso<br />

terreno <strong>su</strong>l quale poggiamo, al semplice contatto con l’aria talvolta svanisce, questo<br />

sapere può ri<strong>su</strong>ltare l’unica certezza da cui muovere.<br />

Non è una novità che la volontà <strong>di</strong> dominare gli elementi sia stata sin dall’antichità uno<br />

dei più gran<strong>di</strong> desideri dell’uomo, e che questo desiderio abbia modellato la <strong>su</strong>a attività.<br />

Ancora oggi, sebbene la ricerca scientifica e la tecnologia abbiano spalancato orizzonti<br />

un tempo inimmaginabili, e quasi spaventa l’assoluta <strong>di</strong>sinvoltura con la quale è possibile<br />

muoversi sopra e sotto la <strong>su</strong>perficie degli oceani, o attraverso gli spazi del cielo,<br />

l’attrazione verso ambienti dove sia possibile vivere la natura in un modo non<br />

“artificiale”, ed entrare in contatto con essa allo “stato naturale”, resta molto forte.<br />

L’<strong>alpinismo</strong> è senza dubbio una delle attività che rende possibile questo tipo <strong>di</strong> rapporto,<br />

consentendo l’accesso agli spazi incontaminate della montagna. Da sempre, però la <strong>su</strong>a<br />

natura è stata macchiata da un atteggiamento schizofrenico. In altre parole il fenomeno<br />

“<strong>alpinismo</strong>” <strong>di</strong>mostra due <strong>di</strong>fferenti personalità: una rivolta appunto alla comunione con<br />

l’ambiente naturale, con la <strong>di</strong>mensione incontaminata e selvaggia della montagna, più<br />

preoccupata della filosofia che della prassi; l’altra decisamente più pragmatica, orientata<br />

alla continua ricerca <strong>di</strong> emozioni forti e degli stimoli che l’arrampicata come gesto può<br />

dare. Due personalità in perenne conflitto, l’una alla ricerca <strong>di</strong> un’etica che ponga dei<br />

limiti ai mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> pratica dell’<strong>alpinismo</strong>, al fine <strong>di</strong> preservarne la <strong>su</strong>a essenza originale, e<br />

l’altra tesa a sod<strong>di</strong>sfare l’insopprimibile desiderio <strong>di</strong> un continuo rinnovamento,<br />

impegnata nel <strong>su</strong>peramento <strong>di</strong> limiti sempre nuovi, con ogni mezzo a <strong>di</strong>sposizione, senza<br />

nes<strong>su</strong>na, o con pochissime, preoccupazioni <strong>di</strong> carattere etico o filosofico.<br />

È facile intuire come l’<strong>alpinismo</strong> in genere, e quello <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> in particolare, proprio in<br />

conseguenza <strong>di</strong> questa duplice tendenza, soffra <strong>di</strong> un malessere esistenziale, dovuto alla<br />

contrad<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> voler raggiungere la “naturalità” del “gesto”, ma, allo stesso tempo, <strong>di</strong><br />

non poterlo mai realizzare appieno, proprio a causa delle pesanti ed ineliminabili<br />

intrusioni tecnologiche, <strong>di</strong> cui non ha mai potuto fare a meno, e che da quasi <strong>su</strong>bito<br />

l’hanno caratterizzato. L’uomo non è infatti munito <strong>di</strong> <strong>su</strong>fficienti doti naturali per<br />

muoversi in un ambiente costituito da pareti <strong>di</strong> roccia e <strong>ghiaccio</strong>. Così, da <strong>su</strong>bito, ha<br />

pensato <strong>di</strong> ovviare a questo <strong>su</strong>o limite usando delle protesi tecnologiche per proteggersi<br />

in quest’ambiente, verso cui si sentiva attratto, che amava, ma che molte volte gli<br />

ri<strong>su</strong>ltava ostile. E in particolare proprio tra i ghiacci, dove usò scale, corde, pertiche e<br />

altri strumenti <strong>di</strong> varia natura. Con il passare del tempo le cose non sono migliorate<br />

2


affatto. L’arrampicata <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> perciò non può essere certamente definita, come<br />

qualcuno invece sostiene, “arrampicata libera”. È senza alcun dubbio uno dei mo<strong>di</strong> più<br />

belli e <strong>di</strong>vertenti <strong>di</strong> entrare in contatto con l’ambiente naturale, ma, per necessità,<br />

assolutamente ingabbiata entro i confini del tecnologico. E in questo non si <strong>di</strong>fferenzia<br />

poi tanto da molte altre attività dell’uomo contemporaneo. Il pretesto della ricerca<br />

scientifica, che mascherava agli inizi la pratica dell’<strong>alpinismo</strong> è ben presto caduto,<br />

lasciando il posto a quelle che sono le <strong>su</strong>e caratteristiche più lu<strong>di</strong>che; facendo emergere<br />

infine, ai giorni nostri, una realtà massificata. L’<strong>alpinismo</strong> si è trasformato, cioè, da<br />

attività per pochi in un imponente flusso, continuo e variegato, <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> persone, uno<br />

dei tanti torrenti che confluiscono ad alimentare uno dei sogni, ed incubi, della nostra<br />

società contemporanea: il turismo <strong>di</strong> massa.<br />

Sì, perché è inutile tentare <strong>di</strong> tirarsi fuori, oramai ci siamo dentro fino al collo anche noi<br />

alpinisti, sebbene molti siano ancora convinti <strong>di</strong> appartenere ad una schiera <strong>di</strong> pochi eletti<br />

anticonformisti e veri e unici “puri” rimasti.<br />

La storia <strong>di</strong> questo fenomeno, che ha portato a chiudere il secondo millennio dell’era<br />

cristiana con 30.000 presenze nel corso dell’anno 2000 in ciascuno dei posti tappa delle<br />

principali Montagne della catena himalaiana, già nel solo Pakistan (dato ufficiale del<br />

Ministero della Cultura, Turismo e Sport <strong>di</strong> Islamabad), inizia poco più <strong>di</strong> duecento anni<br />

fa, nella vecchia e ormai logorata catena alpina. Sarebbe bene che tutti la conoscessero,<br />

perché nonostante le mille trovate che la tecnologia costruttiva contemporanea ha<br />

sfoderato per rendere l’alpinista invulnerabile anche nei luoghi più ostili, gli elenchi dei<br />

comportamenti insensati, che hanno portato spesso al collasso <strong>di</strong> ambienti incontaminati,<br />

o a trage<strong>di</strong>e e ad inutili per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> esistenze ancora “troppo da vivere”, si allungano<br />

sempre più velocemente. Segnale che l’<strong>alpinismo</strong> soffre dello stesso male <strong>di</strong> tutte le altre<br />

attività umane: Il poco rispetto per l’ambiente e molto spesso anche per se stessi. Ma<br />

anche segno che i <strong>su</strong>oi seguaci , oltre a non essere grado <strong>di</strong> badare alla propria sicurezza,<br />

non sono assolutamente all’altezza nemmeno del compito <strong>di</strong> tutela dell’ambiente che<br />

vorrebbero perseguire, almeno a parole, stando agli statuti dei club alpini e ai numerosi<br />

proclami e co<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> regolamentazione stilati a convegni e simposi.<br />

Capire la storia, dunque, e quanto la tecnica influisce <strong>su</strong>lle nostre capacità, è senza<br />

dubbio un dovere, per poter scegliere qualche volta anche <strong>di</strong>versamente dagli altri. E<br />

quando un bel gioco inizia a piacere a troppi, dovremmo essere capaci d’inventarne uno<br />

nuovo, usando la fantasia, senza farci <strong>di</strong>stogliere dai tanti “giocattoli” nuovi e luccicanti<br />

che qualcuno ci fa dondolare davanti agli occhi. Perché proprio questo è avvenuto agli<br />

inizi, che uno, per primo, è partito verso dove non c’era ancora nes<strong>su</strong>no: l’inesplorato<br />

mondo dei ghiacci perenni. Ha inventato un gioco nuovo, senza nes<strong>su</strong>na conoscenza<br />

tecnica o scientifica, con l’ingenuità e la naturalezza <strong>di</strong> chi vuole scoprire il mondo<br />

attorno a se. Poi le cose si sono complicate, via via sempre <strong>di</strong> più. Vogliamo riproporvi<br />

una sintesi <strong>di</strong> questo cammino storico, soprattutto per quanto riguarda le varie tecniche<br />

usate per avventurarsi nel mondo dei ghiacci, perché siamo convinti che in questa<br />

particolare <strong>di</strong>mensione dell’<strong>alpinismo</strong>, dove domina la forma modellata dal gelo e dove<br />

la realtà è solo un fantasma che appare e scompare al mutare delle stagioni, sia racchiusa,<br />

