La citta 31.indd - CAN Capodistria
La citta 31.indd - CAN Capodistria La citta 31.indd - CAN Capodistria
Anno 15 Numero 31 Foglio della comunità italiana di Capodistria Dicembre 2010
- Page 2 and 3: Foto: Danilo Fermo Il Gruppo filodr
- Page 4 and 5: La città 4 »Dal monolinguismo si
- Page 6 and 7: La città Quest’ultima troverà p
- Page 8 and 9: La città Il Dipartimento di Italia
- Page 10 and 11: La città Koper-Capodistria, 15.10.
- Page 12 and 13: La città pianteren, due grandi cis
- Page 14 and 15: La città da un’esaltazione patol
- Page 16 and 17: La città 16 L’INTRODUZIONE DEL B
- Page 18 and 19: La città Nel primo documento in ap
- Page 20 and 21: La città percepita in maniera diam
- Page 22 and 23: La città 22 In visita gli sbandier
- Page 24 and 25: La città 24 Il nuovo Capossela nas
- Page 26 and 27: La città Il presente articolo pogg
- Page 28 and 29: La città Mulino e delle terre sott
- Page 30 and 31: La città in base ai mandati per il
- Page 32 and 33: La città stipulato nel 1711 fra il
- Page 34 and 35: La città 34 La CI di Crevatini a S
- Page 36 and 37: La città 36 BERTOCCHI: VIII INCONT
- Page 38 and 39: La città Compie dieci anni il Grup
- Page 40 and 41: La città 40 Adesso ghe volessi che
- Page 42 and 43: La città 42 Torna il suono del man
- Page 44 and 45: La città “Letere dal Siam” Ban
- Page 46 and 47: La città atorno all’ano 800, i g
- Page 48 and 49: La città »La valigia per Trieste
- Page 50 and 51: La città 50 CAPODISTRIA 2010: FOTO
Anno 15 Numero 31<br />
Foglio della comunità italiana di <strong>Capodistria</strong><br />
Dicembre 2010
Foto: Danilo Fermo<br />
Il Gruppo filodrammatico Cademia Castel Leon della<br />
Comunità degli italiani di <strong>Capodistria</strong>, guidato da Bruna<br />
Alessio, si è esibito il 15 ottobre alla Comunità di Umago.<br />
Foto: Il Mandracchio<br />
Il Gruppo di canto <strong>La</strong> Porporela è composto da Giancarlo<br />
Ernestini, Mario Gandusio, Evgen Gombač, Josip Bepi<br />
Gregorovič, Luigi Maier, Bruno Pečarič e Narciso Stanič.<br />
Il chitarrista e cantante blues Francesco Piu, ospite di<br />
<strong>La</strong>ra Drčič nello studio 01 di Radio <strong>Capodistria</strong>.<br />
L'incontro delle bande d'ottoni nell'ambito del programma<br />
per le celebrazioni del centenario della Prima Esposizione<br />
istriana. In primo piano i suonatori di Buie e Albona.<br />
Delegazione del Comitato consultivo della Convenzione quadro<br />
per la tutela delle minoranze nazionali del Consiglio d'Europa,<br />
guidata da Rainer Hofmann, coi vertici della CNI in Comunità.<br />
Rivivono anche le calli minori di <strong>Capodistria</strong>. Nella foto<br />
l'inaugurazione della Galleria artistica Svojc di Vojc<br />
Sodnikar-Ponis in Calle Gruden, già Calletta S. Tommaso.<br />
<strong>La</strong> Città è il periodico semestrale della Comunità degli Italiani Santorio Santorio di <strong>Capodistria</strong>. Viene pubblicato<br />
nell’ambito dell’attività editoriale prevista dal programma culturale della Comunità autogestita della nazionalità<br />
italiana di <strong>Capodistria</strong> cofinanziato dal Ministero per la Cultura della Repubblica di Slovenia e dal Comune<br />
città di <strong>Capodistria</strong>, e con il contributo finanziario dell’Unione Italiana. Redattore responsabile: Alberto Cernaz.<br />
Stampa: Pigraf s.r.l. Isola. Tiratura: 1.300 copie. Distribuzione gratuita a mezzo posta riservata ai soci della<br />
Comunità. Indirizzo: Comunità degli italiani Santorio Santorio di <strong>Capodistria</strong>, Redazione de <strong>La</strong> Città, Via Fronte<br />
di Liberazione 10, 6000 Koper-<strong>Capodistria</strong> (SLO). E-mail: la<strong>citta</strong>1@gmail.com. Foto di copertina di Ivo Pervan.
Inaugurato il “Salotto del libro italiano”<br />
<strong>La</strong> città<br />
È culminata con l’inaugurazione dell’ “Infolibro – Salotto del libro italiano”, la giornata del 3 dicembre<br />
dedicata alla presentazione al pubblico del progetto “JezikLingua”, finanziato nell’ambito del Programma per<br />
la Cooperazione Transfrontaliera Italia-Slovenia 2007-2013.<br />
Foto: Jana Belcijan<br />
»Il Salotto del libro italiano« si trova di fronte a palazzo Carli. Aperto il lunedì, mercoledì e venerdì.<br />
“Info-libro” informerà, per ora,<br />
riguardo le pubblicazioni prodotte<br />
della CNI in Slovenia e Croazia.<br />
Saranno così esposti i volumi<br />
dell’EDIT, quelli del Centro di<br />
Ricerche Storiche di Rovigno, ed i<br />
più svariati libri, monografie, ricerche<br />
e giornalini editi dalle singole<br />
Comunità degli Italiani. A lungo<br />
termine, invece, si vuole dar vita a<br />
una vera e propria libreria italiana. A<br />
progetto europeo concluso il salotto<br />
potrà iniziare a svolgere un’attività<br />
commerciale, periodo entro il quale<br />
verrà intanto preparata un’apposita<br />
pagina web.<br />
L’iniziativa coinvolge l’Unione<br />
Italiana di <strong>Capodistria</strong>, la <strong>CAN</strong><br />
Costiera, il Centro “Carlo Combi”,<br />
la Biblioteca “Srečko Vilhar” di<br />
<strong>Capodistria</strong>, il Centro di studi<br />
“Jacques Maritain” di Portogruaro e<br />
il Consorzio Universitario del FVG.<br />
Importante pure l’apporto di ben<br />
quattro poli universitari: <strong>Capodistria</strong>,<br />
Udine, Trieste e Venezia. Obiettivo<br />
di fondo: promuovere le lingue, le<br />
culture italiana e slovena, attraverso la<br />
risorsa rappresentata dalle Comunità<br />
Nazionali italiana in Slovenia e<br />
Croazia e slovena in Italia.<br />
Molti i punti previsti nel programma<br />
da svolgere sino al 2013 esposti<br />
dai responsabili Ivo Corva,<br />
Maurizio Tremul e da Suzana<br />
Pertot: l’allestimento del Centro<br />
multimediale per la lingua slovena<br />
a San Pietro al Natisone, dei corsi di<br />
lingua italiana (in Slovenia) destinati<br />
a gruppi target, come polizia, settore<br />
sanitario ed operatori pubblici, la<br />
traduzione di opere della minoranza<br />
italiana e slovena, la pubblicazione di<br />
un’antologia sugli illustri istriani e di<br />
modi di dire della parlata istro-veneta.<br />
Foto: Jana Belcijan<br />
C’è poi il discorso del recupero dei<br />
libri antichi presso la biblioteca<br />
capodistriana. Preparati spazi e<br />
attrezzature necessari, nel 2011 si<br />
procederà alla digitalizzazione dei<br />
volumi. Il catalogo digitale verrà<br />
poi passato su un server. Tre i fondi<br />
antiquari in questione: il “Rara” -<br />
mille volumi e quattro incunaboli,<br />
il “Fondo dei conventi di S. Anna e<br />
S. Marta” – duemila volumi e più di<br />
300 cinquecentine, il “Fondo della ex<br />
Biblioteca civica”.<br />
Biblioteca centrale: il direttore Markovič con il vicesindaco Scheriani, il presidente<br />
della SSO Štoka, il Ministro per gli sloveni nel mondo Žekš e la Senatrice Blažina.<br />
3
<strong>La</strong> città<br />
4<br />
»Dal monolinguismo si può guarire«<br />
Intervista al prof. Guido Križman, che all’inizio di quest’anno è subentrato alla prof. Oleandra Dekleva nella<br />
carica di preside della Scuola elementare »Pier Paolo Vergerio il Vecchio«.<br />
Ci vuoi raccontare qualcosa di te?<br />
Da parte materna le mie origini sono<br />
del Pinguentino, da parte paterna<br />
invece da Portole. Il nonno parlava lo<br />
slavo istriano, mentre la nonna, una<br />
Persico, è stata quella che ha dato<br />
l’impronta istro-veneta alla famiglia.<br />
Io nasco a <strong>Capodistria</strong> il 20 agosto del<br />
1968, frequento la scuola elementare<br />
italiana di Strugnano, continuo<br />
dalla quinta all’ottava a Isola. Poi<br />
ho frequentato il ginnasio »Carli«<br />
di <strong>Capodistria</strong> e mi sono laureato in<br />
storia all’Università di Trieste. Sono<br />
sposato ed ho due figli.<br />
A Strugnano la scuola c’e’ ancora,<br />
ma non ci sono iscritti. Ai tuoi<br />
tempi?<br />
Eravamo in tre, e in sezione combinata<br />
in quattro.<br />
Secondo te, frequentare un scuola<br />
periferica è un vantaggio o no?<br />
Ci sono vantaggi e svantaggi, ma<br />
penso che prevalgano gli aspetti<br />
positivi. Il fatto che ci sia un rapporto<br />
diverso tra alunno e insegnante…<br />
essendoci pochi alunni l’insegnante<br />
diventa quasi uno di famiglia. Nelle<br />
classi combinate gli alunni più piccoli<br />
diventano una sorta di fratelli minori<br />
dei più grandi. A quei tempi vivere<br />
in campagna significava vivere un<br />
mondo completamente diverso. Oggi<br />
la campagna è diventata periferia e<br />
questa grande differenza non c’è più.<br />
Dicono che i bambini che vengono<br />
dalle periferiche risultano nelle<br />
classi superiori più calmi ed<br />
educati.<br />
Può essere. Ma comunque non si<br />
può generalizzare, ogni alunno è un<br />
mondo a sé.<br />
<strong>La</strong> »Vergerio« è di fatto la scuola<br />
con lingua di insegnamento italiana<br />
più grande in Slovenia. Che eredità<br />
ti ha lasciato la ex preside, prof.<br />
Dekleva?<br />
Io entravo in carica quando l’anno<br />
scolastico era già avviato, da questo<br />
punto di vista è stato un po’ un<br />
vantaggio. Per me è una situazione<br />
del tutto nuova, prima ho insegnato<br />
storia e scienze sociali. Il mio<br />
primo anno di lavoro l’avevo fatto<br />
proprio qui alla »Vergerio« dunque<br />
l’ambiente, in parte, lo conoscevo.<br />
Ora, per dirigerlo al meglio, bisogna<br />
imparare tante cose. Devo dire che<br />
una mano determinante me l’ho data<br />
il collettivo: sia gli insegnanti che il<br />
personale tecnico-amministrativo, in<br />
particolare la vicepreside, che mi ha<br />
aiutato a calarmi nel ruolo.<br />
Qual’è la cosa più difficile?<br />
Proprio quella di calarsi nel ruolo, fare<br />
proprio il sistema che la ex preside<br />
ha creato in questi 17 anni, e cercare<br />
a quel punto di dare una personale<br />
impronta di gestione.<br />
Che rapporto hai con gli alunni?<br />
Coi ragazzi ho sempre avuto un<br />
rapporto aperto. Mi piace molto<br />
scherzare. Penso che senza una dose<br />
di ironia non sia possibile lavorare a<br />
scuola.<br />
Ma se scherzi, potrebbero non<br />
prenderti sul serio.<br />
Al contrario. Impostare un tipo di<br />
approccio in cui è ben chiaro quando<br />
si scherza e quando si lavora, porta<br />
a buoni risultati. Bisogna trovare<br />
un accordo e spiegare agli alunni<br />
quali paletti non vanno superati.<br />
L’atmosfera comunque non deve<br />
influire sulla valutazione: chi sa sa,<br />
chi non sa non sa. E poi un’altra cosa:<br />
ogni classe è un pianeta differente;<br />
bisogna adattare il proprio modo di<br />
lavorare, la propria personalità ad<br />
ogni classe, se non ad ogni singolo<br />
ragazzo. Io penso di non aver mai<br />
lavorato allo stesso modo in un<br />
anno in classi diverse.E’ una cosa<br />
comunque difficilissima.<br />
Ti capita di parlare direttamente<br />
con loro anche adesso che sei<br />
preside?<br />
Purtroppo spesso arrivano in<br />
ufficio solo quando c’è qualcosa da<br />
rimproverare. Gradirei incontrarli più<br />
spesso, quando fanno cose meritevoli.<br />
Comunque ogni colloquio, specie<br />
quello che nasce da un problema, è<br />
utile. Ogni rosa ha le sue spine, ma<br />
quelle spine servono a farti capire<br />
cosa non funziona.<br />
Che rapporto ha la scuola<br />
elementare italiana di <strong>Capodistria</strong><br />
con le altre scuole slovene del<br />
territorio?<br />
Se partiamo dai presidi, il Comune<br />
di <strong>Capodistria</strong> ha un attivo dei presi<br />
che si incontrano 3-4 volte all’anno.<br />
Sono momenti in cui, nelle situazioni<br />
più informali, ci si scambia idee,<br />
opinioni, esperienze che nei libri<br />
e nei vari manuali faresti fatica a<br />
trovare. Certo la nostra scuola è<br />
un po’ specifica, perchè abbiamo<br />
meno alunni. <strong>La</strong> sfera nella quale<br />
gravitiamo è molto varia: siamo a<br />
<strong>Capodistria</strong> ma ci sono aspetti che ci<br />
uniscono alla parte croata dell’Istria e<br />
a Fiume, per altri aspetti siamo legati<br />
a Muggia e Trieste.<br />
<strong>La</strong> scuola è anche fattore di identità<br />
linguistico-culturale?<br />
Anni fa ci si chiedeva se le nostre<br />
scuole siano »della nazionalità« o<br />
»con lingua di insegnamento italiana«.<br />
Io penso tutte e due. Noi comunque<br />
portiamo avanti una tradizione che ha<br />
origini secolari in queste terre, che si<br />
identifica con la nazionalità e con la<br />
minoranza italiana.<br />
Ma questa scuola è frequentata<br />
anche da alunni sloveni e di altre<br />
nazionalità…<br />
Chi si iscrive a questa scuola<br />
abbraccia anche una certa filosofia.<br />
Ha una scelta abbastanza vasta nel<br />
Comune di <strong>Capodistria</strong>. Se sceglie<br />
la nostra scuola, sia lui che i suoi<br />
genitori, devono essere coscienti<br />
che il ragazzo costruirà il loro primo<br />
sapere in lingua italiana. Oltre alla<br />
lingua la scuola porta avanti anche<br />
dei valori che sono legati alla nostra<br />
regione, alla nostra situazione, alla<br />
nostra storia.
Che rapporto ha, o vorrebbe avere,<br />
con i genitori?<br />
Il nuovo sistema da ai genitori maggori<br />
possibilità di coinvolgimento nella<br />
vita scolastica, ma questa opportunità<br />
viene sfruttata poco. <strong>La</strong> famiglia<br />
è un elemento fondamentale di<br />
questo sistema-scuola. L’istituzione<br />
è vista come un insieme di soggetti<br />
che collaborano per condurre<br />
gli alunni attreverso la scuola<br />
dell’obbligo acquisendo le necessarie<br />
competenze.<br />
Come responsabilizzare di più i<br />
genitori?<br />
Basterebbe poco. Un amico, docente<br />
universitario, di lavoro mi ha detto<br />
che certe volte i genitori vengono<br />
in facoltà per parlare dei figli. Le<br />
cose son cambiate. Per certi aspetti<br />
gli alunni di oggi sono »più avanti«<br />
rispetto a quanto non lo eravamo<br />
noi, per altre sono »indietro«. Più<br />
riusciremo a responsabilizzare i<br />
ragazzi e meno possibilità ci sarà che<br />
crescano in dei ragazzi con difficoltà<br />
di confrontarsi con le difficoltà di una<br />
società complessa come la nostra.<br />
<strong>La</strong> scuola ai tempi della Jugoslavia<br />
ci dava meno nozioni, ma una<br />
buona cultura generale. Ora mi<br />
pare il contrario. A 14 anni i ragazzi<br />
ti elencano nomi e caratteristiche<br />
di tutti i batteri, ma si bloccano se<br />
gli chiedi la capitale di un paese<br />
europeo…<br />
I nuovi curricula di insegnamento nelle<br />
varie materie sono già stati preparati,<br />
ma non vengono ancora utilizzati.<br />
Si parla di snellire i programmi, di<br />
puntare più sulle competenze e meno<br />
sui nozionismi. Io mi aspetto che<br />
questi programmi entrino in vigore<br />
quanto prima. Noi abbiamo bisogno<br />
di persone che ragionano, persone<br />
capaci di uscire dai compartimenti<br />
stagni di una volta in cui le materie<br />
non venivano trasmesse in modo<br />
interdisciplinare.<br />
Cosa intende per<br />
interdisciplinare?<br />
Per dire…noi abbiamo previsto<br />
per quest’anno più giornate in<br />
cui adatteremo l’orario. Verranno<br />
studiati determinati blocchi tematici,<br />
nella stessa settimana, però attraverso<br />
diverse discipline.<br />
Quali obiettivi ti sei posto per i tuoi<br />
cinque anni di mandato?<br />
Di continuare il discorso di apertura<br />
della scuola verso l’esterno,<br />
dunque di far vedere che ci siamo,<br />
anche collaborando con i mezzi di<br />
informazione. Poi modernizzare<br />
l’istituto, con la creazione di una<br />
rete internet (ICT) e di ampliare le<br />
rispettive competenze .<br />
Tra l’altro avete rinnovato il sito<br />
web della scuola (www.vergerio.<br />
si).<br />
Va detto che la ex preside, prof,<br />
Dekleva, ha fatto molto, ha posto<br />
alcune basi che ora intendiamo<br />
portare avanti. Io ho ritenuto<br />
subito che andava potenziata la<br />
comunicazione con l’esterno. E il sito<br />
internet scolastico è, e lo sarà sempre<br />
di più, un mezzo attraverso il quale<br />
ti fai conoscere nel mondo. Ci sono<br />
genitori che chiamano dall’estero che<br />
avevano conosciuto la nostra scuola<br />
tramite internet e che chiedevano<br />
informazioni. Era una priorità che<br />
abbiamo realizzato.<br />
Ora però aspettate la<br />
ristrutturazione dell’interno<br />
edificio elementare-ginnasio. Date<br />
le scarse disponibilità finanziarie<br />
del Paese, i tempi previsti di sono<br />
un po’ allungati…<br />
<strong>La</strong> città<br />
Prima o poi ci arriveremo. L’idea<br />
è quella di ristrutturare l’edificio,<br />
realizzando un nuovo piano nelle due<br />
ali laterali dell’edificio. Si farà un<br />
livellamento nei confronti del corpo<br />
centrale della scuola – quello dove si<br />
trova l’aula magna – che in effetti è più<br />
alto. Questa operazione ci consentità<br />
di guadagnare alcune centinaia di<br />
metri quadri di superficie.<br />
Qualche particolare?<br />
Intanto avremo un ambiente nuovo e<br />
rinnovato. Il giardino interno diverrà<br />
coperto, verranno abbattuti i due<br />
alberi e verranno tolte le vetrate dagli<br />
archi in pietra bianca.<br />
Quante generazioni sono stete<br />
fotografate davanti a quegli alberi.<br />
Non è un peccato abbatterli?<br />
E’ un peccato, però non avendo<br />
superfici fruibili dai ragazzi per fare<br />
un po’ di movimento, d’inverno<br />
ad esempio…la palestra è sempre<br />
occupata, o per il ginnasio o per<br />
lezioni o per esterni.<br />
Poi?<br />
L’aula magna verrà allargata allo<br />
spazio dove adesso si trova la<br />
biblioteca della scuola elementare.<br />
5
<strong>La</strong> città<br />
Quest’ultima troverà posto in un’altra<br />
aula del primo piano. L’aula magna<br />
diventerà uno spazio enorme di 140<br />
metri quadri. E’ prevista qualche aula<br />
in più e l’ascensore.<br />
Durante la ristrutturazioni, dove si<br />
farà lezione?<br />
Di questo non abbiamo ancora<br />
parlato. Suppongo che si ricorrerà a<br />
un rimedio, come è stato fatto per i<br />
ragazzi della scuola slovena quando<br />
si costruiva la scuola in Bonifica.<br />
Scuola-Comunità degli italiani: si<br />
può collaborare?<br />
Ho avuto colloqui col presidente<br />
della CI, Mario Steffè, e abbiamo<br />
visto che si potrebbe avviare una<br />
serie di attività extrascolastiche da<br />
svolgersi anche nella sede della<br />
Comunità. In questo periodo si stanno<br />
avviando i corsi di »Tecniche audiovideo«,<br />
mentore Damian Fischer,<br />
e di »Cucina istriana« a cura di<br />
Mariella Zanco Tavernise. Si voleva<br />
fare di più, ma c’è un problema di<br />
orari. Generalmente le attività di<br />
interesse che si svolgono a scuola, si<br />
svolgono dalle 13.30 alle 16, specie<br />
se riguardano l’uso della palestra.<br />
Gli insegnanti che fanno attività<br />
d’interesse lo fanno subito dopo le<br />
lezioni. Per la Comunità è più pratico<br />
accogliere i ragazzi dopo le 16, ma<br />
per loro non lo è perchè a quell’ora<br />
di solito sono già tornati a casa. Se<br />
troveremo delle attività interessanti,<br />
se ci sarà una buona risposta dei<br />
ragazzi certamente proseguiremo il<br />
discorso.<br />
Potrebbe essere anche un<br />
pretesto per farli stare insieme,<br />
6<br />
dando un’alteriore occasione di<br />
comunicare in italiano anche fuori<br />
le mura scolastiche.<br />
Certo. Ma anche di relazionare con<br />
gli altri ragazzi. Io vedo questi ragazzi<br />
che hanno finito per esempio la nona<br />
classe, sono un gruppo, comunicano,<br />
sono rimasti amici. Anche se<br />
frequentano scuole diverse, restano<br />
in contatto. I legami che maturano<br />
nella scuola dell’obbligo potrebbero<br />
trovare sede in queste situazioni<br />
legate alla Comunità.<br />
Ovviamente bisogna proporre dei<br />
contenuti che incontrino l’interesse<br />
dei ragazzi…<br />
Dobbiamo discutere e cercare di<br />
capirlo assieme a loro.<br />
Come siete messi con gli insegnanti.<br />
Riuscite a coprire agevolmente<br />
tutte le materie?<br />
Grossi problemi non ci sono.<br />
Abbiamo due insegnanti che arrivano<br />
dall’Italia, però soltanto uno tramite<br />
la convenzione UI-UPT. I problemi<br />
per alcune materie di presenteranno<br />
tra qualche anno quando alcuni nostri<br />
insegnanti andranno in pensione. Ad<br />
esempio per le lezioni di musica.<br />
Musica perchè? Perchè ci sono<br />
poche ore e un maestro dunque<br />
basterebbe per coprire le esigenze<br />
delle scuole italiane di <strong>Capodistria</strong>,<br />
Isola e Pirano. Bisogna pianificare:<br />
abbiamo chiesto anche una borsa<br />
studio per questo tipo di quadro, forse<br />
qualcuno avrà interesse ad aderire e a<br />
venire a lavorare a scuola. Devo dire<br />
comunque che abbiamo insegnanti<br />
molto validi.<br />
Abbiamo anche alunni validi. Lo<br />
dimostrano i piazzamenti nelle<br />
gare a livello nazionale.<br />
Le verifiche nazionali ci portano<br />
ogni anno risultati diversi, pur con<br />
gli stessi insegnanti. Dipende molto<br />
dunque, anche dalla generazione.<br />
Penso che dobbiamo lavorare di più<br />
sulla lingua. Dovremmo impostare<br />
un sistema di lavoro che presupponga<br />
l’insegnamento della lingua a tutti<br />
i livelli, in tutte le materie; con il<br />
collegamento degli attivi professionali<br />
in senso verticale, dalle inferiori<br />
fino alle superiori. Sono discorsi<br />
abbastanza difficili da impostare, ma<br />
che credo li dovremo affrontare.<br />
E’ difficile gestire, oltre alla sede<br />
centrale, anche le tre sezioni<br />
periferiche?<br />
Il mio problema è proprio questo.<br />
Vorrei essere molto più presente nelle<br />
periferiche, ma per vari impegni ciò<br />
non è possibile.<br />
Possiamo essere soddifatti con il<br />
livello delle iscrizioni?<br />
Penso di sì, anche se bisogna tener<br />
conto del fenomeno Crevatini. Per me<br />
sarebbe importante tirare un po’ su il<br />
numero delle iscrizioni a Bertocchi<br />
e <strong>Capodistria</strong>. A Semedella stiamo<br />
abbastanza bene.<br />
Il fenomeno-Crevatini è<br />
determinato dal fatto che in quella<br />
scuola si iscrivono, negli ultimi<br />
anni, anche bambini del vicino<br />
Comune di Muggia.<br />
Un fenomeno particolare, ma che non<br />
mi sorprende. E’ chiaro che alcune<br />
materie vengono insegnate in maniera<br />
diversa rispetto all’Italia, tipo la<br />
storia, ma per il resto…la matematica<br />
resta la matematica.<br />
Alcuni genitori di questi bambini<br />
muggesani vedono per i loro<br />
figli l’opportunità di imparare<br />
lo sloveno pur frequentando una<br />
scuola con lingua di insegnamento<br />
italiana.<br />
Una cosa che ho percepito anch’io.<br />
E sono contento che questa nuova<br />
generazione di genitori cominci ad<br />
uscire da certi stereotipi, di chiusura<br />
nei confronti della lingua slovena, che<br />
erano diffusi oltreconfine. Mi piace<br />
ricordare una frase detta da un docente<br />
della Ca’ Foscari: »Il monolinguismo<br />
è curabile«. E’ evidente che più lingue<br />
apprendi e più sei ricco.<br />
Direttore, tanti auguri.<br />
E’ stato un piacere.
Le ragazze del “Carli” premiate per le poesie in inglese<br />
Ancora una volta gli studenti del ginnasio italiano “Gian<br />
Rinaldo Carli” di <strong>Capodistria</strong> si sono distinti in ambito<br />
internazionale tenendo alto il nome della scuola grazie<br />
alla loro padronanza della lingua inglese. Hanno vinto<br />
infatti il primo premio al Concorso Internazionale di<br />
poesia Castello di Duino (hanno partecipato 65 scuole<br />
da tutto il mondo). L’edizione 2010 ha avuto come tema<br />
“Luce/Ombre” – il ciclo naturale del tempo, i colori della<br />
realtà e dell’anima, le metafore della vita, del pensiero e<br />
del dubbio. Il gruppo, composto da Luisa Peress, Barbara<br />
Jeretina Grbec, Mia Dellore, Krisel Božič, Angelina<br />
Ćirković, Vita Valenti e Valentina Vatovec, ha proposto<br />
una raccolta di liriche corredata da fotografie, sempre<br />
legate alla tematica stabilita. “Per scrivere e capire la<br />
poesia bisogna sentirla nel cuore” rileva Alenka Pišot,<br />
professoressa di inglese nonché docente responsabile del<br />
progetto stesso e da anni grande spronatrice dei talenti<br />
linguistici che passano dal “Carli”, “E questo è ciò che<br />
hanno i nostri alunni – quella sensibilità e tenerezza<br />
dell’anima che permettono di sentire la vita ed i suoi<br />
valori. Per cui mi fa tanto piacere che il loro livello della<br />
conoscenza dell’inglese sia tale, da permettere loro di<br />
esprimervi i propri sentimenti più profondi”.<br />
<strong>La</strong> città<br />
Sono molti anni che i ragazzi dell’istituto capodistriano<br />
ottengono eccellenti risultati, sempre animati ed<br />
entusiasmati dalla professoressa Pišot, nelle varie<br />
competizioni e progetti sia statali sia internazionali. Si<br />
tratta di successi importanti, soprattutto se contrapposti<br />
al rapporto proporzionale del piccolo numero di giovani<br />
dell’istituzione CNI in confronto a quelli di altre grandi<br />
scuole del Paese o d’oltreconfine.<br />
Premio “Žagar” alla prof. Loredana Sabaz<br />
Alla prof.Loredana Sabaz, docente di fisica e matematica, al Ginnasio “Carli” di <strong>Capodistria</strong> è stato conferito il Premio<br />
Žagar – riconoscimento che la Repubblica di Slovenia dedica dal 1994 a istituzioni e insegnanti che si distinguono<br />
per il loro operato. Nella motivazione si legge che la Prof. Sabaz si è prodigata per mantenere le tradizioni attraverso<br />
la costituzione di un museo scolastico, ma ha rivolto il suo impegno anche all’innovazione sia nell’insegnamento<br />
sostenendo in prima persona progetti nazionali ed internazionali. Nella foto la consegna del premio da parte del<br />
Ministro Lukšič.<br />
7
<strong>La</strong> città<br />
Il Dipartimento di Italianistica<br />
della Facoltà di Studi Umanistici<br />
dell’Università del Litorale assieme<br />
alle scuole italiane del nostro<br />
territorio è stato invitato dallo scorso<br />
anno accademico a partecipare in<br />
8<br />
<strong>La</strong> »Festa delle zucche« all’asilo di Semedella<br />
Giovedì, 28 ottobre, all’asilo di Semedella, anche quest’anno sotto Halloween abbiamo organizzato la<br />
consueta “Festa delle zucche”.<br />
E’ stata una giornata magica! <strong>La</strong> nostra aula per qualche ora si è trasformata in un castello stregato,<br />
addobbato con ragnatele, pipistrelli, streghe, fantasmi, luci intermittenti e zucche intagliate.<br />
Le maestre hanno cambiato sembianze in zucche birichine ed hanno preparato una simpatica scenetta.<br />
qualità di Giuria al Premio Nazionale<br />
di Letteratura per ragazzi “Mariele<br />
Ventre” (già direttrice del Coro<br />
dei bambini dell’Antoniano di<br />
Bologna) organizzato dal Comune<br />
di Sasso di Castalda (Potenza)<br />
“Siamo quattro zucche ballerine<br />
dette anche birichine.<br />
Siamo belle colorate<br />
siam rotonde e ben formate.<br />
Tante cose noi facciamo:<br />
dai bambini noi andiamo<br />
e con loro Halloween festeggiamo!”<br />
Noi bambini non siamo stati da meno, e ci siamo<br />
trasformati in fantasmini. Tra rumori inquietanti e<br />
urla divertite abbiamo ballato e cantato: ci siamo<br />
divertiti proprio tanto!<br />
Giuria capodistriana a Potenza<br />
Dipartimento di italianistica e scuole del territirio<br />
e dal Circolo Culturale “Silvio<br />
Spaventa Filippi” - Fondazione<br />
Premio Letterario Basilicata.<br />
Lo scorso anno (2009/2010) alla<br />
manifestazione hanno partecipato<br />
gli allievi della SE Vincenzo e<br />
Diego de Castro di Pirano, quelli<br />
del Ginnasio Gian Rinaldo Carli<br />
di <strong>Capodistria</strong> e gli studenti del<br />
Corso di <strong>La</strong>urea in Italianistica<br />
dell’Università del Litorale.<br />
Quest’anno in qualità di giuria<br />
studentesca hanno collaborato gli<br />
allievi del Ginnasio Gian Rinaldo<br />
Carli di <strong>Capodistria</strong> guidati dalla<br />
docente Anita Dessardo e gli studenti<br />
del Corso di <strong>La</strong>urea in Italianistica<br />
dell’Università del Litorale. Per il<br />
Premio 2010 i ragazzi hanno dovuto<br />
leggere 34 libri della categoria<br />
narrativa per ragazzi che va da 9<br />
agli 11 anni e 24 libri della categoria<br />
narrativa per ragazzi da 12 a 16<br />
anni. Alla cerimonia di premiazione,<br />
svoltasi a Potenza il 23 maggio<br />
hanno partecipato in qualità di giuria<br />
del concorso 25 nostri ragazzi e 4<br />
docenti.
