Su Marcel Proust, PDF File - Disfinzione
Su Marcel Proust, PDF File - Disfinzione Su Marcel Proust, PDF File - Disfinzione
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INDICE<br />
2<br />
Introduzione, p. 3<br />
Titoli proustian, p. 9<br />
Cap. 1. Le coup de marteau e la tâche non facile di trascinare<br />
nelcategoriale le bloc obscur, non defini (il non categoriale) del<br />
sonno, p. 12<br />
Cap. 2. Imbarchiamoci nel sogno di <strong>Proust</strong>, p. 31<br />
Cap. 3. Lʼextra-temporale, p. 45<br />
Cap. 4. Due modi di “essere letteratura” (Kafka e <strong>Proust</strong>), p. 54<br />
Cap. 5. Messung/mensuration (di nuovo Kafka/<strong>Proust</strong>), p. 73<br />
Cap. 6. La scena-madre, p. 96<br />
Cap. 7. La vita vera unʼopera dʼarte // Lʼopera dʼarte una vita vera, p.<br />
139<br />
Cap. 8. Ce retour à lʼinanalysé, p. 150<br />
Cap. 9. Embrasser le visage, p. 159<br />
Cap. 10. Voyeurismo e serialità, p. 189<br />
Cap. 11. La dialectique de la curiosité et de lʼindifférence, p. 203<br />
Cap. 12. Les plaisirs et les jours. Comme un baiser inconnu, p. 229<br />
Cap. 13. Impressions de route en automobile. Lʼansia e il potere<br />
“creatore”, p. 234<br />
Cap. 14. Jean Santeul. Lʼaprès-coup, p. 237<br />
Cap. 15. Jean Santeuil. La scena primaria, p. 251<br />
Cap. 16. Jean Santeuil. Non categoriale e categoriale, p. 256<br />
Cap. 17. Unʼaltra scena madre, p. 263<br />
Cap. 18. Ad infinitum, p. 279<br />
Cap. 19. Odeurs, lumière, bruits, p. 294<br />
Cap. 20. A moʼ di conclusione, p. 301<br />
Cap. 21. Ubi Urszene, p. 305
INTRODUZIONE<br />
3<br />
Si tratta di un work in progress. Quindi lacunoso e non-finito. I<br />
primi capitoli, costruendo un parallelo Kafka/<strong>Proust</strong> spinto fino ad un<br />
piccolo tentativo di “sinossi”, costituiscono una sorta di appendice di<br />
Kafka. Un “tipo particolare” (da poco uscito in 2a Ed. Aracne).<br />
Il cap. 6, La scena madre, è un tributo a Giampaolo Lai; esso<br />
contiene, infatti, il massimo di “analisi grammaticale” che io sia mai<br />
riuscito a fare di un testo...<br />
La scena madre, quella del “drame du coucher”, che incrocia a<br />
meraviglia la scena-cardine della Lettera al padre di Kafka e del suo<br />
Frammento su quel che Bataille chiama “enfantillage”,<br />
inevitabilmente “ritorna”; in molti capitoli (penso al Cap. 17, Unʼaltra<br />
scena madre).<br />
Ricordiamo che <strong>Proust</strong> ha fatto una mirabile analisi<br />
grammaticale del testo di Flaubert in A proposito dello “stile” di<br />
Flaubert (1920). Interessante, di Étienne Brunet, Le Vocabulaire de<br />
<strong>Proust</strong> in 3 voll.; e, di Jean Milly, Lʼétude distributionelle des phrases<br />
dans la Recherche. Metterei quasi sullo stesso piano, L’œuvre<br />
cathédrale di Luc Fraisse.<br />
Lʼinsistenza sul “drame du coucher” è dovuta, oltre alla cattura<br />
subìta da parte delle le straordinarie variazioni concettualmente e<br />
musicalmente orchestrate sul tema, al fatto che nel suo corso<br />
comincia quel “declino della volontà” che sarà la fonte<br />
dellʼinvolontario della “memoria involontaria”.<br />
Questo lavoro su <strong>Proust</strong> completa anche il lavoro su Girard<br />
(Edipo. Un innocente, Guerini), che in uno dei suoi primi saggi,<br />
Menzogna romantica e verità romanzesca. Le mediazioni del<br />
desiderio nella letteratura e nella vita (Bompiani), si rivolge proprio a<br />
<strong>Proust</strong> per esemplificare e approfondire il senso del “desiderio<br />
mimetico”.<br />
Evidentemente, è il Cap. 11, La dialectique de la curiosité et de<br />
lʼindifférence, quello dedicato quasi esclusivamente al desiderio<br />
mimetico.<br />
Qui rimando al § 7 (del Cap 21, Ubi, Urszene), Heures [...]<br />
enserrées dans la mémoire en vue de ce beau sacrifice; oltre che<br />
alla nuova Introduzione della 2a Ed. di Edipo. Un innocente, ancora in<br />
preparazione).<br />
La lettura combinata di Girard e di Kafka mi ha condotto alla<br />
seguente conclusione: il sacrificio, nel caso dellʼe-ducazione, è
4<br />
sacrificio dellʼac-ategoriale a favore delle categorie. Nellʼattacco<br />
psicotico, è sacrificio delle categorie in favore dellʼacategoriale.<br />
Problema: come compiere questi due sacrifici, che sono<br />
inevitabili, in modo che lʼeducazione non estirpi lʼin-fanzia<br />
(trasformandola in in-effabile/in-effato) e che la crisi psicotica non<br />
estirpi la parola (soprattutto, non la trasformi in delirio, in fatum<br />
delirante)?<br />
Sappiamo che il sacrificio è figura centrale in Girard. Lo è anche<br />
in Kafka. Ad ogni piè sospinto abbiamo incontrato lʼOpfer.<br />
Nel Cahier 57, del 1911, anche <strong>Proust</strong> ci parla, ripetutamente di<br />
questo sacrificio. In che cosa esso consiste?<br />
Citiamo due passi di un brano che riportiamo per intero in nota<br />
nel già richiamato § 7: “[...] heures conservées dans la mémoire,<br />
enserrées dans la mémoire en vue de ce beau sacrifice et dʼoù nous<br />
les tirerions [...] pour offrir à une idée la forme dʼ < une > épithète,<br />
entre les journées dʼautrefois qui sont restées particulièrement belles<br />
qui sont dans notre souvenir. Une fin dʼaprès-midi lumineuse dans<br />
une église de campagne devientrait un adjectif, une promenade<br />
lʼhiver en forêt en donnerait peut-être une autre, afin du sacrifice de<br />
tous ces beaux jours dʼautrefois de tirer une goutte de parfum”.<br />
Sembra evidente; dalla realtà categorizzata viene distillato un<br />
epiteto, un aggettivo che sostituiscono, nella celebrazione di un vero<br />
e proprio sacrificio, quella realtà. 1 Ma lʼepiteto, lʼaggettivo, sono già<br />
una nuova realtà categorizzata. Sono lʼopera di <strong>Proust</strong>.<br />
Blanchot [...] 2<br />
Rimando al paragrafo.<br />
E al Cap. 21; leggendo il quale mi è successo qualcosa di<br />
sorprendente (secondo Peirce un fatto “sorpendente” invoca una<br />
adeguata “abduzione”): più di un anno fa, dopo una lettura/scrittura<br />
di/su <strong>Proust</strong> durata alcuni mesi e intensissima, di colpo (tout dʼun<br />
coup, per usare unʼespressione-chiave proustiana), ho chiuso.<br />
La cosa mi ha anche “sorpreso”. <strong>Su</strong>l momento mi sono dato la<br />
seguente spiegazione: hai lavorato come un asino, avrai pure diritto<br />
ad una pausa (non di riflessione ma di riposo)!<br />
La spiegazione non mi ha persuaso. In seconda battuta ho,<br />
infatti, pensato dʼessermi imbattuto in un “qualcosa” – kafkianamente<br />
1 Vedi l’intera lettera a Bibesco (26 ottobre 1912, CORR, 11, 236) da cui distilliamo<br />
solo questa frase: “Et d’heures exaltées, il ne reste qu’une phrase, parfois qu’une<br />
épithète, et calmes”.<br />
2 Lettera a René Blum (20 febbraio 1913): “[...] je travaille depuis longtemps à cette<br />
œuvre, j’y ai mis le meilleur de ma pensée; elle réclame maintenant un tombeau<br />
qui soit achevé avant que le mien soit rempli” (CORR, 12, 79).
5<br />
in un “aculeo”, freudianamente in una “roccia basilare” – che metteva<br />
in questione ogni approdo... dei miei studi proustiani.<br />
È dovuto passare più di un anno. Per circostanze “di forza<br />
maggiore” ho dovuto rileggere il mio Kafka e il mio Girard per<br />
sentirmi invogliato a rileggere il mio <strong>Proust</strong> incompiuto; meglio:<br />
troncato, non sul nascere, ma quasi.<br />
Non sono ancora in grado di fare unʼ“abduzione” pertinente;<br />
comunque, finita la lettura dei primi paragrafi dellʼultimo capitolo<br />
(lʼattuale 21), ho continuato a leggere e scrivere come se non avessi<br />
mai interrotto!<br />
Mi viene in mente lʼincontro con un amico francese. Molto<br />
tempo fa. Ci siamo rivisti dopo più di ventʼanni. Una lunga<br />
passeggiata e una lunga chiacchierata: è stato come se avessimo<br />
ripreso dal giorno prima.<br />
Qualcosa forse affiora.<br />
A lungo mi ha assillato lʼaprès-coup proustiano; lʼho avvicinato<br />
alla Nachträglichkeit freudiana...<br />
Ecco, progressivamente mi è diventato chiaro che non era in<br />
gioco un temps vécu ma un temps à lʼétat pur, meglio: un extratemps<br />
(un extra-temporel). Nulla di più lontano da <strong>Proust</strong> del<br />
tentativo, après-coup, di godere lʼattimo chʼè stato bello ma non si è<br />
saputo cogliere e godere. Nulla di più lontano del culto della memoria<br />
o, addirittura, della mnemotecnica!<br />
Quel che coglie <strong>Proust</strong>, ad un tratto, è lʼeterno (lʼextratemporel).<br />
Ad un tratto.<br />
Sì, da un certo momento in poi, sullʼespressione-chiave aprèsscoup,<br />
ha avuto la meglio lʼaltra, attrettanto chiave: tout dʼun coup.<br />
Si tratta sempre di un éclair!<br />
Ho più di una volta avvicinato (ad esempio in Edipo. Un<br />
innocente, Cap. 3 Bis) allʼAmleto (Atto III, Scena I), il famoso passo<br />
in cui <strong>Proust</strong> descrive il tentativo... meglio: la serie di tentativi di<br />
ripescare il ricordo... (La strada di Swann).<br />
<strong>Proust</strong> parla anchʼegli di “viltà”: “Non so. Adesso non sento<br />
nulla, sʼè fermato, è ridisceso forse; chi sa se risalirà mai dalle sue<br />
tenebre? Debbo ricominciare, chinarmi su di lui dieci volte. E ogni<br />
volta la viltà, che ci distoglie da ogni compito difficile, da ogni impresa<br />
importante (et chaque fois la lâcheté qui nous détourne de toute<br />
tâche difficile, de toute œuvre importante), mʼha consigliato di lasciar<br />
stare, di bere il mio tè pensando semplicemente ai miei fastidi di<br />
oggi, ai miei desideri di domani, che si possono ripercorrere senza<br />
fatica. E ad un tratto (et tout dʼun coup) il ricordo mʼè apparso”.<br />
Shakespeare: “[...] se non che il timore di qualche cosa dopo la
6<br />
morte, il paese non ancora scoperto dal cui confine nessun<br />
viaggiatore ritorna (the undiscovered country, from whose bourn no<br />
traveller returns), confonde la volontà, e ci fa piuttosto sopportare i<br />
mali che abbiamo, che non volare verso altri che non conosciamo?<br />
Così la coscienza ci rende vili (thus conscience does make cowards<br />
of us all), e così la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dalla<br />
pallida cera del pensiero, e imprese di grande altezza e importanza<br />
per questo scrupolo deviano le loro correnti e perdono il nome<br />
dʼazione”.<br />
Amleto ha detto della morte come del paese da cui nessuno è<br />
tornato. Ma ecco che proprio qui, <strong>Proust</strong>, che sembra aver solo<br />
arieggiato Shakespeare, lo supera (o lo corregge). Sì, perché la<br />
ricerca del supposto “ricordo”, di fatto dellʼéclair, dellʼextra-temps, fa<br />
incappare <strong>Proust</strong> nella morte. Nella morte del tempo: “Depongo la<br />
tazza e mi rivolgo al mio animo. Tocca a lui trovare la verità. Ma<br />
come? Grave incertezza, ogni qualvolta lʼanimo nostro si sente<br />
sorpassato da se medesimo; quando lui, il ricercatore, è al tempo<br />
stesso anche il paese tenebroso (quand lui, le chercheur, est tout<br />
ensemble le pays obscur où il doit chercher) dove deve cercare e<br />
dove tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. Cercare? Non<br />
soltanto: creare (chercher? Pas seulement: créer). Si trova di fronte a<br />
qualcosa che ancora non è, e che esso solo può rendere reale, poi<br />
far entrare nella sua luce”.<br />
Sì, la fissura avviene tra il ricercatore e lui medesimo. Ma, a<br />
differenza da Amleto, il ricercatore proustiano fa due cose che<br />
Amleto non fa: (1) ritorna dalla morte; (2) crea (altra vita).<br />
Morte e rinascita.<br />
Ma, fin qui, nulla di nuovo. Cioè, nulla che non avessi già<br />
incrociato nella mia rilettura (/scrittura).<br />
Deleuze però afferma (incipit del Cap. 21) che la Recherche<br />
“nʼest pas une robe, [...] pas une cathédrale, mais une toile<br />
dʼaraignée en train de se tisser sous nons yeux”.<br />
È essa proprio une toile dʼaraignée? Nel senso che non è per<br />
niente quel che <strong>Proust</strong> pensava che fosse (une cathédrale o une<br />
robe)?<br />
Ecco quel che mi ha molto probabilmente bloccato. Ho letto<br />
<strong>Proust</strong>. <strong>Su</strong> <strong>Proust</strong>. Unʼinfinità di Cahier... di <strong>Proust</strong>.<br />
Ma, ecco spuntare un problema nuovo: lʼopera di <strong>Proust</strong> è<br />
quella che ci ha consegnato più recentemente Tadié? O essa va<br />
integrata dai cahier? Dei quali, peraltro, Tadié ha annesso ad ogni<br />
capitolo della Recherche il massimo consentito da una pubblicazione<br />
nella Pléiade?
7<br />
È qui che, probabilmente, mi sono arenato.<br />
Il problema: esiste lʼopera di <strong>Proust</strong>? È, quindi a disposizione<br />
del lettore appassionato? O si tratta di unʼopera infinita nel senso di<br />
non-finita; che il lettore, prima ancora di leggerla, deve ricomporre;<br />
facendo ricorso a tutti i cahier possibili?<br />
Strano.<br />
Come Kafka, anche <strong>Proust</strong> ha fatto bruciare dei brouillon a<br />
Céleste... (Kafka a Dora Diamant). Anche se ha conservato tutti i<br />
possibili brouillon, le paperolles... Sembra che abbia conservato<br />
anche il testo di molte lettere non spedite...<br />
Chissà quanto materiale si potrà ancora trovare... Vedi Il<br />
cappotto di <strong>Proust</strong> di Foschini Lorenza (Mondadori, 2010)...<br />
Ma ecco forse lʼabduzione adeguata:<br />
Ma<br />
Se unʼopera è in-finita; se, cioè, (1) di essa<br />
non si conosce ancora la totalità; (2) di quel<br />
che si conosce si deve scegliere tra versioni<br />
(molte versioni) differenti lʼuna dallʼaltra...<br />
come se la può cavare il lettore?<br />
Ma lʼaggettivazione dellʼopera come “in-finita”<br />
può significare (1) che non è ancora<br />
Allora<br />
conchiusa; (2) che bisogna conchiuderla; ma<br />
anche (3) che essa propone lʼinconchiudibile.<br />
Allora Lʼopera di <strong>Proust</strong> è in-finita perché parla<br />
dellʼinfinito: dellʼextra-temps, del temps à lʼétat<br />
pur; non di quello vécu; caso mai di quello<br />
invivable; tranne che nello spazio di un éclair<br />
(forse).<br />
Si può leggere lʼopera; lʼopera omnia; la<br />
totalità dei cahier... Trarne mille ispirazioni...<br />
Ma deve rimaner chiaro che si sarà colta la<br />
“lezione” di <strong>Proust</strong> solo quando si sarà stati<br />
apaci di distillare, dalla sua opera, un “epiteto”,<br />
un “aggettivo” (forse).<br />
RISULTATO<br />
REGOLA<br />
CASO<br />
Per queste ragioni ed altre ancora, la lettura di lavori come (in<br />
ordine di pubblicazione) <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. Alla ricerca di Swann, di<br />
Giuseppe Scaraffia (Edizioni Studio Tesi, 1986), Album <strong>Proust</strong>.<br />
Iconografia ordinata e comentata da Luciano De Maria (Mondadori,<br />
1987), Alla ricerca ddi <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, di Attilio Bertolucci (Video0Rai)<br />
e Attilio Bertolucci alla ricerca di <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, a cura di Giulio<br />
Ungarlli (Nuova ERI, 1995) etc., è un atto, forse inevitabile, di<br />
“idolatria” (come si sa, è <strong>Proust</strong> stesso a condannare senza<br />
remissione queste ed altre forme di “idolatria”).
8<br />
Infine, la lettura di testi come Jalousie, La précaution inutile o la<br />
versione breve di Albertine disparue ritrovata nel 1986 negli archivi<br />
della nipote di <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, è affascinante, in ogni caso<br />
irrinunciabile, ma depiastante dall’extra-temps... Non riusciamo,<br />
infatti, a condividere il punto di vista di Daria Galateria che,<br />
nell’introduzione a Gelosia, richiama nobili ascendenze: “[...] ha<br />
ragione un altro critico, Giacomo Debenedetti: la Ricerca del tempo<br />
perduto è l’immensa istruttoria di un geloso, l’implacabile<br />
interrogatorio che <strong>Proust</strong>, con l’ossessiva ostinazione della mania<br />
gelosa, rivolge alla sfuggente vita. Come <strong>Proust</strong>, il geloso si occupa<br />
del passato. Pensa che nasconda una verità, dolorosa per lui, ma<br />
chiara e conoscibile, che lo elude. Ed è convinto che un<br />
interrogatorio apparentemente svagato e divagatorio, che prenda le<br />
cose alla lontana e ci giri intorno – per non insospettire l’amato,<br />
rendendolo per sempre reticente – possa fargli raggiungere la<br />
certezza. La verità [...]” (op. cit., p. X)...<br />
Quasi che in <strong>Proust</strong> la “verità” – una delle parole chiave – fosse<br />
quella che si svela (o non si svela) al geloso! Quasi che la ricerca<br />
potesse ridursi ad un implacabile interrogatorio...<br />
La Nostra coglie di sguincio l’essenziale quando allude alla<br />
“sfuggevole vita”...
9<br />
TITOLI PROUSTIANI<br />
À LA RECHERCHE DU TEMPS PERDU<br />
A cura di Clarac e Ferré, Gallimard, Paris, 1954, voll. 3.<br />
(1913), Du côté de chez Swann; e (1919) À l’ombre des jeunes filles en<br />
fleurs. (1921), Du côté des Guermantes e (1921-1923), Sodome et<br />
Gomorrhe, vol. II. (1923), La prisonnière e (1925), Albertine disparue, vol.<br />
III. (1927), Le temps retrouvé, vol. III.<br />
A cura di Tadié, Gallimard, Paris, 11987-1989, voll. 4.<br />
Du côté de chez Swann, Gallimard, Paris, vol. I. À l’ombre des jeunes filles<br />
en fleurs, voll. I-II. Du côté des Guermantes, vol. II. Sodome et Gomorrhe,<br />
vol. II. La prisonnière, vol. III. Alberine disparu (o La fugitive), vol. IV. Le<br />
temps retrouvé, vol. IV.<br />
A cura di Bertini, Einaudi, Torino, 1978, voll. 7.<br />
Dalla strada di Swann, vol. I. All’ombra delle fanciulle in fiore, vol. II. I<br />
Guermantes, vol. III. Sodoma e Gomorra, vol. IV. La prigioniera, vol. V. La<br />
fuggitiva, vol. VI. Il tempo ritrovato, vol. VII.<br />
A cura di De Maria, Milano,1983-1993, voll. 4.<br />
Dalla strada di Swann e All’ombra delle fanciulle in fiore, vol. I; La parte di<br />
Guermantes, vol. II; Sodome et Gomorrhe, voll. II-III; La prigioniera,<br />
Albertine scomparsa e Il tempo ritrovato, vol. IV.<br />
Le abbreviazioni: Dalla parte di Swann = SW. All’ombra delle fanciulle in<br />
fiore = OF. Dalla parte dei Guermantes = G. Sodoma e Gomorra = SG. La<br />
prigioniera = P. Albertine scomparsa = AS. Il tempo ritrovato = TR.<br />
Le esquisses: esquisse = cahier. I cahier sono fondamentali per accedere<br />
al modo di scrittura di <strong>Proust</strong>, l’autore di un work in progress non ancora<br />
concluso. Essi ci consegnano le bozze di un capitolo; una variante: <strong>Proust</strong><br />
non correggeva la frase ma la pagina: ricominciava da capo.<br />
L’edizione curata da Tadié, contiene, quasi in forma di allegato, la gran<br />
parte dei cahier relativi all’opera (o alle opere) pubblicata (e) in un<br />
determinato volume: Du côté de chez Swann e À l’ombre des jeunes filles<br />
en fleurs, Gallimard, Paris, 1987, vol. I, pp. 631-1037. Du côté des<br />
Guermantes, ibidem, 1988, vol. II, pp. 885-1309. Sodome et Gomorrhe, e<br />
La prisonnière, ibidem, 1988, vol. III, pp. 917-1181. Albertine disparue e Le<br />
temps retrouvé, ibidem, 1988, vol. IV, pp. 885-1309.<br />
(L’edizione curata da Tadié, preziosa sul piano filologico, contiene anche<br />
un apparato ragguardevole di “Notes et variantes”).
