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Anno 15 Numero 31 Foglio della comunità italiana di Capodistria Dicembre 2010

Anno 15 Numero 31<br />

Foglio della comunità italiana di <strong>Capodistria</strong><br />

Dicembre 2010


Foto: Danilo Fermo<br />

Il Gruppo filodrammatico Cademia Castel Leon della<br />

Comunità degli italiani di <strong>Capodistria</strong>, guidato da Bruna<br />

Alessio, si è esibito il 15 ottobre alla Comunità di Umago.<br />

Foto: Il Mandracchio<br />

Il Gruppo di canto <strong>La</strong> Porporela è composto da Giancarlo<br />

Ernestini, Mario Gandusio, Evgen Gombač, Josip Bepi<br />

Gregorovič, Luigi Maier, Bruno Pečarič e Narciso Stanič.<br />

Il chitarrista e cantante blues Francesco Piu, ospite di<br />

<strong>La</strong>ra Drčič nello studio 01 di Radio <strong>Capodistria</strong>.<br />

L'incontro delle bande d'ottoni nell'ambito del programma<br />

per le celebrazioni del centenario della Prima Esposizione<br />

istriana. In primo piano i suonatori di Buie e Albona.<br />

Delegazione del Comitato consultivo della Convenzione quadro<br />

per la tutela delle minoranze nazionali del Consiglio d'Europa,<br />

guidata da Rainer Hofmann, coi vertici della CNI in Comunità.<br />

Rivivono anche le calli minori di <strong>Capodistria</strong>. Nella foto<br />

l'inaugurazione della Galleria artistica Svojc di Vojc<br />

Sodnikar-Ponis in Calle Gruden, già Calletta S. Tommaso.<br />

<strong>La</strong> Città è il periodico semestrale della Comunità degli Italiani Santorio Santorio di <strong>Capodistria</strong>. Viene pubblicato<br />

nell’ambito dell’attività editoriale prevista dal programma culturale della Comunità autogestita della nazionalità<br />

italiana di <strong>Capodistria</strong> cofinanziato dal Ministero per la Cultura della Repubblica di Slovenia e dal Comune<br />

città di <strong>Capodistria</strong>, e con il contributo finanziario dell’Unione Italiana. Redattore responsabile: Alberto Cernaz.<br />

Stampa: Pigraf s.r.l. Isola. Tiratura: 1.300 copie. Distribuzione gratuita a mezzo posta riservata ai soci della<br />

Comunità. Indirizzo: Comunità degli italiani Santorio Santorio di <strong>Capodistria</strong>, Redazione de <strong>La</strong> Città, Via Fronte<br />

di Liberazione 10, 6000 Koper-<strong>Capodistria</strong> (SLO). E-mail: la<strong>citta</strong>1@gmail.com. Foto di copertina di Ivo Pervan.


Inaugurato il “Salotto del libro italiano”<br />

<strong>La</strong> città<br />

È culminata con l’inaugurazione dell’ “Infolibro – Salotto del libro italiano”, la giornata del 3 dicembre<br />

dedicata alla presentazione al pubblico del progetto “JezikLingua”, finanziato nell’ambito del Programma per<br />

la Cooperazione Transfrontaliera Italia-Slovenia 2007-2013.<br />

Foto: Jana Belcijan<br />

»Il Salotto del libro italiano« si trova di fronte a palazzo Carli. Aperto il lunedì, mercoledì e venerdì.<br />

“Info-libro” informerà, per ora,<br />

riguardo le pubblicazioni prodotte<br />

della CNI in Slovenia e Croazia.<br />

Saranno così esposti i volumi<br />

dell’EDIT, quelli del Centro di<br />

Ricerche Storiche di Rovigno, ed i<br />

più svariati libri, monografie, ricerche<br />

e giornalini editi dalle singole<br />

Comunità degli Italiani. A lungo<br />

termine, invece, si vuole dar vita a<br />

una vera e propria libreria italiana. A<br />

progetto europeo concluso il salotto<br />

potrà iniziare a svolgere un’attività<br />

commerciale, periodo entro il quale<br />

verrà intanto preparata un’apposita<br />

pagina web.<br />

L’iniziativa coinvolge l’Unione<br />

Italiana di <strong>Capodistria</strong>, la <strong>CAN</strong><br />

Costiera, il Centro “Carlo Combi”,<br />

la Biblioteca “Srečko Vilhar” di<br />

<strong>Capodistria</strong>, il Centro di studi<br />

“Jacques Maritain” di Portogruaro e<br />

il Consorzio Universitario del FVG.<br />

Importante pure l’apporto di ben<br />

quattro poli universitari: <strong>Capodistria</strong>,<br />

Udine, Trieste e Venezia. Obiettivo<br />

di fondo: promuovere le lingue, le<br />

culture italiana e slovena, attraverso la<br />

risorsa rappresentata dalle Comunità<br />

Nazionali italiana in Slovenia e<br />

Croazia e slovena in Italia.<br />

Molti i punti previsti nel programma<br />

da svolgere sino al 2013 esposti<br />

dai responsabili Ivo Corva,<br />

Maurizio Tremul e da Suzana<br />

Pertot: l’allestimento del Centro<br />

multimediale per la lingua slovena<br />

a San Pietro al Natisone, dei corsi di<br />

lingua italiana (in Slovenia) destinati<br />

a gruppi target, come polizia, settore<br />

sanitario ed operatori pubblici, la<br />

traduzione di opere della minoranza<br />

italiana e slovena, la pubblicazione di<br />

un’antologia sugli illustri istriani e di<br />

modi di dire della parlata istro-veneta.<br />

Foto: Jana Belcijan<br />

C’è poi il discorso del recupero dei<br />

libri antichi presso la biblioteca<br />

capodistriana. Preparati spazi e<br />

attrezzature necessari, nel 2011 si<br />

procederà alla digitalizzazione dei<br />

volumi. Il catalogo digitale verrà<br />

poi passato su un server. Tre i fondi<br />

antiquari in questione: il “Rara” -<br />

mille volumi e quattro incunaboli,<br />

il “Fondo dei conventi di S. Anna e<br />

S. Marta” – duemila volumi e più di<br />

300 cinquecentine, il “Fondo della ex<br />

Biblioteca civica”.<br />

Biblioteca centrale: il direttore Markovič con il vicesindaco Scheriani, il presidente<br />

della SSO Štoka, il Ministro per gli sloveni nel mondo Žekš e la Senatrice Blažina.<br />

3


<strong>La</strong> città<br />

4<br />

»Dal monolinguismo si può guarire«<br />

Intervista al prof. Guido Križman, che all’inizio di quest’anno è subentrato alla prof. Oleandra Dekleva nella<br />

carica di preside della Scuola elementare »Pier Paolo Vergerio il Vecchio«.<br />

Ci vuoi raccontare qualcosa di te?<br />

Da parte materna le mie origini sono<br />

del Pinguentino, da parte paterna<br />

invece da Portole. Il nonno parlava lo<br />

slavo istriano, mentre la nonna, una<br />

Persico, è stata quella che ha dato<br />

l’impronta istro-veneta alla famiglia.<br />

Io nasco a <strong>Capodistria</strong> il 20 agosto del<br />

1968, frequento la scuola elementare<br />

italiana di Strugnano, continuo<br />

dalla quinta all’ottava a Isola. Poi<br />

ho frequentato il ginnasio »Carli«<br />

di <strong>Capodistria</strong> e mi sono laureato in<br />

storia all’Università di Trieste. Sono<br />

sposato ed ho due figli.<br />

A Strugnano la scuola c’e’ ancora,<br />

ma non ci sono iscritti. Ai tuoi<br />

tempi?<br />

Eravamo in tre, e in sezione combinata<br />

in quattro.<br />

Secondo te, frequentare un scuola<br />

periferica è un vantaggio o no?<br />

Ci sono vantaggi e svantaggi, ma<br />

penso che prevalgano gli aspetti<br />

positivi. Il fatto che ci sia un rapporto<br />

diverso tra alunno e insegnante…<br />

essendoci pochi alunni l’insegnante<br />

diventa quasi uno di famiglia. Nelle<br />

classi combinate gli alunni più piccoli<br />

diventano una sorta di fratelli minori<br />

dei più grandi. A quei tempi vivere<br />

in campagna significava vivere un<br />

mondo completamente diverso. Oggi<br />

la campagna è diventata periferia e<br />

questa grande differenza non c’è più.<br />

Dicono che i bambini che vengono<br />

dalle periferiche risultano nelle<br />

classi superiori più calmi ed<br />

educati.<br />

Può essere. Ma comunque non si<br />

può generalizzare, ogni alunno è un<br />

mondo a sé.<br />

<strong>La</strong> »Vergerio« è di fatto la scuola<br />

con lingua di insegnamento italiana<br />

più grande in Slovenia. Che eredità<br />

ti ha lasciato la ex preside, prof.<br />

Dekleva?<br />

Io entravo in carica quando l’anno<br />

scolastico era già avviato, da questo<br />

punto di vista è stato un po’ un<br />

vantaggio. Per me è una situazione<br />

del tutto nuova, prima ho insegnato<br />

storia e scienze sociali. Il mio<br />

primo anno di lavoro l’avevo fatto<br />

proprio qui alla »Vergerio« dunque<br />

l’ambiente, in parte, lo conoscevo.<br />

Ora, per dirigerlo al meglio, bisogna<br />

imparare tante cose. Devo dire che<br />

una mano determinante me l’ho data<br />

il collettivo: sia gli insegnanti che il<br />

personale tecnico-amministrativo, in<br />

particolare la vicepreside, che mi ha<br />

aiutato a calarmi nel ruolo.<br />

Qual’è la cosa più difficile?<br />

Proprio quella di calarsi nel ruolo, fare<br />

proprio il sistema che la ex preside<br />

ha creato in questi 17 anni, e cercare<br />

a quel punto di dare una personale<br />

impronta di gestione.<br />

Che rapporto hai con gli alunni?<br />

Coi ragazzi ho sempre avuto un<br />

rapporto aperto. Mi piace molto<br />

scherzare. Penso che senza una dose<br />

di ironia non sia possibile lavorare a<br />

scuola.<br />

Ma se scherzi, potrebbero non<br />

prenderti sul serio.<br />

Al contrario. Impostare un tipo di<br />

approccio in cui è ben chiaro quando<br />

si scherza e quando si lavora, porta<br />

a buoni risultati. Bisogna trovare<br />

un accordo e spiegare agli alunni<br />

quali paletti non vanno superati.<br />

L’atmosfera comunque non deve<br />

influire sulla valutazione: chi sa sa,<br />

chi non sa non sa. E poi un’altra cosa:<br />

ogni classe è un pianeta differente;<br />

bisogna adattare il proprio modo di<br />

lavorare, la propria personalità ad<br />

ogni classe, se non ad ogni singolo<br />

ragazzo. Io penso di non aver mai<br />

lavorato allo stesso modo in un<br />

anno in classi diverse.E’ una cosa<br />

comunque difficilissima.<br />

Ti capita di parlare direttamente<br />

con loro anche adesso che sei<br />

preside?<br />

Purtroppo spesso arrivano in<br />

ufficio solo quando c’è qualcosa da<br />

rimproverare. Gradirei incontrarli più<br />

spesso, quando fanno cose meritevoli.<br />

Comunque ogni colloquio, specie<br />

quello che nasce da un problema, è<br />

utile. Ogni rosa ha le sue spine, ma<br />

quelle spine servono a farti capire<br />

cosa non funziona.<br />

Che rapporto ha la scuola<br />

elementare italiana di <strong>Capodistria</strong><br />

con le altre scuole slovene del<br />

territorio?<br />

Se partiamo dai presidi, il Comune<br />

di <strong>Capodistria</strong> ha un attivo dei presi<br />

che si incontrano 3-4 volte all’anno.<br />

Sono momenti in cui, nelle situazioni<br />

più informali, ci si scambia idee,<br />

opinioni, esperienze che nei libri<br />

e nei vari manuali faresti fatica a<br />

trovare. Certo la nostra scuola è<br />

un po’ specifica, perchè abbiamo<br />

meno alunni. <strong>La</strong> sfera nella quale<br />

gravitiamo è molto varia: siamo a<br />

<strong>Capodistria</strong> ma ci sono aspetti che ci<br />

uniscono alla parte croata dell’Istria e<br />

a Fiume, per altri aspetti siamo legati<br />

a Muggia e Trieste.<br />

<strong>La</strong> scuola è anche fattore di identità<br />

linguistico-culturale?<br />

Anni fa ci si chiedeva se le nostre<br />

scuole siano »della nazionalità« o<br />

»con lingua di insegnamento italiana«.<br />

Io penso tutte e due. Noi comunque<br />

portiamo avanti una tradizione che ha<br />

origini secolari in queste terre, che si<br />

identifica con la nazionalità e con la<br />

minoranza italiana.<br />

Ma questa scuola è frequentata<br />

anche da alunni sloveni e di altre<br />

nazionalità…<br />

Chi si iscrive a questa scuola<br />

abbraccia anche una certa filosofia.<br />

Ha una scelta abbastanza vasta nel<br />

Comune di <strong>Capodistria</strong>. Se sceglie<br />

la nostra scuola, sia lui che i suoi<br />

genitori, devono essere coscienti<br />

che il ragazzo costruirà il loro primo<br />

sapere in lingua italiana. Oltre alla<br />

lingua la scuola porta avanti anche<br />

dei valori che sono legati alla nostra<br />

regione, alla nostra situazione, alla<br />

nostra storia.


Che rapporto ha, o vorrebbe avere,<br />

con i genitori?<br />

Il nuovo sistema da ai genitori maggori<br />

possibilità di coinvolgimento nella<br />

vita scolastica, ma questa opportunità<br />

viene sfruttata poco. <strong>La</strong> famiglia<br />

è un elemento fondamentale di<br />

questo sistema-scuola. L’istituzione<br />

è vista come un insieme di soggetti<br />

che collaborano per condurre<br />

gli alunni attreverso la scuola<br />

dell’obbligo acquisendo le necessarie<br />

competenze.<br />

Come responsabilizzare di più i<br />

genitori?<br />

Basterebbe poco. Un amico, docente<br />

universitario, di lavoro mi ha detto<br />

che certe volte i genitori vengono<br />

in facoltà per parlare dei figli. Le<br />

cose son cambiate. Per certi aspetti<br />

gli alunni di oggi sono »più avanti«<br />

rispetto a quanto non lo eravamo<br />

noi, per altre sono »indietro«. Più<br />

riusciremo a responsabilizzare i<br />

ragazzi e meno possibilità ci sarà che<br />

crescano in dei ragazzi con difficoltà<br />

di confrontarsi con le difficoltà di una<br />

società complessa come la nostra.<br />

<strong>La</strong> scuola ai tempi della Jugoslavia<br />

ci dava meno nozioni, ma una<br />

buona cultura generale. Ora mi<br />

pare il contrario. A 14 anni i ragazzi<br />

ti elencano nomi e caratteristiche<br />

di tutti i batteri, ma si bloccano se<br />

gli chiedi la capitale di un paese<br />

europeo…<br />

I nuovi curricula di insegnamento nelle<br />

varie materie sono già stati preparati,<br />

ma non vengono ancora utilizzati.<br />

Si parla di snellire i programmi, di<br />

puntare più sulle competenze e meno<br />

sui nozionismi. Io mi aspetto che<br />

questi programmi entrino in vigore<br />

quanto prima. Noi abbiamo bisogno<br />

di persone che ragionano, persone<br />

capaci di uscire dai compartimenti<br />

stagni di una volta in cui le materie<br />

non venivano trasmesse in modo<br />

interdisciplinare.<br />

Cosa intende per<br />

interdisciplinare?<br />

Per dire…noi abbiamo previsto<br />

per quest’anno più giornate in<br />

cui adatteremo l’orario. Verranno<br />

studiati determinati blocchi tematici,<br />

nella stessa settimana, però attraverso<br />

diverse discipline.<br />

Quali obiettivi ti sei posto per i tuoi<br />

cinque anni di mandato?<br />

Di continuare il discorso di apertura<br />

della scuola verso l’esterno,<br />

dunque di far vedere che ci siamo,<br />

anche collaborando con i mezzi di<br />

informazione. Poi modernizzare<br />

l’istituto, con la creazione di una<br />

rete internet (ICT) e di ampliare le<br />

rispettive competenze .<br />

Tra l’altro avete rinnovato il sito<br />

web della scuola (www.vergerio.<br />

si).<br />

Va detto che la ex preside, prof,<br />

Dekleva, ha fatto molto, ha posto<br />

alcune basi che ora intendiamo<br />

portare avanti. Io ho ritenuto<br />

subito che andava potenziata la<br />

comunicazione con l’esterno. E il sito<br />

internet scolastico è, e lo sarà sempre<br />

di più, un mezzo attraverso il quale<br />

ti fai conoscere nel mondo. Ci sono<br />

genitori che chiamano dall’estero che<br />

avevano conosciuto la nostra scuola<br />

tramite internet e che chiedevano<br />

informazioni. Era una priorità che<br />

abbiamo realizzato.<br />

Ora però aspettate la<br />

ristrutturazione dell’interno<br />

edificio elementare-ginnasio. Date<br />

le scarse disponibilità finanziarie<br />

del Paese, i tempi previsti di sono<br />

un po’ allungati…<br />

<strong>La</strong> città<br />

Prima o poi ci arriveremo. L’idea<br />

è quella di ristrutturare l’edificio,<br />

realizzando un nuovo piano nelle due<br />

ali laterali dell’edificio. Si farà un<br />

livellamento nei confronti del corpo<br />

centrale della scuola – quello dove si<br />

trova l’aula magna – che in effetti è più<br />

alto. Questa operazione ci consentità<br />

di guadagnare alcune centinaia di<br />

metri quadri di superficie.<br />

Qualche particolare?<br />

Intanto avremo un ambiente nuovo e<br />

rinnovato. Il giardino interno diverrà<br />

coperto, verranno abbattuti i due<br />

alberi e verranno tolte le vetrate dagli<br />

archi in pietra bianca.<br />

Quante generazioni sono stete<br />

fotografate davanti a quegli alberi.<br />

Non è un peccato abbatterli?<br />

E’ un peccato, però non avendo<br />

superfici fruibili dai ragazzi per fare<br />

un po’ di movimento, d’inverno<br />

ad esempio…la palestra è sempre<br />

occupata, o per il ginnasio o per<br />

lezioni o per esterni.<br />

Poi?<br />

L’aula magna verrà allargata allo<br />

spazio dove adesso si trova la<br />

biblioteca della scuola elementare.<br />

5


<strong>La</strong> città<br />

Quest’ultima troverà posto in un’altra<br />

aula del primo piano. L’aula magna<br />

diventerà uno spazio enorme di 140<br />

metri quadri. E’ prevista qualche aula<br />

in più e l’ascensore.<br />

Durante la ristrutturazioni, dove si<br />

farà lezione?<br />

Di questo non abbiamo ancora<br />

parlato. Suppongo che si ricorrerà a<br />

un rimedio, come è stato fatto per i<br />

ragazzi della scuola slovena quando<br />

si costruiva la scuola in Bonifica.<br />

Scuola-Comunità degli italiani: si<br />

può collaborare?<br />

Ho avuto colloqui col presidente<br />

della CI, Mario Steffè, e abbiamo<br />

visto che si potrebbe avviare una<br />

serie di attività extrascolastiche da<br />

svolgersi anche nella sede della<br />

Comunità. In questo periodo si stanno<br />

avviando i corsi di »Tecniche audiovideo«,<br />

mentore Damian Fischer,<br />

e di »Cucina istriana« a cura di<br />

Mariella Zanco Tavernise. Si voleva<br />

fare di più, ma c’è un problema di<br />

orari. Generalmente le attività di<br />

interesse che si svolgono a scuola, si<br />

svolgono dalle 13.30 alle 16, specie<br />

se riguardano l’uso della palestra.<br />

Gli insegnanti che fanno attività<br />

d’interesse lo fanno subito dopo le<br />

lezioni. Per la Comunità è più pratico<br />

accogliere i ragazzi dopo le 16, ma<br />

per loro non lo è perchè a quell’ora<br />

di solito sono già tornati a casa. Se<br />

troveremo delle attività interessanti,<br />

se ci sarà una buona risposta dei<br />

ragazzi certamente proseguiremo il<br />

discorso.<br />

Potrebbe essere anche un<br />

pretesto per farli stare insieme,<br />

6<br />

dando un’alteriore occasione di<br />

comunicare in italiano anche fuori<br />

le mura scolastiche.<br />

Certo. Ma anche di relazionare con<br />

gli altri ragazzi. Io vedo questi ragazzi<br />

che hanno finito per esempio la nona<br />

classe, sono un gruppo, comunicano,<br />

sono rimasti amici. Anche se<br />

frequentano scuole diverse, restano<br />

in contatto. I legami che maturano<br />

nella scuola dell’obbligo potrebbero<br />

trovare sede in queste situazioni<br />

legate alla Comunità.<br />

Ovviamente bisogna proporre dei<br />

contenuti che incontrino l’interesse<br />

dei ragazzi…<br />

Dobbiamo discutere e cercare di<br />

capirlo assieme a loro.<br />

Come siete messi con gli insegnanti.<br />

Riuscite a coprire agevolmente<br />

tutte le materie?<br />

Grossi problemi non ci sono.<br />

Abbiamo due insegnanti che arrivano<br />

dall’Italia, però soltanto uno tramite<br />

la convenzione UI-UPT. I problemi<br />

per alcune materie di presenteranno<br />

tra qualche anno quando alcuni nostri<br />

insegnanti andranno in pensione. Ad<br />

esempio per le lezioni di musica.<br />

Musica perchè? Perchè ci sono<br />

poche ore e un maestro dunque<br />

basterebbe per coprire le esigenze<br />

delle scuole italiane di <strong>Capodistria</strong>,<br />

Isola e Pirano. Bisogna pianificare:<br />

abbiamo chiesto anche una borsa<br />

studio per questo tipo di quadro, forse<br />

qualcuno avrà interesse ad aderire e a<br />

venire a lavorare a scuola. Devo dire<br />

comunque che abbiamo insegnanti<br />

molto validi.<br />

Abbiamo anche alunni validi. Lo<br />

dimostrano i piazzamenti nelle<br />

gare a livello nazionale.<br />

Le verifiche nazionali ci portano<br />

ogni anno risultati diversi, pur con<br />

gli stessi insegnanti. Dipende molto<br />

dunque, anche dalla generazione.<br />

Penso che dobbiamo lavorare di più<br />

sulla lingua. Dovremmo impostare<br />

un sistema di lavoro che presupponga<br />

l’insegnamento della lingua a tutti<br />

i livelli, in tutte le materie; con il<br />

collegamento degli attivi professionali<br />

in senso verticale, dalle inferiori<br />

fino alle superiori. Sono discorsi<br />

abbastanza difficili da impostare, ma<br />

che credo li dovremo affrontare.<br />

E’ difficile gestire, oltre alla sede<br />

centrale, anche le tre sezioni<br />

periferiche?<br />

Il mio problema è proprio questo.<br />

Vorrei essere molto più presente nelle<br />

periferiche, ma per vari impegni ciò<br />

non è possibile.<br />

Possiamo essere soddifatti con il<br />

livello delle iscrizioni?<br />

Penso di sì, anche se bisogna tener<br />

conto del fenomeno Crevatini. Per me<br />

sarebbe importante tirare un po’ su il<br />

numero delle iscrizioni a Bertocchi<br />

e <strong>Capodistria</strong>. A Semedella stiamo<br />

abbastanza bene.<br />

Il fenomeno-Crevatini è<br />

determinato dal fatto che in quella<br />

scuola si iscrivono, negli ultimi<br />

anni, anche bambini del vicino<br />

Comune di Muggia.<br />

Un fenomeno particolare, ma che non<br />

mi sorprende. E’ chiaro che alcune<br />

materie vengono insegnate in maniera<br />

diversa rispetto all’Italia, tipo la<br />

storia, ma per il resto…la matematica<br />

resta la matematica.<br />

Alcuni genitori di questi bambini<br />

muggesani vedono per i loro<br />

figli l’opportunità di imparare<br />

lo sloveno pur frequentando una<br />

scuola con lingua di insegnamento<br />

italiana.<br />

Una cosa che ho percepito anch’io.<br />

E sono contento che questa nuova<br />

generazione di genitori cominci ad<br />

uscire da certi stereotipi, di chiusura<br />

nei confronti della lingua slovena, che<br />

erano diffusi oltreconfine. Mi piace<br />

ricordare una frase detta da un docente<br />

della Ca’ Foscari: »Il monolinguismo<br />

è curabile«. E’ evidente che più lingue<br />

apprendi e più sei ricco.<br />

Direttore, tanti auguri.<br />

E’ stato un piacere.


Le ragazze del “Carli” premiate per le poesie in inglese<br />

Ancora una volta gli studenti del ginnasio italiano “Gian<br />

Rinaldo Carli” di <strong>Capodistria</strong> si sono distinti in ambito<br />

internazionale tenendo alto il nome della scuola grazie<br />

alla loro padronanza della lingua inglese. Hanno vinto<br />

infatti il primo premio al Concorso Internazionale di<br />

poesia Castello di Duino (hanno partecipato 65 scuole<br />

da tutto il mondo). L’edizione 2010 ha avuto come tema<br />

“Luce/Ombre” – il ciclo naturale del tempo, i colori della<br />

realtà e dell’anima, le metafore della vita, del pensiero e<br />

del dubbio. Il gruppo, composto da Luisa Peress, Barbara<br />

Jeretina Grbec, Mia Dellore, Krisel Božič, Angelina<br />

Ćirković, Vita Valenti e Valentina Vatovec, ha proposto<br />

una raccolta di liriche corredata da fotografie, sempre<br />

legate alla tematica stabilita. “Per scrivere e capire la<br />

poesia bisogna sentirla nel cuore” rileva Alenka Pišot,<br />

professoressa di inglese nonché docente responsabile del<br />

progetto stesso e da anni grande spronatrice dei talenti<br />

linguistici che passano dal “Carli”, “E questo è ciò che<br />

hanno i nostri alunni – quella sensibilità e tenerezza<br />

dell’anima che permettono di sentire la vita ed i suoi<br />

valori. Per cui mi fa tanto piacere che il loro livello della<br />

conoscenza dell’inglese sia tale, da permettere loro di<br />

esprimervi i propri sentimenti più profondi”.<br />

<strong>La</strong> città<br />

Sono molti anni che i ragazzi dell’istituto capodistriano<br />

ottengono eccellenti risultati, sempre animati ed<br />

entusiasmati dalla professoressa Pišot, nelle varie<br />

competizioni e progetti sia statali sia internazionali. Si<br />

tratta di successi importanti, soprattutto se contrapposti<br />

al rapporto proporzionale del piccolo numero di giovani<br />

dell’istituzione CNI in confronto a quelli di altre grandi<br />

scuole del Paese o d’oltreconfine.<br />

Premio “Žagar” alla prof. Loredana Sabaz<br />

Alla prof.Loredana Sabaz, docente di fisica e matematica, al Ginnasio “Carli” di <strong>Capodistria</strong> è stato conferito il Premio<br />

Žagar – riconoscimento che la Repubblica di Slovenia dedica dal 1994 a istituzioni e insegnanti che si distinguono<br />

per il loro operato. Nella motivazione si legge che la Prof. Sabaz si è prodigata per mantenere le tradizioni attraverso<br />

la costituzione di un museo scolastico, ma ha rivolto il suo impegno anche all’innovazione sia nell’insegnamento<br />

sostenendo in prima persona progetti nazionali ed internazionali. Nella foto la consegna del premio da parte del<br />

Ministro Lukšič.<br />

7


<strong>La</strong> città<br />

Il Dipartimento di Italianistica<br />

della Facoltà di Studi Umanistici<br />

dell’Università del Litorale assieme<br />

alle scuole italiane del nostro<br />

territorio è stato invitato dallo scorso<br />

anno accademico a partecipare in<br />

8<br />

<strong>La</strong> »Festa delle zucche« all’asilo di Semedella<br />

Giovedì, 28 ottobre, all’asilo di Semedella, anche quest’anno sotto Halloween abbiamo organizzato la<br />

consueta “Festa delle zucche”.<br />

E’ stata una giornata magica! <strong>La</strong> nostra aula per qualche ora si è trasformata in un castello stregato,<br />

addobbato con ragnatele, pipistrelli, streghe, fantasmi, luci intermittenti e zucche intagliate.<br />

Le maestre hanno cambiato sembianze in zucche birichine ed hanno preparato una simpatica scenetta.<br />

qualità di Giuria al Premio Nazionale<br />

di Letteratura per ragazzi “Mariele<br />

Ventre” (già direttrice del Coro<br />

dei bambini dell’Antoniano di<br />

Bologna) organizzato dal Comune<br />

di Sasso di Castalda (Potenza)<br />

“Siamo quattro zucche ballerine<br />

dette anche birichine.<br />

Siamo belle colorate<br />

siam rotonde e ben formate.<br />

Tante cose noi facciamo:<br />

dai bambini noi andiamo<br />

e con loro Halloween festeggiamo!”<br />

Noi bambini non siamo stati da meno, e ci siamo<br />

trasformati in fantasmini. Tra rumori inquietanti e<br />

urla divertite abbiamo ballato e cantato: ci siamo<br />

divertiti proprio tanto!<br />

Giuria capodistriana a Potenza<br />

Dipartimento di italianistica e scuole del territirio<br />

e dal Circolo Culturale “Silvio<br />

Spaventa Filippi” - Fondazione<br />

Premio Letterario Basilicata.<br />

Lo scorso anno (2009/2010) alla<br />

manifestazione hanno partecipato<br />

gli allievi della SE Vincenzo e<br />

Diego de Castro di Pirano, quelli<br />

del Ginnasio Gian Rinaldo Carli<br />

di <strong>Capodistria</strong> e gli studenti del<br />

Corso di <strong>La</strong>urea in Italianistica<br />

dell’Università del Litorale.<br />

Quest’anno in qualità di giuria<br />

studentesca hanno collaborato gli<br />

allievi del Ginnasio Gian Rinaldo<br />

Carli di <strong>Capodistria</strong> guidati dalla<br />

docente Anita Dessardo e gli studenti<br />

del Corso di <strong>La</strong>urea in Italianistica<br />

dell’Università del Litorale. Per il<br />

Premio 2010 i ragazzi hanno dovuto<br />

leggere 34 libri della categoria<br />

narrativa per ragazzi che va da 9<br />

agli 11 anni e 24 libri della categoria<br />

narrativa per ragazzi da 12 a 16<br />

anni. Alla cerimonia di premiazione,<br />

svoltasi a Potenza il 23 maggio<br />

hanno partecipato in qualità di giuria<br />

del concorso 25 nostri ragazzi e 4<br />

docenti.