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forse, l’ultima possibilità <strong>di</strong> trovare sempre del nuovo e provare ancora le sensazioni <strong>di</strong><br />

chi non è mai stato preceduto da nes<strong>su</strong>n altro prima.<br />

Cosa impossibile per chi non sa <strong>di</strong>stinguere dov’è il nuovo, per chi cerca <strong>di</strong> trovare<br />

invano il <strong>di</strong>vertimento cambiando in continuazione giocattolo, accecato e ammagliato dai<br />

miraggi tecnologici, senza <strong>di</strong>vertirsi affatto, perché non riesce a vedere le molte<br />

possibilità attorno a sé. E si crede pioniere, semplicemente perché non conosce il passato.<br />

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LE ORIGINI E GLI ALBORI DELLA TECNICA<br />

La storia dell’<strong>alpinismo</strong> nasce ufficialmente proprio <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>, con la prima ascensione<br />

alla vetta del Monte Bianco, compiuta dal dott. Michel Gabriel Paccard e dal valligiano<br />

Jaques Balmat, l’8 agosto del 1786. I tentativi <strong>di</strong> scalare la montagna si erano <strong>su</strong>sseguiti<br />

per molti anni, promossi da Horace Bene<strong>di</strong>cte De Saus<strong>su</strong>re, per scopi <strong>di</strong> natura<br />

scientifica. Già da molti secoli prima altri si erano avventurati tra le montagne, vincendo<br />

le molte paure legate a <strong>su</strong>perstizioni e credenze <strong>di</strong> natura magica e al sacro. Spinti però<br />

più dalla necessità – erano viaggiatori, guerrieri, pastori, cacciatori e cercatori <strong>di</strong> cristalli<br />

– che non dal desiderio <strong>di</strong> esplorare e salire <strong>su</strong> una vetta. E anzi da questi luoghi si<br />

tenevano generalmente il più lontano possibile.<br />

Solo dopo la salita del Monte Bianco si iniziò a considerare la scalata <strong>di</strong> una montagna<br />

come un’attività autonoma, non legata ad esigenze pratiche <strong>di</strong> sostentamento. Furono<br />

soprattutto gli inglesi a promuovere <strong>su</strong>ccessivamente lo sviluppo delle tecniche e delle<br />

attrezzature usate. Fino ad allora ci si serviva unicamente <strong>di</strong> bastoni con un puntale<br />

metallico all’estremità inferiore l’alpenstock, lungo circa due metri, e <strong>di</strong> accette per<br />

tagliare i gra<strong>di</strong>ni nel <strong>ghiaccio</strong>. Mentre sotto ai pie<strong>di</strong>, oltre agli scarponi chiodati, più tar<strong>di</strong>,<br />

s’iniziarono ad usare degli arnesi in acciaio che assomigliavano vagamente ai moderni<br />

ramponi, con tre o quattro punte ripiegate a mordere la <strong>su</strong>perficie del <strong>ghiaccio</strong>. L’impulso<br />

dato dal fenomeno del turismo, e dal <strong>su</strong>o veloce incremento nella seconda metà dell’800,<br />

fu un elemento decisivo ai fini del miglioramento delle attrezzature alpinistiche. Dopo<br />

molti tentativi si giunse alla produzione <strong>di</strong> una piccozza molto simile a quella che noi<br />

oggi conosciamo: con il manico molto più corto dell’alpenstock, e con <strong>di</strong>etro la becca


una paletta orizzontale. Intorno al 1880 si cominciarono a forgiare ramponi a sei e otto<br />

punte.<br />

Bisogna aspettare il 1908 per veder nascere un rampone vero e proprio a <strong>di</strong>eci punte, e la<br />

<strong>su</strong>a produzione si deve all’idea dell’inglese Oscar Eckenstein e al lavoro del fabbro<br />

Henry Grivel. L’introduzione <strong>di</strong> questo attrezzo causò non poche polemiche all’epoca,<br />

perché quest’innovazione fu accusata <strong>di</strong> essere “poco sportiva nei confronti della<br />

montagna”. In tale maniera si aprì una querelle che si protrasse all’infinito, anche se in<br />

forma rinnovata, ad ogni nuova scoperta. Tra due possibilità prevale sempre, prima o poi,<br />

quella che prevede un minor <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> energie, basta saper aspettare, e fu così anche<br />

in quella circostanza: è molto meglio poter progre<strong>di</strong>re velocemente che dover tagliare<br />

migliaia <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>ni <strong>su</strong> <strong>di</strong> un pen<strong>di</strong>o ghiacciato. I ramponi a <strong>di</strong>eci punte <strong>di</strong>vennero attrezzi<br />

<strong>di</strong> uso con<strong>su</strong>eto e <strong>di</strong>edero l’avvio alla storia delle tecniche <strong>di</strong> progressione <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>.<br />

Da allora, infatti, si cercò <strong>di</strong> sfruttare al meglio gli strumenti progettati, per ridurre le<br />

<strong>di</strong>fficoltà del terreno <strong>su</strong> cui ci si muoveva. In altre parole si cercò <strong>di</strong> adattare il metodo <strong>di</strong><br />

progressione il più possibile agli attrezzi impiegati. Ancora oggi, a seconda del tipo <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fficoltà e <strong>di</strong> attrezzo usato, si adotta una tecnica <strong>di</strong>versa. Ad esempio, la progressione<br />

laterale al pen<strong>di</strong>o e con il piede a piatto, introdotta all’epoca per garantire un equilibrio<br />

ottimale <strong>su</strong>l pen<strong>di</strong>o, con tutte le punte dei ramponi che mordono il <strong>ghiaccio</strong>, e conosciuta<br />

come tecnica francese, viene ancora usata per salire <strong>su</strong> terreni non <strong>su</strong>periori ad una certa<br />

pendenza. La tecnica francese dei ramponi paralleli al pen<strong>di</strong>o fu basilare per salire le<br />

pareti <strong>di</strong> neve gelata delle Alpi e un’importante evoluzione si ebbe anche grazie all’altro<br />

progetto <strong>di</strong> Eckenstein: la piccozza corta e leggera. Grazie alle <strong>su</strong>e ridotte <strong>di</strong>mensioni –<br />

era lunga solamente 86 cm. – ci si poteva destreggiare meglio <strong>su</strong> pendenze forti, e così<br />

furono <strong>su</strong>perate le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> molte pareti nel primo trentennio del ‘900. Dapprima ad<br />

opera <strong>di</strong> Hans Lauper, il primo a tentare la salita delle pareti nord delle Alpi – compì ben<br />

18 prime ascensioni – tra cui la Nord del Monch, la Nord della Jungfrau, la Nord-Est<br />

dell’Eiger.<br />

Uno dei maggiori alpinisti dell’epoca fu Willo Welzenbach, l’inventore della scala <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fficoltà <strong>su</strong> roccia più usata al mondo. Si <strong>di</strong>stinse per le prime salite <strong>di</strong> molte altre pareti<br />

Nord nelle Alpi centrali e occidentali, tra le quali: la Nord-Est del Lyskamm orientale, la<br />

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Nord del Grand Charmoz, la Nord del Gross Fiescherhorn. Egli inoltre fu anche il primo<br />

ad impiegare un chiodo progettato apposta per il <strong>ghiaccio</strong> da Fritz Riegele, in occasione<br />

della prima ascensione alla parete Nord del Gross Wiesbachhorn (Gruppo del<br />

Grossglockner) nel 1924. I primi chio<strong>di</strong> da <strong>ghiaccio</strong> erano delle lame <strong>di</strong> ferro, con profilo<br />

rettangolare <strong>di</strong> circa uno o due centimetri e lunghe da 18 a 25 centimetri. Su <strong>di</strong> un lato<br />

erano incise delle tacche che dovevano migliorare la tenuta del chiodo nel <strong>ghiaccio</strong>.<br />

