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Qui - Il Saturatore

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INDICE Pag.<br />

Lezione1: La logica matematica ………………………………………………. 1<br />

Lezione2: <strong>Il</strong> naso di Pinocchio …………………………………………………. 10<br />

Lezione3: Le gambe di Achille ………………………………………………… 19<br />

Lezione4: <strong>Il</strong> teatro dell’assurdo ………………………………………………... 28<br />

Lezione5: Idee accademiche ……………………………………………………. 37<br />

Lezione6: Una metafisica liceale ……………………………………………….. 46<br />

Lezione7: Lezione sotto il portico …………………………………………........ 54<br />

Lezione8: Interregno ……………………………………………………………. 63<br />

Lezione9: Un inglese calcolatore ……………………………………………….. 71<br />

Lezione10: Un tedesco sensato e (in)significante ……………………………… 79<br />

Lezione11: Un Nobeluomo paradossale ………………………………………... 87<br />

Lezione12: Alle ricerche del trattato perduto ………………………………… 96<br />

Lezione13: Questioni di forma …………………………………………………. 105<br />

Lezione14: L’intuizione al potere …………………………………………….... 114<br />

Lezione15: Un austriaci (mica tanto) completo ………………………………. 124<br />

Lezione16: Metamorfosi di un teorema ……………………………………….. 132<br />

Lezione17: Risposta a Pilato ……………………………………………………. 141<br />

Lezione18: L’enigma dell’informatica ………………………………………… 150<br />

Lezione19: Gran finale …………………………………………………………. 159<br />

Lezione20: Un secolo di fondamenti ……………………………………………. 167<br />

Note: Le seguenti 20 lezioni di logica matematica sono state da me trascritte dalle relative<br />

videolezioni del Prof. P. G. Odifreddi, adattate al linguaggio scritto, aggiustate e da me interpretate,<br />

spero in modo corretto, in certi passaggi non del tutto chiari o espliciti. Ho fatto questo lavoro spinto<br />

solo dall’interesse per questa materia, che non ho potuto soddisfare nei lontani tempi dell’università,<br />

per mancanza del materiale didattico adeguato o difficoltà di reperirlo.<br />

Questo corso di logica mi ha aperto le idee sulla matematica moderna, in particolare l’algebra<br />

astratta e la teoria insiemistica avanzata, ostiche per me quand’ero studente di fisica, soprattutto<br />

nella comprensione di certi teoremi.<br />

Consiglio di seguire questi corso agli studenti dei primi anni di fisica e naturalmente di matematica.<br />

Prof. C. Cella


LEZIONE 1: La logica matematica<br />

Mi chiamo Piergiorgio Odifreddi e vi invito a seguire un corso di logica matematica. Questa è la prima<br />

lezione, una lezione introduttiva che divideremo in due parti, poi naturalmente sarà seguita da un lungo ciclo<br />

di 19 altre lezioni in cui entreremo ovviamente nei dettagli di questa materia. Cerchiamo però di capire che<br />

cos'è la logica matematica, anzi dovrei cercare di convincervi a seguire le prossime lezioni, perciò cercherò<br />

di spiegarvi in parole povere e anche cercando di attirare la vostra attenzione, che cos'è la logica<br />

matematica. Cominciamo subito a vedere qualcuna delle slide. Vi dico anche, già dagli inizi, che queste<br />

slide voi potrete trovarle sul sito del Nettuno e quindi ogni volta che faremo una nuova lezione potrete<br />

andare a rivedervi queste cose, piano piano e a ripassare ciò che è stato detto. Allora, dicevo, incominciamo<br />

con una definizione, perché come avrete capito dall'aggettivo matematica, questo corso è qualche cosa che<br />

ha a che fare appunto con la matematica e soprattutto con i procedimenti della matematica. Ora questi<br />

procedimenti, qualcuno di voi lo saprà, anzi mi immagino che la maggior parte di voi, visto che seguite<br />

corsi di questo genere, saprà cosa significa fare matematica, significa in particolare seguire il metodo<br />

matematico, che è un metodo assiomatico, che parte da definizioni, parte da assiomi e poi sviluppa via via<br />

nozioni più complesse e proposizioni più complicate che vengono derivate dagli assiomi. Allora<br />

cominciammo, anche noi subito, dalla migliore tradizione della matematica con una definizione: che cos'è la<br />

logica? Beh, la logica si può definire in tanti molti, ma io ho scelto questo modo qua: “la logica è<br />

semplicemente la scienza del ragionamento”. Ci sono ovviamente due termini del discorso, cioè scienza e<br />

ragionamento e su questi dobbiamo soffermarci per un momento, anzitutto ragionamento. Questo significa<br />

LOGICA che stiamo cercando di costruire una teoria però non una<br />

Scienza del ragionamento teoria, per esempio di come è fatto il mondo, di come è<br />

LOGICA MATEMATICA fatto il cervello o tante altre cose; a noi interessa in questo<br />

Scienza del ragionamento matematico corso e soprattutto nell'ambito della logica, della logica<br />

matematica, ma più in generale della logica, ci interessa studiare come l'uomo ragiona, l’uomo inteso<br />

ovviamente come essere umano. Questo è il primo termine di questa definizione, ma c'è anche quest'altro<br />

termine che ci dice anche come noi cercheremo di studiare questo ragionamento, cioè il termine è scienza e<br />

per l’appunto scienza significa che cercheremo di usare il metodo scientifico, che poi nel caso nostro sarà in<br />

particolare “il metodo matematico”. <strong>Qui</strong>ndi vi ho detto in breve quale sarà l'argomento del nostro discorso,<br />

cioè il ragionamento e quale sarà il metodo con cui noi affronteremo questo discorso, cioè “il metodo<br />

scientifico”. Ora questo, già in parte dovrebbe, dirvi come mai si parla di “logica matematica”, cioè il<br />

“matematica”, in questo titolo “logica matematica” può stare a significare per l’appunto, il fatto che noi<br />

seguiremo, adotteremo, useremo il metodo della matematica per studiare il ragionamento. In effetti, così è in<br />

parte, ma solo in parte e questo è il motivo o uno dei motivi, per cui la logica matematica si chiama, per<br />

l’appunto matematica, a differenza dalla logica in generale, che era invece una scienza o meglio un<br />

argomento che veniva studiato già dai tempi dei greci, come diremo anche fra pochi minuti, ma in un modo<br />

forse un po' diverso, in maniera più discorsiva, più filosofica, più intuitiva e quindi non in maniera<br />

scientifica, anche per un ovvio motivo, perché all'epoca la scienza non era ancora nata. Ma andiamo oltre e<br />

proseguiamo con una seconda definizione e qui veramente stiamo cercando di definire quale sarà il nostro<br />

soggetto, il soggetto di queste 20 lezioni, cioè che cosa è la logica matematica. Se “la logica” è “la scienza<br />

del ragionamento”, si può immaginare per analogia che “la logica matematica” sarà “la scienza del<br />

ragionamento matematico”. Ed ecco che allora qui il “matematico” interviene in una maniera diversa, non<br />

soltanto come nella prima definizione, come metodo di studio del ragionamento, ma anche come oggetto del<br />

ragionamento stesso, cioè ci interesseranno non soltanto i ragionamenti in generale, anche perché questo tra<br />

l'altro è un campo enorme, vastissimo su quale poi ovviamente diremo anche qualcosa, però noi cercheremo<br />

di concentrarci, com’è tipico tra l'altro del metodo scientifico di non fare grandi castelli, su un particolare<br />

aspetto del ragionamento, che è il ragionamento matematico. Questo per tanti motivi, in parte anche storici,<br />

ma anche dovute al fatto che nella matematica si pensa, si è sempre pensato fino dall'antichità, fino dai<br />

tempi di Pitagora, che il ragionamento matematico sia forse la forma più perfetta, più astratta, più sviluppata<br />

di ragionamento. Ed ecco che allora si va a studiare matematicamente il ragionamento che viene fatto nella<br />

matematica. Dunque la matematica interviene in due maniere contrapposte, in parte come oggetto dello<br />

studio ed in parte come metodo di studio. <strong>Qui</strong>ndi questo è più o meno quello che vorremmo fare. Allora<br />

1


adesso cerchiamo di avvicinare il nostro soggetto. Ovviamente, come vi ho già detto, questa è una lezione<br />

introduttiva, tutte le cose di cui parleremo quest'oggi, a cui accennerò quest'oggi, saranno riprese in lezioni,<br />

anzi dedicheremo a ciascuno degli argomenti di cui parlerò adesso e a ciascuno dei personaggi a cui<br />

accennerò in seguito, una lezione speciale e poi naturalmente parleremo anche di altre cose, ma questa<br />

lezione introduttiva vuole essere un invito per l’appunto, una specie di scheletro, per cercare di farvi vedere<br />

quali saranno gli argomenti da una parte e i personaggi dall'altra, di cui parleremo in queste lezioni.<br />

Vediamo più da vicino quali sono appunto gli argomenti che ho indicati in questo modo, premetto che<br />

cercheremo sempre di usare dei titoli un pochettino anche fantasiosi, per cercare di attirare l'attenzione,<br />

perché questo è anche il modo di insegnare, allora dicevo le tre vie della logica: come si arriva a studiare la<br />

logica, perché si è pensato in certi periodi storici di studiare la logica, cioè di studiare in maniera scientifica<br />

e poi successivamente in maniera matematica il ragionamento?. Le tre vie che ho indicato sono:<br />

la dialettica, i paradossi e le dimostrazioni, su ciascuna delle quali dirò adesso alcune parole e poi in<br />

seguito cominceremo già dalla prossima lezione ad affrontare<br />

più da vicino e più in dettaglio. La prima via, come ho detto, è<br />

la via della dialettica, che è stata iniziata perlomeno in<br />

Occidente dalla Scuola greca dei sofisti e qui nella slide<br />

vediamo un'immagine di sofista. Sofista oggi è un aggettivo<br />

non particolarmente piacevole, perchè quando si dà a qualcuno<br />

del sofista questo lo si fa in genere maniera negativa, significa<br />

che questo qualcuno sta facendo un discorso capzioso, sta<br />

cercando di menare il can per l’aria, sta usando parole spesse<br />

volte senza significato, giocando pure sull'equivoco e così via.<br />

Ebbene i sofisti erano in parte anche questo, non soltanto<br />

questo. Ci furono grandi personaggi nella Scuola sofista, in<br />

particolare questi due che si chiamano Protagora e Gorgia.<br />

Qualcuno di voi li riconoscerà, coloro che hanno fatto gli studi<br />

classici, perché sono i titoli di due famosi dialoghi di Platone,<br />

che appunto Platone dedicò a questi due personaggi. Platone era<br />

ovviamente in contrapposizione con i sofisti e quando<br />

parleremo di Platone, perché a lui dedicheremo una lezione,<br />

vedremo meglio, più da vicino, come mai c'era questa<br />

contrapposizione. Ora i sofisti erano interessati in particolare<br />

all'arte della parola, all'arte del discorso e allora per cercare di<br />

catturare il discorso, per cercare di fare il discorso in una<br />

maniera più incisiva possibile, ecco che i sofisti incominciarono<br />

anzitutto a studiare quali erano le regole che stavano dietro, che<br />

soggiacevano al discorso, per cercare di usarle ai propri fini. Su questa tradizione io non dirò molto di più,<br />

perché in realtà questa è una via che se ne va, noi diremo in matematica per la tangente, se ne va da un'altra<br />

parte e dico soltanto per concludere questa idea, questa prima via che approccia alla logica, che in realtà la<br />

via della dialettica è qualche cosa che viene usata ancora oggi ovunque; la si usa nei tribunali, la si usa nei<br />

parlamenti, la si usa nei media, in televisione, eccetera. E’ la via meno scientifica, ma è quella che poi tutto<br />

sommato noi usiamo, quando cerchiamo di convincere un avversario o un pubblico, qualcuno appunto che<br />

cerchiamo di convincere di qualche cosa, usando le arti del discorso e l'arte del discorso per antonomasia era<br />

per l’appunto la dialettica e per usare l'arte del discorso bisogna conoscerne le regole. Questo è il primo<br />

motivo per cui storicamente si è cominciata a studiare la logica. Però come vi ho detto, questo è un motivo<br />

che noi non tratteremo, perché è una cosa più filosofica, certamente meno matematica e meno scientifica.<br />

La seconda via invece, che è la via dei paradossi, è qualche cosa che veramente ha a che fare con il nucleo<br />

del nostro di discorso e infatti a questi paradossi, cioè al paradosso del mentitore e al paradosso di Achille e<br />

la tartaruga che sono i due più famosi paradossi della storia ai quali brevemente accennerò fra un momento,<br />

dedicheremo per ciascuno un'intera lezione, cioè un'intera lezione al paradosso del mentitore e un’intera<br />

lezione al paradosso di Achille e la tartaruga, ma prima di parlare di queste paradossi vediamo meglio che<br />

2


cosa sono i paradossi. Ebbene i paradossi sono dei ragionamenti che apparentemente sono corretti e che,<br />

però tutto sommato, dovrebbero essere sbagliati, perché le loro conclusioni sono per l’appunto paradossali,<br />

vanno contro l'opinione comune, paradoxa significa proprio questo. Doxa, qualcuno di voi si ricorderà che<br />

c'è addirittura un'azienda che fa inchieste, indagini su ciò che la gente pensa, che si chiama per l’appunto<br />

doxa e para significa oltre, quindi paradoxa significa oltre l'opinione comune. Invero questi paradossi<br />

ebbero un'origine antichissima, non soltanto in Grecia, ma addirittura in Cina, lo vedremo meglio quando<br />

parleremo nelle due prossime lezioni di questi argomenti, cioè dei due paradossi più famosi, il paradosso del<br />

mentitore e il paradosso di Achille e la tartaruga. Qual’è il paradosso del mentitore? Molto semplicemente il<br />

paradosso del mentitore è il paradosso di qualcuno che dice “io sto mentendo”. Come mai è paradossale?<br />

Perché a prima vista questa è un'affermazione che potrebbe sembrare sensata e coerente, però se voi ci<br />

pensate bene, se andate a riflettere un momentino da vicino, uno che vi dica “io sto mentendo”, non si<br />

capisce bene se sta dicendo la verità o se sta dicendo il falso. Infatti, se supponiamo che sta dicendo la<br />

verità, allora quello che sta dicendo è vero, però sta dicendo che sta mentendo, quindi se dice la verità dice il<br />

falso. Va bene, voi potrete dire, allora non dice la verità, dice il falso; beh, la storia è perfettamente<br />

simmetrica. Se dice il falso, allora quello che sta dicendo, cioè dice di mentire, non è vero, è vero il<br />

contrario, ma se non è vero, ovviamente allora dice la verità. <strong>Qui</strong>ndi se supponiamo che, chi dice “io sto<br />

mentendo”, dica il vero, allora abbiamo dedotto che dice il falso e se invece supponiamo che dica il falso,<br />

abbiamo dedotto che dice il vero, perciò siamo entrati in un circolo vizioso. Se la cosa è vi è sembrata un po'<br />

veloce, un po' da mal di testa, magari da farvi girare la testa, aspettate con pazienza la prossima lezione e la<br />

prossima lezione parleremo per l’appunto del paradosso del mentitore, cercheremo di affrontarlo più da<br />

vicino e quindi andremo a scavare non soltanto nella sua storia, ma cercheremo anche di vedere qual è, o se<br />

c’è, una soluzione di questo paradosso. <strong>Il</strong> secondo paradosso invece, di cui parliamo oggi, è il famoso<br />

paradosso di Achille e la tartaruga, che è qui illustrato. La storiella forse tutti la conoscete, è una gara tra<br />

Achille piè veloce e la tartaruga zampa lenta, cioè i due simboli della velocità e della lentezza. Ora<br />

sembrerebbe una gara poco sensata a far correre Achille contro la tartaruga, quindi per dare alla tartaruga,<br />

almeno un minimo di vantaggio, si permette alla tartaruga di partire un po' davanti ad Achille. <strong>Qui</strong>ndi<br />

Achille parte in questo punto (v. grafico) e la tartaruga parte in quest’altro. Scatta il cronometro, si sente lo<br />

sparo della pistola che dà il via alla gara, ecco che tutti e due partono. Naturalmente la tartaruga fa quello<br />

che può, cioè si muove un pochettino e ad un certo punto percorre un<br />

certo percorso. Nel momento in cui Achille ha raggiunto il punto in cui<br />

è partita la tartaruga, la tartaruga si è mossa di una certa quantità di<br />

spazio. Benissimo, Achille continua la sua corsa molto veloce, percorre<br />

la quantità di spazio che la tartaruga aveva percorso nel tempo in cui<br />

lui aveva raggiunto il punto d'inizio della gara della tartaruga, la<br />

tartaruga si è a sua volta mossa di nuovo di un altro pezzettino di<br />

spazio. Achille percorre quel pezzo di spazio e così via e il problema<br />

sta proprio nel così via, perché sembra che a questo punto il gioco<br />

possa andare avanti all'infinito; dunque Achille non raggiungerà mai la<br />

tartaruga perché ogni volta deve prima percorrere lo spazio che,<br />

anzitutto lo separa dal punto di partenza della gara della tartaruga, poi lo separa dal punto in cui la tartaruga<br />

è arrivata mentre lui faceva il primo pezzo e così via. Sembrerebbe, dunque, che Achille non possa mai<br />

raggiungere la tartaruga. C'è qualcosa di sbagliato, perché sappiamo tutti che se ci mettiamo a correre dietro<br />

una tartaruga prima o poi, anzi molto prima, la raggiungiamo; dove sta l'errore, qual'è il problema, eccetera?<br />

<strong>Qui</strong>ndi vedete che ci sono effettivamente dei problemi dietro a queste cose, dietro a questi ragionamenti e la<br />

logica cerca anche di studiare, questa è la seconda via, per l’appunto la via dei paradossi, cerca di studiare<br />

quali sono i problemi che stanno dietro a questi tipi di ragionamenti, cerca di andar a vedere dove sta<br />

3


l'inghippo, come diremmo oggi, dove sta l'errore, se c'è un errore,<br />

qual è il modo di riformularli, insomma cerca di analizzare queste<br />

cose. <strong>Qui</strong>ndi questa è la seconda via a cui dedicheremo, come ho<br />

detto, due intere lezioni, le prossime due. Ma c'è una terza via,<br />

che è invece quella che ci interessa più da vicino, perché come vi<br />

ho detto prima stiamo facendo o cercheremo di fare, di<br />

avvicinarci pian piano alla logica matematica e dunque ci<br />

interessa la matematica, il ragionamento matematico e la terza via<br />

è la cosiddetta via delle dimostrazioni. Come mai? Ma perché<br />

come forse qualcuno di voi saprà, agli inizi la matematica è nata<br />

senza dimostrazioni; qualcuno intuiva che c'erano dei risultati che si potevano ottenere, li scriveva, per<br />

esempio il famoso papiro di Rhind, che riporta alcuni dei risultati egiziani che risalgono a 2000 anni a.C. e<br />

più. Ebbene questi risultati venivano semplicemente scritti, trascritti senza nessuna giustificazione, senza<br />

nessun motivo per il quale noi avremmo dovuto credere. Ci fu un momento nella storia della Grecia, cioè<br />

verso il 600 a.C. in cui i greci capirono che non si doveva più fare così, anche perché non c'era modo di<br />

sapere se un risultato era giusto o sbagliato, a volte gli egiziani effettivamente intuivano il risultato corretto,<br />

altre volte invece si sbagliavano e intuivano, per modo di dire, quello sbagliato. Allora come si fa a decidere<br />

di fronte ad un'intuizione, a quello che ci sembra vero, se questa cosa è effettivamente vera oppure no?<br />

Bisogna dimostrare. Oggi per noi la cosa è lapalissiana, è lampante che per avere un teorema matematico<br />

bisogna avere una dimostrazione. Ebbene non è stato sempre così lampante e i greci inventarono questo<br />

nuovo modo di fare matematica; in particolare furono stimolati allo studio delle dimostrazioni da due famosi<br />

risultati che sono collegati fra di loro, anche a questo personaggio di cui parliamo adesso, cioè Pitagora, a<br />

cui dedicheremo un'intera lezione perché Pitagora è il punto di partenza della filosofia occidentale, della<br />

scienza occidentale, della matematico occidentale, quindi veramente un personaggio in cui si racchiudono<br />

tantissime idee, tantissime cose che furono scoperte per la prima volta in quel periodo e quindi torneremo a<br />

parlare, forse non con molta profondità, ma per un'ora intera di questo personaggio. <strong>Il</strong> teorema di Pitagora, il<br />

famoso teorema che tutti riconoscono, tutti conoscono, tutti ricordano, ebbene questo teorema di Pitagora, il<br />

fatto che, se si prende un triangolo rettangolo, si ha che il quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente in<br />

area alla somma dei quadrati costruiti sui cateti, è un qualcosa che molte civiltà intuirono, come i babilonesi,<br />

gli egiziani, i cinesi, gli indiani eccetera, ma un conto è intuire, come dicevo prima e un conto è dimostrare.<br />

La dimostrazione del teorema di Pitagora, perlomeno la prima dimostrazione che c'è pervenuta negli<br />

“elementi di Euclide”, è una dimostrazione molto complicata. Ed ecco che allora sorge immediatamente il<br />

motivo, il bisogno di andare ad analizzare queste dimostrazioni, cercare di capire che cosa sta dietro alle<br />

dimostrazioni, quali sono i mezzi che fanno sì che una dimostrazione sia corretta e la logica parla, si<br />

interessa precisamente di questo argomento. <strong>Il</strong> secondo risultato di cui parleremo a fondo, quando<br />

affronteremo nella terza lezione l'argomento di Pitagora, è la fa molta scoperta che, se voi prendete un<br />

quadrato e considerate la diagonale del quadrato, ebbene non c'è nessuna unità di misura che stia in una<br />

maniera intera, sia nel lato che nella diagonale. Questo viene detto, in altri modi, dicendo che la diagonale e<br />

il lato del quadrato sono fra loro incommensurabili, cioè non c'è nessuna misura comune, misura intesa nel<br />

senso di numeri interi ovviamente. Ebbene questo che oggi esprimiamo dicendo che la radice quadrata di 2,<br />

cioè la diagonale del quadrato è irrazionale per l’appunto, non si può scrivere come un rapporto di numeri<br />

interi, in maniera razionale, anche questo è un qualche cosa che scoprirono i pitagorici, una scoperta<br />

veramente dovuta Pitagora o perlomeno alla sua scuola. Questa scoperta è basata su una dimostrazione, non<br />

è qualcosa che si veda ad occhio e questa dimostrazione, la dimostrazione che sta dietro alla irrazionalità<br />

della radice di 2, è qualche cosa che era nuovo all'epoca e forse è il primo esempio di quello che viene<br />

chiamato dimostrazione per assurdo. Ed ecco quindi un nuovo motivo per cercare di capire che cosa sta<br />

dietro alle dimostrazioni, quali sono le leggi che regolano queste dimostrazioni e dunque una nuova via, un<br />

altro modo di arrivare a questa logica matematica. <strong>Qui</strong>ndi queste sono le tre figlie: la dialettica, i paradossi<br />

e le dimostrazioni. Sulla dialettica, come ho detto, non diremo altro, ma sui paradossi e sulle dimostrazioni<br />

invece diremo parecchio, perché cercheremo di andare a fondo. Che cos'altro faremo in queste lezioni?<br />

Ebbene oltre che a parlare di teoremi, di risultati, di pensieri, faremo anche un tentativo di affrontare<br />

4


l'argomento in una maniera più umana o umanistica, se così vogliamo, cioè cercando anche di parlare di<br />

coloro che questi pensieri hanno pensato, cioè dei pensatori e in particolare faremo tutto una serie, anzi<br />

organizzeremo le nostre lezioni proprio sulle vite dei logici e quindi si potrebbe quasi dire che i simboli, il<br />

motto delle nostre lezioni potrebbe essere “vite da logico”, che non è ovviamente un gioco di parole, come<br />

scritte da cani, ma vite da logico non è così brutto, appunto come tante altre. Praticamente quest’oggi io<br />

voglio soltanto farvi familiarizzare con le facce e i nomi di coloro dei quali parleremo, quindi andremo<br />

molto brevemente ad affrontarli o meglio a presentarli e poi ripeto, a ciascuno di questi dedicheremo una<br />

lezione per vedere esattamente quali sono stati i loro contributi.<br />

ANTICHITA’ Ci sono stati tre periodi principali della storia della logica: l'antichità, poi l'era<br />

Platone moderna, per così dire e poi un'era contemporanea. La logica oggi è un qualche<br />

Aristotele cosa che parte dalla matematica, è una delle grandi aree della matematica mo-<br />

Crisippo derna, ma non è stato sempre stato così, agli inizi dovete nascere ovviamente,<br />

poi svilupparsi, adesso ha raggiunto completa maturità. <strong>Qui</strong>ndi vedremo anche, cercheremo di affrontare in<br />

qualche modo le basi storiche, di vedere da dove sono nati e chi ha fatto nascere, chi è stato il primo o chi<br />

sono stati primi a pensare in termini logici. Ebbene, questa prima parte della storia della logica è la storia<br />

dell'antichità. I tre personaggi, coloro che hanno fatto di più per la logica moderna sono appunto: Platone,<br />

Aristotele, Crisippo. Platone e Aristotele sono due personaggi sul quale non c'è bisogno di aggiungere<br />

molto, perché tutti certamente conoscerete perlomeno i nomi; sono i due più famosi filosofi dell'antichità,<br />

coloro che ancora con le loro teorie oggi in qualche modo informano la filosofia moderna. Crisippo è meno<br />

noto, ovviamente su Crisippo faremo anche su di lui una lezione, ma forse sarà più una scoperta, mentre<br />

invece su Platone e Aristotele sarà più un dire qualche cosa che già sapevamo o magari rivedere le cose che<br />

hanno fatto in maniera diversa, dal nostro punto di vista, dalla nostra angolazione. Cominciamo subito con<br />

Platone. Sotto Platone vedete iscritto Accademia, perché ovviamente questa era la scuola che Platone aveva<br />

fondato e credo che il più grande risultato che Platone portò.<br />

Platone ovviamente è questo signore che voi vedete nella statua,<br />

mentre alla destra c’è una parte del dipinto famoso della scuola di<br />

Atene di Raffaello. Ebbene il regalo che Platone portò alla logica,<br />

che fece alla logica, è quello che oggi viene chiamato il “principio di<br />

non contraddizione”. Ho parlato poco fa dei sofisti, i sofisti non<br />

usavano questo principio di non contraddizione, non è chiaro che<br />

non lo usassero perché non lo conoscevano o se invece lo<br />

conoscevano e facevano finta di non conoscerlo, cioè facevano i finti<br />

tonti come si potrebbe dire. <strong>Il</strong> principio di non contraddizione<br />

significa che non si può impunemente dire una cosa e il suo contrario<br />

allo stesso tempo. Non si può dire “oggi piove” e dire “oggi non<br />

piove” e poi pretendere che la gente creda a tutte le due cose, se ci stiamo riferendo allo stesso momento e<br />

allo stesso giorno. Ebbene, la prima formulazione del principio di non contraddizione è per l’appunto in<br />

alcuni dei dialoghi platonici dei quali parleremo. <strong>Qui</strong>ndi questo è un grosso risultato, è il primo tentativo di<br />

isolare una delle grandi leggi della logica. Aristotele, invece, viene considerato in realtà il padre fondatore<br />

della logica moderna e se dobbiamo dire il nome del più grande logico mai vissuto, ebbene questo forse è<br />

veramente Aristotele e se invece dobbiamo dirne due, allora questi<br />

due sono Aristotele e Goedel, di cui parleremo fra poco, verso la<br />

fine di questa lezione. <strong>Qui</strong> di nuovo abbiamo Aristotele anche lui<br />

ritratto come Platone alla scuola di Atene, mentre qui alla sx c'è<br />

un'altra statua dedicata a lui. Qual è stato l'apporto fondamentale di<br />

Aristotele alla logica? Beh, è stato lo studio dei quantificatori, cioè<br />

lo studio delle leggi che regolano il funzionamento e l'uso di<br />

particelle come nessuno, qualcuno e tutti. Nessuno e tutti sono<br />

ovviamente contrapposti fra di loro, qualcuno sta a metà, non è<br />

nessuno né tutti. Ebbene, Aristotele fece uno studio dettagliato di<br />

5


queste particelle che vengono chiamate quantificatori. I quantificatori solo una delle parti fondamentali della<br />

logica moderna.<br />

<strong>Il</strong> terzo personaggio della logica antica, della logica greca, è<br />

Crisippo. Platone aveva la sua Scuola che era l'Accademia,<br />

Aristotele aveva la sua Scuola che era il Liceo, Crisippo aveva<br />

anche lui la sua scuola che era la Stoà. Questi erano le tre grandi<br />

Scuole di Atene, cioè l’Accademia, il Liceo e la Stoà e di ciascuna<br />

di queste parleremo. Qual'è stato il contributo invece di Crisippo?<br />

Ebbene, mentre Aristotele studiò le regole dell'uso di questi<br />

quantificatori, Crisippo invece studiò ciò che oggi viene chiamata<br />

“la logica proposizionale” o meglio queste particelle linguistiche<br />

che sono quelle che servono a mettere insieme delle frasi semplici per costruirne di più complicate, queste<br />

particelle vengono chiamate “connettivi”. Si chiamano connettivi perché connettono, mettono insieme per<br />

l’appunto queste parti diverse. I connettivi che useremo e abuseremo anzi, verranno forse persino a noia,<br />

perché ne parleremo tantissimo e d'altra parte sono le parti più essenziali del discorso logico, sono (questa è<br />

la prima volta che li sentiamo, ma non sarà l'ultima) la negazione (il non), la congiunzione ( l’e), la<br />

disgiunzione ( l’o) e inoltre, il più importante di tutti dal punto di vista matematico e dal punto di vista del<br />

ragionamento, la implicazione (il se è... allora). Un esempio con “non”: se voi avete una frase “oggi piove”,<br />

potete negarla, potete ottenere una frase che dice il contrario di questa, dicendo “oggi non piove” oppure<br />

“non è vero che oggi piove”. Un esempio con “e”: se voi avete due frasi: “oggi piove” ed “io ho l'ombrello”,<br />

potete metterle insieme dicendo: “oggi piove e io ho l'ombrello”, questa è la congiunzione. Un esempio con<br />

“o “: poiché la disgiunzione è il connettivo che si usa quando si ha la possibilità di scegliere fra due cose,<br />

quando si ha un'alternativa , perciò “oggi mangio una pastasciutta o una bistecca”, questa è l'alternativa, la<br />

disgiunzione. Infine il “se... allora”, come dicevo, è il connettivo tipico dei ragionamenti matematici: “se<br />

questo è vero, allora anche quest'altro vero”, cioè se l'ipotesi è vera, allora anche la conclusione è vera. <strong>Il</strong><br />

“se.... allora” è per l’appunto la congiunzione, la connessione, appunto per questo si chiamano connettivi, la<br />

connessione tra l'ipotesi e la tesi, cioè tra ciò che si postula e ciò che invece viene dimostrato. <strong>Qui</strong>ndi questi<br />

furono i grandi risultati della logica greca, a parte Platone che appunto fu praticamente un precursore,<br />

abbiamo da una parte Aristotele lo studio dei quantificatori, dall'altra parte Crisippo, con lo studio dei<br />

connettivi e su questo appunto, come vi ho detto, ci fermeremo a lungo. Veniamo più da vicini all'era<br />

moderna ed ecco che dopo lunghi secoli, naturalmente nella logica ci furono altri personaggi che si<br />

interessarono di logica nei secoli, in particolare durante la Scolastica, durante il Medioevo, ma di quelli<br />

parleremo poi in una delle lezioni che abbiamo chiamato ”interregno”, appunto per far capire che era il<br />

passaggio dalla logica antica, dall’era antica, all'età moderna, ma oggi non è il caso di vederli, stiamo<br />

soltanto citando i nomi e i risultati più importanti . Quando veniamo all'epoca moderna, ecco che qui<br />

abbiamo un'altra trinità e questa trinità è costituita da Leibniz,<br />

Boole e Frege. Vediamo appunto più da vicino anzitutto le loro<br />

facce e poi cerchiamo di dire due parole su ciò che fecero.<br />

Questa è la faccia di Leibniz, naturalmente non pensate che<br />

questo signore avesse questi bei boccoli in testa, erano delle<br />

parrucche, ci sono anche delle foto di Leibniz senza parrucca,<br />

completamente calvo, ma forse sono cose meno piacevoli da<br />

vedere, quindi non le ho messe qua. Leibniz, come tutti sapete,<br />

è stato un grandissimo e poi dovrebbero esserci dei puntini,<br />

perché è stato tantissime cose: è stato giurista, diplomatico,<br />

ambasciatore, filosofo, matematico e così via e fra le tante cose<br />

che ha fatto un uomo così versatile e così multiforme, è stato<br />

anche un grande logico. È stato colui che verso il 1600, fine del<br />

1600, ebbe la visione non in sogno, ma la visione filosofica, cioè<br />

precorse i tempi e praticamente informò con il suo pensiero, con i<br />

suoi sogni quella che poi sarebbe diventata la logica moderna. <strong>Il</strong><br />

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suo sogno più grande fu quello di avere, quello che appunto lui chiamava in latino “la caracteristica<br />

universalis”, cioè di riuscire a costruire una lingua formale ovviamente, una lingua che fosse adatta a poter<br />

esprimere tutti i contenuti delle scienze, un qualche cosa che non fosse come la lingua naturale, che usiamo<br />

tutti i giorni, che ha le sue imperfezioni, che ha anche i suoi problemi, tipo le antinomie che abbiamo visto,<br />

come quella del mentitore, eccetera, ma una lingua costruita a tavolino in qualche modo e che fosse però<br />

formalmente perfetta. Ed ecco che questo sogno, che all'epoca era. soltanto un sogno, poi piano piano nel<br />

corso degli anni, dei decenni, perché praticamente questo cominciò verso il 1850 e sono passati dunque 150<br />

anni, questo sogno si è concretizzato ed è diventato praticamente quello che oggi noi potremo dire la lingua<br />

della logica matematica, ma per rendere più chiaro la cosa, oggi che stiamo appunto soltanto facendo<br />

soltanto l'introduzione a questo argomento, si potrebbero dire che il sogno di Leibniz oggi si è concretizzato<br />

in quella che è diventata la lingua dei calcolatori elettronici. L'informatica o meglio i programmi informatici<br />

sono precisamente versioni di quello che Leibniz sognava si potesse fare di questa “caratteristica<br />

universale”, questo linguaggio perfetto e puramente formale. <strong>Il</strong> prossimo personaggio invece è quello che<br />

forse potremo considerare veramente il primo logico moderno. Con Leibniz, con questo suo sogno si era<br />

appunto nel 1676, mentre con Boole siamo nel 1849. Ebbene, a metà dell'800, finalmente la logica<br />

matematica incomincia ad uscire dal bossolo, a trasformarsi in qualche cosa d'altro e a prendere vita<br />

autonoma. Boole, questo signore di cui ci sono pochissime foto, soltanto questa anzi io conosco, ebbene<br />

questo signore introdusse quella che oggi addirittura è diventata qualche cosa che si chiama con il suo<br />

cognome, cioè la cosiddetta algebra booleana. Sulla algebra booleana di<br />

nuovo parleremo per un intera lezione, perché l'algebra booleana è da<br />

una parte un uovo di colombo, cioè un'idea brillante che viene in mente<br />

soltanto a persone geniali, perché così semplice che noi tutti ci<br />

passiamo vicino senza mai riuscire ad usarla. Ebbene, questa algebra<br />

booleana è semplicemente l'idea di usare lo zero e l'uno, cioè i primi<br />

due numeri interi, come se fossero l'analogo, dal punto di vista<br />

matematico, di ciò che nella logica, nel linguaggio, sono il vero e il<br />

falso. L'uno corrisponde al vero, lo zero corrisponde al falso, la<br />

scoperta di Boole fu che le leggi logiche, che regolano il<br />

comportamento di vero e falso, sono praticamente le stesse leggi che regolano matematicamente o<br />

algebricamente il comportamento dello zero e dell'uno. Ed ecco che allora algebra booleana significa<br />

precisamente questo, cioè comportarsi, lavorare, fare operazioni sullo zero e sull'uno, come se in realtà<br />

questi zero e uno stessero lì ad indicare il vero e il falso. Ebbene questa è una grande scoperta e fu<br />

veramente in qualche modo il punto finale, dico finale, dell'evoluzione della logica. Come mai il punto<br />

finale? Perché in realtà con l'algebra booleana si poteva descrivere da una parte la logica aristotelica, il<br />

comportamento di quei quantificatori di cui abbiamo parlato prima, perlomeno nel modo in cui li usava<br />

Aristotele e dall'altra parte il comportamento dei connettivi come veniva usato da Crisippo, cioè l'algebra<br />

booleana è un unico mezzo che permette di parlare e di prendere sotto lo stesso tetto, due cose<br />

apparentemente diverse, come la logica aristotelica e la logica di Crisippo. Questo era in qualche modo la<br />

chiusura, il completamento, la fine di un'epoca. Subito dopo ci si<br />

poteva fermare lì, ma invece venne questo signore austero, che si<br />

chiama Frege, colui che veramente iniziò la logica moderna, perché,<br />

come ho detto, Boole era più che altro un completatore. La logica che<br />

Frege introdusse, per la prima volta fu qualche cosa che andava oltre<br />

la logica che avevano già studiato i greci, in particolare Aristotele e<br />

Crisippo. Si chiama oggi “logica predicativa” ed è “la logica dei<br />

predicati”, “la logica delle relazioni”, è quello che veramente serve<br />

nella matematica, perché in matematica non si parla soltanto di cose<br />

tipo soggetto e predicato alle quali si interessava Aristotele, ma si<br />

parla di relazioni in cui c'è non soltanto un soggetto, ma ci possono essere più soggetti, più complementi<br />

anche, quindi una struttura molto più complicata. Tanto per fare un esempio, la relazione d'uguaglianza o<br />

disuguaglianza fra numeri, ecco che coinvolge due numeri e non soltanto uno, la relazione di maggiore<br />

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oppure di minore e cosi via, sono relazioni che coinvolgono per l’appunto due cose e non soltanto una e poi<br />

ce ne sono tante altre che ne coinvolgono più di due addirittura. Senza una logica che permettesse di parlare<br />

di queste relazioni multiple, invece che univoche, unarie come quelle di Aristotele, ebbene senza una logica<br />

di questo genere il sogno di Leibniz di avere una lingua per le scienze non si sarebbe potuto concretizzare.<br />

<strong>Qui</strong>ndi a Frege, anche lui, dedicheremo un intera lezione. Poi finalmente arriviamo all’era contemporanea,<br />

cioè al ‘900, a coloro che, non sono forse più vivi, ma di cui, in qualche modo, abbiamo la memoria ben<br />

viva. E questi personaggi sono Post e Wittgenstein, che sono due persone, non una sola, non un cognome<br />

doppio e Goedel e Turing. Questi sono veramente grandi nomi. Di questi ovviamente parleremo non<br />

soltanto una volta, ma più di una volta, ma per ora appunto cerchiamo di dare un anteprima e di fare un<br />

ERA CONTEMORANEA trailer come nei film. Ebbene Post, nel 1920, scopre che la logica di<br />

Post-Wittgenstein Crisippo, la cosiddetta “logica proposizionale” era completa. Non si<br />

Goedel poteva andare oltre, l’analisi che aveva fatto Crisippo, benché l’avesse<br />

Turing fatta 2200 anni prima in realtà era un analisi conclusiva.Boole l’aveva<br />

riformulata in termini algebrici, ma oltre Crisippo, se si rimaneva<br />

POST nell’ambito dei connettivi, non si poteva andare. Questo fu un grande<br />

(1920) risultato che fu scoperto non solo da Post, ma in qualche modo fu<br />

Completezza della intravisto anche da Wittgenstein in quegli stessi anni, il 1921.Anche<br />

logica proposizionale Wittgentein è stato un famoso filosofo, oggi è certamente più famoso<br />

come filosofo soprattutto del linguaggio, che non come logico matema-<br />

tico, perché il suo contributo è stato un pochettino minimale e<br />

marginale, ma qualche cosa rimane e rimangono in particolare queste<br />

tavole di verità, che sono dei mezzi di cui parleremo quando sarà il<br />

momento, dei mezzi per cercare di capire qual è il valore di verità, cioè<br />

il vero e il falso di una proposizione composta, riducendola in base ai<br />

valori di verità delle proposizioni che la compongono, cioè sapendo che<br />

se le proposizioni semplici che costituiscono una proposizione<br />

composta sono vere o false, allora possiamo con questo mezzo delle<br />

tavole di verità dedurre se la proposizione intera è vera o falsa, quindi<br />

qualche cosa di tecnicamente utile. Ma a questo punto veniamo<br />

veramente al secondo logico della storia, qualcuno dice addirittura il primo, comunque uno delle due grandi<br />

divinità di questo corso e non soltanto del corso, ma anche addirittura di questo soggetto, cioè della logica<br />

matematica. Goedel che è questo signore che vedete qui vestito con panama, con un vestito bianco e con<br />

questa aria piuttosto truce, fu uno dei più grandi pensatori del ‘900, scrivo qui 1930-31, perché Goedel fece<br />

tantissime cose e a lui dedicheremo più di una lezione, perchè<br />

non è possibile appunto fare un corso di logica e poi trattarlo<br />

come tutti gli altri ovviamente, però i suoi due primi grandi<br />

risultati furono nel 1930 e 1931. Nel ’30 dimostrò la<br />

completezza della logica predicativa, cioè l’analogo di ciò che<br />

Post aveva fatto per “la logica proposizionale”. Post aveva<br />

dimostrato che oltre Crisippo non si poteva andare, cioè<br />

l’analisi di Crisippo era stata completa per quanto riguardava<br />

quei connettivi, ebbene Goedel dimostrò che l’analisi di Frege<br />

per quanto riguarda invece la logica predicativa anch’essa era<br />

stata completa, oltre Frege non si poteva andare, se si voleva<br />

rimanere all’interno di quell’ambito li. E poi invece nel 1931, Goedel dimostrò il suo più famoso teorema, il<br />

cosi detto teorema di incompletezza della aritmetica; mentre sia la logica proposizionale, che la logica<br />

predicativa sono complete e quindi in qualche modo noi siamo arrivati alla fine della storia della logica e<br />

quindi non c’è più altro da aggiungere, a meno di non scoprire, inventare altre logiche nuove, ebbene invece<br />

in matematica le cose stanno diversamente. <strong>Il</strong> teorema di Goedel dice per l’appunto che “l’aritmetica è<br />

incompleta”, non nel senso che oggi non si sono ancora trovati tutti i suoi assiomi, tutte le sue proprietà e<br />

dunque bisogna aspettare qualche altro genio che lo faccia, ma lo dice nel senso che qualunque sistema di<br />

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assiomi per l’aritmetica sarà sempre incompleto, l’aritmetica non si può completare; cioè mentre con “la<br />

completezza della logica predicativa” siamo arrivati alla fine della storia della logica, con “l’incompletezza<br />

dell’aritmetica” invece siamo arrivati di fronte ad un muro, abbiamo capito che noi come uomini abbiamo<br />

delle limitazioni nei confronti della matematica e questo è il motivo per cui il risultato di Goedel è così<br />

importante. L’ultimo personaggio invece di cui parliamo quest’oggi, ma anche a lui dedicheremo una<br />

lezione e non sarà l’ultimo di cui parleremo quando faremo<br />

le nostre 20 lezioni, ebbene questo signore si chiama Turing, che<br />

come vedete era uno sportivo, Turing correva poi con questo<br />

numero 01, che sta appunto a significare la logica dei computer e<br />

così via; non a caso la logica dei computer, perché nel 1936<br />

questo signore inventò quella che all’epoca fu chiamata e tutt’ora<br />

viene chiamata nei dipartimenti di matematica e di informatica la<br />

machina di Turing, che non è un automobile, non è una<br />

competizione per la General motors o per la Ford o per la Fiat, è<br />

quello che oggi noi chiameremo semplicemente il computer.<br />

L’idea del computer venne precisamente ad un logico<br />

matematico, venne a questo sig. Turing, quando poi aveva tra<br />

l’altro 24-25 anni, così come Goedel, cioè questi geni dimostrano i loro risultati quando sono molto giovani,<br />

ebbene gli venne, dicevo a Turing, l’idea della machina del computer studiando i teoremi di Goedel,<br />

cercando di affrontare un problema diverso, che era appunto il problema della decibilità della logica<br />

predicativa. Ho detto prima che le tavole di verità di Wittgenstein sono qualche cosa che permette di<br />

decidere per le formule, per le proposizioni della logica proposizionale di Crisippo, se sono vere o false, c’è<br />

un metodo che permette di fare questa decisione. Ebbene ciò che Turing dimostrò è che non c’è un metodo<br />

analogo per la logica, quindi benché la logica predicativa sia completa, come ha dimostrato Goedel, in realtà<br />

qualche problema ce l’ha già e non c’è nessun metodo che permetta di decidere ciò che è vero o falso in<br />

generale per la logica predicativa. Ebbene mi sembra di aver dato più o meno un idea di ciò che sarà questo<br />

corso e soprattutto di ciò che è la logica matematica, cioè è qualche cosa che ha a che fare con tre aree<br />

differenti, infatti se avete fatto attenzione, abbiamo parlato praticamente di tre aspetti molto diversi tra di<br />

loro, che sembrerebbero essere staccati a prima vista, che sono la filosofia anzi tutto, con Platone,<br />

Aristotele, Crisippo e così via, poi abbiamo parlato di matematica , abbiamo visto Boole, Frege e così via,<br />

che facevano analisi matematica e poi siamo arrivati alla fine a parlare di machina di Turing, cioè di<br />

computer, cioè di informatica. Ebbene uno dei motivi, non il solo, ma uno dei motivi che rendono la logica<br />

matematica interessante è proprio questo: il fatto che sia una materia che non soltanto serve, ma che sta in<br />

qualche modo nell’intersezione di tre aree così diverse, da una parte la filosofia, dall'altra parte la<br />

matematica e dall’altra parte l’informatica e allora la logica matematica può essere interessante, per<br />

l’appunto, per i filosofi, coloro che si interessano di filosofia, è interessante per i matematici, perché è parte<br />

della matematica e studia la matematica, studia il ragionamento matematico con metodi matematici ed è<br />

interessante anche per gli infornatici perché l’informatica è nata precisamente da problematiche logiche, è<br />

stata creata da uno dei logici ed è una parte praticamente di quella che è la logica matematica moderna.<br />

<strong>Qui</strong>ndi questi sono i grandi argomenti di cui parleremo nelle prossime 19 lezioni e vi do semplicemente<br />

l’arrivederci alle prossime lezioni, sperando di avervi convinto che la logica matematica è un qualche cosa<br />

che vale la pena di conoscere, vale la pena di studiare.<br />

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LEZIONE 2: <strong>Il</strong> naso di Pinocchio<br />

Sono Piergiorgio Odifreddi e sono qui per incominciare finalmente il corso di logica matematica. Abbiamo<br />

avuto una lezione introduttiva, in cui abbiamo cercato di familiarizzarsi con alcuni dei problemi e delle<br />

nozioni della logica matematica e anche soprattutto con alcuni dei personaggi, ma finalmente siamo arrivati<br />

agli inizi del corso di lezioni e questo corso di lezioni ho pensato di organizzarlo sulla base dei personaggi,<br />

di alcuni dei quali abbiamo già parlato, cioè ogni lezione sarà dedicata ad uno dei grandi logici del passato o<br />

a uno dei grandi problemi della logica del passato. Cominceremo ovviamente molto da lontano, verso il 500<br />

- 600 a. C., parleremo di filosofia per qualche lezione, poi piano piano ci avvicineremo alla matematica, alla<br />

logica matematica come è stata sviluppata a partire da Leibniz, Boole, Frege, Russell e così via, tutti nomi<br />

alcuni dei quali avete già sentito e finalmente poi concluderemo in bellezza, diciamo così, il gran finale di<br />

questo corso con l'informatica, perché ho già detto appunto un'altra volta che logica matematica ha questo<br />

interesse, il fatto di essere nell'intersezione di tre aree molto diverse fra di loro, che sono appunto quelle che<br />

ho appena citato, cioè la filosofica, la matematica e l'informatica, quindi è uno strumento molto versatile,<br />

molto variegato che permette di essere utilizzato appunto in tanti campi differenti. Benissimo,<br />

incominceremo come ho detto molto da lontano e quest'oggi la nostra prima lezione di questo corso sarà<br />

fatta su uno dei paradossi più importanti, che qualcuno di voi avrà già capito, è il paradosso del mentitore.<br />

Questa lezione, anzi tutte le lezioni saranno intitolate in una maniera un pochettino inventiva, per cercare di<br />

stimolare anche l'attenzione. <strong>Il</strong> naso di Pinocchio è ovviamente il simbolo della menzogna e quindi<br />

quest'oggi parleremo di menzogna, cercheremo di andare ad analizzare più da vicino questo concetto di<br />

verità e di falsità e soprattutto lo faremo parlando per l’appunto di uno dei paradossi più famosi, il famoso<br />

paradosso di Epimenide, di questo signore raffigurato nella slide o perlomeno uno che gli rassomigliava.<br />

Naturalmente quando si tratta di andare così lontano nel tempo, il sesto<br />

secolo a. C., non è mai chiaro di quali personaggi fossero queste<br />

raffigurazioni. Comunque era un greco del sesto secolo a. C., in realtà un<br />

cretese, che un giorno ebbe la bella idea di dire questa frase “i cretesi sono<br />

bugiardi”. Intendeva dire tutti i cretesi sono sempre bugiardi, dicono<br />

sempre la falsità. Ebbene, che cosa pensate di una frase di questo genere<br />

detta da un cretese, che cosa significa? Può essere vera una frase di questo<br />

genere? Ovviamente non può essere vera, perché se è vero che i cretesi sono<br />

dei bugiardi, il signor Epimenide viene da Creta, quindi è un cretese e se<br />

essere dei bugiardi significa dire<br />

sempre la falsità, beh, insomma questo era semplicemente qualche cosa<br />

che non poteva essere vero. Allora abbiamo già fatto un primo passo, abbiamo già ottenuto un qualche<br />

risultato, abbiamo scoperto che questa frase detta da Epimenide, non può essere vera. <strong>Il</strong> problema però è che<br />

la cosa si ferma qui, perché non c'è nessun motivo di credere che questa frase possa essere vera. Che cosa<br />

vuol dire che questa frase non può essere vera? Vuol dire che non è vero che tutti i cretesi dicono sempre il<br />

falso, il che significa che qualche cretese a volte dice la verità. Ora quel “qualche cretese”, non è affatto<br />

detto che sia per forza Epimenide, colui che parlava e se anche fosse lui, poiché qualche cretese dice a volte<br />

la verità, non è affatto vero, non è affatto detto che sia proprio questa la frase di cui si sta parlando. <strong>Qui</strong>ndi<br />

abbiamo una frase di fronte a noi che sembra problematica, ma è semplicemente una frase falsa, che non<br />

può essere vera, ma la cosa si ferma qui, non c'è ancora nessun paradosso. <strong>Il</strong> fatto che questa frase che in<br />

genere viene ripetuta, perché una frase molto famosa appunto, viene ripetuta come se fosse un paradosso,<br />

già dice che forse ci sarebbe bisogno, per coloro che lo fanno, di seguire questo corso che è appunto un<br />

corso di logica, che ci insegnerà pian piano a districarsi in questi rompicapo, a cercare di capire dove sono i<br />

problemi in questo caso. Benissimo, se non è un paradosso questa frase, però è abbastanza vicina ad un<br />

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paradosso. Quest’altra frase invece è dovuta a un signore che si chiama<br />

Eubulide di Megara del quinto secolo a. C., il quale ovviamente di nuovo<br />

non è lui nella raffigurazione, questo è Pinocchio appunto, al cui naso<br />

abbiamo intitolato la nostra lezione; ebbene Eubulide riformulò<br />

quest'osservazione di Epimenide, che diceva “tutti i cretesi mentono, ma io<br />

sono un cretese”, perchè c’era qualche cosa di strano e la riformulò<br />

dicendo semplicemente “io sto mentendo”, cioè quello che sto dicendo in<br />

questo momento è una menzogna. Allora andiamo a vedere più da vicino<br />

se effettivamente questa frase di Eubulide ha dei problemi. Può essere vera una frase di qualcuno che dice<br />

“io sto mentendo”?. Beh, ovviamente no, perché se fosse vera sarebbe vero che lui sta mentendo e dunque<br />

quello che sta dicendo dovrebbe essere falso; quindi certamente non può essere vera, ma questo era già il<br />

caso anche della frase di Epimenide. Vediamo adesso se questa frase può essere falsa. Beh, se fosse falsa,<br />

allora sarebbe vero il contrario di quello che dite, ma sta dicendo “io sto mentendo”, dunque il contrario<br />

dovrebbe essere “io sto dicendo la verità”. Allora nemmeno falsa può essere questa frase. Ed ecco che<br />

finalmente Eubulide un secolo o un secolo e mezzo dopo Epimenide, riuscì a trasformare questa frase di<br />

Epimenide in un vero e proprio paradosso, a costruire una frase che a prima vista sembra innocua, però<br />

attenzione, c'è un qualche cosa di molto interessante, qui c'è un autoriferimento, si sta parlando di se stessi,<br />

anzi la frase sta dicendo qualche cosa su se stesso, sta dicendo di essere falsa, cioè colui che parla sta<br />

dicendo qualche cosa su se stesso, sta dicendo che sta mentendo. Ebbene, abbiamo costruito una frase che<br />

non può essere né vera né falsa. Questo fu effettivamente un trauma, perché si pensava che la verità fosse un<br />

concetto universale, che le frasi appunto fossero tutte o vere o false, le frasi ovviamente ben poste, ben<br />

formate nel linguaggio e invece Epimenide e Eubulide scoprirono questo trucco, fecero vedere che la verità<br />

ha dei problemi e vedremo che ne ha parecchi. In questa lezione cercheremo di vedere varie versioni, varie<br />

metamorfosi di questo paradosso, per<br />

cercare di familiarizzarsi proprio con questa nozione di verità. Una<br />

delle prime versioni è quella data dallo<br />

stoico Diogene Laerzio nel secondo secolo a. C., è una storiella che<br />

parla di una mamma e di un coccodrillo.<br />

Eccolo qua il coccodrillo, questo non è naturalmente la mamma,<br />

nella figura ci sono due coccodrilli. Ebbene<br />

la storiella è la seguente: i coccodrilli, si sa sono cattivelli, a d<br />

un certo punto un coccodrillo rapisce il figlio di questa mamma e ad<br />

un certo punto le dice: te lo ridò questo figlio, altrimenti me lo<br />

mangio, te lo ridò se tu riesci a indovinare che cosa io farò. La<br />

mamma gioca con il fuoco ovviamente e dice al coccodrillo: io credo<br />

che tu ti mangerai mio figlio. Ovviamente questa è una<br />

riformulazione del paradosso del mentitore, perché se la mamma ha<br />

detto il vero, se ha indovinato che coccodrillo voleva mangiare il<br />

figlio,<br />

allora effettivamente il coccodrillo ha promesso che nel caso<br />

che la mamma indovinasse le avrebbe restituito il figlio. <strong>Qui</strong>ndi la<br />

madre,<br />

giocando con questo trucco, diciamo così, inventato da<br />

Eubulide<br />

e Epimenide, riesce a salvare il bambino dalle fauci del<br />

coccodrillo, che come vedete qui erano già<br />

ben aperte per papparsi il povero bambino. <strong>Qui</strong>ndi questa è una<br />

riformulazione in chiave, diciamo così, scherzosa, storica del<br />

paradosso di Epimenide. Un'altra riformulazione, naturalmente<br />

facciamo salti, passi da gigante in questo corso, in cui stiamo<br />

imparando molto, la ritroviamo nel quattordicesimo secolo, anche<br />

perché le metamorfosi del paradosso di Epimenide, cioè il<br />

paradosso del mentitore, sono infinite, non possiamo fare altro che<br />

parlarne un pochettino così, dare un accenno a qualcuna di queste<br />

metamorfosi. Una di queste metamorfosi, una di queste forme, fu<br />

inventata dal famoso Buridano, dico famoso non come filosofo,<br />

ma perché tutti conoscono il cosiddetto asino di Buridano, che è a<br />

un certo punto morì di fame perché si trovava alla stessa distanza<br />

da due mucchi di fieno e non sapeva quale scegliere di due e non<br />

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iuscì a decidersi, ad andare da nessuna parte e così morì. Ebbene, Buridano in realtà non inventò soltanto la<br />

storiella dell'asino, ma era un logico, per l’appunto, del quattordicesimo secolo, che formulò una versione<br />

molto interessante del paradosso di Epimenide, perché si era sempre pensato fin a quell'epoca, durante la<br />

Scolastica, che i problemi del paradosso del mentitore, fossero per l’appunto in questa autoreferenza, nel<br />

fatto che si sta parlando di qualche cosa dicendo “io sto facendo qualche cosa”, “io sto mentendo” e si<br />

pensava che il problema fosse per l’appunto quello. Ebbene, Buridano fece vedere che il problema non<br />

era affatto quello, perché immaginò una storiella in cui c'era da una parte Socrate e dall'altra parte Platone<br />

due dei grandi filosofi che aprirono un pochettino la storia della filosofia occidentale, della filosofia greca.<br />

Ebbene, Buridano immaginò il seguente dialogo fra i due, Socrate è questo signore qua giù, che sta<br />

parlando appunto ai suoi discepoli e dice “Platone dice il falso”. Platone che cosa risponde? Platone qua giù,<br />

nel dipinto di Raffaello, la Scuola di Atene,<br />

Platone dice ovviamente che “Socrate dice il falso”. Allora<br />

abbiamo una situazione in cui il maestro dice che l’allievo sta dicendo il falso e l’allievo sta dicendo che<br />

invece il maestro dice il falso, cioè l'autoriferimento<br />

si è semplicemente spezzato in due parti e non c'è più<br />

quell'autoriferimento diretto, diciamo così,<br />

che c'era invece nel paradosso del mentitore.<br />

Possiamo vedere questo autoriferimento più da vicino, in una<br />

maniera un pochettino più logica, forse un pochettino più seria, in<br />

questa slide: la prima fase dice “la frase seguente è falsa”. La<br />

seconda fase dice “la fase precedente è vera”. Queste frasi, una<br />

qualunque di quelle frasi, è vera o falsa o qual'è la situazione?<br />

Proviamo a vedere, cominciamo con la prima. Questa frase, se<br />

appunto la verità fosse qualche cosa che merita il nome del<br />

delegato, dovrebbe o essere vera o falsa. Cominciamo a<br />

supporre che sia vera: se la prima frase è vera, quello che dice<br />

deve essere effettivamente quello che succede, cioè la frase seguente deve<br />

La frase seguente è falsa dev’essere falsa. Allora quello che dice la frase che segue non può essere<br />

vero, poiché la frase che segue dice “la fase precedente è vera”, allora<br />

La frase precedente è vera poiché questa frase non può essere vera, questo significa che “la frase<br />

precedente” deve essere falsa. Allora abbiamo supposto che la prima frase fosse vera, abbiamo dedotto che<br />

la seconda frase non può essere vera, poiché la seconda frase stava dicendo che la prima era vera, dunque<br />

abbiamo dedotto che la prima è falsa, quindi non è possibile che la prima frase sia vera, dev’essere allora<br />

falsa. Ora vediamo se è vera: se la prima frase fosse falsa, sta dicendo che la frase seguente è falsa e se<br />

questa non è vera, allora la frase seguente deve essere vera. Andiamo a vedere che cosa dice la frase<br />

seguente; beh, la frase seguente dice: la precedente è vera; abbiamo supposto che la prima frase fosse falsa,<br />

abbiamo dedotto che quello che diceva la seconda era vera, la seconda diceva che la prima era vera. <strong>Qui</strong>ndi<br />

qui notate, non c'è nessun autoriferimento, si sta soltanto parlando della frase seguente; se sopra ci fosse<br />

scritto “la frase seguente è falsa” e sotto ci fosse scritto “io sono il capo di governo”, effettivamente sarebbe<br />

stata una situazione perfetta, perché io non sono capo di governo, quindi la frase seguente sarebbe<br />

effettivamente stata falsa e così pure per questa frase qui “la fase precedente è vera”, se sopra ci fosse stato<br />

scritto “io sono professore di logica che sta facendo il corso adesso a Nettuno”, insomma questa frase<br />

sarebbe stata vera, la frase precedente sarebbe stata vera. Queste due frasi di per sé, staccate, possono<br />

benissimo essere vere e naturalmente possono anche benissimo essere false, non c'è nessuna contraddizione<br />

in nessuna delle due, ma nel momento in cui le si mette insieme, ecco che succedono i pasticci, un po' come<br />

a volte succedono nei matrimoni o nei fidanzamenti, che le persone singolarmente possono essere<br />

simpaticissime eccetera, quando poi le si mettono insieme succedono i pandemoni. Questo è precisamente<br />

quello che succede in questo caso. Allora, abbiamo capito già una cosa, che nel paradosso del mentitore, nel<br />

paradosso di Epimenide, di Eubulide, nel fatto di dire “io sono falso” e di trovare dei problemi, delle<br />

conseguenze non aspettate e non piacevoli in questa frase, ebbene il problema non sta nel fatto che ci si sta<br />

autoreferendo, non sta nel fatto di dire: bah, una frase che dice “io sono falsa”, insomma potrebbe non avere<br />

nessun significato, perché è possibile spaccare questo autoreferenza, distruggere, diciamo così,<br />

l'autoreferenza, il circolo vizioso e separare la frase in due frasi differenti che hanno gli stessi problemi della<br />

frase precedente. Benissimo, quali sono le soluzioni che sono state proposte di questo paradosso?<br />

12


Naturalmente prima dei tempi moderni, perché la logica matematica fortunatamente ha fatto dei passi avanti<br />

e quindi è arrivata a dei risultati molto concreti. Ebbene delle soluzioni che sono state proposte dai greci e<br />

dagli Scolastici soprattutto, perché queste sono le due scuole filosofiche che più si sono interessate di questi<br />

argomenti, prima per l’appunto dei tempi moderni, la prima soluzione è stata semplicemente quella di<br />

dire che le frasi paradossali erano cose senza senso, erano dei “non sense”, direbbero gli inglesi o senza<br />

Soluzioni del paradosso senso, come diremo noi in italiano, cioè addirittura arrivarono<br />

1. Non-senso a sostenere che la verità è qualcosa di sottile, di evanescente, di<br />

2. Uso e menzione sfuggente e che ci sono delle frasi e degli esempi, del tipo ”io<br />

3. Linguaggio e metalinguaggio non sono vero”, “io sto dicendo il falso”, che sono per l’appunto<br />

4. Più valori di verità frasi che non possono essere ne vere ne false, ma per l'unico<br />

motivo che non hanno nessun senso. Sono frasi che sembrano grammaticalmente corrette, sembrano fatte<br />

come le altre frasi e quindi dovrebbero a prima vista essere o vere o false, poi però c'è qualche cosa di<br />

nascosto, qualche germe che inficia la loro correttezza sintattica. C'è stato un tentativo differente di dire, bah<br />

bisogna stare attenti, perché qui si sta facendo una confusione tra quello che oggi noi chiameremo “l'uso e la<br />

menzione”, cioè quando si dice che una frase è vera, si sta parlando di un qualche cosa di diverso, si sta<br />

usando la frase, mentre invece la frase che dice di se stessa di non essere vera, non sta usando un'altra frase,<br />

perché è lei stessa che lo sta dicendo e quindi c'è questo circolo vizioso e forse dicevano gli scolastici<br />

potrebbe esserci la soluzione del paradosso in questa separazione fra queste due nozioni. Vedremo poi in<br />

seguito che, in realtà, non è qui il problema. Questa invece che è una proposta Medioevale, una proposta<br />

Scolastica, è più vicina a quello che oggi noi diremo è la vera soluzione del paradosso del mentitore, cioè<br />

una distinzione tra linguaggio e meta-linguaggio. <strong>Qui</strong> bisogna che diciamo due parole su questi due concetti<br />

che sono veramente importanti: il linguaggio è praticamente la lingua di cui si sta parlando e il metalinguaggio<br />

è la lingua in cui noi parliamo del linguaggio. <strong>Il</strong> modo più semplice di capire la differenza fra<br />

linguaggio e meta linguaggio è supporre, per esempio, di stare imparando una lingua straniera, ad esempio<br />

l'inglese. Quando noi impariamo l'inglese, agli inizi ovviamente non cominciamo subito a parlare in inglese,<br />

si va a scuola e si comincia a dire, bah, l'inglese è fatto così, è scritto in questo modo, ci sono queste regole<br />

eccetera. Notate, stiamo imparando una lingua, che si chiama per l’appunto il linguaggio dal p. di v. logico,<br />

ma ne stiamo parlando, la stiamo imparando in un’altra lingua che si chiama per l’appunto il<br />

metalinguaggio. Nel caso dell’esempio che ho appena fatto, cioè di imparare una lingua straniera, la lingua<br />

straniera è il linguaggio e l'italiano in cui noi descriviamo la grammatica, la sintassi, la semantica eccetera,<br />

di questa lingua che non ancora conosciamo si chiama metalinguaggio, quindi questi due livelli. Ebbene,<br />

l'idea di questa soluzione, di distinzione tra linguaggio e meta- linguaggio è appunto quella di dire: quando<br />

si dice che qualcosa è vero o qualche cosa è falso, si fa un'affermazione nel meta-linguaggio (italiano),<br />

mentre si sta parlando del linguaggio(inglese) e le frasi che dicono “io non sono vera”, fanno una confusione<br />

fra questi due livelli, perché mischiano i due livelli in uno solo. Dicono ”io non sono vera”, ma io dovrei<br />

essere nel linguaggio (inglese) e il fatto di dire vera, vuol dire che mi sto ponendo invece fuori dal<br />

linguaggio, mi sto ponendo nel metalinguaggio (italiano). Vedremo che questo è precisamente uno dei<br />

tentativi di soluzione di Tarski. Un altro tentativo, a cui accenno soltanto, ma per dirvi che in realtà la logica<br />

si è sviluppata anche in direzioni differenti, è quello di dire, bah, ci sono forse tanti valori di verità, il vero e<br />

il falso sono due prime approssimazioni, sono i più importanti valori di verità che una frase può avere, ma il<br />

fatto che ci siano delle antinomie, come quella appunto del mentitore, ci fa supporre che ci possono essere<br />

altri valori di verità, cioè ci possono essere delle frasi che non possono essere ne vere e ne false e devono<br />

essere qualche cosa altro, cioè questo è anche un modo molto elegante di uscire dall'impasse che il<br />

paradosso del mentitore, ma più in generale i paradossi provocano, dicendo appunto è troppo restrittivo<br />

limitarsi a considerare soltanto verità e falsità, ci devono essere altri valori di verità e i paradossi sono<br />

precisamente delle frasi che hanno quegli altri valori di verità. Queste sono appunto alcune delle soluzioni,<br />

diciamo così , classiche medioevali. Veniamo un po' più vicino a noi, questa è una fotografia e questa è la<br />

firma del famoso scrittore spagnolo Cervantes che scrisse per l’appunto il Don Chisciote. Ebbene, in uno<br />

degli episodi del Don Chisciote, ad un certo punto Sancho Panza, che voi tutti ricorderete era il cavaliere, lo<br />

scudiero di Don Chisciote della Mancha, diventa governatore di una di una provincia della Spagna, il<br />

13


Barataria. Diventa governatore e come sempre succede ai governatori, gli si presentano dei casi molto<br />

strani , in particolare un giorno arriva in tribunale<br />

un signore che dice: ad un certo punto ci siamo trovati,<br />

noi siamo dei militari, ci siamo trovati d i fronte ad una situazione insostenibile perché siamo stati messi<br />

in origine di fronte ad un ponte, con l'idea<br />

che possiamo far passare da questo ponte soltanto coloro che<br />

diconola verità e dobbiamo invece impiccare coloro che chiedono<br />

invece impiccare coloro che chiedono di passare il ponte che ci<br />

dicono il falso, quando ne chiediamo il motivo. <strong>Qui</strong>ndi in questo<br />

ponte possono passare i veritieri, coloro che dicono il vero, ma<br />

non possono passare i bugiardi, coloro che dicono il falso.<br />

Ebbene, succede dicono i militari, che un giorno arriva un signore,<br />

lo fermano, gli dicono: tu vuoi passare questo ponte, dici come<br />

mai vuoi passare questo ponte. Questo signore dice: sono venuto<br />

qui, voglio passare il ponte perché voglio farmi impiccare in base<br />

a questa legge ed ecco che di nuovo si riproduce il paradosso del<br />

mentitore. Se fosse vero che lui vuole farsi impiccare in base alla<br />

legge, starebbe dicendo il vero e dunque bisognerebbe farlo passare e viceversa. Allora Sancho Panza ha<br />

una sentenza molto salomonica. Dice, bah, evidentemente questo signore, una parte della frase che ha detto<br />

era vera, l'altra parte era falsa, voi militari dovreste implicare la parte di questo signore che ha detto il falso<br />

e lasciare passare la parte di questo signore che invece ha detto il vero; naturalmente una soluzione un<br />

pochettino ironica, tipica appunto di questo romanzo, di quest'epoca. Bene, vediamo invece più vicino a noi,<br />

perché in realtà stiamo facendo un corso di logica per l’appunto e quindi vorremmo cercare di capire più da<br />

vicino dove si situano i problemi.<br />

Ebbene, nel 1908 questo filosofo Grelling, non molto noto, noto soprattutto per questa riformulazione del<br />

paradosso del mentitore, scoprì appunto che situazioni analoghe a quelle del paradosso del mentitore si<br />

trovano in tanti campi del sapere e in particolare si trovano addirittura anche nella linguistica, nella<br />

Grelling grammatica normale. Lui definì due aggettivi di cui non avete mai<br />

(1908) sentito parlare, perché appunto li ha definiti questo signor Grelling.<br />

autologico: <strong>Il</strong> primo aggettivo si chiama “autologico” e come dice la parola è<br />

si riferisce a se stesso qualche cosa che si riferisce a se stesso. Quand’è che un aggettivo è<br />

eterologico: autologico? Quando si riferisce a se stesso. Per es. corto, beh, corto<br />

non si riferisce a se stesso è un aggettivo molto corto, quindi per l’appunto è un aggettivo autologico.<br />

Lungo, beh, lungo non è più lungo di corto, perché ha lo stesso numero di lettere, quindi certamente non si<br />

riferisce a se stesso e allora Grelling inventò per questo tipo di aggettivi, come lungo, la parola eterologico,<br />

cioè che non si<br />

riferisce a se stesso. <strong>Qui</strong>ndi ricordatevi “autologico”, un aggettivo che descrive una proprietà<br />

che è vera per se stessa e eterologico un aggettivo che descrive una proprietà che invece non è vera<br />

dell'aggettivo stesso. <strong>Il</strong> problema che Grelling pose fu: eterologico come aggettivo è autologico o<br />

eterologico?<br />

Eterologico è: Cioè l’aggettivo eterologico, cioè che non si riferisce a se stesso, si riferisce a<br />

autologico? se stesso oppure no? Ed è chiaro che qui siamo di nuovo alle stesse solfe. Avrete<br />

capito che il paradosso del mentitore nasce sempre quando si tratta di parlare di<br />

eterologico? un caso di vero e falso, in questo caso di riferirsi a se stesso oppure no. Si fa una<br />

frase oppure si costruisce un concetto, che anzitutto si riferisce a se stesso e che poi usano, nel caso della<br />

verità il falso e nel caso del riferirsi a se stesso usano l’eterologico, cioè non riferirsi a se stesso. Potete fare<br />

come esercizio, se volete a casa, cercate di vedere se eterologico è autologico o eterologico, ovviamente vi<br />

accorgerete che in tutti e due i casi non c'è possibilità di rispondere, perché se eterologico fosse autologico<br />

dovrebbe essere qualche cosa che si riferisce a se stesso e dunque dovrebbe appunto essere eterologico e<br />

dunque non riferirsi a se stesso e così via. <strong>Qui</strong>ndi queste cose sembrano un po’ dei giochi di prestigio, dei<br />

giochi d'equilibrio, ma fanno vedere come il paradosso del mentitore non ha niente a che vedere con la<br />

verità o con la falsità, si può anche riformulare in un modo che appunto si riferisce soltanto alla grammatica.<br />

Andiamo avanti e qui vediamo un signore che è stato uno dei più grandi logici di questo secolo. Ho detto<br />

più volte in altre edizioni che il più grande logico del secolo e forse della storia è stato questo Goedel, di cui<br />

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abbiamo già accennato, ai cui teoremi abbiamo già accennato, ma<br />

allo stesso livello o poco meno, diciamo così, del livello di Goedel<br />

c’era questo signore, Tarski, un logico polacco che emigrò negli<br />

Stati Uniti e che nel 1936 fece uno dei grandi teoremi appunto<br />

della logica moderna,cioè riuscì a dare una definizione di verità. Di<br />

questa definizione di verità parleremo molto estesamente in una<br />

lezione che dedicheremo soltanto a Tarski, perché cercheremo di<br />

andare nei dettagli, di vedere com’è che Tarski definì la verità, ma<br />

la cosa che c'interessa in questo momento da vicino è che, questa<br />

definizione di verità, Tarski la diede ovviamente per i linguaggi<br />

formali, per i linguaggi della matematica, ma il grande teorema, il teorema importante di Tarski fu il<br />

seguente: il fatto che la verità, così come lui la definì, non è definibile nel linguaggio, ma soltanto nel<br />

metalinguaggio. Ricordate la distinzione che abbiamo fatto prima: il linguaggio è quello nel quale parliamo<br />

(inglese) e il metalinguaggio è il linguaggio nel quale parliamo del linguaggio (italiano), cioè in qualche<br />

modo un livello superiore. Ebbene la definizione di verità di Tarski è una definizione per la verità del<br />

La verità non è definibile nel linguaggio, linguaggio e nel caso del linguaggio della matematica,<br />

solo nel metalinguaggio per esempio, dell'aritmetica, Tarski diede una descrizione<br />

molto precisa, molto matematica, diciamo così, senza assolutamente nessun problema filosofico. Però il<br />

problema è che, questa definizione di verità che viene data per il linguaggio, deve essere data nel<br />

metalinguaggio, cioè in un linguaggio diverso; non è possibile per una teoria matematica, che il linguaggio<br />

matematico sia in grado di dare la sua stessa definizione di verità. Come mai? Beh, non è possibile proprio<br />

perché c'è il paradosso del mentitore, cioè nel 1936 Tarski riscopre non il paradosso del mentitore, perché<br />

quello non era mai stato dimenticato, ma scopre diciamo così meglio, la possibilità di utilizzare il paradosso<br />

del mentitore all'interno della matematica. Trova una definizione di verità per il linguaggio e dimostra che,<br />

se questa definizione fosse esprimibile nel linguaggio stesso, allora sarebbe possibile derivare nel linguaggio<br />

il paradosso del mentitore e dunque ci sarebbe una contraddizione nella matematica; se noi invece<br />

supponiamo che la matematica sia libera da contraddizioni, ossia quella che i logici chiamano consistente,<br />

ebbene in qualunque teoria consistente non è possibile costruire nessun paradosso, in particolare il<br />

paradosso del mentitore e questo significa che non è possibile dare la nozione di verità, la definizione di<br />

verità all'interno del metalinguaggio. Questa è in realtà una versione del teorema di Goedel, che dice che le<br />

teorie matematiche sono incomplete, sono limitate e questo tipo di limitazione che scoprì Tarski è proprio<br />

una limitazione che oggi chiameremo “semantica”. È la limitazione del fatto di non poter parlare della<br />

propria verità all'interno del sistema. <strong>Qui</strong>ndi in pratica è proprio la soluzione o perlomeno un uso moderno<br />

delle soluzioni medioevali a cui ho accennato poco fa, dicendo che appunto non si poteva pensare di<br />

risolvere il paradosso del mentitore, separando questi due livelli, cioè il linguaggio e il metalinguaggio e<br />

dicendo”io dico il falso” è qualcosa che non si può costruire, perché mi obbliga a stare nel linguaggio e<br />

“dico il falso”, mi obbliga invece a stare fuori, a stare nel metalinguaggio e queste due cose devono essere<br />

distinte, devono essere tenute separate. <strong>Il</strong> teorema di Tarski dimostra, per l’appunto, che devono essere<br />

separate, perché esiste una definizione di verità, ma se questa definizione di verità del linguaggio fosse<br />

dentro il linguaggio ci sarebbe una contraddizione e allora deve stare fuori. Questo è per appunto uno dei<br />

grandi risultati della logica moderna.<br />

<strong>Qui</strong> vediamo invece Bertrand Russell che fu insomma un famoso filosofo, come logico agli inizi del secolo<br />

sembrava che sarebbe stato destinato a diventare il più importante,<br />

invece forse i suoi contributi non furono così grandi, ma oggi ne<br />

parliamo per quanto riguarda il paradosso del mentitore, anche a lui<br />

dedicheremo una lezione molto più in là, verso la fine del corso e<br />

quindi vedremo meglio quali sono stati i suoi contributi. Ebbene,<br />

Russell nel 1918 scopre questa riformulazione del paradosso del<br />

mentitore: consideriamo un barbiere in un villaggio che rade<br />

tutti e soli gli abitanti del villaggio che non si radono da soli,<br />

cioè il villaggio è piccolo, non c'è bisogno di più di un barbiere<br />

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comune, questo barbiere fa la barba a tutti gli abitanti del villaggio che non si fanno la barba da soli, ma<br />

soltanto a loro. Allora domanda che Russell pose è: chi rade il barbiere? Ovviamente il barbiere non si può<br />

radere da solo perché, per definizione, abbiamo appena detto che questo è un barbiere, che fa la barba<br />

soltanto agli abitanti della città che non si fanno la barba da soli, quindi non se la può fare lui. E allora non<br />

si rade, voi direte, eh, no, perché se lui non<br />

si rade, allora è uno degli abitanti della città che non si fanno la<br />

barba da soli, quindi deve andare dal barbiere,<br />

quindi deve farsi la barba. Ed ecco che di nuovo, il solito<br />

trucco, il solito circolo vizioso viene scoperto<br />

in una forma molto diversa. Attenzione, questo non è un<br />

paradosso, perché questo vuol soltanto dire che non c'è nessun barbiere di quel genere, non esiste un<br />

villaggio in cui ci sia un barbiere che rade<br />

tutti e soltanto gli abitanti della città. Però possiamo avvicinarci<br />

un pochettino di più e andare a scavare,<br />

diciamo così meglio, sotto questo paradosso del mentitore nella<br />

forma del barbiere. Questa nuova riformulazione<br />

fu fatta nel 1947 da questo filosofo Reichenbach, un<br />

filosofo della scienza che non è, ovviamente,<br />

questo signore, l’avrete conosciuto, è Kirk Douglas, il papà di<br />

Michel Douglas, che oggi forse più famoso<br />

per i giovani. Questo è un fotogramma di un famoso film di<br />

Kubrick che si chiama “orizzonti di gloria”, un grande film antimilitarista degli anni 50, un bellissimo film,<br />

forse uno dei più belli di Kubrick; ebbene, lo abbiamo messo qui<br />

soltanto perché Reichenbach diede una riformulazione del paradosso<br />

del mentitore nella forma di Russell del barbiere, parlando di barbieri<br />

della caserma. Che cos'è cambiato questa volta? E’ cambiato il fatto che<br />

quando si è in caserma, qualcuno di voi avrà fatto il militare, qualcuno<br />

di voi dovrà farlo primo o poi, ebbene sapete tutti che in caserma,<br />

quando si danno gli ordini, agli ordini si deve obbedire e non si può<br />

stare a questionare, a dire, mah, scusi il suo ordine non mi sembra un<br />

qualche cosa di logico, mi sembra contraddittorio, perché si finisce<br />

subito in galera e quindi è bene non<br />

farlo. Allora la riformulazione data da Reichenbach del paradosso del<br />

barbiere, nella forma di Russell, è la<br />

seguente: supponiamo di essere in caserma, supponiamo che questo<br />

signore con l'aria veramente burbera, stia dicendo a questo signore, che è sempre un militare, “tu devi<br />

radere tutti e soli i militari della caserma che non si radono da soli”. Ora ci troviamo nella stessa situazione<br />

in cui ci eravamo trovati prima, parlando ovviamente di Russell, cioè non sarebbe possibile per il militare<br />

radere tutti e soli i militari della caserma che non si radono da soli, perché c'è questo circolo vizioso, se lui<br />

non si rade, allora dovrebbe radersi e se invece si rade, allora non dovrebbe radersi. La differenza, quello<br />

che è cambiato dal caso precedente, è che il signore (qui appunto Kirk Douglas) ha dato un ordine e il<br />

militare non può rifiutarsi di obbedire; però l'ordine è contraddittorio, quindi che cosa può fare il povero<br />

militare? Ed ecco che stiamo scoprendo che l'antinomia, diciamo così, il paradosso del mentitore, che<br />

sembrava essere poi un giochetto di questi poveri greci, cretesi che dicevano “tutti i cretesi mentono”<br />

eccetera, in realtà può avere anche delle applicazioni nella vita quotidiana e in particolare possono esserci<br />

delle situazioni in cui qualcuno si trova, per l’appunto, come questo povero soldato nella caserma, a<br />

dover ubbidire o a dover sottostare a degli ordini che sono contraddittori. Che cosa succede? Ebbene<br />

succedono delle cose purtroppo molto spiacevoli, perché come<br />

ci ha insegnato questo signore, vedete è Gregory Bateson, uno<br />

dei grandi filosofi della fine della seconda metà del secolo<br />

ventesimo, che ha spaziato in tanti campi, che ha scoperto che<br />

il paradosso del mentitore, sta alla base praticamente o i<br />

meccanismi che sottostanno al paradosso del mentitore, stanno<br />

alla base di alcune malattie mentali ed in particolare, guardate<br />

un po’, c'è questa malattia che si chiama ebefrenia, forse pochi<br />

di voi la conoscono. L’ebefrenia è una fissazione sul<br />

linguaggio; molti di voi, io non posso dirlo perché stiamo<br />

registrando in televisione, ma molti di voi a volte avranno detto<br />

ai loro amici, ma vai..., per esempio possiamo dare una versione edulcorata, ma vai a dormire; ebbene<br />

l’ebefrenico che ha questa malattia mentale, sente la frase del linguaggio, io gli dico vai a dormire e lui va a<br />

dormire, nel senso che non capisce che vai a dormire è un modo così, diciamo, obliquo di dirgli togliti dai<br />

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piedi. Crede che il linguaggio dica effettivamente<br />

quello che effettivamente il linguaggio dice in maniera<br />

aperta e c'è questa sensazione, cioè l'incapacità<br />

di capire che dietro il linguaggio, dietro il primo strato,<br />

dietro appunto l'aspetto linguistico, ci può essere il metalinguaggio, ci può essere un secondo significato e<br />

sentirsi dire vai a dormire, può significare appunto<br />

semplicemente togliti dai piedi. C'è una malattia uguale e<br />

contraria che si chiama paranoia; la paranoia<br />

è invece la fissazione sul metalinguaggio. Questa volta il<br />

paranoico invece cerca sempre un livello diverso<br />

delle cose che gli vengono dette e non riesce mai a capire<br />

che a volte le cose che gli vengono dette sono quelle che vengono dette; per esempio, se incontrate una<br />

signora o una signorina paranoica e le dite; oh, come sei bella quest'oggi, magari intendendolo, la signorina<br />

paranoica, ah, ho capito cosa vuoi dire, ecco<br />

mi stai dicendo che sono bella perché in realtà hai visto che<br />

sono vecchia o cose del genere. <strong>Il</strong> paranoico fa questa cosa. Ed ecco che allora la distinzione fra linguaggio<br />

e meta- linguaggio che sembrava essere una distinzione innocua, praticamente, semplicemente linguistica e<br />

logica, in realtà sta sotto per l’appunto queste malattie e quindi si potrebbe dire un motto, in qualche modo<br />

sintetizzare il pensiero di Bateson in un motto, dicendo “o si è logici o si riesce a distinguere tra linguaggio<br />

e meta linguaggio o si è patologici”, cioè si diventa dei malati mentali in qualche modo. <strong>Qui</strong>ndi l'idea del<br />

paradosso del mentitore può aiutare, addirittura, secondo Bateson a superare queste malattie mentali, che<br />

non riescono a capire la differenza tra linguaggio e metalinguaggio e uno degli ordini che hanno reso<br />

famoso per l’appunto Bateson nelle sue terapie con i malati mentali è il seguente ordine: disobbedisci! Ora<br />

un malato che si trovi di fronte ad un ordine di questo genere, ma non soltanto malato, ma anche chiunque di<br />

noi, si troverebbe nei problemi. Come si fa a disobbedire, a obbedire ad un ordine che dice “disobbedisci”.<br />

Disobbedire significa non stare a seguire l'ordine che ti sto dicendo; se ti ordino però di disobbedire, allora<br />

se tu effettivamente mi disobbedisci, stai obbedendo e se invece<br />

obbedisci deve disobbedire e quindi c'è questo circolo vizioso. È<br />

sembra, io non ho esperienza, fortunatamente di questi ambienti,<br />

però sembra che effettivamente questa terapia paradossale, questo<br />

tipo di ordini che cercano di rompere i circoli viziosi che si trovano<br />

a volte nelle malattie mentali, si possono effettivamente utilizzare<br />

per questo tipo di ordini, per l’appunto, per spezzare la malattia e in<br />

qualche modo squilibrare lo squilibrato, cioè per evitare che<br />

continui questa fissazione. Ebbene allora, abbiamo capito, credo<br />

che ci stiamo avvicinando per lo meno, alla comprensione del fatto<br />

che la verità e la menzogna non sono poi cose così secondarie, non<br />

sono cose di cui si devono interessare soltanto i logici, soltanto i matematici o se volete, più in generale,<br />

soltanto i filosofi; sono qualche cosa che hanno a che fare con la vita quotidiana. Ebbene, allora per finire,<br />

per arrivare più vicini a noi, voglio farvi alcuni esempi di come effettivamente si riesca anche nell'arte,<br />

anche nella cultura, ad usare il paradosso del mentitore in maniera a volte abbastanza inaspettata. Noi non ce<br />

ne accorgiamo, ma una volta che noi siamo stati allertati, quindi forse anche voi dopo questa lezione,<br />

incomincerete a vedere che effettivamente verità e menzogna sono un pochettino ubique dappertutto, si<br />

trovano anche nella cultura più in generale. Questo signore che molti di voi conosceranno, è uno dei grandi<br />

scrittori di questo secolo, uno scrittore che ebbe dei grandi problemi a causa delle sue preferenze sessuali e<br />

del fatto che poi finì in galera, finì sotto processo ed è Oscar Wilde. Ebbene, Oscar Wilde fece della<br />

menzogna addirittura una bandiera e una delle sue frasi celebri, Oscar Wilde era famoso per i suoi aforismi,<br />

una delle sue frasi più celebri è precisamente questa che “la menzogna è lo scopo dell'arte”. Ebbene, se voi<br />

ci pensate un momentino, effettivamente capite che l'arte è in realtà tutta fatta sulla menzogna. Quando voi<br />

guardate per esempio un dipinto o quando guardate anche soltanto una figura, una raffigurazione, una<br />

immagine, una fotografia, ebbene tutto questo è menzogna. <strong>Qui</strong> si sta ponendo, sulla carta, diciamo così, del<br />

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colore e questo colore, che è una raffigurazione, dovrebbe in qualche modo indicare una persona, ecco la<br />

differenza fra il linguaggio e il metalinguaggio. <strong>Il</strong> linguaggio è l'immagine, la fotografia, il meta linguaggio<br />

è il significato, Oscar Wilde stesso in questo caso. Ebbene, l'arte è tutta basata su questo; pensate alla<br />

prospettiva per esempio, che è un modo di distorcere le linee in maniera apposita, così da far pensare, da far<br />

risultare l'immagine che poi noi vediamo, come se fosse vera. Si mente per dire la<br />

verità, si disegnano le cose appositamente distorte in modo da farle apparire quasi<br />

vere, di farle apparire proporzionali. Per esempio la famosa anamorfosi: voi andate<br />

a Roma a visitare la Cappella Sistina, ebbene ciò che voi vedete dal basso della<br />

Cappella Sistina, queste meravigliose immagini di Michelangelo, vi appaiono in<br />

perfetta proporzione. Se avete visto alcuni dei filmati che sono stati fatti vedere<br />

quando vi era per esempio il restauro della basilica, ebbene se voi questi dipinti<br />

che stanno sulla volta della Cappella Sistina poteste vederli da vicino, vedreste che<br />

sono tutti distorti. Perché? Ma perché sono stati disegnati da Michelangelo per l’appunto in modo distorto,<br />

così che, coloro che li guardano dal di sotto, possono vederli come se fossero invece nelle proporzioni<br />

giuste. <strong>Qui</strong>ndi la menzogna è effettivamente non soltanto una boutade, è quello che diceva Wilde, cioè la<br />

menzogna è un po’ lo scopo, ma è anche il linguaggio dell'arte, cioè l'arte parla attraverso queste menzogne.<br />

Un altro artista molto noto, questo signore dal sorriso molto simpatico, dalla risata simpatica che è John<br />

Cage, il famoso musicista, famoso anche per alcune delle provocazioni più grosse della musica, per esempio<br />

scrisse un pezzo per pianoforte che si chiamava 4 minuti e 33 secondi e questo pezzo è in realtà più famoso<br />

come “il silenzio”, perché consisteva nel fatto di sedersi di fronte al pianoforte e non suonare nulla, non<br />

suonare nulla, perché Cage voleva farci capire che in realtà il silenzio non esiste, quindi se un'artista si pone<br />

di fronte ad un pianoforte e non suona assolutamente<br />

nulla, poi in realtà si sentono lo stesso dei rumori, si<br />

sentono dei signori che tossiscono, quelli<br />

che si muovono o magari l'uccellino che è entrato dentro la sala da<br />

concerto e così via, quindi l'idea che il silenzio non c'è. Ma in parte Cage era anche l'espressione di una<br />

poetica moderna, quella che l'opera d'arte<br />

è finita, che non c'è più niente da dire. Ed una delle frasi più<br />

famoso è proprio questa “non ho niente da dire e lo sto dicendo”. Anche questa, una versione molto sottile<br />

del paradosso del mentitore, perché uno che non ha niente da dire dovrebbe star zitto e invece sta dicendo,<br />

per appunto di non aver niente da dire.<br />

Bene, siamo arrivati alla fine di questa nostra carrellata sul<br />

paradosso del mentitore e ritroviamo qua<br />

giù Pinocchio. Potremmo dire forse alla conclusione della nostra<br />

lezione che forse abbiamo capito che tutto<br />

è menzogna. Però, attenzione, perchè “tutto è menzogna” è una<br />

frase<br />

del tipo di quelle di Epimenide “tutti i cretesi mentono”, perché<br />

se fosse vero che tutto è menzogna, allora anche questa frase sarebbe<br />

vera e in particolare sarebbe falsa, perché tutto è se è falsa può dire<br />

che non è menzogna, lei sarebbe falsa. <strong>Qui</strong>ndi non è possibile che<br />

questa frase sia vera, allora deve essere falsa, ma se è falsa allora<br />

vuol dire che non è vero che tutto è menzogna, vuol dire che ci sono<br />

alcune le verità. <strong>Qui</strong>ndi oggi abbiamo scoperto qualche cosa e questo<br />

per i logici certamente c'importa, perché abbiamo scoperto che ci<br />

sono delle verità e nel futuro cercheremo di avvicinarsi a queste<br />

verità, di scoprirne altre, comunque per quest'oggi abbiamo finito..<br />

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LEZIONE 3: Le gambe di Achille<br />

Siete ormai stati introdotti nelle lezioni precedenti ad alcuni dei problemi della logica. La scorsa lezione, che<br />

è stata la prima vera lezione di questo corso, abbiamo cercato di parlare di uno dei paradossi più famosi, il<br />

paradosso<br />

del mentitore. Quest’oggi faremo una seconda lezione sui paradossi che, come ricorderete forse<br />

da<br />

alcune delle lezioni introduttive, sono stati uno dei motivi introduttori della logica, uno dei motivi che<br />

hanno<br />

spinto i logici filosofi ad interessarsi di questa materia, che è per l'appunto la logica, che poi sarebbe<br />

diventata<br />

la logica matematica. Se il paradosso del mentitore è uno dei più famosi paradossi della storia, il<br />

più<br />

famoso di tutti, forse, è quello di cui si vede qui il nome, cioè Achille. Abbiamo intitolato come al solito<br />

la nostra lezione in maniera un po' scherzosa, la scorsa volta era il naso di Pinocchio, per ricordare appunto<br />

la menzogna, che è un po' caratterizzata da Pinocchio e invece in questo caso siamo passati ad un'altra parte<br />

del<br />

corpo e questa volta le gambe, le gambe di Achille. Avete capito immediatamente che stiamo cercando<br />

di<br />

parlare, stiamo cercando di introdurre, il discorso sul paradosso diZenone, i famosi paradossi di Zenone,<br />

uno<br />

dei quali, il più famoso di tutti tra questi paradossi di Zenone, è per l’appunto quello che si chiama<br />

Achille e la tartaruga. Vediamo più da vicino di cosa si tratta. Questo signore<br />

è per l’appunto Zenone o una<br />

statua che ricorda le fattezze di questo filosofo, che è vissuto nel quinto secolo a. C. Vedete qui scritto sotto<br />

a Zenone “Scuola di Elea”, perché in realtà Zenone non è stato il fondatore di questa Scuola. <strong>Il</strong> vero<br />

fondatore della Scuola di Elea, la Scuola cosi detta Eleatica che si<br />

trovava vicino a Napoli, una delle grandi Scuole della Magna Grecia,<br />

era Parmenide. Parmenide aveva questa idea, che tutti forse<br />

ricorderanno dagli studi di filosofia, che per lui esisteva l'essere e non<br />

il divenire. <strong>Il</strong> divenire era in qualche modo la filosofia di Eraclito e<br />

invece la filosofia di Parmenide era la filosofia dell'essere, cioè che<br />

tutto è statico, niente succede, niente si muove e ciò che noi pensiamo<br />

invece si muova, il movimento appunto, è un illusione in qualche<br />

modo. E allora proprio per cercare di dare man forte al suo maestro<br />

Parmenide, Zenone il quale bisogna anche dire così, in vena di<br />

aneddoto, non era soltanto discepolo, ma anche amante di Parmenide, quelli erano tempi un pochettino<br />

diversi e succedevano queste cose anche nelle scuole, ebbene Zenone cercò di inventare degli argomenti che<br />

poi sarebbero diventati quasi più famosi addirittura degli argomenti del suo maestro Parmenide, a favore<br />

dell'essere. Questi argomenti Zenone li propose, questo era uno dei motivi per cui diventarono così famosi,<br />

sotto forma di paradossi. I paradossi sono delle storielle,<br />

lo abbiamo già visto altre volte nella lezione<br />

introduttiva e nella scorsa lezione, sono<br />

delle storielle che cercano di avere una morale nascosta; c’è un<br />

ragionamento che sembra corretto, però il sembra è dovuta al fatto che in realtà la conclusione è<br />

paradossale, sembra quasi che non stia in piedi. Cerchiamo di vedere più da vicino quali sono stati i<br />

paradossi per l’appunto che Zenone ha introdotto nella filosofia. Sono tutti paradossi che si riferiscono al<br />

moto, perché come abbiamo appena ripetuto e appena ricordato, Parmenide era contrario a questa idea del<br />

moto. L'idea sua era che c'era per l’appunto<br />

quest'essere immobile; allora il primo paradosso di Zenone che<br />

ovviamente è un paradosso, è che non<br />

si può partire. Come mai? Mah, supponete di essere in una certa<br />

posizione, in un certo punto della c ittà per esempio e di dover andare in un' altra parte della città.<br />

Paradossi del moto Potete partire? Evidentemente no, perché per partire questo<br />

non si può partire significherebbe che dovette incominciare un viaggio che va dal<br />

non si può essere in viaggio punto di partenza al punto di arrivo, ma questo viaggio non si<br />

non si può arrivare può incominciare, perché prima di andare dal punto di partenza<br />

al punto di arrivo dovete andare dal punto di partenza a metà strada. Voi direte, va bene, questa è metà del<br />

mio viaggio, metà del proposito che mi sono posto; però per arrivare dalla partenza a metà della strada,<br />

dovete prima arrivare dalla partenza ad un quarto della strada e così via ovviamente, perché questi paradossi<br />

si basano tutti su questo regresso all'infinito, su questo “e così via”, su questi “puntini” che sono lasciati così<br />

in sospensione. Allora, per andare dagli inizi alla fine, bisogna prima arrivare a metà, bisogna prima arrivare<br />

ad un quarto, bisogna prima arrivare ad 1/8 e così via, per distanze sempre più piccole, il che significa che<br />

non si può mai partire, perché bisognerebbe sempre percorrere una distanza ancora più piccola di quella che<br />

si dice che serva per iniziare il viaggio. Bene, il secondo paradosso di Zenone è che “non si può essere in<br />

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viaggio”. Questo è il famoso paradosso della freccia. Come mai non si può essere in viaggio? Ma perché,<br />

prendete per esempio una freccia che sta volando in cielo oppure un'automobile oggi, un aeroplano che sta<br />

volando nel cielo, le automobili oggi volano, in genere su autostrade ad una velocità che non dovrebbe<br />

essere permessa, ebbene dicevo, se voi prendete una freccia o qualche cosa che si muova nello spazio e<br />

incominciate a fare delle fotografie di questa freccia, vedete che la freccia è ferma, in qualunque momento<br />

del suo motto, in qualunque momento del suo viaggio la freccia sta ferma. E allora il paradosso è: com'è<br />

possibile essere in viaggio, se il viaggio consiste di una serie infinita di momenti in ciascuno dei quali si sta<br />

fermi, cioè il paradosso sta appunto in questa paradossale commistione; da una parte il fatto che c'è un<br />

movimento, tutti sappiamo che effettivamente ci si muove da una parte all'altra e dall'altra parte invece c'è<br />

questa assurdità che sembra che il moto sia fatto invece di tanti istanti in ciascuno dei quali noi siamo fermi,<br />

cioè il moto è fatto di tante fermezze, per così dire. Oggi è chiaro che soprattutto questo secondo paradosso<br />

di Zenone è poco convincente, perché noi siamo abituati, tutti noi abbiamo avuto forse delle cineprese e<br />

soprattutto quelle vecchie cineprese in cui si metteva una pellicola; oggi si fanno le cose diversamente, in<br />

maniera digitale, ma quando c'era la pellicola, la pellicola era fatta di una serie di fotogrammi ed era proprio<br />

basata su questo trucco, cioè in altre parole il cinematografo era una incarnazione del paradosso di Zenone,<br />

nel senso che si faceva una serie di fotogrammi, una serie di fotografie, ciascuna delle quali statiche, perché<br />

la fotografia in qualche modo congela il movimento e poi facendo percorrere, facendo vedere velocemente<br />

queste fotografie in successione una dietro l'altra, si creava un'illusione di movimento, ma è proprio questo<br />

voleva dire sia Parmenide che Zenone, che il movimento è un illusione, perché noi in realtà siamo sempre<br />

fermi e ci sembra che sia noi che gli altri ci muoviamo, ma in realtà se andiamo a vedere l'essenza di questo<br />

movimento, se andiamo a vedere gli istanti di cui questo movimento si compone, ci accorgiamo che non<br />

siamo mai movimento. <strong>Qui</strong>ndi questo secondo paradosso dice che non soltanto non si può partire, ma non si<br />

può nemmeno essere in viaggio e il terzo è simmetrico a questo qui ovviamente, cioè non si può nemmeno<br />

arrivare, come mai? Beh, l'argomento è ovviamente simmetrico a quello per cui non si può partire. Se<br />

dovete partire da un certo punto e arrivare ad una certa metà, prima di arrivare a quella meta, dovete<br />

percorrere la prima metà della strada, questo è lo stesso inizio che abbiamo gia usato nel primo paradosso,<br />

quando siete a metà della strada, dovete ancora percorrere la seconda metà, ma prima di fare l’intera<br />

seconda metà, dovete fare la sua metà, cioè un quarto, poi dovete fare 1/8, poi dovete fare 1/16 e così via e<br />

non arriverete mai alla vostra meta. Questo è praticamente in sintesi, diciamo così, il succo dei paradossi di<br />

Zenone sul moto. <strong>Il</strong> moto è impossibile perché non è possibile partire, non è possibile arrivare e non è<br />

possibile essere in moto e quindi insomma non ci può assolutamente muoversi. Naturalmente, come ho<br />

detto, questi paradossi sono convincenti fino ad un certo punto, perché coloro che non credono che la vita in<br />

generale e il movimento più in particolare siano un'illusione, magari qualcuno ci crede, ad esempio altre<br />

filosofie, altre culture per esempio quelle orientali, effettivamente sono più vicine a questi tipi di<br />

atteggiamenti, ma noi che siamo occidentali, non crediamo che la vita sia una di un'illusione, non crediamo<br />

che il movimento sia una un'illusione e dunque prendiamo questi paradossi di Zenone o i paradossi più in<br />

generale della scuola di Elea come delle contraddizioni. Ci dev'essere qualche cosa di sbagliato in questi<br />

ragionamenti e la logica ha come uno degli scopi, quello di andare ad analizzare questi ragionamenti più da<br />

vicino, cercare di vedere dove sta l'errore, dove sta l'inghippo. E allora vediamo che cosa succede nella<br />

storia della logica riguardo in questo caso, quest'oggi, al paradosso di Zenone. Naturalmente questi<br />

paradossi, come ho detto prima nel titolo, non c’è più il caso di ripeterli, raccontando la storiella di Achille e<br />

la tartaruga, l'abbiamo già fatto in una delle lesioni introduttive, una delle storie di Zenone era per l’appunto<br />

questo fatto, il fatto che, se la tartaruga parte con un handicap che gli viene dato da Achille per esempio 10<br />

m, ebbene Achille in qualche modo si è giocato l'intera gara perché non potrà mai superare la tartaruga,<br />

perché prima dovrà percorrere la distanza che le ha concesso come handicap, nel frattempo la tartaruga si<br />

mossa di una certa distanza, Achille deve percorrere questa seconda distanza e così via all'infinito e quindi<br />

quella è soltanto una forma più duratura, più sempiterna, perché anche letterariamente più efficace degli<br />

stessi tipi di paradossi che qui abbiamo analizzato in una maniera un pochettino più astratta; però, poiché<br />

non vogliamo essere assolutamente astratti, vogliamo cercare di vedere più da vicino come il paradosso si è<br />

mosso nella storia, ma prima di andare a vedere appunto altre metamorfosi di questo paradosso, dobbiamo<br />

cercare di capire che cosa i greci dedussero da questo paradosso. Ebbene i problemi che i greci videro in<br />

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questi argomenti eleatici furono due sostanzialmente: il primo, un problema di fisica, cioè il paradosso<br />

funziona soltanto se è possibile fare un'ipotesi che in questo ragionamento è nascosta ed è, appunto questo<br />

che dicevano, che la logica cerca di mettere in maniera esplicita queste assunzioni implicite. L'assunzione<br />

Problemi implicita che sta fisicamente dietro questi paradossi è che<br />

Fisica: divisibilità dello spazio lo spazio sia divisibile all'infinito, cioè che sia possibile dire<br />

che tra questi due punti ce ne stanno una infinità”. Ora da<br />

Logica: regresso all’infinito un punto di vista matematico questo è vero, ma da un punto<br />

di vista fisico questo non è assolutamente detto che sia vero e infatti di qui o per lo meno, in base a questi<br />

ragionamenti, nacque poi anche la teoria dell'atomismo, che sosteneva, che supponeva che, in realtà, i corpi<br />

che ci sembrano essere fatti in maniera divisibile all'infinito, in realtà sono fatti di particelle indivisibili che i<br />

greci chiamavano atomi e poi sono diventati gli atomi della chimica della fine dell'800, quando si pensava di<br />

essere effettivamente arrivati ai mattoni dell'esistenza e che poi oggi invece sono diventate le particelle che<br />

costituiscono la materia, i quanti di energia, le stringhe, alle quali accenneremo in una lezione seguente e<br />

così via. <strong>Qui</strong>ndi effettivamente questo problema che esiste, cioè dietro gli argomenti di Zenone, dietro i<br />

paradossi di Achille e la tartaruga e alle sue varianti, c'è questo problema della divisibilità dello spazio. È<br />

possibile dividere lo spazio, dividere un segmento fisicamente spaziale in una infinità di punti oppure questa<br />

è soltanto una idealizzazione che f anno i matematici e invece i fisici non possono permettersi queste<br />

idealizzazioni, perché lo spazio non è divisibile oppure siamo nel caso contrario? Questo è il problema<br />

sollevato per quanto riguarda la fisica. Per quanto invece riguarda la logica, il problema è quello al quale<br />

abbiamo già accennato altre volte ed è il regresso all'infinito. Tutti questi paradossi si basano sul “e così<br />

via”, sui “puntini”, sulla possibilità di ripetere lo stesso argomento decine e decine di volte, anzi un'infinità<br />

di volte. Ed è proprio questo che appunto i greci rifiutarono all’epoca , rifiutando il concetto di infinito.<br />

Benissimo, andiamo a vedere allora più da vicino quali sono le possibili soluzioni di questo paradosso e le<br />

soluzioni sono per l'appunto queste: rifiuto dell'infinito da una parte fisico, cioè lo spazio non si può<br />

dividere all'infinito e dall'altra parte rifiuto dell'infinito logico, cioè non è possibile fare regressi<br />

all'infinito. Ebbene, questo sostanzialmente è l'impianto del pensiero greco, l'impianto del pensiero greco,<br />

Soluzione del pensiero eleatico e quali sono stati i problemi che ha sollevato, quali sono<br />

Rifiuto dell’infinito state le soluzioni che sono state proposte. E adesso invece affrontiamo quello<br />

che abbiamo annunciato poco fa, cioè le metamorfosi del paradosso nella storia. Una prima metamorfosi è<br />

come vedete molto vicina al Zenone, qualcuno pensa che sia addirittura indipendente, un secolo soltanto<br />

dopo in Cina, dall'altra parte del mondo all'epoca sconosciuto.<br />

Questo filosofo che si chiama Chuang Tzu, è un filosofo della scuola<br />

Taoista che ha una storia praticamente simile, che dice: beh, se voi<br />

prendete un bastone, anzi addirittura uno scettro reale e se ogni volta che<br />

muore il re, tagliate metà dello scettro e consegnate quello che rimane al<br />

successore di questo re, non importa perché in fin dei conti le dinastie<br />

potranno andare avanti, come diceva lui, per 10.000 anni, che era il modo<br />

di dire dei greci all'infinito. Anche qui, c'è un'idea del bastone che si può<br />

praticamente tagliare a metà ogni volta, senza che il bastone mai<br />

scompaia, sempre ci sarà una parte di questo bastone che rimane, così<br />

come questa cosa che io ho in mano (bastone!), lo possiamo prima<br />

dividere a metà, poi dividere a metà, poi continuare a dividerlo a metà, qui io mi fermo, ma naturalmente nel<br />

paradosso si può continuare all'infinito. <strong>Qui</strong>ndi anche in Cina, non soltanto in Grecia, questi argomenti<br />

furono scoperti più o meno nello stesso tempo. Invece nell'occidente, che è la parte su cui noi ci<br />

concentreremo per ovvi motivi, ci fu tutta un'intera scuola, che si chiama “la Scuola dello scetticismo”, di<br />

cui ho elencato qui tre dei massimi esponenti, cioè Pirrone nel quarto secolo a. C., Agrippa nel primo secolo<br />

a. C. e Sesto empirico nel second o secolo d. C, che è quello da cui poi in realtà traiamo quasi tutte le nostre<br />

informazioni, perché lasciò una en orme varietà di scritti, dei quali poi parleremo anche in seguito, quando<br />

Scetticismo<br />

parleremo della logica stoica. Quali sono gli argomenti su cui<br />

Pirrone (IV secolo a. C.)<br />

si basarono gli scettici? Ebbene gli scettici si basarono su un<br />

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Agrippa (I secolo a. C.) argomento molto interessante, cioè il fatto di dire che il tipo di<br />

Sesto Empirico (II secolo a. C.) argomento che Zenone aveva inaugurato con i suoi paradossi, in<br />

realtà si poteva trasportare nel campo in questo caso della logica, che proprio quello che interessa a noi e in<br />

particolare si potevano ottenere, io qui ho scritto “problemi”, ma sono anche qui dei paradossi, delle<br />

antinomie, problemi che hanno a che fare con il concetto di dimostrazione e con il concetto di definizione,<br />

che sono per l’appunto due concetti essenziali della matematica e delle scienze in generale, ma soprattutto<br />

della logica, perché di questo che noi ci interessiamo.<br />

Problemi <strong>Il</strong> primo paradosso è che “niente si può provare”. Come mai niente<br />

Niente si può provare si può provare? Ma perché, se voi volete dimostrare qualche cosa,<br />

ebbene questo qualche cosa o lo prendetelo come evidente, ma<br />

Niente si può definire questa non è una dimostrazione, non si può dire “tu devi accettare questo<br />

perché lo dico io perché la cosa è evidente, ma le dimostrazioni sono qualcosa che si basano su un'ipotesi.<br />

Benissimo, allora se una certa affermazione viene dimostrata basandola su un'ipotesi, allora quest'ipotesi per<br />

quale motivo noi dovremmo accettarla? Beh, per lo stesso motivo per cui accettavamo la conclusione,<br />

perché in qualche modo si basa anche lei su un'altra ipotesi e questa seconda ipotesi che sta ancora monte<br />

della prima, come mai dovremmo accettarla? Per lo stesso motivo, perché dovremo ridurre questa ipotesi ad<br />

una terza ipotesi e così via. <strong>Qui</strong>ndi vedete qui, lo stesso regresso all'infinito che abbiamo visto prima nei<br />

paradossi del moto, riappare nello stesso modo praticamente e crea un problema per quanto riguarda le<br />

dimostrazioni. Non è possibile dimostrare nulla perché dimostrare significa basarsi su ipotesi, questa ipotesi<br />

a loro volta devono essere dimostrati e così via. Stessa cosa per quanto riguarda le definizioni. Vogliamo<br />

definire un termine, quando parliamo con qualcuno che ci chiede, mah, che cos'è l’amore per esempio e<br />

questo spesse volte succede: che cos'è l'amore? Allora bisogna definire in qualche modo, con qualche frase,<br />

che cosa significa per amore. Ma questa frase userà delle parole e se vogliamo intenderci su quelle parole,<br />

dovremmo definire anche quelle parole; a loro volta tutte queste definizioni saranno basate su parole, le<br />

quali hanno bisogno di definizione e così via. Si risale all’indietro e non c'è mai possibilità di arrivare alla<br />

fine. Qual è stata la soluzione di questi problemi, perché se prima i problemi del moto non davano poi molto<br />

fastidio, perché se si dice che “Zenone dice che Achille non può raggiungere la tartaruga”, a noi importa<br />

abbastanza poco, perché sappiamo benissimo che se dobbiamo andare da una parte all'altra della città,<br />

partiamo la mattina, partiamo al momento in cui dobbiamo partire e arriviamo, perché, insomma, facciamo<br />

il moto, quindi quei paradossi lì erano poco convincenti. Ma quando invece si parla di logica, quando si<br />

tratta di provare qualche cosa, di definire qualche cosa, beh, questi sono problemi che non si possono<br />

semplicemente spazzare sotto il tappeto. Ed ecco che allora le soluzioni che sono state trovate dai greci,<br />

sono le soluzioni che ancora oggi vengono accettate dalla comunità dei matematici, dalla comunità dei<br />

logici, perché sono quelle che effettivamente in qualche modo sono definitive.<br />

Soluzioni Per quanto riguarda il primo problema, cioè il fatto che non si possa<br />

Assiomi dimostrare niente, perché se uno vuole dimostrare tutte ipotesi sulle<br />

quali si basa un ragionamento, allora dovrà risalire indietro l'infinito,<br />

Nozioni primitive ebbene si traduce semplicemente nel fatto che, ad un certo punto,<br />

questo regresso all'infinito bisogna fermarlo, bisogna arrivare ad un punto in cui non si dice più, questa<br />

cosa la dobbiamo ancora dimostrare, ma semplicemente questa cosa l'accettiamo, perché altrimenti non<br />

sarebbe possibile fare nessun ragionamento. Queste cose, queste affermazioni, queste proposizioni che noi<br />

accettiamo senza dimostrazione, vengono chiamate in matematica assiomi. Ed ecco qui che abbiamo<br />

introdotto, magari così scherzando, parlando di paradossi, uno dei concetti fondamentali della matematica,<br />

non soltanto moderna, ma già anche di quell'antica, già euclidea, perché Euclide fece questo primo grande<br />

lavoro, questo primo grande trattato di geometria “elementi di geometria” di Euclide, che si basavano<br />

proprio questo impianto, cioè sul fatto di stabilire una volta per tutte quali sono i punti di partenza,dopo di<br />

che si prendono questi per buoni e si deducono i teoremi, si deducono le conclusioni, ma prima insomma<br />

bisogna in qualche modo porre le fondamenta e le fondamenta si chiamano per l’appunto assiomi.. Questo<br />

per quanto riguarda le dimostrazioni, ma per quanto riguarda le definizioni dobbiamo fare qualche cosa di<br />

analogo. E allora ciò che corrisponde agli assiomi per i teoremi, nel caso delle definizioni sono le “nozioni<br />

primitive”, cioè molte delle cose, molti dei concetti di cui si parla in matematica, nelle teorie matematiche,<br />

