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10.06.2013 Views

NOTIZIA NEL
SEGNO
DI
MARIO,
FRANCESCA,
MARGAUX
 BOMBA BUDELLONI ALLA RISCOSSA Purtroppo tutti noi siamo a conoscenza del grave incidente automobilistico accaduto in via Pistoiese, la notte tra il 5 e 6 gennaio 2009. Incidente nel quale hanno perso la vita due ragazze, Margaux e Francesca, e un ragazzo, Mario; tutti tra i 16 e i 19 anni. Miracolosamente illeso un altro passeggero del veicolo, Filippo e in via di guarigione dopo un intervento il ragazzo che guidava, 19 anni, Gianmarco, indagato per omicidio plurimo colposo. L’intera città, in ogni sua piega, ha vissuto il contraccolpo di questa tragedia. Tra le tante parole lette sui giornali dei giorni successivi, cordoglio da parte delle istituzioni, dichiarazioni addolorate di amici, grida disperate di parenti, slogan di gestori di locali, dialoghi nati con gli alunni nelle classi, tra le tante frasi ascoltate e lette, mi ha molto colpito questo volantino che riporto, scritto da un gruppetto di studenti di Firenze che ha voluto stare davanti agli avvenimenti fino in fondo: UNA DOMANDA CHE NON SI PUO’ PER- DERE (Nel segno di Mario, Francesca, Margaux) L’incidente nella notte del 6 gennaio, con la morte di Francesca, Margaux e Mario, è un fatto che ha coinvolto e coinvolge la nostra città e in primo luogo i più giovani. Vedendo soprattutto i loro amici, si capisce benissimo che la loro assenza rappresenta uno strappo enorme nella vita di tutti. Le creature sono il modo con cui l’infinito diventa presente al cuore dell’uomo e gli desta la sete di sé. Gli desta la sete, gli desta l’esigenza della felicità, della giustizia, della verità, dell’amore. Se questa sete e questa esigenze di vita e di significato del vivere sono adesso più forti di prima, è perché Margaux, Francesca e Mario sono presenti più che mai. Lo spettaco- 4 lo di unità e di ami- Chiara
Staderini cizia, lo spettacolo di bellezza ferita e splendente mostrato dai loro amici e dai genitori, ne è la testimonianza più grande. “Ci sono momenti in cui la realtà non esita a darci uno schiaffo. La pelle brucia, si gonfia, le lacrime scendono, il nodo in gola si stringe fino a quasi soffocare. Ma lo schiaffo ha un scopo. E’ per dirci: “Sveglia!”. Sei al mondo per cercare il significato delle cose, per vivere pienamente ogni istante, dal più serio al più scherzoso, dal più lieto al più doloroso. Per paragonare ogni cosa che vedi e che vivi con il tuo cuore. Ma da solo non puoi, chiedi questo ai tuoi amici, dentro ogni momento. Con la tua instancabile ricerca di verità e di senso metti a disagio gli adulti che ti circondano a casa, a scuola, ovunque! E chiedi questo anche a chi ora quel significato, quella felicità la sperimenta nella sua interezza, come Mario, Francesca e Margaux” Così lo schiaffo non fa meno male, ma il dolore, la nostalgia diventano occasioni di cam- biamento. Il dolore insostenibile e lo stordimento con il tempo si allevieranno, ma questa ferita, questa domanda di significato, non la vogliamo perdere. Gioventù Studentesca