Nel 1932 Laurent Grivel, il figlio dell’inventore dei ramponi a <strong>di</strong>eci punte, intuì che<br />

aggiungendo altre due punte frontali si sarebbero potuti impiegare i ramponi <strong>di</strong> punta, e<br />

questo avrebbe permesso <strong>di</strong> salire faccia al pen<strong>di</strong>o, con maggior velocità e <strong>su</strong> terreni<br />

molto più ripi<strong>di</strong>. La più naturale posizione delle punte avanti, se alla lunga più faticosa<br />

per la muscolatura delle gambe, consentiva ciononostante <strong>di</strong> evitare complicate torsioni<br />

della caviglia <strong>su</strong>i terreni <strong>su</strong>periori ai 45°. Si pensi che i francesi salivano anche <strong>su</strong><br />

pendenze oltre ai 50° d’inclinazione con la tecnica delle punte a piatto. In particolare<br />

Armand Charlet, il più rappresentativo alpinista francese dell’epoca per quanto riguarda<br />

la progressione <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>, <strong>di</strong>venne il maestro in<strong>di</strong>scusso della tecnica denominata<br />

piolet-ramasse. Questa tecnica prevedeva l’uso della piccozza in appoggio orizzontale,<br />

con il puntale infitto nel <strong>ghiaccio</strong> e le due mani appoggiate l’una a circa metà del manico,<br />

l’altra <strong>su</strong>ll’estremità dell’attrezzo a spingerlo contro la parete, mentre il corpo, parallelo<br />

al pen<strong>di</strong>o, permetteva l’uso dei pie<strong>di</strong> a piatto. Charlet fu pure maestro nella tecnica della<br />

piolet-ancre, che prevedeva invece, <strong>su</strong> terreno più ripido, l’uso della piccozza in<br />

verticale, infissa con la becca nel <strong>ghiaccio</strong> all’altezza della testa dell’alpinista, trazionata<br />

verso il basso, e con le mani l’una in appoggio <strong>su</strong>lla paletta e l’altra a stringere la parte<br />

inferiore del manico. Entrambe le tecniche richiedevano molta capacità e sicurezza,<br />

ri<strong>su</strong>ltando sicuramente molto meno intuitive <strong>di</strong> quelle usate oggi per la progressione <strong>su</strong><br />

<strong>ghiaccio</strong>.<br />

Tra gli anni Trenta e Quaranta del ‘900 tutte le più impegnative pareti Nord dell’arco<br />

alpino furono percorse, comprese quelle <strong>di</strong> misto, e alcune <strong>di</strong> esse misero a dura prova gli<br />

alpinisti. Durante quegli anni la prima ascensione venne vis<strong>su</strong>ta come il traguardo <strong>di</strong> una<br />

vera e propria gara e gli esponenti delle varie nazioni si contesero l’impresa all’insegna <strong>di</strong><br />

un’accesa competizione, permeati dal profondo spirito nazionalista che caratterizzò<br />

l’epoca. Così nel 1933 la Nord del Cervino fu prerogativa dei fratelli Schmid, nel 1938<br />

toccò sia alla Nord delle Gran Jorasses, percorsa lungo il temibile sperone Walker dalla<br />

cordata italiana guidata da Riccardo Cassin, sia alla temibile parete Nord del Eiger, vinta<br />

da un gruppo austro-tedesco, guidato da Aderl Heckmair. Quattro esponenti della<br />

fortissima “Scuola <strong>di</strong> Monaco”, che durante tutto questo periodo fu una delle forze<br />

trainanti e innovatrici dell’<strong>alpinismo</strong> in Europa. Se gli ultimi tre problemi delle Alpi,<br />

come vennero definite le pareti Nord <strong>di</strong> queste montagne, furono terreno <strong>di</strong> scontro e <strong>di</strong><br />

competizione tra alpinisti, <strong>su</strong> terreni glaciali, molto più particolari, ancora una volta<br />

<strong>su</strong>ll’insi<strong>di</strong>oso terreno misto che caratterizzava anche quelle salite, si stava preparando<br />

invece la messa in pratica <strong>di</strong> nuove attrezzature e <strong>di</strong> nuove possibili tecniche. Con esse si<br />

sarebbero potute <strong>su</strong>perare in seguito pareti sempre più impegnative, con tratti <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong><br />

quasi verticale.<br />

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UL NUOVO VENTO DAL NORD<br />

Un <strong>di</strong>scorso a parte va fatto per quanto riguarda l’<strong>alpinismo</strong> in Gran Bretagna, e più<br />

precisamente in Scozia. Anche qui le salite <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> erano una pratica in voga tra gli<br />

arrampicatori. Non si trattava <strong>di</strong> pareti come quelle delle Alpi, ne tanto meno <strong>di</strong> itinerari<br />

che portavano <strong>su</strong> vere e proprie montagne, ma proprio le salite dei colatoi ghiacciati delle<br />

Highlands scozzesi, il Ben Nevis (1344 mt.) è la cima più alta, possono essere<br />

considerate come le progenitrici delle moderne salite <strong>su</strong> cascate <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong>. Ed <strong>su</strong> <strong>di</strong> esse<br />

ha avuto origine la tecnica usata in seguito per percorrere <strong>su</strong>lle Alpi, tra la fine degli anni<br />

’60 e ’70, vie <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong> prima considerate impossibili.<br />

Nella parte settentrionale della Scozia il Blizzard, vento polare molto freddo, unito alle<br />

quasi costanti precipitazioni invernali, sono la causa del formarsi <strong>di</strong> uno strato <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong><br />

più o meno spesso, generalmente molto umido e spugnoso, che ricopre tutte le pareti e gli<br />

stretti canali rocciosi (gully) delle modeste montagne locali.<br />

Il ri<strong>su</strong>ltato è spettacolare e il fascino dato all’ambiente da queste formazioni <strong>di</strong> cristalli<br />

gelati tale da attirare irresistibilmente chiunque ami l’arrampicata e l’ambiente selvaggio<br />

delle montagne. Proprio per questo motivo, sin dagli inizi della <strong>su</strong>a attività lo Scottish<br />

Mountaneering Club si caratterizzò in particolare per la de<strong>di</strong>zione dei <strong>su</strong>oi soci verso le<br />

salite invernali <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>.<br />

Hammish Mac Innes – La volpe del Glencoe Jimmy Marshall <strong>su</strong> Parallel B Gully (Scozia)<br />

La scarsità e precaria qualità del <strong>ghiaccio</strong> delle pareti scozzesi non permette <strong>di</strong> intagliare<br />

gra<strong>di</strong>ni sicuri, né molte volte <strong>di</strong> apporre dei chio<strong>di</strong> <strong>di</strong> protezione: tentare <strong>di</strong> farlo vorrebbe<br />

<strong>di</strong>re <strong>di</strong>struggere, quasi sicuramente, con le proprie mani ciò che rende possibile la salita.<br />

Una volta asportato il poco <strong>ghiaccio</strong> che ricopre la parete, ci si troverebbe infatti con<br />

piccozze e ramponi <strong>su</strong>lla scivolosa roccia gelata, senza alcuna possibilità <strong>di</strong> usarla per<br />

progre<strong>di</strong>re, né <strong>di</strong> usare le fes<strong>su</strong>re, intasate dal <strong>ghiaccio</strong>. Gli alpinisti scozzesi si sono<br />

adeguati alle circostanze, salendo spesso senza alcuna protezione, prima con tecniche


d’incastro, usando anche la lunga piccozza a questo scopo negli stretti colatoi ghiacciati,<br />

e poi pensando a nuovi tipi <strong>di</strong> attrezzi, per poter affrontare anche le pareti aperte.<br />

Fu così che nel corso degli anni ’50 si salirono molti gully nella zona occidentale della<br />