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anche in filosofia, sono ovviamente delle cose che definiamo, sono concetti definiti, ma tutte le definizioni,<br />

per avere un senso, devono ad un certo punto arrivare al punto di partenza e fermarsi, cioè devono arrivare a<br />

dei punti che non sono più definiti, così come le proposizioni, devono arrivare a dei punti in cui non si<br />

dimostra più. Le cose che non si dimostrano si chiamano “assiomi”, le cose che non si definiscono si<br />

chiamano “nozioni primitive” e proprio su questo impianto, Euclide basò la sua grande opera, il suo grande<br />

monumento alla matematica, appunto questi elementi.<br />

<strong>Qui</strong>ndi i “cinque famosi assiomi di Euclide”, di cui parleremo poi ancora in seguito, quando arriveremo<br />

verso il ‘700-‘800 e le “nozioni primitive”. Bene, facciamo un salto nel tempo e andiamo a vedere che cosa<br />

successe ai paradossi di Zenone nel campo della teologia invece, perché verso il 1300, ma anche prima, tra<br />

il 1000 e il 1300 fiorì questo movimento, il cosiddetto movimento della Scolastica, che fu il movimento che<br />

diede vita alla teologia razionale di cui abbiamo già parlato in una delle lezioni introduttive. <strong>Qui</strong> ho segnato<br />

alcun dei tre, anzi i tre personaggi più importanti, la trinità diciamo così di questa teologia razionale: sono<br />

Aristotele, Avicenna e Tommaso.<br />

Tutti e tre questi personaggi cercarono di utilizzare queste nozioni per arrivare a definire e dimostrare<br />

l'esistenza di Dio; quindi vedete che già queste nozioni di definizione e di dimostrabilità erano entrate nel<br />

saper comune, erano entrate nella pratica filosofica e anche teologica. Allora vediamo più da vicino che cosa<br />

succede, cioè le nozioni di Dio che<br />

questi signori avevano in mente. Nelle figure ci sono Aristotele e<br />

Tommaso d’Acquino, un po’ i due capisaldi, l’inizio e la fine di questo genere di discussioni e ci sono anche<br />

le cinque famose definizioni che si riferiscono alle cinque vie di Tommaso, cioè i cinque modi per arrivare<br />

alla divinità. La divinità viene definita come “l'ente necessario”, cioè qualche cosa che non richiede nessun<br />

motivo per esistere, esiste semplicemente perché è lì, perché è necessario che esista. La seconda definizione<br />

“l’ente perfetto”, perché la divinità è in contrapposizione con l'ente imperfetto, con tutte le cose che noi<br />

vediamo sulla terra che sono ovviamente imperfette e Dio dovrebbe essere l’astrazione di queste cose e<br />

l’astrazione di ciò che noi abbiamo intorno, è un essere per l’appunto perfetto. La terza definizione “il primo<br />

motore”, cioè vediamo in terra cose che si muovono il cui moto è causato da qualche cos'altro e se noi<br />

risaliamo all'indietro in questa successione, in questa catena di cause, arriviamo,ad un certo punto a quello<br />

che si chiama “il primo motore”, cioè ciò che muove senza es sere mosso. La quarta definizione “la causa<br />

prima” è lo stesso tipo di argomento, lo stesso tipo di nozione, però riferito non più al moto, bensì alla<br />

casualità. La quinta definizione “il fine ultimo” è semplicemente l'ente simmetrico dall'altra parte, cioè<br />

guardare non a che cosa causa, ma a che cosa viene causato, perché si fanno le azioni e allora ciascuna delle<br />

nostre azioni ha un certo fine, il fine a sua volta avrà un altro fine e così via, però se vogliamo evitare questo<br />

regresso all'infinito o in questo caso progresso all'infinito, dobbiamo ad un certo punto fermarci e arrivare a<br />

dire, bene, ci dev'essere qualcosa che è fine di ciò che viene prima, ma che non ha a sua volta un fine, è<br />

l'ultimo fine, così come la cosa prima o il primo motore erano i primi. Ebbene tutte queste nozioni di Dio,<br />

tutti gli argomenti della scolastica o perlomeno anche della teologia, alla maniera in cui la faceva Aristotele,<br />

sono tutti basati su argomenti che sono l’analogo costruttivo di questi paradossi di Zenone, cioè il rifiuto del<br />

regresso all'infinito. Però come potete immaginare, queste cose oggi sono un pochettino passate in<br />

giudicato, diciamo così, non sono più quelle che noi oggi seguiamo nella nostra storia. Ebbene, allora<br />

cerchiamo di venire più da vicino a noi e cercare di vedere come il paradosso di Zenone è stato affrontato<br />

nei secoli più moderni. <strong>Il</strong> 1600, questo signore Gregorio di San Vincenzo, che era un filosofo, anche lui un<br />

teologo, finalmente per la prima volta introduce quella che oggi è, o una di quelle, che oggi vengono<br />

considerate come le soluzioni del paradosso di Zenone. Gregorio di San Vincenzo rivede il paradosso di<br />

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Zenone e scopre che cosa? La cosa più ovvia diremmo oggi, cioè che qui abbiamo un segmento che<br />

possiamo chiamare uno, che non sappiamo quanto sia, per esempio 1 km o 1 m, quello che vogliamo, una<br />

distanza che vogliamo percorrere. Che cosa dice il paradosso? E’<br />

impossibile percorrere questa distanza, perché prima dobbiamo fare<br />

metà di questa distanza ed ecco che metà, lo scriviamo adesso in<br />

termini matematici, 1/2, poi dobbiamo fare la metà di quel che<br />

rimane, che sarebbe metà di metà, cioè un quarto, che scriviamo di<br />

nuovo in termini matematici con +1/4, perchè lo dobbiamo sommare<br />

a quello che già abbiamo già fatto, cioè alla prima metà del percorso,<br />

poi dobbiamo sommare la metà della metà della metà, cioè +1/8 e<br />

così via. <strong>Il</strong> così via lo scriviamo, come si scrive ovviamente, cioè con<br />

i puntini, perché bisogna andare all'infinito e la soluzione di Gregorio<br />

di San Vincenzo è che non c'è nessun paradosso. Queste è una somma<br />

infinita, ci sono infiniti termini, ma non c'è nessun paradosso nel supporre che una somma d’infiniti termini<br />

sia in realtà finita lei stessa, cioè è possibile introdurre delle somme analoghe a quelle solite che facciamo<br />

con i numeri interi o frazionari, però se di solito aggiungiamo soltanto una quantità finita di numeri, ebbene<br />

in questo caso ne aggiungiamo una q uantità infinita, ma la somma in questo caso rimane finita. Questo è<br />

l'inizio di quello che viene chiamata l'analisi matematica moderna, cioè la cosiddetta teoria delle serie; una<br />

somma di questo genere viene chiamata<br />

serie, perché appunto ci sono tanti termini in serie. Ebbene, qui si<br />

scopre per la prima volta, che il risultato<br />

di Zenone poteva essere interpretato in maniera positiva dicendo:<br />

una serie di numeri infiniti sommati l'uno<br />

all'altro può avere una somma finita. Attenzione, non tutte le serie<br />

possono avere una somma finita, se voi fate per esempio 1/2+1/3+1/4+1/5+…, cioè l'inverso di tutti i<br />

numeri, questa è una serie che invece non<br />

ha somma. Ed ecco che allora di lì nasce il problema, il bisogno di<br />

sapere quand’è che una serie ha una somma,<br />

quand'è che non ce l’ha e di qui nasce per l’appunto l'analisi<br />

che sarà poi portata allo sviluppo da Newton, Leibniz e così via ed è proprio l'analisi che serve per far<br />

nascere la fisica moderna, quella su cui<br />

si basano le teorie della fisica, della meccanica e così via, fino alle<br />

teorie più moderne. <strong>Qui</strong>ndi vedete come un paradosso apparentemente innocuo e poi magari anche<br />

fastidioso, potrebbe sembrare una storiellina da nulla, in realtà nascondeva una perla come in un'ostrica e la<br />

perla era che Zenone aveva scoperto un fatto importante e questo gli sembrava paradossale, ma 2000 anni<br />

dopo sembrerà meno paradossale, aveva scoperto che una somma infinita di numeri che sono tutti positivi,<br />

benché via via più piccoli, può avere come somma una quantità<br />

finita. Bene, questo è un risultato molto importante, ma il paradosso<br />

di Zenone ovviamente venne usato in tante maniere. Per l'appunto in<br />

questo caso, ho riportato Lorence Sterne, che scrisse questo famoso<br />

romanzo Tristam Shandy, nel 1760. Sterne fece un uso abbastanza<br />

paradossale esso stesso del paradosso di Zenone dicendo che non è<br />

possibile scrivere la propria autobiografia.Vi leggo la sua paginetta,<br />

perlomeno una frase del suo capolavoro. La frase dice la seguente<br />

cosa: questo mese sono un intero anno più vecchio di quand'ero a<br />

questa epoca 12 mesi fa; essendo arrivato, come potete vedere, quasi a metà del mio quarto volume, ma non<br />

oltre il primo giorno della mia vita, questo dimostra che ho 364 giorni in più da scrivere ora di quando ho<br />

iniziato, cosicché invece di avanzare nel mio lavoro come qualunque altro scrittore mi ritrovo al contrario<br />

in ritardo di altrettanti volumi. Se ogni giorno della mia vita fosse così denso e gli avventi le considerazioni<br />

su di esso richiedessero altrettante descrizioni, a questo ritmo, vivrei 364 volte più veloce di quanto possa<br />

scrivere; ne consegue che, più scrivo,<br />

più avrò da scrivere e di conseguenza voi lettori più leggete e più<br />

avrete da leggere. Beh, il paradosso di<br />

Sterne era precisamente questo, cioè che lui si mise a scrivere la<br />

propria autobiografia nel 1760, produsse<br />

quattro volumi come dice e alla fine del quarto volume aveva<br />

appena finito di raccontare il primo giorno<br />

della sua vita. A questo ritmo è chiaro che ogni volta che un<br />

giorno della vita è passato, bisogna scrivere<br />

quattro volumi che richiedono un anno di tempo e ovviamente<br />

la vita se ne va, perché questa cosa si ingigantisce<br />

sempre più e il paradosso è che non è possibile scrivere la<br />

propria autobiografia, perché più si vive più c'è da scrivere e più c'è da scrivere, ovviamente, più c'è bisogno<br />

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di tempo per scrivere eccetera. <strong>Qui</strong>ndi questo è ovviamente un modo scherzoso, ma molto interessante,<br />

molto arguto, perfettamente inglese tra l'altro, di usare il paradosso di Zenone. Sempre per rimanere in<br />

Inghilterra, ma per arrivare più vicini a noi, Lewis Carroll, che tutti voi conoscerete, questo signore vestito<br />

da prete, perché prete era, lavorava in un collegio di Oxford, era un professore di matematica, ma voi lo<br />

conoscete quasi tutti per motivi differenti. Lewis Carroll è noto per aver scritto due romanzi, due racconti<br />

molto noti per bambini, che si chiamano appunto “Alice nel paese delle meraviglie” e “Alice attraverso lo<br />

specchio”. Ebbene, Carroll insegnava matematica, scriveva questi racconti per delle sue amichette, delle<br />

bambine a cui li raccontava e però ogni tanto si interessava anche di logica, perché di professionista quello<br />

faceva. Ebbene scrisse un saggio che si intitola “Ciò che la tartaruga disse ad Achille” nel 1895, quindi la<br />

fine dell'800, nel periodo in cui incominciavano ad arrivare questi paradossi anche nella matematica, il<br />

paradosso di Russell a cui abbiamo accennato e su cui ritorneremo; ebbene Lewis Carroll propose un<br />

paradosso che faceva vedere che non è possibile ragionare. E’ un<br />

paradosso molto simile a quello degli scettici a cui abbiamo<br />

accennato prima; gli scettici dicevano non è possibile dimostrare<br />

nulla perché c'è bisogno sempre di riportare all'indietro l'ipotesi, non<br />

è possibile definire nulla, perché c'è sempre bisogno di spostare<br />

indietro le definizioni. Ebbene, Lewis Carroll dice che non è<br />

possibile nemmeno ragionare perché bisogna usare delle regole, ma<br />

come facciamo a capire come si usano le regole; beh, c'è bisogno che<br />

qualcuno ce lo dica. Ebbene, dirci come si usano le regole significa<br />

dare un'altra regola, una metaregola, per così dire, che ci dice come usare le regole. Benissimo, ma questa<br />

meta-regola come facciamo a capirla? Anche lei a sua volta avrà bisogno di un'altra meta-metaregola che si<br />

spiega come fare a usare questa metaregola e così via; quindi anche le regole che noi diamo del<br />

ragionamento, non soltanto i punti di partenza, non soltanto gli assiomi, ma anche le regole stesse del<br />

ragionamento logico, sono cose che in teoria dovrebbero continuare a risalire all'infinito. <strong>Qui</strong>ndi vedete lo<br />

stesso tipo di argomenti usati in maniera<br />

scherzosa e il titolo si riferisce al fatto che il saggio di Lewis<br />

Carroll è scritto come un dialogo tra Achille e la tartaruga e il dialogo è fatto quando si suppone che in<br />

realtà Achille e la tartaruga si siano fermati<br />

Ovviamente sappiamo che, per il paradosso Achille, non poteva<br />

raggiungere la tartaruga, si suppone che<br />

la tartaruga si sia fermata, Achille arriva, si siedono e incominciano<br />

a discutere di logica matematica. <strong>Qui</strong>ndi,<br />

vedete come queste cose, ancora 2500 anni dopo, continuavano ad<br />

avere vitalità. Un'altra formulazione molto<br />

interessante del paradosso di Zenone è questo qui, dato da Joshua<br />

Royce, che è un filosofo verso la fine dell'800.<br />

Questo che vedete qui, in questo rettangolo, dovrebbe essere<br />

l'Inghilterra, perché Royce era anche lui inglese, tanto per rimanere in questa scia. Ebbene, questa è una<br />

é<br />

mappa dell'Inghilterra, come potete vedere, un pezzo soltanto del territorio. Se questa mappa è ben messa, è<br />

ben fatta, cioè riporta tutti i particolari, poiché sul territorio dell'Inghilterra c'è anche lei, c’è anche la mappa,<br />

all'interno di questo territorio ci dev'essere una parte che abbiamo segnato qua giù con un altro<br />

rettangolino (fig. centrale) che è la mappa della mappa, cioè la mappa riporta tutto ciò che è sul territorio;<br />

una parte del territorio è la mappa stessa e il rettangolino verde è quello che all’interno del territorio<br />

individua la mappa dentro il territorio. Benissimo, ma una volta che abbiamo fatto questo gioco, all’interno<br />

di questa mappa ci sarà una mappa della mappa e cosi via e infatti qui (fig. dx) ne abbiamo messo una<br />

dentro l’altra di questo genere. Ebbene, la cosa interessante è che questo ragionamento di Royce si può<br />

rivoltare, lungi dall'essere un paradosso, si può far diventare una teorema e il teorema è il cosiddetto<br />

teorema del punto fisso. Eccolo qua (fig. dx), se voi continuate a prendere una mappa all'interno della quale<br />

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c'è una mappa, della mappa, della mappa, della mappa, ad un certo punto arriverete a definire un unico<br />

punto, soltanto uno e questo ha una particolarità molto speciale, cioè è un punto che ovviamente sta sul<br />

territorio, perché la mappa è posata sul territorio, ma sta anche sulla mappa, perciò è un punto che coincide<br />

sia sulla mappa che sul territorio. Notate per esempio che questo angolo qui sulla mappa (fig.1 a , angolo dx<br />

in alto), quando noi andiamo a<br />

vedere dove è messo dentro la mappa è questo qui (segui la<br />

mano), questo è quello, questo è quello e così via; quasi tutti i punti vengono spostati man mano che noi<br />

andiamo a prenderli e metterli dentro la mappa, ma uno di questi punti rimane fermo, si chiama “punto<br />

fisso”, per l’appunto ed è un teorema questo, il “teorema del punto fisso”, cioè quando si fanno giochi di<br />

questo genere, questi tipi di contrazioni, c'è sempre almeno un punto che rimane fermo. Bene, un altra<br />

versione del paradosso di Zenone è data da Franca Kafka. Anzi si dice che tutti i romanzi di Kafka siano in<br />

realtà delle incarnazioni del paradosso di Zenone, perché se voi pensate i protagonisti dei romanzi di Kafka<br />

sono sempre lì di fronte ad infiniti ostacoli, ne passano uno e poi alla fine c'è ne un altro, ce n'è un altro, ce<br />

n'è un altro, ce n'è un'infinità, sono tutti dello stesso genere, uno più piccolo, l'altro più grande; quindi<br />

l'intera letteratura kafkiana è basata sul paradosso di Zenone. <strong>Qui</strong> invece ho citato un particolare esempio, si<br />

chiama il messaggio dell'imperatore, è solo una pagina, ve la lego perché è proprio una versione letteraria<br />

del paradosso di Zenone, si tratta di un brevissimo racconto.<br />

Dice: “l'imperatore, così si racconta, ha inviato a te, ad un singolo, ad un misero suddito, minima ombra<br />

sperduta nelle più lontane delle lontananze del sole imperiale,<br />

proprio a te l'imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di<br />

morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto, sussurrandoli<br />

il messaggio e gli premeva tanto che se le fatto ripetere<br />

all'orecchio; con un cenno del capo ha confermato l'esattezza di<br />

ciò che gli veniva detto e dinanzi a tutti coloro che assistevano alla<br />

sua morte, dinanzi a tutti ha congedato il messaggero. Questi si è<br />

messo subito in moto, è un uomo robusto, instancabile,<br />

manovrando or con l'uno or con l'altro braccio, si fa strada nella folla; se lo si ostacola accenna al petto su<br />

cui ha segnato il sole e procede così più facilmente di chiunque altro, ma la folla è così enorme e le sue<br />

dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all'aperto come volerebbe e presto ascolteresti i magnifici colpi<br />

della sua mano alla tua porta, ma invece si stanca inutilmente. Cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo<br />

più interno, non uscirà mai a superarle e anche se gli riuscisse, non servirebbe a nulla, dovrebbe aprirsi un<br />

varco scendendo tutte le scale e anche se gli riuscisse non servirebbe a nulla; c'è ancora da attraversare tutti i<br />

cortili, dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni e anche se riuscisse a precipitarsi fuori<br />

dell'ultima porta, ma questo mai e mai e poi mai potrà venire, c'è tutta la città imperiale di fronte a lui, il<br />

centro del mondo ripieno di tutti i suoi rifiuti, nessuno riesce a passare di lì e tanto meno con il messaggio di<br />

un morto, ma tu vai alla finestra e ne sogni quando giunge la sera”. <strong>Qui</strong>ndi vedete proprio una riedizione, un<br />

riscrivere il paradosso di Zenone in maniera letteraria, questi infiniti ostacoli che si frappongono al<br />

messaggero che cerca di portare il messaggio<br />

dell'imperatore che l’imperatore gli ha mandato dal suo letto<br />

di morte. Voi siete lì che aspettate che arrivi il messaggero, il messaggero non arriverà mai; è proprio<br />

semplicemente lo stesso paradosso di Zenone<br />

rifatto in maniera letteraria. Ebbene, ci sono tanti altri autori<br />

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che hanno scritto sul paradosso di Zenone, ne ho citato soltanto uno dei miei preferiti, soltanto non vi posso<br />

leggere di nuovo altre pezzi, perché ormai il tempo vola e arriveremo purtroppo alla fine della lezione<br />

anche se c'è il paradosso di Zenone che dice che intanto non saremmo mai arrivato alla fine. Ebbene, però vi<br />

consiglio perlomeno di leggere alcuni dei saggi di Jorge Louis Borges, in particolare questi passaggi sulla<br />

metempsicosi della tartaruga. Borghese aveva fatto degli studi sui paradossi di Zenone, li ha raccontati nella<br />

maniera impareggiabile che sapeva fare lui, li ha anche usati in alcuni dei suoi racconti originali, per<br />

esempio in questo qui “la morte e la bussola del 1944”, in cui c'è un assassinio; ebbene c'è un detective che<br />

sta seguendo questo assassino, sta cercando di capire dov'è che avverrà il prossimo delitto, ad un certo<br />

punto arriva nel luogo che lui prevede è quello del prossimo delitto e lì trova effettivamente l'assassino che<br />

sta aspettando, che aveva fatto i delitti precedenti semplicemente per<br />

attirare lui, detective, in quel luogo e ammazzarlo. Allora il detective<br />

gli dice: però mi hai fregato in una maniera un po' strana, la prossima<br />

volta fammi almeno un labirinto come quello di Zenone, cioè<br />

attirami in un luogo, poi a metà, poi ad ¼, poi ad 1/8, eccetera e<br />

l’altro gli dice, si va bene, la prossima volta in un’altra vita, in<br />

un’altra delle tue metempsicosi, per l’appunto, come in uno di questi<br />

casi, ti aspetterò così, ma per questa volta ti sparo e ti faccio fuori<br />

adesso. <strong>Qui</strong>ndi questo è il modo in cui Borges, appunto uno dei<br />

grandi scrittori latino americani di questo secolo, ha usato anche lui il paradosso. <strong>Qui</strong>ndi vedete che il<br />

paradosso è stato usato nella filosofia, è stato usato nella teologia, lo abbiamo visto nelle prove<br />

dell’esistenza di Dio, è stato usato nella letteratura, abbiamo fatto degli esempi abbastanza vari, nella<br />

letteratura inglese con Sterne e Louis Carroll, nella letteratura di lingua tedesca con Kafka, nella letteratura<br />

di lingua spagnola con Borges. <strong>Qui</strong>ndi effettivamente è una grande profusione di questi argomenti, ma per<br />

finire vorrei invece farvi vedere delle rappresentazioni grafiche del paradosso di Zenone ed ho scelto uno<br />

degli autori che più si prestano a raccontare queste cose dal p. di v. matematico, perché è un autore che è a<br />

metà tra la matematica e l’arte, si ch<br />

re adossi visivi cercando di farli<br />

diventare arte indipendente, fine a se<br />

“Sempre più piccolo” del 1956 e “Lim<br />

Zenone e sono questi qui (fig.1 a iama Escher. Molti di voi lo conosceranno, perché alcune delle sue<br />

pitture sono precisamente delle pittu paradossali, lui ha usato molti dei par<br />

stessa. Ebbene due di questi due lavori che si chiamano appunto<br />

ite del quadrato” del 1964, sono basati direttamente sul paradosso di<br />

) fatti<br />

vedere in piccolo, che adesso vediamo più da vicino in grande.<br />

<strong>Il</strong> primo quadro “Sempre più piccolo”, è un tentativo di far vedere il paradosso di Zenone quando ci sono<br />

delle figure; vedete qui delle specie di pesci, che sono fatte a grandezza naturale nel centro del quadrato e<br />

poi si avvicinano verso il bordo del quadrato in maniera da diventare appunto come dice il titolo, sempre più<br />

piccoli, ma l’idea che ovviamente ha mutuato, come tutti gli altri di cui abbiamo parlato poco fa, dai<br />

paradossi di Zenone è che questo dipinto non può mai essere terminato, perché ogni volta questi pesci<br />

diventano più piccoli, però non c’è mai la fine, cioè se voi prendete una lente di ingrandimento vi accorgete<br />

che potete farne ancora di più piccoli, ancora di più piccoli, Escher stesso lavorava con delle enormi lenti di<br />

ingrandimento, cercando di incidere figure sempre più piccole. E questa è l’idea quindi, vedete come dal<br />

centro si dipartono delle figure che diventano sempre più piccole. Nel quadro successivo “limite del<br />

quadrato” si ha invece, per questo lo scelto, la figura esattamente opposta, cioè in questo quadro voi vedete<br />

figure di nuovo analoghe, questa volta sono delle lucertole, però la grandezza naturale è sui lati e sui bordi e<br />

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le figure rimpiccioliscono andando verso il centro, quindi una figura perfettamente speculare, ogni volta<br />

diventano più piccole, ma anche qui verso questo centro, c’è questo buco, diciamo così, che non ha mai fine,<br />

che non viene mai completato, che non viene mai raggiunto, perché precisamente c’è quel famoso punto<br />

fisso di cui abbiamo parlato poco fa. Notate che il punto fisso è qualcosa che anche Dante aveva in mente,<br />

perché ad un certo punto c’è un verso della Divina Commedia che dice “io sentiva osannar di coro in coro al<br />

punto fisso che li tiene uniti”. Ebbene io credo che con questa citazione tratta dalla Divina Commedia,<br />

possiamo concludere questa nostra lezione sul paradosso di Zenone.<br />

Spero di essere riuscito a convincervi che il paradosso di Zenone, così come l’altra volta quello del<br />

mentitore, non è soltanto un giochetto. I paradossi sono delle spine nel fianco, sono degli argomenti che<br />

possono essere presi in maniera sotto gamba, per così dire, però possono anche essere presi in maniera seria<br />

e si possono analizzare da un p. di v. matematico, da un p. di v. filosofico, da un p. di v. letterario e artistico<br />

LEZIONE 4: IL teatro dell’assurdo<br />

Benvenuti a questa terza lezione del nostro corso di logia matematica, dopo quella introduttiva naturalmente.<br />

Nelle prime due lezioni abbiamo cercato di analizzare una delle tre radici della logica, che avevamo<br />

anticipato. La prima radice l’abbiamo appena toccata nell’introduzione, poi non ne abbiamo più<br />

parlato ed era “la dialettica”, il tentativo di formalizzare gli argomenti che usano i giuristi , i politici nelle<br />

discussioni e così via: <strong>Il</strong> secondo argomento, la seconda via, la seconda radice della logica matematica era lo<br />

studio dei paradossi ed abbiamo cercato di vedere in dettaglio due dei paradossi più importanti, cioè il<br />

paradosso del mentitore e il paradosso di Achille e la tartaruga, i paradossi cosiddetti di Zenone.<br />

Oggi invece entriamo più nel vivo, nella faccenda, il nostro corso si chiama per l’appunto logica matematica<br />

e quindi dovremmo incominciare a parlare di matematica, ma non vi preoccupate perché in realtà la<br />

matematica è qualche cosa che a che vedere con l'intera cultura e il modo con cui ne parleremo oggi è per<br />

l’appunto cercare di vedere qual è stato l'influsso di uno dei più grandi matematici della storia, che si chiama<br />

appunto Pitagora, di cui parleremo per tutta l'ora. <strong>Il</strong> nostro personaggio Pitagora, nacque verso il 570 a.C. e<br />

morì il 496 a. C., quindi sesto secolo a. C. È stato uno degli iniziatori della matematica greca, è stato uno dei<br />

matematici a cui viene associato uno dei teoremi più famosi, il teorema di Pitagora, di cui parleremo verso la<br />

fine di questa nostra lezione. Cerchiamo di vedere più da vicino quale<br />

era il tipo di lavoro che faceva Pitagora. Pitagora era in realtà un<br />

profeta, era l'iniziatore di una scuola, era un qualcuno che veramente<br />

trascinava folle di studenti e così via. Ebbene, forse non molti di voi<br />

sanno da dove arriva il nome di matematico. Pitagora faceva lezione a<br />

due tipi di pubblico differenti, il primo pubblico era un pubblico di<br />

uditori, erano quelli che oggi potremmo<br />

identificare con coloro che<br />

vanno a vedere, a sentire più che altro, le conferenze divulgative dei<br />

grandi maestri, dei premi Nobel, ma anche dei professori come noi,<br />

Acusmatici = uditori che cercano di spiegare alcuni aspetti della scienza, della matematica<br />

e di tante altre cose. Questi uditori ovviamente vogliono sentire delle<br />

Matematici = apprendisti cose che si possono capire, vogliono sentire delle conferenze di natura<br />

didattica, ebbene gli uditori in greco venivano chiamati acusmatici, come tutti voi e anche coloro che non<br />

sanno greco, intuiranno che acustica è per l'appunto la scienza dell'udito, la scienza di ciò che si sente con<br />

l'orecchio. Però il lavoro del professore, il lavoro del ricercatore non è soltanto quello di divulgare i suoi<br />

risultati, di far capire ad un pubblico più vasto, quali sono le cose che ha ottenuto, ma ovviamente anche di<br />

ottenere queste cose, prima di andare a divulgarle e per ottenere queste cose ci vuole naturalmente una<br />

ricerca molto approfondita, un lavoro quotidiano di studio e di fatica. Questo lavoro viene in genere fatto dai<br />

professori nelle università oggi diremmo, cioè parlando, facendo lezione, come quella che stiamo facendo<br />

oggi insieme, ebbene coloro che avevano invece accesso a questo secondo livello dell'insegnamento<br />

pitagorico, cioè coloro che non erano dei puri e semplici uditori, ma che erano dei veri e propri apprendisti,<br />

cioè che cercavano di andare a scuola per imparare la matematica e poi mettere in pratica, per diventare a<br />

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loro volta loro stessi dei matematici, dei professori e così via, questi apprendisti venivano chiamati in greco<br />

matematici, perché matè era per l’appunto l’apprendimento. Ecco che matematico allora vuol soltanto dire<br />

apprendista, cioè matematico è colui che non si ferma al primo livello, che non vuole soltanto fare<br />

l'ascoltatore di cose che gli possono interessare, ma che sono cose che lo interessano più da vicino, nel<br />

profondo, vuole in realtà apprendere, vuole diventare qualcuno che sappia sporcarsi le mani, che sappia<br />

imparare il mestiere praticamente. <strong>Il</strong> mestierante, diciamo così, i ragazzi di bottega di Pitagora, erano quelli<br />

che in realtà si chiamavano matematici e oggi il termine naturalmente è stato esteso, perché matematici oggi<br />

sono coloro che invece si applicano<br />

più precisamente nel campo della matematica e la matematica è<br />

diventata semplicemente un nome per ciò che Pitagora insegnava ai matematici,<br />

cioè a questo pubblico<br />

ristretto di uditori. Che cosa insegnava<br />

Pitagora? Pitagora aveva una visione dell'universo molto precisa ,<br />

molto particolare, di cui appunto adesso<br />

cercherò di darvi di alcuni cenni, ma questa visione non era una<br />

visione campata per aria. Pitagora è stato<br />

forse il primo grande scienziato della storia, perché la sua visione<br />

matematica e la sua visione filosofica,<br />

in realtà era entrambe queste cose, è nata da un episodio molto<br />

particolare, di cui adesso vi racconto.<br />

Si dice che Pitagora passeggiava un giorno in città, passò vicino ad<br />

un'officina di un fabbro che stava lavorando<br />

con i suoi garzoni, anche lui aveva i suoi matematici, gli<br />

apprendisti e c’erano anche gli uditori,<br />

coloro che sentivano i rumori dei martelli. Pitagora passa e sente dei<br />

martelli che battono e si accorge, cosa che non ci voleva molto a capire, che alcuni suoni sono consonanti,<br />

cioè non stridono fra di loro e alcuni suoni invece sono dissonanti, cioè danno fastidio quando vengono<br />

suonati insieme. Io penso che, come siamo abituati oggi, se entrassimo in una bottega d'un fabbro ci<br />

darebbero fastidio tutti i rumori, ma all'epoca forse c'era una battuta di martelli ogni tanto. Allora cosa fece<br />

Pitagora? Entrò dentro questo negozio di fabbro, dentro quest'officina e volle andare a fondo e questa è la<br />

differenza tra noi e Pitagora, che noi forse passeremo, sentiremo i rumori, ci piaccia e non ci piaccia e poi ce<br />

ne andremo. Lui cercò invece di andare a fondo e di indagare, scoprire qual’era il motivo per cui alcuni<br />

suoni erano dissonanti e alcuni suoni erano consonanti. Che cosa scoprì? Scoprì anzitutto questo primo<br />

fatto, che quando due suoni erano lo stesso suono, noi diremmo oggi la stessa nota, per esempio due “do”, è<br />

ovvio che i due martelli devono avere lo stesso peso (devo fare una piccola premessa, cioè se due martelli<br />

sono uguali devono avere lo stesso suono, il cosiddetto unisono e il rapporto fra due martelli dev’essere per<br />

l’appunto uno a uno).<br />

Rapporti armonici Rapporti numerici Però il problema è che a volte lo stesso suono può succedere<br />

ottava 2:1 ad altezze diverse; per esempio un “do” ad una certa altezza<br />

quinta 3:2 e poi un “do” un'ottava superiore. Allora Pitagora scoprì che<br />

quarta 4:3 i rapporti tra i pesi dei martelli che risuonavano ad un'ottava<br />

erano di due ad uno, cioè due martelli che suonavano la stessa nota, però a distanza di “un'ottava” uno<br />

dall'altro (cioè a frequenza doppia), erano uno il doppio dell'altro, cioè pesavano uno il doppio dell'altro.<br />

Benissimo, altri esperimenti, altro suono. Pitagora scopre che c'è un rapporto anche fra due suoni che stanno<br />

fra di loro come “una quinta” diremmo noi, per dirla in termini musicali moderni, per esempio tra il “do” e<br />

il “sol”, quindi una differenza di cinque note della scala solita (do, re, mi fa, sol, la, si; do1, re1, mi1, fa1, sol1,<br />

la1, sil1; do2, re2., . . . . . . eccetera). Ebbene, la scoperta di Pitagora fu che il rapporto tra i pesi dei martelli per<br />

la quinta era di tre a due, cioè invece di essere uno doppio dell'altro, perché in questo, come caso abbiamo<br />

detto prima, ci sarebbe stato un suono di 1/8, erano una volta e mezza dell'altro, 50% in più di peso e il<br />

suono che risuonava fra i due, era un accordo di “quinta”. Ancora una cosa, per l'accordo di quarta, per<br />

esempio “do” e “fa”, cioè la differenza di quattro note, i rapporti peso erano di quattro a tre. Ebbene questa<br />

fu una scoperta sensazionale, perché in realtà Pitagora si accorse che era possibile esprimere quelli che oggi<br />

ancora chiamiamo rapporti armonici, cioè i rapporti tra note, per esempio “l'ottava”, due note a distanza di<br />

un ottava, per esempio “do-do1”, la “quinta” per esempio “do-sol”, la quarta “do-fa” e quindi rapporti<br />

musicali, cioè quelli che oggi noi faremo su una tastiera, facendo degli accordi, ebbene era possibile<br />

esprimere questi rapporti armonici mediante rapporti numerici, cioè mediante delle frazioni, che in realtà<br />

non erano soltanto dei numeri, ma indicavano i rapporti tra i pesi dei martelli. E questa fu veramente una<br />

scoperta sensazionale, che ho cercato di indicare qui in un triangolo, in cui si vede da una parte la<br />

matematica che interviene con questi rapporti che ho detto 2 a 1, 3 a 2, 4 a 3 e così via e dall'altra parte la<br />

fisica, perché i pesi dei martelli sono cose che riguardano il mondo fisico. Da una parte abbiamo una certa<br />

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quantità in peso del martello e dall'altra parte la musica, cioè i rapporti<br />

musicali e c'era questa specie di trinità, questa specie di rapporto tra tre<br />

cose, così apparentemente diverse come la matematica, (lo studio delle<br />

idee, dei numeri, delle figure), la fisica, (lo studio del mondo esterno, i<br />

pesi, le lunghezze eccetera) e la musica lo studio dei suoni. Pitagora su<br />

questo ovviamente meditò, cercò di costruire addirittura un'intera<br />

filosofia e da questo nacque il pitagorismo per l’appunto. Ora questa<br />

commistione tra musica, matematica e fisica, oggi non è moderna,<br />

benché anche su questo vedremo tra poco che c'è qualche cosa da dire,<br />

però se dimentichiamo per un momento la musica, oggi il rapporto tra<br />

matematica e fisica è qualche cosa<br />

di strettissimo ed è veramente ciò che sta alla base, se vogliamo<br />

chiamarla in questo modo, dell'ideologia<br />

scientifica, cioè il fatto che la fisica, cioè lo studio delle cose che<br />

succedono nel mondo esterno, è qualche<br />

cosa che si può descrivere attraverso un linguaggio che è il<br />

linguaggio della matematica, il linguaggio<br />

dei numeri, che a prima vista insomma non hanno niente di<br />

comune. Questa fu veramente una scoperta grandiosa e come abbiamo visto per Pitagora c'era anche<br />

qualche cosa in più, c'era addirittura anche la musica, cioè l’arte, quindi c'era la scienza, c'era l'arte, c'era la<br />

matematica che metteva un po' tutto insieme. Ebbene su queste basi, su questi esperimenti di natura<br />

musicale e anche appunto di natura fisica e matematica, Pitagora scrisse un credo, che non è un credo<br />

naturalmente del tipo di quelli a cui siamo abituati quando andiamo, chi ci va naturalmente in chiesa, è un<br />

credo che per cui non si deve credere semplicemente perché qualche profeta l'ha detto. Veramente anche<br />

all'epoca i seguaci di Pitagora facevano effettivamente così, tutti voi ricorderete il detto “ipse dixit”, che in<br />

genere viene riferito ad Aristotele, perché così si diceva nella Scolastica nel Medioevo, “lo ha detto” lui<br />

Aristotele, siccome i greci non parlavano in latino, l'analogo di questo detto l’ipse dixit era e fu usato per la<br />

prima volta dai seguaci di Pitagora, il genio che aveva scoperto questi segreti della natura, il fatto che la<br />

natura aveva qualche cosa a che vedere con la musica e con la matematica, il fatto che la matematica era<br />

questo linguaggio segreto, quasi arcano, esoterico che poteva permettere di raccontare da una parte come era<br />

fatta l'arte, dall'altra parte la scienza. Ebbene Pitagora divenne quasi un profeta ed il credo fu effettivamente<br />

una specie di credo religioso. Questo credo era “tutto è numero nazionale”. Come mai?<br />

<strong>Il</strong> Credo di Pitagora Tutto è numero nazionale perché Pitagora aveva scoperta che questi<br />

Tutto è rapporti musicali si potevano esprimere attraverso una frazione, cioè<br />

numero razionale appunto attraverso quello che oggi noi chiamiamo numero razionale e su<br />

questa terminologia arriveremo, ritorneremo tra un momento. Dicevo, una volta scoperto che in un caso<br />

così strano, come quello della musica, si poteva trovare la possibilità di usare la matematica, il linguaggio<br />

della matematica per esprimere delle cose che fossero fondamentali per quanto riguarda musica e fisica,<br />

ebbene Pitagora fece quello che fanno in genere i visionari, cioè decise che questo non era un caso, non era<br />

soltanto un esempio fortuito, ma era il segno tangibile di qualche cosa di invisibile, per dirla in termini più<br />

vicina al credo, cioè era effettivamente l'idea che poteva stare dietro ad un'intera filosofia, che non soltanto<br />

quel caso particolare dei suoni creati da martelli e dei rapporti armonici musicali potevano essere espressi<br />

mediante numeri razionale, ma tutta la natura, tutta l'arte e così via. <strong>Qui</strong>ndi Pitagora fu il primo, colui che<br />

introdusse questa nozione che la matematica poteva essere un linguaggio di natura universale. Vediamo più<br />

da vicino però questa terminologia, perché è molto importante capirla, spesse volte poi si fa anche<br />

confusione. Come chiamavano i greci ciò che noi oggi chiamano rapporto, rapporto numerico, cioè tra<br />

frazioni? Ebbene anzitutto vediamo come lo chiamavano i latini: lo chiamavano “ratio”, cioè la “ratio”, la<br />

razionalità per i latini era semplicemente quello che i greci chiamavano il “logos” ed era semplicemente la<br />

possibilità di esprimere cose attraverso i rapporti, cioè erano cose veramente basate sulla matematica.<br />

<strong>Il</strong> “razionale” era ciò che si poteva descrivere in modo matematico attraverso la matematica che allora si<br />

logos = ratio = rapporto conosceva , cioè quella dei numeri razionali. L’irrazionale,<br />

su cui torneremo poi tra un pochettino, all'epoca Pitagora<br />

linguaggio = pensiero = matematica non l’aveva ancora scoperto, non pensava che ci fosse<br />

qualche cosa di irrazionale, che non era ciò che noi oggi, dopotutto il romanticismo, per esempio dopo<br />

l’800, pensiamo come qualche cosa che va al di là della ragione, ma era semplicemente ciò che non si<br />

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poteva scrivere in termini di rapporti matematici. <strong>Il</strong> “logos” è anche qui una parola universale, che descrive<br />

tantissime cose, però ricordatevi, per esempio il Vangelo secondo Giovanni che era scritto in greco e<br />

l’inizio, la prima frase, del Vangelo secondo Giovanni noi la traduciamo malamente come “in principio era<br />

il verbo, il verbo era Dio, il verbo era presso Dio”, ebbene la parola che si usa in greco era logos, perciò “in<br />

principio era il logos e il logos era Dio”, se voi “logos” lo traducete in questi termini, andrebbe tradotto<br />

letteralmente “in principio era la ragione, cioè in principio era il rapporto numerico, cioè la frazione e allora<br />

la divinità era che cosa? Era la ragione in un senso ed era il numero dall'altro, quindi vedete che l'inizio del<br />

Vangelo secondo Giovanni, che tra l'altro è un vangelo gnostico, cioè un vangelo di tipo differente dai tre<br />

vangeli cosiddetti sinottici che lo precedono, è il Vangelo che insomma si presta a delle interpretazioni<br />

molto diverse, anche da quelle che ormai si sono sedimentate nella storia delle religioni, ma questo è un<br />

altro discorso che abbiamo già affrontato in un'altra sede. Ebbene questa identità tra logos in greco, fra ratio<br />

in latino e fra rapporto in italiano, è qualche cosa che sta sotto un'identità più importante, perché il rapporto<br />

è per l'appunto qualche cosa di matematico, la ratio nel momento in cui noi intendiamo “ragione” con<br />

qualche cosa di più generale, diventa la razionalità, la possibilità di pensare e il logos è, come si fa in genere<br />

nelle traduzioni del Vangelo secondo Giovanni, il verbo, il linguaggio. Ed ecco che allora il credo pitagorico<br />

è qualche cosa di più generale, che dice che in realtà il linguaggio, il pensiero e la matematica sono<br />

indissolubilmente legati, non è soltanto una questione di legare fra loro il linguaggio universale della<br />

matematica e la fisica, cioè scienza, musica e arte, bensì di legare fra loro tutto praticamente, la capacità di<br />

parlare, la capacità di pensare, con la matematica. Benissimo, allora cerchiamo di analizzare più da vicino,<br />

visto che questo credo pitagorico era così importante, quali sono stati i suoi influssi in tre campi diversi, cioè<br />

la scienza, musica e la matematica.<br />

Pitagorismo in: Allora cominciamo subito con la scienza; ebbene il primo che prese<br />

1. Scienza seriamente questo credo pitagorico fu Platone il quale, perlomeno in uno<br />

2. Musica dei suoi dialoghi più importanti, più esoterici che si chiama il “Timeo”,<br />

3. Matematica quarto secolo a.C., costruì un'intera cosmogonia, cioè cercò di capire, di<br />

far capire come era fatto il mondo e il mondo secondo il Timeo di Platone era un mondo fatto di natura<br />

Scienza matematica, cioè il mondo era costituito da oggetti le cui forme elementari,<br />

Platone quelle che noi oggi chiameremo gli atomi, le particelle elementari, erano<br />

(IV secolo a. C.) in realtà gli angoli, cerchi, quadrati e così via. Sono poi quelli che Galileo<br />

Timeo avrebbe detto sono i simboli dell'alfabeto del linguaggio della natura.<br />

<strong>Qui</strong>ndi pensate che già subito dopo Pitagora, già qualcuno avesse pensato di costruire una cosmogonia, un<br />

immagine dell'universo basata su un pensiero matematico, che all'epoca era ovviamente ancora rudimentale,<br />

ma che poi la scienza avrebbe sviluppato, avrebbe fatto diventare quello che poi è diventato effettivamente<br />

oggi, cioè la possibilità di descrivere un'infinità enorme veramente di fatti disparati, attraverso un unico<br />

linguaggio comune che è quello della matematica. Ebbene altri personaggi che s'ispirarono a Pitagora<br />

furono per esempio Keplero e Newton a cui arriveremo tra breve.<br />

Keplero Keplero addirittura intitolò uno dei suoi capolavori, uno dei suoi libri<br />

Armonia del mondo più importanti ” L’armonia del mondo”, 1619; “De armunicae mundi”<br />

(1619) era questo mondo, in cui da una parte c'è la natura, l'universo e dall'altra<br />

Terza legge parte c’è la musica e la musica si esprime appunto attraverso l'armonia.<br />

Ebbene Keplero era talmente addentro a questa filosofia pitagorica che i suoi calcoli, le sue scoperte anche<br />

nel campo della fisica, vengono fatte proprio riferendosi a questo credo pitagorico, al fatto che ci sia<br />

un'identità tra linguaggio, tra matematica, tra musica e così via. Addirittura vi ricordo, come saprete tutti,<br />

che Keplero scoprì, usando i risultati di esperimenti fatti da astronomi, le famose tre leggi di Keplero, le tre<br />

leggi che poi Newton derivò dai suoi principi, ebbene le tre leggi, la prima di esse molto semplice, diceva<br />

che i pianeti girano intorno al sole seguendo delle orbite ellittiche e il sole sta in uno dei fuochi, mentre la<br />

seconda legge diceva come si muov ono questi pianeti, cioè spazzano delle aree che sono proporzionali, cioè<br />

le stesse aree sono spazzate in tempi uguali, poiché l’ellissi non è una figura regolare come un cerchio, per<br />

cui in un cerchio semplicemente si sarebbe detto in tempi uguali si fa un percorso uguale, mentre invece<br />

nell’ellisse bisogna andare più veloci o più lenti, a seconda di dove ci si trova, cioè che l’area che viene<br />

spazzata è la stessa in un tempo che è lo stesso, infine la terza legge, che è una legge strabiliante, molto<br />

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difficile da derivare e addirittura non è nemmeno una legge precisissima, tanto che Newton la derivò<br />

soltanto in maniera approssimata, ebbene la terza legge diceva che “la distanza al quadrato di un pianeta è<br />

proporzionale al cubo del tempo che il pianeta ci mette a fare la rivoluzione intorno al sole, non importa<br />

quali siano i dettagli di questa legge, quello che vi invito a considerare sono questi due numeri, il quadrato<br />

della distanza e il cubo del tempo impiegato, cioè 2 e 3, cioè il rapporto di 3 a 2; ebbene Keplero disse<br />

d'aver scoperto questa terza legge perché doveva esserci per l'appunto un armonia dell'universo, un armonia<br />

del mondo e uno dei modi in cui l'armonia si manifesta è precisamente attraverso i rapporti musicali e<br />

questo rapporto di 3 a 2 significava che c'era un rapporto di “quinta”. <strong>Qui</strong>ndi pensate voi che oggi, che<br />

queste cose sono state completamente abbandonate, come invece ragionavano i nostri predecessori, i primi<br />

scienziati della storia, cioè ragionavano in questi termini musicali. Scoprirono le leggi perché<br />

ci dovevano<br />

essere dei numeri che corrispondevano a delle cose musicali. Veniamo a Newton ora, noi crederemo che<br />

Newton quando scrive il suo capolavoro “i principi di filosofia naturale”, del 1619, pensi in una maniera<br />

differente, cioè scopre la legge di gravitazione in una maniera che non è questa che avevamo detto di<br />

Newton Keplero e invece no. Newton disse in uno dei commenti ai Principia<br />

Principia Naturalis matematica, disse di aver scoperto la legge di gravitazione universale<br />

Philosophiae semplicemente andando a vedere quali erano le leggi che Pitagora<br />

(1619) aveva scoperto per l'armonia. Poiché l'universo doveva essere in realtà<br />

Legge di gravitazione come una lira che veniva suonata da Apollo e le corde della lira erano<br />

una forza che teneva unite da una parte il sole e dall'altra parte i pianeti, siccome una delle leggi pitagoriche<br />

dell'armonia era precisamente che la frequenza era inversamente proporzionale al quadrato della lunghezza,<br />

ebbene Newton disse allora che la frequenza, cioè semplicemente quello che corrisponde, diciamo così alla<br />

forza di attrazione, doveva essere inversamente proporzionale al quadrato della distanza del pianeta dal sole<br />

ed ecco quindi la famosa legge quadratica che lega la forza di gravità del sole con i pianeti, una forza che,<br />

secondo Newton, è stata scoperta da lui semplicemente mettendosi nell'ottica del pitagorismo. Ora voi<br />

direte, va bene, insomma queste sono cose un po' passate, sono cose di tanti secoli fa, ma passiamo quasi<br />

con un salto felino a oggi, questo signore che vedete qui in una<br />

fotografia, già la fotografia vi dice che ovviamente non possiamo<br />

essere molto lontani perché non è cosa di un secolo fa, ebbene<br />

questo Witten è in realtà uno dei vincitori della medaglia Fields, che<br />

è Fields l’analogo del premio nobel per la matematica, il premio<br />

Nobel non esiste per la matematica, c’è una medaglia analoga che si<br />

chiama appunto medaglia Fields e questo signore l’ha vinta nel<br />

1990. La medaglia Fields viene data ogni 4 anni, quindi tre volte fa,<br />

perché poi c’è stato soltanto il congresso nel ‘94 e ’98. Ebbene<br />

questo signore Witten è uno dei matematici che vanno per la maggiore, è anzi uno dei fisici matematici che<br />

stanno cercando di trovare l'unificazione delle forze, cioè cercando di trovare quello che si chiama in realtà<br />

“la teoria del tutto”, di mettere insieme da una parte la teoria della gravitazione universale e dall'altra parte<br />

la meccanica quantistica. Una delle forme che Witten ha trovato per cercare di risolvere questo dilemma<br />

profondissimo della scienza moderna, è la cosiddetta “teoria delle stringhe”. Ebbene, le stringhe che cosa<br />

sono? Sono l'analogo degli atomi per questi signori moderni, cioè invece di pensare la materia come se fosse<br />

fatta di puntini, fate presente un piccolo sistema solare in cui c'è un nucleo e poi degli elettroni che girano<br />

intorno, ebbene invece di pensare alle particelle come punti materiali, questi signori pensano le particelle<br />

come stringhe, come dei lacci da scarpa che vibrano in qualche modo nello spazio. Queste vibrazioni sono<br />

precisamente l'analogo delle vibrazioni delle corde musicali di cui già parlava Pitagora e si pensa oggi che ci<br />

sia un solo tipo di stringhe, cioè questo sarebbe l'unificazione delle forze, tutte particelle sono la stessa<br />

particella, se uno guarda da un punto di vista fisico, sono tutti pezzi di corda, ma la differenza fra le varie<br />

particelle, per esempio ciò che fa di una stringa un elettrone e di un'altra stringa un protone per esempio, è<br />

semplicemente il fatto queste stringhe vibrano in maniera diversa, detta in termini musicali le particelle<br />

sarebbero le armoniche delle stringhe moderne. <strong>Qui</strong>ndi vedete come, questa visione, che unisce la<br />

matematica, la fisica e la musica, in realtà che è partita da Pitagora, continua ad essere ancora viva al giorno<br />

d'oggi e può essere forse, una delle soluzioni di uno dei problemi più fondamentali della fisica moderna.<br />

32


<strong>Qui</strong>ndi effettivamente il pitagorismo è molto forte nel campo della scienza. Vediamo più da vicino invece il<br />

suo influsso nel campo della musica. Nel campo della musica ci fu subito un problema. Pitagora stesso,<br />

come dice questo nome del “comma pitagorico”, scoprì una cosa abbastanza interessante, cioè se voi<br />

prendete cinque ottave, cioè 5 scale musicali di 7 note, (il rapporto frequenze tra una scala e la successiva è<br />

doppio, doppio peso dei martelli, quindi alla seconda ottava corrisponde un peso del martello 2x2 , alla terza<br />

ottava (2x2)x 2, alla quarta ottava, (2x2x2)x2 e alla quinta 2 elevato 5), ebbene cinque ottave dovrebbero<br />

essere uguali a 12 quinte, (cioè partendo da do1 si arriva a do5), coloro di voi che suonano il pianoforte lo<br />

sanno. Ora ricordate che un'ottava è realizzata con un rapporto peso tra martelli 2 ad 1 e una quinta con<br />

rapporto peso tra martelli di 3/2, ebben e Pitagora scoprì che da un punto di vista numerico non c'è modo di<br />

Musica elevare<br />

2 ad un esponente 5 in modo che venga uguale a 3/2 elevato ad<br />

Problema un altro<br />

esponente perché c'è quel 3 che dà fastidio; quindi già Pitagora<br />

Comma pitagorico sap eva che non è possibile dopo 5 ottave ritornare esattamente<br />

5 ottave = 12 quinte all'analogo<br />

di 12 quinte detto e che il “ciclo delle quinte”, le 12 note che<br />

corrispondono a queste quinte in realtà non si chiude. Per Pitagora “il ciclo delle quinte” in realtà era una<br />

spirale infinita. Questa è qualche cosa che diede molto fastidio e che produsse appunto un problema che<br />

venne risolto molto tempo dopo, in realtà<br />

secoli dopo, verso le 1700 circa, da quello che oggi viene<br />

chiamato il “temperamento”. C’è l'idea di dire, è vero che i toni pitagorici sono toni che corrispondono a dei<br />

rapporti di tipo razionale 2 a 1 per le ottave”, 3 a 2 per le “quinte”, però se noi vogliamo continuare a<br />

mantenere questi numeri razionali, abbiamo il problema precedente, cioè abbiamo il fatto che il ciclo delle<br />

Soluzione quinte non si chiude. E allora, qual’è la soluzione? La soluzione<br />

Temperamento è quella di temperare l’accordatura degli strumenti e di far sì che<br />

a<br />

Tono = radice 12 di 2 le 12 “quinte” vengano forzatamente a corrispondere a 5 “ottave”.<br />

Questo però corrisponde a far sì che un'ottava, ciò che è quello che corrisponde 2 a 1, cioè ad un peso o una<br />

lunghezza di 2, si possa ottenere mediante 12 applicazioni di qualche cosa che corrisponda ad un intorno.<br />

Come si fa a fare 12 applicazioni? Bisogna fare un elevamento alla dodicesima potenza, se noi vogliamo<br />

invece farne una sola, noi dobbiamo fare una radice dodicesima di 2. Ed ecco il motivo per cui Pitagora non<br />

poteva risolvere il problema; non poteva risolverlo perché la radice dodicesima di 2 è ovviamente un<br />

numero irrazionale, come vedremo fra poco, già anche altri numeri molto più semplici sono irrazionali.<br />

<strong>Qui</strong>ndi in questo problema del temperamento musicale c'era in realtà un altro problema, che era il problema<br />

appunto degli irrazionali.<br />

Bach <strong>Il</strong> temperamento, qui ho messo soltanto un esempio, il massimo esempio forse<br />

Clavicembalo di colui che lo prese seriamente, che scrisse quest'opera che si chiama appunto<br />

ben temperato “clavicembalo ben temperato” e che fece in due parti, la prima parte del 1722,<br />

(1722-1744) la seconda del 1744; 48 magnifici, grandissimi preludi e fughe, scritti per<br />

strumenti che fossero ben temperati. All'epoca, si diceva che non era possibile temperare gli strumenti,<br />

perché l'orecchio non avrebbe accettato queste approssimazioni; invece Bach fece vedere che non solo era<br />

possibile, ma che si poteva fare della grande musica e il temperamento finalmente venne accettato dai<br />

musicisti. <strong>Qui</strong>ndi questa fu, in qualche modo, la fine del pitagorismo nella musica, perlomeno per quanto<br />

riguarda l'uso dei rapporti razionali nel campo della musica. Ma, ovviamente, quello che a noi interessa più<br />

da vicino, è l'aspetto di Pitagora come matematico, cioè l'influsso che le idee di Pitagora hanno avuto<br />

nella matematica e in particolare nella logica, perché è di questo che stiamo parlando. Ebbene, i risultati più<br />

4. Matematica importanti della Scuola pitagorica o di Pitagora stesso sono due:<br />

Teorema di Pitagora uno è quello che si chiama il teorema di Pitagora e vedremo tra<br />

Irrazionalità della poco che in realtà questa è la conclusione più che l'inizio di una<br />

diagonale del quadrato storia e il secondo invece è quello che probabilmente fu scoperto<br />

effettivamente dai pitagorici, cioè il cosiddetto problema della<br />

irrazionalità della diagonale del quadrato. Vediamo questi due<br />

risultati più da vicino, anzitutto il teorema di Pitagora; qui ho<br />

messo due immagini che fanno vedere come il teorema di Pitagora<br />

fosse già noto in tempi ben precedenti a Pitagora stesso. A sx c'è<br />

33


una figura di un dio egizio, a dx c'è una statua greca, al centro ho fatto una lista di coloro che nella storia<br />

hanno dimostrato prima di Pitagora o anche in seguito, che però hanno dimostrato di essere arrivati<br />

probabilmente in maniera indipendente, alla scoperta di questo fondamentale teorema di Pitagora, cioè gli<br />

egiziani, i babilonesi, i greci, gli indiani, i cinesi, che in parti completamente diverse del mondo<br />

probabilmente senza nessuno contatto diretto, erano riusciti a scoprire appunto il teorema di Pitagora.<br />

Vediamo un po' da vicino invece, come ci siamo arrivati noi, cioè la nostra civiltà. In realtà non sappiamo<br />

molto, perché Pitagora non ha lasciato niente di scritto. <strong>Il</strong> primo passo della letteratura classica in cui si<br />

parla dei problemi legati al teorema di Pitagora nella filosofia greca, è un passo del Menone ed è anche il<br />

primo passo, notate questo è un dialogo di Platone, è un dialogo filosofico, che è stato il primo luogo in cui<br />

si trova una dimostrazione nel senso in cui la intendiamo oggi. La matematica prima dei greci, non era fatta<br />

in maniera dimostrativa, se voi prendete i papiri egizi, per esempio il famoso papiro di Rhind, che sta a<br />

Mosca, li trovate un certo numero di problemi matematici, trovate le soluzioni, quasi sempre corrette, ma<br />

non sempre, però non c'è nessuna dimostrazione, cioè le soluzioni venivano date in maniera oracolare. Si<br />

diceva: voi sapere come si fa a risolvere questo problema? Questa è la soluzione. È chiaro che su questo non<br />

si può basare una scienza, perché come si fa a trasmettere delle<br />

soluzioni che vengono in qualche modo indovinate o divinate, come<br />

se ci fosse quasi qualche cosa di divino che le suggerisce. La scienza<br />

è nata con i greci, proprio perché i greci hanno inventato questa<br />

nozione di dimostrazione, cioè la possibilità di arrivare ai risultati e<br />

di convincere gli altri che questi risultati sono corretti, perché questi<br />

risultati<br />

vengono proposti attraverso una dimostrazione allegata e<br />

non<br />

si dice soltanto la soluzione è questa, ma si dice la soluzione è<br />

questa<br />

perché c'è questo motivo e questo motivo. Ebbene dicevo, la<br />

prima<br />

registrazione storica di una dimostrazione è nel Menone, in<br />

questo dialogo platonico, in cui questo è Platone, che sta parlando quaggiù, vedete i suoi interlocutori a cui<br />

pone il problema del raddoppio del quadrato.<br />

<strong>Il</strong> problema del raddoppio del quadrato è questo: supponete di<br />

avere un quadrato di lato qualunque, come<br />

dev'essere il lato d'un quadrato che abbia area doppia? La<br />

soluzione ovvia che viene in mente subito,<br />

a coloro che non hanno studiato matematica, è quella di dire:<br />

abbiamo un quadrato, poi abbiamo l'area doppia, raddoppiamo il lato; però sapete tutti, che se raddoppiamo<br />

il lato, per esempio se il quadrato originale<br />

ha lato uno e la sua area è dunque uno, se raddoppiate il lato, il<br />

lato diventa due e l'area diventa quattro, quindi non è doppia, ma è quattro volte. Ebbene, dopo un lungo<br />

percorso e discussioni, Pitagora scoprì e Platone racconta nel dialogo come si fa ad arrivare a questa<br />

soluzione, che l'assoluzione del problema del raddoppio del quadrato è quella di prendere metà del quadrato,<br />

cioè questo triangolo cosiddetto rettangolo, considerare l'ipotenusa oppure se volete la diagonale del<br />

quadrato e costruire su questa diagonale un quadrato ed ecco che qui si vede subito che questo quadrato ha<br />

area doppia, come mai?<br />

Perché è fatto di 4 triangolini, questi triangolini che vedete qui in blu, 4 ovviamente è il dopo di 2, ebbene<br />

questi triangolini blu sono di area uguale a questo triangolino marrone e due triangolini marroni formano il<br />

quadrato originale. <strong>Qui</strong>ndi effettivamente vedette come la soluzione sia corretta, cioè bisogna prendere la<br />

diagonale del quadrato. <strong>Il</strong> problema del raddoppio del quadrato in realtà è qualche cosa che non era limitato<br />

soltanto a questa forma qui.<br />

<strong>Qui</strong> nella slide sulla destra ho fatto l'esempio dell'oracolo di Delo e questa è una parte delle rovine di Delo;<br />

34


a Delo c’era il tempio di Apollo, ad un certo punto scoppiò una pestilenza ad Atene, gli ateniesi erano molto<br />

devoti di Apollo e credettero che andare al tempio di Apollo, dall'oracolo, per chiedere all'oracolo che cosa<br />

voleva il dio per far smettere la peste, sarebbe stata la soluzione giusta. Ci fu una missione che andò a<br />

chiedere all'oracolo quale doveva essere il responso e il responso dell'oracolo fu: la peste finirà quando<br />

l'altare del Dio, che era un altare cubico questa volta, invece che quadrato, cioè a tre dimensioni, sarà<br />

raddoppiato, cioè quando il volume dell'altare di Apollo sarà raddoppiato. I greci fecero l’errore a cui avevo<br />

accennato prima, raddoppiarono i lati di questo altare, il volume divenne ovviamente 2 x 2 x 2, cioè otto<br />

volte invece che due, Apollo rimase infuriato come prima e la peste non fini. <strong>Il</strong> problema della raddoppio<br />

del cubo è ovviamente analogo al problema del raddoppio del quadrato, si tratta di fare non la radice di due,<br />

ma la radice cubica di due in questo caso e il problema è che bisognava introdurre gli irrazionali per<br />

l’appunto, che sono ciò di cui parliamo tra poco. Però quel particolare esempio, a cui abbiamo accennato<br />

poco fa, cioè un triangolo rettangolo i cui lati sono i lati di un quadrato è un caso molto particolare del<br />

teorema di Pitagora. <strong>Il</strong> teorema di Pitagora per la prima volta ce lo abbiamo dimostrato soltanto negli<br />

elementi di Euclide, quindi verso il 300 a.C. Nel Menone c’è la prima dimostrazione di un qualunque<br />

teorema di matematica e in particolare di un caso speciale del teorema<br />

di Pitagora, ma il caso generale del<br />

teorema di Pitagora c'è soltanto negli elementi di Euclide nella proposizione<br />

47, la penultima del primo libro<br />

ed eccolo qua, in un esempio, questa è la figura che poi è diventata classica, che tutti voi avrete visto<br />

andando a scuola e questo è un caso particolare il teorema di Pitagora che comunque era già noto per<br />

esempio agli egiziani e ai<br />

babilonesi. I casi in cui i due cateti del triangolo rettangolo siano di lunghezza 3 e lunghezza 4, cioè l’area di<br />

si dimostra questa irrazionalità. Allora quest’oggi vorrei finire questa lezione facendo veramente la<br />

dimostrazione dell’irrazionalità della radice di due, non facendola nel modo in cui la fece Aristotele, perché<br />

è una cosa un po' macchinosa, si basa sul rifiuto del regresso all’infinito di cui abbiamo parlato nella<br />

precedente lezione, cioè il problema del paradosso di Zenone. Allora vediamo da vicino qual’è la<br />

dimostrazione che oggi noi daremo della irrazionalità della radice di 2. Allora supponiamo di avere due<br />

numeri m ed n che siano in questa relazione, cioè m 2 = 2n 2 questo quadrato di lato 3 è nove come si vede dai quadratini, l'area di quest'altro quadrato di lato 4 è 16<br />

come si vede dai quadratini, l’ipotenusa in questo caso è cinque e il quadrato sull’ipotenusa è 25, quindi 9<br />

più 16 fa effettivamente 25, ma questa ovviamente non è una dimostrazione di nulla, la dimostrazione che<br />

c'è negli elementi di Euclide, è una dimostrazione molto complicata ovviamente, perché il teorema non è<br />

affatto semplice. Ebbene che cosa mancava in tutta questa storia? Mancava ancora l'elemento più<br />

importante, cioè quella seconda scoperta a cui ho accennato poco fa, che fece Pitagora, probabilmente<br />

proprio lui, mentre appunto come ho già detto più volte, anche in questa lezione, il teorema di Pitagora era<br />

qualche cosa che anche senza dimostrazione, per lo meno, era nell'aria. Ebbene la scoperta veramente<br />

geniale e anche traumatica dei pitagorici, fu che la diagonale del quadrato, di cui abbiamo parlato poco fa è<br />

irrazionale, cioè se il quadrato ha lunghezza uno per esempio, ebbene non c’è nessun numero nazionale che<br />

esprima la lunghezza del quadrato. Oggi noi diremo che la radice di 2 è irrazionale.<br />

Aristotele La prima dimostrazione del fatto che la radice quadrata di 2 è irra-<br />

Analitici primi(I, 23) zionale si deve ad Aristotele o perlomeno, la prima testimonianza<br />

Irrazionalitàdella diagonale che noi abbiamo, ancora più tarda di quella del Menone, più o meno<br />

contemporanea a quella di Euclide, è quella di Aristotele. Negli analitici primi, versetto 23, del primo libro<br />

, questo precisamente è ciò che vorremo avere<br />

nel caso in cui la radice di 2 fosse razionale, cioè ci fosse un numero m diviso n il cui quadrato fosse<br />

35


Se m 2 = n 2 uguale a 2, (m/n) 2 =2 . Ebbene, allora andiamo a vedere<br />

allora l’esponente di 2 è: qual’è dovrebbe essere l'esponente di 2 nella decomposi-<br />

Pari nella decomposizione di m 2 zione in fattori di 2 di queste due parti. Cominciamo a<br />

vedere la parte a sinistra , cioè m 2 , che è un quadrato<br />

Dispari nella decomposizione di 2n 2 Comunque si faccia la decomposizione in fattori primi,<br />

Contradizione qualunque fattore avrà un esponente che deve essere<br />

pari a causa di questo quadrato, cioè perchè m 2 sia pari, quindi in particolare l'esponente di 2 deve essere<br />

pari nella decomposizione di m 2 . Andiamo a vedere la parte invece che è a destra dell’uguale 2n 2 e qui<br />

abbiamo una cosa che è analoga a quella di prima, cioè anche n 2 quadrato deve avere un esponente, nella<br />

decomposizione in fattori primi di 2, pari; però qui c'è un 2 in più e quindi la parte a destra è tale che,<br />

quando facciamo la decomposizione in fattori primi e andiamo a vedere l'esponente di 2, in questa<br />

decomposizione in fattori primi, questo esponente deve essere dispari. E allora abbiamo un uguaglianza tra<br />

due numeri; facciamo la decomposizione in fattori primi di questi due numeri che sono uguali, però da una<br />

parte l’esponente di 2 dev’essere pari in m<br />

è i pitagorici giurarono<br />

irrazi<br />

dell'assur<br />

2 , dall'altra parte l’esponente di 2 devessere dispari in 2n 2 , perché<br />

c'è un 2 in più e questo non è possibile perché i due numeri dovrebbero essere uguali. <strong>Qui</strong>ndi questa è una<br />

dimostrazione veramente geniale, però una dimostrazioni per assurdo e quindi un nuovo tipo di<br />

ragionamento che in matematica probabilmente non c'era fino a Pitagora ed è stato questo che veramente ha<br />

cambiato la storia della matematica, perché poi di lì le dimostrazioni per assurdo sono diventate qualche<br />

cosa di pragmatico, cioè che si usa praticamente tutti i giorni.<br />

Ebbene questa “contraddizione” allora questo significa che non esistono dei numeri m ed n che hanno<br />

quella proprietà, significa che la radice di 2 è irrazionale. Quale è stato il risultato di questa scoperta?<br />

Anzitutto da un punto di vista politico è stata una cosa veramente traumatica, cio<br />

fedeltà, giurarono che nessuno avrebbe potuto dirlo in giro, cioè loro sapevano che la radice quadrata di 2<br />

era irrazionale, non si doveva dire in giro che c'erano degli irrazionali, perché il credo di Pitagora, ve lo<br />

ricorderete, era che “tutto è numero nazionale” e allora, se poi si scopre che la diagonale di un quadrato,<br />

cioè qualche cosa di così elementare, in realtà già lei non è più razionale, ecco che allora succedono dei<br />

pasticci. Giurarono quindi il segreto, qualcuno come sempre succede quando si giura di non dire qualche<br />

cosa, qualcuno tradì, si chiamava Ipaso di Metaponto, i pitagorici lo maledirono, lo raccomandarono<br />

malamente a Giove, Giove fecce affondare la nave su cui Ipaso di Metaponto andava in vacanza o forse<br />

scappava dai pitagorici, Ipaso morì, pagò con la morte il tradimento del giuramento, però il mondo venne a<br />

sapere che effettivamente esistevano dei numeri irrazionali.<br />

Nel momento in cui l'irrazionalità fa capolinea nella storia, nella filosofia, succede il patatrac. <strong>Qui</strong>ndi i<br />

pitagorici, praticamente perlomeno in quel momento, subirono una grande debacle, la filosofia e la<br />

matematica incominciarono a fare i conti con l’irrazionale. Ricordate che razionale significava soltanto ciò<br />

che si poteva esprimere attraverso un rapporto e irrazionale era ciò che non si poteva esprimere attraverso<br />

un rapporto, come appunto la diagonale di un quadrato. Ebbene come veniva chiamato un numero<br />

onale dai greci? Veniva chiamato “surdo”, nel senso di sordo, proprio come direbbero i latini e allora<br />

l'assurdo era ciò che derivava dagli irrazionali. Ecco perché abbiamo intitolato questa nostra missione teatro<br />

do, oggi assurdo vuol dire una cosa completamente diversa, così come d’altra parte irrazionale<br />

vuol dire qualche cosa di diverso. Ebbene assurdo è semplicemente ciò che deriva da questa scoperta<br />

pitagorica. Noi ci fermiamo qui oggi e naturalmente proseguiremo in seguito con altre lezioni.<br />

36


LEZIONE 5: Idee accademiche<br />

Nelle precedenti lezioni abbiamo anzi tutto introdotto l’argomento naturalmente e poi abbiamo incominciato<br />

ad interessarci dei logici, dei personaggi, i grandi pensatori di questa materia, della logica matematica pian<br />

piano. Abbiamo incominciato a parlare di paradossi, soprattutto parlato del paradosso del mentitore, del<br />

paradosso di Achille e la tartaruga e poi abbiamo finalmente cominciato nella scorsa lezione ad affrontare i<br />

personaggi. Abbiamo iniziato con Pitagora che è stato il primo grande matematico, filosofo, filosofo della<br />

matematica anche e quest’oggi invece parleremo di quello che è stato forse il primo grande filosofo della<br />

Grecia, cioè Platone. Voi direte come mai Platone? Platone, in realtà, interviene in una delle due lezioni di<br />

logica matematica. Platone è molto più noto ovviamente per altre cose che ha fatto, perchè è stato, come<br />

dicevo, il grande filosofo, colui che ha iniziato praticamente la filosofia greca, per lo meno quella che viene<br />

dopo i presocratici e che ha in cominciato a fare le grandi opere della filosofia greca. Però la cosa<br />

interessante è che Platone in realtà aveva una concezione della filosofia, come vedete qui nella<br />

slide, come matematica e<br />

quindi è proprio di questo che oggi vorremmo parlare, cioè parlare degli aspetti matematici della filosofia di<br />

Platone che in genere vengono trascurati, perché si parla ovviamente di altre cose che interessano di più i<br />

filosofi, anche perché i filosofi di oggi non sono più dei matematici, come quelli di allora. <strong>Qui</strong>ndi andiamo a<br />

vedere più da vicino questa figura: Platone è quaggiù che sta parlando, molto concentrato, queste sono le<br />

date di inizio e fine della sua vita, cioè la nascita nel 428 e la morte nel 347 circa a.C. e qui c'è questo motto<br />

in cui ho cercato di condensare l'idea della filosofia di Platone, che appunto è la filosofia come matematica.<br />

Vediamo allora da vicino come Platone intendeva effettivamente mettere in pratica, mettere in essere questa<br />

filosofia. Anzitutto incominciamo dalla didattica. Platone come tutti sapete, ha scritto decine e decine di<br />

dialoghi e questi dialoghi sono le opere di cui abbiamo già parlato una volta le cosiddette opere essoteriche,<br />

cioè opere che oggi chiameremo di divulgazione, in cui si cercava di raccontare in parole semplici, anche<br />

letterariamente interessanti, le cose che Platone poi raccontava oralmente in maniera esoterica ai discepoli,<br />

seguendo in questo una tradizione che aveva iniziato in realtà Pitagora, di cui abbiamo parlato la scorsa<br />

volta, ebbene incominciamo appunto da due dei grandi dialoghi che parlano della didattica, cioè come<br />

Platone pensava che bisognasse insegnare ai giovani ateniesi a diventare<br />

degli uomini, a diventare<br />

soprattutto dei bravi cittadini. La cosa interessante è che in questi due grandi dialoghi, che sono i più lunghi<br />

che lui ha scritto, dei veri e propri libri, soprattutto “Le leggi”, ma anche “La Repubblica”, che oggi<br />

vengono stampati separatamente perché hanno l'autosufficienza, l’autonomia, diciamo così, proprio come se<br />

fosse dei veri libri, ebbene sia nella Repubblica, che nelle Leggi, dove vengono trattati decine di argomenti,<br />

ovviamente di tutti i generi, su alcuni dei quali torneremo poi in seguito, in particolare si parla della<br />

didattica, si parla dell'educazione e qui nella slide vedete una scuola, in cui ci sono oggi naturalmente i<br />

maestri, i professori come saremo noi, come sareste voi all'università. Ebbene la cosa interessante è che<br />

Platone sosteneva in entrambi questi dialoghi che per fare un bravo cittadino, per insegnare l'educazione agli<br />

studenti bisognava imparare l'aritmetica e la geometria, cioè il fondamento dell'educazione doveva un<br />

qualche cosa di matematico, perché la matematica stava alla base di tutto praticamente, di tutto il pensiero e<br />

vedremo appunto in seguito anche della sua filosofia. <strong>Qui</strong>ndi l'aritmetica venne prima vista, non tanto come<br />

si fa oggi purtroppo, come una preparazione tecnica, cioè la matematica si studia questo oggi soprattutto nei<br />

licei scientifici e poi nelle facoltà e nelle università tecniche, ma si studia perché serve per la fisica, serve<br />

37


per la chimica, più in generale serve per le scienze naturali. Ebbene questo non era l'atteggiamento di<br />

Platone. L'atteggiamento di Platone era invece che aritmetica e geometria dovessero essere imparate da tutti<br />

gli studenti perché erano il fondamento della vita ed anche più vicine all'umanesimo e all’etica. Ecco qui<br />

l'etica è la scienza del comportamento, ma nessuno all'epoca avrebbe parlato di scienza del comportamento<br />

e oggi si incomincia parlare di questo perché le scienze hanno un po' invaso, se non direttamente con i loro<br />

di pensare del mondo moderno. <strong>Il</strong> nostro mondo, parlo del mondo occidentale contemporaneo, è un mondo<br />

ETICA basato sulla tecnologia, sulle macchine, su tante cose; per<br />

(Filebo, Protagora) esempio, di fronte a me ho una telecamera, intorno a me<br />

Proporzione (giusto mezzo) ho delle luci elettriche, qui vicino ho un computer, quindi<br />

misura (più/meno, maggiore/minore) effettivamente la tecnologia oggi è un po' il modo in cui noi<br />

viviamo, che caratterizza questa nostra epoca, ma come tutti sanno la tecnologia è basata sulla scienza, la<br />

scienza naturale appunto, di cui fanno parte la fisica, la chimica e varie altre materie. Ebbene tutte queste<br />

materie in realtà traggono il loro linguaggio e anche i mezzi che usano per studiare il mondo dalla<br />

matematica ed è per questo che in qualche modo la matematica sta oggi a fondamento di tutta la nostra<br />

educazione scientifica, però all'epoca non era così naturalmente o meglio noi pensiamo, quasi sempre, che<br />

non fosse così. Ebbene qui per sfatare questo mito, volevo appunto parlare della concezione che dell’etica<br />

aveva Platone. Mi riferisco a due altri dialoghi, che sono dialoghi non così importanti ovviamente come la<br />

Repubblica e come le Leggi, però due dei dialoghi, cioè il Filebo e il Protagora, ma soprattutto il Protagora,<br />

sono stati centrali nel pensiero platonico. Se noi guardiamo da vicino che cosa ci insegnano questi due<br />

dialoghi, dal punto di vista dell'etica, ebbene ci insegnano che la cosa importante per quanto riguarda il<br />

nostro comportamento è avere il senso delle proporzioni, cioè non esagerare in un senso, non esagerare<br />

nell'altro, ma seguire quello che in qualche modo si potrebbe chiamare la via di mezzo, la “golden mean” la<br />

chiamerebbero gli inglesi. <strong>Il</strong> giusto mezzo è precisamente qualche cosa che Platone collegava con un<br />

atteggiamento matematico; sapere che cos'è il giusto mezzo significa conoscere la teoria delle proporzioni,<br />

sapere che tra due cose che noi abbiano di fronte, tra due alternative, si può parlare di una, si può parlare<br />

dell'altra, si può cercare in qualche modo di quantificare le cose a favore e le cose contro e poi bisogna<br />

seguire quella che è la strada del giusto mezzo. <strong>Qui</strong>ndi in realtà anche nel caso del comportamento umano<br />

Platone pensava che i metodi, non tanto i risultati, della matematica in questo caso, potessero essere<br />

importanti e potessero essere da guida del comportamento e poi in realtà c’è anche questa teoria della<br />

misura, cioè che cosa significa sapere come comportarsi? Significa sapere per l’appunto che cosa scegliere<br />

tra il più e il meno, tra il maggiore e il minore, saper scegliere, saper mettere in fila, saper ordinare in<br />

qualche modo le alternative che ci vengono proposte. Ed ecco che allora quello che in aritmetica ed in<br />

geometria potrebbero essere considerate come delle nozioni puramente tecniche, come la proporzione, le<br />

relazioni, gli ordini che ci sono in genere fra grandezze o fra numeri, tipo il maggiore o il minore o<br />

l'uguaglianza, in realtà hanno questa valenza molto più universale, molto più importante che è quella di<br />

aiutarci a comprendere, anche nelle situazioni quotidiane della vita, che cosa si deve fare, a stabilire quand’è<br />

che una cosa è migliore, quand’è che una cosa è peggiore e a scegliere quella che Platone sosteneva fosse la<br />

via giusta, cioè la via del giusto mezzo. Ed ecco, quindi, che abbiamo già visto come non soltanto la<br />

matematica interviene nella filosofia platonica come mezzo per insegnare agli studenti, cioè nella didattica e<br />

nell’educazione, ma interviene anche addirittura nel comportamento, cioè nella vita di tutti i giorni e nel<br />

comportamento corretto soprattutto, nell’etica, cioè nel sapere come comportarsi. Naturalmente queste sono<br />

cose oggi possono sembrare sorprendenti, ma certamente non sono le applicazioni più importanti della<br />

matematica,<br />

perché la matematica si è sviluppata in un'altra direzione e in particolare già all'epoca, già nella<br />

filosofia<br />

platonica la matematica serviva praticamente per fare da fondamento a quella che oggi noi<br />

chiameremo la fisica. <strong>Il</strong> dialogo platonico che parla della fisica, che parla di come è costruito mondo, di<br />

quale è la struttura dell'universo, diremmo oggi, è il famoso “Timeo”. Dico famoso perché il “Timeo” è un<br />

dialogo difficile, è un dialogo esoterico nel senso in cui noi oggi<br />

intendiamo la parola, non soltanto nel senso in cui la intendevano<br />

Pitagora e Platone, che era l’insegnamento da dare al circolo degli<br />

iniziati, cioè agli studenti e non al pubblico che viene a sentire la<br />

divulgazione. Dicevo che in un senso moderno è un dialogo<br />

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esoterico, perché è molto misterioso, racconta di cose che non si capiscono bene, riporta anche il sapere di<br />

civiltà diverse, come vedremo tra poco nelle successive slide. <strong>Il</strong> Timeo ha in realtà una concezione della<br />

natura, una concezione del mondo che si può sintetizzare dicendo che “la natura è geometrica”, cioè se noi<br />

guardiamo all'essenza vera dell'universo, se andiamo a vedere le forme che compongono l'universo queste<br />

sono geometriche. <strong>Qui</strong> per esempio abbiamo una goccia d'acqua, guardate come la goccia d'acqua si dispone,<br />

effettivamente in una forma perfettamente geometrica, quando la goccia cade quaggiù fa un qualche cosa che<br />

a prima vista sembrerebbe poco geometrico, ma che oggi viene studiato con le teorie del caos, con le<br />

cosiddette immagini frattali e così via. Per noi oggi è una cosa assodata, cioè per noi che siamo figli<br />

praticamente della scienza moderna, figli di Galileo, dopo 400 anni di sviluppo sappiamo benissimo<br />

effettivamente che la scienza e la fisica si basano sulla geometria e sulla matematica, però all'epoca la cosa<br />

non era affatto ovvia e lo era certamente poco dopo Pitagora.<br />

Se ricordate la scorsa lezione, l'idea di Pitagora era che la fisica e la natura fossero non geometriche, ma<br />

aritmetiche, cioè si basassero sull'altra parte della matematica che era appunto lo studio non delle forme,<br />

non delle figure geometriche, ma lo studio dei numeri. Come mai c'è stato questo cambiamento che oggi<br />

chiameremo di paradigma, seguendo il filosofo della scienza Kuhn? Come mai sono cambiati i paradigmi<br />

nel passaggio da Pitagora a Platone? Beh, non soltanto perché ai filosofi piace ovviamente contraddire i<br />

predecessori, anche per avere qualche cosa di nuovo da dire, ma soprattutto perché la filosofia pitagorica,<br />

cioè il fatto che l’idea della natura fosse aritmetica fu messa in crisi dalla scoperta della irrazionalità di<br />

radice di 2 di cui abbiamo parlato e su cui torneremo tra breve a riflettere. Allora questa scoperta fece<br />

vedere che l’aritmetica aveva dei problemi, aveva bisogno di una fondazione e i greci pensarono che la<br />

fondazione che si poteva dare alla aritmetica fosse una fondazione di natura geometrica, soprattutto fu poi<br />

Euclide che tradusse questo cambiamento di paradigmi nella sua grande opera gli “Elementi”, i cosiddetti<br />

“Elementi” di Euclide. Ebbene, però l'idea basilare c'è già in Platone che viene appunto prima di Euclide e<br />

soprattutto in questo dialogo “ <strong>Il</strong> Timeo”. Andiamo a vedere più da vicino che cosa succede in questo<br />

dialogo, che è un dialogo di cosmologia, cioè ci spiega come è fatto il mondo. Per spiegarci come è fatto il<br />

mondo, Platone introduce quelli che oggi vengono chiamati i solidi platonici, cioè c'è tutta una teoria che è<br />

una teoria per l’appunto geometrica, basata sia sulle forme piane, triangoli, quadrati, cerchi e così via, ma<br />

soprattutto sulle forme solide, cioè sui solidi e le figure che vedette qui intorno. Platone narra, racconta,<br />

discute di cinque solidi in particolare che sono i solidi che ho<br />

qui elencato e che possiamo vedere anche nella figura: il cubo è<br />

precisamente questo solido nella fig. in alto a destra, è un solido<br />

fatto con sei facce quadrate, il tetraedro che invece è il solido<br />

nella fig. giù a destra sotto il cubo, che è praticamente una<br />

piramide, una piramide non come quelle egizie perché quelle<br />

egizie avrebbero una base quadrata,<br />

bensì una piramide<br />

triangolare, perfettamente simmetrica, che ha soltanto quattro<br />

lati, ma questi quattro lati sono lati triangolari; poi c'è l’ottaedro<br />

che vediamo invece sulla sinistra in alto; l’ottaedro è anche lui<br />

fatto di piramidi, questa volta però le piramidi sono due, come<br />

incollate una sull'altra e sono precisamente piramide quadrate,<br />

anzi si pensa addirittura che metà dell’ottaedro sia stata la figura che ha ispirato gli egiziani nel fare le loro<br />

grandiose piramidi, soprattutto le tre grandi piramidi che stanno vicino al Cairo, le piramidi di Giza. <strong>Il</strong><br />

prossimo solito è il dodecaedro, si chiama dodecaedro, per un ovvio motivo, cioè c'è qualche cosa che ha<br />

che fare col 12, ebbene 12 sono le facce di questo dodecaedro, che sono facce pentagonali. Ricordate i primi<br />

tre solide che abbiamo visto, avevano facce o triangolari o quadrate e invece questo, che è il solido<br />

successivo, ha facce pentagonali. E l'ultimo di questi cinque solidi si chiama icosaedro, è un solido che è<br />

fatto di 20 triangoli, mescolati in questo modo, una figura piuttosto complessa e che certamente non fu<br />

facile scoprire per i greci. Ebbene, come mai questi si chiamano<br />

solidi platonici? Si chiamano solidi<br />

platonici forse perché il primo punto, il primo luogo in cui si trovano elencati è precisamente questo dialogo<br />

platonico, questo Timeo. Questi solidi ovviamente non sono stati inventati da Platone; Platone tra l'altro non<br />

era un matematico professionista, benché conoscesse benissimo la matematica e lo dimostrano per l’appunto<br />

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i suoi dialoghi. Ebbene questi solidi sono stati probabilmente scoperti, perlomeno una parte di loro e<br />

soprattutto le parti che riguardano questi tetraedri e questi ottaedri, cioè le parti piramidali sono state<br />

scoperte dagli egizi. I pitagorici anche loro hanno avuto un buon ruolo nel definire questi solidi, ma Teeteto<br />

Egizi che è anche il personaggio che ha dato poi luogo a uno dei dialoghi di<br />

Pitagorici Platone, uno dei dialoghi più matematici, più scientifici su cui torneremo<br />

Teereto in seguito per un motivo diverso, ebbene dicevo, Teeteto che era il nome di<br />

Platone(Timeo) un matematico, fu colui che dimostrò che i solidi platonici, i solidi cosiddetti<br />

Euclide (XIII) regolari, erano soltanto cinque, cioè i cinque che ho elencato prima, i cinque<br />

che Platone usa nella sua cosmologia o nella sua cosmogonia, non sono messi caso, sono gli unici che si<br />

possono costruire. Che cosa vuol dire solido regolare? Solido regolare vuol dire un solido in cui le facce<br />

sono tutte fatte dello stesso poligono, cioè dev’essere un poligono regolare, cioè tutti i lati uguali, per<br />

esempio un triangolo equilatero oppure un quadrato oppure un pentagono regolare e così via; come vedete,<br />

soltanto queste tre figure piane, cioè triangolo, quadrato e pentagono regolare, generano dei solidi come<br />

quelli che abbiamo visto, cioè dei solidi regolari. Come mai? C'è una dimostrazione che non è il caso di fare<br />

oggi, ma la cosa importante è che questa dimostrazione fu trovata dai greci, cioè da Teeteto e in realtà<br />

Platone già la conosceva e questo dimostra come Platone fosse al corrente degli ultimi sviluppi della<br />

matematica del suo secolo e anche insomma del suo tempo. Platone, come ho appunto detto, ne parla nel<br />

Timeo e soprattutto la teoria matematica di questi solidi sarà poi sviluppata perfettamente da Euclide nel suo<br />

monumento alla geometria che si chiama “ Gli elementi di geometria”, nell'ultimo libro, il tredicesimo, che<br />

è quello che conclude quest'opera maestosa,<br />

questa sinfonia.. Nell'ultimo libro Euclide dimostra che si sono<br />

soltanto questi cinque solidi, cioè dimostra il teorema di Teeteto e fa vedere come costruirli soprattutto,<br />

perché non è affatto facile, soprattutto nel caso di quelli più complicati come il dodecaedro, che è fatto<br />

appunto di 12 facce pentagonali e l’icosaedro<br />

di 20 facce triangolari. Voi direte che cosa c'entra tutto questo<br />

con la cosmologia e con l'immagine del mondo?<br />

Ebbene c'entra, perché per Platone, vi faccio un esempio<br />

soltanto ovviamente perché come vi ho detto<br />

il Timeo è un dialogo, molto complicato, molto difficile da<br />

leggere, ma è un esempio molto illuminante<br />

perché fa vedere come Platone avesse già in mente in realtà<br />

l'idea fondamentale della scienza e della chimica<br />

moderna. Secondo Platone l'acqua è un qualche cosa, è un<br />

corpo fatto di una parte di fuoco e due parti d'aria. Ora nella cosmologia platonica l'acqua veniva<br />

identificata con l’icosaedro, il solido che è fatto di 20 facce triangolari; il fuoco era identificato con il<br />

Acqua = un corpo di fuoco tetraedro e l'aria era identificata con l’ottaedro. Allora state attenti,<br />

e due d’aria perchè se andiamo a vedere il numero di facce che corrispondono al<br />

tetraedro, che come ho detto sono quattro facce triangolari e il<br />

icosaedro = un tetraedro e numero che corrisponde ad un ottaedro, che come dice il nome sono<br />

due ottaedri 8 facce triangolari, ebbene se prendiamo un tetraedro e due ottaedri<br />

abbiamo quattro facce per il tetraedro, 16 per i due ottaedri, perché<br />

20 = 4 + 16 sono 2 x 8, allora 16+4 fa 20 e 20 diventa l’icosaedro. Ora questo è<br />

strabiliante, perché oggi noi sappiamo che la molecola di acqua, oggi noi diremo, è fatta non di un corpo,<br />

ma è fatta appunto di atomi, un atomo di ossigeno e due atomi di idrogeno, la famosa formula H2O eccola<br />

qui fatta in maniera geometrica, la stessa formula che oggi ancora noi ripetiamo da un punto di vista<br />

chimico. <strong>Qui</strong>ndi vedete come leggendo Platone, già si scoprono in nuce, in embrione le teorie che poi<br />

diventeranno la scienza e poi la chimica moderna. Passiamo ora a cose più vicino a noi, cioè all'aritmetica e<br />

alla geometria. Nei dialoghi di Platone si scoprono molti di questi risultati ed in particolare i dialoghi<br />

aritmetici che sono il “Menone”, il “Teeteto” e “Le leggi”, riportano dei fatti, dei risultati, dei teoremi che<br />

furono scoperti appunto dai greci e di cui brevemente vorrei parlare, per farvi vedere anche come nei<br />

dialoghi filosofici, cioè in quella che oggi viene considerata filosofia, quella che si insegna nei licei e<br />

nell'università,come filosofia, in realtà ci fosse molta matematica, anzi non ci fosse nemmeno la distinzione<br />

tra filosofia e matematica, come se fossero la stessa cosa. Nel Menone c'è il problema delle radici quadrate,<br />

nel Teeteto, il problema delle radici arbitrarie, cioè radici non soltanto di 2, ma radici di 3, radici di 4 e<br />

così via e nelle “Leggi” c'è un problema legato al fattoriale, che vediamo uno per uno adesso un pochettino<br />

Aritmetica più nel dettaglio. Ora incominciamo col Menone: sul Menone c'è<br />

Menone: radici quadrate poco da riflettere, c'è poco da soffermarci, perché lo abbiamo già<br />

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Teereto: radici arbitrarie considerato abbastanza la scorsa volta quando abbiamo parlato di<br />

Leggi: fattoriale Pitagora; vi ricordo soltanto che questa è la figura principale che<br />

appare nel Menone, che è questo triangolo rettangolare, che è un triangolo particolare perché i due cateti,<br />

cioè la base e l'altezza sono due lati della stessa lunghezza, un triangolo è un rettangolo equilatero in<br />

questo senso. <strong>Il</strong> problema che si pone Menone o meglio che Socrate<br />

pone allo schiavo, che rappresenta il personaggio di cui si parla nel<br />

Menone, è precisamente com’è possibile raddoppiare l'area di un<br />

quadrato. La soluzione che lo schiavo trova in questo processo di<br />

anamnesi, cioè che Socrate gliela tira fuori praticamente dalla bocca<br />

pezzo per pezzo, è che per raddoppiare l'area d'un quadrato come<br />

questo qui, bisogna costruire un quadrato sull'ipotenusa o diagonale.<br />

<strong>Il</strong> Menone è importante perché è la prima testimonianza storica di una<br />

dimostrazione. Voi direte, ma come la matematica non c'era prima di<br />

greci? Certo, c'era matematica in Egitto, c'era matematica in<br />

Babilonia e ce n'erano parecchi, ma non c'erano dimostrazioni. <strong>Il</strong> problema della dimostrazione, l'idea che<br />

fosse necessario dimostrare i risultati che venivano in qualche modo indovinati o di divinati, l'idea che<br />

bisognasse dimostrarlo è un idea che risale probabilmente a Talette, verso 6oo a.C., ma noi non abbiamo<br />

testimonianze storiche di dimostrazioni matematiche fino al Menone, cioè per l’appunto nel quarto secolo a.<br />

C. <strong>Il</strong> Menone, questa storia del dialogo tra Socrate e lo schiavo, è precisamente la prima registrazione di una<br />

dimostrazione, in particolare di uno dei teoremo più noti, cioè una forma speciale del teorema di Pitagora.<br />

Come dicevo, su questo abbiamo già discusso la scorsa volta, ne abbiamo già parlato e quindi è meglio<br />

invece che andiamo a vedere altre cose e in particolare quest’altro aspetto che si trova nel Teeteto. Teeteto,<br />

come vi ho detto, è il nome di questo matematico che, tra le altre cose, dimostrò che ci sono soltanto cinque<br />

solidi regolari, i famosi cinque solidi platonici. Nel Teeteto, in questo dialogo platonico, lui è il personaggio<br />

principale, è lui che parla, è lui il protagonista del dialogo ed in particolare si racconta ad un certo punto di<br />

questo problema, cioè che la radice quadrata di un numero intero, che non sia un quadrato, è un numero<br />

irrazionale. Cosa vuol dire questo? La cosa è innanzi tutto interessante già da un punto di vista<br />

matematico, quindi cerchiamo di capirla meglio, di affrontarla più da vicino. <strong>Il</strong> disegno precedente, cioè<br />

il problema de l Menone, faceva vedere la diagonale di un quadrato;<br />

ora se quel quadrato, noi supponiamo che abbia lato unitario, cioè il<br />

cui lato sia 1, ebbene la diagonale, sappiamo tutti per il teorema di<br />

Pitagora, ha come lunghezza la radice di 2. Ora radice di 2, per il<br />

grosso risultato a cui ho accennato prima, causò la crisi dei fondamenti<br />

della matematica pitagorica, perchè la radice di 2 è un numero<br />

irrazionale, cioè che non si può scrivere come rapporto di due numeri<br />

interi. Ebbene, ciò che Teeteto dimostrò, fu che in realtà questo è<br />

vero, non soltanto per la radice quadrata di 2, ma è vero anche per la<br />

radice di 3, è vero per la radice di 5, di 6, di 7, di 8, di 10, di 11, di 12<br />

e così via, cioè è vero per la radice quadrata di qualunque numero intero che non sia ovviamente già un<br />

quadrato, cioè nel caso di 4 è chiaro che la radice di 4 è 2, nel caso di 9 la radice quadrata di 9 è 3, nel caso<br />

di 16 la radice quadrata di 16 è 4 e così via, ma a parte i numeri che sono già dei quadrati e cioè 4, 9, 16, 25<br />

e così via, le radici di ogni altro numero<br />

provocano dei numeri irrazionali, cioè diventano dei numeri<br />

irrazionali. Ora la cosa interessante è che nel Teeteto c'è anche una testimonianza storica, perché si dice che<br />

Teeteto fu colui che dimostrò questo teorema e che prima di lui si sapeva soltanto che il risultato era vero,<br />

cioè che la radice di un numero che non<br />

sia un quadrato è irrazionale soltanto per numeri fino a 17, come<br />

mai fino a 17 ? Questo non lo sa nessuno,<br />

ma si suppone che il motivo fosse nascosto nella figura che sta al<br />

fondo della slide, cioè se noi prendiamo<br />

il primo triangolo, qui è raffigurata la radice di 2 , poi la radice di 3<br />

con il secondo triangolo, poi la radice di 4, poi la radice di 5 e così via e se facciamo tutta la spirale ad un<br />

certo punto concludiamo la spirale con<br />

la radice di 17. <strong>Il</strong> problema è che quando arriviamo a 17 non si può<br />

più fare da un punto di vista geometrico<br />

la figura, bisognerebbe incominciare a scrivere sulla sabbia oltre<br />

questa spirale, cioè la spirale si avvolge<br />

su se stessa; quindi si pensa che, il motivo per il quale prima di<br />

41


Teeteto si sapesse che la radice di un numero che non fosse quadrato era irrazionale soltanto fino al 17, è<br />

forse proprio questo perché si aveva un’idea geometrica della cosa, mentre invece probabilmente Teeteto<br />

dimostrò la cosa in maniera aritmetica, cioè fece un passo avanti. La dimostrazione di questo risultato<br />

Platone non ce la dice, ci dice solo che Teeteto trovò il risultato, comunque questo è una conseguenza, è<br />

una testimonianza del fatto che Platone conoscesse effettivamente molta matematica. Invece questa è una<br />

curiosità che si trova nelle Leggi, quel famoso dialogo di cui vi ho detto prima, il più lungo dialogo fra<br />

quelli platonici: ad un certo punto Platone si pone il problema di come dividere un appezzamento in parti,<br />

perché? Ma perché ovviamente sarebbe interessante riuscire a dividere un appezzamento in un numero di<br />

parti che avesse molti divisori, cosicché quando c'è bisogno di fare eredità, per esempio di smembrare<br />

quest'appezzamento, lo si può fare in tanti modi diversi. Ebbene, ad un certo punto, in questo dialogo<br />

Platone considera il numero 5040. Dice che sarebbe interessante che un appezzamento avesse area 5040 m 2<br />

Leggi oppure acri e così via. Come mai 5040? Se ci pensate per un<br />

5040 = 1x2x3x4x5x6x7 momentino forse vi trovate anche voi la soluzione; 5040 non è<br />

= 2<br />

oggi il fattoriale di sette, che vien ativo, che non è una<br />

u<br />

questo prodotto, qui c'è un 2, poi ci s<br />

2 4 ; poi abbiamo il 3 che compare un<br />

abbiamo un 5 1 e poi 7 1 4 2<br />

x3 x5x7 nient'altro che il prodotto di tutti i numeri fino a sette, cioè di<br />

Divisori = 5x3x2x2 – 1 = 59 1 x 2 x 3 e 4 x 5 x 6 x 7, è quello che i matematici chiamerebbero<br />

e scritto come 7!, cioè 7 con un punto esclam<br />

affermazione, ma è semplicemente n modo per scrivere appunto questo prodotto. Ebbene, se voi guardate<br />

ono altri 2 nel 4 e poi ce ne ancora uno nel 6, quindi il prodotto dei 2 è<br />

a volta nel 3 e un’altra volta nel 6 e quindi il prodotto dei 3 è 3<br />

. Se voi andat<br />

ne sono cinque, perché qui c'è un 2 es<br />

ce ne sono altri due che derivano dal<br />

c'è un esponente c'è un divisore in pi<br />

numero stesso 5040 non ci interessa c<br />

l’appunto ve lo fatto vedere, il nume<br />

2 ; poi<br />

e a vedere quanti sono i possibili divisori di questo numero, ebbene ce<br />

ponente 4, poi ce ne sono altri tre perchè c’è un 3 con esponente 2, poi<br />

fatto che abbiamo un 5 ed un 7 hanno esponente 1, cioè ogni volta che<br />

ù e quindi ci sono tutti questi quadrati meno uno, perché ovviamente il<br />

ome divisore. Ebbene, questo numero è 59. Io ho fatto tutti i conti, per<br />

ro dei divisori di 5040 è 59, ebbene lo sapeva anche Platone. Platone<br />

non dice com’è arrivato a questo risultato, però dice che è bene prendere gli apprezzamenti di area 5040,<br />

perché li si possono dividere in 59 modi diversi e quindi sono apprezzamenti che si prestano molto bene<br />

all'eredità e allo smembramento. <strong>Qui</strong>ndi vedete come e non a caso tra l’altro che questo veniva appunto fatto<br />

nelle leggi, perché bisognava imporre con una legislatura queste misure. Passiamo ora finalmente a cose che<br />

sono più vicine a quelle di cui dovremo interessarci in questo corso, cioè la logica. Ebbene i dialoghi logici<br />

di Platone sono parecchi, questi sono i più importanti: il Cratilo, il Teeteto di nuovo, perché è uno dei<br />

dialoghi più importanti che parlano di argomenti scientifici, il Sofista e la Repubblica nuovamente, uno dei<br />

grandi dialoghi. Andiamo a vedere quali sono stati, non soltanto in ciascun dialogo, ma nella loro<br />

Logica globalità le innovazioni, le scoperte di Platone per quanto riguarda<br />

Cratilo la logica. Ebbene la prima scoperta importante fu che Platone capì<br />

Teeteto come bisognava intendere la negazione. Ho scritto nella slide “contro<br />

Sofista Parmenide”, che è questo signore raffigurato in questa statua, nel senso<br />

Repubblica che Parmenide credeva che la negazione fosse qualche cosa di<br />

contraddittorio. Chi di voi ha studiato filosofia, anche al liceo per<br />

esempio o nelle scuole superiori, si ricorderà che Parmenide aveva<br />

un problema col “non essere” e pensava che il “non essere” fosse<br />

qualche cosa di contraddittorio perché il “non essere”, se ci fosse,<br />

sarebbe da una parte qualche cosa che è e dall'altra parte qualche<br />

cosa che non è, quindi ci sarebbe questa contraddizione. . Platone<br />

capì che la negazione nel modo in cui la usava Parmenide era una<br />

negazione sbagliata. Si trattava di una negazione assoluta che non<br />

aveva senso, bisogna considerare soltanto negazioni relative, cioè<br />

dire delle cose non che sono o non sono, ma che sono qualche<br />

cosa, che hanno certe proprietà o che non hanno quella proprietà; per esempio una rosa può essere rossa, ma<br />

una rosa che non è rossa, non significa che non c'è come rosa, ma semplicemente che ha un colore diverso<br />

dal rosa. Questo oggi ci appare talmente lapalissiano che si può sembrare strano che qualcuno lo abbia<br />

42


anche pensato. <strong>Il</strong> problema è che ci appare lapalissiano perché questo è diventato il nostro modo di pensare<br />

e questo modo di pensare si scopre appunto nei dialoghi platonici dedicati alla logica, quindi in particolare<br />

abbiamo questo primo avanzamento, la scoperta della negazione. Successivamente direi soprattutto nel<br />

dialogo “i sofisti”, contro i sofisti Platone introdusse quello che oggi noi chiameremo “principio di non<br />

contraddizione”, cioè il fatto che non è possibile negare e affermare nello stesso tempo una stessa cosa. Ora,<br />

oggi di nuovo, moltissime persone lo fanno nei tribunali, nei parlamenti, è tipico degli avvocati, è tipico dei<br />

politici fare queste cose sistematicamente, dire una cosa e immediatamente dopo negarla, ma questo, tutti<br />

noi sappiamo, è qualche cosa che va contro la logica. All'epoca non lo sapevano tutti, anzi Platone è stato il<br />

primo che ha scoperto, per l’appunto, che ci volesse, ci fosse bisogno di questo principio di non<br />

contraddizione. I sofisti invece non lo sapevano o perlomeno facevano finta di non saperlo e quindi<br />

basavano il loro insegnamento su questo atteggiamento dialettico, un momento si diceva una cosa , un<br />

momento dopo si diceva l’esatto contrario di quella e ovviamente,allora qualunque ragionamento<br />

funzionava o nessun ragionamento funzionava, perché se non c'è il principio di non contraddizione l'intera<br />

impalcatura della logica crolla. <strong>Qui</strong>ndi questi sono i due risultati principali diciamo di Platone, ma c'è un<br />

altro risultato che in genere viene attribuito ad Aristotele e in realtà si trova già in parecchi dei dialoghi di<br />

Platone, cioè la “definizione della verità”. Detta oggi, la definizione di verità fa quasi venire mal di testa.<br />

Che cosa è vero, dice Platone? E’ vero “dire di ciò che è che è” e “dire di ciò che non è che non è”, cioè è<br />

Definizione di verità vero tutto ciò che viene detto e che in realtà si accorda con<br />

Vero ciò che succede effettivamente nel mondo. E che cos'è falso?<br />

= dire ciò che è che è L'esatto contrario é falso “dire di ciò che è che non è” e “dire<br />

= dire di ciò che non è che non è di ciò che non è che è”, cioè in altre parole non è possibile<br />

parlare in maniera veritiera, cioè si dice il falso quando si dice il contrario di ciò che effettivamente succede.<br />

Ora, di nuovo, questa è una cosa lapalissiana che però si pensa, si pensava quasi sempre, sia stata scoperta<br />

da Aristotele, mentre invece già nei dialoghi di Platone c’è. <strong>Qui</strong>ndi vedete come tra il principio di non<br />

contraddizione, tra il fatto che Platone scoprì l'uso corretto della negazione e il fatto che scoprì la<br />

definizione di verità, anche soltanto<br />

queste cose, soltanto tra virgolette, sarebbero sufficienti a fare di<br />

Platone un grandissimo logico e un grandissimo matematico. Non è soltanto questo che Platone fece,<br />

Platone incominciò a isolare la struttura linguistica<br />

e a cercare l'analisi logica, l'analisi logica che distingue,<br />

da una parte il soggetto e dall'altra parte il predicato, che distingue da una parte il senso, cioè come<br />

vengono dette le cose e dall'altra parte il significato, cioè che cosa viene detto e infine che distingue da una<br />

parte<br />

il nome il nome e dall’altra parte la cosa. Anche queste sono<br />

cose<br />

molto difficili da distinguere, perché all'epoca il linguaggio<br />

aveva<br />

una valenza magica, parlare e fare erano praticamente la<br />

stessa<br />

cosa, le formule magiche, le preghiere che ancora oggi molti<br />

di<br />

noi recitano per ottenere qualche cosa, l'idea che sia possibile<br />

cambiare<br />

il mondo semplicemente parlando, ebbene queste cose<br />

erano ancora confuse all'epoca. Platone capii benissimo la<br />

differenza tra le cose che stanno nel mondo e i nomi che invece<br />

stanno nel linguaggio, quindi effettivamente questo grande<br />

risultato. Capì inoltre anche “il principio di identità”, il fatto che le<br />

cose sono uguali a se stesse e sono diverse da tutte le altre e su<br />

questa identità, nel Timeo, tra l’altro, Platone pone in realtà i fondamenti dell'universo, cioè sostiene che il<br />

Identità mondo effettivamente fu plasmato dal demiurgo, fu modellato dal<br />

Origini del mondo demiurgo sulla base del principio di identità, che è quello che ho<br />

Ogni cosa è uguale a se stessa scritto qui sopra e qui sotto, ogni cosa è uguale a se stessa. Che altro<br />

fece Platone nei suoi dialoghi logici? Fece una cosa molto importante,<br />

che di nuovo oggi è quasi una scoperta per coloro che la conoscono,<br />

cioè che questa scoperta già si trova nei dialoghi platonici e fu quella<br />

che oggi viene chiamato “l'albero di Porfirio”. L'albero di Porfirio è<br />

in maniera figurata rappresentato nella slide sulla destra in alto, cioè<br />

43


è semplicemente il cercare di dare la definizione di un qualche oggetto, incominciando a dividere per casi .<br />

Ancora oggi in genere si<br />

dice i casi sono due, cioè uno e tutti gli altri ovviamente. Ebbene questa è la cosiddetta divisione<br />

dicotomica, cioè una divisione binaria in cui le cose vengono distinte tra quelle che hanno una certa<br />

proprietà e quelle che non ce l'hanno e poi all'interno delle cose che hanno una certa proprietà, una seconda<br />

divisione distingue le cose che hanno quella seconda proprietà da quelle che non ce l'hanno e così via.<br />

Ebbene questo modo di indagare che appunto Platone identificava con l'arte della dialettica, che noi oggi<br />

chiamiamo “albero di Porfirio” è quella che i logici chiamano “la forma normale disgiuntiva delle<br />

proposizioni” ed è precisamente un tentativo di dare definizioni di qualche oggetto, cercando di andare ad<br />

analizzare tutti i possibili casi che possono capitare e cercando di mettersi nell'unico ramo di questo albero<br />

che appartiene alla cosa di cui si sta parlando. Naturalmente la cosa più importante che Platone fece e che da<br />

un punto di vista sia logico che matematico e filosofico, che oggi ancora c’è lo ricorda, è la famosa “teoria<br />

delle idee”, che qui viene scherzosamente rappresentata attraverso la lampadina che si accende.<br />

Ovviamente le idee platoniche non sono quel tipo di idee lì, non sono le idee quando noi diciamo: ah, me<br />

venuta un idea!, ma sono cose un pochettino diverse. Oggi noi diremo che le idee sono il tentativo platonico<br />

di capire la differenza tra unità e molteplicità, cioè il fatto che le cose in qualche modo quando le si guarda<br />

da un certo punto di vista, appaiono come un tutto unico e che poi invece<br />

quando si vada ad analizzarle appaiono come un qualche cosa che è<br />

molteplice. Per esempio un Parlamento: il Parlamento è ovviamente<br />

un'entità<br />

astratta, un'idea, per l’appunto, che è una unità quando si parla del<br />

Parlamento,<br />

non a caso si usa l'articolo determinativo, il Parlamento, uno<br />

Parlamento.<br />

quando però si va a vedere dentro il Parlamento, si vede che<br />

questo Parlamento è costituito di parlamentari e dunque c’è anche questa<br />

molteplicità, ad esempio in Italia abbiamo<br />

circa un migliaio di parlamentari tra deputati e senatori. Ecco<br />

questa divisione, questa dicotomia, quest'alternanza<br />

di modi di vista, che guardano uno stesso oggetto, uno<br />

stesso argomento da due punti che sono complementari, che sono distinti, ma anche legati, cioè da una parte<br />

l'unità, che fa sì che quell’oggetto sia un oggetto e dall'altra parte la molteplicità, che ci dice come<br />

quell'unico oggetto è costituito di parti, cioè<br />

il tutto e le parti sono precisamente le due distinzioni importanti<br />

che Platone fece nella sua teoria delle idee. La teoria delle idee era praticamente una teoria di natura<br />

matematica che quest’oggi invece viene contrabbandata, insegnata come una teoria filosofica, anche un<br />

pochettino strana, un pochettino metafisica, ma in realtà idea in greco voleva dire semplicemente forma. La<br />

parola greca è eidòs e eidòs vuole dire precisamente forma, cioè quello che Platone voleva fare era cercare<br />

di fare una teoria degli oggetti matematici. Platone si pone la domanda espressamente in tanti dialoghi, ma<br />

soprattutto nei dialoghi logici, in particolare nella Repubblica, che è un po' la summa del suo pensiero, in cui<br />

la teoria dell'idee ha la sua formulazione<br />

quasi definitiva, ebbene la domanda fondamentale che un filosofo<br />

dell’epoca, la cui filosofia come abbiamo<br />

detto agli inizi era praticamente coincidente con la matematica, è<br />

la seguente: che cosa sono gli oggetti della matematica? Ho detto agli inizi che gli oggetti della matematica<br />

dell'epoca di Platone erano gli oggetti<br />

geometrici, perché i numeri erano stati un po' accantonati dopo il<br />

problema pitagorico, dopo la scoperta<br />

degli irrazionali, perciò Platone si pone la domanda “che cosa sono<br />

gli oggetti geometrici”, perché quella<br />

era per lui la matematica. Tra gli oggetti geometrici prendiamo per<br />

esempio un triangolo, ebbene noi possiamo fare la figura di un triangolo, prima abbiamo visto alcuni<br />

triangoli che componevano dei solidi platonici, però i triangoli che noi facciamo, i triangoli che noi<br />

disegniamo sulla carta o loro greci disegnavano sulla sabbia, erano ovviamente e sono triangoli imperfetti.<br />

Se noi andiamo a vederli col microscopio, se cerchiamo di allargare le loro dimensioni, vediamo che le linee<br />

che dovrebbero essere rette in realtà non sono proprio perfettamente rette, gli angoli che dovrebbero essere<br />

uguali, magari non sono perfettamente uguali e così via. Allora queste figure non sono certamente ciò di cui<br />

parla la matematica e la geometria, perché la geometria si interessa di enti astratti, non delle loro<br />

rappresentazioni concrete sulla sabbia, sui fogli o sullo schermo e così via. Allora la domanda platonica era,<br />

per l’appunto, ma allora che cosa sono queste figure geometriche? E la risposta che Platone si dà è<br />

precisamente quella che oggi di nuovo è lapalissiana, perché noi l’abbiamo semplicemente interiorizzata e<br />

l'abbiamo imparata, cioè abbiamo imparato semplicemente a pensare in questi termini. La risposta è: il<br />