10<br />
Cahiers, abbreviazioni. (C57, ES, XLI, TR, 899-890) = Cahier 57,<br />
esquisse XLI, Il tempo ritrovato.<br />
Notes et variantes. Ad esempio (CI, NV, 469, TR, 1268) = Carnet I, Notes<br />
et Variantes 469, Il tempo Ritrovato 1268).<br />
Cahiers: 3. Textes retrouvée. Recueillis et présentés par Philip Kolb,<br />
Gallimard, Paris, 1971. 5. Mon ami <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. Souvenirs intimes par<br />
Maurice Dupay, ibidem,1972. 7. Études proustiennes II, ibidem,1975. 8. Le<br />
Carnet de 1908. Établi et présenté par Philip Kolb, ibidem, 1976. 9. Études<br />
proustiennes III, ibidem, 1979. 10. Poèmes. Presentés et annotés par<br />
Claude Francis et Fernande Gontier, ibidem, 1982 (tr. it. Poemi,<br />
Einaudi,Torino, 1983. Poesie, Feltrinelli, Milano, 1993). 11. Études<br />
proustiennes IV, ibidem, 1982. 12. Études proustiennes V, ibidem,1984. 13.<br />
Quelques progrès dans l’étude du cœur humain, par Jaques Rivière,<br />
ibidem, 1985. 14. Études proustiennes VI, ibidem, 1987. Matinéee chez la<br />
Princesse de Guermantes. Cahiers du Temps retrouvé. Édition critique<br />
étabile par Henri Bonnet en collaboration avec Bernard Brun, Gallimard,<br />
Parigi, 1982. Carnets. Édition établie et présentée par Florence Callu et<br />
Antoine Compagnon, Gallimard, Paris, 2002.<br />
Correspondance de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Plon, Paris, voll. XXI, 1970-1990 =<br />
CORR. <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>-Jacques Rivière, Correspondance 1914-1922.<br />
Presentée et annotée par Philp Kolb, Gallimard, Paris, 1976. Lettres à<br />
Reynaldo Hann. Présentés, datées et annotées par Philip Kolb, Gallimard,<br />
Paris, 1984. <strong>Proust</strong>. Le lettere e i giorni. Dall’epistolario 1880-1922.<br />
Edizione curata da Giancarlo Buzzi, Mondadori, Milano,1996 = LG.<br />
Altri scritti: PG = (1896), Le Plaisirs et les jours, in Jean Santeuli prédédé<br />
de Les Plaisirs et les jours. Édition établi par Pierre Clarac, Gallimard,<br />
1971; tr. it. I piaceri e i giorni, Newton Compton, Roma, 1981. P = (1919),<br />
Pastisches et mélanges... tr. it. Pastiches, Marsilio, Venezia,1991. PM =<br />
(19019), Pastisches et mélanges in Contre-Sainte-Beuve... tr. it. Mélanges,<br />
in Scritti mondani e letterari... CSB = (1918), Contre Sainte-Beuve, in<br />
Contre Sainte-Beuve. Précédé de Pastisches et mélanges et suivi de<br />
Essais et Articles, par Pierre Clarac, Pléiade, Gallimars, 1971; tr. it. Contro<br />
Sainet-Beuve, in Scritti mondani e letterari, a cura di Mariolina Bongiovanni<br />
Bertini, Einaudi, Torino, 1971. EA = Essais et Articles, in Contre Sainte-<br />
Beuve... tr. it. Saggi e articoli, in Scritti mondani e letterari... John Ruskin,<br />
Sésame et les Lys, précédé de <strong>Su</strong>r la lecture, éditions Complexe, 1987.<br />
L’Indifférent, Gallimard, Parsi, 1978; tr. it. L’indifferente, Einaudi, Torino,<br />
1978. Précaution inutile, “Les Œuvres libres”, 1923; tr. it. Precauzione<br />
inutile, Passigli, Firenze, 2009. Albertine disparue. Édition intégrale. Texte<br />
établi, présenté et annoté par Jean Milly, Librairie Honoré Champion, Paris,<br />
1992.
11<br />
Altri ancora:<br />
Jalousie, (versione abbreviata del ciclo di Albertine pubblicata da <strong>Proust</strong> nel<br />
1921 nelle Œvres libres), Le Castor Astral, Bordeaux, 2007; tr. it. Gelosia,<br />
Editori Riuniti, Roma, 2008. Précautione inutile (versione abbreviata de La<br />
Prisonnière pubblicata nel 1923 nelle Œvres libres), Le Castor Astral,<br />
Bordeaux, 2008, tr. it. Precauzione inutile, Passigli Ed., Firenze, 2009.<br />
Albertine disparue (versione abbreviata di Albertine disparue tratta dalla<br />
“copie dactylographiée” ritrovata nel 1986 negli archivi di <strong>Su</strong>zy Mante-<br />
<strong>Proust</strong>): Albertine disparue. Éditione originale de la dernière version revue<br />
par l’auteur étabile par Nathalie Mauriac et étienne Wolff avec 4 planches<br />
hors texte, Grasset, Parigi, 1987 + Albertine disparue. Édition intégrale.<br />
Texte établi, présenté et annoté par Jean Milly, Librairie Honoré Champion,<br />
Paris, 1992.<br />
Si avverte il lettore che le citazioni, nei primi capitoli, sono dall’edizione<br />
francese curata da Clarac e Ferré (Gallimard, Paris, 1954) e dalla<br />
traduzione italiana curata da Bertini (Einaudi, 1978). Da un certo momento<br />
in poi, dall’edizione francese curata da Tadié (Gallimard, 1987-1989) e<br />
dalla traduzione italiana curata da De Maria (Mondadori, Milano, 1983-93).<br />
Una volta completata la ricerca provvederemo ad uniformare il testo.
12<br />
Cap. 1<br />
LE COUP DE MARTEAU E LA TÂCHE NON FACILE DI<br />
TRASCINARE NEL CATEGORIALE LE BLOC OBSCUR, NON<br />
DEFINI (IL NON CATEGORIALE) DEL SONNO<br />
1) Paratassi e nuova ipotassi<br />
Mais de plus je ne veux être ni pressé, ni tourmenté, ni<br />
deviné, ni devancé, ni copié, ni commenté, ni critiqué, ni<br />
debiné. Ce sara temps quand ma pensée aura fini son<br />
êuvre de laisser faire à la bêtise des autre (Lettera a<br />
Georges de Lauris, dicembre 1909; CORR, IX, 225).<br />
Vinteuil alla sua morte non ha lasciato che<br />
d’“indéchiffrables notations”, l’amica di Mlle Vinteuil ha<br />
impiegato “des annèes à débrouiller le grimoire [...] en<br />
étabilissant la lecture certaine de ces hiéroglyphes<br />
inconnus”, ed estraendo “de papier plus illisibles que des<br />
papyrus pontués d’écriture cunéiforme, la formule<br />
éternellement vraie de l’Ange écarlate du matin” (P, 766-<br />
767; 671).<br />
Come dire: invece di interpretare il sogno utilizzando le<br />
categorie, introdurre il sogno (il non categoriale) nel categoriale.<br />
Straordinario che della “martellata” si parli nel bel mezzo della<br />
descrizione dell’esperienza più straordinaria della Recherche, quella<br />
dell’intervallo tra sonno e veglia; e per descriverne il momento<br />
culminante; quello del risveglio dal nero gorgo del sonno profondo<br />
(SG, 407). 3<br />
<strong>Proust</strong> sa bene che nel sonno non vale la “catégorie du temps”,<br />
la “loi du temps”; ci si trova in “un autre temps: une autre vie” (SG,<br />
372-373; 408-409). 4<br />
4 “[...] esso [sogno] non tiene conto delle infinitesimali divisioni del tempo, sopprime<br />
i passaggi, oppone i contrasti maggiori, disfa in un istante il lavoro di consolazione<br />
così lentamente tessuto nel giorno” (F, 129).
13<br />
Si tratta di una vita “folle” (proprio perché fuori dalle categorie):<br />
quel che nel sonno viene dimenticato “è la realtà stessa delle cose<br />
che mi circondano – se dormo – e la cui non-percezione fa di me un<br />
pazzo (un fou)”; al posto di essa, nella veglia, “uno spazio bianco (un<br />
pur blanc)” (SG (Tadié), 374; 410). 5<br />
Il sogno è per ciascuno di noi la propria pazzia (Freud)... 6<br />
Pazzia è soprattutto il sogno profondo (a cui corrisponde il<br />
brusco risveglio): Kristeva (Le temps sensible, Gallimard, Parigi,<br />
1994, pp. 291 sgg.) segnala che, invece di un’“altra scena” qui si<br />
parla di un “secondo appartamento (un second appartement)” (non<br />
solo “camera” ma insieme di camere): “nel quale, lasciando il nostro”,<br />
ci ritiriamo per dormire (SG (Tadié), 370; Raboni, 221): “Ha le sue<br />
suonerie a parte (il a des sonneries à lui), e qualche volta vi siamo<br />
svegliati bruscamente da una scampanellata (par un bruit de timbre),<br />
perfettamente intesa dalle nostre orecchie benché nessuno abbia<br />
suonato (quand personne n’a sonné)” (SG, 370; 221).<br />
Straordinario il seguito. Qui importava segnalare il Leitmotiv<br />
delle suonerie, delle scampanellate. Nel secondo appartamento che<br />
è il sogno, suona il campanello, ma nessuno, in realtà, l’ha suonato...<br />
Un indugio sulla paratassi (e la costruzione della nuova<br />
ipotassi) in <strong>Proust</strong>. (Per ipotassi intendiamo la decostruzione, nella<br />
notte, dei discorsi della veglia che, nel sogno, risulteranno “resti<br />
diurni”; per ipotassi, invece, intendiamo la costruzione, sempre nella<br />
notte, di un altro discorso, quello onirico; che utilizza i “resti” dei<br />
discorsi distrutti dalla paratassi). 7<br />
Sempre dalla medesima pagina di Sodoma e Gomorra: dai<br />
sonni profondi ci svegliamo “non sapendo chi siamo, non essendo<br />
nessuno, nuovi (ne sachant qui on est, n’étant personne, neuf)”.<br />
Ed è più bello quando l’approdo al risveglio “si compie<br />
brutalmente” cosicché i nostri pensieri del sonno non hanno il tempo<br />
di dileguarsi progressivamente... “Allora dal nero uragano (du noir<br />
orage) che a noi sembra d’aver attraversato (ma non diciamo<br />
neppure noi), usciamo supini, senza pensieri; un ‘noi’ che sarebbe<br />
5 “[...] pensavo che alla mia opera avrei lavorato alla grande tavola di legno bianco<br />
(sur ma grande table de bois blanc)” (TR, 1033; 775).<br />
6 Vedi L’interpretazione dei sogni, 1900, in O, vol. 3, pp. 91 sgg.: “La resurrezione<br />
al risveglio, dopo quel benefico accesso di alienazione mentale che è il sonno [...]”<br />
(F, 131).<br />
7 Vedi, più diffusamente, Cesario e Serritella, Il transfert, grazie alla<br />
operativizzazione di Luborsky, diventa un semplice, anche se prezioso, test di<br />
vischiosità-flessibilità, in Il transfert da Freud a Luborsky (Cesario e Serritella,<br />
Borla, Roma, 2001, pp. 9 segg.); Cesario, La Traumdeutung e l’impresa di Freud,<br />
in Lezioni di psicologia dinamica (Borla, Roma, 2003, pp. 130 sgg.).
14<br />
senza contenuto. Da quale martellata (coup de marteau) è mai stato<br />
colpito l’essere o la cosa che si trova là per ignorare tutto, stupefatto<br />
fino al momento in cui la memoria accorsa gli rende la coscienza o la<br />
personalità? E ancora, per questi due tipi di risvegli è necessario non<br />
addormentarsi, anche se profondamente, sotto la legge<br />
dell’abitudine: perché, tutto ciò che l’abitudine stringe nelle sue reti,<br />
essa lo sorveglia. Bisogna sfuggirle, prendere il sonno nel momento<br />
in cui credevamo di far tutt’altra cosa che dormire, in una parola,<br />
prendere un sonno che non sia sotto la tutela della previdenza, nella<br />
compagnia, seppur nascosta, della riflessione”.<br />
Già in Du côté des Guermantes, pagine straordinarie sul sogno,<br />
equiparabili a quelle dell’incipit della Recherche a cui rimandiamo:<br />
“Non si è più nessuno (on n’est plus personne)” (G, 84-88; 87-91). 8<br />
Qui, però, attiro la vostra attenzione sulla descrizione del<br />
processo di paratassi e di nuova ipotassi... Vedi il “disco del risveglio<br />
(disque tournant du Réveil)”, tradotto meglio da Raboni: “piattaforma<br />
girevole” (SG, 102).<br />
Vedi il “coup d’éponge” in La prisonnière, (P, 121), tradotto da<br />
Paolo Serini “la spugna del sogno” (P, 121) e, invece, come si deve,<br />
“colpo di spugna” da Raboni (P, 514).<br />
Anche qui: “non siamo più (on n’est plus)” (P, 123; 123). Anche<br />
qui un sogno con interpretazione incorporata...<br />
Inevitabilmente a questi “colpi” di martello o di spugna, fa eco il<br />
“pugno sul cranio” e la “scure per il mare gelato” di Kafka:<br />
“Bisognerebbe, credo (ich glaube) leggere soltanto i libri che<br />
mordono e pungono (die einen beißen und stechen). Se un libro che<br />
leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio (mit einem<br />
Faustschlag auf den Schädel weckt), a che serve leggerlo? Affinché<br />
ci renda felici, come scrivi tu? Dio mio, felici saremmo anche se non<br />
avessimo libri, e i libri che ci rendono felici potremmo egualmente<br />
scriverli noi. Ma noi abbiamo bisogno di libri che agiscano su di noi<br />
come una disgrazia che ci fa molto male (wie ein Unglück das uns<br />
sehr schmerzt), come la morte di uno che ci è più caro di noi stessi<br />
(wie der Tod eines, den wir lieber hatten als uns), come se fossimo<br />
respinti nei boschi, via da tutti gli uomini, come un suicidio (wie ein<br />
Selbstmord), un libro dev’essere la scure per il mare gelato dentro di<br />
noi (ein Buch sein suß die Axt sein für das gefrorene Meer in uns).<br />
Questo credo (Das glaube ich)”... 9<br />
8 “Si è dormito troppo, non si esiste più (on n’est plus)” (P, 123; 515).<br />
9 Lettera a A Pollak, 27.I.1904, in Franz Kafka. Kritische Ausgabe. Briefe, vol. 1<br />
(1900-1912), Fischer, Frankfurt, 1999; tr. it. Lettere, Mondadori, Milano, 1988.
15<br />
Il lavoro del sogno è equiparabile al lavoro della memoria<br />
involontaria: “Spesso era, molto semplicemente, durante il sonno che<br />
queste ‘riprese’, quasi da capo del sogno, voltando d’un colpo (d’un<br />
seul coup) parecchie pagine della memoria, parecchi foglietti del<br />
calendario, mi riportavano, mi facevano retrocedere a un’impressione<br />
dolorosa ma remota, che da molto tempo aveva lasciato il posto ad<br />
altre e che ridiventava presente” (AS, 538; 147). 10<br />
Torniamo alle Intermittenze del cuore in Sodoma e Gomorra<br />
(759-762; 174-178): al clamoroso “sconvolgimento” di tutto l’essere<br />
del Narratore (egli sta sperimentando la perdita della nonna), segue il<br />
sonno e il sogno...<br />
Interessante anche qui la descrizione del lavoro della paratassi<br />
e dell’ipotassi...<br />
Il Narratore vuole permanere nel cuore dell’esperienza... Egli<br />
vuole configgersi i “chiodi” (immagine cristica) dei tormenti subiti<br />
dalla nonna e ora ricordati... Non vuole, cioè, rifugiarsi nel pensiero<br />
“abituale-abitudinario”... Vuole permanere nell’involontario della<br />
memoria involontaria: “Non cercavo di render più dolce la sofferenza,<br />
di abbellirla, di fingere (feindre) che la nonna fosse soltanto assente<br />
[...]. Mai non lo feci, perché non solo mi stava a cuore soffrire, ma<br />
anche rispettare l’originalità della mia sofferenza, quale l’avevo<br />
subìta d’improvviso senza volerlo (tout d’un coup sans le vouloir), e<br />
volevo (et que je voulais) continuare a subirla seguendo le sue leggi<br />
[...]”...<br />
Ma l’“industria dell’intelligenza nel preservarci dal dolore, già si<br />
dava a costruire su macerie ancora fumanti (sur des ruines encore<br />
fumantes = paratassi), a gettare le prime fondamenta (les premières<br />
assises = nuova ipotassi) della sua opera utile e nefasta (de son<br />
œuvre utile et nefaste), troppo assaporavo la dolcezza di ricordare<br />
questo o quel giudizio dell’essere amato, di ricordarli come se<br />
(comme si) lei avesse potuto esprimersi ancora, come se (comme si)<br />
tuttora esistesse, come se (comme si) continuasse a esistere per<br />
lei”...<br />
10 “Di più: se il Sogno m’aveva affascinato, era anche per la sua formidabile sfida<br />
con il Tempo. Non avevo visto tante volte, in una notte, in un minuto d’una notte,<br />
tempi lontanissimi, relegati a distanze immense dove non riusciamo a distinguere<br />
più nulla dei sentimenti provati allora, precipitarsi a tutta velocità su di noi,<br />
abbagliandoci con la loro luce come se fossero aerei giganteschi e non le pallide<br />
stelle che credevamo, farci rivedere tutto ciò che avevano contenuto per noi, dar<br />
l’emozione, la sorpresa (le choc), la chiarezza della vicinanza immediata per poi, al<br />
momento del risveglio, riprendere la distanza miracolosamente abolita, tanto da<br />
farci ravvisare in essi – a torto, per altro – uno dei modi per ritrovare il Tempo<br />
perduto?” (TR, 912; 597-598).
16<br />
Che fa il Narratore?<br />
Si addormenta...<br />
Qui il sonno sopraggiunge ad impedire che la nuova ipotassi si<br />
instauri sulle macerie della paratassi provocata dall’intervento della<br />
memoria involontaria.<br />
Interessante il ricorrere del “come se”, chiaramente equivalente<br />
al “fingere”: quel che qui il Narratore cerca non è una “nuova”<br />
ipotassi, ma la permanenza nella paratassi...<br />
Quant’è difficile permanervi!<br />
Bisogna “imbarcarsi”: “nous nous sommes embarqués [Pascal!]<br />
sur les flots noir de notre sang comme sur un Léthé intérieur... 11<br />
Il Narratore farà anche un sogno, l’unico talmente<br />
particolareggiato da comportare una interpretazione quasi<br />
inevitabile...<br />
E, più avanti, alla fine di questo dolorosissimo e gioiosissimo<br />
capitolo della Recherche, un altro addormentarsi e un altro sogno:<br />
“alors ma grand’mère m’apparut assise dans un fauteuil”...<br />
Ma, anche nei sogni, il dolore si attutisce...: “Il mio cuore era<br />
troppo piccolo per lei” (SG, 198). Dovrà aspettare la matinée... 12<br />
<strong>Proust</strong> va in un oltre in cui converge con: “Ora, quelle mattine (e<br />
questo mi induce a dire che il sonno ignora forse la legge del tempo)<br />
il mio sforzo per svegliarmi consisteva soprattutto in uno sforzo di far<br />
entrare la massa oscura, indefinita (le bloc obscur, non défini), del<br />
sonno da me or ora vissuta, nella cornice del tempo (aux cadres du<br />
temps). Non è un compito facile (Ce n’est pas une tâche facile) [...]”<br />
(SG, 983; 409).<br />
No, non è per niente facile.<br />
Benjamin ci dice addirittura che il testo della Recherche è<br />
paratattico: “Basta pensare alla sterminata serie dei ‘soit que’ che<br />
con una deprimente minuzia mostrano un’azione alla luce degli<br />
innumerevoli motivi che possono averla provocata. Eppure in questa<br />
disposizione paratattica viene alla luce ciò in cui la debolezza e il<br />
genio di <strong>Proust</strong> non sono più che una sola cosa: la rinuncia<br />
intellettuale, l’incrollabile scetticismo che egli opponeva alle cose”. 13<br />
11<br />
“Mi ero imbarcato sul sonno di Albertine (je m’étais embarqué sur le sommeil<br />
d’Albertine)” (P, 72; 69)<br />
12<br />
“Al ricordo di quel che provai davanti a quel quadro di Gustave Moreau, io, che<br />
di impressioni simili ne ho soltanto una l’anno, invidio le persone dalla vita così<br />
regolata che, ogni giorno, possono consacrare qualche tempo alle gioie dell’arte”<br />
(1898, Note sul mondo misterioso di Gustave Moreau, SA, 626).<br />
13<br />
Per un ritratto di <strong>Proust</strong>, 1929, in Ombre corte. Scritti 1928-1929, Einaudi,<br />
Torino, 1993, p. 366).