APERTURE - Ad aprire il dibattito<br />

è stato l’eurodeputato Zoran Thaler,<br />

eletto sulle liste socialdemocratiche,<br />

che in Istria e precisamente a Padena,<br />

ha stabilito la sua seconda residenza.<br />

È proprio in Istria che ha potuto<br />

toccare con mano la facilità con cui<br />

i residenti nell’area passano da una<br />

lingua all’altra e la ricchezza che<br />

deriva dall’essere bilingui. <strong>La</strong> “piccola<br />

torre di Babele” gli ricorda molto la<br />

situazione che vive al Parlamento<br />

europeo, dove al contrario di quanto<br />

si temeva, le lingue dei popoli<br />

più piccoli, come lo sloveno, non<br />

sono minacciate. Ciò fa capire che<br />

nell’Europa unita si sente la necessità<br />

di aperture in tema di uso delle lingue<br />

e che gli eventuali problemi sono<br />

innanzitutto delle sfide. Aurelio Juri<br />

ha rilevato come, pur parlando in<br />

italiano, si sente perfettamente inserito<br />

nella realtà locale capodistriana e<br />

compreso dalla maggioranza dei suoi<br />

con<strong>citta</strong>dini. Conoscere la lingua<br />

dell’alta comunità è, però, a suo<br />

avviso un segno di rispetto reciproco,<br />

DIBATTITO TEMATICO A CAPODISTRIA<br />

Sfide e opportunità del bilinguismo<br />

senza contare i vantaggi che ciò può<br />

comportare nel mondo del lavoro.<br />

MARCIA IN PIÙ - Per Maurizio<br />

Tremul crescere in territorio bilingue<br />

è una possibilità in più perché tale<br />

condizione apre la strada a conoscere<br />

due lingue, due culture, realtà<br />

storiche diverse e a comprendere il<br />

pensiero dell’altra comunità. Tremul<br />

si è detto favorevole ad un’istruzione<br />

plurilingue su tutto il territorio. A<br />

suo avviso un approccio del genere<br />

potrebbe contribuire a colmare<br />

le lacune ancora esistenti in fatto<br />

di comprensione della posizione<br />

della Comunità Nazionale Italiana.<br />

“Nonostante tutti i cambiamenti<br />

avvenuti, la fine delle dittature<br />

fascista e comunista, ci si chiede<br />

ancora come mai vi sia una presenza<br />

italiana in Istria. Servirebbe una<br />

campagna d’informazione su quanto<br />

accaduto nella regione, sul fatto<br />

che per gli italiani rimasti dopo la<br />

tragedia dell’esodo sia giustificato il<br />

bilinguismo, il sistema scolastico e<br />

gli altri diritti della CNI. Purtroppo –<br />

<strong>La</strong> città<br />

Conoscere ambedue le lingue del <strong>Capodistria</strong>no e assimilare la ricchezza culturale offerta in regione, consente<br />

ai <strong>citta</strong>dini di poter contare su una “marcia in più”. È la constatazione di fondo emersa al Forum europeo dei<br />

<strong>citta</strong>dini intitolato “Opportunità e sfide della vita in territorio bilingue”. Organizzato presso il Centro “Rotunda”<br />

di <strong>Capodistria</strong>, il momento di incontro e riflessione ha visto la partecipazione del deputato europeo, Zoran<br />

Thaler, del presidente della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana, Maurizio Tremul, e dell’ex eurodeputato<br />

capodistriano, Aurelio Juri. A condurre la serata è stata chiamata la giornalista, Devana Jovan.<br />

Maurizio Tremul, Zoran Thaler, Devana Jovan e Aurelio Juri.<br />

ha detto – le innumerevoli iniziative<br />

promosse dalle nostre istituzioni<br />

passano spesso inosservate sui mezzi<br />

d’informazione sloveni, compresi<br />

quelli che per statuto, come la RTV<br />

Slovenia, dovrebbero seguirli”.<br />

MONDO SCUOLA - Tra gli altri<br />

temi affrontati in sede di dibattito<br />

va menzionato quello incentrato sul<br />

mondo della Scuola CNI. “È un tema<br />

delicato, una sfida che va affrontata<br />

vista la massiccia iscrizione di<br />

bambini di altre nazionalità. <strong>La</strong> loro<br />

carente competenza linguistica crea<br />

problemi nei processi pedagogici,<br />

specialmente se non si riesce<br />

ad affermare l’importanza della<br />

comunicazione in italiano, pur non<br />

volendo negare le altre identità. <strong>La</strong><br />

CNI, però – ha concluso Tremul –, è<br />

sempre stata e rimane contraria alla<br />

chiusura delle proprie scuole per gli<br />

alunni non italiani”.<br />

Gianni Katonar<br />

(<strong>La</strong> Voce del Popolo)<br />

9


<strong>La</strong> città<br />

Koper-<strong>Capodistria</strong>, 15.10.2010<br />

10<br />

PRILOŽNOSTI IN IZZIVI ŽIVLJENJA NA DVOJEZIČNEM OBMOČJU<br />

OPPORTUNITÀ E SFIDE DEL VIVERE SUL TERRITORIO BILINGUE<br />

Vsem lep večer. A tutti buona sera.<br />

Začnem naj svoj uvod z največjo prednostjo, ki jo prinaša živeti na dvojezičnem območju: posso parlare anche<br />

in italiano e dalla maggioranza dei miei con<strong>citta</strong>dini, di chi vive e abita il mio territorio, venir perfettamente<br />

compreso. Almeno qui da noi. So non essere così subito oltre confine, concretamente a Trieste, non attrezzata,<br />

pur vivendovi una consistente minoranza autoctona, quella slovena, a territorio bilingue. Lo sono alcune realtà<br />

municipali minori nei dintorni, ove la comunità slovena è però in maggioranza.<br />

Se vnaprej opravičujem, če bom preskakoval iz enega v<br />

drug jezik, a ker je tema, ki k temu kliče, in ker je tu pri<br />

nas tako preskakovanje pogosta praksa, verjamem, da mi<br />

tega ne boste zamerili. Govorimo torej o priložnostih in<br />

izzivih življenja na dvojezičnem območju. Priložnosti<br />

se ponujajo same po sebi občanki in občanu, še zlasti<br />

v mladosti, ko pričenjata poklicno ali karierno pot, če<br />

obvladata oba tukajšnja jezika, poleg njiju pa še vsaj<br />

enega od svetovnih. Kot prvo, z obvladovanjem obeh<br />

jezikov okolja, izkazujeta pripadnost svojemu prostoru<br />

in njegovi specifični zgodovinski-kulturni identiteti ter<br />

spoštovanje soobčanke in soobčana druge narodnosti in<br />

jezika, kar je ključ normalnega, ustvarjalnega in prijetnega<br />

sobivanja. Kot drugo, je sporazumevanje lažje tako doma<br />

kot do soseščine, kjer je pretežno v uporabi jezik tvojega<br />

manjšinskega sokrajana.<br />

E così vivi meglio il proprio spazio culturale e meglio<br />

percepisci quello accanto o che interagisce col tuo, come<br />

nel caso del territorio bilingue. Personalmente mi sento,<br />

come appartenente a questo territorio, più ricco, più<br />

completo, più a casa ovunque vada.<br />

Abbandonando la dimensione metafisica e rientrando nel<br />

concreto, chi conosce entrambe le lingue, oltre a possedere<br />

la specifica qualifica richiesta, trova sul nostro territorio<br />

lavoro prima, di chi ne conosce una sola. Do per scontato<br />

ovviamente il rispetto delle regole. <strong>La</strong> conoscenza attiva<br />

dell’ italiano è per altro prescritta per tutti quei posti di<br />

lavoro nella struttura pubblica di servizio alla <strong>citta</strong>dinanza<br />

ed è raccomandata anche per chi si impiega nelle aziende<br />

e nei servizi privati, specie in quelle attività che operano<br />

oltre confine e col resto d’Italia.<br />

Raziskave pričajo, da kdo odrašča v dvojezičnem okolju,<br />

pristopa lažje tudi k tujim jezikom, k učenju tujega ali<br />

tujih jezikov. In kakšni so izzivi, če ne ostajamo le pri<br />

priložnostih in prednostih življenja na dvojezičnem<br />

območju? Ja, veliko jih je.<br />

Za že odraslega priseljenca, ki če iz tujine, mora pristopiti<br />

na novo k obema jezikoma okolja, če iz notranjosti<br />

Slovenije pa k njemu še tuji italijanščini… kako čim prej<br />

do čim boljšega in temu prostoru primernega jezikovnega<br />

znanja in boljših zaposlitvenih možnosti? Ob upadanju,<br />

zavoljo asimilacije in drugih družbeno-kulturnih<br />

procesov, števila avtohtonih Italijank in Italijanov, ki so<br />

vendarle nosilci tukajšnjega drugega okoljskega jezika,<br />

ob upadanju števila njihovih otrok v italijanski šolah in<br />

poraščanju števila otrok druge jezikovne pripadnosti, ki<br />

jim je italijanščina vsaj na začetku tuja, ki jo doma s starši<br />

ne govorijo… kako do ohranjanja nivoja jezikovnega<br />

poučevanja, da ne bo tudi kakovost znanja italijanščine<br />

upadala? Kako do tega, da se bo manjšinec opogumil<br />

in bolj pogosto uporabljal svoj jezik v komunikaciji<br />

z večinskim prostorom? Slednja se še vedno odvija<br />

predvsem v slovenščini. Govorim o opogumljanju, ker<br />

najdeš tu pa tam še ljudi, ki zaradi predsodkov, ignorance<br />

in drugih razlogov, italijanščino sprejemajo silom prilike,<br />

ti dajo vedeti, da jim je težko z njo občevati, ali jo celo<br />

odkrito zavračajo. Pripadnica, oziroma pripadnik narodne<br />

skupnosti se praviloma v taki situaciji jezikovno poskrije<br />

ter spregovori v jeziku sogovornika, da ga ne bi izzival in<br />

si delal težav.<br />

Non ultima, un’ altra importante sfida in specie per<br />

la comunità minoritarie... come fare perchè il suo<br />

appartenente, oltre alle difficoltà che incontra sul territorio<br />

coi con<strong>citta</strong>dini avversi all’italiano e, se vogliamo, con la<br />

carenza di cura dei suoi diritti costituzionali da parte delle<br />

istituzioni preposte, non si ritrovi estromesso, emarginato,<br />

»scomunicato« nel suo essere esponente della minoranza,<br />

per quanto non eletto, anche dalla comunita stessa, ovvero<br />

da chi la rappresenta e ne gestisce formalmente le sorti, nel<br />

momento in cui, parimenti ai <strong>citta</strong>dini della maggioranza,<br />

entra in politica, entra in un partito politico, che se opera<br />

in un contesto nazionale o globale multiculturale non<br />

può che essere sovranazionale, e quindi attento a tutti i<br />

<strong>citta</strong>dini, sloveni, italiani e di altra etnia.<br />

Ho avuto l’ onore di esser stato, eletto sulle liste<br />

socialdemocratiche, sindaco per quasi due mandati<br />

di questa città, successivamente per tre legislature<br />

consecutive deputato al parlamento nazionale e per una<br />

supplenza di 9 mesi, prima dell’amico Thaler, anche a<br />

quello europeo, ma sento dire di non aver soddisfatto,<br />

almeno come sindaco, le aspettative dei miei connazionali<br />

capodistriani. Non mi si spiega il perchè, ma ne prendo<br />

atto. Ad ognuno il diritto di giudizio e scernita. Ma non è<br />

questo che mi si è rinfacciato quando mi sono candidato al<br />

seggio specifico alla Camera di stato. Non ero il candidato<br />

giusto e qualificato a rappresentare la comunità italiana<br />

solo perchè per lunghi anni esponente anche di spicco del<br />

partito socialdemocratico.<br />

Evo, tudi kako iz predsodka, da ko vstopiš v strankarsko<br />

politiko se idejno okužiš in izgubiš objektivnost v presoji<br />

manjšinske problematike, zatorej narodne skupnosti ne<br />

moreš več predstavljati, je eden od pomembnih izzivov<br />

življenja na dvojezičnem, oziroma narodnostno mešanem<br />

območju, s katerim se mora pa spopasti manjšina sama.<br />

Aurelio Juri


Costruite cent’anni fa, ma le chiamano ancora<br />

Le Case nove<br />

<strong>La</strong> città<br />

Abbiamo incontrato la signora Irene Kravos, nata Paoli, residente dal 1933 alle Case nove. Il caseggiato venne<br />

costruito nel primo decennio del secolo scorso per accogliere operai e impiegati. Delle 28 famiglie che lo abitavano<br />

fino agli anni ‘50, oggi ne rimangono due.<br />

Ci parli di lei, signora Irene?<br />

Son nata del 1929. Mio papà xe<br />

morto che gavevo 4 anni, quasi no lo<br />

ga gnanca conossù che ‘l iera sempre<br />

pei ospedai ch’el iera tubercoloso.<br />

Se ciamava Antonio Paoli, nativo de<br />

Santa Domenica de Visinada. El iera<br />

vegnù a <strong>Capodistria</strong> per lavorar, el<br />

iera guardian dele carceri.<br />

E ha sposato una capodistriana?<br />

Maria Kosir. Sua mama, mia nona,<br />

che la nasseva Marsich – prima<br />

cugina del dotor - se gaveva sposà<br />

co’ un de Lubiana, e dopo i taliani de<br />

Kosir i ghe ga messo Cossi. <strong>La</strong> stava<br />

in quela casa de l’Ospedaleto. Iera<br />

l’ospedaleto per le malatie infetive;<br />

iera un fradel de mia nona, Cesare,<br />

che fasseva infermier. Là stava anca<br />

una certa Adele, che la xe restada<br />

dopo l’esodo, e la se ocupava de tanti<br />

gati.<br />

<strong>La</strong> ga fradei o sorele.<br />

‘Vevo un fradel che xe morto a<br />

Trieste. Anca mia mama xe andada<br />

a Trieste, che se no la andava no la<br />

gaveva la pension de guera de mio<br />

papà.<br />

E la xe restada sola?<br />

Sì, ma mi iero za sposada, qua.<br />

Da quando abita alle Case nove?<br />

De quando gavevo 4 anni…nel 1933.<br />

Qua in piassaleto giogavimo la fefa.<br />

E’ passato un secolo da quando<br />

hanno costruito questi palazzi, ma<br />

i capodistriani li chiamano ancora<br />

le Case nove.<br />

No cambierà più questo nome. Case<br />

nove restarà sempre.<br />

Per chi vennero costruiti questi<br />

edifici?<br />

De una parte, qua dove stago mi, iera<br />

tuto guardiani delle carceri, de l’altra<br />

iera per i impiegati…che lavorava in<br />

banca, maestri, professori…<br />

Gente del posto o che veniva da<br />

fuori?<br />

No no, iera dela Sicilia, anca un<br />

napoletan…insoma della bassa.<br />

Voi siete venuti subito in questo<br />

appartamento?<br />

Sì, perché xe morta una portinaia e<br />

dopo i ga trovà mia nona. <strong>La</strong> ga fato<br />

la portinaia e dopo che la xe morta xe<br />

restada mia mama. E dopo son restada<br />

mi perché mia mama xe andada via.<br />

Tre generassioni de portinaie. Me<br />

ricordo che mia mama xe andada via<br />

in otobre del ’55; e in novembre, un<br />

mese dopo, la iera za a <strong>Capodistria</strong>.<br />

Dopo che la se ga fato el passaporto.<br />

<strong>La</strong> stava tre quatro giorni e dopo la<br />

andava a Trieste.<br />

Ricorda qualche vicino di casa di<br />

allora?<br />

Me ricordo i Tòdero, del altra parte<br />

iera i Iacuzzi – lu iera maestro e<br />

diretor de questi blocchi – el maestro<br />

Cherini che stava al numero 6 in<br />

pianteren, el vecio maestro Venturini<br />

in secondo pian co’ la moglie Pinota<br />

che fasseva teatro e la sonava el piano.<br />

<strong>La</strong> iera soto el Circolo italian, mi so,<br />

me ricordo che la andava al Circolo<br />

italian; e in più la fasseva teatro.<br />

Perché chiamavano il Venturini col<br />

soprannome di Calcaovi?<br />

Sàpola-ovi ghe disevimo, per el suo<br />

modo de caminar, come che ghe<br />

mancassi l’apogio.<br />

Le Case nove sorgono su un terreno<br />

che prima era un grande orto.<br />

Sì, dela casa vecia (casa Baseggio,<br />

ex Vida e Gravisi-Tiepolo, ndR) qua<br />

de drio che adesso i la sta metendo<br />

a posto fina in Carantan. Per andar a<br />

scola, in via Combi (oggi Via Krelj,<br />

ndR), passavo per l’atrio de quela<br />

casa. No me ocoreva gnanca meter el<br />

capoto. Nella via, oggi Via Pobega,<br />

ma in quela volta Calle dei Benedettini<br />

(fino al 1956, ndR), per vegnir in qua<br />

ti dovevi verzer el porton, che ‘desso<br />

no ‘l xe più.<br />

Accanto alle Case nove c’era la<br />

lavanderia…<br />

Tuti vegniva qua a lavar. Nela casa<br />

che i sta governando adesso iera, al<br />

11


<strong>La</strong> città<br />

pianteren, due grandi cisterne per<br />

scaldar l’acqua. Mi quando che son<br />

vegnuda qua iera za l’acqua in casa,<br />

ma se andava cior anche ale pompe.<br />

Una iera zo de Betalè.<br />

Come si lavava la biancheria?<br />

Ingrumavo la roba in mastela, e<br />

lavavo con savon. Quando che iera<br />

mace, metevimo senera e acqua de<br />

boio. Vigniva bel bianco e profumà.<br />

Suo marito Franc di dov’è?<br />

De Aidùščina. Ga trovà lavor ala<br />

Frutus…<br />

Fra voi parlate sloveno o italiano?<br />

Sempre italian. Mio marì ga fato<br />

le scole italiane, l’aviamento e el<br />

ginasio. Saveva parlar in lingua, con<br />

mi ga imparà el nostro dialeto.<br />

Quali erano le mansioni del<br />

portinaio delle Case nove?<br />

Scovar le scale, de inverno se serava<br />

i portoni ale 9 de sera, d’estate se<br />

portava l’aqua…perché bisognava<br />

domandarghe ala gente che ne<br />

daghi l’aqua per fregar le scale. Noi<br />

‘vevimo l’aqua in casa che gran parte<br />

a <strong>Capodistria</strong> ancora no i ‘veva. Solo<br />

in tempo de guera iera serade le pipe,<br />

alora andavimo cior dove che iera…<br />

ala Muda, che vegniva dal Bolàs che<br />

xe una campagna fora che se ciama<br />

Bolàs. Go fato tante ciacolade con tua<br />

nona (Stefania, ndR).<br />

<strong>La</strong> conosceva?<br />

Mama mia, quante volte son andà de<br />

ela a bever cafè. Go anca lavorà con<br />

ela nela fabrica del pesse.<br />

Mi diceva che, per un periodo, lei<br />

ha frequentato l’Istituto Grisoni…<br />

Perché mia mama la voleva che<br />

divento qualcossa, che studio. Go<br />

fato l’Istituto fina la quinta e dopo<br />

son vegnuda qua de drio, che iera la<br />

scola feminile. E là go fato ancora<br />

due classi. E lei dove la sta?<br />

Mi son qua rente. Mani Galinassa<br />

me ga dito che la iera la vecia<br />

casa dei Scoci, Schìpiza. <strong>La</strong> se li<br />

ricorda?<br />

Come no? Se capissi. E che manzi<br />

che i ‘veva! Caro grande per andar in<br />

campagna. Iera paolani.<br />

Ma iera tanti paolani in questa<br />

zona?<br />

No tanti, i più iera ala Muda. In<br />

piassal de Bartoli…presenpio gavevo<br />

la sorela de mia mama che la stava<br />

propio visavi l’Ospedaleto, la iera<br />

sposada Vascotto.<br />

Dove andavate in chiesa voi delle<br />

Case nove?<br />

In Domo, in Sant’Ana e i Capussini.<br />

<strong>La</strong> nona de Graziela (Ponis, ndR) la<br />

12<br />

gaveva le ciave dela cesa.<br />

Quando si è sposata?<br />

Nel ’54.<br />

Quando i capodistriani erano<br />

ancora a casa.<br />

Sì, mia mama xe andada via nel ’55.<br />

Dopo aver fatto la portinaia, cos’ha<br />

fatto nella vita, Irene?<br />

In fabrica de pesse e dopo go fato la<br />

pulitrice ala scola economica slovena,<br />

qua de drio. I me ga sempre rispetà, i<br />

maestri, i diretori…come Novak, e i<br />

altri.<br />

I suoi figli hanno fatto la scuola<br />

slovena o italiana?<br />

Sia Liliana che Bruno ga fato la scola<br />

slovena in Belveder, però i sa parlar<br />

italian, anca scriver e leger.<br />

Ha mai raccontato loro della<br />

<strong>Capodistria</strong> di una volta?<br />

Ghe parlava più mia mama. Ela ghe<br />

piaseva contar come che iera prima.<br />

Irene, di fronte a lei abitava Nicolò<br />

Vascon…<br />

Nicolò e i sui iera amici de tuta la<br />

familia de mia mama. Ma sì, lu xe<br />

vignù dela Russia qua.<br />

Dalla Russia?<br />

Ai tempi del fassismo xe scampà<br />

in Russia che a iera comunista. Xe<br />

restà no so quanto tempo e dopo xe<br />

tornà a <strong>Capodistria</strong> c’una russa…una<br />

bela dona. Ma no i ga vudo fioi. <strong>La</strong><br />

xe sepelida qua in Canzan. Iera una<br />

bon’anima iera, Nicolò.<br />

A distanza di cent’anni, oggi come<br />

si sta nelle Case nove?<br />

I austriaci ti sa che i costruiva come<br />

se devi. Ottima anche la struttura,<br />

no iera de cossa lamentarse. Stanze<br />

spaziose, ogni quartier ga un suo toco<br />

de cantina, e un suo toco de sofita.<br />

Una vicina di casa, la professoressa<br />

Graziella Ponis-Sodnikar, presente<br />

all’incontro, s’inserisce nella<br />

conversazione e rileva quanto<br />

segue.<br />

GRAZIELLA – Problemi sono<br />

venuti dopo, quando ci sono stati<br />

Foto del 1910<br />

altri interventi, alcune persone hanno<br />

chiuso quelle che erano aperture<br />

normali dove circolava l’aria.<br />

L’hanno chiusa e dunque s’è formata<br />

poi l’umidità. Ciò ha provocato la<br />

caduta di intonaci e altri danni.<br />

Gli appartamenti hanno superfici<br />

diverse?<br />

Quei che sta in mezo xe più pici rispeto<br />

alle ale laterali. L’altro palazzo aveva<br />

sempre doppi servizi perché era<br />

destinato agli impiegati, mentre da<br />

questa parte c’erano gli operai. E’ per<br />

questo che l’altro palazzo ha meno<br />

famiglie, perché gli appartamenti sono<br />

più grandi. Hanno anche un cortile<br />

interno che dà sul Carantan; anche<br />

la nostra casa aveva un cortile cinto<br />

da mura che purtroppo ci passano<br />

tutti: hanno costruito dei parcheggi<br />

chiaramente abusivi, sono state fatte<br />

delle aperture di casa di appartamenti<br />

che lì non c’erano una volta. Quello<br />

una volta era il cortile interno della<br />

nostra casa. Era tutto prato che la<br />

gente utilizzava per stendere i panni.<br />

E poi anche qui davanti, tra i due<br />

palazzi, c’erano quattro sentierini<br />

lastricati che portavano alle entrate;<br />

tutto il resto era erba.<br />

IRENE: Grasiella, ma vara che l’erba<br />

la xe ancora?<br />

GRAZIELLA – Sì…quella che<br />

nasce tra il cemento.<br />

Siora Irene, cossa ghe manca dela<br />

<strong>Capodistria</strong> de una volta?<br />

Ma (lunga pausa, ndR)…niente!<br />

Ghe piasi la cità come che la xe<br />

ogi?<br />

Logico che me piase. Se i podessi far<br />

altrimenti saria bon anca quel ha ha<br />

(ride, ndR)…ma per dir la verità mi<br />

no me interessa. Oramai go otantaun<br />

ani, quel che sarà sarà… intanto<br />

vegnarò bisnonna. Spero che rivarò:<br />

ancora un mese manca.<br />

A metà novembre è nata Živa.<br />

Auguri bisnonna Irene!


Prima Esposizione Provinciale Istriana:<br />

riflessioni e confronti sull’Istria e la «finis Austriae»<br />

di Kristjan Knez*<br />

<strong>La</strong> città<br />

Quest’anno si stanno celebrando i cent’anni della Prima Esposizione Provinciale Istriana che, concepita sul<br />

modello di altre esposizioni universali – come quelle di Londra (1851), Filadelfia (1876) e Parigi (1900) – fu<br />

inaugurata a <strong>Capodistria</strong> il 1.mo maggio 1910. <strong>La</strong> mostra, divisa in sette sezioni – Agraria, Industriale, Marittima<br />

(con acquario), Didattica, Belle arti-scienze-lettere, Stabilimenti balneari-stazioni climatiche-villeggiatura<br />

sportiva, Corporazioni autonome-istituzioni sanitarie –, presentava al pubblico lo sviluppo culturale, storico ed<br />

economico della regione dalla Preistoria al XX secolo. Per ricordare l’importante anniversario sono state allestite,<br />

a partire dalla primavera/estate 2010, diverse mostre, organizzati eventi, conferenze, incontri e visite organizzate.<br />

Uno degli appuntamenti più significativi è stato il convegno scientifico internazionale tenutosi a Palazzo Gravisi,<br />

sede della Comunità degli Italiani “Santorio Santorio” di <strong>Capodistria</strong>, in quanto ha rappresentato un momento<br />

di riflessione su quell’accadimento di un secolo or sono, nonché sul contesto storico in cui si colloca. Le iniziative<br />

rievocative, che hanno portato all’attenzione della <strong>citta</strong>dinanza, e non solo, una pagina di storia regionale, si sono<br />

concluse con due giornate di studio che hanno proposto vari tasselli attraverso i quali è stata ricostruita la cornice<br />

di quell’epoca.<br />

Gli interventi hanno analizzato i più svariati aspetti: dai<br />

disaccordi politici tra le varie etnie del Litorale austriaco<br />

al patrimonio culturale, dall’agricoltura all’istruzione,<br />

dalla pesca alla sanità, dall’archeologia al turismo e alla<br />

fotografia e potremmo continuare ancora. L’Esposizione,<br />

infatti, si era prefissata di presentare quanto la nostra<br />

penisola offriva agli albori del Novecento, proponendo<br />

sia una sintesi del suo retaggio del passato sia l’offerta del<br />

momento. L’evento tenutosi nel centro storico della città<br />

di San Nazario, tra maggio ed ottobre del 1910, si annovera<br />

tra le maggiori e più interessanti iniziative promosse<br />

in Istria, che riscontrò giudizi positivi e l’interesse del<br />

pubblico. Grazie ad uno sforzo non indifferente e a un<br />

progetto chiaro e ben definito, i promotori furono in grado<br />

di riunire un numero elevatissimo di espositori, di prodotti,<br />

di oggetti e manufatti in generale che spaziavano in tutti<br />

i settori ed abbracciavano un arco temporale vastissimo,<br />

che dalla protostoria arrivava al Ventesimo secolo.<br />

Quell’iniziativa, come pure altre manifestazioni coeve, era<br />

figlia del suo tempo, pertanto non dobbiamo osservarla e<br />

considerarla con i nostri parametri. Anche la sua genesi<br />

non fu facile, ma accompagnata da polemiche e dissidi<br />

tra le forze politiche delle tre anime della penisola, che<br />

continuarono anche nei mesi in cui la mostra era in corso<br />

ed esplosero con notevole violenza una volta terminata,<br />

cioè nel momento in cui i rappresentanti italiani avrebbero<br />

invitato i membri della Dieta provinciale ad approvare<br />

il finanziamento attraverso il quale saldare il disavanzo<br />

prodotto.<br />

Levate di scudi nel campo politico<br />

Nel campo politico sloveno e croato ci fu una levata di<br />

scudi e prevalse il rifiuto categorico; essi mai avrebbero<br />

accolto quella proposta in quanto l’esposizione, benché<br />

si fregiasse dell’aggettivo “provinciale”, a loro dire non<br />

rispecchiava le caratteristiche di tutto il territorio. Essa,<br />

ricordiamolo, era una “vetrina” in cui si presentarono<br />

gli Italiani, fu un momento in cui essi esposero i frutti<br />

del loro lavoro e le testimonianze del passato ancora<br />

gelosamente conservate e attribuite quasi sempre alla<br />

componente romanza. In quella che un tempo era definita<br />

l’“Atene dell’Istria”, per cinque mesi si esaltò l’italianità.<br />

L’appuntamento giustinopolitano fu un ottimo strumento<br />

di promozione nazionale e al contempo rientra nel<br />

novero di quelle iniziative collettive che alimentarono<br />

l’irredentismo giuliano e promossero l’idea secessionista.<br />

<strong>La</strong> parzialità della Prima Esposizione Provinciale Istriana<br />

fu una conseguenza diretta dei dissapori esistenti tra le<br />

etnie della regione, che non seppero accantonare la carica<br />

nazionalistica e di conseguenza si trincerarono dietro<br />

alle loro posizioni, che divennero baluardi inespugnabili.<br />

Come scrisse lo storico Ernesto Sestan, il periodo che<br />

precedette il Primo conflitto mondiale fu contraddistinto<br />

Lo storico Kristjan Knez, organizzatore del simposio.<br />

13


<strong>La</strong> città<br />

da un’esaltazione patologica dell’identità nazionale,<br />

caratteristica che non fu assente in alcun popolo. Il<br />

capitano provinciale, Lodovico Rizzi, s’impegnò con<br />

veemenza e, grazie alla mediazione del governo e dell’i.<br />

r. Luogotenenza, intavolò le trattative con gli ambienti<br />

politici. Si era quasi arrivati ad un accordo; Matko <strong>La</strong>ginja<br />

non accantonò la proposta della collaborazione, anzi<br />

riteneva che, sebbene l’evento dovesse avere un carattere<br />

prevalentemente italiano, anche la componente slava<br />

doveva essere in qualche misura coinvolta. Al contempo,<br />

però, si attendeva un sostegno reciproco da parte italiana,<br />

qualora si fosse proposta un’esposizione croata. Alla fine<br />

non si fece nulla perché la posizione radicale di Vjekoslav<br />

Spinčić prevalse e questi invitò pubblicamente i Croati a<br />

non partecipare e addirittura a non visitarla.<br />

Il naufragio dei tentativi di conciliazione<br />

Un’iniziativa che avrebbe potuto costituire un momento<br />

di incontro dopo tante polemiche, diatribe e contrasti,<br />

naufragò completamente. L’Esposizione di <strong>Capodistria</strong>,<br />

altresì, se da un lato era nata emulando i grandi<br />

appuntamenti che da tempo si stavano promuovendo, con<br />

spirito positivistico, in varie parti del vecchio continente,<br />

dall’altro fu espressione di miopia. <strong>La</strong> proposta di<br />

una collaborazione tra Italiani, Sloveni e Croati, che si<br />

auspicava potesse andare in porto e contribuisse anche alla<br />

buona riuscita di un compromesso nazionale, che avrebbe,<br />

finalmente, portato ad una vita politica meno burrascosa<br />

in seno alla Dieta, fallì definitivamente. <strong>La</strong> penisola<br />

istriana, terra plurale ed intreccio di presenze, lingue e<br />

culture, pertanto non trovò alcun spazio. L’intransigenza<br />

politica croata non fu da tutti giudicata come una buona<br />

strategia. Una volta inaugurata l’esposizione, l’“Edinost”<br />

di Trieste, ad esempio, criticò quella ostinazione,<br />

evidenziando che, accanto al patrimonio storicoartistico<br />

legato agli Italiani, anche gli slavi avrebbero<br />

potuto esporre le testimonianze della loro presenza,<br />

come le iscrizioni glagolitiche oppure i testamenti o<br />

ancora i libri battesimali redatti con quell’alfabeto.<br />

Peter Štoka, responsabile del settore Storia-patria della<br />

Biblioteca centrale »Srečko Vilhar« mostra il libro<br />

manoscritto titolato a penna »Trasporto degli oggetti<br />

per la Prima Esposizione provinciale istriana«.<br />

14<br />

Quella decisione politica aveva quindi lasciato gli Italiani<br />

a decidere da soli e di conseguenza impostarono l’evento<br />

in base alle loro aspettative, proponendo la loro visione ed<br />

i valori che erano tipici dei liberalnazionali. <strong>La</strong> rinuncia<br />

fu poi vista come una sorta di timore di fronte ad un<br />

popolo “evoluto” che poteva fare riferimento sulla forza<br />

del presente e sulle glorie del passato. Non deve, allora,<br />

sorprendere se quella circostanza fu da subito utilizzata<br />

per accusare gli slavi di “inferiorità” e la manifestazione<br />

divenne un momento importante per decantare il primato<br />

degli Italiani, che al tempo stesso avrebbe costituito<br />

la prova tangibile di chi dovesse tenere le redini della<br />

provincia. Era la logica imperante perseguita dagli<br />

ambienti politici, che difficilmente prevedeva la possibilità<br />

di una comune collaborazione, seppure a livello pratico<br />

fosse poi facile riscontrare alleanze tra i partiti italiani e<br />

sloveni in cui la questione nazionale scendeva in secondo<br />

piano e a prevalere erano soprattutto gli esiti elettorali.<br />

Malgrado lo scoglio rappresentato dagli interessi legati<br />

alle singole etnie, che impedirono un avvicinamento tra i<br />

popoli, l’evento giustinopolitano fu un’occasione in cui la<br />

parte economicamente più evoluta dalla penisola espose<br />

i risultati delle proprie attività, dell’offerta culturale e<br />

didattica nonché quanto ogni singolo segmento della vita<br />

italiana del territorio proponeva. <strong>La</strong> Prima Esposizione<br />

Provinciale Istriana fu, pertanto, una festa italiana del<br />

lavoro e della cultura. Dalle relazioni e dalle discussioni<br />

emerse anche un altro aspetto, cioè quello dell’ultima<br />

fase della duplice monarchia che non può essere definita<br />

proprio con l’espressione di “Austria Felix”. Tra Otto<br />

e Novecento l’impero di Francesco Giuseppe non era<br />

contraddistinto da quell’immagine edulcorata, come<br />

ci è stata trasmessa da una certa produzione letteraria e<br />

cinematografica, rappresentata dalla corte viennese, dalle<br />

feste e dai giri di valzer nonché da un senso di ordine<br />

generale.<br />

Il lato meno nobile e più cinico della politica viennese<br />

Va considerato anche il lato meno nobile e la politica<br />

sovente cinica con la quale furono gestiti i problemi di<br />

quella compagine entro la quale si trovavano popoli diversi<br />

con aspirazioni sempre più definite. A seconda del contesto<br />

un’etnia veniva appoggiata oppure contrastata, cosa che<br />

stimolò non poco lo scontro ed alimentò i dissapori. Era<br />

la logica del “divide et impera”, la risposta a problemi<br />

vieppiù manifesti che la corte e l’entourage della capitale<br />

non erano in grado di risolvere in chiave moderna. Allo<br />

scoppio della Grande guerra quella stessa esperienza fu<br />

utilizzata anche lungo il fronte austro-italiano, che con<br />

abilità fu trasformato in uno scontro etnico tra l’Italia e<br />

il mondo slavo meridionale. Grazie all’impiego di una<br />

propaganda studiata a tavolino, di un meticoloso lavoro<br />

di intelligence e dei fattori psicologici, come il timore<br />

sloveno di venir fagocitati dal Regno sabaudo, l’imperial<br />

e regio esercito si assicurò una difesa efficace costituita<br />

da soldati, per lo più slavi, che si “battevano come leoni”<br />

pur di impedire il passaggio alle truppe di Cadorna.<br />

Quella pagina poco nota e divulgata fu ampiamente<br />

studiata dallo storico militare di origine piranese Antonio<br />

Sema, ma non fu accolta da tutti con la dovuta attenzione.