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triangolo non è il particolare triangolo che si trova disegnato o che noi cerchiamo di disegnare, ma è ciò che<br />

c'è di comune a tutti questi triangoli, cioè la loro forma ed in greco, per l’appunto ripeto, sottolineo, forma si<br />

diceva eidòs, cioè l'idea del triangolo è ciò di cui parlano i matematici e non le concretizzazione reali dei<br />

triangoli nel mondo quotidiano ed ecco che questa teoria delle idee divenne il fondamento di una metafisica.<br />

Per Platone il triangolo che c'è quaggiù sul mondo, che c'è quaggiù sulla sabbia, sul foglio è qualche cosa<br />

che in qualche modo è la proiezione del triangolo che sta lassù, tra virgolette, nei cieli, cioè la forma perfetta<br />

che quando viene proiettata nel nostro mondo diventa imperfetta, perché si adatta a quello che è la realtà. Ed<br />

ecco allora di qui il famoso mito della caverna, cioè che noi vediamo queste ombre, crediamo che queste<br />

ombre, cioè le proiezione delle cose siano le cose stesse e non capiamo che dietro a queste proiezioni in<br />

realtà c'è ciò che viene proiettata, cioè l'idea astratta. Ed ecco che allora l'idea metafisica in qualche modo si<br />

decostruisce e si capisce anche meglio, parlando da un punto di vista matematico, che cosa Platone aveva in<br />

mente. Questa teoria delle idee poi confluirà nella grande sintesi della matematica di fine ‘800 e inizio ‘900,<br />

cioè in quella che viene chiamata la teoria degli insiemi di Cantor, Frege di cui abbiamo accennato in una<br />

delle lezioni introduttive, sui quali torneremo quando parleremo di questi personaggi. Per concludere questa<br />

lezione su Platone volevo in qualche<br />

modo dire che Platone non ha fatto soltanto cose corrette, ma questo<br />

non è importante perché Platone<br />

non era un dio, era un filosofo, era qualcuno che aveva capito molte cose,<br />

ma certe cose non le aveva capite.<br />

In particolare ci sono degli errori nella filosofia platonica e c'è un errore<br />

che lui fa sistematicamente in quasi<br />

tutti i dialoghi e qui c'è un esempio, la frase che dice “se l'anima<br />

temperante è buona, l'anima non<br />

temperante è cattiva”. Se voi ci pensate un momento, questo è quello che<br />

Errori<br />

i logici chiamerebbero un “non sequitur”, perché se l'anima<br />

Se l’anima temperante è buona,<br />

temperante, cioè l'anima che agisce nei modi propri dell'etica,<br />

l’anima non temporanea è cattiva cioè secondo il giusto mezzo, è buona, allora se abbiamo di<br />

fronte qualche cosa che non è buona, possiamo dedurre da ciò che l'anima non è temperante, ma il fatto che<br />

l'anima non sia temperante, non significa che questa è cattiva, cioè non deriva dalla frase precedente. La<br />

stessa cosa che dire “se piove esco con l'ombrello”, questo non vuol dire che “se non piove, non esco con<br />

l'ombrello, ma ho voluto soltanto dire che, se non sono uscito con ombrello, allora non piove, perché ogni<br />

volta che piove esco con ombrello. Bene, quindi questo per dire che effettivamente ci sono degli errori<br />

anche in Platone, ma la nostra lezione è finita.<br />

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LEZIONE 6: Una metafisica liceale<br />

Benvenuti ad una delle lezioni più importanti della logica matematica. Nelle precedenti lezioni abbiamo anzi<br />

tutto introdotto l'argomento e poi nelle ultime due abbiamo parlato di due grandi personaggi, Pitagora da una<br />

parte e Platone dall'altra. Pitagora è stato un grandissimo matematico, forse il primo grande matematico della<br />

storia greca, matematico universale in questo senso e Platone è stato forse il primo grande filosofo universale<br />

del pensiero greco, però di tutti e due abbiamo in qualche modo parlato anche di altri contributi, in<br />

particolare della matematica di Pitagora e della filosofia di Platone, che era una filosofia prettamente<br />

matematica che ha dato anche dei contributi sostanziosi e sostanziali alla logica matematica, ma quando si<br />

parla di logica matematica o più in generale della logica e quando si parla della logica greca il nome che<br />

viene subito in mente è ovviamente quello di Aristotele, perchè è considerato ancora oggi, praticamente<br />

2500 anni dopo, il più grande logico che sia mai esistito. Aristotele è stato un sistematore, è stato un<br />

innovatore, ha portato degli enormi contributi e questo oggi cercheremo di rivedere e di spiegare insieme.<br />

La nostra lezione si chiama “una metafisica liceale” in maniera un pochettino scherzosa, per sottolineare due<br />

degli aspetti della vita e dell'opera di Aristotele. Una delle sue opere più importanti è “la metafisica”, forse<br />

la novità più rilevante da un p. di v. logico, però in uno di capitoli o libri, come si chiamavano allora, cioè il<br />

libro quarto, il cosiddetto libro gamma della metafisica,<br />

ci sono dei contributi essenziali che tra breve<br />

cercheremo<br />

di ricordare e oltre questo grande libro anche nel il “Liceo” . <strong>Il</strong> liceale non è ovviamente un<br />

aggettivo denigratorio, non ho inteso dire<br />

che in realtà la metafisica di Aristotele era semplicemente cose da<br />

liceale, il Liceo<br />

era la Scuola che Platone fondò, ma prima di arrivare a questi sviluppi cerchiamo di<br />

inquadrare meglio<br />

la sua figura sia come studente, sia nei primi passi della sua carriera di insegnante.<br />

Aristotele si situa anche lui, nel quarto secolo a. C., nacque nel 384, morì nel 321 ed è questo signore nella<br />

slide che<br />

fu immortalato nella Scuola di Atene di Raffaello. Ebbene agli inizi della sua carriera da studente,<br />

come<br />

spesso succede a tanti che poi diventeranno professori, andò a scuola. Vedete nella slide che tra i 367 e<br />

347, per venti anni, Aristotele stava a scuola, non come<br />

si farebbe oggi, come fanno i nostri allievi, stanno a<br />

scuola venti anni per prendere una laurea, ma<br />

semplicemente perché prese quello che sarebbe l'equivalente<br />

all'epoca del titolo di studio e poi incominciò a fare l'assistente, noi<br />

diremmo oggi, di Platone. Era allievo di Platone all'Accademia, a<br />

questa grande Scuola che all'epoca era l’unica Scuola che esisteva<br />

o la più grande Scuola che esisteva ad Atene. Era stata fondata da<br />

Platone stesso, si chiamava Accademia in onore dell'eroe<br />

Accademo, ebbene Aristotele fu praticamente l'allievo prediletto di<br />

Platone e lui stesso sperava, che alla morte di Platone, avrebbe<br />

potuto succedergli alla guida dell'Accademia e infatti per venti<br />

anni lavorò col maestro, imparò ciò che Platone aveva da<br />

insegnare e non era poco ovviamente. Ricordatevi anche, tra l'altro,<br />

che una buona parte dell'insegnamento platonico avveniva<br />

oralmente e quindi effettivamente Aristotele poté abbeverarsi<br />

direttamente<br />

alle fonti dell'insegnamento platonico. Quando però Platone morì il suo sogno di diventare<br />

direttore, rettore diremo<br />

noi oggi, della Scuola dell'Accademia, non si avverò e quindi Aristotele fu costretto<br />

ad andarsene da Atene, girovagò per un<br />

po' di tempo, ma poi trovò<br />

lavoro, trovò lavoro perché suo padre era amico del re di Macedonia;<br />

questo re di Macedonia aveva un figlio, questo figlio aveva bisogno di<br />

studiare da re, come si dice, si chiamava Alessandro il Macedone,<br />

nientepopodimeno. Ecco che per cinque anni, tra il 342 e il 347,<br />

Aristotele insegnò, fece il tutore di quello che poi sarebbe diventato<br />

Alessandro Magno, ma che all'epoca era semplicemente il principe<br />

ereditario Alessandro il Macedone. Aristotele non fu un'insegnante<br />

qualunque per Alessandro, anzi oggi noi possiamo dire che, se<br />

effettivamente Alessandro è diventato quello che è diventato, è stato<br />

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grazie ad Aristotele o per colpa, a seconda di come lo si voglia vedere, se uno è pacifista o guerrafondaio,<br />

perché Aristotele gli installò nella mente, gli insegnò l’idea che la cultura greca era la vera cultura, la cultura<br />

con la C maiuscola ed era una cultura che aveva un destino di potenza, diremmo noi oggi dopo il ‘900, cioè<br />

aveva una tale grandiosità ed era così profonda che aveva quasi il diritto di potersi espandere per il mondo<br />

intero e di diventare la cultura del mondo. Ebbene Alessandro imparò queste cose, imparò da Aristotele<br />

soprattutto la cultura greca, la filosofia greca, la filosofia platonica e Aristotelica e poi incominciò a mettere<br />

in pratica, a concretizzare il sogno del maestro, cioè si mosse, incominciò a conquistare il paese vicino, andò<br />

fino all'India, come sapete, andò fino in Egitto, il suo impero enorme fu veramente la prima realizzazione di<br />

questo ideale di conquista culturale, oltre che militare ovviamente del mondo, da parte dei greci. L'impero,<br />

come sapete tutti, durò poco, perché Alessandro morì giovane, all'età di trent'anni o poco più; però in realtà<br />

Aristotele lasciò l'impronta attraverso questo suo pupillo nella storia, ma ovviamente quello che a noi<br />

interessa non è la storia militare e la storia politica, ma è la storia delle idee, la storia della filosofia e qui<br />

Aristotele viene ricordato allo stesso modo in cui in politica si ricorda oggi o nella storia si ricorda<br />

Alessandro Magno, è stato un conquistatore anche lui, ma non conquistatore di terreni, bensì conquistatore di<br />

idee. Vediamo da vicino che cosa successe subito dopo. Ritornato ad Atene nel 335 a.C., finalmente<br />

Aristotele poté coronare il suo sogno di diventare rettore, ma non rettore<br />

dell'Accademia, perché l'Accademia<br />

continuò ad esistere e fu una Scuola alternativa, in qualche modo a quella che fondò Aristotele, che invece si<br />

chiamava “<strong>Il</strong> Liceo”. Anche qui, il nome deriva semplicemente dal fatto che era in un parco dedicato ad<br />

Apollo licio. Vedete qui, alcuni studenti che non sono ovviamente studenti del liceo di Aristotele, ma questa<br />

è l’idea, perché questi capelli che oggi identificano gli studenti delle<br />

università americane sono in realtà il simbolo di quello che<br />

Aristotele fece effettivamente; l'Accademia ovviamente era una<br />

scuola di quelle che oggi noi chiameremo liceali, ebbene invece il<br />

liceo di Aristotele fu veramente la prima università e addirittura la<br />

prima facoltà di scienze, perché Aristotele insegnava praticamente<br />

tutte le materie; insegnava la fisica, la biologia, la filosofia<br />

naturalmente e così via. Era effettivamente il maestro, il tutore, era<br />

il professore tra l'altro, faceva quasi tutti i corsi lui, però aveva<br />

naturalmente una gran numero di assistenti che sguinzagliò a fare<br />

ricerche e moltissimi dei suoi libri, i libri che oggi ci rimangono di<br />

questa sterminata opera, che è l'opera di Aristotele, sono costituiti dagli appunti delle lezioni che Aristotele<br />

teneva e dalle ricerche, oggi diremmo, dai lavori che venivano pubblicati degli studenti di questo grande<br />

Liceo. Ebbene le opere di Aristotele che ho appena citato sono una cosa enorme veramente; si dice che sono<br />

state calcolate addirittura il numero di righe di cui esse si compongono, sono quasi mezzo milione di righe di<br />

lavoro. Ora vedete qui nella slide due parole che si ripetono, di cui cioè ne abbiamo già parlato a proposito di<br />

Pitagora, le abbiamo ripetute a proposito di Platone e anche nel caso di Aristotele c'e questa divisione fra<br />

l'insegnamento esoterico e l'insegnamento essoterico. Ricordate l'insegnamento essoterico, oggi<br />

praticamente le conferenze divulgative, era quello dedicato a quelli che i greci chiamavano gli acusmatici,<br />

cioè gli uditori cioè il professore che va, spiega in parole povere, come diremmo noi o forse attraverso<br />

metafore letterarie, però in maniera discorsiva, ciò che in realtà si fa<br />

dietro le quinte. Dietro le quinte invece si facevano appunto delle<br />

cose esoteriche, cioè nascoste, per iniziati e gli esoterici erano coloro<br />

che non erano soltanto uditori, ma coloro che anche volevano<br />

apprendere, gli apprendisti che i greci li chiamavano matematici, cioè<br />

la parola matematica deriva precisamente da questo, cioè dal fatto che<br />

i matematici erano gli apprendisti del sapere che non veniva<br />

divulgato, non veniva detto a tutti, anche perché aveva una certa<br />

complicazione, ma veniva soltanto discusso nelle cerchie interne.<br />

Ebbene di queste opere che Aristotele scrisse, ce ne furono di<br />

esoteriche e ce ne furono di essoteriche. Aristotele esattamente come Platone scrisse una grandissima<br />

quantità di dialoghi. Alcuni di questi dialoghi erano ancora considerati al tempo dei romani come delle cose<br />

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veramente ispiratrici. Addirittura Cicerone<br />

ci racconta di aver letto un dialogo di Aristotele che oggi è<br />

perduto, che si chiama “il protrepticon”<br />

e di aver dedotto o ricavato dalla lettura di questo dialogo<br />

l’ispirazione anche per la sua carriera politica,<br />

per le idee etiche che poi professò nella sua vita. Ebbene tutte<br />

queste opere essoteriche di Aristotele sono<br />

andate perdute. Oggi noi non abbiamo più nulla di divulgativo di<br />

Aristotele stesso, ciò che lui scrisse per il pubblico, per la gente, ciò che scrisse di divulgativo è andato<br />

perduto. Cosa ci rimane delle opere di Aristotele? Purtroppo per un motivo che spiegherò tra breve, ci<br />

rimangono soltanto le opere esoteriche. E’<br />

come se oggi di Einstein, per esempio, ci rimanessero soltanto i<br />

lavori scritti della relatività, della meccanica<br />

dei quanti, eccetera, ma non quelle grandi opere di divulgazione<br />

che sono poi quelle che hanno fatto conoscere<br />

Einstein al grande pubblico, perché il pubblico ovviamente<br />

non si mette a leggere gli articolo tecnici, gli articoli dove ci sono i calcoli matematici, si mette a leggere le<br />

spiegazioni più in generale. Ebbene di tutto<br />

quello che Aristotele scrisse in questo campo, appunto delle<br />

opere esoteriche, non rimane più nulla, rimangono soltanto più le cose che sono state prese, gli appunti che<br />

sono stati presi dagli studenti, i suoi appunti per le lezioni. In effetti quando si leggono queste opere di<br />

Aristotele purtroppo la cosa si vede;<br />

la differenza tra Platone e Aristotele sta proprio in questo, che di<br />

Platone ci sono rimaste soltanto le opere<br />

esoteriche, soltanto le opere di divulgazione, cioè soltanto le opere<br />

che ha senso leggere e che diverte leggere,<br />

mentre di Aristotele ci sono rimaste soltanto le altre, cioè soltanto<br />

le opere dure per così dire, soltanto le opere di ricerca, che ovviamente passano di moda molto velocemente.<br />

Anche oggi leggere, agli inizi del 2000,<br />

le ricerche fondamentali, ma originali dei grandi fisici, per l'esempio<br />

del ‘900, è una cosa che fanno ormai<br />

soltanto gli storici, perchè il linguaggio è passato, le cose si possono<br />

fare più facilmente in un altro modo, eccetera<br />

e quindi leggere gli originali è qualche cosa che non serve più,<br />

diciamo così, a trasportare questo sapere.<br />

Purtroppo di Aristotele, come dicevo, c'è rimasto solo quello e<br />

quello dobbiamo sorbire, c'è poco da fare,<br />

ma in queste opere esoteriche, cioè in questi appunti di lezioni, in<br />

questi lavori di ricerca, c'è veramente una<br />

miniera e soprattutto c'è anche una miniera di cose logiche. Ora<br />

incominciamo anzi tutto a parlare di ciò che successe nel primo grande libro che Aristotele scrisse, cioè la<br />

metafisica.<br />

La metafisica di nuovo è un nome che oggi<br />

viene usato spesse volte, si chiama metafisica tutto ciò che ha a<br />

Metafisica che vedere con qualche cosa che è al di là del mondo fisico, metafisica<br />

(Libro IV) significa<br />

per l’appunto questo, oltre la fisica, però all'epoca metafisica<br />

Assiomi dell’essere voleva<br />

dire una cosa molto pratica, cioè quando Aristotele morì e i suoi<br />

allievi, i suoi esecutori testamentari, diremmo<br />

oggi, misero in ordine le sue opere, arrivati ad un certo punto,<br />

pubblicarono le opere di fisica e poi ci fu una collezione di opere che veniva dopo quelle di fisica, non<br />

sapendo come chiamarle, perché in realtà si parlava di molti argomenti separatamente ed era un po'<br />

un'accozzaglia di cose diverse, di libri di diverse ispirazioni, allora i suoi esecutori chiamarono questa opera<br />

la metafisica, cioè l'opera che viene dopo la fisica. Ed ecco, vedete, come i nomi a volte prendono un loro<br />

sapore e una loro identità diversa. Oggi metafisica vuol dire una cosa completamente diversa, vuol dire<br />

appunto ciò di cui si parlava in quelle opere che venivano dopo la fisica. In particolare, lo già citato prima,<br />

nella metafisica c’è un libro che è veramente importante dal punto di vista logico ed è il cosiddetto libro<br />

quarto. Anche la metafisica stessa è un insieme di opere, 12-13, una dozzina di opere separate, scritte in<br />

periodi diversi della vita di Aristotele, non tutti scritti da lui, alcuni appunto scritti dai suoi studenti; quindi<br />

un'opera molto difficile che oggi nessuno leggerebbe dall'a alla zeta, perché non ha nemmeno una sua unità,<br />

ma per coloro che si interessavano di logica, il libro quarto, che poi si chiama libro, ma che in realtà è un<br />

piccolo capitolo, un fascicolo, in realtà nelle libro quarto si trovano quelli che oggi vengono chiamati gli<br />

“assiomi dell'essere”, cioè le due proprietà fondamentali dell’essere. Ricordatevi che ovviamente stiamo<br />

parlando degli albori del pensiero greco e agli inizi del pensiero greco c'era in effetti questa divisione tra due<br />

visioni della vita o del mondo completamente diverse, da una parte Eraclito e dall'altra parte Parmenide.<br />

Eraclito sosteneva, come tutti forse ricorderanno, che il mondo è un continuo divenire, il motto famoso di<br />

Eraclito era ”panta rei”, cioè tutto scorre e la metafora, l'immagine che Eraclito ci ha lasciato, cioè che non si<br />

entra mai due volte nello stesso fiume, perché nel momento in cui noi rientriamo nello stesso fiume, il fiume<br />

è cambiato, il fiume è scorso, l'acqua non è più la stessa e così via, ebbene questa è una visione del mondo,<br />

ma è la visione più naturale, forse non per noi, che ci siamo abituati ad un'altra visione a cui arrivo tra un<br />

momento, ma è la visione più intuitiva. Se noi guardiamo il mondo intorno a noi effettivamente questo<br />

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mondo è un mondo in continuo divenire, in continuo cambiamento, noi stessi ci guardiamo allo specchio<br />

tutti i giorni e notiamo che incominciano ad arrivare le rughe, incominciano a diventare i capelli bianchi, la<br />

barba bianca e così via, si cambia, ci nascono i figli, ci muoiono i genitori e così via, quindi effettivamente il<br />

mondo è in cambiamento. Ebbene però ad un certo punto si taglia, oggi potremmo dire, perché vicino a<br />

Napoli, ad Elea, arrivò una filosofia contrapposta a quella di Eraclito, cioè la filosofia di Parmenide che era<br />

la filosofia dell'essere. Parmenide disse, pensò e propagandò queste sue idee. Sostenne che dietro a questo<br />

divenire che è l'apparenza, quello che ci sembra che il mondo sia, in realtà il mondo è statico, c'è un essere<br />

che è lì fermo, che non è il divenire, ma appunto è semplicemente un essere, con la E maiuscola. L'idea di<br />

questo essere, l'idea che il mondo potesse essere costituito non da eventi fluenti, ma da cose, da oggetti<br />

statici, ebbene fu da qui che partì, diciamo così, il pensiero occidentale, perché la scienza oggi si basa<br />

proprio sulla visione di questo genere, cioè il fatto che il mondo sia fatto di oggetti, questi oggetti sono lì, si<br />

può cambiare, ci sono dei cambiamenti, ma sono dei cambiamenti apparenti, qualche cosa rimane, la<br />

sostanza dietro questo cambiamento. Ebbene, quali sono i principi fondamentali di questo essere? È chiaro<br />

che nel momenti in cui la filosofia viene in essere una filosofia in divenire, se così possiamo dire, ebbene nel<br />

momento in cui si crea, nasce una filosofia, i concetti sono ancora un pochettino sfumati, sono anche<br />

nebulosi, bisogna cercare di andare a capire effettivamente che cosa ci sta dietro. <strong>Il</strong> primo che riuscì forse<br />

effettivamente a dare concretezza e anche dare una certa coerenza logica alla filosofia di Parmenide fu<br />

proprio Aristotele, con quelli che oggi si chiamano gli “assiomi dell'essere”. Gli assiomi dell'essere sono<br />

principalmente due, che adesso vi ricordo: il primo è “il principio di non contraddizione”: non è possibile,<br />

per una stessa proposizione, che questa proposizione sia in uno stesso momento sia vera che falsa.<br />

Principio di Ora pensate che, nel caso della filosofia del divenire, il principio di<br />

non contraddizione non contraddizione non è affatto un principio né ovvio né vero,<br />

Non (A e non –A)<br />

perché abbiamo detto prima, non si entra mai due volte nello stesso<br />

fiume, perchè il fiume un giorno può essere per esempio calmo e il giorno dopo può essere invece<br />

minaccioso, perché c'è stato un temporale, quindi dire che il fiume è o calmo o non calmo e che non può<br />

esser tutte due queste due cose insieme, non ha senso, perché il fiume può essere benissimo sia calmo che<br />

non calmo in momenti differenti della sua storia. Quando invece si pensa non a cose in divenire, ma a cose<br />

statiche, ecco che allora non si può più dire, non si può più predicare di uno stesso oggetto, in uno stesso<br />

momento, una proprietà e la sua negazione. Questo fu il primo grande risultato della filosofia aristotelica,<br />

ovviamente queste cose erano già sottintese in lavori di altri, in particolare quelli sia di Parmenide che di<br />

Platone. Però Aristotele fu il primo che effettivamente fece un'analisi sistematica di questi principi e li isolò<br />

appunto stabilendo che erano alla base della filosofia dell'essere, della filosofia di Parmenide. <strong>Il</strong> secondo<br />

grande principio, l'altra faccia della medaglia di questi assiomi dell'essere, è quello che viene chiamato<br />

“il principio del terzo escluso”. I latini lo chiamavano “tertium non datur”, cioè “non esiste un terzo caso”<br />

Principio del e se non esiste un terzo caso, il terzo caso è escluso, perciò si chiama<br />

terzo escluso anche “terzo escluso” perché non c'è un terzo caso, ce ne sono soltanto<br />

A o non-A due. Quali sono questi due? Eccoli qui espressi in forma simbolica, cioè<br />

“ una proposizione è vera” o “la sua negazione è vera”, cioè la proposizione è falsa. <strong>Il</strong> terzo escluso significa<br />

semplicemente che quando si parla di logica alla maniera di Aristotele e alla maniera di Parmenide e non alla<br />

maniera di Eraclito per esempio, si pensa<br />

a vero e falso come le due uniche possibili alternative. Una<br />

proposizione o è vera o è falsa, non può<br />

essere tutti e due per “il principio di non contraddizione” e deve<br />

essere almeno una delle due per” il principio<br />

del terzo escluso”. Ed ecco che si incomincia a delineare nella<br />

metafisica di Aristotele l'idea fondamentale<br />

di quella che poi diventerà la logica classica che si chiama<br />

classica non a caso, perché da allora è diventata la logica quotidiana, quella su cui poi si basa la matematica,<br />

la scienza moderna e così via. <strong>Qui</strong>ndi questa doppia alternativa, c’è la verità e c’è la falsità, verità e falsità<br />

sono contrapposte fra di loro e di fronte<br />

ad una proposizione, che abbia senso e che sia una proporzione<br />

compiuta, si possono presentare soltanto<br />

due alternative, queste due alternative sono o che la proposizione<br />

sia vera o che la proposizione sia falsa e una delle due alternative deve succedere effettivamente e questo è il<br />

principio del terzo escluso, tutti e due insieme non possono succedere e questo è il principio di non<br />

contraddizione. Questo il fondamento, diciamo così, che Aristotele nel libro quarto della metafisica pose per<br />

la logica dell'essere, ma ovviamente, questo era soltanto un primo passo. La metafisica è un lavoro,<br />

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perlomeno in questo libro, è un lavoro giovanile di Aristotele e quello che successe dopo cambiò<br />

effettivamente la storia. Cambiò la storia nel senso che le opere logiche di Aristotele addirittura vengono<br />

ricordate con un nome collettivo che si chiama “Organon”, che significa strumento e le opere che adesso<br />

ricorderemmo sono diventate appunto lo strumento, per gli eredi, per i discepoli di Aristotele, lo strumento<br />

per studiare la logica. Di queste opere ce ne sono parecchie, in realtà ce ne sono sei e adesso vediamo quali<br />

sono gli argomenti..<br />

Organon Oggi non si leggono più se non per voler fare la storia<br />

Categorie: soggetti, predicati atomici della filosofia come ho detto, cioè le si leggono ancora<br />

Interpretazione: proposiz. Composte nei corsi di filosofia, quando si prende un corso come<br />

Analitici (I, II): argomenti questi di logica matematica, si ricordano queste cose,<br />

Topici: dialetica però la cosa interessante è che gli argomenti di cui ha<br />

Confutaziono: sofista trattato Aristotele in questi sei opere sono precisamente<br />

gli argomenti in cui ancora oggi si dividono i corsi di logica matematica che noi facciamo all'università.<br />

<strong>Qui</strong>ndi vediamo il primo di questi libri che compongono l’Organon, lo strumento di Aristotele, questo libro<br />

si chiama “le Categorie”. Ora le categorie oggi sono completamente passate di moda, sono rimaste di moda<br />

praticamente sino al 1700, alla fine del ‘700 con la filosofia kantiana, però l'idea fondamentale delle<br />

categorie di Aristotele era un qualche cosa di essenziale che ancora oggi rimane ed era un'analisi di cosa<br />

significa essere il soggetto di una proposizione e che cosa significa essere un predicato atomico. I predicati<br />

atomici sarebbero i predicati che predicano di cose che si chiamano soggetti e atomici significa che non si<br />

possono scomporre ulteriormente; atomico ovviamente è ciò che deriva dall'atomismo greco di Democrito,<br />

oggi che c'è stata da la chimica nell'800, nel ‘900, sappiamo benissimo che cosa vuol dire atomico. Atomico<br />

vorrebbe essere il mattone costituente, oltre il quale non si può andare nell'analisi. Ecco che le categorie di<br />

Aristotele sono precisamente questo: un'analisi di ciò che è fondamentale a livello linguistico, cioè da una<br />

parte i predicati, cioè quelli che non si possono scomporre ulteriormente e dall'altra parte i soggetti di questi<br />

predicati. Notate che non ci sono i complementi. La cosa può sembrare strana, perché per noi, che abbiamo<br />

fatto analisi logica nelle elementari e nelle medie, l'analisi logica tipica sarebbe soggetto, predicato e<br />

complemento, quindi relazioni in cui intervengono più di un soggetto; c'è qualche cosa che fa un'azione, c'è<br />

qualche cosa sulla quale si fa l'azione, per esempio il professore che tiene una lezione: professore soggetto,<br />

tiene ovviamente predicato e lezione complemento. Ebbene queste cose stranamente non erano analizzate da<br />

Aristotele,questo era il limite più grosso della logica aristotelica, cioè il fatto di riferirsi soltanto a dei<br />

predicati che avessero un soggetto, ma che non avessero degli oggetti o che non avessero più soggetti.<br />

<strong>Qui</strong>ndi erano quelli che i logici oggi chiamerebbero i predicati atomici e i predicati unari, unari nel senso che<br />

hanno un solo soggetto. Questa era una limitazione, come dicevo, piuttosto grande che però non fu<br />

sorpassata fino praticamente a Frege, 1879. <strong>Qui</strong>ndi, pensate, ci sono voluti oltre 2000 anni per riuscire ad<br />

andare oltre quella che era stata la fondazione della logica di Aristotele. <strong>Il</strong> secondo libro di Aristotele è<br />

“l'interpretazione”, perché ovviamente nel momento in cui abbiamo fatto un'analisi delle proposizione<br />

atomiche, il passo successivo è quello di considerare come si possono mettere insieme queste proposizione<br />

atomiche per formarne di altre composte. Ebbene, l'interpretazione è proprio questa, cioè lo studio delle<br />

proposizione composte. Poi finalmente si viene a due libri che sono i due libri più importanti, quelli più<br />

citati, si chiamano “Analitici” e ce ne sono due, appunto gli Analitici I e II. In questi analitici vengono<br />

analizzati gli argomenti, cioè ciò che fa veramente il centro, il nucleo della logica all'epoca e anche della<br />

logica oggi, cioè il modo di ragionare, non soltanto come sono costituite le proposizioni, ma soprattutto<br />

come si passa da proposizioni a proposizioni mediante ragionamenti. Gli altri libri sono forse meno<br />

importanti, cioè nei “Topici” si parla della dialettica e nelle “Confutazioni” si parla della sofistica. Oggi<br />

queste parti sono un po' cadute in disuso, però è bene forse parlarne un momentino, dire perlomeno qual’era<br />

l'idea che Aristotele aveva dei tipi di argomenti e qual’era la<br />

sua classificazione. La classificazione delle varie parti, delle<br />

varie branche, diremmo noi, della logica secondo Aristotele<br />

si faceva in base alla verità dell'ipotesi e alla correttezza o<br />

meno degli argomenti. Allora la prima, quella che veramente<br />

veniva chiamata logica, era un ragionamento corretto, cioè un<br />

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argomento corretto che parte da delle l'ipotesi vere, cioè abbiamo delle assunzioni, queste assunzioni sono<br />

vere, sono<br />

effettivamente quello che succede nel mondo, facciamo dei ragionamenti corretti, questa è la logica.. Però ci<br />

sono altre possibilità, per esempio la dialettica, cioè il ragionamento è ancora corretto, ma le ipotesi non sono<br />

più soltanto vere, anzi non sono più vere, ma sono soltanto più verosimili; verosimili significa potrebbero<br />

essere vere, non sono contraddittorie, non sono false, ma non è detto che siano vere. Allora nel caso in cui il<br />

ragionamento sia corretto, ma le ipotesi siano solo verosimili, ma non vere, non si parla più di logica, si parla<br />

di dialettica, quindi è come se fosse ad un gradino inferiore ed infatti l’abbiamo messa sotto. Nel caso in cui<br />

il ragionamento continui ad essere corretto, ma le ipotesi lungi dall’essere vere o anche verosimili, sono<br />

false, allora ecco che c'è il terzo gradino che interessa poco, perché,quando si parte da ipotesi false, poi si<br />

può arrivare dove si vuole, anche se il ragionamento è corretto, questa terza parte della logica Aristotele la<br />

chiamava Eristica. Infine c'era quella che lui chiamava “la sofistica” e appunto nell'ultimo libro “le<br />

confutazione dell'Organon” si interessava di questi argomenti, degli argomenti sofisti. Per la sofistica non ha<br />

importanza come siano le sue ipotesi, perché fa dei ragionamenti scorretti e allora quando il ragionamento è<br />

scorretto, poi se si parte da ipotesi false o vere o verosimili non importa più, perché il problema sta proprio<br />

nel ragionamento. Questa era l’idea, l'impianto della logica aristotelica, la divisione in varie branche, che<br />

oggi come ho detto è diventata un pochettino secondaria. I principali contributi di Aristotele alla logica sono<br />

in tre campi diversi: il primo campo è lo studio dei “sillogismi”, di cui diremo tra poco qualche cosa, poi c'è<br />

il campo dei “quantificatori”, cioè l'isolamento che Aristotele fece delle particelle di linguaggio che oggi<br />

sono tra le più studiate nella logica moderna, cioè nessuno, qualcuno, tutti e anche di questi diremo alcune<br />

cose più precise tra poco e da ultimo le “modalità”, cioè lo studio del possibile, dell'impossibile e del<br />

necessario.<br />

Contributi principali Allora vediamo più da vicino quali sono stati effettivamente i<br />

Sillogismi (assiomi, regole) risultati che Aristotele riuscì a raggiungere all'interno di questi<br />

Quantificatori casi, anzi tutto i “sillogismi”. Sui sillogismi ho scritto soltanto<br />

(nessuno, qualcuno, tutti) due parole praticamente “assiomi” e “regole”, per indicare il<br />

Modalità fatto che Aristotele compì un'analisi completa, assolutamente<br />

(impossibile, possibile, necessario) completa e per i suoi tempi veramente strabiliante, di tutti i<br />

possibili tipi di sillogismi. <strong>Qui</strong>ndi notate che di sillogismi ce ne sono tanti, sillogismi tipici di quelli che<br />

Sillogismi considerava Aristotele erano per esempio “ogni uomo è mortale, Socrate è un<br />

Assiomi uomo, dunque Socrate è mortale”, cioè il passare da due premesse, una delle quali<br />

Regole veniva chiamata “premessa maggiore” e l’altra “premessa minore” , ad una<br />

conclusione. <strong>Qui</strong>ndi i sillogismi sono dei tipi di ragionamento, degli schemi di ragionamento, diremmo noi<br />

oggi, in cui ci sono due premesse e una conclusione. Ora a seconda del tipo di premesse, che si potevano<br />

basare sui vari tipi di quantificatori, come ho appena detto per esempio una premessa poteva essere “tutti gli<br />

uomini sono mortali”, però invece del quantificatore “tutti” si potevano considerare “qualcuno”, “nessuno”<br />

e così via, ebbene Aristotele fece una tassonomia dei possibili tipi di sillogismo e scoprì che ce n'erano 256.<br />

Di questi 256 andò alla ricerca di quali erano corretti; ovviamente qualcuno è sbagliato, qualcuno è corretto,<br />

però insomma quali sono corretti? Quali sono sbagliati? Aristotele fece una lista che risultò poi, ma questo<br />

2000 anni dopo, non completa perché un paio di sillogismi corretti gli erano scappati e uno o due di quelli<br />

che lui considerava corretti, oggi noi li consideriamo scorretti per motivi però abbastanza tecnici. <strong>Qui</strong>ndi<br />

l'analisi di Aristotele che riuscì a isolare all'interno di un campo così vasto di 256 possibili tipi di sillogismi,<br />

quella dozzina e mezza che erano effettivamente corretti, prendi uno, togli uno, ebbene effettivamente fu un<br />

grandissimo risultato, ma Aristotele non si fermò a questo, perché introdusse delle regole che permettevano<br />

di passare da un sillogismo all'altro e fece vedere come tutti i sillogismi corretti in realtà possono essere<br />

derivate da uno solo, il famoso sillogismo cosiddetto in “barbara”. I nomi dei sillogismi sono nomi medievali<br />

che oggi insomma vengono usati soltanto più per motivi storici, ma comunque noi oggi il sillogismo in<br />

Barbara lo chiameremo la “transitività dell'implicazione”, cioè “se da a discendi b e da b discende c, allora<br />

da a discende c”, questa è l’idea, l’impianto essenziale. Aristotele riuscì a far vedere che tutti i 18 tipi di<br />

sillogismi che lui considerava corretti, effettivamente potevano essere ricondotti attraverso regole di<br />

trasformazione a quell'unico “sillogismo in barbara”, che diventava quindi praticamente “l'assioma della<br />

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teoria dei sillogismi”. Questo è un qualche cosa che fa veramente impressione, soprattutto vederlo oggi che<br />

abbiamo sviluppato nell'ultimo secolo, secolo e mezzo, un numero enorme di tecniche per dimostrare cose di<br />

questo genere, insomma pensare che Aristotele potesse farlo, senza tutto questo armamentario, è qualche<br />

cosa di veramente incredibile ed è molto simile da questo punto di vista a ciò che fece Archimede più o<br />

meno in un periodo analogo per quanto riguarda la matematica. Anche oggi i risultati di matematica di<br />

Archimede sono cose che si studiano nelle scuole e che tutti dovrebbero sapere, però il pensare che<br />

Archimede riuscì a farlo con i mezzi tecnici della matematica greca è veramente strabiliante. <strong>Qui</strong>ndi questi<br />

sono forse i due grandi nomi del pensiero greco, Aristotele nella filosofia e soprattutto nella logica e<br />

Archimede nella matematica.<br />

Per quanto riguarda invece gli altri aspetti dell'opera di Aristotele passiamo ai “quantificatori”. Ora i<br />

quantificatori sono quelle paroline di cui avevo parlato prima: qualcuno, nessuno e tutti, ebbene Aristotele<br />

fece una tabella e riuscì a vedere quali sono i legami fra queste particelle del linguaggio. Questo quadrato<br />

cosiddetto delle opposizioni, il quadrato è quello che qui si vede in blu, è quello che ancora oggrimane i e<br />

che è stato inglobato nella logica moderna attraverso leggi di trasformazione da un quantificatore ad un altro.<br />

Aristotele distinse due tipi di quantificatori, quelli affermativi e quelli negativi e praticamente distinse anche<br />

due categorie di quantificatori: “l'universale” ed “il<br />

particolare”. Vediamo anzi tutto l'universale. L'universale<br />

affermativo è tutti, mentre l'universale negativo è nessuno. <strong>Qui</strong><br />

ho messo un simbolo, tanto dobbiamo anche familiarizzarci<br />

con il linguaggio tecnico formale della logica moderna; oggi<br />

invece<br />

di scrivere tutti, si scrive soltanto una lettera che è<br />

l'inverso<br />

di A, A è ovviamente l'iniziale della parola inglese<br />

All,<br />

che significa per l’appunto tutti, è un simbolo oggi<br />

diventato<br />

un simbolo indipendente, cioè i logici matematici<br />

scrivono<br />

questa A girata, per indicare tutti. <strong>Qui</strong>ndi ci sono due<br />

tipi di quantificatori universali, uno affermativo<br />

“tutti” e l’altro negativo “nessuno”. Poi ci sono due tipi<br />

analogamente di quantificatori particolari: uno affermativo che dice qualcuno e l’altro negativo che dice non<br />

tutti. <strong>Il</strong> qualcuno ha anche lui un simbolo associato,<br />

che è una E, che significa esiste, ovviamente un E<br />

rovesciata esattamente come la A rovesciata<br />

e nella slide c’è la tabella che Aristotele considerò dei tipi<br />

possibili di quantificatori, cioè nessuno, qualcuno e tutti e poi anche questo non tutti, che quando si fa la<br />

tabella si vede che serve, è quindi come riempire un buco e anche una scoperta, diciamo così, di analisi<br />

logica. Cerchiamo di vedere, più da vicino, quali sono le proprietà di questi tutti, qualcuno ecc. Ebbene<br />

queste proprietà sono una delle grandi conquiste di Aristotele, perché sono cose sottili; adesso ve le leggerò e<br />

voi dovete pensarci un momento per capire effettivamente, per convincervi che sono corrette e per darmi<br />

ragione. Cominciamo a vedere da prima questo quantificatori universale affermativo tutti.<br />

Tutti fanno Ebbene dire una frase del tipo “tutti fanno qualche cosa” è la<br />

= non è vero che qualcuno non fa stessa cosa che dire “non è vero che qualcuno non la fa” ed<br />

Qualcuno fa ecco che allora qui c'è un legame scoperto per l’appunto da<br />

=<br />

non è vero che tutti non fanno Aristotele fra “il tutti” e “il qualcuno”. Se noi abbiamo la<br />

negazione, usando due negazioni, cioè “non è vero che qualcuno non fa”, è possibile ricostruire il<br />

quantificatore universale, cioè la scoperta veramente grandiosa di Aristotele fu che è vero che sembra che ci<br />

siano in particolare due quantificatori, cioè il “qualcuno” e il “tutti”, però in realtà questi due quantificatori<br />

sono sovrabbondanti, basta averne uno per ricavare l'altro. E allora, se per esempio si ha la possibilità di<br />

parlare di qualcuno, si può dire “non è vero che qualcuno non fa qualche cosa” ed è la stessa cosa che dire<br />

“tutti fanno quella cosa lì”. <strong>Qui</strong>ndi il “tutti” si può eliminare quando si abbia ovviamente il “qualcuno” e si<br />

abbia ovviamente anche la possibilità di negazione. Ma non è che il “tutti” si può eliminare a favore del<br />

“qualcuno”, si può anche fare l'esatto contrario e allora ecco che, dire che “qualcuno fa una certa cosa”, è la<br />

stessa cosa che dire “non è vero che tutti non la fanno”; questo non è propriamente<br />

in italiano, in italiano si<br />

direbbe “non è vero che nessuno la fa”, però l’ho scritto in questo modo per fare risaltare il legame tra<br />

“qualcuno” e “tutti”. <strong>Qui</strong>ndi, uno qualunque dei due quantificatori, è sufficiente per ricostruire l'altro,<br />

insieme alla negazione.<br />

52


Per quanto riguarda la “modalità”, Aristotele fece una grande<br />

scoperta e cioè che le modalità possibile, impossibile,<br />

necessario e contingente sono praticamente un “analogo dei<br />

quantificatori”. Infatti come vedete, qui c'è una tabella, che parla<br />

di nuovo di affermativo e negativo esattamente come nel caso<br />

dei quantificatori. Le “modalità” non si chiamano più<br />

“universali e particolari”, ma si chiamano apodittiche e<br />

problematiche, insomma la parola non è così importante. Per il<br />

caso di modalità apodittiche il “necessario” è l'analogo del “tutti”, “l'impossibile” è l'analogo del “nessuno”.<br />

<strong>Il</strong> simbolo logico che viene usato oggi per il “necessario” è un quadratino. Similmente nel caso delle<br />

“modalità problematica” c'è il “possibile” e il “contingente”, analoghi al “qualcuno” e a “non tutti”. Anche<br />

qui c'è un simbolo per il “possibile”che è un rombo, che è simile a quello per il “necessario”, cioè un<br />

quadrattino rovesciato. Ed ecco che, facendo questa tabella, questi quadrati di opposizione, Aristotele non<br />

solo riuscì a fare un'analisi delle modalità, cioè possibile, necessario, impossibile e contingente, simile a<br />

quello dei quantificatori, ma riuscì a far vedere che praticamente erano la stessa cosa, cioè si trattava di due<br />

serie di operatori, di due serie di particelle del linguaggio, che però godevano delle stesse proprietà. Per far<br />

vedere che effettivamente così è, vi faccio vedere come effettivamente si può passare da possibile a<br />

necessario oppure da necessario a possibile, esattamente come si poteva prima passare da “tutti a qualcuno”<br />

o da “qualcuno a tutti”.<br />

E’ necessario fare Vediamo se ci convinciamo di questo: “è necessario fare una certa<br />

= non è possibile non fare azione” significa che “non è possibile non farla”, quindi di nuovo la<br />

E’ possibile fare “modalità necessario” si può ridurre alla “modalità possibile” quando<br />

= non è necessario non fare si abbia la possibilità di usare la negazione. <strong>Qui</strong>ndi “necessario”<br />

significa “non possibile non farlo”, viceversa, esattamente come nel caso precedente “è possibile fare<br />

qualche cosa” significa che “non è necessario non farla”, perché se fosse necessario non farla allora lei<br />

sarebbe impossibile. Ed ecco che di nuovo “impossibile” si può definire, si può ridurre al necessario e alla<br />

doppia negazione. Ecco questi sono i grandi contributi che Aristotele effettivamente fece per quanto riguarda<br />

la logica. Che cosa rimane oggi di questa sua eredità? Rimane anzitutto il suo grande nome, perché il nome<br />

di Aristotele, come ho detto prima, è considerato il nome del più grande logico mai vissuto, forse soltanto<br />

un'altra persona, un altro logico può competere a questo livello con Aristotele ed è Goedel di cui abbiamo<br />

parlato in una lezione introduttoria, di cui ovviamente parleremo verso la fine di questo ciclo di lezioni.<br />

Aristotele e Goedel sono un po' l'Alfa e l'omega, il principio e la fine di questa grande avventura che è stata<br />

la logica, prima semplicemente e poi logica matematica. Ebbene dei contributi tecnici di Aristotele io credo<br />

che i quantificatori e le modalità sono lì per rimanere, come si direbbe in inglese, sono state delle scoperte<br />

che veramente hanno portato alla luce parti sommerse dell'analisi linguistica, però in realtà stanno a un<br />

livello che non è ancora il livello più basso, il livello più atomico di possibile analisi.<br />

Aristotele era arrivato fino a un certo punto, ma nemmeno la mente di un genio così universale, così grande,<br />

era arrivato alla fine della storia. Infatti sotto l'analisi di Aristotele c'era ancora qualche cosa da scavare,<br />

c'era ancora quella che oggi si chiamerebbe “la logica proporzionale”, la logica di quelli che si chiamano “i<br />

connettivi”, cioè le particelle che mettono insieme proposizioni semplici per costruire proposizioni più<br />

complicate, cioè la congiunzione, la disgiunzione, l'implicazione, la negazione, eccetera. Ovviamente<br />

Aristotele usava le negazioni come vedete qui, ma non fece un'analisi sistematica di quali particelle fossero<br />

necessarie per costruire le frasi composte. Quest'analisi<br />

sistematica fu fatta da una scuola alternativa a quella<br />

aristotelica, sempre ad Atene, che fu la Scuola<br />

degli stoici e di cui anche qui dovremo parlare nella prossima<br />

lezione. <strong>Il</strong> più grande stoico si chiama Crisippo<br />

ed insieme ad Aristotele c'è effettivamente questo altro<br />

grande nome di cui andremo parlare nella prossima<br />

lezione.<br />

53


LEZIONE 7: Lezione sotto il portico<br />

Quest’oggi finiremo un periodo della logica matematica, in realtà il periodo arcaico, cioè il periodo greco.<br />

Come vedete dal titolo della nostra lesione, “Lezione sotto il<br />

Portico”, quest’oggi andiamo a fare una gita scolastica, come si<br />

dice e usciamo da questo studio di registrazione, andiamo per<br />

l’appunto sotto un portico; capirete, tra breve, come mai abbiamo<br />

intitolato la lezione in questo modo e cerchiamo anzitutto di<br />

andare a vedere dove ci troviamo. Ci troviamo ad Atene, questo è<br />

il famoso dipinto ovviamente di Raffaello che abbiamo già visto<br />

tante volte a pezzi o intero. <strong>Il</strong> dipinto si chiama “la Scuola di<br />

Atene”, ma ”in realtà c'è un errore, perché “la Scuola di Atene<br />

erano in realtà “le Scuole di Atene”, cioè ce n’erano tre e le tre<br />

famose scuole di Atene erano, per l’appunto, le due delle quali<br />

abbiamo già parlato in lezioni passate e una delle quali parleremo quest’oggi. La prima Scuola, l'Accademia,<br />

vi ricorderete, è la Scuola che è stata fondata da Platone, la Scuola che ha avuto degli ospiti illustri, degli<br />

studenti illustri, tra cui Aristotele. Aristotele come abbiamo detto la scorsa lezione è uno di studenti<br />

dell'Accademia, ma non è diventato preside, rettore dell'Accademia, fondò una sua Scuola alternativa che si<br />

chiamava il Liceo e poi finalmente c'è una terza scuola che si chiama appunto la Stoà di cui parleremo in<br />

questa lezione, che però divenne praticamente il terzo corno di questo triangolo importante di scuole di<br />

Atene. E le tre scuole di Atene furono veramente importanti, anche perché ciascuno di esse aveva<br />

ovviamente una discendenza differente, chi discendeva da Platone, chi discendeva da Aristotele e chi<br />

discendeva per l’appunto dagli stoici che prendevano il nome dalla loro Scuola e per farvi un esempio di<br />

quanto fosse importante, poi in realtà, questa trilogia di Scuole, faccio un esempio che è abbastanza<br />

successivo, cioè 156 a.C. Qualcuno di voi ricorderà che questo è più o meno il periodo in cui i romani<br />

conquistano la Macedonia e cominciano a diventare<br />

i vicini politici, preoccupanti anche un po' fastidiosi dei<br />

greci. I greci cominciano a sentire che la loro<br />

civiltà sta ormai decadendo e che dovranno passare la torcia,<br />

come si dice, come diceva Platone anzi, dovranno<br />

passare la torcia a qualcun altro. Mentre invece i romani<br />

sono in piena espansione, quindi sono già arrivati ormai alle porte della civiltà greca e i greci ritengono,<br />

soprattutto gli ateniesi, di dover mandare a Roma una loro missione. Che cosa farebbero quest’oggi i nostri<br />

politici se dovessero mandare una missione,<br />

non so, ad un paese che sta conquistando i nostri vicini. Beh,<br />

ovviamente sceglierebbero i rappresentanti più<br />

importanti, gli uomini più prestigiosi della città o del paese e<br />

li mancherebbero l’appunto in missione diplomatica. Ebbene, che cosa<br />

fecero gli ateniesi nel 156 a.C.? Non pensarono ad altro, cioè non<br />

trovarono di meglio, ma questo era nuovamente difficile, perché queste<br />

erano le scuole migliori che si potessero immaginare, non trovarono di<br />

meglio, dicevo, che mandare un'ambasciata composta da tre<br />

ambasciatori e i tre ambasciatori provenivano uno dell'Accademia di<br />

Platone, l'altro dal Liceo di Aristotele e il terzo dalla Stoà. I loro nomi<br />

non sono molto importanti, l'unico, di cui forse qualcuno di voi si<br />

ricorderà, è il Carneade, che era appunto il prescelto dall'Accademia<br />

platonica. Carneade si ricorda oggi perché nessuno se lo ricordava nei<br />

Promessi sposi, dove c’è quella famosa frase, quando ad un certo punto<br />

si dice: Carneade chi era costui? Ebbene, costui era precisamente un discepolo, diciamo così, un esponente<br />

dell'Accademia platonica che fu scelto tra i tre missionari, cioè tra o tre ambasciatori che andarono a Roma.<br />

Gli altri due erano Critolao, per l’appunto, l’esponente del Liceo di Aristotele e Diogene che era invece<br />

l'esponente della Stoà. Questo l'ho detto , appunto, soltanto per farvi capire come, in realtà, queste tre<br />

scuole, che arrivarono ad Atene in periodi successivi, Platone e Aristotele e poi questa nuova Scuola a cui<br />

dedichiamo questo oggi la nostra lezione, queste tre scuole in realtà entrarono a far parte del tessuto della<br />

città, diventarono veramente tre poli in qualche modo, che si combattevano ovviamente intellettualmente, ma<br />

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che fecero ovviamente progredire il pensiero intellettuale greco. Bene, vediamo invece più vicini a noi,<br />

cerchiamo di parlare di ciò che dobbiamo affrontare oggi e parliamo, per l’appunto, di come mai questa<br />

lezione l'abbiamo chiamata “lezione sotto il portico”. Si chiamava lezione sotto il portico, perché la Scuola<br />

prese il nome da questa frase greca “Stoà poichilè”; Stoà significava, per l’appunto, portico e poichilè<br />

significava dipinto.<strong>Qui</strong>ndi poiché l'ambiente era molto interessante, gli studenti evidentemente amavano fare<br />

Zenone di Cipro lezione all'aperto, sotto questo portico, tra l’altro circondato dai dipinti,<br />

(300 a. C.) la Scuola prese il nome in questo modo. Ricordatevi che anche il Liceo<br />

Stoà poikilè = portico dipinto e l'Accademia avevano acquistato i loro nomi per motivi puramente<br />

Contingenti; l'Accademia perché era nata nel parco dell'eroe Accademo, il Liceo perché era nato in un parco<br />

dedicato ad Apollo licio e la Stoà, anche lei, prese il nome da questo fatto contingente, cioè dal fatto che le<br />

lezioni venissero fatte sotto un portico. <strong>Il</strong> primo esponente, il fondatore di questa nuova<br />

scuola che<br />

c'interessa particolarmente, come vedrete, una scuola molto importante dal punto di vista, proprio nostro,<br />

della logica matematica, il fondatore fu Zenone; però attenzione, non Zenone di Elea, colui di cui abbiamo<br />

parlato, quando abbiamo parlato dei paradossi, in particolare il famoso paradosso di Achille e la tartaruga,<br />

quello era Zenone di un'altra scuola. Zenone era un nome comune all'epoca, questo qui invece era Zenone di<br />

Cipro, cioè era un cipriota che arrivò ad Atene e fondò questa Scuola verso il 300 a.C.. Vediamo meglio,<br />

però, che cosa successe in questa scuola. Zenone era il fondatore, ma a differenza di Aristotele e a differenza<br />

di Platone, che come fondatori sia dell'Accademia che del Liceo in realtà erano anche gli esponenti più<br />

importanti e furono il massimo risultato di questa Scuola, cioè la Scuola era la loro Scuola, invece la Stoà<br />

divenne famosa, per lo meno per quanto riguarda gli studi di logica e di logica matematica di cui noi ci<br />

interessiamo, divenne famosa, dicevo, non tanto per quello che<br />

fece il suo fondatore Zenone di Cipro, ma per<br />

questo personaggio che si chiamava<br />

Crisippo, Crisippo di Soli e che visse tra 280 e il 210 circa a.C. Ora qui<br />

ho<br />

riportato una frase, che si trova nei classici dell'epoca, una frase che dice anche quanto fosse l'importanza<br />

di<br />

questo personaggio Crisippo, che oggi arriveremo a conoscere molto meglio, anche se purtroppo, per<br />

Crisippo di Soli motivi che vi spiegherò tra breve, in realtà è stato molto dimenticato e<br />

(280-210 a.C.) nei libri di testo se ne parla poco, dicevo la frase è questa qui, cioè la<br />

“ senza Crisippo non citazione “senza Crisippo non ci sarebbe stata la Stoà”, cioè la Stoà<br />

ci<br />

sarebbe stata la Stoà” che fu fondata da Zenone di Cipro, in realtà era una piccola scuola<br />

quando iniziò e divenne una scuola così importante, tanto importante<br />

da poter arrivare a essere considerata alla<br />

pari della Accademia e di<br />

Liceo, divenne importante proprio grazie alle opere, al pensiero, al<br />

lavoro,<br />

all'insegnamento di questo signore Crisippo. Crisippo lo<br />

abbiamo<br />

già visto in una delle lezioni introduttive, quando vi avevo<br />

appunto<br />

detto che nella terna dei logici, diciamo così, del periodo<br />

greco era effettivamente alla pari di Platone e di Aristotele. <strong>Qui</strong>ndi<br />

possiamo<br />

immaginarci che da questo solo fatto che qualcuno vi dica<br />

che, effettivamente al livello di Aristotele come logico c'era già anche<br />

questo<br />

Crisippo, già ci potrebbe far capire che effettivamente è stato<br />

un personaggio<br />

veramente fondamentale. E oggi cercheremo di capire<br />

che cosa lui ha fatto. Bene, andiamo più da<br />

vicino appunto, a cercar di capire che cosa effettivamente fece<br />

Crisippo, ma prima volevo concludere praticamente<br />

questa breve carrellata sullo stoicismo e anche spiegare<br />

come mai, per l’appunto, oggi non si parla<br />

più tanto dello storicismo, non si parla più tanto di Crisippo,<br />

come mai anche non c'è più quasi una testimonianza diretta, cioè nel senso che i loro testi sono scomparsi.<br />

Anzitutto, questa slide si riferisce allo stoicismo tardo, cioè c'è stato non soltanto uno storicismo greco, per<br />

l’appunto nato nella Stoà di Atene e poi mandato avanti da personaggi come Crisippo, ma c'è stato anche<br />

uno stoicismo romano e alcuni degli esponenti di questo storicismo romano sono stati veramente importanti.<br />

<strong>Il</strong> primo, forse il più importante di tutti, è stato Seneca, che visse circa dall'anno zero, cioè il momento della<br />

nascita di Cristo, al 65 d.C.; qui, questo signore che vedete raffigurato nella parte sinistra in basso dello<br />

schermo, non è né Seneca né quest'altro personaggio di cui parleremo tra un momento, Marco Aurelio, bensì<br />

Nerone. Ora Nerone è famosissimo, è passato alla storia certamente per motivi, forse non tutti piacevoli, vi<br />

ricorderete, a parte la Domus aurea, che è stata riscoperta, piena di affreschi eccetera, che era stata cancellata<br />

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perché sopra di questo furono poi costruite in segno dispregiativo le<br />

terme, addirittura i bagni pubblici, ma Nerone ricordato oggi per<br />

l'incendio, perché mise a fuoco la città di Roma, Nerone aveva avuto<br />

Seneca come precettore. Ecco che qui vedete tra l'altro un pattern,<br />

come direbbero gli inglesi, cioè una riproduzione di eventi, abbiamo<br />

parlato in una delle scorse lezioni per la punto di Aristotele, Aristotele<br />

che ad un certo punto divenne il precettore di Alessandro il Macedone,<br />

di Alessandro il Grande; ebbene Seneca, anche lui un filosofo<br />

importante che diventa precettore d'un imperatore come Nerone.<br />

<strong>Qui</strong>ndi all'epoca effettivamente i filosofi erano parte dell'insegnamento, soprattutto l'insegnamento della<br />

nobiltà, di coloro che poi sarebbero arrivati al governo. Questo era molto legato ovviamente all'idea<br />

platonica; Platone aveva sostenuto nella “Repubblica” che la vera repubblica, il vero stato che si fosse<br />

indirizzato, che si fosse costituito su basi razionali avrebbe dovuto essere governato direttamente dai filosofi.<br />

Platone lo diceva per motivi ovvi, perché lui era un filosofo, quindi a tutti piace governare, forse gli sarebbe<br />

piaciuto anche a lui diventare presidente o imperatore di imperi, non potendolo fare direttamente, quello che<br />

i filosofi poi riuscirono a fare effettivamente fu di essere perlomeno l'educatore del principe, l’educatore di<br />

colui che sarebbe diventato poi il regnante. Ebbene Seneca, dicevo per l’appunto, fu il precettore di Nerone.<br />

Un altro invece famoso esponente dello storicismo romano fu Marco Aurelio, che visse tra il 121 e 180 d.C.<br />

e Marco Aurelio divenne lui direttamente imperatore; quindi vedete, come lo stoicismo non soltanto fu<br />

importante da un punto di vista intellettuale ad Atene, perché era una delle tre scuole all'avanguardia, ma fu<br />

importante anche da un punto di vista pratico, perché o attraverso l'insegnamento di Seneca o direttamente<br />

attraverso il governo di Marco Aurelio arrivò addirittura ai massimi vertici del potere romano. Che cosa<br />

successe però? Oggi lo stoicismo in realtà non è molto noto, è rimasta la parola stoico, l'aggettivo che<br />

significa qualcuno che effettivamente sa controllare le proprie emozioni, sa andare contro quasi la propria<br />

natura per sacrificarsi; ebbene, questo era uno degli aspetti effettivamente dello storicismo. Gli storici erano<br />

personaggi che avevano un estremo autocontrollo, erano veramente filosofi nel senso che oggi daremo alla<br />

parola, non nel senso di qualcuno che fa, che pratica la professione di filosofia, una professione di filosofia,<br />

ma qualcuno che chi vive veramente la filosofia. Ebbene, però questo storicismo era quasi una religione laica<br />

e ovviamente se voi guardate queste date, soprattutto la prima, l'anno zero, beh, questo è arrivato in un<br />

momento che forse era il momento sbagliato. Ci fu un'altra religione che era tutt'altro che una religione laica,<br />

una religione fideistica, cioè il cristianesimo<br />

che in quello stesso periodo arrivò a contrastare, diciamo così,<br />

lo stoicismo; il cristianesimo ebbe la<br />

partita vinta e allora da quel momento, questa religione sarebbe stata<br />

una religione, un modo di comportamento,<br />

un etica razionale, lo stoicismo passò in secondo piano, non si<br />

ripubblicarono più i libri e all'epoca non ripubblicare libri significava non riscriverli più, perché le cose<br />

ovviamente venivano tramandate semplicemente<br />

per coppie, fatte a mano e bastava che si cominciasse a non<br />

scrivere più un libro che questi libri<br />

andavano naturalmente persi nella memoria e questo successe<br />

effettivamente agli stoici. L'intera scuola<br />

stoica, non soltanto quella romana, ma dal nostro punto di vista è<br />

molto più importante quella greca, cioè<br />

dal punto di vista della logica, tutte le opere degli stoici andarono<br />

perdute e oggi non ce ne sono più,<br />

in particolare le opere di Crisippo, che era, come abbiamo detto,<br />

l'esponente principale dello stoicismo greco, uno dei logici più importanti insieme ad Aristotele. Crisippo era<br />

quel che oggi chiameremo un grafomane,<br />

perchè letteralmente scriveva 500 righe al giorno. Nella lezione su<br />

Aristotele abbiamo detto che, più o meno, c'è stato un calcolo di ciò che Aristotele ha lasciato, erano circa<br />

450.000 righe; 500 righe al giorno, significa che per arrivare a 500.000 righe basta passare 1000 giorni, che<br />

sono circa tre anni, cioè in tre anni Crisippo aveva scritto o scriveva ogni tre anni l’analogo o l’equivalente<br />

di ciò che Aristotele ci ha lasciato, quindi un enorme quantità di volumi. Si calcola, si dice che Crisippo<br />

avesse scritto 700 libri. Ora è vero che all’epoca i libri non erano quelli che sono oggi, cioè erano magari<br />

capitoli, però 700 libri erano comunque una somma enorme, che è un po’ simboleggiata qui dal fatto che<br />

abbiamo fotografato una di queste opere , 28 di questi libri erano addirittura soltanto sul paradosso del<br />

mentitore, quindi Crisippo analizzava il paradosso del mentitore, proponeva delle soluzioni, molte di queste<br />

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soluzioni, molte di queste analisi sono andate perdute, perché come vi ho detto, oggi di libri di Crisippo non<br />

c’è ne nessuno. Pensate un po' alla tragedia intellettuale di qualcuno che passa la sua vita a scrivere 500 righe<br />

al giorno, che arriva alla morte avendo lasciato 700 libri e poi dopo qualche anno, dopo qualche secolo tutto<br />

è passato, non è rimasto nulla. Beh, non proprio più nulla, perché alcune fonti e qui, scherzosamente,<br />

abbiamo posto come fonte l'immagine di una fonte in un altro modo<br />

naturalmente, alcune delle fonti e qui scherzosamente abbiamo<br />

posto l’immagine di una fonte, in un altro modo naturalmente,<br />

alcune delle fonti ci sono rimaste, in particolare sono rimaste le<br />

opere di Sesto Empirico che è vissuto circa nel 200 d.C.; però<br />

attenzione, perché stiamo parlando di un pensatore come Crisippo,<br />

che è vissuto, come vi ho detto tra il 280 e il 210 a.C. e qui invece<br />

stiamo parlando di fonti che ci sono state tramandate da uno scrittore<br />

vissuto nel 200 d.C., quindi 400-450 anni dopo che il pensiero di<br />

Crisippo era stato formulato ed era stato scritto. Questo lo dico<br />

soltanto, perché effettivamente quando<br />

si va a leggere Sesto Empirico, bisogna andare a scavare, sarebbe<br />

come se oggi praticamente parlassimo<br />

di qualcuno che è vissuto verso il 1450, prima della scoperta<br />

dell'America. Ora è chiaro che ciò noi diciamo oggi di quello che è avvenuto prima della scoperta<br />

dell'America, insomma non siamo proprio dei testimoni oculari, come potremo dire e Sesto Empirico era<br />

tutt'altro che un testimone oculare, raccontava cose che aveva sentito dire da altri, che lo avevano sentito dire<br />

da altri e così via per un certo numero di generazioni. Come se non bastasse una delle opere in cui troviamo i<br />

riferimenti a Crisippo, una delle opere di Sesto Empirico, si chiamava “Contro i matematici” ed anche il<br />

titolo ovviamente ci lascia presagire poco di buono, un opera critica quindi e non soltanto veniamo a sapere<br />

ciò che Crisippo e gli storici hanno fatto nel campo della logica da gente che non era loro contemporanei,<br />

bensì erano persone vissute 4-5 secoli dopo, ma oltretutto erano anche persone che non condividevano la<br />

filosofia stoica, che non condividevano l'analisi stoica del linguaggio e della logica e che invece<br />

combattevano questa Scuola ed addirittura scrivevano già subito nel titolo quale era la loro professione di<br />

fede, cioè contro i matematici. Questo per dire che bisogna stare molto attenti oggi effettivamente a leggere<br />

queste opere, però la cosa interessante è questa: che anche leggendo le opere di un signore vissuto molto<br />

tempo dopo e che combatteva quello di cui stava parlando, ebbene nonostante tutto ciò, da queste opere<br />

emerge la figura di un grandissimo logico, si può ancora riuscire a capire quanto importante fosse, anche<br />

soltanto attraverso le critiche. Per darvi l'idea, è chiaro che se qualcuno volesse scrivere per esempio la<br />

biografia di un capo di governo, per esempio D’Alema e fosse però un giornalista della parte avversa, per<br />

esempio Emilio fede, beh, forse noi non presenteremo molta fede ad una biografia di questo genere o<br />

viceversa ovviamente, quindi c’è da stare molto attenti. Però fortunatamente la logica è anche qualcosa di<br />

oggettivo, ci sono dei risultati, ci sono delle definizioni, si sono dei teoremi, ci sono delle dimostrazioni che<br />

si possono ricavare dalle opere di Sesto Empirico e c'è stato qualcuno, in particolare un professore americano<br />

che si chiamava Benson Maids, che ha fatto praticamente verso il 1950 uno studio approfondito di questi<br />

testi, quindi soltanto una cinquantina di anni fa ed è emersa finalmente quasi dall'oblio, quasi dal nulla,<br />

questa Scuola e questi riferimenti, che ci hanno fatto capire come gli storici in realtà fosse arrivati più avanti<br />

di tutti nella logica, molto più avanti di Aristotele, praticamente avevano scoperto cose che noi in Occidente<br />

e nell'era moderna avremo riscoperto soltanto verso la fine dell'800 e gli inizi del ‘900, quindi pensate erano<br />

avanti di 2000 anni! Vediamo allora di avvicinarci, più da vicino, a quello che sono stati i risultati di<br />

Crisippo, che come vi ho detto siamo andati a raschiare al fondo del barile di queste fonti.<br />

Ebbene ci sono concezioni della logica opposte anzitutto. Aristotele e Crisippo erano due Scuole<br />

contrapposte e non a caso il Liceo e la Stoà erano appunto considerate, già all'epoca, come delle Scuole<br />

rivali. Per quanto riguarda noi, appunto le concezioni della logica, quale era la concezione della logica che<br />

aveva Aristotele, che abbiamo già visto più volte, anche in fotografia diciamo così? Aristotele pensava che la<br />

logica fosse qualcosa di propedeutico alle scienze, cioè c'erano le varie scienze, le scienze della natura, in<br />

particolare la fisica, quella che noi chiameremo oggi la biologia e così via; ebbene la logica era qualche cosa<br />

di precedente, cioè non faceva parte delle scienze, era una specie di strumento, era il linguaggio che avrebbe<br />

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dovuto servire agli scienziati per portare<br />

avanti i loro discorsi, per scrivere le loro dimostrazioni e così via.<br />

<strong>Qui</strong>ndi è uno strumento e infatti se ricordate<br />

dalle lezioni di Aristotele, le opere di Aristotele che parlano di<br />

logica sono state raccolte, per l’appunto,<br />

sotto il titolo di Organon, lo Strumento. Però questo fatto di essere<br />

Concezioni della logica uno strumento ovviamente le poneva in una posizione secondaria,<br />

Aristotele:<br />

cioè quando si va, per esempio, a fare l'agricoltura, è chiaro l’aratro,<br />

Propedeutica alle scienze<br />

la vanga, eccetera, sono strumenti importanti, ma non sono così<br />

Crisippo:<br />

importanti come il grano, come i frutti, perché quelli sono le cose<br />

parte autonoma delle scienze che effettivamente a noi interessa avere, cioè ci interessa coltivare i<br />

campi per ottenere il grano, per ottenere i frutti, per ottenere la verdura e così via, mentre invece la vanga e<br />

l'aratro sono strumenti per arrivare a questo<br />

fine e questo era il modo in cui Aristotele concepiva la logica.<br />

Per Crisippo invece la cosa era completamente<br />

diversa, la logica era una parte autonoma delle scienze, cioè<br />

era una delle scienze, forse la prima nel senso che era precedente a tutte queste, ma non propedeutica<br />

soltanto, non soltanto un linguaggio, era essa stessa una scienza che aveva tutta la dignità, tutte le<br />

caratteristiche per poter essere considerata<br />

autonomamente. <strong>Qui</strong>ndi Crisippo, se vogliamo, è stato veramente<br />

il primo logico, colui che ha capito che la logica poteva essere considerata come qualche cosa di a sé stante,<br />

qualche cosa d'importante e fine a se stesso. Ora possiamo andiamo a vedere più da vicino quali sono i<br />

risultati e le definizioni anche di Crisippo.<br />

Come vedeva Crisippo la logica? Abbiamo parlato di Aristotele, abbiamo visto che Aristotele distingueva le<br />

parti della logica, a seconda che le premesse fossero vere o verosimili o false e i ragionamenti fossero<br />

corretti oppure che i ragionamenti fossero scorretti. Crisippo faceva una distinzione diversa però e mentre la<br />

distinzione di Aristotele ormai è passata in cavalleria, come diremo, ormai non si studia più se non come<br />

storia, la distinzione di Crisippo è quella su cui ancora oggi noi fondiamo i nostri corsi di logica; quando<br />

insegniamo un corso di logica, per esempio questo, ci basiamo su queste distinzioni, non su quelle di<br />

Aristotele, che quindi sono state più importanti e più feconde. <strong>Il</strong> primo campo della logica secondo Crisippo<br />

era la semiotica.<br />

La semiotica è “lo studio dei segni che si usano nella<br />

logica”. Quando noi vediamo qualche cosa scritto, ebbene la<br />

prima cosa che ci colpisce di una frase scritta è l'enunciato,<br />

cioè il modo in cui noi l'abbiamo scritta, il modo in cui noi<br />

abbiamo espresso le cose. Ebbene per la semeiotica, che poi<br />

tra l'altro è diventata una scienza a sé stante soltanto verso<br />

l'800 e il ‘900, il più famoso d'Italia è Umberto Eco, che tutti<br />

voi conoscete, perché fa anche altre cose, comunque il suo<br />

campo di ricerca è precisamente lo studio dei segni in<br />

generale, non soltanto i segni linguistici, ma anche per esempio i segni che si usano nella comunicazione,<br />

oggi noi diremmo nei media. <strong>Qui</strong>ndi diciamo che la semiotica è il primo livello, <strong>Il</strong> secondo livello è quello<br />

che oggi chiamiamo la sintassi. La sintassi parla non soltanto di segni, non soltanto del modo in cui le cose<br />

sono scritte, ma anche del modo in cui sono espresse e allora il modo, in cui sono espresse queste cose, si<br />

chiama senso e l'enunciato che sta alla base ha un giudizio, cioè esprime un giudizio. <strong>Il</strong> terzo livello, che è<br />

invece il livello forse più importante, è la semantica, cioè ciò che vogliamo dire. Ora i segni sono ciò che<br />

usiamo per dire le cose, il senso è il modo in cui noi diciamo le cose e il significato è ciò che vogliamo dire,<br />

quindi questi tre livelli che gli stoici con un'analisi molto sottile sono usciti a separare, mentre l'enunciato,<br />

che è il modo come noi diciamo le cose, esprime un giudizio e questo giudizio ha come significato, come<br />

contenuto una proposizione. Questi tre livelli, semeiotica, sintassi e semantica, sono quelli che adesso<br />

consideriamo un po' più da vicino e di cui poi parleremo praticamente per tutto il resto del corso, perché<br />

sono effettivamente quelli in cui noi oggi ancora dividiamo la logica.<br />

1. Semiotica Vediamo ora il primo livello, cioè la semiotica; qui gli stoici<br />

Variabili proposizionali: p, q, … non andarono molto lontani, come vi ho detto, la semiotica è<br />

Connettivi: non, e, o, se…allora come scienza a se sestante, un qualche cosa di molto moderno,<br />

però riuscirono ad analizzare che cosa stava lì e in particolare analizzarono i segni che servono nella logica<br />

dividendoli in due parti, cioè le variabili (proposizionali) ed i connettivi. La logica di cui parlavano gli stoici<br />

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era “la logica proporzionale”, qualche cosa che Aristotele aveva intuito, ma che non aveva analizzato a<br />

fondo, ebbene i due tipi di segni che vengono usati nella semiotica del linguaggio della logica proporzionale<br />

sono anzitutto le variabili (proposizionali), che oggi si indicano generalmente con delle lettere p, q, eccetera.<br />

p e q non vogliono dire nulla, stanno per delle proposizioni, stanno per delle affermazioni o proposizioni<br />

che noi chiameremo atomiche e si noti che i primi ad usare veramente i n maniera sistematica le variabili,<br />

come variabili proporzionali sono stati proprio gli stoici, che quindi già nel 200 a.C., prima che ancora si<br />

usassero le variabili come espressione di numeri indefiniti, cioè nel modo in cui noi le siamo tutti i giorni,<br />

già avevano questo uso delle variabili a livello della logica e che quindi ha preceduto l'uso più quotidiano<br />

nella matematica. L’altro tipo di segno sono i connettivi dei quale abbiamo già parlato più volte, perlomeno<br />

in maniera indiretta, ma oggi finalmente arriviamo ad affrontarli direttamente. I connettivi sono la negazione<br />

non, la congiunzione e, la disgiunzione o, l’implicazione soprattutto, cioè il connettivo della deduzione il<br />

se..... allora. <strong>Qui</strong>ndi questo a livello di segni, con questi segni, cioè con questi connettivi e con queste<br />

variabili si possono costruire le frasi della logica proporzionale, che poi gli stoici sono andati ad analizzare.<br />

Vediamo ora il secondo livello, cioè la sintassi; qui gli stoici sono andati ad analizzare i segni, connettivi e<br />

2. Sintassi variabili, da un punto di vista della sintassi ed hanno anzitutto definito quale è<br />

Formule la nozione di formula, cioè una combinazione ben formata dei segni, hanno poi<br />

Regole enunciato gli assiomi più importanti per ciascuno dei connettivi e le regole (di<br />

Assiomi deduzione). Notate anche, che quando abbiamo parlato di Aristotele, abbiamo<br />

parlato d’assiomi e regole, però in quel caso si trattava degli assiomi e delle regole relativi solo ai sillogismi,<br />

cioè una parte un po' diversa della logica sulla quale torneremo e che coinvolgeva i quantificatori “tutti”,<br />

“qualcuno”, “nessuno”. <strong>Qui</strong> invece gli stoici hanno fatto un'analisi analoga a livello proposizionale.<br />

Per esempio, per quanto riguarda le regole, la prima regola, la più importante è il cosiddetto “modus ponens”<br />

che si può facilmente enunciare dicendo questo: se noi abbiamo un'ipotesi, chiamiamola a e se da questa<br />

ipotesi a possiamo dedurre una conseguenza b, allora siamo arrivati, appunto, alla conseguenza b, cioè<br />

abbiamo due punti di partenza, due assiomi per così dire, a e il fatto che da a derivi b, allora messe<br />

insieme queste due cose, l'ipotesi a e il fatto che da a derivi b si può<br />

arrivare a concludere b, cioè alla conclusione. Quest’oggi ci appare<br />

naturalmente ovvio, ebbene all'epoca non lo era affatto, i primi che<br />

sono stati chiari, che hanno visto chiaramente che questa era una delle<br />

regole principali della logica sono stati precisamente gli stoici e<br />

l'hanno chiamata, non in latino ovviamente, perché non parlavano<br />

latino, ma gli scolastici hanno poi ritradotto queste cose in questa<br />

espressione che oggi viene usata normalmente e che si chiama il<br />

“modus ponens”.<br />

Altro esempio che riguarda le regole è la “contrapposizione”, cioè se<br />

qualcuno di voi ricorda la fine della lezione su Platone, quando abbiamo d etto che effettivamente ha fatto<br />

dei passi avanti, però faceva anche degli errori, ebbene gli errori su cui abbiamo messo il dito nel caso di<br />

Platone riguardavano praticamente tutti i dialoghi esenti di errori di contrapposizione. Ad esempio, vedete<br />

questo l'ombrello qui nella slide, voi direte che cosa c'entra “su questo non ci piove”, ebbene no, l'esempio<br />

dell'ombrello è precisamente il tipico esempio che si fa quando si vuol far capire com’è la contrapposizione<br />

corretta, cioè la fase tipica è: “se oggi piove<br />

esco con ombrello”. In genere si pensa se uno dice “se piove<br />

esco con ombrello”, allora “se non piove non esco con l’ombrello”, ma la cosa non è affatto vera, perché<br />

“se piove esco con ombrello” vuol dire che “ ogni volta che piove io prendo l'ombrello ed esco con<br />

ombrello”, non dico nulla assolutamente su che cosa io faccio nel caso in cui non piova e quindi in<br />

particolare non è affatto vero che dal fatto che “se piove esco con ombrello”, allora “ se non piove non<br />

esco con ombrello”, però poiché ogni volta che piove esco con ombrello, se su un giorno voi mi vedete per<br />

la strada senza l'ombrello, anche senza guardare il cielo, si può dedurre da questo fatto che non piove, perché<br />

“se ogni volta che piove io esco con ombrello”, allora “se non esco con ombrello” non piove, questa è la<br />

contrapposizione corretta. <strong>Qui</strong>ndi<br />

ricordatevi l'ombrello, ricordate la pioggia e ricordatevi quando uscite<br />

con l’ombrello e con la pioggia che i primi ad aver capito come effettivamente bisognava comportarsi, non<br />

con la pioggia e con ombrello, ma con questi tipi di ragionamento logico, cioè con la contrapposizione, erano<br />

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per l’appunto<br />

gli stoici.<br />

Un altro esempio che riguarda il ragionamento tipico è il così detto “riduzione all'assurdo”, cioè il procedimento<br />

di riduzione all'assurdo, cioè la dimostrazione<br />

per assurdo. E’ stato anche questo uno dei procedimenti<br />

che gli stoici hanno usato e che hanno formalizzato;<br />

naturalmente il procedimento veniva già usato in<br />

precedenza, abbiamo ricordato nelle lezioni passate<br />

che, per esempio, il teorema di Pitagora era dimostrato<br />

attraverso una dimostrazione per assurdo, ma gli stoici hanno isolato qual’era “ il principio di dimostrazione<br />

per assurdo”, cioè se noi vogliamo dimostrare una<br />

certa proposizione e la vogliamo dimostrare per assurdo,<br />

allora supponiamo che questa proposizione non sia vera, deriviamo una contraddizione, cioè un assurdo<br />

e allora da questa contraddizione denunciamo che<br />

l'ipotesi non poteva funzionare, cioè avevamo supposto la<br />

negazione della nostra ipotesi, quindi possiamo derivare la nostra ipotesi. In altre parole, detto con le lettere,<br />

come avrebbero fatto gli stoici, supponiamo di voler dimostrare a, cioè una certa proposizione a, partiamo<br />

dall'ipotesi “non a”, deriviamo una contraddizione, allora vuol dire che “non a” non poteva funzionare,<br />

perché ha portato contraddizione e quindi è vero il contrario, cioè è vero a, contrario di “non a”, per<br />

l’appunto. Questo che anche oggi non è poi una cosa così immediata e così semplice, il fatto che gli<br />

storici l'avessero capito e l'avessero formalizzata vuol dire che erano arrivati ad un livello molto avanzato<br />

di logica. Bene, questo era quello in cui consisteva l'apporto degli stoici per quanto riguarda le regole. C'è<br />

ancora un esempio molto particolare di uso della logica da parte degli stoici, che è quello della cosiddetta<br />

“consequentia mirabilis”. <strong>Il</strong> primo esempio di “consequentia mirabilis” è stato fatto da Platone, che ha<br />

Consequentia mirabilis dimostrato che qualche cosa di assoluto ci deve essere,<br />

Platone: qualcosa è assoluto come mai? Beh, in uno dei suoi dialoghi dice: supponiamo<br />

Aristotele: qualcosa è vero che non ci sia niente di assoluto, allora quello che ho appena<br />

Crisippo: qualcosa è dimostrabile detto è effettivamente qualche cosa di assoluto. Dunque non<br />

è possibile allora supporre che non ci sia niente di assoluto perché porta alla conclusione che c’è qualche<br />

cosa di assoluto e questo è un ragionamento molto sottile che è stato ripetuto nel corso della storia da tante<br />

persone. Un altro che lo ripeté in un altro ambiente, in un'altra situazione, fu Aristotele che dimostrò in<br />

questo modo che ci deve essere qualche cosa di vero. Come mai? Supponiamo che tutto sia falso, allora se<br />

tutto è falso, la frase che dice che tutto è falso è vera; quindi anche nel caso che noi supponiamo il contrario<br />

di quello che vogliamo dimostrare, in realtà poi arriviamo lo stesso a dimostrare che qualche cosa di vero ci<br />

deve essere, perché o c'è qualche cosa di vero o non c'è niente di vero, ma allora il fatto che non ci sia niente<br />

di vero è una verità e dunque abbiamo dimostrato che qualche cosa di vero ci dev’essere. Ebbene gli stoici<br />

portarono avanti questo tipo di ragionamento e Crisippo dimostrò che qualche cosa deve essere dimostrabile,<br />

come mai? Perché se niente è dimostrabile questo sarebbe una dimostrazione di qualche cosa, cioè del fatto<br />

che niente è dimostrabile. <strong>Qui</strong>ndi vedete come la logica a questo punto incominciava a diventare un qualche<br />

cosa di veramente sofisticato.<br />

<strong>Il</strong> terzo livello della logica stoica, la semantica, è forse il più importante di tutti, è un qualche cosa che<br />

proprio a causa della rimozione dei testi stoici è stato dimenticato ed è stato riscoperto con molta difficoltà in<br />

parte soltanto nella Scolastica e poi finalmente nell'800, fine ‘800, inizi ‘900 in maniera completa.<br />

3. Semantica Pensate che per 2000 anni praticamente, una di quelle parti della logica<br />

Definizioni vero-funzionali di cui noi andavamo più fieri, prima che si studiassero questi testi<br />

dei connettivi (vero-falso) nascosti, queste testimonianze nascoste della logica storica, era proprio<br />

questa parte della logica proporzionale di cui adesso vi dico brevemente i risultati. Quello che gli storici<br />

fecero fu di trovare delle definizioni cosiddette zero-funzionali dei connettivi, cioè riuscire a descrivere<br />

qual’è il comportamento delle particelle di cui abbiamo parlato poco fa, cioè non, e, o, se....allora, solo in<br />

base alla verità o falsità delle loro componenti, cioè in base al vero o falso e per questo si chiamano zerofunzionali,<br />

cioè una descrizione che dipende soltanto dalla verità e dalla falsità di questi connettivi. Vediamo<br />

più da vicino come si fa ad arrivare ad una descrizione zero-funzionale della negazione. Tra parentesi, tra i<br />

vari connettivi ho messo, per vostra conoscenza i simboli formali con i quali essi vengono usati oggi. Ce ne<br />

sono in genere di due tipi, il primo è quello che si usa nella logica, il secondo è quello che si usa nella teoria<br />

. Negazione (¬, –) degli insiemi. E’ bene che ci si impratichisca anche con questi simboli.<br />

Negazione vera se La negazione anzi tutto: quand'è che una negazione è vera? Quando ciò<br />

negato falso che viene negato è falso; per esempio, se dico “oggi piove”, allora se è<br />

60


Negazione falsa se falso che oggi piove è vero che oggi non piove; dunque la negazione è<br />

negato vero vera quando ciò che si nega è falso e ovviamente la cosa è perfettamente<br />

simmetrica, una negazione è falsa quando<br />

ciò che si nega è vero. <strong>Qui</strong>ndi vedete che la negazione si può<br />

descrivere in modo completo semplicemente<br />

in base a qual’è il suo effetto sui cosiddetti “valori di verità”,<br />

cioè su verità e falsità delle proposizioni.<br />

Congiunzione (^, ∩)<br />

La congiunzione, di nuovo tra parentesi ci sono due simboli che<br />

congiunzione vera se<br />

si riferiscono alla congiunzione nella logica e nella teoria degli<br />

tutti i congiunti veri insiemi. Quand’è che una congiunzione è vera? E’ vera soltanto<br />

congiunzione falsa se<br />

se tutti i congiunti di cui essa parla sono veri. Per esempio, se<br />

almeno un congiunti falso<br />

dico “oggi piove e ho fame”, ebbene quand’ è che una frase di<br />

questo genere, dove c'è un e in mezzo, è vera? Quando sono vere tutte e due le parti, cioè quando è vero sia<br />

che oggi piove, sia che oggi ho fame; quindi la congiunzione è vera, se queste parti, che si chiamano appunto<br />

congiunti, sono tutte vere. E quand'è che invece una congiunzione è falsa? Beh, per rendere falsa una<br />

congiunzione basta che uno dei due casi non sia più vero e allora non è più vera la loro congiunzione e<br />

dunque la congiunzione è falsa se almeno uno dei congiunti è falso. Per esempio, se dico “oggi piove e ho<br />

fame” e dico “questa congiunzione è falsa”, vuol dire o che non è vero che oggi sta che piovendo oppure che<br />

non è vero che oggi ho fame, una delle due è sufficiente a rendere falsa la congiunzione.<br />

Disgiunzione (v, U) La disgiunzione, vedete i simboli, dove v sta per vel, che era<br />

disgiunzione falsa se la parola latina con la quale si indicava la o. <strong>Il</strong> comportamento<br />

tutti i disgiunti falsi della disgiunzione è semplicemente simmetrico a quello della<br />

disgiunzione vera se congiunzione. Quand'è che una disgiunzione è falsa? Siccome<br />

se almeno un disgiunto vero disgiunzione vuol dire che uno dei due disgiunti dev’essere vero,<br />

allora è falsa la disgiunzione se tutte e due i disgiunti sono falsi e viceversa ovviamente in modo simmetrico,<br />

una disgiunzione sarà vera se almeno uno dei due disgiunti è vero. <strong>Qui</strong>ndi vedete che potete già intuire che<br />

congiunzione e disgiunzione sono degli operatori molto simili, si comportano in maniera che oggi diremmo<br />

simmetrica, in matematica si usa la parola duale, cioè si possono scambiare tra di loro, soltanto che quando<br />

si scambia disgiunzione con congiunzione bisogna allora scambiare vero con falso; quindi la regola che ci<br />

dice quand’è che una disgiunzione è falsa (tutti i disgiunti sono falsi), è la stessa regola che si dice quand'è<br />

che una congiunzione è vera (tutti i congiunti sono veri) e viceversa per la regola della disgiunzione vera.<br />

<strong>Qui</strong>ndi si incomincia a capire dal punto di vista della logica proporzionale che proprio gli stoici, già 2000<br />

anni fa, avevano enunciato perfettamente tutte queste regole.<br />

Implicazione (═>, ) L'implicazione, l'ultimo operatore importante “se..... allora”,<br />

implicazione falsa se si indica formalmente nella logica col simbolo di una freccia e<br />

ipotesi vera e conclusione falsa dal punto di vista insiemistico con questo ferro di cavallo girato.<br />

implicazione vera se Ebbene gli stoici capirono una cosa essenziale che, mentre le<br />

ipotesi falsa o conclusione vera cose che ho d etto poco fa, cioè le regole per la negazione, la<br />

congiunzione, la disgiunzione sono cose abbastanza ovvie, sulle quali non ci piove se vogliamo tornare<br />

sull'esempio del parapioggia, per quanto riguarda l'implicazione le regole molto più sottili. Ebbene nessuno<br />

discuterebbe il fatto che una implicazione, cioè un ragionamento deve essere falso se siamo partiti da<br />

un'ipotesi vera e siamo arrivati ad una conclusione falsa, vuol dire che per via ci siamo persi: siamo partiti da<br />

un assunto che era vero, abbiamo fatto un ragionamento e siamo arrivati ad una conclusione falsa, qualcosa<br />

nel ragionamento è andato storto, quindi l'implicazione che congiunge l’ipotesi e la conclusione è falsa.<br />

Ebbene gli stoici ebbero una visione, diciamo così, un lampo di genio, un uovo di colombo, il dire che se nel<br />

caso precedente un implicazione è falsa, tutti gli altri casi renderanno invece l'implicazione vera, cioè il caso<br />

banale di ipotesi vera e conclusione vera e i casi di ipotesi falsa e conclusione vera, ipotesi falsa e<br />

conclusione falsa. Ebbene quando si parte da un'ipotesi falsa, quindi non ci interessa più ormai il<br />

ragionamento appunto perchè siamo già partiti da un'ipotesi falsa, possiamo fare un ragionamento corretto o<br />

scorretto, cioè arrivare ad una conclusione vera o falsa, che non ci interessa perché arriveremo comunque a<br />

qualche cosa che non è più collegata con l'ipotesi, allora l’implicazione è vera; idem, quando la conclusione<br />

è vera, non ci importa se siamo partiti da un'ipotesi falsa, se abbiamo fatto un ragionamento corretto, perché<br />

sappiamo già che la conclusione è vera. Ed ecco che questo uovo di colombo, cioè di trasformare l'unica<br />

61


condizione, cioè la condizione quando l'implicazione è falsa, in una condizione necessaria e sufficiente,<br />

come direbbero i matematici, per la verità dell’implicazione, cioè di dire che in tutti gli altri casi<br />

l'implicazione è vera, è quella che oggi si chiama in realtà “implicazione megarica”, perché anche una<br />

Scuola greca, appunto la Scuola di Megara, l'aveva intuito, gli stoici la ritrovarono e oggi è quella che viene<br />

usata in matematica. <strong>Qui</strong>ndi effettivamente è sempre un po' difficile, per questo lo lasciata per ultimo,<br />

convincere coloro che vedono per la prima volta l’implicazione, che essa sia vera quando “l'ipotesi è falsa o<br />

la conclusione è vera”, perché sembra un modo poco soddisfacente di definire l'implicazione, ma l'uovo di<br />

colombo è ’appunto questo, che questo tipo di definizione è sufficiente per tutti gli usi che si vogliono fare<br />

della logica in matematica e quindi è inutile andare a complicarci la vita, basta rimanere su questo livello.<br />

L'ultima cosa che gli storici videro e questo è ancora più sorprendente, fu quello che oggi noi chiamiamo il<br />

“teorema di completezza”. In realtà il teorema di completezza fu dimostrato negli anni ‘20 da Wittgenstein e<br />

da Post; il teorema di completezza dice addirittura che le regole sintattiche e gli assiomi enunciati da<br />

Teorema di completezza Crisippo sono sufficienti a derivare tutte e sole le verità<br />

Gli assiomi e le regole sintatiche semantiche, cioè che la sintesi che gli stoici avevano<br />

sono sufficienti a derivare tutte e isolato era, in realtà, un qualche cosa di sufficiente,<br />

sole le verità matematiche ma anche di completo, cioè descriveva completamente<br />

l'intera logica. Questo è veramente un risultato stupefacente; ovviamente gli storici non avevano una<br />

dimostrazione di questo fatto, ma avevano già un enunciato che stesse in piedi e che riporta effettivamente<br />

così.<br />

Bene, io spero di avervi convinto che effettivamente gli stoici sono stati dei precursori veramente<br />

lungimiranti di quella che è l'odierna logica matematica. Con questo noi abbiamo concluso la prima parte del<br />

nostro corso, cioè la parte che si riferisce alla logica greca. Nella prossima lezione parleremo dell'Interregno<br />

e poi finalmente, dopo la prossima lezione, incominceremo a vedere quali sono stati gli usi e i risultati della<br />

logica moderna, cioè arriveremo ai nostri giorni. Bene, vi invito dunque alla prossima lezione.<br />

62


LEZIONE 8: Interregno<br />

Siamo arrivati, dunque, in queste nostre lezioni di logica matematica ad un periodo intermedio che abbiamo<br />

chiamato “Interregno”. Come mai questo periodo intermedio o questo Interregno nel nostro corso? Ebbene<br />

nelle lezioni precedenti abbiamo visto quali erano stati i risultati, quali sono stati i grandi passi che sono stati<br />

fatti dai greci soprattutto, di cui vi ricordo tra pochi minuti quali furono i personaggi principali, mentre poi<br />

invece dalla prossima lezione incominceremo veramente ad addentrarci in quelli che sono stati i risultati<br />

moderni, perciò l'ambito della logica contemporanea. Ora dai greci, quindi dal 200 a. C., cioè da Crisippo,<br />

di cui abbiamo trattato la scorsa lezione, fino al 1850, quando invece incominceremo dalla prossima lezione<br />

a parlare di Boole, sono passati praticamente 2000 anni e in questi 2000 anni naturalmente ci sono stati i<br />

secoli bui (l’interregno), in questo periodo però qualche cosa è stata fatta, per cui in questa lezione appunto<br />

vogliamo parlare di ciò che è stato fatto tra i greci e i moderni. Però prima di parlare di questo interregno<br />

rivediamo brevemente ciò di cui abbiamo trattato nel passato, cioè nelle scorse elezioni, riguardo alla logica<br />

greca. Abbiamo parlato di tre grandi personaggi, tre grandi filosofi che sono stati importanti nel campo della<br />

filosofia in generale, ma anche e soprattutto, per quello che riguarda noi, nel campo della logica. Questi tre<br />

personaggi sono qui raffigurati e nominati, sono Platone, Aristotele e Crisippo.<br />

Vi ricordate, Platone è stato colui che ha iniziato lo studio della<br />

logica andando contro i sofisti, ha cercato di enucleare quali erano i<br />

risultati, diciamo così, gli assiomi più importanti della logica, in<br />

particolare “il principio di non contraddizione”, che i sofisti non<br />

avevano ancora capito, cioè il fatto che non si potesse allo stesso<br />

tempo affermare e negare la stessa proposizione. Poi c’è stato invece<br />

Aristotele, che è considerato tutt’oggi il più grande o uno dei due più<br />

grandi logici che siano mai esistiti e nel caso si pensi ai due più<br />

grandi logici questo è Goedel, che sarà il punto di arrivo di questo<br />

nostro percorso. Aristotele ha trattato i sillogismi, cioè la teoria di questi tipi di ragionamenti che partono da<br />

premesse maggiori e minori, per arrivare ad una conclusione e queste premesse abbiamo visto che<br />

coinvolgono le particelle del linguaggio “tutti, qualcuno e nessuno”, che abbiamo chiamato i<br />

“quantificatori”. Poi invece, Crisippo che è stato anche lui un grande logico, il più grande esponente forse<br />

della logica stoica, vi ricordo anche che Platone, Aristotele e Crisippo facevano parte di tre Scuole che erano<br />

in competizione tra di loro ad Atene e che erano rispettivamente l'Accademia, il Liceo e la Stoà, ebbene<br />

Crisippo ha parlato, ha trattato della “logica proporzionale” che è un livello di analisi più basso, ma basso<br />

non da un punto di vista di valore, ma di analisi e quindi più raffinato di quello a cui si riferiva Aristotele ed<br />

è il livello della cosiddetta “logica proporzionale”, che è “la logica dei connettivi”, di cui connettivi, vi<br />

ricordo, perlomeno i loro nomi, che sono la negazione non, la congiunzione e, la distruzione o e<br />

l'implicazione il se.... allora. Bene, questo era più o meno quello che era stato fatto dai greci nel periodo<br />

che va dal 400 al 200 a. C. I greci arrivarono veramente ad uno sviluppo che era eccezionale, cioè la logica<br />

greca, soprattutto la logica storica, che è quella che è stato l'ultimo passo, l'ultimo grido, diciamo di questo<br />

sviluppo, è stata veramente un qualche cosa di molto profondo. Però come ho detto nella scorsa lezione in<br />

realtà la logica storica è stata dimenticata, gli storici sono stati rimossi dalla storia del pensiero e anche dalla<br />

s toria più in generale, oggi di loro rimane molto poco e questo è simbolizzato anche dal fatto che, se voi<br />

pensate alle tre Scuole greche, oggi di accademie è pieno mondo, per esempio l'Accademia dei Lincei,<br />

l'Accademia reale e così via, non soltanto ovviamente in Europa, ma anche negli Stati Uniti e in tutto il<br />

mondo. Le accademie sono diventate i gruppi in cui si uniscono i sapienti della nazione di cui l'accademia fa<br />

parte. I Licei sono diventati per antonomasia le scuole, liceo scientifico, il liceo classico, dovunque anche in<br />

Francia e in varie altre nazioni. Oggi la parola liceo è rimasta come simbolo di scuola, che invece poi in<br />

realtà era più propriamente una università. Ebbene di Stoà invece non è rimasta nessuna, mentre di<br />

accademie e di licei appunto è pieno il mondo, di Stoà non ce ne nessuna, rimane soltanto l'aggettivo stoico<br />

a simboleggiare il fatto che c'è stata questa tradizione di autocontrollo da parte degli stoici, ma della logica e<br />

63


di ciò che gli storici hanno pensato, poco è rimasto. Bene, questo era comunque semplicemente un riassunto,<br />

un riepilogo di ciò che abbiamo fatto finora.<br />

Andiamo, invece, a vedere più da vicino che cos'è successo nel secondo periodo in cui la logica è stata al<br />

centro dell'attenzione<br />

dei pensatori e dei filosofi e questo secondo periodo è il cosiddetto periodo della<br />

Scolastica, che è qui rappresentata dalla figura di Guglielmo di<br />

Ockham, che come vedete, era un religioso. Effettivamente la<br />

Scolastica è stata una filosofia molto legata alla Chiesa cattolica,<br />

perché in realtà è stato il tentativo di avvicinare la teologia alla<br />

filosofia e addirittura alle scienze e più in particolare alla matematica<br />

e alla logica. La Scolastica è stato il tentativo che va da circa il 1000<br />

al 1300, più o meno, come periodo storico, d. C. ovviamente ed è<br />

stato appunto questo tentativo di dimostrare attraverso la ragione, con<br />

ragionamenti o puri o magari con ragionamenti che si basassero su dei<br />

fatti<br />

contingenti, la cosiddetta “teologia razionale” e la cosiddetta “teologia naturale”, cioè di basare la<br />

teologia, la fede, il discorso sulla divinità,<br />

su un ragionamento di natura logica, di natura scientifica, di<br />

natura matematica.<br />

Ora gli scolastici sono stati ovviamente importanti, però sono molto più ricordati, per<br />

esempio<br />

oggi, di quanto lo siano gli stoici, come mai? Perché ovviamente non c'è stata una rimozione del<br />

pensiero cristiano e la nostra civiltà, anzi la nostra civiltà è in realtà una civiltà che si basa su questo pensiero<br />

cristiano, anche per coloro che non credono<br />

in queste cose, che non sono religiosi. Pensate per esempio al<br />

saggio di Benedetto<br />

Croce, che si intitolava, per l'appunto, “Perché non possiamo dirci non cristiani”, cioè<br />

dobbiamo<br />

per forza noi che viviamo in Occidente pensare in termini, magari per contrapposizione, però<br />

pensare in termini<br />

che sono cristiani perché è questa la nostra origine, questi sono i fondamenti del nostro<br />

pensiero e quindi per questo motivo<br />

o anche per questi motivi, la scolastica è certamente ricordata<br />

quest'oggi,<br />

nei testi di filosofia per quanto riguarda la storia del pensiero.<br />

Che cosa ha fatto la scolastica? Beh, la scolastica vista col senno di poi, cioè vista dal nostro punto di<br />

prospettiva, in realtà non ha fatto moltissimo perché si è limitata, fra virgolette, a riscoprire quello che i<br />

greci già avevano scoperto e che poi era stato dimenticato.<br />

<strong>Qui</strong>ndi moltissime le innovazioni, soprattutto le<br />

innovazioni<br />

storiche, perché ovviamente nel periodo della Scolastica Aristotele è stato studiato, è diventato<br />

un<br />

pensatore molto importante, è stato inglobato in parte della teologia cristiana attraverso soprattutto la<br />

teologia<br />

di San Tommaso d'Aquino, ma anche il pensiero degli stoici è rinato, quello di Aristotele<br />

direttamente<br />

perché si leggevano i suoi testi, quello degli storici indirettamente è stato riscoperto. <strong>Qui</strong>ndi gli<br />

scolastici<br />

sono interessanti, sono importanti soprattutto da un punto di vista storico. Oggi a noi interessa<br />

forse andare a vedere chi per primo h a trovato certe idee, certe nozioni e allora noi andremo direttamente a<br />

Crisippo, agli stoici stessi, ma se invece vogliamo sapere chi ci le ha fatte conoscere queste nozioni, ecco che<br />

allora bisogna studiare la scolastica. Io qui ho messo tre nomi simbolici, significativi del pensiero scolastico<br />

per quanto riguarda la logica e questi nomi sono Abelardo, Pietro Ispano e Ockham, di cui dirò poche parole<br />

perché in realtà, come ho detto, ciò che loro hanno scoperto era già<br />

noto e noi l'abbiamo già considerato quando parlavamo appunto<br />

degli stoici. Abelardo è stato l'iniziatore praticamente della<br />

scolastica, è vissuto proprio agli inizi del millennio, cioè dal 1079<br />

fino al1142, ha avuto una vita molto avventurosa, qui lo vedete<br />

seppellito, questa è la sua tomba, lui è là e qui c'è una signorina che<br />

si chiama Eloisa.<br />

Se voi guardate la slide, nell’anno 1119 Abelardo è stato evirato,<br />

come mai? Perché questa Eloisa, che era la padrona, di cui lui si<br />

era innamorato, in realtà era una ragazza molto giovane, era la figlia del suo protettore, di colui con cui stava<br />

in casa, gliela aveva data perché lui la educasse<br />

e lui l'ha educata a tante cose, comprese certe cose che forse<br />

non avrebbe dovuto fare; l’ha messa<br />

incinta come diremmo oggi, la povera Eloisa ha dovuto partorire, avere<br />

questo bambino e poi è stata messa in un convento e come segno di dispregio ovviamente, i parenti hanno<br />

preso Abelardo e l’hanno evirato. <strong>Qui</strong>ndi<br />

dal 1119 Abelardo, aveva quarant'anni, come vedete, è rimasto<br />

senza una parte essenziale della sua persona<br />

e si è dedicato ad altre cose. È diventato anche lui un religioso,<br />

64


però nel 1121 la sua filosofia, anzi la sua teologia è stata condannata dal concilio ecumenico, il concilio di<br />

Reims. Ebbene, vedete la vita di Abelardo molto avventurosa, ha avuto traversie sia fisiche, sociali che<br />

teologiche e nel 1140 è addirittura stato scomunicato, perché è entrato in rotta di collisione con il potere<br />

ecclesiastico e quindi ha avuto dei problemi. Ora il suo grande antagonista era Bernaldo di Chiara Valle,<br />

però qual’era l'idea dal punto di vista logico della teologia di Abelardo, cioè come basava Abelardo la<br />

teologia scolastica? Ebbene la basava sul motto “capisco per credere” e allora anche noi capiamo, come<br />

Abelardo: mai abbia avuto dei problemi. Perché per Abelardo il capire era precedente<br />

capisco per credere al credere, cioè la ragione stava prima della fede. Abelardo era disposto a<br />

Anselmo: credere ai dogmi della teologia, ai dogmi della chiesa cattolica, ma soltanto<br />

credo per capire dopo che li aveva capiti, cioè la fede veniva per lui soltanto dopo che era<br />

passata al vaglio della ragione. Questo ovviamente è un atteggiamento molto pericoloso, perché pone in<br />

secondo piano ciò che per la Chiesa cattolica dovrebbe essere in primo piano ed era ovviamente<br />

contrapposto ad un atteggiamento veramente diverso, che era quello invece di Anselmo d'Aosta. Anselmo<br />

era un abate che poi divenne un vescovo e questo vi fa capire come il suo atteggiamento fosse più consono ai<br />

bisogni della Chiesa cattolica. Qual'era questo suo atteggiamento? Era per l'appunto di invertire i termini in<br />

cui Abelardo pensava e di porre la fede prima della ragione, cioè “credo per capire”, invece che “capisco per<br />

credere”. Prima credo e il fatto di credere mi permette di capire per l'appunto i dogmi. Ebbene questi erano i<br />

due atteggiamenti che hanno poi guidato la scolastica praticamente per due secoli. Da un punto di vista<br />

logico però, che è quello che ci interessa più da vicino, l'opera più importante che Abelardo scrisse, si<br />

chiama “Sic et non”, cioè “così e non così”, diremmo oggi. In quest'opera, che non è tanto importante per<br />

i risultati che ottenne da un p. di v. logico, Abelardo introdusse quello che poi divenne il metodo essenziale<br />

Sic et non della Scolastica, che è quello che si chiama “il metodo delle<br />

metodo delle questioni questioni”. Se voi leggete per esempio ”la summa teologiae”<br />

di San Tommaso d'Aquino, ebbene lì questo metodo delle questioni trova proprio il suo fulgore massimo,<br />

cioè Tommaso tratta di tutti gli argomenti della teologia proprio seguendo il metodo di Abelardo, che è<br />

questo metodo di porre prima, di fronte a sé, da una parte un'affermazione, dall'altra parte un'affermazione<br />

contraria, incominciare a dare delle giustificazioni a favore delle affermazioni o cercare delle giustificazioni<br />

a favore della negazione, ad un certo punto eliminare una delle due alternative e rimanere soltanto con quella<br />

che poi alla fine risulta essere quella vera. <strong>Qui</strong>ndi praticamente oggi diremmo che il contributo di Abelardo<br />

alla scolastica<br />

è stato un contributo metodologico, cioè ha insegnato, ha portato avanti per la prima volta e ha<br />

introdotto per la prima volta questo metodo che sarebbe poi stato così fondamentale appunto per la teologia<br />

scolastica, il metodo delle questioni. Bene, vediamo il secondo logico di cui abbiamo parlato, il secondo<br />

logico della Scolastica Pietro ispano che come vedete qui tra parentesi, nientepopodimeno<br />

era addirittura o<br />

divenne addirittura papa col nome di Giovanni XXI.<br />

Giovanni Ispano si chiamava così perché veniva dalla Spagna, in<br />

realtà dal Portogallo, quello che oggi chiameremo Portogallo.<br />

<strong>Qui</strong>ndi Pietro Ispanico è nato nel 1210, morto nel 1277 e scrisse un<br />

libro che fu veramente importante, a differenza di Abelardo , che è<br />

stato l'iniziatore di un movimento, Pietro Ispano era ormai ben<br />

inserito in un movimento già maturo e questo testo “Summulae<br />

logicales” furono per un lungo periodo, durante la scolastica, il<br />

testo di riferimento, cioè il testo con cui gli studenti studiavano le<br />

cose di logica. Attenzione, Pietro Ispano fu logico molto sottile,<br />

riscoprì proprio lui personalmente alcune, anzi molte direi, delle scoperte che erano già state fatte dagli stoici<br />

e poi alla fine divenne papa. Durò pochissimo come papa, credo soltanto qualche mese, dopo di che gli<br />

crollò il palazzo del Vaticano, quello che sarebbe stato poi il palazzo del Vaticano in tempi successivi, gli<br />

crollò sulla testa e lui morì sotto le macerie. Questa è la sua figura che viene ancora oggi ricordata. Se andate<br />

a San Paolo fuori le mura, la basilica romana, potete vedere la sua immagine tra quelle dei papi; quindi<br />

addirittura i logici hanno avuto un Papa fra i loro predecessori o nella loro storia.<br />

Guglielmo da Ockham Guglielmo da Ockham che come vedete era anche lui un religioso,<br />

(1290-1349) vissuto tra il 1290 e il 1349, quindi ormai già la tarda scolastica,<br />

65


Summa totius logicae però Ockham è forse il punto massimo di questo sviluppo; anche<br />

lui ha scritto un manuale, anche lui ha scritto un compendio, questa è la sua opera più importante “la summa<br />

totius logicae”, cioè la somma di tutto della logica, praticamente c'era questo gusto enciclopedico, questo<br />

voler mettere insieme in un unico manuale tutto ciò che effettivamente si poteva dire della logica. Ockham è<br />

un filosofo anche, è un nome abbastanza noto nella filosofia moderna per le due cose di cui adesso parliamo:<br />

la prima, forse, tutti l'avrete sentita nominare, è quello che si chiama il rasoio di Ockham. Cosa vuol dire<br />

rasoio di Ockham? Ovviamente non ha niente a che fare col rasoio, il rasoio serve soltanto perché si tagliano<br />

Rasoio di Ockham<br />

le cose. Che cos’è che Ockham voleva tagliare via con questo<br />

Proprietatis terminorum<br />

suo rasoio? Ebbene il suo motto, che pare lui non abbia mai<br />

pronunciato, che perlomeno non si trovi nei suoi scritti, ma che comunque rispecchia il suo pensiero, è “gli<br />

enti non si devono moltiplicare senza necessità”, cioè il rasoio di Ockham è in qualche modo il tentativo di<br />

fare una filosofia, di fare dei ragionamenti senza moltiplicare gli enti che non è necessario introdurre, cioè<br />

fare un discorso smembrato, un discorso essenziale in cui si vada diritti al filo e diritti alla conclusione, senza<br />

dover fare delle grandi divagazioni. Questo è vero sia da un punto di vista puramente linguistico,<br />

semplicemente di esposizione, che soprattutto<br />

che è quello che interessa a noi, da un punto di vista<br />

semantico, diciamo così, cioè i ragionamenti<br />

devono essere essenziali, bisogna andare dritti alla conclusione.<br />

Ora questo è importante e questo motto, appunto di questo uso del rasoio di Ockham, è qualche cosa che<br />

oggi soprattutto nel ‘900 è stato molto apprezzato, cioè la filosofia positivista, per esempio, è stato un<br />

tentativo di mettere in pratica, di usare sistematicamente<br />

questo mezzo, il rasoio di Ockham nel campo della<br />

filosofia e nel campo della logica, cioè cercare<br />

di togliere tutto ciò che non è essenziale, cercare di limitarsi<br />

veramente al succo della questione. Una seconda cosa che Ockham fece<br />

è lo studio di quello che lui<br />

chiamava “proprietatis terminorum”, cioè le proprietà dei termini e qui, per la prima volta effettivamente, si<br />

scopre, si vede che c'è il tentativo di andare<br />

oltre la filosofia, oltre la logica dei greci. Tentativo non si sa<br />

quanto conscio, perché appunto come ho detto, gli scolastici non conoscevano moltissimo della storia e del<br />

passato della filosofia greca e della logica greca, in particolare non conosceva niente di ciò che gli stoici<br />

avevano lasciato scritto, di Aristotele conoscevano purtroppo soltanto le opere che erano rimaste<br />

ovviamente, che erano le opere di cui abbiamo parlato qualche lezione fa, cioè le opere dell'Organon.<br />

Ebbene dicevo, però, che fosse un tentativo conscio o che fosse un tentativo inconscio, c'è in questo studio<br />

delle cosiddette “proprietatis terminorum”, che ha caratterizzato non soltanto il lavoro di Ockham, ma più in<br />

generale il lavoro della Scolastica, il tentativo di andare oltre la logica greca. In che senso andare oltre la<br />

logica greca? Beh, c'è il tentativo di parlare di quella che oggi noi chiameremo non più logica proporzionale,<br />

cioè soltanto a livello delle proposizioni, ma logica predicativa, cioè il tentativo di cominciare a descrivere i<br />

soggetti, andare a vedere all'interno delle proposizioni come queste proposizioni sono formate, le cosiddette<br />

proposizioni atomiche della logica proporzionale, cioè quelle che dal p.di v. della logica proporzionale non si<br />

possono più analizzare perché non sono composte di connettivi e, o, non, se... allora ; ebbene lo studio<br />

delle “proprietatis terminorum” è propriamente questo, cioè cercare di andare a vedere dentro queste<br />

proposizioni cosiddette atomiche, se è possibile smembrarle in strutture più elementari. Ora la struttura più<br />

ovvia che si possa immaginare è quella che oggi noi chiameremo nell'analisi logica appunto la struttura<br />

“soggetto, predicato, complemento.” Ebbene, soggetto, complemento eccetera, che sono i soggetti e gli<br />

oggetti dei discorsi vengono in genere raccontati, vengono in genere espressi nella logica del linguaggio<br />

attraverso i cosiddetti “termini”, cioè i termini sono nomi che possono essere nomi atomici, nomi semplici<br />

oppure nomi composti, tanto per farti un esempio, si può dire un nome proprio Giorgio, tanto per dire oppure<br />

si può dare la descrizione di un soggetto, attraverso una descrizione complessa, per esempio il figlio di<br />