Scozia, sia <strong>su</strong>l Ben Nevis che nel Glancoe e, nel 1957, Tom Patey con Nicol Greame e<br />

Hamish Mac Innes (soprannominato la volpe del Glancoe) percorsero Zero Gully la<br />

prima salita <strong>di</strong> V grado scozzese con tratti quasi verticali. Un anno dopo Jimmi Marshall<br />

e Robin Smith vinsero il mitico Poin Five Gully, il Gardyloo Buttress e l’Orion Face<br />

Direct, usando già la tecnica frontale, ma utilizzando, però, ancora piccozze molto<br />

antiquate. Non si può parlare <strong>di</strong> vero stile. Qualunque mezzo era consentito per evitare il<br />

volo. Sebbene si salisse ancora con un’unica piccozza, fu qui che la tecnica della piolettraction<br />

iniziò ad essere abbozzata. L’in<strong>di</strong>scusso artefice <strong>di</strong> quest’opera fu proprio Jimmi<br />

Marshall che <strong>di</strong>venne, come scrive nel 1978 Yvon Chouinard nel <strong>su</strong>o libro Salire <strong>su</strong><br />

Ghiaccio “il maestro sotto al quale molti tra i migliori alpinisti scozzesi (ve<strong>di</strong> Robin<br />

Smith e Dougal Haston) ebbero il loro appren<strong>di</strong>stato. Anche oggi non c’è probabilmente<br />

arrampicatore al mondo che sia capace <strong>di</strong> uno stile migliore <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Marshall <strong>su</strong><br />

<strong>ghiaccio</strong> scozzese, dati gli stessi mezzi – una lunga piccozza e un paio <strong>di</strong> ramponi”.<br />

L’Hell’s Lum Crag, Cairngorms, Scozia<br />

Gian Carlo Grassi <strong>su</strong> Point Five Gully (Ben Nevis)<br />

La svolta si ebbe alla fine degli anni ’60, grazie allo scambio <strong>di</strong> esperienze tra lo scozzese<br />

John Cunningam e l’americano Yvon Chouinard, che permise allo scozzese <strong>di</strong><br />

perfezionare la tecnica delle punte avanti. Consapevole dell’inadeguatezza della piccozza<br />

tra<strong>di</strong>zionale per questo tipo <strong>di</strong> progressione, Hammish Mac Innes mise a punto un<br />

attrezzo molto corto, il Terrordactyl. Lungo circa 40 centimetri, molto pesante e robusto,<br />

grazie alla <strong>su</strong>a struttura interamente metallica e alla <strong>su</strong>a becca inclinata a 45°, permetteva<br />

un’ottima infissione nell’aleatorio <strong>ghiaccio</strong> scozzese, e un uso in aggancio anche <strong>su</strong><br />

pareti verticali. Nel 1970 John Cunningam assieme a Bill March salì il breve ma verticale<br />

Chancer <strong>su</strong>ll’Hell’s Lum Crag nei Cairngorms. Fu questa la prima scalata scozzese<br />

compiuta interamente con la tecnica delle punte frontali.<br />

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Yvon Chouinard e John Cunningam Arrampicata nel New England Chouinard <strong>su</strong> “Fallen Angel”, Canada<br />

<strong>su</strong>lle pareti del Ben Nevis<br />

Parallelamente negli U.S.A. ed in Canada, Tom Frost, Yvon Chouinard ed i fratelli Lowe<br />

iniziarono a scalare vere e proprie cascate <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong>, considerando l’arrampicata <strong>su</strong><br />

queste strutture come attività fine a se stessa. Da allora si iniziò a pensare alle cascate<br />

non come salite <strong>di</strong> allenamento per affrontare le pareti alpine, ma come nuova prospettiva<br />

per l’<strong>alpinismo</strong> <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>. Quasi sicuramente la tecnica che noi oggi usiamo per salire<br />

le cascate <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong>, e denominata in seguito dai francesi piolet-traction, venne usata<br />

per la prima volta proprio da questi alpinisti in America, nell’inverno del 1967.<br />

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VERSO UNA NUOVA ERA: L’AVVENTO DELLA PIOLET-TRACTION<br />

Cosa accadeva intanto nella vecchia Europa continentale? Sulle Alpi nel corso degli anni<br />

’50 e nei primi anni ’60 non si ebbero molti progressi per quanto riguarda le tecniche <strong>di</strong><br />

progressione <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>. Gli anni ’60 in particolare furono caratterizzati da un<br />

esasperato nazionalismo: gli alpinisti <strong>di</strong> tutti i paesi erano impegnati a <strong>di</strong>mostrare la<br />

<strong>su</strong>periorità della propria tecnica, piuttosto che confrontarsi <strong>su</strong>lle possibilità <strong>di</strong> evoluzione<br />

dei vari meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> progressione, cosa che invece stavano facendo gli alpinisti<br />

anglosassoni.<br />

I francesi in particolare <strong>di</strong>fendevano a spada tratta la loro piolet-ancre, sforzandosi <strong>di</strong><br />

usarla <strong>su</strong> pendenze anche molto forti; maestro in<strong>di</strong>scusso <strong>di</strong> questa tecnica fu André<br />

Contamine. Vengono salite in questo periodo, nel 1955 la <strong>di</strong>fficilissima parete Nord delle<br />

Droites dalla cordata Cornau-Davaille, nel 1962 la pericolosissima via <strong>di</strong> Walter Bonatti<br />

e Cosimo Zappelli <strong>su</strong>l Pilier d’Angle, nel 1968 lo scivolo del Linceul <strong>su</strong>lle Grandes<br />

Jorasses, ad opera <strong>di</strong> René Desmaison e Robert Flematti, salita durante la quale furono<br />

intagliati ben 4000 gra<strong>di</strong>ni <strong>su</strong>l <strong>ghiaccio</strong> vetroso della parete.<br />

Agli inizi degli anni ’70, comunque, quasi tutti gli alpinisti, francesi compresi, si erano<br />

adeguati alla nuova tecnica delle punte frontali. Ci vorranno comunque ancora molti anni<br />

perché si arrivi ad usare attrezzi simili a quelli messi a punto in Scozia da Mac Innes,<br />

mentre invece l’americano Yvon Chouinard riuscì a convincere la fabbrica francese della<br />

Charlet-Moser, molto riluttante e conservatrice, a forgiare una piccozza <strong>di</strong> 55 centimetri<br />

con il becco ricurvo. L’intuizione fu <strong>di</strong> non poca portata, perché creando una curva<br />

compatibile con l’arco del movimento oscillatorio della piccozza, si sarebbe ottenuto un<br />

miglior fissaggio del becco nel <strong>ghiaccio</strong>. Lo stesso Chouinard, assieme a Tom Frost,<br />

<strong>di</strong>segnò un martello da <strong>ghiaccio</strong> con il becco ricurvo e un rampone rigido e regolabile.<br />

Ancora una volta l’evoluzione era arrivata dall’innovazione della tecnologia e non<br />

unicamente dal miglioramento della tecnica <strong>di</strong> movimento. Finalmente si potevano<br />

mettere in soffitta le staffe che sino ad allora erano servite quale unica possibilità per<br />

<strong>su</strong>perare le pareti verticali e strapiombanti dei crepacci terminali, all’attacco delle pareti<br />

Nord alpine, o i risalti dei seracchi pensili, sin dall’invenzione della progressione in<br />

artificiale <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>.<br />

Si apre una nuova era. A partire dagli inizi degli anni ’70, infatti, utilizzando la nuova<br />

tecnica messa a punto vengono salite vie <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong> molto impegnative sia <strong>su</strong>lle Alpi,<br />

come pure <strong>su</strong>lle catene montuose extra europee.<br />

Nell’inverno del 1971 Walter Cecchinel e Claude Jager salgono lo storico Couloir<br />

Lagarde-Segogne al Dent du Caiman, applicando sistematicamente la tecnica della<br />

piolet-traction. Impresa a cui segue, due anni dopo, nel <strong>di</strong>cembre del 1973, la loro<br />

ar<strong>di</strong>tissima e azzardata prima salita del Coluoir Nord Est dei Drus. Ascensione che allora<br />

stupì il mondo alpinistico, perché situata in uno tra i luoghi i più severi del Monte<br />