Anzi, fu giudicata una valutazione esagerata, rifiutando<br />

il concetto dello scontro etnico. Eppure lungo l’Isonzo,<br />

sul versante alpino e sulle pietraie del Carso i rancori<br />

che avevano caratterizzato la vita negli anni antecedenti<br />

il conflitto furono incanalati ed ulteriormente fomentati<br />

con l’intento di rafforzare l’esercito asburgico, obiettivo<br />

alla fine raggiunto, dato che ancora a Vittorio Veneto quei<br />

reparti si mostrarono ostinati nei combattimenti e leali<br />

all’aquila imperiale.<br />

Ricompattare le memorie e collaborare a livello<br />

transfrontaliero<br />

L’idea di formare una Jugoslavia assieme alla Serbia non<br />

era molto seguita, e anche i leader sloveni, sino a poche<br />

settimane prima del crollo del fronte, attendevano ancora<br />

un possibile riassetto dell’impero danubiano. I contributi e<br />

le argomentazioni hanno poi evidenziato un altro aspetto,<br />

e cioè quello della stretta unione tra l’Istria e Trieste, città,<br />

quest’ultima, che era considerata una sorta di capitale<br />

dell’intero territorio. L’area costiera in particolare, grazie<br />

anzitutto ai rapporti marittimi, aveva intessuto una serie<br />

di rapporti che interessavano praticamente ogni singolo<br />

settore: dall’istruzione alla politica, dallo smercio dei<br />

prodotti agricoli alla cultura e ai legami umani in senso<br />

lato. Quelle due realtà formavano un corpo unico,<br />

inscindibile e complementare. Nemmeno mezzo secolo<br />

più tardi un confine imposto avrebbe reciso quel territorio,<br />

alterato gli equilibri e mutato il contesto, depauperando<br />

quello spazio geografico della sua componente autoctona,<br />

in primo luogo quella italiana, che quasi scomparve. Lo<br />

studio del passato deve cogliere e studiare gli errori dei<br />

nostri predecessori, non deve, invece, rappresentare un<br />

freno anacronistico. Le memorie di tutti vanno rispettate<br />

e al contempo dovrà esserci una maggiore sensibilità<br />

da parte delle istituzioni competenti nei confronti di<br />

coloro che ancora attendono giustizia per i torti subiti.<br />

Oggi quella stessa area geografica sta lentamente<br />

ricomponendosi, seppure con non poche difficoltà. <strong>La</strong><br />

mobilità delle persone, delle merci, delle idee e della<br />

cultura la chiamiamo “collaborazione transfrontaliera”,<br />

anche se sarebbe più opportuno parlare di un ritorno agli<br />

“antichi sentieri”, che si auspica possa contribuire a far sì<br />

che questa terra torni nuovamente a formare uno spazio<br />

comune – a prescindere dalle sovranità statali – in cui la<br />

gente non si sentirà più “straniera” dall’una o dall’altra<br />

parte di quello che non era stato solo un semplice confine.<br />

* Già pubblicato sulla Voce del Popolo il 17.11.2010<br />

Avviso d'altri tempi.<br />

Don Giovanni Gasperutti<br />

(1925-2010)<br />

<strong>La</strong> città<br />

“Senza don Gasperutti la Festa della Semedella non<br />

sarà più la stessa”. E’ il commento che si sente nelle<br />

vie di <strong>Capodistria</strong> tra quanti hanno conosciuto questo<br />

sacerdote nato 85 anni fa nei palazzoni austro-ungarici<br />

delle Case nove. Ultimo prete italiano ad abbandonare<br />

la città con l’esodo, don Giovanni Gasperutti arriva<br />

a Trieste riuscendo prima a realizzare, nella sacrestia<br />

del Duomo, un calco in gesso del patrono San Nazario<br />

utilizzando il busto originale del ‘600. Alla guardia<br />

confinaria disse che il busto raffigurava un suo parente.<br />

Continuò la sua missione spirituale nel campo profughi<br />

di Opicina. Nel 1959 è all’oratorio di Muggia dove<br />

opera a stretto contatto con i giovani. Nel ‘75 la nomina<br />

a parroco di Aquilinia. Persona buona e schietta, sapeva<br />

sdrammatizzare situazioni con una battuta, ma sapeva<br />

anche emozionarsi. Come quando dieci anni fa celebrò nel<br />

Duomo di <strong>Capodistria</strong> una messa di ringraziamento nel<br />

50.mo anniversario della sua consacrazione sacerdotale,<br />

organizzata dalla locale Comunità degli italiani. Don<br />

Giovanni veniva a <strong>Capodistria</strong> almeno due volte all’anno:<br />

per Ognissanti - l’ultima volta poche settimane fa - e per<br />

la festa della Madonna di Semedella. Nelle sue omelie<br />

ricordava sempre l’importanza di adeguarsi ai tempi<br />

moderni senza dimenticare le tradizioni. Ci mancherà,<br />

don Gasperutti.<br />

15


<strong>La</strong> città<br />

16<br />

L’INTRODUZIONE DEL BILINGUISMO (TRILINGUISMO)<br />

NEL CAPODISTRIANO (1945–1948)<br />

Aleksandro Burra<br />

Il presente articolo, sintesi dell’articolo pubblicato sull’Acta Histriae, tratta uno degli aspetti di maggior valenza<br />

nazionale in un’area di frontiera come quella del Litorale: la lingua. Il tema in questione, ovvero l’introduzione<br />

del bilinguismo, o meglio del trilinguismo, nel distretto di <strong>Capodistria</strong> è stato studiato nell’immediato dopoguerra,<br />

contestualizzato e calato all’interno delle complesse vicende che caratterizzarono il confine orientale d’Italia che si<br />

protrassero con l’annosa questione di Trieste.<br />

<strong>La</strong> liberazione di queste terre di confine non rappresentò l’inizio di una nuova stagione di pace e di distensione, bensì<br />

esse divennero subito un nuovo focolaio di tensione tra le potenze. Questi territori furono testimoni di una nuova<br />

visione del mondo che avrebbe segnato il continente ed il mondo per quasi mezzo secolo. Sullo sfondo della guerra<br />

fredda, localmente, invece, s’infiammava sempre più la lotta tra jugoslavi e italiani per l’appartenenza del territorio,<br />

sviluppatasi rispettivamente lungo le linee di contrapposizione nazionale e ideologica.<br />

Le vicende che portarono all’introduzione del bilinguismo sono collegate con le vicende che caratterizzarono queste<br />

terre durante la guerra e nel dopoguerra.<br />

Con sorpresa degli stessi alleati, le truppe armate jugoslave riuscirono a liberare tutta la Venezia Giulia, realizzando<br />

anche sul campo quanto si erano proposti nelle risoluzioni del Plenum supremo del Fronte di Liberazione (OF) 1 e nella<br />

dichiarazione del secondo congresso del Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia (AVNOJ).<br />

<strong>La</strong>ddove si rivendicò l’annessione di tutto il Litorale sloveno e di quello croato con l’Istria e Trieste.<br />

Tito, arrivando per primo a Trieste e nella Venezia Giulia, era consapevole, per dirla alla Churchill, che “il possesso<br />

costituisce nove decimi del diritto”, dimostrando inizialmente tutta la sua intransigenza e sollevando non poco le<br />

ire degli alleati, prima dell’improvviso cambio di rotta 2 . Dopo alcune dure note degli alleati, le truppe di Tito dopo<br />

quaranta giorni di presenza furono costrette a ritirarsi dal capoluogo il 12 giugno 1945. Nelle disposizioni previste<br />

nell’accordo di Belgrado del 9 giugno 1945 e in quello successivo di Duino, la Venezia Giulia veniva divisa in due<br />

amministrazioni militari civili provvisorie: la zona A sotto la giurisdizione della GMA o Governo militare alleato;<br />

invece la zona B, sotto il controllo della VUJA o Governo militare jugoslavo con sede ad Albona.<br />

I primi comitati sorti durante la guerra partigiana coprivano capillarmente il territorio e rappresentavano un potente<br />

mezzo di controllo su ogni aspetto della vita personale, civile e delle istituzioni, poiché deliberavano sulle materie più<br />

diverse, tra cui le confische dei beni e le epurazioni (Križman, 2004). Questi facevano riferimento nell’area al Comitato<br />

regionale di Liberazione nazionale del Litorale (PNOO), sorto nel settembre del 1944 da parte dell’Avnoj con l’avallo<br />

del Consiglio di Liberazione sloveno per colmare il vuoto di poteri nell’area della Venezia Giulia, rendendo possibile<br />

l’annessione di queste terre alla Jugoslavia di Tito. Il PNOO realizzava le sue prerogative in maniera piramidale<br />

attraverso i Comitati di Liberazione distrettuali, circoscrizionali e quelli nazionali locali. A liberazione avvenuta il<br />

PNOO costituì tre circoscrizioni: Gorizia con 17 distretti; Trieste con 9 distretti (di cui faceva parte il distretto di<br />

<strong>Capodistria</strong>), e la circoscrizione autonoma della città di Trieste. Dopo circa un mese i poteri popolari, a seguito degli<br />

accordi con gli alleati, dovettero adeguarsi a questa nuova divisione riformando la rete amministrativa, che da allora<br />

ebbe una funzione politico-ammistrativa (Gombač, 2003, 277-278). Il distretto capodistriano, oggetto del presente<br />

articolo, costituito dalle aree della zona B comprese nel Litorale sloveno, dai municipi di <strong>Capodistria</strong>, Isola e Pirano,<br />

era a larghissima maggioranza italiana nelle <strong>citta</strong>dine (pari a circa il 90% stando ai censimenti austriaci del 1900),<br />

mentre possedeva un contado prettamente sloveno (Cadastre national, 1946; Perselli, 1993).<br />

Dopo quasi un anno dalla presa della città di <strong>Capodistria</strong>, gli organi dirigenti del partito erano consapevoli della<br />

fragilità dei poteri popolari nel <strong>Capodistria</strong>no. Della presente situazione si trova conferma dalla relazione del Comitato<br />

Cittadino capodistriano del Partito comunista regionale giuliano (d’ora in poi P.C.R.G.) al Comitato Circondariale<br />

del P.C.R.G. di Aidussina, datato 22 gennaio del 1946, in cui “[...] <strong>Capodistria</strong> ha speciali tradizioni servili perché la<br />

maggior parte è vissuta delle briciole della borghesia capodistriana per cui ancor oggi la gran parte della popolazione<br />

parla bene delle famiglie borghesi e dei padroni in genere. A causa di questa mancanza di coscienza sociale è facile<br />

comprendere che la gente capodistriana non ha potuto né seguire né comprendere la lotta di liberazione, tanto più che<br />

a <strong>Capodistria</strong> in proporzione al numero di abitanti abbiamo la più forte percentuale di fascisti convinti, che in tutte le<br />

altre <strong>citta</strong>dine della costa” (ARC, 1).<br />

Pertanto, la politica seguita dagli jugoslavi si caratterizzò per una ricerca del consenso seguendo la linea della<br />

1 Tale atto dichiarativo aveva un carattere prettamente simbolico, fondamentalmente politico e senza alcun valore dal punto di vista del diritto<br />

internazionale. Infatti, in un telegramma inviato da Tito, il 1° ottobre del 1943, al Comando militare generale di Croazia, si afferma che “la<br />

dichiarazione sull’unione dei territori annessi alla Croazia in linea generale è ben concepita. Non va bene però il punto in cui si parla dell’autonomia<br />

alla minoranza italiana. Se si tratta di autonomia culturale era necessario dirlo. Mentre non c’è posto per alcuna autonomia politica, in quanto<br />

questa minoranza è sparpagliata. È necessario sottolineare che alla minoranza italiana si garantisce la piena libertà e la parità dei diritti” (Zbornik<br />

NOR, 1954–1956; Giuricin, 1990, 13–14; Bogliun-Debeljuh, 1994, 128).<br />

2 Per una breve storia sul periodo in questione si vedano: Gombač, 2003; <strong>La</strong> Perna, 1993; Paola Romano, 2005.


<strong>La</strong> città<br />

fratellanza italo-slava e con l’introduzione graduale della “nuova democrazia”. Questa doveva avvicinare oltre alle<br />

masse degli operai italiani (nella maggioranza meglio disposti ad abbandonare la prerogativa nazionale a favore della<br />

rivoluzione sociale), anche quelli che non contrastavano l’adesione alla nuova Jugoslavia; operazione che non fu priva<br />

di difficoltà 3 . Politica di conquista delle istituzioni non facile quando si cercava di inserire elementi estranei alla città:<br />

“Un incidente non indifferente è stato il fatto che molti elementi non capodistriani hanno dovuto essere impiegati nei<br />

vari uffici per cui la reazione ha speculato generando una campagna diffamatoria in base alla quale faceva credere che<br />

ci fossero delle ingerenze nazionalistiche nella <strong>citta</strong>dina italiana della costa” (ARC, 1).<br />

Dalla nota apprendiamo che era cominciato il graduale inserimento nelle amministrazioni <strong>citta</strong>dine dell’elemento<br />

sloveno, argomento che per la sua importanza verrà approfondito in seguito. Comunque, nell’opera di graduale<br />

conquista delle istituzioni e di consenso delle masse italiane l’inserimento dell’elemento italiano fedele al regime<br />

nell’organigramma partitico assumeva un ruolo di primaria importanza. È altresì vero che tale presenza era di tipo<br />

proporzionale negli organi di potere, subordinata per grado a quella slovena, a cui faceva seguito un atteggiamento<br />

linguistico “accondiscendente” verso l’elemento italiano: in seno ai vari comitati l’italiano rimaneva la lingua di<br />

discussione anche in presenza di un solo membro italiano 4 . Tali “concessioni” ritenute indispensabili ai fini della<br />

politica rivoluzionaria, avevano lo scopo di “attutire” i mutamenti sociali onde non trasformarli inevitabilmente in<br />

questioni nazionali, garantendo una parvenza di continuità, in quanto, come afferma l’austromarxista Otto Bauer “se<br />

il funzionario o il giudice appartiene ad un’altra nazione, se parla una lingua straniera, allora il fatto che la massa del<br />

popolo è soggiogata da un potere straniero risulta lampantemente visibile e quindi insopportabile” (Bauer, 1999, 109).<br />

Fu la VUJA e l’amministrazione civile sempre nell’ambito della politica della fratellanza italo-slava, a riconoscere<br />

l’autoctonia dell’elemento italiano e in via di principio ad introdurre il bilinguismo (Troha, 1996, 74). <strong>La</strong> denominazione<br />

di “principio” è allo stato delle ricerche sicuramente appropriata, in quanto, dallo studio fatto sui fondi dell’Archivio<br />

regionale di <strong>Capodistria</strong> e da quella di Nevenka Troha sui decreti del Comitato regionale di liberazione nazionale per<br />

il Litorale (CRLNL) non risulta promulgato nessun provvedimento legislativo riguardante il bilinguismo.<br />

Dalla ricerca svolta presso l’Archivio regionale di <strong>Capodistria</strong>, a partire dal periodo che va dall’instaurarsi dei nuovi<br />

poteri popolari, nella zona B il primo documento che parla di bilinguismo è la circolare della Presidenza del Comitato<br />

popolare distrettuale di <strong>Capodistria</strong> del 28 febbraio del 1947. Questa, emanata a soli 18 giorni dalla firma del trattato di<br />

pace di Parigi, siglato il 10 febbraio del 1947, – nel quale veniva a cessare per il diritto internazionale l’autorità italiana<br />

a favore della creazione del mai nato Territorio libero di Trieste (TLT) – serviva a preparare gli organi amministrativi<br />

specificando ambiti e modi di applicazione del bilinguismo: una sorta di guida operativa sul bilinguismo prima che<br />

questo, per applicazione dell’articolo 7 dello statuto del TLT, si formalizzasse e diventasse in seguito oggetto del decreto<br />

del Comitato popolare circondariale dell’Istria (CPCI) del 14 settembre del 1947. Quest’ultimo decreto, considerato<br />

il “deliberato” sul bilinguismo, trilinguismo nell’area, definiva tre lingue ufficiali nel Circondario dell’Istria: italiano,<br />

sloveno e croato, e autorizzava il Comitato popolare esecutivo del circondario dell’Istria a rendere esecutivo il decreto.<br />

Oltre ad introdurre la cornice formale legislativa necessaria a garantire la pariteticità delle tre lingue, quest’atto<br />

legislativo andò a colmare un vuoto giuridico in materia, costituito solo da dichiarazioni di principio, fornendo in tal<br />

modo anche una formale giustificazione ad un bilinguismo che si era già affermato nella prassi, stando alla mole di<br />

documenti bilingui redatti dalle varie organizzazioni partitiche dell’epoca. Il legislatore non articolava ulteriormente<br />

la proposta, né definiva gli ambiti di applicazione del bilinguismo e trilinguismo. L’elaborazione antecedente alla<br />

presente normativa, l’abbiamo riscontrata in maniera più diffusa sia nella circolare della Presidenza del Comitato<br />

popolare distrettuale di <strong>Capodistria</strong>, appena citato, relativa all’amministrazione e alle istituzioni pubbliche, che nella<br />

relazione della conferenza del Partito comunista del TLT per il distretto capodistriano del marzo 1947. Accanto a<br />

questi documenti saranno presentati altri documenti successivi al cosiddetto “deliberato” sul bilinguismo, che mettono<br />

ulteriormente luce sull’applicazione della normativa.<br />

3 Come riferimento del contesto operativo dei poteri popolari tra i ceti sociali nel capodistriano, dalla medesima relazione possiamo notare che la<br />

massa dei contadini seguiva il clero e frequentava l’associazioni cattoliche mentre era staccata dal partito e dai poteri popolari, dato che questa era<br />

composta solo da operai. Per quanto riguarda gli operai si ravvisava che “…sono poi ostili ai contadini perche’ questi ultimi nel periodo di guerra<br />

hanno avuto modo di guadagnare più di loro”. Sempre sugli operai: “Ad essi manca la coscienza sociale e la comprensione per lo stato popolare.<br />

Contemporaneamente però temono il ritorno dell’Italia in queste terre per cui non vogliono compromettersi con le nostre organizzazioni. Questa<br />

mentalità è abbastanza diffusa…”Gli artigiani invece “…sono simpatizzanti per la bandiera rossa ma decisamente ostili all’UAIS. I ceti medi<br />

sono indicati come “…le forze di linea della democrazia cristiana. Hanno avuto parte attiva nell’organizzazione dello sciopero. Seguono da<br />

vicino la politica della Voce libera e sono quelli che sperano più vivamente di tutti il ritorno di queste terre all’Italia. Ai ceti medi fanno parte<br />

anche gli intellettuali i quali rappresentano la parte ideologica dell’irredentismo locale e sono di conseguenza per l’Italia.” <strong>La</strong> borghesia rurale<br />

”…in gran parte nobile, che hanno un largo seguito fra il ceto impiegatizio e l’intellettuale sono il fulcro dell’irredentismo capodistriano.” Le<br />

classi degli impiegati “…che ha dato il maggior numero di fascisti, ancora oggi questi sentimenti sono vivi in questo ceto e perciò è specialmente<br />

ostile a noi.” Il Clero “…in <strong>Capodistria</strong> è molto sviluppato…” e rappresenta il reparto dove si organizza la reazione (ARC, 1).<br />

4 Nel verbale della seconda riunione ordinaria del Comitato esecutivo circondariale per l’Istria, datata 26 agosto 1947, viene riportato che la<br />

“…riunione si tiene in italiano, dato che è comprensibile a tutti, salvo esplicita richiesta dei singoli membri di chiarimenti in lingua slovena e<br />

rispettivamente croata.” Dopo venti anni di fascismo, caratterizzati dalla soppressione di tutte le scuole slovene e croate, è più che comprensibile<br />

che anche per gli stessi sloveni e croati era più semplice usare correttamente l’italiano che la loro lingua madre, da qui l’uso di detta lingua nella<br />

discussione.<br />

17


<strong>La</strong> città<br />

Nel primo documento in applicazione delle nuove norme<br />

statutarie del TLT si evidenziava che nell’area due erano<br />

le lingue ufficiali e uguali nell’amministrazione: italiano<br />

e sloveno; norma che rendeva paritetico lo sloveno<br />

all’italiano. Di conseguenza, si affermava, “[...] bisogna<br />

utilizzare dappertutto e con coerenza il principio del<br />

bilinguismo, non sottomettendo né danneggiando una delle<br />

due nazionalità, operando sulla base dell’uguaglianza. A<br />

quest’eguaglianza dobbiamo dargli anche una parvenza<br />

esteriore” (ARC, 2). Nella circolare si raccomandava che<br />

tutti i comitati e le sezioni si disponessero come segue:<br />

ogni scritta, quelle sulle porte, quelle davanti ai locali o alle<br />

istituzioni, quelle dell’amministrazione pubblica o quelle<br />

a carattere privato, nonché gli avvisi e i moduli devono<br />

essere redatti in lingua italiana e slovena o viceversa (nel<br />

documento questo passaggio relativo alle lingue d’uso<br />

è sottolineato, dimostrando la sensibilità del regime alla<br />

tematica) e mai solo in lingua italiana o slovena.<br />

Dal documento, nota assai importante, si evince che<br />

il principio del bilinguismo riguardava anche “il<br />

rapporto dell’amministrazione con l’utenza” (ARC,<br />

2) 5 . Tali direttive inauguravano il bilinguismo visivo<br />

nelle istituzioni e l’uso paritetico dello sloveno accanto<br />

all’italiano come lingua d’uso nell’amministrazione (sia<br />

scritta sia di comunicazione) con le parti. Dell’esecuzione<br />

della circolare e della comunicazione delle applicazioni<br />

rispondevano personalmente i capisezione e le istituzioni<br />

del Comitato popolare circondariale esecutivo dell’Istria<br />

(ARC, 2). È appunto quest’ultimo organo, in un verbale<br />

del 22 ottobre del 1947, quindi a circa otto mesi dalla prima circolare, a ribadire fermamente la volontà di introdurre<br />

la bilinguità in tutti i comitati e sezioni amministrative, in cui si “[...] dovranno adottare le due lingue.” Si parla,<br />

inoltre, di deficienze nei quadri amministrativi, dell’esigenza di assumere un impiegato sloveno e si afferma che “tutti<br />

i timbri ora esistenti dovranno essere ritirati per essere sostituiti con quelli nuovi bilingui” (ARC, 4). Il 22 dicembre<br />

del 1947, dal reparto circondariale per le questioni interne a <strong>Capodistria</strong> si emana una nota in cui si ribadisce che i libri<br />

dell’anagrafe per il <strong>Capodistria</strong>no devono essere redatti in lingua slovena-italiana, mentre per il Buiese rispettivamente<br />

in quella croata-italiana. Le diciture bilingui devono tenere conto della composizione etnica sul territorio: nei territori<br />

a prevalenza italiana i formulari devono riportare prima la dicitura italiana seguita da quella slovena; mentre in quelli<br />

a prevalenza slovena, la prima lingua a comparire deve essere quella slovena seguita dall’italiana. <strong>La</strong> procedura viene<br />

adottata anche nel Buiese (ARC, 5).<br />

<strong>La</strong> determinazione geografica del bilinguismo, “[...] in tutto il territorio [...]”, con l’annesso esempio chiarificatore,<br />

non lascia dubbi che su tutta l’area, quindi indipendentemente dalla composizione etnica, si applica la bilinguità.<br />

Sulle forme e modi di applicazione un altro documento getta luce sull’ampliamento del raggio d’azione del bilinguismo<br />

rispetto al precedente nella seguente misura: “Tutti gli scritti delle istituzioni pubbliche, private e statali, debbono<br />

essere fatte nelle due lingue. I formulari, in tutti gli uffici pubblici, statali, nei comitati popolari devono essere<br />

stampati in ambedue le lingue, e non come erroneamente si è fatto finora che erano stati stampati soltanto in sloveno<br />

rispettivamente in italiano. Anche i proclami, manifesti, pubblicazioni ufficiali, reclami ecc. devono mettere in rilievo<br />

il bilinguismo. È raccomandabile (qui il tono diventa meno risoluto N.d.A) che anche i negozianti italiani, giacché<br />

gli acquirenti sono in maggioranza sloveni, espongano le scritte bilingui. In questo modo sarà esteriormente evidente<br />

l’eguaglianza bilingue, cioè il rispetto reciproco” (ARC, 6).<br />

<strong>La</strong> bilinguità compie un ulteriore salto di qualità interessando non solo la sfera amministrativa pubblica ma andando<br />

a toccare anche gli altri ambiti della vita sociale, dimostrando la volontà concreta del regime di entrare nelle <strong>citta</strong>dine<br />

italiane della costa, attraverso la liberalizzazione della lingua slovena.<br />

Il documento si occupa anche del bilinguismo scolastico affermando la necessità in tutte le scuole di introdurre la<br />

lingua italiana e la lingua slovena. Da un verbale del Comitato Circondariale Agit-prop dell’Istria, datato 27 marzo<br />

1947, si evince che “la lingua slovena è solo facoltativa sia ad Isola, <strong>Capodistria</strong> che Pirano e non si ha avuto nessuna<br />

iscrizione. Sarà dunque molto difficile l’introduzione dello sloveno, anche perché molte difficoltà le trovano i direttori<br />

5 In un’altra ordinanza del Comitato esecutivo popolare circondariale dell’Istria, datato 5 dicembre del 1947, si ribadisce che per la qualifica<br />

professionale nel ramo amministrativo si rende necessario il superamento dell’esame per ogni candidato nella propria lingua materna (ARC, 3).<br />

Si tratta comunque di un atto importante, il quale stabilisce una particolare disciplina nelle assunzioni, basati sul principio della pariteticità delle<br />

due lingue, che dovrebbe permettere ad ognuno di sostenere l’esame nella sua lingua madre.<br />

18


<strong>La</strong> città<br />

delle scuole, specialmente quelli del liceo. È da notarsi che quale lingua facoltativa insegnano il tedesco” (ARC, 7).<br />

Il bilinguismo nelle scuole viene introdotto quindi sulla base dei valori dell’eguaglianza, risolvendosi nello studio della<br />

lingua e quindi della cultura (“[...] per la cognizione reciproca”) dell’altro gruppo in tutte le istituzioni scolastiche<br />

sia slovene che italiane. Tale normativa non sembra trovare riscontro nelle scuole italiane.<br />

<strong>La</strong> liberalizzazione delle lingue di riferimento ai gruppi etnici, non corrispondeva comunque ad una libera circolazione<br />

dei mezzi di informazione, dato che era concessa solo la pubblicazione di giornali favorevoli al nuovo regime. Anche<br />

la diffusione della carta stampata rifletteva questo stato di cose: circolavano nella zona B il “Primorski Dnevnik”<br />

e l’italiano “Il <strong>La</strong>voratore” quotidiano comunista soppresso dopo la scissione del 1948. Altri fogli erano in lingua<br />

slovena e croata, a parte “<strong>La</strong> Nostra lotta” quotidiano filo-Tito la cui pubblicazione iniziò dopo il settembre del 1948<br />

(Pradelli, 2004, 44).<br />

L’informazione bilingue pertanto, anche se garantita nella lingua, per la presenza di fogli italiani veniva negata sulla<br />

base della libertà d’espressione per entrambe le nazionalità.<br />

Sul finire dell’anno, per la precisione il 7 dicembre del 1947, in un verbale del Comitato esecutivo popolare circondariale<br />

dell’Istria, viene toccata e affrontata anche la delicata questione della toponomastica. Nell’assise si evidenzia la<br />

volontà di procedere alla definitiva introduzione dei toponimi sloveni accanto a quelli italiani in tutto il distretto di<br />

<strong>Capodistria</strong>.<br />

Su alcuni di questi punti il documento fornisce degli esempi pratici assai interessanti. Così, Buie d’Istria diventerà<br />

semplicemente Buie, perché è venuta meno l’utilità distintiva dovuta al contesto italiano. Si afferma anche l’esigenza<br />

di eliminare, dove possibile, il termine “Stanzia” e “Villa”: Villa Decani così in sloveno diventa Dekani, mentre in<br />

italiano semplicemente Decani. Inoltre, ad esempio il toponimo italiano Santa Lucia, secondo il crisma ideologico<br />

imperante, si trasforma in sloveno semplicemente in Lucija (ARC, 8).<br />

A tal punto è interessante verificare se nella pratica la normativa si dimostrò davvero capace di conseguire tali obiettivi.<br />

In quanto, “[...] il pluralismo linguistico e culturale, il perseguimento di tale obiettivo non dovrebbe avvenire in modo da<br />

pregiudicare irragionevolmente i diritti degli altri <strong>citta</strong>dini (o per estensione di una delle comunità N.d.A.)” (Piergigli,<br />

2005, 173). Affinché uno strumento legislativo non produca effetti contrari ai suoi propositi per qualsivoglia delle parti,<br />

riteniamo che, oltre ad una delicata opera di bilanciamento del provvedimento, il contesto operativo e l’applicazione<br />

della normativa siano davvero determinanti nella valutazione complessiva della bontà della legge e della coerenza dei<br />

principi che persegue, rappresentando per tale via anche un indicatore importante sui reali propositi del regime.<br />

Se analizziamo l’ambiente sociale, si nota che la normativa s’inseriva in “[...] un clima generale di intimidazione<br />

(verso gli italiani N.d.A), punteggiato da un continuo stillicidio di violenze ed angherie, fino a diventare componente<br />

abituale di una quotidianità intessuta di sospetto, di angosciosa incertezza nel futuro, di timore per sé, per i propri<br />

famigliari, per la propria comunità [...]” (Pupo, 1994, 139). <strong>La</strong> dimensione della paura e dell’insicurezza appare una<br />

componente centrale, fomentata anche dalle tante misure, quali: l’introduzione della jugolira, che scatenò le violenze a<br />

<strong>Capodistria</strong>; l’abolizione del colonato e la riforma agraria, la quale andò inevitabilmente a colpire l’elemento italiano,<br />

data la struttura sociale; il bavaglio ad ogni forma di espressione e politica che contrastasse con l’ideologia dominante<br />

e via discorrendo (comune per altro a tutti quelli, italiani, sloveni e croati, che non erano pienamente conformi al<br />

regime).<br />

Tutte misure che provocarono la trasformazione rivoluzionaria della società istriana, la quale andò a saldarsi con la<br />

perdita della sovranità italiana, con un drastico mutamento delle condizioni economiche, con la trasformazione di ruoli<br />

e il ribaltamento di gerarchie sociali ed etniche consolidate, con la sommersione dei valori e lo scompaginamento del<br />

tessuto di rapporti tradizionali. Politica che si attuò attraverso non solo l’eliminazione della precedente classe politica,<br />

ma anche con la progressiva scomparsa dei soggetti sociali più rappresentativi e via via di figure chiave quali religiosi,<br />

insegnanti, professionisti, di modo che i pubblici poteri furono percepiti inevitabilmente quali estranei e avversari<br />

(Pupo, 1994, 138).<br />

In un tale clima di avversione e paura per gran parte degli italiani verso il potere costituito venivano a mancare le<br />

premesse necessarie per il bilinguismo: i poteri popolari,<br />

al di là della facile retorica, non furono capaci di creare un<br />

clima di reciproca fiducia tra le due nazionalità e nemmeno<br />

di fornire una visione della società non più tesa agli<br />

etnocentrismi estremi, che tanto avevano contraddistinto<br />

l’epoca precedente. Il risultato di tale politica è che la<br />

parte italiana finì per recepire la normativa sulla bilinguità<br />

come l’ennesimo sopruso perpetuato da un potere ostile. In<br />

questo modo la normativa non poté in alcun modo diventare<br />

la base su cui costruire una forma avanzata di convivenza<br />

ed eguaglianza all’interno della realtà plurinazionale del<br />

distretto capodistriano, data proprio la mancanza di fiducia<br />

(da parte di una componente), elemento imprescindibile<br />

per tessere qualsivoglia interazione tra gruppi distinti.<br />

Al contempo, sembra opportuno precisare che per gli<br />

sloveni e i croati l’introduzione del bilinguismo fu<br />

19


<strong>La</strong> città<br />

percepita in maniera diametralmente opposta agli italiani.<br />

I primi videro nel provvedimento il coronamento di una<br />

giustizia sociale attesa da oltre venti anni. Soprattutto la<br />

negazione del diritto alla diversità linguistica, promossa e<br />

attuata con estremo zelo dal regime fascista, era apparsa<br />

essere il provvedimento più irritante per le popolazioni non<br />

italiane, perché imponeva un’ulteriore compressione delle<br />

libertà individuali e di gruppo muovendosi sul terreno di<br />

una manifesta discriminazione su base nazionale.<br />

Per quanto riguarda la componente italiana essa fu<br />

danneggiata in particolar modo dall’introduzione del<br />

bilinguismo a causa del diverso grado di conoscenza<br />

linguistica e dai tempi d’introduzione della norma.<br />

Innanzitutto, il bilinguismo fu applicato in un contesto<br />

diversificato per conoscenza linguistica – la popolazione<br />

italiana era sostanzialmente monolingue a differenza<br />

di quella slovena prevalentemente bilingue – e non fu<br />

sostenuto da un adeguato periodo di formazione linguistica delle scuole italiane, basti pensare che la lingua slovena<br />

fu introdotta come materia obbligatoria unicamente nell’aprile del 1947 e solo per le medie (Troha, 1996), anche se<br />

il termine d’applicazione, come abbiamo visto precedentemente, sarebbe da far slittare ancora nel tempo. <strong>La</strong> stessa<br />

Troha ci conferma che, anche dopo l’arrivo delle forze jugoslave, l’uso della lingua italiana rimaneva nelle <strong>citta</strong>dine<br />

prevalente in tutti gli ambiti dell’amministrazione e anche nella pratica sino al 15 settembre del 1947 (Troha, 1996,<br />

74) (termine temporale che va a coincidere sostanzialmente proprio con l’introduzione del plurilinguismo da parte<br />

del CPCI, datato 14 settembre dello stesso anno). Nonostante la presente situazione, non ci fu un adeguato periodo<br />

di transizione o gradualità d’attuazione della norma: come si è potuto vedere, questa fu introdotta in tutti gli ambiti<br />

più importanti della vita sociale in appena dieci mesi. Infatti, se prendiamo in considerazione il primo documento sul<br />

bilinguismo del 28 gennaio fino agli ultimi documenti in materia del dicembre del 1947, possiamo affermare che tale<br />

processo poteva dirsi in sostanza completato nel periodo sopra considerato.<br />

A tal punto è lecito chiedersi per quale motivo fu introdotta una normativa così importante in un clima sociale quanto<br />

meno proibitivo (almeno per la gran parte degli italiani), senza alcuna gradualità, dato il diverso grado di conoscenza<br />

linguistica e con tempi di realizzazione assai sostenuti? Perché tale strumento, dietro il paravento della roboante<br />

propaganda del regime, fu applicato senza una giusta riflessione sulle conseguenze che avrebbe comportato sulla<br />

comunità italiana? Mancò davvero la dovuta riflessione sul tema o attraverso il bilinguismo si perseguì un altro<br />

obiettivo?<br />

Dai materiali esaminati, allo stato attuale dell’analisi, si evince che l’introduzione del bilinguismo, strumento legislativo<br />

garante dell’elevazione della pari dignità di tutte le lingue, oltre ad essere un ulteriore passo di avvicinamento alla<br />

Jugoslavia, colpì, come si è potuto vedere, soprattutto per la modalità con cui fu introdotto, maggiormente l’elemento<br />

italiano; non può pertanto sfuggire la discriminazione dell’atto volto a creare tutt’altro che le premesse di uguaglianza<br />

tra i popoli della regione, così caldamente sbandierati dal regime, bensì a rendere ineguale la posizione di questi,<br />

basandosi proprio sulla disparità di conoscenza linguistica.<br />

Attaccando la lingua italiana nelle sue roccaforti veniva completata quell’operazione di penetrazione nel tessuto<br />

delle <strong>citta</strong>dine italiane, che ebbe come risultato davvero importante quello di insediare progressivamente una<br />

nuova amministrazione “più conforme” al nuovo corso e nazionalmente affine, consolidando così la presa di potere<br />

sugli organi <strong>citta</strong>dini dimostratisi non sempre affidabili. Difficile pertanto non ravvisare un’ulteriore forzatura in<br />

senso snazionalizzante nei palazzi delle istituzioni, in cui il bilinguismo veniva adoperato come base formale per<br />

l’insediamento graduale di funzionari sloveni o jugoslavi, discriminando l’elemento italiano monolingue.<br />

Insomma, come si è potuto vedere, anche il bilinguismo finì per essere vittima o meglio strumento di un potere<br />

che perseguiva finalità contrarie a quelle a cui diceva di ispirarsi. Dietro gli slogan formali di libertà, fratellanza e<br />

uguaglianza, anche il principio formalmente avanzato sulla carta come il bilinguismo, privato della necessaria libertà e<br />

sicurezza individuale, non solo fu svuotato d’ogni valenza positiva, ma si rivelò essere un potente strumento di politica<br />

nazionale del regime; preda, come altre misure, di assolutismi nazional-ideologici, in piena collisione con i valori di<br />

dignità della persona.<br />

Chi vi scrive ritiene, tuttavia, che una comprensione più approfondita del bilinguismo, della sua applicazione e dei<br />

contesti sociali in cui esso è stato calato richiede un’ analisi che sappia abbracciare un periodo di tempo maggiore<br />

rispetto a quello considerato; importante oltremodo per valutare gli effetti a lungo termine di una siffatta normativa<br />

nella società. Pianificare uno studio sul bilinguismo nel lungo periodo appare giustificato per svariate ragioni. Oltre<br />

ad essere segno di maturità e consapevolezza e di grande importanza ed utilità scientifica nonche’ storica, darebbe una<br />

maggiore organicità e sistematicità alla grande quantità di studi settoriali prodotti sul bilinguismo locale riversandoli<br />

in una nuova opera specifica sul tema, capace di dare uno sguardo complessivo all’evoluzione del bilinguismo nel<br />