Sandro. E allora, questo Giorgio, che ha come nome atomico, come nome proprio, questo nome, può essere<br />

descritto da un termine più complicato “il figlio di suo padre”. Ecco che allora, lo studio di questi temi è uno<br />

studio molto complesso che in genere nella nostra logica, oggi, quando si insegna logica, viene fatto dopo la<br />

logica proporzionale e precisamente, anche storicamente così è successo, mentre la logica proporzionale, per<br />

l’appunto, è stato il risultato sommo della logica stoica, la logica dei termini, la struttura dei termine è anche<br />

cercare di capire come si debbano interpretare da un punto di vista sia sintattico che semantico questi<br />

termini, cioè qual’è il senso e qual'è il significato che bisogna attribuire a questi termini, questo è stato uno<br />

dei grandi risultati della logica di Ockham in particolare, ma della scolastica più in generale. <strong>Qui</strong>ndi questo è<br />

66


quello che più o meno fecero gli scolastici. Dopo gli scolastici si cominciò a parlare di altre cose e in<br />

particolare intervenne questa idea della logica, come scienza universale. Ricorderete, forse, quando abbiamo<br />

parlato di Crisippo, avevamo citato il fatto che per Aristotele la logica era semplicemente propedeutica<br />

alla scienza, era uno strumento l’Organon, che permetteva di trattare le scienze. Questo era porre la logica<br />

Logica, scienza universale in una posizione molto subordinata ovviamente. Per Crisippo,<br />

Lullo: invece, la logica diventa parte delle scienze, ma vedete qui,<br />

ars magna(1274) che c'è un passo successivo, da puro strumento a parte delle<br />

G. Bruno: scienze, una delle tante scienze, a finalmente scienza universale,<br />

ars memoriae(1582) cioè la cosa più importante di tutte, cioè è stato praticamente un<br />

Leibniz: completo capovolgimento, che c'è stato dal periodo di Aristotele<br />

ars combinatoria(1666) passando attraverso Crisippo e arrivando a questo periodo qua.<br />

Questo periodo di cui stiamo parlando incomincia formalmente, per lo meno, nel 1274, quando questo<br />

interessante personaggio che si chiamava Raimondo Lullo, scrisse questo<br />

trattato che si chiamava invece “la<br />

ars magna”. <strong>Qui</strong> tutti parlavano di arte e per Lullo, per l'appunto, la logica era un'arte ed era la magna ars, la<br />

più grande arte che si potesse immaginare.<br />

Lullo, anche lui, ebbe una vita molto interessante, esattamente<br />

come Abelardo, anche se le sue traversie furono di tipo diverso.Ad un certo punto, Lullo decise che doveva<br />

convertire gli infedeli, se n'andò a convertire<br />

gli infedeli e stranamente il metodo che lui pensava sarebbe<br />

stato vincente in questo tentativo di conversione<br />

era, guarda caso, la logica; invece di andare a combattere<br />

crociate, di arrivare con alabarde o con le<br />

scimitarre, ecco che Lullo cercò di andare a convertire gli infedeli<br />

con la logica. Vi lascio immaginare come<br />

la cosa finì, quando si trovò di fronte ai nemici, lo decapitarono e<br />

la cosa in quel momento finì lì. Comunque<br />

ci fu perlomeno questo tentativo, il cosiddetto tentativo di porre<br />

la logica come scienza universale, come arte, la massima arte. Un secondo personaggio che andò in questa<br />

stessa scia, molto più noto, ovviamente di Lullo, ma soprattutto da noi, anche per altre traversie che subì, è<br />

Giordano Bruno. Nel 1582 giordano Bruno scrisse un trattato che si chiama invece “ars memoriae”, anche<br />

stavolta siamo sempre a livello dell'arte, l'arte non è più la magna arte, la massima arte, ma diventa l'arte<br />

della memoria. E Bruno che, anche lui finì male, come tutti sapete, il 17 febbraio del 1600 finì al rogo perché<br />

come tanti altri prima di lui che avevano subito sulla propria pelle, avevano sentito il dilemma tra fede e la<br />

ragione. Giordano Bruno ovviamente era anche lui partito come religioso, era un domenicano, poi insomma<br />

fu scomunicato, uscì dall'ordine e così via, finché alla fine subì il processo dell'Inquisizione e finì al rogo.<br />

Però<br />

nei suoi lavori principali giovanili e in particolare questo qui “l'arte della memoria”, ecco che era anche<br />

uno studioso di logica o perlomeno di queste tecniche. In quel momento la logica era qualche cosa di strano,<br />

ormai la Scolastica era stata dimenticata, era passato il Rinascimento e quindi la logica veniva considerata<br />

come qualcosa di diverso,una tecnica e in particolare in Giordano Bruno era la tecnica della memoria. Come<br />

si faceva ricordare le cose secondo Giordano Bruno e anche secondo questo metodo che risale, per<br />

l’appunto, a Lullo? Beh, per esempio si dovevano incominciare a disporre degli oggetti in una stanza e poi a<br />

ciascuno di quei soggetti, la cui posizione veniva memorizzata, si potevano associare delle parti di un<br />

discorso che si voleva mandare a memoria. E allora, ricordandosi la disposizione delle parti degli oggetti,<br />

ecco che ritornava alla memoria il discorso, ma c'è questa nozione, qui sotto nascosta, di struttura e questo<br />

modo anche di combinare fra di loro delle parti separate in modo da dar loro una unità. Ebbene, questo che<br />

può sembrare così lontano dalla logica moderna, in realtà nel terzo personaggio che vede la logica come<br />

scienza universale, che era Leibniz, ecco che questa rimane un'arte, ma finalmente dall'arte della memoria<br />

diventa “arte combinatoria”, cioè si perde questo aspetto anche pratico di dover applicare la logica a fini<br />

mnemonici, di ricordo, di apprendimento e l'arte diventa puramente combinatoria. Sono passati un centinaio<br />

di anni, 1666, Leibniz giovanissimo, ha vent'anni soltanto, scrive questa opera. Ed ecco qui Leibniz, la sua<br />

fotografia e Leibniz sarà in questo intermedio, che va tra i greci e la Scolastica, diciamo, fino alla logica<br />

moderna, sarà proprio la figura più di rilievo, più importante, colui che è oggi considerato come il vero<br />

precursore della logica moderna. Come mai il vero precursore della logica moderna? Anzitutto Leibniz,<br />

parliamo un po' il tiro di lui, è un personaggio veramente eclettico, veramente interessante, nato nel 1646,<br />

morto nel 1716 a settant'anni.<br />

Leibniz Leibniz fu tutto, tutto nel senso che è ancora uno di quei personaggi in cui si possono<br />

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(1646-1716) compendiare professioni completamente diverse. Era un giurista, era un avvocato, era un<br />

diplomatico, era un matematico, era un logico, uno scienziato e così via, insomma uno di quei personaggi<br />

veramente universali. E allora, detto da lui, che la logica doveva essere la scienza universale, la cosa acquista<br />

subito un sapore differente, perché detto da chiunque conosca soltanto quello universale, vuol dire poco, ma<br />

detto da uno come Leibniz che effettivamente aveva una conoscenza già universale di per sé, allora se la<br />

logica per lui appariva come la scienza universale, questo poteva avere effettivamente un certo valore. Nel<br />

periodo della sua giovinezza, Leibniz studiò, come ho detto, giurisprudenza, fece una tesi molto giovane, in<br />

filosofia del diritto, quindi già si interessava alla filosofia, in particolare e al diritto dall'altra parte. <strong>Il</strong> diritto è<br />

Giurisprudenza importante da un p.di v. logico, perché è molto simile a ciò<br />

Tesi in filosofia del diritto che succede nella logica. Ci sono degli assiomi che sono<br />

Dottorato in antinomie giuridiche praticamente le leggi, cioè quello che viene promulgato<br />

Memoria assiomatica e ci sono delle deduzioni che sono i tentativi di derivare<br />

sull’elezione del re di Polonia dalle leggi ciò che è implicito in esse, in modo da poterlo<br />

applicare ai casi espliciti della vita che non sono direttamente considerati dalle leggi. <strong>Qui</strong>ndi c'è un'analogia<br />

molto precisa tra diritto e logica ed è per questo che poi Leibniz fu portato a pensare alla logica. <strong>Il</strong> dottorato<br />

invece lo prese in antinomie giuridiche, pensate voi, cioè in quelle situazioni in cui secondo la legge ci si può<br />

comportare per un giudice in due maniere contrapposte, cioè alcuni precedenti o alcune leggi permettono di<br />

assolvere l'imputato e altre leggi invece, altri precedenti, permettono di condannarlo. Sono l'analogo delle<br />

antinomie di cui abbiamo parlato tempo fa, invece delle antinomie di Zenone, per esempio l’antinomia di<br />

Achille e la tartaruga oppure l'antinomia di Epimenide del mentitore, solo che queste non sono antinomie<br />

puramente logiche, sono antinomie giuridiche, qui si tratta di applicarle alla vita reale, cioè si tratta di avere<br />

di fronte a noi un imputato e di poterlo condannare o poterlo lasciar libero, in base alla legge, entrambe le<br />

volte; quindi il giudice ha la capacità, ha la possibilità di scegliere una delle due alternative, ma di fare tutto<br />

in maniera puramente legale. Subito dopo Leibniz si laureò a vent'anni, lo stesso periodo in cui aveva scritto<br />

l’arte combinatoria. Fu preso al servizio di alcuni potenti dell'epoca e il suo primo lavoro fu una memoria<br />

assiomatica, pensate voi, sull'elezione del re di Polonia. Lui voleva convincere, anzi il suo protettore, voleva<br />

convincere che, come re di Polonia, doveva essere eletto un certo personaggio, ebbene che cosa fece<br />

Leibniz? Più o meno come Lullo, invece di fare delle battaglie politiche, fece delle battaglie logiche, cioè<br />

dimostrò anzitutto che di tutti i candidati che erano stati proposti per il trono di Polonia, dimostrò<br />

matematicamente soltanto uno rimaneva, solo uno poteva essere eletto, ma questo non era ancora una prova<br />

a favore, era soltanto una prova di esclusione di tutti gli altri. Ebbene, poi diede una ventina di dimostrazioni<br />

diverse del fatto che proprio quello lì doveva essere eletto. <strong>Qui</strong>ndi vedete come la logica veniva applicata<br />

alla politica, in una maniera che era antesignana di comportamenti che poi sono stati usati in questo secolo.<br />

Queste però, sono cose un po' strane, oggi se ne parla poco forse di questo aspetto giuridico dell'opera di<br />

Leibniz, mentre invece, l'aspetto matematico fu molto importante. Pochi anni prima Blaise Pascal, questo<br />

signore che vedete qui sulla sinistra nella slide, aveva inventato la prima macchina calcolatrice, una<br />

macchina a rotelline che poteva fare somme. Ora sembrerebbe<br />

poco, naturalmente facendo girare le rotelline al contrario la<br />

macchina poteva fare le differenza anche, quindi somma e<br />

differenza, un'operazione e il suo contrario e Leibniz fece un<br />

passo avanti, cioè riuscì a costruire una macchina che poteva fare<br />

somme e prodotti e dunque facendola girare al contrario,<br />

sottrazioni e divisioni. Ora somma e prodotto, sottrazione e<br />

divisione sono le quattro operazioni fondamentali dell'aritmetica e<br />

quindi certamente su questo si può basare l'intera matematica e<br />

qui è nato il sogno poi del calcolatore, attenzione, perché questa<br />

fu la prima macchina, il primo aggeggio meccanico che riuscì effettivamente a meccanizzare qualche cosa<br />

che si pensava sino ad allora fosse caratteristico dell'uomo, cioè fare delle operazioni matematiche. L'altra<br />

grande invenzione matematica di Leibniz che lui dovette dividere con questo suo antagonista, che è il grande<br />

Isacco Newton, fu il calcolo infinitesimale. Leibniz, come se non bastasse, come se non avesse già fatto<br />

abbastanza tra tutte le cose che ho citato finora, è anche uno dei due inventori di questo mezzo potentissimo<br />

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che è quello che si chiama,appunto “calcolo infinitesimale” o “analisi infinitesimale” o semplicemente<br />

“analisi”, oggi. E l'analisi è quello che si studia in tutti licei scientifici, in tutti istituti tecnici ed è veramente<br />

la propedeutica a tutte le scienze. Oggi non si può fare fisica, non si può fare chimica eccetera, se non si<br />

conosce il calcolo infinitesimale, l'analisi. Ebbene, il cosiddetto teorema fondamentale del calcolo<br />

infinitesimale, quello che dice che l'operazione di derivazione e l'operazione di integrazione sono due<br />

operazioni inverse una dell'altra, così come la somma e la sottrazione oppure come il prodotto e la divisione,<br />

ebbene, questo teorema fondamentale è precisamente il teorema di Leibniz e Newton. <strong>Qui</strong>ndi vedete, anche<br />

se non si dovesse parlare più di altre cose che Leibniz fece, già soltanto questa parte di risultati matematici,<br />

lo porterebbe ad essere uno dei più grandi pensatori della storia. E però la cosa non finiva lì, perché Leibniz<br />

è considerato anche e ricordato moltissimo come filosofo. Una filosofia reale, qui ho messo scherzosamente<br />

lo stemma di Savoia, ma non ci sta a caso lo stemma dei Savoia, perché le opere più importanti che Leibniz<br />

scrisse e che ancora oggi vengono studiate nei dipartimenti di filosofia, ebbene sono due opere: la Teodicea e<br />

la Monadologia che furono scritte per Reali. La prima, la Teodicea fu scritta per Sofia Carlotta di Russia e la<br />

famosa Monadologia, cioè l'idea che il mondo sia costituito di Monadi senza finestre, come diceva Leibniz,<br />

che sono in contatto non tra di loro direttamente, perché appunto non hanno finestre, ma con una monade<br />

centrale, che poi dovrebbe essere Dio, ebbene questa Monadologia<br />

fu scritta per il principe Eugenio di Savoia. Ora questo è di nuovo<br />

un’altro degli eventi che abbiamo già visto avvenire da Pitagora a<br />

Platone, ad Aristotele eccetera, il fatto che questi pensatori da una<br />

parte parlassero coi loro studenti, coi loro colleghi di cose molto<br />

elevate e poi però, facessero un'intensissima opera di divulgazione<br />

e appunto anche le opere più importanti di Leibniz erano opere di<br />

divulgazione, le cosiddette opere esoteriche. Ma veniamo invece al<br />

dunque, perché quello che c'interessa di Leibniz è stato il suo<br />

apporto alla logica matematica e qui due furono le sue grandi idee.<br />

Leibniz non ottenne dei risultati così importanti, come il teorema fondamentale del calcolo differenziale,<br />

perché nel campo della logica è un pensatore troppo l'avanguardia, cioè le cose che lui ha pensato, che ha<br />

sognato, sarebbero poi state realizzate in realtà un paio di secoli dopo, a partire dal 1850, da Boole, di cui<br />

parleremo in una delle prossime elezioni. Però le sue due idee fondamentali sono veramente lì e sono rimaste<br />

lì, diciamo così, in agguato, in attesa, fino a quando non si è riusciti a realizzarle con la logica moderna. La<br />

prima idea, a cui lui diede due nomi diversi, ma che più o meno significavano la stessa cosa,<br />

Logica era l'idea di una lingua filosofica, di una caratteristica universale,<br />

Lingua philosophica o cioè di arrivare a trovare una lingua che fosse quella che noi oggi<br />

caracteristica universalis chiamiamo un linguaggio formale, diverso dai linguaggi tipici<br />

Calculus ratiocinator naturali, tipo l'inglese, l’italiano eccetera, una lingua che non<br />

avesse tutte le difficoltà, le ambiguità delle lingue naturali e che permettesse di descrivere esattamente tutto<br />

ciò che vogliono descrivere gli scienziati. Ora questa idea, che all'epoca poteva sembrare abbastanza assurda<br />

o difficilissima da realizzare, è quella che oggi noi chiameremo la lingua dei computer, la cosiddetta logica<br />

matematica. Caracteristica universalis vuol dire per l’appunto questo, è una lingua filosofica nel senso che è<br />

perfettamente astratta, è universale, si può applicare ad ogni scienza. La seconda parte, altrettanto<br />

importante, è quella del cosiddetto Calculus ratiocinator, cioè un calcolo, cioè Leibniz ebbe l'idea che queste<br />

cose dovevano essere fatte attraverso il calcolo, cioè si doveva riuscire a ridurre il ragionamento a qualche<br />

cosa che fosse di natura matematica, esattamente come fare delle operazioni di natura algebrica e questo<br />

calcolo poi in effetti riuscì a farlo Boole. La sua idea, la sua vera filosofia era quello che noi potremmo<br />

chiamare oggi un panlogismo, cioè tutto è logica. <strong>Qui</strong> allora ho fatto una tabella per farvi capire la differenza<br />

che Leibniz poneva tra i tipi di verità e c'era anzitutto quella<br />

che lui chiamava “la verità di ragione”. Le “verità di ragione”<br />

sono quelle verità che hanno come caratteristica “la necessità”,<br />

cioè sono verità necessarie e da un p. d. v. di dimostrazioni, si<br />

possono dimostrare con le dimostrazioni della logica, quindi<br />

dimostrazioni finite. Ma Leibniz vedeva anche un secondo tipo<br />

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di verità, che erano le cosiddette “verità contingenti, cioè verità di fatto, non di ragione, con cui non si può<br />

arrivare attraverso la ragione, ma sono quelle che succedono nel mondo. Queste verità non sono necessarie,<br />

bensì l'esatto contrario, sono contingenti e si possono, secondo lui, dimostrare, ma non più con dimostrazioni<br />

finite, sono molto più complicate, sono di natura infinita, praticamente solo Dio le può vedere. Ed ecco che<br />

allora la nostra ragione arriva fino al finito, cioè arriva fino ad un certo punto e soltanto Dio può dimostrare<br />

che le verità di fatto sono effettivamente dello stesso genere delle verità di ragione. Le verità di ragione<br />

sono in realtà di tipo diverso dalle verità di fatto per questo motivo:<br />

Verità di ragione: sono vere in tutti i mondi possibili, non fanno riferimento a questo<br />

Vere in tutti i mondi possibili mondo, ma sono vere ovunque, sarebbero vere anche in altri mondi,<br />

Verità di fatto: perché sono verità che riguardano soltanto la ragione, soltanto la<br />

vere nel mondi contigente necessità e non la contingenza, mentre invece le verità di fatto sono<br />

vere nel mondo contingente, in questo mondo, non in tutti i mondi possibili, ma soltanto in questo. Ed ecco<br />

che questa distinzione, questa divisione tra le verità di ragione e le verità di fatto è qualche cosa che al giorno<br />

d'oggi è diventata veramente importante. Come mai? Ma perché le verità di ragione sono oggi considerate le<br />

cosiddette verità della logica, cioè le verità del ragionamento, sono quelle che quando facciamo la logica<br />

matematica effettivamente riusciamo a dimostrare<br />

con dimostrazioni finite. Ora la cosa non è affatto ovvia,<br />

perché chi lo dice che dal solo fatto che una<br />

verità si possa vedere con l'occhio della ragione, allora da questa<br />

ipotesi si possa poi dimostrare che la verità<br />

si può ridurre ad una dimostrazione di tipo matematico? Non è<br />

affatto ovvio e il contenuto, cioè questa affermazione<br />

che ho appena fatto in una maniera un pochettino più<br />

formale, è quello che si chiama “il teorema<br />

di completezza”, cioè ogni verità di ragione è effettivamente<br />

dimostrabile, cioè tutte le verità logiche sono<br />

dimostrabili. Ebbene questo teorema di completezza per logica<br />

proporzionale, cioè la logica degli stoici fu dimostrato da Post nel 1920-21 e per “la logica predicativa” di<br />

cui parleremo in seguito, fu dimostrato da<br />

Goedel nel 1930. <strong>Qui</strong>ndi Leibniz aveva intravisto o previsto la<br />

possibilità addirittura di questo cosiddetto teorema di completezza, la possibilità di riuscire a dimostrare tutte<br />

le verità di ragione in una maniera matematica.<br />

Per quanto riguarda invece “le verità di fatto”, invece queste<br />

sono vere nel mondo contingente, le dimo-<br />

strazioni di cui parlava Leibniz sono dimostrazioni di natura<br />

infinita. La cosa strana è che, mentre oggi le verità di ragione sono identificate con le verità della logica, le<br />

verità di fatto sono identificate da una parte con le verità della matematica e dall'altra parte con le verità della<br />

scienza. <strong>Qui</strong>ndi qual’è la differenza tra logica, matematica e scienza? Ebbene, la logica effettivamente<br />

permette un cosiddetto teorema di completezza,<br />

cioè tutto ciò che è vero nella logica si può dimostrare in<br />

maniera finita, mentre invece la matematica<br />

non permette niente del genere, c'è un cosiddetto “teorema di<br />

incompletezza”, cioè le verità di fatto, cioè<br />

le verità che sono vere nel mondo della matematica non si<br />

possono in generale dimostrare attraverso dimostrazioni finite e questo è il contenuto appunto del “teorema<br />

di incompletezza di Goedel”. Naturalmente<br />

questi tentativi di Leibniz di precorrere i tempi non furono capiti<br />

durante la sua era.<br />

Voltaire Ora parliamo di Voltaire, il famoso romanzo di cui forse qualcuno<br />

Candide(1759) di voi avrà sentito parlare o che avrà letto Candide (1759), Voltaire<br />

“<strong>Il</strong> migliore dei mondi possibili” sbeffeggia praticamente proprio questa idea, che il nostro mondo<br />

sia il migliore dei mondi possibili, che era appunto quello che Leibniz sosteneva, cioè le verità di fatto sono<br />

verità che, benché siano vere in un solo mondo, questo mondo è il migliore dei mondi possibili. Bene, siamo<br />

arrivati alla fine di questa carrellata sull’Interregno della logica, tra gli stoici e i tempi moderni; vi invito alla<br />

prossima lezione sulla logica moderna, di lì incominceremo.<br />

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LEZIONE 9: Un inglese calcolatore<br />

Finalmente siamo arrivati al dunque, come si dovrebbe dire. Abbiamo fatto varie lezioni introduttive, poi ci<br />

siamo interessati dei primordi della logica matematica, quando ancora non era matematica, era soltanto<br />

logica, che sono per l’appunto il periodo greco. Abbiamo parlato di Aristotele, di Crisippo, prima ancora di<br />

Platone, poi abbiamo fatto una lezione sul cosiddetto Interregno, cioè la parte intermedia, questi 2000 anni<br />

fatti in un batter d'occhio, che sono passati da Crisippo, dalla fine della logica stoica, cioè verso il 200 a. C.,<br />

fino a Leibniz, ai sogni precursori di Leibniz, passando attraverso la scolastica. Ebbene finalmente siamo<br />

arrivati, come dicevo al dunque. Questa volta incominciamo veramente con quella che si chiama logica<br />

matematica e ormai siamo siano vicini a noi, perché in questo volo che abbiamo fatto, in questo volo<br />

d'uccello, abbiamo passato questi 2000 anni e ormai siamo arrivati al 1850, a circa la metà dell'800. Ancora<br />

abbiamo<br />

circa metà delle nostre lezioni e ci interesseremo uno a uno di tutti i logici matematici, meglio dei<br />

più grandi logici matematici che hanno segnato con il loro nome la storia di questa materia.<br />

Quest’oggi parliamo, come si vede dal titolo, di un inglese calcolatore, calcolatore non nel senso etico di<br />

una persona cattiva che fa i suoi conti per fregare gli amici, ma semplicemente nel senso letterale. E’ un<br />

personaggio che è nato in Inghilterra e che ha portato nella logica matematica o nella logica, diciamo così,<br />

questo aspetto di calcolo e parlo di George Boole, ma adesso ne parleremo più diffusamente. Devo subito<br />

dire una cosa, cioè avvertirvi che mentre nelle precedenti lezioni siamo riusciti a uscire anche dai nostri<br />

confini, dai nostri limiti, perché la logica matematica è tutto sommato una piccola parte della matematica<br />

moderna, per cui siamo riusciti a parlare di tante cose, di filosofia, di teologie e così via, ebbene man mano<br />

che invece ora ci avviciniamo verso la contemporaneità, verso i nostri anni, tutte queste belle cose dovremo<br />

lasciarle un pochettino da parte, dovremo incominciare a parlare più da vicino di aspetti tecnici della logica<br />

matematica. Anche i personaggi stessi, cioè coloro di cui parleremo, coloro che hanno lasciato la loro firma<br />

sotto questo grande libro della logica matematica<br />

sono ovviamente meno interessanti, come si può dire,<br />

meno pieni di vita e di attività di quelli che li hanno preceduti, però insomma questo è tipico dell'evoluzione<br />

della scienza. Agli inizi i personaggi sono estremamente<br />

poliedrici, fanno di tutto come per ricordarci, per<br />

esempio Leibniz l’ultimo di cui abbiamo parlato,<br />

che era un po' di tutto, giurista, filosofo, matematico e<br />

anche logico, ebbene invece questi personaggi<br />

moderni incominciano a diventare specialisti, proprio perché,<br />

quando la scienza acquista maturità, diventa un qualche cosa di settoriale, comunque cercheremo di rendere<br />

ciononostante le lezioni un pochettino allegre e cominciamo a vedere che cosa è successo. Abbiamo parlato<br />

prima di quali sono i precursori della logica moderna, ora cerchiamo brevemente di ricordare ciò che hanno<br />

fatto. <strong>Il</strong> primo, il più grande dell’antichità, è stato ovviamente Aristotele, che ha creato la teoria dei<br />

sillogismi. In realtà i precursori della logica moderna, in questo senso li vogliamo intendere come precur-<br />

Precursori della logica moderna sori di George Boole, cioè di colui di cui parleremo oggi<br />

Aristotele: sillogismi ed è per questo che ci soffermeremo su alcuni aspetti di<br />

Crisippo: logica proposizionale ciò che hanno fatto questi grandi precursori, in particolare<br />

Leibniz: characteristica, calculus Aristotele di cui voglio ricordare la teoria dei sillogismi,<br />

cioè la teoria che deduce delle conseguenze da una premessa maggiore e da una premessa minore e che<br />

coinvolgono i cosiddetti quantificatori: tutti, nessuno, qualcuno. L’altro grande precursore è Crisippo<br />

ovviamente, con la logica proposizionale di; ricordatevi che la logica proposizionale è la teoria del mettere<br />

insieme al livello proposizionale, appunto,delle frasi attraverso i cosiddetti connettivi, che sono quelle<br />

particelle del linguaggio di cui abbiamo parlato spesse volte ormai, che sono la negazione non, la<br />

congiunzione e, la disgiunzione o, l’implicazione il se….allora. Anche nel caso di Crisippo, nel caso della<br />

logica proposizionale ne citiamo i contributi, perchè Boole di cui parleremo, in realtà ha dato un nuovo<br />

modo di vedere i risultato di Aristotele o Crisippo. Poi da ultimo Leibniz, che abbiamo trattato nell’ultima<br />

lezione e per Leibniz le due nozioni fondamentali, le due idee fondamentali erano da un lato quello della<br />

characteristica universalis, cioè della lingua filosofica, cioè il trovare un linguaggio tecnico, un linguaggio<br />

astratto che permetta di esprimere tutto ciò che le scienze vogliono dire e i particolare, tra le scienze, anche<br />

la matematica. Invece il secondo aspetto di Leibniz è l’aspetto del “calculus ratiocinator”, cioè il fatto non<br />

soltanto di riuscire a scrivere ciò che si vuole scrivere, cioè il linguaggio della scienza, ma anche di tradurre<br />

il tutto in un calcolo proprio del tipo di quelli che si fanno nella matematica, per esempio e lo dico non a<br />

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caso, perché è qui che voglio arrivare, per esempio il calcolo algebrico, cioè le operazioni dell’algebra, la<br />

somma, il prodotto, la sottrazione, la divisione che sono quelle tipiche che si usano in matematica, anche ai<br />

livelli più elementari, che sono le operazioni che servono per andare a far la spesa, a comprare, addizionare,<br />

moltiplicare, dividere, sottrarre eccetera, per poter fare di conto come si diceva una volta. Bene allora,<br />

arriviamo dunque al nostro personaggio, che è questo signore di cui abbiamo questa fotografia e niente altro.<br />

Praticamente non ci è rimasto molto, vi ho già anticipato appunto che questi personaggi, dal punto di vista<br />

folkloristico, sono meno interessanti di colore che li hanno preceduti. Boole ha avuto una vita piuttosto<br />

breve come vedete, è nato il 1815 ed è morto il 1864. Una vita per niente avventurosa, è stato un professore<br />

universitario, ha insegnato, ha scritto qualche libro, pochi, ha fatto un<br />

po’ di ricerca e la cosa è finita lì. <strong>Qui</strong>ndi non vi posso raccontare grandi<br />

aneddoti, però cerchiamo di vedere invece più da vicino che cosa ha<br />

fatto da un p. di v. scientifico. Ebbene Boole ha scritto praticamente due<br />

sole opere, una nel 1847 e una nel 1854. La prima opera si chiamava<br />

“l’analisi matematica della logica” ed ecco qui che interviene<br />

finalmente questo aggettivo, cioè matematica unito a questo sostantivo<br />

che è quello della logica. Nel 1847 finalmente la logica che era appunto<br />

Opere una impresa filosofica di analisi del linguaggio, delle antinomie del<br />

1847: l’analisi matematica della logica ragionamento, che si fa nei fori, nei parlamenti e così via<br />

1854: le leggi del pensiero e anche ovviamente nelle scienze, perciò una analisi di tipo<br />

soprattutto filosofico, finalmente con Boole diventa un'analisi matematica, cioè Boole è riuscito a far vedere<br />

e questo oggi lo vedremo in dettaglio, ebbene spero di farvi vedere come è riuscito a legare da una parte la<br />

logica e dall'altra parte la matematica, cioè questa analisi matematica della logica. Boole scrisse questo<br />

libretto, perché veramente è un piccolo libretto, che tra l'altro se volete potete anche leggerlo, perché è stato<br />

tradotto in italiano da Massimo Mugnai ed è stato pubblicato dalla Boringhieri, quindi un piccolo libretto,<br />

che<br />

vale la pena leggere perché effettivamente ancora oggi moderno e li si può effettivamente vedere il<br />

nascere<br />

di questa nuova disciplina. Però Boole non era soddisfatto di questo libretto, anche perché la<br />

risonanza che<br />

ebbe non fu grandissima, è una risonanza che ovviamente era ristretta all'ambito accademico,<br />

lo lessero alcuni dei suoi colleghi, qualcuno degli studenti e poi insomma si sparse la voce, diciamo così, in<br />

Europa. Notate che Boole era un inglese,<br />

si chiamava Gorge ed era la prima volta che parliamo di uno che<br />

faccia parte del cosiddetto continente,<br />

cioè in precedenza abbiamo parlato di greci ovviamente, abbiamo<br />

parlato di tedeschi come<br />

Leibniz e così via, però in realtà tutto avveniva nel continente e anche il fatto che<br />

questa nuova analisi, questo nuovo nascere della logica matematica, sia avvenuto in un ambiente, in una<br />

nazione che non era una di quelle solite, già dice che c'era effettivamente qualcosa<br />

di nuovo, ci voleva anche<br />

un luogo di nascita differente per far nascere una materia differente. Ebbene, dicevo, poiché il<br />

riconoscimento che Boole ebbe nel suo primo lavoro del 1847 non fu quello che lui sperava, lui scrisse un<br />

altro libro nel 1854 che si chiamava nientepopodimeno che “le leggi del pensiero” e qui si vede anche un<br />

pochettino l'aspetto pubblicitario della questione, cioè Boole capisce che un titolo come “l'analisi<br />

matematica della logica” può attirare soltanto degli specialisti, mentre invece scrivere un libro sulle leggi del<br />

pensiero è un qualche cosa che può estendere l'ambito e il riconoscimento che si possono avere. Notate,<br />

tanto per cambiare, ancora una volta ritroviamo anche nell'opera di Boole, nell'opera del primo logico<br />

matematico in senso letterale, quella divisione che abbiamo già visto essersi riproposta da Pitagora, a<br />

Platone, Aristotele, Leibniz e così via, cioè la divisione fra la ricerca e la divulgazione, fra l'esoterico e<br />

l’essoterico, fra ciò che si indirizza agli specialisti del campo, come nel caso di Boole il suo primo libro e<br />

ciò che invece vuole indirizzarsi anche ai curiosi, diciamo così, a coloro che vogliono ricevere della<br />

divulgazione, che vogliono essere informati di quali sono le novità del campo. Ebbene, vediamo più da<br />

vicino, quale è stata l'idea fondamentale di George Boole. George Boole ha inventato quella che oggi si<br />

chiama guarda caso “algebra booleana”, cioè il suo nome è diventato così naturale, così importante nel<br />

campo della matematica da diventare addirittura un aggettivo. Questa algebra booleana, di cui parlerò a<br />

Algebra booleana = lungo quest’oggi, è una cosa veramente importante, è anche un<br />

Interpretazione algebrica pochettino l’uovo di colombo, cioè quando vedremo i risultati<br />

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della logica di questa realizzazione, ci accorgeremo che tutto sommato, forse<br />

se ci avessimo pensato, anche noi avremo potuto essere lì al momento giusto e avere anche le idee giuste,<br />

come spesso succede con le uova di colombo. Ebbene questa algebra booleana, in due parole, si può<br />

semplicemente dire che è una interpretazione algebrica della logica, cioè è algebrica ovviamente, questo lo<br />

dice già il nome, perché appunto il nome deriva dall'algebra e però è anche un'interpretazione della logica,<br />

cioè l'idea di Boole fondamentale è stata quella di dire, ma insomma quello che io cerco, quello che voglio<br />

cercare di fare, è di dare una veste matematica agli studi di logica che sono venuti prima di me. Ovviamente<br />

Boole, ormai eravamo nel 1850 circa, a metà dell'800, conosceva benissimo i precursori, aveva letto<br />

Aristotele, aveva letto Platone, ovviamente conosceva Leibniz e così via. <strong>Qui</strong>ndi non è che Boole sia nato in<br />

un vuoto, in un vacuum, come si potrebbe dire in inglese, la lingua che parlava lui, Boole è nato in una certa<br />

cultura e sapeva benissimo dove voleva arrivare a parare, cioè voleva fare un'interpretazione matematica<br />

della logica. Ora quando si cerca di fare un'interpretazione matematica, si ha di fronte a sé un certo numero<br />

di possibilità, una gamma di possibilità, perché matematica è appunto per esempio l'algebra, ma è anche<br />

l'analisi di cui abbiamo parlato, che Leibniz e Newton avevano inventata, il cosiddetto calcolo differenziale,<br />

poi ci sono tante branche della matematica, per esempio la geometria, perciò bisogna fare anzitutto una<br />

scelta e la scelta di Boole fu la scelta forse più naturale, la scelta di usare l'algebra per fare questo tipo di<br />

ricerche e di incominciare a scrivere i risultati della logica che all'epoca non era ancora matematica, ma lo<br />

stava diventando, dicevo, di incominciare a scrivere il linguaggio, le regole della logica e anche gli assiomi<br />

in maniera algebrica. Ora come si può fare questo? Beh, la logica parla di vero e falso tutto sommato, cioè la<br />

vera essenza della logica è proprio questo, lo studio di ciò che è vero e di conseguenza anche lo studio di ciò<br />

che è falso e allora bisogna cominciare, tanto per fare il primo passo, ad associare al vero e al falso degli<br />

oggetti matematici. Questo non è tanto semplice, non è tanto immediato, però bisogna fare una scelta;<br />

ebbene la scelta che fece Boole fu questa qui (v. slide) e bisogna veramente dargli atto che fu la scelta<br />

giusta, la scelta corretta, perché il vero e il falso da un punto di vista logico, da un punto di vista filosofico<br />

sono concetti molto complicati. Pensate, per esempio, alla famosa domanda che pose Pilato a Gesù, durante<br />

Valori di verità il processo famoso che poi si concluse alla fine con la condanna di Gesù<br />

Vero = 1 Falso = 0 e con la passione e cose poi che tra l’altro ha costituito l'essenza del<br />

cristianesimo. Ebbene, durante il processo di Gesù, quando Gesù arrivò di fronte a Pilato, che gli era stato<br />

mandato, vi ricorderete da Erode, allora arrivato di fronte a Pilato ci fu questo scambio di convenevoli,<br />

potremo dire oggi e ad un certo punto Gesù ripeté una delle frasi che era solito dire “io sono la verità e la<br />

vita” e così via e Pilato per un momento fu colpito, se qualcuno dicesse “io sono la verità” e chiese a Gesù<br />

che cos'è la verità? Ora questa domanda di Pilato è la domanda essenziale della logica “che cos'è la verità?”<br />

Quale sarebbe la risposta che dareste voi? Beh, insomma la cosa interessante è che Pilato non stette ad<br />

aspettare la risposta, pose la domanda, che cos'è la verità e se ne andò senza aspettare la risposta, così<br />

dicono i Vangeli. Come mai? Beh, ovviamente non si tratta di dare troppo affidamento, anzi tutto, a ciò che<br />

viene raccontato, viene tramandato, ma soprattutto alla capacità analitica, alla capacità logica di Pilato.<br />

Pilato se ne andò, non perché sapeva che Gesù all’epoca non avrebbe potuto dargli una risposta logica, se<br />

n'andò per motivi suoi. Ma oggi noi possiamo reinterpretare questo cose per l’appunto così, cioè 2000 anni<br />

fa, 1850 anni prima di Boole, la risposta alla domanda di Pilato “che cos'è la verità” non si poteva dare,<br />

perché questa risposta fu una risposta<br />

molto tardiva, cioè richiedeva ancora 2000 anni di sviluppo. Ora nel<br />

caso di Boole, cioè nel caso in cui viene associato al vero un numero e al falso un altro numero, tutti questi<br />

problemi filosofici e etici che stanno<br />

dietro le nozioni del concetto di verità, praticamente scompaiono, si<br />

dissolvono. <strong>Il</strong> vero non ci interessa più definirlo in qualche maniera filosofica, ci interessa semplicemente<br />

associarlo a qualche numero e il falso,<br />

idem, lo associamo a qualche numero, però la cosa importante è che<br />

la scelta di questi due numeri, che sono 1 e 0, deve essere poi tale da far funzionare tutto il resto della<br />

logica. Ora si potrebbe fare anche l'inverso<br />

per esempio, non ci sarebbe niente di sbagliato a dire che il vero<br />

è lo zero e il falso è l'uno, però in genere<br />

si fa questa associazione, perché in qualche modo il vero è positivo<br />

e il falso è negativo, per cui è meglio forse associare lo zero al falso e al vero associare qualche numero che<br />

sia maggiore di zero e quindi questa fu la scelta originale di Boole. Bisogna metteterselo in testa perché sarà<br />

utile per lo meno nelle prossime slide, perché su questa base, che è una base appunto quasi lapalissiana,<br />

come ho detto l'uovo di colombo, si può costruire tutta la logica. Ora vediamo allora come si può andare<br />

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avanti. Anzitutto bisogna ricordarsi di una cosa, che il fatto che lo 0 e l'1 siano associate al vero e il falso e<br />

che pretendano di essere praticamente i fondamenti dell'intera logica, non è poi un fatto così banale, ma non<br />

è nemmeno così campato in aria, perché in precedenza, guardate qui addirittura nel 600 a.C., quindi 600<br />

anni prima di quell'episodio che ho appena ricordato di Pilato, già nel 600 a.C. dicevo i Ching, un famoso<br />

classico della filosofia confuciana, qui vedete l'immagine, per l’appunto, di Confucio, ebbene questi Ching<br />

erano basati su quella che oggi viene chiamata l’aritmetica binaria, di cui dirò adesso due parole.<br />

L'aritmetica binaria significa fare l'aritmetica non con tutti i numeri interi 0, 1, 2, 3 e così via, fino<br />

all'infinito, non addirittura con i numeri reali, quindi non soltanto<br />

quelli, ma i razionali, gli irrazionali, per esempio, come π greco, radice<br />

di 2, ma soltanto con quei due numeretti lì 0 e 1. Aritmetica binaria<br />

significa fare la solita aritmetica, le solite operazioni somma, prodotto<br />

e le loro inverse, sottrazioni e divisioni, ristrette ai numeri 0 e 1. Voi<br />

direte, ma per quale motivo dovremmo limitarci a queste cose, come<br />

legarci le mani e cercare di fare tutto quel che si può fare, soltanto però<br />

con le mani legate. Ebbene, i Ching avevano ovviamente un motivo<br />

completamente sui generis, che era un motivo astrologico. I Ching<br />

hanno costruito delle figure come quelle che vedete quaggiù, queste<br />

qui si chiamano trirami, per l'ovvio motivo che sono fatte in tre linee, queste linee, intere o spezzate; l'intero<br />

o spezzato è ovviamente un simbolo, una metafora, di che cosa? Del bene e del male, del giusto e dello<br />

sbagliato, del vero e del falso, del maschile e del femminile, insomma per dirlo in una parola, che tutti<br />

conoscete, dello Yin e dello Yan, cioè la contrapposizione cinese. Questo simbolo qua, che Confucio tiene<br />

in mano, è precisamente il simbolo dello Yin e dello Yan, la compenetrazione di due qualità contrapposte,<br />

una nera e l'altra bianca, per l’appunto lo Yin e lo Yan. Ebbene, quindi linea intera, linea spezzata sono<br />

misture, diciamo così, sono simboli Yin e Yan e quindi in particolare, dal nostro punto di vista logico, sono<br />

simboli del vero e del falso. Se noi combiniamo insieme queste linee e ciascuna di queste linee può essere<br />

intera o spezzata, abbiamo due possibilità per la prima, altri due per la seconda, cioè quattro in tutto e altre<br />

due per la terza, cioè otto in tutto. I Ching fanno una cosa un po’ più complicata, cioè invece di avere<br />

soltanto dei trigrammi usano degli esagrammi, cioè sei linee intere o spezzate e su queste praticamente<br />

impiantano l'intero sistema astrologico, perché quello che loro volevano fare, era cercare di indovinare il<br />

futuro. A noi questo non interessa assolutamente niente, però la cosa importante qui, è che già i cinesi<br />

avevano capito che lo zero e l'uno erano in qualche modo i numeri essenziali, su questi numeri si potevano<br />

costruire praticamente tante altre cose, in particolare si potevano costruire otto trigrammi, si potevano<br />

costruire 64 esagrammi e quindi praticamente era possibile solo con lo 0 e con l’1 o se volete solo con linee<br />

intere e spezzate, arrivare fino ai numeri da 0 a 64. Leibniz, il solito, nel 1784, che è dopo la sua morte,<br />

voglio dire che questa è un'opera postuma, nel 1784 fu pubblicato un libro di Leibniz, in cui il Leibniz che<br />

era a conoscenza di questo classico confuciano, perché Leibniz conosceva i gesuiti che erano andati in Cina<br />

ed era in corrispondenza con loro, questi gesuiti lo misero in contatto con la filosofia cinese e così via,<br />

ebbene Leibniz fu folgorato, dice: mah, non ce nessun bisogno di fermarsi a 64, usando soltanto lo zero e<br />

l'uno è possibile costruire tutti i numeri ed ebbe l'idea di quella che oggi viene chiamata “aritmetica binaria”<br />

e che è poi tra l'altro l'aritmetica sulla quale si basano i computer, guarda caso. Come si fa a scrivere numeri<br />

con l'aritmetica binaria? Lo zero è lo zero, l'uno è l'uno, fin qui non c'è problema, perché sono questi i due<br />

numeri. <strong>Il</strong> due, che noi scriviamo 2 nel nostro sistema decimale, avendo il simbolo per il due speciale,<br />

ebbene, nel sistema binario bisogna scrivere 2 usando soltanto lo 0 ed l'1 e allora lo si scrive come dieci 10.<br />

10 significa 2 elevato 1, più 2 elevato 0, ecco che il 3 si può scrivere come 11, 4 si può scrivere come 100,<br />

5 si può scrivere come 101 e così via; usando soltanto combinazioni di 0 e 1 si possono scrivere tutti i<br />

numeri. <strong>Qui</strong>ndi già l'idea di Boole, di limitarsi a 0 ed 1 per interpretare il vero e falso, è un'idea che sembra<br />

meno balzana, se la si situa in questo contesto, nel fatto che appunto si possono già scrivere tutti i numeri<br />

con lo 0 e 1 Che cosa fece però Boole più precisamente? Beh, fece la seguente cosa: capì che una volta<br />

interpretato l'1 come vero e lo 0 come falso, la negazione si poteva interpretare semplicemente come<br />

sottrazione da 1. Vediamo qui la tabellina e cerchiamo di capire questa cosa.<br />

Negazione = sottrazione Supponiamo di avere 1 qua; questo 1 significa che la proposizione<br />

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1 – 1 = 0 1 – 0 = 1 che stiamo considerando è vera, ma allora 1 meno 1 diventa 0,<br />

Congiunzione = prodotto cioè la negazione di una proposizione vera diventa falsa, che è<br />

1 x 0 = 0 x 1 = 0 x 0 = 0 precisamente una delle regole di cui parlato nella scorsa lezione<br />

o due lezioni fa quando parlavamo di Crisippo; idem quando partiamo invece di una proposizione falsa, il<br />

cui numero associato sia 0; 1 meno 0 è 1, quindi la negazione di una proposizione falsa è una proposizione<br />

vera. Ecco che allora, associare 0 e 1, a falso e vero, permette di associare alla negazione la solita<br />

operazione di sottrazione. Idem per la congiunzione ed ecco vediamo allora in questo modo come sia<br />

possibile passare da questi numeretti a tradurre le regole della logica. La congiunzione è invece secondo<br />

Boole e adesso lo verifichiamo tra un momento, è un prodotto semplicemente, il prodotto dei numeri 0 e 1,<br />

vediamo: quand'è che la congiunzione di due proposizioni è vera? Soltanto in un caso, se ricordate la<br />

tabellina che abbiamo fatto, per l’appunto degli stoici, che definiva quand’è che la congiunzione era vera.<br />

La congiunzione di due congiunti è vera soltanto quando tutti e due i congiunti sono veri; prendiamo due<br />

congiunti veri, cioè prendiamo il numero 1, due volte, moltiplichiamo uno per se stesso, 1 x 1 continua a<br />

rimanere uno. <strong>Qui</strong>ndi il prodotto di due uni è uguale a uno, cioè la congiunzione di due proposizioni vere è<br />

vera, questo è l’idea. Vediamo che cosa succede negli altri casi. Beh, negli altri casi almeno uno dei due<br />

congiunti deve essere falso, o il primo o il secondo o tutti e due addirittura devono essere falsi. In questo<br />

caso la congiunzione di almeno un congiunto falso, deve essere falsa; vediamo se tutto ciò corrisponde<br />

effettivamente ai numeri. <strong>Qui</strong> abbiamo il prodotto di uno per zero, che corrisponde alla congiunzione di una<br />

proposizione vera e di una falsa, quanto fa 1 per 0? Fa 0, effettivamente, la congiunzione è falsa. <strong>Il</strong> caso<br />

simmetrico ovviamente, per l’appunto simmetrico, è la stessa cosa, se la prima proposizione è falsa e la<br />

seconda proposizione è vera, questo corrisponde a fare il prodotto di 0 per 1 e dunque continuiamo ad<br />

ottenere 0. L'ultimo caso, che è il caso in cui tutti e due i congiunti, cioè tutte e due le proposizioni che<br />

mettiamo insieme sono false, anche qui come si direbbe, non ci piove, 0 x 0 continua rimanere zero. Dunque<br />

il prodotto di numeri che possono essere o zero o uno, è 1 soltanto quando tutti e due i numeri sono 1 ed è 0<br />

se almeno uno dei due numeri è 0, magari anche tutti e due. Questo è esattamente la proprietà fondamentale<br />

che abbiamo già visto nella precedente lezione, che definiva la caratteristica principale della congiunzione.<br />

Ed ecco che allora, questo trucchetto di Boole, di associare il vero all’ l, il falso allo 0, la negazione alla<br />

sottrazione e la congiunzione al prodotto, permette di ritradurre tutto ciò che sembrava molto arzigogolato,<br />

molto complicato e molto sottile anche nel campo della logica proporzionale degli stoici, la fa diventare<br />

semplicemente un giochetto da ragazzi, perché sottrarre un numero che può essere 0 o 1 da 1, oppure<br />

moltiplica due numeri tra di loro, ciascuno dei quali può essere 0 o 1, risponde semplicemente a delle regole<br />

che sono banali, che qualunque ragazzo delle elementari potrebbe fare. Ed ecco che allora questa algebra di<br />

Boole è veramente un idea geniale, un idea fondamentale, perché dietro questo aspetto, si cela la possibilità<br />

di interpretare aritmicamente o algebricamente la logica. L'algebra booleana non è nient’altro che fare<br />

algebra, cioè fare le quattro operazioni solite ristringendosi ai numeri 0 e 1. Quale fu però la scoperta<br />

fondamentale di Boole, a parte questo aspetto che sembra così banale? La scoperta fondamentale fu, che<br />

quest'algebra booleana, benché così semplice, quasi banale, anzi quasi imbarazzante da un punto di vista<br />

matematico, ebbene questa algebra booleana è uno strumento universale. Ora<br />

questo forse può sembrare<br />

persino eccessivo, che cosa significa universale? Beh, adesso non esageriamo, non è che si possa applicare<br />

dovunque, però certamente si può applicare<br />

in tantissimi campi diversi di cui adesso vi farò perlomeno una<br />

serie di esempi, tanto per convincervi<br />

che effettivamente sia Boole che noi, oggi quando impariamo<br />

l'algebra booleana, siamo arrivati a toccare,<br />

uno dei punti cruciali, a mettere il dito nella piaga, diciamo così,<br />

della logica moderna. <strong>Qui</strong>ndi vediamo<br />

alcuni esempi; il primo esempio, ne abbiamo appena parlato adesso,<br />

è precisamente l'applicazione logica, cioè Boole riuscì a far vedere che quelle tabelline che abbiamo appena<br />

considerato, erano effettivamente in grado di descrivere le regole della logica proporzionale, cioè quella<br />

logica che aveva inventato o scoperto<br />

o descritto o analizzato Crisippo. Ma immediatamente Boole fece<br />

anche una seconda scoperta, cioè che anche la logica sillogistica, cioè quell'altro aspetto della logica che era<br />

stata analizzato da Aristotele e sembrava in contrapposizione alla logica proposizionale di Crisippo, non lo<br />

era affatto. Ricordate che le due Scuole, da una parte la Scuola del Liceo aristotelico e dall'altra parte la<br />

Logica Scuola della Stoà di Crisippo erano in contraddizione tra<br />

Proposizionale(Crisippo) di loro, si sentivano contrapposte, perché i peripatetici seguaci<br />

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Sillogistica(Aristotele) di Aristotele dicevano che la loro analisi era più fondamentale<br />

perchè parlava di tutti, qualcuno, nessuno e questo era il vero livello del loro discorso, mentre gli stoici con<br />

Crisippo dicevano che erano loro ad aver fatto un'analisi logica più fondamentale perché erano andati più<br />

giù, più a fondo nell'analisi del linguaggio con la scoperta dei connettivi, ebbene dal p.di v. di Boole, dal p.<br />

di v. della matematica, sia la logica proposizionale dei connettivi di Crisippo, che la logica sillogistica dei<br />

quantificatori di Aristotele si possono descrivere con la stessa algebra booleana. Ed ecco che un solo<br />

strumento matematico, tra l'altro come dicevo, imbarazzantemente semplice, permette di scrivere due cose<br />

che a prima vista sembravano diverse, cioè si scopre dopo 2000 anni, che i peripatetici, cioè i liceali di<br />

Aristotele e gli stoici di Crisippo non erano in contrapposizione, avevano fatto due analisi, che però da un<br />

p.di v. matematico erano la stessa analisi. Questo è un risultato veramente grandioso, cioè prendere i due più<br />

grossi risultati, le due più grosse analisi della filosofia logica greca e far vedere che, tutto sommato, sotto di<br />

esse c’è lo stesso tipo di analisi e che sono soltanto due modi di vedere, anzi lo stesso modo di vedere due<br />

cose diverse, ecco questo è già qualche cosa di veramente fondamentale, praticamente senza aver fatto nulla,<br />

notate, perchè si è semplicemente tradotto vero e falso, negazione e congiunzione mediante delle semplici<br />

operazioni. Ma non basta ovviamente, perché Boole soprattutto del suo secondo libro “le leggi del<br />

pensiero”, il cui titolo, come dicevo prima, è significativo, perché Boole capì di avere in mano uno<br />

strumento veramente potente, uno strumento veramente universale ed è per questo che ha scritto il secondo<br />

libro, per far vedere tutti questi esempi. Un'intera parte del suo secondo libro, nel primo non c'è, ma nel suo<br />

secondo libro si, un'intera parte dicevo, è dedicata all'analisi della probabilità. La probabilità è naturalmente<br />

il tentativo di cercare di catturare matematicamente e qui vedete il caso più casuale di tutti, cioè la pallina<br />

della roulette, quando si va al casinò a giocare non bisognerebbe giocare, lo si sa, perché le leggi del caso,<br />

insomma, sono cose su cui non si possono mettere le mani. Ebbene però, ci fu verso il ‘700 e anche verso il<br />

‘600, ci fu un tentativo che poi diventò un tentativo riuscito, tanto da diventare quella che oggi si chiama la<br />

teoria delle probabilità, un tentativo per cercare di descrivere matematica mente quali erano le leggi della<br />

probabilità. Boole nel 1850, per l’appunto, cerca di descrivere<br />

algebricamente le leggi della probabilità e che cosa scopre?<br />

Scope precisamente che le leggi della probabilità sono di nuovo,<br />

tanto per cambiare, esattamente le leggi dell'algebra booleana,<br />

che già era riuscita a descrivere i sillogismi di Aristotele, che già<br />

era riuscita a descrivere la logica proporzionale di Crisippo e che<br />

adesso, lo stesso strumento, riesce a descrivere anche la teoria<br />

delle probabilità. Come mai? Mah, l'idea fondamentale è che, in<br />

realtà, quando si prendono due eventi indipendenti fra di loro,<br />

ebbene se si sa la probabilità di uno e si sa anche la probabilità<br />

dell'altro, la probabilità dell'evento composto, quando succedono tutti e due, è semplicemente il prodotto<br />

delle due probabilità. Ed ecco che allora, si incomincia capire che, se le probabilità si moltiplicano per<br />

eventi indipendenti, ci sarà qualche cosa che li lega, come l'algebra. La probabilità di due eventi che siano in<br />

alternativa uno con l'altro, uno succede se e soltanto se non succede quell'altro, sono legate dal fatto che la<br />

probabilità di uno è il contrario della probabilità dell'altro. Ora però, contrario che cosa significa? Qual’è la<br />

certezza matematica, qual’è la probabilità più certa di tutte? La probabilità 1, quando non si può scappare.<br />

Qual'è la probabilità meno certa di tutte, quella sicurezza di non avere nessuna possibilità, è quella che si<br />

chiama probabilità 0, per l’appunto. Ed ecco che, allora lo 0 e l’1 che prima venivano identificate con il vero<br />

e con il falso, adesso vengono identificate con certo o necessario e con l'impossibile e le loro leggi sono<br />

precisamente le leggi della negazione e della congiunzione, cioè le leggi della sottrazione e del prodotto e<br />

quindi di nuovo l'algebra booleana riesce a descrivere queste leggi della probabilità. <strong>Qui</strong>ndi abbiamo già<br />

fatto tre esempi, matematicamente molto importanti, non è più soltanto la logica che viene coinvolta in<br />

questa analisi, ma è anche la teoria della probabilità. Ma non<br />

basta, perché ho detto prima, non parleremo più di teologia, però<br />

poi scappa sempre la voglia di farlo, ecco qui in teologia, questo<br />

signore è il filosofo arabo Avicenna, che introdusse quella che<br />

viene chiamata la prova cosmologica dell'esistenza di Dio, di cui<br />

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adesso non ci interessiamo, perché non è questo il succo del discorso, però la cosa interessante è che nel suo<br />

libro Boole, ad un certo punto dice: guardate che l'algebra booleana non è soltanto uno strumento per<br />

analizzare teorie matematiche, può anche essere applicata in campi differenti, per esempio la teologia e<br />

dedica un intero capitolo del suo libro ad un'analisi della prova cosmologica nella versione più moderna che<br />

lui conoscesse, la versione in inglese tra l'altro, che si chiamava Clarke. Quest'inglese aveva messo in<br />

maniera puramente formale la dimostrazione cosmologica dell'esistenza di Dio, Boole analizza la sua<br />

dimostrazione e scopre degli errori. Scopre che facendo i conti con la sua piccola algebra booleana, è molto<br />

facile andare a vedere quand'è che un ragionamento è corretto e quando no e scopre che Clarke aveva fatto<br />

effettivamente degli errori. <strong>Qui</strong>ndi un uso anche filosofico, addirittura teologico dell'algebra booleana. Ma<br />

non basta, andiamo avanti, vediamo qui un'applicazione e questa è una applicazione che potrebbe sembrare<br />

veramente da attribuire addirittura all'ingegneria. Ho scritto qui<br />

nella slide una<br />

parola tra parentesi, per significare che si parla di circuiti elettrici, se<br />

non si usano le parentesi oppure elettronici in caso contrario, cioè sia i<br />

circuiti elettrici, quelli con fili e lampadine e così via, sia i circuiti<br />

elettronici, cioè valvole, chip e così via, hanno una logica interna che<br />

si può descrivere attraverso l'algebra booleana. Ma come direte voi,<br />

pure questo? Ebbene, purtroppo o per fortuna proprio anche questo.<br />

A che cosa risponde lo 0, a che cosa corrisponde l'1? Molto<br />

semplicemente, lo zero corrisponde al rubinetto chiuso, cioè<br />

all'interruttore chiuso, l'uno corrisponde all'interruttore o al rubinetto aperto, cioè 1 significa la corrente può<br />

passare, 0 significa la corrente viene ininterrotta. Ed ecco che, mettere insieme questi chip o mettere insieme<br />

questi fili si può fare seguendo le leggi dell'algebra booleana, perché, per esempio, fare la negazione<br />

significa fare semplicemente quello che oggi viene chiamato un commutatore, un qualche cosa che lascia<br />

passare la corrente quando il filo precedente non la lasciava passare e che non la lascia passare quando<br />

invece la corrente precedente passava nel filo, cioè che cambia, commutata per l’appunto, quello che<br />

succedeva nel caso precedente. La congiunzione è la stessa storia, quando due fili arrivano e noi vogliamo<br />

far passare la corrente soltanto nel caso che tutti e due ce l’avessero e invece fermarla, se arrivava soltanto<br />

da una delle due parti o se non arrivava da nessuna, allora in quel caso non c'era niente da fermare, ecco che<br />

questo si può di nuovo spiegare e descrivere attraverso l'algebra booleana ed è per questo che l'algebra<br />

booleana oggi è usata e studiata, insegnata in qualunque corso di ingegneria, dal p.di v. della logica dei<br />

circuiti. Ma non basta, perchè qui le cose vanno avanti, qui vediamo addirittura un computer; vi ho già detto<br />

prima che la cosa rimane forse meno sorprendente quando si sa che l'aritmetica binaria, l’aritmetica basata<br />

sui soli numeri 0 e 1, è in realtà l'aritmetica su cui si fondano i computer e i computer non fanno altro che<br />

avere questi bit, come vengono chiamati e se qualcuno di voi ha visto, a volte sugli schermi, queste<br />

schermate di programmi scritte in linguaggio macchina, cioè il linguaggio che capisce il computer, sono<br />

soltanto successioni di zero e uno. Ebbene però, nel 1943 Mc Culloch-Pitts cercarono di fare un'analisi di<br />

ciò che era possibile sul funzionamento dei meccanismi e scoprirono questa nozione che si chiama la<br />

nozione di “automa finito”. Che cos'è un automa finito?<br />

Beh, oggi tutti lo sappiamo, all'epoca ovviamente nel ’43 non lo<br />

sapeva nessuno, perché questa è stata una scoperta, gli automi finiti<br />

non sono nient’altro che i computer senza la memoria, cioè<br />

l’intreccio di fili o se volete i circuiti elettrici che costituiscono i chip<br />

che costituiscono il computer e la logica, la matematica che sta<br />

dietro a queste cose, attenzione, alla costruzione dei computer, è<br />

precisamente l'algebra booleana. <strong>Qui</strong>ndi abbiamo vistoo che<br />

effettivamente parecchi esempi, ma non è ancora tutto, perchè qui<br />

nella slide vediamo la fotografia di un cervello e addirittura nella<br />

cibernetica che è lo studio delle strutture cerebrali, lo stesso lavoro<br />

che ho appena citato prima, di Mc Culloch-Pitts che identificava<br />

questa classe di automi cosiddetti finiti, in realtà permette anche di identificare quelle che si chiamano oggi<br />

77


le reti neurali. Come mai? Ma perché un circuito elettrico praticamente è la stessa cosa o perlomeno è molto<br />

simile, a un funzionamento dello stesso genere di quello che succede dentro il nostro sistema nervoso<br />

centrale. <strong>Il</strong> nostro cervello, come tutti probabilmente sapete, è costituito di neuroni che sono in<br />

collegamento fra di loro, attraverso i cosiddetti<br />

assoni che fanno arrivare delle scariche elettriche<br />

e i dendriti che invece le fanno uscire, è una specie di<br />

rete,<br />

una gigantesca rete più o meno come una rete di circuito<br />

elettrico,<br />

ebbene, che cosa succede dentro questi neuroni? Beh, i<br />

neuroni<br />

sono semplicemente delle porte, diciamo così, che<br />

aspettano<br />

di essere aperte e queste porte si aprono o si chiudono<br />

semplicemente<br />

attraverso scariche elettriche, queste scariche<br />

elettriche<br />

seguono delle regole, cioè aspettano, diciamo così, che si<br />

arrivi<br />

ad una certa soglia, quando questa soglia viene superata, la<br />

porta<br />

si apre, la scarica parte, si richiude la porta e si aspetta di<br />

nuovo.<br />

Ebbene, tutta questa logica che sta dietro al funzionamento<br />

del sistema nervoso centrale, è di nuovo la stessa logica dei circuiti elettrici, la logica degli automi finiti e<br />

così via ed è la logica che oggi noi descriviamo attraverso l’algebra booleana. Io mi fermo qui con la serie<br />

degli esempi, perché ovviamente credo di averne fatti parecchi. Siamo partiti da un piccolo sistema di<br />

matematica, cioè l’aritmetica binaria dello 0 e dell’1, con due operazioni, la sottrazione e il prodotto e poi<br />

abbiamo visto che tutto questo piccolo armamentario, questo piccolo toolkit, come direbbero gli inglesi, si<br />

poteva usare per aprire un sacco di porte. Abbiamo visto l’applicazione alla logica e anzi tutto il primo<br />

risultato, il primo grosso risultato di Boole, cioè che sia la logica aristotelica che la logica stoica si potevano<br />

in realtà interpretare come due facce di una stessa medaglia, come due incarnazioni di una stessa algebra che<br />

era, per l’appunto, l’algebra booleana. Poi abbiamo visto che anche la teoria della probabilità si poteva<br />

interpretare nello stesso modo; ci sono state applicazioni dello stesso Boole alla teologia e poi in tempi più<br />

recenti la teoria dei circuiti elettrici, la teoria degli automi finiti, la teoria delle reti neurali che permette di<br />

costruire degli analoghi meccanici del sistema<br />

nervoso centrale del cervello, tutte queste cose sono in realtà,<br />

come dicevo, delle reincarnazioni dell’algebra<br />

booleana. Ed ecco che allora, l’algebra booleana che<br />

sembrava semplicemente un granellino, in<br />

realtà è un granellino di sabbia che è stato messo dentro un<br />

ostrica e poi alla fine, col passare degli anni,<br />

col passare del tempo, si è aperta l’ostrica e dentro l’ostrica<br />

c’era effettivamente una perla. L'algebra booleana oggi è uno degli strumenti più generali che si possano<br />

applicare in matematica; però, c'è un però,<br />

c'è una piccola limitazione ed è con questa che finiamo per<br />

l’appunto la nostra lezione. L'algebra booleana<br />

non va oltre la logica greca, cioè descrive precisamente,<br />

come avevo detto, la logica di Aristotele e la logica di Crisippo, ma niente di più.<br />

Limitazioni E allora se noi vogliamo arrivare alla logica moderna,se<br />

L’algebra booleana non va vogliamo arrivare a quella che si chiama “la logica predicativa”,<br />

oltre la logica greca dovremo fare dei passi successivi che sono precisamente quelli ai<br />

quali dedicheremo le prossime elezioni. <strong>Qui</strong>ndi anche questo grande strumento dell'algebra booleana ha le<br />

sue limitazioni, cioè può fare tantissime cose purché siano di un certo livello di complessità. La logica<br />

moderna va oltre quel livello di complessità, ma questo lo vedremo nelle prossime elezioni.<br />

78


LEZIONE 10: Un tedesco sensato e (in)significante<br />

La scorsa lezione abbiamo veramente incominciato a parlare della logica contemporanea e abbiamo parlato<br />

del primo grande logico matematico della contemporaneità, dell'era moderna della logica, che era<br />

incominciata con i greci e poi è passata attraverso gli scolastici, attraverso Leibniz e così via e questo primo<br />

personaggio è stato George Boole, l'inglese che ha introdotto l'algebra booleana. Abbiamo visto quanto<br />

importante sia stata l'algebra booleana e quante applicazioni essa possa avere nelle aree più disparate del<br />

sapere e delle scienze. Oggi invece affrontiamo un altro grande personaggio, forse ancora più grande di<br />

Boole, se è possibile dirlo per i motivi che vedremo e questo personaggio è un tedesco, che ho chiamato e<br />

pensato insignificante, anche qui per scherzare, perché in realtà è stato colui che ha fatto conoscere al mondo<br />

contemporaneo, al mondo moderno, la distinzione fra “senso” e “significato”. Di questa distinzione, tra<br />

l'altro, ne abbiamo parlato in precedenza perché già gli stoici, già Crisippo, l’aveva sottolineata e l’aveva<br />

capita. Però, come ricorderete, gli stoici sono stati dimenticati, il pensiero stoico, le conquiste stoiche sono<br />

state rimosse e quindi anche questa distinzione fra “senso e significato” che poi è stata riscoperta e poi<br />

ridimenticata durante la scolastica, è stata finalmente portata alla luce in maniera definitiva, si spera<br />

quest'oggi, da Frege. Allora abbiamo chiamato questo signore insignificante, perché ho già detto la scorsa<br />

volta che i nuovi personaggi della logica non sono più quei personaggi eclettici e interessanti, che avevano<br />

corrispondenze e che trattavano con reali o con filosofi e così via, ma sono semplicemente degli studiosi,<br />

sono diventati i ricercatori moderni. L'insignificanza non è certamente<br />

un’insignificanza intellettuale, è più<br />

che altro un'insignificanza di cose che hanno<br />

fatto durante la vita e di aspetti, diciamo così, teatrali della loro<br />

vita. Bene, cominciamo a vedere anzitutto,<br />

a familiarizzarci con l'immagine di Frege e con le date di nascita<br />

e morte che sono in genere gli inizi con<br />

cui partiamo. Frege è nato nel 1848, un anno importantissimo,<br />

molti di voi ricorderanno le rivoluzioni<br />

che ci sono state in Europa, il manifesto, il partito comunista e<br />

così via. Ebbene questo è stato anche l'anno<br />

di nascita di questo grandissimo logico che poi è morto nel 1925<br />

Però<br />

in realtà la vita intellettuale di Frege è stata più breve, perché come<br />

vedremo<br />

tra poco, nel 1902 è stata portata a termine praticamente la sua<br />

impresa<br />

intellettuale dalla scoperta del famoso paradosso di Russell, al<br />

quale<br />

abbiamo già accennato una volta e che quest’oggi riprenderemo e<br />

di cui poi ancora tratteremo più profondamente la prossima volta,<br />

quando<br />

parleremo appunto di Russell e dedicheremo a Russell un'intera<br />

lezione. Cerchiamo di vedere allora più da vicino i contributi di Frege. I<br />

contributi di Frege sono praticamente contenuti dentro tre opere<br />

fondamentali. Le tre opere fondamentali che Frege ha scritto sono<br />

anzitutto “la ideografia”, poi “i fondamenti dell'aritmetica” e “i principi<br />

Opere dell'aritmetica”. <strong>Qui</strong>ndi la nostra lezione sarà praticamente<br />

1. Ideografia (1879) incentrata su questi tre libri e noi la struttureremo proprio<br />

2. Fondamenti dell’aritmetica (1884)<br />

in tre parti differenti, cercando di far vedere da vicino, in<br />

3. Principi dell’aritmetica (1893,1903 ) maniera non tecnica, però in maniera un po’ precisa, quali<br />

sono stati i risultati di ciascuno di questi tre libri. Anzitutto come vedete, sono periodi diversi, “l’ideografia”<br />

è il primo libro importante che Frege scrisse<br />

nel 1879, “i fondamenti dell'aritmetica” invece è di pochi anni<br />

dopo, il 1884 e poi la grande opera di Frege, quella che avrebbe potuto essere, perlomeno nelle sue<br />

intenzioni la grande opera, cioè “i principi<br />

dell'aritmetica”, un titolo che non rende giustizia a ciò che lui<br />

voleva fare, in realtà “i principi dell'aritmetica”<br />

erano i principi dell'intera matematica. Poi diremo meglio<br />

come mai bastava fare i principi dell'aritmetica,<br />

per poi fondare l'intera matematica, comunque questa è<br />

un'opera<br />

che Frege progettò in due grossi tomi, il primo uscì nel 1893, sembrava l’inizio appunto di un<br />

avventura, sembrava l’inizio della storia per Frege, cioè il fatto che effettivamente lui fosse arrivato alla<br />

conclusione dei suoi studi. Si trattava soltanto di portare a termine quello che ormai era in qualche modo in<br />

nuce, in embrione nelle opere precedenti, però il secondo volume del 1903 nacque praticamente morto, un<br />

aborto, uno di questi poveri bambini che nascono appunto senza vita, perché nel 1902 c’era stato appunto il<br />

paradosso di Russell che aveva posto fine, che aveva fatto crollare il suo enorme edificio. Andiamo a vedere<br />

79


allora da vicino che cosa Frege ha fatto in questi libri. Incominciamo col primo tomo, la prima opera, la<br />

prima grande opera della logica moderna contemporanea, cioè la “Ideografia”.<br />

1. Ideografia Anzi tutto cerchiamo di vedere da vicino, che cosa significa il titolo stesso,<br />

Linguaggio in formule perchè ideografia è una parola un po’ strana, che significa grafia di idee;<br />

del pensiero puro ebbene il sotto titolo dell’opera di Frege spiega in maniera più precisa più<br />

dettagliata che cosa lui volesse fare; l’ideografia doveva essere un linguaggio in formule del pensiero puro.<br />

<strong>Qui</strong>ndi ci sono tre aspetti praticamente, c’è il linguaggio, c’è il pensiero e soprattutto ci sono le formule e<br />

allora facciamo un passo indietro, ricordiamoci di quali erano stati i sogni che Leibniz aveva posto sul<br />

tappeto della logica matematica, su quella che sarebbe diventata la logica matematica, uno di questi sogni era<br />

quello che Leibniz chiamava la lingua filosofica o la characteristica universalis, che doveva essere un<br />

qualche cosa, un linguaggio precisamente, che permettesse di esprimere in maniera tecnica, in maniera<br />

formale ed è qui che interviene la parola formule, che permettesse di esprimere i fondamenti di ogni scienza<br />

ed in particolare, poiché le scienze si fondano quasi tutte, soprattutto le scienze naturali, sulla matematica,<br />

questo sogno di Leibniz della lingua caratteristica, doveva essere un linguaggio formale per la matematica.<br />

Naturalmente Frege che era anche un filosofo, soprattutto un filosofo all'epoca, era interessato a mettere in<br />

formule, a scrivere un linguaggio che parlasse del pensiero puro. Ora il pensiero puro per noi è<br />

semplicemente quello che oggi chiamiamo la logica per l'appunto e allora scrivere o inventare un linguaggio<br />

per la logica che fosse scritto in formule, era di nuovo un passo avanti nella stessa scia di Boole che abbiamo<br />

trattato la scorsa settimana. Però Boole aveva proposto un linguaggio algebrico, quindi puramente<br />

matematico che usava concetti e simboli che già si conoscevano, vi ricorderete che l'idea fondamentale<br />

dell’algebra booleana, era quella di associare alla verità il numero 1, alla falsità il numeri 0 e poi alle<br />

operazioni dei connettivi del calcolo proposizionale, le solite operazioni algebriche sui numeri, cioè in<br />

particolare alla negazione veniva associata<br />

la sottrazione e alla congiunzione veniva associato il prodotto di<br />

numeri;<br />

ebbene questo era un tentativo, certamente anche un tentativo riuscito tra l’altro, come abbiamo<br />

ricordato pochi minuti<br />

fa, di concretizzare, di rendere concreto, di riuscire a realizzare il sogno di Leibniz,<br />

però era in qualche modo insoddisfacente, perché si faceva ancora riferimento, troppo riferimento alle<br />

operazioni della matematica<br />

e quindi era praticamente una riduzione della logica proposizionale di Crisippo<br />

e poi abbiamo visto anche della logica del sillogismo<br />

di Aristotele, al linguaggio della matematica stessa;<br />

ebbene non era proprio questo l’obbiettivo<br />

di Frege, perché Frege voleva trovare un linguaggio in cui la<br />

stessa matematica<br />

si sarebbe potuta esprimere in una maniera più generale, in una maniera più pura, molto<br />

più astratta, cioè l’algebra<br />

è una parte della matematica e allora ridurre la logica ad una parte della<br />

matematica,<br />

non poteva essere soddisfacente, il vero obbiettivo doveva essere quello di trovare un<br />

linguaggio autosufficiente, un linguaggio autonomo, che venisse prima dei linguaggi della matematica e in<br />

cui l’intera matematica<br />

si potesse esprimere, non solo una sua parte come l’algebra, ma anche tutto il<br />

resto,come l’analisi, e ccetera, di cui parleremo tra poco. <strong>Qui</strong>ndi l’idea della Ideografia era appunto, detta in<br />

parole povere, concretizzare il sogno di Leibniz di una lingua per il pensiero puro scritta con formule.<br />

Benissimo, che cosa fece allora, in questo suo tentativo di realizzare questo sogno? Anzitutto fece quello<br />

che praticamente lo consegnò alla storia, lo fece diventare uno dei più grandi logici di questo periodo, cioè<br />

fece dei passi avanti, finalmente rispetto ai Greci e a Boole. Ricorderete che abbiamo concluso la scorsa<br />

lezione su Boole dicendo che nonostante tutti risultati che era riuscito ad ottenere con l’algebra booleana<br />

e nonostante tutte le applicazioni che l'algebra booleana aveva<br />

poi realizzato, sia con Boole stesso che soprattutto nel mondo<br />

contemporaneo del ‘900 attraverso i legami con i circuiti elettrici,<br />

con il computer se ricordate, addirittura con le reti neurali del<br />

cervello e così via, non era riuscito comunque a fare passi avanti<br />

rispetto ai greci. <strong>Il</strong> grandissimo risultato di Boole fu quello di<br />

esprimere in maniera matematica, in maniera algebrica ciò che i<br />

greci erano riusciti a fare nella logica, di finire praticamente, di<br />

mettere la ciliegina sulla torta, ma non di andare oltre, di concludere<br />

un'impresa che era iniziata 2000 anni prima. Ebbene Frege<br />

ovviamente si trova in questa situazione, viene venti-trent'anni dopo Boole, non può più fare le stesse cose,<br />

80


doveva andare avanti. Ora il problema era: è possibile andare avanti? Non è affatto detto, sembrava che<br />

un'analisi così profonda, fatta tra l'altro, da menti così eccelse, da due Scuole come la Scuola peripatetica di<br />

Aristotele e la Scuola stoica di Crisippo, fosse l'analisi conclusiva, che si fosse già arrivati praticamente al<br />

punto finale e che non si poteva andare oltre. Notate che questa era effettivamente l'impressione che non<br />

soltanto i contemporanei di Aristotele e di Crisippo avevano, ma questo è abbastanza evidente, perchè<br />

erano di quell'epoca lì, ma anche gli Scolastici e soprattutto addirittura anche lo stesso Kant aveva. Kant<br />

aveva sostenuto che ormai la logica era stata completata, l'analisi logica non si poteva portare oltre quello<br />

dove l'avevano portata Aristotele e Crisippo e quindi praticamente<br />

in quella direzione non c'era più niente da<br />

fare. <strong>Qui</strong>ndi ci voleva anche un certo coraggio intellettuale per cercare, come fece Frege, di andare oltre.<br />

Dove si andò oltre, quali sono i punti<br />

di riferimento in cui Frege si pose per andare oltre i greci e oltre<br />

Boole?. Ebbene sono due, di cui ho scritto qui i nomi, cioè le relazioni e i quantificatori. Cerchiamo di<br />

vedere più da vicino, come mai ci riuscì<br />

ad arrivare, a fare passi avanti.<br />

Aristotele<br />

Parliamo anzitutto delle relazioni”; ricorderete, lo abbiamo citato<br />

Relazione: Soggetto/predicato un certo numero di volte, che la logica di Aristotele si basava su<br />

Frege<br />

un'analisi delle strutture linguistiche, su un'analisi del linguaggio<br />

Relazioni: soggetti/ predicato e del pensiero ad esso collegato, che però era praticamente una<br />

/complementi analisi con un soggetto e un predicato Aristotele considerava<br />

quelli che oggi i logici chiamano “predicati unari”, cioè che hanno soltanto un verbo praticamente e un<br />

soggetto che si riferisce a quel verbo, quindi soltanto soggetto e predicato. Però oggi, chiunque sia andato a<br />

scuola, chiunque abbia fatto soltanto anche ciò che si insegna nelle medie, sa che in realtà l'analisi logica, sa<br />

che il linguaggio è più complesso di questo, le azioni coinvolgono anzitutto non soltanto sempre un solo<br />

soggetto, ma ci possono essere più soggetti e poi soprattutto ci può essere anche qualche cosa che questi<br />

soggetti fanno, ci può essere un complemento. Oggi questo, come dicevo, è diventato lapalissiano perché è<br />

diventato talmente classico che lo si insegna anche ai bambini. Ebbene, questo fu uno dei risultati che Frege<br />

riuscì ad introdurre, cioè l’estendere le relazioni di cui parlava Aristotele dal solo caso molto semplice di<br />

soggetto e predicato al caso in cui ci sono più soggetti, ci possono essere oltre che soggetti anche i<br />

complimenti e quindi non soltanto soggetto e predicato, ma soggetti, predicato e complementi; quindi la<br />

possibilità di considerare non relazioni unarie come nel caso di Aristotele, ma come diremo oggi in<br />

matematica, relazioni ennarie, dove n sta per un numero qualunque o relazioni se volete multiple, cioè in<br />

particolare relazioni binarie, ternarie, quaternarie e così via, cioè a due o più soggetti o complementi. Come<br />

mai c'è bisogno di questa estensione per poter fare un linguaggio puro, un linguaggio in formule del pensiero<br />

puro e in particolare dell'aritmetica? C'è ne bisogno, basta pensarci momentino, quando si parla di numeri<br />

una delle cose essenziali è di paragonarli fra di loro, paragonarli perché ci si chiede se sono uguali per<br />

esempio; ebbene l'uguaglianza è già di per sé un predicato che ha due soggetti, perché si cerca di mettere<br />

insieme, di comparare, di paragonare due numeri e di vedere se questi due numeri sono uguali oppure no.<br />

Ecco quindi subito, immediatamente, già nell'aritmetica, anche già nell’aritmetica dei numeri 0,1 il fatto di<br />

vedere se due numeri sono lo stesso numero oppure no, che si ha una relazione binaria. Ci possono essere<br />

altre relazioni binarie molto ovvie nel caso in cui due numeri siano diversi, cioè ci si può chiedere, per<br />

esempio, quale dei due è maggiore dell'altro oppure quali dei due è minore dell'altro e allora il maggiore o il<br />

minore sono di nuovo due relazioni binarie e quindi abbiamo già tre esempi, appunto l’uguaglianza, il<br />

maggiore e il minore, di relazioni binarie che vengono usate correttamente in matematica e delle quali la<br />

logica aristotelica non poteva trattare perché non erano relazioni unarie, non erano del tipo soggetto e<br />

predicato. Come esempio di relazioni ternarie, la cosa più ovvia, si ha quando prendiamo due numeri e ci<br />

chiediamo se la somma di questi due numeri è uguale ad un terzo numero, quindi due numeri e poi se la loro<br />

somma è uguale ad un terzo, l'essere uguale alla somma di due numeri è una relazione ternaria, che<br />

coinvolge tre numeri, idem per il prodotto e così via. <strong>Qui</strong>ndi in matematica le relazioni a più soggetti, a più<br />

complimenti sono ubique, si usano correntemente e quindi c'è bisogno, se si vuole fare effettivamente un<br />

linguaggio formale per la matematica, di estendere il campo delle relazioni a questi tipi di analisi. Ebbene<br />

questo fu proprio quello che fece Frege. <strong>Qui</strong>ndi una prima estensione della logica greca e poi una seconda<br />

che praticamente consegue automaticamente dalla prima, perché già Aristotele, lo abbiamo detto più volte,<br />

aveva considerato i quantificatori, cioè tutti, qualcuno e nessuno, però lui li considerava soltanto ristretti<br />

81


all'unico soggetto di cui si poteva considerare il predicato, perché come abbiamo detto poco fa l'analisi di<br />

Aristotele si riferiva soltanto a relazioni del tipo soggetto e predicato.<br />

Quantificatori Nel momento in cui Frege introdusse relazioni, in cui ci possono essere<br />

tutti, qualcuno, nessuno soggetti e complementi multipli, ecco che allora questi quantificatori<br />

automaticamente possono essere riferiti ad uno qualunque di quei soggetti. Allora i quantificatori che nel<br />

caso di Aristotele, se ne stavano lì isolati da soli, si poteva dire per esempio “per ogni x, oppure per ogni<br />

uomo, l’uomo è mortale”, cioè “tutti gli uomini sono mortali”; adesso invece si può cominciare a parlare di<br />

due o più soggetti. Ad esempio “per ogni numero ne esiste qualcun altro maggiore di esso”, ecco che usando<br />

il predicato maggiore, che è appunto un predicato binario, possiamo usare due quantificatori(ogni e qualcun<br />

altro)) che in logica vengono chiamati “alternati”. Ed ecco che qui, la complicazione della logica di Frege<br />

salta immediatamente agli occhi; la logica di Aristotele non era praticamente molto diversa dalla logica<br />

proposizionale di Crisippo proprio per questo motivo, perché benché trattasse dei quantificatori, in realtà<br />

erano quantificatori riferiti soltanto ad un soggetto e allora questo praticamente riduceva la logica sillogistica<br />

di Aristotele alla logica proposizionale. Questo è qualche cosa di cui si accorse immediatamente Boole<br />

quando fece la sua analisi attraverso le algebre booleana; infatti abbiamo ricordato la scorsa volta che<br />

effettivamente le stesse algebre booleane servono per descrivere sia il calcolo proposizionale che il calcolo<br />

sillogistico. Come mai? Ma perchè evidentemente queste due cose sono soltanto una la riformulazione<br />

dell’altra; nel momento invece in cui i quantificatori possono avere questa complicazione, possono<br />

incominciare ad alternarsi uno con l’altro, allora la logica esplode, diventa molto più complicata ed è proprio<br />

questo ciò che Frege capì e incominciò a studiare. <strong>Qui</strong>ndi vedete, in effetti un passo avanti molto importante.<br />

Questo è quello che lui fece nel suo primo libro “la ideografia” del 1879, che viene considerata in genere<br />

l’anno di nascita della nuova logica, della logica moderna.<br />

Nel secondo libro “I fondamenti dell’ aritmetica, del 1884, Frege si pone un problema differente e il<br />

problema è quello che ho scritto qui, cioè la “la riduzione dell’aritmetica alla logica”, cioè una volta<br />

2. Fondamenti dell’aritmetica (1884)<br />

fondata la nuova logica nel suo primo libro l’Ideografia,<br />

Riduzione dell’aritmetica alla logica<br />

Frege voleva riuscire a ridurre tutta l'aritmetica alla sola<br />

logica. Ora questo poteva essere un pensiero abbastanza malsano, perché se noi andiamo a vedere<br />

all’indietro quelli che erano i fondamenti<br />

della filosofia, soprattutto della filosofia kantiana, Kant aveva<br />

Kant sostenuto<br />

che aritmetica è ciò che si chiama, secondo il suo linguaggio, un<br />

L’aritmetica è qualche cosa di sintetico a priori, cioè “sintetico” richiede un'esperienza del<br />

sintetica a priori mondo ed “a priori” richiede la ragione per poter essere considerata. Ora<br />

Frege l’idea di<br />

Kant, che l'aritmetica fosse sintetica a priori, era un'idea molto<br />

L’aritmetica è importante, che fece epoca in qualche modo e soltanto Frege fu il primo che<br />

analitica a priori riuscì o che decise di metterla in dubbio. Qual’è l’alternativa? A Frege non<br />

piaceva questo fatto, cioè che per capire i numeri bisognasse avere un'esperienza sintetica a priori, che in<br />

qualche modo bisognasse fare riferimento al mondo. Allora l'idea di Frege fu la seguente, cioè che<br />

l'aritmetica era analitica. Ho scritto analitica a priori soltanto per simmetria, perché in realtà analitica a priori<br />

è un surplus, basta dire analitica, perchè non c'è nessuna analitica a posteriori, mentre invece il sintetico può<br />

essere a priori o a posteriori e dunque qui c'è effettivamente una scelta. Ebbene, dire che l'aritmetica è<br />

analitica significa precisamente questo: è possibile trattare l'aritmetica o meglio definire tutti i concetti di cui<br />

si parla nell’aritmetica semplicemente attraverso la ragione, cioè attraverso l'analisi razionale. Ora questo è<br />

un qualche cosa che si può fare, che si può porre come programma, però è difficile da realizzare. Qual’era<br />

l'idea, come mai a Frege interessava questo aspetto? L’interessava perché, in precedenza, questi due signori,<br />

di cui abbiamo parlato in una delle lezioni introduttive che si chiamano appunto Cantor e Dedekind, due<br />

grandi matematici dell'800, della seconda metà dell'800, erano già riusciti a ridurre l'analisi all'aritmetica.<br />

Per chi non si ricordasse o che non sapesse che cos’è l’analisi, “l’analisi è la teoria dei numeri reali”, mentre<br />

Cantor-Dedekind<br />

“l’aritmetica è la teoria dei numeri interi”. I numeri interi sono 0,1,2,3,…e così<br />

Riduzione dell’analisi via, mentre i numeri reali sono invece un po’ più complicati, sono anzitutto i<br />

all’aritmetica numeri razionali, cioè le frazioni, cioè i rapporti fra i numeri e poi soprattutto<br />

anche i numeri irrazionali, i soliti numeri di cui almeno alcuni esempi sono noti a tutti, come la radice di 2,<br />

di cui abbiamo parlato a lungo quando parlavamo della incommensurabilità della diagonale rispetto al lato<br />

82


del quadrato oppure п greco che è il rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio e così via.<br />

Questi numeri non si possono scrivere attraverso rapporti di numeri interi e l’insieme di tutti questi numeri,<br />

razionali e irrazionali costituisce la teoria dei numeri reali che si chiama in matematica analisi, per l’appunto.<br />

Ora la cosa interessante è che Cantor e Dedekind erano riusciti a ridurre l’analisi alla sola aritmetica, come?<br />

Numero reale = Beh, erano riusciti semplicemente dando una definizione di numero<br />

Successione infinita di interi reale come una successione infinita di interi. Guardiamo qui l’esempio<br />

√2 = 1,4142… π = 3,1415… che ho appena fatto, la √2 e π, √2 è qualche cosa del tipo 1, 4142… e ci<br />

sono qui dei puntini, questi puntini stanno ad indicare il fatto che dopo la virgola nello sviluppo decimale,<br />

come diremo oggi, di √2, c’è una successione infinita e questo infinito è il punto cruciale, per l’appunto degli<br />

interi. Se ci fossero soltanto un numero finito di interi dopo la virgola, quello sarebbe un numero razionale;<br />

in effetto ci sono anche dei numeri razionali che si possono scrivere come una successione infinita, ma che si<br />

chiamano periodici, quindi l’infinito lì è mascherato, in realtà si ripetono sempre gli stessi blocchi di cifre,<br />

ma nel caso di √2 , così come nel caso di π che è 3,1415 eccetera, questi numeri non si ripetono con una<br />

regolarità fissa e allora questi numeri vengono detti appunto irrazionali e anche i numeri irrazionali sono<br />

riconducibili a successioni di interi, a successioni che però devono essere infinite. Allora questa idea di<br />

considerare i numeri reali come successioni infinite di interi era il modo che trovarono appunto Cantor e<br />

Dedekind di ridurre l’intera teoria dei numeri reali, l’analisi, all’aritmetica. Ed ecco che allora riuscire, come<br />

cercava di fare Frege, a ridurre l'aritmetica alla logica, avrebbe significato ridurre praticamente l’intera<br />

matematica alla logica, perché i numeri reali già erano stati ridotti alla aritmetica, se adesso si riusciva a<br />

ridurre l’aritmetica alla logica, allora anche i reali sarebbero stati ridotti alla logica e praticamente l'intera<br />

matematica sarebbe diventata un qualche cosa che si fondava sulla logica. Ecco perché, la Scuola che nacque<br />

dal pensiero di Frege, si chiamava e si chiama ancora oggi Logicismo, cioè il tentativo di porre la logica a<br />

fondamento di tutto; quindi la logica diventa veramente la cosa più importante della matematica e delle<br />

scienze, soltanto che c'è un cambiamento, quasi un capovolgimento rispetto a ciò che invece si pensava al<br />

tempo dei greci. Pensate ad Aristotele che sosteneva semplicemente che la logica era una propedeutica per le<br />

scienze, era un linguaggio introduttorio, era l'organon, cioè lo strumento che serviva per trattare delle tesi.<br />

C'era stato un passo avanti naturalmente con Crisippo, che aveva ritenuto che la logica non era solo<br />

propedeutica, ma era parte delle scienze, era una delle scienze, ma adesso con Frege effettivamente se fosse<br />

riuscito a ridurre l'intera aritmetica alla logica, allora la logica sarebbe diventata la Scienza, tutto il resto<br />

sarebbe stato una riformulazione della logica. <strong>Qui</strong>ndi vedete che questo argomento, siamo partiti agli inizi<br />

parlando di paradossi e di piccole cose, adesso addirittura nell’800, alla fine dell'800, diventava il nucleo<br />

centrale di tutta la scienza. Vediamo che cosa Frege cercò di fare e fin dove riuscì ad arrivare. Anzitutto<br />

Frege capì che era possibile dare delle definizioni logiche di numero: per esempio, che cos'è lo zero?<br />

Definizioni logiche di numeri Lo zero è praticamente qualche cosa che non ha niente, cioè è il<br />

0 = insieme vuoto numero di un insieme che non ha nessun oggetto dentro, cioè un<br />

1 = insieme che contiene cestino vuoto per esempio; quante uova ci sono in un cestino<br />

L’insieme vuoto vuoto, non ce ne nessuna. Ed ecco che allora l'idea fondamentale<br />

……. di Frege fu quella di identificare fra di loro un cestino vuoto o<br />

meglio in termini matematici, un insieme vuoto e il numero zero. <strong>Il</strong> numero 1 che cosa sarebbe? Beh, deve<br />

essere un cestino dentro il quale c'è qualcosa. Ora però, se si siamo partiti da un cestino vuoto e l'abbiamo<br />

identificato con lo zero, allora basta mettere dentro un cestino un cestino vuoto, ed ecco che abbiamo<br />

qualche cosa che possiamo identificare con l'uno; quindi c'è una differenza tra l’insieme vuoto e l’insieme<br />

che contiene come suo unico elemento un insieme vuoto, uno corrisponda allo zero, l'altro corrisponde<br />

all'uno. Per fare un esempio che tutti forse possono capire, anche se non sono matematici di natura o di<br />

elezione, pensiamo ai conti bancari per esempio. Insieme vuoto significa non avere un conto bancario, un<br />

insieme che contiene in insieme vuoto significa avere un conto bancario che non ha dei soldi dentro ed è una<br />

cosa molto diversa, un conto è non aver nessun conto e un conto è avere un conto bancario che ha dentro<br />

nessun conto, quindi questa è la differenza fra lo zero e l'uno. E continuando a mettere cestini vuoti uno<br />

dentro l'altro, praticamente Frege riuscì a dare definizione di tutti i numeri interi. Sembrava fatto, la frittata<br />

sembrava fatta, per l’appunto si riusciva a formulare l'intera aritmetica basandosi soltanto sul concetto di<br />

insieme, che ovviamente è un concetto logico e per questo Frege poteva sostenere di aver ridotto l'aritmetica<br />

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alla logica, alla teoria degli insiemi. Che cosa successe in seguito? Beh, a questo punto Frege poteva pensare<br />

di aver finito il suo lavoro introduttivo della riduzione dell'intera matematica alla logica, poteva pensare di<br />

rivolgersi a scrivere il suo grande lavoro, la sua grande opera. Questa sua grande opera decise di chiamarla<br />

3. Principi dell’aritmetica (1893-1903) “Principi dell'aritmetica”. Come ho detto, tutti sapevano<br />

Teoria ingenua degli insiemi all'epoca che l'aritmetica ormai era il fondamento della<br />

matematica, perché l'analisi era stata ridotta ad essa, la geometria, tra l’altro non l’ho detto prima, anch’essa<br />

era già stata ridotta all'analisi da Cartesio, perché la geometria cartesiana era proprio questo, sostituire i punti<br />

con le coordinate, cioè con due numeri reali, sostituire le linee con delle equazioni lineari e così via. <strong>Qui</strong>ndi<br />

Cartesio aveva ridotto la geometria all'analisi, Cantor e Dedekind avevano ridotto l'analisi all'aritmetica ed<br />

ecco che allora, l'ultimo passo in questo tentativo di riduzione, era appunto quello che cercava di fare Frege,<br />

cioè ridurre l'aritmetica alla logica. Frege pensò di averlo fatto con quelle definizioni che vi ho citato poco<br />

prima dei numeri e allora nei “ principi dell'aritmetica”, un titolo modesto, che in realtà stava a significare i<br />

principi di tutta la matematica e dunque di tutta la scienza, cercò di costruire i fondamenti della teoria degli<br />

insiemi. Ricordate il numero 0 era insieme vuoto, il numero 1 era insieme che conteneva l’insieme vuoto e<br />

così via, quindi bisognava fondare questa volta non più l'aritmetica, bensì la teoria degli insiemi. Benissimo,<br />

qual è il fondamento che Frege pose alla teoria degli insiemi? Due soli assiomi, molto semplice, li abbiamo<br />

una volta citati un po' di corsa, adesso cerchiamo di vederli più da vicino.<br />

Estensionalità <strong>Il</strong> primo assioma si chiamava assioma di estensionalità, cioè due<br />

Due insiemi sono uguali insiemi sono uguali se hanno gli stessi elementi, cioè due cestini<br />

se hanno gli stessi elementi sono praticamente intercambiabili, se voi andate a comprarli, se<br />

Comprensione dentro hanno gli stessi oggetti, questa è l'idea fondamentale.<br />

Ogni proprietà di insiemi Detto in termini filosofici, questa è una formulazione del famoso<br />

determina un insieme principio di identità degli indiscernibili, che aveva già formulato<br />

Leibniz, tanto per cambiare, anche lui uno dei grandi precursori di questa linea di pensiero. L'identità degli<br />

indiscernibili significa che due cose che non si riescono a distinguere sono praticamente la stessa cosa. Ora<br />

due cestini, è chiaro che nel mondo fisico si riescono a distinguere, perché anche due cestini che abbiano lo<br />

stesso numero di uova dentro, insomma avranno delle differenze in altre cose, ma nel caso della matematica,<br />

quando si parla di insiemi, ormai siamo arrivati al livello delle idee, se abbiamo due insiemi che hanno<br />

esattamente gli stessi elementi, da un di vista logico sono la stessa cosa e il principio di estensionalità cattura<br />

precisamente questa idea.<br />

<strong>Il</strong> secondo principio, invece molto più importante, è il cosiddetto principio di comprensione. Che cosa<br />

corrispondono gli insieme? Beh, ricordatevi, Frege stava cercando di fare una fondazione logica dell'intera<br />

matematica e allora le proprietà di insiemi determinano gli insiemi, e allora che cosa sono gli insiemi.? Sono<br />

semplicemente collezioni di oggetti, ma che sono definiti da proprietà ed ecco che con questo principio di<br />

comprensione Frege metteva insieme da una parte gli insiemi e dall'altra parte le proprietà, cioè da una parte<br />

la teoria degli insiemi matematica e d'altra parte la teoria logica delle proprietà, cioè il linguaggio e così via.<br />

E in questo modo basandosi su questi due assiomi Frege riuscì effettivamente nel primo volume e poi anche<br />

nel secondo che aveva già molto avanzato verso la fine dell'800 e inzi dell’900, riuscì a costruire o a<br />

ricostruire l'intera aritmetica, cioè quelle idee intuitive a cui avevo accennato prima, cioè le definizioni di 0 e<br />

1 e così via, ma poi anche tutte le proprietà caratteristiche dei numeri interi, Frege riuscì a derivarle da<br />

questi due soli assiomi. Ed ecco che allora, aveva coronato non soltanto il suo sogno, ma addirittura il sogno<br />

di Leibniz, l'idea di riuscire a costruire un linguaggio perfetto per la matematica, sufficientemente generale e<br />

di riuscire a basare su questo linguaggio, su questo fondamento, l'intera matematica. Però succede un<br />

patatrac, cioè nel 1902, ecco che arriva questo signore, questo Lord inglese, stessa nazionalità di Winston<br />

Churchill che rivendica questa volta il possesso della logica<br />

all'Inghilterra e Russell nel 1902, dunque l'anno prima che esca<br />

il secondo e ultimo volume dell'opera di Frege, scopre quello<br />

che viene chiamato “il paradosso di Russell”. Guardate la sua aria<br />

soddisfatta, anche un po' sorniona, lui mandò nel 1902, era un<br />

giovane ragazzo all'epoca, aveva una trentina d'anni, forse 25-30<br />

anni, mandò una lettera a Frege dicendogli: caro signor Frege, ho<br />

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letto con molto interesse il suo primo volume, l'opera della sua vita, però mi sono accorto che sulla base dei<br />

suoi principi è possibile dedurre questa contraddizione e la contraddizione è molto semplice, cioè “l’insieme<br />

degli insiemi che non appartengono a se stessi è contraddittorio”. Come mai? Beh, ci sono soltanto due<br />

possibilità: considerate l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi, anzitutto che cosa vuol<br />

dire per un insieme appartenere a se stessi? Russell faceva l’esempio delle tazzine da tè; lui era un inglese,<br />

ovviamente ogni giorno alle cinque della sera si prendeva una tazzina da tè, l’insieme delle tazzine da tè<br />

ovviamente non è un insieme che appartiene a se stesso, perché non è una tazzina da tè, tante tazzine messe<br />

insieme non formano una tazzina, però l’insieme delle idee astratte, per esempio, è a sua volta un'idea<br />

astratta, quindi è un insieme che appartiene a se stesso. Sembrerebbe che ogni insieme deve o appartenere o<br />

non appartenere a se stesso. L’insieme degli insiemi che non appartengono a se stessi appartiene o no a se<br />

stesso? Supponiamo di sì, supponiamo che appartenga a se stesso: beh, allora deve essere uno degli insiemi<br />

che non appartengono a se stessi e questo non è possibile. Supponiamo che non appartenga a se stesso, allora<br />

non può essere uno degli insiemi che non appartengono a se stessi, dunque deve appartenere a se stesso. Uno<br />

di quei rompicapi molto simili ai paradossi, che già avevano trovato i greci, molto simile al paradosso del<br />

mentitore, di cui tra l'altro è una delle riformulazioni, che però mette in crisi completa l'intero armamentario<br />

che Frege aveva sviluppato. Frege naturalmente entra in crisi, scrive nell'appendice al secondo volume che<br />

ormai era già finito “ho ricevuto l'altro giorno una lettera del signor Russell che mi ha messo in crisi” e Frege<br />

non riuscì più a uscire da questo patatrac, diciamo della sua carriera. Oggi che cosa succede? Frege non<br />

trovò la soluzione di questo paradosso, Russell propose delle risoluzioni di cui parleremo la prossima volta,<br />

perché è bene che a Russell dedichiamo un intera lezione e vedremo anche come lui cercò di risolvere il suo<br />

paradosso. Oggi però le soluzione proposte da Russell, non sono quelle sono accettate dai matematici o che<br />

sono diventate di moda fra i matematici.<br />

Soluzione La soluzione dei problemi di Frege è quella che ho scritto qui nella<br />

Classi/insiemi slide, cioè la soluzione è quella di dividere gli insiemi in due grandi<br />

Russell ha definito una classe famiglie, una si chiama ancora “insiemi”, ma l'altra si chiama “classi”<br />

propria, non un insieme L'idea è quella che il “principio di comprensione” in realtà non<br />

definisce degli insiemi, ma definisce delle classi, quindi quando si parla di proprietà, non si sta parlando di<br />

insiemi, ma si sta parlando di una cosa più generale che si chiamano “classi” e allora ciò che Russell ha<br />

definito “l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi”, in realtà quello non è un insieme, è<br />

la classe di insiemi che non appartengono a se stessi e in questo il paradosso scompare; sembrerebbe essere<br />

una soluzione molto elegante, c'è un unico problema ed è che questa soluzione non risolve molto, perché nel<br />

momento in cui noi riformuliamo il principio di comprensione, dicendo che “ogni proprietà di insiemi<br />

determina una classe”, ecco che qui allora arrivano i problemi, perchè se le proprietà determinano delle<br />

Comprensione classi e come facciamo a sapere quando abbiamo di fronte un insieme?<br />

ogni proprietà di insiemi Beh, dobbiamo dirlo espressamente, possiamo farlo soltanto a partire<br />

determina una classe da proprietà di insiemi, ma dobbiamo avere qualche insieme per poter<br />

Problema parlare di proprietà di insiemi e non possiamo certamente ottenerli dal<br />

come costruire insiemi? “principio di comprensione” perché “il principio di comprensione”<br />

determina soltanto delle classi. Questo è un vero problema e in particolare il problema è quello che ha scritto<br />

qua: come facciamo a costruire degli insiemi? Beh, vediamo qual’è il tipo di soluzioni che oggi è stato<br />

accettato. E’ una soluzione che Russell definì semplicemente, che ha lo stesso vantaggio del furto nei<br />

confronti del lavoro onesto. Ogni volta che a noi piacerebbe di dire che qualche cosa è un insieme, lo<br />

diciamo per definizione, per assioma. Ora questo non era certamente ciò che pensava Frege di fare, non è<br />

certamente ciò che pensava Russell di fare, loro speravano di fare<br />

una fondazione della teoria degli insiemi da un p.di v. logico, se poi<br />

invece ogni volta che abbiamo di fronte un insieme lo dobbiamo dire<br />

che questo è un insieme, semplicemente perché abbiamo descritto un<br />

assioma che lo dice oppure lo è perché si riferisce ad altri insiemi che<br />

abbiamo già costruito, questa è una soluzione molto poco<br />

soddisfacente. Comunque vediamo questa soluzione, che è quella che<br />

è stata proposta da questi due signori Zermelo nel 1904 e Fraenkel<br />

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nel 1921 e oggi infatti la teoria degli insiemi si chiama non più teoria di Frege ingenua, che quindi è ancora<br />

nominata, ma si chiama teoria di Zermelo e Fraenkel. Gli assiomi che Fraenkel e Zermelo hanno<br />

proposto<br />

sono i seguenti praticamente: anzitutto non si può nemmeno usare il principio di comprensione,<br />

pensate per dire che c'è un insieme vuoto, cioè un insieme i cui elementi soddisfano una proprietà<br />

contraddittoria, perché c’è una classe vuota, basta prendere una qualunque proprietà contraddittoria, tipo<br />

“essere diversi da se stessi” ed è chiaro che nessuna cosa è diversa da se stessi e quindi non c’è nessun<br />

oggetto che soddisfa quella proprietà, ma il principio di comprensione dice che “l’insieme degli oggetti che<br />

soddisfano una proprietà contraddittoria formano non un insieme”, ma una classe per poter<br />

Insieme vuoto dire che l’insieme vuoto è un insieme c'è bisogno di un assioma<br />

Operazioni su insiemi particolare. Poi bisogna fare delle operazioni sugli insiemi, le<br />

Insieme infinito operazioni sono simili, si ha che l’insieme vuoto corrisponde al<br />

……………….. numero 0, allora sugli insiemi si possono fare delle operazioni<br />

Insieme inaccessibile<br />

che corrispondono alle operazioni che si fanno su numeri, cioè<br />

Grandi cardinali la somma, il prodotto, l'elevamento a potenza e così via. Questi<br />

…………………. si pongono per assiomi. C'è anche il bisogno in matematica, lo<br />

abbiamo visto prima nella definizione di numero reale, di parlare di insiemi infiniti, perché un numero reale<br />

che non sia razionale ha uno sviluppo infinito di decimali, allora c'è bisogno di un assioma specifico che ci<br />

dica che esiste un insieme infinito e così via, poi c’è bisogno in matematica, oggi soprattutto, di insiemi via<br />

via più grandi, ma gli assiomi precedenti non permettono di dimostrare l’esistenza di questi insiemi via via<br />

più grandi e dunque c’è bisogno di una cornucopia, di una lista enorme di proprietà di insiemi, di assiomi che<br />

bisogna mettere giù piano piano . Questo chiaramente è un po’ la fine del sogno, cioè il sogno era bello<br />

quando lo si sognava alla maniera di Frege, cioè fondare l’aritmetica sulla logica, sulla teoria degli insiemi e<br />

fondare la teoria degli insiemi su due sole proprietà, su due soli assiomi che erano da un punto di vista logico<br />

perfettamente naturali, cioè da una parte “l’assioma di estensionalità”, cioè due insiemi sono uguali se hanno<br />

gli stessi elementi e dall’altro “l’assioma di comprensione”, cioè gli insiemi sono determinati da proprietà<br />

che dicono quali sono le proprietà dei loro agenti. Nel momento in cui crolla questa fondazione, c’è bisogno<br />

di fare queste liste, che tra l’altro, vedete, sono liste molto lunghe, ci sono i puntini che stanno ad indicare<br />

che la lista degli assiomi di Zermelo e Fraenkel non è finita tra l’altro, non è finita nel senso che noi non<br />

l’abbiamo finita, ma nel senso che è infinita,<br />

ci sono infiniti assiomi. Come se non bastasse c’è ancora un<br />

ulteriore problema che è stato scoperto da questo signore, di cui abbiamo già parlato più volte e con cui<br />

arriveremo a concludere questo percorso nella logica moderna, cioè Kurt Goedel.<br />

Goedel (1931) Nel 1931Goedel<br />

dimostra o meglio una delle conseguenze del suo più famoso<br />

nessuna lista teorema, che si chiama “teorema di completezza”, è proprio che nessuna lista<br />

è esaustiva di proprietà o di assiomi per gli insiemi può essere esaustiva. <strong>Qui</strong>ndi, come se<br />

non bastasse, non soltanto la teoria degli<br />

insiemi non si può fondare su quei due belli assiomi che aveva<br />

trovato Frege, cioè l’estensionalità e la comprensione, ma non si può nemmeno fondare sulla lista che hanno<br />

stabilito Zermelo-Fraenhel, che è già una lista infinita, ma non c'è nessuna lista di assiomi che permetta di<br />

dire quale sono tutte le proprietà degli insiemi. Questo è veramente un pochettino la fine del sogno di Frege,<br />

ma anche la fine del sogno di Leibniz, cioè il tentativo di fare, non soltanto una lingua, perché questo Frege<br />

riuscì a farlo benissimo nella ideografia, cioè la lingua formale in cui esprimere i pensieri puri della<br />

matematica. <strong>Il</strong> linguaggio di Frege, non direttamente quello che lui ha inventato come simboli, perchè quelli<br />

sono stati poi usati e adottati in maniera diversa e i simboli che oggi si adottano sono quelli di Peano, di cui<br />

parleremo poi in seguito, dicevo il linguaggio c'è, ma la fondazione logica della matematica, questa è stata<br />

sognata, ma non è stata realizzata da Frege, poi soprattutto Goedel ha dimostrato che non potrà essere<br />

realizzata da nessun altro. <strong>Qui</strong>ndi questa è la conclusione in qualche modo di un sogno ed è anche la<br />

conclusione della lezione di oggi.<br />

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LEZIONE 11: Un Nobeluomo paradossale<br />

Benvenuti a una delle lezioni sul personaggio forse più interessante della logica matematica, non dico il più<br />

importante, anche se certamente lo è stato per un certo periodo, perlomeno alla fine dell'800 e agli inizi del<br />

‘900, ma la sua vita è stata una vita veramente avventurosa, una vita lunghissima tra l'altro, che è durata 98<br />

anni, quindi oggi ci divertiremo a vedere quante cose è riuscito a fare questo signore nell'arco di quasi un<br />

secolo. Questo signore di cui sto parlando è Bertrand Russell, qualcuno di voi avrà già sentito il suo nome,<br />

anzi in realtà, io credo che fra tutti i logici di cui abbiamo parlato, forse è quello che più noto al grande<br />

pubblico, anche per le tante cose che ha fatto al di là e al lato della logica. <strong>Qui</strong>ndi, oggi parleremo un<br />

pochino di questa sua vita. Allora la lezione l'ho intitolata un nobile paradossale per due motivi, perché<br />

Russell è famoso nel campo della logica matematica per il suo paradosso, il cosiddetto paradosso di Russell,<br />

di cui abbiamo già accennato una volta, ma che oggi rivedremo brevemente e poi è famoso al grande<br />

pubblico, perché ha ricevuto il premio Nobel. Voi vi chiederete come può un matematico prendere un<br />

premio Nobel, lo vedremo tra un pochettino, quando arriviamo al momento del premio Nobel. Per ora<br />

invece, incominciamo per lo meno di definire quali sono gli estremi di questa lunga vita. Come ho detto<br />

Bertrand Russell è nato nel 1872 ed è morto, pensate voi, nel 1970; si pensava quasi fosse addirittura<br />

Russell immortale, non moriva più, continuava a scrivere libri, eccetera.<br />

(1872-1970)<br />

Veramente di libri ne ha scritti tantissimi, è stato un autore prolifico<br />

100 libr i da morire, qui ci sono, diciamo così, le cifre della sua vita, pensate<br />

4 mogli 100 libri ha scritto; naturalmente la anche sua vita ha avuto non<br />

1 premio Nobel dico 100 mogli, questo sarebbe stato esagerato, comunque un bel<br />

numero di mogli, 4 mogli e per l'appunto, come ho detto, un premio Nobel. Si dice che sia la persona che ha<br />

letto più libri nella storia dell'umanità, qualcuno arriva a sostenere addirittura che abbia letto 100.000 libri, il<br />

che mi sembra francamente una cifra spaventosa, comunque certamente nell'ordine di migliaia. Pensate, già<br />

soltanto, al lavoro che ci vuole per prescriverne 100 di libri. Ora questi 100 libri non erano i libri tascabili,<br />

che vengono oggi prodotti uno dietro l'altro con gran facilità, qualcuno di questi libri era un tomone enorme<br />

e uno di questi, il famoso “Principia matematica”<br />

in tre volumi, che conta soltanto come un libro, pensate<br />

voi, tre volumi di formule molto complicate<br />

delle quale parleremo tra un momento. <strong>Qui</strong>ndi è un po' tra questi<br />

100 libri che dovremmo andare a cercare<br />

quali sono le cose interessanti che Russell ha lasciato in eredità,<br />

diciamo così, alla logica matematica;<br />

ce ne sono tante, forse meno di quelle che lo credeva, perché<br />

certamente lui era un Lord inglese, ma era anche una persona, credo, molto piena di sé, certamente ha parlato<br />

di se stesso, a lungo ha raccontato gli episodi della sua vita e molte delle cose che sappiamo le sappiamo<br />

proprio perché lui ce le ha dette, ripetute<br />

e così via. In particolare due dei libri che lui ha scritto, sono due<br />

libri importanti, che consiglio perché sono<br />

veramente una specie di introduzione al suo pensiero, oltre che<br />

agli avvenimenti di questa vita. <strong>Il</strong> primo<br />

libro è la famosa autobiografia di Bertrand Russell, che è stata<br />

scritta nell'arco di un certo numero di anni, dal 1956 al 1969; un'autobiografia in tre volumi, dei quali<br />

Autobiografia (1956-1969) parleremo brevemente tra un momento e poi un secondo<br />

La mia vita in filosofia (1959) libro, una aggiunta diciamo così, che si chiama “la mia<br />

vita in filosofia”. Questo è uscito nel ‘59 dopo che era già uscito il primo volume della autobiografia, cioè il<br />

primo volume che raccontava gli episodi della vita, Russell ha pensato di dover raccontare, ormai era già il<br />

