Riconquistiamo il paesaggio - ACCA software SpA
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CAPITOLO IV - Paesaggio, territorio e biodiversità<br />
questi affiancamenti, particolarmente interessante è quello riguardante i piani propriamente<br />
paesaggistici (o territoriali con specifica valenza paesaggistica, ai sensi del Codice 2004): piani ai<br />
quali <strong>il</strong> Codice attribuisce una incisiva efficacia normativa, che va in qualche modo conc<strong>il</strong>iata con<br />
la funzione di orientamento strategico. In alcune esperienze di piano e in alcune proposizioni<br />
legislative (ad es. la legge 16/2004 della Regione Campania), la distinzione tra l’inquadramento<br />
strutturale e quello strategico è tutt’altro che chiara, sembra anzi scivolare in una pericolosa<br />
identificazione. Che da un lato porta ad includere nel primo anche previsioni di grandi opere,<br />
ad es. infrastrutturali, invocandone una presunta “rigidità” (l’esempio della TAV basta a ricordare<br />
invece quanto le grandi opere capaci di condizionare duramente i processi territoriali siano<br />
ben spesso fino all’ultimo di incerta e discussa realizzazione); e dall’altro porta a contraddire<br />
l’essenza stessa della pianificazione strategica, vale a dire <strong>il</strong> fatto che essa si rivolge per definizione<br />
a larghe platee di attori diversificati, relativamente autonomi nelle proprie determinazioni,<br />
e che di conseguenza le visioni, le linee guida, gli indirizzi strategici che propone, dovendo<br />
essere da tali attori condivisi, non possono certamente avere quel carattere rigido e vincolante<br />
che può ben essere attribuito, invece, all’inquadramento strutturale. Alla luce dell’esperienza,<br />
sembra piuttosto rafforzarsi l’ipotesi che l’interpretazione strutturale e l’inquadramento<br />
strategico rappresentino una coppia di strumenti complementari nei processi di piano e di “governance”<br />
territoriale, in cui spetta alla prima fissare i punti fermi e gli spazi di negoziab<strong>il</strong>ità, all’interno<br />
dei quali possono sv<strong>il</strong>upparsi flessib<strong>il</strong>mente i processi di cooperazione e condivisione<br />
guidati dal secondo.<br />
Ciò è tanto più importante in quanto i processi di governo territoriale si collocano oggi in contesti<br />
di crisi. Le prospettive di mantenimento, riuso e valorizzazione del patrimonio di valori lasciatoci<br />
dalla natura e dalla storia si intrecciano sempre più con le minacce e i problemi ambientali<br />
che si manifestano a livello non solo locale ma sempre più spesso globale. L’allargamento incessante<br />
dell’ “impronta ecologica” del territorio urbanizzato su spazi sempre più vasti, lo smantellamento<br />
progressivo dello spazio rurale e la frag<strong>il</strong>izzazione e frammentazione crescente della<br />
struttura ecosistemica e del <strong>paesaggio</strong>, le nuove forme “disperse” dell’urbano, la proliferazione<br />
apparentemente inarrestab<strong>il</strong>e delle reti infrastrutturali, sono aspetti diversi di una sindrome di<br />
criticità complessa, in cui pure si situano – con una “frattura” epocale (Dansero et al, 1998) -<br />
lo svuotamento delle fabbriche, <strong>il</strong> tramonto di interi distretti produttivi, l’obsolescenza di antichi<br />
apparati infrastrutturali, l’abbandono delle tecnologie produttive e delle pratiche agro-forestali<br />
tradizionali. In questo quadro, i problemi ambientali assumono r<strong>il</strong>evanza strategica, per varie<br />
ragioni, come <strong>il</strong> peso crescente della qualità ambientale nel determinare le preferenze localizzative<br />
delle imprese innovative e l’ “appeal” nei confronti dei potenziali investitori, <strong>il</strong> contributo<br />
decisivo che la qualificazione ambientale può esercitare nella valorizzazione dell’identità e dei<br />
vantaggi competitivi delle città e dei territori, l’importanza crescente accordata agli investimenti<br />
nel “capitale simbolico”, costituito dal patrimonio storico-culturale inteso in senso lato, comprensivo<br />
dei valori paesistici-ambientali.<br />
Tuttavia, è forse proprio la situazione di crisi che, distaccando case e fabbriche, infrastrutture e<br />
spazi produttivi dalle loro funzioni originarie, consente di apprezzarne e ricostruirne <strong>il</strong> significato<br />
storico, estetico e culturale. Ciò è da tempo evidente nei tanti casi, frequenti in Europa, di<br />
permanenze architettoniche monumentali <strong>il</strong> cui riuso ne consente, per così dire, la “storicizzazione”<br />
e quindi la ri-significazione nel contesto del patrimonio culturale attualizzato. Ma <strong>il</strong> passaggio<br />
cruciale è forse osservab<strong>il</strong>e nei casi assai più numerosi in cui la qualità paesistica non è<br />
<strong>il</strong> frutto di espliciti progetti, ma l’esito secondario o “laterale” (<strong>il</strong> sottoprodotto) di interventi<br />
motivati da ragioni economiche e funzionali. Quando queste ragioni vengono a cessare, le costruzioni<br />
e i manufatti esistenti diventano fungib<strong>il</strong>i, interpretab<strong>il</strong>i o anche radicalmente trasfor-