<strong>Capodistria</strong>no, estensibile anche all’Istria, dal dopoguerra ad oggi, ripercorrendo per sommi capi anche il periodo<br />

antecedente sino agli albori del risveglio nazionale in queste terre.<br />

20


<strong>La</strong> città<br />

Si tratterebbe di un’opera che accanto alle vicende<br />

storiche si addentrerebbe anche nel campo del diritto<br />

e dell’evoluzione del concetto dei diritti linguistici e<br />

comunitari, tenendo in debito conto i cambiamenti e le<br />

trasformazioni intervenuti nella società istriana attraverso i<br />

secoli. Un lavoro di questo tipo richiederebbe una squadra di<br />

ricercatori di varia formazione e avrebbe il pregio di calare<br />

il diritto e il concetto della bilinguità nel contesto sociale<br />

dei vari periodi storici analizzati (recuperando gli aspetti<br />

innovativi assieme all’impatto provocato dalle normative<br />

nella società nei vari periodi trattati), di aumentare la<br />

consapevolezza del fattore linguistico in queste terre, di<br />

proporre la lingua assieme alla diversità culurale delle<br />

popolazioni che qui vi risiedono come un tratto a sua<br />

volta caratterizzante la cultura stessa ed espressione del<br />

territorio, di lasciare testimonianza dell’esperienza locale<br />

di ricomposizione delle diversità etnica e linguistica (che<br />

potrebbe costituire anche un modello di convivenza avanzato pluri-comunitario su un medesimo territorio) nonché di<br />

contribuire a fare chiarezza sulle tante prospettive spesso nebulose che circondano il futuro del plurilinguismo, proprio<br />

attraverso il confronto con le esperienze del passato e l’armonizzazione di queste con le attuali direttrici europee in<br />

materia di salvaguardia del patrimonio linguistico e culturale autoctono locale.<br />

Bibliografia<br />

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di <strong>Capodistria</strong> (SI PAK KP 450), b.3, Relazione del Comitato <strong>citta</strong>dino capodistriano del P.C.R.G. al Comitato<br />

Circondariale del P.C.R.G. di Aidussina, 22.1.1946.<br />

ARC, 2 – ARC, Commissione distrettuale per la riforma agraria (SI PAK KP 521), b. 24, Circolare della Presidenza<br />

del Comitato popolare distrettuale <strong>Capodistria</strong>, 28.2.1947.<br />

ARC, 4 – SI PAK KP 23, b.1, Verbale del Comitato esecutivo popolare distrettuale di <strong>Capodistria</strong>, 22.10.1947.<br />

ARC, 5 – SI PAK KP 23, b.1, Relazione del Comitato popolare distrettuale per gli Affari Interni Capoistria,<br />

22.12.1947.<br />

ARC, 6 – SI PAK KP 450, b.3, Relazione sul bilinguismo della conferenza di partito del Comitato rionale di <strong>Capodistria</strong>,<br />

2.3.1947.<br />

ARC, 7 – SI PAK KP 450, b.3, Verbale Commissione circondariale Agit-Prop per l’Istria, 27.3.1947.<br />

ARC, 8– SI PAK KP 23, b.3, Verbale Comitato esecutivo popolare circondariale dell’Istria, 7.12.1947.<br />

BU – Bollettino Ufficiale del Circondario di Trieste, di Gorizia e della città di Trieste, N.1, (9.6.1945), D. N. 1, Art.<br />

4. Trieste.<br />

Cadastre national de L’Istrie (1946). Sušak, Edition de l’Institut Adriatique.<br />

Perselli, G. (1993): Censimenti- Istria, Fiume, Trieste e Dalmazia. Etnia, VI.<br />

Bauer, O., (1996): <strong>La</strong> questione nazionale, (trad. dal ted. di “Die Nationalitätenfrage und die Sozialdemokratie”),<br />

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Bogliun-Debeljuh, L., (1994): L’identità etnica. Gli italiani dell’area istro-quarnerina, ETNIA V, Trieste-Rovigno,<br />

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tutela giuridica della minoranza italiana in Istria, Fiume, Dalmazia, Padova, Cedam, pp. 223-260.<br />

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Prispevki za novejšo zgodovino XXXVI, 36, 1/2, Ljubljana, pp. 67-93.<br />

21


<strong>La</strong> città<br />

22<br />

In visita gli sbandieratori del Palio di Ferrara<br />

Su iniziativa della »Dante« che ha organizzato anche un incontro col regista Martusciello<br />

Il rullio dei tamburi ed il suono delle fanfare hanno attirato il 9 ottobre l’attenzione dei capodistriani.<br />

<strong>La</strong> compagnia del Palio di Ferrara ha attraversato la città, proponendo a più riprese lo spettacolo degli<br />

sbandieratori, accompagnati dal corteo storico in costumi d’epoca. Le loro evoluzioni hanno richiamato il<br />

pubblico, in mattinata e nel primo pomeriggio, in Piazza Ukmar. In serata il Palio di Ferrara ha fatto visita alla<br />

Comunità degli Italiani, dov’è stata allestita la mostra del fotografo Sergio Pesci, intitolata “<strong>La</strong> mia Ferrara”. Il<br />

turbinio delle bandiere multicolori e gli splendidi abiti medievali sono stati riproposti sullo spiazzo antistante<br />

la Radiotelevisione di <strong>Capodistria</strong>, accolti con entusiasmo da numerosi connazionali accorsi per l’occasione.<br />

L’iniziativa è stata promossa dal Comitato capodistriano della Società “Dante Alighieri”, in collaborazione<br />

con il Comune. A fare gli onori di casa è stato il vicesindaco, Alberto Scheriani, che ha ricordato i lunghi<br />

legami d’amicizia con la città gemellata di Ferrara. Gli ospiti erano guidati dall’assessore alla Mobilità ed ai<br />

<strong>La</strong>vori Pubblici, Aldo Modenesi, che ha ringraziato per l’accoglienza tributata.<br />

Gli sbandieratori del Palio di Ferrara si esibiscono<br />

lungo la riva.<br />

L'incontro con il regista napoletano Luca Martusciello<br />

organizzato a Isola. Alla sua sinistra il cantante Mirko<br />

Cetinski, la presidente della »Dante« capodistriana<br />

Vanja Vitošević ed il Console, Marina Simeoni.


<strong>La</strong> città<br />

Nel 60.mo di Radio <strong>Capodistria</strong> erano andati in onda diversi gustosi aneddoti di Giorgio Visintin sui primi<br />

decenni di Radio e TV, pubblicati pure dalle Primorske Novice. Tra questi, uno che vide protagonista il<br />

compianto Ferdi Vidmar, dal sibillino titolo di<br />

»Harošaja luka«<br />

Come tutti i turisti che si rispettino, anche Tito apprezzava<br />

molto passare »dal mare - ai monti«, dalle isole Brioni<br />

cioè, a Brdo in Gorenjska, ovviamente transitando per<br />

<strong>Capodistria</strong>.Nell’occasione se la godevano specie gli<br />

scolari, che vivevano una ben organizzata »scappola<br />

da scuola«, e sventolando bandierine, salutavano, lungo<br />

la strada dell’Istria, i veloci convogli delle automobili<br />

nere. Quando poi c’erano ospiti stranieri più importanti,<br />

capitava spesso nel porto la nave Galeb, o rombando, coi<br />

suoi due motori da 300 cavalli, il panfilo Primorka.<br />

Una volta è così capitato agli inquilini di quella casa, che<br />

oggi in Piazza Ukmar non c’è più, e ospitava anticamente<br />

la Trattoria al Vaporetto (suoi clienti furono anche i<br />

guardiani dell’imperial-regio Carcere del Belvedere) era<br />

stata quindi una sorpresa vedere scendere dal Primorka,<br />

del tutto inattesi - non c’era neppure la Polizia - una<br />

consistente parte della delegazione sovietica con Bulganin<br />

e Mikojan, che avevano accompagnato Hruščov a Belgrado<br />

nel maggio 1955, per porgere le scuse di Mosca per la<br />

scomunica del Cominform del 1948. Nella casa abitavano<br />

diversi appartenenti alla Radio; un regista, il capotecnico<br />

Poberaj, il giornalista Klasinc, ed ancor prima, anche il<br />

fonico Ferdi Vidmar, primo attore dell’aneddoto.<br />

Attraverso <strong>Capodistria</strong> erano passati comunque molti<br />

protagonisti della storia. Chi non ricorda il »lider<br />

maximo« Castro? Qualcuno al ristorante Capris, al<br />

pianterreno del Palazzo Pretorio, s’era seduto sul suo<br />

kepì, come aveva raccontato l’allora sindaco Mario<br />

Abram, e non è del tutto da escludere che sia stato proprio<br />

lui lo sbadato ad infrangere il protocollo. Il giorno dopo<br />

i giornali, anche di Trieste, annotavano soprattutto che<br />

a Castro era tanto piaciuta… la »putizza«. Davanti alle<br />

festanti »venderigole« del mercato di <strong>Capodistria</strong> erano<br />

daltronde già sfilati in auto scoperta il Negus d’Etiopia<br />

Haile Selassie e, nell’aprile 1955, l’indiano Pandit Nehru,<br />

con in testa l’eterna bustina bianca copricalvizie.<br />

L’aneddoto che riguarda il compianto Ferdi Vidmar, risale<br />

a una domenica del giugno 1955. Era stato preannunciato<br />

l’arrivo per mare di Tito e Hruščov alle 4 del pomeriggio.<br />

In redazione s’era deciso che l’avvenimento lo coprisse<br />

il giornalista Vesel, secondato, a causa dei ben sette chili<br />

del necessario magnetofono, appunto da Ferdi,che - tra<br />

l’altro - era l’unico a masticare un po’ di russo. Vestito l’<br />

abito della festa, lui si avvia da Semedella con la sua bici<br />

più di mezz’ora prima. Raggiunta l’odierna<br />

passeggiata a mare, scorge subito, non più lontana,<br />

l’inconfondibile silhouette della nave Galeb, in arrivo con<br />

rilevante anticipo. Accelera le pedalate, arriva al porto,<br />

mentre la nave già attracca. Supera il cordone di polizia,<br />

lascia la bici e si affretta verso il molo. Naturalmente il<br />

giornalista incaricato non si vede. Ferdi è sì, un esperto<br />

di magnetofoni e magari di elettroni, non però di politica<br />

estera; ma si fa ugualmente coraggio. Dopo i soliti<br />

omaggi floreali - c’era anche Jovanka - chiede «pažalsta«<br />

a Hruščov il suo »pačutljenje«. Per tradurre: quali sono<br />

le sue sensazioni, le sue impressioni. E non era mica una<br />

domanda sbagliata! Perchè è storia, che per Hruščov<br />

venire a Belgrado nel 1955, era come per Enrico IV<br />

andare a Canossa a chiedere perdono a Papa Gregorio<br />

VII, che l’aveva scomunicato. Si è anzi scritto che Tito<br />

l’avesse accolto freddamente a Belgrado, risentito per i<br />

sette anni di truce ostilità del Cominform e dell’intero<br />

blocco orientale, che avevano reso l’ex Jugoslavia uno<br />

strategico cuscinetto della Cortina di ferro.<br />

Al microfono di Ferdi quindi, Nikita snocciola bonario<br />

ma conciso, due o tre frasi…<br />

Più tardi, i giornalisti - arrivati sì - ma con rovinoso<br />

ritardo, gli si ammassano intorno, perchè ceda l’intervista<br />

anche a loro.<br />

No problem! Ma fatta su due piedi la traduzione, risulta<br />

che Hruščov afferma »sic et simpliciter» che <strong>Capodistria</strong>,<br />

vista dal mare è bella, anche il porto è «harošaja« e che<br />

avrà sicuramente un positivo sviluppo.Tutto qui. Chi<br />

tardi arriva, si sa, sempre male alloggia!<br />

Giorgio Visintin<br />

23


<strong>La</strong> città<br />

24<br />

Il nuovo Capossela nasce a <strong>Capodistria</strong><br />

Dal Piccolo — 16 ottobre 2010 pagina 34 sezione: CULTURA - SPETTACOLO<br />

Vinicio Capossela ha sempre manifestato una forte simpatia per Trieste e per l’Est in generale. Tanto da scegliere<br />

lo studio Hendrix di Radio <strong>Capodistria</strong>, in Slovenia, per lavorare alla pre-produzione del suo nuovo album. «Qui mi<br />

piace perché si trovano ancora le cose che in Italia non esistono più da anni», dice il cantante nei corridoi di Radio<br />

<strong>Capodistria</strong>, per ricordare poi molteplici concerti triestini, fino a quello al Rossetti a febbraio 2009 «Pieno di sorprese:<br />

alla fine avevo perfino chiuso il giornalista Paolo Rumiz dentro ad una gabbia sul palco!». Capossela è venuto a<br />

<strong>Capodistria</strong> anche per lavorare con lo sloveno Andrea F, musicista, autore ed appassionato di musica. Negli anni 80,<br />

con la sua band (Idiogen: all’attivo tre album, usciti anche in Italia per Toast Records e Supporti Fonografici, ed in<br />

Gran Bretagna per Rough Trade) ha scoperto il fascino del lato tecnico del fare musica, dello studio di registrazione<br />

come strumento creativo. Da lì, è venuta poi la carriera di producer e la collaborazione con Radio e Tv <strong>Capodistria</strong><br />

(come redattore musicale, conduttore, autore e regista di molte trasmissioni); oggi è anche su TV SLO 1, con il<br />

programma”Nlp” (di cui cura e conduce la parte musicale e live). Andrea F, ha lavorato con Vinicio Capossela nello<br />

Studio Hendrix di Radio <strong>Capodistria</strong>.<br />

Com’è andata?<br />

«È stato molto intenso ma anche<br />

stravagante e divertente, come sempre<br />

con Vinicio e con gli artisti veramente<br />

“Artisti” del suo calibro. Insieme al<br />

suo produttore, Taketo Gohara, ed<br />

al suo arrangiatore, abbiamo fatto<br />

un lavoro di pre-produzione del suo<br />

prossimo album, passando in rassegna<br />

ed al setaccio tutti i vari demo e<br />

testi, trovandone struttura e stesura<br />

definitive, e registrandone varie takes<br />

fino ad una quasi definitiva, con una<br />

traccia di pianoforte o chitarra e voce<br />

che può fungere da fondamenta per la<br />

registrazione dell’album. Dovremmo<br />

ritrovarci a breve per fare altrettanto<br />

con un paio di brani ancora rimasti, e<br />

poi forse per delle session di alcuni<br />

degli strumenti per il disco, visto<br />

che l’intesa con tutto il team c’è, e<br />

soprattutto Vinicio a <strong>Capodistria</strong> si<br />

trova bene e si sente ispirato». Che<br />

tipo è Capossela?<br />

«Ha una natura estrosa, spesso<br />

bizzarra, ma sempre molto ispirata<br />

e fedele al suo ricchissimo mondo<br />

interiore; il cuore di un vero poeta,<br />

con gli occhi e la capacità di stupirsi<br />

e di stupire di un bambino. È sempre<br />

molto bello lavorare con chi ha<br />

talento a tonnellate. Ancora di più<br />

se poi la mattina prima di arrivare<br />

in studio si preoccupa di comperare<br />

burek o mirtilli per tutti, o se si finisce<br />

a mangiare a mezzanotte sulla costa<br />

del Quarnero con le chitarre in spalla<br />

ed un valigione di cartone pieno di<br />

testi, tastiere e computer in attesa di<br />

un traghetto che non arriva!».<br />

Perché ha scelto proprio lei?<br />

«Penso che da una parte c’è il lato<br />

umano, perché ci siamo incontrati<br />

tante volte, anche in ruoli diversi,<br />

per qualche mia trasmissione TV e<br />

radio, e poi per lavorare di filigrana<br />

al suo pianoforte in studio (nel 2005<br />

abbiamo registrato insieme e da soli<br />

Andrea F nell'obiettivo di Marko Žigon.<br />

quello che sarebbe poi diventato<br />

“Dove siamo rimasti a terra Nutless”<br />

sull’album “Ovunque Proteggi”<br />

del 2006), quindi oramai una certa<br />

fiducia ed amicizia esistono, e sa di<br />

poter contare sul mio lavoro tecnico e<br />

sul mio giudizio».<br />

E perché Radio <strong>Capodistria</strong>?<br />

«A <strong>Capodistria</strong> so che gli piacciono<br />

varie cose, dalla location ad un passo<br />

dal mare alla relativa tranquillità<br />

del luogo o al cibo ed alcuni vini<br />

locali, oltre che lo studio che ha un<br />

fascino particolare, con tantissime<br />

apparecchiature vintage oggi<br />

rarissime accanto ad altre nuovissime<br />

ed ipertecnologiche, e con una sala<br />

di ripresa come quelle di una volta,<br />

grande, con l’acustica fatta dagli<br />

ingegneri americani della RCA negli<br />

anni 50 per farci suonare le big band,<br />

e con un bellissimo pianoforte a coda<br />

Steinway».<br />

Elisa Russo


I tre presidenti a Trieste<br />

<strong>La</strong> città<br />

<strong>La</strong> dichiarazione congiunta del Presidente della Repubblica di Slovenia, Danilo Türk, del Presidente della<br />

Repubblica Italiana, Giorgio Napoletano e del Presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović, in<br />

occasione del “Concerto dell’amicizia” diretto dal maestro Riccardo Muti, tenutosi a Trieste il 13.7.2010.<br />

“Noi Capi di Stato di Italia, Slovenia e Croazia abbiamo<br />

accolto con piacere e interesse l’invito del Maestro Muti<br />

a presenziare al Concerto dell’Amicizia che avrà luogo<br />

a Trieste il 13 luglio nella piazza dell’Unità d’Italia,<br />

consapevoli dell’alto messaggio di pace e fratellanza di<br />

cui è portatrice l’iniziativa. In tale occasione il Maestro<br />

Muti dirigerà l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e<br />

l’Orchestra Giovanile Italiana arricchite dalla presenza di<br />

numerosi giovani musicisti provenienti dalle Accademie<br />

Musicali Universitarie di Lubiana e di Zagabria, oltre a<br />

coristi italiani, sloveni e croati.<br />

Prima del concerto, deporremo una corona di alloro al<br />

Narodni Dom, orribilmente incendiata il 13 luglio 1920,<br />

e al monumento all’esodo dalle terre natali degli Istriani,<br />

Fiumani e Dalmati, nel doveroso ricordo delle tragedie<br />

del passato e nel comune impegno a costruire insieme un<br />

futuro di libera e feconda cooperazione tra i nostri paesi e<br />

i nostri popoli nell’Europa unita.<br />

Con la nostra presenza intendiamo testimoniare la ferma<br />

volontà di far prevalere quel che oggi ci unisce su quel<br />

che ci ha dolorosamente diviso in un tormentato periodo<br />

storico, segnato da guerre tra Stati ed etnie. Ormai, Italia,<br />

Slovenia e Croazia si incontrano nel contesto dell’Unione<br />

Europea, per sua natura portatrice di rispetto delle diversità<br />

e di spirito di convivenza tra popolazioni, culture e lingue<br />

che hanno già operosamente e lungamente convissuto<br />

per secoli. Di qui il nostro impegno a coltivare sempre il<br />

rispetto dei diritti di tutte le minoranze. In ciascuno dei<br />

nostri paesi, coltiviamo com’è giusto la memoria delle<br />

sofferenze vissute e delle vittime di cieche violenze, e<br />

siamo vicini al dolore dei sopravvissuti a quelle sanguinose<br />

vicende del passato.<br />

Il nostro sguardo è volto all’avvenire che con il decisivo<br />

apporto delle generazioni più giovani vogliamo e possiamo<br />

edificare in un’Europa sempre più rappresentativa delle<br />

sue molteplici tradizioni e sempre più saldamente integrata<br />

dinanzi alle nuove sfide della globalizzazione”.<br />

Inaugurata la nuova sede dell’Istituto Italiano di cultura di Lubiana<br />

Una nuova casa - a parte la fatica<br />

del trasloco - è sempre un evento da<br />

festeggiare. E lo è a maggior ragione<br />

quando si tratta di una casa ancora più<br />

bella di quella appena lasciata. Com’è<br />

appunto nel caso dell’Istituto Italiano<br />

di Cultura di Lubiana, che dopo dieci<br />

anni trascorsi in piazza del Congresso<br />

si è trasferito in un elegante palazzo<br />

storico sulle rive della Ljubljanica.<br />

Il nuovo indirizzo è Breg 12,<br />

lo stesso del centro culturale<br />

francese, che si trova al piano<br />

superiore.<br />

L’inaugurazione è avvenuta<br />

il 16 settembre, alla presenza<br />

dell’ambasciatore d’Italia<br />

Alessandro Pietromarchi,<br />

del vicesindaco del Comune<br />

di Lubiana Aleš Čerin, e<br />

naturalmente della direttrice<br />

dell’Istituto, Roberta Ferrazza.<br />

Non c’è stata una cerimonia vera<br />

e propria, piuttosto una festa tra<br />

amici, italiani e sloveni, dell’Istituto<br />

Italiano, accompagnata dall’apertura<br />

di una mostra curata dall’associazione<br />

goriziana Graphiti,”Obiettivo Divina<br />

Commedia”. <strong>La</strong> giornata però si<br />

è configurata soprattutto come un<br />

momento di incontro con il pubblico.<br />

Fin dalla mattinata i visitatori hanno<br />

potuto assistere a lezioni dimostrative<br />

di lingua italiana per adulti e bambini,<br />

alla proiezione della “Dolce vita” di<br />

Federico Fellini, e consultare libri<br />

e altro materiale conservato nella<br />

biblioteca e nella mediateca. Una<br />

manifestazione di “porte aperte”,<br />

dunque, volta a far conoscere a<br />

tutti gli interessati l’importante<br />

istituzione, nata nel 1999 e ben<br />

inserita nella realtà slovena grazie<br />

ad una fitta rete di collaborazioni sul<br />

territorio. Collaborazioni che<br />

coinvolgono e abbracciano, da<br />

sempre, anche le strutture della<br />

nostra Comunità. Pochi giorni<br />

dopo l’informale taglio del<br />

nastro alla nuova sede, l’Istituto<br />

Italiano di Cultura di Lubiana<br />

ha proposto a Casa Tartini di<br />

Pirano un applaudito concerto<br />

del pianista toscano Giuseppe<br />

Tavanti, primo di una serie di<br />

appuntamenti dedicati ai 150<br />

anni dell’Unità d’Italia.<br />

Ornella Rossetto<br />

25


<strong>La</strong> città<br />

Il presente articolo poggia su documenti veri, custoditi presso l’Archivio regionale di <strong>Capodistria</strong> (Busta<br />

№31, unità documentaria №32, Diplomi e carte diverse dei conti Grisoni (164-1850) – inventario Ivan<br />

Filipovič). Per scrivere una storia che potesse attirare l’attenzione dei più, mi sono servita della teoria<br />

manzoniana del romanzo storico. Abbiamo il vero per soggetto, l’utile per scopo e l’interessante per mezzo.<br />

L’invenzione qui è intesa come racconto che riempie i vuoti lasciati dalla documentazione, non dalla storia.<br />

<strong>La</strong> cornice storica è stata volutamente omessa, si è preferito parlare delle varie famiglie nobili capodistriane.<br />

Dove è stato possibile, si è integrato le informazioni con Monumenta heraldica Iustinopolitana. I vari fatti<br />

storicamente veri, sono stati uniti agli indizi desunti dalla lettura degli atti; ne nasce una cronistoria di una<br />

faida durata ben 200 anni … Buona lettura!<br />

Grisoni e Vergerio, due famiglie, un’eredità<br />

e 200 anni di storia<br />

26<br />

di Valentina Petaros Jeromela<br />

Un libro. Un libro contenente fogli. Ogni foglio qui sapientemente rilegato, è un documento o atto<br />

notarile, che racconta una vicenda e che qui darà vita ad una storia. Sfogliando, lasciando girare le<br />

pagine, sembra quasi che le storie si animino. È come un libro tridimensionale, con le figure, che da<br />

piatte, si alzano e si mostrano. Qui non raccontiamo una favola, però. Che cosa può mai nascondere<br />

l’ultima pagina di un libro manoscritto? <strong>La</strong> fine di una storia, oppure il suo inizio? Non si desidera<br />

dare una fine alla storia narrata, ma solo descriverne l’incominciamento e tracciarne le sfaccettature<br />