APERTURE - Ad aprire il dibattito<br />
è stato l’eurodeputato Zoran Thaler,<br />
eletto sulle liste socialdemocratiche,<br />
che in Istria e precisamente a Padena,<br />
ha stabilito la sua seconda residenza.<br />
È proprio in Istria che ha potuto<br />
toccare con mano la facilità con cui<br />
i residenti nell’area passano da una<br />
lingua all’altra e la ricchezza che<br />
deriva dall’essere bilingui. <strong>La</strong> “piccola<br />
torre di Babele” gli ricorda molto la<br />
situazione che vive al Parlamento<br />
europeo, dove al contrario di quanto<br />
si temeva, le lingue dei popoli<br />
più piccoli, come lo sloveno, non<br />
sono minacciate. Ciò fa capire che<br />
nell’Europa unita si sente la necessità<br />
di aperture in tema di uso delle lingue<br />
e che gli eventuali problemi sono<br />
innanzitutto delle sfide. Aurelio Juri<br />
ha rilevato come, pur parlando in<br />
italiano, si sente perfettamente inserito<br />
nella realtà locale capodistriana e<br />
compreso dalla maggioranza dei suoi<br />
con<strong>citta</strong>dini. Conoscere la lingua<br />
dell’alta comunità è, però, a suo<br />
avviso un segno di rispetto reciproco,<br />
DIBATTITO TEMATICO A CAPODISTRIA<br />
Sfide e opportunità del bilinguismo<br />
senza contare i vantaggi che ciò può<br />
comportare nel mondo del lavoro.<br />
MARCIA IN PIÙ - Per Maurizio<br />
Tremul crescere in territorio bilingue<br />
è una possibilità in più perché tale<br />
condizione apre la strada a conoscere<br />
due lingue, due culture, realtà<br />
storiche diverse e a comprendere il<br />
pensiero dell’altra comunità. Tremul<br />
si è detto favorevole ad un’istruzione<br />
plurilingue su tutto il territorio. A<br />
suo avviso un approccio del genere<br />
potrebbe contribuire a colmare<br />
le lacune ancora esistenti in fatto<br />
di comprensione della posizione<br />
della Comunità Nazionale Italiana.<br />
“Nonostante tutti i cambiamenti<br />
avvenuti, la fine delle dittature<br />
fascista e comunista, ci si chiede<br />
ancora come mai vi sia una presenza<br />
italiana in Istria. Servirebbe una<br />
campagna d’informazione su quanto<br />
accaduto nella regione, sul fatto<br />
che per gli italiani rimasti dopo la<br />
tragedia dell’esodo sia giustificato il<br />
bilinguismo, il sistema scolastico e<br />
gli altri diritti della CNI. Purtroppo –<br />
<strong>La</strong> città<br />
Conoscere ambedue le lingue del <strong>Capodistria</strong>no e assimilare la ricchezza culturale offerta in regione, consente<br />
ai <strong>citta</strong>dini di poter contare su una “marcia in più”. È la constatazione di fondo emersa al Forum europeo dei<br />
<strong>citta</strong>dini intitolato “Opportunità e sfide della vita in territorio bilingue”. Organizzato presso il Centro “Rotunda”<br />
di <strong>Capodistria</strong>, il momento di incontro e riflessione ha visto la partecipazione del deputato europeo, Zoran<br />
Thaler, del presidente della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana, Maurizio Tremul, e dell’ex eurodeputato<br />
capodistriano, Aurelio Juri. A condurre la serata è stata chiamata la giornalista, Devana Jovan.<br />
Maurizio Tremul, Zoran Thaler, Devana Jovan e Aurelio Juri.<br />
ha detto – le innumerevoli iniziative<br />
promosse dalle nostre istituzioni<br />
passano spesso inosservate sui mezzi<br />
d’informazione sloveni, compresi<br />
quelli che per statuto, come la RTV<br />
Slovenia, dovrebbero seguirli”.<br />
MONDO SCUOLA - Tra gli altri<br />
temi affrontati in sede di dibattito<br />
va menzionato quello incentrato sul<br />
mondo della Scuola CNI. “È un tema<br />
delicato, una sfida che va affrontata<br />
vista la massiccia iscrizione di<br />
bambini di altre nazionalità. <strong>La</strong> loro<br />
carente competenza linguistica crea<br />
problemi nei processi pedagogici,<br />
specialmente se non si riesce<br />
ad affermare l’importanza della<br />
comunicazione in italiano, pur non<br />
volendo negare le altre identità. <strong>La</strong><br />
CNI, però – ha concluso Tremul –, è<br />
sempre stata e rimane contraria alla<br />
chiusura delle proprie scuole per gli<br />
alunni non italiani”.<br />
Gianni Katonar<br />
(<strong>La</strong> Voce del Popolo)<br />
9
<strong>La</strong> città<br />
Koper-<strong>Capodistria</strong>, 15.10.2010<br />
10<br />
PRILOŽNOSTI IN IZZIVI ŽIVLJENJA NA DVOJEZIČNEM OBMOČJU<br />
OPPORTUNITÀ E SFIDE DEL VIVERE SUL TERRITORIO BILINGUE<br />
Vsem lep večer. A tutti buona sera.<br />
Začnem naj svoj uvod z največjo prednostjo, ki jo prinaša živeti na dvojezičnem območju: posso parlare anche<br />
in italiano e dalla maggioranza dei miei con<strong>citta</strong>dini, di chi vive e abita il mio territorio, venir perfettamente<br />
compreso. Almeno qui da noi. So non essere così subito oltre confine, concretamente a Trieste, non attrezzata,<br />
pur vivendovi una consistente minoranza autoctona, quella slovena, a territorio bilingue. Lo sono alcune realtà<br />
municipali minori nei dintorni, ove la comunità slovena è però in maggioranza.<br />
Se vnaprej opravičujem, če bom preskakoval iz enega v<br />
drug jezik, a ker je tema, ki k temu kliče, in ker je tu pri<br />
nas tako preskakovanje pogosta praksa, verjamem, da mi<br />
tega ne boste zamerili. Govorimo torej o priložnostih in<br />
izzivih življenja na dvojezičnem območju. Priložnosti<br />
se ponujajo same po sebi občanki in občanu, še zlasti<br />
v mladosti, ko pričenjata poklicno ali karierno pot, če<br />
obvladata oba tukajšnja jezika, poleg njiju pa še vsaj<br />
enega od svetovnih. Kot prvo, z obvladovanjem obeh<br />
jezikov okolja, izkazujeta pripadnost svojemu prostoru<br />
in njegovi specifični zgodovinski-kulturni identiteti ter<br />
spoštovanje soobčanke in soobčana druge narodnosti in<br />
jezika, kar je ključ normalnega, ustvarjalnega in prijetnega<br />
sobivanja. Kot drugo, je sporazumevanje lažje tako doma<br />
kot do soseščine, kjer je pretežno v uporabi jezik tvojega<br />
manjšinskega sokrajana.<br />
E così vivi meglio il proprio spazio culturale e meglio<br />
percepisci quello accanto o che interagisce col tuo, come<br />
nel caso del territorio bilingue. Personalmente mi sento,<br />
come appartenente a questo territorio, più ricco, più<br />
completo, più a casa ovunque vada.<br />
Abbandonando la dimensione metafisica e rientrando nel<br />
concreto, chi conosce entrambe le lingue, oltre a possedere<br />
la specifica qualifica richiesta, trova sul nostro territorio<br />
lavoro prima, di chi ne conosce una sola. Do per scontato<br />
ovviamente il rispetto delle regole. <strong>La</strong> conoscenza attiva<br />
dell’ italiano è per altro prescritta per tutti quei posti di<br />
lavoro nella struttura pubblica di servizio alla <strong>citta</strong>dinanza<br />
ed è raccomandata anche per chi si impiega nelle aziende<br />
e nei servizi privati, specie in quelle attività che operano<br />
oltre confine e col resto d’Italia.<br />
Raziskave pričajo, da kdo odrašča v dvojezičnem okolju,<br />
pristopa lažje tudi k tujim jezikom, k učenju tujega ali<br />
tujih jezikov. In kakšni so izzivi, če ne ostajamo le pri<br />
priložnostih in prednostih življenja na dvojezičnem<br />
območju? Ja, veliko jih je.<br />
Za že odraslega priseljenca, ki če iz tujine, mora pristopiti<br />
na novo k obema jezikoma okolja, če iz notranjosti<br />
Slovenije pa k njemu še tuji italijanščini… kako čim prej<br />
do čim boljšega in temu prostoru primernega jezikovnega<br />
znanja in boljših zaposlitvenih možnosti? Ob upadanju,<br />
zavoljo asimilacije in drugih družbeno-kulturnih<br />
procesov, števila avtohtonih Italijank in Italijanov, ki so<br />
vendarle nosilci tukajšnjega drugega okoljskega jezika,<br />
ob upadanju števila njihovih otrok v italijanski šolah in<br />
poraščanju števila otrok druge jezikovne pripadnosti, ki<br />
jim je italijanščina vsaj na začetku tuja, ki jo doma s starši<br />
ne govorijo… kako do ohranjanja nivoja jezikovnega<br />
poučevanja, da ne bo tudi kakovost znanja italijanščine<br />
upadala? Kako do tega, da se bo manjšinec opogumil<br />
in bolj pogosto uporabljal svoj jezik v komunikaciji<br />
z večinskim prostorom? Slednja se še vedno odvija<br />
predvsem v slovenščini. Govorim o opogumljanju, ker<br />
najdeš tu pa tam še ljudi, ki zaradi predsodkov, ignorance<br />
in drugih razlogov, italijanščino sprejemajo silom prilike,<br />
ti dajo vedeti, da jim je težko z njo občevati, ali jo celo<br />
odkrito zavračajo. Pripadnica, oziroma pripadnik narodne<br />
skupnosti se praviloma v taki situaciji jezikovno poskrije<br />
ter spregovori v jeziku sogovornika, da ga ne bi izzival in<br />
si delal težav.<br />
Non ultima, un’ altra importante sfida in specie per<br />
la comunità minoritarie... come fare perchè il suo<br />
appartenente, oltre alle difficoltà che incontra sul territorio<br />
coi con<strong>citta</strong>dini avversi all’italiano e, se vogliamo, con la<br />
carenza di cura dei suoi diritti costituzionali da parte delle<br />
istituzioni preposte, non si ritrovi estromesso, emarginato,<br />
»scomunicato« nel suo essere esponente della minoranza,<br />
per quanto non eletto, anche dalla comunita stessa, ovvero<br />
da chi la rappresenta e ne gestisce formalmente le sorti, nel<br />
momento in cui, parimenti ai <strong>citta</strong>dini della maggioranza,<br />
entra in politica, entra in un partito politico, che se opera<br />
in un contesto nazionale o globale multiculturale non<br />
può che essere sovranazionale, e quindi attento a tutti i<br />
<strong>citta</strong>dini, sloveni, italiani e di altra etnia.<br />
Ho avuto l’ onore di esser stato, eletto sulle liste<br />
socialdemocratiche, sindaco per quasi due mandati<br />
di questa città, successivamente per tre legislature<br />
consecutive deputato al parlamento nazionale e per una<br />
supplenza di 9 mesi, prima dell’amico Thaler, anche a<br />
quello europeo, ma sento dire di non aver soddisfatto,<br />
almeno come sindaco, le aspettative dei miei connazionali<br />
capodistriani. Non mi si spiega il perchè, ma ne prendo<br />
atto. Ad ognuno il diritto di giudizio e scernita. Ma non è<br />
questo che mi si è rinfacciato quando mi sono candidato al<br />
seggio specifico alla Camera di stato. Non ero il candidato<br />
giusto e qualificato a rappresentare la comunità italiana<br />
solo perchè per lunghi anni esponente anche di spicco del<br />
partito socialdemocratico.<br />
Evo, tudi kako iz predsodka, da ko vstopiš v strankarsko<br />
politiko se idejno okužiš in izgubiš objektivnost v presoji<br />
manjšinske problematike, zatorej narodne skupnosti ne<br />
moreš več predstavljati, je eden od pomembnih izzivov<br />
življenja na dvojezičnem, oziroma narodnostno mešanem<br />
območju, s katerim se mora pa spopasti manjšina sama.<br />
Aurelio Juri
Costruite cent’anni fa, ma le chiamano ancora<br />
Le Case nove<br />
<strong>La</strong> città<br />
Abbiamo incontrato la signora Irene Kravos, nata Paoli, residente dal 1933 alle Case nove. Il caseggiato venne<br />
costruito nel primo decennio del secolo scorso per accogliere operai e impiegati. Delle 28 famiglie che lo abitavano<br />
fino agli anni ‘50, oggi ne rimangono due.<br />
Ci parli di lei, signora Irene?<br />
Son nata del 1929. Mio papà xe<br />
morto che gavevo 4 anni, quasi no lo<br />
ga gnanca conossù che ‘l iera sempre<br />
pei ospedai ch’el iera tubercoloso.<br />
Se ciamava Antonio Paoli, nativo de<br />
Santa Domenica de Visinada. El iera<br />
vegnù a <strong>Capodistria</strong> per lavorar, el<br />
iera guardian dele carceri.<br />
E ha sposato una capodistriana?<br />
Maria Kosir. Sua mama, mia nona,<br />
che la nasseva Marsich – prima<br />
cugina del dotor - se gaveva sposà<br />
co’ un de Lubiana, e dopo i taliani de<br />
Kosir i ghe ga messo Cossi. <strong>La</strong> stava<br />
in quela casa de l’Ospedaleto. Iera<br />
l’ospedaleto per le malatie infetive;<br />
iera un fradel de mia nona, Cesare,<br />
che fasseva infermier. Là stava anca<br />
una certa Adele, che la xe restada<br />
dopo l’esodo, e la se ocupava de tanti<br />
gati.<br />
<strong>La</strong> ga fradei o sorele.<br />
‘Vevo un fradel che xe morto a<br />
Trieste. Anca mia mama xe andada<br />
a Trieste, che se no la andava no la<br />
gaveva la pension de guera de mio<br />
papà.<br />
E la xe restada sola?<br />
Sì, ma mi iero za sposada, qua.<br />
Da quando abita alle Case nove?<br />
De quando gavevo 4 anni…nel 1933.<br />
Qua in piassaleto giogavimo la fefa.<br />
E’ passato un secolo da quando<br />
hanno costruito questi palazzi, ma<br />
i capodistriani li chiamano ancora<br />
le Case nove.<br />
No cambierà più questo nome. Case<br />
nove restarà sempre.<br />
Per chi vennero costruiti questi<br />
edifici?<br />
De una parte, qua dove stago mi, iera<br />
tuto guardiani delle carceri, de l’altra<br />
iera per i impiegati…che lavorava in<br />
banca, maestri, professori…<br />
Gente del posto o che veniva da<br />
fuori?<br />
No no, iera dela Sicilia, anca un<br />
napoletan…insoma della bassa.<br />
Voi siete venuti subito in questo<br />
appartamento?<br />
Sì, perché xe morta una portinaia e<br />
dopo i ga trovà mia nona. <strong>La</strong> ga fato<br />
la portinaia e dopo che la xe morta xe<br />
restada mia mama. E dopo son restada<br />
mi perché mia mama xe andada via.<br />
Tre generassioni de portinaie. Me<br />
ricordo che mia mama xe andada via<br />
in otobre del ’55; e in novembre, un<br />
mese dopo, la iera za a <strong>Capodistria</strong>.<br />
Dopo che la se ga fato el passaporto.<br />
<strong>La</strong> stava tre quatro giorni e dopo la<br />
andava a Trieste.<br />
Ricorda qualche vicino di casa di<br />
allora?<br />
Me ricordo i Tòdero, del altra parte<br />
iera i Iacuzzi – lu iera maestro e<br />
diretor de questi blocchi – el maestro<br />
Cherini che stava al numero 6 in<br />
pianteren, el vecio maestro Venturini<br />
in secondo pian co’ la moglie Pinota<br />
che fasseva teatro e la sonava el piano.<br />
<strong>La</strong> iera soto el Circolo italian, mi so,<br />
me ricordo che la andava al Circolo<br />
italian; e in più la fasseva teatro.<br />
Perché chiamavano il Venturini col<br />
soprannome di Calcaovi?<br />
Sàpola-ovi ghe disevimo, per el suo<br />
modo de caminar, come che ghe<br />
mancassi l’apogio.<br />
Le Case nove sorgono su un terreno<br />
che prima era un grande orto.<br />
Sì, dela casa vecia (casa Baseggio,<br />
ex Vida e Gravisi-Tiepolo, ndR) qua<br />
de drio che adesso i la sta metendo<br />
a posto fina in Carantan. Per andar a<br />
scola, in via Combi (oggi Via Krelj,<br />
ndR), passavo per l’atrio de quela<br />
casa. No me ocoreva gnanca meter el<br />
capoto. Nella via, oggi Via Pobega,<br />
ma in quela volta Calle dei Benedettini<br />
(fino al 1956, ndR), per vegnir in qua<br />
ti dovevi verzer el porton, che ‘desso<br />
no ‘l xe più.<br />
Accanto alle Case nove c’era la<br />
lavanderia…<br />
Tuti vegniva qua a lavar. Nela casa<br />
che i sta governando adesso iera, al<br />
11
<strong>La</strong> città<br />
pianteren, due grandi cisterne per<br />
scaldar l’acqua. Mi quando che son<br />
vegnuda qua iera za l’acqua in casa,<br />
ma se andava cior anche ale pompe.<br />
Una iera zo de Betalè.<br />
Come si lavava la biancheria?<br />
Ingrumavo la roba in mastela, e<br />
lavavo con savon. Quando che iera<br />
mace, metevimo senera e acqua de<br />
boio. Vigniva bel bianco e profumà.<br />
Suo marito Franc di dov’è?<br />
De Aidùščina. Ga trovà lavor ala<br />
Frutus…<br />
Fra voi parlate sloveno o italiano?<br />
Sempre italian. Mio marì ga fato<br />
le scole italiane, l’aviamento e el<br />
ginasio. Saveva parlar in lingua, con<br />
mi ga imparà el nostro dialeto.<br />
Quali erano le mansioni del<br />
portinaio delle Case nove?<br />
Scovar le scale, de inverno se serava<br />
i portoni ale 9 de sera, d’estate se<br />
portava l’aqua…perché bisognava<br />
domandarghe ala gente che ne<br />
daghi l’aqua per fregar le scale. Noi<br />
‘vevimo l’aqua in casa che gran parte<br />
a <strong>Capodistria</strong> ancora no i ‘veva. Solo<br />
in tempo de guera iera serade le pipe,<br />
alora andavimo cior dove che iera…<br />
ala Muda, che vegniva dal Bolàs che<br />
xe una campagna fora che se ciama<br />
Bolàs. Go fato tante ciacolade con tua<br />
nona (Stefania, ndR).<br />
<strong>La</strong> conosceva?<br />
Mama mia, quante volte son andà de<br />
ela a bever cafè. Go anca lavorà con<br />
ela nela fabrica del pesse.<br />
Mi diceva che, per un periodo, lei<br />
ha frequentato l’Istituto Grisoni…<br />
Perché mia mama la voleva che<br />
divento qualcossa, che studio. Go<br />
fato l’Istituto fina la quinta e dopo<br />
son vegnuda qua de drio, che iera la<br />
scola feminile. E là go fato ancora<br />
due classi. E lei dove la sta?<br />
Mi son qua rente. Mani Galinassa<br />
me ga dito che la iera la vecia<br />
casa dei Scoci, Schìpiza. <strong>La</strong> se li<br />
ricorda?<br />
Come no? Se capissi. E che manzi<br />
che i ‘veva! Caro grande per andar in<br />
campagna. Iera paolani.<br />
Ma iera tanti paolani in questa<br />
zona?<br />
No tanti, i più iera ala Muda. In<br />
piassal de Bartoli…presenpio gavevo<br />
la sorela de mia mama che la stava<br />
propio visavi l’Ospedaleto, la iera<br />
sposada Vascotto.<br />
Dove andavate in chiesa voi delle<br />
Case nove?<br />
In Domo, in Sant’Ana e i Capussini.<br />
<strong>La</strong> nona de Graziela (Ponis, ndR) la<br />
12<br />
gaveva le ciave dela cesa.<br />
Quando si è sposata?<br />
Nel ’54.<br />
Quando i capodistriani erano<br />
ancora a casa.<br />
Sì, mia mama xe andada via nel ’55.<br />
Dopo aver fatto la portinaia, cos’ha<br />
fatto nella vita, Irene?<br />
In fabrica de pesse e dopo go fato la<br />
pulitrice ala scola economica slovena,<br />
qua de drio. I me ga sempre rispetà, i<br />
maestri, i diretori…come Novak, e i<br />
altri.<br />
I suoi figli hanno fatto la scuola<br />
slovena o italiana?<br />
Sia Liliana che Bruno ga fato la scola<br />
slovena in Belveder, però i sa parlar<br />
italian, anca scriver e leger.<br />
Ha mai raccontato loro della<br />
<strong>Capodistria</strong> di una volta?<br />
Ghe parlava più mia mama. Ela ghe<br />
piaseva contar come che iera prima.<br />
Irene, di fronte a lei abitava Nicolò<br />
Vascon…<br />
Nicolò e i sui iera amici de tuta la<br />
familia de mia mama. Ma sì, lu xe<br />
vignù dela Russia qua.<br />
Dalla Russia?<br />
Ai tempi del fassismo xe scampà<br />
in Russia che a iera comunista. Xe<br />
restà no so quanto tempo e dopo xe<br />
tornà a <strong>Capodistria</strong> c’una russa…una<br />
bela dona. Ma no i ga vudo fioi. <strong>La</strong><br />
xe sepelida qua in Canzan. Iera una<br />
bon’anima iera, Nicolò.<br />
A distanza di cent’anni, oggi come<br />
si sta nelle Case nove?<br />
I austriaci ti sa che i costruiva come<br />
se devi. Ottima anche la struttura,<br />
no iera de cossa lamentarse. Stanze<br />
spaziose, ogni quartier ga un suo toco<br />
de cantina, e un suo toco de sofita.<br />
Una vicina di casa, la professoressa<br />
Graziella Ponis-Sodnikar, presente<br />
all’incontro, s’inserisce nella<br />
conversazione e rileva quanto<br />
segue.<br />
GRAZIELLA – Problemi sono<br />
venuti dopo, quando ci sono stati<br />
Foto del 1910<br />
altri interventi, alcune persone hanno<br />
chiuso quelle che erano aperture<br />
normali dove circolava l’aria.<br />
L’hanno chiusa e dunque s’è formata<br />
poi l’umidità. Ciò ha provocato la<br />
caduta di intonaci e altri danni.<br />
Gli appartamenti hanno superfici<br />
diverse?<br />
Quei che sta in mezo xe più pici rispeto<br />
alle ale laterali. L’altro palazzo aveva<br />
sempre doppi servizi perché era<br />
destinato agli impiegati, mentre da<br />
questa parte c’erano gli operai. E’ per<br />
questo che l’altro palazzo ha meno<br />
famiglie, perché gli appartamenti sono<br />
più grandi. Hanno anche un cortile<br />
interno che dà sul Carantan; anche<br />
la nostra casa aveva un cortile cinto<br />
da mura che purtroppo ci passano<br />
tutti: hanno costruito dei parcheggi<br />
chiaramente abusivi, sono state fatte<br />
delle aperture di casa di appartamenti<br />
che lì non c’erano una volta. Quello<br />
una volta era il cortile interno della<br />
nostra casa. Era tutto prato che la<br />
gente utilizzava per stendere i panni.<br />
E poi anche qui davanti, tra i due<br />
palazzi, c’erano quattro sentierini<br />
lastricati che portavano alle entrate;<br />
tutto il resto era erba.<br />
IRENE: Grasiella, ma vara che l’erba<br />
la xe ancora?<br />
GRAZIELLA – Sì…quella che<br />
nasce tra il cemento.<br />
Siora Irene, cossa ghe manca dela<br />
<strong>Capodistria</strong> de una volta?<br />
Ma (lunga pausa, ndR)…niente!<br />
Ghe piasi la cità come che la xe<br />
ogi?<br />
Logico che me piase. Se i podessi far<br />
altrimenti saria bon anca quel ha ha<br />
(ride, ndR)…ma per dir la verità mi<br />
no me interessa. Oramai go otantaun<br />
ani, quel che sarà sarà… intanto<br />
vegnarò bisnonna. Spero che rivarò:<br />
ancora un mese manca.<br />
A metà novembre è nata Živa.<br />
Auguri bisnonna Irene!
Prima Esposizione Provinciale Istriana:<br />
riflessioni e confronti sull’Istria e la «finis Austriae»<br />
di Kristjan Knez*<br />
<strong>La</strong> città<br />
Quest’anno si stanno celebrando i cent’anni della Prima Esposizione Provinciale Istriana che, concepita sul<br />
modello di altre esposizioni universali – come quelle di Londra (1851), Filadelfia (1876) e Parigi (1900) – fu<br />
inaugurata a <strong>Capodistria</strong> il 1.mo maggio 1910. <strong>La</strong> mostra, divisa in sette sezioni – Agraria, Industriale, Marittima<br />
(con acquario), Didattica, Belle arti-scienze-lettere, Stabilimenti balneari-stazioni climatiche-villeggiatura<br />
sportiva, Corporazioni autonome-istituzioni sanitarie –, presentava al pubblico lo sviluppo culturale, storico ed<br />
economico della regione dalla Preistoria al XX secolo. Per ricordare l’importante anniversario sono state allestite,<br />
a partire dalla primavera/estate 2010, diverse mostre, organizzati eventi, conferenze, incontri e visite organizzate.<br />
Uno degli appuntamenti più significativi è stato il convegno scientifico internazionale tenutosi a Palazzo Gravisi,<br />
sede della Comunità degli Italiani “Santorio Santorio” di <strong>Capodistria</strong>, in quanto ha rappresentato un momento<br />
di riflessione su quell’accadimento di un secolo or sono, nonché sul contesto storico in cui si colloca. Le iniziative<br />
rievocative, che hanno portato all’attenzione della <strong>citta</strong>dinanza, e non solo, una pagina di storia regionale, si sono<br />
concluse con due giornate di studio che hanno proposto vari tasselli attraverso i quali è stata ricostruita la cornice<br />
di quell’epoca.<br />
Gli interventi hanno analizzato i più svariati aspetti: dai<br />
disaccordi politici tra le varie etnie del Litorale austriaco<br />
al patrimonio culturale, dall’agricoltura all’istruzione,<br />
dalla pesca alla sanità, dall’archeologia al turismo e alla<br />
fotografia e potremmo continuare ancora. L’Esposizione,<br />
infatti, si era prefissata di presentare quanto la nostra<br />
penisola offriva agli albori del Novecento, proponendo<br />
sia una sintesi del suo retaggio del passato sia l’offerta del<br />
momento. L’evento tenutosi nel centro storico della città<br />
di San Nazario, tra maggio ed ottobre del 1910, si annovera<br />
tra le maggiori e più interessanti iniziative promosse<br />
in Istria, che riscontrò giudizi positivi e l’interesse del<br />
pubblico. Grazie ad uno sforzo non indifferente e a un<br />
progetto chiaro e ben definito, i promotori furono in grado<br />
di riunire un numero elevatissimo di espositori, di prodotti,<br />
di oggetti e manufatti in generale che spaziavano in tutti<br />
i settori ed abbracciavano un arco temporale vastissimo,<br />
che dalla protostoria arrivava al Ventesimo secolo.<br />
Quell’iniziativa, come pure altre manifestazioni coeve, era<br />
figlia del suo tempo, pertanto non dobbiamo osservarla e<br />
considerarla con i nostri parametri. Anche la sua genesi<br />
non fu facile, ma accompagnata da polemiche e dissidi<br />
tra le forze politiche delle tre anime della penisola, che<br />
continuarono anche nei mesi in cui la mostra era in corso<br />
ed esplosero con notevole violenza una volta terminata,<br />
cioè nel momento in cui i rappresentanti italiani avrebbero<br />
invitato i membri della Dieta provinciale ad approvare<br />
il finanziamento attraverso il quale saldare il disavanzo<br />
prodotto.<br />
Levate di scudi nel campo politico<br />
Nel campo politico sloveno e croato ci fu una levata di<br />
scudi e prevalse il rifiuto categorico; essi mai avrebbero<br />
accolto quella proposta in quanto l’esposizione, benché<br />
si fregiasse dell’aggettivo “provinciale”, a loro dire non<br />
rispecchiava le caratteristiche di tutto il territorio. Essa,<br />
ricordiamolo, era una “vetrina” in cui si presentarono<br />
gli Italiani, fu un momento in cui essi esposero i frutti<br />
del loro lavoro e le testimonianze del passato ancora<br />
gelosamente conservate e attribuite quasi sempre alla<br />
componente romanza. In quella che un tempo era definita<br />
l’“Atene dell’Istria”, per cinque mesi si esaltò l’italianità.<br />
L’appuntamento giustinopolitano fu un ottimo strumento<br />
di promozione nazionale e al contempo rientra nel<br />
novero di quelle iniziative collettive che alimentarono<br />
l’irredentismo giuliano e promossero l’idea secessionista.<br />
<strong>La</strong> parzialità della Prima Esposizione Provinciale Istriana<br />
fu una conseguenza diretta dei dissapori esistenti tra le<br />
etnie della regione, che non seppero accantonare la carica<br />
nazionalistica e di conseguenza si trincerarono dietro<br />
alle loro posizioni, che divennero baluardi inespugnabili.<br />
Come scrisse lo storico Ernesto Sestan, il periodo che<br />
precedette il Primo conflitto mondiale fu contraddistinto<br />
Lo storico Kristjan Knez, organizzatore del simposio.<br />
13
<strong>La</strong> città<br />
da un’esaltazione patologica dell’identità nazionale,<br />
caratteristica che non fu assente in alcun popolo. Il<br />
capitano provinciale, Lodovico Rizzi, s’impegnò con<br />
veemenza e, grazie alla mediazione del governo e dell’i.<br />
r. Luogotenenza, intavolò le trattative con gli ambienti<br />
politici. Si era quasi arrivati ad un accordo; Matko <strong>La</strong>ginja<br />
non accantonò la proposta della collaborazione, anzi<br />
riteneva che, sebbene l’evento dovesse avere un carattere<br />
prevalentemente italiano, anche la componente slava<br />
doveva essere in qualche misura coinvolta. Al contempo,<br />
però, si attendeva un sostegno reciproco da parte italiana,<br />
qualora si fosse proposta un’esposizione croata. Alla fine<br />
non si fece nulla perché la posizione radicale di Vjekoslav<br />
Spinčić prevalse e questi invitò pubblicamente i Croati a<br />
non partecipare e addirittura a non visitarla.<br />
Il naufragio dei tentativi di conciliazione<br />
Un’iniziativa che avrebbe potuto costituire un momento<br />
di incontro dopo tante polemiche, diatribe e contrasti,<br />
naufragò completamente. L’Esposizione di <strong>Capodistria</strong>,<br />
altresì, se da un lato era nata emulando i grandi<br />
appuntamenti che da tempo si stavano promuovendo, con<br />
spirito positivistico, in varie parti del vecchio continente,<br />
dall’altro fu espressione di miopia. <strong>La</strong> proposta di<br />
una collaborazione tra Italiani, Sloveni e Croati, che si<br />
auspicava potesse andare in porto e contribuisse anche alla<br />
buona riuscita di un compromesso nazionale, che avrebbe,<br />
finalmente, portato ad una vita politica meno burrascosa<br />
in seno alla Dieta, fallì definitivamente. <strong>La</strong> penisola<br />
istriana, terra plurale ed intreccio di presenze, lingue e<br />
culture, pertanto non trovò alcun spazio. L’intransigenza<br />
politica croata non fu da tutti giudicata come una buona<br />
strategia. Una volta inaugurata l’esposizione, l’“Edinost”<br />
di Trieste, ad esempio, criticò quella ostinazione,<br />
evidenziando che, accanto al patrimonio storicoartistico<br />
legato agli Italiani, anche gli slavi avrebbero<br />
potuto esporre le testimonianze della loro presenza,<br />
come le iscrizioni glagolitiche oppure i testamenti o<br />
ancora i libri battesimali redatti con quell’alfabeto.<br />
Peter Štoka, responsabile del settore Storia-patria della<br />
Biblioteca centrale »Srečko Vilhar« mostra il libro<br />
manoscritto titolato a penna »Trasporto degli oggetti<br />
per la Prima Esposizione provinciale istriana«.<br />
14<br />
Quella decisione politica aveva quindi lasciato gli Italiani<br />
a decidere da soli e di conseguenza impostarono l’evento<br />
in base alle loro aspettative, proponendo la loro visione ed<br />
i valori che erano tipici dei liberalnazionali. <strong>La</strong> rinuncia<br />
fu poi vista come una sorta di timore di fronte ad un<br />
popolo “evoluto” che poteva fare riferimento sulla forza<br />
del presente e sulle glorie del passato. Non deve, allora,<br />
sorprendere se quella circostanza fu da subito utilizzata<br />
per accusare gli slavi di “inferiorità” e la manifestazione<br />
divenne un momento importante per decantare il primato<br />
degli Italiani, che al tempo stesso avrebbe costituito<br />
la prova tangibile di chi dovesse tenere le redini della<br />
provincia. Era la logica imperante perseguita dagli<br />
ambienti politici, che difficilmente prevedeva la possibilità<br />
di una comune collaborazione, seppure a livello pratico<br />
fosse poi facile riscontrare alleanze tra i partiti italiani e<br />
sloveni in cui la questione nazionale scendeva in secondo<br />
piano e a prevalere erano soprattutto gli esiti elettorali.<br />
Malgrado lo scoglio rappresentato dagli interessi legati<br />
alle singole etnie, che impedirono un avvicinamento tra i<br />
popoli, l’evento giustinopolitano fu un’occasione in cui la<br />
parte economicamente più evoluta dalla penisola espose<br />
i risultati delle proprie attività, dell’offerta culturale e<br />
didattica nonché quanto ogni singolo segmento della vita<br />
italiana del territorio proponeva. <strong>La</strong> Prima Esposizione<br />
Provinciale Istriana fu, pertanto, una festa italiana del<br />
lavoro e della cultura. Dalle relazioni e dalle discussioni<br />
emerse anche un altro aspetto, cioè quello dell’ultima<br />
fase della duplice monarchia che non può essere definita<br />
proprio con l’espressione di “Austria Felix”. Tra Otto<br />
e Novecento l’impero di Francesco Giuseppe non era<br />
contraddistinto da quell’immagine edulcorata, come<br />
ci è stata trasmessa da una certa produzione letteraria e<br />
cinematografica, rappresentata dalla corte viennese, dalle<br />
feste e dai giri di valzer nonché da un senso di ordine<br />
generale.<br />
Il lato meno nobile e più cinico della politica viennese<br />
Va considerato anche il lato meno nobile e la politica<br />
sovente cinica con la quale furono gestiti i problemi di<br />
quella compagine entro la quale si trovavano popoli diversi<br />
con aspirazioni sempre più definite. A seconda del contesto<br />
un’etnia veniva appoggiata oppure contrastata, cosa che<br />
stimolò non poco lo scontro ed alimentò i dissapori. Era<br />
la logica del “divide et impera”, la risposta a problemi<br />
vieppiù manifesti che la corte e l’entourage della capitale<br />
non erano in grado di risolvere in chiave moderna. Allo<br />
scoppio della Grande guerra quella stessa esperienza fu<br />
utilizzata anche lungo il fronte austro-italiano, che con<br />
abilità fu trasformato in uno scontro etnico tra l’Italia e<br />
il mondo slavo meridionale. Grazie all’impiego di una<br />
propaganda studiata a tavolino, di un meticoloso lavoro<br />
di intelligence e dei fattori psicologici, come il timore<br />
sloveno di venir fagocitati dal Regno sabaudo, l’imperial<br />
e regio esercito si assicurò una difesa efficace costituita<br />
da soldati, per lo più slavi, che si “battevano come leoni”<br />
pur di impedire il passaggio alle truppe di Cadorna.<br />
Quella pagina poco nota e divulgata fu ampiamente<br />
studiata dallo storico militare di origine piranese Antonio<br />
Sema, ma non fu accolta da tutti con la dovuta attenzione.