2) Un indice de mensuration<br />
17<br />
Ricorderete che la nostra definizione del compito assolto da<br />
Kafka è stata la seguente: egli ha saputo entrare nel categoriale<br />
portandosi dietro l’acategoriale, le bloc obscure et indéfini; e, usando<br />
il categoriale, è riuscito a dire l’acategoriale. A trasportare quel bloc<br />
nel tempo, nel linguaggio, nella veglia.<br />
Il Narratore ci spiega anche che cosa ha fatto: ha creato un<br />
nuovo “indice de mensuration” (come fa a non venire in mente il<br />
signor K. agri-mesore?).<br />
L’automobile si è fermata per un instante; ad una grande<br />
altezza sul mare; il Narratore apre lo sportello” della carrozza e “il<br />
suono percepito distintamente d’ogni onda che s’infrangeva aveva<br />
nella sua dolcezza e nella sua chiarezza qualcosa di sublime. Non<br />
era forse esso come un indice di misurazione (un indice de<br />
mensuration), che, capovolgendo le nostre impressioni abituali<br />
(renversant nos impressions habituelle), ci mostra come le distanze<br />
verticali possano essere assimilate alle distanze orizzontali,<br />
contrariamente all’idea che la nostra mente se ne fa di solito (au<br />
contraire de la représentation que notre esprit s’en fait d’habitude)? E<br />
ci mostra come, avvicinando in tal modo il cielo a noi, essi non siano<br />
grandi; e siano anche meno grandi per un suono che le percorra<br />
come faceva quello di quelle piccole onde, giacché lo spazio che il<br />
suono ha da attraversare è più puro. E, infatti, se si indietreggiava<br />
dal dazio due metri soltanto, non si avvertiva più quel suono di onde<br />
al quale duecento metri di strapiombo non avevano tolto la delicata,<br />
minuziosa e dolce precisione” (SG, 898; 318-319).<br />
Vi invito a leggere il bel commento di Fernandez. 14<br />
Vi intrattengo solo su alcuni punti: se l’acategoriale vive fuori<br />
dalle convenzioni del tempo etc., esso coincide inevitabilmente con<br />
l’individuale (il generale è tale solo grazie alla conferma che lo<br />
scorrere del tempo su di lui ingenera).<br />
Avete notato il ricorrere (per due volte) del termine habitude<br />
(come sostantivo e come aggettivo).<br />
Sappiamo l’invasività di questa figura nella Recherche. Talvolta<br />
porta la lettera maiuscola: Habitude (OF, 15 sgg.; 248 sgg.).<br />
Ad esempio in All’ombra delle fanciulle in fiore. 15<br />
14 Op. cit., pp. 118-119.<br />
15 OF,17, 32; 250, 267. Habitude ricorre cinque volte (OF, 4-5; 237). Vedi anche<br />
672; 267: “Senza dubbio quell’amicizia sarebbe sparita, un’altra ne avrebbe preso
18<br />
Scegliamo – sempre nell’incipit di All’ombra... – l’episodio della<br />
visione, dal finestrino del treno, della “belle [et grande] fille” che esce<br />
dalla casa cantoniera; visione che, anch’essa, avviene al risveglio dal<br />
sonno; è il momento dello “spuntar del sole”: “provai dinanzi a lei<br />
quel desiderio di vivere che rinasce in noi ogni volta che prendiamo<br />
di nuovo coscienza della bellezza e della felicità. Dimentichiamo<br />
sempre che l’una e l’altra sono individuali (individuels), e, sostituendo<br />
loro nel nostro spirito un tipo convenzionale (un type de convention)<br />
che formiamo facendo una specie di media fra (une sorte di moyenne<br />
entre) i volti differenti che ci sono piaciuti, fra i piaceri che abbiamo<br />
conosciuti, finiamo col non avere che immagini astratte (abstraites),<br />
le quali sono languide e insipide appunto perché prive di quel<br />
carattere di cosa nuova, diversa da ciò che abbiamo già conosciuto,<br />
il carattere proprio della bellezza e della felicità”. 16<br />
L’acategoriale è individuale; quando penetra nel categoriale, lo<br />
fa come una scheggia. 17<br />
il posto (allora la morte, poi una nuova vita avrebbero, sotto il nome d’Abitudine<br />
[Habitude], compiuto la loro duplice opera); ma, fino al suo annientamento, ogni<br />
sera essa avrebbe sofferto, e quella prima sera soprattutto, messa in presenza<br />
d’un avvenire già attuato (avenir déjà réalisé) dove non c’era più posto per lei, si<br />
ribellava, mi torturava con il grido dei suoi lamenti, ogni qualvolta il mio sguardo,<br />
incapace di distogliersi da ciò che lo feriva, cercava di posarsi sul soffitto<br />
inaccessibile”. L’Abitudine con l’iniziale maiuscola la incontriamo per la prima volta<br />
in SW, 11; 15. Infine in F, 420, 429; 6, 17. Solo un’altra parola, “Tempo, ha tanto<br />
spesso la maiuscola; vedi TR.<br />
16 Lettera a Georges de Lauris dell’8 settembre 1903: “[...]. Non ho nemmeno<br />
tentato di dormire sul treno. Ho visto l’alba. Il che non mi accadeva da molto, e mi<br />
è parsa un bello spettacolo, l’altra faccia, a parer mio più affascinante, del<br />
tramonto (une inversion plus charmante à mon gré du coucher). Al mattino, folle<br />
desiderio di violare piccole cittadine addormentate (leggete cittadine [villes] non<br />
ragazze [filles]), quelle a occidente in un residuo chiaro di luna, e quelle a oriente<br />
nella piena luce del sole nascente, ma mi sono trattenuto e sono rimasto sul treno.<br />
[...]” (LG, 587; CORR, III, 418).<br />
17 Ramon Fernandez insiste molto (e puntualmente) sul fatto che la scoperta, la<br />
ricreazione-creazione è sempre di un dato individuale, di un’impressione (op. cit.,<br />
pp. 64 sgg.). Cita, ad esempio, da Il tempo ritrovato: “Certo, ci sono molti altri errori<br />
dei nostri sensi [...] che ci falsano l’aspetto reale del mondo. Ma, infine, avrei<br />
potuto, a rigore, nella trascrizione per quanto possibile esatta che mi sarei sforzato<br />
di dare (dans la trascription plus exacte que je m’efforcerais de donner), non mutar<br />
posto ai suoni, astenermi dallo staccarli dalla loro causa, accanto alla quale<br />
l’intelligenza li colloca dopo averli uditi [...]” (TR, 622; 388)... ma sarebbe stata<br />
impresa vana... Ho pensato agli anni passati a registrare e trascrivere parola per<br />
parola le conversazioni psicoterapeutiche. E mi sono ricordato del cap. 6, Un<br />
esempio di finzione, di Lezioni di psicologia dinamica (Borla, Roma, 2003, pp. 76<br />
sgg.); vi utilizzavo, oltre al testo derivato dalla trascrizione esatta, parola per<br />
parola, anche l’esatto vissuto relativo, sentimento per sentimento.
19<br />
E, se accolto, porta con sé lo sconosciuto; per il Narratore<br />
questo sconosciuto è bellezza e felicità. Qui, tra parentesi, afferma:<br />
“(la sola forma, sempre particolare [toujours particulière], in cui ci sia<br />
possibile conoscere il sapore della felicità)”.<br />
Evidente: non si tratta di un “stato” di felicità; ma di una<br />
scheggia di felicità...<br />
Ma che altro volete?<br />
Favorisce l’esperienza di felicità connessa alla visione della<br />
bella lattaia, la cessazione momentanea dell’Abitudine: “Perché la<br />
lattaia beneficiava del fatto che era il mio essere completo, capace di<br />
gustare i piaceri più vivi, a trovarsi di fronte a lei”.<br />
L’essere “complet” è l’essere “endormi-revéillé”: “Di solito<br />
viviamo con il nostro essere ridotto al minimo [il minimum coincide<br />
con la moyenne], e la maggior parte delle nostre facoltà restano<br />
addormentate (endormies), riposando sull’abitudine (sur l’habitude),<br />
che sa quel che c’è da fare e non ha bisogno di loro [il sonno delle<br />
facoltà, dell’essere “completo”, è quello che sa evitare il risveglio].<br />
La fanciulla torna sui suoi passi... “non potevo staccare gli occhi<br />
dal suo volto sempre più largo, simile a un sole che possa esser<br />
fissato e che si avvicina fino a un palmo da voi, lasciandosi guardare<br />
da vicino, abbagliandovi d’oro e di rosso”.<br />
Il volto della fanciulla è un sole che sorge e che può essere<br />
guardato da vicino...<br />
Sappiamo che il sole non può essere guardato da vicino...<br />
Ma una scheggia del sole sì!<br />
Sappiamo che il Narratore si è svegliato; e di fronte aveva il<br />
sorgere del sole. Una striscia di cielo “rosa”; che è diventata “rossa”:<br />
“cosicché passavo il mio tempo a correre da un finestrino all’altro per<br />
riunire, per ricomporre su di un’unica tela (rentoiler) i frammenti<br />
intermittenti ed opposti del mio mattino scarlatto e versatile e per<br />
averne una veduta totale ed un quadro continuo”.<br />
Trepido il Narratore rincorre i frammenti di atemporale; li vuole<br />
reintoler, inquadrare, collocarli in un continuum; tradurli in<br />
categoriale. (Ricordate il Narratore – siamo all’inizio della matinée –<br />
inciampato su un ciottolo un po’ più rialzato del precedente, dapprima<br />
cerca di “recuperare l’equilibrio”; ma poco dopo, nel tentativo di<br />
comprendere l’esperienza della memoria involontaria, rimane a<br />
“titubare (tituber)” come ha fatto poco prima “(col rischio di far ridere<br />
l’innumerevole folla di autisti): con un piede sulla pietra più elevata,<br />
l’altro su quella più bassa. Ogni volta che facevo solo materialmente
20<br />
quel medesimo passo, esso mi restava infruttuoso” (TR, 867; 196-<br />
197). 18<br />
18 Consideriamo due ragionamenti di <strong>Proust</strong>. Il primo: “Il pittore aveva sentito dire<br />
che su Vinteuil incombeva una minaccia di alienazione mentale. E assicurava che<br />
era possibile dedurlo da certi passaggi della sua sonata. Swann non trovò assurda<br />
quell’osservazione, ma ne rimase turbato; poiché un’opera di musica pura non<br />
contiene nessuno dei rapporti logici la cui alterazione nel linguaggio denuncia la<br />
follia (car une œuvre de musique pure ne contenant aucun des rapports logiques<br />
dont l’altération dans le langage dénonce la folie), che si potesse riconoscere la<br />
presenza della follia in una sonata gli sembrava qualcosa di altrettanto misterioso<br />
quanto la follia di una cagna, la follia di un cavallo, fenomeni che d’altronde si<br />
verificano realmente” (SW (Tadié), 211; 260-261). Sembra evidente: la musica è<br />
acategoriale; quindi, in essa non vi sono rapporti logici; non si dà, quindi, la<br />
possibilità di un’alterazione dei medesimi; in altre parole, nella pazzia non si dà<br />
pazzia. Il secondo: “Le pédéraste trouve quand il en trouve un autre une sorte de<br />
prédestination que ne trouve pas l’amoureux. Mais voudrait une non tante mais vite<br />
croit demi tante une tante qui lui plaît. Il voudrait et croit trouver des non tantes, car<br />
emplissant son désir bizarre, de tout le desir naturel, croit avoir un désir naturel<br />
dont il peut retrouver l’échange hors de la pédérastie” (Le Carnet de 1908, 63).<br />
Anche qui: evidente! Il pederasta non vuole riconoscersi tale; vuole una nonchecca<br />
(tante); presto considera, però, mezza-checca una checca che gli piace...<br />
Giustamente, sulla scorta delle ricchissime annotazioni di <strong>Proust</strong><br />
sull’omosessualità, Kristeva sostiene che, nella nostra epoca, l’omosessualità,<br />
essendo ancora patrimonio di una minoranza (e fino a quando sarà patrimonio di<br />
una minoranza), rasenta la psicosi. In modo meno crudo si potrebbe dire che non<br />
essere omosessuali preserva l’identità non solo sessuale ma toute courte: “En<br />
effet, cet apparent pansexualisme est une suspension de la sexualité au profit du<br />
délire ou de l’indifférence. En fixant nos pulsions et nos désirs sur un fétiche, un<br />
organe ou une personne, la sexualité bloque nos potentialités de folie: elle les<br />
restreint, les naturalise, parfois les banalise, le plus souvent les absorbe. Il en est<br />
rien avec Charlus. À la fois espace (plante bisexuée) et force (insecte fugitif),<br />
écartelé entre deux états hétérogènes et dissymétriques, Charlus met à nu les<br />
latences psychoyiques de l’homosexualité. Dans la mesure où celle-ci se revèle<br />
omnipésente à <strong>Proust</strong>, le baron exibe les latences délirantes de toute sexualité”<br />
(op. cit., p. 114; il corsivo è dell’autrice). Divertente una lettera di <strong>Proust</strong> a Daniel<br />
Halevy dell’autunno 1888; <strong>Proust</strong> difende la propria omosessualità ma anche la<br />
lingua francese (la grammatica, la sintassi etc.): “Tu m’administres une petite<br />
correction en règle mais tes verges sont si fleuries que je ne saurais t’en vouler, et<br />
l’éclat et le parfum de ces fleurs m’ont assez doucement grisé pour m’adoucir la<br />
cruauté des épines. Tu m’as battu à coups de lyre. Et la lyre est enchanteresse. Je<br />
serais donc enchanté si... Mais je vais t’expliquer ma pensée ou plutôt causer avec<br />
toi comme avec un garçon exquis de choses très dignes d’interêt, encore qu’on<br />
n’aime pas en causer entre soi. J’espère que tu me sauras gré de cette pudeur. Je<br />
trouve l’impudicité un chose horrible. Elle me paraît bien pire que la débauche.<br />
Mes croyances morales me permettent de croire que les plaisirs des sens son très<br />
bons. Elle me recommandent aussi de respecter cercains sentiments, certaines<br />
délicatesses d’amitié, et particulièrement la langue française, dame aimable et<br />
infiniment gracieuse, dont la tristesse et la volupté sont également exquises, mais
21<br />
Deve andare oltre la rincorsa fisica, il fisico titubare.<br />
Deve trovare una nuova unità di misura...<br />
Il volto della fanciulla replica il sorgere del sole (sorto già due<br />
volte, nella striscia rosa; quindi in quella rossa). Esso è “imporporato<br />
dai riflessi del mattino [...], più rosa del cielo” diventato ormai rosso;<br />
forse più rosso ancora...<br />
Il Narratore adesso insegue questo volto (il treno è ripartito):<br />
non vuole essere separato dalla creatura che ha provocato, “anche a<br />
sua insaputa”, questa felicità...<br />
La sconosciuta – questa volta non una passante ma una oltre<br />
la quale si è costretti a passare –, era “una parte d‘una vita diversa<br />
(autre que) da quella che conoscevo, separata da essa da un orlo<br />
(lisière) e dove le sensazioni che gli oggetti destavano non erano più<br />
le stesse; e uscirne, ora, sarebbe stato come morire a me stesso”.<br />
Il Narratore vuole permanere in uno stato... Non vuole uscire<br />
dall’acategoriale... Vuole trascinarsi l’acategoriale nel categoriale...<br />
Ma capisce che i progetti di riprendere lo stesso treno per<br />
fermarsi alla stessa stazione “aveva pure il vantaggio di fornire un<br />
alimento alla disposizione interessata, attiva, pratica, macchinale,<br />
pigra, centrifuga, che è propria del nostro spirito, il quale si distoglie<br />
volentieri dallo sforzo necessario (effort qu’il faut) per approfondire in<br />
noi stessi, in modo generale e disinteressato, un’impressione<br />
piacevole che abbiamo avuta. E, siccome d’altra parte vogliamo<br />
continuare a pensarci, il nostro spirito preferisce immaginarla<br />
nell’avvenire, preparare abilmente le circostanze che potranno farla<br />
rinascere: il che non c’insegna nulla sulla essenza di quella<br />
impressione, ma ci evita la fatica di ricrearla (de la recréer) in noi<br />
stessi e ci permette di sperare di riceverla di nuovo dall’esterno”.<br />
Qui la fuga dall’istante nel categoriale si organizza in un progetto;<br />
in una fuga nell’avvenire che ricorda quella ipotizzata da Freud<br />
in chi preferisce temere che qualcosa di tremendo accada nel futuro<br />
piuttosto che accettare che sia già avvenuto (nel passato) o stia<br />
avvenendo (nel presente). 19<br />
à qui il ne faut jamais imposer des poses sales. C’est déshonorer sa beauté”<br />
(CORR, I, 123).<br />
19 Un’allure simile: “Perché nell’amore non c’è da temere, come nella vita reale,<br />
soltanto l’avvenire, ma anche il passato, che molte volte si attua per noi solo dopo<br />
l’avvenire (qui ne se réalise pour nous souvent qu’après l’avenir), e non parlo solo<br />
del passato che veniamo a conoscere solo a cose fatte, ma di quello conservato da<br />
gran tempo in noi ce che, d’improvviso, impariamo a leggere” (P, 87; 85). Vedi<br />
anche “Ma il futuro, a volte, abita dentro di noi a nostra insaputa, e le nostre parole,<br />
credendo di mentire, disegnano una realtà imminente (mais quelquefois l’avenir
22<br />
Avete visto com’è aggettivata la disposizione a costruire un<br />
progetto: interessata, attiva, pratica, macchinale, pigra, centrifuga...<br />
Generale e disinteressata è invece quella a ricreare... l’acategoriale.<br />
Cioè a ricreare, trasformandole in “equivalenti intellettuali”, le<br />
impressioni individuali; i frammenti di acategoriale...<br />
3) Il couloir<br />
Abbiamo citato una delle pagine finali di Il tempo ritrovato (TR<br />
1044 sgg.; 389).<br />
Qui il Narratore ricorda la sera in cui è iniziato il “declino” della<br />
sua “volontà”, della sua “salute”... Quando, “non potendo più<br />
sopportare d’attendere (ne pouvant plus supporter d’attendre) il<br />
giorno successivo per posare le labbra sul volto di mia madre, (pour<br />
poser mes lèvres sur le visage de ma mère) avevo preso la mia<br />
risoluzione (j’avais pris ma résolution) [SW, 32; 40], ero balzato dal<br />
letto e, in camicia da notte, m’ero messo alla finestra, donde entrava<br />
il chiaro di luna: finché non avevo visto Swann andarsene”.<br />
Rileggendo questo passo dopo aver riletto Kafka, inevitabile<br />
ricordare l’episodio che accadde al piccolo Kafka (di cui nella Lettera<br />
al padre e nel famoso frammento)... Tornando a <strong>Proust</strong>-Kafka, in<br />
entrambi i casi sono in questione i metodi educativi (“Mais dans<br />
l’éducation qu’on me donnait”) (SW, 32). Si è già parlato, a questo<br />
proposito di questa educazione di “stupidità: “la stupidité de mon<br />
éucation”... (SW, 11).<br />
Metodi fatti valere dal padre, ma, di conserva, anche dalla<br />
madre. Anche qui, per caso, troviamo un “couloir” (SW, 34) a<br />
svolgere una funzione discriminante tra categoriale (il padre) e noncategoriale<br />
(la madre che si dà al figlio, a ciò indotta dal padre che,<br />
questa volta, ha capito che il figlio soffre; è un malato di nervi; e, in<br />
quanto malato di nervi, parzialmente esonerato dalle categorie).<br />
In comune nelle due vicissitudini, l’iniziativa dei due piccoli:<br />
Entrambi si ribellano. Kafka viene punito. <strong>Proust</strong> viene<br />
accontentato... Ma con una punizione incorporata: il declino della sua<br />
“volontà”; che, molto probabilmente, è alle origini della memoria<br />
“involontaria”!<br />
Non vediamo in questa convergenza di <strong>Proust</strong> e Kafka il<br />
riscontro di una “familiarità” tra i due; perché il tema è universale;<br />
habite en nous sans que nous le sachions, et nos paroles qui croient mentir<br />
dessinent un réalité prochaine)” (SG, 639; 776)
23<br />
l’educazione, di <strong>Proust</strong>, di Kafka, di ognuno di noi, è sempre<br />
educazione alla categorie.<br />
Ricreare, l’abbiamo visto, comporta un effort qu’il faut pour<br />
approfondir en soi-même...<br />
Non è un caso che qui, alla fine della Recherche, quando il<br />
tempo è stato ritrovato, il Narratore ricordi questo episodio nevralgico<br />
della sua infanzia. 20<br />
In cui l’in-fante ha abdicato alla propria “volontà” (e alla propria<br />
“salute”) nello stesso momento in cui la madre abdicava alla propria.<br />
Volontà = sforzo = sforzo di volontà... 21<br />
Avrebbe potuto il piccolo Narratore prendere una “risoluzione”<br />
diversa?<br />
Avrebbe potuto fare l’effort qu’il fallait...?<br />
Ricordate il cane delle Indagini di un cane? Il piccolo cane che<br />
fa domande ai cani che si producono nella “scena primaria”?<br />
Il piccolo cane dovrà fare le sue indagini da solo.<br />
Da solo dovrà fare il Narratore la sua ricerca...<br />
Il ricercatore scoprirà che gli uomini “concepiscono l’età come<br />
qualcosa di misurabile (comme quelque chose de mesurable)” (TR,<br />
623 sgg.; 389 sgg.); mentre il tempo è “incorporato” in noi... È,<br />
quindi, misurabile solo in noi.<br />
Quando il ricercatore avrà scoperto l’essenza delle cose, potrà<br />
(e dovrà) accogliere una “enorme dimensione” che non sapeva di<br />
avere; quella del tempo incorporato, del tempo in lui: “Ero colto da<br />
vertigine nel vedere sotto di me, e tuttavia in me, quasi io avessi<br />
molte miglia di profondità, tanti anni”...<br />
Ricordate che nel paragrafo seguente, e conclusivo, il Narratore<br />
parlerà dei vecchi “appollaiati sopra vivi trampoli, crescenti senza<br />
20 Nella biblioteca del principe di Guermantes il Narratore sfoglia distrattamente<br />
François le Champi; e risorge “il fanciullo ch’io ero allora, che quel libro aveva<br />
ridestato in me, perché, conoscendo di me solo quel fanciullo, subito lo aveva<br />
chiamato, desideroso d’esser guardato dai suoi soli occhi, d’essere amato dal suo<br />
solo cuore, e di parlare a lui solo. Infatti, il libro che mia madre m’aveva letto ad<br />
alta voce a Combray fin quasi al mattino aveva serbato per me tutto l’incanto di<br />
quella notte. [...]. Contemplato [François le Champi] la prima volta nella mia<br />
cameretta di Combray, nella notte forse più dolce e più triste della mia vita,<br />
quando, ahimè [...], avevo ottenuto dai miei genitori una prima abdicazione, cui<br />
potevo far risalire il declino della mia salute e della mia volontà, la mia rinuncia,<br />
ogni giorno aggravatasi, a un compito difficile [...]” (TR, 883-887; 215-218).<br />
21 In occasione della matinée il Narratore decide di fare tutti gli sforzi necessari ed<br />
è ricompensato dall’infittirsi degli interventi della memoria involontaria e<br />
dall’individuazione del processo creativo: “Mentre me lo domandavo, ormai risoluto<br />
(en étant résolu aujourd’hui) a trovare la risposta [...]” (TR, 867; 198); “Perciò mi<br />
sforzavo (je m’efforçais de tâcher) di vedere chiaro [...]” (TR, 869; 199).