che hanno contraddistinto la vita di due generazioni e una città tutta.<br />

Il tutto comincia con il testamento<br />

di Giovanni Andrea I Vergerio, in<br />

una caldissima giornata di agosto,<br />

il quattro nell’anno di grazia 1562.<br />

“Gli eredi di veramente ogni e<br />

qualunque sorte dei beni mobili,<br />

come stabili e di ogni ragione e<br />

azione istituisce, e esser volse<br />

messer Colmano, suo dilettissimo<br />

fratello, e Gerolamo, nipote suo<br />

carissimo, figlio del fu Domenico<br />

suo fratello, per egual porzione<br />

con questa condizione: che<br />

mancando uno de loro senza eredi<br />

maschi non solamente la porzione<br />

di esso testatore della possessione<br />

di Oltra ritorni al sopravivente,<br />

ovvero ai suoi eredi maschi, ma<br />

quella del morto ancora senza<br />

eredi maschi, con questo che colui<br />

che vorrà ad aver la porzione della<br />

detta possessione sia tenuto dar<br />

agli eredi del defunto se fossero<br />

femmine altrettanti beni in alcun<br />

altro luogo de egual valore, e<br />

queste fa e ordina acciò che la<br />

detta possessione rimanga in casa<br />

e famiglia de Vergeri maschi.”<br />

Poche ma chiarissime parole<br />

che determineranno le sorti di<br />

alcune tra le più illustri famiglie<br />

<strong>Capodistria</strong>ne: Vergerio, Grisoni,<br />

Gavardo, Gravisi, Petronio, Brutti<br />

e Contesini Ettoreo e, nei rami più<br />

recenti anche Tarsia, Belgramoni<br />

e i Morosini. Due, tre generazioni<br />

che continueranno la lotta per il<br />

possesso della Val d’Oltra…<br />

I Vergerio, questa nobile e<br />

illustre famiglia <strong>Capodistria</strong>na,<br />

vede l’estinzione del ramo con<br />

discendenza maschile nel 1678,<br />

con la morte di Girolamo, il<br />

dottore, che svolgeva la sua<br />

professione a Padova. Il libro<br />

racconta di tre fratelli (Giovanni<br />

Andrea I, Colmano e Domenico)<br />

e di un testamento, quello del<br />

fratello maggiore. Giovanni<br />

Andrea I, non avendo figli maschi,<br />

lascia tutto in eredità al figlio del<br />

fratello, Gerolamo; unico nipote<br />

in vita al momento della stesura<br />

del detto testamento. Negli anni a<br />

venire, Colmano, avendo anche lui<br />

procreato figli (figli maschi e altre<br />

due femmine), pretende e ottiene<br />

la divisione dell’eredità. A questo<br />

lascito si aggiungono le proprietà<br />

di Caterina Gravisi (vedova di<br />

Cristoforo Zarotti de Sereni). Una<br />

dote molto importante, giacché<br />

portava la proprietà del Mulino,<br />

quello che confinava con le terre<br />

dei Borisi … Tenuto da una<br />

contadina detta “Buttazza” che<br />

andava tutto a favore di Gerolamo,<br />

suo marito, così come desiderava<br />

il padre di lei, Giovanni Gravisi.<br />

<strong>La</strong> famiglia Vergerio possedeva<br />

i feudi di Cuberton (Kuberton)<br />

e Toppole (Topolovec) e nel<br />

1650 Padena (Padna), Morosina<br />

(Movraž), S. Sirico (Sočerga),<br />

Covedo (Kubed) e Villanova<br />

(Nova Vas). Tra gli antenati<br />

illustri figura Pier Paolo Vergerio<br />

il Seniore (1370-1444), uno dei<br />

più illustri umanisti italiani,<br />

professore di dialettica a Padova<br />

e Bologna, precettore dei Carrara<br />

e celebre pedagogo. È da ritenere,<br />

grazie all’indizio contenuto nel<br />

contratto matrimoniale della<br />

Susana con Francesco Grisoni<br />

(per uno scherzo del destino i<br />

nipoti che continueranno questa<br />

faida, portano gli stessi nomi), che<br />

questa sia proprio la discendenza<br />

del ramo del Vescovo di<br />

<strong>Capodistria</strong>. In una riga c’è scritto<br />

che proprio un certo Aurelio<br />

lascia in dote alla Susana ducati<br />

cinquanta. A ragione possiamo<br />

concludere che la discendenza<br />

qui trattata sia del ramo diretto<br />

dell’Apostata in quanto, Giacomo<br />

Vergerio (il notaio) ebbe 5 figli<br />

e tre figlie. Il primogenito è<br />

Iacomo (il francescano), Alvise,<br />

Giovanni Battista (Vescovo di<br />

Pola), Aurelio (monsignore) e Pier<br />

Paolo (Vescovo di <strong>Capodistria</strong>).<br />

Non si sono dati certi, non si può<br />

determinare chi sia l’antenato,


escludendo (per pura formalità)<br />

gli uomini consacrati al celibato,<br />

rimangono le tre figlie (delle<br />

quali non sono indicati i nomi) e<br />

l’Alvise.<br />

Purtroppo, se per la morte di Pier<br />

Palo si sospettò un avvelenamento,<br />

la morte di Aurelio è certa:<br />

rinchiuso nelle segrete a Roma da<br />

Papa Clemente VII. Di lui non si<br />

ebbero più notizie.<br />

Gerolamo muore nel 1622, ma<br />

sposa Caterina Gravisi il due<br />

ottobre 1606. Da quest’unione<br />

nascono nove figli: quattro<br />

femmine e cinque maschi. Non<br />

posso assicurare la correttezza<br />

della successione delle nascite, ma<br />

intanto la discendenza va divisa<br />

tra il ceppo nato dalle figlie e<br />

quello nato dai maschi. Abbiamo,<br />

da una parte: Susana, Paula,<br />

Elena e Felice; mentre dall’altra:<br />

Colmano (padre Comodo),<br />

Giovanni Andrea II, Giovanni<br />

Nicola, Capitan Carlo e, il figlio<br />

nato postumo, Girolamo. Un nome<br />

che conviene ricordarsi è quello<br />

di Susana Vergerio, perché è la<br />

primogenita, sposerà Francesco<br />

Grisoni e in base al diritto di<br />

primogenitura darà al conflitto una<br />

svolta decisiva e inaspettata, e ci<br />

terrà in sospeso con continui colpi<br />

di scena. Conviene anche tenere<br />

a memoria la dote di Caterina, la<br />

quale sarà contestata e, in modo<br />

subdolo, tolta alla discendenza<br />

del ramo maschile. Purtroppo<br />

anche nel ceppo maschile vi è<br />

una Susana, quella che osteggerà<br />

la primogenitura femminile e<br />

perseguirà le proprie ragioni sino<br />

alla morte. Per evitare confusione,<br />

decidiamo di chiamarla Suor<br />

Nezza. Non vi sono notizie<br />

inconfutabili circa il monacato di<br />

questa, ma vi è un chiaro indizio<br />

di ciò in un documento. Viene,<br />

infatti, nominata Susana detta<br />

Suor Nezza.<br />

Complotti, intrighi, congiure, …<br />

la vita della nostra tranquilla città,<br />

presto, ci sembrerà un ricordo<br />

lontano.<br />

Nel 1606, il non più giovane<br />

<strong>La</strong> città<br />

Gerolamo, dunque, s’innamora!<br />

accanto alla felicità manifesta per<br />

un evento così gioioso, abbiamo<br />

un fiorire di contratti e patti e<br />

convenzioni tra le due famiglie:<br />

quella di lui e la di lei. Tanto<br />

per non dover litigare. Caterina<br />

Gravisi, vedova di pochi mesi<br />

di Cristoforo Zarotti de Sereni<br />

(morto forse all’inizio del 1606),<br />

ottiene la restituzione della dote<br />

(di danari 3.500!!!) e essendo<br />

nuovamente sola e ricca, viene<br />

ben presto concupita dal baldo<br />

Gerolamo! Ecco il contratto,<br />

scusate, il termine usato è<br />

“Convenzione tra Gerolamo<br />

Vergerio e suoi cognati Gravisi per<br />

dote di Caterina”. Questo accade<br />

nel marzo del 1615, possiamo a<br />

ragione ritenere che l’amore abbia<br />

regnato sovrano per alcuni anni<br />

prima che l’avidità si rendesse<br />

complice e partecipe di questo<br />

così grande sentimento. Solo in<br />

apparenza. In verità si tratta della<br />

cessione, a favore della coppia e<br />

in completamento della dote, del<br />

27


<strong>La</strong> città<br />

Mulino e delle terre sotto Villa<br />

de Cani (Dekani). Il notaio Pietro<br />

Toffanis stila questo passaggio di<br />

proprietà e la rinuncia dei fratelli<br />

di Caterina (Ferdinando, Giovanni<br />

Battista, Giulio, Camillo,<br />

Benvenuto, Dioniso) dei proventi<br />

di questo molino tenuto da una<br />

certa “Bottazza”. Le terre invece<br />

erano “tenute” da Luca Verzier e<br />

per le quali paga d’affitto “stara<br />

due formento”. Si scopre che<br />

c’è anche un campetto in Risano<br />

(Rižana), che confina con la ragion<br />

di Francesco Borisi, altre grande<br />

casata <strong>Capodistria</strong>na.<br />

Alcuni giorni prima di morire,<br />

Gerolamo fece testamento e, come<br />

da consuetudine, lega l’eredità<br />

a una clausola. È il 25 settembre<br />

1622 e Gerolamo (“giacendo in<br />

letto sano per l’Iddio grazia della<br />

Mente, senso, veder e intelletto<br />

… sapendo non essere cosa più<br />

certa della morte e più incerta<br />

dell’ora di quella”…) ordina<br />

il suo testamento. Ciò che in<br />

precedenza fu chiaro, mi riferisco<br />

al testamento del 1562, qui si<br />

complica. Qui origina anche la<br />

nostra vicenda.<br />

Gerolamo lasciò in eredità, a<br />

ognuna delle sue figlie Ducati 500<br />

e Ducati 200 di mobili e stabili.<br />

Mentre, ai figli, lascia tutti i suoi<br />

possedimenti siti in Val d’Oltra.<br />

Tutti i campi, le vigne, i prati, i<br />

baredi a patto che, mancando la<br />

discendenza maschile, il tutto<br />

ritorni ai maschi in vita. Con un<br />

secondo vincolo: di non vendere,<br />

impegnare, permutare né affittare<br />

ma che questi beni vadano sempre<br />

ai figli ed eredi maschi. Condizione<br />

perpetua. Nel caso in cui mancasse<br />

proprio la discendenza maschile,<br />

allora vuole che i discendenti<br />

delle sue figliole siano padroni<br />

dei predetti beni con condizione<br />

di non poter “permutar gli stessi”.<br />

Gli stessi beni poi, in mancanza<br />

d’altro, possono essere “utilizzati<br />

come dote per maritar le figlie”<br />

… Più che risolvere, qui abbiamo<br />

la nascita della confusione. A<br />

decidere le sorti saranno gli<br />

avvocati, entrati a far parte della<br />

famiglia in circostanze diverse.<br />

Il Grisoni sposa la primogenita<br />

Susana, Giovanni Andrea II<br />

sposerà Gioia Gavardo e Caterina<br />

28<br />

nata Gravisi. Tutte e tre le famiglie<br />

(Gravisi, Grisoni e Gavardo)<br />

hanno una lunga tradizione<br />

come azzeccagarbugli, ma uno<br />

in particolare si distinguerà:<br />

Francesco Grisoni.<br />

Il testamento termina con la solita<br />

formula, in cui l’usufruttuaria<br />

di tutti i beni è la consorte. I<br />

commissari del testamento sono il<br />

reverendo padre Comodo Vergerio<br />

(il figlio), Ferdinando Gravisi e<br />

Piero Gavardo (il cognato). Come<br />

detto sopra, Gerolamo muore il 30<br />

settembre 1622.<br />

Negli anni a seguire, dal 1625<br />

al 1632, l’attività principe della<br />

“relitta” (vedova) Caterina fu di<br />

organizzare matrimoni. Questi, si<br />

sa, costano e con 4 figlie … Lei<br />

discende da una antica famiglia, il<br />

capostipite scongiurò il complotto<br />

ordito da alcuni padovani contro<br />

la Repubblica Veneta nella città<br />

di Pirano. Questo comportò<br />

l’investitura del marchesato di<br />

Pietrapelosa. Erano anche, nel<br />

secolo XVII, signori della Torre<br />

di Padena; la stessa Torre, parte<br />

della quale, Caterina portò come<br />

dote.<br />

Non lasciandosi sopraffare dal<br />

dolore, oppure volendo reagire alla<br />

seconda vedovanza, la “relitta” si<br />

attiva nella ricerca di capitali. È<br />

datato fine marzo 1623 un livello<br />

(affitto) con la città di Rovigno,<br />

dove Caterina ottiene la rinuncia<br />

su tutti i profitti, sia dei dazi sia dei<br />

torchi, da parte del figlio Colmano<br />

(padre Comodo). In seguito, vi<br />

è una procura di Caterina per<br />

riscuotere il credito dalla famiglia<br />

Gaspari di Udine. Parliamo di<br />

circa 240 Ducati. Ed ecco la prima<br />

data, che corrisponde al primo<br />

esborso: il 15 marzo 1625 si sposa<br />

Susana con Francesco Grisoni in<br />

cui vi sono 700 Ducati di dote<br />

più cinquanta lasciati da Aurelio<br />

Vergerio. In più la madre della<br />

sposa deve ancora completare la<br />

dote con 1.500 Ducati e alcuni<br />

“cavedini di saline della Valle<br />

d’Oltra”. Punto nodale della<br />

vicenda. <strong>La</strong> seguono le sorelle,<br />

in ordine di nascita: Paula con<br />

Barnabà Brutti, nel 1626, ed Elena<br />

con Antonio Petronio nel 1632.<br />

Ultima è la Felice che si sposa con<br />

Nicolò Zarotti nel 1637 dove in<br />

dote porta anche parte del Molino<br />

della Bottazza. L’amicizia che lega<br />

le famiglie Vergerio e Zarotti, va<br />

molto indietro nel tempo, si parla<br />

dei tempi di Pier Paolo Vergerio,<br />

l’apostata. A renderli celebri fu<br />

Giacomo Zarotti, probabilmente<br />

il cognato, che col suo testamento<br />

(21 giugno 1660) fondò un nuovo<br />

canonicato (presso il Capitolo<br />

Giustinopolitano) ed accordò al<br />

vescovo pro tempore il diritto<br />

di elezione, con la condizione<br />

di dare la preferenza a sacerdoti<br />

discendenti dalle famiglie<br />

Gavardo, Zarotti, Grisoni e<br />

Vergerio. L’eletto canonico è<br />

obbligato a portare il nome della<br />

famiglia Zarotti alla celebrazione<br />

quotidiana della Santa Messa.<br />

Per ogni figlia maritata, la dote<br />

data era, approssimativamente,<br />

intorno a 1.500 Ducati. Oltre ai<br />

contanti, ognuna ottiene, come da<br />

testamento, anche parte delle saline<br />

e il magazzino in Piazza da Ponte,<br />

che va a Paula. Così il lignaggio<br />

femminile prospera, nascono figli<br />

maschi, fondamentali per l’asse<br />

ereditario.<br />

A questo punto, i Grisoni sono<br />

entrati in questa famiglia e della<br />

quale, ne segneranno la sorte.<br />

Questa antica, illustre e doviziosa<br />

famiglia nobile della nostra città, è<br />

fregiata del titolo di Conte, ma si è<br />

estinta in linea maschile nel 1841,<br />

con Francesco Grisoni (anche<br />

se in verità lui ebbe un figlio,<br />

Pompeo, il quale morì nel 1833).<br />

Che il matrimonio di Susana con<br />

un Grisoni non fosse una buona<br />

idea, era opinione condivisa in<br />

famiglia. Questo anche per una<br />

vecchia ruggine, risalente al secolo<br />

XVI. Mi riferisco ad Annibale<br />

Grisoni, dottore dei Sacri Canoni,<br />

canonico della Cattedrale di<br />

<strong>Capodistria</strong>, Inquisitore per la S.<br />

Fede nell’Istria (1523), nominato<br />

nel 1549 commissario per l’eretica<br />

pravità, fu il principale persecutore<br />

del vescovo Pier Paolo Vergerio.<br />

Queste le premesse, che già non ci<br />

fanno ben sperare.<br />

“Fu egli spinto da un eccedente<br />

zelo di religione, e forse di<br />

passione, diventando il primario<br />

persecutore del proprio vescovo,<br />

l’apostata Pier Paolo? Quanto


ardito, e dannato fosse il trasporto<br />

del canonico Annibale basterà<br />

giudicarlo dal fatto, che la<br />

domenica alla celebrazione della<br />

conventuale, inveì predicando<br />

contro il vescovo, ch’era pure<br />

in <strong>Capodistria</strong>, attribuendogli,<br />

perché eretico, i mali tutti e le<br />

disgrazie che soffriva il popolo<br />

nella sterilità dei raccolti, nella<br />

siccità, e nella mortalità degli<br />

animali, fatto sedizioso che<br />

obbligò la pubblica autorità del<br />

principe a reprimerla.”<br />

Ritornando alle ragioni che<br />

alimenteranno questa lotta per<br />

aggiudicarsi l’asse ereditario,<br />

posso forse aggiungere la mania<br />

di grandezza che ha portato la<br />

famiglia Grisoni a investire sempre<br />

più capitale a Daila. Francesco<br />

di Santo era ricchissimo, perciò<br />

seguì l’esempio della nobiltà<br />

veneta in fatto di migliorie agrarie<br />

e edilizie. Il latifondo di Daila,<br />

immiserito dalla malaria, era<br />

semi-incolto, i maggiori proventi<br />

erano l’affitto invernale delle terre<br />

a pascolo, l’olio e l’esportazione<br />

della legna da ardere. Volle farsi<br />

una villa gentilizia, secondo i gusti<br />

dell’epoca, sul posto delle antiche<br />

e squarciate costruzioni. Esisteva<br />

il cosiddetto “castello di Daila”,<br />

cioè un palazzotto-casa dominicale<br />

– quadrangolare con quattro<br />

torrette agli angoli e feritoie sulla<br />

cortina, racchiudente il capace<br />

cortile e la cisterna. Dal 1775,<br />

intanto demolì alcune case rustiche<br />

adiacenti e la vecchia chiesa di<br />

San Giovanni. Fece costruire i due<br />

corpi di fabbrica laterali: la nuova<br />

chiesa barocca (inaugurata nel<br />

1783), e, di fronte, l’alloggio del<br />

cappellano, del fattore, e via via,<br />

i granai, il torchio, le cantine, i<br />

magazzini, le scuderie, l’alloggio<br />

dei famigliari. I trambusti politici<br />

e la morte precoce impedirono<br />

a Francesco di Santo Grisoni di<br />

completare il progetto. Toccò<br />

al figlio, conte Francesco. Sul<br />

luogo del castello innalzò la<br />

villa-palazzo, verso l’anno 1830.<br />

Purtroppo non si è conservato<br />

nulla delle testimonianze che<br />

accompagnarono per secoli le<br />

precedenti costruzioni. Abbiamo<br />

però, e la stiamo ricostruendo, una<br />

storia parallela, in altre parole la<br />

cronaca di come si mantengono e si<br />

alimentano i fondi per continuare<br />

questo tipo di ambizioni.<br />

Dalla parte del lignaggio maschile<br />

invece, non vi sono solo eventi<br />

piacevoli. Nel 1634 muore<br />

Giovanni Nicola, il terzogenito,<br />

a soli diciannove anni. Nel 1638<br />

è un anno di gioia, poiché si<br />

celebrano le nozze di Giovanni<br />

Andrea II con Gioia Gavardo, del<br />

fu Niccolò. Matrimonio molto<br />

importante, poiché è da qui che<br />

si ha la discendenza dei Contesini<br />

Ettoreo, e non solo. Da questo<br />

matrimonio nascono due figlie:<br />

Franceschina che sposa Andrea<br />

Contesini Ettoreo appunto, e<br />

Susana, forse monaca Nezza,<br />

la quale da inizio alla lunga<br />

controversia. Nello stesso anno, un<br />

mese più tardi, il ceppo maschile<br />

subisce un altro duro colpo: muore<br />

Colmano, monaco Cassinese.<br />

Caterina dai suoi avi ereditò la<br />

praticità e l’arguzia. Volendo<br />

ottemperare alle ultime volontà<br />

del marito, ma non sapendo<br />

come fare, scelse di affidarsi alla<br />

fortuna. Scelse la sorte, divise in<br />

parti uguali sia i beni terreni che<br />

materiali; compilò tre bollettini<br />

e li mise in un capello. <strong>La</strong> posta<br />

era alta, molto desiderata erano la<br />

casa Vergeria e, naturalmente, i<br />

possedimenti in Valle d’Oltra. Fece<br />

scegliere prima al più giovane,<br />

quel figlio nato dopo la morte<br />

dell’amato marito: Girolamo.<br />

Toccò poi a Carlo e infine, al<br />

primogenito: Giovanni Andrea<br />

II. A tutti sembrò una buona<br />

idea, soprattutto alla discendenza<br />

maschile. Ciò che non andò in<br />

dote, fu equamente diviso.<br />

Le cose cominciano a complicarsi<br />

con la morte di Giovanni Andrea<br />

II, padre di Suor Nezza. Siamo<br />

nel 1659 e, purtroppo, non fece<br />

in tempo a redigere il testamento.<br />

“In mancanza di figli maschi il<br />

tutto vada equamente distribuito<br />

alle figlie femmine”; vi è però una<br />

postilla: per far si che la Val d’Oltra<br />

rimanga in famiglia, si cerca di<br />

non dividere il possedimento<br />

tra i vari famigliari. Per le figlie<br />

vale la regola di ottenere beni in<br />

proporzione al valore dei terreni.<br />

Suor Nezza (cioè Susana Vergerio<br />

Gavardo) sarà estromessa e<br />

<strong>La</strong> città<br />

continuerà a sostenere le proprie<br />

ragioni fino all’ultimo. Lotta<br />

che poi sarà consegnata alle<br />

generazioni future, ai nipoti<br />

Tommaso, Giovanni Andrea e<br />

Lelio Contesini Ettoreo.<br />

Dopo la morte di Caterina i rapporti<br />

s’inasprirono. Giovanni Andrea<br />

II (padre di Suor Nezza) morì<br />

improvvisamente nel 1659, senza<br />

lasciare testamento. Caterina vergò<br />

il proprio nel 1668, ma non morì<br />

subito. Condivise le pene terrene<br />

con i propri figli ancora per quattro<br />

anni. Li lasciò alla veneranda – e<br />

invidiabile per i tempi – età di<br />

ottantaquattro anni. <strong>La</strong>sciò tutto,<br />

poiché era usufruttuaria di tutti<br />

i beni del defunto marito, ai soli<br />

figli maschi. Alle proprie figlie<br />

non lasciò che ricordi. Con la<br />

specifica che alla nipote Suor<br />

Nezza, dopo aver avuto i 300<br />

Ducati (e tanti stabili in valore<br />

caso mai mancassero contanti)<br />

“non debba haver altro”.<br />

Le pretese di Suor Nezza<br />

cominciarono proprio dopo il<br />

testamento, anzi, dopo la morte<br />

della nonna Caterina, avvenuta<br />

nel 1672. Questa, infatti, non<br />

aveva lasciato quasi nulla alle due<br />

nipoti. Fatto che fu inteso come<br />

ingiusto, per porvi rimedio però,<br />

Suor Nezza cominciò una lunga<br />

contestazione per veder rispettate<br />

le proprie ragioni e i diritti circa<br />

l’eredità del padre.<br />

<strong>La</strong> disputa generazionale ruota<br />

attorno alla decisione del buon<br />

Giovanni Andrea I Vergerio<br />

(decisione espressa nel suo<br />

testamento del 1562), che tutta la<br />

Valle d’Oltra restasse nella casa<br />

e famiglia dei Vergerio. Questa<br />

decisione abbastanza semplice<br />

fu complicata dal testamento di<br />

Gerolamo Vergerio (erede di<br />

maggioranza del lascito dello<br />

zio Giovanni Andrea I). Voleva<br />

che tutti, figli e figlie, avessero<br />

qualcosa. Morto il primogenito<br />

nel 1659 (Giovanni Andrea II<br />

ereditò la primogenitura dopo<br />

la morte di Colmano – padre<br />

Comodo, deceduto nel 1638), il<br />

secondogenito Giovanni Nicola<br />

morì nel lontano 1634, gli unici<br />

rimasti in vita erano Carlo e<br />

Girolamo. Così, in base alla<br />

sentenza del 3 novembre 1672 e<br />

29


<strong>La</strong> città<br />

in base ai mandati per il possesso<br />

(del 29.5 e 14.7. 1672), tale<br />

patrimonio andò proprio ai fratelli<br />

sopravissuti alla sorte: Carlo e<br />

Girolamo. Essendo morto senza<br />

testamento il padre di Suor Nezza,<br />

Giovanni Andrea II, essa tenta di<br />

appellarsi alle ragioni contenute<br />

nella divisione dei possedimenti<br />

fatta da Caterina nel 1641. Si<br />

doveva, infatti, dividere tutti i<br />

possedimenti, anzi, la Val d’Oltra<br />

in eque parti tra i tre fratelli.<br />

Morendo Giovanni Andrea II,<br />

il maggiore dei tre ancora in<br />

vita, e senza figli maschi, la sua<br />

eredità spettava di diritto a Suor<br />

Nezza. <strong>La</strong> condizione espressa<br />

nel testamento prevedeva anche<br />

i casi in cui a uno dei figli non<br />

nascono eredi maschi - ma anche<br />

un eventuale decesso- in questo<br />

caso la porzione del parente<br />

deceduto senza figli maschi, deve<br />

ritornare ai viventi. Alle eredi<br />

vada, invece, “egual porzione di<br />

eredità espressa però in valore,<br />

non in terreni”. Non avendo<br />

alcun testamento, Suor Nezza si<br />

appellava anche alla bontà degli<br />

zii, poiché i proventi dei coloni<br />

siti nelle saline, sono per lei unico<br />

sostentamento. Toltole ciò, non<br />

le rimarrebbe di che mantenersi,<br />

essendosi la sorella maggiore<br />

maritata con Andrea Contesini<br />

Ettoreo, lei doveva provvedere<br />

da sola al proprio mantenimento,<br />

oppure a non perdere la dote per la<br />

monacatura. A questa sua disperata<br />

e accorata richiesta risponde lo<br />

zio, il capitano Carlo, il quale le<br />

cede alcuni terreni. Questo dono<br />

nasconde un inganno. I terreni<br />

in questione sono un campo in<br />

Villa san Piero (Sveti Peter) e uno<br />

a Carcase (Krkavče) nonché un<br />

campetto nel distretto della città.<br />

A ben guardare però, si scoprì che<br />

questi fondi erano carichi di tasse<br />

arretrate. Nuovamente senza soldi,<br />

Suor Nezza coraggiosamente<br />

impugnò l’ennesima sentenza<br />

e chiese una perizia sui beni in<br />

Val d’Oltra, poiché in base al<br />

testamento del bis nonno questi<br />

le appartenevano; ma anche in<br />

base alla divisione di Caterina<br />

nel 1641. Per far si che il tutto<br />

sia imparziale, richiede un terzo<br />

perito.<br />

30<br />

Nel 1673 sembra che la vicenda<br />

sia conclusa. Susana ottiene<br />

quanto chiesto, compreso un<br />

terzo della casa Vergeria e una<br />

piccola rendita da pagarsi in dieci<br />

anni. Ben presto le circostanze<br />

sarebbero cambiate.<br />

Nei primi giorni del mese di luglio<br />

1676, zio Carlo detta le sue ultime<br />

volontà. Cosa mai potrà cambiare<br />

per una delle discendenti del<br />

ceppo maschile, nulla? Oppure<br />

tutto? Capitan Carlo designa come<br />

eredi il fratello Girolamo e i figli<br />

maschi legittimi. Come al solito,<br />

in mancanza di questi tutto vada<br />

alle figlie; mancando la prole,<br />

ed è qui che abbiamo il primo<br />

grande colpo di scena, l’eredità va<br />

alle sorelle Paula (la primogenita<br />

Susana è già passata a miglior<br />

vita), Elena e Felice! Ovvero,<br />

al ceppo femminile. E non solo,<br />

morte loro, tutto va agli eredi<br />

maschi di Susana, Paula Elena e<br />

Felice, cioè alle casate Grisoni,<br />

Brutti, Petronio e Zarotti in “egual<br />

porzione”.<br />

Sembra che tutto debba essere<br />

nuovamente messo in discussione.<br />

Così non é. Forse, non ne ho la<br />

certezza assoluta, forse Suor Nezza<br />

non era a conoscenza di queste<br />

particolari clausole testamentarie,<br />

e magari del testamento in<br />

particolare.<br />

Ennesima sorpresa, alcuni<br />

mesi dopo le ultime volontà di<br />

Carlo, lo zio Girolamo propone<br />

un accordo di transazione dei<br />

beni a favore di Suor Nezza. Si<br />

tratta della conferma di tutte le<br />

spettanze dovutele. Non ci sono<br />

altre notizie intorno a questo<br />

fatto, si potrebbe supporre un<br />

tentato riappacificamento prima<br />

di incontrare gli avi? Oppure lo<br />

zio, dopo il rifiuto dei Vergerio di<br />

Verona a trasferirsi a <strong>Capodistria</strong>,<br />

cercava una madre surrogata<br />

del figlio adottivo? Peccato per<br />

Suor Nezza che questo figlio<br />

morirà molto presto, nel 1678.<br />

Fatto sta che firmano, accettano<br />

e fanno si che la discussione<br />

finisca amichevolmente. Senza<br />

trabocchetti o tranelli, Suor Nezza<br />

finalmente può dirsi soddisfatta.<br />

Per lunghi anni ha cercato giustizia<br />

e ora, finalmente, l’ha ottenuta. <strong>La</strong><br />

sentenza diventa legge, nel marzo<br />

1688, segue un’“apprensione<br />

esecutiva” con cui si pone la<br />

parola “fine” alla faccenda. Le è<br />

riconosciuto, in toto, ciò che fu<br />

già sentenziato e deliberato anni<br />

prima.<br />

A questo punto però, bisogna<br />

ricordarsi del ramo “femminile”<br />

della genealogia, il quale ebbe<br />

figli maschi. Ci ritorna allora<br />

utile consultare le ultime volontà<br />

dell’ultimo Vergerio maschio,<br />

Girolamo, testamento scritto<br />

nel dicembre del 1678. Dottore<br />

a Padova, non ebbe figli, però<br />

decise di adottarne uno. Non solo,<br />

decise anche che tutto ciò che<br />

ereditò, come ultimo discendente<br />

maschio, trascorsi 20 anni<br />

dalla sua morte, vada tutto alla<br />

primogenitura! Sono passati meno<br />

di due anni dall’accordo stipulato<br />

e che chiuse questa lunga disputa<br />

avuta con Suor Nezza (unica<br />

erede, insieme alla sorella, del<br />

ramo maschile). Da buon genitore<br />

pensò al futuro del proprio figlio,<br />

desiderava assicurargli almeno<br />

alcuni decenni di vita agiata.<br />

Lo avrebbero aiutato a crescere<br />

alcuni amici, con il prezioso aiuto<br />

di Valerio Vergerio. Con questa<br />

indicazione, abbiamo la conferma<br />

dell’esistenza, poiché confermata<br />

dal testatore, di un ramo Vergerio<br />

anche a Verona. Quest’ultimo è<br />

stato incluso nel testamento, a<br />

patto però che si trasferisca, con<br />

la famiglia tutta, a <strong>Capodistria</strong>.<br />

Cosa che non fece. Essendo<br />

il ramo maschile dei Vergerio<br />

morto, cioè, essendoci solo<br />

discendenti di genere femminile,<br />

Franceschina e Susana – Suor<br />

Nezza, volendo forse rispettare<br />

le volontà del padre, prese una<br />

decisione che diede una nuova<br />

svolta a tutta la faccenda. Decise<br />

che, la scelta della primogenitura<br />

spettasse al destino! Proponendo<br />

il gioco fatto dalla madre, scrisse<br />

sopra tre fogli, i tre cognomi<br />

più importanti: Grisoni, Brutti e<br />

Petronio, ossia le sorelle maritate.<br />

Omise Zarotti, forse perché non si<br />

hanno notizie di nascite da quel<br />

nucleo famigliare. Il primo estratto<br />

sarà quello che determinerà, dopo<br />

che saranno trascorsi i venti<br />

anni, il diritto alla primogenitura<br />

e, di conseguenza, ad avere


tutto. Nominò poi i commissari:<br />

Santo Grisoni, Antonio Brutti e<br />

Francesco Petronio (i nipoti, figli<br />

delle sue sorelle).<br />

<strong>La</strong> situazione di Suor Nezza<br />

è, un’altra volta, gravemente<br />

compromessa. Ex novo dovrà<br />

dimostrare la legalità e la<br />

legittimità della sua eredità poiché<br />

i tre nipoti si appellano e chiedono<br />

di rivalutare il punto del testamento<br />

della nonna Caterina in cui la<br />

precedenza dell’asse ereditario<br />

spetta ai soli figli maschi. Forti di<br />

ciò, cominciano una nuova serie<br />

di udienze e appelli.<br />

Un primo durissimo colpo alle<br />

certezze di Susana è la conversione<br />

in legge del punto del testamento<br />

di Caterina dove, come detto<br />

sopra, si da precedenza ai figli<br />

maschi.<br />

Quasi ogni mese del 1688 è<br />

rappresentato o da una scrittura dei<br />

Commissari testamentari o da una<br />

risposta di Susana. Vi è un fluire<br />

di ricorsi e appelli. Se Gabriel<br />

Venier, podestà di <strong>Capodistria</strong><br />

il 17 luglio intima ai cugini di<br />

consegnare l’eredità; il 22 luglio<br />

i cugini rispondono asserendo<br />

che, “gli atti che comprovano la<br />

legittimità di Suor Nezza, sono<br />

disordinati e impropri, ecco<br />

perché si ritiene indispensabile<br />

impostare una nuova causa”.<br />

L’alternativa è rappresentata dal<br />

“taglio” (eliminazione) degli atti<br />

datati 17 e 23 marzo. Guarda caso,<br />

proprio quelli che confermano<br />

e concedono a Suor Nezza un<br />

terzo della casa. Il secondo atto<br />

è rappresentato dal ricorso contro<br />

quella transazione fatta dallo zio<br />

nel 1676. Mentre si può ritenere<br />

un gesto furbo quest’ammissione<br />

parziale, in altre parole: le<br />

concedono un terzo dell’eredità,<br />

dalla quale però vanno detratte<br />

diverse spese, ma soprattutto,<br />

mettono in discussione la dote<br />

della nonna Caterina. Questo<br />

punto diventerà il nuovo centro<br />

della discussione. <strong>La</strong> dote della<br />

nonna, doveva rimanere separata<br />

dai beni del marito, oppure doveva<br />

sommarsi? Se diventava parte<br />

del lascito, allora, l’un terzo di<br />

tutto comprendeva anche i campi<br />

in Risano, campo in Sermino,<br />

ottocento ducati (controvalore in<br />

immobili) come riconoscimento<br />

per aver maritato le figliole.<br />

Detrazioni che diminuiscono<br />

di molto ciò che sembrava<br />

appartenere a Suor Nezza. IL nove<br />

marzo 1689 compare, per la prima<br />

volta, il nome di Alvise Contesini,<br />

il quale sostituisce la prozia, suor<br />

Nezza. Un utile fonte per capire<br />

l’entità di questo lascito, sono<br />

i vari conteggi fatti dalle due<br />

parti. Conti che, naturalmente,<br />

differiscono non di poco.<br />

Il litigio sembra non aver fine,<br />

poiché il Podestà continuò a dar<br />

ragione a Suor Nezza, i nipoti<br />

continuarono nell’insistere.<br />

L’ultimo documento, infatti,<br />

quello datato 12 marzo 1689,<br />

addirittura “licenzia” gli avversari<br />

dalla detrazione della dote della<br />

nonna (si tratta di 3.500 Ducati).<br />

L’aver un avvocato in famiglia<br />

significa poter portare avanti una<br />

causa persa. I Grisoni non si sono<br />

fermati di fronte a nulla. Piovono<br />

appelli sino al 1690, almeno<br />

sino a luglio di quell’anno. Suor<br />

Nezza, infatti, dopo “sessantotto<br />

anni di sospiri e dopo nuove<br />

dilazioni concesse ai cugini circa<br />

i pagamenti inerenti l’eredità, e<br />

per assicurarsi la quiete dopo un<br />

così costoso raggiro”, chiede la<br />

sospensione della vertenza con<br />

un accordo. <strong>La</strong> parte avversa non<br />

accetta, anzi, rincara e rende ancor<br />

più amaro il tutto, affermando che<br />

è Suor Nezza che indebitamente<br />

insiste nel voler quello che non<br />

è giusto e che non le spetta.<br />

Considerano l’ultima scrittura<br />

piena d’inutili e vane espressioni,<br />

“onde alla medesima si protesta<br />

di nullità”. Il contenzioso<br />

continua. Inutilmente Suor Nezza<br />

protesta contro le “vane, inutili<br />

e artificiose espressioni fatte<br />

nell’ultima scrittura prodotta”.<br />

Soprattutto quelle concernenti la<br />

seconda parte del punto quattro: la<br />

detrazione della dote della nonna<br />

Caterina.<br />

Suor Nezza è stanca e stufa. I<br />

cugini, capeggiati dall’avvocato<br />

Francesco Grisoni, non mostrano<br />

segni di cedimento. Commuove<br />

l’ultima riga dell’ennesimo<br />

documento scritto da Suor Nezza:<br />

“cessino, dunque, i signori eredi<br />

e commissari testamentari di<br />

<strong>La</strong> città<br />

maggiormente strusciar detta<br />

povera signora, ch’è pure dello<br />