Anzi, fu giudicata una valutazione esagerata, rifiutando<br />
il concetto dello scontro etnico. Eppure lungo l’Isonzo,<br />
sul versante alpino e sulle pietraie del Carso i rancori<br />
che avevano caratterizzato la vita negli anni antecedenti<br />
il conflitto furono incanalati ed ulteriormente fomentati<br />
con l’intento di rafforzare l’esercito asburgico, obiettivo<br />
alla fine raggiunto, dato che ancora a Vittorio Veneto quei<br />
reparti si mostrarono ostinati nei combattimenti e leali<br />
all’aquila imperiale.<br />
Ricompattare le memorie e collaborare a livello<br />
transfrontaliero<br />
L’idea di formare una Jugoslavia assieme alla Serbia non<br />
era molto seguita, e anche i leader sloveni, sino a poche<br />
settimane prima del crollo del fronte, attendevano ancora<br />
un possibile riassetto dell’impero danubiano. I contributi e<br />
le argomentazioni hanno poi evidenziato un altro aspetto,<br />
e cioè quello della stretta unione tra l’Istria e Trieste, città,<br />
quest’ultima, che era considerata una sorta di capitale<br />
dell’intero territorio. L’area costiera in particolare, grazie<br />
anzitutto ai rapporti marittimi, aveva intessuto una serie<br />
di rapporti che interessavano praticamente ogni singolo<br />
settore: dall’istruzione alla politica, dallo smercio dei<br />
prodotti agricoli alla cultura e ai legami umani in senso<br />
lato. Quelle due realtà formavano un corpo unico,<br />
inscindibile e complementare. Nemmeno mezzo secolo<br />
più tardi un confine imposto avrebbe reciso quel territorio,<br />
alterato gli equilibri e mutato il contesto, depauperando<br />
quello spazio geografico della sua componente autoctona,<br />
in primo luogo quella italiana, che quasi scomparve. Lo<br />
studio del passato deve cogliere e studiare gli errori dei<br />
nostri predecessori, non deve, invece, rappresentare un<br />
freno anacronistico. Le memorie di tutti vanno rispettate<br />
e al contempo dovrà esserci una maggiore sensibilità<br />
da parte delle istituzioni competenti nei confronti di<br />
coloro che ancora attendono giustizia per i torti subiti.<br />
Oggi quella stessa area geografica sta lentamente<br />
ricomponendosi, seppure con non poche difficoltà. <strong>La</strong><br />
mobilità delle persone, delle merci, delle idee e della<br />
cultura la chiamiamo “collaborazione transfrontaliera”,<br />
anche se sarebbe più opportuno parlare di un ritorno agli<br />
“antichi sentieri”, che si auspica possa contribuire a far sì<br />
che questa terra torni nuovamente a formare uno spazio<br />
comune – a prescindere dalle sovranità statali – in cui la<br />
gente non si sentirà più “straniera” dall’una o dall’altra<br />
parte di quello che non era stato solo un semplice confine.<br />
* Già pubblicato sulla Voce del Popolo il 17.11.2010<br />
Avviso d'altri tempi.<br />
Don Giovanni Gasperutti<br />
(1925-2010)<br />
<strong>La</strong> città<br />
“Senza don Gasperutti la Festa della Semedella non<br />
sarà più la stessa”. E’ il commento che si sente nelle<br />
vie di <strong>Capodistria</strong> tra quanti hanno conosciuto questo<br />
sacerdote nato 85 anni fa nei palazzoni austro-ungarici<br />
delle Case nove. Ultimo prete italiano ad abbandonare<br />
la città con l’esodo, don Giovanni Gasperutti arriva<br />
a Trieste riuscendo prima a realizzare, nella sacrestia<br />
del Duomo, un calco in gesso del patrono San Nazario<br />
utilizzando il busto originale del ‘600. Alla guardia<br />
confinaria disse che il busto raffigurava un suo parente.<br />
Continuò la sua missione spirituale nel campo profughi<br />
di Opicina. Nel 1959 è all’oratorio di Muggia dove<br />
opera a stretto contatto con i giovani. Nel ‘75 la nomina<br />
a parroco di Aquilinia. Persona buona e schietta, sapeva<br />
sdrammatizzare situazioni con una battuta, ma sapeva<br />
anche emozionarsi. Come quando dieci anni fa celebrò nel<br />
Duomo di <strong>Capodistria</strong> una messa di ringraziamento nel<br />
50.mo anniversario della sua consacrazione sacerdotale,<br />
organizzata dalla locale Comunità degli italiani. Don<br />
Giovanni veniva a <strong>Capodistria</strong> almeno due volte all’anno:<br />
per Ognissanti - l’ultima volta poche settimane fa - e per<br />
la festa della Madonna di Semedella. Nelle sue omelie<br />
ricordava sempre l’importanza di adeguarsi ai tempi<br />
moderni senza dimenticare le tradizioni. Ci mancherà,<br />
don Gasperutti.<br />
15
<strong>La</strong> città<br />
16<br />
L’INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO)<br />
NEL CAPODISTRIANO (1945–1948)<br />
Aleksandro Burra<br />
Il presente articolo, sintesi dell’articolo pubblicato sull’Acta Histriae, tratta uno degli aspetti di maggior valenza<br />
nazionale in un’area di frontiera come quella del Litorale: la lingua. Il tema in questione, ovvero l’introduzione<br />
del bilinguismo, o meglio del trilinguismo, nel distretto di <strong>Capodistria</strong> è stato studiato nell’immediato dopoguerra,<br />
contestualizzato e calato all’interno delle complesse vicende che caratterizzarono il confine orientale d’Italia che si<br />
protrassero con l’annosa questione di Trieste.<br />
<strong>La</strong> liberazione di queste terre di confine non rappresentò l’inizio di una nuova stagione di pace e di distensione, bensì<br />
esse divennero subito un nuovo focolaio di tensione tra le potenze. Questi territori furono testimoni di una nuova<br />
visione del mondo che avrebbe segnato il continente ed il mondo per quasi mezzo secolo. Sullo sfondo della guerra<br />
fredda, localmente, invece, s’infiammava sempre più la lotta tra jugoslavi e italiani per l’appartenenza del territorio,<br />
sviluppatasi rispettivamente lungo le linee di contrapposizione nazionale e ideologica.<br />
Le vicende che portarono all’introduzione del bilinguismo sono collegate con le vicende che caratterizzarono queste<br />
terre durante la guerra e nel dopoguerra.<br />
Con sorpresa degli stessi alleati, le truppe armate jugoslave riuscirono a liberare tutta la Venezia Giulia, realizzando<br />
anche sul campo quanto si erano proposti nelle risoluzioni del Plenum supremo del Fronte di Liberazione (OF) 1 e nella<br />
dichiarazione del secondo congresso del Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia (AVNOJ).<br />
<strong>La</strong>ddove si rivendicò l’annessione di tutto il Litorale sloveno e di quello croato con l’Istria e Trieste.<br />
Tito, arrivando per primo a Trieste e nella Venezia Giulia, era consapevole, per dirla alla Churchill, che “il possesso<br />
costituisce nove decimi del diritto”, dimostrando inizialmente tutta la sua intransigenza e sollevando non poco le<br />
ire degli alleati, prima dell’improvviso cambio di rotta 2 . Dopo alcune dure note degli alleati, le truppe di Tito dopo<br />
quaranta giorni di presenza furono costrette a ritirarsi dal capoluogo il 12 giugno 1945. Nelle disposizioni previste<br />
nell’accordo di Belgrado del 9 giugno 1945 e in quello successivo di Duino, la Venezia Giulia veniva divisa in due<br />
amministrazioni militari civili provvisorie: la zona A sotto la giurisdizione della GMA o Governo militare alleato;<br />
invece la zona B, sotto il controllo della VUJA o Governo militare jugoslavo con sede ad Albona.<br />
I primi comitati sorti durante la guerra partigiana coprivano capillarmente il territorio e rappresentavano un potente<br />
mezzo di controllo su ogni aspetto della vita personale, civile e delle istituzioni, poiché deliberavano sulle materie più<br />
diverse, tra cui le confische dei beni e le epurazioni (Križman, 2004). Questi facevano riferimento nell’area al Comitato<br />
regionale di Liberazione nazionale del Litorale (PNOO), sorto nel settembre del 1944 da parte dell’Avnoj con l’avallo<br />
del Consiglio di Liberazione sloveno per colmare il vuoto di poteri nell’area della Venezia Giulia, rendendo possibile<br />
l’annessione di queste terre alla Jugoslavia di Tito. Il PNOO realizzava le sue prerogative in maniera piramidale<br />
attraverso i Comitati di Liberazione distrettuali, circoscrizionali e quelli nazionali locali. A liberazione avvenuta il<br />
PNOO costituì tre circoscrizioni: Gorizia con 17 distretti; Trieste con 9 distretti (di cui faceva parte il distretto di<br />
<strong>Capodistria</strong>), e la circoscrizione autonoma della città di Trieste. Dopo circa un mese i poteri popolari, a seguito degli<br />
accordi con gli alleati, dovettero adeguarsi a questa nuova divisione riformando la rete amministrativa, che da allora<br />
ebbe una funzione politico-ammistrativa (Gombač, 2003, 277-278). Il distretto capodistriano, oggetto del presente<br />
articolo, costituito dalle aree della zona B comprese nel Litorale sloveno, dai municipi di <strong>Capodistria</strong>, Isola e Pirano,<br />
era a larghissima maggioranza italiana nelle <strong>citta</strong>dine (pari a circa il 90% stando ai censimenti austriaci del 1900),<br />
mentre possedeva un contado prettamente sloveno (Cadastre national, 1946; Perselli, 1993).<br />
Dopo quasi un anno dalla presa della città di <strong>Capodistria</strong>, gli organi dirigenti del partito erano consapevoli della<br />
fragilità dei poteri popolari nel <strong>Capodistria</strong>no. Della presente situazione si trova conferma dalla relazione del Comitato<br />
Cittadino capodistriano del Partito comunista regionale giuliano (d’ora in poi P.C.R.G.) al Comitato Circondariale<br />
del P.C.R.G. di Aidussina, datato 22 gennaio del 1946, in cui “[...] <strong>Capodistria</strong> ha speciali tradizioni servili perché la<br />
maggior parte è vissuta delle briciole della borghesia capodistriana per cui ancor oggi la gran parte della popolazione<br />
parla bene delle famiglie borghesi e dei padroni in genere. A causa di questa mancanza di coscienza sociale è facile<br />
comprendere che la gente capodistriana non ha potuto né seguire né comprendere la lotta di liberazione, tanto più che<br />
a <strong>Capodistria</strong> in proporzione al numero di abitanti abbiamo la più forte percentuale di fascisti convinti, che in tutte le<br />
altre <strong>citta</strong>dine della costa” (ARC, 1).<br />
Pertanto, la politica seguita dagli jugoslavi si caratterizzò per una ricerca del consenso seguendo la linea della<br />
1 Tale atto dichiarativo aveva un carattere prettamente simbolico, fondamentalmente politico e senza alcun valore dal punto di vista del diritto<br />
internazionale. Infatti, in un telegramma inviato da Tito, il 1° ottobre del 1943, al Comando militare generale di Croazia, si afferma che “la<br />
dichiarazione sull’unione dei territori annessi alla Croazia in linea generale è ben concepita. Non va bene però il punto in cui si parla dell’autonomia<br />
alla minoranza italiana. Se si tratta di autonomia culturale era necessario dirlo. Mentre non c’è posto per alcuna autonomia politica, in quanto<br />
questa minoranza è sparpagliata. È necessario sottolineare che alla minoranza italiana si garantisce la piena libertà e la parità dei diritti” (Zbornik<br />
NOR, 1954–1956; Giuricin, 1990, 13–14; Bogliun-Debeljuh, 1994, 128).<br />
2 Per una breve storia sul periodo in questione si vedano: Gombač, 2003; <strong>La</strong> Perna, 1993; Paola Romano, 2005.
<strong>La</strong> città<br />
fratellanza italo-slava e con l’introduzione graduale della “nuova democrazia”. Questa doveva avvicinare oltre alle<br />
masse degli operai italiani (nella maggioranza meglio disposti ad abbandonare la prerogativa nazionale a favore della<br />
rivoluzione sociale), anche quelli che non contrastavano l’adesione alla nuova Jugoslavia; operazione che non fu priva<br />
di difficoltà 3 . Politica di conquista delle istituzioni non facile quando si cercava di inserire elementi estranei alla città:<br />
“Un incidente non indifferente è stato il fatto che molti elementi non capodistriani hanno dovuto essere impiegati nei<br />
vari uffici per cui la reazione ha speculato generando una campagna diffamatoria in base alla quale faceva credere che<br />
ci fossero delle ingerenze nazionalistiche nella <strong>citta</strong>dina italiana della costa” (ARC, 1).<br />
Dalla nota apprendiamo che era cominciato il graduale inserimento nelle amministrazioni <strong>citta</strong>dine dell’elemento<br />
sloveno, argomento che per la sua importanza verrà approfondito in seguito. Comunque, nell’opera di graduale<br />
conquista delle istituzioni e di consenso delle masse italiane l’inserimento dell’elemento italiano fedele al regime<br />
nell’organigramma partitico assumeva un ruolo di primaria importanza. È altresì vero che tale presenza era di tipo<br />
proporzionale negli organi di potere, subordinata per grado a quella slovena, a cui faceva seguito un atteggiamento<br />
linguistico “accondiscendente” verso l’elemento italiano: in seno ai vari comitati l’italiano rimaneva la lingua di<br />
discussione anche in presenza di un solo membro italiano 4 . Tali “concessioni” ritenute indispensabili ai fini della<br />
politica rivoluzionaria, avevano lo scopo di “attutire” i mutamenti sociali onde non trasformarli inevitabilmente in<br />
questioni nazionali, garantendo una parvenza di continuità, in quanto, come afferma l’austromarxista Otto Bauer “se<br />
il funzionario o il giudice appartiene ad un’altra nazione, se parla una lingua straniera, allora il fatto che la massa del<br />
popolo è soggiogata da un potere straniero risulta lampantemente visibile e quindi insopportabile” (Bauer, 1999, 109).<br />
Fu la VUJA e l’amministrazione civile sempre nell’ambito della politica della fratellanza italo-slava, a riconoscere<br />
l’autoctonia dell’elemento italiano e in via di principio ad introdurre il bilinguismo (Troha, 1996, 74). <strong>La</strong> denominazione<br />
di “principio” è allo stato delle ricerche sicuramente appropriata, in quanto, dallo studio fatto sui fondi dell’Archivio<br />
regionale di <strong>Capodistria</strong> e da quella di Nevenka Troha sui decreti del Comitato regionale di liberazione nazionale per<br />
il Litorale (CRLNL) non risulta promulgato nessun provvedimento legislativo riguardante il bilinguismo.<br />
Dalla ricerca svolta presso l’Archivio regionale di <strong>Capodistria</strong>, a partire dal periodo che va dall’instaurarsi dei nuovi<br />
poteri popolari, nella zona B il primo documento che parla di bilinguismo è la circolare della Presidenza del Comitato<br />
popolare distrettuale di <strong>Capodistria</strong> del 28 febbraio del 1947. Questa, emanata a soli 18 giorni dalla firma del trattato di<br />
pace di Parigi, siglato il 10 febbraio del 1947, – nel quale veniva a cessare per il diritto internazionale l’autorità italiana<br />
a favore della creazione del mai nato Territorio libero di Trieste (TLT) – serviva a preparare gli organi amministrativi<br />
specificando ambiti e modi di applicazione del bilinguismo: una sorta di guida operativa sul bilinguismo prima che<br />
questo, per applicazione dell’articolo 7 dello statuto del TLT, si formalizzasse e diventasse in seguito oggetto del decreto<br />
del Comitato popolare circondariale dell’Istria (CPCI) del 14 settembre del 1947. Quest’ultimo decreto, considerato<br />
il “deliberato” sul bilinguismo, trilinguismo nell’area, definiva tre lingue ufficiali nel Circondario dell’Istria: italiano,<br />
sloveno e croato, e autorizzava il Comitato popolare esecutivo del circondario dell’Istria a rendere esecutivo il decreto.<br />
Oltre ad introdurre la cornice formale legislativa necessaria a garantire la pariteticità delle tre lingue, quest’atto<br />
legislativo andò a colmare un vuoto giuridico in materia, costituito solo da dichiarazioni di principio, fornendo in tal<br />
modo anche una formale giustificazione ad un bilinguismo che si era già affermato nella prassi, stando alla mole di<br />
documenti bilingui redatti dalle varie organizzazioni partitiche dell’epoca. Il legislatore non articolava ulteriormente<br />
la proposta, né definiva gli ambiti di applicazione del bilinguismo e trilinguismo. L’elaborazione antecedente alla<br />
presente normativa, l’abbiamo riscontrata in maniera più diffusa sia nella circolare della Presidenza del Comitato<br />
popolare distrettuale di <strong>Capodistria</strong>, appena citato, relativa all’amministrazione e alle istituzioni pubbliche, che nella<br />
relazione della conferenza del Partito comunista del TLT per il distretto capodistriano del marzo 1947. Accanto a<br />
questi documenti saranno presentati altri documenti successivi al cosiddetto “deliberato” sul bilinguismo, che mettono<br />
ulteriormente luce sull’applicazione della normativa.<br />
3 Come riferimento del contesto operativo dei poteri popolari tra i ceti sociali nel capodistriano, dalla medesima relazione possiamo notare che la<br />
massa dei contadini seguiva il clero e frequentava l’associazioni cattoliche mentre era staccata dal partito e dai poteri popolari, dato che questa era<br />
composta solo da operai. Per quanto riguarda gli operai si ravvisava che “…sono poi ostili ai contadini perche’ questi ultimi nel periodo di guerra<br />
hanno avuto modo di guadagnare più di loro”. Sempre sugli operai: “Ad essi manca la coscienza sociale e la comprensione per lo stato popolare.<br />
Contemporaneamente però temono il ritorno dell’Italia in queste terre per cui non vogliono compromettersi con le nostre organizzazioni. Questa<br />
mentalità è abbastanza diffusa…”Gli artigiani invece “…sono simpatizzanti per la bandiera rossa ma decisamente ostili all’UAIS. I ceti medi<br />
sono indicati come “…le forze di linea della democrazia cristiana. Hanno avuto parte attiva nell’organizzazione dello sciopero. Seguono da<br />
vicino la politica della Voce libera e sono quelli che sperano più vivamente di tutti il ritorno di queste terre all’Italia. Ai ceti medi fanno parte<br />
anche gli intellettuali i quali rappresentano la parte ideologica dell’irredentismo locale e sono di conseguenza per l’Italia.” <strong>La</strong> borghesia rurale<br />
”…in gran parte nobile, che hanno un largo seguito fra il ceto impiegatizio e l’intellettuale sono il fulcro dell’irredentismo capodistriano.” Le<br />
classi degli impiegati “…che ha dato il maggior numero di fascisti, ancora oggi questi sentimenti sono vivi in questo ceto e perciò è specialmente<br />
ostile a noi.” Il Clero “…in <strong>Capodistria</strong> è molto sviluppato…” e rappresenta il reparto dove si organizza la reazione (ARC, 1).<br />
4 Nel verbale della seconda riunione ordinaria del Comitato esecutivo circondariale per l’Istria, datata 26 agosto 1947, viene riportato che la<br />
“…riunione si tiene in italiano, dato che è comprensibile a tutti, salvo esplicita richiesta dei singoli membri di chiarimenti in lingua slovena e<br />
rispettivamente croata.” Dopo venti anni di fascismo, caratterizzati dalla soppressione di tutte le scuole slovene e croate, è più che comprensibile<br />
che anche per gli stessi sloveni e croati era più semplice usare correttamente l’italiano che la loro lingua madre, da qui l’uso di detta lingua nella<br />
discussione.<br />
17
<strong>La</strong> città<br />
Nel primo documento in applicazione delle nuove norme<br />
statutarie del TLT si evidenziava che nell’area due erano<br />
le lingue ufficiali e uguali nell’amministrazione: italiano<br />
e sloveno; norma che rendeva paritetico lo sloveno<br />
all’italiano. Di conseguenza, si affermava, “[...] bisogna<br />
utilizzare dappertutto e con coerenza il principio del<br />
bilinguismo, non sottomettendo né danneggiando una delle<br />
due nazionalità, operando sulla base dell’uguaglianza. A<br />
quest’eguaglianza dobbiamo dargli anche una parvenza<br />
esteriore” (ARC, 2). Nella circolare si raccomandava che<br />
tutti i comitati e le sezioni si disponessero come segue:<br />
ogni scritta, quelle sulle porte, quelle davanti ai locali o alle<br />
istituzioni, quelle dell’amministrazione pubblica o quelle<br />
a carattere privato, nonché gli avvisi e i moduli devono<br />
essere redatti in lingua italiana e slovena o viceversa (nel<br />
documento questo passaggio relativo alle lingue d’uso<br />
è sottolineato, dimostrando la sensibilità del regime alla<br />
tematica) e mai solo in lingua italiana o slovena.<br />
Dal documento, nota assai importante, si evince che<br />
il principio del bilinguismo riguardava anche “il<br />
rapporto dell’amministrazione con l’utenza” (ARC,<br />
2) 5 . Tali direttive inauguravano il bilinguismo visivo<br />
nelle istituzioni e l’uso paritetico dello sloveno accanto<br />
all’italiano come lingua d’uso nell’amministrazione (sia<br />
scritta sia di comunicazione) con le parti. Dell’esecuzione<br />
della circolare e della comunicazione delle applicazioni<br />
rispondevano personalmente i capisezione e le istituzioni<br />
del Comitato popolare circondariale esecutivo dell’Istria<br />
(ARC, 2). È appunto quest’ultimo organo, in un verbale<br />
del 22 ottobre del 1947, quindi a circa otto mesi dalla prima circolare, a ribadire fermamente la volontà di introdurre<br />
la bilinguità in tutti i comitati e sezioni amministrative, in cui si “[...] dovranno adottare le due lingue.” Si parla,<br />
inoltre, di deficienze nei quadri amministrativi, dell’esigenza di assumere un impiegato sloveno e si afferma che “tutti<br />
i timbri ora esistenti dovranno essere ritirati per essere sostituiti con quelli nuovi bilingui” (ARC, 4). Il 22 dicembre<br />
del 1947, dal reparto circondariale per le questioni interne a <strong>Capodistria</strong> si emana una nota in cui si ribadisce che i libri<br />
dell’anagrafe per il <strong>Capodistria</strong>no devono essere redatti in lingua slovena-italiana, mentre per il Buiese rispettivamente<br />
in quella croata-italiana. Le diciture bilingui devono tenere conto della composizione etnica sul territorio: nei territori<br />
a prevalenza italiana i formulari devono riportare prima la dicitura italiana seguita da quella slovena; mentre in quelli<br />
a prevalenza slovena, la prima lingua a comparire deve essere quella slovena seguita dall’italiana. <strong>La</strong> procedura viene<br />
adottata anche nel Buiese (ARC, 5).<br />
<strong>La</strong> determinazione geografica del bilinguismo, “[...] in tutto il territorio [...]”, con l’annesso esempio chiarificatore,<br />
non lascia dubbi che su tutta l’area, quindi indipendentemente dalla composizione etnica, si applica la bilinguità.<br />
Sulle forme e modi di applicazione un altro documento getta luce sull’ampliamento del raggio d’azione del bilinguismo<br />
rispetto al precedente nella seguente misura: “Tutti gli scritti delle istituzioni pubbliche, private e statali, debbono<br />
essere fatte nelle due lingue. I formulari, in tutti gli uffici pubblici, statali, nei comitati popolari devono essere<br />
stampati in ambedue le lingue, e non come erroneamente si è fatto finora che erano stati stampati soltanto in sloveno<br />
rispettivamente in italiano. Anche i proclami, manifesti, pubblicazioni ufficiali, reclami ecc. devono mettere in rilievo<br />
il bilinguismo. È raccomandabile (qui il tono diventa meno risoluto N.d.A) che anche i negozianti italiani, giacché<br />
gli acquirenti sono in maggioranza sloveni, espongano le scritte bilingui. In questo modo sarà esteriormente evidente<br />
l’eguaglianza bilingue, cioè il rispetto reciproco” (ARC, 6).<br />
<strong>La</strong> bilinguità compie un ulteriore salto di qualità interessando non solo la sfera amministrativa pubblica ma andando<br />
a toccare anche gli altri ambiti della vita sociale, dimostrando la volontà concreta del regime di entrare nelle <strong>citta</strong>dine<br />
italiane della costa, attraverso la liberalizzazione della lingua slovena.<br />
Il documento si occupa anche del bilinguismo scolastico affermando la necessità in tutte le scuole di introdurre la<br />
lingua italiana e la lingua slovena. Da un verbale del Comitato Circondariale Agit-prop dell’Istria, datato 27 marzo<br />
1947, si evince che “la lingua slovena è solo facoltativa sia ad Isola, <strong>Capodistria</strong> che Pirano e non si ha avuto nessuna<br />
iscrizione. Sarà dunque molto difficile l’introduzione dello sloveno, anche perché molte difficoltà le trovano i direttori<br />
5 In un’altra ordinanza del Comitato esecutivo popolare circondariale dell’Istria, datato 5 dicembre del 1947, si ribadisce che per la qualifica<br />
professionale nel ramo amministrativo si rende necessario il superamento dell’esame per ogni candidato nella propria lingua materna (ARC, 3).<br />
Si tratta comunque di un atto importante, il quale stabilisce una particolare disciplina nelle assunzioni, basati sul principio della pariteticità delle<br />
due lingue, che dovrebbe permettere ad ognuno di sostenere l’esame nella sua lingua madre.<br />
18
<strong>La</strong> città<br />
delle scuole, specialmente quelli del liceo. È da notarsi che quale lingua facoltativa insegnano il tedesco” (ARC, 7).<br />
Il bilinguismo nelle scuole viene introdotto quindi sulla base dei valori dell’eguaglianza, risolvendosi nello studio della<br />
lingua e quindi della cultura (“[...] per la cognizione reciproca”) dell’altro gruppo in tutte le istituzioni scolastiche<br />
sia slovene che italiane. Tale normativa non sembra trovare riscontro nelle scuole italiane.<br />
<strong>La</strong> liberalizzazione delle lingue di riferimento ai gruppi etnici, non corrispondeva comunque ad una libera circolazione<br />
dei mezzi di informazione, dato che era concessa solo la pubblicazione di giornali favorevoli al nuovo regime. Anche<br />
la diffusione della carta stampata rifletteva questo stato di cose: circolavano nella zona B il “Primorski Dnevnik”<br />
e l’italiano “Il <strong>La</strong>voratore” quotidiano comunista soppresso dopo la scissione del 1948. Altri fogli erano in lingua<br />
slovena e croata, a parte “<strong>La</strong> Nostra lotta” quotidiano filo-Tito la cui pubblicazione iniziò dopo il settembre del 1948<br />
(Pradelli, 2004, 44).<br />
L’informazione bilingue pertanto, anche se garantita nella lingua, per la presenza di fogli italiani veniva negata sulla<br />
base della libertà d’espressione per entrambe le nazionalità.<br />
Sul finire dell’anno, per la precisione il 7 dicembre del 1947, in un verbale del Comitato esecutivo popolare circondariale<br />
dell’Istria, viene toccata e affrontata anche la delicata questione della toponomastica. Nell’assise si evidenzia la<br />
volontà di procedere alla definitiva introduzione dei toponimi sloveni accanto a quelli italiani in tutto il distretto di<br />
<strong>Capodistria</strong>.<br />
Su alcuni di questi punti il documento fornisce degli esempi pratici assai interessanti. Così, Buie d’Istria diventerà<br />
semplicemente Buie, perché è venuta meno l’utilità distintiva dovuta al contesto italiano. Si afferma anche l’esigenza<br />
di eliminare, dove possibile, il termine “Stanzia” e “Villa”: Villa Decani così in sloveno diventa Dekani, mentre in<br />
italiano semplicemente Decani. Inoltre, ad esempio il toponimo italiano Santa Lucia, secondo il crisma ideologico<br />
imperante, si trasforma in sloveno semplicemente in Lucija (ARC, 8).<br />
A tal punto è interessante verificare se nella pratica la normativa si dimostrò davvero capace di conseguire tali obiettivi.<br />
In quanto, “[...] il pluralismo linguistico e culturale, il perseguimento di tale obiettivo non dovrebbe avvenire in modo da<br />
pregiudicare irragionevolmente i diritti degli altri <strong>citta</strong>dini (o per estensione di una delle comunità N.d.A.)” (Piergigli,<br />
2005, 173). Affinché uno strumento legislativo non produca effetti contrari ai suoi propositi per qualsivoglia delle parti,<br />
riteniamo che, oltre ad una delicata opera di bilanciamento del provvedimento, il contesto operativo e l’applicazione<br />
della normativa siano davvero determinanti nella valutazione complessiva della bontà della legge e della coerenza dei<br />
principi che persegue, rappresentando per tale via anche un indicatore importante sui reali propositi del regime.<br />
Se analizziamo l’ambiente sociale, si nota che la normativa s’inseriva in “[...] un clima generale di intimidazione<br />
(verso gli italiani N.d.A), punteggiato da un continuo stillicidio di violenze ed angherie, fino a diventare componente<br />
abituale di una quotidianità intessuta di sospetto, di angosciosa incertezza nel futuro, di timore per sé, per i propri<br />
famigliari, per la propria comunità [...]” (Pupo, 1994, 139). <strong>La</strong> dimensione della paura e dell’insicurezza appare una<br />
componente centrale, fomentata anche dalle tante misure, quali: l’introduzione della jugolira, che scatenò le violenze a<br />
<strong>Capodistria</strong>; l’abolizione del colonato e la riforma agraria, la quale andò inevitabilmente a colpire l’elemento italiano,<br />
data la struttura sociale; il bavaglio ad ogni forma di espressione e politica che contrastasse con l’ideologia dominante<br />
e via discorrendo (comune per altro a tutti quelli, italiani, sloveni e croati, che non erano pienamente conformi al<br />
regime).<br />
Tutte misure che provocarono la trasformazione rivoluzionaria della società istriana, la quale andò a saldarsi con la<br />
perdita della sovranità italiana, con un drastico mutamento delle condizioni economiche, con la trasformazione di ruoli<br />
e il ribaltamento di gerarchie sociali ed etniche consolidate, con la sommersione dei valori e lo scompaginamento del<br />
tessuto di rapporti tradizionali. Politica che si attuò attraverso non solo l’eliminazione della precedente classe politica,<br />
ma anche con la progressiva scomparsa dei soggetti sociali più rappresentativi e via via di figure chiave quali religiosi,<br />
insegnanti, professionisti, di modo che i pubblici poteri furono percepiti inevitabilmente quali estranei e avversari<br />
(Pupo, 1994, 138).<br />
In un tale clima di avversione e paura per gran parte degli italiani verso il potere costituito venivano a mancare le<br />
premesse necessarie per il bilinguismo: i poteri popolari,<br />
al di là della facile retorica, non furono capaci di creare un<br />
clima di reciproca fiducia tra le due nazionalità e nemmeno<br />
di fornire una visione della società non più tesa agli<br />
etnocentrismi estremi, che tanto avevano contraddistinto<br />
l’epoca precedente. Il risultato di tale politica è che la<br />
parte italiana finì per recepire la normativa sulla bilinguità<br />
come l’ennesimo sopruso perpetuato da un potere ostile. In<br />
questo modo la normativa non poté in alcun modo diventare<br />
la base su cui costruire una forma avanzata di convivenza<br />
ed eguaglianza all’interno della realtà plurinazionale del<br />
distretto capodistriano, data proprio la mancanza di fiducia<br />
(da parte di una componente), elemento imprescindibile<br />
per tessere qualsivoglia interazione tra gruppi distinti.<br />
Al contempo, sembra opportuno precisare che per gli<br />
sloveni e i croati l’introduzione del bilinguismo fu<br />
19
<strong>La</strong> città<br />
percepita in maniera diametralmente opposta agli italiani.<br />
I primi videro nel provvedimento il coronamento di una<br />
giustizia sociale attesa da oltre venti anni. Soprattutto la<br />
negazione del diritto alla diversità linguistica, promossa e<br />
attuata con estremo zelo dal regime fascista, era apparsa<br />
essere il provvedimento più irritante per le popolazioni non<br />
italiane, perché imponeva un’ulteriore compressione delle<br />
libertà individuali e di gruppo muovendosi sul terreno di<br />
una manifesta discriminazione su base nazionale.<br />
Per quanto riguarda la componente italiana essa fu<br />
danneggiata in particolar modo dall’introduzione del<br />
bilinguismo a causa del diverso grado di conoscenza<br />
linguistica e dai tempi d’introduzione della norma.<br />
Innanzitutto, il bilinguismo fu applicato in un contesto<br />
diversificato per conoscenza linguistica – la popolazione<br />
italiana era sostanzialmente monolingue a differenza<br />
di quella slovena prevalentemente bilingue – e non fu<br />
sostenuto da un adeguato periodo di formazione linguistica delle scuole italiane, basti pensare che la lingua slovena<br />
fu introdotta come materia obbligatoria unicamente nell’aprile del 1947 e solo per le medie (Troha, 1996), anche se<br />
il termine d’applicazione, come abbiamo visto precedentemente, sarebbe da far slittare ancora nel tempo. <strong>La</strong> stessa<br />
Troha ci conferma che, anche dopo l’arrivo delle forze jugoslave, l’uso della lingua italiana rimaneva nelle <strong>citta</strong>dine<br />
prevalente in tutti gli ambiti dell’amministrazione e anche nella pratica sino al 15 settembre del 1947 (Troha, 1996,<br />
74) (termine temporale che va a coincidere sostanzialmente proprio con l’introduzione del plurilinguismo da parte<br />
del CPCI, datato 14 settembre dello stesso anno). Nonostante la presente situazione, non ci fu un adeguato periodo<br />
di transizione o gradualità d’attuazione della norma: come si è potuto vedere, questa fu introdotta in tutti gli ambiti<br />
più importanti della vita sociale in appena dieci mesi. Infatti, se prendiamo in considerazione il primo documento sul<br />
bilinguismo del 28 gennaio fino agli ultimi documenti in materia del dicembre del 1947, possiamo affermare che tale<br />
processo poteva dirsi in sostanza completato nel periodo sopra considerato.<br />
A tal punto è lecito chiedersi per quale motivo fu introdotta una normativa così importante in un clima sociale quanto<br />
meno proibitivo (almeno per la gran parte degli italiani), senza alcuna gradualità, dato il diverso grado di conoscenza<br />
linguistica e con tempi di realizzazione assai sostenuti? Perché tale strumento, dietro il paravento della roboante<br />
propaganda del regime, fu applicato senza una giusta riflessione sulle conseguenze che avrebbe comportato sulla<br />
comunità italiana? Mancò davvero la dovuta riflessione sul tema o attraverso il bilinguismo si perseguì un altro<br />
obiettivo?<br />
Dai materiali esaminati, allo stato attuale dell’analisi, si evince che l’introduzione del bilinguismo, strumento legislativo<br />
garante dell’elevazione della pari dignità di tutte le lingue, oltre ad essere un ulteriore passo di avvicinamento alla<br />
Jugoslavia, colpì, come si è potuto vedere, soprattutto per la modalità con cui fu introdotto, maggiormente l’elemento<br />
italiano; non può pertanto sfuggire la discriminazione dell’atto volto a creare tutt’altro che le premesse di uguaglianza<br />
tra i popoli della regione, così caldamente sbandierati dal regime, bensì a rendere ineguale la posizione di questi,<br />
basandosi proprio sulla disparità di conoscenza linguistica.<br />
Attaccando la lingua italiana nelle sue roccaforti veniva completata quell’operazione di penetrazione nel tessuto<br />
delle <strong>citta</strong>dine italiane, che ebbe come risultato davvero importante quello di insediare progressivamente una<br />
nuova amministrazione “più conforme” al nuovo corso e nazionalmente affine, consolidando così la presa di potere<br />
sugli organi <strong>citta</strong>dini dimostratisi non sempre affidabili. Difficile pertanto non ravvisare un’ulteriore forzatura in<br />
senso snazionalizzante nei palazzi delle istituzioni, in cui il bilinguismo veniva adoperato come base formale per<br />
l’insediamento graduale di funzionari sloveni o jugoslavi, discriminando l’elemento italiano monolingue.<br />
Insomma, come si è potuto vedere, anche il bilinguismo finì per essere vittima o meglio strumento di un potere<br />
che perseguiva finalità contrarie a quelle a cui diceva di ispirarsi. Dietro gli slogan formali di libertà, fratellanza e<br />
uguaglianza, anche il principio formalmente avanzato sulla carta come il bilinguismo, privato della necessaria libertà e<br />
sicurezza individuale, non solo fu svuotato d’ogni valenza positiva, ma si rivelò essere un potente strumento di politica<br />
nazionale del regime; preda, come altre misure, di assolutismi nazional-ideologici, in piena collisione con i valori di<br />
dignità della persona.<br />
Chi vi scrive ritiene, tuttavia, che una comprensione più approfondita del bilinguismo, della sua applicazione e dei<br />
contesti sociali in cui esso è stato calato richiede un’ analisi che sappia abbracciare un periodo di tempo maggiore<br />
rispetto a quello considerato; importante oltremodo per valutare gli effetti a lungo termine di una siffatta normativa<br />
nella società. Pianificare uno studio sul bilinguismo nel lungo periodo appare giustificato per svariate ragioni. Oltre<br />
ad essere segno di maturità e consapevolezza e di grande importanza ed utilità scientifica nonche’ storica, darebbe una<br />
maggiore organicità e sistematicità alla grande quantità di studi settoriali prodotti sul bilinguismo locale riversandoli<br />
in una nuova opera specifica sul tema, capace di dare uno sguardo complessivo all’evoluzione del bilinguismo nel<br />
<strong>Capodistria</strong>no, estensibile anche all’Istria, dal dopoguerra ad oggi, ripercorrendo per sommi capi anche il periodo<br />
antecedente sino agli albori del risveglio nazionale in queste terre.<br />
20
<strong>La</strong> città<br />
Si tratterebbe di un’opera che accanto alle vicende<br />
storiche si addentrerebbe anche nel campo del diritto<br />
e dell’evoluzione del concetto dei diritti linguistici e<br />
comunitari, tenendo in debito conto i cambiamenti e le<br />
trasformazioni intervenuti nella società istriana attraverso i<br />
secoli. Un lavoro di questo tipo richiederebbe una squadra di<br />
ricercatori di varia formazione e avrebbe il pregio di calare<br />
il diritto e il concetto della bilinguità nel contesto sociale<br />
dei vari periodi storici analizzati (recuperando gli aspetti<br />
innovativi assieme all’impatto provocato dalle normative<br />
nella società nei vari periodi trattati), di aumentare la<br />
consapevolezza del fattore linguistico in queste terre, di<br />
proporre la lingua assieme alla diversità culurale delle<br />
popolazioni che qui vi risiedono come un tratto a sua<br />
volta caratterizzante la cultura stessa ed espressione del<br />
territorio, di lasciare testimonianza dell’esperienza locale<br />
di ricomposizione delle diversità etnica e linguistica (che<br />
potrebbe costituire anche un modello di convivenza avanzato pluri-comunitario su un medesimo territorio) nonché di<br />
contribuire a fare chiarezza sulle tante prospettive spesso nebulose che circondano il futuro del plurilinguismo, proprio<br />
attraverso il confronto con le esperienze del passato e l’armonizzazione di queste con le attuali direttrici europee in<br />
materia di salvaguardia del patrimonio linguistico e culturale autoctono locale.<br />
Bibliografia<br />
ARC, 1 - Archivio regionale di <strong>Capodistria</strong> (ARC), Comitato distrettuale della Lega dei comunisti della Slovenia<br />
di <strong>Capodistria</strong> (SI PAK KP 450), b.3, Relazione del Comitato <strong>citta</strong>dino capodistriano del P.C.R.G. al Comitato<br />
Circondariale del P.C.R.G. di Aidussina, 22.1.1946.<br />
ARC, 2 – ARC, Commissione distrettuale per la riforma agraria (SI PAK KP 521), b. 24, Circolare della Presidenza<br />
del Comitato popolare distrettuale <strong>Capodistria</strong>, 28.2.1947.<br />
ARC, 4 – SI PAK KP 23, b.1, Verbale del Comitato esecutivo popolare distrettuale di <strong>Capodistria</strong>, 22.10.1947.<br />
ARC, 5 – SI PAK KP 23, b.1, Relazione del Comitato popolare distrettuale per gli Affari Interni Capoistria,<br />
22.12.1947.<br />
ARC, 6 – SI PAK KP 450, b.3, Relazione sul bilinguismo della conferenza di partito del Comitato rionale di <strong>Capodistria</strong>,<br />
2.3.1947.<br />
ARC, 7 – SI PAK KP 450, b.3, Verbale Commissione circondariale Agit-Prop per l’Istria, 27.3.1947.<br />
ARC, 8– SI PAK KP 23, b.3, Verbale Comitato esecutivo popolare circondariale dell’Istria, 7.12.1947.<br />
BU – Bollettino Ufficiale del Circondario di Trieste, di Gorizia e della città di Trieste, N.1, (9.6.1945), D. N. 1, Art.<br />
4. Trieste.<br />
Cadastre national de L’Istrie (1946). Sušak, Edition de l’Institut Adriatique.<br />
Perselli, G. (1993): Censimenti- Istria, Fiume, Trieste e Dalmazia. Etnia, VI.<br />
Bauer, O., (1996): <strong>La</strong> questione nazionale, (trad. dal ted. di “Die Nationalitätenfrage und die Sozialdemokratie”),<br />
Roma, Editori riuniti.<br />
Bogliun-Debeljuh, L., (1994): L’identità etnica. Gli italiani dell’area istro-quarnerina, ETNIA V, Trieste-Rovigno,<br />
CRS.<br />
Gombač, M., (2003): Pokrajinski narodnosvobodilni odbor za slovensko primorje in Trst 1944-1947, Ljubljana,<br />
CIP.<br />
Križman G., Mauro I., Medeot M., Rogoznica D., (2004): Storia degli Sloveni. Manuale di storia per le scuole<br />
medie con lingua d’insegnamento italiana, Ljubljana, ZRSŠ.<br />
<strong>La</strong> Perna, G., (1993): Pola, Istria, Fiume 1943-1945. <strong>La</strong> lenta agonia di un lembo d Italia, Milano, Mursia.<br />
Piergigli, V., (2005): Minoranze e lingue, tra interpretazione e tutela giuridica, In: Piergigli, V.,: L’autoctonia divisa.<br />
<strong>La</strong> tutela giuridica della minoranza italiana in Istria, Fiume, Dalmazia, Padova, Cedam, p. 173.<br />
Pradelli, A., (2004): Il silenzio di una minoranza:gli italiani in Istria dall’esodo al post-comunismo 1945-2004,<br />
Bologna, Lo Scarabeo.<br />
Pupo R., (1994): L’età contemporanea, In: Salimbeni F.,: Istria. Storia di una regione di frontiera, Brescia,<br />
Morcelliana.<br />
Romano, P., (2005): <strong>La</strong> questione del confine orientale tra le due guerre, In: Piergigli, V.,: L’autoctonia divisa. <strong>La</strong><br />
tutela giuridica della minoranza italiana in Istria, Fiume, Dalmazia, Padova, Cedam, pp. 223-260.<br />
Troha, N., (1996): Oris položaja v koprskem okraju cone Julijske krajine v letih 1945-1947, In: Čepič Z. (cur.),<br />
Prispevki za novejšo zgodovino XXXVI, 36, 1/2, Ljubljana, pp. 67-93.<br />
21
<strong>La</strong> città<br />
22<br />
In visita gli sbandieratori del Palio di Ferrara<br />
Su iniziativa della »Dante« che ha organizzato anche un incontro col regista Martusciello<br />
Il rullio dei tamburi ed il suono delle fanfare hanno attirato il 9 ottobre l’attenzione dei capodistriani.<br />
<strong>La</strong> compagnia del Palio di Ferrara ha attraversato la città, proponendo a più riprese lo spettacolo degli<br />
sbandieratori, accompagnati dal corteo storico in costumi d’epoca. Le loro evoluzioni hanno richiamato il<br />
pubblico, in mattinata e nel primo pomeriggio, in Piazza Ukmar. In serata il Palio di Ferrara ha fatto visita alla<br />
Comunità degli Italiani, dov’è stata allestita la mostra del fotografo Sergio Pesci, intitolata “<strong>La</strong> mia Ferrara”. Il<br />
turbinio delle bandiere multicolori e gli splendidi abiti medievali sono stati riproposti sullo spiazzo antistante<br />
la Radiotelevisione di <strong>Capodistria</strong>, accolti con entusiasmo da numerosi connazionali accorsi per l’occasione.<br />
L’iniziativa è stata promossa dal Comitato capodistriano della Società “Dante Alighieri”, in collaborazione<br />
con il Comune. A fare gli onori di casa è stato il vicesindaco, Alberto Scheriani, che ha ricordato i lunghi<br />
legami d’amicizia con la città gemellata di Ferrara. Gli ospiti erano guidati dall’assessore alla Mobilità ed ai<br />
<strong>La</strong>vori Pubblici, Aldo Modenesi, che ha ringraziato per l’accoglienza tributata.<br />
Gli sbandieratori del Palio di Ferrara si esibiscono<br />
lungo la riva.<br />
L'incontro con il regista napoletano Luca Martusciello<br />
organizzato a Isola. Alla sua sinistra il cantante Mirko<br />
Cetinski, la presidente della »Dante« capodistriana<br />
Vanja Vitošević ed il Console, Marina Simeoni.