NOTIZIA IL
QUARTIERE
GION
DI
KYOTO BOMBA BUDELLONI ALLA RISCOSSA La sera è particolarmente fresca nonostante sia giugno inoltrato. La pioggia scende giù in piccoli aghi che riempiono di brividi la carne scoperta dalle magliette a maniche corte. La strada è poco illuminata, qualche luce bassa al neon e qualche lanterna rossa alimentata probabilmente a metano. Il rivestimento degli edifici è completamente in legno come vuole la tradizione giapponese. Il quartiere è rimasto pressoché intatto da circa 400 anni, si intravedono solo piccole modifiche legate alla qualità della vita e alle necessità. Un anacronistico cassonetto della spazzatura si intravede in un vicolo. E’ il quartiere di Gion a Kyoto. Il quartiere è percorso da piccoli fiumi che si intersecano tra di loro, l’acqua è limpida e bassissima, nonostante Gion sia un quartiere centrale della metropoli giapponese. Sulle rive di questi ruscelli si affacciano decine di ristoranti e sale da the e in alcuni di loro, in sale private o semplicemente nascoste da paraventi, si esibiscono le Geishe o le piccole Maiko. Rimaniamo appostati per circa un'ora nel fresco vicolo attendendo di vedere uscire da uno dei locali del quartiere una di queste signorine. L’uscita non sarà trionfale, ci ha spiegato il proprietario di una delle poche sale da the tradizionali rimaste nel quartiere, sarà un’uscita discreta, in puro stile giapponese. “Le vedrete uscire da un locale ed entrare in un taxi che le aspetta davanti all’ingresso del ristorante, saranno solo pochi istanti, qualche fotogramma, ma se siete fortunati potrete vederne qualcuna dirigersi verso la più vicina stazione della metropolitana”. La pioggia comincia a scendere abbondante, ci ripariamo sotto un tetto di legno e ad ogni fascio di luce proiettato dall’apertura di qualche porta speriamo nel colpaccio. Passa diverso tempo. Comincia a fare freddo. Le porte si aprono raramente Francesco
Noferini e le poche volte che lo fanno ne escono inservienti con i sacchi della spazzatura o qualche distinto signore con giacca, cravatta e ventiquattrore. Dopo un po’ Irene mostra la propria impazienza e così decide di andare a comprare qualcosa da bere in uno dei tanti Family Mart – Seven Eleven aperti 24 ore su 24. E’ in questo breve lasso di tempo che da lontano scorgo un kimono avvicinarsi alla mia postazione, un ombrello colorato nasconde la sagoma, il cuore comincia a pulsarmi forte nel petto ma la delusione è dietro l’angolo, la signorina che si avvicina non è una Geisha o una Maiko (giovane apprendista) è semplicemente una ragazza vestita con un abito da sera che qui in Giappone si traduce con Kimono. Aspetto. Sono disposto a stare qui tutta la notte, Irene permettendo, ma conosco bene il suo livello di sopportazione e so che non mi rimane molto tempo a disposizione. Nonostante la pioggia è una buona serata, il rumore delle macchine è nascosto dalla leggera corrente del fiume che mi scorre a due passi, qualche bicicletta transita nel vicolo, non ci sono pedoni. Irene ritorna, dalla sua espressione suppongo che possa resistere ancora per poco a quel clima ostile e infatti ho ragione. Dispiaciuto abbandono la mia postazione sul crocevia e leggeri ci dirigiamo verso il nostro Ryokan quando improvvisamente da un ristorante si sentono delle risa, qualche parola di congedo e il cigolio dei cardini di una porta. Ci voltiamo e davanti a noi, in tutta il loro anacronismo appaiono tre Geishe, ci sorridono, ho appena il tempo di scattare due foto senza prendere la mira. Questo è il mio trofeo di caccia. 5

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QUARTIERE
GION
DI
KYOTO<br />