stesso sangue, e acquietino a<br />

giudizi già seguiti a di lei favore,<br />

rinunciando all’appello, onde<br />

possa la medesima ottenere ciò che<br />

le spetta di diritto”. Parole dure<br />

e sincere che forse colpiscono e<br />

smuovono i sentimenti degli’avidi<br />

cugini. Sembra proprio di sì.<br />

L’atto seguente è un testamento,<br />

si tratta delle ultime volontà di<br />

Suor Nezza. Sono passati ben<br />

diciassette anni senza litigi o<br />

comunicazioni bellicose. Circa sei<br />

mesi più tardi, anche Suor Nezza<br />

cessa di vivere. Stanca e affaticata<br />

da anni di lotte, si spegne la sera<br />

del ventisette giugno 1709.<br />

Non si sa bene perché, ma l’anno<br />

1715 è l’anno in cui la lotta si<br />

riaccende. Vi è l’”Assunzione<br />

in giudizio” degli eredi di Suor<br />

Nezza. Anzi, è Andrea (in verità<br />

il suo nome completo è Giovanni<br />

Andrea, ma potrebbe generare<br />

confusione, si è deciso di usare<br />

solo il secondo nome) Contesini<br />

Ettoreo che ricomincia tutto<br />

d’accapo; come procuratore<br />

e in nome di Tommaso, Lelio<br />

Arciprete - i suoi fratelli - e<br />

in nome di Giovanni Tarsia<br />

(consorte della sorella Angela),<br />

Domenico Belgramoni (consorte<br />

della sorella Gioia) e di Giacomo<br />

Tarsia (consorte della sorella<br />

Chiara). E qui scopriamo perché<br />

il tutto ricomincia. Le spettanze<br />

dovute a Suor Nezza, non sono<br />

mai state liquidate! I Grisoni non<br />

hanno mai adempiuto a ciò che la<br />

legge ha imposto: saldare l’eredità<br />

Vergerio.<br />

L’origine della casata Contesini<br />

Ettoreo si ritiene sia molto lontana,<br />

risalente ai tempi delle lotte tra<br />

guelfi e ghibellini. Proprio nel<br />

tempo delle fazioni pro papato o<br />

pro imperatore, questa famiglia<br />

trovò un pacifico e sicuro asilo<br />

nella città di Portogruaro. Nel<br />

1550 un discendente si trasferì a<br />

Isola d’Istria (Izola), dove morì<br />

nel 1610, lasciando una numerosa<br />

prole avuta da tre mogli, l’ultima<br />

delle quali fu una de’ Moratti. <strong>La</strong><br />

loro posizione crebbe con l’eredità<br />

fatta nel 1665, quando si estinse la<br />

famiglia Ettoreo. Ciò risulterebbe<br />

anche dal contratto di matrimonio<br />

31


<strong>La</strong> città<br />

stipulato nel 1711 fra il nobile<br />

Giacomo Tarsia da <strong>Capodistria</strong><br />

e la nobile Chiara Contesini-<br />

Ettoreo. Come da stemma allegato<br />

… I Tarsia, invece, famiglia<br />

importantissima in quanto diede<br />

alla Repubblica Veneta due<br />

dragomanni e undici capitani,<br />

nonché venti sindaci alla comunità<br />

<strong>Capodistria</strong>na. Questo poteva forse<br />

favorire questa contesa? Poteva<br />

forse il ceppo femminile contare<br />

sulla fortuna generata da una<br />

serie favorevole di circostanze/<br />

matrimoni? Due sorelle che si<br />

sposano con due fratelli Tarsia. <strong>La</strong><br />

sorella di mezzo, invece, si sposa<br />

con Domenico Belgramoni. Altra<br />

importantissima e antichissima<br />

famiglia nobile <strong>Capodistria</strong>na,<br />

e si spera, molto influente. Per<br />

palesare i legami tra tutte queste<br />

famiglie, diamo notizia delle varie<br />

parentele, in modo superficiale:<br />

Vergerio appunto, Gavardo, Brutti,<br />

Tarsia, Contesini e, in un ramo del<br />

nostro albero molto recente, anche<br />

Verzi e Morosini.<br />

Questa contesa ormai è diventata<br />

una disputa generazionale che<br />

coinvolge tutta la città. È la vera<br />

eredità che la zia ha lasciato ai<br />

nipoti. Almeno dalla parte dei<br />

Vergerio. In questi anni, mentre il<br />

casato Grisoni è impegnato a Daila,<br />

abbiamo qui il rappresentante<br />

del ceppo femminile della<br />

discendenza Vergerio, Francesco<br />

Grisoni. L’ennesimo. In questa<br />

famiglia vi son due nomi comuni<br />

e che si ripresentano ciclicamente:<br />

Santo e Francesco. Quando non<br />

compare un Santo di Francesco,<br />

abbiamo Francesco di Santo. A<br />

noi basta sapere che nell’anno<br />

1715, quando il podestà era un<br />

certo Marco Magno, al foro di<br />

<strong>Capodistria</strong> vi era l’avvocato<br />

Francesco Grisoni. Accanto a<br />

questo incarico, ricopriva anche<br />

la carica di sindaco della nostra<br />

città.<br />

In previsione di un contenzioso<br />

molto difficile, che durava già<br />

da circa sessantacinque anni, i<br />

Contesini Ettoreo fornirono un<br />

esatto calcolo e stima di tutto<br />

il patrimonio del bis nonno,<br />

Girolamo Vergerio. Qui la disputa<br />

assume un tono nuovo: non si<br />

contesta semplicemente la terza<br />

32<br />

parte dell’eredità del bis nonno, ma<br />

i Grisoni contestano la legittimità<br />

del passaggio della dote della bis<br />

nonna all’asse ereditario. Si tratta<br />

di quei famosi 3.500 Ducati, più le<br />

Saline di Sermino, i possedimenti<br />

in Valle d’Oltra, il Mulino, il<br />

magazzino in piazza da Ponte e la<br />

casa. Un ammontare considerevole,<br />

che poteva cambiare le sorti e gli<br />

equilibri, non solo di queste due<br />

famiglie, ma della città tutta.<br />

Nel settembre del 1715, un foglio<br />

appare solitario su un muro. Quasi<br />

a non dover essere visto. Di solito,<br />

lanciamo una stanca occhiata agli<br />

avvisi così posti. Ma questo è<br />

diverso. Si tratta di un richiamo<br />

di comparizione per appellarsi<br />

a una decisione, entro il termine<br />

di otto giorni. Infatti, non è stato<br />

notato. Francesco Grisoni, grazie<br />

a questo ingannevole espediente<br />

si è assicurato il passaggio della<br />

dote di Caterina al proprio asse<br />

ereditario! Possono continuare i<br />

cugini a fare i conti, ma i giochi<br />

sono ormai chiusi. Se questa<br />

sentenza diventa legge, il ceppo<br />

femminile della famiglia Vergerio,<br />

non può più pretendere nulla.<br />

Convinto di essere nel giusto,<br />

Francesco Grisoni ripercorre le<br />

tappe della vicenda e afferma che<br />

Suor Nezza si è impossessata dei<br />

beni, dal valore di un terzo, in<br />

maggior quantità rispetto a quello<br />

che le competeva. Non solo, nel<br />

1690 ha esteso le sue ingiuste<br />

spettanze sopra i beni dotali di<br />

Caterina Vergerio, della quale<br />

non era erede. E ora, i “coraggiosi<br />

successori della medesima,<br />

suscitano dopo lungo tratto di<br />

tempo la derelitta e ingiusta<br />

pretesa. Non può servirgli di alcun<br />

appoggio il fallace e illusorio<br />

calcolo prodotto”. Soprattutto<br />

dopo che la sentenza, circa la<br />

dote di Caterina, è divenuta legge.<br />

Stando così le cose, “gli avversari<br />

cesseranno le nuove e ingiuste<br />

contese, altrimenti seguirà<br />

l’appello alla sentenza del 1690 in<br />

tutti i suoi punti”, non solo quelli<br />

riguardanti il terzo dell’eredità.<br />

Considerati stravaganti, agli occhi<br />

dei Grisoni, gli atti e i calcoli<br />

forniti e volutamente intesi come<br />

una disperata continuazione delle<br />

intenzioni che furono già della loro<br />

zia. Sono definiti “chimerizzati” e<br />

la loro costanza è reputata come<br />

un “ostinato stancheggio”. I<br />

Contesini Ettoreo rispondono con<br />

un garbato “artifici mendicati”<br />

dalla disperazione e confermano i<br />

propri calcoli, come aderenti alla<br />

realtà.<br />

Suppongo, vista la<br />

documentazione, che quest’ultima<br />

asserzione abbia scatenato le<br />

ire di Francesco Grisoni. Segue<br />

una convulsa e frenetica ricerca<br />

di documenti comprovanti le<br />

varie proprietà nonché crediti,<br />

debiti riscossi, “livelli” (affitti)<br />

e contratti. Avvocato di grande<br />

arguzia, aiutandosi un po’ con<br />

la propria posizione, Francesco<br />

ottiene molto. L’asse ereditario<br />

è ridiscusso: i possedimenti di<br />

Valle d’Oltra vanno ammessi per<br />

il loro intero valore; anche la<br />

torre portata in dote da Caterina<br />

riappare come sostanza da<br />

dividersi; così anche i crediti fatti<br />

al tempo in cui il bis nonno era<br />

ancora vivo e riscossi dalla moglie<br />

dopo la sua morte; bisogna rifare<br />

l’inventario dei mobili e questi,<br />

poi, vanno decurtati dal credito<br />

spettante a Suor Nezza. Gli eredi<br />

Contesini Ettoreo ottengono solo<br />

la ritrattazione della dote, che<br />

a questo punto è ridotta circa<br />

800 ducati. Dalla stessa sono<br />

state tolte le somme date in dote<br />

alle figlie … Non pago di una<br />

vittoria così importante, forse<br />

sempre sentendosi dalla parte<br />

del giusto, Francesco impone un<br />

altro controllo: quello delle spese<br />

sostenute dalla bis nonna dopo la<br />

morte del consorte. Non ha omesso<br />

nemmeno le spese sostenute per il<br />

dottorato di Girolamo Vergerio.<br />

Ovvero, rimette in discussione,<br />

in sostanza, tutte le sentenze<br />

vinte da Suor Nezza! Prima che<br />

si potessero organizzare con una<br />

nuova causa o linea difensiva, la<br />

sentenza diventa legge, grazie alla<br />

decisione del Podestà Francesco<br />

Battaglia. E i giochi sembrano<br />

chiusi per sempre. Scavando fra<br />

le vecchie carte, forse si sarà<br />

ricordato anche di un’altra cosa:<br />

sua nonna, quella Susana che<br />

sposò Francesco Grisoni nel<br />

lontano 1676, era la primogenita<br />

di Gerolamo. Questo gli diede


una nuova idea per una nuova<br />

linea d’appello. Significa che in<br />

base alla clausola contenuta nel<br />

testamento di Giovanni Andrea<br />

I, stilato nel 1562, la linea di<br />

discendenza con priorità è quella<br />

con prole di genere maschile. Si<br />

prospetta un nuovo appello.<br />

Purtroppo, la documentazione per<br />

i seguenti due anni, è lacunosa.<br />

Non vi sono notizie. Compare solo<br />

un giuramento di un certo Alvise<br />

Orsini come difensore della causa<br />

Contesini Ettoreo contro Grisoni;<br />

a seguito della morte fratelli.<br />

In una giornata qualsiasi, nel<br />

mese di maggio, Muore Marianna<br />

Contesini Ettoreo; la pro pro nipote<br />

di Gerolamo e Caterina Gravisi.<br />

<strong>La</strong> data? L’anno? Siamo nel 1780.<br />

Sono passati due secoli, e la lunga<br />

faida non ha ancora termine.<br />

Segna solo l’ultima vittima, ma<br />

non in seguito a congiure, ma<br />

di vecchiaia! Questa è l’ultima<br />

notizia che il libro ci consegna.<br />

Non la fine della vicenda, ma<br />

l’ultimo decesso.<br />

Marianna era l’ultima dei tre figli<br />

di Tommaso, già nipote di quella<br />

Susana Gavardo – Suor Nezza - che<br />

alla lotta dette inizio. <strong>La</strong> famiglia<br />

Gavardo entra a far parte di quella<br />

dei Vergerio, tramite matrimonio.<br />

Nel 1638 Giovanni Andrea sposa<br />

Gioia Gavardo, del fu Nicolò.<br />

Questa nobile e illustre famiglia<br />

ebbe le signorie di S. Pietro o<br />

Carcase (Krkavče) nel 1210<br />

dal Patriarca Volchero (questa<br />

signoria passò in seguito ai Vittori,<br />

altra famiglia imparentata), di<br />

Merischie (Merišče) con Oscursus<br />

(Skorušica) dal secolo XV al<br />

1828, di Castelnuovo del Carso<br />

(Podgrad) dal 1463 (che nel 1521<br />

passò all’Austria). Nel secolo XVII<br />

i Gavardo possedevano anche le<br />

ville di Zabavlje e <strong>La</strong>ura (<strong>La</strong>bor).<br />

Questa stirpe gloriosa diede molti<br />

e illustri guerrieri e letterati. Un<br />

Gavardo era nel 1454 Vicedomio<br />

del Comune di <strong>Capodistria</strong>,<br />

un’alleanza molto importante.<br />

Questa celebre famiglia si divise<br />

nel XIV secolo in due rami: il<br />

primo si estinse nel secolo XIX<br />

con la nascita di due figlie; un<br />

secondo è tuttora fiorente a Trieste.<br />

Contrassero parentela con i conti<br />

Tacco, conti Bruti, conti Borisi,<br />

marchesi Gravisi, conti Tarsia ma<br />

anche con i Vergerio. E in fine<br />

troviamo anche un Alessandrone<br />

Gavardo (a distinzione causa<br />

continua ripetizione di questo<br />

nome nei vari rami) giureconsulto<br />

nelle materie criminali ed<br />

eloquente oratore. Ritiratosi a<br />

Sanvincenti, dopo esserne stato,<br />

per anni capitano e giudice e in<br />

seguito anche a Venezia; dove,<br />

però lo troviamo a convivere con<br />

i fratelli Morosini, i di lui cugini.<br />

Questo fatto diventa importante<br />

quando leggiamo il testamento<br />

dell’Alessandrone; vediamo,<br />

infatti, che lascia, in via di legati,<br />

ai tre fratelli Morosini, tutti le di<br />

lui facoltà esistenti nelle Province<br />

di Venezia, Padova, Treviso e<br />

<strong>Capodistria</strong>. Compare la famiglia<br />

Morosini, la stessa che entrerà<br />

nella genealogia del Vergerio<br />

per matrimonio nell’ultimo ramo<br />

descritto nel libro.<br />

L’importanza di questo legame<br />

risiede anche nelle vicende della<br />

famiglia Gavardo, la quale, nel<br />

corso dei secoli, ebbe a soffrire<br />

anche difficoltà materiali, infatti,<br />

nel 1655 è concesso agli eredi,<br />

“per meriti e per la qualità<br />

di quest’antico casato che<br />

possono annoverarsi tra i più<br />

ragguardevoli, sei ducati il mese”.<br />

Essendosi trovati i supersiti in<br />

tristi condizioni, si decreta di<br />

accordar loro un aiuto, in modo<br />

che possano dedicarsi con più<br />

zelo al servizio della Repubblica.<br />

Forse sono proprio queste precarie<br />

condizioni che inducono la Suor<br />

Nezza (figlia di Giovanni Andrea<br />

II Vergerio e di Gioia Gavardo)<br />

a impugnare il testamento del<br />

bis nonno Giovanni Andrea I<br />

Vergerio. Quello in cui tutte le<br />

proprietà vadano, in mancanza di<br />

figli maschi, equamente distribuite<br />

alle figlie femmine.<br />

Prima di chiudersi la copertina<br />

ci lascia un ultimo segreto: un<br />

foglietto con alcune note. Ho<br />

visionato circa 120 documenti,<br />

tra sentenze e verdetti. Un po’ in<br />

latino e un po’ in lingua italiana<br />

settecentesca. A un certo punto,<br />

molte cose sono state omesse, ma<br />

una riga con un tono maligno, più<br />

delle altre, mi è rimasta impressa.<br />

Non le ho dato bado, perché mi<br />

<strong>La</strong> città<br />

sembrava solo una semplice accusa<br />

nei confronti della già stremata<br />

suor Nezza emanata dal solito<br />

Grisoni. Queste poche parole,<br />

press’a poco, erano queste: “la<br />

somma degli averi dovrebbe essere<br />

questa, tolto ciò che è stato celato”.<br />

Cosa mai poteva nascondere la<br />

povera suor Nezza? Riavvolgiamo<br />

i fogli e, nel conteggio dei mobili<br />

ereditati da Suor Nezza troviamo<br />

la seguente descrizione: un forcier<br />

coperto di pelle. Apparentemente<br />

nulla da aggiungere. Guardando<br />

con sospetto i conteggi fatti<br />

dagli eredi, I Contesini Ettoreo,<br />

vediamo che dalla somma totale<br />

del capitale sono spariti circa 850<br />

ducati e il forcier non appare più<br />

… Appare però questo foglietto<br />

con una nota, scritta da Pietro<br />

Gavardo (zio di parte materna di<br />

Suor Nezza), in cui elenca i danari<br />

che si trovano nello scrigno:<br />

zecchini, ongari, ducati d’oro e<br />

scudi d’argento, ducati veneziani<br />

con un sacchetto di moneta<br />

grossa e uno di moneta diversa.<br />

Un capitale di lire 5.312, ovvero<br />

danari 856 Lire 4 e 16 quarti. Ed<br />

è proprio la somma che entrambe<br />

le famiglie si contestavano, anzi,<br />

tra le molte cose, si accusavano a<br />

vicenda di aver occultato.<br />

Se sapessimo, con assoluta<br />

certezza che Suor Nezza fu<br />

davvero suora e in quale<br />

convento dedicò la sua vita e le<br />

sue preghiere al Signore, forse<br />

potremmo anche noi ringraziarla<br />

di qualcosa?<br />

Stemma dei Vergerio-disegno<br />

di A. Cherini.<br />

33


<strong>La</strong> città<br />

34<br />

<strong>La</strong> CI di Crevatini a San Ginesio<br />

E’ proprio in questo paese, sorto a cavallo tra il X el l’XI<br />

secolo sul colle Esculano nelle Marche, che la Comunita’<br />

degli Italiani di Crevatini ha, nel fine settimana di<br />

ferragosto, organizzato una visita alla scoperta delle<br />

bellezze, uniche, che questo borgo e alcuni altri paesi<br />

limitrofi offrono.<br />

<strong>La</strong> panoramica comincia proprio con la visita di San<br />

Ginesio, borgo caratterizzato, nella costruzione dei propri<br />

edifici medievali, dal giallo oro della pietra arenaria<br />

che grazie allo sfondo dei monti Sibillini propone uno<br />

spettacolo unico.<br />

Il passato forte di questo insediamento si riconosce<br />

immediatamente appena se ne intravede l’entrata<br />

attraverso Porta Picena, una delle entrate che assieme<br />

alle mura del castello, erano in passato indispensabili alla<br />

difesa dagli attacchi dei popoli vicini.<br />

Risalendo dalla parte bassa, verso la piazza centrale, si<br />

presenta la seconda immagine caratterizzante il paese.<br />

Si tratta della Collegiata,ovvero la chiesa principale<br />

risalente al 1098, la cui facciata si accende di rosso al<br />

tramonto. In questo scenario troviamo una presenza che<br />

tiene sempre compagnia ai Sanginesini. E’ la statua di<br />

Alberico Gentili, in ricordo del figlio piu’ famoso di San<br />

Ginesio, autore questo del primo trattato sistematico<br />

del »diritto delle genti«, base per la nascita del moderno<br />

diritto internazionale.<br />

Assieme alle altre attrative come l’Ospedale dei pellegrini<br />

di San Paolo, il teatro Giacomo Leopardi e la Pinacoteca<br />

Scipione Gentili, troviamo la Chiesa degli Agostiniani,<br />

frequentata da San Nicola da Tolentino, nella quale e’<br />

conservato uno dei quattro organi piu’ antichi d’Europa<br />

( 1530). Posso definire, senza dubbio, questo paese come<br />

piccolo gioiello di storia e cultura.<br />

San Ginesio e’ stato la nostra casa per questo breve<br />

periodo di permanenza, durante il quale la comitiva ha<br />

visitato altri punti di interesse nei comuni limitrofi.<br />

Di particolare rilievo ricorderemo la visita, nel comune di<br />

Tolentino, alla Basilica di San Nicola da Tolentino.


Di origine tardoduecentesca in stile gotico a navata unica,<br />

caratterizzata dal soffitto ligneo a lacunari cassettonati, il<br />

cui riflesso aureo rende unica la suggestione.<br />

Basilica che tra le altre particolarita’ ospita Il museo<br />

degli Ex Voto il quale raccoglie 378 tavolette votive, di<br />

cui alcune della fine del Quattrocento, che testimoniano la<br />

devozione per San Nicola. Inoltre il museo del Presepio<br />

artistico presenta una raccolta proveniente da ogni parte<br />

del mondo e attraverso varie ambientazioni ripercorre gli<br />

episodi più importanti del Vangelo.<br />

Altro sito di interesse, sempre nel comune di Tolentino<br />

e’ stato il Castello della Rancia ( dal francese “grange”<br />

ovvero fienile, in quanto veniva utilizzata dai monaci<br />

cistercensi come deposito di derrate alimentari). Si tratta<br />

di un castello, di forma quadrangolare, composto da una<br />

cinta merlata. Famoso per la battaglia della Rancia del<br />

1815 fra l’esercito austriaco comandato dal generale<br />

Bianchi e Gioacchino Murat, re di Napoli, che tentava di<br />

unificare l’Italia.<br />

Avvenimento che fu definito da molti la prima battaglia<br />

per l’indipendenza italiana.<br />

Come ultimo punto di questo breve diario voglio ricordare<br />

il comune di Caldarola e precisamente la visita del Castello<br />

Pallotta. Modificato verso la fine del ‘500 quando il<br />

Cardinale Evangelista Pallotta volle trasformarlo in modo<br />

da adibirlo a propria residenza estiva. Questo al fine di<br />

testimoniare il prestigio del casato e i legami con la curia<br />

romana ed il mondo artistico. Ospiti importanti come il<br />

pontefice Clemente VIII e la regina Cristina di Svezia<br />

<strong>La</strong> città<br />

dimorarono nelle stanze che oggi sono aperte al pubblico<br />

pur essendo sempre di proprieta’ della casata Pallotta.<br />

Stanze nelle quali gli arredi e ogni altro dettaglio, sono<br />

collocati nel proprio contesto originale.<br />

Con questo ultimo ricordo concludo questa breve e<br />

incompleta descrizione delle attrattive di queste terre,<br />

volendo rimandare il seguito, magari, ad una successiva<br />

visita.<br />

E’ di dovere ringraziare il Comune di San Ginesio per<br />

l’accoglienza, nella persona della <strong>citta</strong>dinanza e nella<br />

persona del Sindaco e dei Consiglieri che hanno voluto, alla<br />

fine della nostra permanenza, salutarci personalmente con<br />

l’augurio di rivederci in un futuro non molto lontano.<br />

Roberto Bonifacio<br />

Crevatini ha ospitato la 39.ma edizione del Festival<br />

della Canzone per l'infanzia »Voci Nostre«. Ha vinto il<br />

trio di Verteneglio composto da Erika Paoletić, Elica<br />

Starčević e Petra Grace Zoppolato (Foto Belvedere).<br />

35


<strong>La</strong> città<br />

36<br />

BERTOCCHI: VIII INCONTRO DELLE TRE REGIONI<br />

Anche quest’anno la CI di Bertocchi ha organizzato, nel<br />

mese di novembre, l’Incontro delle tre regioni, giunto<br />

ormai all’ottava edizione. Questa manifestazione è nata<br />

col desiderio di unire realtà artistiche sia della minoranze<br />

sia della maggioranza, provenienti dalla Slovenia,<br />

dall’Italia e dalla Croazia.<br />

Il Focolare – Trieste<br />

Come tutti gli anni, ha preso parte all’evento il Coro<br />

Brnistra-Ginestra, patrocinato proprio dalla CI di<br />

Bertocchi. Il coro ha proposto sia canti italiani sia<br />

sloveni. Il coro è stato diretto da Eliana Humar la quale,<br />

al momento, sostituisce Marko Kocjančič, dirigente del<br />

coro fin dalla sua nascita.<br />

<strong>La</strong> CI di Bertocchi ha avuto il piacere di ospitare, per<br />

la prima volta, anche la filodrammatica della CI di<br />

Castelvenere. Il gruppo, composto da membri dai 10 ai<br />

50 anni, ha proposto un divertentissimo sketch intitolato<br />

“Una giornada quasi normale”, scritto e diretto dalla<br />

mentore della filodrammatica, Tamara Tomasich.<br />

Si è esibito per la prima volta sul palco di Bertocchi, anche<br />

il gruppo di canto spontaneo popolare “<strong>La</strong> Porporela” che<br />

opera in ambito della CI Santorio Santorio di <strong>Capodistria</strong>.<br />

MKUD Sveti Anton<br />

CI Castelvenere<br />

“<strong>La</strong> Porporela” ha proposto pezzi della tradizione popolare<br />

istriana.<br />

Il gruppo che si è esibito successivamente è stata<br />

l’Associazione giovanile, creativa e culturale Sveti<br />

Anton, fondata nel 2009 nell’ambito della parrocchia di<br />

S. Antonio. Il gruppo, composto da giovani, ha proposto<br />

un divertente sketch intitolato “Šjora Karlina”, scritto da<br />

Nelda Štok Vojska nel dialetto di Maresego. Il testo è<br />

stato adattato dai membri del gruppo alla parlata del loro<br />

paese.<br />

L’ultimo a salire sul palco è stato l’Ensemble Vocale<br />

femminile “Il Focolare” di Trieste, nato nel 2000. Il coro<br />

è diretto, fin dal suo inizio, da Giampaolo Sion. Il coro<br />

ha proposto, con successo, un repertorio di pezzi triestini,<br />

friulani ed italiani.<br />

Anche quest’anno l’evento ha attirato un gran numero di<br />

persone che hanno seguito con entusiasmo le esibizioni<br />

artistiche dei vari gruppi, quattro dei quali hanno varcato<br />

il palco di Bertocchi per la prima volta. Un invito a tutti i<br />

lettori a venire alla nona edizione dell’evento il prossimo<br />

anno, sperando che sarà anche questa un successo.


In collaborazione tra la »Vergerio« e la CI<br />

è stato avviato un corso di cucina per alunni<br />

delle elementari. Nella foto Mariella Zanco Tavernise<br />

prepara dei biscotti.<br />

Foto Primožič-FPA<br />

Il 29 ottobre è stato inaugurato il nuovo stadio di<br />

<strong>Capodistria</strong>. Munito di impianto di illuminazione, il<br />

complesso ha acquisito gradinate con 4190 posti a<br />

sedere di cui 3000 al coperto.<br />

Il 27 ottobre si è svolta l’Assemblea dell’Associazione di<br />

amicizia fra gli abitanti delle regioni confinanti. Nella<br />

foto alcuni dei partecipanti – rappresentanti di varie<br />

sigle sindacali slovene e italiane – in Piassal de Derin.<br />

<strong>La</strong> città<br />

<strong>Capodistria</strong> al Concorso Istria Nobilissima 2010.<br />

Primo premio: Manuel Šavron (foto) per »Esecuzione<br />

vocale o strumentale«. Secondi premi: Valentina<br />

Vatovec nella categoria »Poesia-giovani« con la<br />

raccolta »Vari«, Peter Lešnik nella sezione »Saggi<br />

di argomento letterario« per »Platee trionfanti e<br />

palcoscenici roventi«. Menzioni onorevoli: Claudio<br />

Geissa nella sezione »Poesia in lingua italiana« per<br />

la silloge »In smemoriam«, Edda Viler nella sezione<br />

»Video e televisione« per il lavoro »Mentine«. Premi<br />

giornalistici: Elio Radeticchio di Tv <strong>Capodistria</strong>, e la<br />

Redazione italiana di Radio <strong>Capodistria</strong>.<br />

»<strong>Capodistria</strong> in immagini, storie e musica« è un<br />

progetto multimediale sostenuto dalla CI. Musiche di<br />

Marino Kranjac e Dario Marušić, lettura di Alberto<br />

Cernaz e Kristina Menih. Un'ora di programma al<br />

ridotto del teatro comunale con la lettura di brani<br />

sulla storia, la pesca, l'agricoltura, i personaggi e le<br />

tradizioni della nostra città. Intercalate da brani suonati<br />

dal vivo e corredate da immagini proiettate, sono state<br />

interpretate liriche di Edda Vergerio, Gavardo, Cherini,<br />

Manzini, Muzio e un brano tratto dal »Sileno« di<br />

Girolamo Vida.<br />

37


<strong>La</strong> città<br />

Compie dieci anni il Gruppo lavori creativi, guidato<br />

da Biserka Forlani. Tecniche usate: patchwork senza<br />

ago, decupage e fiori di vari materiali. Attualmente è<br />

frequentato da nove membri. Ogni venerdì alle 17.30.<br />

Presso la sezione italiana della Biblioteca civica è stato<br />

presentato il volume »Le perle del nostro dialetto«.<br />

Nella foto, gli autori Marino Bonifacio e Ondina Lusa,<br />

con l'illustratrice Fulvia Zudič.<br />

Otto secoli fa nasceva il Beato Monaldo da <strong>Capodistria</strong>,<br />

insigne giurista francescano, che la CI, assieme al<br />

Convento di S. Anna e la Biblioteca centrale nonchè la<br />

parrocchia triestina di S. Maria Maggiore, intendono<br />

ricordare con una serie di iniziative. Nella foto il portale<br />

della chiesa conventuale di S.Anna.<br />

38<br />

Primo dicembre. Concerto in Comunità della blues band<br />

»Mississipi heat« di Chicago, organizzato e trasmesso<br />

in diretta dai programmi italiano e sloveno di Radio<br />

Koper-<strong>Capodistria</strong>.<br />

Il 30 novembre è stata inaugurata la 26° edizione della<br />

Fiera del Libro di Lubiana, che quest’anno ha visto per<br />

la seconda volta la partecipazione del Centro Italiano<br />

“Carlo Combi” di <strong>Capodistria</strong> nel ruolo di promotore<br />

di pubblicazioni in lingua italiana, bilingui e plurilingui.<br />

L’esposizione è stata realizzata in collaborazione<br />

con la Libreria Libris di <strong>Capodistria</strong> e col supporto<br />

finaziario del Ministero della cultura della Repubblica<br />

di Slovenia. Oltre allo stand nello Cankarjev dom (nella<br />

foto, con la capo programma Roberta Vincoletto), il<br />

»Combi« ha organizzato anche una manifestazione<br />

collaterale: il 2 dicembre il prof. Salvator Žitko ha<br />

presentato il documentario sulla Prima Esposizione<br />

provinciale istriana. Per l'occasione è stata allestita<br />

anche un'escursione per 50 allievi dei Ginnasi »Carli«<br />

di <strong>Capodistria</strong> e »Sema« di Pirano, con tappe al<br />

Parlamento e alla Fiera del libro.


Il CD de <strong>La</strong> Porporela<br />

<strong>La</strong> città<br />

Il gruppo di canto spontaneo <strong>La</strong> Porporela opera da ormai qualche anno con immutato impegno nell’ambito dei<br />

gruppi amatoriali della Comunità degli italiani »Santorio Santorio« di <strong>Capodistria</strong>. Al nucleo storico dei componenti<br />

è venuto a mancare proprio il promotore e fondatore di tale progetto, il presidente della Comunità Lino Cernaz,<br />

ancora presente durante le registrazioni.<br />

Il gruppo <strong>La</strong> Porporela, unito da un legame comunitario e generazionale che vab en oltre la pratica del canto,<br />

continua un suo genuinopercorso musicale che mira innanzitutto alla schiettezza della proposta investendo anche la<br />

sfera dell’aggregazione sociale e del mantenimento delle proprie origini e dell’dentità. A coronamento di tale attività<br />

giunge ora questa testimonianza sonora, che desideriamo dedicare all’indimenticato Lino.<br />

Mario Steffè<br />

Il periodo del secondo dopoguerra e in particolare gli<br />

anni ‘50, segnarono profondi mutamenti nelle <strong>citta</strong>dine<br />

costiere dell’Istria. L’esodo e la successiva massiccia<br />

immigrazione condussero alla radicale trasformazione<br />

del contesto nazionale nella sua componente politica,<br />

sociale e linguistica: l’Istro-veneto resse come lingua<br />

franca, ma la vita culturale della minoranza italiana fu<br />

relegata nell’ambito dei Circoli di cultura, segnandone un<br />

lento ed inesorabile declino.<br />

Una svolta importante fu l’avvento del gruppo musicale<br />

Istranova con le proprie ricerche, motivate dal desiderio<br />

di salvare un patrimonio in forte crisi, ma anche stimolate<br />

dall’esigenza di recuperare una propria identità linguisticoregionale.<br />

Successivamente seguirono il solco di questa<br />

esperienza anche altri progetti culturali e musicali, con<br />

risultati più o meno fortunati.<br />

Il gruppo <strong>La</strong> Porporela, segnato dalla grande passione<br />

peri l canto, è nato da un’idea di Lino Cernaz proprio<br />

con l’intento di mantenere viva e vitale la tradizione<br />

del canto popolare, valorizzando il patrimonio canoro<br />

»cavresano«.<br />

Da un lato il gruppo si affida alla memoria, cioè a quello<br />

che è rimasto tramandato per tradizione orale (vedi<br />

»Varda che bel seren«, »Se savessi Giovanin« e »Vado in<br />

convento«), dall’altro in forma mediata usufruisce delle<br />

fonti annotate da vari ricercatori del passato, servandosi<br />

principalmente della raccolta Canti popolari istriani di<br />

Giuseppe Radole.<br />

Sebbene siano proposte in un’epoca in cui è l’immagine<br />

a primeggiare, per cui anche la tradizione tende ad essere<br />

considerata principalmente in base a criteri di spettacolarità<br />

»televisiva«, le esecuzioni de <strong>La</strong> Porporela restano fedeli<br />

allo spirito del canto popolare, rifuggendo una prospettiva<br />

commerciale. Questa concezione disinteressata e non<br />

utilitaristica si riflette pure sulla scelta del repertorio che<br />

spazia dal prettamente tradizionale al »popolareggiante«,<br />

cioè quello che fu il repertorio <strong>citta</strong>dino capodistriano già<br />

alla fine dell’Ottocento.<br />

Nonostante la sua tendenza conservatrice nel tramandare<br />

i vari fenomeni musicali, soprattutto in ambiente urbano,<br />

la musica popolare mantenne comunque una notevole<br />

ricettività. Tramite le comunicazioni e il commercio,<br />

infatti, si diffondevano i canti che, spesso modificati<br />

secondo il proprio gusto, venivano adottati da una certa<br />

comunità. Su questa scia <strong>La</strong> Porporela, sotto la guida<br />

artistica di Emil Zonta, rinnova ulteriormente e trasforma<br />

questi canti, reinventando vecchi codici di comunicazione,<br />

come dovrebbe accadere in ogni processo che sia realmente<br />

spontaneo.<br />

Il loro merito è principalmente quello di promuovere la<br />

cultura del canto spontaneo dalla voce piena e libera, del<br />

»cantare insieme«, condividendo l’ormai dimenticato o<br />

quantomeno trascurato aspetto delle emozioni che al canto<br />

spontaneo affidava la propria quotidianità. Organizzati a<br />

livello amatoriale, nel contesto in cui operano e nella sentita<br />

esigenza di rafforzare la propria identità istroveneta, sono<br />

assolutamente prossimi all’esperienza popolare.<br />

Oltre ai canti eseguiti da <strong>La</strong> Porporela si è voluto includere<br />

nel CD altri quattro documenti sonori registrati da Alberto<br />

Cernaz a Semedella e Muggia tra il 1997 e il 2002.<br />

I quattro brani sono comunque cantati da capodistriani<br />

e fanno parte del repertorio canoro della <strong>Capodistria</strong> di<br />

ieri.<br />

Dario Marušić<br />

39


<strong>La</strong> città<br />

40<br />

Adesso ghe volessi che cantemo robe più ‘legre<br />

Intervista con i coristi<br />

Si chiama Porporela, richiamandosi al nome del principale mandracchio capodistriano, è composto attualmente<br />

da sette persone soci della Comunità degli italiani “Santorio Santorio” di <strong>Capodistria</strong>. Il Coro nasce nel 2008<br />

con il coinvolgimento di persone che hanno sentito la necessità di rispolverare i canti tradizionali di quest’area.<br />

Canti che magari una volta si intonavano in osteria, in campagna o anche in chiesa e che con l’esodo del<br />

dopoguerra si sono andati perdendo. Ho incontrato due componenti del gruppo vocale – non amano chiamarsi<br />

coro, ma Gruppo vocale – Luigi Maier e Mario Gandusio – e il loro dirigente, il ben noto Emil Zonta, non nuovo<br />