<strong>La</strong> città<br />
Nel 60.mo di Radio <strong>Capodistria</strong> erano andati in onda diversi gustosi aneddoti di Giorgio Visintin sui primi<br />
decenni di Radio e TV, pubblicati pure dalle Primorske Novice. Tra questi, uno che vide protagonista il<br />
compianto Ferdi Vidmar, dal sibillino titolo di<br />
»Harošaja luka«<br />
Come tutti i turisti che si rispettino, anche Tito apprezzava<br />
molto passare »dal mare - ai monti«, dalle isole Brioni<br />
cioè, a Brdo in Gorenjska, ovviamente transitando per<br />
<strong>Capodistria</strong>.Nell’occasione se la godevano specie gli<br />
scolari, che vivevano una ben organizzata »scappola<br />
da scuola«, e sventolando bandierine, salutavano, lungo<br />
la strada dell’Istria, i veloci convogli delle automobili<br />
nere. Quando poi c’erano ospiti stranieri più importanti,<br />
capitava spesso nel porto la nave Galeb, o rombando, coi<br />
suoi due motori da 300 cavalli, il panfilo Primorka.<br />
Una volta è così capitato agli inquilini di quella casa, che<br />
oggi in Piazza Ukmar non c’è più, e ospitava anticamente<br />
la Trattoria al Vaporetto (suoi clienti furono anche i<br />
guardiani dell’imperial-regio Carcere del Belvedere) era<br />
stata quindi una sorpresa vedere scendere dal Primorka,<br />
del tutto inattesi - non c’era neppure la Polizia - una<br />
consistente parte della delegazione sovietica con Bulganin<br />
e Mikojan, che avevano accompagnato Hruščov a Belgrado<br />
nel maggio 1955, per porgere le scuse di Mosca per la<br />
scomunica del Cominform del 1948. Nella casa abitavano<br />
diversi appartenenti alla Radio; un regista, il capotecnico<br />
Poberaj, il giornalista Klasinc, ed ancor prima, anche il<br />
fonico Ferdi Vidmar, primo attore dell’aneddoto.<br />
Attraverso <strong>Capodistria</strong> erano passati comunque molti<br />
protagonisti della storia. Chi non ricorda il »lider<br />
maximo« Castro? Qualcuno al ristorante Capris, al<br />
pianterreno del Palazzo Pretorio, s’era seduto sul suo<br />
kepì, come aveva raccontato l’allora sindaco Mario<br />
Abram, e non è del tutto da escludere che sia stato proprio<br />
lui lo sbadato ad infrangere il protocollo. Il giorno dopo<br />
i giornali, anche di Trieste, annotavano soprattutto che<br />
a Castro era tanto piaciuta… la »putizza«. Davanti alle<br />
festanti »venderigole« del mercato di <strong>Capodistria</strong> erano<br />
daltronde già sfilati in auto scoperta il Negus d’Etiopia<br />
Haile Selassie e, nell’aprile 1955, l’indiano Pandit Nehru,<br />
con in testa l’eterna bustina bianca copricalvizie.<br />
L’aneddoto che riguarda il compianto Ferdi Vidmar, risale<br />
a una domenica del giugno 1955. Era stato preannunciato<br />
l’arrivo per mare di Tito e Hruščov alle 4 del pomeriggio.<br />
In redazione s’era deciso che l’avvenimento lo coprisse<br />
il giornalista Vesel, secondato, a causa dei ben sette chili<br />
del necessario magnetofono, appunto da Ferdi,che - tra<br />
l’altro - era l’unico a masticare un po’ di russo. Vestito l’<br />
abito della festa, lui si avvia da Semedella con la sua bici<br />
più di mezz’ora prima. Raggiunta l’odierna<br />
passeggiata a mare, scorge subito, non più lontana,<br />
l’inconfondibile silhouette della nave Galeb, in arrivo con<br />
rilevante anticipo. Accelera le pedalate, arriva al porto,<br />
mentre la nave già attracca. Supera il cordone di polizia,<br />
lascia la bici e si affretta verso il molo. Naturalmente il<br />
giornalista incaricato non si vede. Ferdi è sì, un esperto<br />
di magnetofoni e magari di elettroni, non però di politica<br />
estera; ma si fa ugualmente coraggio. Dopo i soliti<br />
omaggi floreali - c’era anche Jovanka - chiede «pažalsta«<br />
a Hruščov il suo »pačutljenje«. Per tradurre: quali sono<br />
le sue sensazioni, le sue impressioni. E non era mica una<br />
domanda sbagliata! Perchè è storia, che per Hruščov<br />
venire a Belgrado nel 1955, era come per Enrico IV<br />
andare a Canossa a chiedere perdono a Papa Gregorio<br />
VII, che l’aveva scomunicato. Si è anzi scritto che Tito<br />
l’avesse accolto freddamente a Belgrado, risentito per i<br />
sette anni di truce ostilità del Cominform e dell’intero<br />
blocco orientale, che avevano reso l’ex Jugoslavia uno<br />
strategico cuscinetto della Cortina di ferro.<br />
Al microfono di Ferdi quindi, Nikita snocciola bonario<br />
ma conciso, due o tre frasi…<br />
Più tardi, i giornalisti - arrivati sì - ma con rovinoso<br />
ritardo, gli si ammassano intorno, perchè ceda l’intervista<br />
anche a loro.<br />
No problem! Ma fatta su due piedi la traduzione, risulta<br />
che Hruščov afferma »sic et simpliciter» che <strong>Capodistria</strong>,<br />
vista dal mare è bella, anche il porto è «harošaja« e che<br />
avrà sicuramente un positivo sviluppo.Tutto qui. Chi<br />
tardi arriva, si sa, sempre male alloggia!<br />
Giorgio Visintin<br />
23
<strong>La</strong> città<br />
24<br />
Il nuovo Capossela nasce a <strong>Capodistria</strong><br />
Dal Piccolo — 16 ottobre 2010 pagina 34 sezione: CULTURA - SPETTACOLO<br />
Vinicio Capossela ha sempre manifestato una forte simpatia per Trieste e per l’Est in generale. Tanto da scegliere<br />
lo studio Hendrix di Radio <strong>Capodistria</strong>, in Slovenia, per lavorare alla pre-produzione del suo nuovo album. «Qui mi<br />
piace perché si trovano ancora le cose che in Italia non esistono più da anni», dice il cantante nei corridoi di Radio<br />
<strong>Capodistria</strong>, per ricordare poi molteplici concerti triestini, fino a quello al Rossetti a febbraio 2009 «Pieno di sorprese:<br />
alla fine avevo perfino chiuso il giornalista Paolo Rumiz dentro ad una gabbia sul palco!». Capossela è venuto a<br />
<strong>Capodistria</strong> anche per lavorare con lo sloveno Andrea F, musicista, autore ed appassionato di musica. Negli anni 80,<br />
con la sua band (Idiogen: all’attivo tre album, usciti anche in Italia per Toast Records e Supporti Fonografici, ed in<br />
Gran Bretagna per Rough Trade) ha scoperto il fascino del lato tecnico del fare musica, dello studio di registrazione<br />
come strumento creativo. Da lì, è venuta poi la carriera di producer e la collaborazione con Radio e Tv <strong>Capodistria</strong><br />
(come redattore musicale, conduttore, autore e regista di molte trasmissioni); oggi è anche su TV SLO 1, con il<br />
programma”Nlp” (di cui cura e conduce la parte musicale e live). Andrea F, ha lavorato con Vinicio Capossela nello<br />
Studio Hendrix di Radio <strong>Capodistria</strong>.<br />
Com’è andata?<br />
«È stato molto intenso ma anche<br />
stravagante e divertente, come sempre<br />
con Vinicio e con gli artisti veramente<br />
“Artisti” del suo calibro. Insieme al<br />
suo produttore, Taketo Gohara, ed<br />
al suo arrangiatore, abbiamo fatto<br />
un lavoro di pre-produzione del suo<br />
prossimo album, passando in rassegna<br />
ed al setaccio tutti i vari demo e<br />
testi, trovandone struttura e stesura<br />
definitive, e registrandone varie takes<br />
fino ad una quasi definitiva, con una<br />
traccia di pianoforte o chitarra e voce<br />
che può fungere da fondamenta per la<br />
registrazione dell’album. Dovremmo<br />
ritrovarci a breve per fare altrettanto<br />
con un paio di brani ancora rimasti, e<br />
poi forse per delle session di alcuni<br />
degli strumenti per il disco, visto<br />
che l’intesa con tutto il team c’è, e<br />
soprattutto Vinicio a <strong>Capodistria</strong> si<br />
trova bene e si sente ispirato». Che<br />
tipo è Capossela?<br />
«Ha una natura estrosa, spesso<br />
bizzarra, ma sempre molto ispirata<br />
e fedele al suo ricchissimo mondo<br />
interiore; il cuore di un vero poeta,<br />
con gli occhi e la capacità di stupirsi<br />
e di stupire di un bambino. È sempre<br />
molto bello lavorare con chi ha<br />
talento a tonnellate. Ancora di più<br />
se poi la mattina prima di arrivare<br />
in studio si preoccupa di comperare<br />
burek o mirtilli per tutti, o se si finisce<br />
a mangiare a mezzanotte sulla costa<br />
del Quarnero con le chitarre in spalla<br />
ed un valigione di cartone pieno di<br />
testi, tastiere e computer in attesa di<br />
un traghetto che non arriva!».<br />
Perché ha scelto proprio lei?<br />
«Penso che da una parte c’è il lato<br />
umano, perché ci siamo incontrati<br />
tante volte, anche in ruoli diversi,<br />
per qualche mia trasmissione TV e<br />
radio, e poi per lavorare di filigrana<br />
al suo pianoforte in studio (nel 2005<br />
abbiamo registrato insieme e da soli<br />
Andrea F nell'obiettivo di Marko Žigon.<br />
quello che sarebbe poi diventato<br />
“Dove siamo rimasti a terra Nutless”<br />
sull’album “Ovunque Proteggi”<br />
del 2006), quindi oramai una certa<br />
fiducia ed amicizia esistono, e sa di<br />
poter contare sul mio lavoro tecnico e<br />
sul mio giudizio».<br />
E perché Radio <strong>Capodistria</strong>?<br />
«A <strong>Capodistria</strong> so che gli piacciono<br />
varie cose, dalla location ad un passo<br />
dal mare alla relativa tranquillità<br />
del luogo o al cibo ed alcuni vini<br />
locali, oltre che lo studio che ha un<br />
fascino particolare, con tantissime<br />
apparecchiature vintage oggi<br />
rarissime accanto ad altre nuovissime<br />
ed ipertecnologiche, e con una sala<br />
di ripresa come quelle di una volta,<br />
grande, con l’acustica fatta dagli<br />
ingegneri americani della RCA negli<br />
anni 50 per farci suonare le big band,<br />
e con un bellissimo pianoforte a coda<br />
Steinway».<br />
Elisa Russo
I tre presidenti a Trieste<br />
<strong>La</strong> città<br />
<strong>La</strong> dichiarazione congiunta del Presidente della Repubblica di Slovenia, Danilo Türk, del Presidente della<br />
Repubblica Italiana, Giorgio Napoletano e del Presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović, in<br />
occasione del “Concerto dell’amicizia” diretto dal maestro Riccardo Muti, tenutosi a Trieste il 13.7.2010.<br />
“Noi Capi di Stato di Italia, Slovenia e Croazia abbiamo<br />
accolto con piacere e interesse l’invito del Maestro Muti<br />
a presenziare al Concerto dell’Amicizia che avrà luogo<br />
a Trieste il 13 luglio nella piazza dell’Unità d’Italia,<br />
consapevoli dell’alto messaggio di pace e fratellanza di<br />
cui è portatrice l’iniziativa. In tale occasione il Maestro<br />
Muti dirigerà l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e<br />
l’Orchestra Giovanile Italiana arricchite dalla presenza di<br />
numerosi giovani musicisti provenienti dalle Accademie<br />
Musicali Universitarie di Lubiana e di Zagabria, oltre a<br />
coristi italiani, sloveni e croati.<br />
Prima del concerto, deporremo una corona di alloro al<br />
Narodni Dom, orribilmente incendiata il 13 luglio 1920,<br />
e al monumento all’esodo dalle terre natali degli Istriani,<br />
Fiumani e Dalmati, nel doveroso ricordo delle tragedie<br />
del passato e nel comune impegno a costruire insieme un<br />
futuro di libera e feconda cooperazione tra i nostri paesi e<br />
i nostri popoli nell’Europa unita.<br />
Con la nostra presenza intendiamo testimoniare la ferma<br />
volontà di far prevalere quel che oggi ci unisce su quel<br />
che ci ha dolorosamente diviso in un tormentato periodo<br />
storico, segnato da guerre tra Stati ed etnie. Ormai, Italia,<br />
Slovenia e Croazia si incontrano nel contesto dell’Unione<br />
Europea, per sua natura portatrice di rispetto delle diversità<br />
e di spirito di convivenza tra popolazioni, culture e lingue<br />
che hanno già operosamente e lungamente convissuto<br />
per secoli. Di qui il nostro impegno a coltivare sempre il<br />
rispetto dei diritti di tutte le minoranze. In ciascuno dei<br />
nostri paesi, coltiviamo com’è giusto la memoria delle<br />
sofferenze vissute e delle vittime di cieche violenze, e<br />
siamo vicini al dolore dei sopravvissuti a quelle sanguinose<br />
vicende del passato.<br />
Il nostro sguardo è volto all’avvenire che con il decisivo<br />
apporto delle generazioni più giovani vogliamo e possiamo<br />
edificare in un’Europa sempre più rappresentativa delle<br />
sue molteplici tradizioni e sempre più saldamente integrata<br />
dinanzi alle nuove sfide della globalizzazione”.<br />
Inaugurata la nuova sede dell’Istituto Italiano di cultura di Lubiana<br />
Una nuova casa - a parte la fatica<br />
del trasloco - è sempre un evento da<br />
festeggiare. E lo è a maggior ragione<br />
quando si tratta di una casa ancora più<br />
bella di quella appena lasciata. Com’è<br />
appunto nel caso dell’Istituto Italiano<br />
di Cultura di Lubiana, che dopo dieci<br />
anni trascorsi in piazza del Congresso<br />
si è trasferito in un elegante palazzo<br />
storico sulle rive della Ljubljanica.<br />
Il nuovo indirizzo è Breg 12,<br />
lo stesso del centro culturale<br />
francese, che si trova al piano<br />
superiore.<br />
L’inaugurazione è avvenuta<br />
il 16 settembre, alla presenza<br />
dell’ambasciatore d’Italia<br />
Alessandro Pietromarchi,<br />
del vicesindaco del Comune<br />
di Lubiana Aleš Čerin, e<br />
naturalmente della direttrice<br />
dell’Istituto, Roberta Ferrazza.<br />
Non c’è stata una cerimonia vera<br />
e propria, piuttosto una festa tra<br />
amici, italiani e sloveni, dell’Istituto<br />
Italiano, accompagnata dall’apertura<br />
di una mostra curata dall’associazione<br />
goriziana Graphiti,”Obiettivo Divina<br />
Commedia”. <strong>La</strong> giornata però si<br />
è configurata soprattutto come un<br />
momento di incontro con il pubblico.<br />
Fin dalla mattinata i visitatori hanno<br />
potuto assistere a lezioni dimostrative<br />
di lingua italiana per adulti e bambini,<br />
alla proiezione della “Dolce vita” di<br />
Federico Fellini, e consultare libri<br />
e altro materiale conservato nella<br />
biblioteca e nella mediateca. Una<br />
manifestazione di “porte aperte”,<br />
dunque, volta a far conoscere a<br />
tutti gli interessati l’importante<br />
istituzione, nata nel 1999 e ben<br />
inserita nella realtà slovena grazie<br />
ad una fitta rete di collaborazioni sul<br />
territorio. Collaborazioni che<br />
coinvolgono e abbracciano, da<br />
sempre, anche le strutture della<br />
nostra Comunità. Pochi giorni<br />
dopo l’informale taglio del<br />
nastro alla nuova sede, l’Istituto<br />
Italiano di Cultura di Lubiana<br />
ha proposto a Casa Tartini di<br />
Pirano un applaudito concerto<br />
del pianista toscano Giuseppe<br />
Tavanti, primo di una serie di<br />
appuntamenti dedicati ai 150<br />
anni dell’Unità d’Italia.<br />
Ornella Rossetto<br />
25
<strong>La</strong> città<br />
Il presente articolo poggia su documenti veri, custoditi presso l’Archivio regionale di <strong>Capodistria</strong> (Busta<br />
№31, unità documentaria №32, Diplomi e carte diverse dei conti Grisoni (164-1850) – inventario Ivan<br />
Filipovič). Per scrivere una storia che potesse attirare l’attenzione dei più, mi sono servita della teoria<br />
manzoniana del romanzo storico. Abbiamo il vero per soggetto, l’utile per scopo e l’interessante per mezzo.<br />
L’invenzione qui è intesa come racconto che riempie i vuoti lasciati dalla documentazione, non dalla storia.<br />
<strong>La</strong> cornice storica è stata volutamente omessa, si è preferito parlare delle varie famiglie nobili capodistriane.<br />
Dove è stato possibile, si è integrato le informazioni con Monumenta heraldica Iustinopolitana. I vari fatti<br />
storicamente veri, sono stati uniti agli indizi desunti dalla lettura degli atti; ne nasce una cronistoria di una<br />
faida durata ben 200 anni … Buona lettura!<br />
Grisoni e Vergerio, due famiglie, un’eredità<br />
e 200 anni di storia<br />
26<br />
di Valentina Petaros Jeromela<br />
Un libro. Un libro contenente fogli. Ogni foglio qui sapientemente rilegato, è un documento o atto<br />
notarile, che racconta una vicenda e che qui darà vita ad una storia. Sfogliando, lasciando girare le<br />
pagine, sembra quasi che le storie si animino. È come un libro tridimensionale, con le figure, che da<br />
piatte, si alzano e si mostrano. Qui non raccontiamo una favola, però. Che cosa può mai nascondere<br />
l’ultima pagina di un libro manoscritto? <strong>La</strong> fine di una storia, oppure il suo inizio? Non si desidera<br />
dare una fine alla storia narrata, ma solo descriverne l’incominciamento e tracciarne le sfaccettature<br />
che hanno contraddistinto la vita di due generazioni e una città tutta.<br />
Il tutto comincia con il testamento<br />
di Giovanni Andrea I Vergerio, in<br />
una caldissima giornata di agosto,<br />
il quattro nell’anno di grazia 1562.<br />
“Gli eredi di veramente ogni e<br />
qualunque sorte dei beni mobili,<br />
come stabili e di ogni ragione e<br />
azione istituisce, e esser volse<br />
messer Colmano, suo dilettissimo<br />
fratello, e Gerolamo, nipote suo<br />
carissimo, figlio del fu Domenico<br />
suo fratello, per egual porzione<br />
con questa condizione: che<br />
mancando uno de loro senza eredi<br />
maschi non solamente la porzione<br />
di esso testatore della possessione<br />
di Oltra ritorni al sopravivente,<br />
ovvero ai suoi eredi maschi, ma<br />
quella del morto ancora senza<br />
eredi maschi, con questo che colui<br />
che vorrà ad aver la porzione della<br />
detta possessione sia tenuto dar<br />
agli eredi del defunto se fossero<br />
femmine altrettanti beni in alcun<br />
altro luogo de egual valore, e<br />
queste fa e ordina acciò che la<br />
detta possessione rimanga in casa<br />
e famiglia de Vergeri maschi.”<br />
Poche ma chiarissime parole<br />
che determineranno le sorti di<br />
alcune tra le più illustri famiglie<br />
<strong>Capodistria</strong>ne: Vergerio, Grisoni,<br />
Gavardo, Gravisi, Petronio, Brutti<br />
e Contesini Ettoreo e, nei rami più<br />
recenti anche Tarsia, Belgramoni<br />
e i Morosini. Due, tre generazioni<br />
che continueranno la lotta per il<br />
possesso della Val d’Oltra…<br />
I Vergerio, questa nobile e<br />
illustre famiglia <strong>Capodistria</strong>na,<br />
vede l’estinzione del ramo con<br />
discendenza maschile nel 1678,<br />
con la morte di Girolamo, il<br />
dottore, che svolgeva la sua<br />
professione a Padova. Il libro<br />
racconta di tre fratelli (Giovanni<br />
Andrea I, Colmano e Domenico)<br />
e di un testamento, quello del<br />
fratello maggiore. Giovanni<br />
Andrea I, non avendo figli maschi,<br />
lascia tutto in eredità al figlio del<br />
fratello, Gerolamo; unico nipote<br />
in vita al momento della stesura<br />
del detto testamento. Negli anni a<br />
venire, Colmano, avendo anche lui<br />
procreato figli (figli maschi e altre<br />
due femmine), pretende e ottiene<br />
la divisione dell’eredità. A questo<br />
lascito si aggiungono le proprietà<br />
di Caterina Gravisi (vedova di<br />
Cristoforo Zarotti de Sereni). Una<br />
dote molto importante, giacché<br />
portava la proprietà del Mulino,<br />
quello che confinava con le terre<br />
dei Borisi … Tenuto da una<br />
contadina detta “Buttazza” che<br />
andava tutto a favore di Gerolamo,<br />
suo marito, così come desiderava<br />
il padre di lei, Giovanni Gravisi.<br />
<strong>La</strong> famiglia Vergerio possedeva<br />
i feudi di Cuberton (Kuberton)<br />
e Toppole (Topolovec) e nel<br />
1650 Padena (Padna), Morosina<br />
(Movraž), S. Sirico (Sočerga),<br />
Covedo (Kubed) e Villanova<br />
(Nova Vas). Tra gli antenati<br />
illustri figura Pier Paolo Vergerio<br />
il Seniore (1370-1444), uno dei<br />
più illustri umanisti italiani,<br />
professore di dialettica a Padova<br />
e Bologna, precettore dei Carrara<br />
e celebre pedagogo. È da ritenere,<br />
grazie all’indizio contenuto nel<br />
contratto matrimoniale della<br />
Susana con Francesco Grisoni<br />
(per uno scherzo del destino i<br />
nipoti che continueranno questa<br />
faida, portano gli stessi nomi), che<br />
questa sia proprio la discendenza<br />
del ramo del Vescovo di<br />
<strong>Capodistria</strong>. In una riga c’è scritto<br />
che proprio un certo Aurelio<br />
lascia in dote alla Susana ducati<br />
cinquanta. A ragione possiamo<br />
concludere che la discendenza<br />
qui trattata sia del ramo diretto<br />
dell’Apostata in quanto, Giacomo<br />
Vergerio (il notaio) ebbe 5 figli<br />
e tre figlie. Il primogenito è<br />
Iacomo (il francescano), Alvise,<br />
Giovanni Battista (Vescovo di<br />
Pola), Aurelio (monsignore) e Pier<br />
Paolo (Vescovo di <strong>Capodistria</strong>).<br />
Non si sono dati certi, non si può<br />
determinare chi sia l’antenato,
escludendo (per pura formalità)<br />
gli uomini consacrati al celibato,<br />
rimangono le tre figlie (delle<br />
quali non sono indicati i nomi) e<br />
l’Alvise.<br />
Purtroppo, se per la morte di Pier<br />
Palo si sospettò un avvelenamento,<br />
la morte di Aurelio è certa:<br />
rinchiuso nelle segrete a Roma da<br />
Papa Clemente VII. Di lui non si<br />
ebbero più notizie.<br />
Gerolamo muore nel 1622, ma<br />
sposa Caterina Gravisi il due<br />
ottobre 1606. Da quest’unione<br />
nascono nove figli: quattro<br />
femmine e cinque maschi. Non<br />
posso assicurare la correttezza<br />
della successione delle nascite, ma<br />
intanto la discendenza va divisa<br />
tra il ceppo nato dalle figlie e<br />
quello nato dai maschi. Abbiamo,<br />
da una parte: Susana, Paula,<br />
Elena e Felice; mentre dall’altra:<br />
Colmano (padre Comodo),<br />
Giovanni Andrea II, Giovanni<br />
Nicola, Capitan Carlo e, il figlio<br />
nato postumo, Girolamo. Un nome<br />
che conviene ricordarsi è quello<br />
di Susana Vergerio, perché è la<br />
primogenita, sposerà Francesco<br />
Grisoni e in base al diritto di<br />
primogenitura darà al conflitto una<br />
svolta decisiva e inaspettata, e ci<br />
terrà in sospeso con continui colpi<br />
di scena. Conviene anche tenere<br />
a memoria la dote di Caterina, la<br />
quale sarà contestata e, in modo<br />
subdolo, tolta alla discendenza<br />
del ramo maschile. Purtroppo<br />
anche nel ceppo maschile vi è<br />
una Susana, quella che osteggerà<br />
la primogenitura femminile e<br />
perseguirà le proprie ragioni sino<br />
alla morte. Per evitare confusione,<br />
decidiamo di chiamarla Suor<br />
Nezza. Non vi sono notizie<br />
inconfutabili circa il monacato di<br />
questa, ma vi è un chiaro indizio<br />
di ciò in un documento. Viene,<br />
infatti, nominata Susana detta<br />
Suor Nezza.<br />
Complotti, intrighi, congiure, …<br />
la vita della nostra tranquilla città,<br />
presto, ci sembrerà un ricordo<br />
lontano.<br />
Nel 1606, il non più giovane<br />
<strong>La</strong> città<br />
Gerolamo, dunque, s’innamora!<br />
accanto alla felicità manifesta per<br />
un evento così gioioso, abbiamo<br />
un fiorire di contratti e patti e<br />
convenzioni tra le due famiglie:<br />
quella di lui e la di lei. Tanto<br />
per non dover litigare. Caterina<br />
Gravisi, vedova di pochi mesi<br />
di Cristoforo Zarotti de Sereni<br />
(morto forse all’inizio del 1606),<br />
ottiene la restituzione della dote<br />
(di danari 3.500!!!) e essendo<br />
nuovamente sola e ricca, viene<br />
ben presto concupita dal baldo<br />
Gerolamo! Ecco il contratto,<br />
scusate, il termine usato è<br />
“Convenzione tra Gerolamo<br />
Vergerio e suoi cognati Gravisi per<br />
dote di Caterina”. Questo accade<br />
nel marzo del 1615, possiamo a<br />
ragione ritenere che l’amore abbia<br />
regnato sovrano per alcuni anni<br />
prima che l’avidità si rendesse<br />
complice e partecipe di questo<br />
così grande sentimento. Solo in<br />
apparenza. In verità si tratta della<br />
cessione, a favore della coppia e<br />
in completamento della dote, del<br />
27
<strong>La</strong> città<br />
Mulino e delle terre sotto Villa<br />
de Cani (Dekani). Il notaio Pietro<br />
Toffanis stila questo passaggio di<br />
proprietà e la rinuncia dei fratelli<br />
di Caterina (Ferdinando, Giovanni<br />
Battista, Giulio, Camillo,<br />
Benvenuto, Dioniso) dei proventi<br />
di questo molino tenuto da una<br />
certa “Bottazza”. Le terre invece<br />
erano “tenute” da Luca Verzier e<br />
per le quali paga d’affitto “stara<br />
due formento”. Si scopre che<br />
c’è anche un campetto in Risano<br />
(Rižana), che confina con la ragion<br />
di Francesco Borisi, altre grande<br />
casata <strong>Capodistria</strong>na.<br />
Alcuni giorni prima di morire,<br />
Gerolamo fece testamento e, come<br />
da consuetudine, lega l’eredità<br />
a una clausola. È il 25 settembre<br />
1622 e Gerolamo (“giacendo in<br />
letto sano per l’Iddio grazia della<br />
Mente, senso, veder e intelletto<br />
… sapendo non essere cosa più<br />
certa della morte e più incerta<br />
dell’ora di quella”…) ordina<br />
il suo testamento. Ciò che in<br />
precedenza fu chiaro, mi riferisco<br />
al testamento del 1562, qui si<br />
complica. Qui origina anche la<br />
nostra vicenda.<br />
Gerolamo lasciò in eredità, a<br />
ognuna delle sue figlie Ducati 500<br />
e Ducati 200 di mobili e stabili.<br />
Mentre, ai figli, lascia tutti i suoi<br />
possedimenti siti in Val d’Oltra.<br />
Tutti i campi, le vigne, i prati, i<br />
baredi a patto che, mancando la<br />
discendenza maschile, il tutto<br />
ritorni ai maschi in vita. Con un<br />
secondo vincolo: di non vendere,<br />
impegnare, permutare né affittare<br />
ma che questi beni vadano sempre<br />
ai figli ed eredi maschi. Condizione<br />
perpetua. Nel caso in cui mancasse<br />
proprio la discendenza maschile,<br />
allora vuole che i discendenti<br />
delle sue figliole siano padroni<br />
dei predetti beni con condizione<br />
di non poter “permutar gli stessi”.<br />
Gli stessi beni poi, in mancanza<br />
d’altro, possono essere “utilizzati<br />
come dote per maritar le figlie”<br />
… Più che risolvere, qui abbiamo<br />
la nascita della confusione. A<br />
decidere le sorti saranno gli<br />
avvocati, entrati a far parte della<br />
famiglia in circostanze diverse.<br />
Il Grisoni sposa la primogenita<br />
Susana, Giovanni Andrea II<br />
sposerà Gioia Gavardo e Caterina<br />
28<br />
nata Gravisi. Tutte e tre le famiglie<br />
(Gravisi, Grisoni e Gavardo)<br />
hanno una lunga tradizione<br />
come azzeccagarbugli, ma uno<br />
in particolare si distinguerà:<br />
Francesco Grisoni.<br />
Il testamento termina con la solita<br />
formula, in cui l’usufruttuaria<br />
di tutti i beni è la consorte. I<br />
commissari del testamento sono il<br />
reverendo padre Comodo Vergerio<br />
(il figlio), Ferdinando Gravisi e<br />
Piero Gavardo (il cognato). Come<br />
detto sopra, Gerolamo muore il 30<br />
settembre 1622.<br />
Negli anni a seguire, dal 1625<br />
al 1632, l’attività principe della<br />
“relitta” (vedova) Caterina fu di<br />
organizzare matrimoni. Questi, si<br />
sa, costano e con 4 figlie … Lei<br />
discende da una antica famiglia, il<br />
capostipite scongiurò il complotto<br />
ordito da alcuni padovani contro<br />
la Repubblica Veneta nella città<br />
di Pirano. Questo comportò<br />
l’investitura del marchesato di<br />
Pietrapelosa. Erano anche, nel<br />
secolo XVII, signori della Torre<br />
di Padena; la stessa Torre, parte<br />
della quale, Caterina portò come<br />
dote.<br />
Non lasciandosi sopraffare dal<br />
dolore, oppure volendo reagire alla<br />
seconda vedovanza, la “relitta” si<br />
attiva nella ricerca di capitali. È<br />
datato fine marzo 1623 un livello<br />
(affitto) con la città di Rovigno,<br />
dove Caterina ottiene la rinuncia<br />
su tutti i profitti, sia dei dazi sia dei<br />
torchi, da parte del figlio Colmano<br />
(padre Comodo). In seguito, vi<br />
è una procura di Caterina per<br />
riscuotere il credito dalla famiglia<br />
Gaspari di Udine. Parliamo di<br />
circa 240 Ducati. Ed ecco la prima<br />
data, che corrisponde al primo<br />
esborso: il 15 marzo 1625 si sposa<br />
Susana con Francesco Grisoni in<br />
cui vi sono 700 Ducati di dote<br />
più cinquanta lasciati da Aurelio<br />
Vergerio. In più la madre della<br />
sposa deve ancora completare la<br />
dote con 1.500 Ducati e alcuni<br />
“cavedini di saline della Valle<br />
d’Oltra”. Punto nodale della<br />
vicenda. <strong>La</strong> seguono le sorelle,<br />
in ordine di nascita: Paula con<br />
Barnabà Brutti, nel 1626, ed Elena<br />
con Antonio Petronio nel 1632.<br />
Ultima è la Felice che si sposa con<br />
Nicolò Zarotti nel 1637 dove in<br />
dote porta anche parte del Molino<br />
della Bottazza. L’amicizia che lega<br />
le famiglie Vergerio e Zarotti, va<br />
molto indietro nel tempo, si parla<br />
dei tempi di Pier Paolo Vergerio,<br />
l’apostata. A renderli celebri fu<br />
Giacomo Zarotti, probabilmente<br />
il cognato, che col suo testamento<br />
(21 giugno 1660) fondò un nuovo<br />
canonicato (presso il Capitolo<br />
Giustinopolitano) ed accordò al<br />
vescovo pro tempore il diritto<br />
di elezione, con la condizione<br />
di dare la preferenza a sacerdoti<br />
discendenti dalle famiglie<br />
Gavardo, Zarotti, Grisoni e<br />
Vergerio. L’eletto canonico è<br />
obbligato a portare il nome della<br />
famiglia Zarotti alla celebrazione<br />
quotidiana della Santa Messa.<br />
Per ogni figlia maritata, la dote<br />
data era, approssimativamente,<br />
intorno a 1.500 Ducati. Oltre ai<br />
contanti, ognuna ottiene, come da<br />
testamento, anche parte delle saline<br />
e il magazzino in Piazza da Ponte,<br />
che va a Paula. Così il lignaggio<br />
femminile prospera, nascono figli<br />
maschi, fondamentali per l’asse<br />
ereditario.<br />
A questo punto, i Grisoni sono<br />
entrati in questa famiglia e della<br />
quale, ne segneranno la sorte.<br />
Questa antica, illustre e doviziosa<br />
famiglia nobile della nostra città, è<br />
fregiata del titolo di Conte, ma si è<br />
estinta in linea maschile nel 1841,<br />
con Francesco Grisoni (anche<br />
se in verità lui ebbe un figlio,<br />
Pompeo, il quale morì nel 1833).<br />
Che il matrimonio di Susana con<br />
un Grisoni non fosse una buona<br />
idea, era opinione condivisa in<br />
famiglia. Questo anche per una<br />
vecchia ruggine, risalente al secolo<br />
XVI. Mi riferisco ad Annibale<br />
Grisoni, dottore dei Sacri Canoni,<br />
canonico della Cattedrale di<br />
<strong>Capodistria</strong>, Inquisitore per la S.<br />
Fede nell’Istria (1523), nominato<br />
nel 1549 commissario per l’eretica<br />
pravità, fu il principale persecutore<br />
del vescovo Pier Paolo Vergerio.<br />
Queste le premesse, che già non ci<br />
fanno ben sperare.<br />
“Fu egli spinto da un eccedente<br />
zelo di religione, e forse di<br />
passione, diventando il primario<br />
persecutore del proprio vescovo,<br />
l’apostata Pier Paolo? Quanto
ardito, e dannato fosse il trasporto<br />
del canonico Annibale basterà<br />
giudicarlo dal fatto, che la<br />
domenica alla celebrazione della<br />
conventuale, inveì predicando<br />
contro il vescovo, ch’era pure<br />
in <strong>Capodistria</strong>, attribuendogli,<br />
perché eretico, i mali tutti e le<br />
disgrazie che soffriva il popolo<br />
nella sterilità dei raccolti, nella<br />
siccità, e nella mortalità degli<br />
animali, fatto sedizioso che<br />
obbligò la pubblica autorità del<br />
principe a reprimerla.”<br />
Ritornando alle ragioni che<br />
alimenteranno questa lotta per<br />
aggiudicarsi l’asse ereditario,<br />
posso forse aggiungere la mania<br />
di grandezza che ha portato la<br />
famiglia Grisoni a investire sempre<br />
più capitale a Daila. Francesco<br />
di Santo era ricchissimo, perciò<br />
seguì l’esempio della nobiltà<br />
veneta in fatto di migliorie agrarie<br />
e edilizie. Il latifondo di Daila,<br />
immiserito dalla malaria, era<br />
semi-incolto, i maggiori proventi<br />
erano l’affitto invernale delle terre<br />
a pascolo, l’olio e l’esportazione<br />
della legna da ardere. Volle farsi<br />
una villa gentilizia, secondo i gusti<br />
dell’epoca, sul posto delle antiche<br />
e squarciate costruzioni. Esisteva<br />
il cosiddetto “castello di Daila”,<br />
cioè un palazzotto-casa dominicale<br />
– quadrangolare con quattro<br />
torrette agli angoli e feritoie sulla<br />
cortina, racchiudente il capace<br />
cortile e la cisterna. Dal 1775,<br />
intanto demolì alcune case rustiche<br />
adiacenti e la vecchia chiesa di<br />
San Giovanni. Fece costruire i due<br />
corpi di fabbrica laterali: la nuova<br />
chiesa barocca (inaugurata nel<br />
1783), e, di fronte, l’alloggio del<br />
cappellano, del fattore, e via via,<br />
i granai, il torchio, le cantine, i<br />
magazzini, le scuderie, l’alloggio<br />
dei famigliari. I trambusti politici<br />
e la morte precoce impedirono<br />
a Francesco di Santo Grisoni di<br />
completare il progetto. Toccò<br />
al figlio, conte Francesco. Sul<br />
luogo del castello innalzò la<br />
villa-palazzo, verso l’anno 1830.<br />
Purtroppo non si è conservato<br />
nulla delle testimonianze che<br />
accompagnarono per secoli le<br />
precedenti costruzioni. Abbiamo<br />
però, e la stiamo ricostruendo, una<br />
storia parallela, in altre parole la<br />
cronaca di come si mantengono e si<br />
alimentano i fondi per continuare<br />
questo tipo di ambizioni.<br />
Dalla parte del lignaggio maschile<br />
invece, non vi sono solo eventi<br />
piacevoli. Nel 1634 muore<br />
Giovanni Nicola, il terzogenito,<br />
a soli diciannove anni. Nel 1638<br />
è un anno di gioia, poiché si<br />
celebrano le nozze di Giovanni<br />
Andrea II con Gioia Gavardo, del<br />
fu Niccolò. Matrimonio molto<br />
importante, poiché è da qui che<br />
si ha la discendenza dei Contesini<br />
Ettoreo, e non solo. Da questo<br />
matrimonio nascono due figlie:<br />
Franceschina che sposa Andrea<br />
Contesini Ettoreo appunto, e<br />
Susana, forse monaca Nezza,<br />
la quale da inizio alla lunga<br />
controversia. Nello stesso anno, un<br />
mese più tardi, il ceppo maschile<br />
subisce un altro duro colpo: muore<br />
Colmano, monaco Cassinese.<br />
Caterina dai suoi avi ereditò la<br />
praticità e l’arguzia. Volendo<br />
ottemperare alle ultime volontà<br />
del marito, ma non sapendo<br />
come fare, scelse di affidarsi alla<br />
fortuna. Scelse la sorte, divise in<br />
parti uguali sia i beni terreni che<br />
materiali; compilò tre bollettini<br />
e li mise in un capello. <strong>La</strong> posta<br />
era alta, molto desiderata erano la<br />
casa Vergeria e, naturalmente, i<br />
possedimenti in Valle d’Oltra. Fece<br />
scegliere prima al più giovane,<br />
quel figlio nato dopo la morte<br />
dell’amato marito: Girolamo.<br />
Toccò poi a Carlo e infine, al<br />
primogenito: Giovanni Andrea<br />
II. A tutti sembrò una buona<br />
idea, soprattutto alla discendenza<br />
maschile. Ciò che non andò in<br />
dote, fu equamente diviso.<br />
Le cose cominciano a complicarsi<br />
con la morte di Giovanni Andrea<br />
II, padre di Suor Nezza. Siamo<br />
nel 1659 e, purtroppo, non fece<br />
in tempo a redigere il testamento.<br />
“In mancanza di figli maschi il<br />
tutto vada equamente distribuito<br />
alle figlie femmine”; vi è però una<br />
postilla: per far si che la Val d’Oltra<br />
rimanga in famiglia, si cerca di<br />
non dividere il possedimento<br />
tra i vari famigliari. Per le figlie<br />
vale la regola di ottenere beni in<br />
proporzione al valore dei terreni.<br />
Suor Nezza (cioè Susana Vergerio<br />
Gavardo) sarà estromessa e<br />
<strong>La</strong> città<br />
continuerà a sostenere le proprie<br />
ragioni fino all’ultimo. Lotta<br />
che poi sarà consegnata alle<br />
generazioni future, ai nipoti<br />
Tommaso, Giovanni Andrea e<br />
Lelio Contesini Ettoreo.<br />
Dopo la morte di Caterina i rapporti<br />
s’inasprirono. Giovanni Andrea<br />
II (padre di Suor Nezza) morì<br />
improvvisamente nel 1659, senza<br />
lasciare testamento. Caterina vergò<br />
il proprio nel 1668, ma non morì<br />
subito. Condivise le pene terrene<br />
con i propri figli ancora per quattro<br />
anni. Li lasciò alla veneranda – e<br />
invidiabile per i tempi – età di<br />
ottantaquattro anni. <strong>La</strong>sciò tutto,<br />
poiché era usufruttuaria di tutti<br />
i beni del defunto marito, ai soli<br />
figli maschi. Alle proprie figlie<br />
non lasciò che ricordi. Con la<br />
specifica che alla nipote Suor<br />
Nezza, dopo aver avuto i 300<br />
Ducati (e tanti stabili in valore<br />
caso mai mancassero contanti)<br />
“non debba haver altro”.<br />
Le pretese di Suor Nezza<br />
cominciarono proprio dopo il<br />
testamento, anzi, dopo la morte<br />
della nonna Caterina, avvenuta<br />
nel 1672. Questa, infatti, non<br />
aveva lasciato quasi nulla alle due<br />
nipoti. Fatto che fu inteso come<br />
ingiusto, per porvi rimedio però,<br />
Suor Nezza cominciò una lunga<br />
contestazione per veder rispettate<br />
le proprie ragioni e i diritti circa<br />
l’eredità del padre.<br />
<strong>La</strong> disputa generazionale ruota<br />
attorno alla decisione del buon<br />
Giovanni Andrea I Vergerio<br />
(decisione espressa nel suo<br />
testamento del 1562), che tutta la<br />
Valle d’Oltra restasse nella casa<br />
e famiglia dei Vergerio. Questa<br />
decisione abbastanza semplice<br />
fu complicata dal testamento di<br />
Gerolamo Vergerio (erede di<br />
maggioranza del lascito dello<br />
zio Giovanni Andrea I). Voleva<br />
che tutti, figli e figlie, avessero<br />
qualcosa. Morto il primogenito<br />
nel 1659 (Giovanni Andrea II<br />
ereditò la primogenitura dopo<br />
la morte di Colmano – padre<br />
Comodo, deceduto nel 1638), il<br />
secondogenito Giovanni Nicola<br />
morì nel lontano 1634, gli unici<br />
rimasti in vita erano Carlo e<br />
Girolamo. Così, in base alla<br />
sentenza del 3 novembre 1672 e<br />
29
<strong>La</strong> città<br />
in base ai mandati per il possesso<br />
(del 29.5 e 14.7. 1672), tale<br />
patrimonio andò proprio ai fratelli<br />
sopravissuti alla sorte: Carlo e<br />
Girolamo. Essendo morto senza<br />
testamento il padre di Suor Nezza,<br />
Giovanni Andrea II, essa tenta di<br />
appellarsi alle ragioni contenute<br />
nella divisione dei possedimenti<br />
fatta da Caterina nel 1641. Si<br />
doveva, infatti, dividere tutti i<br />
possedimenti, anzi, la Val d’Oltra<br />
in eque parti tra i tre fratelli.<br />
Morendo Giovanni Andrea II,<br />
il maggiore dei tre ancora in<br />
vita, e senza figli maschi, la sua<br />
eredità spettava di diritto a Suor<br />
Nezza. <strong>La</strong> condizione espressa<br />
nel testamento prevedeva anche<br />