24<br />
posa, a volte più alti di campanili, tali da render loro difficile e<br />
periglioso il camminare, e da cui, d’improvviso, precipitan giù”...<br />
Come evitare di pensare ai trampoli ricorrenti in Kafka?<br />
Il Narratore, alla fine della sua ricerca, si trova arrampicato su<br />
simili trampoli; uno degli “esseri “mostruosi” che occupano “un posto<br />
ben altrimenti considerevole, accanto a quello così angusto (si<br />
restreinte) riservato loro nello spazio (dans l’espace): un posto al<br />
contrario, prolungato a dismisura (prolongée sans mesure), – poiché<br />
essi toccano simultaneamente, giganti immersi negli anni, età così<br />
lontane l’una dall’altra, tra le quali tanti giorni sono venuti a interporsi,<br />
– nel Tempo”. 22<br />
“Tempo”, come “Abitudine”, maiuscolo...<br />
Alla fine siamo nella “dismisura”. Il ricercatore, infatti, ha trovato<br />
il tempo “in se stesso”; con la conseguenza della deformazione<br />
(essere “mostruosi”) del categoriale sotto la pressione<br />
dell’acategoriale che lo penetra.<br />
Ecco la nuova “unità di misura”, la “dismisura”.<br />
4) Declino della volontà e memoria involontaria<br />
Abbiamo detto di <strong>Proust</strong> e di Kafka che entrambi si ribellano.<br />
Kafka viene punito. <strong>Proust</strong> viene accontentato... Ma con una<br />
punizione incorporata: il declino della sua “volontà”; che, molto<br />
probabilmente, è alle origini della memoria “involontaria”!<br />
Sembra però vivissima una differenza tra <strong>Proust</strong> e Kafka.<br />
<strong>Proust</strong> non ha scritto nessuna Lettera al padre.<br />
Ne siamo sicuri?<br />
Ricordate come risuonato lacrimose e lapidarie insieme queste<br />
parole (il tempo, hanno messo già tra quel che è accaduto allora e<br />
adesso una “muraglia”: la muraglie de l’escalier [...] n’existe plus<br />
depuis longtemps): “E da molto tempo a mio padre non è più<br />
possibile dire alla mamma: ‘Vai col piccolo?’ Quelle ore mi sono<br />
22 Questi “giganti” richiamano le statue gigantesche e sonore di Memnone; di cui<br />
ha già parlato (vedi Kristeva, op. cit., pp. 156, 364): “Quelquefois le matin, hereux<br />
dans mon lit, sentant ma pensée en moi pleine comme une statue de Memmon,<br />
qu’il suffisait d’un rayon de soleil sur les arbres dépouillés de la cour pour la faire<br />
chanter [...]” (G, C 40, 41, ES XV, 1142): “[...] et je chante, car le poète est comme<br />
la statue de Memnon; il suffit d’un rayon de soleil levant pour le faire chanter” (P,<br />
C3, ES 1.4, 1096): “Le bonheur n’est qu’une certaine sonorité des cordes qui<br />
vibrent à la moindre chose et qu’un rayon fait chanter. L’homme heureux est<br />
comme la statue de Memnon un rayon de soleil suffit à le faire chanter” (Carnet<br />
1908, 625).
25<br />
ormai inaccessibili. Ma da un po’ di tempo ho ricominciato a sentire<br />
molto bene, se mi concentro (si je prête l’oreille), i singhiozzi che<br />
ebbi la forza di trattenere davanti a mio padre (que j’eus la force de<br />
contenir devant mon père) e che scoppiarono quando, più tardi, mi<br />
ritrovai solo con la mamma. In realtà, essi non sono mai cessati (ils<br />
n’ont jamais cessé); ed è soltanto perché la vita si è fatta adesso più<br />
silenziosa intorno a me che li sento di nuovo, come quelle campane<br />
di conventi (comme ces cloches de couvents) che il clamore della<br />
città copre tanto bene durante il giorno da far pensare che siano<br />
state messe a tacere e invece si rimettono a suonare nel silenzio<br />
della sera (dans le silence du soir)” (SW, 37; 46).<br />
Quanti richiami! E quanto vertiginosi: a grappolo:<br />
– le silence du soir: riecco Kafka;<br />
– ed ecco lo stesso <strong>Proust</strong> consegnare, di fatto, alla madre la sua<br />
Lettera al padre;<br />
– sì, perché, se il padre ha abdicato, ha imposto al figlio quel<br />
medesimo sforzo – j’eus la force de contenir – ch’egli compie<br />
per risalire alle sue “impressioni” fondamentali (eguale e<br />
contraro);<br />
– quindi, c’è stata rinuncia all’esercizio della volontà – per noi<br />
preludio dell’involontario della “memoria involontaria”, però<br />
anche sforzo (di trattenere i singhiozzi);<br />
– il singhiozzo dirotto, apparentemente silenziato, dimenticato,<br />
riemerge come quelle campane di convento... che, anch’esse<br />
sopraffatte dai rumori del giorno, si fanno sentire “al volger della<br />
sera”.<br />
– Quanta vertigine in queste “cloches” che, nominate quimì,<br />
saranno rinominate infinite volte; quante infinite volte avverrà lo<br />
sforzo, riuscito o no, di ricordare. 23<br />
23 Jean Santeuil, 247-248: “Chaque jour c’étaient les premiers tintements lointains<br />
des l’angélus qui dans la campagne les faisaient rebrousser chemin dands le<br />
sentier, sa bonne et lui, afin de rentrer pour le dîner. De même les poésies qui<br />
celébraient la douceur des cloches le laissaient insensibile comme la froide<br />
allégorie d’un sentiment convenu. Il ne s’arrêtait jamais pour les écouter; il n’en<br />
avait encore remarqué la douceur. Mais comment douter qu’alors il l’éprouvait déjà<br />
confusément? Dix ans plus tard, sa vie ayant bien changé, un jour que dans la rue<br />
du faubourg Saint-Germain il se sentait vaguement attristé par le regret indistinct<br />
des années perdues de son irrévocable enfance et de sa vie au grand air, il sentit<br />
tout à coup un son insouciant et léger frapper à la cloison de son oreille. Un autre<br />
son suivit, puis un autre, et un à un les battements doux et profonds des cloches<br />
d’une chapelle lointaine arrivérent à lui, montés sur la brise. Il aperçut à travers ses<br />
larmes, entre les blés, au soleil baissant, le sentier qui ramenait au jardin paternel,<br />
et devant lui sa grande ombre de petit enfant. <strong>Su</strong>spendu au vol léger de ces<br />
années d’enfance comme Prométhée à celui des Océanides invisibles qui venaient
5) La dismisura<br />
26<br />
All’ombra delle fanciulle in fiore: “Ma no, – mi rispose, – quando<br />
un animo è portato al sogno, non bisogna tenernelo lontano,<br />
razionarglielo. Finché distoglierete il vostro animo dai suoi sogni,<br />
esso non li riconoscerà; sarete il trastullo di mille apparenze perché<br />
non ne avrete compreso la natura. Se un po’ di sogno è pericoloso,<br />
quel che ce ne guarisce non è il sognar meno, ma di più, è ” (OF,<br />
446). 24<br />
d‘aussi loin murmurer des paroles délicieuses avec la même voix fraîche et grave,<br />
Jean épiait chaque tintement avec une crainte croissante, au fur et à mesure des<br />
volées valentie, que la dernière écoutée ne fût plus suivie d’aucune autre, mais en<br />
sentait bientôt palpiter une autre, si près de lui et si loin qu’il semblait sentir son<br />
cœur lointain d’autresfois battre mélodieusement dans sa poitrinne. Pour pouvoir<br />
lui dire ces mots qui réveillent brusquement toute le cœur et que ceux-là seuls que<br />
nous aimons le plus ou nous connaissent le mieux peuvent nous dire, il fallait bien<br />
que Jean, dans ces retours anciens avec sa bonne, leur eût livré étourtiment les<br />
secrets déjàs profonds de son âme qu’elles avaient pieusement gardés. Mais à<br />
l’heure où ce tramèrent ces liens si forts entre le cloches et la vie de Jean que le<br />
son d’autres cloches suffirait plus tard à la lui rendre toute pour un instant, à l’heure<br />
où les cloches prenaient son âme d’alors pour la lui prêter plus tard quand il aurait<br />
besoin d’y retremper son âme viellie, ils étaient encore si légers qu’il ne les sentait<br />
pas et qu’en essayant de lui en parler on ne lui parlait de rien”. Rimandiamo a<br />
dove, ne Il tempo ritrovato, questa pagina viene ripresa. Citiamo solo un brano in<br />
cui riaffiora lo “sforzo”: “Alors, en pensant à tous les événements qui se plaçaient<br />
forcément entre l’instant où je les avais entendus et la matinée Guermantes, je fus<br />
effrayé de penser que c’était bien cette sonnette qui tintait encore en moi, sans que<br />
je pouisse changer aux chaillements de son grelot, puisque ne me rappelant plus<br />
bien comment ils s’éteignaint, pour les réapprendre, pour bien l’écoute, je dus<br />
m’efforcer de ne plus entendre le son des conversations que les masques tenaient<br />
autour de moi” (TR, 1046-1047).<br />
24 Abbiamo incontrato un’allure di discorso molto simile in Girard. “Si guarisce da<br />
una sofferenza solo a condizione di sperimentarla pienamente” (F, 126). Vedi in<br />
CSB, <strong>Proust</strong>, a proposito di Sylvie di Gérard de Nerval: “Questo racconto – che<br />
chiamate una pittura ingenua –, è, non dimenticatelo, il sogno di un sogno (c’est le<br />
rêve d’un rêve, rappelez-vous)” CSB, 237; 37); a proposito del sogno, da leggersi<br />
tutta la parte dedicata a Nerval. “Il ne faut jamais avoir peur d’aller tropo loin car la<br />
vérité est au-delà” (lettera a Ernst Robert Curtius, 18 settembre 1922, CORR, XXI,<br />
479). Da Jalousie: “Eh, signore, è che solo il male fa osservare e imparare, e<br />
permette di scomporre i meccanismo che, altrimenti, non si conoscerebbero. Un<br />
uomo che ogni sera cade come una massa nel suo letto e non vive più fino al<br />
momento di svegliarsi e di alzarsi, questo uomo penserà mai di fare, se non delle<br />
grandi scoperte, almeno delle piccole osservazioni sul sonno? A malapena sa di<br />
dormire (à peine sait-il s’il dort). Un po’ di insonnia non è inutile per apprezzare il<br />
sonno, per proiettare qualche luce in quella notte. Una memoria senza lacune non
27<br />
Sempre in All’ombra...: “Ora, i ricordi d’amore non fanno<br />
eccezione alle leggi generali della memoria, rette a loro volta dalle<br />
leggi più generali dell’abitudine. Siccome questa affievolisce tutto,<br />
quel che meglio ci rammenta una persona è proprio ciò che avevamo<br />
dimenticato (perché era insignificante e gli abbiamo lasciato tutta la<br />
sua forza). Ecco perché la parte migliore della nostra memoria è fuori<br />
di noi, nel soffio d’un vento di pioggia, nell’odor di rinchiuso d’una<br />
camera o nell’odore d’una prima fiammata, dovunque ritroviamo di<br />
noi stessi quel che la nostra intelligenza, non sapendo come<br />
impiegarlo, aveva disprezzato: l’ultima riserva del passato, la<br />
migliore, quella che, quando tutte le nostre lagrime sembrano<br />
esaurite, sa farci piangere ancora. Fuori di noi? In noi, (Hors de<br />
nous? En nous) per meglio dire, ma sottratta ai nostri stessi sguardi,<br />
in un oblio più o meno prolungato (dans un oubli plus ou moins<br />
prolongé). Solo grazie a quest’oblio (c’est grâce à cet oubli) che<br />
possiamo di tanto in tanto ritrovare l’essere che fummo, situarci di<br />
fronte alle cose così com’era situato quell’essere, soffrire di nuovo,<br />
perché non siamo più noi, ma lui (parce que nous ne sommes plus<br />
nous, mais lui), e perché egli amava ciò che a noi è adesso<br />
indifferente (indifférent)” (OF, 643; 236).<br />
Alcune cose, una più interessante dell’altra:<br />
– l’abbiamo già capito: il tempo (il categoriale) lo troviamo solo in<br />
noi: incorporato, immagazzinato; diventato sonno sognato fino<br />
in fondo; dimenticato.<br />
– L’oblio (la rimozione?) consente il “ritrovamento”;<br />
– e lo consente nella più grossolana delle trasgressioni del<br />
categoriale: nella disidentità; meglio: nella perdita del<br />
categoriale che è, per eccellenza, primcipium individuationis.<br />
è un eccitatore moltto potente per studiare i fenomeni della memoria” (J, 64; 28-<br />
29). Queste affermazioni concludono alcune pagine centrate sul tentativo di<br />
liberare ricordare il nome della signora d’Arpajon; ridefinito come tentativo di<br />
liberare “tenebroso prigioniero rannicchiato nella notte interiore” – definita,<br />
quest’ultima, anche “gran ‘nascondino’ (grand ‘cache-cache’)”. A dire la verità, la<br />
lettura di queste pagine, se non per le ipotesi a cui sembra approdare, sicuramente<br />
per il modo in cui queste ipotesi costruisce, ricorda le pagine dedicate da Freud, in<br />
Psicopatologia della vita quotidiana, al recupero del nome di Signorelli o al<br />
ripescaggio di quell’“aliquis” che l’interlocutore di Freud ha cassato nella citazione<br />
del virgiliano “exoriar(e) aliquis nostris ex ossibus ultor”. Tutta proustiana è, invece,<br />
la seguente considerazione: “Ed è più triste di quanto non crediate quando vi si<br />
[nella dimenticanza di un nome] sente l’annuncio della stagione in cui i nomi e le<br />
parole svaniranno dalla zona chiara del pensiero (de la zone claire de la pensée) e<br />
in cui bisognerà, per sempre (pour jamais), rinunciare a nominare con se stessi (à<br />
se nommer à soi-même) coloro che si è conosciuti meglio” (ibdem).
28<br />
Proseguiamo il discorso sull’oblio-rimozione. In Sodoma e<br />
Gomorra il Narratore racconta come ha scoperto che la nonna era<br />
“perduta per sempre” proprio “ritrovandola” (nell’atto di togliersi gli<br />
stivaletti si ricorda della nonna che glieli toglieva quand’era piccolo:<br />
“Sconvolgimento di tutto il mio essere”) (SG, 755 sgg.; 911 sgg.):<br />
“L’essere che mi veniva in aiuto, che mi salvava dell’aridità<br />
dell’anima, era quello che, vari anni prima, in un momento di<br />
sconforto e di solitudine identici (identiques), in un momento in cui<br />
non avevo più nulla di mio (je n’avais plus rien de moi), era entrato e<br />
m’aveva restituito a me stesso (à moi-même), giacché era me e più<br />
di me (car il était moi et plus que moi) [...]”.<br />
Facilita il ricordo (involontario) la coincidenza di un gesto che si<br />
fa adesso con uno che si fece tanto tempo fa...<br />
Ma non è questo l’essenziale, almeno qui; l’essenziale è il<br />
chiarimento folgorante del superamento del principio di<br />
individuazione; attraverso l’intervento, là dove non c’è più niente di<br />
me, di qualcuno mi restituisce a me, perché è me... Correzione: “e<br />
più di me”.<br />
Il Narratore “per la prima volta” ha un ricordo “pieno e<br />
involontario”, della “vera nonna”; della “realtà viva”: “Tale realtà non<br />
esiste per noi finché non sia stata ricreata (recréée) dal nostro<br />
pensiero (se non fosse così, gli uomini che hanno preso parte a<br />
un’immane battaglia sarebbero tutti grandi poeti epici)”.<br />
Di nuovo la ricreazione (che è anche una vera e propria<br />
creazione)... 25<br />
25 Abbiamo già citato, nel cap. 4 di Edipo. Un innocente, il passo delle famose<br />
Petites Madeleines: “Depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo. Tocca a lui<br />
trovare la verità. Ma come? Grave incertezza, ogni qualvolta l’animo nostro si<br />
sente sorpassato da se medesimo (dépassé par lui-même); quando lui, il<br />
ricercatore, è al tempo stesso anche il paese tenebroso dove deve cercare e dove<br />
tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. Cercare? Non soltanto: creare<br />
(Chercher? Pas seulement: créer). Si trova di fronte a qualcosa che ancora non è,<br />
e che esso solo può rendere reale, poi far entrare nella sua luce” (SW, 45; 50).<br />
Vedi anche il passo dei Campanili di Martenville: “Quel piacere, il cui oggetto era<br />
solo presentito, e che io stesso dovevo creare (j’avais à créer moi-même) [...].<br />
Oppure non li avevo mai visti (ne les avais-je jamais vus) [...]” (OF, 77-78; 31-317);<br />
il passo dei tre alberi: “Ce plaisir [...] que j’avais à créer moi-même” (OF, 718;<br />
870)... “La creazione del mondo non è avvenuta una volta per tutte [...], avviene,<br />
deve avvenire ogni giorno” (TR, 458). Molto interessanti le pagine di Contro Saint-<br />
Beuve in cui è evidente una tensione tra creazione e ricostruzione: “E quel fanciullo<br />
che gioca così in me sulle rovine (sur les ruines) non ha bisogno di nessun<br />
nutrimento: si nutre semplicemente del piacere procuratogli dalla scoperta di<br />
un’idea. Egli la crea, esso lo crea (il la crée, elle le crée)” / “In fondo, tutta la mia<br />
filosofia mira, come ogni filosofia vera, a giustificare, a ricostruire quel che è (à<br />
reconstruire ce qui est)” (CSB, 303 sgg.; 107 sgg.)