1960, aveva quasi 90 anni, quali erano gli episodi più significativi della sua vita intellettuale, perché è questo<br />

che veramente l’ha caratterizzato ed è questo il modo in cui a lui piaceva caratterizzarlo, come una grande<br />

mente effettivamente, come qualcuno che aveva cambiato la storia della filosofia. Ed ecco che questo libro,<br />

la mia vita in filosofia, forse è il più rappresentativo, quello in cui lui racconta effettivamente le sue scoperte<br />

dal paradosso, quand'era giovane, fino pian piano, a tutte varie fasi della sua filosofia. Ce ne sono state<br />

tantissime di fase della sua filosofia, si diceva all'epoca, che più o meno Bertrand Russell, cambiasse idea<br />

praticamente fiilosofia una volta ogni cinque anni e poiché è vissuto così a lungo effettivamente ha avuto<br />

tempo di cambiare idea una dozzina di volte per lo meno e ogni volta si interessava di cose nuove, come<br />

vedremo quando citeremo perlomeno i titoli delle sue opere più significative, cambiava argomento, si è<br />

interessato non soltanto di logica, non soltanto di matematica, ma di letteratura, di politica e così via, quindi<br />

veramente un vulcano perlomeno di attività, quindi questo è un libro che potete certamente leggere con<br />

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profitto. Per quanto riguarda l'autobiografia, beh, il profitto ci sarebbe, se voi avete la pazienza ovviamente<br />

di andar leggervi questi tre volumi, che sono tre volumi molto autocelebrativi e che però raccontano<br />

effettivamente un sacco di aneddoti, un sacco di cose. Cominciano a vedere il primo volume, molto<br />

modestamente i volumi sono sottotitolati da lui, non da me, parlando di personaggi che hanno avuto la<br />

fortuna, secondo Lord Russell, di vivere durante la sua vita, cioè il primo volume è un volume che va dalla<br />

regina Vittoria a Lenin, cioè dal 1872, l'anno della sua nascita, al 1914, cioè l'inizio della prima guerra<br />

mondiale. Come mai la Regina Vittoria e Lenin? Ebbene Russell sceglieva questi personaggi, non a caso,<br />

come sottotitolo della sua autobiografia, lui ne ha conosciuti moltissimi.Era come vi ho detto un Lord e come<br />

voi sapete il titolo di Lord è un titolo ereditario, quindi ovviamente anche la sua famiglia era una famiglia<br />

nobile, che conosceva primi ministri, eccetera, lui si ricorda di aver<br />

giocato o perlomeno di essere stato bambino tenuto sulle gambe,<br />

fatto giocare dal primo ministro Disraeli e così via e la regina<br />

Vittoria era per l’appunto una di queste persone che l'hanno<br />

conosciuto da bambino. Quanto a Lenin, che si potrebbe pensare<br />

fosse un personaggio completamente l'antitesi di Lord Russell, cioè<br />

il bolscevico che ha fatto la rivoluzione russa e così via, anche<br />

Lenin, Russell ha conosciuto, lo ha conosciuto andandolo a trovare<br />

in Unione sovietica dopo la rivoluzione, cioè nel 1920 e Lenin non<br />

gli fece una grande impressione, era ovvio anche che non glielo potesse fare, Russell arrivò in Unione<br />

Sovietica, era il 1920, nel pieno della guerra civile, Lenin non aveva molto tempo ovviamente, perché<br />

doveva dirigere le operazioni di questa guerra enorme, che metteva in forse l'esistenza dello Stato sovietico<br />

con tutto quello che aveva fatto per anni, che aveva preparato per anni e Russell arrivò nel 1920, nell'inverno<br />

russo a raccontare al Lenin il suo paradosso sulla teoria di insiemi, è chiaro che Lenin non aveva molta<br />

voglia di starlo a sentire e questo fece una pessima impressione a Russell che scrisse un libro sui bolscevichi<br />

“teoria e pratica del bolscevismo”; questo è un libro che all'epoca fece abbastanza sensazione, perché Russell<br />

si professava socialista e vedremo che molte delle cose che fece, effettivamente andarono in questa<br />

direzione, si professava socialista, ma quando andò a vedere le realizzazioni, diciamo così del socialismo<br />

reale, di quello che poi sarebbe stato chiamato il socialismo reale, non fu soddisfatto, tornò indietro e scrisse<br />

appunto questo libro che è diventato un po' un classico, perché Russell era uno dei primi personaggi di<br />

spicco, personaggi pubblici, che potevano accedere, potevano andare oltre le linee, andare a curiosare nella<br />

rivoluzione russa e vedere che cosa stava effettivamente succedeva. Questa è la prima parte della sua vita e<br />

nel 1914 Russell aveva appena terminato la sua grande opera<br />

matematica, i “Principia della matematica”, a cui avevo già<br />

accennato prima e di cui parleremo più a lungo in seguito. <strong>Il</strong><br />

secondo volume della sua biografia è un volume che si racchiude<br />

tra il 1914 il 1944, quindi praticamente tra l'inizio della prima<br />

guerra mondiale e la fine della seconda guerra mondiale, quindi il<br />

periodo tra le due guerre. I due personaggi<br />

che Russell ha scelto<br />

come sottotitolo del suo secondo volume di autobiografia sono<br />

Freud e Einstein. Einstein l'ha conosciuto ovviamente abbastanza<br />

bene in America, perchè Russell ha vissuto parecchio negli Stati Uniti, appunto in questi anni, negli anni<br />

della guerra, perché se ne andò negli Stati Uniti verso il ‘39, quando ormai la guerra poi scoppio e non poté<br />

più tornare indietro; come sapete tutti a quell'epoca non c'erano aerei, si viaggiava per nave e l'oceano era<br />

diventato ormai impossibile da attraversare, quindi Russell si fermò in America, ebbe alcune traversie molto<br />

interessanti di cui vi parlerò tra breve. Comunque uno degli episodi della sua vita americana fu appunto il<br />

fatto che lui andava regolarmente a Princeton, dove si trovava Einstein e dove si trovava anche Goedel di<br />

cui noi abbiamo già parlato più volte, che era il più grande logico del secolo e questo a Russell non poteva<br />

far piacere. Russell non capì mai durante la sua vita, quali furono i risultati dimostrati da Goedel, anzi più<br />

volte scrisse sui teoremi di Goedel in una maniera che tradiva questa incomprensione, era chiaro che non<br />

aveva capito molto di quello che stava succedendo nella logica dopo la sua grande opera, dopo i Principia<br />

matematica. Per quanto riguarda Freud, invece, Russell si interessò anche di psicoanalisi, di psicologia e così<br />

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via e vedremo in particolare almeno un titolo in seguito, perché scrisse anche lui libri su questo argomento.<br />

<strong>Il</strong> terzo volume invece della sua autobiografia è il volume che va praticamente dal ‘44 a quasi la morte,<br />

perché nel morì nel 1970. E’ chiaro che le autobiografia sono sempre incomplete, perchè ormai scrive<br />

l'ultima<br />

parte della sua vita, cioè la morte e quello che succede subito dopo o quasi finì di scriverlo quando<br />

ormai aveva più che novant’anni, novantacinquenne e lasciò in eredità per l’appunto quasi tutto il racconto<br />

della sua vita.<br />

I personaggi con cui si confrontò in questo terzo segmento della sua<br />

vita, che scelse come sottotitolo, sono Churchill e Mao. Churchill<br />

ovviamente era il primo ministro inglese durante la guerra, ma non a<br />

caso, perché il premio Nobel a cui ho accennato prima, che Russell<br />

prese, ebbene lo prese soffiandolo proprio a Churchill, erano loro i<br />

due ultimi candidati del 1950 e quando si dovete arrivare alla<br />

conclusione finale, quando si dovete scegliere chi era il vincitore tra<br />

l'ex primo ministro Winston Churchill e il filosofo logico,<br />

matematico, letterato politico e così via, Bertrand Russell, il comitato di Stoccolma scelse Bertrand Russell,<br />

quindi in qualche modo, ci fu anche una battaglia diretta tra Churchill e Russell. Per quanto riguarda invece<br />

Mao, la situazione è un po' più complicata, perché effettivamente nell'ultima parte della sua vita, cioè negli<br />

anni 50-60 Russell è ormai vecchio, evidentemente non si poteva più pretendere che facesse ricerche<br />

filosofiche o matematiche, si era dedicato all'attività politica e in particolare all'attività pacifista, cioè cercava<br />

di fare tutto quello che era possibile per la pace nel mondo, anzi io penso che. tutto sommato, poiché c'era<br />

anche una certa parte di carattere in tutto questo, sperava probabilmente di prendere un secondo premio<br />

Nobel, oltre quello che prese nel 1950, questa volta per la pace. Non ci riuscì, però effettivamente lasciò<br />

anche un segno in questa parte della sua attività e vedremo poi meglio in seguito, in che modo ancora oggi si<br />

trasmette questa sua eredità. <strong>Qui</strong>ndi a brevi linee, a grandi linee è stata questa sua vita di quasi un secolo,<br />

testimone di un secolo di storia, vista attraverso suoi gli occhi e quindi certamente per questo vi consiglio di<br />

leggere soprattutto il primo libroni cui ho detto, “la mia vita in filosofia”, ma anche di sfogliare, per lo<br />

meno, questi tre volumi della sua autobiografia, che tra l'altro sono scritti in maniera interessante, perché<br />

metà del libro è il racconto diretto che Russell fa di ciò che gli successe e di ciò che lui poté testimoniare, ma<br />

la seconda parte, cioè la seconda parte di ogni capitolo è in realtà una collezione di lettere, che lui mandò e<br />

che lui ricevette da personaggi famosi, i più svariati, quindi è anche una testimonianza diretta di ciò che fu la<br />

vita sociale intorno a lui. Personaggi che non erano soltanto logici, anzi quasi nessuno di quelli che vengono<br />

considerati e trattati in questi tre volumi sono personaggi matematici, ci sono filosofi, ci sono politici, ci<br />

sono personaggi di quello che oggi chiameremo il jet set, che allora non esisteva ovviamente, perché non<br />

c'era il jet set, ma era una cosa analoga. Bene, andiamo a vedere più da vicino qual’è stata la vita intellettuale<br />

di Russell e quali sono stati i suoi contributi alla logica matematica e più in generale alla storia del pensiero.<br />

Ebbene la vita di Russell, in particolare dal punto di vista intellettuale, nasce nel 1900. Nel 1900 ci fu<br />

un famoso Congresso di Parigi, che qui è rappresentato con un<br />

dipinto di Delaunay “la torre Eiffel”. Ebbene nel 1900 questo<br />

congresso lasciò il segno, perché prima ci fu un congresso di<br />

filosofia e poi subito dopo un congresso di matematica e di<br />

questo parleremo quando arriveremo alla lezione dedicata a<br />

Hilbert, che propose proprio in questo Congresso 23 problemi<br />

che sarebbero diventati in qualche modo il filone di ricerca della<br />

prima parte del ‘900 nella matematica. Invece la settimana prima<br />

ci fu questo Congresso di filosofia a cui Russell, che era un<br />

giovane studente all'epoca o per lo meno un giovane ricercatore,<br />

oggi diremmo, ventottenne, andò, partecipò e fece questo<br />

famoso incontro con Peano., famoso perché<br />

lui ce lo raccontò più volte. Peano è questo signore, Giuseppe<br />

Peano, un matematico, un matematico torinese anche lui un bel tipo, una persona abbastanza strana e in<br />

particolare Peano era un po’ una specie<br />

di secondo Leibniz. Fu un tentativo quello di Peano di ideare una<br />

lingua perfetta per la matematica, che era<br />

proprio quello che cercavano di fare in quell'epoca, vi ricorderete<br />

89


dalle scorse lezioni, prima Boole, poi Frege e anche Russell per conto suo, indipendentemente era arrivato a<br />

progettare una lingua di questo genere. Quando incontrò Peano si accorse, disse lui, che in tutte le<br />

discussione Peano si alzava, era sempre più preciso di tutti gli altri, parlava in una maniera assolutamente<br />

forbita, senza fare nessun errore, in maniera che rispecchiava, disse Russell, quasi una chiarezza di pensiero<br />

attraverso le sue parole. Allora Russell andò da Peano, gli chiese tutti i suoi lavori, Peano per combinazione<br />

aveva una valigia piena di reprint, diremo oggi, di suoi lavori, li diede a Russell, Russell non aspettò<br />

nemmeno che cominciasse il congresso di matematica, se ne andò a casa disse e per due mesi si mise a<br />

studiare questa logica di Peano, questi risultati di Peano e fu colui che poi li propagandò nel mondo intero,<br />

perché Russell effettivamente era un grande propagandista di se stesso, ma anche delle idee degli altri, in<br />

particolare di Peano e di Frege. <strong>Qui</strong>ndi questo fu il punto di inizio, 1900 scocca l'inizio del secolo e scocca<br />

anche l'inizio della vita intellettuale di Bertrand Russell. Vediamo che cosa succede in seguito. Poco tempo<br />

dopo nel 1902, Russell scopre studiando non soltanto le opere di Peano, ma ormai già anche quelle di<br />

Frege, il suo famoso paradosso del quale abbiamo già parlato una volta, ma possiamo certamente<br />

riprenderlo, rivederlo brevemente da vicino, cioè scopre che “l’insieme degli insiemi che non appartengono<br />

a se stessi e contraddittorio”. Ricordate quando abbiamo parlato di Frege, abbiamo già introdotto questo<br />

Paradosso di Russell(1902)<br />

l’insieme degli insiemi che<br />

non appartengono a se stessi<br />

è contraddittorio<br />

fatto, il fatto cioè che verso la fine dell'800, si cercava di<br />

mettere in piedi una fondazione logica della matematica,<br />

per cercare di ridurre la matematica alla logica e il modo<br />

in cui Frege aveva cercato di fare questa riduzione era,<br />

ggi viene chiamata “la teoria degli insiemi”, gli insiemi che sono<br />

. E allora Russell scopre che “l’insieme degli insiemi che non<br />

co, come mai? Ma perché i casi sembrerebbero essere soltanto due,<br />

sso oppure non appartiene a se stesso. È possibile che appartenga a<br />

appunto, quello di ridurla a quella che o<br />

praticamente le estensioni dei predicati<br />

appartengono a se stessi” era problemati<br />

cioè questo insieme o appartiene a se ste<br />

se stesso? Beh no, perché se appartiene a se stesso, allora non può essere un elemento di se stesso, perché gli<br />

elementi che stanno dentro questo insieme sono proprio quelli che non appartengono a se stessi. Idem per il<br />

contrario, cioè questa è una versione, voi ormai l'avrete capito, è semplicemente una riformulazione, un<br />

travestimento del paradosso del mentitore o di tutte le sue varianti, però la cosa importante è che, mentre il<br />

paradosso del mentitore si riferiva al linguaggio naturale e quindi non dava molto fastidio ai matematici o<br />

anche filosofi, questo invece, il paradosso di Russell, si riferisce alla teoria degli insiemi che, appunto<br />

abbiamo detto doveva essere il fondamento della matematica moderna. Allora questo diventa più<br />

problematico, quindi una riformulazione però importante, sostanziale. Con questo paradosso che<br />

probabilmente è l'unico vero contributo che Russell diede alla logica matematica, però un contributo<br />

importante, scosse le fondamenti di questa teoria degli insiemi, mise in crisi il progetto di Frege e vi<br />

ricorderete che Frege praticamente finì il suo secondo volume della sua grande opera “I fondamenti della<br />

matematica”, dicendo che non c'è niente di così più insoddisfacente purtroppo, di più triste per un autore<br />

quando arriva alla fine della sua opera, di ricevere una lettera come quella che gli aveva mandato all’epoca il<br />

giovane Bertrand Russell che scopre, che gli fa vedere che quest'opera è praticamente fondata sulla sabbia,<br />

cioè che le fondamenta non stanno in piedi. Ebbene questo è il contributo di Russell, per l’appunto, ai<br />

fondamenti della matematica. Cosa successe subito dopo? L'anno dopo, il 1903, Russell pubblica la sua<br />

prima opera sostanziosa, è un'opera che ancora oggi è tradotta in italiano, che si continua a vendere, perché<br />

effettivamente scritta nel linguaggio magistrale<br />

che Russell usava. Russell era un gran parlatore, era un<br />

grande scrittore, aveva il dono della scrittura,<br />

un po' come Mozart<br />

aveva il dono della musica, scriveva, ci<br />

sono i suoi manoscritti, perché all'epoca<br />

ovviamente non si scriveva con il computer, ci sono questi<br />

manoscritti quasi senza cancellature, probabilmente<br />

era quasi come un flusso di coscienza, le cose venivano<br />

fuori dalla sua mente e passavano direttamente<br />

attraverso il braccio e poi sulla carta. <strong>Qui</strong>ndi questo pensiero<br />

molto chiaro e questo libro “il principio<br />

della matematica” è effettivamente una scrittura molto agevole,<br />

I principi della matematica molto chiara, di quelli che dovevano essere i fondamenti<br />

(1902)<br />

logici della matematica, perché Russell, come ho detto<br />

Matematica = logica<br />

prima, era arrivato indipendentemente sia da Frege che da<br />

Peano a concepire questa idea, cioè l'idea di ridurre tutta la matematica alla sola logica, cioè di fare della<br />

logica il vero fondamento della matematica, che poi è anche quello di cui abbiamo parlato praticamente<br />

90


nelle scorse lezioni, cioè l'idea che la logica sia non soltanto una parte delle scienze, una parte della<br />

matematica, ma che sia praticamente la parte più importante perché su di essa in realtà si può porre tutto<br />

l’insieme del resto della matematica. Ebbene, quindi questa equazione che ho scritto “matematica = logica”<br />

è un po' la caratteristica di questo libro, la caratteristica del pensiero, del progetto di Russell, ma anche<br />

quella di Peano e di Frege che Russell poi confessò di non avere conosciuto praticamente fino alla fine, cioè<br />

Russell aveva cominciato questo libro ovviamente molti anni prima, quando scoprì i lavori di Peano, il<br />

linguaggio di Peano, però i lavori di Frege li conobbe proprio molto alla fine e in un un'appendice a questo<br />

suo libro parla per l’appunto di ciò che è la filosofia e quali sono i risultati della logica di Frege, dicendo mi<br />

dispiace di esserne venuto a conoscenza troppo tardi per poterli inglobare all'interno del testo; di nuovo non<br />

c'erano i computer, che oggi permettono di fare queste cose, di scrivere testi in maniera molto facile,<br />

attualmente all'epoca si poteva soltanto aggiungere un'appendice. <strong>Qui</strong>ndi questo è il primo grande lavoro,<br />

che però non fu la pietra definitiva, perché Russell in realtà in questo lavoro poté soltanto parlare del suo<br />

paradosso, il suo paradosso che aveva sì messo in crisi ovviamente il progetto di Frege, ma aveva<br />

ovviamente messo in crisi il progetto di Russell stesso, quindi non era soltanto Frege a doversi preoccupare,<br />

Frege ormai era alla fine della sua carriera e concluse il suo secondo volume dicendo, bah, insomma<br />

qualcun altro troverà la soluzione. Ebbene questo qualcun altro Russell decise doveva essere lui stesso, lui<br />

aveva sollevato il problema, lui doveva risolverlo. Allora incominciò a produrre una serie di articoli in<br />

preparazione di quello che doveva essere poi la soluzione finale, diciamo dei problemi della logica, che sarà<br />

poi questo grande libro “i principia matematica” che uscì in seguito. Ebbene, in questo percorso di<br />

soluzioni dei problemi, uno dei problemi era quello cosiddetto della “denotazione”, cioè Russell non capiva<br />

bene, ma non soltanto lui, tutti gli altri non lo capivano, come potesse essere possibile parlare di cose che in<br />

realtà non esistono, come si poteva dire di una frase in cui si parla di cose che non esistono, sia vera o falsa.<br />

<strong>Il</strong> famoso articolo sulla denotazione è d el 1905. <strong>Qui</strong> vedete nella slide una fotografia, voi penserete<br />

si sono<br />

sbagliati a mettere la fotografia d i un ciclista, tutti l’avrete<br />

riconosciuto,<br />

Pantani che vinse il giro di Francia, come mai? Ma no,<br />

questa naturalmente è soltanto una metafora, per la frase di cui Russell<br />

tratta in<br />

questo suo famoso articolo sulla denotazione. La frase di cui<br />

Russell<br />

vorrebbe sapere il valore di verità, vorrebbe sapere se questa<br />

frase è vera o falsa, è la frase che dice “il Re di Francia è calvo”. Ora il<br />

problema<br />

è che all'epoca non c’era nessun Re di Francia e quindi<br />

chiedersi<br />

se il re di Francia è calvo oppure no, non poteva essere dal<br />

p.di v. di Russell e anche dal p.di v. del linguaggio naturale, qualche<br />

cosa che non poteva essere né vero e né falso, perché in realtà non c'era<br />

nessuno<br />

Re di Francia. <strong>Il</strong> motivo per cui ho messo appunto qui Pantani è perché è la cosa più vicina, che ci<br />

può<br />

avvicinare al re di Francia, in un momento in cui appunto il re di Francia non c'è, è probabilmente il<br />

vincitore<br />

del tour de France; oggi lo sport è la vera essenza del nostro mondo, chi vince il campionato di<br />

calcio,<br />

chi vince il giro di Francia, il giro d'Italia, è il vero eroe della situazione, il vero Re. Ebbene eccolo<br />

qua,<br />

questo sarebbe un re di Francia, per lo meno nel 1998, che in questo caso particolare era calvo, perché<br />

come<br />

sapete, Pantani si mette questa bandana per nascondere, diciamo così, una testa un po' pelata. Però con<br />

questo<br />

non risolvo ovviamente il problema di Russell; come si fa a risolvere il problema della denotazione in<br />

una<br />

frase in cui c’è appunto qualche cosa, si parla di qualche cosa che non esiste? La soluzione di Russell fu<br />

una<br />

soluzione tecnica che soddisfa poco ancora oggi. Russell riformula una frase da un p.di v. logico del tipo<br />

“ il re di Francia è calvo”, dicendo c'è qualche cosa, che è qualcuno che è sia Re di Francia e allo stesso<br />

tempo<br />

è anche calvo. Ed ecco che allora, una frase di questo genere diventa falsa, perché una congiunzione<br />

per<br />

essere vera deve esser tale che tutti e due i suoi congiunti sono veri. Ora il primo congiunto sarebbe “c'è<br />

qualche<br />

cosa che è Re di Francia” e “non c'è nessun re di Francia”, quindi quella parte è falsa, quindi tutta la<br />

congiunzione<br />

è falsa. Dunque questa frase non solo ha un senso, ma ha anche un valore di verità ed è<br />

semplicemente<br />

falsa. Questa è la soluzione che in realtà lascia abbastanza il tempo che trova, ma comunque<br />

Russell<br />

all'epoca ne fece insomma, ne fece un gran strombazzamento, in qualche modo fu molto soddisfatto.<br />

Ancora<br />

più soddisfatto fu della seconda soluzione al suo paradosso, il paradosso di Russell. <strong>Il</strong> paradosso di<br />

Russell parla di insiemi che appartengono a se stessi, Russell decise che proprio questo era il problema, cioè<br />

91


il<br />

potersi riferire a se stessi. L'idea di Russell fu di costruire quella che oggi viene chiamata “una teoria dei<br />

tipi logici”. L'articolo in cui fece questo è del 1908, la teoria dei tipi logici è praticamente<br />

quello che appunto<br />

si vede<br />

qui, una scala, in cui ciascun scalino contiene delle cose che vengono definite riferendosi allo scalino<br />

precedente,<br />

ma ogni volta che noi stiamo parlando di cose che stanno su uno di questi scalini, in realtà<br />

stiamo salendo di uno scalino; in particolare, quando noi parliamo di insiemi che appartengono o no a se<br />

stessi, stiamo parlando di cose che dovrebbero, da un lato stare su<br />

uno scalino e dall'altro lato stare anche sul successivo, perché si<br />

stanno riferendo a se stessi. Ebbene, secondo la teoria dei tipi logici<br />

questo non è possibile, perché il linguaggio deve essere stratificato e<br />

quindi per esempio una frase che parli della verità di un'altra frase sta<br />

a un livello superiore, ad uno scalino superiore di quella frase di cui<br />

si sta parlando e allora non ci potrà mai essere nemmeno una frase<br />

che dice di se stessa di essere falsa, quindi questa teoria dei tipi<br />

logici esattamente risolve non soltanto il paradosso di Russell, ma risolve anche per esempio il paradosso del<br />

mentitore che abbiamo già detto che era in realtà una variante il paradosso di Russell, un’altra versione.<br />

<strong>Qui</strong>ndi questa è una teoria che fu soddisfacente all'epoca, oggi non la si adotta più, perché complicherebbe<br />

molto le cose, però ha delle applicazioni, per esempio in informatica, nella teoria dei linguaggi di<br />

programmazione, cosiddetti tipati, dove il tipato deriva, per l’appunto, da questa idea di tipo logico; quindi ci<br />

sono state del applicazioni, anche se non quelle che Russell<br />

credeva poi fossero così importanti. Bene, il passo successivo di<br />

Russell, che credeva di aver risolto i problemi che si era posto, a<br />

questo punto fu di scrivere la summa, la grande opera della sua<br />

vita. Questa grande opera si chiama i “Principia matematica”, fu<br />

scritta insieme ad un altro autore, che era questo filosofo, si<br />

chiama Alfred Whitehead, filosofo molto importante, che poi<br />

fece delle cose molto diverse, questo fu un periodo della sua vita<br />

e anche un matematico ovviamente. Questi sono i due grandi<br />

autori, quelli che all'epoca, 1910-13, si pensava fossero un po’ il punto di arrivo finale dell'evoluzione della<br />

logica. Russell stesso, immaginava lui stesso di essere l'erede di Aristotele, pensava di essere ormai il più<br />

grande logico della storia. Ebbene, 1910- 913 sta ad indicare che in realtà, ci furono più volumi dei Principia<br />

mathematica, ce ne furono tre, l'opera era stata progettata come quattro volumi, il quarto non fu mai scritto,<br />

perché dopo un po', magari queste cose seccano e si passa ad altri argomenti; però in realtà, già questi tre<br />

volumi, erano considerati un monumento alla logica. Ma sappiamo tutti, ne abbiamo già parlato altre volte,<br />

che il risultato poi di Goedel, nel 1931, fece vedere che i Principia matematica non potevano essere la<br />

soluzione<br />

finale, per un motivo molto semplice, non perché Russel e Whitehead non fossero stati<br />

sufficientemente<br />

intelligenti, sufficientemente bravi da trovare questa soluzione finale, ma perché la<br />

soluzione<br />

finale dei problemi dei fondamenti della matematica non esiste, cioè i fondamenti della<br />

matematica<br />

possono essere un sistema assiomatico, ma qualunque sistema assiomatico è incompleto, non<br />

potrà<br />

mai provare tutte le verità che si possono esprimere nel suo linguaggio; quindi questo è un difetto, non<br />

di<br />

Russell e Whitehead, non dei Principia matematica, è un difetto di qualunque sistema che venga proposto,<br />

è una limitazione intrinseca del sapere, una limitazione di ciò che noi possiamo conoscere nella matematica.<br />

Ebbene<br />

questo fu praticamente quindi la fine della storia, la fine del sogno di provare, di trovare un sistema<br />

universale,<br />

un linguaggio universale, che tra l'altro appunto è quello della logica, un sistema universale in cui<br />

ci<br />

fossero tutte le verità di cui si poteva parlare. Nel 1918 Russell scrive l'ultimo suo volume importante sulla<br />

l ogica matematica, che si chiama “Introduzione alla filosofia della matematica”.<br />

Introduzione alla filosofia Lo scrisse nel 1918, che come tutti sapete è l'ultimo anno della<br />

della matematica(1918) guerra. L'ultimo anno della guerra Russell fece anche propaganda<br />

Sei mesi in prigione pacifista contro la guerra e cominciò a fare propaganda politica,<br />

per pacifismo ormai aveva finito la sua grande opera, cominciò a dedicarsi alla<br />

politica<br />

e in particolare questo gli costò sei mesi di prigione. Ebbene Russell mise a frutto questa sentenza<br />

che<br />

gli fu comminata, cioè sei mesi di prigione li spese a scrivere questo libro che è diventato un classico<br />

92


della<br />

divulgazione praticamente. In questo libro lui spiegò al popolo in maniera divulgativa, in maniera<br />

essoterica,<br />

come già tutti i suoi predecessori da Pitagora a Platone, ad Aristotele eccetera avevano fatto,<br />

spiegò<br />

quelli che erano i suoi risultati. Questo è stato un bestseller e continua ad essere venduto ancora ai<br />

giorni<br />

d'oggi e se io vi dovessi consigliare un altro libro, oltre “la mia vita in filosofia”, vi consiglierei di<br />

leggere<br />

proprio questo, questo è un po’ la summa di ciò che Russell fece in logica. Fatto questo,<br />

praticamente<br />

la sua vita nella logica, nella matematica finì. Russell non si dedicò più alla matematica, ormai<br />

era<br />

cinquantenne, quindi a quell’età lì aveva anche tutti diritti di farlo e quindi decise di pensare ad altro. In<br />

particolare<br />

negli anni ‘20- ‘21 scrisse un libro che si chiama “l’analisi della mente”, che era un tentativo di<br />

f are una filosofia di quella che oggi forse chiameremo forse neuroscienza , cioè la filosofia della mente.<br />

Analisi della mente (1021) Oggi questi argomenti sono di gran moda, all'epoca lo<br />

Analisi della materia(1927) forse erano un po' meno,<br />

era un po’ strano che un filosofo,<br />

un matematico soprattutto, si interessasse di cose di questo genere, Russell fu un precursore anche in questo<br />

e subito dopo nel 1927 fece un'analisi<br />

dell'altra faccia della medaglia, cioè la mente e la materia, cioè i due<br />

cardini, diciamo così, della filosofia cartesiana, del dualismo; ebbene li analizzò tutti e due e questi anche<br />

sono due classici della filosofia, ovviamente<br />

molta acqua è passata sotto i ponti, questi libri sono forse più<br />

interessanti per gli storici che per tutti<br />

noi che c'interessiamo magari di questi argomenti, però Russell pose<br />

le basi per diventare non soltanto matematico,<br />

per lasciare il suo segno anche nella storia della filosofia.<br />

Cosa successe in seguito? Ebbene, qui<br />

successe una cosa, cioè Russell fece forse quello che oggi potremmo<br />

chiamare un passo falso, cioè scrisse un libro che era molto provocatorio, anzi ne scrisse un paio negli anni<br />

29-30, in parte lo completò lui stesso,<br />

lo fece anche perché aveva bisogna di quattrini, aveva ormai una<br />

famiglia, vi ricordo che aveva, per l’appunto, quattro mogli, vari figli eccetera, quindi aveva bisogno di un<br />

po' di denaro. Nel 1929 scrisse un libro che si chiamava “matrimonio e morale”.<br />

Matrimonio e morale(1929) Ebbene, Russell propose, pensate sono gli anni ‘29-‘30, gli<br />

La conquista della felicità(1930) anni della depressione, eccetera, quindi del puritanesimo<br />

inglese, in questa situazione Russell propone agli studenti di andare a vivere insieme prima di sposarsi, di<br />

fare l'università, uomini e donne affittandosi degli alloggetti, di vivere come se fossero marito e moglie, per<br />

l’appunto, more uxorio, di avere ovviamente rapporti sessuali, purché con contraccettivi e anticoncezionali e<br />

poi, quando avessero finito l'università, gli studenti potevano poi pensare se continuare questa relazione,<br />

sposandosi dunque oppure lasciarsi e andare poi a vivere ciascuno per conto suo. Immaginate il putiferio che<br />

questa cosa fece. L’anno dopo scrisse “la conquista della felicità”, è un ribadire questi argomenti, quindi<br />

divenne anche un vero e proprio provocatore. Ormai se lo poteva permettere, era un matematico famoso, un<br />

filosofo di fama, aveva libertà di insegnare, lui aveva questo idee, molto all'avanguardia, effettivamente<br />

molto interessanti. Cosa successe in seguito? Successe che, come vi ho detto prima, Russell andò in<br />

America, a fare un ciclo di conferenze ad Harvard e a Princeton, verso il 1938-39, scoppiò la guerra, non<br />

poté più tornare indietro in Inghilterra e quindi rimase in America ad insegnare. Per un professore come lui<br />

ovviamente non c’era problema, notate che era il 1940, Russell aveva ormai 68 anni, quindi era quasi<br />

settantenne, non c'era problema per lui a trovare cattedre dovunque, gli furono proposte moltissime cattedre,<br />

lui accettò la cattedra al City college di New York, che è una delle università di New York e qui, questo fu<br />

veramente la sua tragedia, perché il papà e la mamma di una delle studentesse che andavano al City college,<br />

lesse per caso o qualcuno suggerì ai genitori di leggerlo“Matrimonio e morale”.<br />

Caccia alle streghe(1940) Questi due signori lessero il libro, furono scandalizzati da ciò<br />

City College di New York che videro, erano appunto gli anni 40, quindi l'ambiente vittoriano,<br />

puritano e fecero causa, non a Russell stesso, perché questo forse sarebbe stato più facile per lui come difesa,<br />

fecero causa al college. Dissero, ma come,<br />

noi mandiamo la nostra figlia, il povero angelo illibato in questa<br />

università e voi pagate un professore come<br />

questo, perché le faccia lezione. Noi vogliamo che tutte queste<br />

cose non succedano. Ebbene ci fu quella<br />

veramente che si può chiamare una vera e propria caccia alle<br />

streghe, nel 1940, nel regno della libertà,<br />

per così dire, negli Stati uniti d'America, nel land of freedom, come<br />

si chiamano loro, succedevano queste cose.<br />

Ebbene Russell fu estromesso dall'insegnamento, più nessuno,<br />

nessuna università ovviamente si azzardò a dargli l'incarico, nemmeno Harvard, nemmeno Princeton, dove<br />

prima lo aveva invitato a fare conferenze e lo avevano osannato, Russell si trovò sul lastrico praticamente,<br />

ormai settantenne, come dicevo,non aveva più lavoro, non aveva più nulla. E allora quello che successe fu<br />

93


che si mise a scrivere, perché questo era il suo lavoro e scrisse un capolavoro, scrisse una storia della<br />

filosofia occidentale in tre volumi, che oggi vengono pubblicati in un unico grande volume e questo è forse il<br />

libro che rimane interessante, più divertente da leggere, più divulgativo fra tutti i libri che lui scrisse. Una<br />

storia della filosofia occidentale, in cui non provò nemmeno a mascherarsi dietro le apparenze, a far finta di<br />

essere un professore equidistante da tutte le posizioni, cercando di fare l'oggettivo, una trattazione oggettiva<br />

di quella che era la filosofia, quando un filosofo non gli piaceva lo prendeva a pesci in faccia, quando un<br />

filosofo gli piaceva invece lo osannava e lo raccontava in una maniera che era effettivamente molto<br />

simpatetica; quindi una storia della filosofia veramente affascinante, che fece un sacco di soldi<br />

effettivamente e gli diede per lo meno la possibilità di vivere e di mantenere la sua famiglia, che come vi ho<br />

detto era piuttosto numerosa. <strong>Qui</strong>ndi questo fu il risultato della sua opera negli anni 40. Dopo la guerra,<br />

Russell tornò in patria, ormai ottantenne, non era più il caso che andasse ad insegnare nelle università e<br />

naturalmente in Inghilterra le cose erano cambiate e comunque lui si fece un gran vanto di quello che era<br />

questa condanna, di questo processo della caccia alle streghe di cui era stato, in qualche modo, l'oggetto e la<br />

vittima e poi, sorpresa nel 1950, i genitori di questa signorina che avevano fatto causa al Russell, lessero una<br />

mattina il giornale e si accorsero che questo professore, questo sporcaccione, come l'avevano accusato di<br />

essere, aveva vinto nientepopodimeno che il premio Nobel per la letteratura. Nel 1950 in parte per<br />

“Matrimonio e morale” e in parte per la “Storia del filosofia occidentale” Russell vinse il premio Nobel per<br />

la letteratura. <strong>Qui</strong>ndi coronò in qualche modo questa sua ricerca del successo, arrivando al massimo<br />

Premio Nobel (1950) grado e arrivando lui matematico, lui filosofo, addirittura a competere<br />

per la letteratura con i letterati, con i grandi nomi della letteratura ed a vincere questo<br />

premio veramente ambizioso, a ottant'anni. Andò a prendere il premio e la storia è anche molto interessante,<br />

lui era molto preoccupato, perché il 1950 era 300 anni dopo l’anno in cui Cartesio era andato nello stesso<br />

posto, cioè a Stoccolma, a trovare la regina ed era morto per il freddo, perchè Cartesio era uno che amava<br />

molto il caldo, se ne stava a letto la mattina per ore e ore, invece la regina di Svezia lo faceva alzare la<br />

mattina presto e morì. Russell era un po' preoccupato, io sono un filosofo, come Cartesio devo andare a<br />

prendere il premio, non si sa mai che cosa mi succede. L'aereo sul quale viaggiava cade, cadde in acqua,<br />

molte persone morirono, Russell si salvò a nuoto, aveva 78 anni, si salvò a nuoto nuotando per 2 km, andò a<br />

riva e andò a prendersi il premio Nobel. <strong>Qui</strong>ndi effettivamente un personaggio fuori del comune, ma la sua<br />

storia non è finita; in questi brevi minuti che ci rimangono, possiamo ancora guardare all'ultima fase della<br />

sua vita,<br />

che fu la fase della politica. Nel 1961 c'era stato il problema negli anni 60, della crisi dei missili a<br />

Cuba, Russell era ormai impegnatissimo su questi fronti, sul fronte del pacifismo, sul fronte della resistenza<br />

non v iolenta ai governi e alla guerra, andò a fare un sit in, una serie di sit in a Trafalgar square nel 1961 e<br />

venne<br />

arrestato. Ormai novantenne ritornò in prigione esattamente dove era già stato nel 1918 per<br />

propaganda pacifista e ritornò in prigione per una sola settimana, ovviamente non ebbe tempo di scrivere<br />

nessun libro, però effettivamente fu molto felice, perchè questo diede di nuovo una notorietà ai suoi obiettivi<br />

politici, ai suoi risultati, effettivamente diventa il leader, diciamo così, della protesta giovanile, della protesta<br />

contro la guerra, in Inghilterra. Ebbene questo non è l'ultimo atto perché pochi anni dopo, nel 1966, Russell<br />

costituì quello che viene chiamato oggi il tribunale Russell. All'epoca non era effettivamente chiamato così,<br />

Tribunale Russell(1966) veniva chiamato “il tribunale contro i crimini di guerra”, in generale.<br />

Contro i crimini Pensate, questo filosofo ormai 95nne, con un premio Nobel alle spalle,<br />

di guerra in Vietnam con questi grandi volumi, questa filosofia, matematica, letteratura e<br />

così via, questo filosofo che prende posizione e incomincia nel ’66, attenzione, quindi molto prima delle<br />

contestazioni nostre, nel 68 e nel 69, incomincia a fare questa battaglia, ad accusare gli americani di essere<br />

esattamente, lui diceva, come i nazisti e come i giapponesi, cioè di essersi posto sullo stesso livello politico<br />

di questi<br />

criminali, diciamo così, del ‘900 e di aver fatto veramente dei crimini di guerra in Vietnam. <strong>Il</strong><br />

tribunale<br />

Russell fu effettivamente qualche cosa di stupefacente, cioè incominciarono a sfilare testimoni che<br />

il tribunale chiamava dal Vietnam stesso, cioè venivano testimoni che portavano testimonianze sul<br />

bombardamento al napalm, sulle torture che gli americani facevano in Vietnam e questo fu veramente una<br />

delle pugnalate che vennero inflitte alla politica americana. Ovviamente la guerra in Vietnam finì molto<br />

dopo, ovviamente queste sono delle azioni dimostrative, ma servirono molto a creare una coscienza e anche<br />

in parte a creare quella che poi fu la contestazione giovanile in Europa. Ebbene questa è a grandi linee la vita<br />

94


di Bertrand Russell. Come vi ho detto, ci siamo anche soffermati forse su molti aspetti della sua vita, perché<br />

come ho detto dal p. di v. logico certamente Russell è stato importante, il suo paradosso è qualcosa che è lì<br />

per rimanere, la sua teoria dei tipi logici è una buona soluzione, a parte dei problemi che questo paradosso<br />

poneva, la sua teoria sulla denotazione è anche lì qualche cosa che può servire ai filosofi, ma forse non è in<br />

questo che risiede il vero valore della vita di Russell, il vero valore è stata questa universalità, questo essere<br />

partito come matematico e poi essere diventato via via filosofo, letterato, aver preso il premio Nobel, poi<br />

politico<br />

e così via. <strong>Qui</strong>ndi veramente una mente, diciamo così, al servizio del suo secolo. Con questo<br />

abbiamo finito questa carrellata sugli episodi della sua vita. Ci rivedremo la prossima volta per parlare di<br />

altri logici che hanno lasciato un segno in questa materia, in particolare parleremo la prossima volta di<br />

Wittgenstein che fu l'erede, il testimone spirituale diciamo così, di quello che Russell aveva voluto fare.<br />

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LEZIONE 12: Alle ricerche del trattato perduto<br />

La scorsa lezione abbiamo parlato di quello che forse è il personaggio più famoso, se non il più importante<br />

della logica matematica, cioè Bertrando Russell. Abbiamo visto una vita avventurosa, piena di eventi e di<br />

avvenimenti. Oggi vedremo invece un personaggio che certamente non è da meno da questo punto di vista,<br />

anche lui forse non è un grandissimo logico, certamente è stato importante agli inizi del 1900 ed è Ludvig<br />

Wittgenstein, un filosofo, molto noto come filosofo, forse meno importante come logico, che fu per<br />

l’appunto un allievo di Russell. <strong>Qui</strong>ndi quest'oggi parleremo anche di lui, della sua vita altrettanto<br />

avventurosa e piena di avvenimenti pure questa, quindi spero che anche questa volta lezione possa essere<br />

perlomeno interessante. Vediamo un pochettino, come al solito, i paletti della vita di Wittgenstein.<br />

Wittgenstein, nacque nel 1889, morì nel 1951, certamente non arrivò al secolo o quasi, a 98 anni del suo<br />

maestro B. Russell.<br />

La famiglia di Wittgenstein, era una famiglia veramente ricca, veramente importante nella Vienna,<br />

nell'Austria di fine secolo ‘800, inizi ‘900. La famiglia era molto numerosa, erano sei, sette figli, tanto per<br />

fare un'idea di che tipo di famiglia, quali tipi di fratelli e sorelle Wittgenstein avesse, ecco qui nella slide<br />

questo bel ritratto di una delle sorelle, Margaret che quando si sposò nel 1905 si fece fare un ritratto di<br />

matrimonio, così si usava, pensate voi, nientepopodimeno che da Klimt, appunto semplicemente un ritratto<br />

su commissione. Klimt era amico di famiglia, ma in questa famiglia circolavano artisti di ogni genere. <strong>Il</strong><br />

secondo artista di cui vogliamo parlare in questo momento è invece legato al fratello, a uno dei fratelli di<br />

Wittgenstein, che si chiamava Paul. Questo nella slide naturalmente non è Paul Wittgenstein, è un musicista,<br />

forse qualcuno di voi lo avrà riconosciuto, è ben noto per aver scritto un pezzo di musica che adesso è anche<br />

popolarissimo, grazie anche ad un film di cui non possiamo certo far vedere le immagini qui e questo pezzo<br />

è il famoso bolero di Ravel. Ebbene, che cosa c'entra Ravel con la famiglia Wittgenstein? C'entra, perché il<br />

fratello di Wittgenstein, era un grande pianista, un grande musicista, un genio musicale più o meno del tipo<br />

di Mozart, uno di questi bambini prodigi che suonano, compongono. Paul andò in guerra e purtroppo ebbe<br />

un incidente e perse la mano destra; ora la mano destra per un pianista è la mano più importante, perché in<br />

genere i pezzi del pianoforte si basano, si fondano sulla musica che si può suonare con la mano destra ed è<br />

anche la mano più forte, perciò un pianista senza la mano destra certamente può fare poco. Può fare poco a<br />

meno che non conosca dei compositori, amici suoi che gli permettano di fare qualche cosa, che gli scrivano<br />

addirittura dei pezzi e infatti il famoso concerto per la mano sinistra di Ravel, del 1931, fu scritto appunto<br />

per il pianista Paul Wittgenstein, cioè per il fratello di Ludvig Wittgenstein. Ebbene vedete già che questa<br />

era una famiglia che attraeva intorno a sé musicisti del tipo, del calibro di Ravel, artisti, pittori del calibro di<br />

Klimt e non erano gli unici, perché soprattutto verso la fine dell’800, in casa Wittgenstein circolavano<br />

personaggi come Brahms, Maler e così via. Wittgenstein addirittura disse una volta in una delle sue<br />

memorie, che il suo primo ricordo, la sua prima immagine della vita, era quella della barba bianca di<br />

Brahms, che lo solleticava nella culla, quindi immaginative voi. Ovviamente era una famiglia ricchissima, il<br />

padre<br />

era praticamente l'analogo di Krupp in Germania, erano costruttori, avevano ovviamente degli<br />

interessi<br />

nei metalli pesanti, nel ferro e così via, le traversine e ovviamente i binari delle ferrovie, quindi una<br />

grande<br />

famiglia piena di artisti, piena di geni e piena di personaggi interessanti. Uno di questi fratelli è<br />

quello<br />

di cui oggi ci interessiamo, cioè Ludvig Wittgenstein che fu per l’appunto un logico. Che fece<br />

Wittgenstein nella sua vita? Beh, anzitutto, come sempre succede, si va scuola e dove andò a scuola il<br />

piccolo Ludvig? Andò a scuola a Linz, una cittadina dell'Austria e frequentò per tre anni questa scuola, dal<br />

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1903 al 1906. Uno dei compagni di scuola di Wittgenstein era nientepopodimeno che Hitler. Hitler e<br />

Wittgenstein frequentarono la stessa scuola per un anno, erano più o meno coetanei, erano nati lo stesso<br />

anno o a un anno di differenza, ma la cosa interessante, a parte l'aneddoto, è ovvio che con qualcuno Hitler<br />

sarà andato scuola, è che sia Hitler che Wittgenstein, uscirono da questa scuola tutti e due con un'idea fissa<br />

Linz (1903-1906) e l'idea fissa era quella della soluzione finale. Ora il caso tragico,<br />

Compagno di scuola di Hitler quello di Hitler, era la soluzione finale contro gli ebrei, cioè lo<br />

Soluzioni finali sterminio, il genocidio che poi ha portato alla seconda guerra<br />

mondiale. Anche nel caso di Wittgenstein c'era quest'idea, della soluzione finale, cioè l'idea di arrivare a<br />

risolvere una volta per tutte i problemi della logica e poi ritirarsi in buon ordine, finire perchè la cosa era per<br />

l’appunto completata. Ora io non so bene che tipi di professori ci fossero in questa scuola, ma se due<br />

personaggi come questi, da una parte il Hitler e d'altra parte Wittgenstein, uscirono fuori con l'idea della<br />

soluzione finale forse qualcuno gliela avrà insegnata, ma forse questa non era la migliore scuola dove si<br />

poteva andare. E infatti Wittgenstein cambiò ad un certo punto la scuola e si spostò da un'altra parte; come<br />

vi ho detto la famiglia era molto ricca, quindi non cerano problemi ad andare a studiare nel miglior posto<br />

che si potesse pensare all'epoca e per chi voleva studiare matematica e per chi volesse studiare filosofia, il<br />

miglior posto o perlomeno dei uno dei migliori posti all'epoca era l'università di Cambridge e infatti<br />

Wittgenstein si spostò laggiù negli anni tra il 1911 e 1913, studiò logica matematica, insieme<br />

nientepopodimeno che Bertrand Russell. Bertrand Russell che fu suo maestro e che lo considerò per un<br />

certo periodo il suo erede designato.<br />

Cambridge (1911-1913) Russell ormai in quegli anni, ricorderete la scorsa lezione,<br />

Allievo di Russell era all'apogeo della sua carriera, al punto più folgorante,<br />

aveva già scritto, nel 1910, i Principia matematica che era già usciti sul mercato, un mercato ristretto perchè<br />

ovviamente quel genere di libri non è certamente importante per il numero di coppie che vende, ma per le<br />

cose che dice e per l'influenza che poi ha nella storia del pensiero. Nel 1911, cioè nell'anno in cui<br />

Wittgenstein arrivò a Cambridge era uscito il secondo volume e nel ‘13 poi sarebbe uscito il terzo volume.<br />

Russell veniva considerato il guru della logica mondiale ormai, grazie appunto anche alla sua attività di<br />

propaganda, agli articoli che scriveva, eccetera, era universalmente riconosciuto come il più importante<br />

logico della modernità, perlomeno fino a quel periodo. Ebbene Russell vide in Wittgenstein, in questo<br />

brillante allievo, che gli faceva indagini penetranti, che lo metteva ovviamente in imbarazzo con le sue<br />

domande, con le sue pulsioni, il suo erede. Pensava ormai che dopo i Principia matematica si sarebbe<br />

ritirato,<br />

avrebbe fatto altre cose e sappiamo bene quante ne fece dalla scorsa lezione, ebbene lui pensava che<br />

la logica sarebbe andata avanti sulla scia che lui ovviamente aveva iniziato, grazie all'attività di<br />

Wittgenstein.<br />

E cosa successe nel 1913? Lo sapete tutti, perché, ad un certo punto, questo è il periodo in cui<br />

si stavano sentendo i venti di guerra, nel 1914 sarebbe scoppiata la guerra. In realtà Wittgenstein se ne andò<br />

da<br />

Cambridge nel ‘13, perché ormai aveva formulato, benché fosse molto giovane, una certa serie di ipotesi<br />

sulla<br />

logica, che erano in realtà molto contrarie all’idea che ne aveva Russell e vedremo meglio fra qualche<br />

minuto in che senso, ebbene si era ritirato in Norvegia, voleva lavorare per qualche<br />

anno da solo, senza<br />

avere nessun contatto con nessun altro, scrivere, eventualmente avere uno scrivano, che nel caso di<br />

Wittgenstein era un famoso filosofo che si chiamava G. E. Moore, quindi poteva permettersi Wittgenstein<br />

anche questo, di poter dettare i suoi pensieri, i suoi quaderni a<br />

qualcuno che in realtà era assolutamente in grado di scrivere opere<br />

per conto suo. Ebbene dicevo, se ne andò per qualche mese in<br />

Norvegia e isolato lavorò lì a quelli che poi furono chiamati i<br />

quaderni di quegli anni; poi però scoppiò la guerra e ovviamente i<br />

giovani di quell'epoca andarono al fronte. Anche Wittgenstein<br />

effettivamente se ne andò in guerra. La sua traversia in guerra fu<br />

molto lunga, incominciò a patire nelle retrovie, lavorò per un paio<br />

di anni nelle retrovie e poi però fu spostato sul fronte; per due<br />

anni combatté e ovviamente chi combatte al fronte una guerra come la prima guerra mondiale, un vero<br />

carnaio insomma, certamente cambia sue opinioni, cambia le sue idee, medita sul significato della vita e<br />

così via. Questo libro di logica che Wittgenstein stava concependo e che aveva incominciato a scrivere o<br />

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perlomeno ad abbozzare nei quaderni che scriveva in Norvegia, piano piano si modificò e infatti il grande<br />

libro che poi Wittgenstein pubblicò, dopo pochi anni, di cui parleremo fra un momento, alla fine nella<br />

seconda parte, nella sua parte finale è tutto dedicato al misticismo, ai problemi dell'etica, al significato del<br />

senso della vita e così via; quindi effettivamente la guerra fece una grande impressione su Wittgenstein,<br />

come su tanti altri. Wittgenstein perse un fratello, tra l'altro in guerra, quello che era ufficiale dell'esercito e<br />

che si suicidò ad un certo punto, quando l'esercito austriaco si sfaldò, perché doveva comandare un<br />

battaglione, una compagnia e non riuscì più a farsi ubbidire dai soldati, allora uscì, si sparò un colpo in testa<br />

e quindi morì così. Non è l'unico fratello di Wittgenstein che è morto in circostanze tragiche, ma anche un<br />

altro fratello che era un altro genio musicale della famiglia, era colui che componeva già all'età di 3-4 anni,<br />

non lo stesso Paul, che poi invece in realtà sopravvisse alla guerra e divenne il famoso pianista con la sola<br />

mano sinistra, ma un’altro genio, perché la famiglia Wittgenstein era una famiglia veramente di persone<br />

molto dotate per la musica; Wittgenstein stesso suonava il clarinetto e il pianoforte come le sorelle e i<br />

fratelli, ma sapeva fischiettare benissimo, sembra che sapesse fischiettare intere sinfonie, in maniera<br />

perfettamente corretta con tutte le note. Ebbene questa comunque è ovviamente soltanto una parentesi,<br />

dicevo Wittgenstein stette al fronte, fra il ‘16 e il ’18 e nessuno più sapeva dove fosse finito, in particolare<br />

Russell non sapeva dove fosse finito e in qualcuno dei suoi scritti, lui dice questo problema è stato posto da<br />

un mio allievo Ludwig Wittgenstein, ma non so nemmeno se l’abbia risolto, ma addirittura non so nemmeno<br />

se sia vivo o se sia morto. Wittgenstein era vivo, però era stato preso prigioniero e tra il 1918 e il 1919<br />

effettivamente rimase in prigionia, dove? L'abbazia di Monte Cassino, Wittgenstein fu preso prigioniero a<br />

Cassino, quindi in Italia. Naturalmente continuò a scrivere, continuò a limare il suo trattato logico filosofico,<br />

la sua opera più importante è effettivamente la parola limare, è forse la parola giusta perché quella è<br />

un'opera quasi di poesia più che di scienza, su cui parleremo tra un momento. È giunto dunque il momento<br />

per l’appunto di elencare le opere di Wittgenstein. Ricorderete che il maestro di Wittgenstein, Russell, aveva<br />

scritto praticamente 100 libri nella sua vita e questa volta abbiamo potuto parlare soltanto di qualcuno,<br />

accennare ai titoli, perché ovviamente in un’ora non si può nemmeno fare l'elenco di tutti questi libri che<br />

Russell scrisse. Ebbene l’elenco completo delle opere che Wittgenstein pubblicò, non solo addirittura nella<br />

sua vita, ma che lasciò pronte per la pubblicazione dopo la sua morte, è questo qua, completo: due opere.<br />

Nel 1921 il “Tractatus”, il cosiddetto trattato logico filosofico e nel 1953, ricorderete che Wittgenstein era<br />

già morto, però postumo apparve queste “Ricerche filosofiche” ed ecco che per questo motivo abbiamo<br />

intitolato la nostra lezione “alle ricerche del trattato perduto”, in qualche modo giocando sulle parole.<br />

Opere Parliamo allora brevemente di questi due libri, cercando di soffermarci su<br />

Tractatus quello che ci hanno lasciato da un p.di v. logica; non sono gli unici libri che<br />

Ricerche voi troverete o trovereste in libreria o in biblioteca, perché in realtà dopo<br />

la morte di Wittgenstein questo era pronto, cioè Wittgenstein l’aveva preparato per la pubblicazione, in<br />

realtà aveva pensato di pubblicarlo più volte e poi non era perfettamente convinto che fosse ormai arrivato<br />

nella sua formulazione definitiva e quindi non si decise mai a pubblicarlo; però il libro era pronto, quindi<br />

effettivamente questo è il libro che scrisse lui. Wittgenstein era non dico un grafomane, ma anche lui un<br />

grande scrittore, cioè grande nel senso che aveva una produzione molto prolifica e lasciò casse e casse di<br />

appunti, ordinati più o meno, qualcuna di queste casse erano gli appunti più o meno ordinati messi dentro<br />

cartellini e quindi abbastanza organicamente disposti, altri erano buttati alla rinfusa, pensieri un pochettino<br />

così in maniera congestionata. Ebbene, quello che successe fu che gli eredi testamentari, molti di loro, cioè<br />

un gruppo di filosofi di Cambridge che avevano avuto in eredità questo lascito testamentario di<br />

Wittgenstein, incominciarono a pubblicare molte e molte opere; non so quanto e fino a che punto, per lo<br />

meno, questo sia stato un qualche cosa di utile, certamente da un punto di vista mercantile o di successo fu<br />

un grande successo perché moltissime opere<br />

vendettero, ce ne sono di tutti generi, su l’etica, su pensieri<br />

sparsi, sulle ricerche filosofiche, abbozzi di questi due libri, versioni preliminari e così via. Molti altri, si<br />

vede chiaramente che sono un pochettino raffazzonati, Wittgenstein non si sarebbe mai sognato di<br />

pubblicarli, non si sognò mai di pubblicare nemmeno le ricerche che erano in ben altro stato di progresso e<br />

di organizzazione. Quello che addirittura a volte può anche essere un pochettino seccante, fu che questi<br />

eredi, questi esecutori testamentari, pubblicarono addirittura gli appunti delle lezioni che Wittgenstein<br />

teneva. Ora Wittgenstein pensava in classe, cioè le sue lezioni erano lezioni dal vivo, non preparate con<br />

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lucidi perché all'epoca non si usavano, ma neanche con degli appunti, cioè si poneva problemi, pensava ad<br />

alta voce di fronte ai suoi allievi, faceva lezione tra l'altro in camera sua, nel collegio dove viveva, viveva in<br />

maniera molto parca, benché appunto fosse molto ricco, ma aveva lasciato, si era spogliato di tutta la sua<br />

eredità, di tutto il suo patrimonio ed aveva lasciato tutto alla famiglia e viveva praticamente di molto poco,<br />

quindi una vita che perlomeno era coerente da un punto di vista filosofico, gli interessavano le idee, non gli<br />

interessavano i quattrini, se ne liberò e incominciò a vivere come facevano i professori appunto, come<br />

facevano i ricercatori. Ebbene, dicevo, alcuni di questi libri sono veramente soltanto degli appunti presi a<br />

lezione da persone che capivano, poi fino ad un certo punto quello che il maestro diceva, anche perché<br />

quando si pensa ad alta voce ovviamente i pensieri non vengono fuori in maniera coerente, soprattutto da un<br />

personaggio come Wittgenstein che era estremamente tormentato e che quindi pensava, si correggeva,<br />

rifletteva, cambiava idea e così via. <strong>Qui</strong>ndi, questo per dirvi, se volete avvicinarvi alle opere di Wittgenstein<br />

io vi consiglio di concentrarvi su queste due e ne avrete già a sufficienza perché, come ho accennato prima,<br />

queste due opere sono anche o soprattutto opere letterarie, più che opere filosofiche, cioè la forma in cui le<br />

cose vengono dette è importante e bisogna stare attenti a capire quello che viene detto e non è un impresa<br />

facile. Non so se questo vi aiuterà, ma comunque cercheremo almeno di enunciare alcune delle idee. La<br />

prima opere, ho già detto il titolo, è “il trattato logico filosofico”, pubblicato nel 1921 con una prefazione<br />

Tractatus di Russell che Wittgenstein immediatamente sconfessò e disse<br />

logicus-philosophicus(1921) insomma Russell non aveva capito nulla di quello che io cercavo<br />

“ciò che si può dire di dire, ormai è fuori del gioco e quindi cercò in tutti i modi di<br />

si può dire in tre parole” non farla pubblicare, ciò per dirvi quale potesse essere il rapporto<br />

fra il maestro e l'allievo. Questo è il motto che Wittgenstein pose al trattato logico filosofico, “ciò che si può<br />

dire si può dire in tre parole”, ciò significa che il libro sarà fatto tutto di massime, di aforismi e di cose<br />

molto concentrate, un sapere in pillole si potrebbe dire. Qual'è l'idea fondamentale del trattato? Wittgenstein<br />

proprio perché pensava in una maniera molto sui generis, molto originale, in realtà ebbe l’idea del trattato<br />

una volta che lesse sul giornale che c'era stato un processo, un processo per un incidente automobilistico e<br />

che i feriti erano andati in tribunale e per far capire che cos'era successo in questo incidente automobilistico,<br />

avevano usato delle macchinine, dei modelli<br />

di macchine ed ecco, qui appunto, che abbiamo importato<br />

questi modelli di macchine, ma l'idea che venne a Wittgenstein era che le macchinine, in qualche modo,<br />

erano un'immagine dell'evento che era successo,<br />

cioè dell'incidente ed erano una rappresentazione fatta<br />

attraverso<br />

un particolare tipo di linguaggio. L'idea fondamentale del<br />

trattato<br />

viene appunto da questa intuizione e l'intuizione<br />

fondamentale<br />

Wittgenstein l’ha espressa, perlomeno la esprimeremo<br />

noi<br />

oggi con le nostre parole dicendo che c'è un duplice<br />

isomorfismo,<br />

l’isomorfismo è una parola matematica che molti di<br />

voi<br />

conosceranno, significa identità di struttura, non uguaglianza,<br />

cioè<br />

il mondo, il pensiero e il linguaggio, che sono i tre enti che sono<br />

coinvolti in questo duplice isomorfismo non sono la stessa cosa.<br />

Nessuno pensa che il mondo sia la stessa cosa del pensiero,<br />

Wittgenstein non era affatto un idealista, non pensava che l'unica<br />

cosa che esistesse fossero i pensieri, fossero le idee e certamente non<br />

pensava che gli unici pensieri fossero quelli che si possono dire a parole, però pensava che ci fosse una<br />

identità di struttura tra il mondo da una parte e il pensiero e dall'altra parte, fra il pensiero e il linguaggio. In<br />

altre parole, ciò che noi diciamo riflette non soltanto nei concetti, ma addirittura nella struttura ciò che noi<br />

pensiamo e ciò che noi pensiamo riflette nella sua struttura ciò che il mondo è. Questa è l'idea fondamentale<br />

per l’appunto del Tractatus logicus-philosophicus. Qual'è quindi lo studio importante, se noi vogliamo<br />

studiare il mondo? Beh, poiché il monito è isomorfo al pensiero, allora dovremo studiare il pensiero e<br />

poiché il pensiero è isomorfo a linguaggio dovremo studiare il linguaggio, questa è l'idea. Allora l'idea<br />

fondamentale del trattato è che interessa studiare il linguaggio e con il linguaggio riusciremo a capire come<br />

è fatto il pensiero e di conseguenza come è fatto il mondo. La seconda idea fondamentale del trattato logicofilosofico<br />

che già mette nel suo titolo la parola principale logico, ebbene l'idea è proprio questa, che il<br />

linguaggio sia nient'altro che quella che oggi noi chiamiamo logica proporzionale. Questo può parere un<br />

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pochettino strano, in fin dei conti, dopo tutte le lezioni che abbiamo fatto, dopo tutti gli avanzamenti che ci<br />

sono stati, tanto per dire Frege ad esempio, rispetto alla logica greca, ma già Aristotele era andato oltre in<br />

linguaggio qualche modo alla logica sillogistica, ecco che qui sembra quasi che ci<br />

= sia un regresso, cioè il linguaggio che appunto dai greci fino alla fine<br />

logica proposizionale l'800, con Russell compreso, si era analizzato, si era capito che aveva<br />

una certa complessità, ora Wittgenstein cerca di riportare questa complessità ad una semplificazione, cioè<br />

alla semplicità del linguaggio della logica proporzionale. Ebbene l'idea fondamentale, la filosofia<br />

fondamentale che sta dietro questo trattato è quella che oggi viene chiamata il cosiddetto “atomismo<br />

logico”. Non a caso qui ho messo la fotografia di una statua di Crisippo perché voi ricorderete che Crisippo<br />

era stato colui che, ai tempi dei greci, aveva studiato il linguaggio proposizionale, la logica proposizionale.<br />

Ed ecco che Wittgenstein in qualche modo è un ritorno al passato,<br />

una riscoperta della logica stoica. Notate una riscoperta che in parte<br />

Wittgenstein fece, perché lui si vantava, ma forse non c'era da<br />

vantarsi di questo, ma comunque certamente bisogna dirlo perché era<br />

quello che faceva, si vantava di non leggere i classici del passato, lui<br />

diceva a me piace pensare e non mi interessa ciò che gli altri<br />

abbiano pensato, voglio pensare con le mie gambe, diciamo così,<br />

naturalmente intellettuali, voglio pensare con la mia testa. Ed ecco<br />

che pensando con la sua testa, ovviamente arrivò più o meno ai<br />

primordi di quello che si era fatto, quello che in genere poi succede,<br />

chi vuole fare da sé, più o meno può fare quello che è stato fatto, ma insomma i primi passi in questa<br />

direzione. Wittgenstein ritornò dunque nella sua filosofia, diciamo così, che poi da Russell verrà battezzata<br />

atomismo logico, all'idea del linguaggio della logica che già aveva Crisippo, cioè ci sono dei fatti atomici<br />

nel mondo che vengono rispecchiati da dei pensieri atomici, i quali vengono espressi mediante proposizioni<br />

o formule atomiche. Queste formule atomiche vengono messe insieme, in formule più complicate attraverso<br />

quelli che si chiamano i connettivi, i soliti negazione, congiunzione, disgiunzione, implicazione, cioè non, e,<br />

o, se.... allora e così via. Secondo noi i logici di oggi non considerano Wittgenstein un grande logico<br />

proprio per questo, perchè tutto sommato, la sua idea era un po’ un regresso, era un ritornare all’indietro con<br />

idee che erano già state in qualche modo orecchiate. Wittgenstein ci mise qualcosa di suo e il passo<br />

successivo, di quello che ci mise di suo, fu quello che venne in seguito chiamato “approccio semantico”,<br />

cioè l’approccio di Wittgenstein alla logica, che sembrava una grande novità soprattutto a Russell che non lo<br />

concepiva, non lo riusciva a capire, Wittgenstein stesso pensava che fosse qualcosa di completamente<br />

diverso da ciò che faceva Russell era l'approccio semantico che si basava su valori di verità, su un calcolo<br />

dei valori di verità e non invece come l'approccio di Frege e di conseguenza anche quello di Russell su<br />

assiomi e su regole. Russell e Frege avevano scritto le loro grandi opere, in particolare “i principi della<br />

matematica” che erano stati completati da poco, si basavano su un sistema assiomatico, come quello di<br />

Euclide alla maniera dei fondamenti della geometria di Hilbert, di lui parleremo presto in una prossima<br />

lezione, cioè basati su ipotesi, appunto gli assiomi e definizioni elementari e poi su regole di deduzione che<br />

permettevano di dedurre da questi assiomi delle formule, delle conseguenze più complicate. L’approccio di<br />

Wittgenstein non prende assolutamente questa strada, ne prende una che a prima vista e dico a prima vista,<br />

perché in seguito vedremo che in realtà non era poi così differente, ma a prima vista sembra completamente<br />

diversa, sembra ortogonale alla precedente, cioè Wittgenstein usa quelle che oggi noi chiamiamo le tavole di<br />

verità e si concentra su quello che noi chiamiamo oggi tautologia, cioè una formula che è sempre vera.<br />

Approccio semantico L’idea di verità logica per Wittgenstein è la stessa idea che già aveva<br />

Tavole di verità Leibniz s e ricordate, le verità logiche sono le verità di ragione, sono<br />

Tautologie quelle che sono vere in tutti i mondi possibili e nel caso della logica<br />

proposizionale i mondi vengono descritti da tutte le possibili combinazioni di valori di verità delle<br />

proposizioni atomiche e dunque tautologia è precisamente quello che Leibniz considerava una verità di<br />

ragione, cioè qualche cosa che è vera in tutti i mondi possibili, cioè è vera per qualunque assegnazione di<br />

valori di verità alle proposizioni elementari. Come si fa a vedere se una formula è o no una tautologia? Si<br />

costruisce una tavola in cui si pongono tutte le possibili combinazioni, si fanno i calcoletti per ciascuna di<br />

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queste combinazioni dei valori di verità, se tutti questi risultati di valori di verità sono sempre il vero, ecco<br />

che allora siamo di fronte ad una tautologia. Voi direte, beh, questo è esattamente qualcosa di importante, è<br />

un bell’avanzamento, però questa idea era già perfettamente compresa e perfettamente usata da Crisippo.<br />

<strong>Qui</strong>ndi dal nostro punto di vista, non bisogna dimenticare ovviamente che gli stoici non erano così noti, la<br />

rinascita degli studi sugli Stoici fu praticamente negli anni ’50 del 1900, quindi posteriore di una trentina<br />

d’anni a Wittgenstein, però certamente oggi noi, col senno di poi, diremo Wittgenstein non è andato molto<br />

al di là di quello che fece Crisippo. In realtà, come ho detto, questi due approcci all'epoca apparvero<br />

veramente differimenti, apparvero contrapposti, da una parte la Scuola di Frege, di Peano e di Russell basata<br />

su assiomi e su regole di deduzione, la Scuola cosiddetta “sintattica” e dall'altra parte la Scuola “semantica”,<br />

Scuola per modo di dire, perché c'era solo Wittgenstein all'epoca, costituita per l’appunto da questo<br />

approccio attraverso valori di verità, attraverso tavole di verità, ma non assiomi e regole. E allora<br />

Wittgenstein nel suo trattato dice chiaramente, il modo giusto di vedere la logica è il mio, quello di Russell è<br />

sbagliato, quindi una specie di diatriba tra due grandi menti filosofiche. Chi aveva ragione? Beh, la cosa<br />

ironica è che in realtà non aveva ragione nessuno, perché il problema non si poneva, se Wittgenstein fosse<br />

stato un matematico migliore di quello che era o fosse stato matematico invece che un filosofo, si sarebbe<br />

accorto di quello che, negli stessi anni, anzi addirittura nello stesso anno 1921-1922, si accorse invece<br />

un matematico che si chiamava Emil Post. Post nel 1921 dimostrò quel che si chiama “il teorema<br />

di completezza della logica proporzionale”.<br />

<strong>Il</strong> teorema di completezza della logica proporzionale dice che<br />

Teorema di completezza<br />

l'approccio di Frege e di Russell è esattamente equivalente<br />

Post(1921)<br />

all'approccio di Wittgenstein, cioè “l'approccio sintattico”<br />

Frege = Wittgenstein<br />

è equivalente a “l’approccio semantico”. <strong>Il</strong> teorema di<br />

completezza dice che attraverso il sistema<br />

assiomatico di Frege e Russell, cioè il sistema di assiomi e di<br />

regole, si possono dimostrare dei teoremi<br />

e attraverso il sistema semantico di Wittgenstein si può vedere se<br />

una formula è una tautologia. Qual'è la relazione fra i teoremi del sistema di Frege e Russell e le tautologie<br />

di Wittgenstein? Sono esattamente la stessa cosa, cioè una formula è dimostrabile nel sistema di Frege e<br />

Russell, cioè è un teorema, se e solo se è una tautologia. In altre parole, questi due approcci così diversi, su<br />

cui in realtà si combattevano queste battaglie,<br />

si mostra alla fine, si dimostra in maniera matematica che<br />

sono<br />

la stessa cosa. E questo fu un grande risultato, un risultato che<br />

mise insieme addirittura due approcci differenti, fece vedere che<br />

erano due aspetti complementari, invece che due aspetti contrapposti,<br />

erano due facce di una stessa medaglia. Ebbene che cosa successe<br />

dopo questa cosa? Anzitutto il trattato di Wittgenstein ha tutta una<br />

parte che si interessa di misticismo, di etica e di cose di questo<br />

genere. Una parte di queste formulazioni mistiche, qui nella slide c'è<br />

ne una molto tipica, in realtà percorreva un pochettino i tempi; quindi<br />

se c'è qualche cosa di novità nel trattato logico filosofico di<br />

Wittgenstein, è in realtà proprio in questa parte ed ecco qui una di<br />

queste formulazioni che vi lego: “non tutto ciò che si può mostrare attraverso il linguaggio, si può anche<br />

dire”. Ora è chiaro che queste formulazioni si possono reinterpretare benevolmente col senno di poi,<br />

all'epoca erano semplicemente oscure, non si capiva bene che cosa volessero dire, però puntavano nella<br />

direzione del fatto che il linguaggio avesse delle limitazioni, cioè che ci fossero delle cose che non si<br />

potevano<br />

dire nel linguaggio, il linguaggio le poteva mostrare, ma non ne poteva dire. Che cosa erano le<br />

cose che Wittgenstein aveva in mente, che il linguaggio poteva mostrare, ma non dire? Ebbene era tutta la<br />

parte della sua struttura; la struttura di un linguaggio è un qualche cosa che il linguaggio può mostrare,<br />

perché quando noi parliamo in realtà la usiamo e quindi dal di fuori siamo consci di questa struttura, però<br />

Wittgenstein credeva che non si potesse parlare della struttura del linguaggio all'interno del linguaggio. Ora<br />

qui nella slide ho messo la fotografia di Tarski vicino a Wittgenstein, questa volta sulla destra invece che<br />

sulla sinistra, per indicare che dopo di Wittgenstein arrivò effettivamente qualcuno che fece non soltanto dei<br />

proclami, non soltanto degli aforismi<br />

così come faceva Wittgenstein, bensì dimostrò un teorema che<br />

effettivamente diede ragione a Wittgenstein,<br />

perlomeno se lo si interpreta nel modo che ho appena detto,<br />

cioè per esempio il linguaggio può mostrare<br />

la verità di una proposizione perché basta che la affermi in quel<br />

101


modo, cioè quando noi affermiamo qualche cosa stiamo dicendo ad altri che stiamo considerando quella<br />

affermazione vera, però non si può all'interno del linguaggio dare una definizione della verità. Parleremo<br />

meglio di questo contributo di Tarski quando dedicheremo a lui la lezione e quindi parleremo appunto del<br />

problema della definizione di verità, però questa effettivamente è un dare ragione a Wittgenstein. La verità è<br />

un qualche cosa che il linguaggio può mostrare, ma di cui non può parlare, perché all'interno del linguaggio<br />

non può esserci una definizione di verità, che non è contraddittoria,. Ecco che quindi c'è qualche cosa che<br />

effettivamente il trattato ci ha insegnato, però bisogna dire che, fino a quando Tarski non dimostrò il suo<br />

teorema, questa parte del trattato non fu molto compresa e forse, come ho detto, oggi noi benevolmente la<br />

reinterpretiamo come un’anticipazione di queste cose, ma in realtà era probabilmente un aforisma di cui<br />

Wittgenstein non aveva proprio compreso bene la portata. Fatto questo che cosa succede? Beh, alla fine del<br />

trattato di Wittgenstein, l'ultimo capitolo del trattato è semplicemente questa frase, che divenne molto<br />

famosa, è stata ripetuta 100 volte, che dice semplicemente “su ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere”,<br />

in cui si arriva a conoscere, a sapere che effettivamente il linguaggio ha delle limitazioni. Ed ecco che allora<br />

ci troviamo di fronte al problema fondamentale, il problema etico,<br />

che cosa facciamo quando ci si trova di fronte a delle limitazioni?<br />

Ebbene il linguaggio ha delle limitazioni, se non può dire certe<br />

cose, l'unica cosa che possiamo fare in questo caso, cioè delle cose<br />

di cui il linguaggio non può parlare, è stare zitti, cioè non possiamo<br />

fare nient'altro. Ovviamente Wittgenstein non pensava che<br />

sarebbero poi arrivati Goedel, Tarski e così via e che effettivamente<br />

il linguaggio sarebbe stato piegato proprio a questi bisogni, cioè lo<br />

si sarebbe forzato a parlare di se stesso, per esempio a parlare di<br />

formule che dicono di non essere dimostrabili e così via e quindi in qualche modo, questo aforisma è<br />

rimasto così, però insomma è certamente una bella frase, non si può negare questa cosa. L’ho messa qui in<br />

questa slide, facendola dire a Wittgenstein, perché questo è quello che immediatamente i suoi critici gli<br />

imputarono, quello di dire va bene, metà o quasi di tutto questo libro sta dicendoci che ci sono delle<br />

limitazioni di linguaggio, di cui non bisogna parlare e il libro parla effettivamente proprio di questo, in<br />

particolare questa stessa frase sta dicendo che bisogna sapere proprio sulle limitazioni di cui non<br />

bisognerebbe parlare. <strong>Qui</strong>ndi c'è una certa circolarità, ma ovviamente in questo sta anche il fascino del libro.<br />

Che cosa successe dopo? Wittgenstein, che era anche una persona, insomma, con un certo carattere, pensò<br />

di aver risolto tutti problemi come detto prima, ci fu quella che lui pensò la soluzione finale ai problemi<br />

della logica. Aveva risolto tutto quello che si poteva fare, era inutile che continuasse a fare il logico e allora<br />

abbandonò l'università, abbandonò il suo posto e se n'andò in montagna, non a fare il montanaro, non a fare<br />

passeggiate, ma divenne pensate voi maestro elementare e tra il 1920 e il 1926 insegnò in una di queste<br />

Maestro elementare scuole di montagna. Forse non era la cosa migliore che poteva fare, perché<br />

(1920-1926) apparentemente come insegnante non era molto bravo, come vi ho detto<br />

prima, anche le sue lezioni già anche all'università erano un pochettino sui generis, quando arrivò nelle<br />

scuole, forse perdeva la pazienza, si sa che picchiava anche i bambini, alcuni di questi li fece sanguinare,<br />

insomma non era una bella cosa. Nel ‘26 fu costretto a battersela in ritirata in qualche modo; ci fu una<br />

denuncia addirittura dal papà di una bambina alla quale lui aveva tirato le trecce e che appunto aveva avuto<br />

anche dei versamenti e quindi ci fu questa specie di causa. Wittgenstein se ne andò, ma nel frattempo erano<br />

passati alcuni anni e Wittgenstein aveva problemi che lui credeva di aver risolto in maniera definitiva,<br />

assoluta, forse non era stati risolti in maniera così perfetta e in particolare ebbe quelle che si chiamano<br />

epifanie; io qui, scherzosamente, naturalmente ho giocato con la parola epifanie e ho messo, come<br />

immagine quella della Befana. Voi sapete bene che invece epifania è una specie di esperienza mistica, ciò<br />

che si vede in qualche modo e che lascia veramente perplessi. Le due<br />

epifanie che lui ebbe furono una legata agli “ordini” e una legata ai<br />

“gesti”. Circa gli ordini si accorse che in tutto il suo linguaggio, in tutto il<br />

trattato logico filosofico aveva dimenticato una cosa importante del<br />

linguaggio, cioè si era dimenticato che linguaggio serve non soltanto a dire<br />

delle cose che sono vere o false, ma serve anche a dare ordini. Quando se<br />

102


ne accorse? Se ne accorse quando sua sorella aveva bisogno di una casa e lui decise di progettargliela e di<br />

costruirgliela, di fare l'architetto. Allora costruì questa casa e si accorse che per far muovere i muratori, per<br />

farli mettere i mattoni al posto giusto, doveva dare degli ordini, questi ordini non erano compresi nel suo<br />

linguaggio proposizionale. <strong>Il</strong> linguaggio proposizionale non parla di ordini: questo è il primo problema.<br />

Secondo problema: si accorse che i gesti provocavano dei problemi nella sua teoria del linguaggio.<br />

Passeggiando<br />

un giorno con un famoso economista italiano si chiamava P. Sraffa, Sraffa gli disse: ma tu sei<br />

proprio sicuro che ci sia questo isomorfismo tra il linguaggio e il mondo? E Wittgenstein disse, beh,<br />

certamente sì e allora Raffa che era napoletano gli disse, ma scusami allora a cosa e corrisponde nel mondo<br />

questo gesto? E gli fece questo famoso gesto napoletano (v. slide) e Wittgenstein rimase veramente<br />

perplesso; disse, già è giusto, effettivamente quando faccio delle frasi, quando dico delle frasi, c'è qualche<br />

cosa del mondo che corrisponde al contenuto di queste frasi, ma quando qualcuno mi fa questo gesto,<br />

effettivamente non so che cosa corrisponda nel mondo. Ecco che allora gli ordini e i gesti furono due cose<br />

che Wittgenstein scoprì appunto non far parte della sua trattazione, decise all'ora di ritornare all'università e<br />

ritornò a Cambridge e incominciò a lavorare<br />

al suo secondo libro. <strong>Il</strong> suo secondo libro, che come vi ho già<br />

detto prima, si chiama “le ricerche filosofiche”<br />

e fu pubblicato poi postumo nel 1953. Wittgenstein ci lavorò<br />

praticamente dal 1930 fino al ’51, quando<br />

morì, cioè per vent'anni. Ci sono<br />

Ricerche filosofiche(1953)<br />

molte versione preliminari come vi ho detto, i quaderni blu, il<br />

“<strong>Il</strong> progresso appare sempre<br />

quaderno marrone e così via. <strong>Il</strong> motto delle ricerche filosofiche<br />

più grande di quello che è”<br />

è un motto autobiografico e Wittgenstein scelse questo motto,<br />

cioè “il progresso appare sempre più grande di quello che è”. Ovviamente in questo caso il progresso era il<br />

progresso che lui aveva realizzato col<br />

suo primo libro e si accorge nel suo secondo libro, che questo<br />

progresso, che nel 1921 gli era sembrato<br />

chissà che cosa, poi in realtà lui lo aveva sopravvalutato, gli era<br />

apparso più grande di quello che è. <strong>Il</strong> libro e le ricerche filosofiche incomincia, non facendo un mea culpa,<br />

però dicendo: io mi sono sbagliato a dare al linguaggio una certa valenza, non mi sono dimenticato degli<br />

ordini, ma lui accusa Sant'Agostino di essersene dimenticato, dice Agostino nelle Confessioni questo, cioè<br />

che si è dimenticato di certe cose, quindi in qualche modo il mea culpa era obliquo, diceva che lui aveva<br />

sbagliato, poi però non si prese tutte le colpe e in qualche modo cercò di aggirare la cosa.<br />

Quale fu la nuova grande invenzione delle ricerche filosofiche? Fu un'altra delle sue<br />

solite scoperte; vi ricordate che all'inizio nel Trattato c'era stato un problema di<br />

macchinine, lui aveva avuto questa visione delle macchinine e aveva capito queste cose.<br />

Ebbene nel caso delle ricerche filosofiche, un giorno passeggiando con quello che è oggi<br />

un famoso fisico, che si chiama Freeman Dyson, passò vicino ad un campo da calcio,<br />

un campo da calcio dove si giocava una partita e lui scoprì che effettivamente ci sono al<br />

mondo, oltre che persone che parlano, ci sono persone che giocano. Fu talmente colpita<br />

da questo fatto, evidentemente non si era mai accorto prima che c’era un pallone da calcio e incominciò a<br />

pensare a quelli che oggi vengono chiamati i giochi, lui stesso li chiamò i giochi linguistici, cioè per lui, il<br />

linguaggio questa volta non si trattava più di raccontarlo, di esprimerlo attraverso il sistema di Frege e<br />

Russell, cioè assiomi e regole, che come sappiamo era l'equivalente alla sua versione semantica, ma si<br />

trattava di giocare un gioco di cui bisognava imparare delle regole. <strong>Il</strong> linguaggio era più o meno la stessa<br />

Giochi linguistici cosa che imparare appunto a giocare a scacchi e imparare<br />

Non esistono linguaggi universali a parlare era come imparare a giocare a scacchi o<br />

né parti privilegiate come imparare a giocare qualunque altro gioco. Ebbene in<br />

particolare se ci sono dei giochi linguistici, allora non ha più senso parlare di linguaggio universale, come<br />

quello che i logici pensavano di aver scoperto nella logica, perché non c’è un gioco universale, si può<br />

giocare a scacchi, si può giocare a dama, si può giocare a carta e così via e anche nel linguaggio c’è la stessa<br />

cosa; ci sono dei giochi che si possono giocare, ma l’idea di gioco universale non ha senso e quindi non ha<br />

nemmeno senso l’idea di linguaggio universale. Idem non si può nemmeno dire: ma gli scacchi sono meglio<br />

della dama o sono meglio delle carte, perchè sono giochi differenti, cioè naturalmente in certe condizioni<br />

uno è meglio, in certe altre condizioni un altro è meglio, qualcuno preferisce l’uno, qualcuno preferisce<br />

l’altro. Dunque non ci sono nemmeno parti privilegiate, non ci sono nemmeno giochi linguistici privilegiati,<br />

in particolare la logica, che fino a Frege, fino a Russell pretendeva di essere il fondamento della matematica,<br />

103


il fondamento delle scienze, è soltanto un gioco fra gli altri, quindi certamente<br />

non è il gioco privilegiato, perché di giochi privilegiati non ce ne nessuno. Forse<br />

la cosa più importante<br />

che deriva da queste ricerche filosofiche fu quella che poi<br />

venne presa come<br />

spunto e poi posta come fondamento dalla corrente filosofica<br />

che si chiama Positivismo logico; qui l’ho simbolicamente rappresentata con un<br />

cerchio, perché<br />

è la corrente del famoso circolo di Vienna. Ebbene l’idea<br />

fondamentale,<br />

molto nuova in questo caso, delle ricerche filosofiche, è che il<br />

significato di una parola non è qualche cosa che noi possiamo venire a scoprire<br />

andando a fare un analisi linguistica <strong>Il</strong> significato di una parola, naturalmente, lo<br />

impariamo come impariamo un gioco e quindi è semplicemente con la pratica, ma il suo vero significato è<br />

definito dall’uso che questa parola ha nel linguaggio. Quando noi impariamo ad usare la parola, allora in<br />

questo modo in maniera indiretta, stiamo imparando a capire qual è il suo significato. <strong>Qui</strong>ndi questa<br />

equivalenza tra significato e uso è proprio quella che sta sotto, diciamo così a fondamento di questa filosofia<br />

del positivismo logico. Ebbene che cosa si può dire oggi della filosofia di Wittgenstein e soprattutto dei<br />

contributi della logica di Wittgenstein? Mah, forse si può dire poco, ve ne siete già accorti mentre parlavo,<br />

che non è stato un grande avanzamento, non ci sono stati dei grossi progressi tecnici, le tavole di verità<br />

erano già note, tutto sommato da Crisippo, dagli stoici, forse il modo migliore di esprimere ciò che è<br />

ritornare di Klimt e ricordare una frase che disse Frege, quando lesse il trattato logico filosofico , cioè<br />

“l’opera di Wittgenstein è arte, ma non è scienza”. Forse questo effettivamente in una sola frase rispecchia,<br />

quello che oggi potrebbe essere il significato o meglio il giudizio sull’opera di Wittgenstein. Con questo<br />

abbiamo concluso, nelle prossime lezioni continueremo questa carrellata sui personaggi della logica<br />

contemporanea.<br />

104


LEZIONE 13: Questioni di forma<br />

Nelle precedenti lezioni abbiamo praticamente esaurito l'influsso sulla logica matematica dei filosofi, alla<br />

fine abbiamo parlato di Russell, di Wittgenstein e così via e finalmente siamo arrivati proprio al centro, al<br />

nucleo del nostro corso, del nostro argomento, cioè siamo arrivati a parlare finalmente di logica matematica<br />

nel senso proprio vero, perchè la lezione di oggi e la prossima lezione saranno incentrate questa volta non<br />

più su filosofi finalmente, ma su due veri matematici, due grandi matematici che hanno lasciato il loro<br />

segno ovviamente nella matematica di questo secolo, del '900 e che però hanno anche lasciato il loro segno<br />

molto importante nella logica matematica. Oggi parleremo di Hilbert, la prossima volta parleremo invece di<br />

Brower. Brower forse è un po’ meno noto tra coloro che non sono addetti ai lavori, invece Hilbert è un<br />

grandissimo matematico a cui dedicheremo questa nostra lezione, che si chiama come vedete dal titolo<br />

“Questioni di forma”, perché in realtà di Hilbert è associato, per quanto riguarda la sua filosofia della<br />

matematica, il suo apporto alla logica matematica, a quella corrente che viene chiamata “formalismo”.<br />

Vediamo meglio subito, tanto per cominciare, quali sono i punti di partenza e di arrivo della sua vita, cioè il<br />

1862 e 1943. Come vedete già dalle date immediatamente, Hilbert è stato a cavallo tra i due secoli, a<br />

Hilbert cavallo tra l'800 e il ‘900. Nella prima metà della sua vita, cioè la fine dell'800,<br />

(1862-1843) ha costruito una grande teoria matematica, ha dimostrato grandissimi teoremi a<br />

cui quest'oggi accenneremo soltanto, perché il nostro interesse è la logica e non la matematica e come<br />

abbiamo già fatto anche nelle lezione precedenti e come faremmo nelle lezioni successive, cerchiamo di<br />

inquadrare il personaggio in una maniera un pochettino più generale, cercando di dire che cosa fatto anche<br />

in altri campi. Nella seconda metà invece della sua vita, cioè in particolare dopo il 1900, proprio come<br />

anno, cioè allo scadere del secolo e all'inizio del nuovo secolo, Hilbert si è dedicato principalmente a<br />

questioni di fondamenti di matematica, di fisica e di tante altre cose, quindi sono proprio questi gli<br />

argomenti, sono queste le cose di cui parleremo in questo momento. Volevo dire però prima di parlare, di<br />

cominciare ad affrontare dall'interno il lavoro di Hilbert, che il Hilbert è stato praticamente il più grande<br />

matematico che è esistito in quel periodo, cioè nel passaggio fra l'800 e il ‘900. Dico praticamente, perché<br />

in realtà erano due coloro che si contendevano questo titolo di miglior matematico, di più grande<br />

matematico di quel periodo,<br />

uno era Hilbert e l'altro era Poincarè. Di Poincarè, di cui in realtà noi non<br />

parleremo, perché è stato un grande matematico, ma in realtà dei fondamenti e soprattutto della logica<br />

matematica non si è interessato,<br />

anzi era estremamente sdegnoso contro la logica matematica, non gli<br />

interessava come argomento,<br />

prendeva in giro coloro che se ne interessavano, quindi noi oggi parleremo di<br />

Hilbert. Ci concentreremo,<br />

come ho detto, sulla parte della sua vita, sulla parte della sua produzione<br />

dedicata ai fondamenti; come<br />

vedete qui ho messo quattro argomenti, perchè Hilbert si è interessato non<br />

soltanto di fondamenti della<br />

matematica, ma anche di altre cose, quindi parleremo brevemente dei<br />

fondamenti della geometria,<br />

perché di lì è nata tutta l’intera questione della logica moderna praticamente,<br />

dei fondamenti della logica matematica, perché questo è il nostro argomento, dei fondamenti della mate-<br />

Fondamenti matica e addirittura i fondamenti della fisica; poiché però i fondamenti<br />

della geometria della fisica sono anche un qualche cosa di marginale rispetto ai nostri<br />

della logica interessi li affrontiamo subito, benché nella vita di Hilbert vengano<br />

della matematica abbastanza tardi, cioè siano riferiti agli anni 1915-1920; sono qualcosa<br />

della fisica di marginale, ma talmente importante che è difficile non parlarne,<br />

perlomeno non citarle, perchè soprattutto fanno parte di quest'analisi dei fondamenti che era proprio lo<br />

spirito logico, quindi anche se Hilbert in questi suoi lavori particolari dedicati alla fisica non ha parlato<br />

direttamente di logica matematica, lo spirito che li informava era lo stesso che poi informava quello dei<br />

fondamenti più propriamente della matematica, quindi praticamente erano una applicazione della logica o<br />

meglio dei metodi, delle idee, della ideologia della logica, perciò siamo in tema praticamente. Bene allora,<br />

vediamo da vicino quali sono stati i due contributi essenziali che Hilbert ha portato ai fondamenti della<br />

fisica. Come tutti sapete la fisica moderna si divide praticamente in due grandi tronconi, la prima parte è la<br />

relatività speciale prima e poi ristretta, il grande lavoro di Einstein del 1905 e poi del 1915, mentre la<br />

105


seconda parte della fisica moderna è la cosiddetta meccanica quantistica; quindi da una parte lo studio della<br />

relatività, perciò dell’infinitamente grande, del macrocosmo, della cosmologia, dell'universo nella sua<br />

interezza e dall'altra parte invece la meccanica quantistica, l'esatto contrario, cioè lo studio del microcosmo,<br />

Fisica dell’infinitamente piccolo, dei quanti, delle particelle che compongono<br />

relarività l'universo e naturalmente queste due visioni sono visioni complementari,<br />

meccanica quantistica perché nell'universo c'è sia il piccolo che il grande ovviamente, ci sono<br />

gli atomi e ci sono anche le galassie e così via. Però fino ad oggi non si è ancora riusciti a fare una<br />

unificazione di questi due argomenti ed è per questo che in genere vengono presentati separatamente<br />

Ebbene i contributi<br />

che Hilbert ha lasciato a questi argomenti sono molto importanti, li vediamo<br />

brevemente.<br />

Anzitutto la relatività ed abbiamo qui nella slide questa immagine potente tra l'altro, che<br />

dimostra<br />

anche qual'era la profondità d i pensiero, la si legge subito negli occhi di Einstein, che tutti<br />

conoscono<br />

perché è stato lo scienziato più famoso del '900 ovviamente, addirittura il personaggio del<br />

secolo secondo la rivista Times, non soltanto, ma in generale è<br />

stato colui che ha caratterizzato il '900 con il suo pensiero. Ebbene<br />

Einstein, come molti sapranno, ha creato nel 1905 la relatività<br />

speciale e poi nel 1915 invece la relatività generale che è, come che<br />

dicevo prima, lo studio della gravitazione da un p. di v. matematico,<br />

è un tentativo di riformare le leggi di Newton sulla gravitazione e di<br />

scriverle in maniera che fossero invarianti rispetto ad ogni sistema<br />

di riferimento. Per poter far questo c'era bisogno di un grande<br />

apparato matematico, quindi Einstein che era in realtà un fisco di<br />

professione,<br />

conosceva ovviamente benissimo moltissime parti della matematica, però ha dovuto<br />

appoggiarsi,<br />

proprio lui, sul lavoro e anche su l'aiuto a volte di matematici contemporanei a lui e anche<br />

precedenti<br />

a lui. Ebbene nel 1915 per l'appunto, lo anno stesso in cui Einstein riuscì alla fine, a portare a<br />

termine<br />

la relatività generale, dopo un periodo di quasi 10 anni di lavoro e soprattutto un periodo di due<br />

anni<br />

molto intenso di attività, in cui si dice addirittura che fosse diventato quasi autistico, cioè chiuso nel<br />

suo<br />

mondo, nei suoi pensieri, non parlava più nemmeno con gli amici, nemmeno con la famiglia, era<br />

praticamente<br />

sempre lì a pensare a queste equazioni che avrebbero dovuto caratterizzare nientemeno che<br />

l'universo.<br />

Ebbene la cosa ironica della storia è che a queste equazioni Albert Einstein arrivò secondo,<br />

arrivò<br />

secondo nel giro praticamente di un paio di settimane, perché per prima ci arrivò nientemeno che<br />

Hilbert<br />

appunto; Hilbert disse sempre che, in realtà, lui non voleva prendersi nessuno merito per quanto<br />

riguardava<br />

la relatività, che gliela aveva insegnata Einstein stesso, i principi fondamentali della relatività<br />

erano<br />

stati posti da Einstein e su questo non c'erano nessun dubbi, quindi l’intera costruzione fisica, l'intero<br />

fondamento<br />

della relatività era certamente dovuto Einstein; però Hilbert aveva di fronte ad Einstein, nei<br />

confronti<br />

di Einstein per l'appunto questo vantaggio, cioè di essere un grande matematico, di avere una<br />

piena<br />

consapevolezza, un pieno controllo, diciamo così, dei mezzi tecnici della matematica moderna e<br />

quando<br />

Einstein gli spiegò alla fine che cosa voleva fare, Hilbert ci pensò e raggiunse per l'appunto queste<br />

equazioni<br />

qualche settimana prima di Einstein. L'importanza appunto non è tanto nel fatto che lo abbia fatto<br />

prima<br />

o dopo, ma che l'abbia fatto in maniera puramente matematica, mentre l'approccio di Einstein è stato<br />

un<br />

approccio appunto di natura fisica, cioè l'intuizione di Einstein era un'intuizione fisica, l'intuizione di<br />

Hilbert invece era un'intuizione d i tipo matematico. Questo è stato il primo grande risultato che ha portato<br />

per l'appunto dei grossi risultati nel campo della fisica matematica e nel campo<br />

dei fondamenti della fisica.<br />

<strong>Il</strong> secondo campo invece, in cui dicevo che Hilbert si è interessato, è invece quell'altro, la meccanica<br />

quantistica. La meccanica quantistica è nata verso il 1925-1926 grazie a questi due signori che vedete nella<br />

side, due premi Nobel giovanissimi, uno nel 1932 e l'altro nel 1933; questo signore qui a sinistra si chiama<br />

Shroedinger e questo altro sulla destra si chiama Heidelberg, due dei grandi nomi della fisica moderna.<br />

Insieme a Bohr, che aveva preso il premio Nobel qualche anno prima, ebbene questi tre nomi sono coloro<br />

che hanno creato questo studio della meccanica quantistica. Che cosa c'entra Hilbert con tutto questo? Beh,<br />

c'entra perché in quegli anni Shroedinger ed Eisenberg arrivarono a due formulazioni diverse della<br />

meccanica quantistica, erano anni appunto di ricerca, questi signori lavorarono in campi diversi,<br />

Shroedinger era originario dell'Austria, Eisenberg era originario della Germania, questi due signori, questi<br />

106


due studiosi, i due fisici, trovarono due teorie che in realtà sembravano quasi in contrapposizione fra di<br />

loro. Ebbene, dal punto di vista matematico nessuno dei due era appunto un grande matematico, erano<br />

entrambi fisici e quello che si scoprì poi nel 1927, era che entrambe le teorie che avevano portato avanti,<br />

che avevano scoperto Shroedinger e Eisenberg, erano in realtà formulabili in uno stesso ambiente, con uno<br />

stesso linguaggio matematico e questo linguaggio matematico è quello che ancora oggi viene usato in<br />

questo campo e si chiama appunto "spazi di Hilbert". Gli spazi di Hilbert sono spazi geometrici ad infinite<br />

dimensioni, cioè analoghi a quelli in cui noi ci muoviamo, cioè lo spazio Euclideo, del quale tra l'altro<br />

parleremo tra breve per i fondamenti della geometria, soltanto che invece di avere tre o quattro dimensioni,<br />

come quelli soliti a cui siamo abituati, cioè le tre dimensioni spaziali ed eventualmente una quarta<br />

dimensione temporale, questi spazi di Hilbert hanno infinite dimensioni. Hilbert sviluppò questa geometria<br />

di spazi ad infinite dimensioni, lo fece per motivi di natura matematica e poi si scoprì nel 1927 che quello<br />

era veramente il linguaggio adatto a parlare della meccanica quantistica. <strong>Qui</strong>ndi questo fu un grande<br />

contributo matematico di Hilbert, che poi risultò essere utile per i fondamenti della fisica. Affrontiamo ora<br />

meglio da vicino quelli che furono gli interessi più matematici di Hilbert e vediamo brevemente qual'è stato<br />

il percorso che poi ha portato a grandi risultati anche di logica matematica.<br />

Nel 1899, l'anno prima dello scadere del secolo, Hilbert scrive un libro che si chiama i “Fondamenti della<br />

geometria”, lo scrive come lezioni di un corso che aveva tenuto per un paio danni, in quegli anni e introduce<br />

un atteggiamento nuovo verso lo studio della geometria; non più tanto, lo studio, lo sviluppo, diciamo così,<br />

Fondamenti della geometria (1899) della geometria, perché quello era ormai, soprattutto della<br />

Metageometria: geometria euclidea, un qualche cosa che si conosceva<br />

completezza ormai benissimo da 2000 - 2500 anni, ma quello che<br />

indipendenza interessava a Hilbert erano soprattutto i fondamenti della<br />

consistenza geometria, cioè cercare di studiare il sistema assiomatico<br />

di Euclide e studiarlo da un p. di v. che noi oggi chiameremo di meta-geometria, cioè porsi al di sopra della<br />

geometria, fare della geometria l'oggetto di studio della matematica<br />

stessa. In particolare parleremo brevemente in questa lezione di questi<br />

tre tipi di problemi, cioè "la completezza, l'indipendenza e la<br />

consistenza degli assiomi". Sono tutte nozioni alle quale abbiamo già<br />

accennato in precedenti lezioni, però sono proprio nate praticamente,<br />

hanno visto la luce in questo libro di Hilbert. Qual'è stata l'origine<br />

storica di queste nozioni; ebbene eccolo qua il nostro Euclide, ne<br />

abbiamo già parlato più volte, nel terzo secolo a.C. Euclide fonda la<br />

matematica greca, la matematica moderna ai suoi tempi ovviamente, fonda la matematica su un sistema<br />

assiomatico, cioè stabilisce cinque assiomi che sono i cinque mattoni principali su cui si fonda tutto<br />

l'edificio della geometria. Questi cinque assiomi sono in particolare assiomi che dicono, per esempio, che<br />

“tra due punti passa una e una sola retta”, che “dato un segmento e dato un punto è possibile costruire un<br />

cerchio che abbia quel segmento come raggio e quel punto come centro” e così via, ma poi ci fu in<br />

particolare un quinto assioma, il famoso quinto assioma di Euclide che parlava di rette parallele; il quinto<br />

assioma diceva che “data una retta è un punto al di fuori di essa è possibile tirare una e una sola parallela<br />

alla retta data”. Vedremo poi meglio, in particolare tra qualche minuto, che cosa significa questo assioma.<br />

L'importanza di questi cinque assiomi è che Euclide credette, sottolineo questo verbo, di poter derivare da<br />

essi tutti i suoi teoremi che sono centinaia nell'intero “libro degli elementi”, in 13 volumi; ebbene dicevo<br />

che credette di poter derivare tutti i suoi teoremi dai cinque assiomi, quella era la base logica su cui si<br />

fondava la geometria. Però c'erano i problemi ed i problemi del sistema assiomatico di Euclide erano in<br />

particolare due: il primo problema è quello della completezza e il secondo quello dell'indipendenza.<br />

Problemi Cosa vogliono dire brevemente queste due cose? Completezza vuol dire<br />

completezza che effettivamente tutti teoremi che Euclide enunciò nei suoi elementi,<br />

indipendenza<br />

nei suoi libri si potevano effettivamente derivare degli assiomi, questa è<br />

la prima cosa e indipendenza significa invece che quei cinque assiomi erano indipendenti tra di loro, cioè<br />

107


nessuno dei cinque poteva essere derivato dai rimanenti quattro, cioè<br />

erano proprio necessari tutti e cinque, non si potevano in qualche<br />

modo fare a meno di qualcuno. Questi sono i due grandi problemi<br />

che storicamente furono generati dall'edificio di Euclide. Quale fu la<br />

scoperta? Beh, la scoperta, notate, è molto successiva, cioè questi<br />

personaggi, alcuni di quali li abbiamo già visti, in particolare Leibniz,<br />

a cui abbiamo dedicato un'intera lezione, Gauss e Riemann<br />

grandissimi nomi della matematica, Leibniz l'inventore del calcolo<br />

infinitesimale insieme a Newton. Gauss lo si chiamava, il principe<br />

dei matematici, forse uno dei più grandi matematici mai esistiti,<br />

Riemann l'inventore di quella che oggi viene chiamata la geometria<br />

riemanniana, che è proprio la geometria che serviva ad Eistein tra<br />

l'altro, per il descrivere il mondo, la cosmologia della relatività<br />

generale, quindi vedete grandissimi matematici che svilupparono<br />

questi strumenti importantissimi; ebbene questi matematici, uno<br />

dopo l'altro, leggendo i libri, l'edificio degli elementi di Euclide,<br />

scoprirono che molti dei teoremi che Euclide credeva che si potessero dimostrare a partire dai suoi assiomi,<br />

in realtà non erano così, non si potevano dimostrare, non derivavano da questi assiomi. Ad esempio si<br />

scoprì addirittura che il primo teorema che Euclide dimostrava nel primo libro degli elementi, quindi<br />

proprio il primo passo che faceva, già quello non era una conseguenza degli assiomi, perché questo teorema<br />

diceva che si poteva costruire un triangolo equilatero a partire da un segmento, la costruzione è ovvia, si<br />

prende un segmento, si punta il compasso da una parte, si fa un pezzo di cerchio, si punta il compasso<br />

dall'altra, si fa un altro pezzo di cerchio, dove i due cerchi si incontrano si tirano i due lati e quello è un<br />

triangolo equilatero. <strong>Il</strong> problema è nel dove i due cerchi si incontrano, perché Euclide non aveva posto<br />

nessun assioma che assicurasse che, se noi prendiamo due linee che non sono parallele, due curve che a un<br />

certo punto sembrano intersecarsi, queste due curve effettivamente s'intersecano; questo era un problema<br />

cosiddetto di completezza della linea. Questo però è uno solo dei problemi, ci sono tantissimi altri risultati<br />

di Euclide che si scoprì che non derivavano direttamente le sue assiomi, c'era bisogno di altri assiomi. E ciò<br />

che Hilbert fece, per l'appunto in questo libro nel 1899, a cui abbiamo accennato, cioè “I fondamenti della<br />

geometria”, fu precisamente quello di riuscire a rimettere in sesto gli assiomi di Euclide, di trovare gli<br />

assiomi che fossero sufficienti per dimostrare tutti i teoremi della geometria classica. Come vedete dalla<br />

slide, qua giù, gli assiomi che Hilbert enunciò erano in realtà 20. Di questi 20 assiomi, notate la differenza,<br />

Euclide credeva che cinque fossero sufficienti, in realtà, da un punto di vista moderno Hilbert riuscì a fare<br />

meno di tante assunzioni, però a non fare a meno di meno di 20 assiomi. <strong>Qui</strong>ndi c'era effettivamente un<br />

ingrossamento, diciamo così, dell'apparato tecnico assiomatico che era necessario per la geometria, però<br />

riuscì anche a dimostrare la completezza, per la prima volta riuscì a far vedere che effettivamente tutti i<br />

teoremi che si potevano dimostrare della geometria euclidea, si potevano far derivare da questi assiomi che<br />

lui aveva enunciato ed quindi da qui nasce il problema della completezza degli assiomi. Questo è soltanto<br />

uno dei punti di vista che Hilbert introdusse, uno dei suoi famosi motti e adesso qui l'abbiamo illustrato, in<br />

questa maniera un pochettino figurativa, era che in realtà la cosa importante era quella di fare le cose in<br />

maniera assiomatica, cioè di non descrivere la matematica parlando di enti che non sono definiti. Gli enti<br />

della matematica sono ovviamente i soliti della geometria, punti, linee e<br />

piani, Hilbert però diceva, l'importante non è basarsi su un'intuizione,<br />

non credere di sapere a priori che cosa siano i punti, che cosa siano le<br />

linee e che cosa siano i piani, ma punti, linee e piani sono<br />

semplicemente oggetti che soddisfano le proprietà che gli assiomi<br />

stabiliscono. Infatti diceva che dovrebbe essere possibile sostituire, ad<br />

esempio, ai punti le tavole, alle linee le sedie e ai piani i boccali di birra<br />

e ciononostante, se quei soggetti soddisfano gli assiomi, dobbiamo poter<br />

derivare per tavole, sedie e boccali di birra, anche per essi, gli stessi<br />

teoremi della geometria euclidea che valgono per punti linee e piani; qui ovviamente per tavole intendevo<br />

108


ovviamente i tavoli, abbiamo così un po' scherzato e fatto vedere queste immagini che si riferivano a questo<br />

suo famoso motto. <strong>Qui</strong>ndi questa è l'idea del sistema assiomatico, del formalismo di Hilbert; ricordatevi che<br />

la nostra lezione si chiama questione di forma, l'idea del formalismo era appunto questa, cioè quando si fa<br />

un sistema assiomatico non si deve supporre di conoscere il significato dei termini che vengono usati negli<br />

assiomi. Gli assiomi definiscono in maniera implicita che cosa significano questi termini ed in particolare se<br />

altri termini, appunto questi, cioè tavoli, sedie e boccali di birra, soddisfano questi assiomi, allora anche tutti<br />

i teoremi dovranno essere veri, per questo tipo di concetto. <strong>Qui</strong>ndi questo è un approccio molto formale,<br />

molto moderno, molto diverso ovviamente da quello che aveva Euclide, il quale invece s'era fatto per<br />

l'appunto in qualche maniera fuorviare dall'intuizione, perché lui aveva messo su 5 assiomi che credeva gli<br />

potessero servire, credeva che potessero essere sufficienti per la geometria, ma in realtà poi procedeva<br />

intuitivamente e quindi spesse volte usava delle proprietà che erano in qualche modo nascoste dentro di<br />

oggetti di cui lui aveva una perfetta conoscenza. Hilbert questo non lo fa ed è proprio il formalismo che<br />

permette di costruire dei sistemi assiomatici<br />

che siano completi perché non si fa riferimento all' intuizione.<br />

<strong>Il</strong> secondo problema invece, che era il problema dell'indipendenza, nasce appunto dal quinto assioma di<br />

Euclide, che ovviamente diventa non<br />

più quinto, ma un altro della serie dei 20 assiomi di Hilbert, ma<br />

rimane<br />

lì, cioè l'assioma delle parallele. Come abbiamo già detto prima,<br />

l'assioma<br />

delle parallele dice soltanto che, se noi abbiamo una retta ed<br />

un<br />

punto fuori di essa, allora c'è una sola parallela che passa per quel<br />

punto alla rete data. <strong>Il</strong> problema è: l'assioma delle parallele è<br />

necessario, oppure si può far derivare dai rimanenti assiomi? Questo è<br />

un problema che già s'erano posti molti altri prima di Hilbert<br />

ovviamente, di cui adesso vedremo, per l'appunto brevemente, la storia<br />

ed in particolare se lo erano posti di nuovo grandi matematici, come<br />

Gauss che ritorna ovviamente, perché nell'800 c'era lui, il suo spirito<br />

galleggiava nella matematica e altri due personaggi, che sono questo<br />

signore Bolyai e Lobachevski, due personaggi che vengono da quella<br />

che oggi chiameremo l'Europa dell'est. Ebbene agli inizi dell'800<br />

questi due personaggi, dopo decenni, anzi secoli in realtà, di tentativi<br />

di dimostrare che l'assioma delle parallele era indipendente dagli altri<br />

quattro, ebbene loro effettivamente ne dimostrarono l’indipendenza o<br />

perlomeno svilupparono una geometria che viene chiamata appunto<br />

geometria iperbolica, in cui gli altri quattro assiomi di Euclide<br />

continuano a valere e quindi c'è una parte comune con la geometria<br />

euclidea, ma l'assioma delle parallele invece non vale, cioè si sono<br />

infinite parallele, che passano per un punto, parallele ad una retta data, invece di essercene una sola ce ne<br />

sono infinite. Ora questa è una geometria che, a prima vista, potrebbe sembrare qualche cosa di strano,<br />

qualche cosa di inconsistente addirittura e in effetti questo era il tentativo, cioè di supporre che non valesse<br />

l'assioma delle parallele, vedere se da questa negazione si poteva dedurre una contraddizione e quindi<br />

dimostrare per assurdo appunto con il procedimento che noi ben conosciamo, che l'assioma delle parallele<br />

discendeva dagli altri quattro assiomi. Però invece quello che riuscirono a fare Gauss, Lobyai e Lobachevki<br />

fu di costruire una geometria alternativa senza però mai arrivare a delle inconsistenze, senza mai arrivare a<br />

delle contraddizioni. Questo non è ancora ovviamente una<br />

dimostrazione di indipendenza, ne parleremo tra un momento, però<br />

nel<br />

1868 Beltrami,un geometra italiano scoprì una cosa importante,<br />

cioè<br />

quello che oggi viene chiamato un modello euclideo della<br />

geometria<br />

non euclidea, cioè il modello euclideo della geometria<br />

iperbolica,<br />

in altre parole scoprì che è possibile all'interno del piano<br />

euclidea<br />

fare un modello della geometria iperbolica, il modello è<br />

quello<br />

che vediamo nella slide e le rette questa volta sono questi<br />

archi<br />

di cerchio che sono perpendicolari ad un cerchio dato e<br />

queste<br />

figure che noi vediamo sulla slide, che sono figure storte, in<br />

109


ealtà sono dei triangoli della geometria<br />

iperbolica; ebbene questo modello euclideo fu veramente<br />

importante perché dimostrò una cosa fondamentale, cioè dimostrò che la geometria iperbolica poteva<br />

anche essere inconsistente, cioè ci potevano essere anche delle contraddizioni, ma se c'erano delle<br />

contraddizioni lì, poiché c'era un modello<br />

euclideo di questa geometria, le contradizioni dovevano già stare<br />

anche nella geometria euclidea e quindi<br />

non era possibile dimostrare in quel modo l'indipendenza<br />

dell'assioma delle parallele, perché se<br />

c'erano da una parte le contraddizioni, dovevano esserci anche<br />

dall'altra. Vediamo più da vicino altri<br />

modelli della geometria iperbolica che sono un pochettino più<br />

artistici, ma sono dello stesso genere e sono due modelli d'un pittore che già conosciamo, che abbiamo usato<br />

in precedenza due, tre volte, nelle nostre lezioni, che si chiama Escher appunto. Questi modelli si chiamano<br />