i casi in cui a uno dei figli non<br />
nascono eredi maschi - ma anche<br />
un eventuale decesso- in questo<br />
caso la porzione del parente<br />
deceduto senza figli maschi, deve<br />
ritornare ai viventi. Alle eredi<br />
vada, invece, “egual porzione di<br />
eredità espressa però in valore,<br />
non in terreni”. Non avendo<br />
alcun testamento, Suor Nezza si<br />
appellava anche alla bontà degli<br />
zii, poiché i proventi dei coloni<br />
siti nelle saline, sono per lei unico<br />
sostentamento. Toltole ciò, non<br />
le rimarrebbe di che mantenersi,<br />
essendosi la sorella maggiore<br />
maritata con Andrea Contesini<br />
Ettoreo, lei doveva provvedere<br />
da sola al proprio mantenimento,<br />
oppure a non perdere la dote per la<br />
monacatura. A questa sua disperata<br />
e accorata richiesta risponde lo<br />
zio, il capitano Carlo, il quale le<br />
cede alcuni terreni. Questo dono<br />
nasconde un inganno. I terreni<br />
in questione sono un campo in<br />
Villa san Piero (Sveti Peter) e uno<br />
a Carcase (Krkavče) nonché un<br />
campetto nel distretto della città.<br />
A ben guardare però, si scoprì che<br />
questi fondi erano carichi di tasse<br />
arretrate. Nuovamente senza soldi,<br />
Suor Nezza coraggiosamente<br />
impugnò l’ennesima sentenza<br />
e chiese una perizia sui beni in<br />
Val d’Oltra, poiché in base al<br />
testamento del bis nonno questi<br />
le appartenevano; ma anche in<br />
base alla divisione di Caterina<br />
nel 1641. Per far si che il tutto<br />
sia imparziale, richiede un terzo<br />
perito.<br />
30<br />
Nel 1673 sembra che la vicenda<br />
sia conclusa. Susana ottiene<br />
quanto chiesto, compreso un<br />
terzo della casa Vergeria e una<br />
piccola rendita da pagarsi in dieci<br />
anni. Ben presto le circostanze<br />
sarebbero cambiate.<br />
Nei primi giorni del mese di luglio<br />
1676, zio Carlo detta le sue ultime<br />
volontà. Cosa mai potrà cambiare<br />
per una delle discendenti del<br />
ceppo maschile, nulla? Oppure<br />
tutto? Capitan Carlo designa come<br />
eredi il fratello Girolamo e i figli<br />
maschi legittimi. Come al solito,<br />
in mancanza di questi tutto vada<br />
alle figlie; mancando la prole,<br />
ed è qui che abbiamo il primo<br />
grande colpo di scena, l’eredità va<br />
alle sorelle Paula (la primogenita<br />
Susana è già passata a miglior<br />
vita), Elena e Felice! Ovvero,<br />
al ceppo femminile. E non solo,<br />
morte loro, tutto va agli eredi<br />
maschi di Susana, Paula Elena e<br />
Felice, cioè alle casate Grisoni,<br />
Brutti, Petronio e Zarotti in “egual<br />
porzione”.<br />
Sembra che tutto debba essere<br />
nuovamente messo in discussione.<br />
Così non é. Forse, non ne ho la<br />
certezza assoluta, forse Suor Nezza<br />
non era a conoscenza di queste<br />
particolari clausole testamentarie,<br />
e magari del testamento in<br />
particolare.<br />
Ennesima sorpresa, alcuni<br />
mesi dopo le ultime volontà di<br />
Carlo, lo zio Girolamo propone<br />
un accordo di transazione dei<br />
beni a favore di Suor Nezza. Si<br />
tratta della conferma di tutte le<br />
spettanze dovutele. Non ci sono<br />
altre notizie intorno a questo<br />
fatto, si potrebbe supporre un<br />
tentato riappacificamento prima<br />
di incontrare gli avi? Oppure lo<br />
zio, dopo il rifiuto dei Vergerio di<br />
Verona a trasferirsi a <strong>Capodistria</strong>,<br />
cercava una madre surrogata<br />
del figlio adottivo? Peccato per<br />
Suor Nezza che questo figlio<br />
morirà molto presto, nel 1678.<br />
Fatto sta che firmano, accettano<br />
e fanno si che la discussione<br />
finisca amichevolmente. Senza<br />
trabocchetti o tranelli, Suor Nezza<br />
finalmente può dirsi soddisfatta.<br />
Per lunghi anni ha cercato giustizia<br />
e ora, finalmente, l’ha ottenuta. <strong>La</strong><br />
sentenza diventa legge, nel marzo<br />
1688, segue un’“apprensione<br />
esecutiva” con cui si pone la<br />
parola “fine” alla faccenda. Le è<br />
riconosciuto, in toto, ciò che fu<br />
già sentenziato e deliberato anni<br />
prima.<br />
A questo punto però, bisogna<br />
ricordarsi del ramo “femminile”<br />
della genealogia, il quale ebbe<br />
figli maschi. Ci ritorna allora<br />
utile consultare le ultime volontà<br />
dell’ultimo Vergerio maschio,<br />
Girolamo, testamento scritto<br />
nel dicembre del 1678. Dottore<br />
a Padova, non ebbe figli, però<br />
decise di adottarne uno. Non solo,<br />
decise anche che tutto ciò che<br />
ereditò, come ultimo discendente<br />
maschio, trascorsi 20 anni<br />
dalla sua morte, vada tutto alla<br />
primogenitura! Sono passati meno<br />
di due anni dall’accordo stipulato<br />
e che chiuse questa lunga disputa<br />
avuta con Suor Nezza (unica<br />
erede, insieme alla sorella, del<br />
ramo maschile). Da buon genitore<br />
pensò al futuro del proprio figlio,<br />
desiderava assicurargli almeno<br />
alcuni decenni di vita agiata.<br />
Lo avrebbero aiutato a crescere<br />
alcuni amici, con il prezioso aiuto<br />
di Valerio Vergerio. Con questa<br />
indicazione, abbiamo la conferma<br />
dell’esistenza, poiché confermata<br />
dal testatore, di un ramo Vergerio<br />
anche a Verona. Quest’ultimo è<br />
stato incluso nel testamento, a<br />
patto però che si trasferisca, con<br />
la famiglia tutta, a <strong>Capodistria</strong>.<br />
Cosa che non fece. Essendo<br />
il ramo maschile dei Vergerio<br />
morto, cioè, essendoci solo<br />
discendenti di genere femminile,<br />
Franceschina e Susana – Suor<br />
Nezza, volendo forse rispettare<br />
le volontà del padre, prese una<br />
decisione che diede una nuova<br />
svolta a tutta la faccenda. Decise<br />
che, la scelta della primogenitura<br />
spettasse al destino! Proponendo<br />
il gioco fatto dalla madre, scrisse<br />
sopra tre fogli, i tre cognomi<br />
più importanti: Grisoni, Brutti e<br />
Petronio, ossia le sorelle maritate.<br />
Omise Zarotti, forse perché non si<br />
hanno notizie di nascite da quel<br />
nucleo famigliare. Il primo estratto<br />
sarà quello che determinerà, dopo<br />
che saranno trascorsi i venti<br />
anni, il diritto alla primogenitura<br />
e, di conseguenza, ad avere
tutto. Nominò poi i commissari:<br />
Santo Grisoni, Antonio Brutti e<br />
Francesco Petronio (i nipoti, figli<br />
delle sue sorelle).<br />
<strong>La</strong> situazione di Suor Nezza<br />
è, un’altra volta, gravemente<br />
compromessa. Ex novo dovrà<br />
dimostrare la legalità e la<br />
legittimità della sua eredità poiché<br />
i tre nipoti si appellano e chiedono<br />
di rivalutare il punto del testamento<br />
della nonna Caterina in cui la<br />
precedenza dell’asse ereditario<br />
spetta ai soli figli maschi. Forti di<br />
ciò, cominciano una nuova serie<br />
di udienze e appelli.<br />
Un primo durissimo colpo alle<br />
certezze di Susana è la conversione<br />
in legge del punto del testamento<br />
di Caterina dove, come detto<br />
sopra, si da precedenza ai figli<br />
maschi.<br />
Quasi ogni mese del 1688 è<br />
rappresentato o da una scrittura dei<br />
Commissari testamentari o da una<br />
risposta di Susana. Vi è un fluire<br />
di ricorsi e appelli. Se Gabriel<br />
Venier, podestà di <strong>Capodistria</strong><br />
il 17 luglio intima ai cugini di<br />
consegnare l’eredità; il 22 luglio<br />
i cugini rispondono asserendo<br />
che, “gli atti che comprovano la<br />
legittimità di Suor Nezza, sono<br />
disordinati e impropri, ecco<br />
perché si ritiene indispensabile<br />
impostare una nuova causa”.<br />
L’alternativa è rappresentata dal<br />
“taglio” (eliminazione) degli atti<br />
datati 17 e 23 marzo. Guarda caso,<br />
proprio quelli che confermano<br />
e concedono a Suor Nezza un<br />
terzo della casa. Il secondo atto<br />
è rappresentato dal ricorso contro<br />
quella transazione fatta dallo zio<br />
nel 1676. Mentre si può ritenere<br />
un gesto furbo quest’ammissione<br />
parziale, in altre parole: le<br />
concedono un terzo dell’eredità,<br />
dalla quale però vanno detratte<br />
diverse spese, ma soprattutto,<br />
mettono in discussione la dote<br />
della nonna Caterina. Questo<br />
punto diventerà il nuovo centro<br />
della discussione. <strong>La</strong> dote della<br />
nonna, doveva rimanere separata<br />
dai beni del marito, oppure doveva<br />
sommarsi? Se diventava parte<br />
del lascito, allora, l’un terzo di<br />
tutto comprendeva anche i campi<br />
in Risano, campo in Sermino,<br />
ottocento ducati (controvalore in<br />
immobili) come riconoscimento<br />
per aver maritato le figliole.<br />
Detrazioni che diminuiscono<br />
di molto ciò che sembrava<br />
appartenere a Suor Nezza. IL nove<br />
marzo 1689 compare, per la prima<br />
volta, il nome di Alvise Contesini,<br />
il quale sostituisce la prozia, suor<br />
Nezza. Un utile fonte per capire<br />
l’entità di questo lascito, sono<br />
i vari conteggi fatti dalle due<br />
parti. Conti che, naturalmente,<br />
differiscono non di poco.<br />
Il litigio sembra non aver fine,<br />
poiché il Podestà continuò a dar<br />
ragione a Suor Nezza, i nipoti<br />
continuarono nell’insistere.<br />
L’ultimo documento, infatti,<br />
quello datato 12 marzo 1689,<br />
addirittura “licenzia” gli avversari<br />
dalla detrazione della dote della<br />
nonna (si tratta di 3.500 Ducati).<br />
L’aver un avvocato in famiglia<br />
significa poter portare avanti una<br />
causa persa. I Grisoni non si sono<br />
fermati di fronte a nulla. Piovono<br />
appelli sino al 1690, almeno<br />
sino a luglio di quell’anno. Suor<br />
Nezza, infatti, dopo “sessantotto<br />
anni di sospiri e dopo nuove<br />
dilazioni concesse ai cugini circa<br />
i pagamenti inerenti l’eredità, e<br />
per assicurarsi la quiete dopo un<br />
così costoso raggiro”, chiede la<br />
sospensione della vertenza con<br />
un accordo. <strong>La</strong> parte avversa non<br />
accetta, anzi, rincara e rende ancor<br />
più amaro il tutto, affermando che<br />
è Suor Nezza che indebitamente<br />
insiste nel voler quello che non<br />
è giusto e che non le spetta.<br />
Considerano l’ultima scrittura<br />
piena d’inutili e vane espressioni,<br />
“onde alla medesima si protesta<br />
di nullità”. Il contenzioso<br />
continua. Inutilmente Suor Nezza<br />
protesta contro le “vane, inutili<br />
e artificiose espressioni fatte<br />
nell’ultima scrittura prodotta”.<br />
Soprattutto quelle concernenti la<br />
seconda parte del punto quattro: la<br />
detrazione della dote della nonna<br />
Caterina.<br />
Suor Nezza è stanca e stufa. I<br />
cugini, capeggiati dall’avvocato<br />
Francesco Grisoni, non mostrano<br />
segni di cedimento. Commuove<br />
l’ultima riga dell’ennesimo<br />
documento scritto da Suor Nezza:<br />
“cessino, dunque, i signori eredi<br />
e commissari testamentari di<br />
<strong>La</strong> città<br />
maggiormente strusciar detta<br />
povera signora, ch’è pure dello<br />
stesso sangue, e acquietino a<br />
giudizi già seguiti a di lei favore,<br />
rinunciando all’appello, onde<br />
possa la medesima ottenere ciò che<br />
le spetta di diritto”. Parole dure<br />
e sincere che forse colpiscono e<br />
smuovono i sentimenti degli’avidi<br />
cugini. Sembra proprio di sì.<br />
L’atto seguente è un testamento,<br />
si tratta delle ultime volontà di<br />
Suor Nezza. Sono passati ben<br />
diciassette anni senza litigi o<br />
comunicazioni bellicose. Circa sei<br />
mesi più tardi, anche Suor Nezza<br />
cessa di vivere. Stanca e affaticata<br />
da anni di lotte, si spegne la sera<br />
del ventisette giugno 1709.<br />
Non si sa bene perché, ma l’anno<br />
1715 è l’anno in cui la lotta si<br />
riaccende. Vi è l’”Assunzione<br />
in giudizio” degli eredi di Suor<br />
Nezza. Anzi, è Andrea (in verità<br />
il suo nome completo è Giovanni<br />
Andrea, ma potrebbe generare<br />
confusione, si è deciso di usare<br />
solo il secondo nome) Contesini<br />
Ettoreo che ricomincia tutto<br />
d’accapo; come procuratore<br />
e in nome di Tommaso, Lelio<br />
Arciprete - i suoi fratelli - e<br />
in nome di Giovanni Tarsia<br />
(consorte della sorella Angela),<br />
Domenico Belgramoni (consorte<br />
della sorella Gioia) e di Giacomo<br />
Tarsia (consorte della sorella<br />
Chiara). E qui scopriamo perché<br />
il tutto ricomincia. Le spettanze<br />
dovute a Suor Nezza, non sono<br />
mai state liquidate! I Grisoni non<br />
hanno mai adempiuto a ciò che la<br />
legge ha imposto: saldare l’eredità<br />
Vergerio.<br />
L’origine della casata Contesini<br />
Ettoreo si ritiene sia molto lontana,<br />
risalente ai tempi delle lotte tra<br />
guelfi e ghibellini. Proprio nel<br />
tempo delle fazioni pro papato o<br />
pro imperatore, questa famiglia<br />
trovò un pacifico e sicuro asilo<br />
nella città di Portogruaro. Nel<br />
1550 un discendente si trasferì a<br />
Isola d’Istria (Izola), dove morì<br />
nel 1610, lasciando una numerosa<br />
prole avuta da tre mogli, l’ultima<br />
delle quali fu una de’ Moratti. <strong>La</strong><br />
loro posizione crebbe con l’eredità<br />
fatta nel 1665, quando si estinse la<br />
famiglia Ettoreo. Ciò risulterebbe<br />
anche dal contratto di matrimonio<br />
31
<strong>La</strong> città<br />
stipulato nel 1711 fra il nobile<br />
Giacomo Tarsia da <strong>Capodistria</strong><br />
e la nobile Chiara Contesini-<br />
Ettoreo. Come da stemma allegato<br />
… I Tarsia, invece, famiglia<br />
importantissima in quanto diede<br />
alla Repubblica Veneta due<br />
dragomanni e undici capitani,<br />
nonché venti sindaci alla comunità<br />
<strong>Capodistria</strong>na. Questo poteva forse<br />
favorire questa contesa? Poteva<br />
forse il ceppo femminile contare<br />
sulla fortuna generata da una<br />
serie favorevole di circostanze/<br />
matrimoni? Due sorelle che si<br />
sposano con due fratelli Tarsia. <strong>La</strong><br />
sorella di mezzo, invece, si sposa<br />
con Domenico Belgramoni. Altra<br />
importantissima e antichissima<br />
famiglia nobile <strong>Capodistria</strong>na,<br />
e si spera, molto influente. Per<br />
palesare i legami tra tutte queste<br />
famiglie, diamo notizia delle varie<br />
parentele, in modo superficiale:<br />
Vergerio appunto, Gavardo, Brutti,<br />
Tarsia, Contesini e, in un ramo del<br />
nostro albero molto recente, anche<br />
Verzi e Morosini.<br />
Questa contesa ormai è diventata<br />
una disputa generazionale che<br />
coinvolge tutta la città. È la vera<br />
eredità che la zia ha lasciato ai<br />
nipoti. Almeno dalla parte dei<br />
Vergerio. In questi anni, mentre il<br />
casato Grisoni è impegnato a Daila,<br />
abbiamo qui il rappresentante<br />
del ceppo femminile della<br />
discendenza Vergerio, Francesco<br />
Grisoni. L’ennesimo. In questa<br />
famiglia vi son due nomi comuni<br />
e che si ripresentano ciclicamente:<br />
Santo e Francesco. Quando non<br />
compare un Santo di Francesco,<br />
abbiamo Francesco di Santo. A<br />
noi basta sapere che nell’anno<br />
1715, quando il podestà era un<br />
certo Marco Magno, al foro di<br />
<strong>Capodistria</strong> vi era l’avvocato<br />
Francesco Grisoni. Accanto a<br />
questo incarico, ricopriva anche<br />
la carica di sindaco della nostra<br />
città.<br />
In previsione di un contenzioso<br />
molto difficile, che durava già<br />
da circa sessantacinque anni, i<br />
Contesini Ettoreo fornirono un<br />
esatto calcolo e stima di tutto<br />
il patrimonio del bis nonno,<br />
Girolamo Vergerio. Qui la disputa<br />
assume un tono nuovo: non si<br />
contesta semplicemente la terza<br />
32<br />
parte dell’eredità del bis nonno, ma<br />
i Grisoni contestano la legittimità<br />
del passaggio della dote della bis<br />
nonna all’asse ereditario. Si tratta<br />
di quei famosi 3.500 Ducati, più le<br />
Saline di Sermino, i possedimenti<br />
in Valle d’Oltra, il Mulino, il<br />
magazzino in piazza da Ponte e la<br />
casa. Un ammontare considerevole,<br />
che poteva cambiare le sorti e gli<br />
equilibri, non solo di queste due<br />
famiglie, ma della città tutta.<br />
Nel settembre del 1715, un foglio<br />
appare solitario su un muro. Quasi<br />
a non dover essere visto. Di solito,<br />
lanciamo una stanca occhiata agli<br />
avvisi così posti. Ma questo è<br />
diverso. Si tratta di un richiamo<br />
di comparizione per appellarsi<br />
a una decisione, entro il termine<br />
di otto giorni. Infatti, non è stato<br />
notato. Francesco Grisoni, grazie<br />
a questo ingannevole espediente<br />
si è assicurato il passaggio della<br />
dote di Caterina al proprio asse<br />
ereditario! Possono continuare i<br />
cugini a fare i conti, ma i giochi<br />
sono ormai chiusi. Se questa<br />
sentenza diventa legge, il ceppo<br />
femminile della famiglia Vergerio,<br />
non può più pretendere nulla.<br />
Convinto di essere nel giusto,<br />
Francesco Grisoni ripercorre le<br />
tappe della vicenda e afferma che<br />
Suor Nezza si è impossessata dei<br />
beni, dal valore di un terzo, in<br />
maggior quantità rispetto a quello<br />
che le competeva. Non solo, nel<br />
1690 ha esteso le sue ingiuste<br />
spettanze sopra i beni dotali di<br />
Caterina Vergerio, della quale<br />
non era erede. E ora, i “coraggiosi<br />
successori della medesima,<br />
suscitano dopo lungo tratto di<br />
tempo la derelitta e ingiusta<br />
pretesa. Non può servirgli di alcun<br />
appoggio il fallace e illusorio<br />
calcolo prodotto”. Soprattutto<br />
dopo che la sentenza, circa la<br />
dote di Caterina, è divenuta legge.<br />
Stando così le cose, “gli avversari<br />
cesseranno le nuove e ingiuste<br />
contese, altrimenti seguirà<br />
l’appello alla sentenza del 1690 in<br />
tutti i suoi punti”, non solo quelli<br />
riguardanti il terzo dell’eredità.<br />
Considerati stravaganti, agli occhi<br />
dei Grisoni, gli atti e i calcoli<br />
forniti e volutamente intesi come<br />
una disperata continuazione delle<br />
intenzioni che furono già della loro<br />
zia. Sono definiti “chimerizzati” e<br />
la loro costanza è reputata come<br />
un “ostinato stancheggio”. I<br />
Contesini Ettoreo rispondono con<br />
un garbato “artifici mendicati”<br />
dalla disperazione e confermano i<br />
propri calcoli, come aderenti alla<br />
realtà.<br />
Suppongo, vista la<br />
documentazione, che quest’ultima<br />
asserzione abbia scatenato le<br />
ire di Francesco Grisoni. Segue<br />
una convulsa e frenetica ricerca<br />
di documenti comprovanti le<br />
varie proprietà nonché crediti,<br />
debiti riscossi, “livelli” (affitti)<br />
e contratti. Avvocato di grande<br />
arguzia, aiutandosi un po’ con<br />
la propria posizione, Francesco<br />
ottiene molto. L’asse ereditario<br />
è ridiscusso: i possedimenti di<br />
Valle d’Oltra vanno ammessi per<br />
il loro intero valore; anche la<br />
torre portata in dote da Caterina<br />
riappare come sostanza da<br />
dividersi; così anche i crediti fatti<br />
al tempo in cui il bis nonno era<br />
ancora vivo e riscossi dalla moglie<br />
dopo la sua morte; bisogna rifare<br />
l’inventario dei mobili e questi,<br />
poi, vanno decurtati dal credito<br />
spettante a Suor Nezza. Gli eredi<br />
Contesini Ettoreo ottengono solo<br />
la ritrattazione della dote, che<br />
a questo punto è ridotta circa<br />
800 ducati. Dalla stessa sono<br />
state tolte le somme date in dote<br />
alle figlie … Non pago di una<br />
vittoria così importante, forse<br />
sempre sentendosi dalla parte<br />
del giusto, Francesco impone un<br />
altro controllo: quello delle spese<br />
sostenute dalla bis nonna dopo la<br />
morte del consorte. Non ha omesso<br />
nemmeno le spese sostenute per il<br />
dottorato di Girolamo Vergerio.<br />
Ovvero, rimette in discussione,<br />
in sostanza, tutte le sentenze<br />
vinte da Suor Nezza! Prima che<br />
si potessero organizzare con una<br />
nuova causa o linea difensiva, la<br />
sentenza diventa legge, grazie alla<br />
decisione del Podestà Francesco<br />
Battaglia. E i giochi sembrano<br />
chiusi per sempre. Scavando fra<br />
le vecchie carte, forse si sarà<br />
ricordato anche di un’altra cosa:<br />
sua nonna, quella Susana che<br />
sposò Francesco Grisoni nel<br />
lontano 1676, era la primogenita<br />
di Gerolamo. Questo gli diede
una nuova idea per una nuova<br />
linea d’appello. Significa che in<br />
base alla clausola contenuta nel<br />
testamento di Giovanni Andrea<br />
I, stilato nel 1562, la linea di<br />
discendenza con priorità è quella<br />
con prole di genere maschile. Si<br />
prospetta un nuovo appello.<br />
Purtroppo, la documentazione per<br />
i seguenti due anni, è lacunosa.<br />
Non vi sono notizie. Compare solo<br />
un giuramento di un certo Alvise<br />
Orsini come difensore della causa<br />
Contesini Ettoreo contro Grisoni;<br />
a seguito della morte fratelli.<br />
In una giornata qualsiasi, nel<br />
mese di maggio, Muore Marianna<br />
Contesini Ettoreo; la pro pro nipote<br />
di Gerolamo e Caterina Gravisi.<br />
<strong>La</strong> data? L’anno? Siamo nel 1780.<br />
Sono passati due secoli, e la lunga<br />
faida non ha ancora termine.<br />
Segna solo l’ultima vittima, ma<br />
non in seguito a congiure, ma<br />
di vecchiaia! Questa è l’ultima<br />
notizia che il libro ci consegna.<br />
Non la fine della vicenda, ma<br />
l’ultimo decesso.<br />
Marianna era l’ultima dei tre figli<br />
di Tommaso, già nipote di quella<br />
Susana Gavardo – Suor Nezza - che<br />
alla lotta dette inizio. <strong>La</strong> famiglia<br />
Gavardo entra a far parte di quella<br />
dei Vergerio, tramite matrimonio.<br />
Nel 1638 Giovanni Andrea sposa<br />
Gioia Gavardo, del fu Nicolò.<br />
Questa nobile e illustre famiglia<br />
ebbe le signorie di S. Pietro o<br />
Carcase (Krkavče) nel 1210<br />
dal Patriarca Volchero (questa<br />
signoria passò in seguito ai Vittori,<br />
altra famiglia imparentata), di<br />
Merischie (Merišče) con Oscursus<br />
(Skorušica) dal secolo XV al<br />
1828, di Castelnuovo del Carso<br />
(Podgrad) dal 1463 (che nel 1521<br />
passò all’Austria). Nel secolo XVII<br />
i Gavardo possedevano anche le<br />
ville di Zabavlje e <strong>La</strong>ura (<strong>La</strong>bor).<br />
Questa stirpe gloriosa diede molti<br />
e illustri guerrieri e letterati. Un<br />
Gavardo era nel 1454 Vicedomio<br />
del Comune di <strong>Capodistria</strong>,<br />
un’alleanza molto importante.<br />
Questa celebre famiglia si divise<br />
nel XIV secolo in due rami: il<br />
primo si estinse nel secolo XIX<br />
con la nascita di due figlie; un<br />
secondo è tuttora fiorente a Trieste.<br />
Contrassero parentela con i conti<br />
Tacco, conti Bruti, conti Borisi,<br />
marchesi Gravisi, conti Tarsia ma<br />
anche con i Vergerio. E in fine<br />
troviamo anche un Alessandrone<br />
Gavardo (a distinzione causa<br />
continua ripetizione di questo<br />
nome nei vari rami) giureconsulto<br />
nelle materie criminali ed<br />
eloquente oratore. Ritiratosi a<br />
Sanvincenti, dopo esserne stato,<br />
per anni capitano e giudice e in<br />
seguito anche a Venezia; dove,<br />
però lo troviamo a convivere con<br />
i fratelli Morosini, i di lui cugini.<br />
Questo fatto diventa importante<br />
quando leggiamo il testamento<br />
dell’Alessandrone; vediamo,<br />
infatti, che lascia, in via di legati,<br />
ai tre fratelli Morosini, tutti le di<br />
lui facoltà esistenti nelle Province<br />
di Venezia, Padova, Treviso e<br />
<strong>Capodistria</strong>. Compare la famiglia<br />
Morosini, la stessa che entrerà<br />
nella genealogia del Vergerio<br />
per matrimonio nell’ultimo ramo<br />
descritto nel libro.<br />
L’importanza di questo legame<br />
risiede anche nelle vicende della<br />
famiglia Gavardo, la quale, nel<br />
corso dei secoli, ebbe a soffrire<br />
anche difficoltà materiali, infatti,<br />
nel 1655 è concesso agli eredi,<br />
“per meriti e per la qualità<br />
di quest’antico casato che<br />
possono annoverarsi tra i più<br />
ragguardevoli, sei ducati il mese”.<br />
Essendosi trovati i supersiti in<br />
tristi condizioni, si decreta di<br />
accordar loro un aiuto, in modo<br />
che possano dedicarsi con più<br />
zelo al servizio della Repubblica.<br />
Forse sono proprio queste precarie<br />
condizioni che inducono la Suor<br />
Nezza (figlia di Giovanni Andrea<br />
II Vergerio e di Gioia Gavardo)<br />
a impugnare il testamento del<br />
bis nonno Giovanni Andrea I<br />
Vergerio. Quello in cui tutte le<br />
proprietà vadano, in mancanza di<br />
figli maschi, equamente distribuite<br />
alle figlie femmine.<br />
Prima di chiudersi la copertina<br />
ci lascia un ultimo segreto: un<br />
foglietto con alcune note. Ho<br />
visionato circa 120 documenti,<br />
tra sentenze e verdetti. Un po’ in<br />
latino e un po’ in lingua italiana<br />
settecentesca. A un certo punto,<br />
molte cose sono state omesse, ma<br />
una riga con un tono maligno, più<br />
delle altre, mi è rimasta impressa.<br />
Non le ho dato bado, perché mi<br />
<strong>La</strong> città<br />
sembrava solo una semplice accusa<br />
nei confronti della già stremata<br />
suor Nezza emanata dal solito<br />
Grisoni. Queste poche parole,<br />
press’a poco, erano queste: “la<br />
somma degli averi dovrebbe essere<br />
questa, tolto ciò che è stato celato”.<br />
Cosa mai poteva nascondere la<br />
povera suor Nezza? Riavvolgiamo<br />
i fogli e, nel conteggio dei mobili<br />
ereditati da Suor Nezza troviamo<br />
la seguente descrizione: un forcier<br />
coperto di pelle. Apparentemente<br />
nulla da aggiungere. Guardando<br />
con sospetto i conteggi fatti<br />
dagli eredi, I Contesini Ettoreo,<br />
vediamo che dalla somma totale<br />
del capitale sono spariti circa 850<br />
ducati e il forcier non appare più<br />
… Appare però questo foglietto<br />
con una nota, scritta da Pietro<br />
Gavardo (zio di parte materna di<br />
Suor Nezza), in cui elenca i danari<br />
che si trovano nello scrigno:<br />
zecchini, ongari, ducati d’oro e<br />
scudi d’argento, ducati veneziani<br />
con un sacchetto di moneta<br />
grossa e uno di moneta diversa.<br />
Un capitale di lire 5.312, ovvero<br />
danari 856 Lire 4 e 16 quarti. Ed<br />
è proprio la somma che entrambe<br />
le famiglie si contestavano, anzi,<br />
tra le molte cose, si accusavano a<br />
vicenda di aver occultato.<br />
Se sapessimo, con assoluta<br />
certezza che Suor Nezza fu<br />
davvero suora e in quale<br />
convento dedicò la sua vita e le<br />
sue preghiere al Signore, forse<br />
potremmo anche noi ringraziarla<br />
di qualcosa?<br />
Stemma dei Vergerio-disegno<br />
di A. Cherini.<br />
33
<strong>La</strong> città<br />
34<br />
<strong>La</strong> CI di Crevatini a San Ginesio<br />
E’ proprio in questo paese, sorto a cavallo tra il X el l’XI<br />
secolo sul colle Esculano nelle Marche, che la Comunita’<br />
degli Italiani di Crevatini ha, nel fine settimana di<br />
ferragosto, organizzato una visita alla scoperta delle<br />
bellezze, uniche, che questo borgo e alcuni altri paesi<br />
limitrofi offrono.<br />
<strong>La</strong> panoramica comincia proprio con la visita di San<br />
Ginesio, borgo caratterizzato, nella costruzione dei propri<br />
edifici medievali, dal giallo oro della pietra arenaria<br />
che grazie allo sfondo dei monti Sibillini propone uno<br />
spettacolo unico.<br />
Il passato forte di questo insediamento si riconosce<br />
immediatamente appena se ne intravede l’entrata<br />
attraverso Porta Picena, una delle entrate che assieme<br />
alle mura del castello, erano in passato indispensabili alla<br />
difesa dagli attacchi dei popoli vicini.<br />
Risalendo dalla parte bassa, verso la piazza centrale, si<br />
presenta la seconda immagine caratterizzante il paese.<br />
Si tratta della Collegiata,ovvero la chiesa principale<br />
risalente al 1098, la cui facciata si accende di rosso al<br />
tramonto. In questo scenario troviamo una presenza che<br />
tiene sempre compagnia ai Sanginesini. E’ la statua di<br />
Alberico Gentili, in ricordo del figlio piu’ famoso di San<br />
Ginesio, autore questo del primo trattato sistematico<br />
del »diritto delle genti«, base per la nascita del moderno<br />
diritto internazionale.<br />
Assieme alle altre attrative come l’Ospedale dei pellegrini<br />
di San Paolo, il teatro Giacomo Leopardi e la Pinacoteca<br />
Scipione Gentili, troviamo la Chiesa degli Agostiniani,<br />
frequentata da San Nicola da Tolentino, nella quale e’<br />
conservato uno dei quattro organi piu’ antichi d’Europa<br />
( 1530). Posso definire, senza dubbio, questo paese come<br />
piccolo gioiello di storia e cultura.<br />
San Ginesio e’ stato la nostra casa per questo breve<br />
periodo di permanenza, durante il quale la comitiva ha<br />
visitato altri punti di interesse nei comuni limitrofi.<br />
Di particolare rilievo ricorderemo la visita, nel comune di<br />
Tolentino, alla Basilica di San Nicola da Tolentino.
Di origine tardoduecentesca in stile gotico a navata unica,<br />
caratterizzata dal soffitto ligneo a lacunari cassettonati, il<br />
cui riflesso aureo rende unica la suggestione.<br />
Basilica che tra le altre particolarita’ ospita Il museo<br />
degli Ex Voto il quale raccoglie 378 tavolette votive, di<br />
cui alcune della fine del Quattrocento, che testimoniano la<br />
devozione per San Nicola. Inoltre il museo del Presepio<br />
artistico presenta una raccolta proveniente da ogni parte<br />
del mondo e attraverso varie ambientazioni ripercorre gli<br />
episodi più importanti del Vangelo.<br />
Altro sito di interesse, sempre nel comune di Tolentino<br />
e’ stato il Castello della Rancia ( dal francese “grange”<br />
ovvero fienile, in quanto veniva utilizzata dai monaci<br />
cistercensi come deposito di derrate alimentari). Si tratta<br />
di un castello, di forma quadrangolare, composto da una<br />
cinta merlata. Famoso per la battaglia della Rancia del<br />
1815 fra l’esercito austriaco comandato dal generale<br />
Bianchi e Gioacchino Murat, re di Napoli, che tentava di<br />
unificare l’Italia.<br />
Avvenimento che fu definito da molti la prima battaglia<br />
per l’indipendenza italiana.<br />
Come ultimo punto di questo breve diario voglio ricordare<br />
il comune di Caldarola e precisamente la visita del Castello<br />
Pallotta. Modificato verso la fine del ‘500 quando il<br />
Cardinale Evangelista Pallotta volle trasformarlo in modo<br />
da adibirlo a propria residenza estiva. Questo al fine di<br />
testimoniare il prestigio del casato e i legami con la curia<br />
romana ed il mondo artistico. Ospiti importanti come il<br />
pontefice Clemente VIII e la regina Cristina di Svezia<br />
<strong>La</strong> città<br />
dimorarono nelle stanze che oggi sono aperte al pubblico<br />
pur essendo sempre di proprieta’ della casata Pallotta.<br />
Stanze nelle quali gli arredi e ogni altro dettaglio, sono<br />
collocati nel proprio contesto originale.<br />
Con questo ultimo ricordo concludo questa breve e<br />
incompleta descrizione delle attrattive di queste terre,<br />
volendo rimandare il seguito, magari, ad una successiva<br />
visita.<br />
E’ di dovere ringraziare il Comune di San Ginesio per<br />
l’accoglienza, nella persona della <strong>citta</strong>dinanza e nella<br />
persona del Sindaco e dei Consiglieri che hanno voluto, alla<br />
fine della nostra permanenza, salutarci personalmente con<br />
l’augurio di rivederci in un futuro non molto lontano.<br />
Roberto Bonifacio<br />
Crevatini ha ospitato la 39.ma edizione del Festival<br />
della Canzone per l'infanzia »Voci Nostre«. Ha vinto il<br />
trio di Verteneglio composto da Erika Paoletić, Elica<br />
Starčević e Petra Grace Zoppolato (Foto Belvedere).<br />
35
<strong>La</strong> città<br />
36<br />
BERTOCCHI: VIII INCONTRO DELLE TRE REGIONI<br />
Anche quest’anno la CI di Bertocchi ha organizzato, nel<br />
mese di novembre, l’Incontro delle tre regioni, giunto<br />
ormai all’ottava edizione. Questa manifestazione è nata<br />
col desiderio di unire realtà artistiche sia della minoranze<br />
sia della maggioranza, provenienti dalla Slovenia,<br />
dall’Italia e dalla Croazia.<br />
Il Focolare – Trieste<br />
Come tutti gli anni, ha preso parte all’evento il Coro<br />
Brnistra-Ginestra, patrocinato proprio dalla CI di<br />
Bertocchi. Il coro ha proposto sia canti italiani sia<br />
sloveni. Il coro è stato diretto da Eliana Humar la quale,<br />
al momento, sostituisce Marko Kocjančič, dirigente del<br />
coro fin dalla sua nascita.<br />
<strong>La</strong> CI di Bertocchi ha avuto il piacere di ospitare, per<br />
la prima volta, anche la filodrammatica della CI di<br />
Castelvenere. Il gruppo, composto da membri dai 10 ai<br />
50 anni, ha proposto un divertentissimo sketch intitolato<br />
“Una giornada quasi normale”, scritto e diretto dalla<br />
mentore della filodrammatica, Tamara Tomasich.<br />
Si è esibito per la prima volta sul palco di Bertocchi, anche<br />
il gruppo di canto spontaneo popolare “<strong>La</strong> Porporela” che<br />
opera in ambito della CI Santorio Santorio di <strong>Capodistria</strong>.<br />
MKUD Sveti Anton<br />
CI Castelvenere<br />
“<strong>La</strong> Porporela” ha proposto pezzi della tradizione popolare<br />
istriana.<br />
Il gruppo che si è esibito successivamente è stata<br />
l’Associazione giovanile, creativa e culturale Sveti<br />
Anton, fondata nel 2009 nell’ambito della parrocchia di<br />
S. Antonio. Il gruppo, composto da giovani, ha proposto<br />
un divertente sketch intitolato “Šjora Karlina”, scritto da<br />
Nelda Štok Vojska nel dialetto di Maresego. Il testo è<br />
stato adattato dai membri del gruppo alla parlata del loro<br />
paese.<br />
L’ultimo a salire sul palco è stato l’Ensemble Vocale<br />
femminile “Il Focolare” di Trieste, nato nel 2000. Il coro<br />
è diretto, fin dal suo inizio, da Giampaolo Sion. Il coro<br />
ha proposto, con successo, un repertorio di pezzi triestini,<br />
friulani ed italiani.<br />
Anche quest’anno l’evento ha attirato un gran numero di<br />
persone che hanno seguito con entusiasmo le esibizioni<br />
artistiche dei vari gruppi, quattro dei quali hanno varcato<br />
il palco di Bertocchi per la prima volta. Un invito a tutti i<br />
lettori a venire alla nona edizione dell’evento il prossimo<br />
anno, sperando che sarà anche questa un successo.
In collaborazione tra la »Vergerio« e la CI<br />
è stato avviato un corso di cucina per alunni<br />
delle elementari. Nella foto Mariella Zanco Tavernise<br />
prepara dei biscotti.<br />
Foto Primožič-FPA<br />
Il 29 ottobre è stato inaugurato il nuovo stadio di<br />
<strong>Capodistria</strong>. Munito di impianto di illuminazione, il<br />
complesso ha acquisito gradinate con 4190 posti a<br />
sedere di cui 3000 al coperto.<br />
Il 27 ottobre si è svolta l’Assemblea dell’Associazione di<br />
amicizia fra gli abitanti delle regioni confinanti. Nella<br />
foto alcuni dei partecipanti – rappresentanti di varie<br />
sigle sindacali slovene e italiane – in Piassal de Derin.<br />
<strong>La</strong> città<br />
<strong>Capodistria</strong> al Concorso Istria Nobilissima 2010.<br />
Primo premio: Manuel Šavron (foto) per »Esecuzione<br />
vocale o strumentale«. Secondi premi: Valentina<br />
Vatovec nella categoria »Poesia-giovani« con la<br />
raccolta »Vari«, Peter Lešnik nella sezione »Saggi<br />
di argomento letterario« per »Platee trionfanti e<br />
palcoscenici roventi«. Menzioni onorevoli: Claudio<br />
Geissa nella sezione »Poesia in lingua italiana« per<br />
la silloge »In smemoriam«, Edda Viler nella sezione<br />
»Video e televisione« per il lavoro »Mentine«. Premi<br />
giornalistici: Elio Radeticchio di Tv <strong>Capodistria</strong>, e la<br />
Redazione italiana di Radio <strong>Capodistria</strong>.<br />
»<strong>Capodistria</strong> in immagini, storie e musica« è un<br />
progetto multimediale sostenuto dalla CI. Musiche di<br />
Marino Kranjac e Dario Marušić, lettura di Alberto<br />
Cernaz e Kristina Menih. Un'ora di programma al<br />
ridotto del teatro comunale con la lettura di brani<br />
sulla storia, la pesca, l'agricoltura, i personaggi e le<br />
tradizioni della nostra città. Intercalate da brani suonati<br />
dal vivo e corredate da immagini proiettate, sono state<br />
interpretate liriche di Edda Vergerio, Gavardo, Cherini,<br />
Manzini, Muzio e un brano tratto dal »Sileno« di<br />
Girolamo Vida.<br />
37
<strong>La</strong> città<br />
Compie dieci anni il Gruppo lavori creativi, guidato<br />
da Biserka Forlani. Tecniche usate: patchwork senza<br />
ago, decupage e fiori di vari materiali. Attualmente è<br />
frequentato da nove membri. Ogni venerdì alle 17.30.<br />
Presso la sezione italiana della Biblioteca civica è stato<br />
presentato il volume »Le perle del nostro dialetto«.<br />
Nella foto, gli autori Marino Bonifacio e Ondina Lusa,<br />
con l'illustratrice Fulvia Zudič.<br />
Otto secoli fa nasceva il Beato Monaldo da <strong>Capodistria</strong>,<br />
insigne giurista francescano, che la CI, assieme al<br />
Convento di S. Anna e la Biblioteca centrale nonchè la<br />
parrocchia triestina di S. Maria Maggiore, intendono<br />
ricordare con una serie di iniziative. Nella foto il portale<br />
della chiesa conventuale di S.Anna.<br />
38<br />
Primo dicembre. Concerto in Comunità della blues band<br />
»Mississipi heat« di Chicago, organizzato e trasmesso<br />
in diretta dai programmi italiano e sloveno di Radio<br />
Koper-<strong>Capodistria</strong>.<br />
Il 30 novembre è stata inaugurata la 26° edizione della<br />
Fiera del Libro di Lubiana, che quest’anno ha visto per<br />
la seconda volta la partecipazione del Centro Italiano<br />
“Carlo Combi” di <strong>Capodistria</strong> nel ruolo di promotore<br />
di pubblicazioni in lingua italiana, bilingui e plurilingui.<br />
L’esposizione è stata realizzata in collaborazione<br />
con la Libreria Libris di <strong>Capodistria</strong> e col supporto<br />
finaziario del Ministero della cultura della Repubblica<br />
di Slovenia. Oltre allo stand nello Cankarjev dom (nella<br />
foto, con la capo programma Roberta Vincoletto), il<br />
»Combi« ha organizzato anche una manifestazione<br />
collaterale: il 2 dicembre il prof. Salvator Žitko ha<br />
presentato il documentario sulla Prima Esposizione<br />
provinciale istriana. Per l'occasione è stata allestita<br />
anche un'escursione per 50 allievi dei Ginnasi »Carli«<br />
di <strong>Capodistria</strong> e »Sema« di Pirano, con tappe al<br />
Parlamento e alla Fiera del libro.