Bianco, con enorme pericolo <strong>di</strong> scariche, e con <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> misto e <strong>ghiaccio</strong> <strong>su</strong> muri


verticali fino ad 80°. Nel 1972 una squadra giapponese salì il Central Couloir <strong>su</strong>lle<br />

Grandes Jorasses, via molto impegnativa <strong>di</strong> ben 1200 metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>slivello.<br />

Successivamente, seguendo un cammino oramai tracciato, altri alpinisti portarono il<br />

livello delle <strong>di</strong>fficoltà a standard ancora più elevati. La cordata dei francesi Jean Marc<br />

Boivin e Patrick Gabarrou, con salite quali, ad esempio, la parete Nord dell’Aguille Verte<br />

(1974) e il Supercouloir al Mont Blanc du Tacul (1975).<br />

Il Supercouloir <strong>su</strong> Mont Blanc du Tacul<br />

Una delle lunghezze chiave della salita<br />

Negli anni ’70 la scalata <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> più <strong>di</strong>fficile fu probabilmente la salita del colatoio<br />

racchiuso tra il Central Couloir e lo Sperone Walker, <strong>su</strong>lle Grandes Jorasses, ad opera <strong>di</strong><br />

Alex Mac Intire e Nick Colton (1976). Più tar<strong>di</strong> J.M. Boivin affronterà gran<strong>di</strong> itinerari <strong>di</strong><br />

<strong>ghiaccio</strong> in tempi stupefacenti e slegato, ma purtroppo concluderà tragicamente la <strong>su</strong>a<br />

carriera nel 1990. P. Gabarrou, invece, è senz’altro uno dei più gran<strong>di</strong> ghiacciatori<br />

contemporanei viventi. Ad unanime giu<strong>di</strong>zio il <strong>su</strong>o capolavoro è rappresentato dal Super<br />

Couloir del Brouillard (1982), ma deve la <strong>su</strong>a fama soprattutto alla grande quantità <strong>di</strong><br />

nuove ascensioni compiute <strong>su</strong>l gruppo del Monte Bianco. Ad esempio la Cascata Notre-<br />

Dame, sempre <strong>su</strong>l Pilastro Rosso del Brouillard (1984) che, posta ad un’altitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

4000 metri, con un tratto verticale <strong>di</strong> 50 metri, è senza dubbio una delle più estreme salite<br />

<strong>di</strong> questo genere, sia per la <strong>di</strong>fficoltà tecnica, che per il notevole impegno fisico<br />

necessario per la <strong>su</strong>a scalata.<br />

Per quanto riguarda le principali realizzazioni al <strong>di</strong> fuori dei confini delle Alpi, vogliamo<br />

ricordarne solo alcune. Nell’America settentrionale le più importanti salite sono state la<br />

solitaria e prima ascensione <strong>di</strong> John Bouchard del Black Dike <strong>su</strong>l New Hampire’s<br />

Cannon Mountain e la salita <strong>di</strong> John Bragg e Rick Wilcox della spattacolare cascata<br />

12


Repentance <strong>su</strong>lla Cathedral Ledge. Nel 1974 Jeff Lowe e Mike Weis salirono una delle<br />

più <strong>di</strong>fficili cascate <strong>di</strong> quell’epoca, la bella e fragile Bridalveil Fall, nel Colorado. Altre<br />

spettacolari salite sono state compiute <strong>su</strong>lle cascate del Canada, dell’Africva (il Diamond<br />

Couloir <strong>su</strong>l Monte Kenya), e in Norvegia, ancora entro i confini del Continente europeo.<br />

13


UNA NUOVA DIMENSIONE: IL GHIACCIO “FANTASMA”<br />

Silenziosamente, intanto, nella seconda metà degli anni ’70, si affaccia in Italia la cordata<br />

formata da Gian Carlo Grassi e Gianni Comino che realizzerà imprese <strong>di</strong> altissimo livello<br />

tecnico, portando l’arrampicata <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> alla ribalta e dando l’avvio, tra la fine degli<br />

anni ’70 e i primi anni ’80, al fenomeno del “cascatismo” moderno anche in Italia.<br />

Spingendo al limite la tecnica <strong>di</strong> progressione, questi due alpinisti riuscirono a realizzare<br />

una serie <strong>di</strong> prime salite che ancora oggi ben pochi si azzardano ad intraprendere. La<br />

salita dell’Ypercouloir delle Grandes Jorasses (agosto 1978), che presenta gli ultimi 300<br />

metri <strong>di</strong> salita con tratti continui verticali e leggermente strapiombanti, e dove per la<br />

prima volta viene usata in alta quota la tecnica della piolet-traction <strong>su</strong> una vera cascata.<br />

La salita del seracco sospeso del Col Mau<strong>di</strong>t (luglio 1979) e quella seracco a sinistra<br />

della Poire, <strong>su</strong>lla parete della Brenva, compiuta soltanto un mese dopo, la notte tra il 10 e<br />

l’11 agosto del 1979.<br />

Il massiccio del Monte Bianco con il Mont Mau<strong>di</strong>t, I due seracchi sospesi che sovrastano il pilastro<br />

Il Mont Blanc du Tacul e la Vallée Blanche della Poire <strong>su</strong>lla parete della Brenva<br />

In seguito proseguono la loro attività, in<strong>di</strong>rizzandosi proprio <strong>su</strong>lla salita dei “couloir<br />

fantasma”: evanescenti colate <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong>, alle volte anche molto esile, che solo in<br />

particolari con<strong>di</strong>zioni, durante la stagione invernale, s’insinuano nelle pieghe delle<br />

montagne. E fu proprio in inverno, il 28 febbraio del 1980, che Gianni Comino scompare,<br />

rincorrendo uno dei <strong>su</strong>oi tanti sogni: la prima ascensione in solitaria all’impressionante<br />

cascata <strong>di</strong> seracchi sospesi a destra della Poire. Gian Carlo Grassi insiste nella <strong>su</strong>a<br />

ricerca, aprendo ancora innumerevoli vie nuove, tra le quali il Gran Couloir del Freney<br />

(1983) con Marco Bernar<strong>di</strong>, la cascata più alta d’Europa che conduce <strong>su</strong>lla vetta del<br />

Monte Bianco. Dopo essere stato l’artefice della nascita del fenomeno dell’arrampicata<br />

<strong>su</strong> cascate <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong> in Italia e aver realizzato prime salite, nel gruppo del Monte<br />

Bianco, nella zona della Combe Mau<strong>di</strong>t, in valli <strong>di</strong>menticate delle Alpi Cozie, e aver


introdotto l’uso dei cor<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> sicurezza per il collegamento degli attrezzi durante la posa<br />

dei chio<strong>di</strong> <strong>di</strong> protezione, muore anch’egli, in un banale incidente avvenuto <strong>su</strong>gli<br />

Appennini nel 1991, mentre si trovava <strong>su</strong> quello che era <strong>di</strong>venuto il <strong>su</strong>o elemento<br />

naturale: il <strong>ghiaccio</strong>.<br />

Da questo momento in avanti la storia dell’arrampicata <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> <strong>di</strong>venta un complicato<br />

intreccio. Durante gli anni ’80 molti altri alpinisti italiani seguono l’onda delle <strong>su</strong>e<br />

realizzazioni e partono alla ricerca <strong>di</strong> nuove possibilità. All’estero gran<strong>di</strong> alpinisti, quali<br />

Renato Casarotto e Gianni Ghigo, sono i primi europei ad operare <strong>su</strong>lle Montagne<br />

Rocciose dell’Ovest canadese. Anche nella più vicina Norvegia vanno a cimentarsi i<br />