"tutti i limiti del cerchio"; sono quattro rappresentazioni, qui nelle slide ne faccio vedere soltanto due, sono<br />

quattro rappresentazioni del 1958, l’anno in cui Escher scoprì la geometria iperbolica, in cui si diverte a<br />

rappresentare graficamente, in maniera artistica però, i modelli appunto di Beltrami e anche i modelli di<br />

altri, di Klein, di Poincarè, che erano stati trovati nei decenni successivi. In particolare vediamo il primo; il<br />

primo tentativo di Escher fu questo qua (v. slide al centro); vedete il modello è lo stesso di quello che avevo<br />

fatto vedere prima, ci sono queste linee curve che sono perpendicolari al bordo di questo cerchio, queste<br />

linee sono le rete della geometria iperbolica, vedete qui tra l'altro ce ne sono altre e capite subito che<br />

effettivamente in questa geometria è possibile data una retta trovare tante parallele a quella retta data che<br />

passano per un punto. Ovviamente qui stiamo considerando soltanto una parte del piano euclideo e i<br />

triangolini del precedente modello di Beltrami sono diventate delle figure. Escher però non era tanto<br />

soddisfatto di questo modello, era ancora poco artistico, infatti ci lavorò nello stesso anno, ne produsse altri<br />

due e questo è l'ultimo (v. slide a sx), forse il più bello dal punto di vista artistico, la geometria iperbolica<br />

diventa oggetto di arte, ci sono dei pesci che stanno andando verso il bordo e vedette queste linee bianche,<br />

che si vedono sullo schermo, sono precisamente le tracce delle rette della geometria iperbolica; quindi la<br />

geometria iperbolica addirittura fece da tramite, diciamo così, tra la matematica e l'arte, arrivò ad ispirare<br />

qualche artista in modo da fargli fare delle opere che sono piuttosto interessanti. Notate che, dal punto di<br />

vista della geometria iperbolica, questi animali hanno tutti la stessa dimensione, dal punto di vista della<br />

geometria euclidea no ovviamente, perché vediamo che si rimpiccioliscono man mano che vanno verso il<br />

bordo, ma questo non significa nulla perché questa è un'immagine dell'intero piano iperbolico e quindi,<br />

praticamente, se noi fossimo su questo piano, se noi fossimo questi animaletti, saremmo semplicemente noi<br />

che ci stiamo spostando, ma senza diventare più piccoli, sembra a noi che queste cose siano una più piccola<br />

dell'altra, ma non lo sono e questo già vi dice come la geometria iperbolica sia strana per l'appunto. Ebbene<br />

la stranezza sta proprio in quello che dicevo, cioè si riesce a dimostrare in qualche modo matematico,<br />

corretto, che la geometria iperbolica non ha delle contraddizioni, Vediamo meglio che cosa succede in<br />

questo campo.<br />

<strong>Il</strong> punto di partenza, in realtà di tutta la storia, fu Cartesio, lo abbiamo già citato altre volte, che nel 1637<br />

inventò o scoprì quella che oggi si chiama la geometria cartesiana, cioè l'idea di associare<br />

a dei punti le loro<br />

coordinate, cioè ciascuna coordinata è ovviamente la misura di una distanza, che è un numero reale e a<br />

110


ciascun punto si associano<br />

due numeri reali, che sono le sue coordinate,<br />

cioè le distanze dagli assi x e y.. Ebbene, nel 1899 Hilbert<br />

scoprì nel suo libro famoso “ I fondamenti<br />

della geometria”, che questo modo di fare di Cartesio si poteva<br />

portare avanti, si poteva portare talmente<br />

avanti da dimostrare che i numeri reali, cioè l'analisi, costituivano<br />

un modello della geometria euclidea;<br />

in altre parole abbiamo visto prima poco fa, che Beltrami fece vedere<br />

che c'era “un modello della geometria<br />

iperbolica nella geometria euclidea” e adesso Hilbert sta facendo un<br />

passo avanti, sta facendo vedere che è possibile fare “un modello della geometria euclidea nell'analisi”, cioè<br />

sta cercando di spostare il problema<br />

della consistenza dalla geometria all’analisi. <strong>Il</strong> non riuscire a<br />

dimostrare che non si possono produrre<br />

delle contraddizioni si è spostato prima dalla geometria iperbolica<br />

alla geometria euclidea con Feltrami.<br />

Abbiamo detto che l’essenza del teorema di Beltrami era appunto<br />

questo, che se c'erano delle contraddizioni<br />

nella geometria iperbolica, in realtà queste contraddizioni<br />

dovevano già esserci nella geometria euclidea, ebbene il passo successivo, quello che Hilbert fece, fudi far<br />

vedere che se c'erano delle contraddizioni<br />

nella geometria euclidea, queste contraddizioni dovevano già<br />

esserci nell'analisi, cioè “nella teoria<br />

dei numeri reali” e allora che cosa succede? Succede quello che<br />

scherzosamente qui abbiamo indicato<br />

con uno scarica barile. Stavamo cercando di convincerci, che la<br />

geometria iperbolica non possedeva delle contraddizioni, era qualche cosa che abbiamo chiamato<br />

consistente, non l'abbiamo direttamente dimostrato, ma abbiamo fatto<br />

vedere che, se la geometria iperbolica è inconsistente, lo deve già<br />

essere anche la geometria euclidea e quindi da questo punto di vista,<br />

le due geometrie sono uguali, dal punto di vista della consistenza; poi<br />

abbiamo citato il risultato di Hilbert che, se la geometria euclidea è<br />

inconsistente, lo deve già essere l'analisi, però nessuna di queste<br />

dimostrazioni è una vera e propria dimostrazione di consistenza, è<br />

soltanto appunto uno scaricabarile, cioè dire bah, se questa è<br />

inconsistente lo è anche qualche cos'altro, se questo qualche cosa è<br />

inconsistente, a sua volta lo è qualche<br />

cos'altro, ma stiamo semplicemente spostando il problema da una<br />

parte all'altra. Bisogna, così disse Hilbert<br />

ad un certo punto, arrivare ad un punto in cui si ferma questo<br />

scaricabarile. E dove si deve fermare questo<br />

scarica barile? Bisogna arrivare ad un punto in cui direttamente<br />

si dimostra la consistenza di uno di<br />

questi sistemi, cioè o si dimostra direttamente che la geometria<br />

iperbolica è consistente, cioè non ha<br />

delle contraddizioni o si dimostra direttamente che la geometria<br />

euclidea non ha delle contraddizioni o si dimostra che l'analisi non ha delle contraddizioni o qualche<br />

cos'altro. Vedete qui ci sono dei puntini,<br />

invero abbiamo già citato altre volte il fatto che a sua volta l'analisi<br />

stessa era stata ridotta all'aritmetica, vi ricorderete appunto la lezione su Frege per esempio, dove abbiamo<br />

parlato del modo in cui si può pensare un numero reale, cioè come un insieme infinito di cifre decimali e<br />

quindi lo scaricabarile in teoria potrebbe ancora andare avanti ed arrivare all'aritmetica, ma ad un certo<br />

punto sarebbe bene fermarsi, bisogna arrivare una volta per tutte a dimostrare la consistenza dell'ultimo<br />

barile, per così dire, in modo che tutte le altre teorie che si basano su quelle, cioè l'analisi che si basa sulla<br />

aritmetica, la geometria euclidea che si basa sull'analisi, la geometria iperbolica che si basa su quelle<br />

euclidea, tutte queste teorie alla fine vengono dimostrate automaticamente essere consistenti e allora non c'è<br />

contraddizione nella matematica, dormiamo in altre parole i nostri sogni tranquilli. Bene, chi riuscì<br />

effettivamente fare questo? Beh, anzitutto perlomeno ci provò e quando lo si provò? La storia di questa<br />

avventura incominciò nel congresso di Parigi del 1900; qui Parigi ovviamente è simboleggiata con la torre<br />

Eiffel. Ricorderete che, quando abbiamo parlato in un'altra lezione di Russell, abbiamo detto che andò nel<br />

1900 a Parigi, era l'anno ovviamente di passaggio da un secolo all'altro, c'era questa grande fiera<br />

internazionale, si fece prima “un congresso di filosofia” e poi “un congresso di matematica”.<br />

111


Nel congresso di filosofia Russel scoprì Peano, incontrò Peano per<br />

l’appunto, come ricorderete e di lì nacque praticamente in quella<br />

settimana, quella che poi divenne la logica matematica, la logica di<br />

questo secolo perchè Russell fu il suo più grande propagandista. <strong>Qui</strong>ndi<br />

vedete che, in quel particolare momento, a Parigi stavano succedendo<br />

tante cose. Ebbene la settimana dopo il congresso di filosofia si tenne a<br />

Parigi il congresso di matematica che era il secondo congresso mondiale<br />

di tutti i matematici del mondo, il secondo perchè il primo è stato nel<br />

1897 a Zurigo. Che cos'era successo Zurigo? Si è invitato ad aprire il congresso, uno dei due più grandi<br />

matematici, che come ho detto erano soltanto due all'epoca, Hilbert e Poincarè e fu Poincarè colui che era<br />

stato invitato. Invece nel congresso di Parigi del 1900 fu Hilbert colui al quale fu dato l'onore e anche<br />

l'onere di aprire i lavori e di fare questa grande prolusione. Hilbert si trovò anche un pochettino<br />

nell'imbarazzo, perché ovviamente era il 1900, non poteva soltanto parlare dei suoi lavori, decise di fare<br />

qualcosa di visionario, cioè disse stiamo nel 1900, siamo nel primo anno appunto del 900, il nuovo secolo,<br />

quello che io farò è di dare, disse lui, una lista ai matematici di tutto il mondo che erano convenuti a Parigi,<br />

di darvi una lista dei più importanti problemi aperti, di quelli ch'io considero i più importanti problemi<br />

aperti, perché poi andiate a casa e invece di dire, come diceva papa Giovanni, “ dite ai vostri bambini di<br />

risolverli”, cercate voi di risolverli. In realtà questa lista di 23 problemi divenne così importante che oggi i<br />

problemi di questa lista si chiamano appunto problemi di Hilbert, perché sono associati al suo nome. Sono<br />

23 problemi che hanno in qualche modo segnato la storia della prima metà del 1900 e che i matematici<br />

tentarono di tutti molti di riuscire a risolverne qualcuno. Chiunque avesse avuto la fortuna e anche<br />

ovviamente l'abilità, la capacità di risolvere uno di questi problemi di Hilbert, sarebbe diventato e in effetti<br />

così fu per molte persone, un simbolo della matematica moderna, un genio riconosciuto. Ebbene, uno dei<br />

problemi di Hilbert, anzi il secondo problema della lista di Hilbert, fu precisamente quello della<br />

“consistenza dell'analisi”. Ovviamente qui l'abbiamo scritto con un punto interrogativo perché nel 1900<br />

questo era un problema aperto, cioè Hilbert stava dicendo: io non conosco la soluzione di questi problemi,<br />

vedete voi di lavorare tutti insieme per risolverli. <strong>Il</strong> secondo problema, che Hilbert mettendolo al secondo<br />

punto della sua lista, faceva vedere, dimostrava che era uno dei problemi più importanti che si potessero<br />

pensare, era precisamente quello della consistenza dell'analisi, cioè l'idea di dire basta con lo scaricabarile,<br />

abbiamo dimostrato la consistenza della geometria iperbolica rispetto a quella della geometria euclidea,<br />

abbiamo dimostrato la consistenza della geometria euclidea rispetto a quella dell'analisi, adesso dobbiamo<br />

dimostrare la consistenza dell'analisi non rispetto qualche cosa altra, ma rispetto a se stessa, con dei metodi<br />

che siano direttamente scientifici in qualche modo, costruttivi, che non si possono mettere in dubbio.<br />

Questo fu un grande apporto di Hilbert alla matematica, ai fondamenti della matematica. Un altro grande<br />

apporto fu di nuovo in un Congresso nel 1928 , quindi molti anni dopo il Congresso del 1900, in una città<br />

diversa che come vedete nella slide è Bologna, queste sono due famosi torri di Bologna.. Hilbert era ormai<br />

vecchio a quell'epoca, però ancora pensava ai fondamenti, ancora pensava ai problemi aperti e in particolare<br />

nel congresso di Bologna propose due importanti problemi: il primo problema era il “problema di<br />

completezza della logica ". Vi ho detto prima, che nel 1899 Hilbert<br />

dimostrò che in realtà la geometria era completa, era stato trovato un<br />

sistema di assiomi completo per la geometria, dai quali si potevano<br />

derivare tutti i teoremi di Euclide, ebbene Hilbert si chiede a questo<br />

punto nel 1928: forse esiste un sistema di assiomi che è completo per la<br />

logica? Proprio di questo ne abbiamo parlato più volte e in particolare<br />

c'era un sistema che era un po’ l'analogo, per quanto riguarda la logica,<br />

del sistema assiomatico di Euclide e poi in seguito di Hilbert, cioè era il<br />

sistema di Frege o se volete il sistema di Russel, come l'avevano poi<br />

ritrascritto Russell e Whitehead nei "principia matematica". Ora Hilbert pone il problema della<br />

completezza di questo sistema, cioè se ci sono verità logiche che non si possono dedurre dagli assiomi di<br />

Frege oppure questo sistema è completo, nel senso che tutto ciò che è vero, tutto ciò che è deducibile, si può<br />

dedurre da quegli assiomi e questo è il primo grande problema del 1928.<br />

112


<strong>Il</strong> secondo grande problema è il problema della “decidibilità<br />

della logica”, cioè è possibile decidere, data una formula della<br />

logica, se questa formula è vera o falsa, se questa formula è<br />

deducibile oppure no, dai teoremi? Ricordatevi che per la logica<br />

proposizionale la risposta a tutti e due questi problemi è una<br />

risposta positiva, la completezza della logica proposizionale era<br />

stata dimostrata nel 1921 da Post, ne abbiamo parlato quando<br />

abbiamo parlato di Wittgenstein e in particolare le tavole di<br />

verità di Wittgenstein erano precisamente un metodo di decisione<br />

della logica proposizionale, cioè se voi<br />

avete una formula della logica proposizionale, cioè fatta attraverso i<br />

connettivi, che è praticamente la logica<br />

di Crisippo, ebbene gli assiomi della logica proposizionale sono<br />

sufficienti per dimostrare tutte le verità logiche, le cosiddetti<br />

tautologie e sapere se una formula è una tautologia oppure no,<br />

si può fare facilmente usando appunto queste tavole di verità.<br />

Ebbene che cosa succede? Succede che nel 1930-1931, quindi<br />

due anni dopo soltanto il congresso di Bologna, ecco che questo<br />

signore che è Goedel, di cui abbiamo già parlato e del quale tra<br />

poco finalmente arriveremo a parlarne addirittura per due<br />

lezioni, circa i risultati più importanti della logica moderna,<br />

dimostrò anzitutto nel 1930, “la completezza della logica”,<br />

quindi risolse in modo positivo il primo problema di Hilbert del<br />

congresso di Bologna, cioè che effettivamente gli assiomi di Frege sono sufficienti per dimostrare tutte le<br />

verità logiche e questo è un primo passo, molto importante, costituisce l'analogo del risultato di Post per la<br />

logica proposizionale. Poi nel 1931 Goedel dimostra invece "l'indimostrabilità della consistenza", cioè<br />

risolve nientepodi- meno il secondo problema di Hilbert, quello vero, quello del congresso del 1900. Sono<br />

passati 31 anni e finalmente si è trovata la risposta. Qual'è la risposta:? La risposta è che “l'analisi non si<br />

può dimostrare consistente con dei metodi elementari”, nessuna teoria matematica in realtà si può<br />

dimostrare essere consistente con dei metodi elementari, in altre parole la consistenza di una teoria deve<br />

essere sempre fatta dal di fuori, bisogna usare dei metodi più forti per dimostrare la consistenza di una<br />

teoria più debole. Ed ecco che allora questo scarica barile in realtà è qualche cosa di necessario, cioè non si<br />

può arrivare alla fine e dire che lo scaricabarile si ferma qui e dimostrare direttamente la consistenza di un<br />

sistema, ma dimostrare la consistenza di un sistema significa sempre doversi appoggiare a qualche cosa di<br />

più forte. Questa è la soluzione del problema di Hilbert, cioè questo scarica barile non si può finire. Per<br />

quanto riguarda invece l'ultimo problema, al quale abbiamo appena accennato per l'appunto, che Hilbert<br />

pose nel congresso di Bologna, cioè<br />

la decidibilità della logica, questo problema fu risolto pochi anni dopo<br />

nel 1936, da questi due signori, Turing<br />

e Church. Anche a Turing,<br />

che è molto noto fra l'altro, dedicheremo<br />

una delle nostre ultime lezione, Church<br />

è uno dei logici più famosi di quegli anni, degli anni 30, tutti e due<br />

indipendentemente con due metodi<br />

diversi dimostrarono che la logica è indecidibile, stiamo parlando<br />

ovviamente della logica dei predicati. La logica di Crisippo, la logica dei proposizionale ovviamente, cioè<br />

il calcolo proposizionale, era decidibile<br />

attraverso le tavole di verità, ebbene quando si sale al livello dei<br />

predicati, non c'è nessun metodo di decisione, non c'è un procedimento meccanico che ci permette di<br />

decidere, data una formula, se questa<br />

formula è vera oppure no, se questo è un teorema oppure no. Questo è<br />

praticamente il risultato finale, dal percorso che Hilbert fece a partire dal 1899, attraverso i fondamenti della<br />

geometria fino al 1931 e '36, con grandi risultati di Goedel e Turing e così via, cioè i problemi che Hilbert<br />

pose, i problemi fondazionali che vennero posti e come gli si risolse, in maniera a volte positiva, a volte<br />

negativa, da Goedel, da Church e da Turing. L'ultima cosa appunto che posso dire sul percorso di Hilbert fu,<br />

che verso la fine della sua vita, (vedete nella slide Hilbert ormai vecchio e anche questo signore che era un<br />

suo studente che si chiamava Bernays), Hilbert e Bernays scrissero a loro volta una grande opera in due<br />

volumi, 1934 e 1939, che si chiama ”I fondamenti della Matematica”. E' l’opera che in qualche modo<br />

eredita tutta la problematica che era stata aperta da Frege, da Russell e così via e che in qualche modo<br />

chiude la storia di questo periodo, perché in questa opera confluiscono tutti questi risultati che vi ho detto, i<br />

113


isultati di Goedel sulla completezza della logica dei predicati, sui teoremi di incompletezza, sui teoremi di<br />

indimostrabilità della consistenza, sull’indecidibilità della logica e così via. E con questo abbiamo concluso<br />

questa nostra lezione sul lavoro dei fondamenti della matematica di Hilbert e vi do appuntamento alla<br />

prossima lezione ovviamente.<br />

LEZIONE 14: L’intuizione al potere<br />

La scorsa volta abbiamo parlato di un grande matematico, Hilbert e del suo ruolo sui fondamenti della<br />

matematica. Vi avevo già parlato anticipato la scorsa volta che nella prossima lezione, che adesso è<br />

diventata questa, avremmo parlato d'un altro grande matematico, che si chiama Brouwer. Brouwer era un<br />

olandese, anche lui un grande matematico, prestato in qualche modo agli studi sui fondamenti e questo<br />

Brouwer divenne in realtà il leader di un vero e proprio movimento alternativo, un qualche cosa che oggi si<br />

potrebbe chiamare un movimento di contestazione dall'interno della matematica e questo movimento di<br />

contestazione si chiamò “Intuizionismo” . La parola era derivata ovviamente dalla parola intuizione, ma il<br />

fondamento dell'intuizionismo era un fondamento filosofico, basato sulla filosofia kantiana, ecco perché<br />

abbiamo chiamato questa nostra lezione “l'intuizione al potere”; vi mando un pochettino i motti che<br />

andavano di moda, andavano d'uso negli anni 60, nel 68 quando c'era la contestazione giovanile. Si diceva<br />

la fantasia al potere, qui invece l’idea di Brouwer agli inizi del secolo era appunto l'intuizione al potere, cioè<br />

un modo nuovo per l’appunto di concepire non soltanto la matematica, ma anche la logica, prima di tutto<br />

forse la logica, da un punto di vista filosofico e fondazionale e poi di conseguenza anche un modo nuovo di<br />

concepire la matematica. Vediamo allora oggi in questa lezione che cosa significa, che cosa significò<br />

l'intuizionismo. Partiremo un pochettino da lontano, perché in realtà le problematiche che vennero sollevate<br />

da Brouwer all'inizio del 900 sono in realtà problematiche molto antiche, che affondano le loro radici, in<br />

realtà nella storia addirittura nella storia molto antica, addirittura<br />

della matematica greca e così via; questo<br />

forse lo avrete un pochettino capi to nelle nostre lezioni, che quello che succede oggi in realtà è soltanto<br />

un'immagine, un riflesso di ciò che è successo ieri e ovviamente contiene il germe, il seme come un granello<br />

di sabbia nell'ostrica, in realtà contiene<br />

la perla del futuro, cioè non c'è un distacco tra il passato, il presente<br />

e il futuro, c'è una continuità; ovviamente<br />

i problemi nascono, crescono, poi diventano maturi, si risolvono e<br />

così via, viene acquistata una nuova<br />

maturità, si conoscono nuove tecniche, insomma la storia prosegue e<br />

tutto questo era per dire che appunto<br />

andremo a curiosare di nuovo nel passato, come abbiamo già fatto<br />

molte volte, per vedere, per trovare nel passato i germi di quali sono i problemi del presente. In particolare<br />

parleremo di ciò che si chiama in matematica<br />

il “costruttivismo”, cioè questa teoria di cercare di costruire<br />

i propri oggetti. <strong>Il</strong> motto del costruttivismo è “essere” significa “essere fatti”. Non è una lezione metafisica<br />

Costruttivismo questa, dell'esistenza del costruttivismo, ma una nozione molto pratica,<br />

Essere = essere fatti cioè esiste ciò che si costruisce, esiste ciò che si fa, il resto è appunto<br />

1. in geometria fuori del mondo in qualche modo, perlomeno fuori del mondo del<br />

2. in algebra costruttivista. Noi affronteremo il costruttivismo in tre parti diverse,<br />

3. in logica naturalmente, come al solito, andremo un pochettino a volo d'uccello,<br />

accenneremo ai problemi e poi lascio a voi ovviamente la cura di andare ad approfondire queste cose;<br />

comunque dicevo, accenneremo ai problemi del costruttivismo in tre aree molto diverse, anzitutto la<br />

geometria, poi l'algebra e poi la logica. Questi sono i tre punti in cui noi abbiamo diviso la nostra lezione;<br />

però vi ricordo non c'è una grande differenza tra queste cose, perché la logica matematica è precisamente,<br />

come vi dicevo agli inizi delle lezioni, lo studio matematico del ragionamento matematico e quindi è ovvio<br />

che tutte le volte noi continuiamo a fare riferimento a ciò che è successo nel corso dei secoli nella<br />

matematica, in particolare in questo caso oggi nella geometria e nell’algebra, perché è proprio di questo,<br />

perché è proprio di ciò di cui s'interessa la logica matematica, analizzare i tipi di ragionamenti che si sono<br />

usati in matematica e questo in particolare del costruttivismo, questo particolare p.di v. del costruttivismo è<br />

precisamente uno dei nodi essenziali della logica moderna. <strong>Qui</strong>ndi vediamo questo nuovo argomento,<br />

affrontiamolo anzitutto come vi ho detto dalla geometria. Vediamo che cosa significa costruire in geometria.<br />

Ebbene, qui abbiamo una figura, la vedete qui, in realtà due figure, due strumenti che sono gli strumenti<br />

114


principali<br />

del geometra, la riga e il compasso. La geometria greca<br />

negli<br />

elementi di Euclide del quale abbiamo parlato ormai decine di<br />

volte,<br />

ebbene negli elementi di Euclide si sottolinea e per sottolineare<br />

c’è bisogno appunto di una riga, si sottolinea sempre questo fatto,<br />

che le costruzioni devono essere sempre costruzioni fatte con la<br />

riga e con il compasso. Dove arriva questa fissazione dei greci per<br />

questi<br />

due strumenti, ci sono tanti altri modi di costruire, per esempio<br />

si può<br />

fare disegno a mano libera e cosi via. Come mai i greci si<br />

fissavano<br />

sulla riga e sul compasso? Beh, l'idea di questa fissazione<br />

arriva in realtà da Platone, è un idea filosofica, l’idea che la riga e il compasso sono gli strumenti che<br />

permettono di costruire le due figure geometriche più perfette, da una parte la riga permette di costruire le<br />

rette ovviamente, però quello che interessa al geometra è l'intera cosa ed è che permettono di costruire la<br />

retta, la retta è una figura perfettamente equanime<br />

in qualche modo, è uguale in tutte le sue parti e il cerchio,<br />

anche lei, è una figura che è uguale in tutte<br />

le sue parti, però perfetta questa volta nella sua conclusione,<br />

nell'essere rinchiusa su se stessa. E allora l'idea<br />

della geometria euclidea era questa precisamente: poiché la<br />

retta e il cerchio sono le due figure più perfette<br />

che si possano immaginare, allora proprio su queste si<br />

dovranno basare le costruzioni, l'intero edificio<br />

della geometria. E allora moltissime cose che si sarebbero<br />

potute fare e che i greci sapevano come fare,<br />

usando però mezzi diversi dalla riga e dal compasso, queste<br />

rimasero fuori da questa grande summa che<br />

furono appunto gli elementi di Euclide. Euclide non raccontò,<br />

non descrisse tutta la geometria che era nota ai suoi tempi, tutta la geometria greca, lasciò fuori tutto ciò che<br />

non rientrava in questa visione platonica, in<br />

questa visione estetizzante, quasi filosofica della matematica,<br />

come basata su questi enti perfetti, riga e compasso. Vediamo più<br />

da vicino i problemi che in realtà affrontarono i greci. Anzitutto ci<br />

sono dei problemi solubili e poi parleremo di problemi insolubili. I<br />

problemi solubili ve li ho enunciati qui nella slide, ve li dico<br />

brevemente uno per uno, sono problemi che risalgono più o meno al<br />

quinto secolo a. C., circa 500-600anni a.C.; Talete fu il primo<br />

grande geometra e poi vari altri, Ippocrate, non ovviamente il<br />

medico, ma il geometra e così via. Quattro grandi problemi dei<br />

quali adesso parlerò brevemente, che poi si riflettono in quattro<br />

simili problemi che però sono insolubili; naturalmente, quando si<br />

parla di solubile o insolubile, qui io faccio riferimento<br />

semplicemente al fatto che i problemi si possono risolvere oppure no mediante gli strumenti che detto<br />

prima, cioè mediante la riga e il compasso. <strong>Il</strong> primo problema è il problema della duplicazione del quadrato,<br />

eccolo qua il quadrato, abbiamo un quadrato di un certo lato, vogliamo sapere, vogliamo costruire, in<br />

qualche modo, un quadrato che abbia un'aria doppia; ne abbiamo parlato più volte anche qui, perché questo<br />

è un problema che sta alla base della scoperta degli irrazionali, della radice di 2, ebbene come si fa a<br />

costruire un quadrato che abbia radice doppia? Basta costruire la diagonale, quindi praticamente già<br />

l’abbiamo lì. <strong>Il</strong> secondo problema è quello della costruzione del pentagono, che non abbiamo qui in figura;<br />

il pentagono regolare è una figura non semplice da costruire, se ci pensate un momentino forse così ad<br />

occhio non sapreste dire come fare con riga e compasso un pentagono regolare oppure quello che si iscrive<br />

dentro, cioè le due diagonale che formano la stella pitagorica, ebbene questa fu una delle grandi costruzione<br />

per la punto della scuola pitagorica, la costruzione di un poligono regolare, che è il poligono che viene<br />

subito dopo il quadrato, cioè quel poligono regolare con quattro lati, mentre il pentagono è un poligono<br />

regolare a cinque lati. <strong>Il</strong> problema della bisezione dell'angolo: avendo un angolo dato, come si fa a dividere<br />

l'angolo in due? Beh, questo è abbastanza semplice: si costruisce un triangolo che abbia quell'angolo come<br />

angolo al vertice e poi si tratta semplicemente di fare una costruzione abbastanza semplice, che è quella<br />

115


invece immagino potete immaginarvi da soli, per dividere in due questo angolo. L'ultimo problema è<br />

invece un problema un po' meno intuitivo, il problema di riuscire a costruire un quadrato che abbia la stessa<br />

area di una figura che non è nemmeno coi lati regolari, cioè non è nemmeno un poligono, diciamo, ed è una<br />

figura curvilinea come questa che si chiama lunetta. Una lunetta semplicemente è la parte di piano che è<br />

compresa<br />

fra due archi di cerchio, naturalmente cerchi con raggi diffidenti. Ebbene, la grande scoperta di<br />

questo<br />

signore, Ippocrate, che ho citato poco fa, fu appunto proprio questa, cioè che era possibile quadrare,<br />

era possibile costruire con righe e compasso dei quadrati che avessero la stessa<br />

area di particolari lunette e<br />

allora che cosa successe? Successe immediatamente che i greci<br />

proposero alcuni altri problemi che però rimasero aperti per secoli,<br />

per millenni addirittura, perché, come vedete qui, questi sono<br />

problemi insolubili, che furono dimostrati essere insolubili, nel<br />

secolo diciannovesimo. Esattamente come prima ripassiamo<br />

brevemente questi quattro problemi, che corrispondono riga per<br />

riga ai precedenti. <strong>Il</strong> primo ricordate era la duplicazione del<br />

quadrato; ebbene, qui c'è il problema analogo di duplicazione del<br />

cubo, ne abbiamo già parlato una volta, questo è il problema<br />

famoso dell'oracolo di Delo. Come si fa a costruire mediante riga e<br />

compasso un cubo che abbia o meglio un segmento che sia il lato<br />

d'un cubo che abbia il volume doppio d'un cubo dato? Ebbene, questo non è possibile farlo, però si dimostrò<br />

che non era possibile farlo soltanto nel secolo diciannovesimo. Notate che i problemi sono molto simili, in<br />

un caso è coinvolta la radice quadrata di 2, nell’altro caso la radice cubica di 2, la radice quadrata di 2 si può<br />

costruire con righe e compasso, la radice cubica no. La costruzione dell'ettagono: l’ettagono è di nuovo un<br />

poligono regolare con sette lati questa volta, ebbene l’esagono è molto facile farlo, basta dividere insomma<br />

in qualche modo un triangolo regolare, un triangolo equilatero in due parti, si costruisce l'esagono regolare<br />

in maniera molto semplice. L'ettagono invece non riuscirono a farlo e per un motivo molto semplice per cui<br />

non uscirono a farlo, non si poteva fare con riga e compasso, ma il fatto che non si potesse fare, di nuovo, si<br />

dovette attendere il 1800. Trisezione dell'angolo: un problema similissimo a quello di prima; come si fa a<br />

dividere un angolo in due? Beh, si fa una piccola costruzione e lo si divide in due parte uguali. Ebbene,<br />

come si fa a dividere in tre? Non c'è modo di farlo con riga e compasso. E da ultimo il problema più famoso<br />

di tutti i problemi insolubili e insoluti dei greci, che era per l’appunto, il problema della quadratura del<br />

cerchio. Nel momento in cui si trova che è possibile trovare un quadrato equivalente a certe figure<br />

curvilinee, cioè certi archi di cerchio, viene subito l'idea che, se insomma, invece di lunette, si considera il<br />

cerchio intero, che cosa succede? Ebbene anche questo, il problema della quadratura del cerchio fu<br />

dimostrato nel 1800 essere un problema irresolubile; quando si parla di irresolubile e insolubile, mi<br />

raccomando e sottolineo questo fatto, significa che non lo si può risolvere con certi mezzi, cioè in questo<br />

caso particolare con la riga e con il compasso. Questa era la prima parte, diciamo così, di questa carrellata<br />

sul problema della costruibilità, che<br />

in geometria, l'idea della costruibilità era di costruire con riga e<br />

compasso.<br />

Molte cose si possono fare, abbiamo visto, altre non si possono fare e questo è dividere in due i<br />

risultati di possibili teoremi della geometria fra fattibili e non fattibili, tra costruibili e non costruibili.<br />

<strong>Il</strong> secondo tipo di argomento che oggi tratteremo è invece il problema dell'algebra. In algebra ci sono<br />

equazioni, il problema lì è di trovare delle formule che usino le radici, il famoso problema di soluzione di<br />

equazioni attraverso formule che usino soltanto radicali cosiddetti, per questo in maniera un po' scherzosa<br />

abbiamo qui fatto una figura di radici che ovviamente non sono<br />

proprio quelle matematiche. Anche qui la storia è parallela a<br />

quella precedente; ci sono equazioni risolubili attraverso i radicali,<br />

ci sono equazioni che non sono risolubili. Vediamo brevemente le<br />

equazioni risolubili. Io ho detto 16° secolo, cioè 1500, ma<br />

ovviamente il primo caso delle equazioni di secondo grado non<br />

l’ho nemmeno preso in considerazione, ovviamente sono<br />

equazioni che si sapeva già dall'antichità come risolverle. La<br />

famosa formula per la risoluzione delle equazioni di secondo grado, è una formula che tutti voi ricorderete<br />

116


mi immagino e questa formula era infatti<br />

già nota nell'antichità, 2000 anni a.C. dai babilonesi addirittura. <strong>Il</strong><br />

problema successivo, le equazioni di terzo<br />

grado, è un problema molto complicato e infatti ancora oggi si<br />

dice “mi fa un terzo grado” oppure quando si va dalla polizia, si<br />

viene arrestati, i poliziotti fanno un terzo grado. Come mai<br />

quest'espressione terzo grado? <strong>Il</strong> terzo grado deriva proprio da<br />

qui, dal fatto che l’equazioni terzo grado fosse molto difficile da<br />

risolvere e fu risolta da questo signore sulla sinistra che si<br />

chiama per l’appunto Tartaglia e anche da un altro, Cardano,<br />

forse questo qui è Cardano adesso non lo so, perché ovviamente<br />

tutti questi personaggi si perdono nella notte dei tempi, 1500. E<br />

subito dopo, immediatamente dopo questo signor Ferrari, che<br />

era allievo di Cardano, che invece è questo signore sulla destra, o per lo meno raffigurato in maniera<br />

analoga sulla destra, ebbene, trovò una formula per la soluzione delle equazioni di quarto grado. <strong>Qui</strong>ndi<br />

verso la fine del 1500, del sedicesimo secolo, si era in possesso di formule per la soluzione do equazioni di<br />

tutti i gradi fino al quarto compreso, 1°, 2°, 3° e 4°. Si poteva ovviamente immaginare che formule più<br />

complicate avrebbero permesso di risolvere equazioni più complicate, di grado più complicato. Vediamo<br />

che cosa succede. E analogamente a quello che è successe per i problemi di geometria, in cui molti problemi<br />

erano risolubili con riga e compasso e poi però problemi molto simili a prima vista erano invece impossibili<br />

da fare, i greci non riuscirono e poi i matematici dell'800 dimostrarono che non si potevano risolvere con<br />

riga e compasso, analogamente anche qui nel algebra ci fu una situazione simile, cioè sempre nel 1800, nel<br />

secolo diciannovesimo, si dimostrò che c'erano dei tipi di equazioni irresolubili, in particolare questi signori<br />

che sono qua, Ruffini e Abel, Ruffini è un italiano di fine 700 e Abel invece è un norvegese di inizio 900,<br />

che morì molto giovane, sotto i trent'anni,<br />

verso i 25- 30 anni, ebbene dimostrarono che non era possibile<br />

trovare delle formule per la risoluzione<br />

dell'equazione generale di quinto grado, formule che invocassero<br />

soltanto i radicali, delle radici per l’appunto,<br />

così come l’equazione di secondo grado si può risolvere con<br />

radici quadrate. Non era possibile nel senso che non finora non lo<br />

si era fatto, perché questo lo sapevano tutti che non c'erano<br />

formule che facessero risolvere le equazioni in generale di quinto<br />

grado, ma dimostrarono che non solo non c'erano, ma che non si<br />

sarebbero potute trovare, queste formule non esistevano<br />

semplicemente. E questo diede inizio a una parte fondamentale<br />

dell'algebra moderna che si chiama per la punto “la teoria dei<br />

gruppi”. Le basi di questa teoria furono gettate da questo signore<br />

che si chiama Evarist Galois, anche lui morì giovanissimo, a 22<br />

anni, in un duello. Questo signore portò avanti i risultati di Ruffini e Abel, dimostrò che non soltanto<br />

l'equazione generale di quinto grado non era risolubile, ma costruì, trovò quello che si chiama un criterio di<br />

risolubilità, cioè data una qualunque equazione di qualunque grado, a volte ovviamente qualche anche<br />

5<br />

equazione di quinto grado è risolubile, ad esempio x – 1=0 si può ovviamente risolvere, perché una delle<br />

sue soluzioni è semplicemente uno, però l'equazione della quinta in generale non ammette una formula<br />

risolutiva con radicali, Galois descrisse esattamente quali erano le equazioni che avevano una formula<br />

risolutiva e quali invece non l’avevano. In qualche modo si concluse, in questo modo, il problema della<br />

costruibilità nell'algebra moderna. Fin qui abbiamo già parlato praticamente di due argomenti, la<br />

costruzione, il costruire qualcosa in geometria con le mani praticamente, con riga e compasso e l'analoga<br />

costruzione di fare la stessa cosa questa volta in algebra, dove costruire significa trovare delle formule che si<br />

possano maneggiare con le mani, cioè formule che facciano intervenire le radici, i cosiddetti radicali.<br />

Ora passiamo al terzo argomento, che è quello ovviamente che ci interessa più da vicino, cioè la<br />

3. Logica costruibilità in logica. In logica che cosa si fa? Si fanno<br />

dimostrazioni non costruttive dimostrazioni soltanto, non ci sono equazioni, non ci sono<br />

esistere = impossibile non esistere figure geometriche, ci sono dimostrazioni. E allora cosa<br />

vuol dire “dimostrazione non costruttiva” in logica e poi ovviamente poiché la logica è lo strumento della<br />

matematica, in matematica in generale?Ebbene quando si dice che un teorema ha dato una dimostrazione,<br />

117


per esempio di esistenza non costruttiva, significa che non si è dimostrato che l'ente di cui si sta parlando,<br />

per esempio non lo so, un poligono, un certo oggetto matematico esiste, non si è dimostrato che esiste<br />

facendolo vedere dicendo eccolo qua, tu volevi sapere se c'era un oggetto fatto in questo modo e io te lo<br />

costruisco e alla fine della costruzione ce l’hai di fronte. Si dimostra che l'oggetto esiste facendo una<br />

dimostrazione indiretta, dimostrando che è impossibile che non esista. Ora questa non è appunto una<br />

dimostrazione diretta che fa vedere la costruzione dell'oggetto, ma dimostra soltanto che da un punto di vista<br />

logico ci sarebbe una contraddizione se uno suppone, supponesse che quest'oggetto non esistesse. Ora capite<br />

che questo è un modo un po' convoluto, un po' indiretto di mostrare le cose e non tutti furono convinti; a<br />

volte quando si trovano delle dimostrazioni<br />

di esistenza non costruttive queste lasciano un pochettino il<br />

sapore amaro in bocca, cioè sembra che<br />

ci sia stato un trucco, cioè non si è fatto vedere che cos’è<br />

quell'oggetto che si voleva invece vedere,<br />

si è dimostrato che non può non esistere, dimostrazione appunto<br />

in diretta. Vi faccio tre esempi brevemente<br />

per farvi capire che tipo di dimostrazioni si fece, notate le date. <strong>Il</strong><br />

primo esempio che faccio è del 1873. Cantor<br />

di cui abbiamo parlato più volte, inventore della teoria degli<br />

insiemi, dimostra nel 1873 l'esistenza di “numeri trascendenti”; che cosa vuol dire trascendenti, non è<br />

Cantor molto im portante nel nostro discorso in questo momento, comunque<br />

(1873) per chi lo vuole sapere, si può semplicemente dire che sono dei “numeri<br />

Numeri trascendenti reali che non sono soluzioni di equazioni algebriche”. Equazione algebrica<br />

significa che un polinomio con dei coefficienti<br />

interi, si pone il polinomio uguale a zero, questo polinomio<br />

avrà certe radici, ebbene queste radici si chiamano “numeri reali algebrici”, cioè che derivano dall'algebra,<br />

da delle equazioni algebriche. Ci sono tantissimi numeri che non sono soluzioni di equazioni algebriche<br />

appunto, questi numeri si chiamano “numeri trascendenti”. Cantor non fu il primo matematico che dimostrò<br />

che questi numeri trascendenti esistevano, il primo matematico fu Liouville. Liouville fece effettivamente<br />

quello che dicevo prima, cioè costruì a mano un numero, che fece vedere, disse questo è il numero con<br />

queste cifre e adesso vi dimostro che questo numero è trascendente. Ebbene, nel 1873 Cantor dà una<br />

dimostrazione indiretta dell'esistenza di numeri trascendenti. Come fece a farlo? Fece in questo modo,<br />

dimostrò anzitutto che i numeri reali sono infiniti, dimostrò che i numeri algebrici sono anche loro infiniti,<br />

ma dimostrò che i due infiniti dei numeri algebrici e dei numeri reali in generale sono diversi, cioè di numeri<br />

algebrici ce n'è pochi, cioè ce n'è un'infinità più piccola possibile, c’è ne tanti quanti i numeri interi e i<br />

numeri reali invece ce ne sono tanti, sono sempre infiniti, ma di un'infinito maggiore e allora è chiaro che se<br />

i numeri algebrici sono infiniti, ma di un'infinito piccolo e numeri reali sono infiniti, ma di un'infinito<br />

grande, quasi tutti i numeri reali non saranno algebrici, saranno trascendenti. Questa è una dimostrazione per<br />

l’appunto indiretta, fa vedere che ci sono tanti numeri trascendenti, ma non ne fa vedere nessuno, dimostra<br />

semplicemente che insomma devono esistere, devono esserci numeri di questo genere. Questo fu una<br />

dimostrazione molto importante perché completamente diversa da quella di Liouville originale dell'esistenza<br />

di numeri trascendenti.<br />

Un altro teorema molto famoso che fu dimostrato nel 1888, quindi vedete sempre in questi anni, da Hilbert,<br />

che abbiamo già conosciuto per bene, abbiamo dedicato a lui l'intera scorsa lezione si chiama “teorema della<br />

base”. Ovviamente qui scherziamo, abbiamo vestito Hilbert da giocatore di baseball, però la base di cui<br />

parlava Hilbert non era ovviamente una basa su cui lui doveva planare con i suoi piedi per conquistarla,<br />

era<br />

un teorema che dimostrava, per l’appunto, che data una insieme di polinomi, questo insieme di polinomi<br />

aveva una base finita nel senso, esattamente come nella<br />

geometria, come se ci fossero un numero di dimensioni finite,<br />

però dimostrava l'esistenza della base, senza far vedere come era<br />

costruita questa base. Questa dimostrazione fu attaccata, perché<br />

mentre nel caso precedente di Cantor l’esistenza dei numeri<br />

trascendenti era già stata dimostrata, quindi c'erano degli esempi<br />

concreti, nel caso di Hilbert l’esistenza di questa base non solo<br />

non era stata dimostrata prima, ma era uno dei grandi problemi<br />

aperti della matematica e il fatto che Hilbert dimostrasse in questo<br />

modo indiretto l'esistenza di questa base<br />

e notate con una dimostrazione di una sola paginetta, beh, questo<br />

diede molto fastidio a tutti i matematici, per esempio Croeneker, il famoso costruttivista dell'epoca, che<br />

118


avevano cercato di risolvere questo problema; trovarono che la dimostrazione di Hilbert era in realtà un<br />

trucco; qualcuno disse addirittura questa non è matematica, questa è teologia, questo lo dissero proprio a<br />

quell'epoca, verso la fine dell'800, i matematici<br />

rivali di Hilbert. E quindi Hilbert introdusse questo nuovo<br />

metodo di dimostrazioni in algebra.<br />

Un altro risultato molto importante, che fu dimostrato qualche anno dopo, come vedette 1910, fu dimostrato<br />

da Brouwer, il teorema cosiddetto del punto<br />

fisso. <strong>Qui</strong> ho messo una pallina da tennis, non perché<br />

continuammo<br />

a scherzare, ma perché uno dei risultati, uno dei modi<br />

di enunciare,<br />

per esempio il teorema del punto fisso di Brouwer, è<br />

per l’appunto quello di dire che se prendiamo una palla da tennis,o<br />

palla<br />

pelosa, ma anche la nostra testa ma noi in genere non abbiamo<br />

i capelli<br />

dovunque, sulla faccia non abbiamo i capelli, perlomeno<br />

sulla fronte eccetera, ebbene se noi prendiamo una palla che abbia<br />

peli dovunque e cerchiamo di pettinare questa palla, se la pettiniamo<br />

in maniera uniforme ci deve essere almeno un punto che non si viene<br />

mosso; per esempio, se nel caso invece di avere una palla da tennis,<br />

avessimo la terra, per esempio con i venti che fossero sulla terra,<br />

ebbene se questi venti fossero in maniera regolare dovunque sulla<br />

terra, ci deve essere almeno un punto in cui i venti soffiano in maniera perpendicolare alla superficie, cioè ci<br />

deve essere almeno un tornado. Queste sono tipiche applicazioni del teorema del punto fisso di Brouwer;<br />

non ci importa qui dare una definizione precisa,un enunciato preciso del teorema del punto fisso, quello che<br />

c'importa è che Brouwer dimostrò l'esistenza di questo punto fisso, che nel caso della palla da tennis è il<br />

punto in cui bisogna fare il cerchio e infatti anche noi quando in genere ci pettiniamo abbiamo un punto<br />

sulla testa attorno al quale andiamo, oppure il ciclone per l’appunto. Ebbene, l'esistenza di questo punto<br />

fisso veniva dimostrato da Brouwer in maniera non costruttiva, in maniera indiretta. E questo provocò uno<br />

scandalo, in particolare insomma si incominciò a credere che la matematica stava andando in una direzione<br />

che non era quella giusta, stava prendendo<br />

una brutta strada come si dice di alcuni ragazzi che non fanno ciò<br />

che dovrebbero fare; in particolare si creò questa scuola alla quale ho alluso agli inizi, questa scuola che in<br />

realtà è il prodotto, l’opera nientepopodimeno<br />

che il signor Brouwer, cioè lo stesso matematico che nel 1910<br />

dimostra questo suo grande teorema per il quale ancora oggi viene ricordato, ad un certo punto si pente,<br />

dice, ma io in fin dei conti ho peccato, ho fatto questo teorema in maniera non costruttiva, non è il modo<br />

giusto di farlo, devo creare una filosofia<br />

della matematica che la pensi diversamente. Qual'è l'idea<br />

fondamentale dell'intuizionismo per l’appunto<br />

sul quale si basa la filosofia di Brouwer? Ebbene, l'idea<br />

dell’intuizionismo di Brouwer, un matematico<br />

che fa pienamente parte a tutti titoli del ‘900 , le cui date di<br />

nascita e di morte sono appunto 1881 e 1966, è quella che abbiamo, in qualche modo, abbiamo<br />

raffigurato qui con questo grande<br />

occhio, perché l'idea dell'intuizionismo è che si deve credere soltanto a ciò che si vede, naturalmente ciò che<br />

si vede, siamo in matematica, non è che lo si possa vedere con l'occhio fisico, lo si vede con l'occhio della<br />

mente, cioè Brouwer non era proprio un costruttivista di quelli che dicevano, ah, soltanto quello che si può<br />

costruire in qualche modo diretto, lo si può fare, cioè si poteva in qualche modo usare i sensi o i sensi estesi<br />

dell'intelletto, però non si potevano fare dimostrazioni come quelle che ho detto prima, dimostrazione di tipo<br />

indiretto. Anzi vi faccio vedere subito quali sono le conseguenze di questa filosofia, cioè di accettare<br />

soltanto ciò che si può toccare con mano in qualche modo, con la mano appunto dell'intelletto, cioè col<br />

risultato di questa filosofia si rifiutano molte cose di ciò che invece i matematici fino all'epoca<br />

avevano accettato in maniera quasi indolore.<br />

119


Ed ecco qui i rifiuti, questo nella slide è Brouwer, che sta portando<br />

via un cestino pieno di rifiuti di cose della matematica che lui non<br />

accetta e i tipici rifiuti che vengono associati con questa filosofia<br />

dell'intuizionismo, del costruttivismo, sono i seguenti, li guardiamo<br />

brevemente uno per uno: terzo escluso, doppia negazione e le<br />

dimostrazione non costruttiva. Cominciamo col terzo escluso; questa<br />

è una nostra vecchia conoscenza, ricorderete da quando abbiamo fatto<br />

la lezione su Aristotele, che il “principio del terzo escluso” insieme al<br />

“principio di non contraddizione” era praticamente la base della<br />

logica classica. <strong>Il</strong> principio del terzo escluso dice che se noi abbiamo una proprietà, questa proprietà, cioè<br />

una affermazione, una formula A , questa proprietà o è vera o è falsa, cioè o A accade, deve valere oppure<br />

accade la sua negazione. Ebbene, Brouwer dice io non vedo per quale motivo debba valere o l’una o l’altra;<br />

o tu mi dimostri che vale una, o tu mi dimostri che quella non vale, cioè vale la sua negazione, ma mi devi<br />

dimostrare una delle due cose, io non posso accettare a priori che valga l’una o valga la sua negazione e<br />

quindi la logica di Brouwer, la logica intuizionista rifiuta questo principio del terzo escluso. La “legge della<br />

doppia<br />

negazione”, stessa storia; nella logica classica deriva dal terzo escluso il fatto che valga la legge della<br />

doppia<br />

negazione, cioè una doppia negazione afferma; ebbene Brouwer dice io questo non lo credo, perché<br />

una doppia negazione dice semplicemente che, se io suppongo che non sia vero qualche cosa e alla fine<br />

faccio una dimostrazione, ottengo una contraddizione, non derivo dal fatto che dalla negazione di una<br />

proposizione ho derivato una contraddizione, il fatto che la proposizione sia vera, derivo soltanto che ho<br />

dimostrato una contraddizione della sua negazione, cioè una doppia negazione e la doppia negazione nella<br />

logica intuizionista non coincide con l’affermazione. Ecco due principi basilari, cioè “il terzo escluso” e “la<br />

doppia negazione” che valevano nella logica classica e non valgono più nella logica intuizionista, cioè la<br />

logica intuizionista si chiude in qualche modo a riccio, non accetta queste cose. E naturalmente ovviamente,<br />

perché questo è il punto di partenza, non accetta nemmeno le dimostrazioni di esistenza non costruttive, in<br />

particolare rifiuta la dimostrazione del teorema del punto fisso di Brouwer, che Brouwer stesso aveva dato.<br />

Sembra quasi darsi un po’ la zappa sui piedi; però notate negli anni 30 il teorema di Brouwer fu poi<br />

dimostrato in maniera costruttiva; effettivamente quando si da una dimostrazione costruttiva di un teorema,<br />

ovviamente ci sono più informazioni, si dice di più di quando di quando si da soltanto una dimostrazione<br />

non costruttiva, quindi l’intuizionismo è qualche cosa di più restringente, di più esigente, vuole di più di<br />

quello che non voglia semplicemente la logica classica. Bene, vediamo un pochettino, visto che abbiamo già<br />

parlato di alcuni dei grandi personaggi della logica moderna, vediamo più da vicino come vedevano questi<br />

personaggi, in particolare Frege, Hilbert e Brouwer il problema dell’esistenza degli enti matematici.<br />

Esistenzialismi a confronto <strong>Qui</strong> ho parlato di esistenzialismi a confronto, non nel senso<br />

realismo(Frege) dell’esistenzialismo della filosofia esistenziale, per esempio<br />

formalismo(Hilbert)<br />

di Sartre o di altri, ma nel senso di esistenza in matematica.<br />

intuizionismo(Brouwer) Che cosa significa esistere per Frege, per Hilbert e per<br />

Brouwer. I nomi di filosofie esistenzialiste, che vanno a braccetto con questi nomi, sono rispettivamente il<br />

Realismo per Frege, il Formalismo di cui abbiamo parlato la scorsa volta in una lezione dedicata ad Hibert e<br />

l’Intuizionismo di cui stiamo parlando oggi di Brouwer. Vediamo più da vicino, allora, che cosa significa<br />

innanzi tutto per Frege il Realismo? Dire che qualche cosa esiste; beh, il che significa la cosa più ovvia del<br />

mondo in qualche modo, cioè significa dire<br />

che esiste ciò che c'è; voi direte che bella scoperta, certo che<br />

Frege altro potrebbe esistere,<br />

se non ciò che c'è, ma il problema di dire che esiste ciò<br />

esiste ciò che c’è che c'è, significa in questo c'è, dire in realtà che c'è un mondo eterno, c’è un mondo<br />

in questo caso di oggetti matematici, ma<br />

nel caso della fisica di oggetti fisici, c’è una realtà esterna e<br />

l'esistenza è qualche cosa che ha a che vedere con la realtà, cioè quando si fanno delle affermazioni di<br />

natura esistenziale, quando si dice qualche cosa esiste, si sta dicendo una frase del linguaggio ovviamente, la<br />

cui verità però ovviamente dipende da come<br />

è fatto il mondo, quindi si fa in qualche modo riferimento al<br />

mondo esterno, si appoggia il linguaggio, la sintassi alla semantica e si fa un qualche cosa che non permette<br />

alla logica di essere autonoma, cioè si fa riferimento appunto a qualcosa di fuori. Ricordiamoci che<br />

Realismo per Frege significa dire che esiste ciò che c'è in un mondo platonico praticamente, in un mondo in<br />

120


cui esistono effettivamente gli oggetti matematici. È chiaro che Frege non pensava, non credeva, che gli<br />

oggetti matematici avessero lo stesso tipo di esistenza degli oggetti fisici, cioè che li si potesse toccare con<br />

le mani, però credeva effettivamente che avessero delle proprietà analoghe, che la matematica, il senso della<br />

matematica, l'intuizione, la ragione fossero dei modi per arrivare a conoscere, a capire, a vedere, diciamo<br />

così, gli oggetti di un mondo che era un mondo platonico, il mondo delle idee che stava lì, ma che aveva una<br />

sua esistenza indipendente da noi.<br />

Vediamo invece il formalismo di Hilbert. Hilbert, nel caso dell'esistenza, sosteneva che esiste ciò che può<br />

Hilbert<br />

esserci. Notate che è un approccio, un modo di vedere le cose<br />

esiste ciò che può esserci<br />

proprio diverso dal di dire che esiste ciò che c'è. Esiste ciò che<br />

può esserci significa, bah, noi ciò che c’è<br />

non sappiamo, anzi non crediamo almeno che ci siano queste cose,<br />

che per Hilbert che non era, appunto un platonista, non è che ci fosse un mondo di oggetti matematici lì,<br />

che noi dovevamo semplicemente andare<br />

a giudicare, esiste ciò che può esserci significa che la matematica<br />

dev’essere consistente, non ci devono essere contraddizioni. Tutto ciò che non è contraddittorio, in altre<br />

parole che potrebbe esserci, se ci fosse<br />

la possibilità di costruire tutti i mondi possibili, dei quali vi<br />

ricorderete aveva già parlato Leibniz, ebbene ciò che c'è in un mondo possibile per un matematico questo<br />

esiste. In altre parole per Hilbert non c'è un solo mondo, il mondo platonico come c'era per Platone per<br />

l’appunto e come c'era anche per Frege,<br />

ma ci sono tanti mondi, sono i mondi possibili, sono i mondi che il<br />

matematico costruisce, l'unica richiesta<br />

che si può fare, si deve fare a un matematico, è di costruire dei<br />

mondi che siano consistenti, cioè di costruire una storia ben fatta in altre parole, la stessa cosa della<br />

letteratura realista, della lettura verista nel campo dell'arte, cioè possono esserci ovviamente racconti<br />

fantastici, però a volte nei racconti fantastici si introducono delle leggi che non sono quelli della nostra<br />

fisica, del nostro mondo; se però voi fatte un racconto verista invece e semplicemente costruito mondo che<br />

magari non è quello che veramente è esistito, non tutti i racconti realistici, sono racconti storici, che<br />

raccontano ciò che è effettivamente esistito nel mondo, però se sono delle storie possibili perché in realtà<br />

raccontano mondi che non sono magari mai stati, ma che avrebbero potuto essere, per il matematico questo<br />

è sufficiente. E quindi voi capite che in questo caso si passa dal problema dell'adeguatezza tra linguaggio e<br />

mondo esterno, si passa semplicemente a qualche cosa che è puramente interno al linguaggio, per Hilbert<br />

l'importante era che non ci fossero delle contraddizioni. E ricorderete dalla scorsa lezione, che abbiamo<br />

appunto dedicato a Hilbert, che il problema della consistenza era precisamente uno dei grandi problemi che<br />

Hilbert pose sul tappeto fra i suoi 23 problemi, nel congresso famoso di Parigi del 1900. <strong>Il</strong> secondo<br />

problema richiedeva la consistenza dell'analisi, ricorderete, brevemente per dirvi due parole su quello che<br />

abbiamo fatto la scorsa lezione, che si era pensato alla geometria iperbolica, la geometria iperbolica era<br />

consistente rispetto a quella euclidea, c'era un modello della geometria iperbolica in quella euclidea, la<br />

geometria euclidea era consistente rispetto all'analisi, sono tutti i mondi possibili, mondi in cui se c'è una<br />

contraddizione in uno allora automaticamente c'è negli altri; però Hilbert voleva sapere se nell'analisi non<br />

c'erano contraddizioni, di modo che tutti questi mondi sarebbero diventati automaticamente e<br />

simultaneamente tutti possibili allo stesso tempo e per il matematico sarebbe stato sufficiente. Infatti questo<br />

è poi l'atteggiamento che, molti di noi, ancora oggi hanno della matematica, nessuno più pensa come<br />

pensava Euclide e come pensavano ancora forse fino agli inizi dell'800 i geometri, che l'unica vera<br />

geometria sia quella euclidea, ma oggi si pensa, nel caso che non sia quella euclidea, che bisogna misurare il<br />

mondo per vedere qual è quella giusta perché bisogna scegliere tra le varie geometrie. La geometria euclidea<br />

serve in certi casi, la geometria iperbolica serve in altri casi, ce ne sono tante altre di geometrie, quella<br />

riemaniana alla quale abbiamo accen nato in una delle scorse lezioni, che poi servì ad Einstein per costruire<br />

la sua relatività generale, ebbene tutte queste geometrie sono geometrie alternative, sono mondi possibili,<br />

l'unica cosa che interessa al matematico è che non ci siano contraddizioni, cioè esistenza in questo caso<br />

significa che esiste ciò che può esserci. E l'ultima filosofia dell'esistenza, alla quale accenniamo quest'oggi,<br />

è la filosofia appunto dell'intuizionismo, la filosofia di Brouwer, che si può indicare dicendo che esiste ciò<br />

che costruiamo; quindi non si fa più tanto riferimento al mondo esterno, certamente non si fa riferimento<br />

Brouwer soltanto alla consistenza, perché ciò che può esistere in realtà, la<br />

esiste ciò che costruiamo dimostrazione di esistenza non è una dimostrazione in generale<br />

costruttiva, Brouwer voleva mettere sue mani, diciamo così, sui fatti concreti, cioè per lui esistevano le cose<br />

121


che si potevano costruire. Si potrebbe dire, forse, parlando di ciò di cui abbiamo parlato agli inizi di questa<br />

lezione, che nel campo della geometria per Brouwer, se per lui gli unici strumenti fossero stati quelli per<br />

l’appunto della riga e del compasso , allora sarebbero esistiti, per esempio i quadrati, sarebbero esistiti i<br />

pentagoni, sarebbero esistiti gli esagoni,<br />

ma non gli ettagoni, perché i poligoni regolari a sette lati non si<br />

potevano costruire oppure per esempio,<br />

si poteva fare la bisezione dell'angolo, è possibile fare la posizione<br />

dell'angolo, ma non si può fare la trisezione<br />

dell'angolo, il terzo di un angolo non esiste, perché non lo si può<br />

costruire con riga e compasso. Capite che è come legarsi le mani, cioè decidere di fare soltanto le cose che si<br />

possono fare a mano, per l’appunto con<br />

mezzi costruttivi. Questo è in punto di vista, è un punto di vista che<br />

all'epoca quando per l’appunto Brouwer<br />

lo incominciò ad esporre e a predicare, perché queste cose poi<br />

acquistano questo sapore a volte anche<br />

un pochettino mistico e religioso, dicevo, agli inizi del ‘900 fu<br />

attaccato molto spesso dai matematici,<br />

poi lo si è molto meno attaccato, perché oggi noi parliamo attraverso<br />

questa macchina qua, cioè attraverso i computer, molta della matematica si fa attraverso i computer,<br />

ovviamente costruttivo oggi significa che si può fare al computer, ciò che il computer non può fare è per noi<br />

in realtà un pochettino fuori della nostra portata e quindi l’intuizionismo è diventato una filosofia importante<br />

per la matematica odierna e soprattutto per l’informatica e infatti, stranamente, se voi andate nei<br />

dipartimenti di matematica, quando si insegna la logica, in genere si insegna la logica classica, se voi andate<br />

nei dipartimenti di filosofia si insegna la logica aristotelica, eccetera, forse si arriva fino a Frege, a Goedel,<br />

insomma, ma non molto oltre, se andate invece nei dipartimenti di informatica si insegna per l’appunto la<br />

logica intuizionista, la logica di Brouwer, quindi vedete anche nella logica, in realtà, ci sono tanti modi, tanti<br />

aspetti, tante famiglie diciamo così e ciascuno si segue la sua, perché ci sono applicazioni diverse. Però c'è<br />

ancora una cosa dire per quanto riguarda questo problema del<br />

costruttivismo e questa cosa tanto per cambiare, ormai l'avrete<br />

capito, l’ha detto tutto lui, l’ha fatta Goedel.Goedel finalmente,<br />

vedete qui, la faccia ormai la conoscete da lungo tempo, perché<br />

ne abbiamo parlato 100 volte e presto appunto, come vi ho già<br />

annunciato precedentemente, faremo due lezioni su Goedel.<br />

Ebbene, dicevo, Goedel questa volta non è il risultato del 1930,<br />

non è il risultato del 1931, è un risultato diverso del 1933,<br />

Goedel dimostra che c’è un modello intuizionista della logica<br />

classica; esattamente come nel caso della geometria era<br />

possibile fare un modello euclideo della geometria iperbolica e quindi scaricare tutti problemi della<br />

geometria iperbolica su quella euclidea, in questo caso è possibile fare un modello intuizionista della logica<br />

classica, attenzione non il contrario e cioè, in altre parole, se la logica classica è contraddittoria, cioè se<br />

Brouwer aveva paura che la logica classica fosse contraddittoria e quindi restringeva i suoi mezzi soltanto<br />

alle dimostrazioni costruttive, ebbene Goedel gli dice stai attento, perché se la logica classica<br />

è<br />

contraddittoria anche la tua logica lo deve già essere, quindi in qualche modo il problema della<br />

contraddizione viene spostato dalla logica classica alla logica intuizionista. E questo, in qualche modo, è per<br />

l’appunto, non dico una debacle, ma un certo risultato negativo per Brouwer, perché Brouwer si restringeva,<br />

aveva cercato di fare questa sua filosofia, che come vi ho detto predicava anche in maniera molto vigorosa,<br />

perché credeva che ci fossero dei veri problemi nella logica classica, diceva l'unico modo per salvarsi dai<br />

problemi, per salvarsi le spalle, per così dire, dai problemi della logica classica è quello di fare la sua logica,<br />

cioè mettersi nell'ambito della logica intuizionista. Goedel gli fa vedere che in realtà non è così, perché se<br />

c'erano dei problemi, se c'erano delle inconsistenze nella logica classica, nella matematica, in realtà, più in<br />

generale nella matematica classica, in realtà queste inconsistenze, queste contraddizioni si devono già<br />

riflettere nella logica intuizionista e quindi questo modo di pararsi le spalle non è poi così importante.<br />

Vedia mo meglio, un po' più da vicino che cosa dice il teorema di Goedel, questo nuovo teorema di Goedel<br />

del ’33; dice che appunto che “se la matematica classica è inconsistente, lo deve già essere anche quella<br />

Se la matematica classica è inconsistente intuizionista”. E’ per quello che ho detto poco fa<br />

lo è anche quella intuizionistica l'intuizionismo non è una difesa così grande rispetto<br />

ai problemi della logica moderna e d'altra parte se volete invece rienunciare questo teorema di Goedel in una<br />

maniera pochettino diversa, moderna, si può dire che “ciò che è vero classicamente non è falso in<br />

122


intuizionisticamente”. Ovviamente non si può dire ciò che è vero classicamente è già vero<br />

intuizionisticamente, altrimenti le due logiche sarebbero la stessa logica, però la verità classica<br />

Ciò che è vero classicamente non si riflette nella non falsità intuizionista; qui vedete che ci<br />

è falso intuizionisticamente sono due negazioni, una sta nel non, l'altra sta nel falso,<br />

per l’appunto significa non vero, per questo motivo l'interpretazione di Goedel della logica classica in quella<br />

intuizionista si chiama per l’appunto “interpretazione della doppia negazione”. Tutte le verità classiche<br />

diventano verità intuizioniste se le si nega due volte. Bene, abbiamo fatto brevemente appunto questa<br />

introduzione al costruttivismo, io finisco qui per oggi, vi do appuntamento finalmente per le prossime due<br />

lezioni in cui parleranno questa volta dei risultati di Goedel e in particolare uno di questi è il grande risultato<br />

della incompletezza.<br />

123


LEZIONE 15: Un austriaco (mica tanto) completo<br />

Benvenuti ad una delle lezioni centrali del nostro corso di logica. Come avete sentito nelle precedenti<br />

lezioni, abbiamo parlato di un personaggio forse più di tutti, cioè di Kurt Goedel e vi ho detto più di una<br />

volta che effettivamente Goedel viene considerato il massimo logico certamente della contemporaneità,<br />

forse dell'intera storia e se dobbiamo sceglierne due questi sono Aristotele e Goedel. Ebbene, per significare<br />

appunto la sua preminenza all'interno del campo di azione nel quale ci siamo mossi, cioè della logica<br />

matematica, abbiamo deciso di dedicare due lezioni a Goedel. Questa di oggi sarà una lezione fatta come al<br />

solito, cioè cercheremo brevemente di accennare ai risultati che Goedel ha dimostrato durante la sua vita,<br />

anche ad alcuni fatti della sua vita privata e personali e invece la prossima volta ci dedicheremo finalmente<br />

proprio al nucleo centrale di tutte queste lezioni, cioè andremo un pochettino più a fondo di quanto non<br />

abbiamo fatto con gli altri personaggi nella dimostrazione e nelle idee fondamentali del famoso “teorema di<br />

incompletezza di Goedel”. Come ho detto prima oggi cerchiamo di parlare dei risultati di Goedel in<br />

generale, cercando anche di spaziare in altri campi che non sono soltanto quelli della logica matematica, ma<br />

stranamente anche di altre materie. Allora veniamo appunto al dunque, ebbene Goedel è colui al quale oggi<br />

dedichiamo una lezione che si intitola "un austriaco (mica tanto) completo"; come mai mica tanto? Beh,<br />

certamente ci sono come al solito due sensi, anzi tutto l’austriaco è ovviamente lui, che è nato in Austria, a<br />

Brno, all'epoca la cittadina di Brno non era in Austria come oggi, ma era in Cecoslovacchia, comunque oggi<br />

lo chiameremo un austriaco, perchè all'epoca faceva parte dell'impero austroungarico, Goedel parlava<br />

tedesco per l’appunto, quindi a pieno titolo si può dire un esponente della cultura austriaca. Poi come mai<br />

mica tanto completo? Ma perchè ovviamente c'è un riferimento ai tipi di risultati che Goedel ha dimostrato.<br />

<strong>Il</strong> suo nome è stato legato nel 1930 al famoso “ teorema di completezza”, e questa è la parte appunto di<br />

"completo" che è nel titolo e nel 1931 agli altrettanti famosi, anzi più famosi ancora “teoremi di<br />

incompletezza”. <strong>Qui</strong>ndi il mica tanto si riferisce<br />

in un primo significato, in una prima accezione a questo<br />

fatto, che Goedel dimostrò i teoremi di incompletezza,<br />

oltre che i teoremi di completezza ; poi si riferisce<br />

ovviamente al fatto che Goedel fosse un personaggio<br />

piuttosto singolare e certamente oggi lo definiremmo<br />

anche un pochettino matto. In realtà morì di consunzione addirittura, spaventato temeva che qualcuno lo<br />

volesse avvelenare e quindi a un certo punto<br />

smise di mangiare e in quel modo ovviamente morì e quindi il<br />

risultato fu effettivamente come se qualcuno<br />

l'avesse avvelenato, ma questi sono in realtà gli aspetti meno<br />

interessanti della vita di un personaggio di questo genere. La vita di Godel è stata soprattutto non fatti nel<br />

mondo fisico, ma idee nel mondo platonico<br />

ed è di questo che cercheremo di dare appunto una specie di<br />

excursus in questa lezione. Dunque anzitutto le solite date di nascita e di morte: Godel è nato nel 1906 ed è<br />

morto nel 1978, quindi dopo 72 anni di pensiero.<br />

Godel Dove ha vissuto Goedel praticamente? La sua vita è stata divisa in due parti meno<br />

(1906-1978) più o uguali la prima parte a Vienna, la seconda parte a Princeton. <strong>Qui</strong>ndi abbiamo<br />

anche noi organizzato la nostra lezione in due parti che si riferiscono ai risultati che Goedel ottenne quando<br />

era giovane studente a Vienna e poi invece quelli che ottenne quando era ormai maturo professore a<br />

Princeton. <strong>Il</strong> periodo che Goedel passò a Vienna, naturalmente andando avanti e indietro, perché poi quando<br />

divenne famoso incominciò ad andare in America, ma di questo ne parleremo in seguito, il periodo è<br />

Vienna (1906-1938) comunque dalla nascita fino al 1938 ed in questo periodo, notate che Goedel<br />

1. completezza aveva soltanto 32 anni quando se ne andò poi definitivamente dall'Austria,<br />

2. incompletezza per motivi abbastanza ovvi, la data è quella di inizio della seconda guerra<br />

3. consistenza mondiale. Ebbene i risultati più importanti del suo lavoro li abbiamo elencati di<br />

4. intuizionismo lato, sono anche forse i più importanti della logica moderna, quelli che hanno<br />

cambiato l'immagine di ciò che questa materia era all'epoca ed l’hanno fatta diventare una parte essenziale<br />

della matematica moderna. I risultati li abbiamo divisi in quattro parti, per la prima parte della sua vita:<br />

sono il teorema di completezza, il teorema di incompletezza, i problemi relativi alla consistenza ed i<br />

problemi relativi all’intuizionismo. <strong>Qui</strong>ndi affrontiamoli uno per uno, ma prima di parlare di questi<br />

problemi, diciamo solo qualche parola sul momento in cui Goedel fu studente, cioè guardate qui nella<br />

slide, nel 1925 entra nell'università di Vienna, giovanissimo ovviamente e che cosa succede? Succede che<br />

viene subito attratto nell'orbita di quello che si chiamava e si continua a chiamare ancora oggi il Circolo di<br />

124


Vienna. Questo gruppo di filosofi, i cosiddetti neopositivisti, coloro che agli inizi erano nella scia di<br />

Wittgenstein, al quale abbiamo dedicato un'altra lezione, quindi<br />

ricorderete alcune delle idee principali di Wittgenstein, in particolare<br />

quest'idea del costruttivismo, l'uso e il significato di una parola sta<br />

nell'uso che viene fatto e così via. Ebbene uno dei personaggi<br />

importanti di questo positivismo logico, di questo neopositivismo del<br />

circolo di Vienna è quello che viene raffigurato nella fotografia, cioè<br />

Rudolf Carnap. Carnap era professore all'epoca a Vienna, era colui<br />

che agli inizi soprattutto di quel periodo, era considerato un po' il<br />

simbolo del circolo di Vienna, scrisse molti importanti libri, immagini<br />

del mondo e così via e il motivo per cui abbiamo scritto qua 1925 è perché fu quello l'anno in cui Goedel<br />

entrò nell'università a Vienna, se ne andò da Brno dov'era nato a Vienna e fu attratto in particolare da questo<br />

personaggio<br />

ed è attraverso Carnap che Goedel sentì parlare per le prima volta dello studio della logica, di<br />

Russell,<br />

di Wittgenstein, dei problemi che venivano posti anche soprattutto nella logica matematica e questo<br />

fu praticamente il suo allenamento e il suo studio, perché immediatamente già da studente, molto giovane<br />

come<br />

vedremo tra pochissimo, Goedel risolse alcuni dei problemi più importanti che erano stati proposti<br />

per<br />

la logica matematica e che sono appunto quelli ai quali ho accennato prima in quell'elenco<br />

Incominciamo<br />

a parlare appunto del primo problema, il cosiddetto “problema della completezza”.<br />

Naturalmente<br />

siamo ormai ben allenati a questo problema e quindi la prima parte in qualche modo insomma<br />

la faremo un pochettino velocemente, perché sappiamo già anzitutto in parte quali sono stati i fondamenti di<br />

questi<br />

problemi che Goedel ha cercato di risolvere ed in parte abbiamo già anche anticipato, parlando di<br />

questi<br />

problemi, qual'è stato il tipo di soluzione, ma adesso è venuto il momento di mettere tutto insieme e<br />

di<br />

tirar le fila di questo discorso. Allora vediamo qui nella slide un signore alla cui faccia ormai ci siamo<br />

abituati,<br />

anche per il fatto che c'è soltanto questa fotografia qui, che abbiamo continuato a riproporla per<br />

tutte<br />

le nostre lezioni, ebbene questo signore è Frege e come ricorderete nel 1879 inaugura il nuovo corso<br />

della logica matematica moderna scrivendo questo libro che diventa<br />

un classico, che si chiama l’appunto l"Ideografia". Che cosa fa<br />

Frege in questo libro? Beh, inventa praticamente un nuovo<br />

linguaggio, un linguaggio formale, realizza il sogno che era stato di<br />

Leibniz di trovare una lingua universale per la matematica nella<br />

quale si potessero esprimere tutti i concetti che erano necessari<br />

appunto al linguaggio di questa materia. Ebbene l’ideografia è per la<br />

punto un linguaggio formale, ma tratta di logica matematica e pone<br />

le basi della logica matematica moderna in che modo? Beh,<br />

enunciando<br />

per la prima volta forse in maniera così chiara e completa gli assiomi da una parte della logica e<br />

dall'altra<br />

parte le regole necessarie a dimostrare i teoremi. Ricorderete che l'impianto assiomatico formale<br />

della<br />

logica moderna è precisamente basato su questi due concetti, cioè si parte da degli assiomi che sono<br />

delle<br />

proposizioni che non vengono dimostrate perché si accettano appunto come assiomi e poi si<br />

dimostrano<br />

teoremi partendo dagli assiomi e usando delle regole. Ora alcune di queste regole della logica<br />

erano<br />

note dai tempi dei greci, cioè da Aristotele e da Crisippo, dagli storici soprattutto, che avevano<br />

analizzato<br />

quali erano le regole del calcolo proposizionale, che ricorderete abbiamo trattato abbastanza<br />

diffusamente<br />

nelle prime lezioni del nostro corso. Ebbene, in particolare Aristotele aveva anche introdotto<br />

oltre<br />

al calcolo proposizionale quello che noi oggi chiameremo i quantificatori " tutti, nessuno, qualcuno" e<br />

aveva<br />

enunciato una teoria del sillogismo. Qualcosa però mancava ancora a questo impianto della logica<br />

greca<br />

per farlo diventare ciò che in realtà era il sogno da realizzare di Leibniz, mancava l'estensione a quello<br />

che<br />

oggi viene chiamato “il calcolo dei predicati”. I quantificatori servono, ma Aristotele li usava soltanto<br />

per<br />

predicati unari, con un solo soggetto. L'analisi del linguaggio di Aristotele, ricorderete, era soggetto e<br />

predicato,<br />

mancavano i complementi ed il soggetto era unico, non c'erano più soggetti. Ebbene uno dei<br />

grandi<br />

risultati di Frege è per l’appunto di introdurre una analisi più generale, di parlare non soltanto di<br />

soggetto<br />

e predicato, ma di “soggetti, predicato e complementi” e quindi di permettere “l’uso e la<br />

considerazione di relazioni a più di un solo argomento, a più di una sola variabile”. Ebbene Frege allora<br />

125


deve enunciare in particolare le regole che stanno, che giacciono al calcolo dei predicati e anche agli assiomi<br />

della<br />

logica dei predicati e questo è ciò che lui fa nel 1879 in questo libro, che è diventato oggi un classico<br />

ed è un libro insieme a questa data 1879 nel quale viene identificata la nascita della logica moderna. Gli<br />

assiomi e le regole di Frege sono stati enunciati e servono a dimostrare molti teoremi. Ma potevano essere<br />

sufficienti per dimostrarli tutti? Questo problema fu enunciato da Hilbert nel 1928, anche di questo<br />

abbiamo già parlato. Ricorderete che Hilbert introdusse anche altri problemi che sono quelli che per<br />

antonomasia vengono chiamati i problemi di Hilbert, ma di questi parleremo fra un momento, perlomeno di<br />

alcuni di questi; invece qui ci vogliamo soffermare non sul Congresso di Parigi del 1900, ma sul Congresso<br />

di Bologna del 1928.<br />

Hilbert A quell'epoca Hilbert ormai vecchio, cerca comunque di continuare<br />

(1928) a proporre problemi che dovrebbero essere centrali per lo studio che<br />

Congresso di Bologna gli sta a cuore e in questo caso, per l’appunto, dopo trent’anni del<br />

Problema della completezza ‘900 praticamente ciò che gli sta a cuore è lo studio della logica<br />

matematica e il problema che Hilbert pone al congresso di Bologna è precisamente quello che viene<br />

chiamato il “problema della completezza”. Ricorderete che nel 1920-21 era stato dimostrato da Emil Post<br />

negli Stati Uniti, “il teorema della completezza per la logica proposizionale”, cioè praticamente dell'analisi<br />

stoica del linguaggio. Completezza significa che gli assiomi e le regole che vengono date sono sufficienti<br />

per dimostrare tutte e ovviamente anche sole le verità logiche, quelle che nel calcolo proposizionale<br />

vengono chiamate secondo la terminologia di Wittgenstein, che abbiamo già visto, le tautologie. Ebbene il<br />

problema della completezza che Hilbert enuncia nel 1928 è il problema analogo a questo qui, cioè sapere se<br />

gli assiomi e le regole sono sufficienti e necessarie a dimostrare tutte e sole le verità logiche, non più per il<br />

livello basso, diciamo così, della logica del “calcolo proposizionale”, bensì per questo livello alto che Frege<br />

appunto aveva introdotto per il “calcolo dei predicati”. Ebbene che cosa succede? Succede per l’appunto che<br />

nel 1930, eccoli qua i due grandi logici moderni, sulla sinistra Goedel e sulla destra Frege, Goedel dimostra<br />

che il sistema di Frege è completo, cioè “il teorema della<br />

completezza per la logica predicativa”. Nel 1930, notate che<br />

Goedel, nato nel 1926, ha 24 anni, quindi è praticamente<br />

quello che oggi noi chiameremo un laureando e infatti<br />

questo è il risultato che lui ha dimostrato l'anno prima, che<br />

pubblica nel 1930 nel corso della sua tesi di laurea. La tesi<br />

che addirittura risolve uno dei più grandi problemi aperti<br />

della logica, uno dei problemi del grande matematico Hilbert.<br />

Che cosa significa il risultato di Goedel? Significa appunto<br />

quello che c'è scritto qui, cioè che Frege aveva fatto<br />

un'analisi del calcolo o della logica dei predicati, era un'analisi completa, cioè non aveva dimenticato niente<br />

di essenziale, ovviamente non è che avesse dimostrato tutti i teoremi, aveva però enucleato, era riuscito ad<br />

enucleare gli assiomi e le regole che erano sufficienti per dimostrare tutti i teoremi che si potevano<br />

dimostrare, cioè tutte le verità logiche. Questo è ovviamente, un grande successo e però qualche cosa che<br />

tutto sommato era aspettato. Infatti come ho detto poco fa, era stato dimostrato una decina di anni prima, nel<br />

1920-’21, da parte di Post che il teorema analogo della completezza valeva per il calcolo proposizionale,<br />

adesso Goedel estende questo teorema, una dimostrazione più complicata, anche perché siamo in una logica<br />

molto più potente e anche mol to più sottile; ebbene goedel estende qualche cosa che però già si sapeva, si<br />

pensa appunto che si stia facendo un passo avanti e che in quella direzione bisognerà andare perché ci<br />

saranno altri teoremi da dimostrare di completezza per altre teoria ancora più forti. Che cosa ci può essere di<br />

più forte della logica dei predicati? Beh, nel campo della logica forse poco, si può estendere la logica in altre<br />

direzioni, per esempio già Aristotele aveva indicato una delle possibili direzioni, in particolare aggiungere al<br />

linguaggio della logica fatto dai “connettivi e dai quantificatori”, aggiungere altri operatori che sono i<br />

cosiddetti “operatori modali” e dunque si potrebbe pensare di dimostrare “un teorema di completezza per la<br />

logica modale” e questo invero sarà fatto però molto più recentemente, cioè negli anni 60 di questo secolo,<br />

da un filosofo che poi è diventato famoso, che si chiama Kripke; però non era in questa direzione che<br />

Goedel andava, perché non era quella la moda dell'epoca, in realtà quello che interessava fare come passo<br />

126


successivo dopo il risultato per la logica proposizionale di Post e dopo il suo risultato per la logica dei<br />

predicati, era interessarsi dell'aritmetica, che in realtà era non più soltanto la logica, ma aveva a che fare con<br />

i fondamenti della matematica, cioè il nucleo della matematica stessa e quindi Goedel inizia come progetto<br />

da post dottorato o meglio quello che<br />

oggi chiameremo da dottorato, lo studio per la dimostrazione del<br />

“teorema di completezza dell'aritmetica”.<br />

In realtà Goedel non si interessa direttamente dell'aritmetica, ma si<br />

interessa del sistema dei cosiddetti "principia<br />

mathematica" di Whitehead e Russell che furono scritti, come<br />

ricorderete, dalla lezione su Russell tra<br />

il 1910 e il 1913, in tre volumi di questa grande opera. Agli inizi del<br />

secolo i ”principia matematica” di Russell e Whitehead vengono considerati il monumento della<br />

matematica moderna, vengono considerati<br />

l'analogo, soprattutto da Russell<br />

2. incompletezza stesso e Whitehead, l'analogo degli elementi di Euclide per quanto riguarda<br />

Whitehed e Russel la matematica<br />

e dei “principia” di Newton per quanto riguarda le scienze;<br />

(1910-1913) infatti<br />

il titolo non a caso viene scelto da Russell e Whitehead apposta, in<br />

Principia matematica modo da richiamare l'inizio, il titolo della grande opera di Newton, cioè i<br />

"principia naturalis philosofiae". Ebbene questo sistema studia appunto non soltanto i numeri interi, ma è<br />

quello che oggi noi diremo praticamente una formalizzazione di una versione della cosiddetta teoria degli<br />

insiemi e allora il passo successivo per Goedel sarebbe stato dimostrare che gli assiomi e le regole che<br />

erano stati enunciati da Russell e Whitead per la teoria degli insiemi, per quella che loro invece chiamavano<br />

la teoria dei tipi, erano complete, cioè permettono di dimostrare tutto ciò che dimostrabile e tutto ciò che si<br />

può dimostrare. Ebbene in realtà qui invece arriva veramente la scoperta, ciò che rende Goedel veramente<br />

famoso, cioè nel 1931 Goedel dimostra che ci sono verità indimostrabili. <strong>Qui</strong> abbiamo scherzosamente<br />

riportato una scena del padrino, il famoso film che parla di mafiosi; come mai abbiamo parlato di questo ?<br />

Beh, perché evidentemente la matematica non è l'unico campo in<br />

cui ci sono delle verità indimostrabili. Sapete benissimo, per<br />

esempio, che al Capone il grande mafioso degli anni ‘30, fu in<br />

realtà catturato dagli agenti delle FBI e messo in galera poi alla fine<br />

per evasione fiscale, non certamente per crimini di mafia. Come<br />

mai? Ma perché si sa benissimo e questa è appunto la parte delle<br />

verità, che la mafia fa molti delitti, ne compie di cotte e di crude<br />

come si dice, ma quasi tutti questi delitti sono fatti in maniera da<br />

essere indimostrabili, cioè le verità che noi tutti conosciamo<br />

riguardo alla mafia, poi quando alla fine<br />

si fanno i processi non si possono dimostrare, quindi i mafiosi non<br />

si possono condannare. Ebbene questa<br />

è una metafora che potete tenere in mente, per l’appunto, per<br />

ricordarvi qual'è il contenuto del famoso<br />

“ teorema di incompletezza di Goedel”. Nel 1931 Goedel, a 25<br />

anni, dimostra che anche in matematica<br />

ci sono delle verità indimostrabili, in particolare nel caso dei<br />

“principia matematica”, ci sono delle verità<br />

che si posso esprimere nel linguaggio di questa famosa opera e<br />

che sono appunto vere, ma che non sono<br />

dimostrabili all'interno del sistema, il che significa che per la<br />

matematica, un campo diverso da quello della logica dove le verità logiche erano tutte dimostrabili<br />

all'interno del sistema che Frege aveva isolato e questo è il contenuto del “teorema di completezza di<br />

Goedel”, per le verità dell’aritmetica e poi via via se si sale, per le verità insiemistiche e così via, ce ne sono<br />

molte che sono indimostrabili nel sistema che si sta considerando. Si può cambiare sistema ovviamente,<br />

alcune di queste verità, che non lo erano prima diventeranno dimostrabili, però nel nuovo sistema ci<br />

saranno altre verità indimostrabili, insomma Goedel mette il dito sulla piaga della matematica moderna. In<br />

altre parole la matematica a differenza della logica, ha una incompletezza essenziale, una specie di malattia<br />

e questa malattia è il fatto di non riuscire ad essere catturata da un sistema formale, la verità va oltre le<br />

possibilità umane, che devono sempre risolversi in dimostrazioni. E che cosa succede dunque? Goedel<br />

diventa famoso con questo teorema, ma una delle conseguenze del suo teorema è la soluzione di un altro<br />

problema, che era il famoso “problema della consistenza” e di questo abbiamo parlato a lungo quando<br />

abbiamo fatto la lezione sul Hilbert. Nel 1900, ricorderete, al Congresso di Parigi, il secondo problema di<br />

Hilbert era quello di riuscire a dimostrare la consistenza dell'analisi, cioè la consistenza della teoria dei<br />

3. consistenza numeri reali oppure visto che già i numeri reali erano già stati ridotti a<br />

congresso di Parigi numeri interi e quindi l'analisi ridotta all'aritmetica, di riuscire a dimostrare<br />

127


Hilbert (1900) la consistenza dell'aritmetica. Hilbert sperava che fosse possibile dare una<br />

secondo problema dimostrazione di consistenza molto elementare e che quindi mettesse al<br />

riparo la matematica dai problemi tipo le contraddizioni, che agli inizi del secolo, eravamo appunto nel<br />

1900, erano nate qui e là. Ebbene il teorema di Goedel arriva come un fulmine a ciel sereno e una delle<br />

conseguenze del teorema di Goedel sulla quale poi ci soffermeremo a lungo nella prossima lezione perché<br />

cercheremo di andare, come ho detto, nel dettaglio di questa dimostrazione, è per l’appunto che la<br />

consistenza è indimostrabile. In che senso la consistenza è indimostrabile? Beh, se voi prendete un sistema<br />

formale che è consistente, per esempio come si suppone essere quello dei “principia matematica” , ebbene<br />

la consistenza del sistema dei " principia matematica" si può dimostrare, ma soltanto al di fuori del sistema,<br />

non dal di dentro e quindi in particolare non attraverso mezzi elementari che sono già in qualche modo tutti<br />

esprimibili dentro il sistema.<br />

Come mai qui abbiamo messo, invece che i mafiosi, un pazzo in camicia di<br />

forza? Ma perché, in realtà, per fare una metafora del secondo teorema di Goedel, come viene chiamato o<br />

del teorema di Goedel sulla inconsistenza, in realtà i pazzi sono la<br />

metafora qui indicata, cioè quanti di voi hanno mai detto a qualche vicino<br />

o qualche parente “io non sono pazzo”? Le uniche persone che dicono “io<br />

non sono pazzo” sono in genere queste persone qua e soprattutto lo dicono<br />

nel momento in cui vengono portate via in camicia di forza dagli<br />

infermieri verso il manicomio, cioè le persone sane non possono dire e<br />

non dicono di non essere pazzi. <strong>Il</strong> teorema di Goedel dice esattamente la<br />

stessa cosa, solo che nel caso dei sistemi formali della matematica essere<br />

sani significa essere consistenti, non dimostrare contraddizioni. Gli unici<br />

sistemi che possono asserire, possono dimostrare la propria consistenza, sono precisamente quelli analoghi<br />

dei matti, cioè i sistemi matematici che non sono consistenti sono gli unici che possono dire io sono<br />

consistente, così come i matti sono gli unici che dicono io non sono matto, tutti gli altri sistemi che sono<br />

consistenti matematicamente non possono dimostrare la propria consistenza, analogamente quelli che sono<br />

sani di mente non dicono io non sono matto, così come i sistemi consistenti non dicono io sono consistente.<br />

<strong>Qui</strong>ndi ricordate queste due metafore, una mafiosa e quell'altra psichiatrica, per avere in mente per<br />

l’appunto delle immagini intuitive del teorema<br />

di Goedel, che vedremo più tecnicamente la prossima volta.<br />

<strong>Il</strong> terzo campo di azione di Goedel è invece quello che ho detto prima, cioè “l'intuizionismo”.<br />

3. Intuizionismo Ebbene<br />

l'intuizionismo,di cui abbiamo parlato parecchio nel caso di<br />

Brouwer Brouwer<br />

quando abbiamo a lui dedicata una lezione, è un tipo di<br />

matematica, in particolare di logica costruttiva<br />

e sembrava soprattutto a Brouwer che fosse qualche cosa<br />

totalmente di diverso dalla matematica classica.<br />

Brouwer chiedeva di scegliere tra la sua matematica<br />

intuizionistica e quella classica, che era in qualche<br />

modo simboleggiata, capitanata da Hilbert, sembrava una<br />

battaglia di titani, di giganti, ma Goedel nel 1933 arriva con uno dei suoi soliti risultati sorprendenti e<br />

dimostra che c'è un modello intuizionistica della logica classica, cioè in altre parole dimostra che la<br />

matematica intuizionista sarà anche qualcosa di costruttivo, ma certamente non è qualche cosa di più<br />

Godel consistente sulla quale si possa fare più affidamento della logica classica,<br />

(1933) perché esiste un modello intuizionista della logica classica e dunque se la<br />

Modello intuizionista logica classica fosse inconsistente, se avesse dei problemi, se fosse matta<br />

della logica classica riguardo alla metafora che abbiamo già fatto prima, ebbene poiché c'è un<br />

modello della logica classica nella logica intuizionista, anche la logica intuizionista sarebbe inconsistente,<br />

anche la logica in intuizionista sarebbe matta, quindi come una trasmissione genetica di questa pazzia e<br />

dunque la logica intuizionistica non è qualcosa di più solido, di meglio fondata della logica classica, se ci<br />

sono problemi nella logica classica, questi problemi ci sono già anche nella logica intuizionista; di nuovo un<br />

risultato sorprendente, di quelli proprio alla Goedel, nel 1933. Questi sono più o meno i grandi risultati che<br />

Goedel dimostra prima della guerra mondiale. Che cosa succede nel caso della guerra mondiale? Beh,<br />

ovviamente succede anzitutto che scoppiano le ostilità; Goedel viveva all'epoca in Austria, aveva già avuto<br />

gravi problemi psichiatrici, era entrato e uscito da ospedali psichiatrici, da manicomi, perché aveva avuto<br />

delle gravi crisi nervose, degli esaurimenti nervosi, però nel 1938 si accorge che sta arrivando la guerra, il<br />

‘38 ricorderete è l'anno dell'Anschluss, dell'invasione dell'Austria da parte di Hitler e Goedel decise di<br />

128


scappare, di andarsene dall'Austria; se ne va, ormai è tardi per poter passare l'oceano e quindi è costretto a<br />

prendere un treno che lo porta attraverso tutta la Russia, percorre tutta la parte della Russia fino a<br />

Vladivostock; prenderà di là un piroscafo, una nave che lo porterà sulla costa californiana dell'America e<br />

dalla costa californiana dell'America prende un treno che la porterà invece Princeton. Ebbene, a Princeton<br />

Goedel vivrà per il resto della sua vita, dal 1938 al 1978, facendo risultati importanti, certamente non così<br />

importanti come i precedenti dei quali abbiamo parlato, risultati sulla teoria degli insiemi, sulla relatività,<br />

sulla teologia, ai quali accenniamo adesso brevemente. Però, volevo dirvi prima brevemente che,<br />

Princeton(1938-1978) per l’appunto, Goedel se ne andò dall'Austria con un certo risentimento,<br />

5. teoria degli insiemi era molto seccato di questo fatto che sono arrivati i nazisti, non era una<br />

6. relatività persona particolarmente politicizzata, però fino ad arrivare a distinguere<br />

7. teologia fra il nazismo e il suo posto ci arrivava ed ecco che Goedel rifiutò nella<br />

sua vita, in questi quarant'anni che gli rimanevano da vivere, rifiutò sempre non soltanto di andare di nuovo<br />

a visitare l’Austria, ma addirittura le onorificenze che l’Austria propose di dargli nel corso degli anni.<br />

Goedel ovviamente quando divenne famoso ricevette onorificenze da tutte le parti, non ricevette mai il<br />

premio Nobel, perché come abbiamo già detto altre volte, il premio Nobel non esiste per la matematica, in<br />

particolare non esiste per la logica, non ricevette mai la medaglia Fields che è l'analogo del premio Nobel<br />

per la matematica, perché ormai aveva più di quarant'anni e la medaglia Fields viene data soltanto a persone<br />

che hanno meno di quarant'anni e notate che la prima venne data praticamente nel 1936 e poi non ne<br />

vennero date più altre fino al 1950, quindi quei due riconoscimenti, quelle due onorificenze Goedel non li<br />

ottenne, il Nobel o la medaglia Fields. Però ebbe tantissimi riconoscimenti da varie parti del mondo, in<br />

particolare l’Austria che più volte cercò di dare delle onorificenze, a questo suo figlio, diciamo così, tra più<br />

importanti; forse insieme a Schroedinger, Goedel è l'austriaco che nel campo della scienza in questo secolo<br />

ha fatto di più, per portare avanti il nome<br />

della sua nazione. Ebbene Goedel ha sempre rifiutato queste<br />

onorificenze, non ne volle più sapere di sentire parlare dell'Austria.<br />

Vediamo però che cosa successe a Princeton.<br />

A Princeton Goedel andò, non andò all'università, ma a quello<br />

che si chiama, Institute for Advanced Studies,<br />

l'istituto degli studi avanzati. Un istituto che è un Istituto di<br />

pura ricerca, dove ci stavano per esempio<br />

Einstein, dove ci stava Von Neumann, queste grandi menti, dove<br />

si stava Herman Wiles, quindi moltissime<br />

persone. Che cosa succede qui? Goedel si dedica soltanto alla<br />

ricerca; non riesce più a ottenere quei grandissimi risultati, anche perché quelli erano risultati epocali, li<br />

aveva già ottenuti, però continua a produrre<br />

delle cose di altissimo livello. Vediamo dunque più da vicino<br />

che cosa fece Goedel in questi anni. Anzitutto<br />

si interessò di teoria degli insiemi, in particolare dell'ipotesi<br />

del continuo. Vi ricorderete che cos'è l'ipotesi del continuo: l'ipotesi del continuo è praticamente la domanda<br />

che chiede quanti sono i numeri reali. La risposta ovvia che voi pensereste e anch’io penseremo di dare che<br />

ce ne sono infiniti ovviamente non vale, perché da Cantor oggi sappiamo che di infiniti ce ne sono tanti;<br />

quindi sapere quanti sono i numeri reali significa dire che si certo ce ne sono infiniti, ma quale ordine di<br />

infinito? Cantor dimostrò che ci sono più numeri reali che numeri interi, cioè che l'infinito dei numeri reali è<br />

maggiore di quello dei numeri interi. <strong>Il</strong> problema però era sapere quanto maggiore, cioè poiché gli infiniti<br />

sono tutti ordinati in fila, cioè esattamente come i numeri interi, c'è l'infinito dei numeri naturali, c'è<br />

l'infinito dei numeri reali che è più grande, in mezzo che cosa c'è? In mezzo c'è qualche cosa, ci sono altri<br />

infiniti oppure no? Questo il grande problema che Cantor chiamò “l’ipotesi del continuo”, si chiama<br />

continuo perché i numeri reali spesso vengono chiamati appunto il continuo, perché sono messi con<br />

continuità su una retta; ebbene l'ipotesi del continuo chiedeva se ci fossero degli infiniti a metà tra l'infinito<br />

di numeri interi e l'infinito dei numeri reali.<br />

5. Teorie degli insiemi Questo problema Cantor cercò di risolverlo, anche lui finì in manicomio<br />

Ipotesi del continuo più volte, perché ovviamente questi studi di matematica sono talmente<br />

avanzati che stremano completamente coloro che li fanno; ebbene Cantor, non riuscii a risolverlo<br />

ovviamente durante la sua vita e nel 1900 di nuovo allo stesso congresso di Parigi del quale abbiamo già<br />

parlato poco fa, parlando del problema della consistenza, Hilbert propone questa volta il problema di Cantor<br />

come primo problema della sua lista di 23 grandi problemi per il secolo venturo. Ricordatevi, il secondo<br />

problema era la consistenza dell'analisi; Goedel aveva già risolto questo secondo problema dimostrando<br />

129


Hilbert congresso di Parigi che non è possibile dimostrare la consistenza dell'analisi o<br />

(1900) Primo problema dell’aritmetica all'interno del sistema stesso. Adesso quando<br />

arriva a Princeton, Goedel attacca in realtà il primo problema, il più importante di tutti, quello appunto che<br />

Hilbert aveva posto agli inizi della sua lista per significare il fatto che effettivamente era quello il problema<br />

al quale teneva di più. Ebbene qual'è il risultato di Goedel? <strong>Il</strong> risultato che Goedel ottenne nel 1938, più o<br />

meno nel momento in cui arriva a Princeton, probabilmente ci aveva già pensato prima, è che l'ipotesi del<br />

continuo non è refutabile. Voi direte questo è un modo strano di affrontare un problema; che cosa significa<br />

che non è refutabile?<br />

Godel Significa che non si può dimostrare che è falsa e dunque come fa Goedel<br />

(1938) a dimostrare un risultato di questo genere? Si inventa un universo che<br />

L’ipotesi del continuo si chiama “l'universo degli insiemi costruibili”; ricorderete “costruibile”<br />

non è refutabile è ciò che viene in qualche modo identificato con la filosofia, la logica e<br />

la matematica intuizionista di Brouwer, questa è più o meno un'idea analoga, cioè l'idea di Goedel è di<br />

prendere soltanto insiemi che si possono effettivamente costruire a mano. Goedel dimostra che questi<br />

insiemi formano quello che oggi<br />

viene chiamato un modello, un universo della teoria degli insiemi,<br />

soddisfano tutte le proprietà degli<br />

assiomi della solita teoria degli insiemi e in più soddisfano anche<br />

all’ipotesi del continuo ed ecco che<br />

allora, poiché c'è un mondo in cui tutti gli assiomi della teoria degli<br />

insiemi sono soddisfatti e anche l'ipotesi<br />

del continuo è soddisfatta, non è possibile dimostrare la negazione<br />

dell'ipotesi del continuo, perché se<br />

questa negazione fosse dimostrabile sarebbe appunto vera la negazione e<br />

dunque falsa l'ipotesi del continuo in tutti i mondi possibili e invece Goedel ne fa vedere uno in cui l'ipotesi<br />

del continuo non è falsa, in cui l'ipotesi<br />

è vera. Questa è soltanto una parte della storia, perché dire che non è<br />

refutabile è molto meno che dire che invece è provabile; ovviamente nel caso in cui una formula, un'ipotesi<br />

sia provabile, se il sistema è consistente<br />

non può essere certo refutabile, altrimenti ci sarebbe una<br />

contraddizione. <strong>Qui</strong>ndi sembrava all'epoca, il 1938, che questo fosse un risultato secondario, cioè Goedel<br />

aveva dimostrato che l'ipotesi del continuo non si può refutare, però in realtà sarebbe forse venuto qualcun<br />

altro che avrebbe fatto passare in secondo ordine questo risultato di Goedel, dimostrando che invece l'ipotesi<br />

era provabile. Ebbene invece questo non successe e successe stranamente l'esatto contrario, cioè nel 1963,<br />

quindi molti anni dopo questo risultato di Goedel, questo signore che si chiama Paul Cohen dimostrò che<br />

quest’ipotesi del continuo non è dimostrabile, cioè l'altra faccia della medaglia. In altre parole Goedel aveva<br />

dimostrato che l'ipotesi del continuo non è refutabile, Cohen dimostra che la stessa ipotesi non è<br />

dimostrabile; i loro metodi di dimostrazione sono simili, in un caso Goedel si costruisce un universo in cui<br />

l'ipotesi del continuo è vera e dunque non si può refutare, nell'altro<br />

caso Cohen si costruisce un universo o meglio tanti universi, perchè<br />

poi se ne costruì effettivamente parecchi, addirittura infiniti,<br />

in cui<br />

l'ipotesi del continuo è falsa e dunque non si può provare. E allora che<br />

cosa succede questo punto? L’ipotesi del continuo, il grande<br />

problema, il primo della lista di Hilbert, il problema che aveva fatto<br />

impazzire addirittura Cantor, non si può risolvere con i mezzi della<br />

matematica moderna. Non è né dimostrabile né refutabile, in altre<br />

parole è un esempio di quelle verità indimostrabili che Goedel aveva<br />

dimostrato esistere per qualunque sistema matematico; in questo caso però mentre la dimostrazione di<br />

Goedel era una dimostrazione generale e come vedremo nella prossima lezione in realtà è qualche cosa di<br />

abbastanza indiretto, fa un uso di una frase che dice di se stessa di non essere dimostrabile all'interno del<br />

sistema e dunque è interessante per i logici, ma non per matematici, in questo caso invece, dicevo, Goedel<br />

ha trovato insieme a Cohen un esempio molto concreto di questo suo teorema di incompletezza e l'esempio<br />

è addirittura il più famoso problema della matematica di quegli anni, cioè l'ipotesi del continuo, che appunto<br />

non è né dimostrabile né refutabile all'interno del sistema. Che cosa succede in seguito? Beh, succede che<br />

Goedel s’interessa di altro. Una volta che ha risolto i problemi legati alla logica col teorema di completezza,<br />

quelli legati all'aritmetica e all’analisi col teorema di incompletezza, una volta dimostrato il secondo<br />

teorema sulla consistenza dell’aritmetica che non si può provare all’interno di un sistema, una volta che ha<br />

risolto perlomeno una metà, una parte del primo problema di Hilbert sulla teoria di insiemi, che cosa gli<br />

130


imane da fare? In matematica, perlomeno nella matematica di cui si interessava lui, poco e dunque quindi si<br />

rivolge altrove, si rivolge in particolare a questo signore che come voi tutti sapete, conoscete benissimo, si<br />

chiama Albert Einstein. Einstein, come vi ho detto, era anche lui un membro dell'Institute di Princeton, era<br />

uno di quei signori, dei cervelloni che non insegnavano, facevano soltanto ricerca. Einstein e Goedel<br />

diventano molto amici e in particolare Goedel si interessa della<br />

relatività generale. Nel 1948 Goedel scopre una cosa interessante,<br />

cioè dimostra un'importante teorema nel campo della relatività<br />

generale, per il quale poi gli viene data addirittura quella che oggi si<br />

chiama il premio Einstein, la medaglia Einstein, uno dei più grandi<br />

riconoscimenti in questo campo e scopre un risultato sugli universi<br />

rotanti, cioè dimostra che benché la relatività del tempo fosse<br />

qualche cosa che andava contro il senso comune, all’epoca tutti i<br />

modelli noti della relatività generale avevano una nozione di tempo<br />

assoluta, che scorre cioè sempre in un senso, ebbene dimostra che si sono degli universi in cui non c'è una<br />

nozione assoluta di tempo, una nozione comune di tempo; anzi dimostra addirittura di più, una cosa molto<br />

strana e questo si che lo fece diventare, come dire, quasi un personaggio singolare della relatività, dimostra<br />

cioè che è possibile fare il viaggio in avanti e indietro nel tempo.<br />

Eccolo qua Goedel vestito da astronauta, che se ne va in giro per<br />

l'universo; notate viaggio nel tempo, ovviamente quando si parla di<br />

viaggio nel tempo non si fa riferimento al viaggio nel futuro, perché tutti<br />

ci stiamo andando nel futuro, pian piano arriviamo dal passato al futuro.<br />

<strong>Il</strong> viaggio di cui parla Goedel è il viaggio nel passato e Goedel dimostra,<br />

sembra quasi fantascienza, anzi in realtà lo è addirittura, dimostra che ci<br />

sono dei modelli della relatività generale in cui è possibile fare il giro<br />

dell'isolato, esattamente come nel nostro mondo facciamo il giro dell'isolato e andiamo sempre a destra per<br />

esempio, ad un certo punto ci ritroviamo nel punto di partenza perchè abbiamo fatto tutti e quattro angoli del<br />

caseggiato, ebbene nel caso degli universi di Goedel è possibile fare una cosa analoga, solo che questa volta<br />

lo si fa non solo nello spazio, ma addirittura nello spazio tempo; si va avanti, si va avanti, si va avanti e ad<br />

un certo punto si ritorna indietro e ci si ritrova nello stesso punto, però nello stesso punto non soltanto<br />

spaziale, cioè nelle tre coordinate spaziali, ma nello stesso punto dello spazio tempo, cioè stesso luogo e<br />

stesso istante, cioè si è tornati indietro nel tempo, cioè Goedel dimostra che il viaggio all’indietro nel tempo<br />

non è contrario alle leggi della fisica moderna Se non piace, come infatti non piace alla maggior parte dei<br />

fisici moderni, allora non bastano l'equazioni della relatività generale per impedire che si possa fare questo<br />

viaggio all’indietro nel tempo, c'è bisogno di qualche cosa di più. Benissimo, abbiamo visto questa<br />

progressione dei risultati di Goedel, che partito dalla logica, arrivato alla matematica, risolti magari<br />

parzialmente i più importanti problemi, passa alla fisica, studia addirittura questo problema del tempo,<br />

dimostra che è possibile fare viaggi nel passato, che cosa gli rimaneva da fare? Ebbene, quando si è arrivati<br />

a questi livelli di astrazione, l'unica cosa che rimane oltre quello è Dio. E infatti Goedel s’interessa<br />

nell'ultima parte proprio della sua vita, nella parte finale della sua vita, della teologia e in particolare<br />

affronta la cosiddetta prova ontologica dell'esistenza di Dio. Questo signore che vedete qui è Santa Anselmo<br />

d'Aosta che nel 1079, verso la fine del 1000, aveva dimostrato, aveva introdotto una dimostrazione<br />

dell'esistenza di Dio.<br />

La dimostrazione fece parlare di sé praticamente per 900 anni, perché<br />

la famosa dimostrazione è praticamente una dimostrazione di struttura<br />

veramente matematica, cioè ha un assioma, ha una definizione, ha un<br />

enunciato e una dimostrazione. Qual'è la definizione? Beh, è una<br />

definizione di Dio. Che cosa è Dio? Dio è l'essere è che ha tutte le<br />

perfezioni. Qual'è l'assioma? L'assioma è che l'esistenza è una<br />

perfezione, meglio esistere che non esistere. E il teorema? <strong>Il</strong> teorema<br />

è che dio esiste. E la dimostrazione? Beh, la dimostrazione a questo punto è banale, perché se Dio è un<br />

essere che ha tutte le perfezioni e una delle perfezioni è l'esistenza e allora Dio ha quella proprietà lì e<br />

131


dunque Dio esiste. Ora questa dimostrazione poteva andar bene nell’anno 1000 per l’appunto, poi col<br />

passare il tempo, con l'affinarsi dei metodi scolastici e ovviamente con l'arrivo della nuovo filosofia, della<br />

filosofia moderna, con Cartesio, soprattutto del razionalismo con Cartesio, con Leibniz, con Spinosa e così<br />

via, ebbene questo tipo di ragionamento continua ad attrarre i filosofi, ma la dimostrazione originale di<br />

Sant’Anselmo non soddisfa più. Ebbene nel 1970 Goedel studia la versione che Leibniz aveva dato di<br />

questa prova ontologica, che era già un rifacimento della versione di Cartesio e le dà una versione<br />

puramente matematica, puramente logica. Goedel non credeva nell'esistenza di Dio, però voleva in realtà<br />

dimostrare che era possibile riformulare questi argomenti da un punto di vista matematico e farli diventare<br />

qualche cosa che non avesse gli errori che invece i filosofi precedenti e i santi precedenti avevano in qualche<br />

modo fatto. <strong>Qui</strong>ndi vedete come questo percorso in realtà è stato un percorso veramente grandioso, cioè<br />

Goedel è partito con i problemi forse più terra terra, cioè legati alla logica, al linguaggio eccetera, è salito<br />

via via nel campo della astrazione, è arrivato alla teoria degli insiemi e poi addirittura è arrivato alla<br />

cosmologia e all'esistenza di Dio. Bene, questa è stata la lezione che in qualche modo ci ha introdotti al<br />

personaggio e ai risultati di Goedel, ma nella prossima lezione affronteremo da vicino questo suo famoso<br />

teorema di incompletezza, al quale abbiamo oggi soltanto accennato. Vi do appuntamento a quella che sarà<br />

la più importante lezione del nostro corso, cioè alla lezione sui teoremi e non sul personaggio di Goedel.<br />

LEZIONE 16: Metamorfosi di un teorema<br />

Benvenuti alla seconda lezione su Goedel, l'unica persona a cui dedicheremo in realtà due lezioni. Nel<br />

nostro corso, nella nostra serie di lezioni abbiamo parlato ogni volta di un personaggio, abbiamo cercato di<br />

introdurre le sue idee, i risultati, la sua vita e così via, però a Goedel dobbiamo ovviamente dare qualcosa di<br />

più. Goedel, come vi ho detto più volte, è in realtà il più grande logico certamente della contemporaneità,<br />

forse il più grande logico della storia insieme ad Aristotele, uno dei due più grandi logici e quindi è giusto<br />

che al teorema di Goedel o meglio a quello che viene considerato il teorema di Goedel dedichiamo un<br />

pochettino più di attenzione. Nella scorsa lezione abbiamo visto la vita e le opere di Goedel in una maniera<br />

più generale, abbiamo già accennato più di una volta, tra l'altro, a questo famoso “teorema di<br />

incompletezza” che dimostrò nel 1931 e quest'oggi è arrivato il momento di parlare un po’ più a fondo di<br />

questo teorema, cercare di spiegarlo, cercare di vedere da dove arriva e ovviamente lo faremo in maniera il<br />

più possibile indolore, cercando di andare a vedere anzitutto alcune metafore del teorema di Goedel, cioè<br />

cercare di capire che cosa questo teorema dice veramente, facendo degli esempi tratti di altri campi.<br />

Parleremo di fisica, di letteratura, di filosofia e così via e poi nella seconda parte della lezione andremo<br />

veramente a scavare un pochettino più a fondo per cercare di capire<br />

effettivamente quali sono i meccanismi che regolano questo teorema.<br />

E’ per questo che abbiamo chiamato questa lezione “metamorfosi di un<br />

teorema”, cioè i modi diversi di vedere questo teorema come si è<br />

presentato<br />

nella storia e come si può presentare nelle metafore.<br />

Cominciamo subito con la metamorfosi, che è la metafora più<br />

significativa<br />

e anche più semplice di tutte, cioè quella che arriva dal<br />

mondo<br />

fisico. Vediamo qui nella slide una rappresentazione del mondo<br />

fisico.<br />

Questo triangolono che vediamo è più o meno l'universo come si<br />

comporta,<br />

come si è espanso dal suo inizio, che come tutti sapete si<br />

chiama<br />

Big Bang Ebbene questo universo è cominciato ad un certo<br />

punto circa 15 miliardi di anni fa e ad un certo punto siamo arrivati nella sua storia, ma ciò che però<br />

possiamo vedere dell'universo è soltanto<br />

una sua piccola parte, cioè quello che viene chiamato l'orizzonte<br />

degli eventi dell'osservatore è la parte che possiamo osservare perché la luce ha già potuto percorrere la<br />

distanza che separa quella parte dell'universo da noi; come vedete dalla figura, questa parte dell'universo a<br />

cui possiamo accedere, che noi possiamo direttamente vedere, è soltanto una piccola parte dell'intero<br />

universo, cioè c'è tutta una parte dell'universo che è in qualche modo nascosta alla nostra osservazione e che<br />

noi non possiamo ancora vedere Ed ecco che allora una delle metafore del teorema di Goedel è quella che<br />

ho scritto qui sotto nella slide, cioè che “nessun osservatore può avere un'immagine completa dell'universo”,<br />