Il CD de <strong>La</strong> Porporela<br />
<strong>La</strong> città<br />
Il gruppo di canto spontaneo <strong>La</strong> Porporela opera da ormai qualche anno con immutato impegno nell’ambito dei<br />
gruppi amatoriali della Comunità degli italiani »Santorio Santorio« di <strong>Capodistria</strong>. Al nucleo storico dei componenti<br />
è venuto a mancare proprio il promotore e fondatore di tale progetto, il presidente della Comunità Lino Cernaz,<br />
ancora presente durante le registrazioni.<br />
Il gruppo <strong>La</strong> Porporela, unito da un legame comunitario e generazionale che vab en oltre la pratica del canto,<br />
continua un suo genuinopercorso musicale che mira innanzitutto alla schiettezza della proposta investendo anche la<br />
sfera dell’aggregazione sociale e del mantenimento delle proprie origini e dell’dentità. A coronamento di tale attività<br />
giunge ora questa testimonianza sonora, che desideriamo dedicare all’indimenticato Lino.<br />
Mario Steffè<br />
Il periodo del secondo dopoguerra e in particolare gli<br />
anni ‘50, segnarono profondi mutamenti nelle <strong>citta</strong>dine<br />
costiere dell’Istria. L’esodo e la successiva massiccia<br />
immigrazione condussero alla radicale trasformazione<br />
del contesto nazionale nella sua componente politica,<br />
sociale e linguistica: l’Istro-veneto resse come lingua<br />
franca, ma la vita culturale della minoranza italiana fu<br />
relegata nell’ambito dei Circoli di cultura, segnandone un<br />
lento ed inesorabile declino.<br />
Una svolta importante fu l’avvento del gruppo musicale<br />
Istranova con le proprie ricerche, motivate dal desiderio<br />
di salvare un patrimonio in forte crisi, ma anche stimolate<br />
dall’esigenza di recuperare una propria identità linguisticoregionale.<br />
Successivamente seguirono il solco di questa<br />
esperienza anche altri progetti culturali e musicali, con<br />
risultati più o meno fortunati.<br />
Il gruppo <strong>La</strong> Porporela, segnato dalla grande passione<br />
peri l canto, è nato da un’idea di Lino Cernaz proprio<br />
con l’intento di mantenere viva e vitale la tradizione<br />
del canto popolare, valorizzando il patrimonio canoro<br />
»cavresano«.<br />
Da un lato il gruppo si affida alla memoria, cioè a quello<br />
che è rimasto tramandato per tradizione orale (vedi<br />
»Varda che bel seren«, »Se savessi Giovanin« e »Vado in<br />
convento«), dall’altro in forma mediata usufruisce delle<br />
fonti annotate da vari ricercatori del passato, servandosi<br />
principalmente della raccolta Canti popolari istriani di<br />
Giuseppe Radole.<br />
Sebbene siano proposte in un’epoca in cui è l’immagine<br />
a primeggiare, per cui anche la tradizione tende ad essere<br />
considerata principalmente in base a criteri di spettacolarità<br />
»televisiva«, le esecuzioni de <strong>La</strong> Porporela restano fedeli<br />
allo spirito del canto popolare, rifuggendo una prospettiva<br />
commerciale. Questa concezione disinteressata e non<br />
utilitaristica si riflette pure sulla scelta del repertorio che<br />
spazia dal prettamente tradizionale al »popolareggiante«,<br />
cioè quello che fu il repertorio <strong>citta</strong>dino capodistriano già<br />
alla fine dell’Ottocento.<br />
Nonostante la sua tendenza conservatrice nel tramandare<br />
i vari fenomeni musicali, soprattutto in ambiente urbano,<br />
la musica popolare mantenne comunque una notevole<br />
ricettività. Tramite le comunicazioni e il commercio,<br />
infatti, si diffondevano i canti che, spesso modificati<br />
secondo il proprio gusto, venivano adottati da una certa<br />
comunità. Su questa scia <strong>La</strong> Porporela, sotto la guida<br />
artistica di Emil Zonta, rinnova ulteriormente e trasforma<br />
questi canti, reinventando vecchi codici di comunicazione,<br />
come dovrebbe accadere in ogni processo che sia realmente<br />
spontaneo.<br />
Il loro merito è principalmente quello di promuovere la<br />
cultura del canto spontaneo dalla voce piena e libera, del<br />
»cantare insieme«, condividendo l’ormai dimenticato o<br />
quantomeno trascurato aspetto delle emozioni che al canto<br />
spontaneo affidava la propria quotidianità. Organizzati a<br />
livello amatoriale, nel contesto in cui operano e nella sentita<br />
esigenza di rafforzare la propria identità istroveneta, sono<br />
assolutamente prossimi all’esperienza popolare.<br />
Oltre ai canti eseguiti da <strong>La</strong> Porporela si è voluto includere<br />
nel CD altri quattro documenti sonori registrati da Alberto<br />
Cernaz a Semedella e Muggia tra il 1997 e il 2002.<br />
I quattro brani sono comunque cantati da capodistriani<br />
e fanno parte del repertorio canoro della <strong>Capodistria</strong> di<br />
ieri.<br />
Dario Marušić<br />
39
<strong>La</strong> città<br />
40<br />
Adesso ghe volessi che cantemo robe più ‘legre<br />
Intervista con i coristi<br />
Si chiama Porporela, richiamandosi al nome del principale mandracchio capodistriano, è composto attualmente<br />
da sette persone soci della Comunità degli italiani “Santorio Santorio” di <strong>Capodistria</strong>. Il Coro nasce nel 2008<br />
con il coinvolgimento di persone che hanno sentito la necessità di rispolverare i canti tradizionali di quest’area.<br />
Canti che magari una volta si intonavano in osteria, in campagna o anche in chiesa e che con l’esodo del<br />
dopoguerra si sono andati perdendo. Ho incontrato due componenti del gruppo vocale – non amano chiamarsi<br />
coro, ma Gruppo vocale – Luigi Maier e Mario Gandusio – e il loro dirigente, il ben noto Emil Zonta, non nuovo<br />
a esperienze di questo genere in altre zone dell’Istria.<br />
Emil Zonta, come nasce l’esperienza<br />
con la Porporela?<br />
Questo era un mio intento già da<br />
molti anni, di formare un gruppo<br />
vocale per ridare voce a vecchi<br />
motivi capodistriani. Dopo vari<br />
tentativi siamo riusciti, ringraziando<br />
anche lo scomparso presidente della<br />
Comunità Lino Cernaz…anche lui<br />
faceva parte di questo gruppo. Lui ci<br />
ha aiutato molto, perché certamente<br />
questa grande cultura capodistriana<br />
se fosse andata dispersa, sarebbe<br />
stato un peccato. Ho messo insieme<br />
del materiale, abbiamo fatto tante<br />
prove e il risultato lo abbiamo inciso<br />
su un CD.<br />
C’e’ abbastanza materiale scritto a<br />
disposizione su cui lavorare?<br />
Ho fatto parecchie ricerche anche da<br />
solo, ma la fonte principale è costituita<br />
senz’altro dall’opera “Canti popolari<br />
istriani” di don Giuseppe Radole<br />
dove sono annotate diverse villotte.<br />
Si tratta di brani popolari antichi che<br />
abbiamo imparato insieme, con tanta<br />
buona volontà da parte dei coristi.<br />
Il CD comincia con “Beviamo<br />
gobeti”.<br />
E’ un brano che si cantava in periodo<br />
di Carnevale, quando i giovani<br />
capodistriani si riversavano nelle calli<br />
spingendo la sagoma di una donna<br />
cantando appunto “Beviamo gobeti”.<br />
E’ stato difficile mettere insieme<br />
persone, che non hanno esperienze<br />
da coristi?<br />
Devo ammettere che all’inizio non<br />
è stato facile. Ci abbiamo messo<br />
tanta buona volontà e con il lavoro<br />
i risultati arrivano. Questo CD è il<br />
primo documento sonoro, storico<br />
capodistriano. Ogni tanto portavo<br />
qualche brano nuovo…“nuovo” di<br />
qualche secolo fa, per intenderci…e<br />
i coristi ci hanno messo l’anima per<br />
impararlo e cercare di interpretarlo<br />
al meglio. Ripeto, la volontà e<br />
soprattutto l’amore per la loro città li<br />
ha aiutati.<br />
Luigi Maier, detto Gigi Moscamora.<br />
Perchè?<br />
Perché mio nono cantava la canson<br />
de Moscamora. Mio nono Biaseto a<br />
<strong>Capodistria</strong> iera come nonsolo – i lo<br />
conosseva duti, Biaseto Moscamora –<br />
po’ iera so fardel che stava in Salara,<br />
Bepi Moscamora che ga fato rider tuta<br />
<strong>Capodistria</strong> e i monti de <strong>Capodistria</strong><br />
in giro…a iera una vigneta a iera.<br />
E’ stato veramente così difficile<br />
cominciare a cantare, come dice<br />
Zonta?<br />
Iera sì una roba un poco difissilota,<br />
perché noi semo oto che se conosseimo<br />
che se vemo messo cantar tramite<br />
Lino…quanto volte se vemo becà<br />
anca co’ lu e col maestro…perché ste<br />
vecie canson che ne ga portà le parla<br />
solo de morti, no xe gnente de ‘legria;<br />
noi pensavamo che canteremo robe<br />
alegre…<br />
Magari in un secondo momento…<br />
Vemo comincià per la verità con<br />
altre cansoni, ma vemo anca smesso<br />
perché no iera considerade vecie<br />
capodistriane. Alora col maestro<br />
gavemo comincià a far ste canson<br />
vecie del Otosento, difati quele che<br />
cantemo ‘desso no le conossi nissun.<br />
Dopo che xe morto el nostro caro<br />
Lino, se gavemo messo ancora più<br />
col cuor. Perché noi quando che<br />
cantemo, lo vedemo, lo vemo sempre<br />
davanti. Quando che fassevimo quei<br />
acuti, no iera miga sempre bel, sa!?<br />
Dopo finido, barufete, batibechi…<br />
Però ricordo quanto il presidente<br />
sforzava perché esca quanto prima<br />
il CD…come un presentimento…<br />
Mi quela matina che go ciapà la<br />
telefonada me xe vignù un colpo<br />
al cuor. Lui iera una persona che<br />
ogi se becavimo, el giorno dopo<br />
se brassavimo. Iera un omo che no<br />
sentiva risentimenti, sempre alegro.<br />
Iera lu’ che tirava avanti, lu’ iera<br />
l’anima de questa Comunità, bisogna<br />
dir la verità. Parla con qualsiasi, te<br />
sentirà che Lino iera l’anima dela<br />
Comunità. Ne manca sai. E proprio<br />
per questo noi andremo sempre più<br />
avanti, pensando a lui.<br />
Gigi, approfitto delle tue origini<br />
“paolane” per chiederti, quanto<br />
era importante il canto una volta?<br />
I paolani quando che i tornava a<br />
casa stanchi se trovava ostaria,<br />
specialmente la domenega i andava<br />
de Rampin e iera la cantada. Ma chi,<br />
istrian, no cantava? Tuti ghe piaseva<br />
la cantada. Dopo l’esodo, a Trieste…<br />
specialmente via <strong>Capodistria</strong> e de quele<br />
parte là… i cantadori capodistriani se<br />
trovava. Mio pare, i mii fradei - iera<br />
in quatro i Moscamora – tante volte<br />
che vigniva a casa, chi che vigniva<br />
diseva “Madona! Come che canta sta<br />
gente”. Ghe piaseva, iera gente che<br />
ghe piaseva cantar e i saveva cantar.<br />
C’è anche una canzone popolare che<br />
parla del “Canal de Moscamora”,<br />
no?<br />
In Canal de Moscamora, dove che<br />
gavevimo anche noi una campagna.<br />
In Salara, in fondo, iera el Canal de<br />
Moscamora.<br />
Se la ricorda?<br />
Poco. Go dito tante volte…mi<br />
no go fato, perché no se se rendi<br />
conto, quando che se xe giovani che<br />
bisognaria prender dute ste robe qua.<br />
Mio papà a <strong>Capodistria</strong> me spiegava<br />
tuti i cantoni, tute le pissade che ga<br />
fato a <strong>Capodistria</strong> lu’ le saveva tute.<br />
E adesso che ‘l xe morto me ga tanto<br />
dispiasso. Sta roba qua no bisogna mai<br />
dismentegar. Sto qua xe importante.<br />
Tante robe so, però tute quele robe<br />
che me gavessi insegnù lu, mai più no<br />
le savaremo. E questo qua go sempre<br />
un rimorso dentro de mi perchè no lo<br />
scoltavo tante volte.<br />
Gigi, ma se c’era un coro<br />
leggendario a <strong>Capodistria</strong>,<br />
era quello del Duomo, che era<br />
comunque composto soprattutto
da paolani.<br />
Il coro della ciesa iera una roba<br />
meraviliosa. Anca la gente che no<br />
iera credente i vigniva scoltarlo…<br />
perché veramente tremava la ciesa;<br />
ma no perché i cantava solo forte: i<br />
saveva cantar. El coro de <strong>Capodistria</strong><br />
iera nominado, i podeva andar cantar<br />
dove che i voleva.<br />
Gente che zappava tutto il<br />
giorno…<br />
Gente che sapava duto el giorno e po’<br />
se lavava e andava a cantar in Domo.<br />
Mario Gandusio: invece la<br />
tua famiglia è sempre vissuta<br />
nell’immediata periferia di<br />
<strong>Capodistria</strong>.<br />
Mi son nato a Villesan e poi son vignù<br />
a Semedela.<br />
Anche fra i contadini di fuori c’era<br />
questa passione per il canto?<br />
Sens’altro. I giovanoti de Semedela,<br />
San Marco e dintorni…prima de<br />
tuto se cantava sui nostri loghi,<br />
poi se veniva dimostrar la capacità<br />
anche a <strong>Capodistria</strong> dove se trovava<br />
ste companìe, che cantava, che se<br />
divertiva. E iera le sfide se fasseva<br />
proprio a cantando. Iera un piacere.<br />
Mi me lo ricordo perché venivo a<br />
scoltarli con piacer, a boca aperta.<br />
Iero putel, me fermavo a scoltarli e<br />
iera un gusto propio. Per questo me<br />
ga preso volia de novo de tornar su ste<br />
cansonete vecie, che xe bel scoltarli.<br />
Mio amico Gigi, diceva che xe duto<br />
cansonete che se piangi, ma una<br />
volta se trovava gusto anche queste<br />
canzonete a cantarle. E veramente<br />
te veniva anche le lagrime ai oci; mi<br />
me le ricordo ancora qualchiduna…<br />
magari no so tute le parole.<br />
Si ricorda qualcuna in<br />
particolare?<br />
Me ricordo, per esenpio una faceva<br />
“Io maledico la prima pietra di quel<br />
convento”…che fa pianger.<br />
Me la intona?<br />
“Io maledisco papà e mama, fratel,<br />
sorele. Una di quele mi ha tradì, in<br />
quel convento dovrò morir”. Cussì,<br />
me par.<br />
Zonta, sono melodie che hanno<br />
un’anda antica…<br />
Ma certi brani si possono far risalire<br />
al ‘600, ‘700. Altri sono ovviamente<br />
molto più recenti, ma alcuni sono<br />
veramente vecchi di secoli. Brani<br />
che ritroviamo magari anche altrove,<br />
specie in Istria, ma che variano nel<br />
testo – a volte anche nella melodia<br />
– a seconda della località in cui si<br />
canta. <strong>La</strong> popolare “Dove ti vadi<br />
bela bruneta”, ad esempio, l’abbiamo<br />
interpretata nella versione peculiare<br />
capodistriana.<br />
Gigi, le piaccioni i testi?<br />
Xe bei, ma no xe una che parla<br />
qualcosa de bel!! Go dito tante volte a<br />
Zonta, qua ghe vol un poca de alegria.<br />
Cò’te vol bever un goto de vin co’<br />
queste canson qua.<br />
Mario?<br />
Ma vara che una volta se cantava<br />
cussì. Mi cantavo tante de queste.<br />
Mi, se le me ven inamente, ghe ne<br />
so…dieci drioman. “Torna ‘l marito<br />
dela botega”, “Mia cara Lena”…Ben,<br />
desso bisognarà far anca queste.<br />
Dunque ci sarà ancora da lavorare<br />
per mettere questi testi su carta e<br />
impararli di nuovo, Gandusio.<br />
Ma sì, col nostro maestro qua mi<br />
credo che faremo ancora qualche<br />
cosa de buono. Se daremo de far,<br />
stemo lavorando. Adesso, ciamemo<br />
cussì, semo ancora principianti, ma<br />
impareremo.<br />
(GIGI) E restaremo principianti! <strong>La</strong><br />
gente no devi aspetarse de noi chissà<br />
cossa. Noi semo oto…oto cuchi! in<br />
poche parole, che se ga messo insieme<br />
sensa ver mai cantado. E perciò la<br />
gente no devi aspetarse che semo<br />
dei campioni. Ne piase! Ne piase la<br />
companìa e perciò cantemo col cuor.<br />
Principianti o no, sicuramente state<br />
facendo un lavoro prezioso. Gigi,<br />
una volta cantavano solo gli uomini<br />
o anche le donne?<br />
Ma più i omini. Dopo qualche volta<br />
se tacava qualche dona, e le veva bele<br />
vose, me ricordo. I omeni ghe dava<br />
la vose forte, la vose dela dona iera<br />
come un penel.<br />
(MARIO) Una volta se cantava sai<br />
per le ostarie. Iera solo che alegria;<br />
che no se pol dimenticar le cose.<br />
(GIGI) In quela volta, la gente con<br />
poco se divertiva. No xe come ‘desso.<br />
Anche i paolani indove i ‘ndava? I<br />
‘ndava spoiar formenton, in stala,<br />
quel quel l’altro, la sera i vigniva co’<br />
la cantada, o le barselete qualcosa,<br />
el goto de vin e la cantada. No iera<br />
altro, no iera dischi, celulari…iera<br />
tuta un’altra vita.<br />
Avete inciso il CD. Lo farà sentire<br />
ai nipoti che magari impareranno<br />
qualcosa.<br />
Sì, ma xe difficile che sta roba vadi<br />
‘vanti. Tu papà ga sempre dito:<br />
<strong>La</strong> città<br />
“Cerchemo, fassemo, se cercherà<br />
de far, se farà, pian pian”, ma me<br />
par invesse che se sta spegnendo un<br />
poco ala volta. Purtropo, tante volte<br />
go gavù anche dei dibattiti…saria bel<br />
che andassi avanti! Però sarà dificile.<br />
Ancora sta nostra generazion, dopo<br />
no so più avanti come che andarà<br />
finir.<br />
Che fare Zonta?<br />
Noi per adesso cantiamo per il gusto<br />
di farlo. Bisogna rendersi conto che<br />
la tradizione e il canto in questo caso<br />
ti ricollegano alle radici di un luogo.<br />
E se un posto o una persona perde le<br />
radici, secondo me perde tutto.<br />
Il paolan Checo Bussa in una<br />
caricatura di Rino Rello pubblicata<br />
sul giornale satirico Marameo!<br />
il 6 1 1922.<br />
I brani contenuti nel CD:<br />
1. Beviamo gobeti<br />
2. In mezo ‘l mar<br />
3. Varda che bel seren<br />
4. <strong>La</strong> pesca dell’anello<br />
5. <strong>La</strong> bevanda sonifera<br />
6. Me voio maridar<br />
7. <strong>La</strong> malattia dell’amata<br />
8. Se savessi Giovanin<br />
9. Che te vegnissi trata una<br />
sassada<br />
10. Barcarolo<br />
11. Un’eroina<br />
12. Vado in convento<br />
13. <strong>Capodistria</strong>na bella<br />
14. Canzone dei pescatori<br />
15. In Canal de Moscamora<br />
16. In piassal de Bossedraga<br />
41
<strong>La</strong> città<br />
42<br />
Torna il suono del mandolino<br />
A quasi trent’anni dalla scomparsa del maestro Scocir, un gruppo di entusiasti ha rispolverato gli strumenti e si<br />
incontra ogni martedì sera nella mansarda della Comunità. L’idea è partita dal chitarrista Marino Orlando, seguito<br />
poi dai fratelli Bruno (basso) e Giuliano (mandolino), e altri due mandolinisti: Alenka Orel e Gianfranco Riccobon.<br />
Marino in che anni hai cominciato a suonare con la<br />
mandolinistica?<br />
Io ho cominciato abbastanza presto, sarà stato il ’57-’58.<br />
Ho cominciato a conoscere i segreti della musica proprio<br />
nel Circolo.<br />
Come sei stato introdotto in questo gruppo?<br />
Per puro caso, perché il mio desiderio era di suonare la<br />
fisarmonica. Poi invece… naturalmente la fisarmonica<br />
costa, e i miei m’hanno detto “Ti va di suonare? Va in<br />
Circolo da Scocir e vedi cosa puoi fare”. E’ iniziato per<br />
un caso fortuito, ma poi ho continuato per più di due<br />
decenni.<br />
Le mandolinistiche erano un pretesto, oltre che per<br />
conoscere la musica, anche per stare insieme…<br />
Di tutto, perché in quei tempi si andava a vedere la TV dei<br />
ragazzi...perchè a <strong>Capodistria</strong> allora ci saranno stati duetre<br />
televisori. Anche la mandolinistica è stata un motivo<br />
in più per stare assieme con gli amici.<br />
Quanti eravate?<br />
Il gruppo di <strong>Capodistria</strong> era molto nutrito, mi ricordo<br />
ancora degli amici che se ne sono andati ai tempi<br />
dell’esodo. Di solito eravamo sui 25-30 elementi.<br />
Matteo Scocir ha insegnato ai ragazzi anche la teoria.<br />
Sì, tutti quelli che hanno frequentato la mandolinistica di<br />
Scocir, hanno imparato le basi teoriche, solfeggio. Queste<br />
basi ci hanno consentito di proseguire poi da soli, alcuni<br />
di studiare avanti e di allargare le competenze musicali.<br />
E a distanza di trent’anni ti è venuta la voglia di<br />
suonare…<br />
Finita l’era Scocir, in quegli anni ’80 mi sono sposato,<br />
ho avuto altri impegni e quindi ho messo il mandolino<br />
un po’ da parte. Mentre l’anno scorso (2009) ho deciso<br />
di riprendere il discorso della musica. Ho chiamato i miei<br />
due fratelli più giovani e l’amico Gianni Riccobon, e<br />
stiamo provando a formare un quartetto, con la musica di<br />
allora e con alcuni pezzi che sto adattando per un quartetto<br />
di mandolini e chitarra.<br />
Come sta andando? Senti le dita un po’ arrugginite?<br />
Si sono già riprese…è già quasi un anno che ci ritroviamo<br />
ogni martedì e siamo soddisfatti.<br />
Avremo modo di ascoltarvi dal vivo?<br />
Per i momento suoniamo…per la nostra anima e per i<br />
nostri sogni. Quindi ogni occasione e buona per poi fare<br />
la suonatina, la cantatina. Chi vivrà vedrà.
Marino Orlando<br />
Che cosa ha rappresentato Matteo Scocir per la vostra<br />
generazione?<br />
Per me è stato un grande maestro, di musica e di vita. Ha<br />
lavorato coi giovani da sempre, quindi sapeva quali sono<br />
i loro problemi e sapeva come indirizzarci. Sono ricordi<br />
bellissimi.<br />
Tra tanti concerti che avete fatto, quale ti è rimasto<br />
più impresso nel ricordo?<br />
Il più grande successo è stato il concerto delle tre<br />
mandolinistiche istro-quarnerine riunite, quindi parliamo<br />
di <strong>Capodistria</strong>, Fiume e Pola, che all’incirca nel 1965<br />
furono invitate alla Filarmonica di Lubiana. Concerto<br />
delle mandolinistiche riunite, più il coro della “Marco<br />
Garbin” di Rovigno.<br />
Come vi accolsero i lubianesi?<br />
Con mezz’ora di ovazioni, una cosa incredibile. Purtroppo<br />
non so se esista qualche traccia registrata di questo<br />
concerto.<br />
Negli ultimi anni avverto un certo revival del<br />
mandolino.<br />
Direi di sì. A Lubiana esiste da cinque anni l’orchestra<br />
“Mandolina” che, da quanto ho potuto ascoltare sul CD che<br />
ho trovato, sono veramente bravi. Sono ragazzi giovani,<br />
hanno un repertorio ampio e variegato. Sarebbe auspicabile<br />
veramente organizzare un incontro di mandolinisti di tutta<br />
la regione…Slovenia, Istria eccetera.<br />
<strong>La</strong> città<br />
Sempre in collaborazione tra la scuola »Vergerio« e la CI<br />
è stato inaugurato, a novembre, un corso di educazione<br />
all'immagine foto-video. Mentore Damian Fischer.<br />
Il 1 dicembre 2010 sono stati spenti in Slovenia tutti<br />
i trasmettitori analogici terrestri e la diffusione<br />
televisiva avviene tramite il segnale digitale<br />
terrestre nel formato MPEG 4, sempre dalle stesse<br />
postazioni di trasmissione. Per continuare a seguire<br />
i programmi di TV <strong>Capodistria</strong> è necessario quindi<br />
munirsi di un decoder MPEG-4 per il digitale<br />
terrestre o di un televisore con integrato un<br />
ricevitore MPEG-4. A chi già riceveva il segnale<br />
di TV <strong>Capodistria</strong> non servirà spostare l’antenna.<br />
Sarà necessario solo sintonizzare o risintonizzare<br />
il ricevitore MPEG-4. Ricordiamo che i programmi<br />
di TV <strong>Capodistria</strong> si possono seguire anche via<br />
satellite su Hot Bird 13 gradi est e sulla piattaforma<br />
satellitare italiana Tivu`Sat.<br />
Informazioni: www.rtvslo.si/tvcapodistria<br />
(tel. 00386- 5-6685102)<br />
Il 7 dicembre la CI ha reso omaggio ad Pier Antonio<br />
Quarantotti Gambini. Conversazione con Rosanna<br />
Giuricin sui luoghi della memoria biografica e letteraria<br />
e proiezione di filmati dall'archivio di TV <strong>Capodistria</strong><br />
con interviste d'epoca allo scrittore e trasposizioni<br />
cinematografiche dalle sue opere letterarie.<br />
43
<strong>La</strong> città<br />
“Letere dal Siam” Bangkok, 27 Ottobre 2010<br />
Marocco: viagio nel paese de l’oio de cavra<br />
Miei cari,<br />
son pena tornà a casa, oviamente in Tailandia, ma son passà prima da un paese dove se trova e se usa l’oio<br />
de cavra. No se scandalizi i animalisti, l’oio de cavra no se otien spremendo le cavre, come se podaria pensar<br />
per analogia con l’oio de oliva. Anzi ultimamente le cavre le xe squasi lassade de parte e fra poco sarà solo<br />