29<br />
Ma, per venire all’oblio-rimozione: “È certo l’esistenza del nostro<br />
corpo, simile per noi a un vaso che racchiuda la nostra spiritualità, a<br />
indurci a supporre che tutti i nostri beni interiori, le nostre gioie<br />
possate. 26 Forse è egualmente inesatto credere ch’essi sfuggano o<br />
ritornino (peut-être est-il aussi inexact de croire qu’elles s’échappent<br />
ou reviennent). Comunque sia, se restano in noi, per la maggior<br />
parte del tempo rimangono in un regno sconosciuto, dove non ci<br />
rendono nessun servigio, e dove anche i più usuali son soffocati da<br />
ricordi di un ordine diverso (et où elles même les plus usuelles sont<br />
refoulées par des souvenirs d’ordre différent) e che escludono ogni<br />
simultaneità (simultanéité) con essi nella coscienza. Ma, se<br />
riafferriamo la cornice di sensazioni (le cadre de sensations) dove<br />
son custoditi, essi hanno a loro volta il medesimo potere di scacciare<br />
tutto ciò che è loro incompatibile (ce même pouvoir d’expulser tout ce<br />
qui leur est incompatible), e d’insediare in noi (d’installer [...] en nous)<br />
soltanto l’‘io’ che li ha vissuti. Ora, poiché quello che ero<br />
improvvisamente ridivenuto non esisteva più dalla sera lontana in cui<br />
la nonna m’aveva svestito non appena giunti a Balbec, fu con<br />
estrema naturalezza, non dopo la giornata presente ignorata da<br />
quell’‘io’, ma – come se esistessero nel tempo sequenze diverse e<br />
parallele – senza soluzioni di continuità (sans solutions de<br />
continuité), subito dopo (tout de suite après) la prima sera d’un<br />
tempo, che aderii all’attimo (à la minute) in cui la nonna si era chinata<br />
su di me. L’‘io’ ch’ero stato allora e che era stato così a lungo<br />
assente si trovava di nuovo tanto vicino a me che mi sembrava di<br />
udire ancora le parole immediatamente precedenti (les paroles qui<br />
avaient immédiatement précedé), che pur non erano ormai nulla più<br />
d’un sogno (plus qu’un songe), come un uomo mal desto (mal<br />
éveillé) crede di distinguere accanto a sé i rumori del suo sogno che<br />
dilegua. Adesso ero soltanto quell’essere [...]”.<br />
Rintracciamo solo alcuni filoni<br />
Forse è “inesatto” parlare di rimozione e di ritorno del rimosso;<br />
anche se si può parlare di “incompatibilità” (e si parla di refoulement).<br />
26 “Nous ne voyons que nos corps parce que c’est pas dans la catégorie du Temps<br />
que nous nous voyons” (C 51, ES XLI, TR, 877). “Et, désabusé de cette fausse<br />
idée de nous-même que nous donne l’habitude pour la commodité de la vie de<br />
nous identifier avec notre corps, ce qui fait que nous < nous > représentons notre<br />
pensée comme quelque chose du volume à peu près d’une banane, pour qu’elle<br />
puisse tenir entre nos yeux et notre cheveux –, et l’abitude aussi de ne pas nous<br />
voir dans le temps [...]” (C 11, ES XLII, TR, 901).
30<br />
O forse è giusto parlare di “mozione” in ogni caso; sia quando<br />
l’esperienza vissuta viene a forza espulsa dalla coscienza che<br />
quando essa vi viene a forza immessa.<br />
L’espulsione è così immediata e radicale che l’io protagonista di<br />
questa esperienza da allora in poi è come se non fosse mai esistito;<br />
solo l’incidente (involontario) che lo immette di forza nella coscienza<br />
lo ricrea (lo crea).<br />
La “continuità” è una continuità tutta particolare: quella tra un<br />
vissuto intensissimo après-coup e l’esperienza (equivalente) che è<br />
stata immediatamente espulsa... Perché in questione è l’“attimo” (la<br />
“minute”).<br />
La fenomenologia di questa esperienza ripete quella del<br />
risveglio da un sonno profondissimo.<br />
L’inconscio freudiano, quindi, è traducibile in un “regno<br />
sconosciuto” dei vissuti mancati. Mancati perché il non categoriale<br />
non viene rimosso; proprio perché è per sua stessa natura invivibile<br />
(nel categoriale).<br />
La vera incompatibilità è tra categoriale e non categoriale.<br />
Siamo ingannati dal fatto di avere un corpo; che rassomiglia a un<br />
vaso; il quale ultimo “contiene”... 27<br />
27 A proposito del contenere etc., un passo almeno apparentemente<br />
contraddittorio, “E proprio perché contengono (contiennent) così le ore del passato<br />
i corpi umani possono far tanto male a coloro che li amano: perché contengono<br />
tanti ricordi di gioie e di desideri già svaniti in loro, ma così crudeli per colui che<br />
contempla e prolunga nell’ordine del Tempo il corpo diletto di cui è geloso, geloso<br />
fino a desiderarne la distruzione” (TR, 390).
31<br />
Cap. 2<br />
IMBARCHIAMOCI NEL SOGNO DI PROUST<br />
[...] mais pour une jeune fille qui ne serait d’abord sur<br />
l’horizon de la mer, qu’une fleur ]...] mais une fleur<br />
pensante (F, 501)<br />
L’homme n’est qu’un roseau, le plus faible de la nature,<br />
mais c’est un resau pensant (Pensées, 186)<br />
“je m’étais embarqué sur le sommeil d’Albertine” (P, 72)<br />
“Oui, mais il faut marier. Cela n’est pas volontarie, vous<br />
êtes embarqué” (Pensées, 397)<br />
“Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla<br />
nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è<br />
tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi (Wir haben das<br />
Land verlassen und sind zu Schiff gegangen! Wir haben<br />
di Brücke hinter uns, – mehr noch, wir haben das Land<br />
hinter uns abgebrochen!)” (la gaya scienza, af. 124)<br />
“Seulement le cœur – ou le corps – a ses raisons que la<br />
raison ne connaît guère” (Lettera Jaque Bizet, 1888,<br />
CORR, I, 104).<br />
“Le cœur a ses raisons que la raison ne connaît point”<br />
(Pensées, 397).<br />
“Joie, pleurs de joie, joie” (lettera a Antoine Bibesco,<br />
marzo 1903, CORR, III, 258: Bibesco torna a Parigi nel<br />
1903. <strong>Proust</strong> non può riceverlo. Gli manda questo<br />
biglietto)<br />
“[...]. Dieu d’Abraham, Dieu d’Isaac, Died de Jacob, non<br />
des philosophes et des savants. [...]. Père, juste, le<br />
monde ne t’ha point connu, mais je t’ai connu, Joie, joie,<br />
joie, pleurs de joie. Je m’en suis séparé. [...]” (Pensées,<br />
711)<br />
16 versioni...<br />
L’eroe di sveglia in piena notte; ha perso la nozione dello<br />
del tempo e dello spazio... si crede in una camera dove<br />
ha dormito tanto jadis... pensa all’articolo sul Figaro... si<br />
alza e la madre gli porta l’articolo... Contraddizione: se<br />
l’eroe, malato, dorme solo di giorno, come è potuto<br />
precipitare in un sonno così profondo da fargli dimenticare<br />
la disposizione della camera? Questa contraddizione è
32<br />
risolta provvisoriamente: dormivo solo di giorno e quella<br />
notte ebbi solo pochi minuti di sonno ma mi prese così<br />
bruscamente... Alla fine <strong>Proust</strong> trova una soluzione<br />
migliore: oppone “autrefois”, quando l’eroe conduceva<br />
una vita normale e dormiva la notte e “mentenant”<br />
quando, divenuto insonne, dorme solo di giorno (vedi<br />
Introduzione, ed. Tadié, vol. 1, p. 1960).<br />
“[...] l’interesse dell’esistenza risiede quasi tutto nelle<br />
giornate in cui la polvere della realtà è mista a nebbia<br />
magica, in cui un banale incidente diventa una molla<br />
romanzesca. Un intero promomtorio del mondo<br />
inaccessibile sorge allora dalla luce del sogno ed<br />
entra nella nostra vita, dove, simile al dormente che<br />
si risveglia (comme le dormeur éveillé), scorgiamo le<br />
persone sognate, così ardentemente sognate da<br />
credere che non le avremmo mai viste se non in<br />
sogno” (AF, 865; 1047-1048). 28<br />
1) La pre-ouverture della Recherche<br />
Nei Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> 11, ho trovato un articolo di Bernard<br />
Brun: Le dormeur éveillé. Genèse d’un roman de la mémoire. 29<br />
Straordinario. Il titolo richiama uno dei racconti delle Mille e una notte<br />
che ha ispirato (insieme a Sommeil et les rêves di Alfred Maury)<br />
28 Sembra proprio che <strong>Proust</strong> abbia fatto tesoro delle meditazioni di Schopenhauer<br />
relative alla musica. Questa sarebbe “la copia d’un modello (la Volontà) che non<br />
può mai essere rappresentato direttamente”. Come dire: la musica attinge<br />
l’acategoriale; il musicista l’incarna l’essenza in un paradigma analogo, tratto dal<br />
mondo reale. Nel cahier 58 (scritto alla fine del 1910), la frase che descrive<br />
l’affiorare del ricordo ha lo stesso stampo della celebre frase che termina l’episodio<br />
della madeleine. Ma qui è la musica che occupa e svolge il ruolo del gioco<br />
giapponese: “[...] refaisant le même pas que j’avais fait pour qu’il fît renaître encore<br />
une fois l’insaisissable frôlement des visions indistinctes qui proposaient<br />
impérieusement à mon esprit l’énigme de leur bonheur. Toutes les fois où je<br />
réussissais à ne pas me contenter de faire naturellement le pas avec ma jambe<br />
mais à le refaire en quelque sorte en moi où mon âme retrouvait assez d’élan pour<br />
retoucher une fois encore le point intérieur qu’elle n’avait saisi mais dont le concact<br />
instantané et glissant lui causait une telle joie, à ce moment-là, comme certaines<br />
pages musicales ont souvent le don d’évoquer certains paysages [...]” (C 58, ES,<br />
XXIV, TR, 804).<br />
29 Études proustienne IV. <strong>Proust</strong> et la critique anglo-saxonne (Gallimard, Paris,<br />
1982, pp. 239 sgg.).
33<br />
<strong>Proust</strong> ancora prima che per la grande ouverture della Recherche,<br />
per il “preambolo narrativo” del suo “saggio” Contre Sainte-Beuve. 30<br />
(Ho riletto, qualche giorno dopo, l’incipit della Recherche.<br />
Straordinario bis. Quasi tutto è stato conservato, precisato, superato.<br />
Mi ha colpito, come già-freudiano, l’espressione: “semplicité<br />
primière”: “[...] non sapevo dove mi trovassi e, in un primissimo<br />
momento, nemmeno chi fossi; avevo nella sua semplicità primaria<br />
(dans sa semplicité primière) soltanto il sentimento dell’esistenza<br />
così come può fremere nella profondità di un animale” [SW, 5; 8].<br />
Ricordate la scena “primaria”?).<br />
L’incipit della Conversation avec maman, che doveva contenere<br />
la teorizzazione estetica del Contre Sainte-Beuve, si gioca tutto sulle<br />
vicissitudini nell’addormentarsi e del ridestarsi.. Si tratta di<br />
vicissitudini che producono diversi “errori”... 31 Il Nostro è, infatti,<br />
disorientato del tempo e nello spazio; 32 si trova estraneo al<br />
concatenamento causa-effetto 33 ...<br />
Da un certo punto in poi però, questi errori assumono un valore<br />
positivo: mettono in moto la memoria... della camera... di tutte le<br />
30<br />
Siamo autorizzati ad utilizzare i materiali dei Cahiers dal fatto che <strong>Proust</strong> ha<br />
conservato tutto; in modo quasi maniacale. (Ha fatto bruciar nel corso nel 1917, da<br />
Céleste, nel grande forno della cucina, trentadue “taccuini neri”. Si pensa che la<br />
materia di questi Cahiers sia stata ricopiata e messa in bella altrove. <strong>Proust</strong> non<br />
distruggeva nulla che potesse ancora servigli; così ha sempre conservato Jean<br />
Santeuil.<br />
31<br />
“Plus triste est l’erreur du malade” (C3, 251). Ma questo malato è anche uno che<br />
s’addormenta, si sveglia, si riaddormenta...<br />
32<br />
“/ Et la porte ayant changé de place, met à côté de nous, au lieu du couloir s’en<br />
allant dans la maison, une cour, le mur” (C3, 245); 32 “[...] et nous flottons incertains<br />
entre les lieux et les années qui tornent autour de nos yeux étourdis qui ne peuvent<br />
s’ouvrir” (C3, 246-247); “J’avais du m’endormir assez brusquement, et sans garder<br />
avec moi le plan de la chambre. J’avais du être surpris par le sommeil / m’endormir<br />
assez brusquement et sans avoir le temps de / oublié de / J’avais du m’endormir<br />
assez brusquement Le sommeil avait du me prendre assez brusquement à un<br />
moment où j’avais laissé un instant tomber de la pensée le plan du lieu où je me<br />
trouvais; quand je m’éveillai je l’avais perdu; je ne savais pas où je me trouvais”<br />
(C3, 250); “Et ils s’éveiellent et leur corps / ses membres étourdis cherchent à<br />
reconnaître leur position, s’ils sont étendus sur le sopha du club ou dans le son<br />
corps < étourdi > cherche à reconnaître sa position, s’il s’éveille vient de dormir<br />
assis dans le fauteuil du club ou couché sur le plancher de la barcque, et tandis<br />
que le dormeur l’âme du dormeur encore à peine éveillé hésite et attend hors de<br />
l’espace et du temps entre les lieux, les conditions et les années, ses membres<br />
cherchent dans leur mémoire les souvenirs de leurs attitudes l’image des lieux”<br />
(C3, 254)...<br />
33<br />
Vedi più avanti.
34<br />
camere 34 in cui, nel passato e altrove, il Narratore si è<br />
addormentato...<br />
Brun spiega in che modo la memoria messa in moto dal<br />
risveglio brusco (tout d’un coup) 35 seguìto, a sua volta, ad un brusco<br />
addormentarsi (sulla poltrona, sulla barca, sul letto...) contribuisce a<br />
strutturare, insieme alla memoria propriamente “involontaria”, il<br />
romanzo in cui “il narratore racconta il dormente svegliato che<br />
racconta l’eroe”...<br />
Quel che s’è presentato come un “incidente” (l’addormentarsi o<br />
il risvegliarsi), pur conservando molto dell’in-cidentale, acquista tutto<br />
il valore “rivelatorio” del tout d’un coup. 36<br />
Questo spiega come mai la “cérémonie du dormir” (C1, 280),<br />
d’apprima definita “la place du crucifix” (C1, 279), diventa la fonte<br />
dell’immortalità... In ogni caso, l’ingresso nel misterioso, quello<br />
stesso in cui non c’è più, infine!, il concatenamento causa-effetto:<br />
“Qu’elle était reposante pur mes yeux cette obscurité mysterieuse<br />
que je retrouvais là sans me souvenir qu’elle y était déjà quand je<br />
m’étais endormi qui me semblait venue là sans que je m’en fusse<br />
aperçu, et plus reposante encore pour mon esprit < qui sentait qu’il<br />
était suspendu pour une seconde encore < comme > dans ce hamac<br />
délicieux qui ne touche pas au monde intell[ectuel] / des effets<br />
audessus de la terre, sans plus saisir l’enchaînement des effets et<br />
des causes >” (C5, 262).<br />
“Mais Maman alors dort dans la chambre et je n’entends pas sa<br />
respiration ni le bruit de la mer. Mon lit change encore de direction ou<br />
34 “Toutes celles qu’il avait eues < depuis mon enfance > se présentaient<br />
successivament à sa mémoire < obscure, > reconstruisant < chacune > autour<br />
d’elles, toutes le chambres tous les lieux” (C1, 277).<br />
35 Citiamo solo due luoghi in cui i tout d’un coup s’infittiscono... Essi preannunciano<br />
la fenomenologia della memoria involontaria... Il dormiente che si sveglia di colpo,<br />
anche di colpo si è addormentato... “de ces mots où brusquement on croit sentir la<br />
dame jusque là indifférente avait tout d’un coup < un > de ces mots par qui je<br />
m’aperçevais < tout d’un coup placé à mon insu > dans sa vie à elle, où je n’avais<br />
pas cru que je fusse entré” (C1, 285); “Tout d’un coup j’apercevais J’avais établi<br />
que se trouvait autour de moi, ici la commode, là la cheminée, plus loin la fenêtre.<br />
Tout d’un coup je voiais” (C1, 286)...<br />
36 Citiamo solo due luoghi in cui i tout d’un coup s’infittiscono... Essi sono<br />
preannunciano la fenomenologia della memoria involontaria... Il dormiente si<br />
sveglia di colpo; ma anche di colpo si è addormentato... “de ces mots où<br />
brusquement on croit sentir la dame jusque là indifférente avait tout d’un coup <<br />
un > de ces mots par qui je m’aperçevais < tout d’un coup placé à mon insu > dans<br />
sa vie à elle, où je n’avais pas cru que je fusse entré” (285); “Tout d’un coup<br />
j’apercevais J’avais établi que se trouvait autour de moi, ici la commode, là la<br />
cheminée, plus loin la fenêtre. Tout d’un coup je voiais” (C1, 286)...
35<br />
plutôt je ne cros pas que ce soit un lit [... ]” (C1, 277 + 282 et<br />
passim)...<br />
Il letto è un letto o altro?<br />
<strong>Su</strong> di esso la madre dorme e respira: “Mais Maman alors dort<br />
dans la chambre et je n’entends pas sa respiration ni le bruit de la<br />
mer. Mon lit change encore de direction ou plutôt je ne cros pas que<br />
ce soit un lit ]” (C1, 277 + 282 et passim). Proprio così, è dice<br />
“bonsoir” etc... 37<br />
2) Oltre l’Antico e il Nuovo Testamento<br />
Abbiamo citato nel terzo capitolo un “pezzo”, un pezzo-forte di<br />
cui qui cerchiamo di richiamare l’essenziale per punti.<br />
37 “[...] et Maman je suis souffrant et Maman dort dans la même chambre au fond,<br />
pour m’en assurer je veux tâter s’il n’y a pas de tapis et appeler Maman, mais ma<br />
voix ne peut pas sortir de ma bouche et mon bras ne remue pas et pendant un<br />
istant encore les formes, et les temps vont tourner autour de mon corps étourdi et<br />
rompu [...]” (C3, 248). In ogni “devant lui la chambre où ses parents dorment côte à<br />
côte” (C3, 246). La madre viene a dirgli “bonsoir” (o bonjour...): “Comme j’avais<br />
déjà pris l’habitude de ne dormir que le jour, on entrait chez moi 8 heures c’était le<br />
momenti où Maman entrait me dire bonsoir (j’avais déjà pris l’habitude de < ne ><br />
dormir que le jour, je m’endormais après le 1 er courrier” (C1, 247). Lo<br />
bacia/abbraccia: “Maman entra dans ma chambre et m’embrassa avec pour me<br />
donner mes lettres. Elle n’entrait qu’un moment à celle heure là. Elle avait ce<br />
visage. La tendresse n’était pas cachée sur son visage, comme autrefois quand<br />
elle espérait faire de moi un homme vaillant et qu’elle voulait diminuer et entretenir<br />
le moins possible l’exaltation de ma tendresse pour elle. Maintentant elle accordait<br />
j’étais un malade qu’elle n’espérait plus guérir et elle cherchait à me donner des<br />
consolations. Et puis les chagrins avaient brisé sa volonté. Et sa voix son visage<br />
restaient toujours en une harmonie secrète avec ceux qu’elle pleurait comme si<br />
quelque chose de rude avait du leur faire du mal. Elle avait gardé quelque chose<br />
d’un geste d’infini respect, de timidité infinie d’infinie douceur avec lequel au<br />
cimetière elle avait laissé tomber comme épouvantée, les en poussière légère et<br />
brisée la pelletée de terre sur le cercuil de sa mère. Même sa gaîté avec nous<br />
nous restait douce, et se jouait sans éclat et sans monter jusqu’à lui audessous de<br />
son chagrin. Elle avait A cette heure là pourtant elle m’embrassait vite et se retirait<br />
< ne restait jamais à causer, > pour me montrer que admettant que malade, je<br />
dormisse le jour mais ne voulant pas laisser périmer en moi pour des jours<br />
meilleurs l’horaire d’une vie saine et pratique, et me montrer qu’il ya [des] heures<br />
pour tout [...]!” (C 3, 255-256). Anche qui il campanello: “Tout à l’heure le réveil va<br />
sonner, il faudra se lever vite pour avoir le temps de descendre à la cantine boire<br />
une un verre de café au lait avant de partir musique en tête dans la campage” (C5,<br />
277).