132


in questo caso si tratta ovviamente di osservatori fisici, mentre nel<br />

caso di Goedel saranno osservatori matematici. Detta così non<br />

sembra una grande scoperta, però in un certo qual modo è<br />

certamente significativa ed è tipica anche del ‘900, è un teorema<br />

caratteristico di limitatezza o di limitazione delle possibilità<br />

umane.:L'uomo è qui, guarda l'universo intorno a sé, però può<br />

vedere soltanto una piccola parte dell'universo e quindi c'è una<br />

certa incompletezza, una certa incapacità della conoscenza a<br />

ricoprire tutto l'universo nella sua interezza. Questa è la prima<br />

metafora, vediamo più da vicino invece un qualche cosa che ci<br />

porta anche al vero teorema. Guardate questo testo di letteratura,<br />

abbiamo qui di fronte a noi un grande libro aperto, da una parte<br />

porremmo delle cose che si riferiscono alla letteratura e dall'altra parte faremo la metafora, cioè guarderemo<br />

invece ai sistemi matematici.<br />

Cominciamo anzitutto con la prima parte,<br />

cioè quando noi leggiamo un testo letterario ci troviamo di fronte<br />

per l’appunto un testo, cioè la storia che<br />

viene raccontata così come ha voluto raccontarcela l'autore. In<br />

matematica il corrispondente, il corrispettivo<br />

di un testo è quello che si chiamano gli assiomi. Gli assiomi<br />

sono praticamente le proposizioni che vengono<br />

poste agli inizi della storia e che noi consideriamo come un<br />

testo dal quale dobbiamo dedurre le cose,<br />

dal quale dobbiamo dedurre la nostra immagine di ciò che ci viene<br />

detto. La critica letteraria o perlomeno l'esegesi del testo è ciò che i matematici chiamano invece le<br />

dimostrazioni, cioè un tentativo di andare a fare un'analisi di ciò che l'autore ha scritto, così come i<br />

matematici fanno invece un'analisi di ciò che gli assiomi dicono, cercando di ricavare le conseguenze, anche<br />

le parti più recondite, quelle che m agari l'autore ha soltanto in qualche modo accennato. La stessa cosa si fa<br />

in matematica, cercando di prendere questi assiomi e di analizzarli andando a vedere ciò che nascondono<br />

dietro l'apparenza. Ebbene il risultato<br />

di questa critica o di queste dimostrazioni sono nel caso della<br />

letteratura i cosiddetti aspetti impliciti,<br />

quelli di cui a prima vista non ci eravamo accorti perché il testo non<br />

ne parlava in maniera esplicita, che però si possono dedurre dalle informazioni che ci vengono date<br />

dall'autore. Ebbene i teoremi in matematica<br />

sono precisamente l'analogo di questi aspetti impliciti, cioè il<br />

tentativo di dedurre dagli assiomi ciò<br />

che era nascosto e tirarlo fuori attraverso dimostrazioni. Cosa c'entra il<br />

teorema di Goedel in tutto questo? Beh, anzitutto guardiamo che cosa succede in letteratura; prendiamo un<br />

testo letterario per esempio “i promessi sposi” e vediamo che cosa succede nella realtà descritta dai<br />

promessi sposi. Ebbene quello che qui ho scritto è precisamente una metafora del teorema di Goedel che<br />

dice “nessun testo descrive una realtà sufficientemente complessa in modo completo”. Ho fatto l'esempio<br />

dei promessi sposi perché tutti probabilmente siamo stati torturati a scuola, costretti a leggerlo e la domanda<br />

che vi potrei fare, una delle domande che vi potrei fare sui Promessi sposi è per esempio, che dopo tutte le<br />

vicende che, come ovviamente voi tutti sapete, si conclusero<br />

Felicemente, Renzo e Lucia si sposano, ebbero dei figli, ebbene<br />

quanti figli ebbero Renzo e Licia? Immagino che voi ci pensiate<br />

un momento, non vi viene in mente quanti figli ebbero, per un<br />

motivo molto preciso, perchè Manzoni dice semplicemente dopo<br />

di questo, dopo il primo figlio, ne ebbero chissà quanti altri e non<br />

precisa, non lascia determinato, qual'è il numero, la consistenza,<br />

diciamo così, della famiglia Tramaglino. Ebbene questo non è<br />

un'eccezione, perché è vero sempre che quando si ha di fronte a<br />

noi un testo che racconta una realtà che è sufficientemente<br />

complessa, non ci possono essere tutte le informazioni, per<br />

esempio il colore dei vestiti che Renzo aveva in un certo<br />

momento oppure, non so, la forma delle scarpe di Lucia quando<br />

scappava dai Bravi e così via, sono tantissime cose che il testo<br />

non riesce descrivere, cioè c’è una realtà,<br />

ma questa realtà è sottodeterminata in qualche modo, non si può<br />

raccontare in maniera completa. Ebbene<br />

questa ovvietà che si potrebbe dire letteraria, da un punto di vista<br />

133


matematico diventa invece qualche cosa di molto profondo; così come nessun testo descrive una realtà<br />

letteraria sufficientemente complessa in maniera completa, ebbene nessun testo matematico, in questo caso<br />

nessun sistema aritmetico sufficientemente complesso è completo. Ecco però che quello che da un vista<br />

semplicemente letterario non ci dava forse molto fastidio, da un punto di vista matematico c'è ne da molto di<br />

più, perché di certo vi ricorderete quando abbiamo parlato di Frege, quando abbiamo parlato di Russell e di<br />

Wittgenstein, dell'idea, del sogno di poter arrivare a un sistema che fosse appunto una descrizione completa<br />

di tutta la matematica o perlomeno del sistema aritmetico, della realtà che tratta dei numeri interi, ebbene,<br />

purtroppo, il risultato di Goedel dice precisamente questo, che per quanto riguarda anche soltanto la piccola<br />

parte o perlomeno quella parte importante, certamente non totale della matematica che tratta dei numeri<br />

interi, già di questa parte non si può dare una descrizione completa, non ci può essere il libro, il testo<br />

letterario nel quale sono descritte, non esplicitamente ovviamente perché questo non ce lo potremmo<br />

aspettare, ma nemmeno implicitamente, tutte le proprietà del sistema, cioè qualunque sistema di assiomi che<br />

noi poniamo per i numeri interi sarà incompleto, non sarà una descrizione completa, ci saranno sempre delle<br />

verità aritmetiche che non sono né dimostrabili né refutabili all'interno di questo sistema, cioè il testo<br />

aritmetico della matematica non è completo; il che significa che non ci può mai essere la fine della storia,<br />

che la matematica se vogliamo paragonarla per l’appunto a qualcosa di letterario, non è un libro, ma è una<br />

biblioteca che non viene mai terminata perché bisogna sempre continuare ad aggiungere volumi uno dietro<br />

l'altro. <strong>Qui</strong>ndi qui vediamo che questa metafora che nel caso della letteratura permetteva alla letteratura di<br />

continuare a vivere, cioè nessun libro era completa, ma questo va bene, il che significa possiamo continuare<br />

a leggere altri romanzi, nel caso della matematica va un po' meno bene, comunque questa è effettivamente la<br />

realtà. Questa era la seconda nostra metafora, mentre la prima era una metafora fisica, il fatto che gli<br />

osservatori<br />

non possono ricoprire col loro sguardo, naturalmente non solo fisico, ma anche attraverso i<br />

telescopi<br />

l'intero universo, questa seconda metafora è letteraria, cioè nessun testo matematico ci può<br />

raccontare l'intera storia della matematica, ci sarà bisogno non soltanto di tanti testi,<br />

ma addirittura di infiniti<br />

testi, nessun numero finito di testi è sufficiente a dirla tutta per così dire.<br />

Bene, passiamo ad un'altra metafora che è ancora più vicina proprio alla dimostrazione del teorema di<br />

Goedel ed è una metafora che ci viene invece dalla filosofia. Questo signore nella slide lo riconoscere tutti, è<br />

ovviamente Kant; ebbene Kant scrisse un opera molto importante verso la fine del ‘700 e questa opera,<br />

come tutti almeno sapete dal titolo, si chiama “la critica della<br />

ragion pura”. Ebbene la critica della ragion pura è ovviamente un<br />

monumento della filosofia contemporanea, è il tentativo di mettere<br />

insieme da una parte il razionalismo di Cartesio, di Spinosa e<br />

dall'altra parte invece l’empiricismo, l'empirismo inglese di Hume e<br />

Locke e così via, cioè è un tentativo di sintesi ed è per questo che<br />

Kant effettivamente è considerato forse il più importante filosofo<br />

del ‘700, ma anche forse il più importante filosofo dell'era<br />

moderna. Ebbene tra le tante cose che si trovano nella “critica della ragion pura” si può guardare, come<br />

vogliamo fare noi adesso in questi brevi<br />

istanti, qual'è l'impianto, qual’è l'idea essenziale della critica della<br />

ragion pura. Ebbene l'idea l'ho espressa<br />

in questo modo, cioè l’idea di Kant è questa: “se la ragione vuole<br />

essere consistente, non può essere completa”.<br />

Cerchiamo di capire meglio che cosa significa questo; Kant<br />

aveva questa idea, che noi ci troviamo<br />

di fronte, quando parliamo con noi stessi o con altri, quando<br />

pensiamo alle nostre idee, al problema<br />

dell'estensione delle potenzialità della ragione. Ora ci sono in<br />

qualche modo due tensioni quando si<br />

parla di ragione, da una parte vogliamo che la ragione sia consistente,<br />

ricorderete, per esempio dalla lezione<br />

su Platone, che uno dei principi fondamentali della logica è per<br />

l’appunto il cosiddetto “principio di<br />

non contraddizione”, cioè noi possiamo dire una cosa oppure il suo<br />

contrario, ma non certamente possiamo<br />

dire la stessa cosa e il suo contrario nello stesso momento, perché<br />

questo sarebbe una contraddizione che<br />

è appunto contraria a tutta la storia, a tutto l'impianto della logica<br />

contemporanea e la mancanza di contraddizione<br />

è proprio ciò che si chiama consistenza.<br />

<strong>Qui</strong>ndi questo<br />

sembrerebbe essere una delle richieste fondamentali che noi imponiamo alla ragione, vogliamo che le<br />

ragioni sia consistente. Ebbene l'altra proprietà invece che ci piacerebbe che la ragione avesse, sarebbe la<br />

completezza, cioè riuscire con la sola ragione ad arrivare a capire praticamente tutto ciò che si può capire,<br />

134


cioè ogni verità dovrebbe essere accessibile alla ragione. Questa completezza per l’appunto è l'altra faccia<br />

della medaglia, quindi da una parte la consistenza, la mancanza di contraddizioni, dall'altra parte la<br />

completezza, la possibilità di capire, di arrivare a capire ogni verità. Ebbene l'essenza della critica della<br />

ragion pura è proprio questo, cioè “se la ragione vuole essere consistente non può essere completa”, cioè<br />

queste due caratteristiche, queste due richieste non vanno d'accordo, perché se noi vogliamo avere la<br />

completezza non possiamo avere la consistenza<br />

e viceversa. Questo di nuovo è una limitazione della ragione<br />

umana, non si può avere tutto ciò che si piacerebbe avere, soltanto una di queste due possibilità. Vediamo<br />

più da vicino come Kant ha cercato di dimostrare<br />

questo suo appunto, ovviamente non possiamo fare in un<br />

minuto la critica della ragion pura, ma l'idea<br />

fondamentale di Kant è questa: quando la ragione si spinge ai<br />

suoi limiti estremi, ciò che trova sono le “idee trascendentali”, come lui le chiama.<br />

Dimostrazione<br />

Le tipiche idee trascendentali sono il “concetto di Dio”, il<br />

Le idee trascendentali, ottenute “concetto di anima”, il “concetto di mondo” e così via. Ebbene<br />

con passaggi al limite,<br />

quando si considerano queste idee trascendentali ottenute come<br />

producono contraddizioni<br />

dicevo con un passaggio al limite, spingendosi oltre le colonne<br />

d'Ercole della ragione, queste idee trascendentali<br />

producono delle contraddizioni, cioè una parte della critica<br />

della ragion pura è precisamente la parte delle cosiddette quattro antinomie della ragione, cioè chi arriva a<br />

considerare, chi si spinge oltre i limiti della<br />

ragione, perchè si cerca di avere la completezza e in particolare<br />

si vuole poter parlare di Dio, dell'anima, del mondo, si cade nell'inconsistenza, perchè si arriva a dimostrare<br />

delle antinomie, delle contraddizioni. Allora la completezza implica l'inconsistenza,<br />

il che significa per “il<br />

questa constatazione, che l’infinito è diver<br />

m rema di Goedel. Vediamo più da vicino ancora una<br />

riformulazione matematica, in particolare<br />

riguarda in particolare “il romanzo” dell’ar<br />

Aritmetica Consid<br />

P = per ogni x e y, in onor<br />

x 2 ≠ 2x 2 principio di contrapposizione” che abbiamo usato già più di una volta e che è stato trovato appunto da<br />

Aristotele, “completezza implica inconsistenza” e significa che,se noi vogliamo la consistenza, allora non<br />

possiamo avere la completezza. <strong>Qui</strong>ndi questo è l’impianto della critica della ragion pura ed è proprio ciò<br />

che in realtà poi Goedel fece poi per la matematica. Anche qui dire che un sistema consistente non può<br />

essere completo, è un buon modo di riformulare il teorema di Goedel di cui parleremo tra poco. Bene,<br />

avviciniamoci ancora un pochettino di più e cerchiamo questa volta di vedere la matematica, cioè un modo<br />

di affrontare il teorema di Goedel da un p. di v. matematico. Da un punto di vista matematico il teorema di<br />

Goedel si può dire molto facilmente, basta dire che “la verità è diversa dalla dimostrabilità”, ciò che è vero<br />

Matematica è un conto, ma ciò che si dimostra è solo una parte di tutto quello<br />

verità ≠ dalla dimostrabilità che è vero, cioè la verità non coincide con la dimostrabilità, non<br />

.. … ≠ si riesce a dimostrare tutta la verità, ci saranno delle cose vere<br />

∞ ≠ 1 che non si riesce a dimostrare, questa è l'idea. Come mai? Oggi<br />

certamente non sarebbe poi così complicato convincersi della verità del teorema di Goedel, perché la verità<br />

coinvolge un numero potenzialmente infinito di quantificatori, cioè tutti, nessuno, qualcuno. che aveva già<br />

introdotto Aristotele: naturalmente si possono fare combinazioni a piacere di questi quantificatori e allora la<br />

verità è un qualche cosa la cui complessità è potenzialmente infinita, mentre invece la dimostrabilità è<br />

qualche cosa la cui complessità è molto semplice, cioè dire che una formula, un’affermazione è<br />

dimostrabile, significa dire che dunque esiste un solo quantificatore, esiste una sua dimostrazione. Allora<br />

può anche essere intuitivo questo fatto, che la verità è diversa dalla dimostrabilità, perché infiniti<br />

quantificatori sono diversi da uno, cioè praticamente dal p.di v. matematico il teorema di Goedel si riduce a<br />

so dal numero 1. Naturalmente questo è un po’ mascherato, ma<br />

questo è uno degli aspetti, l’aspetto mate atico del teo<br />

aritmetica perché come ho già detto prima il teorema di Goedel<br />

itmetica e quindi è bene guardare queste cose più da vicino.<br />

eriamo qui una proprietà che abbiamo chiamato P, ovviamente<br />

e di questo signore che era per l’appunto Pitagora; ebbene il<br />

contenuto<br />

del teorema di Pitagora, per lo meno del fatto che ci sono dei<br />

P vera se x, y interi numeri irrazionali, si può esprimere dicendo che per ogni x e y, per<br />

(V2 non è razionale) ogni numero<br />

x e y il quadrato di x è diverso da due volte il quadrato di<br />

P falsa se x, y reali y, cioè il rapporto tra x e y al quadrato non può essere uguale a 2, questo<br />

(V2 è reale) è il significato<br />

appunto di ciò che Pitagora scoprì come conseguenza del<br />

135


suo famoso teorema, cioè il fatto, oggi diremo, che la radice di 2 è un numero irrazionale. Ebbene<br />

guardiamo allora questa proprietà P, questa proprietà è vera o falsa? Beh, ho appena detto naturalmente che<br />

questa proprietà è vera, se noi supponiamo che i numeri inseriti siano numeri interi, non c’è nessuna coppia<br />

di numeri interi il cui rapporto al quadrato è uguale a 2, quindi abbiamo qui una proprietà che è vera nel<br />

caso dei numeri interi perché la V2 non è un numero razionale; però se invece dei numeri interi noi<br />

considerassimo dei numeri reali, allora la V2 è ovviamente un numero irrazionale e ci sarebbero dei numeri<br />

x e y che hanno questa propriètà e quindi significa che noi abbiamo una proprietà che è vera in un caso<br />

quando noi interpretiamo queste variabili come se fossero dei numeri interi ed è falsa in un altro caso<br />

quando invece interpretiamo queste variabili come se fossero dei numeri reali. Ora com’è possibile che una<br />

proprietà sia vera e falsa? Beh, ovviamente stiamo parlando di ambienti diversi, però da questo fatto che una<br />

stessa proprietà è vera in un caso e falsa nell’altro, possiamo ricavare la seguente conseguenza: questa<br />

proprietà P, che praticamente esprime il fatto che la V2 non è razionale, non è né<br />

P non è dimostrabile né dimostrabile né refutabile in un qualunque sistema i cui assiomi<br />

refutabile in un sistema siano veri sia per i numeri interi che per i numeri reali. Come mai<br />

i cui assiomi valgano questo? Supponiamo di metterci in un sistema di assiomi in cui<br />

sia per i numeri interi gli assiomi siano veri in entrambi i casi, cioè sia che parlino dei<br />

che per i numeri reali numeri reali e sia che parlino dei numeri interi; per esempio una<br />

proprietà che vale in tutti e due i casi è questa: se prendiamo x e aggiungiamo a x zero, otteniamo ancora x,<br />

x + 0 = x; questo è vero sia che x sia un numero intero, sia che x sia un numero reale. Possiamo mettere una<br />

lista anche infinita di proprietà di questo genere, che sono vere sia per i numeri interi che per i numeri reali.<br />

Ebbene possiamo considerare questa lista come un particolare sistema di assiomi dell’aritmetica, come una<br />

particolare descrizione di questo romanzo dell’aritmetica, però comunque abbiamo qui una proposizione che<br />

non può essere né vera né falsa, cioè non può essere né dimostrabile né refutabile in quel sistema, perché?<br />

Ma perchè è una proposizione che è vera per i numeri interi, ma è falsa per i numeri reali; se gli assiomi<br />

sono veri in entrambi i casi, sia per i numeri interi che per i numeri reali, anche tutte le loro conseguenze<br />

dovranno essere vere sia per gli interi che per i numeri reali, ma qui abbiamo una formula che è vera in un<br />

caso e falsa nell’altro e quindi non è possibile che questa formula sia derivabile da assiomi che sono veri in<br />

tutti e due i casi. Ebbene questo è praticamente, quasi quasi il teorema di Goedel; l’unica differenza è che<br />

Godel riuscì a trovare una proposizione molto simile, fra l’altro, alla proposizione che abbiamo trattato poco<br />

prima, che non è né dimostrabile né refutabile<br />

in un qualunque sistema di assiomi in cui gli assiomi siano<br />

veri per i numeri interi, cioè Goedel riuscì a far cadere questo riferimento all’aritmetica dei numeri reali, che<br />

in effetti è qualche cosa che centra poco quando si parla dei numeri interi e questo sembrerebbe un piccolo<br />

miglioramento, in realtà è una grande complicazione da un punto di vista matematico; però l’idea è più o<br />

meno quella che già si ottiene dal teorema<br />

di Goedel, cioè ci sono cose che non si riescono né a dimostrare<br />

né a refutare in sistemi di assiomi, i cui assiomi<br />

siano veri per i numeri interi.<br />

<strong>Qui</strong>ndi siamo ormai arrivati praticamente<br />

al dunque. Come fece Goedel a dimostrare il suo teorema che<br />

adesso enunceremo per bene, di cui accenneremo<br />

alla dimostrazione. Bene, Goedel fece questo, cominciò a<br />

considerare la storia della logica e si rifece alla famosa antinomia con la quale abbiamo cominciato<br />

praticamente il nostro corso di lezioni, cioè<br />

la famosa antinomia del mentitore. Ve la ricordo brevemente, la<br />

nostra lezione si chiamava il naso di Pinocchio<br />

per l’appunto, perché era qualche cosa che aveva a che fare<br />

con la verità e con la menzogna. L'antinomia<br />

del mentitore che è dovuta ad Epimenide consiste<br />

Epimenide semplicemente nel considerare una frase che dice “io non sono vera”<br />

“io non sono vera” oppure considerare una persona, un pinocchio che dice” io sto mentendo”.<br />

Una frase di questo genere, è vera o falsa? Beh, vediamo da vicino che cosa succede: la frase che dice “io<br />

non sono vera” non può essere vera, perché? Perché se fosse vera quello che dice sarebbe vero, ma dice di<br />

dire falso, di non essere vera e allora se fosse vera sarebbe falsa. Questa è una cosa che non può<br />

Non può essere vera fare e quindi non può essere vera. Cosa succede nel caso contrario?<br />

(altrimenti direbbe il falso) Vediamo: non può nemmeno essere falsa, perché se fosse falsa, la<br />

frase che dice “io non sono vera”, sarebbe vero il contrario di quello che dice, ma dice di non essere vera, il<br />

suo contrario è essere vera e dunque se fosse falsa sarebbe vera. Sono sicuro che naturalmente la vostra<br />

testa sta girando come succede sempre ogni volta, anche a me tra l'altro, quando parlo di queste antinomie,<br />

136


di questi paradossi, però se provate a farlo ovviamente su un foglio di carta o nell'ambito della vostra mente,<br />

vi accorgerete presto che effettivamente il dire “io non sono vera “ è un qualche cosa che non sta né in cielo<br />

né in terra, perché è una frase che non può essere né vera né falsa. Ora che cosa fece Goedel? Goedel fece<br />

un piccolo cambiamento a prima vista, che però provocò un grande sconquasso, cioè invece di considerare<br />

una frase che dice “io non sono vera” e di ottenere in questo modo un paradosso e quindi non saper bene che<br />

cosa fare, perché poi alla fine quando si ha di fronte a sé un paradosso, i paradossi sono sempre delle cose<br />

un po’ fastidiose, non si sa come risolverli, ebbene Goedel riuscì a fare una modifica del paradosso del<br />

mentitore che non è paradossale, che diventa appunto quello che si chiama il teorema di Goedel. Vediamo<br />

da vicino come arrivò a questa cosa <strong>Il</strong> cosiddetto primo teorema di incompletezza, perché vedremo presto<br />

che c’è ne un secondo che deriva da esso, ebbene in questo primo teorema di incompletezza, Goedel invece<br />

di considerare la frase che dice "io non sono vera", considera la frase che dice "io non sono dimostrabile",<br />

cioè fa questo passaggio appunto dalla verità alla dimostrabilità. Primo problema: "io non sono vera" è una<br />

Primo teorema di incompletezza frase punto e basta, perché o si è veri o non si è veri, mentre<br />

“io non sono dimostrabile in F” invece dire "io non sono dimostrabile" semplicemente non<br />

ha nessun senso, perché essere dimostrabili non è qualche cosa di assoluto, come la verità, ma è qualcosa di<br />

relativo al sistema di assiomi in cui ci si pone. Si può non essere dimostrabili in un certo sistema, ma poi<br />

magari si può diventare dimostrabili in un altro sistema; per esempio, un modo molto semplice per far sì che<br />

una certa formula sia dimostrabile consiste nel prenderla come assioma e certamente se prendiamo una<br />

formula come assioma, poi quella diventa dimostrabile perché l'abbiamo già presa agli inizi, quindi non si<br />

può dire così come si diceva "io non sono vera", non si può dire "io non sono dimostrabile", bensì bisogna<br />

dire "non sono dimostrabile in un certo sistema F ", che abbiamo indicato appunto con F , che sta per<br />

sistema formale. Allora per ciascun sistema formale F ci sarà in realtà una frase di Goedel e su questa<br />

dovremmo ragionare, in altre parole mentre il paradosso del mentitore lavorava in assoluto, valeva in<br />

assoluto, qui ci si riferisce ad un particolare sistema formale F che abbiamo fissato per il momento. Fissato<br />

questo sistema formale F, consideriamo la frase che dice "io non sono dimostrabile in quel sistema formale<br />

F" e vediamo che cosa succede, vediamo se otteniamo magari addirittura un paradosso<br />

analogo a quello del mentitore. Cominciamo subito con la prima parte; la prima parte è effettivamente la<br />

stessa storia del paradosso del mentitore, no? Vediamo questa frase che dice "io non sono dimostrabile", può<br />

essere dimostrabile? Anzi tutto dipende, dipende molto da come è fatto il sistema formale di cui stiamo<br />

parlando, ma supponiamo che il nostro sistema formale F sia un sistema che si chiama in logica " corretto",<br />

cioè un sistema che dimostra soltanto delle verità. Ebbene, se il sistema dimostra soltanto delle verità e se la<br />

frase che dice di se stessa "io non sono dimostrabile" fosse dimostrabile, allora avremo di fronte a noi una<br />

frase che è dimostrabile, che dice di non esserlo, dunque sarebbe falsa, però questo non è possibile perché il<br />

sistema è corretto, dimostra solo verità, quindi questo è lo stesso procedimento del paradosso del mentitore,<br />

sembreremo avviati verso la stessa via e dunque avviati verso gli stessi problemi; però attenzione nel caso<br />

della frase di Goedel le cose cambiano.<br />

Non può essere dimostrabile Abbiamo già ottenuto questo primo passo, che la frase<br />

se F corretto che dice "io non sono dimostrabile in un certo sistema<br />

(cioè se F dimostra solo verità) F", se il sistema è corretto effettivamente non è<br />

Non può essere refutabile dimostrabile e allora questo che cosa significa? Beh,<br />

(perché, non essendo dimostrabile, significa semplicemente che questa frase è vera, perché<br />

è vera e allora F non può dimostrare dice di non essere dimostrabile, non è dimostrabile,<br />

la sua negazione, che è falsa) dunque è vera. Allora se è vera, la sua negazione è falsa<br />

ovviamente, ma stiamo parlando di un sistema corretto, in un sistema corretto non è possibile dimostrare<br />

delle falsità, dunque la negazione della frase di Goedel non può essere dimostrabile, la frase stessa non può<br />

essere dimostrabile perché il sistema è corretto, dunque è vera, dunque la sua negazione neppure può essere<br />

dimostrabile se il sistema è corretto e allora siamo arrivati di fronte ad una frase che non è dimostrabile, la<br />

sua negazione non è dimostrabile, quindi la frase di partenza non è nemmeno refutabile, siamo arrivati di<br />

fronte ad una frase che il sistema non può descrivere. Abbiamo una frase che è vera, noi sappiamo che<br />

questa<br />

frase è vera, ma il sistema non può sapere se questa frase è vera oppure no. Non lo può sapere?<br />

Abbiamo appunto fatto vedere che questa frase non è dimostrabile e ovviamente non può nemmeno<br />

137


dimostrare<br />

che questa frase è falsa, cioè la negazione di questa, perchè altrimenti dimostrerebbe una falsità,<br />

quindi con un piccolo cambiamento, piccolo per modo di dire ovviamente, effettivamente Goedel riuscì a<br />

dimostrare<br />

che c’è una frase che parla di se stessa, dice di non essere dimostrabile, è vera e non è<br />

dimostrabile e dunque non essendo dimostrabile, ma essendo vera, nemmeno la sua negazione è<br />

dimostrabile,<br />

Questo è molto peggio del giramento di testa che viene dopo un paradosso; effettivamente il<br />

teorema di Goedel quando apparve o meglio quando fu annunciato e enunciato da Goedel nel 1930-‘31,<br />

effettivamente fece scalpore, moltissimi non lo capirono, moltissimi continuarono a credere per anni che<br />

effettivamente fosse semplicemente una versione del paradosso, che ci fosse qualche inconsistenza nel<br />

ragionamento di Goedel, eccetera. Goedel aveva all’epoca 24 anni quando scoprì questo teorema, era<br />

praticamente il risultato che ottenne subito dopo la sua tesi di laurea, come abbiamo già detto nella scorsa<br />

lezione, la sua tesi di laurea nel 1930 dimostrò “il teorema di completezza della logica proposizionale e<br />

predicativa” e nel 1931 Goedel dimostra invece “l’incompletezza della aritmetica” e di tutto ciò che poi<br />

estende l’aritmetica, in particolare di qualunque sistema matematico che sia sufficientemente potente e<br />

sufficientemente grande da contenere in particolare l’aritmetica. Benissimo, vediamo allora che cosa si può<br />

dedurre da questo teorema; ebbene, la conseguenza più importante del teorema di Goedel o meglio il modo<br />

di formulare in maniera indipendente da questa formulazione che abbiamo visto prima, cioè da questa frase<br />

il teorema di Goedel, è il seguente: se noi prendiamo un sistema che sia vero matematico, cioè che sia<br />

corretto e abbiamo già visto che cosa significa corretto, lo ripeteremo fra poco, ma comunque brevemente<br />

possiamo dire che dimostra soltanto delle verità e che sia anche sufficientemente potente e su questo ritorno<br />

tra un momentino, allora questo sistema è incompleto. Incompleto significa che non può dimostrare<br />

Un sistema matematico corretto tutte le verità, cioè ci troviamo di fronte ad una verità, che<br />

e sufficientemente potente è vera perché appunto è una verità, ma non è dimostrabile;<br />

è incompleto qual’è questa verità che è vera, ma non dimostrabile? E’<br />

proprio la frase che dice "io non sono dimostrabile". Ora tutto questo l’abbiamo già detto prima, abbiamo<br />

considerato l’ipotesi di correttezza, perché altrimenti non saremmo riusciti a derivare il fatto che la frase di<br />

Goedel non era dimostrabile, abbiamo dedotto l'incompletezza proprio dal fatto che c’è una verità che non è<br />

dimostrabile, non abbiamo parlato di questa aggiunta, il fatto che il sistema debba essere sufficientemente<br />

potente. Beh, qui sta veramente il trucco del teorema di Goedel, perché in realtà quello che abbiamo fatto<br />

noi è praticamente il gioco delle tre palle, cioè abbiamo fatto un pochettino i prestigiatori. Ora però, mentre<br />

nel caso del paradosso di Epimenide non c'era nessun trucco, cioè avevamo considerato la frase che dice "io<br />

non sono vera "oppure "io sono falsa" e poi avevamo visto quali erano le conseguenze di questa frase, nel<br />

caso del teorema di Goedel abbiamo considerato una frase che dice "io non sono dimostrabile in un certo<br />

sistema formale F", però questa è una frase del linguaggio naturale. Nel caso del paradosso del mentitore<br />

per l’appunto stavamo lavorando nel linguaggio naturale, ma nel caso del teorema di Goedel stavamo<br />

lavorando in un sistema formale per la matematica; nei sistemi formali per la matematica abbiamo soltanto<br />

delle formule. Ora come si fa a scrivere una formula che dica "io non sono dimostrabile in un certo sistema<br />

formale", ci sono alcune cose che abbiamo lasciato, per così dire, in sospeso. <strong>Il</strong> primo problema è questo<br />

fatto, cioè che si possa parlare, all'interno di un sistema formale, di dimostrabilità; in genere i sistemi<br />

formali, soprattutto quelli per i numeri, parlano di proprietà dei numeri, somma, prodotto, uguaglianze e così<br />

via, mentre qui invece abbiamo cercato di parlare di cose che erano al livello metà matematico, cioè non di<br />

cose che stanno dentro il sistema, ma di cose che stanno fuori e che noi guardiamo dall'alto, in particolare la<br />

dimostrabilità. Come possibile questo? <strong>Qui</strong> sta proprio il trucco della dimostrazione di Goedel, si tratta di<br />

far diventare in maniera molto pitagorica tutto numero, cioè di associare ad ogni parte del linguaggio un<br />

numero, in modo tale che poi alla fine tutto ciò che noi diciamo nel linguaggio si trasformi in numeri e<br />

dunque si possa parlare non delle frasi del linguaggio bensì dei numeri che le rappresentano. Oggi queste<br />

cose sono abbastanza normali, il linguaggio dei computer, come tutti sapete, è semplicemente fatto di zeri e<br />

uni. Voi scrivete sul computer fammi questa figura, per esempio oppure colora di rosso questa fa parte della<br />

figura, però poi il computer in realtà capisce soltanto zeri e uni. Anche prima che ci fosse il computer c'era<br />

questo modo di associare dei numeri a delle cose, per esempio, non so quanti di voi siano mai stati arrestati,<br />

che abbiano mai avuto queste belle foto segnaletiche di fronte al quale c’era un numero che identificava il<br />

carcerato, non so quanti di voi siano poi finiti in galera con un bel numero sullo stomaco che lo identificava<br />

138


per l’appunto, ebbene il sistema di numerazione dei carcerati era precisamente questo: assegnare a ciascuno<br />

carcerato dei numeri, in modo che ci si potesse dimenticare del fatto che erano uomini, della loro identità e<br />

parlare soltanto di numeri. L'idea di Goedel non è molto diversa, cioè si tratta di fare un'enorme prigione,<br />

un enorme sistema carcerario in cui tutto diventa identificato in questo moto, se non vi piace la metafora del<br />

carcerato, perchè naturalmente è un po' fastidiosa, non ci piace pensare che noi potremo essere o siamo stati<br />

carcerati, ebbene pensate per esempio alla vostra automobile; anche quella in realtà la si identifica con una<br />

targa, che è semplicemente un numero oppure anche un sistema con delle lettere, quindi in realtà questo<br />

sistema di associare i numeri a cose, a persone, è un qualche cosa che si fa indipendentemente dal teorema<br />

di Goedel, però Goedel lo sfruttò a fondo e allora questa sufficiente potenza vuol dire proprio questo, cioè<br />

che il sistema che stiamo considerando è qualche cosa che ci permette di parlare dei numeri e dunque ci<br />

permette di fare ragionamenti sul linguaggio, però tramutati, travestiti da numeri. Questa è la prima cosa e la<br />

seconda cosa, il secondo aspetto di questa potenza sufficiente è il fatto che la frase di Goedel non dice<br />

soltanto non dimostrabile in esso, ma dice “io non sono dimostrabile in esso”; questa è una cosa un po' più<br />

complicata, cioè la possibilità di una formula di essere autoreferenziale, per il parlare di se stessi. Questo è<br />

qualche cosa che veramente è nuovo, perché in realtà nel linguaggio naturale si dice io, ma si parla di noi<br />

stessi, mentre invece nel linguaggio formale sembrava una cosa difficilissima riuscire a fare queste<br />

autoreferenze, queste circolarità e il trucco del teorema di Goedel, il trucco tecnico è proprio questo. Non vi<br />

posso spiegare qui, ma naturalmente vedrete sui testi che sono consigliati per queste lezioni, come Goedel<br />

arrivò a fare effettivamente questa autoreferenza. Ecco che allora, un sistema in cui è possibile fare<br />

autoreferenza e in cui è possibile parlare di dimostrabilità, permette di esprimere la frase che dice “io non<br />

sono dimostrabile in questo sistema”, dunque se il sistema è corretto, quella frase è vera e non è<br />

dimostrabile, cioè il sistema è incompleto, questa è l’idea del teorema di Goedel. Che cosa succede allora?<br />

Vediamo più brevemente, ma in maniera scritta per lo meno, quali erano queste ipotesi: “corretto” significa<br />

dire che il sistema non dimostra delle falsità, “sufficientemente potente” significa dire che il sistema<br />

permette di esprimere autoreferenze, io e concetti come la dimostrabilità e da ultimo “l'incompletezza” era<br />

semplicemente il fatto di dire che ci sono delle asserzioni non dimostrabili e non refutabili.<br />

Corretto = Questo è praticamente il teorema di Goedel e un<br />

non dimostra falsità accenno alla sua dimostrazione, però c'è certamente<br />

Sufficientemente potente = l'idea fondamentale, questo fatto di considerare la frase<br />

permette di esprimere autoreferenze che dice "io non sono dimostrabile". C'è un secondo<br />

e concetti come dimostrabilità teorema di Goedel, che si chiama “ secondo teorema di<br />

Incompleto = incompletezza” che cercheremo di enunciare in questi<br />

ci sono asserzioni non dimostrabili brevi minuti che ci separano dalla fine della lezione.<br />

e non refutabili Consideriamo ora, esattamente come prima abbiamo<br />

considerato la frase P che si riferiva a Pitagora, la frase G che Goedel ha inventato, però non possiamo<br />

usare la sola frase G perché ce n'è una per ogni sistema formale, quindi usiamo la frase GF,<br />

con un indice<br />

Secondo teorema di incompletezza che sta ad indicare che stiamo nel sistema formale F,<br />

GF : ebbene qual'e la frase di Goedel? Dice "io non sono<br />

"io non sono dimostrabile in F" dimostrabile nel sistema F"; ebbene io sono proprio<br />

ovvero quella frase di Goedel, che dice semplicemente GF<br />

"GF non è dimostrabile in F" non è dimostrabile nel sistema F, va bene? Qual’era<br />

<strong>Il</strong> 1° teorema dice:<br />

il contenuto del primo teorema di Goedel? <strong>Il</strong> primo<br />

F corretto → GF teorema di Goedel diceva: se il sistema è corretto, la<br />

frase G con F non è dimostrabile in F, ma dire che la frase G con F non è dimostrabile in F è dire niente<br />

altro che G con F, perché G con F dice proprio questoo. Allora il primo teorema diceva “se abbiamo un<br />

sistema corretto allora vale questa frase”, però attenzione adesso, perché noi sappiamo già che questa<br />

formula non è dimostrabile nel sistema; se fosse possibile dimostrare all'interno del sistema formale corretto<br />

che il sistema formale è corretto, potremo dimostrare l'ipotesi di questa implicazione e dunque potremo<br />

dimostrare anche la sua conclusione, ma la sua conclusione è proprio la frase di cui Goedel ha dimostrato<br />

che non era dimostrabile e allora non è dimostrabile nemmeno il fatto che il sistema sia corretto. Ora questo<br />

139


lo rivediamo, lo riduciamo in una maniera un pochettino più formale, cioè un sistema matematico che sia<br />

corretto, che sia sufficientemente potente e questo l’abbiamo gia visto, in cui vale il teorema di Goedel,<br />

cioè il fatto che se il sistema è formale allora vale quella certa frase in cui il primo teorema di Goedel sia<br />

dimostrabile all’interno del sistema, non può dimostrare di essere corretto. Questo è quello che in qualche<br />

modo fece scalpore perché sfrondato da tutti questi tecnicismi, diciamo così, che possono anche in qualche<br />

Un sistema matematico modo distrarre dal succo faccenda, il secondo teorema di<br />

corretto Goedel dice semplicemente che se voi avete di fronte un<br />

sufficientemente potente sistema corretto, che è quello che volete avere, cioè un<br />

in cui si può dimostrare sistema che non dimostra delle falsità, ebbene questo<br />

l'implicazione precedente sistema non può sapere lui di essere corretto, cioè non può<br />

non può dimostrare di essere corretto sapere che le cose che dimostra sono soltanto verità oppure<br />

se volete, avete di fronte a voi una persona che è l'analogo del sistema formale, questa persona non è fuori di<br />

testa, non è una persona pazza, ebbene se in altre parole ha la consistenza, diciamo così, dentro la sua testa,<br />

non può sapere di essere consistente. <strong>Il</strong> secondo teorema di Goedel dice semplicemente che le uniche<br />

persone che dicono guarda che “io non sono matto” sono quelle che sono effettivamente matte e in effetti<br />

tutte le scene che voi avete visto nei film e spero soltanto nei film, quando si porta in manicomio qualcuno<br />

in camicia di forza, in genere quello che viene detto da questo qualcuno è proprio la famosa frase “io non<br />

sono matto”. Le frasi frase del tipo “io non sono matto” le possono dire soltanto i matti. Le affermazioni del<br />

tipo “io sono corretto”, cioè non dimostro delle falsità, le possono dire soltanto “i sistemi che non lo sono<br />

corretti”, perché i sistemi che sono corretti non possono avere questa capacità. Questa è una grossa<br />

limitazione perchè significa che non ci può essere questa specie di autoriflessione che i sistemi matematici<br />

possono fare. Che cosa succede dopo Goedel? Questo in parte lo vedremo nelle successive lezioni,<br />

però quello che effettivamente si fece fu di togliere questo riferimento alla correttezza, che in qualche modo<br />

Miglioramento lega il sistema con il mondo esterno, che dice che le frasi che si<br />

Si sostituisce la dimostrano dentro il sistema sono vere, mentre vero è qualche<br />

correttezza (esterna) cosa che si riferisce al mondo, ebbene si sostituì questa ipotesi<br />

con la di correttezza con la sola consistenza. La consistenza non<br />

consistenza (interna) fa riferimento all'esterno, ma fa solo riferimento all'interno,<br />

significa che non è possibile dimostrare allo stesso tempo una frase e la sua negazione, non è possibile<br />

ottenere delle inconsistenze. <strong>Il</strong> teorema di Goedel vale anche sotto questa ipotesi più debole, quindi c’è la<br />

forma più forte del teorema di Goedel, in particolare un sistema consistente non può dimostrare la propria<br />

consistenza. Se ricordate questo era effettivamente quello che era il famoso problema di Hilbert, il tentativo<br />

di Hilbert di fondare la matematica in qualche modo che fosse autofondante, cioè cercare dimostrare la<br />

consistenza dei sistemi all'interno dei sistemi stessi. Questo teorema di Goedel riformulato in questo modo,<br />

riferito alla consistenza, distrusse in qualche modo proprio il programma, il sogno di Hilbert. Bene, io spero<br />

che non vi siate annoiati, che non abbiate avuto paura, questa è stata forse la lezione più tecnica che<br />

abbiamo fatto, ma valeva la pena, in qualche modo, di vedere più da vicino anche che cosa fanno i logici e<br />

anche di capire che effettivamente non si vive di soli aneddoti, perché molte delle nostre lezioni passate e<br />

anche qualcuna delle lezioni future si è un po’ limitata raccontare a grandi linee quello che succede. Oggi<br />

invece, abbiamo cercato di andare un pochettino più a fondo e di vedere effettivamente, perlomeno nel caso<br />

più l'importante della logica moderna, qual'era lo stato delle cose. La prossima volta ripartiremo di nuovo<br />

con qualcuna delle lezioni generali.<br />

140


LEZIONE 17: Risposta a Pilato<br />

Benvenuti ad una lezione su uno dei temi centrali del nostro corso, la logica matematica in generale, anzi<br />

addirittura la logica, anche quella filosofica, cioè il tema della verità. Vi ricorderete siamo partiti dagli inizi<br />

parlando di uno dei paradossi più importanti, quello del mentitore, che oggi riprenderemo brevemente e<br />

abbiamo detto all’epoca, che proprio da questi paradossi, dallo studio della verità era nata la logica prima e<br />

poi la logica matematica in seguito. Oggi cercheremo di tirare le fila, dopo tutto quello che abbiamo gia<br />

detto riguardo ai vari personaggi e introdurremo in particolare uno dei personaggi più famosi della logica<br />

moderna che si chiama Alfred Tarski, che non è considerato forse al livello di Goedel, ma insomma poco<br />

dopo, forse il secondo logico, soprattutto negli anni ‘30, che ha portato un contributo essenziale a questo<br />

studio della logica matematica. La nostra lezione viene intitolata oggi “risposta a Pilato”, come mai?<br />

Sembra quasi una cosa blasfema, ma in realtà c’è un motivo molto preciso che vediamo subito. Nella slide<br />

c’è un'immagine della passione di Cristo che forse qualcuno di voi avrà riconosciuto, è la metà di un famoso<br />

quadro di Piero della Francesca che si chiama “la flagellazione”, manca la seconda parte del quadro, ma<br />

questo non ci interessava in questo momento; ebbene chiunque, anche coloro che non sono religiosi<br />

conoscono la storia di questa faccenda, cioè il fatto che uno dei due a un certo punto subì un processo e tra<br />

le varie traversie, tra le varie stazioni di questa via crucis, come ancora oggi viene chiamata, una di queste<br />

stazioni fu quando Gesù si trovò di fronte a Ponzio Pilato. Ci fu<br />

uno scambio di opinioni tra il governatore romano della Palestina<br />

dell’epoca e Gesù, per l’appunto, il profeta di questa nuova<br />

religione. La cosa che a noi interessa in questo particolare momento<br />

furono queste due frasi riportate qui sulla slide, cioè ad un certo<br />

punto Gesù parlava e disse una delle frasi che ripeteva spesso “io<br />

sono la verità”. Pilato gli chiese, gli domandò che cosa è la verità?<br />

Beh, la risposta ovviamente Pilato non stette ad aspettarla, io non so<br />

se Pilato fosse un logico matematico, se sapesse che la risposta a<br />

Gesù non avrebbe potuto dargliela, non perché non la conosceva, ma perché nessuno la sapeva. La verità<br />

non esiste all'interno del linguaggio, diremmo noi oggi dopo 2000 anni, ma di questo appunto parleremo<br />

quest'oggi. <strong>Qui</strong>ndi in altre parole cercheremo di andare a rispondere in maniera ovviamente non religiosa, in<br />

maniera scientifica alla domanda di Pilato che cos'è la verità? Ebbene poniamoci anche noi questa domanda<br />

e cerchiamo di andare a vedere, come abbiano trattato di questa domanda, anzitutto nel periodo passato,<br />

quando ci siamo interessati della logica al tempo dei greci, eccetera e poi anche di venire più vicini a noi e<br />

di vedere qual’è la soluzione al problema su che cosa sia la verità che è stata proposta nei tempi moderni.<br />

Dirò subito, che non c'è una soluzione, qui non c'è la soluzione del problema, ce ne sono tante, quella che a<br />

noi interessa di più, visto che questo è un corso di logica matematica, è la soluzione che diede Alfred Tarski,<br />

cioè la definizione formale della verità nel meta linguaggio e la dimostrazione che una definizione della<br />

verità nel linguaggio non esiste, però accenneremo molto brevemente al fatto che ci sono appunto altre<br />

teorie della verità, che forse sono state anche più influenti, più interessanti per coloro che studiano invece<br />

filosofia del linguaggio, che studiano filosofia in generale. <strong>Qui</strong>ndi volevo sottolineare appunto questo fatto,<br />

che noi cercheremo di dare questa risposta alla domanda di Pilato "che cos'è la verità", ma la daremo questa<br />

risposta ovviamente dal nostro p.di v., che è il p.di v. di un logico e di un matematico. <strong>Qui</strong>ndi cerchiamo di<br />

tracciare le fila allora di ciò che abbiamo detto finora, di andare a rivedere l'inizio della nostra storia.<br />

Ricorderete che abbiamo fatto questa lezione sul paradosso del mentitore di Eubulide del IV-V secolo a.C.,<br />

che disse ad un certo punto "io sto mentendo". La storia del paradosso del mentitore non la sto a ripetere,<br />

potete andare a vederla in una delle prime lezioni, ma la cosa importante è rivedere qual’è il problema in<br />

Eubulide questa frase "io sto mentendo". E’una frase che apparentemente non può essere né<br />

(V secolo a. C.) vera né falsa, come mai? Proviamo a supporre che questa frase "io sto mentendo"<br />

Io sto mentendo sia vera; ebbene le frasi vere dicono la verità per l’appunto e allora ciò che dice<br />

questa frase, se è vera, dev’essere effettivamente così nel mondo, ma la fase dice “io sto mentendo”, quindi<br />

se è vera la frase che dice "io sto mentendo" dovrebbe anche essere falsa, perché è vero ciò che dice, ma<br />

dice di essere falsa. <strong>Qui</strong>ndi questa è un'ipotesi assurda, per così dire, non si può supporre che una frase “io<br />

141


sto mentendo” sia vera, perché altrimenti sarebbe anche falsa. A prima vista uno potrebbe dire, allora sarà<br />

falsa; ebbene però, se noi supponiamo che questa frase sia falsa, allora dovrebbe essere vero il contrario di<br />

ciò che dice, ma poiché dice io sto mentendo, il contrario sarebbe “io sto dicendo la verità”, quindi anche<br />

supponendo che questa frase sia falsa si arriva al suo posto, ad una contraddizione; in altre parole, in breve<br />

se si suppone che la frase sia vera, allora si dimostra che è falsa e se si suppone che la frase sia falsa allora si<br />

dimostra che è vera ed ecco qui che i greci scoprirono un impasse praticamente, scoprirono che c'erano delle<br />

frasi, tra l'altro frasi anche molto semplice come questa, che ha semplicemente soggetto e predicato e<br />

nient'altro, ebbene frasi di questa semplicità che però mettono in forse, mettono in dubbio il cardine<br />

essenziale di quello che è la logica classica, cioè il fatto che le frasi, perlomeno le frasi affermative, cioè<br />

quelle che esprimono un pensiero compiuto debbano essere o vere o false, non tutte e due assieme e questo è<br />

il famoso “principio di non contraddizione” e almeno una delle due dev'essere vera, esattamente una delle<br />

due e questo è ” il principio del terzo escluso”. <strong>Qui</strong>ndi questa base, questo fondamento della logica classica,<br />

cioè di basare la teoria della verità praticamente sul fatto che ci siano due soli valori di verità, il vero e il<br />

falso, il fatto che ciascuna frase debba avere uno dei due valori di verità e non tutti e due, cioè ”il principio<br />

del terzo escluso” e “il principio di non contraddizione”, ebbene questa semplice teoria della verità viene<br />

messa<br />

in dubbio, viene in qualche modo minata dall’esistenza di un paradosso di questo genere appunto da<br />

una frase così semplice che dice “io sto mentendo”, che non può essere né vera né falsa, perché qualunque<br />

delle due supposizioni porta al suo contrario e dunque porta a una contraddizione. Questo è l'inizio, questo è<br />

il problema della verità, problema che in qualche modo forse poteva essere noto a Pilato, quando chiede a<br />

Gesù appunto che cos'è la verità. Voi direte insomma come potete sapere notizie di questo genere, perché in<br />

realtà ci sono delle testimonianze storiche; per esempio San Paolo nella lettera a Tito cita espressamente il<br />

paradosso del mentitore, lo conosceva, non lo aveva capito molto bene, se andate a rileggere la lettera a<br />

Tito, vi accorgerete subito che fa un po' di pasticci quando lo riprende, quando lo riporta, però certamente<br />

queste erano cose che ormai erano entrate nel saper comune, che risalivano al quinto secolo a. C.; San Paolo<br />

ovviamente e prima di lui Gesù Cristo vivevano nel primo secolo d. C. e quindi insomma qualche cosa si<br />

sapeva e non s’era certamente persa memoria di questi avvenimenti e allora andiamo a vedere che cos'è<br />

successo. Ovviamente prima di Gesù Cristo i filosofi greci incominciarono a cercare di avvicinarsi a<br />

precisare la nozione di verità, una definizione della verità. <strong>Il</strong> primo che cercò di fare questo fu Platone. Ecco<br />

qui nella slide Platone, lo abbiamo visto più volte nella rappresentazione di Raffaello, questa è l'ultima<br />

volta probabilmente che lo vediamo nelle nostre lezioni, questa è la famosa Scuola di Atene, Platone è colui<br />

che indica il cielo, il mondo delle idee, Aristotele invece è colui che guarda in basso al mondo della natura e<br />

naturalmente quando Raffaello fece questa immagine non aveva in mente quale fosse la figura di Platone,<br />

questo non ve l'ho mai detto, ma molti di voi lo sapranno, questa non è<br />

nient'altro che un'immagine di Leonardo da Vinci, cioè Raffaello si ispiro<br />

a Leonardo, al grande scienziato per rappresentare un grande pensatore<br />

come Platone. Che cosa fece Platone? Platone ovviamente nel campo<br />

della logica fece molte cose, se non ve le ricordate, ritornate alla lezione<br />

che abbiamo dedicato a lui, ma in particolare fece qualche cosa che ha a<br />

che fare con il problema di cui trattiamo oggi, cioè con la definizione di<br />

verità e in questo suo dialogo nel “sofista” diede per la prima volta nella<br />

storia quella che oggi viene considerata, spesse volte in maniera un<br />

pochettino riduttiva, la definizione di verità. Se voi leggete testi filosofici, si pensa quasi che questa sia la<br />

definizione di verità e Tarski in qualche modo fece cattiva propaganda a se stesso quando nel suo lungo<br />

articolo del 1936, un centinaio di pagine, affrontò questo problema della verità e diede poi quella che tra<br />

poco riporteremmo e che ricorderemmo e che divenne per i filosofi, finalmente per i filosofi, quasi la<br />

definizione di verità per antonomasia, ma in realtà non era su questo che Tarski aveva lavorato e vedremo<br />

meglio quali sono i problemi che aveva affrontato lui. La prima parte, quella che in genere viene citata nella<br />

definizione di verità, già risale in realtà<br />

al dialogo di Platone "il sofista", per cui prima vediamo meglio<br />

qual’è<br />

la definizione che Platone dà della verità. Ovviamente ci sono due parti: la definizione di verità deve<br />

dire<br />

quand'è che una frase vera e quand'è che una frase è falsa. Andiamo a vedere la prima parte anzitutto.<br />

Quand'è<br />

che qualche cosa è vero? Ci sono due casi e sono i casi, che ho scritto appunto sulla slide, cioè “è<br />

142


vero dire di ciò che è che è e dire di ciò che non è che non è”. Ora questo sembra quasi uno scioglilingua,<br />

cerchiamo<br />

di capire meglio, di affrontare meglio il problema. Quand'è che una frase è vera? Una frase è<br />

vera<br />

quando ciò che dice effettivamente succede nel mondo, cioè questo significa dire di ciò che è che è;<br />

Definizione di verità significa che noi stiamo dicendo che qualcosa succede e questo<br />

Vero effettivamente succede nel mondo oppure il caso contrario,<br />

= dire di ciò che è che è stiamo dicendo che qualcosa non succede, qualcosa non ha una<br />

= dire di ciò che non è che non è certa proprietà e questo non ce l’ha effettivamente nel mondo,<br />

cioè in altre parole l’idea di Platone, della definizione di verità basilare, per i fatti atomici perlomeno, come<br />

diremo oggi nel linguaggio logico, cioè la definizione di verità è semplicemente che ci dev’essere<br />

corrispondenza tra ciò che si dice nel linguaggio e ciò che accade nel mondo, cioè un legame tra il<br />

linguaggio da una parte e i fatti e la realtà dall'altra. C'è l'altra faccia della medaglia, cioè dire quando una<br />

cosa è falsa. Ora è chiaro che una volta che si sa quand'è che una frase, un’affermazione è vera, il contrario<br />

varrà per definire quand’è che un'affermazione analoga è falsa; però vediamo anche questo più da vicino,<br />

cerchiamo di capire quand'è che una frase secondo Platone è falsa. Ebbene nella sua formulazione una frase<br />

è falsa quando “è falso dire di ciò che è che non è e dire di ciò che non è che è”. Si tratta semplicemente di<br />

capire che cosa Platone avesse in mente quando intendeva dire queste cose; ebbene “dire di ciò che è che<br />

non è”, significa fare una affermazione nel linguaggio che contraddice ciò che succede nel mondo, cioè si<br />

Falso dice che una cosa vale, che succede, che accade. quando in realtà<br />

= dire di ciò che è che non è poi nei fatti succede il contrario oppure si dice che una cosa non<br />

= dire di ciò che non è che è accade quando invece nella realtà essa accade. In altre parole, per<br />

dirla brevemente, la definizione di verità secondo Platone è semplicemente un accordo, come ho già detto<br />

prima, tra ciò che succede nel linguaggio<br />

e ciò che succede nel mondo. Se si afferma qualche cosa nel<br />

linguaggio, quella affermazione è vera se ciò che esprime è vero nel mondo e se si<br />

nega qualche cosa nel<br />

linguaggio, ebbene quella negazione è vera se effettivamente ciò che essa nega non accade nel mondo;<br />

viceversa invece, un'affermazione è falsa<br />

quando dice, afferma qualche cosa, ma nel mondo succede il<br />

contrario e una negazione è falsa quando<br />

invece nel mondo accade ciò che è. <strong>Qui</strong>ndi in altre parole ci deve<br />

essere accordo per l’appunto, una specie<br />

di isomorfismo avrebbe poi detto Wittgenstein qualche tempo<br />

dopo, un isomorfismo tra ciò che succede<br />

nel linguaggio e ciò che succede nel mondo. Ricordatevi però che<br />

Platone parlava a livello praticamente<br />

di quelli che abbiamo chiamato i predicati atomici, come<br />

raffigureremo noi oggi queste definizioni?<br />

La frase che citavo prima appunto, che poi Tarski ha reso noto<br />

nel suo linguaggio, è questa qui: la frase che dice "la neve è bianca" se e solo se la neve è bianca. Se però io<br />

lo dico a parole, ovviamente la cosa non si capisce assolutamente, perché dire che la neve bianca se e solo<br />

perché la neve è bianca, sembra una tautologia. E’ rosso ciò che<br />

rosso e così via; in realtà, notate nel motto scritto nella slide, la<br />

prima frase “la neve è bianca” è tra virgolette, la seconda frase “la<br />

neve è bianca” è senza virgolette. Che cosa significa questo?<br />

Significa dire che la frase “la neve è bianca “ è vera nel linguaggio<br />

se e solo se effettivamente la neve è bianca. La seconda parte senza<br />

virgolette esprime un fatto, mentre la prima parte tra virgolette<br />

esprime invece una citazione, sta parlando di una frase del<br />

linguaggio. Ecco qui la raffigurazione metaforica di questa frase “la neve è bianca”, abbiamo qualcuno che<br />

scia, ovviamente visto che queste sono cose che succedevano in Grecia, questi sono i campi del monte<br />

Olimpo, dove ovviamente c’è sempre molta neve e dove si scia da dei si potrebbe dire, ma non si scia da<br />

dio. Ebbene, scherzi a parte, comunque bisogna stare attenti, perché in realtà identificare questa con la<br />

definizione di verità sarebbe un errore nuovo. La neve è bianca se e solo se la neve è bianca, cioè la neve<br />

bianca tra virgolette, se e solo se la neve è bianca senza virgolette, è un'affermazione che definisce<br />

effettivamente che cosa vuol dire essere vero, ma lo definisce soltanto per frasi di questo genere, cioè frasi<br />

del tipo la neve è bianca. Ora queste frasi che cosa hanno? Hanno un soggetto, cioè la neve, hanno un<br />

predicato, cioè essere bianchi e la frase “la neve è bianca” è semplicemente un predicato applicato ad un<br />

soggetto. Ebbene queste frasi sono quelle che noi abbiamo chiamato formule atomiche, quando abbiamo<br />

143


parlato di Crisippo agli inizi del caso proposizionale, allora la definizione di Platone era praticamente il<br />

primo passo, cioè diceva che cosa significa essere vero e naturalmente di conseguenza che cosa significa<br />

essere falso, ma soltanto per le formule più semplici, più rudimentali del linguaggio, cioè quelle che per<br />

l’appunto vengono chiamate formule atomiche. Ora il linguaggio in generale, ma soprattutto quello che a<br />

noi interessa il linguaggio matematico, è un linguaggio costruito a strati. Si parte dalle formule atomiche e<br />

per le formule atomiche la definizione di verità sarà questa qui, cioè una forma atomica è vera, se ciò che<br />

essa esprime succede effettivamente nel mondo, se c'è corrispondenza tra il linguaggio e il mondo stesso, fra<br />

il linguaggio e la realtà, ma non bastano le formule atomiche. Se noi parlassimo soltanto con formule<br />

atomiche saremo insomma quasi degli schizofrenici, diremmo la neve è bianca, oggi ho mangiato, eccetera,<br />

senza mai mettere insieme queste frasi, farle diventare delle cose più complicate e soprattutto senza mai<br />

fare dei ragionamenti, perché i ragionamenti fanno coinvolgere le particelle del linguaggio, tipo i connettivi,<br />

in particolare le implicazioni. Allora il secondo livello per la definizione di verità consiste nel dire quand'è<br />

che una frase composta è vera, una volta che noi sappiamo quando le sue componenti, cioè proprio queste<br />

frasi atomiche, sono vere o sono false, si tratta di fare un passo avanti oltre Platone, di non limitarsi soltanto<br />

alle frasi atomiche, ma di cominciare a considerare le frasi più complesse e questo è stato per l’appunto il<br />

secondo livello. <strong>Il</strong> secondo livello che ovviamente si fece molto in seguito a Platone; in realtà, subito dopo<br />

Platone venne Aristotele, ma anche Aristotele nella metafisica non va oltre la definizione di verità per via di<br />

Platone, molto spesso qualcuno dice che in realtà la definizione di verità la si trova per la prima volta nella<br />

metafisica, cioè si è consci che non fu Tarski a dare questa prima definizione, ma si pensa che Aristotele sia<br />

Aristotele stato il primo. Ora è vero che nella Metafisica, soprattutto nel quarto libro, nel libro<br />

Metafisica gamma della metafisica che è quello più logico, di cui abbiamo parlato spesso e<br />

soprattutto nella lezione dedicata ad Aristotele, c’è questa definizione di verità, cioè “è vero dire di ciò che è<br />

che è e di ciò che non è che non è” ed è falso dire di “ciò che è che non è e di ciò che non è che è”, sembra<br />

quasi uno scioglilingua, ma in realtà questo risale a Platone. Stavo dicendo insomma che bisogna salire ad<br />

un secondo livello, bisogna andare oltre e andare oltre significa andare alla logica degli stoici, cioè andare a<br />

fare questa seconda analisi del linguaggio, cioè “l'analisi proposizionale che consiste dei connettivi”. Questa<br />

analisi, come voi sapete, la fece Crisippo, al quale pure a lui abbiamo dedicato un'intera lezione, quindi<br />

vedete stiamo un po’cercando di tirare i fili di ciò che abbiamo detto, però concentrandoci questa volta su<br />

questo problema essenziale della verità, che è il centro, il nucleo della logica moderna ed anche antica.<br />

Crisippo diede come suo contributo massimo, essenziale alla logica, la definizione di cosa significa verità<br />

nel caso della logica proporzionale, delle formule proposizionali. Rivediamo allora brevemente, qual'è l'idea<br />

fondamentale di questa definizione di verità di Crisippo. Anzi tutto dobbiamo rivedere brevemente che cosa<br />

significa logica proposizionale. Abbiamo parlato poco fa di predicati atomici e la logica proporzionale<br />

mette insieme questi predicati atomici attraverso delle particelle del linguaggio che si chiamano appunto i<br />

Crisippo connettivi. Quali sono i connettivi? I connettivi sono i soliti, li abbiamo<br />

Verità proposizionali detti tante volte, ormai dovreste averli imparati anche voi che avete<br />

seguito queste lezioni, sono “la negazione”, “la congiunzione”, “la disgiunzione” e “l'implicazione”. In<br />

corrispondenza a ciascuno di questi quattro connettivi fondamentali della logica proporzionale, c'è una<br />

definizione di verità che va a dire quand'è che una negazione è vera o falsa, quand'è che una congiunzione è<br />

vera o falsa, quand'è che una disgiunzione è vera e falsa e quand'è che una implicazione è vera o falsa.<br />

Queste definizioni di verità sono<br />

il nucleo centrale della logica proporzionale, così come oggi viene<br />

insegnata attraverso, per esemp io,<br />

le tavole di verità che risalgono a Wittgenstein, ma che è stata già<br />

introdotta e definita per la prima volta da Crisippo. E allora andiamo a ripassare anche queste nozioni,<br />

vediamo com’è definita la verità<br />

a livello proporzionale per i vari connettivi. Primo connettivo è la<br />

negazione: ricordatevi che questi<br />

sono i simboli quello logico e quello insiemistico che corrispondono alla<br />

Negazione (¬, –)<br />

negazione (¬, –). Quand'è che una negazione e vera e quand'è che una<br />

Negazione vera se<br />

negazione è falsa? La negazione è un operatore che inverte il valore<br />

negato falso<br />

di verità, tramuta il vero nel falso e il falso nel vero ed ecco che allora<br />

Negazione falsa se una negazione sarà vera se ciò che viene negato è falso e una negazione<br />

144


negato vero sarà falsa se ciò che viene negato è vero. In altre parole, la definizione di<br />

verità della negazione si rifà completamente alla verità o falsità di ciò che viene negato; una volta che noi<br />

sappiamo che ciò che viene negato è vero o falso, sappiamo anche se è vera o falsa la sua negazione e in<br />

particolare basta prendere il valore di verità di ciò che viene negato, cambiarlo nel suo contrario, cioè<br />

cambiare il vero nel falso, il falso nel vero e si ottiene la definizione di verità per la negazione. Tutto questo<br />

è abbastanza banale e abbastanza semplice. <strong>Il</strong> prossimo passo è passare al “connettivo di congiunzione” e<br />

vediamo allora che cosa succede in questo caso Anzitutto abbiamo qui i due simboli quello logico e quello<br />

insiemistico che corrispondono alla congiunzione (^, ∩) ed ecco che abbiamo i seguenti due casi, cioè<br />

Congiunzione (^, ∩) dobbiamo dire quand'è che una congiunzione è vera e dobbiamo dire<br />

congiunzione vera se quand'è che una congiunzione è falsa. Nel caso della congiunzione<br />

tutti i congiunti veri abbiamo anzitutto un qualche cosa che è chiaro dagli inizi, cioè<br />

congiunzione falsa se stiamo dicendo che è vero questo e quell’altro e allora cosa vuol dire<br />

almeno un congiunto falso che è vera una congiunzione? Vuol dire che i suoi congiunti, cioè le<br />

due parti che formano la congiunzione sono tutti e due veri ed ecco perché abbiamo scritto da prima qui<br />

nella slide, che una congiunzione è vera se tutti i congiunti sono veri; dico tutti i congiunti perché si possono<br />

fare ovviamente congiunzioni non soltanto con due congiunti, questo e quello, ma con un numero<br />

qualunque, questo e quello e quell’altro e quell’altro ancora, eccetera e comunque una congiunzione, anche<br />

plurima in questo caso, è sempre vera nel caso in cui tutte le sue parti sono vere e allora di conseguenza<br />

abbiamo immediatamente che una congiunzione è falsa se almeno un congiunto è falso. Basta una delle cose<br />

di cui stiamo affermando la congiunzione, basta che una sia falsa per rendere falsa tutta la congiunzione.<br />

Ovviamente anche tutte le altre potrebbero essere vere, ma se noi diciamo è vero questo e quello e quello e<br />

quello e un primo congiunto è già falso, anche se tutti gli altri sono veri, ovviamente l’intera congiunzione<br />

rimarrà falsa. <strong>Qui</strong>ndi in questo modo, attraverso questa che praticamente è una forma verbale della tavola di<br />

verità della congiunzione, Crisippo riuscì a decidere che cosa significa verità per i due connettivi principali<br />

negazione e congiunzione. <strong>Qui</strong>ndi la negazione scambia fra di loro il valore di verità, vero e falso e la<br />

congiunzione è vera solo in un caso, cioè quando tutti i congiunti sono veri ed è fals a negli altri casi. Notate,<br />

nel caso di due congiunti, i casi sarebbero quattro, perché potrebbero essere tutti e due veri o tutti e due falsi<br />

o il primo vero e il secondo falso o il primo falso ed il secondo vero, ebbene questa definizione di verità dice<br />

che solo il caso in cui tutti e due sono veri rende la congiunzione vera, gli altri tre casi, sono tutti casi che<br />

rendono la congiunzione falsa. Ora non ci sarebbe bisogno di andare oltre, perché si potrebbe definire tutta<br />

la logica proposizionale, anzi si può definire la logica proposizionale usando soltanto i due connettivi<br />

fondamentali, cioè negazione e congiunzione, però naturalmente si possono dare direttamente le definizioni<br />

di verità anche per gli altri connettivi ed quello che adesso facciamo direttamente senza preoccupazioni.<br />

Quand’è che la disgiunzione è vera e quand’è che la disgiunzione è falsa? Innanzi tutto, qui ci sono i due<br />

simboli che si riferiscono alla disgiunzione, come al solito quello logico e quello insiemistico (V, U). Ora<br />

la disgiunzione è praticamente il contrario, cioè si comporta in una maniera che i logici tecnicamente<br />

Disgiunzione (V, U) chiamano duale rispetto alla congiunzione. Nel caso congiunzione<br />

disgiunzione falsa se c’era un solo caso in cui la disgiunzione era vera ed era quello in cui<br />

tutti i disgiunti falsi tutti i congiunti fossero veri, ebbene qui nel caso della disgiunzione<br />

disgiunzione vera se la cosa è analoga, poiché si comporta al contrario, cioè è analoga al<br />

almeno un disgiunto vero caso della falsità. Questo significa che una disgiunzione è falsa, quando<br />

tutti i suoi disgiunti sono falsi. Se stiamo<br />

dicendo che o questo succede oppure quell’altro oppure quell’altro<br />

oppure quell’altro, c’è un solo caso in cui non è vero quello che stiamo dicendo ed è quando tutte queste<br />

cose, tutte queste alternative che noi stiamo<br />

mettendo insieme sono tutte false. <strong>Qui</strong>ndi la disgiunzione è falsa<br />

solo in un caso, quando tutti i disgiunti sono falsi e allora in tutti gli altri casi la disgiunzione sarà vera. Ora<br />

però quali sono tutti gli altri casi? Se non<br />

è vero che tutti i disgiunti sono falsi, almeno uno di essi sarà vero<br />

ed ecco che la disgiunzione è vera se<br />

almeno un disgiunto è vero. Allora in questo modo abbiamo<br />

praticamente data la definizione di verità<br />

dei tre connettivi più semplici, più elementari, cioè negazione,<br />

congiunzione e disgiunzione; in particolare siamo riusciti a ridurre verità o falsità della congiunzione, della<br />

disgiunzione e della negazione, alla verità o falsità delle cose che vengono negate o che vengono congiunte<br />

o che vengono disgiunte. Rimane ancora un connettivo, che come ho già detto prima si potrebbe eliminare,<br />

145


perché ovviamente questo connettivo, l'implicazione, si può definire in base a questi altri, cioè in base alla<br />

negazione e alla congiunzione oppure in base alla negazione e alla disgiunzione; però possiamo andare a<br />

vedere direttamente come viene definita la verità per l'implicazione, perché anche questo è istruttivo. Al<br />

solito abbiamo la tabellina, le due forme sintattiche della negazione, i due simboli che corrispondono alla<br />

negazione, il primo è quello logico e il secondo è quello insiemistico(=>, ). Quand’è che una implicazione<br />

è vera o quand'è che un'implicazione è falsa?<br />

Implicazione (=>, ) <strong>Qui</strong> le cose sono un pochettino più complicate, però ricorderete<br />

implicazione falsa se dalla lezione di Crisippo, che Crisippo riuscì proprio in questo o<br />

ipotesi vera e conclusione falsa meglio la Scuola Megarica riuscì più che la Scuola stoica,<br />

implicazione vera se riuscirono comunque questi greci, a definire il valore di verità<br />

ipotesi falsa o conclusione vera dell'implicazione, usando soltanto i valori di verità della premessa<br />

e della conclusione di questa implicazione. Come fecero ad arrivare a questa definizione vero funzionale,<br />

l'abbiamo chiamata, dell'implicazione? Ebbene lo fecero appunto andando ad analizzare la definizione di<br />

verità di questa implicazione ed in particolare osservando la prima parte della nostra slide, cioè<br />

“l'implicazione è falsa se l'ipotesi è vera e la conclusione è falsa”. Facciamo un momento di meditazione su<br />

questo, perchè questo è un punto veramente centrale. Cosa significa quando noi partiamo da un'ipotesi vera,<br />

facciamo un ragionamento ed arriviamo alla fine ad ottenere una conclusione falsa? Siamo partiti dal vero,<br />

abbiamo fatto un ragionamento, siamo arrivati al falso ed è chiaro che il ragionamento dev’essere stato<br />

sbagliato, perché se il ragionamento fosse stato corretto e questo è il motivo per cui si ragiona, partendo dal<br />

vero, facendo un ragionamento corretto, saremo arrivati a qualche cosa di vero e invece qualcosa è andato<br />

storto, cioè siamo partiti dal vero, abbiamo fatto un ragionamento e siamo arrivati al falso. Quello che è<br />

andato storto e precisamente l'implicazione. Allora un'implicazione in cui si parta dal vero, cioè la premesse<br />

è vera e si arrivi al falso, cioè a una conclusione falsa, deve essere un ragionamento sbagliato e per questo<br />

abbiamo scritto che un'implicazione è falsa, se l'ipotesi è vera e la conclusione è falsa. Benissimo su questo,<br />

come si dice, non ci piove. <strong>Il</strong> problema è: gli altri casi come funzionano? Cioè quando si parte, per esempio,<br />

dal vero e si arriva al vero, il ragionamento è corretto? A prima vista ovviamente non c'è nessun motivo di<br />

credere che il ragionamento sia corretto, si potrebbe essere partiti da un'affermazione vera, aver fatto un<br />

ragionamento completamente fuori dal seminato e poi dopo essere arrivati comunque ad una conclusione<br />

vera oppure essere partiti dal vero ed essere arrivati appunto a qualche cosa di diverso. Allora se si parte dal<br />

vero e si arriva ad una conclusione vera, questo non è automaticamente un motivo per credere che il<br />

ragionamento sia corretto, però quello che a noi interessa sono soltanto i valori di verità. Se siamo arrivati<br />

ad una conclusione vera, non c'importa da dove siamo partiti e questa è l'idea per l’appunto fondamentale<br />

della logica stoica, della logica di Crisippo, in altre parole quella condizione che abbiamo visto prima, che è<br />

una condizione necessaria per la verità della implicazione, cioè non può essere vera un'implicazione che<br />

parte da un ipotesi vera e arriva a una conclusione falsa, se questa condizione la si mette a testa in giù e la si<br />

fa diventare una condizione, direbbero i matematici, necessaria e sufficiente, la si fa diventare una<br />

definizione dell'implicazione, allora l'implicazione è falsa soltanto nel primo caso e in tutti gli altri casi è<br />

vera. Allora oltre al primo al caso in cui l’ipotesi è vera e la conclusione è falsa, gli altri casi sono quelli in<br />

cui l'ipotesi è falsa oppure la conclusione è vera. Ed ecco allora che abbiamo la seconda parte della nostra<br />

definizione di verità per l'implicazione: un'implicazione è vera se o l’ipotesi è falsa o la conclusione è vera.<br />

Questa è quella che dall'epoca della Scuola Megarica e della Scuola stoica viene considerata come la<br />

definizione della implicazione. Questo è il campo di implicazione megarica oppure se volete di implicazione<br />

vero funzionale. È un tentativo, riuscito tra l'altro, di completamente dimenticarsi di tutti i connotati<br />

semantici, diciamo così, del ragionamento, limitarsi soltanto al fatto di vedere se l'ipotesi è vera o falsa e se<br />

la conclusione è vera o falsa. In base a queste quattro possibilità, ipotesi vera o falsa, conclusione vera o<br />

falsa, tutte combinate fra di loro, ebbene abbiamo una definizione vero funzionale della implicazione. Bene,<br />

cosa abbiamo fatto finora? Abbiamo ricordato la soluzione di Platone e Aristotele per quanto riguarda la<br />

definizione di verità delle formule atomiche, abbiamo ricordato la definizione vero funzionale delle formule<br />

proporzionali data da Crisippo nella logica stoica. Che cosa rimane? Beh, rimane quello che è stato<br />

introdotto di nuovo nella logica moderna. Ora questo che è stato introdotto di nuovo da Frege in avanti sono<br />

stati i quantificatori praticamente, lo studio di tutti, qualcuno, nessuno. Ora sembrerebbe a questo punto<br />

146


molto semplice estendere la definizione di verità e l'idea sarebbe la seguente che ho indicato però come<br />

problema nella slide, quindi capirete che c'è qualche cosa che non va. Anzitutto cominciamo a considerare,<br />

ricordatevi, la frase famosa: la neve è bianca, tra virgolette, se e solo se la neve è bianca, senza virgolette,<br />

cioè una frase che dice la neve è bianca è vera se e solo se effettivamente succede che la neve sia bianca nel<br />

Problema<br />

mondo.Come si può pensare di risolvere la questione della verità in una frase che<br />

“per ogni x, A(x)” faccia intervenire un quantificatore, per esempio questo quantificatore universale<br />

se e solo se “per ogni”. Si potrebbe dire la frase che dice: “per ogni x, A di x” è vero, cioè la<br />

per ogni x, A(x) frase è vera se e solo se effettivamente nel mondo per ogni x., A di x è vero. Ora<br />

qui però c'è un problema ed è per questo che appunto abbiamo intitolato questa slide problema. <strong>Il</strong> problema<br />

è che mentre questo trucchetto di Platone e di Aristotele funzionava per quanto riguarda le formule<br />

atomiche, nel caso dei quantificatori la cosa non funziona più, perché? Ma perché la neve è bianca senza o<br />

con virgolette sono due cose che hanno senso indipendentemente; però dire qui “per ogni x, A di x”,<br />

effettivamente questa è una frase che tutta insieme ha senso, ma se noi diciamo “per ogni x, A di x“ e<br />

vogliamo andare a vedere se “A di x è vero”, ecco che questo non ha più nessun senso, perché qui c'è una<br />

variabile, sarebbe come se io vi chiedessi: è vero che x è uguale due? Voi mi direste, ma scusi, che cosa<br />

significa x, perché fino a quando non mi si dice che cosa vuol dire x, allora effettivamente io non posso dire<br />

se x è uguale due oppure no; posso dire se ogni x è uguale a due, questo è chiaramente falso perché ci sono<br />

molti x che non sono uguali a due oppure<br />

se qualche x è uguale due, allora questo è certamente vero perché<br />

qualche x in particolare 2 è uguale a 2, ma nel momento in cui io lascio cadere questo quantificatore, lascio<br />

cadere “per ogni” oppure “in qualche caso”, ebbene ecco che rimane qui una frase, rimane una formula tipo<br />

A di x, per esempio x uguale 2 che non ha più nessun senso, perché c'è una variabile. Questo è il vero<br />

problema che i logici hanno dovuto affrontare negli anni ‘30, non il problema che la neve sia bianca oppure<br />

no, che appunto sapevano già risolvere Crisippo e ovviamente anche i filosofi dell'antichità greca. Allora chi<br />

risolse questo problema? Chi risolse questo problema fu Tarski e il modo in cui lo risolse fu anzitutto<br />

introdurre una distinzione tra il linguaggio e il meta linguaggio; non vi posso dire nei dettagli qual’è<br />

effettivamente la soluzione, posso soltanto accennarla e l'idea di Tarski è che effettivamente noi non<br />

possiamo dire che x è uguale 2 è vero o falso, perché dipende da che cosa significa x, però possiamo<br />

Tarski far finta di non avere delle variabili, cioè possiamo introdurre, possiamo<br />

(1936) ampliare il nostro linguaggio, mettendoci dentro dei nomi che corrispondono<br />

Linguaggio e ad ogni oggetto e allora una volta che abbiamo dei nomi che corrispondono a<br />

metalinguaggio ogni oggetto, dire per ogni x, A di x è vero significherà andare a vedere se è<br />

vero che A vale per ogni cosa di cui abbiamo un nome, cioè poiché, abbiamo dato nome ad ogni cosa,<br />

questo significa precisamente andare a vedere se A è vero per ogni cosa che esiste nel mondo. E’chiaro che<br />

detta così questa soluzione sembrerà assolutamente fumosa, non si può d'altra parte parlare così di fronte ad<br />

una telecamera, raccontare quello che è una definizione, una soluzione piuttosto tecnica. La cosa importante<br />

per noi è comunque ricordarsi anzitutto che Tarski introdusse questa distinzione di livelli tra linguaggio e<br />

metalinguaggio e ciò che riuscì a fare fu questo: anzitutto capire che stiamo cercando di definire la verità in<br />

un certo linguaggio, il linguaggio è ciò di cui trattiamo; per esempio quando stiamo cercando di imparare<br />

una lingua straniera, per esempio l’inglese, andiamo a scuola e ovviamente le prime cose che ci vengono<br />

dette sono in italiano, noi stiamo cercando di imparare l'inglese, ma parliamo fra di noi con la professoressa<br />

o il professore in italiano,; ecco allora che abbiamo due lingue, la lingua di cui si sta parlando, che è<br />

l'inglese e la lingua nella quale si parla di quell'altra lingua che viene chiamata invece metalinguaggio, che è<br />

l’italiano. Ebbene in matematica succede la stess a cosa; la lingua di cui si sta parlando viene chiamata il<br />

linguaggio e la lingua nella quale si parla di quell'altra lingua viene chiamata metalinguaggio e la scoperta di<br />

Tars ki fu che queste due cose sono separate fra<br />

di loro. La prima parte della scoperta di Taski fu capire che<br />

si può definire la verità nel meta linguaggio, non all'interno del linguaggio stesso.<br />

Definibilità nel metalinguaggio La verità si definisce nel caso di Tarski per le formule atomiche,<br />

formule atomiche come faceva Platone ed Aristotele, nel caso dei connettivi come<br />

connettivi faceva Crisippo, nel caso dei quantificatori in questo modo che<br />

quantificatori vi ho detto, cioè allargando il linguaggio, introducendo nomi per<br />

tutti gli oggetti che ci sono nel mondo. Questa però è una definibilità della verità nel metalinguaggio. Che<br />

147


cosa succede nel linguaggio? Nel linguaggio succede quello che ci si potrebbe aspettare, cioè succede che il<br />

paradosso del mentitore si può riprodurre, si potrebbe riprodurre all'interno del linguaggio se ci fosse una<br />

definizione di verità che sta dentro al linguaggio e allora il teorema di Tarski dice che questa definizione<br />

Indefinibilità nel linguaggio che lui ha dato e qualunque altra definizione della verità, si può<br />

Paradosso del mentitore dare nel meta linguaggio, ma non si può trasferire all'interno del<br />

linguaggio, in altre parole Tarski ha scoperto, esattamente come Goedel, una limitazione del linguaggio<br />

formale, del linguaggio matematico, nessun linguaggio matematico può contenere la propria definizione di<br />

verità, perché se lo potesse fare si potrebbe riprodurre il paradosso del mentitore. Come vi detto prima,<br />

naturalmente queste non sono le uniche teorie del linguaggio che sono state proposte. Ed ecco che allora vi<br />

faccio vedere semplicemente qui le figure di due personaggi, due famosi filosofi, Austin che è questo<br />

signore qui in primo piano e Kripke che è questo signore che gli sta<br />

dietro alle spalle gridacchiandosela.<br />

Sono due filosofi degli anni 50, uno più vicino a noi, ancora tutt’ora in<br />

attività negli anni ‘70-‘80, due fra i tanti, che hanno proposto teorie<br />

alternative a quella di Tarski per la verità. Come mai? Perché quella di<br />

Tarski non funziona? Funziona ovviamente benissimo, però in realtà<br />

funziona per i linguaggi formali, cioè i linguaggi tipo quelli della logica<br />

matematica, i linguaggi della matematica e delle scienze, ciò che Tarski<br />

non riuscì a fare fu quello di dare una definizione di verità per l'intero<br />

campo dei linguaggi; per esempio per l'italiano, per l’inglese, per i<br />

linguaggi soliti che noi usiamo nella vita. Austin e Kripke cercarono di fare questo e in particolare vi dico<br />

soltanto due delle parole essenziali di queste nuove teorie, Austin (qui scherzosamente abbiamo introdotto<br />

invece che la foto di Austin, la foto di un qualcosa che si chiama Austin pure lei, cioè la famosa mini minor,<br />

che era fatta dalla casa automobilistica Austin e si chiamava la Austin mini), ebbene, l'idea della teoria del<br />

linguaggio di Austin, è quella che il linguaggio si riferisce soltanto a situazioni, non c'è una verità<br />

assoluta praticamente nell'empireo, ma ci sono soltanto verità relative<br />

a certe situazioni, ciò che può essere vero in una situazione può essere<br />

falso in un'altra situazione, tutto deve essere riferito alla situazione.<br />

Dunque la teoria del linguaggio di Austin è qualche cosa che non parla di<br />

verità di una frase, ma parla di verità di una frase in una certa situazione,<br />

introduce qualche cosa di più. Invece Kripke fece qualcosa di diverso, nel<br />

1975 fece una teoria che parla di atterraggio; ovviamente quando<br />

parliamo di atterraggio pensiamo ad aerei ed ecco che per questo che<br />

abbiamo messo qui in questa figura. L’idea di Kripke è che le frasi del<br />

linguaggio comune possono essere anche molto complicate,<br />

ovviamente molto più complicate di quelle del linguaggio formale;<br />

la semplicità del linguaggio formale, rispetto a quello del linguaggio<br />

naturale, è che praticamente noi prendiamo una qualunque frase, la<br />

scomponiamo, togliamo i quantificatori, togliamo i connettivi,<br />

arriviamo alla fine a qualche cosa che sono le formule atomiche,<br />

delle quali formule atomiche la verità è nota, perchè si riferisce<br />

appunto a quel trucchetto di Platone e Aristotele “la neve è bianca se<br />

e solo se la neve bianca”. Kripke dice il linguaggio naturale è<br />

qualcosa di molto più complicato, quindi in generale non è possibile fare questa discesa cioè scomporre le<br />

frasi, diciamo così, in modo da arrivare a delle costituenti atomiche alle quali ci si può riferire per definire la<br />

verità, però dice Kripke in qualche modo bisogna avere appunto un atterraggio, perché ci sono tante frasi<br />

che non hanno nessun valore di verità, proprio perché in qualche modo non riescono mai a discendere dal<br />

livello dell’astrazione fino ad atterrare a livello della concretezza. In altre parole, la teoria di Kripke fa<br />

vedere che è possibile in certe situazioni non assegnare i valori di verità a delle frasi e questo in qualche<br />

modo si ricollega al problema che il paradosso del mentitore già aveva già messo in luce agli inizi di questa<br />

storia, cioè in altre parole le frasi che possono essere dichiarate vere o false effettivamente sono soltanto<br />

148


quelle che prima o poi riescono ad atterrare dall’astrazione nella concretezza e allora riescono a fondarsi sul<br />

mondo reale. Naturalmente non ho preteso in questo modo di riuscire a spiegarvi quale fosse la teoria di<br />

Austin nel caso delle situazioni o la teoria di kripke nel caso dell'atterraggio, però certamente volevo almeno<br />

dirvi che in realtà la soluzione di Tarski che viene considerata più che soddisfacente per quanto riguarda i<br />

linguaggi formali, non è sufficiente per quanto riguarda invece i linguaggi naturali. Per i linguaggi naturali<br />

la storia è un pochettino più complicata e quindi effettivamente bisogna fare qualche cosa di più. Che cosa<br />

bisogna fare di più adesso dal p.di v.nostro? Beh, noi siamo arrivati alla fine di questa lezione, quasi alla<br />

fine ormai del nostro corso sulla verità, comunque ho voluto soffermarmi per un'intera lezione, perché<br />

questo era uno dei punti centrali della nostra storia e in effetti era uno dei punti con i quali siamo partiti.<br />

Abbiamo detto che uno degli scoprì della logica moderna era precisamente quello di arrivare a definire<br />

esattamente quali sono i confini della verità, ebbene credo che vi ho fatto vedere, più o meno, che attraverso<br />

passaggi successivi, attraverso Platone, Aristotele e Crisippo e poi altri si è effettivamente riusciti<br />

Wilde a risolvere questo problema. Termino questa lezione semplicemente<br />

“chi dice la verità prima con una battuta, che è una battuta di Oscar Wilde, che riguarda la verità<br />

o poi viene scoperto” e questo potreste impararlo attenzione, perchè diceva Oscar Wilde: chi<br />

dice la verità prima poi viene scoperto. Ebbene allora vi rilascio con questo gioco di parole e vi do<br />

appuntamento per le ultime lezione del corso di logica che ci rimangono.<br />

.<br />

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LEZIONE 18: L’enigma dell’informatica<br />

Benvenuti all'ultima lezione sui personaggi della logica. Non è l'ultima lezione del nostro corso, ne faremo<br />

ancora due di seguito, le prossime due, che poi saranno lezioni di ricapitolazione e invece questa è l'ultima<br />

lezione nella quale ci interessiamo di un personaggio, come abbiamo fatto praticamente per tutto il corso.<br />

Questo personaggio forse è uno tra i più interessanti tra quelli della logica matematica, è un personaggio<br />

ovviamente abbastanza recente, contemporaneo, è vissuto nella prima metà del secolo e si chiama Alan<br />

Turing . La nostra lezione si intitola "l'enigma dell'informatica", come mai? Vediamo anzitutto perché il<br />

termine enigma, in effetti questo personaggio ha avuto una vita che è stata in molti sensi, in molti versi<br />

enigmatica, ma c’è anche un motivo più preciso che dirò al momento opportuno. Inoltre come mai<br />

dell'informatica? Perché, vi ricorderete, abbiamo iniziato la nostra carrellata dei personaggi, la nostra storia<br />

della logica ai tempi della Grecia, ai tempi quindi della filosofia e poi ci siamo accorti pian piano che la<br />

logica stava mutando aspetto, è incominciata come un'analisi filosofica e tra l'altro i primi logici erano per<br />

l’appunto dei filosofi; ricorderete i nomi dei primi grandi logici dei quali abbiamo parlato, Platone,<br />

Aristotele, Crisippo e così via, poi siamo arrivati attraverso il Medioevo, attraverso la Scolastica e poi<br />

nell'800 ci siamo accorti che la logica matematica ha avuto quasi una mutazione genetica, cioè è diventata,<br />

per l’appunto quello che indica l'aggettivo nella seconda parte del suo nome, cioè è diventata parte della<br />

matematica, cioè è partita come un'analisi<br />

filosofica del ragionamento, è diventata un'analisi matematica del<br />

ragionamento matematico. Ebbene<br />

questa è stata la sua seconda vita, la sua seconda pelle come i serpenti,<br />

ma nell'ultima parte della nostra storia,<br />

che è anche poi tra l'altro quella che ci introduce ai tempi moderni,<br />

vedete qui vicino a me appunto un<br />

computer, ebbene dicevo nell'ultima parte della sua storia la logica<br />

matematica è stata collegata con l'informatica, collegata addirittura in un senso molto preciso, perché<br />

l'informatica, cioè lo studio dei computer<br />

è nata proprio da problematiche logiche ed è nata soprattutto con il<br />

personaggio del quale parliamo oggi<br />

che si chiama Alan Turing. Come al solito introduciamo perlomeno i<br />

paletti della sua vita, la data di nascita<br />

e la data di morte. Turing è nato nel 1912 ed è morto nel 1954;<br />

noterete subito immediatamente che<br />

morto piuttosto giovane, ha 42 anni e spiegheremo anche come mai,<br />

non<br />

è morto in maniera naturale, si è suicidato addirittura e vedremo anche<br />

perché si è suicidato.<br />

Ebbene però dobbiamo incominciare a vedere quali sono stati i risultati, le<br />

problematiche che Turing ha studiato nella sua vita e quali sono stati<br />

soprattutto i frutti di questa sua ricerca. Turing è stato veramente un<br />

personaggio singolare, anche perché nella sua vita, nella sue ricerche ha<br />

trattato<br />

gli argomenti che hanno spaziato dall'analisi dei primi computer,<br />

dalla<br />

invenzione dei primi computer fino a cose completamente slegate<br />

apparentemente<br />

da quelle che ho appena detto, come lo spionaggio, lo<br />

studio del DNA e così via; quindi<br />

avremo in questa nostra lezione da spaziare in argomenti che sono<br />

abbastanza diversi uno dall'altro. Andiamo a vedere meglio la lista di questi argomenti, la lista di questi<br />

contributi che Turing ha lasciato al<br />

pensiero moderno. Questi contributi, come vedete, sono parecchi; noi ci<br />

concentreremo meglio su cinque punti , che sono anzitutto le macchine Turing, quelle che portano il<br />

suo nome; poi parleremo di spionaggio<br />

e vedremo come mai, parleremo di informatica, di intelligenza<br />

1. macchine di Turing<br />

artificiale e morfogenesi. Argomenti che, come vi ho detto, non sono<br />

2. spionaggio completamente<br />

legati l'uno all'altro, perchè Turing in realtà come tra<br />

3. informatica l'altro<br />

succede spesso agli scienziati, ha fatto nella sua vita sempre la<br />

4. intelligenza artificiale stessa<br />

cosa, cioè aveva un interesse particolare che era quello di cercare<br />

5. morfogenesi di capire, di carpire anzi addirittura i segreti che stavano nascosti, scritti<br />

da qualche parte in qualche linguaggio.<br />

Ecco che allora, questa idea di carpire i segreti è un po' quello che è<br />

il filo conduttore, diciamo così, di questa<br />

sua ricerca, perchè ovviamente la ricerca sulle macchine di Turing<br />

era il tentativo di capire quali sono i segreti<br />

della macchina, cioè cercare di vedere che cosa può fare una<br />

macchina, che cosa può pensare una macchina,<br />

che cosa può calcolare una macchina. Lo spionaggio, non<br />

c'è bisogno che lo dica, ovviamente lì il carpire segreti è effettivamente la questione centrale, la questione<br />

cruciale. L'informatica è nata per l’appunto da una realizzazione pratica di quelle che sono state le macchine<br />

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di Turing, che invece erano un modello teorico di calcolatore. L'intelligenza artificiale è cercare di spingere<br />

ai limiti del possibile le potenzialità del computer.Turing è stato colui che ha inventato praticamente, che ha<br />

sognato, non si sa se questo sia un sogno o un incubo e naturalmente se questa è un'attività onirica dipende<br />

dai p.di v. sul quale dei due aspetti sia determinante, comunque Turing è stato il primo che effettivamente ha<br />

sognato di far pensare le macchine, cioè ha cercato di carpire il segreto per l’appunto del pensiero e di<br />

riuscire a metterlo addirittura su una macchina e poi la morfogenesi, cioè il tentativo di capire com’è<br />

possibile creare degli organismi come quelli che sono viventi, dalle piccole cose della vita, dalle piccole<br />

piante eccetera, fino a quelle più grandi, animali, uomo e così via. Com’è possibile creare delle forme che<br />

abbiano altre dimensioni a partire da un'informazione che come tutti sappiamo è codificata nel DNA. Questi<br />

sono le direttive, diciamo così, del pensiero e della ricerca di Turing. Andiamo pian piano a vedere da vicino<br />

che cosa ha fatto effettivamente Turing nella sua vita e ovviamente il suo nome, come ho già detto, è legato<br />

a questa invenzione che si chiama macchina di Turing.<br />

La macchina di Turing, Turing l’ha studiata nel periodo che va dal ‘36 al ‘39. Vi ho detto che Turing è<br />

nato nel 1912, quindi nel 36 aveva 24 anni. La domanda che si pose praticamente per scrivere la sua tesi è:<br />

1. Macchine di Turing che cosa si può calcolare meccanicamente, cioè che cos'è possibile far<br />

Cha cosa è calcolabile fare a una macchina dal p.di v. dei calcoli? Ora, anzi tutto, richiamiamo<br />

meccanicamente? la questione dell’incompletezza di Goedel, perchè qui si ripete la stessa<br />

e storia sattamente, cioè Turing che è nato nel 1912, fa la sua prima grande ricerca, la sua prima scoperta nel<br />

1936, cioè a 24 anni, esattamente l'età che aveva Goedel quando fece la sua tesi di laurea e dimostrò<br />

il suo<br />

primo grande teorema di completezza della logica dei predicati e come ricorderete dalle due lezioni che<br />

abbiamo fatto su Goedel, nel 1931 a 25 anni dimostra il suo teorema più noto, quello che gli ha dato la<br />

rinomanza che ancora oggi ha, il famoso teorema di incompletezza, che era il tentativo di far vedere che i<br />

sistemi matematici usuali sono incompleti, cioè ci sono, ricorderete la metafora che abbiamo usato facendo<br />

vedere un immagine di un mafioso, delle verità indimostrabili, ebbene queste<br />

due cose di Turing e Goedel<br />

non sono slegate.<br />

Ora questo teorema naturalmente all'epoca fece un certo scalpore, la sua dimostrazione era<br />

abbastanza<br />

complicata, perlomeno per gli schemi tecnici dell'epoca e allora molte persone cercarono di<br />

studiare<br />

questa dimostrazione e di riformularla in una maniera diversa e questo precisamente è quello che<br />

fece<br />

Turing nella sua tesi agli inizi, cioè cercare di dire: io vorrei riformulare questi teoremi di Goedel in<br />

una<br />

maniera che sia più lontana possibile da questa astrazione legata alla matematica e più vicina possibile<br />

alla<br />

concretezza, di quello che oggi noi diremmo dei computer, ma all'epoca ricordiamoci che i computer<br />

non<br />

c'erano. In questo tentativo di riformulare l'essenza del teorema di Goedel attraverso un modellino<br />

meccanico<br />

Turing arrivò appunto alla progettazione, diciamo così, teorica di quelle che oggi si chiamano le<br />

macchine<br />

di Turing. La domanda come ho detto è: che cosa è calcolabile meccanicamente? Ora cerchiamo<br />

di<br />

vedere più da vicino che cosa effettivamente fece Turing. Dunque anzitutto voi sapete, lo avete provato<br />

anche<br />

voi, perché sarete andati a comprare, a fare la spesa al mercato, in un negozio e così via, avrete<br />

dovuto<br />

prima o poi fare dei calcoli e quando si fanno dei calcoli in genere si seguono delle regole, che sono<br />

regole<br />

meccaniche, cioè s'insegnano queste regolette ai ragazzi già nelle scuole elementari e fare calcoli,<br />

fare<br />

di conto non è una cosa molto complicata, ma appunto l'idea di Turing è che questo fare di conto,<br />

questo<br />

fare calcoli, dovrebbe esser qualcosa di talmente poco complicato, che dovrebbe essere possibile<br />

farlo<br />

fare direttamente ad una macchina. Ora questa è un'idea vecchia come il mondo ovviamente, non è<br />

stato<br />

Turing il primo a pensare di costruire delle macchine che potessero fare i conti. Infatti i primi che<br />

hanno<br />

provato al mondo a fare delle vere e proprie macchine calcolatrici, notate macchine calcolatrici e non<br />

un calcolatore, dirò presto qual è la differenza fra queste due<br />

approcci, dicevo, quelli che hanno provato a fare questo primo<br />

tentativo sono questi due signori, che notate sono stati due<br />

filosofi, cioè Pascal, questo signore che sta sulla sinistra e<br />

Leibniz che invece abbiamo già visto più volte nelle nostre lezioni<br />

precedenti, tutti e due vissuti nel secolo diciassettesimo, nel 1600<br />

e la loro risposta perlomeno provvisoria era che è possibile<br />

calcolare meccanicamente perlomeno la somma ed il prodotto di<br />

numeri interi, cioè per esempio fare 3+5 non è complicato, lo può<br />

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fare certamente una macchinetta, fare 3 x 5 è un pochettino più complicato, ma certamente non è una cosa<br />

così<br />

stratosferica da non essere possibile da essere fatta da una macchina. Ora che cosa fece effettivamente<br />

anzitutto<br />

Pascal? Pascal costruì un meccanismo che era fatto attraverso delle ruote dentate e questo<br />

meccanismo<br />

era la prima macchina, la prima vera e propria macchina calcolatrice della storia, cioè ruote che<br />

giravano<br />

in maniera che si potesse impostare sulle varie rotelle le cifre dei numeri che si volevano sommare<br />

e qualcuno di voi forse ricorderà, certamente non i più giovani, ma io ricordo ancora mio padre per<br />

esempio,<br />

che aveva una vecchia calcolatrice a manovella, questa manovella appunto girava, si impostavano<br />

i numeri facendo praticamente girare delle rotelle, si faceva girare questa manovella tante volte quanto<br />

serviva e si facevano in questo modo le somme. Io come potete vedere non è che<br />

abbia 200 anni, cioè sono<br />

nato del 1950, questo vuol dire che quando io ero bambino ancora negli anni ‘50, negli anni ‘60, questo era<br />

il modo in cui venivano fatti i calcoli in maniera automatica negli uffici normalmente. C'erano già<br />

ovviamente computer a quell'epoca, ma non erano così ubiqui come sono oggi su tutte le scrivanie, anche<br />

dove non dovrebbero essere forse. Ebbene dicevo, l'inizio di questa storia, diciamo così, della<br />

meccanizzazione del calcolo, è per l’appunto la macchinetta di Pascal e poi Leibniz che era un gran<br />

matematico, come vi ho già detto più volte e che è stato colui che ha inventato addirittura anche l'analisi<br />

infinitesimale, il calcolo infinitesimale insieme a Newton, migliorò questa invenzione di Pascal, la migliorò<br />

facendo fare alla macchinetta di Pascal, aggiungendo ovviamente alcune rotelle, cambiando un pochettino il<br />

meccanismo, anche i prodotti. Ora all’epoca si pensava che questa fosse la fine, perché in realtà facendo<br />

girare le rotelle al contrario invece di fare le somme si potevano fare le sottrazioni, facendo girare al<br />

contrario le rotelle della macchinetta di Leibniz, invece di fare i prodotti, si potevano fare le divisioni,<br />

quindi le quattro operazioni fondamentali, quelle che sono per l’appunto la base dell'aritmetica, cioè somma,<br />

prodotto, sottrazione e divisione. Queste quattro operazioni fondamentali dopo Leibniz e Pascal si potevano<br />

meccanizzare, cioè c'erano delle macchinette, le famose macchine calcolatrici, che potevano fare queste<br />

operazioni. Ora per i matematici la storia finisce lì, perché i matematici sanno che tutte le altre operazioni<br />

delle quali si fa uso nella matematica correntemente, vengono definite a partire dalla somma e il prodotto,<br />

anzi addirittura già il prodotto è definito a partire dalla somma, perché il prodotto è, quello che dicono i<br />

matematici, una iterazione della somma e poi iterando via via il prodotto si ottengono le funzioni<br />

esponenziali, tutti gli esponenziali e così via. <strong>Qui</strong>ndi praticamente tutte le altre funzioni sono combinazioni<br />

della somma e del prodotto, al punto che quando si dovete dare un'assiomatizzazione della aritmetica,<br />

Peano, Dedekind, Hilbert e così via, cercarono quali erano le verità fondamentali dell'aritmetica e<br />

scoprirono appunto che era necessario dare le proprietà fondamentali di somma e prodotto, il resto seguiva.<br />

Però ovviamente è molto complicato ridurre tutto a somma e prodotto; quindi man mano che crescono le<br />

necessità, man mano che c'è bisogno di calcolare più funzioni, le macchine calcolatrici di una volta<br />

diventavano via via più grosse, si<br />

faceva quello che aveva incominciato a fare Leibniz, cioè si potenziava<br />

via via la macchinetta di Pascal<br />

e si aggiungevano nuove<br />

funzioni. Qualcuno di voi ricorderà che ancora<br />

qualche anno fa, questa volta non nel ‘30-‘40, ma una decina di anni, una quindicina di anni fa<br />

semplicemente, si andava in giro con nel taschino una di queste calcolatrici tascabili, Texas-intrument per<br />

esempio, che avevano alcuni tipi di operazione aritmetiche, cioè c'erano ovviamente la somma e prodotto,<br />

c'erano a volte le radici, gli esponenziali,<br />

i logaritmi, le funzione trigonometriche e così via, un certo stock,<br />

una certa quantità di funzioni che<br />

queste macchine potevano calcolare. <strong>Il</strong> problema di quest'approccio è<br />

precisamente che ogni volta che<br />

si vuole avere una calcolatrice più potente, bisogna aggiungere delle<br />

funzioni, bisogna aggiungere delle<br />

rotelle. Naturalmente queste prime macchine calcolatrici erano fatte per<br />

l’appunto in maniera meccanica, poi pian piano sono diventate macchine elettriche, macchine elettroniche,<br />

si dovevano aggiungere dei circuiti, cioè non ci sarebbe stata mai fine in teoria all’aggiunta di quello che si<br />

poteva mettere in una macchina calcolatrice, ma l'idea fondamentale di Turing, nel 1936, fu di capovolgere<br />

l'intera questione. Turing si pose la domanda che abbiamo detto, cioè “che cos'è che si può calcolare<br />

attraverso la macchina”, diede questa risposta che oggi sarebbe forse una risposta banale, ma che non lo era<br />

perché all'epoca non c'erano i computer, la risposta di Turing è che si può calcolare mediante una macchina<br />

esattamente ciò che può calcolare un computer. Ora cerchiamo meglio di qualificare questa sua risposta,<br />

cioè Turing capii che non si doveva continuare a potenziare via via le macchine calcolatrici facendole<br />

diventare sempre più grandi, sempre più potenti, ma era sufficiente trovare una sola macchina che avesse un<br />

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minimo di potenza necessaria per leggere quello che oggi si chiamano semplicemente i programmi, cioè si<br />

trattava non di ampliare la macchina, ma di arrivare ad una macchina che fosse in grado di leggere ed<br />

seguire programmi e allora tutto il calcolo sarebbe stato riversato sul programma e la calcolatrice in questo<br />

caso diventa una calcolatrice universale, cioè calcolatore Questa fu un'idea veramente geniale, notate 1936,<br />

prima che s’inventassero quelli che si chiamavano i computer; anzi in realtà fu proprio Turing a capire<br />

che da questa sua invenzione, che appunto era partita da problematiche completamente logiche, cioè il<br />

tentativo di riformulare il teorema di Goedel, sarebbe stata possibile costruire effettivamente una macchina<br />

Turing (1936) universale in grado di fare praticamente tutti i calcoli possibili. Ebbene<br />

Ciò che può calcolare vi ricordate, l’ho appena detto poche frasi fa, l’idea Turing era in realtà<br />

un computer quella di riformulare i teoremi di limitazione che Goedel aveva scoperto<br />

nella sua ricerca e allora il famoso teorema per cui Turing introdusse queste macchine si chiamava “il<br />

problema della fermata”, cioè Turing all’epoca era interessato alle limitazioni del meccanismo del<br />

calcolatore o del computer e solo in seguito poi l'accento venne spostato sulle potenzialità di questa<br />

macchina. E allora come mai e abbiamo messo qui un cartello di stop? Appunto perchè Turing riformulò le<br />

limitazioni dei sistemi formali in termini di macchine e divenne famoso questo problema che lui introdusse,<br />

che si chiama il problema della fermata. In altre parole i computer appunto si programmano, questi<br />

programmi possono essere programmi che a volte danno dei risultati quando li si usa con certi dati e altre<br />

volte invece possono non dare dei risultati, possono entrare in quella che è ormai un'espressione linguistica<br />

inglese, ma che è diventata di uso comune, cioè quella che si<br />

chiama entrare<br />

in loop, che significa semplicemente un circolo<br />

vizioso, incominciare a circolare; ebbene le macchine calcolatori<br />

fanno praticamente questo a volte, quando il programma li porta a<br />

fare questo. Allora ci si trova di fronte a due comportamenti diversi<br />

del computer, da una parte un comportamento per cui il computer<br />

lavora per un certo periodo di tempo, magari molto lungo, ma poi<br />

ad un certo punto si ferma con una risposta e che dice la risposta è<br />

questa, il risultato del calcolo è questo oppure c'è questa possibilità che il computer entri in loop ad un certo<br />

punto e che quindi abbia questo comportamento infinito praticamente, non si ferma mai. Allora Turing si<br />

chiese: è possibile distinguere a priori, dal di fuori, quando dato un certo programma e dato un certo input, il<br />

programma su quell'input lì si fermerà oppure no? Questo è quello che appunto viene chiamato il problema<br />

della fermata; la fermata ha a che fare con il fatto che il calcolo prima o poi arriva ad un risultato, dunque si<br />

ferma oppure prosegue all'infinito. Ebbene Turing riuscì a dimostrare che questo problema della fermata è<br />

indecidibile, non c'è nessun modo meccanico, non c'è nessun algoritmo, non c'è nessuno computer che<br />

sappia in generale risolvere questo problema della fermata. <strong>Qui</strong>ndi vi accorgerete qui che c’è una<br />

limitazione, un teorema di impossibilità ed è proprio questa la versione che Turing diede dei risultati di<br />

incompletezza, dei risultati di indecidibilità che erano stati scoperti da Goedel e da i suoi seguaci nella<br />

logica matematica. <strong>Qui</strong>ndi una versione completamente diversa legata alla macchina. Bene, fatto questo, che<br />

cosa fece Turing? Era passato un pochettino di tempo,<br />

arrivarono gli anni della guerra e Turing nel ‘40 – ‘45<br />

incominciò a lavorare per lo spionaggio inglese. Naturalmente<br />

qui abbiamo messo il simbolo dello spionaggio, cioè il<br />

Pentagono americano; gli inglesi e americani comunque erano<br />

alleati e quello che fecero gli americani e gli inglesi, in<br />

particolare il team di Turing, fu una cosa che ebbe un grande<br />

influsso sulla guerra, cioè i tedeschi usavano ovviamente un<br />

meccanismo per codificare i loro messaggi, lanciavano degli<br />

ordini, ogni mattina si alzavano come tutti naturalmente, però<br />

lanciavano anzi tutto la codifica del linguaggio che avrebbero usato durante la giornata e poi da quel<br />

momento lì in poi davano gli ordini soltanto in questa maniera codificata, che si chiama appunto in gergo<br />

tecnico crittografato, cioè in qualche modo mascheravano i loro ordini, li traducevano in una lingua che non<br />

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era possibile tradurre per coloro che non avessero a disposizione la macchina di traduzione e qual'è la questa<br />

macchina? Questa macchina si chiamava l’Enigma, eccola qua, questa è una foto ovviamente, si capisce<br />

abbastanza poco da una foto, ma potete vedere comunque un certo numero di rotelle. Non era nient'altro<br />

che una macchina calcolatrice, ma era una macchina che non serviva in<br />

questo caso per fare dei calcoli, serviva bensì per codificare le lettere<br />

dell'alfabeto; in altre parole queste rotelline avevano un certo numero di<br />

dentini, ciascun dentino corrispondeva ad una lettera dell'alfabeto,<br />

venivano piazzate agli inizi della giornata in una maniera che era<br />

completamente casuale e dunque non c'era modo di prevedere come<br />

sarebbe stata la disposizione di queste rotelline e da quel momento in poi e<br />

per tutta la giornata i messaggi venivano codificati scrivendo al posto della<br />

A la lettera che la prima la rotella diceva di scrivere, al posto delle altre<br />

lettere quello che dicevano le altre rotelle e la cosa diventava molto<br />

complicata. Ovviamente è sempre stato molto utile sapere durante la<br />

giornata come venivano codificati i messaggi, perché i tedeschi erano sicuri che nessuno sarebbe riuscito a<br />

decodificare i loro messaggi, a decodificare il loro trucco crittografico e quindi tranquillamente<br />

continuavano a trasmettere senza nessuna preoccupazione i loro ordini. Ebbene lavorando per l’appunto a<br />

questo problema, Turing riuscì effettivamente a decodificare il linguaggio degli Enigma. Agli inizi ci volle<br />

molto tempo, cioè ci volevano alcuni giorni per riuscire a capire come funzionavano i messaggi di una certa<br />

giornata. È chiaro che dal punto di vista bellico non era molto utile sapere una settimana dopo quali erano<br />

stati gli ordini, ma alla fine le cose si affinarono e negli ultimi anni della guerra, pensate voi, i tedeschi<br />

lanciavano questi messaggi, comunicavano tra di loro e senza sapere che effettivamente i comandi alleati<br />

riuscivano a decrittare i loro messaggi praticamente in tempo reale, questo grazie Turing, a lavoro di Turing<br />

che aveva già fatto appunto sulle macchine di Turing e che però riuscì in qualche modo ad applicare anche<br />

alla crittografia e ci furono anche degli episodi piuttosto tragici, poiché non si poteva far capire ai tedeschi<br />

che ormai si era capito quale era il loro linguaggio perché altrimenti avrebbero cambiato il metodo e tutto il<br />

vantaggio se ne sarebbe andato in fumo e quindi molte volte quando la cosa era piuttosto grave allora sì<br />

esitava, si faceva finta di arrivare per caso<br />

magari sul luogo del bombardamento, dove i tedeschi avevano<br />

detto la mattina che sarebbero andati e riuscire<br />

a fermare le navi, le portaerei, gli aerei e così via. Altre volte<br />

purtroppo quando l'obiettivo magari non era<br />

così importante, gli alleati fecero finta di nulla, quindi sapevano<br />

che i tedeschi sarebbero andati a bombardare<br />

una città, sarebbero andati magari a distruggere un paese e così<br />

via, stavano zitti, facevano finta di nulla<br />

e forse con la morte nel cuore vedevano queste distruzioni.<br />

Comunque questo è un aspetto un po' strano,<br />

cioè quest'uso bellico del calcolatore. Che cosa successe negli<br />

anni immediatamente successivi? Beh, successe<br />

che proprio queste ricerche arrivarono a produrre quello che<br />

oggi viene chiamato l'informatica.<br />

3. Informatica Notate, gli anni sono tra i ‘45 e ‘50, quindi immediatamente dopo la fine<br />

(1945-1959) della guerra e l'informatica non è nient'altro che la costruzione pratica di quelli<br />