un ricordo, visto che adesso le più grandi dite de cosmesi se afreta a comprar e sfrutar, ma sensa cavre, con<br />
sistemi industriali, le piantagioni de una certa pianta che se trova solo in Marocco. Perché sto paese xe apunto<br />
el Marocco e quel famoso oio de cavra, adesso al se ciama uficialmente oio de argan. Ma fin a no tanti ani fa<br />
prima de diventar oio, el fruto de l’argan passava esclusivamente attraverso el corpo delle cavre. Come jera (e<br />
xe ancora, ma marginalmente) la procedura? Forse do parole su questa pianta, no saria mal dato che da noi no<br />
la xe conossuda, a parte quei che se interessa de cosmesi, ma anca quei solo quei proprio del mestier.<br />
In francese l’albero se ciama arganier (“argania spinosa”<br />
in botanica) e al xe endemico del Marocco anca se tanti<br />
milioni de ani fa se lo trovava anca de altre parti de<br />
l’Africa occidentale (ma i disi che in Marocco se la trova<br />
da “solo” 80 milioni de ani). Come disevo, con l’avansar<br />
del deserto l’area su cui cressi sta pianta la se ga sempre<br />
più ristreto e adesso la se trova praticamente solo int’un<br />
triangolo che va da Marrakech a Essaouira, sul mar, e zo<br />
lungo la costa fin a Agadir per risalir a Marrakech.<br />
Dentro sto triangolo se trova la località de Argana da<br />
cui i disi che deriva el nome dela pianta (arganier). Ma<br />
altri la conta diversamente e i disi che in lingua berbera<br />
“argan” vol dir semplicemente oio. Se trata de una bela<br />
pianta granda che pol durar anca dosento ani. Se adata<br />
perfetamente al clima secco, ma no arido, del Marocco<br />
centro-meridionale e fin a no tantissimi anni fa, a vigniva<br />
sfrutà solo dale popolazioni berbere dela zona, che usava<br />
quel oio sia per alimento che per far andar via i dolori<br />
(in particolare reumatici). Go a casa una botiglia de litro,<br />
comprada tanti ani fa e devo dir che me ga sempre fato<br />
efeto. Un massagin su le parti dove sentivo qualche dolorin<br />
e duto passava. Forsi saria passà lo stesso anca sensa oio,<br />
ma comunque al passava. L’albero ga foie verde scuro<br />
tipo aghi e fa fruti che somiglia a le olive, ma no xe olive<br />
e ogni baca ga tre ossi lunghi come quei dei dateri.<br />
Ma cossa ghe entra le cavre? Le cavre iera de la massima<br />
importanza per la produsion de quel oio. Cioè le cavre<br />
va mate per le foie e i fruti de questa pianta. Le ga fin<br />
imparà a rampegarse sui rami dei alberi per magnarle.<br />
Ne la fotografia l’albero xe un poco scassà ma jera tante<br />
44<br />
cavre su un solo albero che meritava fotografarlo.<br />
Una volta magnade le bache, le cavre le digerissi e dopo<br />
le le espelli (disemo cussì) con le feci. Oviamente i ossi<br />
resta ossi, ma i contadini berberi disi che per otener un oio<br />
particolarmente efficace, ghe vol che al passi attraverso la<br />
digestion. Le done (de solito le done xe quele che fa sto<br />
lavor) le tira su i ossi digeridi de le bache, i li spaca e col<br />
contenuto le fa l’oio. De quel che i m’à contà, par che ghe<br />
vol circa un quintal de fruti per ricavar un chilo de oio.<br />
No per gnente al xe sai caro. I berberi lo usa anche come<br />
benvenuto sia per i ospiti che per i fioi ‘pena rivai su sto<br />
mondo.<br />
Adesso però le robe sta cambiando, le dite de cosmetici<br />
no ga tempo de spetar che le cavre digerissi i ossi e alora<br />
duto xe prodoto con sistemi industriai e l’oio de cavra<br />
xe diventà oio de argan. Xe anca sai difficile trovar tante<br />
cavre su un albero. Tanto che me xe vignù el sospeto<br />
(anzi più che un sospeto) che se vedi cavre sui alberi,<br />
solo lungo i percorsi turistici a beneficio esclusivo de le<br />
machine fotografiche de questi. Xe robe viste un poco in<br />
dute le parti del mondo. Quel che una volta al jera genuin,<br />
adesso i lo presenta come folklore ma no ga più punti<br />
de riferimento con la vita de duti i giorni. Son contento<br />
de esser sta anca tanti ani fa, quando ste robe le jera<br />
ancora vere e no “roba per turisti”. Adesso questi derivati<br />
e sottoderivati de sto oio, i ven vendudi in profumerie,<br />
farmacie, a prezzi che una volta i iera inimaginabili.<br />
Questa xe una foto scatada in una profumeria e duto quel<br />
che xe sui scafai al ven da questo benedetto oio: creme,<br />
profumi, tisane ma anca botigliete de oio. Xe diventada
Tramonto nel palmeto a la periferia de Marrakech<br />
una industria, vera e propria.<br />
Quei che ga leto le mie ultime “lettere dal Siam” se sarà<br />
inacorto che se trova sempre qualche accenno alle varie<br />
minoranze e magioranze che go trovà nei vari paesi e ai<br />
modi che in sti paesi i gestissi la situasion. Più o meno<br />
ben, più o meno mal! Qualche volta par che qualchidun<br />
no sapi o no gabi proprio voia de gestirla. Quasi par che<br />
mi ste situasioni le vado a sercar e invese penso che in<br />
modo più o meno evidente, ste situasioni le xe in duto el<br />
mondo. El fato xe che uno vedi mejo, in qualunque parte<br />
del mondo al vadi, le robe che xe più presenti nei suoi<br />
interessi e nella sua problematica. Come dir le robe che al<br />
xe più portà a veder. I altri gnanca i se ne ‘corzi. Quel che<br />
a uno no ghe interessa, lu proprio no lo vedi. Come dir che<br />
qualchidun anca solo caminando per le strade, vedi duto<br />
quel che xe in una vetrina (metemo de vestiti). Compreso<br />
modello, color e prezzo, mi invesse, no me inacorzo<br />
gnanca che jera una vitrina! Cussì anca nel campo dele<br />
minoranze etniche.<br />
In Marocco son sta con un gruppo de amici. Nissun ga<br />
notà che anca in Marocco el problema de le minoranze<br />
esisti e anca sai radicado, per serti versi, tanto che le<br />
guide serca de evitar questo discorso coi turisti, cioé<br />
del problema de queste minoranze, anzi in generale del<br />
Nel cortile interno de un palazzo nel cuore de la medina<br />
<strong>La</strong> città<br />
cussì ciamà Sahara Occidentale. In effetti se trata de un<br />
stato grando squasi una volta e meza l’Italia. Xe un stato<br />
riconossù da l’Unione Africana, ma no dall’ONU, che lo<br />
elenca fra i teritori “non indipendenti”. Sto stato ga un<br />
nome “Repubblica Democratica Araba Sahrawi”, ga un<br />
presidente de la repubblica ma …. ‘in pratica nol esisti.<br />
I marochini ga ocupà e sta sfrutando (fosfati) una gran<br />
parte de sto stato e po’ i ga costruì, per taiar fora el resto<br />
dei Sahrawi (sti abitanti del Sahara), un “muro” de sabia<br />
longo circa 2000 chilometri, che comprendi due argini,<br />
alti 3 metri e proteti da campi minai e da fortilizi costruidi<br />
ogni cinque chilometri. No mal, proprio nel periodo che i<br />
butava zo i vari muri de Berlin.<br />
E questo xe una carateristica del Marocco ma... guai<br />
parlar de sta roba. El problema uficialmente nol esisti<br />
e duto quel teritorio le autorità lo considera parte del<br />
Marocco stesso.<br />
Ma xe un’altra situasion sai strana, strana nel senso<br />
che xe dificile trovarla in altri paesi. Per duti quei<br />
che riva qua (parlo de turisti, ma in generale per la<br />
gente che no ga sti problemi per la testa), el Marocco<br />
xe un paese arabo, dove se parla arabo, de cultura<br />
quindi araba, insoma arabo a duti i efeti. E no se pol<br />
darghe torto. I giornai xe scriti in arabo, la TV parla<br />
in arabo, ne le cità ti senti parlar arabo.<br />
Cossa ti vol de più? Ma invesse le aparenze,<br />
ancora una volta le ingana. <strong>La</strong> maggioranza de la<br />
popolasion, no xe araba, ma berbera! Qua no se parla<br />
de magioranze relative, se trata che su 34 milioni<br />
de abitanti che ga el Marocco, oltre 25 (forse 26)<br />
xe berberi. Maggioranza assoluta, ma qua el potere<br />
politico, religioso e cultural, xe completamente in<br />
man de la minoranza. Tanto che oramai solo el 40%<br />
parla lingue o dialetti berberi, dato che scole, giornai<br />
e TV xe sempre stai solo in arabo, tanto che l’unica<br />
TV in lingua berbera che esisteva fino a poco tempo<br />
fa, trasmeteva da la Francia “Berber TV”. Solo de<br />
poco tempo in qua, anca in Marocco xe in funsion<br />
un canal televisivo berbero, ma nissun giornal, anca<br />
se i berberi ga sempre bu la scritura za a partir del I<br />
milenio prima de la nostra era (i la ciamava scritura<br />
libica). Ma sora duto solo da pochissimo tempo xe<br />
sta introdoto a scola l’insegnamento del berbero<br />
anche se no i ga nissuna intension de riconosserlo<br />
come lingua uficial del paese.<br />
Un ultimo accenno a sto argomento: noi “occidentali”<br />
li ciamemo “berberi” ma lori no se ciama cussì, ma<br />
Imazighen (che volaria dir “omini liberi”) e la loro<br />
lingua tamazight. <strong>La</strong> parola “berbero”, con la quale<br />
noi li ciamemo deriva dal francese berbère, che a sua<br />
volta deriva dall’arabo “barbar” che, sai facile, xe la<br />
continuasion della parola romana “barbarus”, parola<br />
che i antichi Romani usava per indicar duti quei che<br />
no parlava latin. Perfin el scritor roman Sallustio, nel<br />
suo “Bellum Iugurthinum” (capitolo 18) al ciamava la<br />
lingua dei nativi, “barbara lingua”. Metemo però ben<br />
in evidenza che i “berberi” rapresenta la popolasion<br />
autoctona del Nord Africa. Autoctona, ma sensa<br />
diritti. Dopo de lori xe rivai i Fenici, i Greghi e dopo<br />
ancora i Romani, i Vandali. Fin che i Arabi xe rivai<br />
45
<strong>La</strong> città<br />
atorno all’ano 800, i ga portà la religion islamica che,<br />
da quela volta, xe la religion dominante ne la region, i<br />
se ga fato paroni, i ga resistì a le invasioni portoghesi,<br />
spagnole e francesi, per tornar dominanti da un<br />
secolo a sta parte. Ma i Berberi xe restai dominai e<br />
praticamente sensa diritti anche se, paradossalmente,<br />
i ga lassà ne la toponomastica nomi importanti. <strong>La</strong><br />
più conossuda città del Marocco, Marrakech, ga un<br />
nome che deriva dal berbero “mur akush” che vol dir<br />
“tera de dio”, e perfin una città europea ga un nome<br />
che xe almeno in parte berbero e cioè Gibilterra. Infati<br />
deriva da “gebel el tarik” (monte de Tarik) dove gebel<br />
xe arabo, ma Tariq xe un nome tipicamente berbero<br />
e jera el nome de un general berbero che ga portà i<br />
Arabi a conquistar la Spagna.<br />
Giremo pagina! E serchemo de dar una idea de<br />
una tipica città marocchina. Se riferimo, per forsa,<br />
a la parte vecia dele cità, perché la parte nova ze<br />
fata sul tipo dele nostre, con viai alberadi, giardini<br />
e magari ville con piscina incorporada. Ma la vera<br />
atmosfera marocchina se respira ne la medina (che<br />
saria la “cità sacra” dove duta la vita se basa sul<br />
46<br />
Particolari segnai stradali ne la medina: »divieto de<br />
accesso per i mussi«<br />
Un vicolo de la medina<br />
modo de vita mussulman e le case se ingruma atorno<br />
a le moschee e a la medersa (la scola coranica). In<br />
reparti netamente separai, abitava una volta i ebrei<br />
(la mellah, che corispondi al gheto de le nostre parti),<br />
ma adesso però, ebrei no ghe xe squasi più. Sensa<br />
alcool, sensa edifici de culto de altre religioni; anca<br />
quei che ghe abita dovaria esser duti mussulmani. Xe<br />
duto un groviglio de vicoli streti, dove l’unico mezo<br />
de trasporto, oltre a le spale dell’omo, xe el mus. E<br />
se senti spesso un che siga “balek”, atension, per far<br />
strada al so mus ne le strade strete e batude de gente.<br />
Perché la vita ne la medina (e ancora de più nel suq,<br />
rion del “mercato”) se svolgi ne le strade. El vicolo,<br />
per l’abitante de la medina, no xe solo un logo de<br />
passagio; xe anca e forse principalmente un logo de<br />
incontro, de scambio de merci e de pareri, un logo<br />
tipico per la socializasion. E el suq xe l’esasperasion<br />
comerciale de la medina, dove se vendi e se compra<br />
duto.<br />
Nel suq de le spezie<br />
Per facilitar le compravendite, el suq xe sempre<br />
diviso in compartimenti dove ogni grupo de strade<br />
xe specializà ne la vendita de un tipo de prodotti. E<br />
alora gavemo el suq de le spezie con quel odor acre<br />
che te acompagna per duto, che te sembra de caminar<br />
in una immensa drogheria, el suq dei tapei, quel de<br />
i vestiti, quel dei artigiani del rame e naturalmente<br />
tanti altri. Duto in un continuo vociar, contratar, zigar<br />
e pur in duta questa confusion, te se para davanti,<br />
de tanto in tanto, un vecio palasso dei notabili del<br />
posto, con giardini meravigliosi, fontane, arabeschi<br />
incantevoli, el duto in un silenzio squasi assoluto.<br />
Te sembra impossibile che, a pochi metri, verta una<br />
porta, se svolgi la vita più caotica che mente umana<br />
pol imaginar. In Maroco par veramente de passar<br />
atraverso un continuo susseguirse de porte che se<br />
spalanca, man man che ti vadi ‘vanti.<br />
Ma impossibile verzerle dute in un solo viagio.<br />
Tornaremo? Inshallah (se dio al vol) come che i disi<br />
qua.<br />
Lucio Nalesini
Piran-Pirano, ovvero “Italiani raus!”<br />
<strong>La</strong> città<br />
Preceduto da una promozione greve di aspettative e un impalpabile senso di timore per possibili spiazzanti derive da<br />
parte del ragazzo terribile della nuova cinematografia slovena Goran Vojnović, il lungometraggio Piran-Pirano ha<br />
aperto a Portorose la 13. edizione del festival cinematografico sloveno. Il film ha valso all’autore il premio della giuria<br />
per la sceneggiatura, quando probabilmente questi mirava al ben più prestigioso premio per la miglior regia. Ricordare<br />
che il giovane cineasta Goran Vojnović si era guadagnato con l’esordio letterario Čefurji raus! uno strabiliante e<br />
insperato successo di vendita oltre che il plauso della critica, giova per rintracciare una possibile chiave di lettura per<br />
questo suo film, che altrimenti potrebbe venir frettolosamente liquidato nel genere drammatico a sfondo storico di un<br />
nuovo filone che dichiara negli intenti di voler praticare un linguaggio cinematografico politicamente corretto.<br />
<strong>La</strong> trama verte su un nucleo centrale<br />
tutto sommato semplice ma di difficile<br />
rappresentazione, quale l’incontroscontro<br />
tra due etnie, culture, lingue (e<br />
nel film due ideologie) contrapposte,<br />
impersonificate dall’italiano Antonio<br />
e dal bosniaco Veljko, interpretati<br />
rispettivamente da Boris Cavazza e<br />
Mustafa Nadarević. Va soprattutto<br />
a quest’ultimo, in un film che ha un<br />
procedere lento ed introspettivo, il<br />
grosso merito di fornire una prova<br />
di rilievo pescando dal proprio<br />
bagaglio attoriale per dar corpo a<br />
un’interpretazione ironica e amara,<br />
a tratti quasi surreale. In una casa<br />
piranese che già fu dell’esule<br />
Antonio e nella quale risiede ormai<br />
da tempo il suo nuovo inquilino<br />
Veljko prende corpo un confronto<br />
tra i due anziani, che a tratti si<br />
scontrano, a tratti si ritrovano in una<br />
memoria comune, pur impossibilitati<br />
a comprendersi realmente per le<br />
differenze linguistiche e culturali.<br />
Il confronto personale e le tensioni<br />
irrisolte tra i due ricalcano quello dei<br />
tanti anonimi interpreti della Grande<br />
Storia in questo lembo di terra. Gli<br />
elementi della contrapposizione<br />
ideologica ed etnica di una storia<br />
recente e dolorosa sono messi a nudo<br />
dal film di Vojnović, e questa è già<br />
di per se’ un’operazione che ancora si<br />
pensava di difficile approccio, anche<br />
se il racconto storico è interpretato in<br />
termini sin troppo semplicistici con<br />
la logica a senso unico di due blocchi<br />
contrapposti. Nella lettura di Vojnović<br />
non c’è spazio per i chiaroscuri, per<br />
le sfumature di ruolo: italiani e slavi<br />
sono divisi da un solco di appartenenza<br />
etnica ed ideologica profondo e<br />
invalicabile (ma dove sarà sparita<br />
l’utopia della fratellanza italo-slava<br />
nel disegno progressista dell’epoca<br />
e la mancata rappresentazione di un<br />
tessuto urbano italiano protrattosi ben<br />
oltre la conclusione del conflitto). Il<br />
regista inscena piuttosto un Vae victis<br />
asservito alla logica del film, che tende<br />
a far defluire tutto in termini manichei<br />
nel riscatto di un’etnia e di una classe<br />
sociale fino allora subalterna e nella<br />
conseguente rivalsa sull’elemento<br />
italiano. Più che l’esodo, intuito ma<br />
non rappresentato, a parte la fuga<br />
simbolica per mare del giovane<br />
Antonio, viene messa in scena una<br />
giustizia di guerra sommaria al<br />
servizio dell’ideologia pragmatica e<br />
spicciola praticata dai vincitori nella<br />
contingenza storica del periodo.<br />
Ebbene, un momento forte della<br />
percezione intellettiva ed estetica<br />
è legato all’esigenza per la quale<br />
tendiamo a riportare i fatti al prorio<br />
territorio, al proprio ambito emotivo.<br />
In questa chiave di lettura, come<br />
preannunciato, il regista Vojnović,<br />
sloveno di nuova foggia cresciuto<br />
nella difficile ed emarginata periferia<br />
lubianese di Fužine dove regna<br />
l’orgoglio balcanico degli immigrati<br />
di seconda generazione, non può<br />
che essere più vicino e partecipe alle<br />
sorti del bosniaco Veljko. L’italiano<br />
Antonio ha perso una guerra, una<br />
casa, un luogo e gli affetti che a questi<br />
legano, e continua a fissare l’attimo di<br />
tale lacerazione in una sorta di eterna e<br />
frustrata ricerca di ricongiungimento<br />
con il suo essere più intimo. Il<br />
bosniaco Veljko ha trovato, attraverso<br />
altre crude sofferenze, un luogo dove<br />
reinventarsi una vita e darsi un senso<br />
di nuova appartenenza. Incontratisi<br />
lungo direzioni opposte del crocevia<br />
generato dalla storia, ambedue<br />
devono dare una risposta a uno dei<br />
quesiti tra i più difficili dell’uomo:<br />
come è possibile concludere la<br />
propria esistenza con un senso di pace<br />
e (ri)conciliazione? Per tutte queste<br />
ragioni il film Piran-Pirano è più che<br />
un film sulla nostalgia e sulla storia,<br />
un film sulla morte e sul sentimento<br />
dell’appartenenza. Alla fine del film<br />
il nuovo venuto si riconcilia con il<br />
luogo e si sente finalmente partecipe<br />
di un mondo mai pienamente<br />
metabolizzato.<br />
Per l’italiano Antonio così come<br />
per tanti di noi, non resta forse che<br />
aspettare migliori occasioni per dare<br />
voce a quel sentimento di sottile<br />
disagio nel percepirsi a tratti sradicati<br />
e avulsi in una realtà dalla quale siamo<br />
stati, nostro malgrado, esautorati e<br />
relegati di fatto ad entità marginale e<br />
minoritaria.<br />
Mario Steffé<br />
Foto Roberto Francomano<br />
47
<strong>La</strong> città<br />
»<strong>La</strong> valigia per Trieste« di<br />
Salvatore Egidio Di Grazia.<br />
»<strong>La</strong> valigia per Trieste« è un libro<br />
uscito a fine luglio per »Pazzini<br />
editore« di Rimini. 165 pagine in<br />
cui Salvatore Egidio Di Grazia (nato<br />
nel 1945 a Žrnjovec) racconta la sua<br />
infanzia vissuta nel paesino vicino a<br />
Topolovec, alle spalle di <strong>Capodistria</strong>.<br />
Figlio di un siciliano e di un’istriana,<br />
Egidio ha un ricordo nitido di<br />
quell’ambiente che nei turbolenti<br />
anni Cinquanta del secolo scorso<br />
abbandonò con la famiglia, dopo una<br />
breve sistemazione a <strong>Capodistria</strong>,<br />
Il presidente Mario Steffè e<br />
Salvatore Egidio Di Grazia.<br />
per finire esule a Rimini dove oggi<br />
è un affermato avvocato. »Occorre<br />
avere rispetto per chi non riesce a<br />
dimenticare o a perdonare. – dice<br />
Di Grazia, aggiungendo che – »Non<br />
è ammissibile tuttavia, sprecare<br />
l’occasione per offrire ai giovani la<br />
possibilità di conoscere le ragioni per<br />
le quali, alla fine della seconda guerra<br />
mondiale in una terra così vicina, si<br />
è pervenuti ad un siffatto livello<br />
di degradazione di umanità«. »Le<br />
emozioni di un bambino, raccontate<br />
dalla voce di quello stesso bambino<br />
diventato adulto – leggiamo nella<br />
postfazione – le esperienze dei<br />
48<br />
Freschi di stampa<br />
primi anni di vita ravvivate da una<br />
competenza storica acquisita solo in<br />
un secondo tempo, le vicende di un<br />
paese che contiene in sé l’incanto<br />
della prima infanzia e il rimpianto del<br />
profugo, ci regalano un libro che non<br />
finisce con la sua ultima pagina«.<br />
Il 30 novembre la Comunità degli<br />
italiani ha organizzato un incontro<br />
pubblico con l’autore. Salvatore di<br />
Grazia vive dal 1953 a Rimini, dove<br />
svolge la professione di avvocato<br />
matrimonialista. Già docente di diritto<br />
canonico ed ecclesiastico presso<br />
l’Università di Bologna è autore di<br />
pubblicazioni scientifiche nel campo<br />
del diritto di famiglia e dei rapporti<br />
tra Stato e Chiesa.<br />
Ottavio – Monografia su<br />
Štokovac, indimenticato<br />
liutaio istriano<br />
Qualche anno fa avevamo ospitato una<br />
mostra dei bassetti istriani costruiti da<br />
Ottavio Štokovac. Ora la Comunità<br />
degli italiani »Santorio Santorio«<br />
dedica all’eccentrico liutaio di Kolari<br />
(Grisignana) una monografia, redatta<br />
da Andrea Rigodanzo, che comprende<br />
un’introduzione di Mario Steffè,<br />
testi biografici di Marino Kranjac<br />
e Dario Marušić. Il tutto corredato<br />
da splendide foto Organizzatore di Jaka / Prireditelj Jeraša e<br />
da un CD contenente Società di studi storici una e geografici, selezione<br />
Pirano<br />
Društvo za zgodovinske in geografske študije, Piran<br />
di brani in cui Ottavio suona il bajs<br />
e la fisarmonica In collaborazione a bocca con / assieme V sodelovanju s al<br />
Comunità degli Italiani “Santorio Santorio” nell’ambito<br />
del programma culturale della Comunità Autogestita della<br />
Nazionalità Italiana di <strong>Capodistria</strong>.<br />
Skupnost Italijanov “Santorio Santorio”<br />
v okviru kulturnega programa Samoupravne skupnosti<br />
italijanske narodnosti Koper.<br />
Trio Kras (gli altri due membri erano<br />
Felice Šepić e Umberto Pucer (Berto<br />
Mazul). Il materiale audio è stato<br />
registrato tra il 1987 e il 1990. Un<br />
piccolo omaggio a un grande artista.<br />
L’Istria e le province illiriche<br />
nell’età Napoleonica<br />
a cura di Denis Visintin<br />
Il quarto libro della collana Acta<br />
Historica Adriatica raccoglie gli atti<br />
del convegno svoltosi nel 2006 nel<br />
bicentenario del Codice napoleonico.<br />
Su iniziativa della Società studi storici<br />
di Pirano, 17 studiosi di Slovenia,<br />
Italia e Croazia hanno presentato i<br />
loro contributi su un periodo breve<br />
ACTA HISTORICA ADRIATICA<br />
IV<br />
L’ISTRIA E LE PROVINCE ILLIRICHE<br />
NELL’ETÀ NAPOLEONICA<br />
a cura di Denis Visintin<br />
SOCIETÀ DI STUDI STORICI E GEOGRAFICI PIRANO<br />
ma molto intenso nella storia di<br />
queste terre. I vent’anni che seguirono<br />
alla caduta di Venezia maturarono<br />
nuovi tipi di società, nuove idee,<br />
visioni della storia e dell’uomo. Tra<br />
i contributi anche quelli di due storici<br />
purtroppo scomparsi, come Giulio<br />
Cervani e di Antonio Miculian,<br />
attento quest’ultimo all’aspetto della<br />
pubblica amministrazione. Il volume<br />
- di quasi 300 pagine - si occupa dei<br />
vari aspetti del dominio francese<br />
e ripoducendo anche documenti<br />
originali custoditi all’Archivio<br />
regionale di <strong>Capodistria</strong>.