36<br />
(I frammenti collazionati da Brun sono riportati nell’ordine in cui<br />
essi sono stati scritti... 38 Essi ricoprono ottantaquattro pagine (<strong>Proust</strong><br />
45, <strong>Proust</strong> 88, C3, C5, C1, 242-286). Un bel po’ se consideriamo<br />
che siamo ai primi abbozzi dell’ouverture della Recherche... La<br />
lettura di una piccola parte di questi Cahiers ci aiuta a capire come<br />
lavorava <strong>Proust</strong>: il metodo adottato da <strong>Proust</strong> gli permette “di<br />
sviluppare simultaneamente diversi progetti e di riprenderli poi,<br />
isolatamente, su vari fogli o cahiers. [...]. La stessa scena o lo stesso<br />
paragrafo sono [...] ripresi innumerevoli volte (alcuni paragrafi<br />
addirittura trentacinque” 39 )<br />
1) Risveglio: “Je rallumais un instant”,<br />
2) Desiderio che suoni il campanello: quel suono significherà il<br />
soccorso (colui che dorme, infatti, è un malato ed è stato colto<br />
da una grave crisi): “Quel bonheur, il pourra sonner, on viendra<br />
lui porter secours.”<br />
3) “J'éteignais, je me rendormais”.<br />
4) Sogno: come Eva nacque da una costola d’Adamo, una donna<br />
nasce da una posizione della sua coscia...<br />
5) Nel sogno pensa che il piacere gli deriverà dalla nuova Eva; ma<br />
si tratta di un’illusione: “je m’imaginai que c’était elle"qui me<br />
l’offrait”.<br />
6) I “baisers” da chi vengono?<br />
7) Siamo nella veglia o in un luogo dove è possibile ricordare: il<br />
curato gli tirava i boccoli.<br />
8) Questo il terrore dell’infanzia (qui definito come “la dure Loi”).<br />
9) La liberazione da questo terrore avviene attraverso il taglio dei<br />
boccoli e rappresenta un punto di rottura: “La chute de"Kronos,<br />
la découverte de Prométhée, la naissance du Christ" avaient<br />
pas pu soulever aussi haut"le ciel audessus de l’humanité<br />
jusque là écrasée, que n’avait"fait la coupe de mes boucles, qui<br />
avait entraîné avec elle à"jamais l’affreuse appréhension”. 40<br />
10) Ricorriamo qui ad un frammento precedente in cui (a) il punto di<br />
rottura è paragonato solo a quello determinato dalla caduta di<br />
Kronos (per il momento niente Prometeo e Cristo); ma, in<br />
compenso, (b) il taglio dei boccoli è descritto come un<br />
decollamento (evirazione; Sansone); come (3) la soppressione<br />
di un organo (la mente va alla mancanza dell’organo adatto a<br />
38 Le parole cancellate da <strong>Proust</strong> sono in corsivo; le cancellazioni successive sono<br />
separate da una barra obliqua; le aggiunte sono messe tra (< >)... Talvolta<br />
incontriamo dei refusi...<br />
39 Tadié, <strong>Proust</strong>, 1983, tr. it. Il Saggiatore, Milano, 1985, pp. 18, 20).<br />
40 Svegliatosi dall’incubo si accorge che... “j’avais les cheveux ras” (C5, 260).
37<br />
baciare ne La prigioniera): “[...] le supplice de mon enfance [...]<br />
avait pris fin il y avait plus de dix ans au moment où on m’avait<br />
à jamais coupé mes boucles, [...] / dans la région comprise<br />
entre ma tête et mon corps / la < courage > indifférence de ma<br />
nuque conquête de sa liberté La sereine indifférence de ma<br />
nuque, conquise depuis le jour où elle avait été affranchie de<br />
ses terreurs par la suppression de l’objet organe qui en était de<br />
siège” (C5, 263).<br />
11) Quindi, almeno a questo punto, sembra che il taglio dei capelli,<br />
l’evirazione vera e propria, “tolga” (hegelianamente) il terrore<br />
d’essere tirato per i capelli “da dietro”... Tolga, cioè, la paranoia.<br />
Forse attraverso quel famoso meccanismo che va sotto il nome<br />
di trasformazione del passivo in attivo? Che “toglie”,<br />
hegelianamente, per conservare: toglie di mezzo ma anche<br />
toglie in moglie = mette al centro. Questo meccanismo, da San<br />
Paolo in poi, va sotto il nome di Grazia. Vedremo meglio la<br />
grazia proustianamente intesa al lavoro: quando trasformerà il<br />
“manque de volonté” in “mémoire involontaire”...<br />
12) Qui sembra che i boccoli, al Narratore, glieli abbiano tagliati...<br />
<strong>Su</strong> sua richiesta? Ricordo che i miei boccoli mio padre decise di<br />
farmeli tagliare dal barbiere quando protestai: già da troppo<br />
tempo all’asilo mi scambiavano per una bella bambina. Ricordo<br />
che sollevavo il grembiule... Solo adesso colgo il “volgare”<br />
dell’atto esibizionistico: sono un uomo, guardate qua!<br />
13) Prima di proseguire: sì, nel nuovo regime (Nuovo Testamento)<br />
la paura della castrazione non c’è più... Ma, forse, è stata<br />
sostituita da altre paure (l’evirazione non è stata “à jamais”): “À<br />
vrai dire d’autres cra[intes]"souffrances cet d’autres craintes<br />
l’avaient peut’être remplacée, mais si différentes que c'était le<br />
monde de la nouvelle Loi mais l’axe"du monde avait été<br />
déplacé”.<br />
14) Da quel che segue – pensieri del sogno o della veglia o del<br />
dormiveglia – si capisce che adeguato è il richiamo alla venuta<br />
del Cristo; essa ha, infatti, portato una nouvelle Loi (un Nuovo<br />
Testamento) 41 opposto alla Loi encienne (all’Antico<br />
Testamento, la dure Loi). La vecchia legge, il Vecchio<br />
Testamento (il luogo del terrore) è rappresentato dal<br />
sonno/sogno: “Ce monde de l’ancienne loi j’y"rentrais aisément<br />
en dormant, je ne m’éveillais”...<br />
41 Una “nuova era”: “perte de mes boucles < m’avait délivré un > / [et que] depuis<br />
un évènement < qui en m’en délivrant > data pour moi une ère nouvelle, le jour où<br />
on coupa mes boucles, je ne peux plus concevoir” (C1, 274).
38<br />
15) Il terrore della castrazione (il curato che tira i boccoli dal di<br />
dietro derrière ma tête: paranoia) incombe di notte. È smentito<br />
nella veglia dalla rassicurazione: i boccoli sono stati tagliati.<br />
Prima di dormire – “Et avant de me rendormir,"me rappelant<br />
bien que le curé était mort et que j’avais les"cheveux courts” – il<br />
sognatore si crea un nido protettore (il famoso bacio del “drame<br />
du coucher”, in quanto “ostia”, “viatico” etc., non avrà il compito<br />
di produrre quel che qui è pensato come gesto di autotutela?<br />
(vedremo più avanti il ricorso ad un bacio autoerotico): “Et avant<br />
de me rendormir,"me rappelant bien que le curé était mort et<br />
que j’avais les"cheveux courts, j’avais tout de même soin de me<br />
faire avec"cimenter avec l’oreiller, le drap et la couverture, mon<br />
mouchoir et le mur un nid protecteur, où je avant de rentrer<br />
dans"ce monde bizarre où tout de même le curé vivait et j’avais<br />
des"boucles”.<br />
16) Qui il Narratore incrocia altre sensazioni – quelle relative alla<br />
masturbazione, arte impoetica e poetica insieme – che<br />
equivalgono a quelle oniriche. Qui scoppia il grido di gioia: esse<br />
coincidono con “le son des cloches de Pâques”. Ma il Narratore<br />
capisce che queste sensazioni – provate in occasione della<br />
masturbazione possono successivamente tornare soltanto in<br />
sogno. Da cui il diventare del sogno, da dura legge, anche<br />
alcova di piacere: “Des sensations qui < elles"aussi > ne<br />
reviendront plus, qu’en rêve”.<br />
17) Meglio ancora: il Narratore, di queste sensazioni osa parlare<br />
solo in quanto oniriche: “De ces"sensations là je n'oserais pas<br />
parler, si elles ne revenaient / si elles"n’étaient à cette époque<br />
quelquefois revenues dans mon sommeil”.<br />
18) In quanto sensazioni oniriche – o che sono capaci di inaugurare<br />
il sogno – esse coincidono con il primo amore che è<br />
“involontario”: “La Rochefoucauld a dit que nos premières<br />
amours"seules sont involontaires. Il en est ainsi aussi de ces<br />
plaisirs"solitaires qui plus tard ne nous servent qu’à tromper<br />
l’absence"d'une femme, à nous figurer qu’elle est avec elle”.<br />
19) Si può, quindi, affermare che l’autoerotismo è “involontario” (A).<br />
20) Aggettiveremo ulteriormente questo piacere. Proseguiamo:<br />
questo piacere il Narratore lo cerca, per la prima volta, nel<br />
cabinet chiuso. Qui succede qualcosa di interessante: il<br />
Narratore chiuderà nel momento culminante le finestra; ma l’iris<br />
o il lillà (il giovane lillà) che si è intromesso attraverso un<br />
interstizio, fungerà da testimone (il seme – frutto proibito –<br />
andrà “come” a rompere il suo ramo...). La finestra è un
39<br />
elemento centrale della scena. Qui non una via per spiare<br />
qualcun altro, ma una via attraverso la quale giungono i<br />
testimoni del nostro piacere: “Mais à douze"ans quand [...] j’allai<br />
m'enfermer pour"la 1 re fois dans le cabinet [...] où des colliers de<br />
graines d’iris"étaient suspendus, < ce que je venais chercher ><br />
c'était un"plaisir inconnu, special original, qui n’était pas<br />
la"substitution d’un autre”.<br />
21) Intanto, un’altra definizione del piacere autoerotico: esso è<br />
“originale” (B); non sostituisce un altro (sarà il contrario: ogni<br />
altro piacere sostituirà quello autoerotico; ma, non trascuriamo<br />
che qui si tratta del “prino” piacere autoerotico (“pour"la 1 re fois”;<br />
‘La Rochefoucauld a dit qu’on n’aime qu’une fois dansa sa vie.<br />
“Les autres amours sont moins involontaires’” [C5, 265]).<br />
22) A dire il vero c’è anche una esibizione; si potrebbe dire che il<br />
primo piacere (proprio per questo “amore”) autoerotico è<br />
condiviso con un giovane fiore: “Elle fermait parfaitement à<br />
clefs, mais la fenêtre"en était toujours ouverte laissant passage<br />
à un jeune lilas qui"avait poussé sur le mur extérieur et [...] avait<br />
passé par"l'entrebaillement sa tête odorante. Si haut (dans les<br />
combles"du château) j’étais absolument seul mais cette<br />
apparence d’être"en plein air [...] ajoutait un trouble délicieux<br />
[...] au sentiment de sécurité que de solides verroux donnaient<br />
à ma solitude”.<br />
23) Una terza definizione (C): piacere autoerotico, condiviso con un<br />
giovane lillà, non è esteriore ma interiore: “L’exploration que je<br />
fis alors en moi-même à la recherche d’un plaisir que je ne<br />
connaissais pas”.<br />
24) La precisazione che il piacere, quello provato la prima volta<br />
(vedi sopra), oltre che essere autoerotico è anche “interiore” è<br />
essenziale. L’“en moi-même” è l’antesignano dell’interiorità di<br />
tutto, piacere e dispiacere. E richiama l’invito di San Agostino:<br />
“Noli foras ire. In te ipsum redi. In interiore homine, habitat<br />
veritas”.<br />
25) Quarta definizione (D): è extra-temporale: “[L’exploration] ne<br />
m’aurait pas donné plus d’émoi, plus"d’effroi, s’il s’était agi pour<br />
moi de pratiquer à même ma"moëlle et mon cerveau une<br />
opération chirurgicale. À tout"moment je croyais que j’allais<br />
mourir. Mais que m’importait,"ma pensée exaltée par le plaisir<br />
sentait bien qu’elle était plus"vaste, plus puissante que ce<br />
monde cet univers que j'apercevais"au loin par la fenêtre et que<br />
/ dont en temps habituel où dans"l’immensité et l’éternité duquel<br />
je pensais < en temps habituel > avec tristesse que je n’étais
40<br />
qu’une parcelle éphémère."En ce moment aussi loin que les<br />
nuages s’arrondissaient audessus de la forêt, je sentais que<br />
mon esprit allait encore un"peu plus loin, qu’il / et laissait entre<br />
la fin / l’extrémité des choses et"n’était pas entièrement rempli<br />
par elles, laissait une petite"marge encore. Mon regard Je<br />
sentais mon regard puissant dans"mes prunelles porter comme<br />
de simples reflets sans réalité les"belles collines bombées qui<br />
s’élevaient comme des seins"des deux côtés du fleuve. Tout<br />
cela reposait sur moi, j’étais"plus que tout cela, je ne pouvais<br />
mourir”.<br />
26) In un frammento anteriore: “Je ressuscitais à une vie où je<br />
n’avait / j’éprouve en dormant les sensations des années<br />
pendant lesquels j’épruvais ces sensations, ces idées bizarres<br />
d’un autre temps que nous ne pensions plus pouvoir jamais<br />
ressentir [...]” (C5, 259-260). Qui l’aggettivazione “bizzarro”,<br />
prima usata per qualificare il regno del terrore (vedi anche “ce<br />
mond bizarre où j’avais de nouveau des boucles” [C1, 275]),<br />
caratterizza il regno del passato, del risuscitato.<br />
27) Ad ogni modo, le sensazioni sono “détachées de toute ma vie<br />
présente”. 42<br />
28) A questo punto il frutto della eiaculazione appare insieme come<br />
il frutto proibito che, colto, dà accesso alla conoscenza; ma<br />
anche come il tramite per l’accesso alla tenerezza. In ogni caso,<br />
all’io interiore: “À ce moment l’odeur du lilas je sentis < comme<br />
> une"tendresse qui m’entourait, ‘'était l’odeur du lilas que<br />
dans"mon exaltation j’avais cessé de percevoir et qui venait à<br />
moi,"qui venait à moi comme [...]. Mais une odeur âcre qui <<br />
une odeur de séve > s’y"mêlait comme si j’eusse cassé la<br />
branche; j’avais seulement"laissé sur la feuille une trace<br />
argentée et naturelle, comme le"fait le fil de la vierge ou le<br />
colimaçon. Mais sur cette branche"il m’apparaissait [une trace<br />
argentée et naturelle], comme le fruit défendu dans le sur<br />
l’arbre"du mal. Et comme les peuples qui donnent à leurs<br />
divinités"des formes inorganisées, ce fut sous [...] l’apparence<br />
[...] ce fil d’argent qu’on pouvait tendre presque<br />
indéfiniment"sans le faire finir [...] et que je devais tirer de moi-<br />
42 “< C’étaient aussi > d’autres impressions, à peine plus moins anciennes, < mais<br />
> si basses qu’un écrivain serait inexcusable de les dépeindre si l’impossibilité où<br />
on est de les ressentir une fois passée la première adolescence, ne fais[ait] leur en<br />
laissant le parfum, donnait quand elles passaient se montraient dans mes rêves ce<br />
charme d’être détachées de tout lien avec la réalité terre, de s’y épanuir comme<br />
des fleurs d’eau [...]” (C5, 254-265).
41<br />
même, en allant tout au rebours de ma vie naturelle, que je me<br />
représentais dès lors et pour quelque temps le diable”.<br />
29) La divinità e il diavolo coincidono? Sicuramente l’Antico<br />
Testamento è diventato un altro Nuovo Testamento = il sogno è<br />
diventato, da luogo di terrore, luogo di scoperta (e di scoperta<br />
della vita eterna = della conoscenza).<br />
30) Si dovrebbe concluderne che la Recherche produce una rottura<br />
epistemologica ed esistenziale tra Antico e Nuovo Testamento<br />
e un’altra prospettiva...<br />
31) Richiamiamo un frammento anteriore semplificandolo al<br />
massimo: “Je me rendormais. Parfois pendant mon sommeil,<br />
Comme"Eve [...] sortit d’une côte d’Adam, une femme [...]<br />
s’élevait dune fausse position de ma cuisse. [...]. < Je<br />
l’embrassais, > Je m’éveillais. [...]. < le reste du monde<br />
m’apparaissait comme bien peu réel auprés"de celle que je<br />
venais de quitter, > j’avais encore aux lèvres le goût de la<br />
saveur de sa"joue [...]. Bientôt j’avais"oublié la fille voluptueuse<br />
de mon rève, aussi vite que si ç’avait été une amante véritable.<br />
[...]. D’autres fois [...] j’errais en dormant dans ces années<br />
perdues dont les portes ne se"rouvraient pour nous que dans le<br />
sommeil. Et mon rêve / Dans mon réve j'étais"< devenu > celui<br />
que je n'avais plus cru possible d'être jamais” (C5, 264).<br />
3) Nous nous sommes embarques<br />
Imbarchiamoci nel sogno di <strong>Proust</strong>. O meglio, in quella sorta di<br />
passaggio continuo dalla veglia al sogno e dal sogno alla veglia,<br />
transitando per la zona umtratile e luminescente che è il dormiveglia:<br />
ogni interpretazione onirica, vigile e semi-vigile, in un circolo<br />
ermeneutico senza fine, diventa meta-intepretazione di tutte le<br />
interpretazioni precedenti.<br />
“C’est le m[oment] l’heure où le malade qui passe la nuit dans<br />
un hotel étranger et qui est éveillé par un crise affreuse, se réjouit en<br />
apercevant sous la porte une raie de jour. 43 Quel bonheur, il pourra<br />
sonner, on vientra lui porter secours. À ce moment la raie de jour qui<br />
brillait sous sa porte s’éteint. C’est minuit, on vient d’éteindre le gaz<br />
43 Alla “raie de jour” dell’incipit di Du côté de chez Swann, corrisponderà, alla fine<br />
de À l’ombre des jeunes filles en fleurs, un “pan de soleil”. All’ultimo momento<br />
<strong>Proust</strong> trasferisce in questo volume la scena dell’apertura delle tende della camera<br />
di Balbec da parte di Fraçoise: gioioso contrasto con i “couchers” e i “reveils”<br />
inquieti che iniziano il romanzo... e lo assillano.
42<br />
qu'il avait pris pour le matin et il lui faudra rester toute"la longue nuit à<br />
souffrir intolérablement, sans secours. J’éteignais, je me rendormais.<br />
Quelquefois comme Eve naquit"d’une côte d’Adam, une femme<br />
s’élevait naissait d'une fausse"position de ma cuisse. Pétrie du<br />
Formée par le plaisir que"j’étais sur le point de goûter, je m’imaginai<br />
que c’était elle"qui me l'offrait. Mon corps qui sentait en elle sa<br />
propre"chaleur voulait se rejoindre à elle, je m’éveillais. Tout le"reste<br />
des humains m’apparaissait comme bien lointain à"c[ôté] / auprès au<br />
prix de cette femme que venais de quitter,"avec qui j’avais connu tant<br />
de plaisir; c’était la plus récente"et la plus / et je l’avais vue de cette<br />
manière j’avais la tête joue"< encore > chaude encore de ces<br />
baisers, le corps courbaturé par le poids de sa taille. Puis / Bientôt<br />
Peu à peu, j’avais"son souvenir se dissipait s’évanouissait; et bientôt<br />
j’avais oublié"la fille de mon rêve < maintenant > aussi vite que si<br />
c’eut"été une amante véritable. D’autres fois je rentrais me<br />
promenais en dormant dans ces jours de notre enfance, j’éprouvais<br />
sans effort ces sensations qui ont à jamais disparu avec"la dixième<br />
année et que, dans leur insignifiance nous voudrions tant connaître<br />
de nouveau, comme quelqu’un qui"saurait ne plus jamais revoir l’été<br />
aurait aussi bien la nostalgie"même du bruit des mouches qui est<br />
dans la chambre qui"signifie le chaud soleil dehors, même du<br />
grincement des"moustiques qui signifie la nuit parfumée. Je rêvais<br />
que notre"vieux curé allait me tirer par mes boucles, ce qui avait été<br />
la"terreur, < la dure Loi >, de mon enfance. Cette La chute<br />
de"Kronos, la découverte de Prométhée, la naissance du Christ"<br />
avaient pas pu modifier aussi complètement soulever aussi haut"le<br />
ciel audessus de l’humanité jusque là écrasée, que n’avait"fait la<br />
coupe de mes boucles, qui avait entraîné avec elle à "jamais<br />
l’affreuse appréhension. À vrai dire d’autres cra[intes]"souffrances et<br />
d’autres craintes l’avaient peut’être remplacée, mais si différentes<br />
que c’était le monde de la nouvelle Loi mais l’axe"du monde avait été<br />
déplacé. Ce monde de l’ancienne loi j’y"rentrais aisément en<br />
dormant, je ne m’éveillais qu’au moment"où le curé me ayant<br />
vainement essayé d’échapper au pauvre"curé, mort aprés tant<br />
d’années, je sentais mes boucles"vivement tirées derrière ma tête. Et<br />
avant de me rendormir,"me rappelant bien que le curé était mort et<br />
que j’avais les"cheveux courts, j’avais tout de même soin de me faire<br />
avec"cimenter avec l’oreiller, le drap et la couverture, mon mouchoir<br />
et le mur un nid protecteur, où je avant de rentrer dans"ce monde<br />
bizarre où tout de même le curé vivait et j’avais des"boucles. Il y a<br />
d’autres sensations encore qui caractérisent une enfance à peine"un<br />
peu plus adolescente. Elles sont de celles dont on ne devrait
43<br />
pas"parler si elles / pourrait pas parler, si elles < n’ > étaient<br />
exclusivement attachées à un âge si lointain, qu’elles / Parmi<br />
d’autres sensations par elles mêmes peu poétiques qui sont si<br />
inséparables d’un âge"[pass. illis.]. / Il est des sensations Des<br />
sensations qui < elles"aussi > ne reviendront plus, qu’en rêve,<br />
caractérisent les"années qui suivent, et si peu poetiques qu’elles<br />
soient, se"chargent de toute la poésie de cet âge, comme rien ne<br />
n’est"si plein du son des cloches de Pâques et des premières<br />
violettes"que ces derniers froids de l’année qui gâtait<br />
nos"vacances et forcaient à faire du feu pour le déjeuner. De<br />
ces"sensations là je n'oserais pas parler, si elles ne revenaient / si<br />
elles"n’étaient à cette époque quelquefois revenues dans mon<br />
sommeil qui"revenaient alors quelquefois dans mom sommeil je<br />
n’oserais"pas parler, si elles n’y apparaissaient étaient apparues,<br />
presque"poetiques, détachées de toute ma vie présente, comme<br />
blanches"comme ces fleurs d’eau qu'on dont la racine ne tient pas à<br />
la"terre. La Rochefoucauld a dit que nos premières amours"seules<br />
sont involontaires. Il en est ainsi aussi de ces plaisirs"solitaires qui<br />
plus tard ne nous servent qu’à tromper l’absence"d’une femme, à<br />
nous figurer qu’elle est avec elle. Mais à douze"ans quand on va<br />
s’enfermer la 1 re foi[s] j’allai m’enfermer pour"la 1 re fois dans le<br />
cabinet qui était en haut du château et < de"notre maison à Combray<br />
> où des colliers de graines d’iris"étaient suspendus, < ce que je<br />
venais chercher > c’était un"plaisir inconnu, special original, qui<br />
n’était pas la" substitution d’un autre. La fenêtre C’était, pour des<br />
cabinets"une très grande pièce; le plaisir / sentiment de sécurité que<br />
j’avais"à y être enfermé seul était rendu plus troublant par la fenêtre<br />
ouverte où un jeune lilas, poussé dans l'interstice du mur venait<br />
passer sa tête odorante. Elle fermait parfaitement à clefs, mais la<br />
fenêtre"en était toujours ouverte laissant passage à un jeune lilas<br />
qui"avait poussé sur le mur extérieur et passait avait passé<br />
par"l’entrebaillement sa tête odorante. Si haut (dans les combles"du<br />
château) j’étais absolument seul mais cette apparence d’être"en plein<br />
air, non séparé ajoutait un trouble délicieux à la solitu[de] au<br />
sentiment de sécurité que de solides verroux donnaient à ma<br />
solitude. L'exploration que je fis alors en moi-même à la recherche<br />
d’un plaisir que je ne connaissais pas"n’aurait pas été ne m’aurait<br />
pas donné plus d’émoi, plus"d’effroi, s’il s’était agi pour moi de<br />
pratiquer à même ma" moëlle et mon cerveau une opération<br />
chirurgicale. À tout"moment je croyais que j’allais mourir. Mais que<br />
m’importait, "ma pensée exaltée par le plaisir sentait bien qu’elle était<br />
plus"vaste, plus puissante que ce monde cet univers que
44<br />
j'apercevais"au loin par la fenêtre et que / dont en temps habituel où<br />
dans"l’immensité et l’éternité duquel je pensais < en temps habituel ><br />
avec tristesse que je n’étais qu’une parcelle éphémère. "En ce<br />
moment aussi loin que les nuages s’arrondissaient audessus de la<br />
forêt, je sentais que mon esprit allait encore un"peu plus loin, qu’il / et<br />
laissait entre la fin / l’extrémité des choses et"n’était pas entièrement<br />
rempli par elles, laissait une petite"marge encore. Mon regard Je<br />
sentais mon regard puissant dans"mes prunelles porter comme de<br />
simples reflets sans réalité les" belles collines bombées qui<br />
s’élevaient comme des seins"des deux côtés du fleuve. Tout cela<br />
reposait sur moi, j’étais"plus que tout cela, je ne pouvais mourir.<br />
J’avais Je repris"haleine un instant; pour m’asseoir sur le siège sans<br />
être"dérangé par le soleil qui le chauffait, je lui dis: ôte toi de là mon<br />
petit que je m’y mette et je tirai le rideau de la fenêtre, mais la<br />
branche du lilas l’empéchait de fermer. Enfin tout s’éleva un pâle jet<br />
d’opale, par élans successifs, comme, au moment où il s’élance, le<br />
jet d'eau de S t Cloud que / dont"j’ai que j’ai reconnu nous pouvons<br />
reconnaître – car un jet"d’eau / il dans l’écoulement incessant de ses<br />
eaux, il a sa"per[sonnalité] son individualité que dessine<br />
gracieusement sa"courbe résistante – dans un portrait qu’en a laissé<br />
Hubert Robert"nle portrait qu’en a laissé Hubert Robert, alors<br />
seulement"que la foule qui l'admirait avait des [[[qui <strong>Proust</strong> ha<br />
lasciato “un mot en blanc]]] qui font dans le tableau"du vieux maître<br />
des petites valves roses, vermillonnées ou"noires. À ce moment<br />
l'odeur du lilas je sentis < comme > une"tendresse qui m’entourait,<br />
c’était l'odeur du lilas que dans"mon exaltation j’avais cessé de<br />
percevoir et qui venait à moi,"qui venait à moi comme [...]. Mais une<br />
odeur âcre qui < une odeur de séve > s’y"mêlait comme si j’eusse<br />
cassé la branche; j’avais seulement"laissé sur la feuille une trace<br />
argentée et naturelle, comme le" fait le fil de la vierge ou le<br />
colimaçon. Mais sur cette branche"il m’apparaissait comme le fruit<br />
défendu dans le sur l’arbre"du mal. Et comme les peuples qui<br />
donnent à leurs divinités"des formes inorganisées, ce fut sous cette<br />
l’apparence de cette "ce fil d’argent qu’on pouvait tendre presque<br />
indéfiniment"sans le faire finir, que / et et que je devais tirer de moimême,"en<br />
allant tout au rebours de ma vie naturelle, que je me<br />
représentai dès lors et pour quelque temps le diable. Malgré<br />
cette"odeur de branche cassée, de linge mouillé, c’était la<br />
tendre"odeur < ce qui surnageait c’était la tendre odeur des lilas,"elle<br />
venait à moi comme tous les jours > (C1, 267-271).