Gian Carlo Grassi Grassi in azione <strong>su</strong> cascata Renato Casarotto<br />

migliori ghiacciatori italiani, tra cui Marco Bernar<strong>di</strong> e compagni. Intanto <strong>su</strong>lle montagne<br />

e nelle vallate montane <strong>di</strong> tutto il mondo il limite delle <strong>di</strong>fficoltà <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> viene<br />

innalzato sempre più verso l’estremo.<br />

15


DELLE CASCATE DI SAPPADA AGLI SVILUPPI ATTUALI<br />

Nel corso degli anni ’80 la salita delle cascate <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong> <strong>di</strong>viene una delle attrattive<br />

dell’ambiente <strong>di</strong> bassa quota delle Alpi. Molti iniziano a scoprire e salire l’infinità <strong>di</strong><br />

colate gelate nascoste nei più recon<strong>di</strong>ti angoli e in ogni possibile anfratto montano<br />

durante il periodo invernale. Per quanto riguarda l’estremo settore orientale delle Alpi, le<br />

prime cascate ad essere scalate sono proprio quelle della vicina Val Dogna, quelle della<br />

Val Raccolana e quelle <strong>di</strong> Sappada. I nomi dei primi salitori sono Lucio Apollonio<br />

(Urgo), Fulvio Scrimali, Marco Zebochin. Il nome delle prime tre cascate salite: Tre<br />

Grazie, Futura, Diagonal, corre l'anno 1981. Seppure la conoscenza delle moderne<br />

tecniche fosse allora un fatto ormai assodato, solo in un secondo tempo vennero<br />

impiegati attrezzi <strong>di</strong> moderna concezione con la becca a banana. Le prime cascate furono<br />

salite con ramponi classici snodabili – le due punte frontali erano alquanto più corte <strong>di</strong><br />

quelle attuali – e con piccozza e martello da <strong>ghiaccio</strong> tra<strong>di</strong>zionali “da lancio” – il manico<br />

era piuttosto lungo e la becca appena arcuata – che non permettevano l’uso della tecnica<br />

<strong>di</strong> aggancio.<br />

Lo Specchio <strong>di</strong> Biancaneve (1982) M. Zebochin <strong>su</strong> Hulli Gully (1983) sopra G. Gregorio <strong>su</strong>lle Grazie (1984)<br />

durante una delle prime salite durante il secondo corso <strong>di</strong> cascate sotto R. Todero <strong>su</strong> Hully Gully (1983)<br />

Solo in seguito vennero adottati attrezzi più adatti, come il Terrordactyl, or<strong>di</strong>nato<br />

appositamente dalla Scozia. I primi attrezzi con la becca a 45° vengono costruiti e<br />

commercializzati in Italia l’anno dopo dalla fabbrica della Simond <strong>di</strong> Chamonix. Nel<br />

corso del periodo che va dal 1982 al 1984 vengono salite molte delle principali cascate <strong>di</strong><br />

Sappada da due cordate <strong>di</strong> triestini formate da Giorgio Gregorio, Ugo Hauser, Roberto<br />

Todero e Marco Zebochin. Le cascate <strong>di</strong>venute più famose sono lo Specchio <strong>di</strong><br />

Biancaneve (una delle più lunghe con i <strong>su</strong>oi 250 metri), Il Massacro delle Caprette, Hully<br />

Gully e Twist Gully.


Nasce l’idea d’inserire anche questa specialità tra quelle insegnate nell’ambito dei corsi<br />

delle <strong>Scuole</strong> del Club Alpini Italiano e nel 1982 viene tenuto a Sappada il primo corso <strong>di</strong><br />

tecnica moderna <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong> <strong>su</strong> cascate.<br />

Il corso <strong>di</strong> cascate <strong>su</strong>llo Specchio G. Gregorio <strong>su</strong> Vertical durante la prima ascensione compiuta durante il<br />

<strong>di</strong> Biancaneve al 3° corso (1984) 10° corso <strong>su</strong> cascate che chiuse idealmente una fase storica (1991)<br />

Nel decennio seguente la Scuola Nazionale <strong>di</strong> <strong>Alpinismo</strong> “E. COMICI” organizza<br />

regolarmente durante l’inverno il corso <strong>su</strong> cascate. Ogni anno vengono perfezionate le<br />

tecniche <strong>di</strong> progressione, seguendo le in<strong>di</strong>cazioni del maestro Gian Carlo Grassi – è <strong>su</strong>a<br />

l’idea <strong>di</strong> inserire un cor<strong>di</strong>no <strong>di</strong> collegamento regolabile per aumentare la sicurezza<br />

durante la posa delle protezioni interme<strong>di</strong>e – così come pure l’insegnamento, che viene<br />

adeguato, <strong>di</strong> anno in anno, alle nuove attrezzature messe a <strong>di</strong>sposizione <strong>su</strong>i circuiti<br />

commerciali. Vengono esplorate e salite quasi tutte le cascate della zona, mentre<br />

contemporaneamente l’arrampicata <strong>su</strong> cascate <strong>di</strong>viene un’attività <strong>di</strong> moda. Molti altri<br />

iniziano, <strong>su</strong> tutto il territorio delle Alpi, ad esplorare valli secondarie e nascoste alla<br />

ricerca <strong>di</strong> cascate da salire. Verso la fine degli anni ’80, molte <strong>Scuole</strong> del C.A.I. e delle<br />

Guide Alpine organizzano corsi finalizzati all’insegnamento <strong>di</strong> quest’attività.<br />

Oggi il mondo dell’<strong>alpinismo</strong> <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> si presenta come un firmamento attraversato da<br />

molte stelle che brillano <strong>di</strong> luce più o meno intensa e duratura.<br />

Dopo aver risolto tutti i possibili “problemi” che la fantasia aveva saputo concretizzare,<br />

fu il momento <strong>di</strong> un altro aspetto dell’arrampicata <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>: la sicurezza dell’alpinista<br />

durante la scalata.<br />

Fino ad allora, infatti, ci si era sempre concentrati <strong>su</strong>lla riuscita dell’ascensione, senza<br />

poter ridurre più <strong>di</strong> tanto i danni causati dall’eventualità <strong>di</strong> una caduta: era quasi certo che<br />

questa si sarebbe risolta con un esito mortale. Ma il problema d’inventare meto<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

progressione sempre più innovativi, che costituivano in un certo senso già <strong>di</strong> per sé stessi<br />

un elemento <strong>di</strong> maggior sicurezza, rappresentava all’epoca un enigma <strong>di</strong> notevole portata<br />

da risolvere e non c’era tempo per altro. Inoltre non si era ancora venuta a creare una<br />

17


situazione tale da permettere agli alpinisti <strong>di</strong> escogitare sistemi <strong>di</strong> protezione più sicuri e<br />

che dessero una garanzia <strong>su</strong>fficiente anche in caso <strong>di</strong> volo del capocordata.<br />

Nel corso degli anni ’80 e ’90 l’evoluzione del tipo <strong>di</strong> materiale impiegato per i chio<strong>di</strong> da<br />

<strong>ghiaccio</strong>, leghe speciali <strong>di</strong> acciaio e titanio, e le tecniche <strong>di</strong> lavorazione e finitura sempre<br />

più sofisticate, cambiarono la situazione. Entrambi concorsero infatti, in modo<br />

determinante, alla progettazione e costruzione <strong>di</strong> chio<strong>di</strong> tubolari da <strong>ghiaccio</strong>, a vite e a<br />

percussione, <strong>di</strong> tenuta <strong>su</strong>periore ai mille chili. Strumenti che aumentavano <strong>di</strong> molto la<br />

sicurezza dell’arrampicatore con la loro tenuta, e che soprattutto si potevano avvitare nel<br />

<strong>ghiaccio</strong> molto più facilmente, facendo così risparmiare una grande quantità <strong>di</strong> energie.<br />

Per quanto riguarda le piccozze, si forgiarono attrezzi sempre più precisi per l’uso nel<br />

