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Riconquistiamo il paesaggio - ACCA software SpA

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CAPITOLO III - Paesaggi d’Italia<br />

Organisation (Agnoletti 2007). Ma l’occasione è soprattutto culturale, forse anch’essa ultima, di<br />

poter trasmettere <strong>il</strong> patrimonio rurale frag<strong>il</strong>e costituito dal saper fare dei produttori locali rivolgendosi<br />

non più solo ad un ambito locale/nazionale ma, appunto, a nuovi, più consapevoli<br />

eredi culturali, quei “cittadini europei” che sono nella mente della CEP (e, perché no, extraeuropei<br />

sempre più impiegati nell’esercizio dell’agricoltura nel nostro paese). Un progetto che non<br />

può essere confuso e tanto meno affidato solo ai meccanismi dell’attivissimo mercato dei fondi<br />

rurali quello sì già ben unificato a dimensione continentale. Non manca infatti chi vede un futuro<br />

dei paesaggi rurali in questa direzione. Il progetto da immaginare deve invece partire dai<br />

produttori, dalla riscoperta dei loro legami storici con i luoghi e dalle loro esigenze attuali per<br />

aprire una scommessa che coinvolga le generazioni più giovani nel riconoscere e salvaguardare<br />

quei legami che, attraverso le produzioni alimentari locali, producono e riproducono paesaggi<br />

agrari, forestali e pastorali. Paesaggi che, ovviamente, non potranno mai essere identici a<br />

quelli storici né necessariamente identitari (resta da provare storicamente che lo siano mai stati<br />

e comunque in società strutturate ben diversamente da quella attuale) ma che, attraverso <strong>il</strong><br />

riconoscimento della loro storia, dei modi precisi del loro farsi, possano tornare a costituirsi<br />

luoghi riconoscib<strong>il</strong>i della memoria senza dover rincorrere esasperati “restauri” con nostalgie<br />

estetico-ruraliste o insostenib<strong>il</strong>i progetti eco-museali come sino ad oggi sono stati pensati partendo<br />

dall’“approccio paesistico”.<br />

La CEP rischia dunque una scelta di fondo importante: sostituire <strong>il</strong> <strong>paesaggio</strong> (oggetto) con la<br />

sua “rappresentazione/percezione”, una sua pura immagine, scelta che tende a confinare gli<br />

aspetti culturali (i contenuti culturali e storici del <strong>paesaggio</strong>) in questa sola - e diffic<strong>il</strong>mente precisab<strong>il</strong>e<br />

- dimensione “mentale”o “visiva”. Quel che bisogna sottolineare è che si rischia nello<br />

stesso tempo di relegare in una dimensione puramente “naturale”, e dunque a-storica, tutti gli<br />

aspetti spaziali ed i contenuti biologico-ambientali, sede fisica dei processi e delle risorse ambientali<br />

che danno forma concreta (oggetto) al contenuto propriamente vivente (popolamenti<br />

vegetali, animali, suoli, ecc.) dei paesaggi culturali. Sono questi processi storico-ambientali, in<br />

particolare, al centro dell’interesse scientifico dell’“approccio storico” allo studio dell’ecologia<br />

dei siti. L’ecologia storica si è consolidata nel corso degli anni 1970 nell’ambito degli studi per<br />

la conservazione ambientale, soprattutto in Gran Bretagna (Peterken 1975, Rackham 1976,<br />

1980, 1982, 1986) e nei paesi nord-europei ed è alimentata da un genere storiografico (local o<br />

topographical history) rimasto estraneo agli studi storici e geografici nel nostro paese fino a quando,<br />

in data relativamente recente, la rielaborazione teorica di una “nuova storia locale” è emersa<br />

come risultato scientifico del dibattito, mai chiuso nel corso degli anni 1980, sulla microstoria<br />

(Raggio 2004). La topographical history fonda un approccio analitico, apre la ricerca geografica<br />

e storica sui paesaggi a nuove fonti e metodi, rivela un senso storico perspicuo anche per contenuti<br />

materiali dei luoghi e del loro contesto (Torre 2002, Torre in stampa). È attraverso l’ottica<br />

di questa “nuova storia locale” che è stato valutato <strong>il</strong> lavoro storiografico di Em<strong>il</strong>io Sereni a<br />

cui si devono nel corso dei lontani anni 1950 i fondamenti di una storiografia del <strong>paesaggio</strong> rurale<br />

solo in parte consegnata nella sua “Storia del <strong>paesaggio</strong> agrario italiano” (Sereni 1961).<br />

L’eredità scientifica di Sereni si è dispersa nella evoluzione degli studi di storia dell’agricoltura o<br />

di storia economica non interessati alla dimensione spaziale concreta delle agricolture locali e<br />

alla loro forma geografico-ambientale, <strong>il</strong> <strong>paesaggio</strong> agrario (Moreno & Raggio 1999). Così come<br />

non è stata sv<strong>il</strong>uppata - qualche eccezione fatta per la Toscana, le Marche, <strong>il</strong> Piemonte, l’Em<strong>il</strong>ia<br />

Romagna e la Liguria - una storia rurale ut<strong>il</strong>e alla comprensione del funzionamento dei paesaggi<br />

agrari. Una sorte non migliore è stata riservata alle proposte di una storia e archeologia forestale<br />

(cfr. Moreno et al. 1982). D’altro canto, in questi stessi decenni la società rurale italiana<br />

si è dissolta (ma è poi vero?) sotto lo sguardo distratto non solo dello storico sociale ma, co-

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