45<br />
Cap. 3<br />
L’EXTRA-TEMPORALE<br />
Da Il tempo ritrovato (870 sgg.; 199 sgg.).<br />
Qual è il meccanismo che opera nella memoria involontaria?<br />
Esemplifichiamo a partire dal primo degli interventi della m.i. nel<br />
preambolo della matinée (in una sorta di rincorsa ne avvengono uno<br />
di seguito all’altro una mezza dozzina).<br />
Tra la sensazione del lastricato ineguale di Guermantes e le<br />
lastre diseguali del battistero di Venezia (etc.) c’è una “analogia”; ma<br />
anche un “enorme divario”: esse sono “incomparabili<br />
(incomparables)”. 44<br />
Ciò che le rende incomparabili è la “distanza” che si è<br />
instaurata tra esse: “Sì, se il ricordo, grazie all’oblio (grâce à l’oubli),<br />
non ha potuto contrarre nessun legame, gettare nessun ponte tra sé<br />
e il momento presente: se è rimasto nel suo proprio luogo, alla sua<br />
propria data, se ha conservato le distanze, il suo isolamento nella<br />
profondità d’una valle o sulla vetta d’una montagna, esso ci fa di<br />
colpo (tout à coup) respirare un’aria nuova – nuova proprio perché è<br />
un’aria che s’è respirata in passato – quell’aria più pura che invano i<br />
poeti hanno tentato di far regnare in Paradiso, e che non potrebbe<br />
darci questa sensazione profonda di rinnovellamento se non fosse<br />
già stata respirata, perché i veri paradisi sono i paradisi che abbiamo<br />
perduti”.<br />
Le “impressioni” avute nel passato sono andate a raccogliersi<br />
“in mille giare sigillate (mille vases clos)”; 45 nell’oblio; “di colpo”<br />
un’impressione analoga la richiama.<br />
44 “[...] ogni impressione è duplice – per una metà inguainata nell’oggetto, per<br />
l’altra, la sola che potremmo conoscere, prolungata in noi stessi – [...]” (TR, 223).<br />
45 In Jean Santeuil: “Nella nostra bocca aperta che si ode man mano respirare<br />
sempre più profondamente, la notte verserà a lungo le sue urne di oblio (ses outres<br />
d’oubli)” (JS, 296; 127). Una notazione, qui, che preannuncia il nesso strettissimo,<br />
lungo tutta la Ricerca, tra la “vocazione” artistica e la “vocazione” tout court; ad<br />
esempio, da parte del piccolo della madre (nella “scena madre”)... Luc Fraisse: “Et<br />
à Venise, où la mère du Héros a dans le souvenir, ‘sa place réservée et immuable<br />
comme une mosaïque’, n’oublion pas que les deux visiteurs entrent dans l’église<br />
Saint-Marc, ‘foulant tous deux les mosaïques de marbre et de verre du pavage’<br />
(TR, 646). C’est cet instant qui, superposé par la mémoire involontaire à la<br />
sensation de pavés inégaux devant l’hôtel des Guermantes, fait naître en<br />
ressuscitant toutes les découvertes du Temps retrouvé [...]” (L’œuvre cathédrale,<br />
op. cit., p. 315).
46<br />
Fondamentale e il tout à coup, la rottura della continuità<br />
temporale: le impressioni hanno “in comune,” questo: “Che io le<br />
provavo a un tempo (à la fois) nel momento presente e in un<br />
momento lontano, sì da far interferire il passato sul presente (jusq’à<br />
faire empiétier le passé sur le present), da rendermi titubante nello<br />
stabilire in quale dei due mi trovassi (à me faire hésiter à savoir dans<br />
lequel des deux je me trouvais). Invero, l’essere che in me delibava<br />
allora tale impressione la delibava in ciò che essa aveva di comune<br />
(commun) in un giorno trascorso e nel momento presente, in ciò che<br />
aveva di extratemporale (d’extra-temporel): un essere che compariva<br />
solo quando, per una di tali identità tra presente e il passato (par une<br />
de ces identités entre le présent et le passé), gli era possibile trovarsi<br />
nell’unico elemento (dans le seul milieu) in cui gli è dato vivere, e<br />
gioire dell’essenza delle cose: ossia, fuori del tempo (en dehors du<br />
temps)”.<br />
Per l’ingresso nell’extra-temporale (nell’acategoriale),<br />
fondamentale è la fuoriuscita dal presente; ma anche dal passato...<br />
E anche dal futuro: “Questo spiegava come le mie inquietudini<br />
riguardo alla mia morte fossero cessate nello stesso momento in cui<br />
avevo riconosciuto, inconsciamente, il sapore della madeleine, dato<br />
che in quel momento l’essere ch’io ero stato era un essere<br />
extratemporale, e, quindi, incurante delle vicissitudini del futuro”.<br />
Si tratta di un “meraviglioso espediente (expédient) della<br />
natura”; che fa vivere un “autentico momento del passato [...]. Solo<br />
un momento del passato? Molto di più. Forse; qualcosa che, comune<br />
sia al passato sia al presente, è molto più essenziale di entrambi”; è<br />
l’eterno: 46 “e, grazie a questo sotterfugio (grâce à ce subterfuge),<br />
46 “ma tale contemplazione [di “frammenti d’esistenza sottratti al tempo”], sebbene<br />
partecipe dell’eternità (quoique d’éternitè), era fuggitiva”. Tutto il contrario della<br />
“contemplazione d’un passato che l’intelligenza dissecca [...] conservando di essi<br />
[dei frammenti di passato e presente] soltanto quanto conviene al fine utilitario (à la<br />
fin utilitaire), strettamente umano, che essa loro assegna”. Acategoriale come<br />
convenzionale. “Un tale fatto [che la partenza, nel corso della matinée, verso una<br />
“vita nuova” fosse stata provocata da un “ritorno in società” invece che essere<br />
germinata nella solitudine] nulla aveva di straordinario; un’impressione capace di<br />
resuscitare in me l’uomo eterno (l’homme éternel) non essendo necessariamente<br />
legata alla solitudine più che alla società [...]” (TR, 918; 253). “Adesso non era più<br />
così: poiché la felicità che provavo non veniva da una tensione puramente<br />
soggettiva dei nervi che ci isola dal passato ma, al contrario, da un allargamento<br />
della mente in cui si riformava, si attualizzava quel passato, dandomi – ma, ahimè,<br />
momentaneamente – un valore di eternità (une valeur d’éternité)” (TR, 1036; 381).<br />
“Io dico che la legge crudele dell’arte è che gli esseri umani muoiano e che noi<br />
stessi moriamo, dopo aver esaurito tutte le sofferenze, perché cresca l’erba non<br />
dell’oblio, ma della vita eterna (mais de la vie éternelle), l’erba folta delle opere
47<br />
aveva permesso al mio essere di cogliere, di isolare, di fermare, per<br />
la durata d’un lampo (la durée d’un éclair), ciò che di solito esso non<br />
cattura mai: un frammento di tempo allo stato puro (un peu de temps<br />
à l’état pur)”.<br />
Fondamentale<br />
(1) la necessità dell’espediente, del sotterfugio; il quale è, di tutta<br />
evidenza, l’oblio (vedi la formula che si ripete: “grâce à”);<br />
fondamentale<br />
(2) fondamentale... è lo strappo della continuità del tempo; non c’è<br />
nessuna glorificazione dell’istante” (“Fermati, istante, sei<br />
bello!”); c’è solo la constatazione di un lampeggiare (il tout à<br />
coup è consustanziale alla scrittura proustiana). 47<br />
Ma la cosa si complica.<br />
Va al di là del ricordo che rinnovella, grazie all’espediente del<br />
connubio di analogia e dislivello tra impressione presente e<br />
impressione passata: “Ma, anche per quanto concerneva le immagini<br />
d’un altro genere, quelle del ricordo, sapevo che la bellezza di Balbec<br />
io non l’avevo mai trovata (pas trouvée) quando c’ero stato; e<br />
neppure quella che essa aveva lasciata, quella del ricordo, era la<br />
medesima da me ritrovata nel mio secondo soggiorno. Avevo troppo<br />
sperimentato l’impossibilità di attingere nel reale quel che era in<br />
fondo a me stesso”; “Tuttavia, di lì a poco, dopo aver riflettuto su<br />
quelle resurrezioni compiute dalla memoria, mi resi conto che, sotto<br />
altra forma (d’une autre façon), oscure impressioni avevano qualche<br />
volta – e già a Combray, dalla ‘parte di Guermantes’ –, sollecitato il<br />
mio pensiero nella stessa guisa di quelle reminiscenze, ma<br />
racchiudendo in sé non una sensazione passata, bensì una verità<br />
feconde, sulla quale le generazioni future verranno lietamente a far le loro<br />
‘colazioni sull’erba’, incuranti di chi dorme là sotto” (TR, 1038; 388). “La durata<br />
eterna (la durée éternelle) non è promessa ai libri più che agli uomini” (TR, 1043; p.<br />
387)... Come vedete man mano che il narratore procede al compimento dell’opera,<br />
si infittisce il pensiero dell’eterno; ma con inflessioni anche auto-ironiche. Di che<br />
tipo di eternità si tratta? Lo vedremo. Cito dal Contro Sainte-Beuve: “[...] sino ad<br />
attingere l’eterno (l’éternel): quell’eterno che l’impressione contiene al pari d’un<br />
profumo di biancospino o di qualsiasi cosa che si sappia approfondire” (CSB, 308;<br />
111). Da In memoria delle chiese assassinate: “[...] la cui moralità [trattasi delle<br />
realtà che ispirano le opere degli artisti], infine, facendole guardare sotto un<br />
aspetto d’eternità (sous un aspect d’éternité) [...] lo spingeva a sacrificare al<br />
bisogno di percepire e alla necessità di riprodurle, per assicurarne una visone<br />
chiara e durevole, tutti i suoi piaceri, tutti i suoi doveri e financo la stessa vita<br />
(jusqu’à sa proprie vie) [...]” (MCS, 76; 131).<br />
47 Quasi nella medesima pagina, la “durata d’un lampo” è ripresa come “piccola<br />
zona [petite zone]”, “un istante [un instant]” 2vv., “di colpo [instantanément], “di<br />
colpo [tout d’un coup”]...
48<br />
nuova (mais une vérité nouvelle), una immagine preziosa che<br />
cercavo di scoprire, con sforzi simili a quelli che uno compie per<br />
ricordare qualcosa, quasi le nostre idee più belle fossero come motivi<br />
musicali, che ritornino in noi senza che li abbiamo mai uditi (sans que<br />
nous les eussions jamais entendus), e che ci sforziamo di ascoltare,<br />
di trascrivere”.<br />
Quindi<br />
(1) viene ricreata, après-coup, l’esperienza passata non vissuta;<br />
(2) ma, più importante ancora, viene creata ex novo un’esperienza<br />
mai avuta (nell’esempio, una musica mai udita; non<br />
semplicemente “mancata”). 48<br />
Detto diversamente, a parte la vivificazione dell’esperienza<br />
passata tramite il ricordo “involontario” del passato, abbiamo la<br />
costruzione di “figure”: “infatti, si trattasse di reminiscenze sul tipo del<br />
rumore del coltello o del sapore della madeleine, o di quelle verità<br />
scritte con l’ausilio di figure (à l’aide de figures) 49 delle quali cercavo<br />
di cogliere il significato nel mio pensiero [...]”...<br />
Ora, il ricorso alle figure per dire il nuovo corrisponde ad una<br />
creazione; anche se alla creazione di qualcosa di necessario. Quasi<br />
che l’acategoriale sia un altro mondo, retto da altre leggi: “la loro<br />
caratteristica [delle figure] era ch’io non ero libero di sceglierle, che<br />
mi venivan date tali e quali (telles quelles). [...]. Quando al libro<br />
interiore di tali segni sconosciuti (signes inconnus) (segni in rilievo,<br />
sembrava, che la mia attenzione, esplorando il subcosciente [mon<br />
inconscient], cercava, urtava, contornava come un palombaro che<br />
scandagli) nessuno poteva aiutarmi con nessuna regola a decifrarlo:<br />
perché la sua lettura consiste in un atto di creazione (en un acte de<br />
création) in cui nessuno può sostituirci, e nemmeno collaborare con<br />
noi”.<br />
“[...] o meglio, come la vita stessa, quando, raccostando una<br />
qualità comune a due sensazioni (en rapprochant une qualité<br />
commune à deux sensations), ne avrà liberato una l’essenza<br />
comune (leur essence commune) riunendole insieme, per sottrarle<br />
alle contingenze del tempo, in una metafora (dans une métaphore)”<br />
(TR, 889; 221).<br />
48 1913, intervista a É.J. Bois: “[...] nous sentons combien ce passé était différent<br />
de ce que nous croyons nous rappeler, et que notre mémoire volontaire peignait,<br />
comme les mauvais peintres, avec des couleurs sans verité” (Textes retrouvés,<br />
Gallipard, Paris, 1971, p. 289).<br />
49 L’espressione ricorre altre due volte nella medesima pagina: “sa figure<br />
materielle”, “aux caractères figurés”.
49<br />
Un’idea sull’ordito metafora-metonimia in <strong>Proust</strong> secondo<br />
Genette: “In apparenza nel meccanismo della reminiscenza si trova<br />
effettivamente solo l’analogico puro, dato che essa riposa sull’identità<br />
di sensazioni provate a grandissima distanza l’una dall’altra, e nel<br />
tempo e/o nello spazio. [...]. La metafora è ora, apparentemente,<br />
scevra di qualsiasi metonima. [...]. In realtà, l’esperienza reale non<br />
comincia con la percezione di una identità di sensazione, ma con un<br />
sentimento di ‘piacere’, di ‘felicità’ che appare in un primo momento<br />
‘senza la nozione della causa’ [...]. Nel Temps retrouvé, la ‘felicità’<br />
provata porta in sé fin dall’inizio una specificazione sensoriale, delle<br />
‘immagini evocate’, azzurro intenso, frescura, luce, che designano<br />
Venezia ancora prima che sia stata reperita la sensazione comune<br />
[...]. Vediamo dunque che la relazione metaforica non è mai<br />
percepita per prima, e che addirittura, nella maggior parte dei casi,<br />
essa compare solo alla fine dell’esperienza, come la chiave di un<br />
mistero recitato interamente senza di lei”. 50<br />
Creazione, ricreazione...<br />
Difficile dire. 51<br />
Vedi questo passo: “non siamo affatto liberi di fronte all’opera<br />
d’arte, che non la componiamo a nostro piacimento (à notre gré), ma<br />
50 Metonimia in <strong>Proust</strong>, in Figure III. Discorso del racconto, Gérard Genette, 1972,<br />
Einaudi, Torino, 1976, pp. 57-58. 50 “[...] è anche una austera lezione atta a<br />
insegnarci che non agli esseri noi dobbiamo attaccarci, perché non sono essi a<br />
esistere realmente (ce ne sont pas les êtres qui existent réellement) e ad essere<br />
quindi passibili d’espressione, bensì le idee” (TR, 908; 241). Non so come mai<br />
Spitzer, per dimostrare l’auto-ironia con cui <strong>Proust</strong> avvicina anche i temi più sacri<br />
(come quello dell’“essenza”) invece dell’immersione dell’intuizione sensibile in un<br />
fluido spirituale, non cita il passo seguente: “Mi sembrava che quelle sfumature<br />
celesti rivelassero le deliziose creature che si erano divertite a metamorfosarsi in<br />
legumi e che attraverso il travestimento della loro carne salda e commestibile<br />
lasciavano scorgere in quei colori teneri d’aurora, in quegli accenni d’arcobaleno, in<br />
quello spegnersi di sere azzurre, l’essenza preziosa (cette essence précieuse) che<br />
io potevo ancora riconoscere quando, dopo che ne avevo mangiato a pranzo,<br />
giocavano per tutta la notte lo scherzo, poetico e grossolano come una<br />
fantasmagoria di Shakespeare, di trasformare il mio vaso da notte in una<br />
profumiera” (SW,121; 147-148) (Spitzer, op. cit., p. 289). Già in Jean Santeuil:<br />
“Alors je sens [...] dans telle odeur de cabinet de toilette où les savons ont été<br />
trempées [...]. l’essence variée et individuelle de la vie en bateau [...] dans un<br />
cabinet de toilette [...]” (JS, 400-401).<br />
51 Utile questo passaggio dal Contro Sainte-Beuve: “Ma – si obietterà – Gérard, per<br />
comporre Sylvie, si recò a rivedere il Valois. Verissimo. La passione considera<br />
reale il proprio oggetto; l’amante di sogno di un paese (l’amant de rêve d’un pays)<br />
vuole vederlo; altrimenti, non sarebbe sincero: <strong>Marcel</strong> Prévost si dice: ‘si tratta di<br />
un sogno, restiamocene a casa’. Ma, tutto sommato, solo l’inesprimibile, solo quel<br />
che si credeva di non poter far entrare in un libro, resta in questo (CSB, 241; 41).