<strong>ghiaccio</strong> <strong>di</strong> cascata, ergonomici e <strong>di</strong>segnati in modo tale da permettere un aggancio<br />

ottimale anche <strong>su</strong> formazioni a “stalattiti” o a “cavolfiori”, molto problematiche per gli<br />

attrezzi <strong>di</strong> vecchia concezione.<br />

Durante gli anni ’90, grazie a queste possibilità tecniche vengono messi a punto meto<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> progressione in piolet-traction sempre più raffinati. Vengono in<strong>di</strong>viduate, all’interno<br />

della tecnica <strong>di</strong> progressione frontale, molti altri schemi <strong>di</strong> movimento possibili; ognuno<br />

adatto ad una <strong>di</strong>fferente struttura glaciale e ad un <strong>di</strong>verso tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà. Tutto<br />

l’equipaggiamento: dal vestiario (leggero, traspirante e allo stesso tempo impermeabile e<br />

caldo); agli scarponi (molto leggeri e in pelle morbida, ma allo stesso tempo<br />

impermeabili come quelli <strong>di</strong> plastica); ai ramponi (rigi<strong>di</strong> e forniti <strong>di</strong> un’unica punta<br />

frontale molto lunga che garantisce un’ottima tenuta <strong>su</strong>l <strong>ghiaccio</strong> <strong>di</strong> cascata); agli attrezzi<br />

(sempre più efficaci, precisi e resistenti); ai chio<strong>di</strong> (lavorati in modo da permettere una<br />

facile e veloce affissione e tali da garantire tenute elevate); agli altri accessori, quali<br />

casco, imbracatura, cor<strong>di</strong>ni e moschettoni (<strong>su</strong>per leggeri), permettono <strong>di</strong> raggiungere<br />

livelli tecnici altissimi nella salita delle cascate. Per agevolare le posizioni del corpo più<br />

estreme e consentire un movimento più ampio, molti alpinisti hanno così deciso <strong>di</strong><br />

togliere i cor<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> collegamento agli attrezzi. In questo modo hanno rinunciato alla<br />

sicurezza che questi elementi introducevano sia nei confronti <strong>di</strong> pericoli oggettivi, quali<br />

la caduta <strong>di</strong> sassi o <strong>ghiaccio</strong>, sia al momento dell’allestimento della sosta, durante<br />

l’affissione dei chio<strong>di</strong> <strong>di</strong> protezione. Ma hanno scelto <strong>di</strong> farlo per essere più veloci e non<br />

perdere tempo durante la progressione. C’è da sottolineare a proposito che i nuovi chio<strong>di</strong><br />

in commercio riducono il tempo che il capocordata deve impiegare per la loro affissione.<br />

Inoltre ad essi spesso viene già apposta una fettuccia con moschettone per il<br />

collegamento alla corda, e questa operazione consente <strong>di</strong> ridurre ulteriormente la sosta<br />

durante la salita. Sulla scelta <strong>di</strong> eliminare i cor<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> collegamento agli attrezzi è nato un<br />

animato <strong>di</strong>battito, tuttora in corso. Da un lato i sostenitori <strong>di</strong> questa innovazione, che<br />

sostengono l’assoluta <strong>su</strong>periorità <strong>di</strong> questo metodo; dall’altro chi afferma che questa è<br />

una tecnica molto meno sicura, adatta solo ad alpinisti molto allenati fisicamente. Mentre<br />

il collegamento ai cor<strong>di</strong>ni, nella maggioranza dei casi, consente all’alpinista me<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

affrontare la salita con una maggior sicurezza, e <strong>di</strong> essere pronto a cavarsela anche in<br />

situazioni <strong>di</strong> pericolo impreviste, dovute a cause oggettive e soggettive, in luoghi<br />

particolarmente ricchi <strong>di</strong> pericoli, quali ad esempio i couloir alpini, pur senza incidere,<br />

entro un certo limite <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà, <strong>su</strong>llo stile <strong>di</strong> progressione. È certo che per i moltissimi<br />

18


fuoriclasse questo ri<strong>su</strong>lta spesso un inutile ingombro, ma non è certo così per l’alpinista<br />

normale.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo i nomi <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong> loro, particolarmente rappresentativi della fase storica<br />

attuale e legati a questo nuovo modo <strong>di</strong> concepire l’arrampicata <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>. In primo<br />

luogo i francesi François Damilano e Christophe Moulin, l’americano Jeffe Lowe,<br />

l’italiano Ezio Merlier.<br />

Christophe Moulin <strong>su</strong> una cascata del L’aggancio <strong>di</strong> tallone è oramai il Ice Word Cup 2000, una fase<br />

Freissinières, Briancon, Francia “pane quoti<strong>di</strong>ano” dei fuoriclasse della competizione <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong><br />

Le loro imprese sono sospese tra <strong>alpinismo</strong> e performance atletica ed è probabilmente<br />

proprio questo fatto ad aver impresso la svolta decisiva, mo<strong>di</strong>ficando definitivamente<br />

negli ultimi anni il modo <strong>di</strong> praticare l’arrampicata <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>. In alcune zone <strong>di</strong><br />

montagna sono state ad<strong>di</strong>rittura create strutture <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong> verticale semi artificiali,<br />

facendo gelare acqua <strong>su</strong> telai <strong>di</strong> <strong>su</strong>pporto. È <strong>di</strong>venuta così una pratica molto <strong>di</strong>ffusa anche<br />

da noi quella delle gare <strong>di</strong> arrampicata <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>. Fenomeno iniziato molto prima,<br />

attorno agli anni ’70 e ’80, nei paesi dell’Est, e molto sentito in particolare nell’area<br />

dell’ex Unione Sovietica. Il “cascatismo” ha ormai raggiunto piena autonomia ed è<br />

calcolato alla pari <strong>di</strong> tutte le altre attività della montagna. Si tengono regolarmente<br />

meeting internazionali <strong>su</strong> cascate, dove si <strong>di</strong>scute <strong>di</strong> tecniche, <strong>di</strong> materiali e del futuro <strong>di</strong><br />

quest’attività. Il marcatissimo tecnicismo raggiunto, fa sì che molti propongano <strong>di</strong><br />

arrivare ad<strong>di</strong>rittura ad un “Università della Montagna”, nella quale l’arrampicata <strong>su</strong><br />

cascate dovrebbe essere una delle <strong>di</strong>scipline insegnata, da istruttori adeguatamente<br />

preparati per un tipo d’insegnamento <strong>su</strong>per specialistico. Ai massimi livelli vengono<br />

ormai affrontate e <strong>su</strong>perate colate <strong>di</strong> <strong>ghiaccio</strong> sempre più impressionanti ed effimere.<br />

S’inizia a salire anche dove il <strong>ghiaccio</strong> non c’è. Su stalattiti sospese in pareti <strong>di</strong> roccia<br />

strapiombanti, usando gli attrezzi in aggancio dove non si sarebbe mai pensato fosse<br />

possibile: <strong>su</strong>lla nuda roccia; nasce il dry tooling.<br />

Si sale <strong>su</strong> terreno misto e le <strong>di</strong>fficoltà <strong>su</strong> roccia sono molto elevate, come pure quelle <strong>su</strong><br />

<strong>ghiaccio</strong>. È il regno dell’estremo. Viste le particolari <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> assicurazione, in molti<br />

casi si usano anche chio<strong>di</strong> ad espansione, ma ciò non è sempre possibile. Oltre ad<br />

19


un’eccellente preparazione fisica, dunque, sono necessarie per poter praticare<br />

quest’attività, sia una grande competenza tecnica, sia un’eccellente forma psicofisica.<br />

I nomi si moltiplicano, e molto spesso l’essere noti è probabilmente più un fatto <strong>di</strong><br />

marketing che non <strong>di</strong> reale <strong>su</strong>periorità tecnica. Anche il mondo dell’arrampicata <strong>su</strong><br />

<strong>ghiaccio</strong> <strong>di</strong>venta “businness”. C’è chi <strong>di</strong> montagna ci vive e molto bene. Si tratta <strong>di</strong> veri e<br />

propri professionisti, che praticano l’<strong>alpinismo</strong> a tempo pieno, nonché <strong>di</strong> veri e propri<br />

alpinisti-atleti. Oltre a quelli già citati, altri nomi famosi sono quello l’americano Stevie<br />

Haston, della francese Laurence Gouault, dello scozzese Leigh Mac Ginelly, dell’italiano<br />

Paolo Mantovani e del triestino Mauro Bole (Bubu).<br />

Stevie Haston <strong>su</strong> Madness Laurence Gouault <strong>su</strong> Les Compères In azione <strong>su</strong> Star Trek , Sottoguda<br />