Costruzione che sono effettivamente i computer teorici, che Turing si era inventato nella<br />

del computer sua tesi di laurea. Ora come mai l'informatica nacque da questi problemi? Ma<br />

perché, proprio da una parte Turing, quando doveva fare questo lavoro di controspionaggio e dall'altra parte<br />

in America, quando gli americani stavano cercando di costruire la bomba atomica, si accorsero che c'era<br />

bisogno di fare un enorme numero di calcoli e questo enorme numero di calcoli, come veniva fatto? Oggi<br />

l'avremmo fatto con i computer, ma all'epoca non c'erano i computer, quindi c'era una schiera di signorine<br />

letteralmente, cioè tante ragazze che venivano arruolate, decine di migliaia, pensate voi, a Los Alamos e poi<br />

in Inghilterra e queste ragazze funzionavano come oggi funzionano tutti i computer, cioè erano dedicate a<br />

fare tutto il giorno sempre la stessa operazione. Qualcuno scriveva un programma e diceva tu fai quello, tu<br />

fai quello, tu fai quell'altro e questa specie di orchestra che aveva ovviamente un direttore, quello che noi<br />

oggi chiameremo il programmatore, faceva questi calcoli enormi. Dopo la guerra, con più tranquillità, sia<br />

Turing da una parte che Von Neumann dall'altra pensarono che forse sarebbe stato meglio automatizzare<br />

questa cosa. L'idea del computer nacque per l’appunto da problemi veri, lo spionaggio da una parte e la<br />

bomba atomica, il nucleare dall'altra. Guardate qui, vi faccio vedere due foto dei primi computer, questo è il<br />

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computer al quale lavorò Turing in Inghilterra, si chiamava Colossus e come vedete il nome era<br />

perfettamente adeguato. <strong>Il</strong> computer di oggi, che ha un piccolo hard disk, come quello che abbiamo, per<br />

esempio sul nostro tavolo,<br />

è enormemente più potente di questo Colossus che Turing aveva a disposizione. In realtà oggi questi<br />

computer sono i computer di quelli che all'epoca sarebbero stati supercalcolatori. Guardate come il<br />

computer in realtà prendesse l'intera stanza e poi anche stanze vicine; guardate qui i nastri che giravano<br />

attraverso le rotelle, i famosi loop, che oggi naturalmente sono semplicemente correnti elettriche che<br />

passano dentro il calcolatore. Guardate qui delle valvole che si intravedono e naturalmente i primi computer<br />

venivano programmati in questo modo, cioè si andava col camice bianco e col cacciavite, quando si doveva<br />

aprire un programma non si batteva mica sul tasto della tastiera come si fa oggi, com'è facile fare, ma<br />

bisognava andava a svitare delle valvole, cambiare il posto delle valvole e cambiando le valvole si cambiava<br />

la struttura del computer, lo si riprogrammava. <strong>Qui</strong>ndi una cosa completamente diversa e per questo, fino a<br />

quando non furono inventati i computer da tavola, l'informatica era qualche cosa per addetti ai lavori.<br />

Un'immagine invece dell'altro computer, il famoso Eniac, che fu costruito negli stessi anni in America da<br />

Von Neumann è questo qui. Anche qui vedete un enorme batteria di aggeggi che venivano usati e questa la<br />

foto di Von Neumann orgoglioso vicino al suo giocattolo, vicino a questo Eniac. L’informatica nacque<br />

precisamente da queste problematiche qui, con la costruzione di queste enormi macchine, di questi<br />

enormi cervelli elettronici. Allora la metafora dei cervelli elettronici fu un qualche cosa che prese in qualche<br />

modo la spinta da queste ricerche e fece arrivare Turing a proporre una domanda che sarebbe stata<br />

abbastanza imbarazzante. Siamo nel 1950, Turing si pone la domanda fatidica. A questo punto le macchine<br />

che noi abbiamo costruito, che io Turing prima ho progettato e poi ho contribuito a realizzare fisicamente,<br />

queste macchine che sanno fare questi calcoli in maniera molto veloce, in maniera molto più “reliable”<br />

direbbero gli inglesi, affidabile, di quanto non potessero fare forse le signorine dell'epoca, ebbene queste<br />

macchine possono addirittura pensare? Cioè è possibile credere<br />

che ad un certo punto le macchine si svilupperanno così tanto da<br />

diventare quasi l'analogo degli esseri umani e del loro cervello?<br />

Questa è la grande domanda di ciò che oggi si chiama il progetto<br />

dell’intelligenza artificiale. Notate che del progetto della<br />

intelligenza artificiale oggi se ne parla parecchio, ma in realtà è<br />

nato di nuovo nella mente di Turing, in un famoso articolo del<br />

1950. <strong>Qui</strong> abbiamo un esempio di questa intelligenza artificiale,<br />

qui nella slide, tutti voi lo avrete riconosciuto, è una scena de film<br />

"2001 Odissea nello spazio" e lì c'era questo computer che<br />

mandava effettivamente avanti l'intera astronave, questo è uno degli astronauti che vanno a toccare la<br />

memoria del computer; vi ricorderete che mettevano dentro cassette che facevano parte della memoria dei<br />

computer; però questa è fantascienza ovviamente. Questa invece era una domanda scientifica, cioè Turing<br />

voleva scrivere non il copione di un film, ma voleva sapere effettivamente se la sua domanda aveva una<br />

risposta, se era possibile spingersi, a continuare a sviluppare queste macchine fino a quando fossero<br />

diventate intelligenti. Ora il problema è: come si fa capire quando una macchina e intelligente? Beh, si può<br />

fare come nella filosofia, si può dare una definizione di che cosa significhi essere intelligente e poi vedere se<br />

questa macchina si adatta alla definizione. Turing era uno scienziato e non un filosofo, insomma provocò il<br />

dibattito in un altro modo e introdusse quello che fu chiamato il test di Turing: che cos'è il test di Turing? <strong>Il</strong><br />

test di Turing è semplicemente un modo operativo per capire se la macchina pensa oppure no. Se l’inventò<br />

155


Turing appunto in quell'articolo che vi ho detto, del 1950; l'idea è la seguente: si tratta di mettere in una<br />

stanza un uomo e in un'altra stanza qualche cosa, non sappiamo se sia un uomo o se sia una<br />

macchina;<br />

si comunica attraverso una radio per esempio, attraverso<br />

un a tastiera e così via, ci si scrive domande, l'uomo fa domande a ciò<br />

che si trova nell'altra stanza, ottiene delle risposte; ebbene se attraverso<br />

questa<br />

conversazione, dopo un certo periodo di tempo, l'uomo non<br />

riesce<br />

a capire se dall'altra parte ci sia una macchina oppure ci sia un<br />

uomo,<br />

ecco che allora ciò che c'è dall'altra parte è qualche cosa di<br />

intelligente;<br />

poi si apre la porta e si va a vedere cosa c'è dall'altra parte;<br />

se c’era un uomo, bene, tanto meglio per lui, ma se invece c'era una<br />

macchina, quella la macchina ha superato<br />

il test, è riuscita in qualche modo a simulare il comportamento<br />

mentale di una persona in modo tale che è comprensibile da questa persona ed ecco che allora, si dice che ha<br />

superato il test di intelligenza di Turing e la si può dichiarare intelligente. Finora l'unico computer che abbia<br />

effettivamente superato il test di Turing è questo computer per l’appunto Al nel film "2001 Odissea nello<br />

spazio"; ma che cosa si fa effettivamente nella vita reale, quali sono le realizzazioni di questi sogni?<br />

Andiamo a vedere, effettivamente la realtà è questa: nella slide non c’è un computer, c’è il campione<br />

mondiale di scacchi che si chiama Garry Kasparov, il campione mondiale attualmente in carica, questa è una<br />

partita di scacchi, come vedete qui, qui c'è scritto, Kasparov, qui c'è scritto Deep blue e al posto di Deep<br />

Blue non c'è nessuno, come mai? Perché, come vedete nella slide in realtà sembra che ci sia uno schermo,<br />

Kasparov sta giocando una partita di scacchi contro una macchina, contro un programma. Che cosa è<br />

successo? E’ successo che i programmi per gli scacchi, che furono già<br />

subito un sogno di Turing, che appunto scrisse a mano il primo<br />

programma per scacchi, ma il computer suo era talmente lento<br />

che era più facile simulare il programma a mano che non farlo<br />

giocare dal computer, infatti Turing simulò il suo programma,<br />

giocò una partita di scacchi contro un suo amico, un essere<br />

umano e l'amico vinse subito in 26 mosse, ebbene pian piano<br />

negli anni questi programmi per gli scacchi sono diventati<br />

sempre più complicati, sono diventati sempre più raffinati, ad<br />

un certo punto hanno incominciato a giocare nei tornei, hanno<br />

incominciato a prendere punti, a diventare maestri, a diventare<br />

grandi maestri e ad un certo punto è successo il patatrac, è successo l’irreparabile, cioè in una partita di<br />

scacchi del 1996 Kasparov, campione mondiale in carica, è stato battuto da un computer. Voi direte, va<br />

beh, succede a tutti, è una brutta giornata e così via e in effetti Kasparov all'epoca così la prese. Dopo<br />

qualche anno<br />

nel 1998 Kasparov fece un torneo contro questo programma che si chiama deep blue, un<br />

torneo in sei partite, insomma prese due punti e mezzo e come potete immaginare, il computer ne prese il<br />

rimanente, cioè tre punti e mezzo, cioè ci fu, era un giorno fatidico del 1998, la prima sconfitta da parte di<br />

un campione mondiale di scacchi contro un programma. Che cosa succederà domani? Beh, ovviamente<br />

questi programmi diventeranno via<br />

via più potenti, ormai battono il campione del mondo, presto neppure<br />

più il campione del mondo potrà<br />

giocare contro queste cose, non c'è da preoccuparsi ovviamente, perché<br />

non ci saranno i programmi che diventano<br />

campioni mondiali di scacchi, così come l'automobile, così come<br />

i treni non diventano campioni olimpici<br />

quando si tratta di correre, cioè le Olimpiadi si continuano a fare tra<br />

gli atleti, che sono degli umani e le macchine vanno si più veloci degli uomini, ma chi se ne importa tutto<br />

sommato, perchè insomma far sim ulare ad una macchina, una automobile o il treno un'attività umana, come<br />

quella motoria, non è un qualche cosa che mette in dubbio la nostra unicità nel creato, però quando si arriva<br />

invece a questi punti, cioè a far fare al computer qualche cosa che noi credevamo essere tipico dell'uomo,<br />

ecco che allora cominciamo ad essere<br />

un pochettino più a disagio. Dove però potranno arrivare i computer?<br />

Beh, questo non è più la realtà, questo<br />

è il sogno, quello che ci sta di fronte nella slide e il sogno è quello di<br />

arrivare appunto a costruire degli<br />

androidi. Ora la parola androidi, forse qualcuno di voi l’avrà già vista,<br />

perché questo fa parte ancora della fantascienza, non vi preoccupate, questo è un domani chissà quanto<br />

156


lontano;, ebbene qui ci sono due personaggi, questa bellissima signorina che qualcuno di voi riconosce è<br />

Sten Young e questo signore è Harrison Ford agli inizi della sua carriera e questo è un famoso film che si<br />

chiama “Blade runner”. Ebbene il problema di Blade runner era<br />

precisamente questo: il signor Ford era un cacciatore di androidi e gli<br />

androidi sono degli organismi, sono delle macchine che sono<br />

indistinguibili da un essere umano, credo che tutti voi, per lo meno<br />

coloro che sono dei maschietti tra il pubblico, saranno d'accordo che<br />

anche se questa è una macchina insomma andrebbe benissimo a<br />

chiunque di noi; ebbene quando arriviamo a questi punti, a costruire<br />

macchine che non si possono più distinguere da un essere umano,<br />

maschile o femminile, ebbene allora si abbiamo effettivamente superato il limite, siamo arrivati ad un punto<br />

in cui la convergenza tra la macchina e l'uomo è indistinguibile, è completa e questo è appunto il sogno, io<br />

direi in realtà un incubo; non credo che oggi ci dobbiamo preoccupare troppo, però mettendo insieme non<br />

soltanto i progressi dell’intelligenza artificiale, ma anche quelli dell'ingegneria genetica e così via, della<br />

robotica, delle protesi, eccetera, effettivamente si pensa che ci sia questo incubo di fronte a noi, che ci sarà<br />

un giorno un mondo in cui circoleranno degli esseri e non si saprà bene che cosa succede. Nel famoso<br />

racconto di Philip K. Dick che è colui che ha scritto “il libro cacciatore di androidi” da cui è stato tratto<br />

questo film Blade runner, dice che il momento cruciale arriverà il giorno in cui ci sarà una macchina di<br />

fronte ad un uomo, l'uomo sparerà alla macchina e si accorgerà con sua grande sorpresa che la macchina<br />

incomincia a sanguinare. La macchina risponde e si accorgerà, sparando all'uomo, con sua grande sorpresa<br />

che invece dall'uomo esce una nuvoletta di fumo, cioè saremo arrivati al punto in cui credevamo di avere un<br />

uomo contro una macchina e invece esattamente il contrario, cioè non ci si riesce più a distinguere. Questo è<br />

dove siamo arrivati partendo dalle macchine di Turing, con questa evoluzione dei computer.<br />

Problema Bene, negli ultimi minuti invece della nostra lezione, vogliamo parlare<br />

dal DNA lineare alle di cose un pochettino diverse, ma non troppo slegate, perché Turing<br />

forme tridimensionali nell'ultima parte appunto della sua vita, si interessò della morfogenesi.<br />

Nel 1952, praticamente l'anno in cui morì, pubblicò un famoso lavoro in cui la domanda questa volta non<br />

era più come una macchina può pensare oppure che cosa significa fare calcolare una funzione ad una<br />

macchina, bensì come si forma un organismo. <strong>Qui</strong> nella slide vedete due esempi di organismi, questa è una<br />

conchiglia, il famoso nautilus, di lato invece c’è qualche cosa di<br />

organico, ebbene il problema dell'organismo è che in realtà, come<br />

tutti sapete, l'organismo si forma in base ad una informazione e<br />

notate la teoria dell'informazione e l’informatica non sono poi così<br />

slegate fra di loro, anzi sono due aspetti, due facce di uno stesso<br />

studio, di una stessa medaglia. Ebbene, qual'è il problema però che<br />

sta sotto? <strong>Il</strong> problema è che l'informazione, come tutti sapete, è<br />

codificata in qualche cosa che si chiama il DNA e poi da questo<br />

DNA si formano delle forme per l’appunto.<br />

Ora il DNA che cos’è? <strong>Il</strong> DNA è fatto in maniera lineare, è una<br />

striscia praticamente come tutte le cose che noi scriviamo, per esempio prendiamo un libro, questo libro è<br />

Problema fatto in maniera tridimensionale, ha uno spessore, una larghezza e<br />

Dal DNA lineare alle un’altezza, però in realtà il libro è semplicemente una grande linea<br />

forme tridimensionali che comincia dall'inizio e va fino alla fine e tutta l’informazione è<br />

attraverso questa linea, ovviamente la si piega questa linea in modo da farla stare in un dm 3 , cioè è molto<br />

meglio leggere un libro che sta in un dm³ che non andare a leggere un libro che si lungo un kilometro.<br />

Ebbene il DNA è un qualche cosa di estremamente lungo, naturalmente è intrecciato,<br />

come tutti sapete, in<br />

questa cosa che si chiama doppia elica, ma la cosa importante è che è lineare. Ora questa informazione<br />

lineare, cioè messa praticamente su una linea, come fa a produrre un organismo che invece in genere ha tre<br />

dimensioni, cioè come si fa a passare dalla linearità dell'informazione alla tridimensionalità, quindi questo<br />

salto in tre dimensioni degli organismi viventi. Questo è il problema che Turing voleva risolvere, è un<br />

problema che non è stato ancora oggi completamente risolto, la sua soluzione è una soluzione che<br />

157


effettivamente in qualche modo precorre i tempi ed la soluzione che diede appunto Turing, è il fatto che ci<br />

sia un equilibrio instabile nella materia e che questo equilibrio instabile venga rotto.<br />

Soluzione Che cosa è questo equilibrio instabile? Non vi posso dire ovviamente<br />

Rottura di nei dettagli, ma lo vedete qui immaginato, per esempio una ballerina che sta<br />

equilibri instabili sulle sue punte è in equilibrio instabile, se voi andate vicino ad una ballerina<br />

e la toccate, probabilmente questa casca per terra. Ebbene equilibri instabili sono per l’appunto quelle cose,<br />

quelle situazioni, quegli eventi che sranno in equilibrio, ma che però basta un piccolo cambiamento a far<br />

degenerare, a far cadere da una parte o dall'altra. Turing pensava che fosse questa rottura spontanea di<br />

equilibri per l’appunto instabili, che permettesse di passare dal DNA lineare alle forme tridimensionali.<br />

Questo è il percorso che poi è stato ripreso da vari premi Nobel, per esempio Prigogine che ha preso il<br />

premio Nobel per la chimica, Edelman che ha preso il premio Nobel per la medicina, che sono persone che<br />

appunto hanno portato avanti queste ricerche di Turing ed è strano leggere libri di chimica, libri di medicina<br />

e scoprire che uno degli antenati, che questi signori, oggi titolati attraverso premi Nobel, considerano uno<br />

dei loro precursori, che uno di questi precursori è appunto Alan Turing, cioè un logico, un informatico.<br />

Bene, siamo arrivati più o meno alla fine, all'ultimo atto di questa sfida; come vi ho già anticipato dagli<br />

inizi, l'ultimo atto di questa sfida è in realtà<br />

una tragedia. Nel 1954 Turing muore, muore suicidato. Come<br />

mai? <strong>Qui</strong> la cosa è abbastanza pruriginosa in qualche modo, Turing aveva delle abitudini sessuali che non<br />

erano proprio standard, era un omosessuale<br />

e nell'Inghilterra di quell'epoca, nell'Inghilterra degli anni 50,<br />

Suicidio(1954) ma anche più recentemente credo, fino a qualche anno fa e forse ancora adesso,<br />

l'omosessualità in Inghilterra era proibita per legge. Dunque Turing un giorno ospita un ragazzino che aveva<br />

rimorchiato per la strada, come si direbbe oggi, lo ospita in casa sua, fanno delle cose che non è il caso che<br />

vi racconti adesso e la mattina questo ragazzino<br />

scappa dalla casa e ruba degli oggetti dalla casa di Turing.<br />

Turing, ingenuo come spesso succede ai<br />

matematici, ai filosofi, ai grandi pensatori, va dalla polizia a<br />

denunciare il fatto. Denuncia questo fatto,<br />

dice c’è stato un furto in casa mia. La polizia gli chiede,<br />

naturalmente al buio brancolando, ma lei ha un'idea di chi possa essere stato a fare questo furto? E Turing<br />

disse certo che ce l’ho, è stato quel signore<br />

che è stato a casa mia. Ma lei lo conosce quel signore? L’ho<br />

rimorchiato ieri sera, come rimorchiato, per fare cosa? Beh, io ho queste tendenze, Turing non pensava che<br />

la cosa sarebbe stata così grave, Ebbene, immediatamente fu arrestato, fu processato, però poiché era un<br />

eroe di guerra, non lo sapeva nessuno, ovviamente non lo sapevano i carabinieri della stazione di polizia,<br />

però immediatamente quando Turing venne arrestato si muovono gli alti comandi che dicono appunto ai<br />

giudici, ai carabinieri che Turing in realtà è un eroe di guerra, perché è stato un eroe del controspionaggio.<br />

Queste cose sul controspionaggio, sull'Enigma che vi ho raccontato, sarebbero poi state rivelate soltanto<br />

molti decenni dopo, negli anni 70-80 e allora come grande gentilezza verso questo grande eroe della patria,<br />

che aveva così contribuito a salvare, anche a far vincere la guerra, che cosa gli si propone? Si propone una<br />

scelta o andare in galera per 10 anni oppure essere curato. Ora come si fa curare una persona dalla<br />

omosessualità? Negli anni 50 si era molto ingenui, gli americani semplicemente castravano gli omosessuali,<br />

ne hanno castrato 50.000 negli anni 60, ebbene gli inglesi fanno una cura di ormoni a Turing, una cura di<br />

ormoni femminili, pensando che questo potesse guarire l'omosessualità, Turing sviluppa addirittura<br />

il seno e<br />

gli cadono i capelli e così via e in preda<br />

ad una crisi emotiva più che comprensibile, si suicida, si suicida<br />

come? Si suicida mangiando una mela<br />

avvelenata perché non voleva che sua madre capisse che era stato un<br />

suicidio. Fin da bambino lui era ossessionato<br />

dalla storia di Biancaneve, dalla storia della mela, cantava<br />

sempre l'incantesimo di Biancaneve e della strega ed ecco che usa alla fine della sua vita questo mezzo per<br />

ammazzarsi. Questa è la strana fine per l’appunto, di un personaggio così importante per la storia della<br />

tecnologia ed è anche la fine dei nostri<br />

excursus storici biografici sui grandi personaggi della logica.<br />

Abbiamo ancora due lezioni, che sono<br />

due lezioni ricapitolative dove parleranno invece di ciò che è<br />

successo in questo secolo, da una parte<br />

da un punto di vista della logica, della logica contemporanea, la<br />

logica moderna e dall'altra parte invece dal punto di vista dei fondamenti.<br />

158


LEZIONE 19: Gran finale<br />

Benvenuti alla penultima, purtroppo, lezione del nostro corso di logica matematica. Vedete qui il titolo della<br />

lezione, si chiama gran finale, in realtà questo è il finale nel senso che abbiamo già praticamente esaurito i<br />

personaggi di cui volevamo trattare. Abbiamo praticamente parlato di 16-17 grandi personaggi della storia<br />

della logica, siamo partiti dai greci, siamo passati attraverso la Scolastica e abbiamo finito con un buon<br />

numero di personaggi della modernità, della<br />

contemporaneità e ora faremo una specie di carrellata sulla<br />

contemporaneità, cioè su quello che succede oggi nella logica e quello che è successo ieri e l'altro ieri, cioè<br />

molto vicino a noi, poi ci sarà ancora una lezione<br />

conclusiva, in cui invece parleremo di ciò che è stata la<br />

logica per quanto riguarda il problema dei<br />

fondamenti. <strong>Qui</strong>ndi questa lezione di oggi è una specie di<br />

conclusione, una delle possibili conclusioni, poi ce ne sarà una seconda, che sarà veramente l'ultima lezione.<br />

Dicevo che quest'oggi parliamo di ciò che<br />

è successo negli ultimi tempi, lo dirò in poche parole e<br />

naturalmente voi non cercherete di capire esattamente<br />

tutto quello che dirò, a differenza invece delle altre<br />

lezioni, perché l'idea di questa lezione è soltanto<br />

di farvi familiarizzare con alcuni dei termini che sono<br />

diventati quotidiani nella logica matematica contemporanea e anche di dirvi quali sono i personaggi che<br />

sono ancora sulla scena o che l'hanno lasciata<br />

da poco e che praticamente stanno facendo la logica in questi<br />

anni. Divideremo la nostra lezione nelle quattro<br />

parti in cui si dice oggi che la logica viene divisa; notate che<br />

la logica come l’abbiamo trattata finora è stata un'analisi del processo di ragionamento, soprattutto del<br />

processo di ragionamento matematico e man mano che ci siamo più avvicinati ai giorni nostri, man mano<br />

che siamo entrati soprattutto nel vivo del ‘900, nel vivo del nuovo secolo per la logica matematica, ecco che<br />

questa logica stava prendendo vita, stava diventando matura, acquistava maturità ed è diventata oggi un<br />

qualche cosa di indipendente, è diventata una branca della matematica moderna ed è per questo che oggi si<br />

chiama logica matematica e la si divide in genere in quattro parti che si chiamano: 1) teoria dei modelli, 2)<br />

teoria della dimostrazione, 3) teoria della discorsività, 4) teoria della ricorsività, 5) teoria degli insiemi.<br />

La logica contemporanea Le origini di ciascuna di queste branche sono ovviamente in ciò<br />

1. teoria dei modelli che abbiamo già visto nel passato e poi per la contemporaneità,<br />

2. teoria della dimostrazione vi dirò brevemente, dove sta e quindi vedremo pian piano<br />

3. teoria della discorsività ciascuna di queste branche. Incominciamo subito con la prima<br />

4. teoria degli insiemi parte, cioè la “teoria dei modelli".<br />

Naturalmente qui nella slide abbiamo voluto scherzare, quando si parla di modelli ci vengono subito in<br />

mente le passerelle, dove ci sono questi indossatori e poiché io sono<br />

maschietto ovviamente, come si dice, ho preferito invece prendere<br />

delle modelle, quindi questo è soltanto un riferimento, si potrebbe<br />

meglio dire che questa sarebbe una teoria delle modelle. Però scherzi a<br />

parte, che cosa fa la teoria dei modelli? La teoria dei modelli non è<br />

nient'altro che lo studio della semantica; vi ricorderete che quando<br />

abbiamo parlato di linguaggio, a partire da Crisippo e poi pian piano<br />

venendo vicino a noi Frege, Russell, Wittgenstein e così via, molta<br />

parte della logica è stata una teoria del linguaggio. Però ricorderete<br />

anche che il linguaggio praticamente si divide in due parti, da una parte<br />

c'è la sintassi, cioè i segni, ciò che si scrive e dall'altra parte c’è la semantica, cioè il significato, ciò che si<br />

vuole dire. Ebbene “la teoria dei mo delli”<br />

oggi è diventata lo studio formale, matematico, di questa seconda<br />

parte alla quale ho appena accennat o, cioè “la semantica”, invece “la teoria della sintassi”, c'è pure quella, si<br />

chiama oggi in logica matematica l a “teoria della dimostrazione”, ne parleremo tra breve. Vediamo allora<br />

meglio, da dove è partita questa teoria<br />

dei modelli. E’ partita da un personaggio che abbiamo già visto più<br />

volte, anche recentemente abbiamo dedicata a lui un'intera lezione, che si chiama Tarski e ricorderete, da ciò<br />

che abbiamo fatto, che nel 1936 Tarski introdusse quello che è il suo risultato più importante nella logica<br />

Tarski (1936) matematica ed è uno anche dei cardini veramente fondamentali della logica<br />

Definizione di verità matematica moderna ed è quella che abbiamo chiamato “definizione di verità”.<br />

La definizione di verità di Tarski, come ricorderete, è data nel meta linguaggio e una parte del teorema di<br />

Tarski dice, invece, che non esiste nessuna definizione di verità che si possa fare invece a livello del<br />

159


linguaggio. Ebbene questo risultato, per l’appunto del 1936, sottolineatevi questa data, perché stranamente<br />

ci sono delle connessioni quasi numerologiche, cioè il 1935-36 è l'anno in cui praticamente sono nate tutte<br />

queste quattro branche della logica moderna, poi stranamente il 1963 è l'anno cui si sono dimostrati alcuni<br />

dei teoremi più importanti in ciascuna di queste branche, quasi per una specie, come si può dire, di<br />

stravaganza numerica, comunque nel 1936 questo teorema importante di Tarski, mette finalmente sul<br />

terreno quello che è la nozione logica, la nozione precisa, formale della verità. Ricorderete che una delle<br />

nostre prime elezioni, anzi il primo ciclo dedicato ai personaggi, era dedicato appunto al paradosso del<br />

mentitore. <strong>Il</strong> paradosso del mentitore che, ricorderete tutti, diceva "io mento", in qualche modo si imbatteva<br />

in una antinomia, una frase che non poteva essere né vera né falsa, ebbene dopo 2500 anni praticamente,<br />

questo risultato di Tarski fece intervenire questa nuova definizione di verità e praticamente risolse<br />

perlomeno da un certo p. di v., che è quello che interessa noi come logici matematici, risolse questo<br />

paradosso. La soluzione del paradosso del mentitore è precisamente che il paradosso del mentitore non si<br />

può riprodurre all'interno di un sistema formale, non si può riprodurre all'interno dei sistemi matematici,<br />

perché la frase che dice "io sono falsa" non è possibile scriverla; non è possibile scriverla, non perché si<br />

possa parlare di io, l’autoreferenza, non perché non si possa parlare del non, della negazione, ma perché non<br />

si può parlare della verità all'interno del<br />

linguaggio. La verità è qualcosa che sta fuori, sta appunto, come ha<br />

dimostrato Tarski, nel meta linguaggio.<br />

Questo è stato l'inizio della cosiddetta teoria dei modelli.<br />

Naturalmente Tarski era negli anni ‘30,<br />

ha vissuto fino agli anni 70 e ha continuato a produrre un gran<br />

numero di risultati, ma non è questo che oggi ci interessa, noi vogliamo ora a vedere qualche altro<br />

personaggio che è appartenuto o ha creato<br />

questa teoria dei modelli. Uno di questi personaggi è questo<br />

signore dall'aria un po' triste e anche un po' sorniona in qualche modo che si chiama Abraham Robinson (v.<br />

slide); abbiamo messo il nome, in genere<br />

non lo facciamo, in genere identifichiamo i nostri personaggi<br />

soltanto col cognome, ma nel caso di Robinson<br />

c'era bisogno perché<br />

di Robinson anche nel campo della logica ce ne sono stati tanti. Ce<br />

ne sono stati almeno tre: Raffael, Duia e Abraham, quindi è<br />

necessario distinguerli. Ebbene questo signore Abraham Robinson è<br />

stato negli anni ‘50-‘60 il massimo esponente di questa teoria dei<br />

modelli; Tarski effettivamente ha iniziato questa teoria dei modelli<br />

facendo questo studio fondamentale della verità, che notate, non ve<br />

lo mai detto nelle altre lezioni, era uno studio lunghissimo, cioè il<br />

suo risultato originale era stato scritto all'interno di un lavoro di<br />

centinaia di pagine e questo è molto atipico, perché in genere i lavori della matematica moderna sono di<br />

qualche pagina, molto densi ovviamente, molto difficili anche da leggere, ma in genere molto contenuti,<br />

soprattutto quando riferiscono, quando parlano, quando trattano, quando dimostrano un solo teorema,<br />

ebbene nel caso di Tarski invece c’era un teorema molto lungo, proprio perché il risultato di Tarski che<br />

parlava della verità, aveva che fare con molte speculazioni filosofiche e quindi era qualche cosa di più<br />

ampio respiro. Ebbene, dicevo, il risultato di Tarski è stato poi a posteriori ciò che ha iniziato questa teoria<br />

dei modelli, ma all'epoca la teoria dei modelli non si chiamava teoria dei modelli, si chiamava<br />

semplicemente logica matematica. Tarski era uno di coloro che dimostravano teoremi all'interno della logica<br />

matematica, invece negli anni ‘50-‘60 proprio grazie all'opera di questo signore Abraham Robinson, la<br />

teoria dei modelli si è staccata dal resto della logica, così come le altre branche ed ha acquistato una vita<br />

indipendente, è diventata matura in qualche modo, come i figli di una famiglia che prima vivono tutti<br />

insieme sotto lo stesso tetto e poi ad un certo punto ciascuno se ne va per la sua strada e crea nuove<br />

famiglie. Qualcuno di voi sa che cosa ha fatto Abraham Robinson senza saperlo, perchè in realtà Abrahm<br />

Robinson prima di diventare un logico matematico era un matematico applicato ed è colui che ha inventato<br />

le ali a delta degli aerei. Tutti voi avrete visto, per esempio i caccia americani sopra tutto, che hanno questa<br />

strana forma delle aria a triangolo, ebbene Robinson si interessava appunto durante la guerra, negli anni ‘40-<br />

‘50 di questi problemi di fluidodinamica e una delle sue invenzioni è stata questa. Dopo di che invece è<br />

diventato un logico matematico ed ha creato però due grandi cose, che sono questi due risultati: anzitutto<br />

quella che si chiama oggi ”l'analisi non standard”. L'analisi non standard sono sicuro che non la conoscerete<br />

perché è una versione appunto, come dice il nome, non standard, dell'analisi infinitesimale.<br />

160


Robinson Abraham L'unica cosa che vi posso dire, nel caso poi siate interessati per andare<br />

(anni’50-’60) a sviluppare, ad approfondire questo risultato e soprattutto questa teoria<br />

Analisi non standard che Robinson ha creato, ebbene, quello che dicevo, quello che vi posso<br />

Strutture algebriche dire, è che è una versione dell'analisi f atta come sarebbe piaciuto a<br />

Leibniz, cioè usa gli infinitesimi, usa gli infiniti in una maniera precisa. Gli infinitesimi, soprattutto nel<br />

campo dell'analisi, sono stati rimossi per secoli, praticamente per un bel po' di anni si cercato di non<br />

parlarne, perché erano cose con cui ci si sentiva a disagio, non si capiva bene che cosa potessero essere.<br />

Ebbene la teoria della logica matematica, soprattutto la teoria dei modelli, ha permesso al Robinson di<br />

costruire un'analisi basata su questi concetti e poi il secondo campo di azione di Robinson è stato quello<br />

dello studio delle strutture algebriche, cioè uno studio, attraverso la logica, di ciò che sono le strutture per<br />

l'algebra però, quindi in particolare, ne abbiamo già parlato, ma rivedremo meglio nell'ultima lezione quella<br />

conclusiva della prossima volta, le strutture algebriche introdotte da Burbaki. Ebbene lo studio che<br />

Robinson ne fece fu uno studio da un p.di v. logico, che poi praticamente nel corso dei decenni è andato a<br />

confluire direttamente nella vera e propria matematica. <strong>Qui</strong>ndi non ho potuto dire nemmeno uno dei risultati<br />

ormai tra quelli, tanti, che ha dimostrato Robinson, perché ormai queste cose sono troppo tecniche, non sono<br />

più adatte a un corso introduttivo sulla logica matematica come il nostro e anche nel caso del prossimo<br />

personaggio che io conosco tra l’altro personalmente, perché insegna a Cornell, università dove anch’io<br />

insegno parecchio soprattutto d’estate, ebbene questo signore di cui non ho trovato nessuna foto, si chiama<br />

Michel Morley e nel 1963, quella data di cui vi ho già parlato prima, ha dimostrato un famoso teorema di<br />

categoricità. La categoricità, in due parole, è semplicemente lo studio di strutture che sono oppure possono<br />

non essere isomorfe l'una con l'altra. Ebbene Morley ha dimostrato una famosa congettura che aveva a<br />

che fare con questa nozione di categoricità. Come vedete andiamo molto a volo d'uccello soltanto per<br />

Morley (1963) impratichirci con alcune delle nozioni della logica moderna. Invece il<br />

Categoricità personaggio forse più importante degli ultimi anni della teoria dei modelli,<br />

nel campo della teoria dei modelli, si chiama Shelah ed è un israeliano e veramente negli anni ‘80, ma anche<br />

negli anni ‘90 praticamente, è stato un po' il re, il personaggio più importante di questa teoria, al punto che<br />

ha sfiorato la vittoria in quella che si chiama la medaglia Fields, che è l’analogo del premio Nobel per la<br />

matematica, perché per la matematica la fondazione Nobel non<br />

assegna il Nobel per motivi che non andremo a toccare<br />

quest'oggi, ebbene però c'è una medaglia che si chiama la<br />

medaglia Fields, di cui parleremo anche a proposito anche di una<br />

altro personaggio verso la fine della<br />

lezione, ebbene dicevo questa<br />

medaglia Fields è considerata l'analogo del premio Nobel, il<br />

massimo riconoscimento che viene assegnato ai matematici in<br />

generale, non soltanto i logici. Ebbene Shelah l’ha sfiorata, non<br />

era uscito a ottenerla appunto negli anni ‘80, ma ci è andato molto<br />

vicino e questo dimostra che effettivamente anche i matematici<br />

avevano in qualche modo ormai capito che la teoria dei modelli è la parte,<br />

forse, della logica matematica più<br />

vicina al resto della matematica classica. Ciò che Shelah ha fatto, è stato fare grandi teoremi di<br />

classificazione di strutture, cioè queste strutture che servono per modellare la semantica, di cui parla la<br />

teoria dei modelli, ebbene Shelah è riuscito a classificarle in vari modi. Naturalmente le figure che sono qui<br />

sono strutture geometriche che non hanno niente a che vedere con quelle algebriche di cui parla invece la<br />

teoria dei modelli, di cui parla l’algebra, ma ovviamente è più facile fare delle fotografie di strutture<br />

geometriche che non di strutture astratte, ma la cosa importante è sapere questo, che appunto negli anni ‘80,<br />

quindi circa 50 anni dopo il momento in cui Tarski ha iniziato questo studio della semantica, si è arrivati<br />

ormai a dei risultati di classificazione di queste strutture, si sa esattamente quante sono le famiglie di queste<br />

possibili strutture, quali sono esempi di queste strutture e si cerca di fare quello che si fa ormai nel resto<br />

della matematica, cioè i teoremi di classificazione. Questo brevemente quel che è successo dagli inizi, da<br />

Tarski a Shelah nel campo della teoria dei modelli.<br />

2. teoria della dimostrazione La seconda parte invece, come ho già detto prima, è l'altra faccia<br />

studio della sintassi della medaglia, cioè se la teoria dei modelli era lo studio della<br />

161


semantica, del significato, lo studio invece della sintassi, dei segni, di ciò che si scrive sulla carta, delle<br />

formule così via, è quello che viene chiamato “la teoria delle dimostrazione”. Dov'è nata questa teoria della<br />

dimostrazione? Ebbene è nata con un personaggio del quale non abbiamo ancora parlato; notate sempre il<br />

1936, questo aspetto numerologico, questo personaggio si chiama Gentzen, è un matematico che è morto<br />

molto giovane purtroppo in campo di concentramento durante la guerra; come vedete i suoi risultati sono<br />

appunto del ‘36, anteriori di poco a lla guerra mondiale, poi Gentzen è morto giovane in un campo di<br />

Gentzen(1936) concentramento, non ha potuto continuare questa carriera che<br />

Consistenza dell'aritmetica probabilmente sarebbe stata molto brillante e il problema che<br />

Gentzen ha affrontato è stato il problema della dimostrazione della consistenza dell'aritmetica. Voi direte,<br />

com’è possibile dimostrare la consistenza dell'aritmetica, non era forse quello che diceva il teorema di<br />

Goedel che era impossibile fare? Ebbene certamente la conseguenza del teorema di Goedel dice che<br />

impossibile dimostrare la consistenza dell'aritmetica all'interno dell'aritmetica e questo fa cadere per<br />

l’appunto i sogni su i quali s'era basata forse la logica matematica prima di Goedel, prima del 1931, ma<br />

questo non significa che non sia possibile fare una dimostrazione di consistenza<br />

al di fuori dell'aritmetica<br />

della stessa aritmetica, usando altri mezzi che poi ovviamente per forza di cose, grazie o per colpa del<br />

teorema di Goedel dovranno essere più potenti dell'aritmetica. Ebbene la prima dimostrazione di consistenza<br />

dell'aritmetica che è stata data nella storia è proprio quella di Gentzen del 1936 e per coloro che forse hanno<br />

sentito, hanno già orecchiato queste cose,<br />

Gentzen usa principio di induzione transfinita; sembrerebbe quasi<br />

strano voler dimostrare la consistenza<br />

dell'aritmetica che usa un principio di induzione fino al più piccolo<br />

numero infinito, cioè a omega, usando<br />

però un'induzione molto più grande, ma qui insomma ci sono dei<br />

problemi molto sottili, vi posso appunto<br />

soltanto dire che certamente si usano induzioni su dei numeri molto<br />

più grandi, però per formule molto più<br />

semplici, quindi in qualche modo c'è un aspetto di “trade off” come<br />

si direbbe in inglese, un dare e avere,<br />

che permette di dire che questa è una dimostrazione per l’appunto di<br />

consistenza dell'aritmetica dal di fuori,<br />

che ci dice qualche cosa di più sull’altimetrica che non sapevamo<br />

prima. Che cosa succede una volta che<br />

uno ha dimostrato la consistenza dell'aritmetica? Beh, deve passare<br />

al secondo livello, cioè a quella che viene chiamata, in genere, l'analisi. Vi Ricorderete dalle scorse lezioni,<br />

che abbiamo già parlato di questo fatto, che c'era la “teoria dei numeri interi” che, per l’appunto, si chiama<br />

“aritmetica” e la “teoria dei numeri reali” che invece si chiama “analisi”. Allora, una volta dimostrata la<br />

consistenza dell'aritmetica, il prossimo passo è cercare di dimostrare la consistenza dell'analisi. <strong>Qui</strong> abbiamo<br />

scherzato ancora una volta , abbiamo messo la targa che Freud, inventore ovviamente di un altro tipo di<br />

analisi, la psicoanalisi, aveva fuori del suo studio a Vienna. Come vedete qui ci sono due nomi, perché<br />

negli anni ‘50-‘60 sono stati questi due signori,<br />

Schutte che era un tedesco e Takeuti che era un giapponese, quasi a voler fare una specie di asse,<br />

continuare l'asse che c'era stato durante la seconda guerra mondiale, ebbene dicevo, sono stati questi due<br />

logici che hanno cercato di dimostrare la consistenza di parti dell'analisi come vedete scritto nella slide.<br />

Come mai soltanto parti? Ma perché si è cercato di estendere i risultati di Gentzen, il teorema di consistenza<br />

dell'aritmetica, cercando di dimostrare nello stesso modo, usando gli stessi mezzi che erano dei mezzi<br />

costruttivi con i quali insomma si lavorava praticamente a mano, la consistenza dell'analisi, cioè della teoria<br />

dei numeri reali. Non si è riusciti come si vede qui nella slide, perché appunto ho scritto consistenza di parti<br />

dell’analisi. Ci sono state delle difficoltà oggettive, però qualcuno, subito dopo, è riuscito effettivamente ad<br />

arrivare a dimostrare la consistenza dell'intera analisi, però, come vedete anche dalla slide, in maniera non<br />

costruttiva e questo signore si chiama già Janin Girard , che negli anni ’80 –‘90 è stato praticamente il<br />

personaggio più importante di questa parte della logica della teoria della dimostrazione. Girard<br />

162


è un francese, molto interessante, molto strano, un personaggio di quelli certamente singolari, è un<br />

personaggio che ogni 4-5 anni inventa una teoria completamente nuova e naturalmente questi logici, tutti<br />

coloro che fanno teoria della dimostrazione, sono lì che gli corrono dietro, cercano di capire questa nuova<br />

teoria, ci mettono in genere mesi, anni, per riuscire a capire quello che lui diceva in certo periodo e nel<br />

momento in cui dicono, ah, finalmente incomincio capire qualche cosa, Girard ha già prodotto un'altra<br />

teoria, altri risultati nuovi e così via, quindi tante Scuole che sono state praticamente iniziate da lui, un vero<br />

piccolo genio effettivamente della logica moderna. <strong>Qui</strong>ndi in particolare è Girard che ha identificato il suo<br />

nome con la teoria della dimostrazione degli ultimi anni del secolo, degli anni ‘80-‘90. Girard è riuscito a<br />

dimostrare la consistenza dell'analisi in maniera globale, quindi non soltanto di parti, ma in maniera però<br />

non costruttiva ed ecco che allora il compito della<br />

teoria della dimostrazione del XXI, del 2000, degli<br />

anni che seguiranno al 2000 sarà proprio<br />

questo, cioè di riuscire a mettere insieme, in qualche modo, le<br />

dimostrazioni costruttive che Schutte e Takeuti hanno dato di parte dell'analisi dal di sotto e la dimostrazione<br />

non costruttiva che Girard ha dato dell'intera<br />

analisi, quindi dal di sopra. C'è ancora questo gap, questa<br />

forbice, fra questi due tipi di risultati e bisognerà riuscire a colmare il divario. Invece questa logica lineare,<br />

come è indicata qui nella slide, è una di quelle teorie, come ho detto appunto, che Girare inventa a getto<br />

continuo, è un'estensione non soltanto della logica classica, perché quella già ce l’avevamo, ne abbiamo<br />

parlato n el corso della lezione su Brouwer,<br />

che aveva inventato la logica intuizionista, ebbene questa<br />

logica lineare è praticamente il passo dopo a quella intuizionista. Si può dire facendo una proporzione,<br />

visto che parliamo di logica matematica, che la logica lineare sta alla logica intuizionista, come la logica<br />

intuizionista sta alla logica classica. E’ un'analisi ancora più sottile, ancora più profonda dei meccanismi<br />

del ragionamento. Questa è più o meno l'avventura della parte della teoria della dimostrazione che è stata<br />

fatta durante questo secolo.<br />

La terza parte, abbiamo detto, del nostro corso, quella che oggi viene chiamata la logica matematica<br />

contemporanea, si chiama invece “teoria della ricorsività”. Questa è qualche cosa di cui più o meno tutti<br />

siamo a conoscenza, in maniera magari inconscia, perché la teoria della ricorsività oggi si può definire<br />

semplicemente dicendo che studia le potenzialità e le limitazioni dei calcolatori. Ora naturalmente all'epoca<br />

quando è nata la teoria della ricorsività i calcolatori non c'erano, ma quando abbiano fatto l'ultima lezione<br />

3. Teoria della ricorsività su Turing, l'ultima lezione con la quale abbiamo chiuso il nostro<br />

potenzialità e limitazioni corso, la nostra carrellata sui personaggi, vi ricorderete che<br />

dei calcolatori Turing nel 1936, tanto per cambiare, sempre lo stesso anno, aveva<br />

inventato la macchina di Turing. Che cosa era la macchina di Turing? Era un tentativo di fare col pensiero,<br />

cercare di catturare col pensiero, costruire un modello, naturalmente un modello astratto, un modello fatto di<br />

carta, di una macchina che fosse in grado di calcolare tutto ciò che è possibile effettivamente calcolare<br />

all'uomo. Ebbene questa macchina di Turing che all'epoca era soltanto un qualche cosa fatto sulla carta, poi<br />

col tempo, negli anni ‘40-‘50 è diventato quello che oggi chiamiamo i computer. <strong>Qui</strong>ndi è precisamente il<br />

padre dell'informatica moderna, ma l'informatica moderna, l'informatica teorica, è quello che in logica viene<br />

chiamato appunto teoria della ricorsività e quindi ricorsività è precisamente questo, cioè lo studio delle<br />

potenzialità e delle limitazioni di questa nuova macchina che Turing ha posto sul mercato, nel caso suo delle<br />

idee e poi ovviamente entrata sul mercato anche per l’appunto degli oggetti che si comprano. Allora quali<br />

sono<br />

i personaggi che hanno caratterizzato questa teoria della ricorsività? <strong>Il</strong> personaggio che negli anni ‘40-<br />

‘50 è stato il dominatore di questa teoria si chiama Stephen Kleene, era un allievo di Goedel, un allievo<br />

Kleene(anni’40-’50) di Church, quindi uno dei grandi della logica per l’appunto, uno di quei<br />

ricorsività classica quei personaggi che faceva o parte della ristretta cerchia di logici come<br />

Goedel, Church, Turing e così via, che hanno dato inizio, hanno dato origine a questa nuova avventura di<br />

questa branca della matematica. Ebbene al nome di Kleene è associato praticamente lo studio di quella che<br />

viene chiamata oggi “ricorsività classica”. Che cosa vuol dire classica? Beh, vuol dire calcolare sugli oggetti<br />

più naturali che si possano immaginare, cioè i numeri interi. Ricorderete che l'analisi di Turing era<br />

precisamente questa, ovviamente veniva dopo l'algebra booleana, che era lo studio della calcolabilità, se<br />

così vogliamo dire, sui numeri 0,1. Ebbene Turing ha esteso questo studio, ha dato una definizione di cosa<br />

significa calcolare su numeri interi, ebbene questo studio della calcolabilità sui numeri interi che si chiama<br />

appunto “ricorsività classica” e i teoremi più fondamentali sono stati dimostrati da Kleene. Che cosa<br />

163


succede una volta che si è fatto questo studio sulla ricorsività classica? Beh, ovviamente bisogna guardare<br />

altrove, bisogna guardare ad altre cose e colui che ha fatto queste cose, che ha studiato “la ricorsività<br />

generalizzata” è precisamente questo signore che si chiama Gerald Sacks. E’ un personaggio anche lui<br />

molto singolare, questa è la foto che lui ha messo sulla sua home page, sull’Web ed è una foto che fa vedere<br />

che sta dormendo, in realtà l'impressione, credo, che voglia dare è semplicemente che sta apparentemente<br />

dormendo. E’ uno dei più grandi pensatori, più profondi pensatori<br />

della logica matematica contemporanea e quindi probabilmente è uno<br />

scherzo questo qua che ci sta facendo. Ebbene qui nella slide ho<br />

citato uno dei suoi primi più importanti teoremi, lo citato di nuovo<br />

solo per nome, come nel caso del teorema di Morley sulla<br />

categoricità, non vi posso dire molto su questo, ma che è il teorema<br />

della densità dei gradi cosiddetti ricorsivamente enumerabili, ma è<br />

stato dimostrato, guarda caso, di nuovo nel 1963, quindi questo anno<br />

fatidico esattamente come il 1936, che se notate sono le stesse cifre<br />

però<br />

soltanto invertite, ci deve essere qualcosa di miracoloso che ha<br />

fatto<br />

sì che questi due anni fossero gli anni effettivamente più<br />

fecondi della logica matematica del secolo. Sempre invece a Sacks si deve lo studio della “ricorsività<br />

generalizzata”, in particolare tanto per capirci,<br />

così come Kleene aveva studiato “la ricorsività classica”,<br />

cioè lo studio della calcolabilità dei numeri<br />

interi, ecco che Sacks fa lo studio della calcolabilità, sui numeri<br />

reali, quindi l'analogo di ciò che è successo<br />

nella teoria della dimostrazione, quando Gentzen dimostra la<br />

consistenza dell'aritmetica, cioè dello studio<br />

dei numeri interi e poi Takeuti, Schutte e Girard cercano di<br />

studiare la consistenza dell'analisi, cioè la teoria dei numeri reali. <strong>Qui</strong> si fa la stessa cosa, però non più dal p.<br />

di v. della consistenza, ma dal p.di v. della possibilità di calcolare con questi oggi. Oggi invece il<br />

personaggio più importante di questa teoria<br />

della ricorsività, di questa branca che viene chiamata “teoria dei<br />

gradi”, è questo signore che si chiama Clark Slaman, che è un allievo tra l'altro di Sacks che abbiamo visto<br />

prima. Questa è di nuovo la foto che Slaman ha messo sulla sua home page, vedete che è di fronte a<br />

un'esplosione, un'eruzione di un vulcano e effettivamente credo che l’abbia fatta in maniera metaforica,<br />

perché anche lui con i suoi risultati effettivamente è paragonabile ad<br />

un vulcano, perché precisamente è colui che forse ha dato il maggior<br />

contributo in questi ultimi anni alla teoria della ricorsività. Ed ecco che<br />

arriviamo praticamente alla quarta parte di questa nostra carrellata, che<br />

è la parte relativa alla teoria degli insiemi. Questa è la parte più<br />

classica, diciamo così, della logica matematica. La teoria degli insiemi,<br />

lo sappiamo già, è lo studio degli insiemi. Che cosa sono gli insiemi?<br />

Beh, gli insiemi sono un oggetto matematico, un po' diverso da quelli<br />

soliti dei quali abbiamo parlato anche questo oggi, cioè non i soliti numeri interi o i numeri reali, che sono<br />

qualche cosa di abbastanza concreto, con i quali tutti più o meno abbiamo familiarità fin già dalla scuola,<br />

4. teoria<br />

degli insiemi bensì sono oggetti molto astratti, sono appunto collezioni di oggetti e<br />

studio degli insiemi in genere nella teoria degli insiemi si fanno collezioni talmente astratte<br />

che non ci sono nemmeno degli elementi dentro, si parte come ricorderete quando abbiamo parlato di Frege,<br />

di Cantor e così via, come ancora ricorderemo nell'ultima lezione conclusiva, si parte praticamente dal<br />

nulla, dall’insieme vuoto che è quello che corrisponde al numero zero e a partire soltanto dall’insieme vuoto<br />

si riescono a costruire insiemi via via più complicati e questo è l'oggetto, diciamo così, questo è l'ambito di<br />

studio della teoria degli insiemi. Perché questi insiemi sono così importanti? Ma perché, quando furono<br />

introdotti per l’appunto da Cantor alla fine dell'800, dal 1870 al 1890, furono studiati proprio perché la<br />

matematica ormai era arrivata a questa necessità, cioè ciò che studiava Cantor, che erano praticamente<br />

funzioni sui numeri reali, avevano bisogno di un uso della teoria degli insiemi, perché queste funzioni si<br />

comportavano in maniera un po' singolare in certi punti e Cantor scoprì che effettivamente era importante<br />

sapere su quanti do questi punti. Ora nel caso di numeri reali è difficile, perché i numeri reali sono tanti,<br />

sono infiniti, non si può soltanto dire su uno, su due, su tre punti, a volte bisogna dire su infiniti punti, ma<br />

bisogna andare anche scavare all'interno di questi infiniti e cercare di fare una gerarchia di infiniti. <strong>Il</strong> grande<br />

164


isultato di Cantor fu precisamente questo, cioè che riuscì a dimostrare che di infiniti in matematica non c’è<br />

ne uno solo, ma ce ne sono tanti, quanti? Infiniti, però di nuovo appunto poiché ce ne sono tanti,<br />

bisognerebbe essere più precisi. Ora questa teoria degli infiniti è quella da cui poi nacquero tutti i problemi,<br />

cioè i famosi problemi dei paradossi, ricorderete la lezione su Russell, che scoprì il paradosso appunto che<br />

porta il suo nome e che mise in qualche modo in forse la consistenza, anzi in realtà dimostrò l'inconsistenza<br />

della teoria ingenua degli insiemi di Cantor e di Frege. Ebbene la teoria degli insiemi è praticamente qualche<br />

cosa che si era sviluppata indipendentemente dal resto della logica matematica, si può dire che le origine<br />

della logica matematica sono praticamente due nell'800: da una parte la logica algebrica, cioè ciò che<br />

arrivava dalla tradizione di Boole, per cercare di manipolare le proprietà dei connettivi, le proprietà dei<br />

quantificatori attraverso operazioni matematiche, che poi oggi per si chiama algebra booleana e l'altro filone<br />

importante, forse di più ancora di quello dell'algebra booleana fu per appunto quello della teoria degli<br />

insiemi di Cantor e di Frege. Allora non è stupefacente pensare che questa teoria degli insiemi, quest’oggi, è<br />

una delle quattro parti importanti della logica matematica moderna. Chi è stato colui, che da un punto di<br />

vista moderno, ha fatto i risultati più importanti nella teoria degli insiemi? Potete immaginarlo, perché di<br />

nuovo doveva saltar fuori questo suo nome, si chiama come al solito Goedel. Guardate l'anno, non è proprio<br />

Goedel(1938) quello di prima, cioè il 1936, ma siamo molto vicini, è il 1938. Che cosa<br />

Consistenza dell’ipotesi fece Goedel? Notate un problema di consistenza anche qui, siamo alle<br />

del continuo solite, perché ovviamente ad un certo punto stiamo parlando di logica<br />

matematica e quindi i problemi sono sempre quelli. Oggi abbiamo già parlato di consistenza in vari campi,<br />

cioè consistenza della teoria dei numeri interi, cioè l'aritmetica, consistenza dei numeri reali, cioè l'analisi,<br />

ecco che Goedel dimostra o meglio affronta il problema della consistenza dell'ipotesi del continuo. Cosa<br />

significa questo? Anzitutto dobbiamo dire due parole, molto brevemente, su che cos'è la ipotesi del<br />

continuo. L'ipotesi del continuo è molto semplice da dire ed è questo: Cantor dimostrò che i numeri reali<br />

sono infiniti, questo lo sappiamo tutti, non c'è bisogno di Cantor, ma che sono di un infinito maggiore di<br />

quello dei numeri interi, quindi c'è praticamente l'infinito piccolo dei numeri interi e poi c’è l’infinito grande<br />

dei numeri reali; l'ipotesi del continuo è semplicemente la domanda:<br />

che cosa c'è in mezzo? E’ possibile<br />

avere un insiemi di numeri reali che sia infinito, ma che abbia un infinito più grande di quello di numeri<br />

interi, ma più piccolo di quello dei numeri reali oppure queste sono le due uniche possibilità, l'infinito dei<br />

numeri interi e l'infinito dei numeri reali, cioè non c'è niente di mezzo? Questa è la famosa ipotesi del<br />

continuo, l'ipotesi del continuo che Cantor cercò disperatamente di dimostrare durante la sua vita, finendo<br />

anche malamente, perché come forse sapete, finì in manicomio addirittura, perché è un problema<br />

difficilissimo, cercò in tutti i modi di trovare questa dimostrazione e alla fine ne andò, insomma, della sua<br />

sanità mentale. Ebbene il problema dell’ipotesi del continuo, tra l'altro come ricorderete da alcune altre<br />

lezioni, era praticamente il primo problema che Hilbert pose nel famoso congresso di Parigi del 1900, cioè<br />

era semplicemente una riformulazione del famoso problema dell'ipotesi del continuo di Cantor, ebbene<br />

questo problema, il primo problema di Hilbert fu risolto in una maniera inaspettata in due parti successive. <strong>Il</strong><br />

primo passo è quello appunto a cui stiamo accennando, nel 1938 Goedel dimostrò che l'ipotesi del continuo<br />

è consistente. Cosa significa essere consistenti in questo caso? Significa che non è possibile dimostrare che<br />

è falsa, può anche darsi che lo sia, però non è possibile dimostrarlo, cioè in altre parole ci sono dei mondi,<br />

degli universi matematici, delle strutture come quelle che si studiano in teoria dei modelli per l’appunto,<br />

ebbene ci sono dei mondi matematici in cui l'ipotesi del continuo è vera e quindi non è possibile certamente<br />

refutare, dimostrare che è falsa in assoluto. Però, c'è l'altra faccia della medaglia e l'altra faccia della<br />

medaglia è quella di questo signore, che si chiama appunto Paul<br />

Cohen, che nel 1963, guarda caso, dimostrò che l'ipotesi del continuo<br />

è indipendente. Che cosa significa questo? Ho detto pochi minuti fa<br />

che Goedel ha dimostrato che esistono dei mondi in cui l'ipotesi del<br />

continuo è vera, cioè che effettivamente non c'è nessuna infinito tra<br />

quello dei numeri interi e quello dei numeri reali ; ebbene Cohen ha<br />

dimostrato l’esatto contrario. Non ovviamente la negazione di quello<br />

che ha fatto Goedel, ma ha dimostrato che si sono altri mondi,<br />

ovviamente non quelli di cui parlava Goedel, ci sono altri mondi<br />

165


possibili in cui invece ci sono tanti infiniti, cioè c’è l'infinito dei numeri interi, c'è l'infinito dei numeri<br />

reali e in mezzo ce n'è uno, due, tre, anzi in realtà Cohen ha fatto vedere che se ne possono mettere a<br />

piacere, cioè ci sono mondi in cui succede praticamente di tutto. Questo è cosa vuol dire? Beh, il risultato di<br />

Goedel diceva che non è possibile refutare l'ipotesi del continuo all'interno della teoria degli insiemi, il<br />

risultato di Cohen dice che non è ne meno possibile provarla e allora non è possibile provarla, non è<br />

possibile refutarla, ecco che di fronte a noi abbiamo un esempio di quelle famose proposizioni indecidibili<br />

che Goedel aveva dimostrato esistere in qualunque sistema matematico che avesse un minimo di potenza. Vi<br />

ricorderete la lezione che abbiamo dedicato proprio a questo famoso teorema di Goedel, ebbene però le frasi<br />

di Goedel che non sono né dimostrabili, né refutabili, sono in genere delle frasi costruite ad hoc, sono frasi<br />

che dicono “io non sono dimostrabile all'interno del sistema”, non sono frasi che hanno un interesse<br />

matematico intrinseco, ora nel caso della teoria degli insiemi, ecco che i risultati congiunti di Goedel nel<br />

1938 e di Cohen nel 1963, dimostrano che effettivamente ci sono degli esempi concreti, naturali di queste<br />

proposizioni indecidibili, al punto che addirittura l'ipotesi del continuo, cioè quel problema che Cantor ha<br />

cercato inutilmente di dimostrare prima di rompersi la testa, proprio nel senso letterale e che Hilbert aveva<br />

posto come primo problema nella famosa lista del congresso del 1900, ebbene dicevo, proprio questo<br />

problema è un esempio delle affermazioni goedeliane, cioè di queste affermazioni che non si possono<br />

all’interno della teoria degli insiemi, né dimostrare né refutare. Ho detto prima, quando ho introdotto questa<br />

slide, che Cohen ha dimostrato l'altra faccia della medaglia, era una specie di allusioni sottile al fatto che<br />

Cohen la medaglia Fields riuscì a vincerla, perché con questo risultato del 1963, che risolveva il più<br />

importante problema della lista di Hilbert del congresso di Parigi, la comunità matematica disse che questo<br />

era un risultato di altissimo livello e Cohen è praticamente il logico che è riuscito a prendere la medaglia<br />

Fields facendo questi risultati. Che cosa è successo nella teoria degli insiemi dopo Cohen? Beh, ci sono due<br />

personaggi ai quali accenno brevemente per l’appunto, che sono anzitutto questo signore Solovay, negli anni<br />

‘70. Vedete qui nella scritta do sotto, dei simboli che sembrano quasi esoterici, sulla sx in alto vediamo il<br />

simbolo a otto dell'infinito potenziale, giù in fondo a sx vediamo un omega e che come voi ricorderete,<br />

∞ Solovay Ω l’alfa è l’inizio e l’omega è il termine, il fine di cui si parla in teologia,<br />

(anni’70) ebbene in matematica l'omega viene usata per indicare la fine in questo<br />

Conseguenza di assiomi caso dei numeri interi, cioè omega è quello che sta oltre i numeri interi<br />

ω dell’infinito che sono finiti e q uindi è quello che si chiama il transfinito.<br />

<strong>Qui</strong>ndi c’è<br />

l'infinito potenziale, c'è il transfinito e poi c'è in alto a dx della scritta un omegone, un omega maiuscolo<br />

che viene chiamato l'infinito attuale, l'infinito assoluto in qualche modo. Come mai abbiamo messo questi<br />

tre simboli ? Perché i risultati di Solovay, negli anni 70, sono stati precisamente il tentativo di vedere che<br />

cosa succede nella teoria degli insiemi quando si aggiungono ai soliti assiomi di cui si parla regolarmente<br />

nella matematica, gli assiomi che si chiamano appunto assiomi dell'infinito, cioè si chiede via via se<br />

esistono degli infiniti sempre più grandi e quest'ipotesi aggiuntive, che si chiamano appunto assiomi<br />

dell'infinito, hanno delle conseguenze stranamente anche livello molto basso, cioè ci si chiede se esista<br />

qualche cosa di enorme e ci si accorge che l’esistenza di queste cose enormi in realtà poi si ripercuote sulle<br />

cose minime, cioè sui numeri interi. Ebbene questi risultati sono risultati che hanno fatto sì che Solovay<br />

venisse considerato come uno dei più grandi insiemisti, si chiamano così nel gergo, quel periodo. L'ultimo<br />

insiemista invece di cui parliamo si chiama Woodin ed è un signore che ancora oggi direi molto giovane, fra<br />

i 40 e 50 anni. Anche lui è stato uno di quelli che hanno sfiorato la medaglia<br />

Fiele; il motivo per cui poi non ha presa, probabilmente è proprio questo,<br />

perché i n realtà è già stata data alla logica un'altra medaglia Fields per i<br />

risultati di Cohen e quindi forse darne una seconda, sempre nello stesso<br />

campo, forse veniva considerato un qualcosa di troppo. Che cosa ha fatto<br />

invece Woodin? Vi ricorderete Solovay ha cercato di dimostrare le<br />

conseguenze<br />

degli assiomi dell'infinito, cioè l’aggiungere assiomi che<br />

riguardano<br />

questi numeri molto grandi. Ebbene Woodin ha fatto una<br />

cosa analoga,<br />

ha cercato di analizzare quali sono le conseguenze, ma di un<br />

altro tipo di assiomi, che è diventato di moda negli anni ’90 e che si<br />

chiama “ assioma di determinatezza”. E’ un po' difficile dire che cosa<br />

166


significa assioma di determinatezza, ma la scacchiera che ci sta sotto cerca di dirlo in maniera metaforica,<br />

cioè la scacchiera, per esempio in questo caso la scacchiera sono gli scacchi , vedete qui che ci sono i<br />

personaggi, le pedine, i testi degli scacchi, ebbene nel caso degli scacchi il gioco è determinato, come si dice<br />

in gergo matematico, cioè si può dimostrare, da un p. di v. matematico, che esiste o una strategia vincente<br />

per il nero o una strategia vincente per il bianco o una strategia che permette, a tutti e due di pareggiare. <strong>Il</strong><br />

che non significa dire la cosa più ovvia di tutto, cioè se si è giocato a scacchi o uno vince o uno perde o si<br />

pareggia, non vuol dire questo, vuol dire che è possibile, c'è, esiste, ma non sappiamo quale di queste tre<br />

possibilità esista, un modo che se il nero segue vince sempre oppure un modo che se il bianco segue vince<br />

sempre oppure un modo che tutti e due i giocatori possono seguire per arrivare sempre alla patta. <strong>Il</strong> motivo<br />

per cui oggi non si sa, quale di queste tre alternative sia quella vera, è che ovviamente la dimostrazione è del<br />

tipo non costruttivo, dice che c’è una di queste possibilità, ma non dimostra quale sia. Ebbene, comunque<br />

aggiungere alla teoria degli insiemi assiomi, che vengono appunto chiamati “assiomi di determinatezza”,<br />

significa fare l’ipotesi che per giochi molto più complicati degli scacchi, molto più complicati nel senso che<br />

le partite degli scacchi durano sempre un numero finito di mosse soltanto, ma anche per giochi matematici<br />

che possono durare all'infinito, ebbene gli assiomi di determinatezza dicono che anche per quei giochi lì<br />

che possono durare all'infinito, succede una cosa come nel caso degli scacchi, cioè uno dei due giocatori<br />

deve avere una strategia vincente. Ebbene questo sembrerebbe avere poco a che fare con la teoria degli<br />

insiemi e infatti per molti anni questi assiomi di determinatezza venivano studiati isolatamente da coloro che<br />

facevano teoria dei giochi. Poi si è scoperto e soprattutto grazie ai di lavori di Woodin negli anni ‘90, che<br />

questi assiomi di determinatezza si possono riformulare in termini insiemistici, sono molto legati agli<br />

assiomi dell'infinito ai quali abbiamo accennato prima, parlando di Cohen e quindi questi sono i grandi<br />

risultati che appunto hanno portato all'ultima parte, di cui abbiamo parlato, di questa logica matematica.<br />

Bene siamo arrivati alla fine di queste lezioni, come vi ho detto, la prossima volta invece parleremo degli<br />

influssi, da un punto di vista fondazionale della logica e allora per concludere questa carrellata di personaggi<br />

ai quali abbiamo dedicato o una lezione intera o una recente oppure come nel caso di oggi una specie di volo<br />

d'uccello, abbiamo fatto una foto di gruppo, semplicemente facendovi vedere come il termine logica è un<br />

acronimo che si riferisce ad alcuni dei personaggi di cui abbiamo trattato,cioè la L a Leibniz, la O a Ocram,<br />

la G a Godel, la I non sapevamo a chi metterla, è il milite ignoto in qualche modo, il logico ignoto che<br />

abbiamo indicato con un punto interrogativo e la C a Crisippo e la A ad Aristotele. <strong>Qui</strong>ndi con questo<br />

terminiamo la nostra carrellata di personaggi, vi do ancora appuntamento alla prossima volta, per l'ultima<br />

lezione sui fondamenti della matematica. Vi ricordo, comunque come sempre, di ritornare al sito internet del<br />

Nettuno e di rivedere le slide di questa lezione anche per capire meglio, anche perché quest’oggi abbiamo<br />

cercato di fare questo volo d'uccello, siamo andati molto velocemente, quindi alla prossima lezione.<br />

LEZIONE 20: Un secolo di fondamenti<br />

Benvenuti allora all'ultima lezione del nostro corso; in realtà<br />

l'argomento l'abbiamo concluso la scorsa volta, abbiamo<br />

visto una carrellata degli ultimi risultati degli ultimi<br />

personaggi della logica matematica, ma quest’oggi vogliamo<br />

finire, non so se in bellezza, ma certamente parlando di un<br />

aspetto della logica matematica che non abbiamo toccato o<br />

perlomeno al quale abbiamo accennato più volte nel corso del<br />

nostro corso, ma che non abbiamo sviscerato in qualche<br />

modo ed è l'aspetto della logica matematica come<br />

“fondamento della matematica”. Vi ricorderete la prima volta<br />

che abbiamo parlato di logica matematica, abbiamo detto che<br />

la logica era la scienza del ragionamento, ma la logica matematica era la scienza del ragionamento<br />

matematico e uno degli aspetti del ragionamento matematica è proprio questo che costituisce una<br />

fondazione dell'intero edificio e allora la logica, nel corso dei secoli e soprattutto nel corso del ‘900, ma già<br />

167


prima al tempo dei greci, come presto vedremo, è stata il tentativo, ovvero ci sono stati parecchi tentativi di<br />

cui questo uno, di fondare la matematica su basi certe, su basi che fossero anche oltre che certe complete.<br />

Ebbene quindi finiamo allora questo nostro corso parlando di questo aspetto e poi ci saluteremo. Allora<br />

questo secolo di fondamenti naturalmente sarà introdotto, come abbiamo fatto spesso, guardando<br />

all’indietro, cioè cercando di andare a vedere quali sono stati anzitutto i fondamenti classici della<br />

matematica. Ce ne sono stati parecchi, ma qui accenneremo brevemente ad alcuni personaggi di cui<br />

abbiamo già parlato, cioè Pitagora, Euclide, e Dedekind, quindi una breve carrellata di 2000 anni di storia.<br />

Fondamenti classici A Pitagora, ricorderete, abbiamo dedicato un'intera lezione e i<br />

Pitagora (Aritmetica) fondamenti della matematica secondo Pitagora erano in realtà<br />

Euclide (Geometria) l'aritmetica, cioè i numeri interi. <strong>Il</strong> famoso motto di Pitagora<br />

Cartesio (Analisi) “tutto è numero” voleva dire precisamente proprio questo, cioè<br />

Dedekind(Aritmetica) il fatto che l'intera matematica si poteva ridurre in essenza al<br />

concetto di numero, tutto il resto veniva derivato. Che cosa successe ai tempi di Pitagora lo sappiamo, lo<br />

abbiamo ricordato in quella lezione dedicata a lui, cioè successe ad un certo punto che Pitagora scoprì il suo<br />

famoso paradosso, cioè questa scoperta degli irrazionali, il fatto che ci fossero delle quantità geometriche, in<br />

questo caso in particolare la diagonale di un quadrato, che non erano commensurabili con altre quantità<br />

geometriche, in questo caso in particolare il lato del quadrato, cioè due grandezze così semplici, così<br />

naturali, come il lato e la diagonale del quadrato non potevano essere espresse attraverso numeri interi<br />

usando una stessa unità di misura. Ed ecco che questo provocò una crisi proprio dei fondamenti, cioè la vera<br />

crisi pitagorica fu una crisi di fondamenti, cioè capire che l'aritmetica non poteva essere sufficiente come<br />

fondamento della matematica. Questo ovviamente generò una contro crisi, si guardò esattamente al<br />

contrario e Euclide nel terzo secolo avanti Cristo costruì questo suo monumento che durò per più di 2000<br />

anni, cioè gli "elementi di matematica", gli elementi di Euclide in 13 libri e l'idea di Euclide fu di ribaltare<br />

la costruzione, cioè se Pitagora aveva cercato di fondare la matematica sui numeri interi e quindi<br />

sull’aritmetica e non era riuscito, per la crisi degli irrazionali, ebbene Euclide cercava di fare il contrario,<br />

cioè di fondare l'intera matematica sulla geometria. Cosa ci sta a fare però l’aritmetica? Naturalmente<br />

fondare la matematica non significa bu ttare via dei pezzi, cioè l'aritmetica doveva rimanere come parte della<br />

Euclide mate matica, però non doveva essere più la parte fondamentale. Ridurre<br />

(secolo III a. C.) l'aritmetica<br />

alla geometria era qualche cosa che ancora oggi noi facciamo;<br />

Geometria per esempio pensate all’idea di sommare due numeri usando però due<br />

rappresentazioni geometriche, quindi mettendo<br />

uno dietro l'altro due segmenti e misurando quindi i numeri<br />

attraverso due segmenti . Per il prodotto<br />

dei numeri per esempio, anche qui si prendono i due segmenti che<br />

ancora corrispondono ai due numeri e poi si considera un rettangolo che abbia come lati quei due<br />

segmenti,cioè si considera l'area del rettangolo.<br />

L'area del rettangolo è appunto la figura, diciamo così, il<br />

concetto geometrico che corrisponde al prodotto di due numeri. Se ci fosse il prodotto di tre numeri, si<br />

dovrebbe fare una figura che praticamente è un parallelepipedo e il volume del parallelepipedo<br />

corrisponderebbe a tre numeri e così via. Ed ecco che su questa base, naturalmente questi sono soltanto gli<br />

inizi di questa fondazione, su questa base Euclide riuscì praticamente a ridurre l'intera matematica alla<br />

geometria. Se voi leggete gli elementi di Euclide, si parla solo di geometria, però alcuni libri sono<br />

effettivamente dedicati ai numeri primi, ai numeri interi e così via, quindi alle solite costruzione aritmetiche,<br />

però viste sotto l'ottica geometrica. Questa fu la seconda fondazione che andò avanti a lungo e non ci fu una<br />

crisi immediata di questa fondazione e nemmeno al momento di Cartesio nel secolo diciassettesimo, il 1637;<br />

in particolare quando Cartesio scrisse "il discorso di un metodo " non c’era un problema, una questione di<br />

fondamenti, non c'era tanto una crisi, non c'era bisogno di sostituire la geometria con qualche cos’altro, non<br />

Cartesio c'era bisogno, ma si poteva fare e l'idea geniale di Cartesio fu appunto di introdurre<br />

(secolo XVII) quella che noi oggi chiamiamo la “geometria cartesiana”. <strong>Qui</strong>ndi vedete è ancora<br />

Analisi la geometria che è al centro dell'attenzione, però la geometria cartesiana è una<br />

geometria molto diversa da quella Euclide, mentre nella geometria euclidea, gli enti geometrici sono<br />

rappresentati fine a se stessi, in qualche modo si studiano i triangoli, si studiano i cerchi eccetera, perché li si<br />

vuole studiare in quel modo lì, ebbene nella geometria cartesiana si continua a studiare questi enti però in<br />

168


maniera indiretta. L'idea geniale, fondamentale di Cartesio fu quella di associare agli enti geometrici delle<br />

quantità numeriche, ovviamente non delle quantità intere, questo lo si sapeva già appunto dalla crisi<br />

pitagorica che gli interi non erano sufficienti, quello che Cartesio fece fu di associare, per esempio ai punti,<br />

le coordinate cartesiane che si rappresentano con numeri reali. Allora la geometria fu fondata questa volta,<br />

perlomeno si poté ricostruire la geometria sulla base dell'analisi dei numeri reali. Abbiamo parlato<br />

abbastanza lungo di questo problema, quando abbiamo dedicato una lezione a Hilbert, perché poi di lì<br />

nacque un altro tipo di crisi dei fondamenti, che portò poi ai risultati dei teoremi di Goedel e così via, però<br />

ora ci stiamo interessando soltanto ai fondamenti della matematica e questo di Hilbert era un modo di<br />

sostituire la geometria euclidea praticamente con la teoria dei numeri reali. Poi finalmente in qualche modo<br />

il cerchio si chiude con Dedekind, nel secolo diciannovesimo, che riesce a ricostruire l'intera fondazione di<br />

nuovo ritornando all'aritmetica. Con l’aritmetica ovviamente c’era il problema di Pitagora, non è che si<br />

Dedekind fosse risolto, gli irrazionali rimanevano e allora scoperta di Dedekind<br />

(secolo XIX) fu un qualche cosa che metteva insieme da una parte i numeri interi,<br />

Aritmetica cioè l’aritmetica e dall'altra parte la teoria dell'infinito. L’idea oggi è<br />

talmente naturale che sembra quasi strano che ci sia voluto qualcuno che la introducesse, in realtà l'idea è<br />

semplicemente la seguente: un numero reale, per esempio radice di due, che sia irrazionale, che quindi non<br />

si possa esprimere come rapporto diretto di due numeri interi, si può ciò nonostante esprimere mediante una<br />

successione infinita di interi, che è semplicemente il suo sviluppo decimale. Una successione infinita di<br />

numeri, compresi fa zero e nove, ripetuti infinite volte ed ecco che allora la teoria dell'infinito più<br />

l'aritmetica, permettono appunto di chiudere questo cerchio e di ritornare all'aritmetica come fondamento<br />

della matematica.<br />

Ed eccolo qua il triangolo, quindi siamo partiti dall’aritmetica con Pitagora, poi abbiamo visto la crisi dei<br />

fondamenti, la matematica viene fondata da Euclide sulla geometria, Cartesio scopre che la geometria si<br />

può fondare su un'analisi e poi finalmente Dedekind scopre<br />

che anche l'analisi si poteva fondare sull'aritmetica, mancava a<br />

Pitagora un ingrediente essenziale che era appunto quello che<br />

mancava poi in realtà non soltanto a lui, ma a tutti i greci,<br />

la cioè capacità di considerare l'infinito come qualche cosa<br />

di attuale, come qualche cosa di esistente; fino a quando si<br />

considerava all'infinito come qualche cosa di potenziale, non<br />

era possibile prendere l'aritmetica a fondamento, ma dal<br />

momento in cui invece,si permette la considerazione<br />

dell'infinito, ecco che successioni infinite di numeri interi<br />

permettono di rappresentare anche i numeri reali e dunque i<br />

punti della geometria e in quel<br />

modo lì tutta l'intera matematica. Questo è a grandi linee ovviamente, a<br />

grandissime linee, a volo d'uccello,<br />

il percorso dei fondamenti della matematica praticamente dagli inizi<br />

della matematica greca, dal sesto secolo a. C., fino alla fine circa dell'800, con il lavoro di Dedekind del<br />

1888. A questo punto che cosa succede? Ci fu veramente una crisi, la crisi veramente dei fondamenti.<br />

Quella che viene identificata come crisi dei fondamenti nella storia della logica, nella storia della<br />

matematica avvenne alla fine dell'800, anzi in realtà agli inizi del ‘900 con quel famoso paradosso di Russell<br />

di cui abbiamo parlato più volte, a cui abbiamo dedicato un intera azione, ma poi l’abbiamo citato anche<br />

quando abbiamo parlato di Frege e così via. E allora cosa successe? Successe di nuovo che ci fu il bisogno<br />

di fare quello che era successo ai tempi di Pitagora, cioè di ricostruire le fondamenta di questo edificio della<br />

matematica in modo tale da permettere di rifondarlo, in modo da dare appunto una fondazione solida<br />

all'intero edificio e nel ‘900 in realtà ci furono parecchi tentativi e di questi appunto voglio accennare in<br />

questa lezione. I fondamenti moderni, che più o meno corrispondono a un cambiamento di moda, un<br />

cambiamento di interessi ogni vent'anni nel secolo. Verso gli anni ’20 ci fu questo tentativo di fondare la<br />

matematica sulla “nozione di insieme” e sulla“relazione di appartenenza”.<br />

Ovviamente questo è un tentativo che viene da lontano,che risale già a Frege, 1879, ebbene anche di questo<br />

parleremo brevemente, l'idea comunque fu la nozione centrale di insieme. Negli anni ‘40 si propose invece<br />

questa nuova nozione di “struttura”, cioè “insieme con operazioni”. Negli anni “60 si passò a considerare<br />

169


Fondamenti moderni<br />

1. Anni’20: nozione di insieme/relazione di appartenenza<br />

2. Anni ’40: insieme con operazioni o struttura/relazione di appartenenza<br />

3.Anni’60: nozione di funzione/relazione di composizione<br />

4. Anni’80: nozione di funzione/applicazione di una funzione ad un argomento<br />

“non più la nozione di insieme”, ma la “nozione di funzione” e “non più la relazione di appartenenza”,<br />

bensì quella di “composizione” e negli anni ‘80, “sempre la nozione di funzione” e una nuova relazione che<br />

“non è quella di composizione”, ma quella di “applicazione di una funzione ad un argomento”.<br />

Naturalmente non pretendete, nemmeno io pretendo di avervi insegnato in una slide quali sono stati i<br />

fondamenti e adesso andiamo a vedere uno per uno quali sono stati i concetti essenziali di queste quattro<br />

fondazioni della matematica degli anni ’80, di cui finora ho detto soltanto i nomi e poi concluderemo il<br />

nostro sguardo su come la logica è stata applicata in queste cose. Ebbene cominciamo allora dalla prima<br />

fondazione degli anni ’20, la cosiddetta teoria degli insiemi. Notate che benché ci sono state altre tre<br />

fondazioni in successione, in realtà la teoria degli insiemi è ancora oggi considerata dai matematici come un<br />

fondamento sufficientemente adeguato per l'intera matematica. Oggi non ci sono più questi grandi sogni che<br />

c'erano una volta, quella di avere un fondamento unico, un fondamento completo per l'intera matematica,<br />

come mai? Perché ormai dopo un corso di logica matematica, dopo 20 lezioni certamente lo saprete anche<br />

voi,<br />

perché c'è stato Goedel, ci sono stati i suoi teoremi, si è capito che la matematica è inerentemente<br />

incompleta,<br />

non ci può essere un unico fondamento, perché nessun fondamento è sufficiente e quindi<br />

nessuna area della matematica può essere sufficiente a fondare su di sé l'intero edificio. <strong>Qui</strong>ndi questo è il<br />

motivo per cui oggi forse si sente di meno il bisogno, dal 1931 in avanti, di fondare<br />

la matematica su un<br />

unico argomento; però in realtà i matematici,<br />

diciamo così, i lavoratori matematici, coloro che fanno la<br />

matematica effettivamente, gli analisti, i geometri,<br />

coloro che studiano la teoria dei numeri eccetera, si<br />

accontentano diciamo così della fondazione<br />

insiemistica. <strong>Qui</strong>ndi questa è rimasta un pochettino la<br />

soluzione, anche se questa, come tutte le altre<br />

soluzioni, sono appunto soggiacenti alle limitazioni del<br />

teorema di Goedel, cioè il fatto che nessuna fondazione<br />

è completa. Dov'è nata questa teoria degli insiemi?<br />

Lo abbiamo detto poc'anzi, in realtà è nata verso<br />

la fine dell'800 in due maniere abbastanza differenti, una<br />

maniera che è quella logica di cui abbiamo parlato in un'intera lezione dedicata Frege e l'altra maniera<br />

invece una maniera più matematica, cioè Cantor,<br />

che è arrivato a questa fondazione della teoria degli<br />

insiemi per motivi completamente differenti; non era interessato né particolarmente a problemi logici, né a<br />

1. Insiemi problemi fondazionali, era<br />

interessato all’analisi, solo che le cose che lui studiava, che<br />

Cantor-Frege si chiamavano in analis i serie, erano molto complicate, si trattava di andare a vedere<br />

(fine ottocento) quando queste serie convergevano oppure no, quali erano i punti di convergenza e così<br />

via via Cantor fu condotto a considerare degli insiemi sempre più complicati dei punti di convergenza e alla<br />

fine capì che si stava in qualche modo allontanando un pochettino dalla matematica, andava a mettersi in<br />

campi che erano un pochettino le sabbie mobili, campi perigliosi e allora cera il bisogno per lui, come<br />

matematico, di costruire una teoria solida con cui potesse lavorare nell'analisi. Fu proprio per questo motivo<br />

che Cantor incominciò a costruire la teoria degli insiemi, in maniera indipendente da Frege che invece aveva<br />

i suoi bisogni logici e le sue caratteristiche erano differenti. Però la teoria che sia Cantor che Frege<br />

produssero fu più o meno lo stesso genere di teorie ed era basata, fondata su due assiomi che noi già<br />

conosciamo. Adesso li ripetiamo brevemente, anche perché c'è un motivo, questo oggi li rivedremo in un<br />

altra luce, in un'altra forma, quando parleremo della quarta fondazione, cioè del calcolo lamda.<br />

Estensionalità Vi ricordo brevemente i due assiomi sui quali Frege e Cantor<br />

due insiemi sono uguali fondavano la loro teoria intuitiva degli insiemi. <strong>Il</strong> primo assioma<br />

se hanno gli stessi elementi era il cosiddetto “assioma di estensionalità”, cioè il fatto che due<br />

insiemi sono uguali se hanno gli stessi elementi, cioè il fatto che due insiemi non si possono distinguere uno<br />

dall'altro se non per le cose che ci stanno dentro, cioè gli elementi, ebbene due insiemi indistinguibili l'uno<br />

dall'altra, cioè che hanno gli stessi elementi devono essere lo stesso oggetto, devono essere lo stesso<br />

insieme. Questo “principio di estensionalità” è per l’appunto una forma, una versione del famoso “principio<br />

di identità degli indiscernibili”, un parolone dovuto a Leibniz, cioè l'identità degli indiscernibili vuol dire<br />

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proprio questo, cioè due cose che non si possono discernere, che non si possono separare l'una dall'altra<br />

attraverso proprietà caratteristiche, devono essere identiche e devono essere la stessa cosa. <strong>Qui</strong>ndi il<br />

principio di estensionalità è qualche cosa di lapalissiano, bisogna certamente accettarla. <strong>Il</strong> secondo principio<br />

è diverso ed è quello precisamente su cui Frege fondò la sua teoria degli insiemi, si chiama “principio di<br />

comprensione”. E’ un modo di legare da una parte la logica, cioè le proprietà e dall'altra parte la<br />

matematica, cioè gli insiemi.<br />

Comprensione <strong>Il</strong> principio di comprensione dice semplicemente che “ogni proprietà<br />

ogni proprietà di insiemi di insiemi determina un insieme”, cioè ogni volta che noi vogliamo<br />

determina un insieme costruire un insieme, basta che diciamo qual’è la proprietà che determina<br />

i suoi elementi, ebbene una volta determinata la proprietà, viene automaticamente determinato l’insieme,<br />

che per il principio di estensionalità dovrà essere unico, quindi ciascuna proprietà determina uno e un solo<br />

insieme. Su questa fondazione Frege pensava di essere riuscito a fondare l'intera matematica. Che cosa<br />

successe lo sappiamo, perché su questo abbiamo parlato a lungo; successe che nel 1902 arrivò Beltrand<br />

Russell che produsse il suo famoso paradosso, il paradosso di Russel1 che dimostrò che alcuni concetti<br />

riferiti alla teoria degli insiemi, in particolare il concetto di “insieme di tutti gli insiemi” oppure il concetto<br />

di “insieme degli insiemi che non appartengono a se stessi ” erano concetti fastidiosi, perché in particolare<br />

Paradosso di Russell (1902) quest'ultimo erano contraddittori. Non vi ripeto per l’ennesima<br />

L’insieme degli insiemi volta la dimostrazione o per lo meno l’accenno del fatto che<br />

non appartengono a se stessi “l'insieme degli insiemi che non appartengono a se stessi non può<br />

è contraddittorio né appartenere, né non appartenere a se stesso”, è la stessa cosa del<br />

paradosso del mentitore, della frase di Goedel e così via, sono questi i circoli viziosi che comunque nel 1902<br />

provocarono questa crisi dei fondamenti. Che cosa successe? Questo l’abbiamo già visto una volta, oggi<br />

stiamo soltanto ripetendo, perlomeno in questo momento, cose che abbiamo già visto, ebbene la soluzione<br />

che i matematici accettarono, notate non la soluzione che diede Russell con la sua teoria dei tipi logici e così<br />

via, non quella che diede Frege, che in realtà non riuscì all'epoca a dare una soluzione, ma quella che oggi<br />

viene comunemente accettata è la cosiddetta “teoria assiomatica degli insiemi” che fu proposta da questi due<br />

signori: Zermelo nel 1904, diede la prima lista di assiomi per la teoria degli insiemi, qualche cosa rimase<br />

fuori di importante, fu aggiunto da Fraenkel nel 1921, naturalmente anche vari altri contribuirono a questa<br />

Soluzione lista e oggi c'è una lista di assiomi che si chiama teoria<br />

Zermelo (1904) Fraenkel(1921) degli insiemi di Zermelo e Fraenkel che prende il nome<br />

assiomi da questi due signori. Notate, attenzione, perché il teorema<br />

di Goedel dice precisamente che ha lista degli assiomi di Zermelo e Fraenkel non è completa, ci sono<br />

moltissime proprietà degli insiemi che sono vere e che non si possono dedurre da questa lista di assiomi;<br />

però abbiamo oggi dopo Goedel che questo non è un problema della lista di Zermelo e Fraenkel, ma è un<br />

problema della matematica in generale. Qualunque altra lista anche più lunga, anche diversa, certamente<br />

avrebbe lo stesso problema, perché il teorema di Goedel è un teorema universale, che dice appunto che ci<br />

sono queste limitazioni in generale. Però gli assiomi di Zermelo e Fraenkel sono quelli che i matematici<br />

hanno scoperto essere sufficienti per le cose che fanno o perlomeno che facevano fino ad un certo punto;<br />

quindi questo è il motivo per cui oggi si continua più o meno a tenere la lista degli assiomi di Zermelo e<br />

Fraenkel, perchè sono sufficienti per la maggior parte, perlomeno per una buona parte della matematica<br />

moderna, una parte quindi non significa Ovviamente ci sono delle parti della matematica in cui questo<br />

approccio, sia l'approccio insiemistico, che la lista particolare degli assiomi di Zermelo e Fraenkel non sono<br />

sufficienti e questo è il motivo per cui ci sono altre fondazioni della matematica. In particolare vorrei parlare<br />

della seconda fondazione, degli anni ’40, alla quale invece non abbiamo mai accennato e quindi è bene che<br />

oggi ne parliamo in maniera un po’ più diffusa. La seconda fondazione è quella che si chiama delle<br />

“strutture”, cioè invece di basare la matematica su insiemi soltanto, su insiemi che in qualche modo solo<br />

collezione di oggetti, ebbene viene basata la matematica sulla nozione di struttura. La struttura è<br />

semplicemente un insieme con operazione o meglio con una o più operazioni, in altre parole si considera la<br />

nozione di insieme non sufficiente a caratterizzare quello che è l'essenza dell'oggetto matematico,<br />

soprattutto della matematica moderna e si è pensato, verso gli anni ’40, che fosse necessario considerare<br />

insiemi in qualche modo vestiti, non nudi, così si dice nel gergo matematico, cioè non semplicemente<br />

171


insiemi senza nessun’altra proprietà, ma insiemi che hanno in più delle operazioni e adesso faremo subito<br />

degli esempi. Prima volevo dirvi chi è che ha introdotto praticamente quello che ha reso famosa questa<br />

seconda fondazione, ebbene questo personaggio è Bourbaki, che ha cominciato dal 1939, ispirandosi<br />

ovviamente ad Euclide, a scrivere una grandissima opera, grande proprio nel senso di fisico, tantissimi<br />

volumi, 39 volumi finora, quella che si chiama “gli elementi di matematica”. Vedete che, anche nel titolo,<br />

c'è un tentativo di rimpiazzare l'opera di Euclide, come fondazione. Gli elementi di matematica di Bourbaki<br />

incominciarono nel ‘39 e come vi ho detto ci furono, guarda caso 39 volumi e poi fu sospesa semplicemente<br />

per esaurimento dei suoi autori, dico dei suoi autori e non del suo autore, perché questo Bourbaki è<br />

semplicemente uno pseudonimo, in realtà Bourbaki è il nome di un generale di Napoleone Bonaparte, che<br />

ad un certo punto si sparò perché non riuscì a farsi obbedire dai suoi commilitoni. Questo sembra un modo<br />

un po' strano per essere un matematico, infatti<br />

Bourbaki non era affatto un matematico, è semplicemente lo<br />

pseudonimo che alcuni studenti all'epoca, il ‘39, che poi naturalmente divennero grandi matematici, presero<br />

come loro pseudonimo, come gruppo di ricerca.<br />

Uno di questi studenti è questo signore che vedete nella<br />

slide, molto noto, forse uno dei più grandi<br />

matematici della metà del secolo, che si chiama Andrè Weil;<br />

qualcuno di voi forse conosce la sorella che si chiama Simone Weil, una filosofa, molto nota, religiosa, che<br />

poi alla fine morì molto giovane e della quale<br />

sono pubblicati moltissimi libri. Andrè Weil è meno noto<br />

ovviamente al grande pubblico, perché le sue<br />

opere che sono opere certamente molto più profonde di quelle<br />

della sorella, sono in realtà molto complicate, molto difficili, di<br />

altissima matematica, la matematica moderna e quindi però volevo<br />

almeno farvi vedere un membro della famiglia Weil e soprattutto un<br />

membro della famiglia Bourbaki. Dicevo che le strutture sono non<br />

insiemi nudi, ma insiemi rivestiti, cioè insiemi con più operazioni.<br />

Facciamo degli esempio per rendere un pochettino più chiara questa<br />

nozione. Prendiamo ad esempio l’insieme dei numeri reali, che come<br />

abbiamo visto ad un certo punto, da Cartesio in avanti potevano essere<br />

considerati come la fondazione della matematica. Ora coi numeri reali<br />

si possono fare tante cose, per esempio si possono fare delle somme, somme che ancora appartengono<br />

all’insieme dei numeri reali, allora l’insieme dei numeri reali con l’operazione somma sono un esempio di<br />

Esempi una struttura che Bourbaki chiama monoide, però naturalmente<br />

numeri reali con oltre alla somma si possono fare anche differenze, cioè sottrarre<br />

Somma: monoide due numeri, differenze che ancora appartengono all’insieme dei<br />

Differenza: gruppo numeri reali ed ecco che l’insieme dei numeri reali con le<br />

Prodotto: anello operazioni di somma e differenza sono un esempio di quello che<br />

Quoziente: campo viene chiamato un gruppo e la struttura di gruppo è una delle<br />

Radici di polinomi: campo alg. chiuso parti essenziali di quella che oggi è l'algebra moderna, ma<br />

naturalmente con i numeri reali si può fare di più, per esempio si può fare il prodotto. Allora un gruppo in<br />

cui si possono fare somme e differenze, ma che insieme alla somma e differenza permette anche di fare dei<br />

prodotti, prodotti che ancora appartengono all’insieme dei numeri reali, ma che inoltre<br />

tra di loro si<br />

comportano come si dovrebbero comportare, per esempio che sono associative, distributive e così via, cioè<br />

che hanno le solite proprietà della somma e del prodotto quando li si usa sui numeri interi e sui reali, si<br />

chiama un anello. Esattamente come prima, quando si faceva la somma e poi si diceva che si poteva anche<br />

fare cioè la differenza, cioè l’inverso della somma, anche nel caso del prodotto si può fare l'inverso del<br />

prodotto, cioè il quoziente e allora un anello in cui si possono fare quozienti, con quozienti<br />

che ancora<br />

appartengono all’insieme dei numeri reali, si chiama campo. Naturalmente questa non è la fine della storia,<br />

su campi si possono per esempio fare delle radici, radici che ancora appartengono all’insieme dei numeri<br />

reali, inoltre si può andare a cercare le radici di polinomi ed ecco che un campo che abbia le radici di tutti i<br />

polinomi, in cui i coefficienti di questi polinomi sono scelti in questo campo si chiama campo<br />

algebricamente chiuso. Vedete che lo stesso esempio dell’insieme dei numeri reali, lo stesso insieme in<br />

realtà può essere visto da molti p.di v. diversi a seconda che si consideri solo la somma, la somma con la<br />

differenza, la somma e la differenza con il prodotto, la somma, la differenza e il prodotto con il quoziente<br />

oppure tutte queste operazioni insieme più le radici di polinomi e così via, l'insieme è sempre lo stesso, però<br />

172


questi sono p.di v. differenti ed ecco perché è utile considerare delle strutture, perché mentre l’insieme non<br />

cambia, possono cambiare però altre cose che sono altrettanto importante. Questa è l'idea fondamentale.<br />

Quanti tipi di strutture sono stati proposti da Bourbaki? Beh, tantissime, però in generale le tre famiglie più<br />

importanti sono le seguenti: le famiglie cosiddette pure e poi ci sono varie combinazioni.<br />

Tipi di strutture La prima famiglia è quella che abbiamo identificato poco tempo fa, cioè la<br />

(pure e miste) famiglia delle cosiddette strutture algebriche, cioè gruppi, insiemi di<br />

algebriche elementi sui quali si possono fare le solite operazioni, somma, prodotto e le<br />

d'ordine loro inverse e così via. Ci sono poi strutture d'ordine, per esempio sempre<br />

topologiche l’insieme dei numeri reali, ora dimentichiamoci della somma, del prodotto<br />

e così via, ora i numeri reali si possono per esempio confrontare fra di loro, cioè presi due numeri, ad<br />

esempio П ed е oppure П e radice di 2, si può andare a vedere qual’è più piccolo, qual’è più grande; questo<br />

qual'è più piccolo e quale più grande è una relazione che si chiama “relazione d'ordine” ed ecco allora che<br />

ci sono<br />

vari tipi di strutture d'ordine, in cui la cosa importante non è fare delle operazioni sopra, bensì<br />

guardare delle relazioni e poi ci sono strutture topologiche, sempre l’insieme dei numeri reali; per esempio i<br />

numeri reali hanno la possibilità di essere usati in analisi, per fare i limiti per esempio, la cosa interessante è<br />

guardare cosa succede nei dintorni dei numeri reali, non tanto confrontarne fra di loro due oppure sommare<br />

o moltiplicare o dividere o sottrarre due numeri ed ecco che allora, quando si guarda ai dintorni dei numeri<br />

reali, si ha una struttura che si chiama struttura topologica. Allora ci sono tre tipi quindi di strutture pure:<br />

le strutture algebriche, le strutture d'ordine, le strutture topologiche, ma naturalmente si può guardare ad<br />

una struttura algebrica, per esempio un gruppo, che abbia anche una relazione d'ordine e così via, quindi si<br />

considerano strutture miste. Questo è quello che effettivamente si fa spesso in certe parti della matematica,<br />

soprattutto l'algebra, la geometria, la geometria algebrica e così via. Ed è per questo che in questi particolari<br />

campi soprattutto, la fondazione della matematica che oggi viene preferita, non è tanto la teoria degli<br />

insiemi, che viene considerata un po' poverella e poi soprattutto che si basa su nozioni come gli assiomi che<br />

non interessano molto i matematici, ma è più che altro questo tipo di fondazione, cioè la fondazione<br />

strutturale, perché è proprio quella che isola, enuclea in qualche modo le proprietà essenziali che interessano<br />

agli algebrici che studiano strutture di questo genere. Ebbene questo è il secondo tipo di fondazioni.<br />

C’è un terzo tipo di fondazioni, che prosegue in questo processo di successiva astrazione, siamo partiti degli<br />

insiemi, poi abbiamo aggiunto agli insiemi delle operazioni, il terzo passo è la cosiddetta fondazione delle<br />

3. Categorie categorie, che cominciò ad essere di moda verso gli anni ’50-‘60.<br />

Insiemi strutture<br />

Che cos'è una categoria? Per fare l'esempio di una categoria<br />

----------- = ----------- possiamo fare questa proporzione: gli insiemi stanno alle funzioni<br />

funzioni morfismi come le strutture ai morfismi, cioè insiemi che si possono collegare<br />

2 x+y = 2 x · 2 y fra di loro attraverso le funzioni, sono un analogo di quello che<br />

succede quando si considerano le strutture e le si collega non più soltanto con funzioni che sono cose che<br />

mandano un elemento in un elemento, bensì con cose che chiamiamo in matematica morfismi, cioè i<br />

morfismi sono funzioni che preservano la struttura. Ed ecco che allora le nozioni fondamentali della<br />

matematica che nel caso insiemistico erano semplicemente insiemi , cioè collezioni di oggetti e funzioni,<br />

cioè modi di mettere in relazione tra di loro queste collezioni, nel caso delle strutture diventano cose un po'<br />

più complicate, perché non ci sono solo più insiemi, ma si sono insiemi con operazioni e allora non ci<br />

saranno più soltanto funzioni che collegano degli insiemi, ma ci saranno funzioni che preservano delle<br />

strutture. Vi faccio un esempio qui: 2 elevato ad x per 2 elevato ad y, sapete tutti che quando si fa la<br />

moltiplicazione con una stessa base gli esponenti si sommano e 2 elevato ad x per 2 elevato ad y diventa 2<br />

elevato ad x+y. Guardate che cosa è successo sulla destra: 2 elevato ad x per 2 elevato ad y, per una<br />

proprietà dell’operazione prodotto, sulla sinistra l’operazione di prodotto è diventata un'operazione di<br />

somma. Questo è un tipico morfismo, un morfismo che manda dei numeri reali in numeri reali e che però<br />

trasforma i prodotti in somme. Ed ecco che allora quello che in realtà era lo stesso insieme, cioè numeri<br />

reali, diventa un qualche cosa di diverso; qui sulla sinistra ci sono numeri reali col prodotto, qua sulla destra<br />

ci sono numeri reali con la somma, cioè due strutture diverse, lo stesso insieme, ma con strutture diverse,<br />

differenti. Allora, viene naturale introdurre questa nuova nozione appunto introdotta da questi due signori<br />

173


Eilenberg e MacLane verso il 1945. La figura di questo baldo giovine che abbiamo nella slide è in realtà<br />

Maclane esattamente quando era giovane, oggi MacLane ha novant'anni, io lo ho visto qualche anno fa e<br />

non era più così, comunque questo era quello che succedeva 55 anni fa. La nozione che Eilenberg e<br />

MacLane introdussero appunto nel ‘45 si chiama categoria. La categoria è una classe, un grande insieme di<br />

strutture che sono collegate da morfismi che appunto preservano la struttura, cioè in altre parole nel<br />

momento in cui la nozione per esempio di gruppo, isola l'idea di un insieme con un'operazione di somma e<br />

sottrazione, ci si può poi chiedere che cosa c'e in comune fra tutti i vari gruppi, cambiano gli elementi<br />

ovviamente, cambia l’insieme che ci sta sotto, però l'idea è sempre la stessa, la struttura è sempre la stessa e<br />

allora l'idea di MacLane é quella di dire prendiamo tutti i possibili esempi di gruppi e cerchiamo di vedere<br />

come li si può collegare uno con l'altro mediante funzioni che preservano la struttura. Ebbene tutti questi<br />

esempi di gruppo vengono appunto a costituire quella che oggi viene chiamata una categoria. La teoria delle<br />

categorie si può addirittura fondare senza parlare più di insiemi e senza parlare più di strutture.<br />

Questa è stata la scoperta di Eilenberg e Maclane che invece di dire che la struttura è un insieme con<br />

(dimenticando gli insiemi e le strutture) certe operazioni e poi di considerare un insieme di strutture<br />

Categoria che h anno certe relazioni fra di loro che si chiamano morfismi,<br />

classe di morfismi che l'idea è quella di considerare soltanto i morfismi, dimenticarsi<br />

si compongono associativamente degli insiemi che ci stanno sotto e considerare soltanto le<br />

che ammettono identità relazioni tra queste strutture.<br />

Ecco allora, che “la definizione di categoria diventa una classe di<br />

morfismi”, non più di strutture che si compongono in maniera<br />

associativa e che ammettono identità. Non pretendo ovviamente che<br />

si capisca che cosa questo significa in due parole, però la cosa<br />

importante è questa, cioè che non c'è più bisogno nel momento in cui<br />

si parla di categorie di parlare anche di insiemi, di parlare di quello<br />

che era l'altra fondazione, mentre sembrava che la teoria degli<br />

insiemi fino a due minuti fa fosse la vera fondazione della<br />

matematica, in realtà si scopre che le categorie possono essere<br />

fondate indipendentemente senza più parlare degli insiemi.<br />

Effettivamente questo è quello che successe, l’identità o meglio la proporzione che abbiamo trovato prima<br />

tra insiemi e funzioni, tra strutture e i morfismi, si può estendere addirittura, si può trovare una nozione più<br />

generale di morfismo, che si chiama funtore e naturalmente sorge il problema esattamente come per la<br />

teoria degli insiemi, cioè che cosa corrisponde “all’insieme di tutti gli insiemi”, che in questo caso diventa<br />

“alla categoria di tutte le categorie”? E’ chiaro che questo sarà un concetto contraddittorio, esattamente<br />

come nel caso del paradosso di Russell, ma c’è stata una soluzione.<br />

insiemi strutture categorie Fra le varie soluzioni che sono state considerate,<br />

--------- = ------------ = ------- introdotte nell'arco degli anni, anzitutto ci fu questa<br />

funzioni morfismi funtori idea di considerare soltanto le categorie piccole, cioè<br />

quelle che si potrebbero considerare come piccoli<br />

Problema insiemi, però questa è una limitazione che in matematica<br />

Categoria di tutte le categorie? è risultata poco utile e allora questo signore, che vedete<br />

nella slide, che sembra quasi uno marine, in realtà è un matematico, si chiama Grothendieck, uno dei grandi<br />

matematici del secolo, che prese la medaglia Fields l'analogo del premio Nobel, fu quella di considerare<br />

degli universi, cioè delle categorie enormi, che in realtà, dal p.di<br />

v. della teoria degli insiemi, sarebbero state contraddittorie e dal<br />

p.di v. della teoria delle categorie rimangono in qualche modo<br />

autosufficienti. Un'altro modo invece che è stato proposto da<br />

questo signore che si chiama Lawvere, è stato quello di proporre<br />

un’assiomatizzazione della nozione di categoria, esattamente<br />

come Zermelo e Fraenkel avevano proposto una<br />

assiomatizzazione della teoria degli insiemi. <strong>Qui</strong>ndi vedete, la<br />

“teoria delle categorie” è diventata qualche cosa di<br />

174


autosufficiente, che ha cercato di sostituire, dal p.di v. della matematica, quella che era la nozione di<br />

insieme. Quanto ci sia riuscito, questo è naturalmente qualche cosa che si dibatte, alcuni matematici<br />

continuano a ritenere che la teoria degli insiemi sia sufficiente, che non ci sia bisogno di fare altro, molti<br />

altri matematici soprattutto quelli che come questo signore qui, Grothendieck, fanno geometria algebrica, si<br />

interessano di certe aree piuttosto complessa della matematica, ritengono che la teoria delle categorie sia<br />

più adatta invece come fondamento della matematica. A noi, che siamo dei logici, la cosa va benissimo in<br />

ogni caso, perché queste sono tutte parte di cui la logica poi si interessa, quindi a noi interessa essere utile a<br />

tutti e non certamente essere monopolisti. Ma c'è un quarto tipo di fondazione che è stato introdotto, come<br />

vedete nel 1933, da questo signore che si chiama Church, che era un grande logico, uno dei discepoli di<br />

Goedel, uno di quelli che capì immediatamente i risultati di Goedel negli anni ’30 e che anzi li estese e così<br />

via; però la cosa interessante è che questa teoria fondata da Church, di cui adesso dirò poche parole, in realtà<br />

divenne importante verso gli anni ‘80. Come mai?<br />

4. Lambda calcolo Vediamo anzi tutto com’è fondata questa teoria del lambda calcolo;<br />

Church beh, l'idea è un po' l'uovo di colombo, la “teoria del lambda calcolo”<br />

(1933) è fondata esattamente come la teoria degli insiemi ingenua, cioè<br />

esattamente come la teoria di Frege e di Cantor. Solo che invece di fondarla sulla nozione di insieme la si<br />

fonda sulla nozione di funzione. Che cosa corrisponde all'elemento di un insieme? Corrisponde l'argomento<br />

di una funzione. Che cosa corrisponde<br />

all'appartenenza ad un insieme? Corrisponde al fatto di applicare la<br />

funzione al suo argomento. Cosa corrisponde<br />

all’astrazione, cioè al processo che data una descrizione degli<br />

elementi di un insiemi determina l’insieme<br />

stesso? Corrisponde quello che Churchl chiamava per l’appunto<br />

la lambda astrazione, cioè invece di definire<br />

gli insiemi attraverso le proprietà, si definiscano le funzioni<br />

attraverso le descrizioni dei valori. E allora sembrerebbe però che una fondazione della teoria del lambda<br />

insieme ׀ funzione<br />

calcolo, data esattamente come la fondazione ingenua<br />

della<br />

elemento ׀ argomento<br />

teoria degli insiemi, provochi gli stessi problemi;<br />

anzitutto<br />

appartenenza ׀ applicazione cominciamo a vedere che cosa succede nel caso di<br />

questa<br />

astrazione ׀ lambda astrazione fondazione. Vi ricordate che il primo assioma della teoria<br />

degli insiemi era il cosiddetto assioma di estensionalità, cioè due insiemi che hanno gli stessi elementi<br />

devono essere uguali. Cosa succede per l’estensionalità nel caso del lambda calcolo? Più o meno la<br />

stessa cosa, cioè due funzioni che abbiano gli stessi valori sono uguali per “il principio di<br />

comprensione”, che diceva nel caso degli insiemi, che un insieme viene determinato dalle proprietà dei suoi<br />

Estensionalità elementi, mentre ora il principio di comprensione diventa più o meno la<br />

due funzioni sono uguali se stessa cosa, cioè una funzione viene determinata da una descrizione dei<br />

hanno gli stessi valori suoi valori. Allora sembrerebbe d’aver messo in piedi una teoria delle<br />

Comprensione funzioni ingenua, molto analoga, molto simile alla teoria ingenua degli<br />

ogni decisione di valori insiemi, basata sugli stessi principi, basata su una analogia. C'è un unico<br />

determina una funzione dubbio però, che ci viene in mente e il dubbio è: ma il paradosso di<br />

Russell? Cioè se c'era un paradosso nel caso della teoria degli insiemi, se questa teoria del lambda calcolo è<br />

stata fondata nello stesso modo della teoria degli insiemi, succederà di nuovo un patatrac, cioè il paradosso<br />

di Russell verrà riformulato in un paradosso analogo per il lambda calcolo? C'è un unico problema però e il<br />

problema è questo, cioè quando si faceva il paradosso di Russell, che ho citato poco tempo fa, ebbene il<br />

paradosso di Russell parlava di insiemi che non appartengono a se stessi. Ora insieme, va bene, perché<br />

questa è parte della teoria degli insiemi, appartenere o no a se stessi, questa è di nuovo parte della teoria<br />

degli insiemi, perché l’appartenenza è la relazione fondamentale della teoria degli insiemi, ma c'è questa<br />

negazione che dà fastidio, perché la negazione nel caso della teoria degli insiemi è qualche cosa che viene<br />

inglobata nella teoria, la negazione è un predicato logico, ma qui nel lambda calcolo si parla soltanto di<br />

funzione, non c'è nessuna cosa che corrisponda<br />

alla negazione e allora non c'è la possibilità di usare la<br />

logica, il lambda calcolo in qualche modo è immune dalle cose che derivano dalla logica e allora questa<br />

175


fu la scoperta di Church, cioè il paradosso di Russell diventa un teorema, il famoso teorema del punto fisso<br />

di Curry, quindi non c'è problema ed è per questo che la teoria della lampada calcolo è un qualche cosa<br />

di dimostrabilmente consistente. Questo diventò una fondazione della matematica che ai matematici<br />

il paradosso di Russell interessò poco per molti anni, ma che però negli anni 80 è diventata<br />

diventa importante perché è diventata la fondazione dell'informatica teorica,<br />

il teorema del in particolare il teorema del punto fisso è praticamente la fondazione<br />

punto fisso di Curry in informatica di quello che si chiama oggi la programmazione<br />

ricorsiva. Bene, io non credo di essere riuscito, ovviamente soltanto nel giro di un'ora, a darvi un'idea di<br />

quelli che sono stati i fondamenti della matematica in questo secolo, però quello che volevo dire era appunto<br />

che la logica non è stata soltanto, in questi due millenni che abbiamo più o meno percorso a volo d’uccello<br />

in queste 20 lezioni, una problematica che ha interessato la filosofia, che ha interessato l'informatica e la<br />

matematica da un p.di v. puramente logico, cioè puramente di analisi del linguaggio, analisi del<br />

ragionamento, è stata anche e soprattutto questo ed è su questo che ci siamo concentrati ovviamente, ma<br />

questo è stato quello che ho cercato di dimostrare o perlomeno di dire, di accennare in quest'ultima lezione,<br />

la logica è stata anche un tentativo di dare una fondazione, una possibile fondazione salda, sicura, certa alla<br />

matematica. Bene, siamo comunque arrivati più o meno alla fine di queste lezione, vi ricordate abbiano<br />

introdotto la logica come scienza del ragionamento, abbiamo fatto 18 lezioni dedicate ai grandi personaggi<br />

della logica, non soltanto di questo secolo ovviamente, ma dell'intera storia, siamo partiti molto alla lontana,<br />

da Pitagora, Platone, Aristotele, Crisippo e poi ci siamo avvicinati piano piano ai giorni nostri, passando<br />

attraverso la Scolastica; abbiamo parlato soprattutto dei grandi logici tipo Frege, tipo Russell, Wittgenstein e<br />

soprattutto ovviamente Goedel, Turing che ha fondato l'informatica e abbiamo scoperto che la logica in<br />

realtà è qualche cosa che coinvolge e interessa perlomeno tre campi del sapere, cioè la filosofia, perché<br />

questa è stata la sua origine, la matematica, perché questo è il suo oggetto fin dagli inizi e l'informatica,<br />

perché di lì, proprio dalla logica, è nata l'informatica. Bene, a questo punto non mi resta altro che invitarvi a<br />

continuare lo studio della logica, andando a vedervi i testi che vi suggerisco nelle indicazioni<br />

bibliografiche, perché questo non può essere stato altro che semplicemente un invito alla lettura, alla<br />

conoscenza della logica. Io finisco in maniera manzoniana, spero che comunque non lo sia stato troppo<br />

noioso e se in qualche modo siamo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.<br />

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