»Cara Lidia – Draga Lidija«<br />
di Anna Rosa Rugliano<br />
Realizzato con il patrocinio ed<br />
il contributo della Provincia di<br />
Trieste, il volume raccoglie le<br />
testimonianze dell’attrice Lidia<br />
Kozlovich (Momiano 8 ottobre<br />
1938 – Trieste 1 giugno 2009),<br />
interprete, in italiano ed in sloveno,<br />
di centinaia di personaggi di autori<br />
italiani e stranieri, prodotti dalla<br />
RAI per trasmissioni radiofoniche<br />
e televisive, da vari teatri. Il<br />
saggio-intervista è così suddiviso:<br />
<strong>La</strong> Parte prima è dedicata a <strong>La</strong><br />
persona, <strong>La</strong> vita e la carriera; la<br />
Parte seconda a Il personaggio e<br />
Le interpretazioni; la Parte terza<br />
a Il teatro, Gli autori, i registi, il<br />
pubblico; la Parte quarta a Sogni,<br />
Pensieri e immagini. Ogni capitolo<br />
è introdotto da una testimonianza,<br />
rispettivamente di Mila Nortman,<br />
Gianni Gori, Ugo Amodeo e<br />
Marko Sosič.<br />
Lidia Kozlovich in una foto dello<br />
Stabile sloveno di Trieste.<br />
Freschi di stampa<br />
»<strong>La</strong> Jugoslavia, il basket e un<br />
telecronista« di Sergio Tavčar.<br />
Sergio Tavčar con l'inseparabile<br />
Gazzetta dello sport.<br />
Sono tre le storie che si intrecciano<br />
nel racconto di questo libro.<br />
Quella principale, racconta della<br />
pallacanestro jugoslava, vista con<br />
gli occhi di chi l’ha conosciuta<br />
seguendola prima soltanto per<br />
passione e poi anche per professione<br />
per oltre 50 anni. <strong>La</strong> seconda storia<br />
è quella della Jugoslavia, delle sue<br />
genti, dei suoi popoli e delle loro<br />
peculiarità. Una storia raccontata<br />
per aneddoti ed episodi, senza<br />
nessun intento storiografico. <strong>La</strong><br />
terza storia è quella personale<br />
dell’autore – storica voce di<br />
Tv <strong>Capodistria</strong> – che racconta<br />
fatti, emozioni, disavventure e<br />
ricordi. Un libro di pallacanestro<br />
quindi, adatto non soltanto agli<br />
amanti del basket ma anche – si<br />
legge sul sito sergiotavcar.com<br />
– “a chi è interessato a conoscere<br />
sfumature e sfaccettature di gente<br />
che, nonostante la vicinanza, gli<br />
italiani hanno sempre conosciuto<br />
e capito poco”.<br />
<strong>La</strong> città<br />
Il fotografo Alfredo Pettener.<br />
Di Lea Škerlič.<br />
Era tempo che qualcuno ci<br />
pensasse! Da tempo, anche a<br />
livello di documentazione oltre<br />
che di interesse vero e proprio per<br />
l’argomento trattato, si progettava<br />
l’istituzione di una raccolta delle<br />
tesi di laurea dei nostri giovani<br />
connazionali: non fosse altro che<br />
per avere una visuale nel tempo<br />
della nostra crescita collettiva ed<br />
individuale. Una crescita che negli<br />
ultimi decenni è riuscita a colmare<br />
quel vuoto intellettuale provocato<br />
negli anni 50 del secolo scorso<br />
dall’esodo da queste terre della<br />
popolazione italiana.<br />
Il primo volume di questa nuova<br />
serie (introdotta dalle Edizioni<br />
“Il Madracchio” di Isola, ndR)<br />
è della neolaureata Lea Škerlič<br />
che ha difeso con successo la tesi<br />
dedicata al fotografo piranese<br />
Alfredo Pettener e che nel 2009 è<br />
riuscita ad aggiudicarsi il premio<br />
Prešeren per studenti della Facoltà<br />
di filosofia dell’Università di<br />
Lubiana. Nei prossimi anni, al<br />
ritmo di uno all’anno, dovrebbero<br />
seguire altri volumi dedicati alle<br />
tesi di laurea conseguite negli<br />
ultimi anni dai nostri laureati,<br />
in modo da dar vita ad una vera<br />
e propria collana di testi sui più<br />
diversi argomenti.<br />
Silvano Sau<br />
49
<strong>La</strong> città<br />
50<br />
CAPODISTRIA 2010: FOTO D’IDENTITÀ<br />
<strong>La</strong> Comunità degli Italiani “Santorio Santorio” di <strong>Capodistria</strong> ha organizzato nei mesi di maggio e giugno<br />
2010 un progetto di interpretazione/investigazione fotografica della città, invitando 12 fotografi dalla Regione<br />
autonoma Friuli Venezia Giulia (Marco Citron, Massimo Crivellari, Roberto Francomano) dalla Slovenia<br />
(Herman Čater, Darinka Mladenovič, Matjaž Prešeren), dalla Croazia (Ivan Balić, Ivica Pervan, Tomislav<br />
Rastić) e in rappresentanza della Comunità Nazionale Italiana istro-quarnerina (Remigio Grižonič, Egon<br />
Hreljanović, Guido Stocco).<br />
Il progetto è stato realizzato con il finanziamento del<br />
Ministero Affari Esteri della Repubblica Italiana, per il<br />
tramite dell’Unione Italiana, in applicazione della Legge<br />
21 marzo 2001, n. 73, e con il cofinanziamento locale del<br />
Comune città di <strong>Capodistria</strong> e del Ministero per la Cultura<br />
della Repubblica di Slovenia nell’ambito del programma<br />
culturale della Comunità autogestita della nazionalità<br />
italiana di <strong>Capodistria</strong>.<br />
Nell’ultima settimana di maggio i fotografi partecipanti al<br />
progetto hanno effettuato un’approfondita fotosessione,<br />
dalla quale è stata estrapolata una selezione finale di 12<br />
fotografie per ogni fotografo partecipante.<br />
Un’ulteriore scelta di tali scatti d’autore sono ora confluiti<br />
in una mostra fotografica collettiva che verrà presentata a<br />
Guido Stocco di Pola<br />
<strong>Capodistria</strong> presso la galleria Loggia (30.6. – 6.7.2010)<br />
e lo spazio espositivo di palazzo Gravisi, sede della<br />
Comunità degli Italiani (12.7. – 14.8.2010).<br />
A fine esposizione verrà presentato il catalogo -<br />
fotomonografia con un’ampia selezione del materiale<br />
fotografico realizzato nell’ambito del progetto tematico<br />
<strong>Capodistria</strong> 2010: foto d’identità.<br />
L’idea alla base del progetto è stata quella di coinvolgere<br />
i fotografi in una realtà urbana e sociale diversa dalle<br />
rispettive aree di provenienza geografica, favorendone<br />
il contatto e l’inserimento nelle dinamiche della città<br />
ospitante, che ognuno ha interpretato attraverso il<br />
filtro della propria cifra stilistica e approccio tecnico<br />
fotografico.
Egon Hreljanović di Fiume<br />
Il tema sul quale gli artisti si sono cimentati è stato<br />
L’identità <strong>citta</strong>dina e i caratteri marcanti del territorio<br />
alla luce dei mutamenti storico-sociali.<br />
In questo contesto sono state ulteriormente definite le<br />
seguenti aree di indagine tematica che hanno compreso:<br />
- interazione uomo-ambiente<br />
(gli aspetti del vivere lo spazio urbano: come lo<br />
spazio urbano condiziona la vita sociale e come<br />
l’uomo ha voluto e saputo adattare lo spazio<br />
urbano alle proprie esigenze)<br />
- paesaggio reale e memoria dei luoghi<br />
(l’ambiente urbano oggi e le memorie e<br />
rappresentazioni d’esso che sopravvivono ai suoi<br />
mutamenti)<br />
- innesti tra passato e presente<br />
(come la vita <strong>citta</strong>dina contemporanea s’innesta<br />
su molti strati architettonici, socio-politici,<br />
urbanistici, etc. appartenenti ad epoche diverse e<br />
con connotazioni sovrapposte)<br />
- dinamiche interculturali<br />
(le interazioni tra culture differenti che convivono<br />
nella <strong>Capodistria</strong> d’oggi, ma che vivono<br />
“Capodistrie” diverse, tra contatti, ibridazioni e<br />
contrasti)<br />
<strong>La</strong> città<br />
L’intento dell’organizzatore è stato quello di cogliere<br />
attraverso la particolare prospettiva d’indagine dei<br />
fotografi coinvolti, soltanto temporaneamente residenti in<br />
loco e privi di condizionamenti determinati dal rapporto<br />
“affettivo” e di familiarità con i luoghi, gli elementi a loro<br />
giudizio caratterizzanti e marcanti della città ospitante.<br />
Tale operazione ha inteso aprire la strada a inediti approcci<br />
fotografici al soggetto d’indagine, che permettono di<br />
acquisire sensibilità diverse nell’interpretazione sia dei<br />
caratteri tipici della tradizione e della storia <strong>citta</strong>dina, sia<br />
dei mutamenti che hanno investito e tuttora rimodellano<br />
la configurazione di <strong>Capodistria</strong>.<br />
Alla base del processo si sono rivelati, inevitabilmente,<br />
la modalità d’approccio del fotografo verso la città e i<br />
processi d’indagine, riconoscimento e interpretazione<br />
degli elementi del paesaggio urbano.<br />
Remigio Grižonič di Isola<br />
A tale scopo è interessante far notare che gli organizzatori<br />
hanno fornito delle essenziali linee guida che potevano<br />
aiutare i partecipanti al progetto ad approcciarsi ai temi<br />
proposti, ma che si è cercato di non condizionare o limitare<br />
in alcun modo la scelta del soggetto per non interferire<br />
con la sfera interpretativa dei fotografi.<br />
51
<strong>La</strong> città<br />
Pacato – calmo<br />
Pacca – paca, boto, colpo<br />
Pacchia – bobana<br />
Pacioccone – bonato<br />
Padella – fersora<br />
Padiglione da giardino – gloriét<br />
Padre – pare<br />
Padrino – santolo, (del figlio)<br />
conpare<br />
Paese – vila, paiese<br />
Pagello (itt.) – ribon e mormora<br />
Paglia – paja<br />
Pagliaccio – paiasso, pupinoto<br />
Pagliaio – mieda de paja<br />
Pagliericcio – paion<br />
Pagnotta – pagnoca<br />
Pago – contento<br />
Paio – per, par<br />
Paiolo – caldiera<br />
Pala – badil, pala<br />
Palamita (itt.) – palamida<br />
Palamito (mar.) – parangal<br />
Palemone (artopode) – schila<br />
Palese – in vista, ciaro, verto<br />
Pallina (colorata) – vaga, s’cinca<br />
Palmo (delle mani) – palma<br />
Palo – pal, forcada, (della bica)<br />
miedil, (di sostegno) soponta, vaso<br />
Palombaro – sotàiro<br />
Palombo (itt.) – cagneto<br />
Palpebra – palpièra<br />
Palude – palù<br />
Pampino – banpeno<br />
Panca – banco, bancheto; banca<br />
Panciotto – gilè<br />
Pane – pan, panéto, biga, pagnoca<br />
Panetteria – pistorìa<br />
Panettiera – pancogola<br />
Panettiere – pistor, pek<br />
Pania – vis’ciada, vergon<br />
Paniere – çesto, çesta, panier<br />
Panno – strassa<br />
Pannocchia – panàncola<br />
Pannolino – panusso<br />
Pantaloni – braghe, braghesse<br />
Pantano – paltàn, ploc’<br />
Panzana – busia, bala, fiaba<br />
Paonazzo – rovàn<br />
Parabordo (mar.) – vardalài<br />
Paralisi – colpo<br />
52<br />
Repertorio italiano di corrispondenza<br />
alle voci dialettali capodistriane<br />
Tratto dall’appendice al Dizionario storico fraseologico<br />
etimologico del dialetto di <strong>Capodistria</strong> di Giulio Manzini<br />
Paranco – bosèl; vinc’<br />
Parapiglia – barafùsa<br />
Pareggiare – far pata; valisàr<br />
Pargolo – putel, picio<br />
Parlantina – sbàtola<br />
Parlato (mar.) – parlato, mesavolta<br />
Parotite – mal del molton, orecioni<br />
Parroco – pàreco<br />
Parsimonioso – strento<br />
Parteggiare – tegnir<br />
Partita – partida, partìa<br />
Passaggio – passajo, canisela<br />
Passeggiare – spassisàr<br />
Passeggio – listòn, spassìso<br />
Passera – (itt.) passera, (barca)<br />
passera, caìcio<br />
Passero (ucc.) – panegariòl<br />
Pasticca – silela<br />
Pasticciare – pastrociàr, sbrodegàr<br />
Pastrano – capoto, codegugno<br />
Patinare – lustrar<br />
Patrimonio – sostansa<br />
Pattumiera – scovassera<br />
Paura – paura, pipìo, sbigola,<br />
spagheto<br />
Pauroso – pauroso, bruto<br />
Pavimento – paimento, (di natante)<br />
paiòl<br />
Pazzerello – maturlo<br />
Pazzo – mato<br />
Pece – pegola<br />
Pecora – piegora<br />
Pedante – piedego<br />
Pedata – piada, scalso, pintelcul<br />
Pedinare – andar drio, far la sguaita<br />
Peduncolo – manigo, pipiòl<br />
Pelare – spelar<br />
Pelato – pelà, spelà<br />
Peluria - pelùgo<br />
Peluzzo – pelùco<br />
Pena – trbolo<br />
Pencolare – scantinar, zinzolar<br />
Pendere – pindolar, picar<br />
Pendìo – rato, piàio<br />
Pene – binbin<br />
Pensiero – pinsier<br />
Pentola – pignata<br />
Penzolo (veg.) – spiròn<br />
Penzoloni – a pindolon<br />
Pepato – inpeverà<br />
Pepola (ucc.) – pacagnoso<br />
Per (prep.) – per, par<br />
Pera (veg.) – pero<br />
Perbene – desesto<br />
Percepire – sintìr<br />
Perché – perché, parchè, parcossa<br />
Percorrere – passar<br />
Percorso – strada<br />
Percossa – legnada, bota<br />
Percuotere – bastonar, onzer<br />
Perforare – sbusar<br />
Per lo più – el più de le volte<br />
Permanere – star, fermarse<br />
Permettere – lassar<br />
Pernice (ucc.) – pernisa<br />
Perno (del timone) – màscolo<br />
Perno tirante – piròn<br />
Perno (della ruora) – perno, asso<br />
Pero (veg.) – perèr<br />
Perplesso – imatunì<br />
Pertanto – persiò, donca<br />
Pertosse – tosse pagana<br />
Perturbazione – stratenpo<br />
Pesante – grevo<br />
Pesca (veg.) – persego<br />
Pesce – pesse, (el) pessi<br />
Pescecane – cagniga<br />
Pescheria – pescaria<br />
Pesco (veg.) – perseghèr<br />
Pessimo – ‘ssai cativo<br />
Pesta – pedega<br />
Pestare – pestar, bater, mastrussar,<br />
sapolar, tibiar<br />
Petraia – masiera<br />
Pettegolare – ciacolar, babàr<br />
Pettegolezzo – ciacola, babesso<br />
Pettinare – petenar<br />
Pettirosso (ucc.) – pataross(o)<br />
Pezzo – toco, feta, slepa<br />
Piacevole – bel<br />
Piacevolmente – ben, pulito<br />
Piagnisteo – lagna, nàina<br />
Piagnone – fifoto, piansòto<br />
Pialla – spiana, (lunga) soramàn<br />
Pianale (del carro) – tavolasso<br />
Piantare – inpiantàr<br />
Pianto – pianzàda, fifada<br />
Piastrella – piastrela, quadrel<br />
Piatto – piato, piatel, piatin, (liscio)<br />
sparto, (fondo) fondina
Piazza – piassa, (non selciata) brolo<br />
Picchiare – bater, bastonar, dar bote,<br />
cresimar, onzer, castagnar<br />
Picchiotto – batocio, batador<br />
Piccino – picinin<br />
Picciòlo – manego, pirulìc’<br />
Piccionaia – colonbèra<br />
Piccione (ucc.) – colonbo<br />
Piccoletto – pisdrùl, stropolo<br />
Pidocchio – pedocio<br />
Piede – pìe, piè<br />
Piega – piega, pièta, alsèta<br />
Piegare – storzer, scavassàr, (rifl.)<br />
cufarse<br />
Piena – montana, brentana<br />
Pieno – pien, batù<br />
Pietà – conpassion, pecà<br />
Pietraia – masiera<br />
Pigiare – sburtar; folar<br />
Pigliare – ciapar<br />
Pila – (dell’olio) pila, (dell’acqua<br />
santa) pilela<br />
Pinna (mollusco) – stura<br />
Pino (veg.) – pin<br />
Pinolo – pignol<br />
Piolo – cavìa, grisèla<br />
Pioppo (veg.) – talpòn<br />
Piovigginare – schissolàr<br />
Pipistrello – barabastèl<br />
Piroetta – giravolta<br />
Pisello (veg.) – biso<br />
Pisolino – pisoloto, sparèto<br />
Pspoletta (ucc.) – calandrina<br />
Piuttosto – pitosto<br />
Pizzicore – bèca<br />
Placare – chietar, calmar<br />
Plumbeo – scuro<br />
Poco – un fià, iòsso, ninìn, scàia,<br />
s’cianta, fregola, un bic’<br />
Podere – cortivo – canpagna<br />
Poggiare – pusar; (mar.) poiar<br />
Poi – po, podopo<br />
Poiché – che, perché, parchè<br />
Polenta – polenta, (liquida) suf, slufi<br />
Polipo – folpo<br />
Polla – bolass(o)<br />
Pollaio – puliner, caponera<br />
Pollice – deo grosso<br />
Pollino (insetto) – pelisson<br />
Pollo – polastro<br />
Pollone (veg.) – buto, bastardo, bilfo<br />
Polpaccio o polpastrello – pùpola<br />
Polsino – damàn<br />
Poltiglia – mantèca; ploc(io)<br />
Poltrire – tirar la fiaca, omega<br />
Pomeridiano – de dopopranso<br />
Pomodoro (veg.) – pomidoro<br />
Ponderare – pensar; pesar<br />
Pontile – mol, ponte<br />
Poppa – teta, (mar.) pupa<br />
Poppare – ciuciar<br />
Porcata – porcada, scrovada<br />
Porcile – stala del porco<br />
Porco – porco, porsèl, porsìn<br />
Porgere – dar<br />
Porre – meter<br />
Portamonete – tacuin<br />
Porticato – (i) volti<br />
Posapiano – camoma<br />
Posdomani – dopodoman, doman<br />
passando<br />
Possedere – gaver<br />
Posteri – quei che vegnarà, nevodi<br />
Posteriore (s. m. di luogo)<br />
– postèrno<br />
Postino – postin, postier<br />
Posto – posto, logo, sito<br />
Potare – podar, bruscar<br />
Povero – povaro, misero<br />
Pozzanghera – possa, busa<br />
Pozzo – posso<br />
Pranzare – pranzar, desnar<br />
Prato – prà, (dim.) pradisel<br />
Precauzione – ocio<br />
Precedentemente – prima, ‘vanti<br />
Precipitare – cascar, tonbolarse<br />
Precipitazione – furia<br />
Precipizio – buron, rivasso<br />
Precisare – dir, contar justo<br />
Preciso – justo<br />
Precoce – bonorivo<br />
Predare – robar<br />
Prefazione – capel<br />
Premere – fracar<br />
Preminenza – soravento<br />
Prendere in giro – cior pel cul,<br />
coionar, remenar<br />
Preoccuparsi – esser/star in pensier,<br />
bazilar<br />
Preparare – preparare, prontar<br />
Prescindere – lassar de parte<br />
Presepe – presepio<br />
Pressa – torcio<br />
Presso – vizin, rente, tacà<br />
Presto – presto; svelto; bonora<br />
Presumere – creder<br />
Presuntuoso – pien de sé<br />
Pretenzioso – pien de bava<br />
Prevaricatore – inbroion, smafaro<br />
Prezzemolo (veg.) – persemolo<br />
Prezzp – costo<br />
Prigione – preson, galera, cheba<br />
Prima (avv.) – prima, ‘vanti<br />
Primaticcio – bonorivo<br />
Privare – cavar, cior<br />
Probabile – (che pol capitar) fazile<br />
Problema – quistion<br />
Procedere – andar avanti<br />
<strong>La</strong> città<br />
Procella – neverin<br />
Prodotto (agr.) – entrada, fruto<br />
Professione – mistier<br />
Profezia – strigaria<br />
Profittatore – ludro<br />
Profondità – altessa<br />
Profondo – fondo, alto<br />
Progressivamente – a leva a leva<br />
Proibire – no lassar<br />
Prolificare – far fioi<br />
Prolisso – longo, sbrodoloso<br />
Prolungare – slongar<br />
Promontorio – ponta<br />
Promuovere – mandar ‘vanti<br />
Proprietà – ben, sostansa<br />
Proprio – propio<br />
Prora (mar.) – prova<br />
Prosciugare – sugar, secar<br />
Prosciutto – parsuto, persuto<br />
Prospiciente – che varda<br />
Protrarre – tirar in longo<br />
Protuberanza – goba, bugnòn<br />
Proveniente – che ven de…<br />
Provocante – stusseghin, stussegon<br />
Prua (mar.) – prova<br />
Prugna (veg.) – susin, amolo, ranglò<br />
Pruno (veg.) – susinèr, amoler<br />
Pubblicare – meter fora, stanpar<br />
Puerile – de fioi<br />
Pugno – pugno, castagna<br />
Pula (agr.) – bula<br />
Pulce – pùliso<br />
Puleggia – bosèl<br />
Pulire – netar, forbir<br />
Pulito – neto<br />
Pungere – ponzer, sponzer, becar<br />
Pungiglione – spin<br />
Pungitopo (veg.) - bruscàndolo<br />
Punire – castigar<br />
Punta – ponta<br />
Puntellare – puntar, sopontar<br />
Puntello – ponta, soponta, piron<br />
Punteruolo – pontariol, (della vite)<br />
uriol<br />
Punto (sost. e agg.) – ponto<br />
Puntura – ponzon, ponzo, sponta,<br />
becada, becon<br />
Pupazzo – pupolo<br />
Pure – anca<br />
Purè – pirè<br />
Pus – materia<br />
Pusillanime – cagon, cagheta<br />
Pustola – brusco<br />
Putiferio – batibòio, casoto<br />
Putrefare – marsir<br />
Puzzare – spussar<br />
Puzzolente – spussente<br />
53
<strong>La</strong> città<br />
54<br />
In memoriam<br />
Ferdi Vidmar – Era nato a Idrija il 27 gennaio del 1927 da Ivanka e Ferdinand. <strong>La</strong>scia la<br />
famiglia giovanissimo per proseguire gli studi a Gorizia e poi a Pordenone, dove frequenta<br />
il Ginnasio classico del collegio Don Bosco. Giovane idealista entra nelle file partigiane e<br />
lotta per un mondo libero e migliore. Dopo la guerra sostiene l’esame di perito industriale<br />
elettrotecnico e trova lavoro alla Radio Tv di Lubiana. <strong>La</strong> conoscenza della lingua italiana gli<br />
permette di lavorare a Radio <strong>Capodistria</strong> come tecnico addetto al ripetitore di Croce Bianca.<br />
E’ il primo passo di una carriera che lo porterà a commentare i più svariati avvenimenti<br />
sportivi nazionali e internazionali. Aperto alle novità, curioso per natura, Ferdi è stato un<br />
pioniere del giornalismo sportivo. Le sue telecronache non avevano nulla da invidiare a nomi<br />
forse più noti del suo. Commenta con entusiasmo, precisione e pacatezza. <strong>La</strong> sua non era<br />
parvenza televisiva, perché il Ferdi che incontravi per strada era fatto così.<br />
Nel privato Ferdi aveva la sua famiglia alla quale era legatissimo. Nel 1953 sposa Anita<br />
Deponte, una ragazza capodistriana piena di brio, sportiva di successo. Dalla loro felice unione sono nate <strong>La</strong>ura,<br />
Annamaria e Silvia. Quando il papà era lontano per qualche servizio, erano orgogliose di sentirlo e vederlo apparire<br />
sullo schermo. Lo ascoltavano con interesse quando a tavola raccontava dei suoi viaggi. Erano favole vere. Oltre che<br />
per i suoi nipoti, Ferdi ha trovato tempo anche per altri ragazzi ai quali ha insegnato ginnastica e sci. Li spronava a non<br />
aver paura della neve e a lasciarsi andare con leggerezza.<br />
Malgrado l’età Ferdi aveva una carica vitale invidiabile. Sempre presente in Comunità, pronto a porre domande, a<br />
ricordare fatti del passato; ad esempio che suo padre e quello di Anita, sotto il fascismo furono compagni di cella nel<br />
carcere di <strong>Capodistria</strong>. L’ultima sua battaglia era stata quella per l’intitolazione di una via al pittore Oreste Dequel.<br />
Ornella Derin – A soli 49 anni ci ha lasciati in seguito<br />
ad una tragica fatalità Ornella Novak Derin. Una folla<br />
commossa di amici e parenti le ha reso l’estremo saluto al<br />
cimitero di Bertocchi, la località in cui era nata e vissuta.<br />
Ornella aveva frequentato insieme al fratello gemello<br />
Vili, le scuole elementari a Bertocchi e a <strong>Capodistria</strong>,<br />
diplomandosi quindi all’Economica di Isola. Aveva<br />
Armida Peroša – Nata 58 anni fa a<br />
Sermino, Armida è stata impiegata a<br />
Radio <strong>Capodistria</strong> dal 1971 al 2008<br />
in qualità di pianificatrice nel reparto<br />
realizzazione radiofonica.<br />
Gianpaolo Opara – 94 anni di<br />
Crevatini. Già operaio al cantiere<br />
navale S. Rocco di Muggia, dopo la<br />
guerra agricoltore. Un’intervista sul<br />
numero 11 de <strong>La</strong> Città.<br />
anche fatto parte del coro guidato dal maestro Stancich.<br />
Molto stimata nell’ambiente di lavoro, lascia il marito e<br />
un figlio, Marko, ancora adolescente. Gli ex compagni<br />
di scuola vogliono ricordarla con questa foto della VII<br />
classe – anno scolastico 1973/74 – insieme all’insegnante<br />
di sloveno, professoressa Hočevar. Ornella Derin è la<br />
terza da sinistra accovacciata in prima fila.<br />
Santo Favento – Classe 1931, del<br />
ramo dei Guzzi. E’ stato impiegato al<br />
porto di <strong>Capodistria</strong>. Abitava in uno<br />
dei blocchi sorti tra la chiesetta di<br />
Semedella e casa Gambini.
<strong>La</strong> città<br />
55
<strong>La</strong> chiesetta di S. Tommaso<br />
restaurata di recente a spese della<br />
parrocchia. Vi si conserva una statua<br />
prodotta in Val Gardena e un affresco<br />
attribuito al Clerigino (sec. XV).<br />
Dopo due anni di chiusura è stato<br />
finalmente riaperto il Caffè della<br />
Loggia. Il »salotto« di <strong>Capodistria</strong><br />
èstato affidato in gestione alla<br />
società Kolosej.<br />
E' in via di demolizione questa casa,<br />
un tempo locale pubblico, vicino allo<br />
stadio. <strong>La</strong> posizione era nota come<br />
»a la Tappa«. <strong>La</strong> foto è degli ultimi<br />
giorni di novembre.<br />
Una comitiva della Comunità degli Italiani »Santorio Santorio« di <strong>Capodistria</strong> composta da 25 partecipanti ha<br />
partecipato dall'11 al 13 settembre scorso all'escursione di studio in Trentino, organizzata nell'ambito del piano<br />
permanente di collaborazione tra Unione Italiana e Università Popolare di Trieste. In compagnia dei connazionali<br />
di Cherso e di Lussino, i nostri soci hanno visitato le località di Trento, della Val Rendena e di Pinzolo, prendendo<br />
contatto con le tipicità artistiche, storiche e paesaggistiche del posto e apprezzando in generale l'alto grado di<br />
cultura dell'ospitalità nel Trentino. Nella foto ricordo (cortesia della C.I. di Lussinpiccolo) è ritratta la comitiva<br />
dinanzi alla chiesa di San Vigilio a Pinzolo, conosciuta per la famosa raffigurazione della danza macabra.