Per conoscere le loro performance basta andare in e<strong>di</strong>cola o abbonarsi alle innumerevoli<br />

riviste specializzate <strong>di</strong> settore. L’immagine, senza dubbio spettacolare, che l’<strong>alpinismo</strong><br />

moderno, con la <strong>su</strong>a ricerca del “sensazionale” e del “estremo”, mette in circolazione,<br />

attira molti, creando un grande seguito. Logica conseguenza della <strong>di</strong>vulgazione <strong>di</strong><br />

quest’immagine dell’<strong>alpinismo</strong>, è che molti alle prime armi sono portati ad identificare<br />

nella piolet-traction l’unica tecnica o la più idonea da impiegare <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>. Corrono ad<br />

acquistare un equipaggiamento adatto ad un M8 (grado <strong>di</strong> estrema <strong>di</strong>fficoltà <strong>su</strong> terreno<br />

misto), per poi andare, bardati con <strong>su</strong>per piccozze e <strong>su</strong>per ramponi, anche <strong>su</strong> <strong>di</strong>fficoltà<br />

molto modeste, dove sarebbe più che <strong>su</strong>fficiente un’attrezzatura tra<strong>di</strong>zionale.<br />

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ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE<br />

È impossibile trarre delle conclusioni vere e proprie alla fine della nostra breve<br />

trattazione, dal momento che l’evoluzione delle tecniche <strong>di</strong> progressione <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> è in<br />

continuo, velocissimo, sviluppo. Quanto abbiamo potuto racchiudere nel presente<br />

limitato resoconto, selezionandolo tra i momenti più significativi della grande quantità <strong>di</strong><br />

realizzazioni ed avvenimenti che si sono <strong>su</strong>sseguiti <strong>su</strong>lle montagne <strong>di</strong> tutto il mondo,<br />

testimonia già in maniera più che <strong>su</strong>fficiente la <strong>di</strong>namicità e l’incessante, continua<br />

trasformazione del fenomeno <strong>alpinismo</strong> <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>, ieri come oggi. Quello che possiamo<br />

invece tentare è <strong>di</strong> chiudere un cerchio che abbiamo iniziato a tracciare idealmente nella<br />

parte introduttiva. C’è infatti un filo conduttore che anima il nostro percorso storico e che<br />

ci sembra unisca l’inizio della storia dell’<strong>alpinismo</strong> <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> e il punto in cui ci<br />

troviamo noi ora. Tutte le <strong>su</strong>ccessive innovazioni della tecnica <strong>di</strong> arrampicata e tutte le<br />

imprese alpinistiche compiute sono, a nostro avviso, in<strong>di</strong>ssolubilmente connesse proprio<br />

all’evoluzione dei materiali e delle conoscenze tecnologiche avvenute negli ultimi due<br />

secoli del passato millennio. Anche se forse in apparenza non sembra, questo aspetto<br />

riguarda molto da vicino chi pratica oggi l’<strong>alpinismo</strong> <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> e <strong>su</strong> cascate, come pure<br />

chi si avvia ad iniziare quest’attività. Oggi la ricerca scientifica si prepara a mandare<br />

l’uomo <strong>su</strong> Marte, e forse in questo caso chi prenderà parte a quest’impresa potrà essere<br />

annoverato tra i pionieri dell’esplorazione spaziale. Per quanto riguarda la storia<br />

dell’<strong>alpinismo</strong> <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong>, non ci sembra sia così. Gli unici che in questo caso possono<br />

essere in<strong>di</strong>cati con questo appellativo sono senza dubbio gli alpinisti che si<br />

avventurarono, tra la fine del ‘700 e gli inizi del ‘800, dove nes<strong>su</strong>no si era mai<br />

avventurato prima. Da quando si è conclusa l’epoca delle prime esplorazioni alle<br />

montagne e si è iniziato a scalarle in massa, per pareti sempre più <strong>di</strong>fficili, non si può più<br />

parlare <strong>di</strong> pionieri. Il valore delle imprese compiute, <strong>su</strong> terreno sempre più estremo, ma<br />

ch’è <strong>di</strong>venuto via via sempre più facilmente percorribile grazie alle attrezzature usate, è<br />

stato determinato soprattutto <strong>su</strong>lla base del rischio collegato alla salita, che mai ha<br />

abbandonato questo tipo <strong>di</strong> attività. Non scoperta dell’ignoto dunque, ma ingresso per<br />

ogni alpinista in una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> spazio e <strong>di</strong> tempo <strong>di</strong>fferente da quella con<strong>su</strong>eta. Un<br />

universo in cui emozioni e regole cambiano. Dove tutto viene rimesso in <strong>di</strong>scussione. In<br />

questa nuova <strong>di</strong>mensione, che tende a ripiegarsi più <strong>su</strong>l versante della soggettività che<br />

non <strong>su</strong> quello dell’oggettività della salita (versante già esplorato da molti altri prima), si<br />

trova uno spazio che non perderà mai la connotazione <strong>di</strong> luogo <strong>di</strong> scoperta e <strong>di</strong> avventura.<br />

L’incontro con esso dà la possibilità, pur non essendo pionieri, <strong>di</strong> vivere le loro stesse<br />

esperienze, senza che il tempo storico trascorso possa ridurre il piacere <strong>di</strong> quanto vis<strong>su</strong>to.<br />

La <strong>di</strong>mensione dell’arrampicata <strong>su</strong> <strong>ghiaccio</strong> resta dunque ancora oggi una porta aperta a<br />

chiunque. Il valore <strong>di</strong> chi ha compiuto le prime salite <strong>su</strong>lle pareti Nord delle Alpi o <strong>su</strong>gli<br />

insi<strong>di</strong>osi gully scozzesi, o dentro ai coloir fantasma, con scarsi mezzi tecnici a<br />

<strong>di</strong>sposizione e con scarsissime possibilità <strong>di</strong> una reale protezione in caso <strong>di</strong> errore, resta<br />

ineguagliabile. E nes<strong>su</strong>na nuova prodezza, <strong>su</strong>pportata in realtà solo da enormi capacità<br />

atletiche e dalla tecnica, può nemmeno lontanamente essere paragonata alle gesta <strong>di</strong> un<br />

21


Lauper, <strong>di</strong> un Jimmi Marshall o <strong>di</strong> un Gian Carlo Grassi. La porta che l’arrampicata <strong>su</strong><br />

<strong>ghiaccio</strong> apre e il mondo <strong>di</strong> sensazioni ch’essa può offrire <strong>di</strong>schiude, purtuttavia, un<br />

universo ancora tutto da esplorare, anche per chi inizia ad arrampicare adesso.<br />

La storia resta un punto <strong>di</strong> riferimento, un metro davanti al quale ci rapportiamo in ogni<br />

istante della salita. Salita da vivere nella giusta <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> avventura, <strong>di</strong> scoperta, <strong>di</strong><br />

gioco. Sotto quest’aspetto ci si può trovare sempre <strong>su</strong> terreno ancora vergine, dov’è<br />

proprio la <strong>di</strong>mensione del gioco ad avere il sopravvento e dove l’invenzione <strong>di</strong> nuove<br />

regole ha come unico limite la fantasia.<br />

Una magica realtà, nella quale tutto è in continua metamorfosi, in cui tutto appare e<br />

scompare, per offrirsi sempre con un fascino rinnovato e misterioso. Un mondo dove non<br />

si può avere mai nes<strong>su</strong>na certezza, neanche quella <strong>di</strong> trovare il <strong>ghiaccio</strong> <strong>su</strong> cui poter salire<br />

ancora per un’altra lunghezza <strong>di</strong> corda… dove poter ancora sognare.<br />

Trieste, febbraio 2001<br />

Giorgio Gregorio<br />

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE<br />

AMY, Bernard: “L’<strong>alpinismo</strong>”; E<strong>di</strong>zioni Dall’Oglio, 1978.<br />

ARDITO, Stefano: “Un’officina nel cuore della Scozia”; Rivista della Montagna n.53, novembre<br />

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