a esperienze di questo genere in altre zone dell’Istria.<br />

Emil Zonta, come nasce l’esperienza<br />

con la Porporela?<br />

Questo era un mio intento già da<br />

molti anni, di formare un gruppo<br />

vocale per ridare voce a vecchi<br />

motivi capodistriani. Dopo vari<br />

tentativi siamo riusciti, ringraziando<br />

anche lo scomparso presidente della<br />

Comunità Lino Cernaz…anche lui<br />

faceva parte di questo gruppo. Lui ci<br />

ha aiutato molto, perché certamente<br />

questa grande cultura capodistriana<br />

se fosse andata dispersa, sarebbe<br />

stato un peccato. Ho messo insieme<br />

del materiale, abbiamo fatto tante<br />

prove e il risultato lo abbiamo inciso<br />

su un CD.<br />

C’e’ abbastanza materiale scritto a<br />

disposizione su cui lavorare?<br />

Ho fatto parecchie ricerche anche da<br />

solo, ma la fonte principale è costituita<br />

senz’altro dall’opera “Canti popolari<br />

istriani” di don Giuseppe Radole<br />

dove sono annotate diverse villotte.<br />

Si tratta di brani popolari antichi che<br />

abbiamo imparato insieme, con tanta<br />

buona volontà da parte dei coristi.<br />

Il CD comincia con “Beviamo<br />

gobeti”.<br />

E’ un brano che si cantava in periodo<br />

di Carnevale, quando i giovani<br />

capodistriani si riversavano nelle calli<br />

spingendo la sagoma di una donna<br />

cantando appunto “Beviamo gobeti”.<br />

E’ stato difficile mettere insieme<br />

persone, che non hanno esperienze<br />

da coristi?<br />

Devo ammettere che all’inizio non<br />

è stato facile. Ci abbiamo messo<br />

tanta buona volontà e con il lavoro<br />

i risultati arrivano. Questo CD è il<br />

primo documento sonoro, storico<br />

capodistriano. Ogni tanto portavo<br />

qualche brano nuovo…“nuovo” di<br />

qualche secolo fa, per intenderci…e<br />

i coristi ci hanno messo l’anima per<br />

impararlo e cercare di interpretarlo<br />

al meglio. Ripeto, la volontà e<br />

soprattutto l’amore per la loro città li<br />

ha aiutati.<br />

Luigi Maier, detto Gigi Moscamora.<br />

Perchè?<br />

Perché mio nono cantava la canson<br />

de Moscamora. Mio nono Biaseto a<br />

<strong>Capodistria</strong> iera come nonsolo – i lo<br />

conosseva duti, Biaseto Moscamora –<br />

po’ iera so fardel che stava in Salara,<br />

Bepi Moscamora che ga fato rider tuta<br />

<strong>Capodistria</strong> e i monti de <strong>Capodistria</strong><br />

in giro…a iera una vigneta a iera.<br />

E’ stato veramente così difficile<br />

cominciare a cantare, come dice<br />

Zonta?<br />

Iera sì una roba un poco difissilota,<br />

perché noi semo oto che se conosseimo<br />

che se vemo messo cantar tramite<br />

Lino…quanto volte se vemo becà<br />

anca co’ lu e col maestro…perché ste<br />

vecie canson che ne ga portà le parla<br />

solo de morti, no xe gnente de ‘legria;<br />

noi pensavamo che canteremo robe<br />

alegre…<br />

Magari in un secondo momento…<br />

Vemo comincià per la verità con<br />

altre cansoni, ma vemo anca smesso<br />

perché no iera considerade vecie<br />

capodistriane. Alora col maestro<br />

gavemo comincià a far ste canson<br />

vecie del Otosento, difati quele che<br />

cantemo ‘desso no le conossi nissun.<br />

Dopo che xe morto el nostro caro<br />

Lino, se gavemo messo ancora più<br />

col cuor. Perché noi quando che<br />

cantemo, lo vedemo, lo vemo sempre<br />

davanti. Quando che fassevimo quei<br />

acuti, no iera miga sempre bel, sa!?<br />

Dopo finido, barufete, batibechi…<br />

Però ricordo quanto il presidente<br />

sforzava perché esca quanto prima<br />

il CD…come un presentimento…<br />

Mi quela matina che go ciapà la<br />

telefonada me xe vignù un colpo<br />

al cuor. Lui iera una persona che<br />

ogi se becavimo, el giorno dopo<br />

se brassavimo. Iera un omo che no<br />

sentiva risentimenti, sempre alegro.<br />

Iera lu’ che tirava avanti, lu’ iera<br />

l’anima de questa Comunità, bisogna<br />

dir la verità. Parla con qualsiasi, te<br />

sentirà che Lino iera l’anima dela<br />

Comunità. Ne manca sai. E proprio<br />

per questo noi andremo sempre più<br />

avanti, pensando a lui.<br />

Gigi, approfitto delle tue origini<br />

“paolane” per chiederti, quanto<br />

era importante il canto una volta?<br />

I paolani quando che i tornava a<br />

casa stanchi se trovava ostaria,<br />

specialmente la domenega i andava<br />

de Rampin e iera la cantada. Ma chi,<br />

istrian, no cantava? Tuti ghe piaseva<br />

la cantada. Dopo l’esodo, a Trieste…<br />

specialmente via <strong>Capodistria</strong> e de quele<br />

parte là… i cantadori capodistriani se<br />

trovava. Mio pare, i mii fradei - iera<br />

in quatro i Moscamora – tante volte<br />

che vigniva a casa, chi che vigniva<br />

diseva “Madona! Come che canta sta<br />

gente”. Ghe piaseva, iera gente che<br />

ghe piaseva cantar e i saveva cantar.<br />

C’è anche una canzone popolare che<br />

parla del “Canal de Moscamora”,<br />

no?<br />

In Canal de Moscamora, dove che<br />

gavevimo anche noi una campagna.<br />

In Salara, in fondo, iera el Canal de<br />

Moscamora.<br />

Se la ricorda?<br />

Poco. Go dito tante volte…mi<br />

no go fato, perché no se se rendi<br />

conto, quando che se xe giovani che<br />

bisognaria prender dute ste robe qua.<br />

Mio papà a <strong>Capodistria</strong> me spiegava<br />

tuti i cantoni, tute le pissade che ga<br />

fato a <strong>Capodistria</strong> lu’ le saveva tute.<br />

E adesso che ‘l xe morto me ga tanto<br />

dispiasso. Sta roba qua no bisogna mai<br />

dismentegar. Sto qua xe importante.<br />

Tante robe so, però tute quele robe<br />

che me gavessi insegnù lu, mai più no<br />

le savaremo. E questo qua go sempre<br />

un rimorso dentro de mi perchè no lo<br />

scoltavo tante volte.<br />

Gigi, ma se c’era un coro<br />

leggendario a <strong>Capodistria</strong>,<br />

era quello del Duomo, che era<br />

comunque composto soprattutto


da paolani.<br />

Il coro della ciesa iera una roba<br />

meraviliosa. Anca la gente che no<br />

iera credente i vigniva scoltarlo…<br />

perché veramente tremava la ciesa;<br />

ma no perché i cantava solo forte: i<br />

saveva cantar. El coro de <strong>Capodistria</strong><br />

iera nominado, i podeva andar cantar<br />

dove che i voleva.<br />

Gente che zappava tutto il<br />

giorno…<br />

Gente che sapava duto el giorno e po’<br />

se lavava e andava a cantar in Domo.<br />

Mario Gandusio: invece la<br />

tua famiglia è sempre vissuta<br />

nell’immediata periferia di<br />

<strong>Capodistria</strong>.<br />

Mi son nato a Villesan e poi son vignù<br />

a Semedela.<br />

Anche fra i contadini di fuori c’era<br />

questa passione per il canto?<br />

Sens’altro. I giovanoti de Semedela,<br />

San Marco e dintorni…prima de<br />

tuto se cantava sui nostri loghi,<br />

poi se veniva dimostrar la capacità<br />

anche a <strong>Capodistria</strong> dove se trovava<br />

ste companìe, che cantava, che se<br />

divertiva. E iera le sfide se fasseva<br />

proprio a cantando. Iera un piacere.<br />

Mi me lo ricordo perché venivo a<br />

scoltarli con piacer, a boca aperta.<br />

Iero putel, me fermavo a scoltarli e<br />

iera un gusto propio. Per questo me<br />

ga preso volia de novo de tornar su ste<br />

cansonete vecie, che xe bel scoltarli.<br />

Mio amico Gigi, diceva che xe duto<br />

cansonete che se piangi, ma una<br />

volta se trovava gusto anche queste<br />

canzonete a cantarle. E veramente<br />

te veniva anche le lagrime ai oci; mi<br />

me le ricordo ancora qualchiduna…<br />

magari no so tute le parole.<br />

Si ricorda qualcuna in<br />

particolare?<br />

Me ricordo, per esenpio una faceva<br />

“Io maledico la prima pietra di quel<br />

convento”…che fa pianger.<br />

Me la intona?<br />

“Io maledisco papà e mama, fratel,<br />

sorele. Una di quele mi ha tradì, in<br />

quel convento dovrò morir”. Cussì,<br />

me par.<br />

Zonta, sono melodie che hanno<br />

un’anda antica…<br />

Ma certi brani si possono far risalire<br />

al ‘600, ‘700. Altri sono ovviamente<br />

molto più recenti, ma alcuni sono<br />

veramente vecchi di secoli. Brani<br />

che ritroviamo magari anche altrove,<br />

specie in Istria, ma che variano nel<br />

testo – a volte anche nella melodia<br />

– a seconda della località in cui si<br />

canta. <strong>La</strong> popolare “Dove ti vadi<br />

bela bruneta”, ad esempio, l’abbiamo<br />

interpretata nella versione peculiare<br />

capodistriana.<br />

Gigi, le piaccioni i testi?<br />

Xe bei, ma no xe una che parla<br />

qualcosa de bel!! Go dito tante volte a<br />

Zonta, qua ghe vol un poca de alegria.<br />

Cò’te vol bever un goto de vin co’<br />

queste canson qua.<br />

Mario?<br />

Ma vara che una volta se cantava<br />

cussì. Mi cantavo tante de queste.<br />

Mi, se le me ven inamente, ghe ne<br />

so…dieci drioman. “Torna ‘l marito<br />

dela botega”, “Mia cara Lena”…Ben,<br />

desso bisognarà far anca queste.<br />

Dunque ci sarà ancora da lavorare<br />

per mettere questi testi su carta e<br />

impararli di nuovo, Gandusio.<br />

Ma sì, col nostro maestro qua mi<br />

credo che faremo ancora qualche<br />

cosa de buono. Se daremo de far,<br />

stemo lavorando. Adesso, ciamemo<br />

cussì, semo ancora principianti, ma<br />

impareremo.<br />

(GIGI) E restaremo principianti! <strong>La</strong><br />

gente no devi aspetarse de noi chissà<br />

cossa. Noi semo oto…oto cuchi! in<br />

poche parole, che se ga messo insieme<br />

sensa ver mai cantado. E perciò la<br />

gente no devi aspetarse che semo<br />

dei campioni. Ne piase! Ne piase la<br />

companìa e perciò cantemo col cuor.<br />

Principianti o no, sicuramente state<br />

facendo un lavoro prezioso. Gigi,<br />

una volta cantavano solo gli uomini<br />

o anche le donne?<br />

Ma più i omini. Dopo qualche volta<br />

se tacava qualche dona, e le veva bele<br />

vose, me ricordo. I omeni ghe dava<br />

la vose forte, la vose dela dona iera<br />

come un penel.<br />

(MARIO) Una volta se cantava sai<br />

per le ostarie. Iera solo che alegria;<br />

che no se pol dimenticar le cose.<br />

(GIGI) In quela volta, la gente con<br />

poco se divertiva. No xe come ‘desso.<br />

Anche i paolani indove i ‘ndava? I<br />

‘ndava spoiar formenton, in stala,<br />

quel quel l’altro, la sera i vigniva co’<br />

la cantada, o le barselete qualcosa,<br />

el goto de vin e la cantada. No iera<br />

altro, no iera dischi, celulari…iera<br />

tuta un’altra vita.<br />

Avete inciso il CD. Lo farà sentire<br />

ai nipoti che magari impareranno<br />

qualcosa.<br />

Sì, ma xe difficile che sta roba vadi<br />

‘vanti. Tu papà ga sempre dito:<br />

<strong>La</strong> città<br />

“Cerchemo, fassemo, se cercherà<br />

de far, se farà, pian pian”, ma me<br />

par invesse che se sta spegnendo un<br />

poco ala volta. Purtropo, tante volte<br />

go gavù anche dei dibattiti…saria bel<br />

che andassi avanti! Però sarà dificile.<br />

Ancora sta nostra generazion, dopo<br />

no so più avanti come che andarà<br />

finir.<br />

Che fare Zonta?<br />

Noi per adesso cantiamo per il gusto<br />

di farlo. Bisogna rendersi conto che<br />

la tradizione e il canto in questo caso<br />

ti ricollegano alle radici di un luogo.<br />

E se un posto o una persona perde le<br />

radici, secondo me perde tutto.<br />

Il paolan Checo Bussa in una<br />

caricatura di Rino Rello pubblicata<br />

sul giornale satirico Marameo!<br />

il 6 1 1922.<br />

I brani contenuti nel CD:<br />

1. Beviamo gobeti<br />

2. In mezo ‘l mar<br />

3. Varda che bel seren<br />

4. <strong>La</strong> pesca dell’anello<br />

5. <strong>La</strong> bevanda sonifera<br />

6. Me voio maridar<br />

7. <strong>La</strong> malattia dell’amata<br />

8. Se savessi Giovanin<br />

9. Che te vegnissi trata una<br />

sassada<br />

10. Barcarolo<br />

11. Un’eroina<br />

12. Vado in convento<br />

13. <strong>Capodistria</strong>na bella<br />

14. Canzone dei pescatori<br />

15. In Canal de Moscamora<br />

16. In piassal de Bossedraga<br />

41


<strong>La</strong> città<br />

42<br />

Torna il suono del mandolino<br />

A quasi trent’anni dalla scomparsa del maestro Scocir, un gruppo di entusiasti ha rispolverato gli strumenti e si<br />

incontra ogni martedì sera nella mansarda della Comunità. L’idea è partita dal chitarrista Marino Orlando, seguito<br />

poi dai fratelli Bruno (basso) e Giuliano (mandolino), e altri due mandolinisti: Alenka Orel e Gianfranco Riccobon.<br />

Marino in che anni hai cominciato a suonare con la<br />

mandolinistica?<br />

Io ho cominciato abbastanza presto, sarà stato il ’57-’58.<br />

Ho cominciato a conoscere i segreti della musica proprio<br />

nel Circolo.<br />

Come sei stato introdotto in questo gruppo?<br />

Per puro caso, perché il mio desiderio era di suonare la<br />

fisarmonica. Poi invece… naturalmente la fisarmonica<br />

costa, e i miei m’hanno detto “Ti va di suonare? Va in<br />

Circolo da Scocir e vedi cosa puoi fare”. E’ iniziato per<br />

un caso fortuito, ma poi ho continuato per più di due<br />

decenni.<br />

Le mandolinistiche erano un pretesto, oltre che per<br />

conoscere la musica, anche per stare insieme…<br />

Di tutto, perché in quei tempi si andava a vedere la TV dei<br />

ragazzi...perchè a <strong>Capodistria</strong> allora ci saranno stati duetre<br />

televisori. Anche la mandolinistica è stata un motivo<br />

in più per stare assieme con gli amici.<br />

Quanti eravate?<br />

Il gruppo di <strong>Capodistria</strong> era molto nutrito, mi ricordo<br />

ancora degli amici che se ne sono andati ai tempi<br />

dell’esodo. Di solito eravamo sui 25-30 elementi.<br />

Matteo Scocir ha insegnato ai ragazzi anche la teoria.<br />

Sì, tutti quelli che hanno frequentato la mandolinistica di<br />

Scocir, hanno imparato le basi teoriche, solfeggio. Queste<br />

basi ci hanno consentito di proseguire poi da soli, alcuni<br />

di studiare avanti e di allargare le competenze musicali.<br />

E a distanza di trent’anni ti è venuta la voglia di<br />

suonare…<br />

Finita l’era Scocir, in quegli anni ’80 mi sono sposato,<br />

ho avuto altri impegni e quindi ho messo il mandolino<br />

un po’ da parte. Mentre l’anno scorso (2009) ho deciso<br />

di riprendere il discorso della musica. Ho chiamato i miei<br />

due fratelli più giovani e l’amico Gianni Riccobon, e<br />

stiamo provando a formare un quartetto, con la musica di<br />

allora e con alcuni pezzi che sto adattando per un quartetto<br />

di mandolini e chitarra.<br />

Come sta andando? Senti le dita un po’ arrugginite?<br />

Si sono già riprese…è già quasi un anno che ci ritroviamo<br />

ogni martedì e siamo soddisfatti.<br />

Avremo modo di ascoltarvi dal vivo?<br />

Per i momento suoniamo…per la nostra anima e per i<br />

nostri sogni. Quindi ogni occasione e buona per poi fare<br />

la suonatina, la cantatina. Chi vivrà vedrà.


Marino Orlando<br />

Che cosa ha rappresentato Matteo Scocir per la vostra<br />

generazione?<br />

Per me è stato un grande maestro, di musica e di vita. Ha<br />

lavorato coi giovani da sempre, quindi sapeva quali sono<br />

i loro problemi e sapeva come indirizzarci. Sono ricordi<br />

bellissimi.<br />

Tra tanti concerti che avete fatto, quale ti è rimasto<br />

più impresso nel ricordo?<br />

Il più grande successo è stato il concerto delle tre<br />

mandolinistiche istro-quarnerine riunite, quindi parliamo<br />

di <strong>Capodistria</strong>, Fiume e Pola, che all’incirca nel 1965<br />

furono invitate alla Filarmonica di Lubiana. Concerto<br />

delle mandolinistiche riunite, più il coro della “Marco<br />

Garbin” di Rovigno.<br />

Come vi accolsero i lubianesi?<br />

Con mezz’ora di ovazioni, una cosa incredibile. Purtroppo<br />

non so se esista qualche traccia registrata di questo<br />

concerto.<br />

Negli ultimi anni avverto un certo revival del<br />

mandolino.<br />

Direi di sì. A Lubiana esiste da cinque anni l’orchestra<br />

“Mandolina” che, da quanto ho potuto ascoltare sul CD che<br />

ho trovato, sono veramente bravi. Sono ragazzi giovani,<br />

hanno un repertorio ampio e variegato. Sarebbe auspicabile<br />

veramente organizzare un incontro di mandolinisti di tutta<br />

la regione…Slovenia, Istria eccetera.<br />

<strong>La</strong> città<br />

Sempre in collaborazione tra la scuola »Vergerio« e la CI<br />

è stato inaugurato, a novembre, un corso di educazione<br />

all'immagine foto-video. Mentore Damian Fischer.<br />

Il 1 dicembre 2010 sono stati spenti in Slovenia tutti<br />

i trasmettitori analogici terrestri e la diffusione<br />

televisiva avviene tramite il segnale digitale<br />

terrestre nel formato MPEG 4, sempre dalle stesse<br />

postazioni di trasmissione. Per continuare a seguire<br />

i programmi di TV <strong>Capodistria</strong> è necessario quindi<br />

munirsi di un decoder MPEG-4 per il digitale<br />

terrestre o di un televisore con integrato un<br />

ricevitore MPEG-4. A chi già riceveva il segnale<br />

di TV <strong>Capodistria</strong> non servirà spostare l’antenna.<br />

Sarà necessario solo sintonizzare o risintonizzare<br />

il ricevitore MPEG-4. Ricordiamo che i programmi<br />

di TV <strong>Capodistria</strong> si possono seguire anche via<br />

satellite su Hot Bird 13 gradi est e sulla piattaforma<br />

satellitare italiana Tivu`Sat.<br />

Informazioni: www.rtvslo.si/tvcapodistria<br />

(tel. 00386- 5-6685102)<br />

Il 7 dicembre la CI ha reso omaggio ad Pier Antonio<br />

Quarantotti Gambini. Conversazione con Rosanna<br />

Giuricin sui luoghi della memoria biografica e letteraria<br />

e proiezione di filmati dall'archivio di TV <strong>Capodistria</strong><br />

con interviste d'epoca allo scrittore e trasposizioni<br />

cinematografiche dalle sue opere letterarie.<br />

43


<strong>La</strong> città<br />

“Letere dal Siam” Bangkok, 27 Ottobre 2010<br />

Marocco: viagio nel paese de l’oio de cavra<br />

Miei cari,<br />

son pena tornà a casa, oviamente in Tailandia, ma son passà prima da un paese dove se trova e se usa l’oio<br />

de cavra. No se scandalizi i animalisti, l’oio de cavra no se otien spremendo le cavre, come se podaria pensar<br />

per analogia con l’oio de oliva. Anzi ultimamente le cavre le xe squasi lassade de parte e fra poco sarà solo<br />

un ricordo, visto che adesso le più grandi dite de cosmesi se afreta a comprar e sfrutar, ma sensa cavre, con<br />

sistemi industriali, le piantagioni de una certa pianta che se trova solo in Marocco. Perché sto paese xe apunto<br />

el Marocco e quel famoso oio de cavra, adesso al se ciama uficialmente oio de argan. Ma fin a no tanti ani fa<br />

prima de diventar oio, el fruto de l’argan passava esclusivamente attraverso el corpo delle cavre. Come jera (e<br />

xe ancora, ma marginalmente) la procedura? Forse do parole su questa pianta, no saria mal dato che da noi no<br />

la xe conossuda, a parte quei che se interessa de cosmesi, ma anca quei solo quei proprio del mestier.<br />

In francese l’albero se ciama arganier (“argania spinosa”<br />

in botanica) e al xe endemico del Marocco anca se tanti<br />

milioni de ani fa se lo trovava anca de altre parti de<br />

l’Africa occidentale (ma i disi che in Marocco se la trova<br />

da “solo” 80 milioni de ani). Come disevo, con l’avansar<br />

del deserto l’area su cui cressi sta pianta la se ga sempre<br />

più ristreto e adesso la se trova praticamente solo int’un<br />

triangolo che va da Marrakech a Essaouira, sul mar, e zo<br />

lungo la costa fin a Agadir per risalir a Marrakech.<br />

Dentro sto triangolo se trova la località de Argana da<br />

cui i disi che deriva el nome dela pianta (arganier). Ma<br />

altri la conta diversamente e i disi che in lingua berbera<br />

“argan” vol dir semplicemente oio. Se trata de una bela<br />

pianta granda che pol durar anca dosento ani. Se adata<br />

perfetamente al clima secco, ma no arido, del Marocco<br />

centro-meridionale e fin a no tantissimi anni fa, a vigniva<br />

sfrutà solo dale popolazioni berbere dela zona, che usava<br />

quel oio sia per alimento che per far andar via i dolori<br />

(in particolare reumatici). Go a casa una botiglia de litro,<br />

comprada tanti ani fa e devo dir che me ga sempre fato<br />

efeto. Un massagin su le parti dove sentivo qualche dolorin<br />

e duto passava. Forsi saria passà lo stesso anca sensa oio,<br />

ma comunque al passava. L’albero ga foie verde scuro<br />

tipo aghi e fa fruti che somiglia a le olive, ma no xe olive<br />

e ogni baca ga tre ossi lunghi come quei dei dateri.<br />

Ma cossa ghe entra le cavre? Le cavre iera de la massima<br />

importanza per la produsion de quel oio. Cioè le cavre<br />

va mate per le foie e i fruti de questa pianta. Le ga fin<br />

imparà a rampegarse sui rami dei alberi per magnarle.<br />

Ne la fotografia l’albero xe un poco scassà ma jera tante<br />

44<br />

cavre su un solo albero che meritava fotografarlo.<br />

Una volta magnade le bache, le cavre le digerissi e dopo<br />

le le espelli (disemo cussì) con le feci. Oviamente i ossi<br />

resta ossi, ma i contadini berberi disi che per otener un oio<br />

particolarmente efficace, ghe vol che al passi attraverso la<br />

digestion. Le done (de solito le done xe quele che fa sto<br />

lavor) le tira su i ossi digeridi de le bache, i li spaca e col<br />

contenuto le fa l’oio. De quel che i m’à contà, par che ghe<br />

vol circa un quintal de fruti per ricavar un chilo de oio.<br />

No per gnente al xe sai caro. I berberi lo usa anche come<br />

benvenuto sia per i ospiti che per i fioi ‘pena rivai su sto<br />

mondo.<br />

Adesso però le robe sta cambiando, le dite de cosmetici<br />

no ga tempo de spetar che le cavre digerissi i ossi e alora<br />

duto xe prodoto con sistemi industriai e l’oio de cavra<br />

xe diventà oio de argan. Xe anca sai difficile trovar tante<br />

cavre su un albero. Tanto che me xe vignù el sospeto<br />

(anzi più che un sospeto) che se vedi cavre sui alberi,<br />

solo lungo i percorsi turistici a beneficio esclusivo de le<br />

machine fotografiche de questi. Xe robe viste un poco in<br />

dute le parti del mondo. Quel che una volta al jera genuin,<br />

adesso i lo presenta come folklore ma no ga più punti<br />

de riferimento con la vita de duti i giorni. Son contento<br />

de esser sta anca tanti ani fa, quando ste robe le jera<br />

ancora vere e no “roba per turisti”. Adesso questi derivati<br />

e sottoderivati de sto oio, i ven vendudi in profumerie,<br />

farmacie, a prezzi che una volta i iera inimaginabili.<br />

Questa xe una foto scatada in una profumeria e duto quel<br />

che xe sui scafai al ven da questo benedetto oio: creme,<br />

profumi, tisane ma anca botigliete de oio. Xe diventada


Tramonto nel palmeto a la periferia de Marrakech<br />

una industria, vera e propria.<br />

Quei che ga leto le mie ultime “lettere dal Siam” se sarà<br />

inacorto che se trova sempre qualche accenno alle varie<br />

minoranze e magioranze che go trovà nei vari paesi e ai<br />

modi che in sti paesi i gestissi la situasion. Più o meno<br />

ben, più o meno mal! Qualche volta par che qualchidun<br />

no sapi o no gabi proprio voia de gestirla. Quasi par che<br />

mi ste situasioni le vado a sercar e invese penso che in<br />

modo più o meno evidente, ste situasioni le xe in duto el<br />

mondo. El fato xe che uno vedi mejo, in qualunque parte<br />

del mondo al vadi, le robe che xe più presenti nei suoi<br />

interessi e nella sua problematica. Come dir le robe che al<br />

xe più portà a veder. I altri gnanca i se ne ‘corzi. Quel che<br />

a uno no ghe interessa, lu proprio no lo vedi. Come dir che<br />

qualchidun anca solo caminando per le strade, vedi duto<br />

quel che xe in una vetrina (metemo de vestiti). Compreso<br />

modello, color e prezzo, mi invesse, no me inacorzo<br />

gnanca che jera una vitrina! Cussì anca nel campo dele<br />

minoranze etniche.<br />

In Marocco son sta con un gruppo de amici. Nissun ga<br />

notà che anca in Marocco el problema de le minoranze<br />

esisti e anca sai radicado, per serti versi, tanto che le<br />

guide serca de evitar questo discorso coi turisti, cioé<br />

del problema de queste minoranze, anzi in generale del<br />

Nel cortile interno de un palazzo nel cuore de la medina<br />

<strong>La</strong> città<br />

cussì ciamà Sahara Occidentale. In effetti se trata de un<br />

stato grando squasi una volta e meza l’Italia. Xe un stato<br />

riconossù da l’Unione Africana, ma no dall’ONU, che lo<br />

elenca fra i teritori “non indipendenti”. Sto stato ga un<br />

nome “Repubblica Democratica Araba Sahrawi”, ga un<br />

presidente de la repubblica ma …. ‘in pratica nol esisti.<br />

I marochini ga ocupà e sta sfrutando (fosfati) una gran<br />

parte de sto stato e po’ i ga costruì, per taiar fora el resto<br />

dei Sahrawi (sti abitanti del Sahara), un “muro” de sabia<br />

longo circa 2000 chilometri, che comprendi due argini,<br />

alti 3 metri e proteti da campi minai e da fortilizi costruidi<br />

ogni cinque chilometri. No mal, proprio nel periodo che i<br />

butava zo i vari muri de Berlin.<br />

E questo xe una carateristica del Marocco ma... guai<br />

parlar de sta roba. El problema uficialmente nol esisti<br />

e duto quel teritorio le autorità lo considera parte del<br />

Marocco stesso.<br />

Ma xe un’altra situasion sai strana, strana nel senso<br />

che xe dificile trovarla in altri paesi. Per duti quei<br />

che riva qua (parlo de turisti, ma in generale per la<br />

gente che no ga sti problemi per la testa), el Marocco<br />

xe un paese arabo, dove se parla arabo, de cultura<br />

quindi araba, insoma arabo a duti i efeti. E no se pol<br />

darghe torto. I giornai xe scriti in arabo, la TV parla<br />

in arabo, ne le cità ti senti parlar arabo.<br />

Cossa ti vol de più? Ma invesse le aparenze,<br />

ancora una volta le ingana. <strong>La</strong> maggioranza de la<br />

popolasion, no xe araba, ma berbera! Qua no se parla<br />

de magioranze relative, se trata che su 34 milioni<br />

de abitanti che ga el Marocco, oltre 25 (forse 26)<br />

xe berberi. Maggioranza assoluta, ma qua el potere<br />

politico, religioso e cultural, xe completamente in<br />

man de la minoranza. Tanto che oramai solo el 40%<br />

parla lingue o dialetti berberi, dato che scole, giornai<br />

e TV xe sempre stai solo in arabo, tanto che l’unica<br />

TV in lingua berbera che esisteva fino a poco tempo<br />

fa, trasmeteva da la Francia “Berber TV”. Solo de<br />

poco tempo in qua, anca in Marocco xe in funsion<br />

un canal televisivo berbero, ma nissun giornal, anca<br />

se i berberi ga sempre bu la scritura za a partir del I<br />

milenio prima de la nostra era (i la ciamava scritura<br />

libica). Ma sora duto solo da pochissimo tempo xe<br />

sta introdoto a scola l’insegnamento del berbero<br />

anche se no i ga nissuna intension de riconosserlo<br />

come lingua uficial del paese.<br />

Un ultimo accenno a sto argomento: noi “occidentali”<br />

li ciamemo “berberi” ma lori no se ciama cussì, ma<br />

Imazighen (che volaria dir “omini liberi”) e la loro<br />

lingua tamazight. <strong>La</strong> parola “berbero”, con la quale<br />

noi li ciamemo deriva dal francese berbère, che a sua<br />

volta deriva dall’arabo “barbar” che, sai facile, xe la<br />

continuasion della parola romana “barbarus”, parola<br />

che i antichi Romani usava per indicar duti quei che<br />

no parlava latin. Perfin el scritor roman Sallustio, nel<br />

suo “Bellum Iugurthinum” (capitolo 18) al ciamava la<br />

lingua dei nativi, “barbara lingua”. Metemo però ben<br />

in evidenza che i “berberi” rapresenta la popolasion<br />

autoctona del Nord Africa. Autoctona, ma sensa<br />

diritti. Dopo de lori xe rivai i Fenici, i Greghi e dopo<br />

ancora i Romani, i Vandali. Fin che i Arabi xe rivai<br />

45


<strong>La</strong> città<br />

atorno all’ano 800, i ga portà la religion islamica che,<br />

da quela volta, xe la religion dominante ne la region, i<br />

se ga fato paroni, i ga resistì a le invasioni portoghesi,<br />

spagnole e francesi, per tornar dominanti da un<br />

secolo a sta parte. Ma i Berberi xe restai dominai e<br />

praticamente sensa diritti anche se, paradossalmente,<br />

i ga lassà ne la toponomastica nomi importanti. <strong>La</strong><br />

più conossuda città del Marocco, Marrakech, ga un<br />

nome che deriva dal berbero “mur akush” che vol dir<br />

“tera de dio”, e perfin una città europea ga un nome<br />

che xe almeno in parte berbero e cioè Gibilterra. Infati<br />

deriva da “gebel el tarik” (monte de Tarik) dove gebel<br />

xe arabo, ma Tariq xe un nome tipicamente berbero<br />

e jera el nome de un general berbero che ga portà i<br />

Arabi a conquistar la Spagna.<br />

Giremo pagina! E serchemo de dar una idea de<br />

una tipica città marocchina. Se riferimo, per forsa,<br />

a la parte vecia dele cità, perché la parte nova ze<br />

fata sul tipo dele nostre, con viai alberadi, giardini<br />

e magari ville con piscina incorporada. Ma la vera<br />

atmosfera marocchina se respira ne la medina (che<br />

saria la “cità sacra” dove duta la vita se basa sul<br />

46<br />

Particolari segnai stradali ne la medina: »divieto de<br />

accesso per i mussi«<br />

Un vicolo de la medina<br />

modo de vita mussulman e le case se ingruma atorno<br />

a le moschee e a la medersa (la scola coranica). In<br />

reparti netamente separai, abitava una volta i ebrei<br />

(la mellah, che corispondi al gheto de le nostre parti),<br />

ma adesso però, ebrei no ghe xe squasi più. Sensa<br />

alcool, sensa edifici de culto de altre religioni; anca<br />

quei che ghe abita dovaria esser duti mussulmani. Xe<br />

duto un groviglio de vicoli streti, dove l’unico mezo<br />

de trasporto, oltre a le spale dell’omo, xe el mus. E<br />

se senti spesso un che siga “balek”, atension, per far<br />

strada al so mus ne le strade strete e batude de gente.<br />

Perché la vita ne la medina (e ancora de più nel suq,<br />

rion del “mercato”) se svolgi ne le strade. El vicolo,<br />

per l’abitante de la medina, no xe solo un logo de<br />

passagio; xe anca e forse principalmente un logo de<br />

incontro, de scambio de merci e de pareri, un logo<br />

tipico per la socializasion. E el suq xe l’esasperasion<br />

comerciale de la medina, dove se vendi e se compra<br />

duto.<br />

Nel suq de le spezie<br />

Per facilitar le compravendite, el suq xe sempre<br />

diviso in compartimenti dove ogni grupo de strade<br />

xe specializà ne la vendita de un tipo de prodotti. E<br />

alora gavemo el suq de le spezie con quel odor acre<br />

che te acompagna per duto, che te sembra de caminar<br />

in una immensa drogheria, el suq dei tapei, quel de<br />

i vestiti, quel dei artigiani del rame e naturalmente<br />

tanti altri. Duto in un continuo vociar, contratar, zigar<br />

e pur in duta questa confusion, te se para davanti,<br />

de tanto in tanto, un vecio palasso dei notabili del<br />

posto, con giardini meravigliosi, fontane, arabeschi<br />

incantevoli, el duto in un silenzio squasi assoluto.<br />

Te sembra impossibile che, a pochi metri, verta una<br />

porta, se svolgi la vita più caotica che mente umana<br />

pol imaginar. In Maroco par veramente de passar<br />

atraverso un continuo susseguirse de porte che se<br />

spalanca, man man che ti vadi ‘vanti.<br />

Ma impossibile verzerle dute in un solo viagio.<br />

Tornaremo? Inshallah (se dio al vol) come che i disi<br />

qua.<br />

Lucio Nalesini


Piran-Pirano, ovvero “Italiani raus!”<br />

<strong>La</strong> città<br />

Preceduto da una promozione greve di aspettative e un impalpabile senso di timore per possibili spiazzanti derive da<br />

parte del ragazzo terribile della nuova cinematografia slovena Goran Vojnović, il lungometraggio Piran-Pirano ha<br />

aperto a Portorose la 13. edizione del festival cinematografico sloveno. Il film ha valso all’autore il premio della giuria<br />

per la sceneggiatura, quando probabilmente questi mirava al ben più prestigioso premio per la miglior regia. Ricordare<br />

che il giovane cineasta Goran Vojnović si era guadagnato con l’esordio letterario Čefurji raus! uno strabiliante e<br />

insperato successo di vendita oltre che il plauso della critica, giova per rintracciare una possibile chiave di lettura per<br />

questo suo film, che altrimenti potrebbe venir frettolosamente liquidato nel genere drammatico a sfondo storico di un<br />

nuovo filone che dichiara negli intenti di voler praticare un linguaggio cinematografico politicamente corretto.<br />