BOMBA BUDELLONI ALLA RISCOSSA<br />

La sera è particolarmente fresca nonostante<br />

sia giugno inoltrato. La pioggia scende giù in<br />

piccoli aghi che riempiono di brividi la carne<br />

scoperta dalle magliette a maniche corte. La<br />

strada è poco illuminata, qualche luce bassa<br />

al neon e qualche lanterna rossa alimentata<br />

probabilmente a metano.<br />

Il rivestimento degli edifici è completamente in<br />

legno come vuole la tradizione giapponese. Il<br />

quartiere è rimasto pressoché intatto da circa<br />

400 anni, si intravedono solo piccole modifiche<br />

legate alla qualità della vita e alle necessità.<br />

Un anacronistico cassonetto della spazzatura<br />

si intravede in un vicolo. E’ il quartiere di<br />

Gion a Kyoto. Il quartiere<br />

è percorso da piccoli<br />

fiumi che si intersecano<br />

tra di loro, l’acqua è<br />

limpida e bassissima,<br />

nonostante Gion sia un<br />

quartiere centrale della<br />

metropoli giapponese.<br />

Sulle rive di questi ruscelli<br />

si affacciano decine<br />

di ristoranti e sale da<br />

the e in alcuni di loro, in<br />

sale private o semplicemente<br />

nascoste da<br />

paraventi, si esibiscono<br />

le Geishe o le piccole<br />

Maiko. Rimaniamo appostati<br />

per circa un'ora<br />

nel fresco vicolo attendendo<br />

di vedere uscire<br />

da uno dei locali del<br />

quartiere una di queste<br />

signorine. L’uscita non<br />

sarà trionfale, ci ha spiegato<br />

il proprietario di una<br />

delle poche sale da the tradizionali rimaste nel<br />

quartiere, sarà un’uscita discreta, in puro stile<br />

giapponese. “Le vedrete uscire da un locale<br />

ed entrare in un taxi che le aspetta davanti<br />

all’ingresso del ristorante, saranno solo pochi<br />

istanti, qualche fotogramma, ma se siete fortunati<br />

potrete vederne qualcuna dirigersi verso<br />

la più vicina stazione della metropolitana”. La<br />

pioggia comincia a scendere abbondante, ci<br />

ripariamo sotto un tetto di legno e ad ogni<br />

fascio di luce proiettato dall’apertura di qualche<br />

porta speriamo nel colpaccio. Passa diverso<br />

tempo. Comincia a fare freddo. Le porte<br />

si aprono raramente Francesco
Noferini<br />

e le poche volte che<br />

lo fanno ne escono inservienti con i sacchi<br />

della spazzatura o qualche distinto signore<br />

con giacca, cravatta e ventiquattrore. Dopo un<br />

po’ Irene mostra la propria impazienza e così<br />

decide di andare a comprare qualcosa da<br />

bere in uno dei tanti Family Mart – Seven Eleven<br />

aperti 24 ore su 24. E’ in questo breve<br />

lasso di tempo che da lontano scorgo un kimono<br />

avvicinarsi alla mia postazione, un ombrello<br />

colorato nasconde la sagoma, il cuore<br />

comincia a pulsarmi forte nel petto ma la delusione<br />

è dietro l’angolo, la signorina che si avvicina<br />

non è una Geisha<br />

o una Maiko (giovane<br />

apprendista) è semplicemente<br />

una ragazza<br />

vestita con un abito da<br />

sera che qui in Giappone<br />

si traduce con<br />

Kimono. Aspetto. Sono<br />

disposto a stare qui<br />

tutta la notte, Irene<br />

permettendo, ma conosco<br />

bene il suo livello di<br />

sopportazione e so che<br />

non mi rimane molto<br />

tempo a disposizione.<br />

Nonostante la pioggia è<br />

una buona serata, il<br />

rumore delle macchine<br />

è nascosto dalla leggera<br />

corrente del fiume<br />

che mi scorre a due<br />

passi, qualche bicicletta<br />

transita nel vicolo,<br />

non ci sono pedoni.<br />

Irene ritorna, dalla sua<br />

espressione suppongo che possa resistere<br />

ancora per poco a quel clima ostile e infatti ho<br />

ragione. Dispiaciuto abbandono la mia postazione<br />

sul crocevia e leggeri ci dirigiamo verso<br />

il nostro Ryokan quando improvvisamente da<br />

un ristorante si sentono delle risa, qualche<br />

parola di congedo e il cigolio dei cardini di una<br />

porta. Ci voltiamo e davanti a noi, in tutta il<br />

loro anacronismo appaiono tre Geishe, ci sorridono,<br />

ho appena il tempo di scattare due foto<br />

senza prendere la mira. Questo è il mio trofeo<br />

di caccia.<br />

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