<strong>La</strong> trama verte su un nucleo centrale<br />

tutto sommato semplice ma di difficile<br />

rappresentazione, quale l’incontroscontro<br />

tra due etnie, culture, lingue (e<br />

nel film due ideologie) contrapposte,<br />

impersonificate dall’italiano Antonio<br />

e dal bosniaco Veljko, interpretati<br />

rispettivamente da Boris Cavazza e<br />

Mustafa Nadarević. Va soprattutto<br />

a quest’ultimo, in un film che ha un<br />

procedere lento ed introspettivo, il<br />

grosso merito di fornire una prova<br />

di rilievo pescando dal proprio<br />

bagaglio attoriale per dar corpo a<br />

un’interpretazione ironica e amara,<br />

a tratti quasi surreale. In una casa<br />

piranese che già fu dell’esule<br />

Antonio e nella quale risiede ormai<br />

da tempo il suo nuovo inquilino<br />

Veljko prende corpo un confronto<br />

tra i due anziani, che a tratti si<br />

scontrano, a tratti si ritrovano in una<br />

memoria comune, pur impossibilitati<br />

a comprendersi realmente per le<br />

differenze linguistiche e culturali.<br />

Il confronto personale e le tensioni<br />

irrisolte tra i due ricalcano quello dei<br />

tanti anonimi interpreti della Grande<br />

Storia in questo lembo di terra. Gli<br />

elementi della contrapposizione<br />

ideologica ed etnica di una storia<br />

recente e dolorosa sono messi a nudo<br />

dal film di Vojnović, e questa è già<br />

di per se’ un’operazione che ancora si<br />

pensava di difficile approccio, anche<br />

se il racconto storico è interpretato in<br />

termini sin troppo semplicistici con<br />

la logica a senso unico di due blocchi<br />

contrapposti. Nella lettura di Vojnović<br />

non c’è spazio per i chiaroscuri, per<br />

le sfumature di ruolo: italiani e slavi<br />

sono divisi da un solco di appartenenza<br />

etnica ed ideologica profondo e<br />

invalicabile (ma dove sarà sparita<br />

l’utopia della fratellanza italo-slava<br />

nel disegno progressista dell’epoca<br />

e la mancata rappresentazione di un<br />

tessuto urbano italiano protrattosi ben<br />

oltre la conclusione del conflitto). Il<br />

regista inscena piuttosto un Vae victis<br />

asservito alla logica del film, che tende<br />

a far defluire tutto in termini manichei<br />

nel riscatto di un’etnia e di una classe<br />

sociale fino allora subalterna e nella<br />

conseguente rivalsa sull’elemento<br />

italiano. Più che l’esodo, intuito ma<br />

non rappresentato, a parte la fuga<br />

simbolica per mare del giovane<br />

Antonio, viene messa in scena una<br />

giustizia di guerra sommaria al<br />

servizio dell’ideologia pragmatica e<br />

spicciola praticata dai vincitori nella<br />

contingenza storica del periodo.<br />

Ebbene, un momento forte della<br />

percezione intellettiva ed estetica<br />

è legato all’esigenza per la quale<br />

tendiamo a riportare i fatti al prorio<br />

territorio, al proprio ambito emotivo.<br />

In questa chiave di lettura, come<br />

preannunciato, il regista Vojnović,<br />

sloveno di nuova foggia cresciuto<br />

nella difficile ed emarginata periferia<br />

lubianese di Fužine dove regna<br />

l’orgoglio balcanico degli immigrati<br />

di seconda generazione, non può<br />

che essere più vicino e partecipe alle<br />

sorti del bosniaco Veljko. L’italiano<br />

Antonio ha perso una guerra, una<br />

casa, un luogo e gli affetti che a questi<br />

legano, e continua a fissare l’attimo di<br />

tale lacerazione in una sorta di eterna e<br />

frustrata ricerca di ricongiungimento<br />

con il suo essere più intimo. Il<br />

bosniaco Veljko ha trovato, attraverso<br />

altre crude sofferenze, un luogo dove<br />

reinventarsi una vita e darsi un senso<br />

di nuova appartenenza. Incontratisi<br />

lungo direzioni opposte del crocevia<br />

generato dalla storia, ambedue<br />

devono dare una risposta a uno dei<br />

quesiti tra i più difficili dell’uomo:<br />

come è possibile concludere la<br />

propria esistenza con un senso di pace<br />

e (ri)conciliazione? Per tutte queste<br />

ragioni il film Piran-Pirano è più che<br />

un film sulla nostalgia e sulla storia,<br />

un film sulla morte e sul sentimento<br />

dell’appartenenza. Alla fine del film<br />

il nuovo venuto si riconcilia con il<br />

luogo e si sente finalmente partecipe<br />

di un mondo mai pienamente<br />

metabolizzato.<br />

Per l’italiano Antonio così come<br />

per tanti di noi, non resta forse che<br />

aspettare migliori occasioni per dare<br />

voce a quel sentimento di sottile<br />

disagio nel percepirsi a tratti sradicati<br />

e avulsi in una realtà dalla quale siamo<br />

stati, nostro malgrado, esautorati e<br />

relegati di fatto ad entità marginale e<br />

minoritaria.<br />

Mario Steffé<br />

Foto Roberto Francomano<br />

47


<strong>La</strong> città<br />

»<strong>La</strong> valigia per Trieste« di<br />

Salvatore Egidio Di Grazia.<br />

»<strong>La</strong> valigia per Trieste« è un libro<br />

uscito a fine luglio per »Pazzini<br />

editore« di Rimini. 165 pagine in<br />

cui Salvatore Egidio Di Grazia (nato<br />

nel 1945 a Žrnjovec) racconta la sua<br />

infanzia vissuta nel paesino vicino a<br />

Topolovec, alle spalle di <strong>Capodistria</strong>.<br />

Figlio di un siciliano e di un’istriana,<br />

Egidio ha un ricordo nitido di<br />

quell’ambiente che nei turbolenti<br />

anni Cinquanta del secolo scorso<br />

abbandonò con la famiglia, dopo una<br />

breve sistemazione a <strong>Capodistria</strong>,<br />

Il presidente Mario Steffè e<br />

Salvatore Egidio Di Grazia.<br />

per finire esule a Rimini dove oggi<br />

è un affermato avvocato. »Occorre<br />

avere rispetto per chi non riesce a<br />

dimenticare o a perdonare. – dice<br />

Di Grazia, aggiungendo che – »Non<br />

è ammissibile tuttavia, sprecare<br />

l’occasione per offrire ai giovani la<br />

possibilità di conoscere le ragioni per<br />

le quali, alla fine della seconda guerra<br />

mondiale in una terra così vicina, si<br />

è pervenuti ad un siffatto livello<br />

di degradazione di umanità«. »Le<br />

emozioni di un bambino, raccontate<br />

dalla voce di quello stesso bambino<br />

diventato adulto – leggiamo nella<br />

postfazione – le esperienze dei<br />

48<br />

Freschi di stampa<br />

primi anni di vita ravvivate da una<br />

competenza storica acquisita solo in<br />

un secondo tempo, le vicende di un<br />

paese che contiene in sé l’incanto<br />

della prima infanzia e il rimpianto del<br />

profugo, ci regalano un libro che non<br />

finisce con la sua ultima pagina«.<br />

Il 30 novembre la Comunità degli<br />

italiani ha organizzato un incontro<br />

pubblico con l’autore. Salvatore di<br />

Grazia vive dal 1953 a Rimini, dove<br />

svolge la professione di avvocato<br />

matrimonialista. Già docente di diritto<br />

canonico ed ecclesiastico presso<br />

l’Università di Bologna è autore di<br />

pubblicazioni scientifiche nel campo<br />

del diritto di famiglia e dei rapporti<br />

tra Stato e Chiesa.<br />

Ottavio – Monografia su<br />

Štokovac, indimenticato<br />

liutaio istriano<br />

Qualche anno fa avevamo ospitato una<br />

mostra dei bassetti istriani costruiti da<br />

Ottavio Štokovac. Ora la Comunità<br />

degli italiani »Santorio Santorio«<br />

dedica all’eccentrico liutaio di Kolari<br />

(Grisignana) una monografia, redatta<br />

da Andrea Rigodanzo, che comprende<br />

un’introduzione di Mario Steffè,<br />

testi biografici di Marino Kranjac<br />

e Dario Marušić. Il tutto corredato<br />

da splendide foto Organizzatore di Jaka / Prireditelj Jeraša e<br />

da un CD contenente Società di studi storici una e geografici, selezione<br />

Pirano<br />

Društvo za zgodovinske in geografske študije, Piran<br />

di brani in cui Ottavio suona il bajs<br />

e la fisarmonica In collaborazione a bocca con / assieme V sodelovanju s al<br />

Comunità degli Italiani “Santorio Santorio” nell’ambito<br />

del programma culturale della Comunità Autogestita della<br />

Nazionalità Italiana di <strong>Capodistria</strong>.<br />

Skupnost Italijanov “Santorio Santorio”<br />

v okviru kulturnega programa Samoupravne skupnosti<br />

italijanske narodnosti Koper.<br />

Trio Kras (gli altri due membri erano<br />

Felice Šepić e Umberto Pucer (Berto<br />

Mazul). Il materiale audio è stato<br />

registrato tra il 1987 e il 1990. Un<br />

piccolo omaggio a un grande artista.<br />

L’Istria e le province illiriche<br />

nell’età Napoleonica<br />

a cura di Denis Visintin<br />

Il quarto libro della collana Acta<br />

Historica Adriatica raccoglie gli atti<br />

del convegno svoltosi nel 2006 nel<br />

bicentenario del Codice napoleonico.<br />

Su iniziativa della Società studi storici<br />

di Pirano, 17 studiosi di Slovenia,<br />

Italia e Croazia hanno presentato i<br />

loro contributi su un periodo breve<br />

ACTA HISTORICA ADRIATICA<br />

IV<br />

L’ISTRIA E LE PROVINCE ILLIRICHE<br />

NELL’ETÀ NAPOLEONICA<br />

a cura di Denis Visintin<br />

SOCIETÀ DI STUDI STORICI E GEOGRAFICI PIRANO<br />

ma molto intenso nella storia di<br />

queste terre. I vent’anni che seguirono<br />

alla caduta di Venezia maturarono<br />

nuovi tipi di società, nuove idee,<br />

visioni della storia e dell’uomo. Tra<br />

i contributi anche quelli di due storici<br />

purtroppo scomparsi, come Giulio<br />

Cervani e di Antonio Miculian,<br />

attento quest’ultimo all’aspetto della<br />

pubblica amministrazione. Il volume<br />

- di quasi 300 pagine - si occupa dei<br />

vari aspetti del dominio francese<br />

e ripoducendo anche documenti<br />

originali custoditi all’Archivio<br />

regionale di <strong>Capodistria</strong>.


»Cara Lidia – Draga Lidija«<br />

di Anna Rosa Rugliano<br />

Realizzato con il patrocinio ed<br />

il contributo della Provincia di<br />

Trieste, il volume raccoglie le<br />

testimonianze dell’attrice Lidia<br />

Kozlovich (Momiano 8 ottobre<br />

1938 – Trieste 1 giugno 2009),<br />

interprete, in italiano ed in sloveno,<br />

di centinaia di personaggi di autori<br />

italiani e stranieri, prodotti dalla<br />

RAI per trasmissioni radiofoniche<br />

e televisive, da vari teatri. Il<br />

saggio-intervista è così suddiviso:<br />

<strong>La</strong> Parte prima è dedicata a <strong>La</strong><br />

persona, <strong>La</strong> vita e la carriera; la<br />

Parte seconda a Il personaggio e<br />

Le interpretazioni; la Parte terza<br />

a Il teatro, Gli autori, i registi, il<br />

pubblico; la Parte quarta a Sogni,<br />

Pensieri e immagini. Ogni capitolo<br />

è introdotto da una testimonianza,<br />

rispettivamente di Mila Nortman,<br />

Gianni Gori, Ugo Amodeo e<br />

Marko Sosič.<br />

Lidia Kozlovich in una foto dello<br />

Stabile sloveno di Trieste.<br />

Freschi di stampa<br />

»<strong>La</strong> Jugoslavia, il basket e un<br />

telecronista« di Sergio Tavčar.<br />

Sergio Tavčar con l'inseparabile<br />

Gazzetta dello sport.<br />

Sono tre le storie che si intrecciano<br />

nel racconto di questo libro.<br />

Quella principale, racconta della<br />

pallacanestro jugoslava, vista con<br />

gli occhi di chi l’ha conosciuta<br />

seguendola prima soltanto per<br />

passione e poi anche per professione<br />

per oltre 50 anni. <strong>La</strong> seconda storia<br />

è quella della Jugoslavia, delle sue<br />

genti, dei suoi popoli e delle loro<br />

peculiarità. Una storia raccontata<br />

per aneddoti ed episodi, senza<br />

nessun intento storiografico. <strong>La</strong><br />

terza storia è quella personale<br />

dell’autore – storica voce di<br />

Tv <strong>Capodistria</strong> – che racconta<br />

fatti, emozioni, disavventure e<br />

ricordi. Un libro di pallacanestro<br />

quindi, adatto non soltanto agli<br />

amanti del basket ma anche – si<br />

legge sul sito sergiotavcar.com<br />

– “a chi è interessato a conoscere<br />

sfumature e sfaccettature di gente<br />

che, nonostante la vicinanza, gli<br />

italiani hanno sempre conosciuto<br />

e capito poco”.<br />

<strong>La</strong> città<br />

Il fotografo Alfredo Pettener.<br />

Di Lea Škerlič.<br />

Era tempo che qualcuno ci<br />

pensasse! Da tempo, anche a<br />

livello di documentazione oltre<br />

che di interesse vero e proprio per<br />

l’argomento trattato, si progettava<br />

l’istituzione di una raccolta delle<br />

tesi di laurea dei nostri giovani<br />

connazionali: non fosse altro che<br />

per avere una visuale nel tempo<br />

della nostra crescita collettiva ed<br />

individuale. Una crescita che negli<br />

ultimi decenni è riuscita a colmare<br />

quel vuoto intellettuale provocato<br />

negli anni 50 del secolo scorso<br />

dall’esodo da queste terre della<br />

popolazione italiana.<br />

Il primo volume di questa nuova<br />

serie (introdotta dalle Edizioni<br />

“Il Madracchio” di Isola, ndR)<br />

è della neolaureata Lea Škerlič<br />

che ha difeso con successo la tesi<br />

dedicata al fotografo piranese<br />

Alfredo Pettener e che nel 2009 è<br />

riuscita ad aggiudicarsi il premio<br />

Prešeren per studenti della Facoltà<br />

di filosofia dell’Università di<br />

Lubiana. Nei prossimi anni, al<br />

ritmo di uno all’anno, dovrebbero<br />

seguire altri volumi dedicati alle<br />

tesi di laurea conseguite negli<br />

ultimi anni dai nostri laureati,<br />

in modo da dar vita ad una vera<br />

e propria collana di testi sui più<br />

diversi argomenti.<br />

Silvano Sau<br />

49


<strong>La</strong> città<br />

50<br />

CAPODISTRIA 2010: FOTO D’IDENTITÀ<br />

<strong>La</strong> Comunità degli Italiani “Santorio Santorio” di <strong>Capodistria</strong> ha organizzato nei mesi di maggio e giugno<br />

2010 un progetto di interpretazione/investigazione fotografica della città, invitando 12 fotografi dalla Regione<br />

autonoma Friuli Venezia Giulia (Marco Citron, Massimo Crivellari, Roberto Francomano) dalla Slovenia<br />

(Herman Čater, Darinka Mladenovič, Matjaž Prešeren), dalla Croazia (Ivan Balić, Ivica Pervan, Tomislav<br />

Rastić) e in rappresentanza della Comunità Nazionale Italiana istro-quarnerina (Remigio Grižonič, Egon<br />

Hreljanović, Guido Stocco).<br />

Il progetto è stato realizzato con il finanziamento del<br />

Ministero Affari Esteri della Repubblica Italiana, per il<br />

tramite dell’Unione Italiana, in applicazione della Legge<br />

21 marzo 2001, n. 73, e con il cofinanziamento locale del<br />

Comune città di <strong>Capodistria</strong> e del Ministero per la Cultura<br />

della Repubblica di Slovenia nell’ambito del programma<br />

culturale della Comunità autogestita della nazionalità<br />

italiana di <strong>Capodistria</strong>.<br />

Nell’ultima settimana di maggio i fotografi partecipanti al<br />

progetto hanno effettuato un’approfondita fotosessione,<br />

dalla quale è stata estrapolata una selezione finale di 12<br />

fotografie per ogni fotografo partecipante.<br />

Un’ulteriore scelta di tali scatti d’autore sono ora confluiti<br />

in una mostra fotografica collettiva che verrà presentata a<br />

Guido Stocco di Pola<br />

<strong>Capodistria</strong> presso la galleria Loggia (30.6. – 6.7.2010)<br />

e lo spazio espositivo di palazzo Gravisi, sede della<br />

Comunità degli Italiani (12.7. – 14.8.2010).<br />

A fine esposizione verrà presentato il catalogo -<br />

fotomonografia con un’ampia selezione del materiale<br />

fotografico realizzato nell’ambito del progetto tematico<br />

<strong>Capodistria</strong> 2010: foto d’identità.<br />

L’idea alla base del progetto è stata quella di coinvolgere<br />

i fotografi in una realtà urbana e sociale diversa dalle<br />

rispettive aree di provenienza geografica, favorendone<br />

il contatto e l’inserimento nelle dinamiche della città<br />

ospitante, che ognuno ha interpretato attraverso il<br />

filtro della propria cifra stilistica e approccio tecnico<br />

fotografico.


Egon Hreljanović di Fiume<br />

Il tema sul quale gli artisti si sono cimentati è stato<br />

L’identità <strong>citta</strong>dina e i caratteri marcanti del territorio<br />

alla luce dei mutamenti storico-sociali.<br />

In questo contesto sono state ulteriormente definite le<br />

seguenti aree di indagine tematica che hanno compreso:<br />

- interazione uomo-ambiente<br />

(gli aspetti del vivere lo spazio urbano: come lo<br />

spazio urbano condiziona la vita sociale e come<br />

l’uomo ha voluto e saputo adattare lo spazio<br />

urbano alle proprie esigenze)<br />

- paesaggio reale e memoria dei luoghi<br />

(l’ambiente urbano oggi e le memorie e<br />

rappresentazioni d’esso che sopravvivono ai suoi<br />

mutamenti)<br />

- innesti tra passato e presente<br />

(come la vita <strong>citta</strong>dina contemporanea s’innesta<br />

su molti strati architettonici, socio-politici,<br />

urbanistici, etc. appartenenti ad epoche diverse e<br />

con connotazioni sovrapposte)<br />

- dinamiche interculturali<br />

(le interazioni tra culture differenti che convivono<br />

nella <strong>Capodistria</strong> d’oggi, ma che vivono<br />

“Capodistrie” diverse, tra contatti, ibridazioni e<br />

contrasti)<br />

<strong>La</strong> città<br />

L’intento dell’organizzatore è stato quello di cogliere<br />

attraverso la particolare prospettiva d’indagine dei<br />

fotografi coinvolti, soltanto temporaneamente residenti in<br />

loco e privi di condizionamenti determinati dal rapporto<br />

“affettivo” e di familiarità con i luoghi, gli elementi a loro<br />

giudizio caratterizzanti e marcanti della città ospitante.<br />

Tale operazione ha inteso aprire la strada a inediti approcci<br />

fotografici al soggetto d’indagine, che permettono di<br />

acquisire sensibilità diverse nell’interpretazione sia dei<br />

caratteri tipici della tradizione e della storia <strong>citta</strong>dina, sia<br />

dei mutamenti che hanno investito e tuttora rimodellano<br />

la configurazione di <strong>Capodistria</strong>.<br />

Alla base del processo si sono rivelati, inevitabilmente,<br />

la modalità d’approccio del fotografo verso la città e i<br />

processi d’indagine, riconoscimento e interpretazione<br />

degli elementi del paesaggio urbano.<br />

Remigio Grižonič di Isola<br />

A tale scopo è interessante far notare che gli organizzatori<br />

hanno fornito delle essenziali linee guida che potevano<br />

aiutare i partecipanti al progetto ad approcciarsi ai temi<br />

proposti, ma che si è cercato di non condizionare o limitare<br />

in alcun modo la scelta del soggetto per non interferire<br />

con la sfera interpretativa dei fotografi.<br />

51


<strong>La</strong> città<br />

Pacato – calmo<br />

Pacca – paca, boto, colpo<br />

Pacchia – bobana<br />

Pacioccone – bonato<br />

Padella – fersora<br />

Padiglione da giardino – gloriét<br />

Padre – pare<br />

Padrino – santolo, (del figlio)<br />

conpare<br />

Paese – vila, paiese<br />

Pagello (itt.) – ribon e mormora<br />

Paglia – paja<br />

Pagliaccio – paiasso, pupinoto<br />

Pagliaio – mieda de paja<br />

Pagliericcio – paion<br />

Pagnotta – pagnoca<br />

Pago – contento<br />

Paio – per, par<br />

Paiolo – caldiera<br />

Pala – badil, pala<br />

Palamita (itt.) – palamida<br />

Palamito (mar.) – parangal<br />

Palemone (artopode) – schila<br />

Palese – in vista, ciaro, verto<br />

Pallina (colorata) – vaga, s’cinca<br />

Palmo (delle mani) – palma<br />

Palo – pal, forcada, (della bica)<br />

miedil, (di sostegno) soponta, vaso<br />

Palombaro – sotàiro<br />

Palombo (itt.) – cagneto<br />

Palpebra – palpièra<br />

Palude – palù<br />

Pampino – banpeno<br />

Panca – banco, bancheto; banca<br />

Panciotto – gilè<br />

Pane – pan, panéto, biga, pagnoca<br />

Panetteria – pistorìa<br />

Panettiera – pancogola<br />

Panettiere – pistor, pek<br />

Pania – vis’ciada, vergon<br />

Paniere – çesto, çesta, panier<br />

Panno – strassa<br />

Pannocchia – panàncola<br />

Pannolino – panusso<br />

Pantaloni – braghe, braghesse<br />

Pantano – paltàn, ploc’<br />

Panzana – busia, bala, fiaba<br />

Paonazzo – rovàn<br />

Parabordo (mar.) – vardalài<br />

Paralisi – colpo<br />

52<br />

Repertorio italiano di corrispondenza<br />

alle voci dialettali capodistriane<br />

Tratto dall’appendice al Dizionario storico fraseologico<br />

etimologico del dialetto di <strong>Capodistria</strong> di Giulio Manzini<br />

Paranco – bosèl; vinc’<br />

Parapiglia – barafùsa<br />

Pareggiare – far pata; valisàr<br />

Pargolo – putel, picio<br />

Parlantina – sbàtola<br />

Parlato (mar.) – parlato, mesavolta<br />

Parotite – mal del molton, orecioni<br />

Parroco – pàreco<br />

Parsimonioso – strento<br />

Parteggiare – tegnir<br />

Partita – partida, partìa<br />

Passaggio – passajo, canisela<br />

Passeggiare – spassisàr<br />

Passeggio – listòn, spassìso<br />

Passera – (itt.) passera, (barca)<br />

passera, caìcio<br />

Passero (ucc.) – panegariòl<br />

Pasticca – silela<br />

Pasticciare – pastrociàr, sbrodegàr<br />

Pastrano – capoto, codegugno<br />

Patinare – lustrar<br />

Patrimonio – sostansa<br />

Pattumiera – scovassera<br />

Paura – paura, pipìo, sbigola,<br />

spagheto<br />

Pauroso – pauroso, bruto<br />

Pavimento – paimento, (di natante)<br />

paiòl<br />

Pazzerello – maturlo<br />

Pazzo – mato<br />

Pece – pegola<br />

Pecora – piegora<br />

Pedante – piedego<br />

Pedata – piada, scalso, pintelcul<br />

Pedinare – andar drio, far la sguaita<br />

Peduncolo – manigo, pipiòl<br />

Pelare – spelar<br />

Pelato – pelà, spelà<br />

Peluria - pelùgo<br />

Peluzzo – pelùco<br />

Pena – trbolo<br />

Pencolare – scantinar, zinzolar<br />

Pendere – pindolar, picar<br />

Pendìo – rato, piàio<br />

Pene – binbin<br />

Pensiero – pinsier<br />

Pentola – pignata<br />

Penzolo (veg.) – spiròn<br />

Penzoloni – a pindolon<br />

Pepato – inpeverà<br />

Pepola (ucc.) – pacagnoso<br />

Per (prep.) – per, par<br />

Pera (veg.) – pero<br />

Perbene – desesto<br />

Percepire – sintìr<br />

Perché – perché, parchè, parcossa<br />

Percorrere – passar<br />

Percorso – strada<br />

Percossa – legnada, bota<br />

Percuotere – bastonar, onzer<br />

Perforare – sbusar<br />

Per lo più – el più de le volte<br />

Permanere – star, fermarse<br />

Permettere – lassar<br />

Pernice (ucc.) – pernisa<br />

Perno (del timone) – màscolo<br />

Perno tirante – piròn<br />

Perno (della ruora) – perno, asso<br />

Pero (veg.) – perèr<br />

Perplesso – imatunì<br />

Pertanto – persiò, donca<br />

Pertosse – tosse pagana<br />

Perturbazione – stratenpo<br />

Pesante – grevo<br />

Pesca (veg.) – persego<br />

Pesce – pesse, (el) pessi<br />

Pescecane – cagniga<br />

Pescheria – pescaria<br />

Pesco (veg.) – perseghèr<br />

Pessimo – ‘ssai cativo<br />

Pesta – pedega<br />

Pestare – pestar, bater, mastrussar,<br />

sapolar, tibiar<br />

Petraia – masiera<br />

Pettegolare – ciacolar, babàr<br />

Pettegolezzo – ciacola, babesso<br />

Pettinare – petenar<br />

Pettirosso (ucc.) – pataross(o)<br />

Pezzo – toco, feta, slepa<br />

Piacevole – bel<br />

Piacevolmente – ben, pulito<br />

Piagnisteo – lagna, nàina<br />

Piagnone – fifoto, piansòto<br />

Pialla – spiana, (lunga) soramàn<br />

Pianale (del carro) – tavolasso<br />

Piantare – inpiantàr<br />

Pianto – pianzàda, fifada<br />

Piastrella – piastrela, quadrel<br />

Piatto – piato, piatel, piatin, (liscio)<br />

sparto, (fondo) fondina


Piazza – piassa, (non selciata) brolo<br />

Picchiare – bater, bastonar, dar bote,<br />

cresimar, onzer, castagnar<br />

Picchiotto – batocio, batador<br />

Piccino – picinin<br />

Picciòlo – manego, pirulìc’<br />

Piccionaia – colonbèra<br />

Piccione (ucc.) – colonbo<br />

Piccoletto – pisdrùl, stropolo<br />

Pidocchio – pedocio<br />

Piede – pìe, piè<br />

Piega – piega, pièta, alsèta<br />

Piegare – storzer, scavassàr, (rifl.)<br />

cufarse<br />

Piena – montana, brentana<br />

Pieno – pien, batù<br />

Pietà – conpassion, pecà<br />

Pietraia – masiera<br />

Pigiare – sburtar; folar<br />

Pigliare – ciapar<br />

Pila – (dell’olio) pila, (dell’acqua<br />

santa) pilela<br />

Pinna (mollusco) – stura<br />

Pino (veg.) – pin<br />

Pinolo – pignol<br />

Piolo – cavìa, grisèla<br />

Pioppo (veg.) – talpòn<br />

Piovigginare – schissolàr<br />

Pipistrello – barabastèl<br />

Piroetta – giravolta<br />

Pisello (veg.) – biso<br />

Pisolino – pisoloto, sparèto<br />

Pspoletta (ucc.) – calandrina<br />

Piuttosto – pitosto<br />

Pizzicore – bèca<br />

Placare – chietar, calmar<br />

Plumbeo – scuro<br />

Poco – un fià, iòsso, ninìn, scàia,<br />

s’cianta, fregola, un bic’<br />

Podere – cortivo – canpagna<br />

Poggiare – pusar; (mar.) poiar<br />

Poi – po, podopo<br />

Poiché – che, perché, parchè<br />

Polenta – polenta, (liquida) suf, slufi<br />

Polipo – folpo<br />

Polla – bolass(o)<br />

Pollaio – puliner, caponera<br />

Pollice – deo grosso<br />

Pollino (insetto) – pelisson<br />

Pollo – polastro<br />

Pollone (veg.) – buto, bastardo, bilfo<br />

Polpaccio o polpastrello – pùpola<br />

Polsino – damàn<br />

Poltiglia – mantèca; ploc(io)<br />

Poltrire – tirar la fiaca, omega<br />

Pomeridiano – de dopopranso<br />

Pomodoro (veg.) – pomidoro<br />

Ponderare – pensar; pesar<br />

Pontile – mol, ponte<br />

Poppa – teta, (mar.) pupa<br />

Poppare – ciuciar<br />

Porcata – porcada, scrovada<br />

Porcile – stala del porco<br />

Porco – porco, porsèl, porsìn<br />

Porgere – dar<br />

Porre – meter<br />

Portamonete – tacuin<br />

Porticato – (i) volti<br />

Posapiano – camoma<br />

Posdomani – dopodoman, doman<br />

passando<br />

Possedere – gaver<br />

Posteri – quei che vegnarà, nevodi<br />

Posteriore (s. m. di luogo)<br />

– postèrno<br />

Postino – postin, postier<br />

Posto – posto, logo, sito<br />

Potare – podar, bruscar<br />

Povero – povaro, misero<br />

Pozzanghera – possa, busa<br />

Pozzo – posso<br />

Pranzare – pranzar, desnar<br />

Prato – prà, (dim.) pradisel<br />

Precauzione – ocio<br />

Precedentemente – prima, ‘vanti<br />

Precipitare – cascar, tonbolarse<br />

Precipitazione – furia<br />

Precipizio – buron, rivasso<br />

Precisare – dir, contar justo<br />

Preciso – justo<br />

Precoce – bonorivo<br />

Predare – robar<br />

Prefazione – capel<br />

Premere – fracar<br />

Preminenza – soravento<br />

Prendere in giro – cior pel cul,<br />

coionar, remenar<br />

Preoccuparsi – esser/star in pensier,<br />

bazilar<br />

Preparare – preparare, prontar<br />

Prescindere – lassar de parte<br />

Presepe – presepio<br />

Pressa – torcio<br />

Presso – vizin, rente, tacà<br />

Presto – presto; svelto; bonora<br />

Presumere – creder<br />

Presuntuoso – pien de sé<br />

Pretenzioso – pien de bava<br />

Prevaricatore – inbroion, smafaro<br />

Prezzemolo (veg.) – persemolo<br />

Prezzp – costo<br />

Prigione – preson, galera, cheba<br />

Prima (avv.) – prima, ‘vanti<br />

Primaticcio – bonorivo<br />

Privare – cavar, cior<br />

Probabile – (che pol capitar) fazile<br />

Problema – quistion<br />

Procedere – andar avanti<br />

<strong>La</strong> città<br />

Procella – neverin<br />

Prodotto (agr.) – entrada, fruto<br />

Professione – mistier<br />

Profezia – strigaria<br />

Profittatore – ludro<br />

Profondità – altessa<br />

Profondo – fondo, alto<br />

Progressivamente – a leva a leva<br />

Proibire – no lassar<br />

Prolificare – far fioi<br />

Prolisso – longo, sbrodoloso<br />

Prolungare – slongar<br />

Promontorio – ponta<br />

Promuovere – mandar ‘vanti<br />

Proprietà – ben, sostansa<br />

Proprio – propio<br />

Prora (mar.) – prova<br />

Prosciugare – sugar, secar<br />

Prosciutto – parsuto, persuto<br />

Prospiciente – che varda<br />

Protrarre – tirar in longo<br />

Protuberanza – goba, bugnòn<br />

Proveniente – che ven de…<br />

Provocante – stusseghin, stussegon<br />

Prua (mar.) – prova<br />

Prugna (veg.) – susin, amolo, ranglò<br />

Pruno (veg.) – susinèr, amoler<br />

Pubblicare – meter fora, stanpar<br />

Puerile – de fioi<br />

Pugno – pugno, castagna<br />

Pula (agr.) – bula<br />

Pulce – pùliso<br />

Puleggia – bosèl<br />

Pulire – netar, forbir<br />

Pulito – neto<br />

Pungere – ponzer, sponzer, becar<br />

Pungiglione – spin<br />

Pungitopo (veg.) - bruscàndolo<br />

Punire – castigar<br />

Punta – ponta<br />

Puntellare – puntar, sopontar<br />

Puntello – ponta, soponta, piron<br />

Punteruolo – pontariol, (della vite)<br />

uriol<br />

Punto (sost. e agg.) – ponto<br />

Puntura – ponzon, ponzo, sponta,<br />

becada, becon<br />

Pupazzo – pupolo<br />

Pure – anca<br />

Purè – pirè<br />

Pus – materia<br />

Pusillanime – cagon, cagheta<br />

Pustola – brusco<br />

Putiferio – batibòio, casoto<br />

Putrefare – marsir<br />

Puzzare – spussar<br />

Puzzolente – spussente<br />

53


<strong>La</strong> città<br />

54<br />

In memoriam<br />

Ferdi Vidmar – Era nato a Idrija il 27 gennaio del 1927 da Ivanka e Ferdinand. <strong>La</strong>scia la<br />

famiglia giovanissimo per proseguire gli studi a Gorizia e poi a Pordenone, dove frequenta<br />

il Ginnasio classico del collegio Don Bosco. Giovane idealista entra nelle file partigiane e<br />

lotta per un mondo libero e migliore. Dopo la guerra sostiene l’esame di perito industriale<br />

elettrotecnico e trova lavoro alla Radio Tv di Lubiana. <strong>La</strong> conoscenza della lingua italiana gli<br />

permette di lavorare a Radio <strong>Capodistria</strong> come tecnico addetto al ripetitore di Croce Bianca.<br />

E’ il primo passo di una carriera che lo porterà a commentare i più svariati avvenimenti<br />

sportivi nazionali e internazionali. Aperto alle novità, curioso per natura, Ferdi è stato un<br />

pioniere del giornalismo sportivo. Le sue telecronache non avevano nulla da invidiare a nomi<br />

forse più noti del suo. Commenta con entusiasmo, precisione e pacatezza. <strong>La</strong> sua non era<br />

parvenza televisiva, perché il Ferdi che incontravi per strada era fatto così.<br />

Nel privato Ferdi aveva la sua famiglia alla quale era legatissimo. Nel 1953 sposa Anita<br />

Deponte, una ragazza capodistriana piena di brio, sportiva di successo. Dalla loro felice unione sono nate <strong>La</strong>ura,<br />

Annamaria e Silvia. Quando il papà era lontano per qualche servizio, erano orgogliose di sentirlo e vederlo apparire<br />

sullo schermo. Lo ascoltavano con interesse quando a tavola raccontava dei suoi viaggi. Erano favole vere. Oltre che<br />

per i suoi nipoti, Ferdi ha trovato tempo anche per altri ragazzi ai quali ha insegnato ginnastica e sci. Li spronava a non<br />

aver paura della neve e a lasciarsi andare con leggerezza.<br />

Malgrado l’età Ferdi aveva una carica vitale invidiabile. Sempre presente in Comunità, pronto a porre domande, a<br />

ricordare fatti del passato; ad esempio che suo padre e quello di Anita, sotto il fascismo furono compagni di cella nel<br />

carcere di <strong>Capodistria</strong>. L’ultima sua battaglia era stata quella per l’intitolazione di una via al pittore Oreste Dequel.<br />

Ornella Derin – A soli 49 anni ci ha lasciati in seguito<br />

ad una tragica fatalità Ornella Novak Derin. Una folla<br />

commossa di amici e parenti le ha reso l’estremo saluto al<br />

cimitero di Bertocchi, la località in cui era nata e vissuta.<br />

Ornella aveva frequentato insieme al fratello gemello<br />

Vili, le scuole elementari a Bertocchi e a <strong>Capodistria</strong>,<br />

diplomandosi quindi all’Economica di Isola. Aveva<br />

Armida Peroša – Nata 58 anni fa a<br />

Sermino, Armida è stata impiegata a<br />

Radio <strong>Capodistria</strong> dal 1971 al 2008<br />

in qualità di pianificatrice nel reparto<br />

realizzazione radiofonica.<br />

Gianpaolo Opara – 94 anni di<br />

Crevatini. Già operaio al cantiere<br />

navale S. Rocco di Muggia, dopo la<br />

guerra agricoltore. Un’intervista sul<br />

numero 11 de <strong>La</strong> Città.<br />

anche fatto parte del coro guidato dal maestro Stancich.<br />

Molto stimata nell’ambiente di lavoro, lascia il marito e<br />

un figlio, Marko, ancora adolescente. Gli ex compagni<br />

di scuola vogliono ricordarla con questa foto della VII<br />

classe – anno scolastico 1973/74 – insieme all’insegnante<br />

di sloveno, professoressa Hočevar. Ornella Derin è la<br />

terza da sinistra accovacciata in prima fila.<br />

Santo Favento – Classe 1931, del<br />

ramo dei Guzzi. E’ stato impiegato al<br />

porto di <strong>Capodistria</strong>. Abitava in uno<br />

dei blocchi sorti tra la chiesetta di<br />

Semedella e casa Gambini.


<strong>La</strong> città<br />

55


<strong>La</strong> chiesetta di S. Tommaso<br />

restaurata di recente a spese della<br />

parrocchia. Vi si conserva una statua<br />

prodotta in Val Gardena e un affresco<br />

attribuito al Clerigino (sec. XV).<br />

Dopo due anni di chiusura è stato<br />

finalmente riaperto il Caffè della<br />

Loggia. Il »salotto« di <strong>Capodistria</strong><br />

èstato affidato in gestione alla<br />

società Kolosej.<br />

E' in via di demolizione questa casa,<br />

un tempo locale pubblico, vicino allo<br />

stadio. <strong>La</strong> posizione era nota come<br />

»a la Tappa«. <strong>La</strong> foto è degli ultimi<br />

giorni di novembre.<br />

Una comitiva della Comunità degli Italiani »Santorio Santorio« di <strong>Capodistria</strong> composta da 25 partecipanti ha<br />

partecipato dall'11 al 13 settembre scorso all'escursione di studio in Trentino, organizzata nell'ambito del piano<br />

permanente di collaborazione tra Unione Italiana e Università Popolare di Trieste. In compagnia dei connazionali<br />

di Cherso e di Lussino, i nostri soci hanno visitato le località di Trento, della Val Rendena e di Pinzolo, prendendo<br />

contatto con le tipicità artistiche, storiche e paesaggistiche del posto e apprezzando in generale l'alto grado di<br />

cultura dell'ospitalità nel Trentino. Nella foto ricordo (cortesia della C.I. di Lussinpiccolo) è ritratta la comitiva<br />

dinanzi alla chiesa di San Vigilio a Pinzolo, conosciuta per la famosa raffigurazione della danza macabra.

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