50<br />
che, preesistente a noi (préxistante à nous), dobbiamo, dacché è a<br />
un tempo necessaria e nascosta, e come faremmo per una legge<br />
della natura, scoprirla”.<br />
Questa realtà – la “nostra vera vita (notre vraie vie)” – che si<br />
scopre è quella nascosta nell’acategoriale?<br />
L’accesso al quale comporta quello sconvolgimento della vita<br />
normale che si incarna nell’opera d’arte? 52<br />
Citiamo da <strong>Proust</strong> palimseste di Genette in Figures I: “Comment<br />
concevoir en effet qu’une métaphore, c’est à dire un déplacement, un<br />
transfert de sensations d’un objet sur un autre, puisse nous conduire<br />
à l’essence de cet objet? Comment admettre que la ‘vérité profonde’<br />
d’une chose, cette vérité particulière et ‘distincte’ que cherche <strong>Proust</strong>,<br />
puisse se révéler dans une figure qui n’en dégage les propriétés<br />
qu’en les transposant, c’est-à-dire en les aliénant? Ce que rélève la<br />
réminiscence, c’est une ‘essence commune’ aux sensations et, à<br />
travers elles, aux objets qui les éveillent en nous, et dont l’écrivain<br />
doit ‘poser le rapport’ dans une métaphore. Mais qu’est-ce qu’une<br />
essence commune, sinon une abstraction, c’est-à-dire ce que <strong>Proust</strong><br />
veut éviter à tout prix, et comment une description fondée sur le<br />
‘rapport’ de deux objets ne risquerait-elle pas plutôt de faire<br />
s’évanouir l’essence de chacun d’eux?” 53<br />
Semplificando: scoprire l’analogia tra una sensazione presente<br />
ed una sensazione passata, secondo <strong>Proust</strong>, porta all’annullamento<br />
delle distanze temporali e schiude “une minute affranchie de l’ordre<br />
du temps”... Commenta Genette: “L’objet présent n’est alors qu’un<br />
prétext, qu’une occasion: il s’évanouit aussitôt qu’il a rempli sa<br />
fonction mnémonique. Aussi bien n’y a-t-il pas ici de véritable<br />
métaphore, puisqu’un des termes en serait purement accessoire.<br />
L’‘essence commune’ se réduit en fait à la sensation ancienne dont<br />
l’autre n’est que le véhicule” (46-47)...<br />
Ad esempio, il Narratore, per descrivere il mare che gli appare<br />
dalla finestra del Grand Hôtel, utilizza dei termini alpestri... Domanda:<br />
“Mais on ne voit pas que cet éblouissant contrepoit de mer et de<br />
montagne nous conduise à l’‘essence’ de l’une ou de l’autre. Nous<br />
nous trouvons devant un paysage paradoxale où la montagne et la<br />
mer ont changé leurs qualités et pour ainsi dire leurs substances, où<br />
la montagne s’est faite mer et la mer montagne, et rien n’est plus loin<br />
52 “mi accorgevo che quel libro essenziale, l’unico vero libro, un grande scrittore<br />
non ha, nel senso comune della parola, da inventarlo, in quanto esiste già in<br />
ognuno di noi, ma da tradurlo. Il dovere e il compito di uno scrittore sono quelli d’un<br />
traduttore” (dell’acategoriale?) (TR, 222).<br />
53 Éd. du Seuil, Paris, 1966, pp. 45-46.
51<br />
que cette sorte de vertige, du sentiment de stable assurance que<br />
devrait nous inspirer une véritable vision des essences” (48)...<br />
Il pensiero di Genette dovrebbe essere ulteriormente articolato.<br />
La mia reazione: certo!, siamo colti da vertigine... perché non<br />
approdiamo all’essenza delle cose, ma all’interstizio tra le cose, all’atemporale<br />
(e all’a-spaziale). A proposito del compimento dell’opera e<br />
del suo non compimento: “La Recherche du temps perdu est, comme<br />
le dit Blanchot, une œuvre ‘achevée-inachevée’, mais sa lecture<br />
même s’achève dans l’inachèvement, toujours en suspens, toujours<br />
‘à reprendere’, quisqu’elle trouve son objet sans cesse relancé dans<br />
une vertigineuse rotation” (ibidem, p. 63).<br />
Citiamo un passo famoso – anche perché sembrerebbe<br />
annunciare una sorta di psicologia del profondo! – dalle ultime<br />
pagine del Tempo ritrovato: “E, senza dubbio, tutti quei piani diversi<br />
sui quali il Tempo, dopo che l’avevo riafferrato durante quel<br />
ricevimento, disponeva la mia vita, inducendomi a pensare che, in un<br />
libro che volesse raccontare una vita, sarebbe stato necessario<br />
usare, anziché la psicologia piana usata di solito, una specie di<br />
psicologia dello spazio, aggiungevano una bellezza nuova (nouvelle)<br />
alle resurrezioni operate dalla mia memoria involontaria, mentre<br />
stavo solo a pensare nella biblioteca, poiché la memoria,<br />
introducendo il passato nel presente senza alterarlo (sans le<br />
modifier), qual era (tel qu’il était) nel momento in cui era esso il<br />
presente, sopprime (supprime) appunto quella grande dimensione<br />
del Tempo secondo la quale si attua la vita” (TR, 1031; p. 373).<br />
Quindi, la memoria involontaria recupera il passato (quel che ci<br />
è accaduto ma che non abbiamo vissuto; e non avremmo potuto<br />
viverlo perché, ce lo insegna <strong>Proust</strong>, si vive sempre e solo aprèscoup),<br />
tel quel!<br />
Allora è una ricreazione!<br />
A questo approdo ci spinge l’identificazione di un’esperienza<br />
telle quelle... Ma dobbiamo fare attenzione al fatto che questo telquel<br />
non c’è mai stato. E quando “avviene” (ac-cade nell’animo, nella<br />
mente, nel corpo)... avviene (ac-cade) raramente (al Narratore, in<br />
modo compiuto, solo alla fine della sua vita, all’inizio della matinée<br />
dei Guermantes).<br />
Infatti, l’ac-cadere tel quel del passato nel presente, tel quel un<br />
altro presente, comporta l’eliminazione della dimensione del Tempo;<br />
avvia all’acategoriale anche se, introducendolo l’acategoriale nel libro<br />
di una vita, lo categorizza.<br />
Abbiamo parlato a proposito di Kafka di categorizzazione<br />
dell’acategoriale.
52<br />
Vedremo meglio più avanti, ma possiamo anticipare che il<br />
tempo perduto è quello vissuto dentro le categorie: memoria<br />
volontaria, intelligenza, psicologia piana; quello ritrovato non è il<br />
tempo passato nel senso di “storicamente” passato; il tempo<br />
“anteriore”; quello ritrovato è il tempo/non-tempo, l’extra-temporale,<br />
l’acategoriale; l’eterno; ma non nel senso che dura per sempre, che<br />
non finisce più, perché subentra infine l’immortalità; ma perché, nel<br />
breve spazio della vita mortale ci è dato – dalla memoria involontaria<br />
(una sorta di grazia) – cogliere l’acategoriale e iscriverlo nella<br />
dimensione della nostra vita (del tempo).<br />
La ricerca (del tempo perduto) è ricerca del divino, dell’eterno<br />
che solo a pochi, e a quei pochi solo talora, è dato (se lo cercano).<br />
Un evidente paradosso; quello della combinazione di<br />
involontarietà e di sforzo, di intelligenza profonda e intelligenza<br />
piana; qualcosa come la combinazione di opere e grazia dove è<br />
proprio, forse, il fallimento dell’opera che produce la grazia: “Dove il<br />
peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata” (Romani, 5, 20). 54<br />
“Ma – e ancora in seguito, come già vari episodi hanno potuto<br />
dimostrarlo – il fatto che l’intelligenza non sia lo strumento più sottile,<br />
più potente, più appropriato per afferrare il vero, è solo un’ulteriore<br />
ragione per cominciare con l’aiuto dell’intelligenza, e non con l’intuito<br />
dell’inconscio, non con una fede elementare nei presentimenti. È la<br />
vita che, a poco a poco, caso per caso, ci permette di notare come<br />
quel che è maggiormente importante per il nostro cuore, o per il<br />
nostro spirito (esprit) non ci sia insegnato dal ragionamento, ma da<br />
altri poteri. E allora l’intelligenza stessa, rendendosi conto della<br />
superiorità di questi, abdica ragionevolmente di fronte a loro e<br />
accetta di diventarne collaboratrice e serva. È la fede sperimentale<br />
(foi expérimentale)” (????????); vedi <strong>Proust</strong> di Roger Shattuck,<br />
1974, Mondadori, 1991, pp. 144-151: “fois expérimentale. Credo<br />
scientifico. Esperimento pieno di fede. Intelligenza e intuizione<br />
lavorano insieme, controllandosi e incoraggiandosi l’una l’altra”.<br />
54 “Esto peccator et pecca fortiter, sed fortius fide et gaude in Christo” (Sii pure<br />
peccatore, pecca coraggiosamente, ma ancor più coraggiosamente confida e<br />
rallegrati in Cristo)” (Lutero, lettera a Melantone del 1° agosto 1521, edizione di<br />
Weimar, WA Br 2, n. 424. La traduzione è di Silvana Nitti. Vedi il suo Abituarsi alla<br />
libertà. Lutero alla Wartburg, Claudiana, Torino, 2008). Ma forse ha ragione Citati:<br />
“Anche la rivelazione di <strong>Marcel</strong> è un dono: non importa parlare di grazia o di caso,<br />
perché nel mondo moderno la grazia prende l’aspetto e il nome del caso” (op. cit.,<br />
p. 375).
54<br />
Cap. 4<br />
DUE MODI DI “ESSERE LETTERATURA” (KAFKA E PROUST)<br />
1) Essere letteratura<br />
La soluzione proustiana [...] consiste nella negazione del<br />
Tempo e della Morte, nella negazione della Morte in<br />
conseguenza della negazione del Tempo. La Morte è<br />
morta in quanto il Tempo è morto. [...]. (A questo punto<br />
una breve impertinenza consistente nel considerare Le<br />
Temps retrouvé altrettanto inadeguato come titolo, per<br />
quanto riguarda la soluzione proustiana, quando Delitto e<br />
Castigo lo è di un’opera che non contiene alcuna<br />
allusione né al delitto né al castigo. Il tempo non è<br />
ritrovato, è negato. [...]. <strong>Proust</strong> è questo soggetto puro.<br />
Egli è quasi esente dall’impurità della volontà. [...].<br />
Quando il soggetto è esente da volontà, l’oggetto è<br />
esente da casualità (Tempo e Spazio presi insieme). 55<br />
<strong>Proust</strong>: “La vraie vie, la vie enfin découverte et éclaircie, la<br />
seule vie par conséquent réelment vécue, c’est la littérature; cette vie<br />
qui, en un sens, habite à chaque instant chez tous les hommes aussi<br />
bien que chez l’artiste” (TR, 895) + “Pour ceux qui, comme moi,<br />
croient que la littérature est la dernière espression del la vie [...]”<br />
(lettera a Louis de Robert, 24 marzo 1911, CORR, X, 271). Kafka: “Io<br />
non ho un interesse letterario, ma sono fatto di letteratura, non sono<br />
e non posso essere altro” (lettera a Felice del 14.VIII.1913). 56<br />
55 <strong>Proust</strong>, Samuel Bechett, 1929, <strong>Su</strong>garCo Ed., Milano, 1978, p. 79. “L’inizio è un<br />
ricominciare. In realtà questi libri non possono nemmeno avere una fine; che<br />
finiscano è una concessione alla limitatezza della nostra vita fisica legata alla<br />
materia finita. Per il tempo che seguiamo <strong>Proust</strong> siamo immessi nell’infinita<br />
corrente dello spirito che non conosce l’arresto e la morte. [...]. Quest’arte [...] non<br />
tende in avanti ma in profondità, non vuole precorrere il tempo ma vuole uscire dal<br />
tempo” (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Ernst Robert Curtius, 1925, Il Mulino, Bologna, 1985, pp.<br />
90, 98).<br />
56 “Ich habe kein literarisches Interesse, sondern bestehe aus Literatur, ich bin<br />
nichts anderes und kann nichts anderes sein” (Briefe an Felice, Fischer, Frankfurt,<br />
2003; tr. it. Lettere a Felice, Mondadori, Milano, 1974). La lettera prosegue:<br />
“Recentemente in una Storia della credenza del diavolo ho letto questo racconto.
55<br />
In una lettera a Milena (9.VIII.1920) Kafka sembra suggerire<br />
una coesistenza di letteratura ed angoscia: “[...] anzi sono fatto di<br />
essa [di angoscia] ed essa è forse la mia parte migliore”. 57<br />
Risultano abbastanza evidenti: (1) nella famosa distinzione tra<br />
letteratura e vita, l’appartenenza totale alla vita; (2) la definizione di<br />
questa appartenenza come angoscia. Quasi che l’astrazione dalla<br />
vita in cerca, nelle parole di <strong>Proust</strong>, della “vita vera”, non possa<br />
dissociarsi dall’angoscia.<br />
Come vedremo tra poco: come l’ozio non possa dissociarsi<br />
dalla malattia.<br />
2) Letteratura e ozio<br />
Tra tutti gli interventi critici a sfavore del Du côté de chez<br />
Swann, al momento della sua pubblicazione nel 1914, citiamo quello<br />
di Henri Ghéon: “Si sente che <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> ha davanti a sé tutto il<br />
tempo necessario per maturare, mettere insieme, portare a<br />
compimento un’opera considerevole. Il tempo è tutto suo: ne<br />
approfitta alla sua maniera. [...]. <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> invece di riassumersi,<br />
di concentrarsi, si abbandona. Non cerca la linea di sviluppo di un<br />
carattere ma i suoi aspetti contraddittori e diversi. Non si cura della<br />
logica e ancora meno della ‘composizione. [...]. Ecco il suo<br />
divertimento”. 58<br />
‘Un ecclesiastico aveva una voce così bella e dolce che era un piacere ascoltarla.<br />
Allorché un giorno udì tanta dolcezza, un prete osservò: questa voce non è la voce<br />
di un uomo, bensì del diavolo. Alla presenza di tutti gli ammiratori esorcizzò il<br />
demonio che infatti uscì, dopo di che (poiché si trattava di un corpo umano tenuto<br />
in vita dal diavolo invece che dall’anima) cadde a terra e cominciò a puzzare’. Così<br />
all’incirca, proprio così è il rapporto tra me e la letteratura, salvo che la mia<br />
letteratura non è dolce come la voce del monaco”.<br />
57 “ja ich bestehe aus ihr und sie ist vielleicht mein Bestes)” (Briefe an Milena,<br />
Erweiterte Neuausgabe, Fischer, Frankfurt, 2004; tr. it. Lettere a Milena, in Lettere,<br />
Mondadori, Milano, 1988).<br />
58 Du côté de chez Swann, in “Nouvelle Revue Francaise”, 1 gennaio 1914. Non<br />
molto diverso il tenore dell’articolo di Jacques Boulenger, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, in<br />
“L’Opinion”, 20 dicembre, cioè all’indomani dell’attribuzione a <strong>Proust</strong> del Goncourt<br />
per All’ombra delle fanciulle in fiore: “D’altra parte non si preoccupa minimamente<br />
di mettere in luce, di disporre i fatti e i suoi commenti ai fatti secondo la loro<br />
importanza in rapporto a un disegno, a un piano, a un’armonia prestabiliti. [...]. E il<br />
suo romanzo annota tutto quello che gli torna alla memoria, senza studiarlo<br />
attentamente, senza curarsi minimamente della costruzione e della forma del libro,<br />
senza altra preoccupazione che la verità, obbedisce ben più alle regole della critica<br />
scientifica che non alle norme (d’altronde segrete) dell’arte” (ora in Mais l’Art est<br />
difficile, Première série, Plon, Parsi, 1921, p. 92). La chiusa forse riscatta tutto?
56<br />
Citiamo solo l’incipit della lunghissima lettera di risposta di<br />
<strong>Proust</strong>: “Voi dite, Signor, che il mio libro è un’opera nata da una vita<br />
d’ozio, che ho tutto il tempo che voglio. Mi scuserete se non entro in<br />
particolari privi d’interesse per voi; vi dirò soltanto che una<br />
professione attiva non è l’unica cosa che possa sottrarre un uomo<br />
all’ozio (une profession active n’est pas la sule chose qui puisse<br />
priver un homme de loisir), prendendogli il suo tempo. Una malattia,<br />
per esempio, può essere assillante e faticosa, assorbirlo ed<br />
invecchiarlo come la più dura delle professioni, anche manuali”. 59<br />
Risulta evidente un’accusa all’“ozio”, al “loisir” ed una difesa da<br />
questa accusa. <strong>Proust</strong>, però, non accampa una vita “attiva”. Propone<br />
che esista qualche cos’altro (n’est pas la seule chose) che è capace<br />
di consentire una “composizione”, potremmo dire: una<br />
categorizzazione. 60<br />
“Finalmente un lettore che intuisce che il mio libro è un’opera<br />
dogmatica e di struttura (et une construction)”, <strong>Proust</strong> potrà infine<br />
scrivere a Jacques Rivière. “[...]. Quella che esprimo alla fine del<br />
primo volume, in quella parentesi sul Bois de Boulogne che ho<br />
messo lì come semplice paravento per terminare e chiudere un libro<br />
che per motivi pratici non poteva superare le cinquecento pagine, è il<br />
contrario della conclusione. È una tappa, che si presenta come<br />
soggettiva e dilettantesca, sulla via che porta a una conclusione del<br />
tutto oggettiva e convinta. Inferirne che il mio atteggiamento mentale<br />
è uno scetticismo disincantato, sarebbe esattamente come se uno<br />
spettatore, vedendo alla fine del primo atto del Parsifal che il<br />
personaggio non capisce niente della cerimonia ed è cacciato dal<br />
Gurnemantz, supponesse che Wagner ha voluto dire che la<br />
semplicità di cuore non porta da nessuna parte. In questo primo<br />
volume avete visto la sensazione piacevole che mi procura la<br />
madeleine inzuppata nel tè – dico che smetto di sentirmi mortale etc.<br />
e non capisco perché. Lo spiegherò solo alla fine del terzo volume.<br />
Tutta l’opera è costruita in questa maniera. Se Swann affida così<br />
fiduciosamente Odette a Charlus (e sembra ch’io abbia voluto<br />
riproporre la banale situazione del marito che si fida dell’amante della<br />
mogli) è che Charlus, e Swann lo sa, lungi dall’essere l’amante di<br />
Odette, è un omosessuale che ha orrore delle donne. [...]. No, se non<br />
avessi convinzioni intellettuali, se cercassi soltanto di ricordare il<br />
passato e di duplicare con questi ricordi l’esperienza, non mi<br />
prenderei, malato come sono, la briga di scrivere. Ma questa<br />
59 2 gennaio 1914, Correspondance, op. cit., vol. XIII, 1985, p. 23.<br />
60 Vedi anche, tra le altre, la lettera a Paul Souday, del 10 novembre 1919 (CORR,<br />
XVIII, 462-465).
57<br />
evoluzione del pensiero, non ho voluto analizzarla astrattamente<br />
bensì ricrearla [...]. Le seconde volume accentuera ce malentendu.<br />
J’espère que le dernier le dissipera. [...]” (6 febbraio 1914; CORR,<br />
XIII, 98-100; 1082-1083). 61<br />
Qui <strong>Proust</strong> è ancora fermo all’idea di due volumi: Il tempo<br />
perduto e Il tempo ritrovato!<br />
Mariolina Bongiovanni Bertini, nel suo Guida a <strong>Proust</strong>, forse<br />
meglio di molti altri offre un raccourci dell’immenso lavoro di<br />
composizione fatto da <strong>Proust</strong> nel lavoro per la Recherche (pp. 231-<br />
288/345-367)... A queste pagine rimandiamo (anche se qua e là<br />
torneremo anche noi su alcune svolte)...<br />
3) Loisir, malattia, angoscia<br />
Ma il punto resta comunque: quel che Ghéon definisce “loisir”,<br />
<strong>Proust</strong> “malattia”, Kafka angoscia... e sembra essere sempre la<br />
“letteratura”, in che cosa consiste?<br />
E ancora: qual è la differenza che <strong>Proust</strong> fa tra avere<br />
“convinzioni intellettuali” e farsi categorizzare?<br />
Ricordate che abbiamo pensato di cogliere il tratto distintivo di<br />
Kafka (la sua “essenza”) nel suo essere (e anche auto-definirsi) un<br />
“tipo particolare” (nella sua “particolarità”). Bataille ha parlato di<br />
“enfantillage”: vedi “La parfaite puérilité de Kafka” e “Le mantien de la<br />
situation enfantine”, “l’univers joyeux de Franz Kafka”, 62 il suo<br />
rimanere esente dalle categorie (anche se capace di dirci<br />
l’acategoriale in un categoriale unico per la sua limpidità;<br />
sottolineiamo: “unico”): “Il ne voulut pas s’opposer à ce père qui lui<br />
retirait la possibilité de vivre, il ne voulut pas être à son tour, adult et<br />
père. À sa manière, il mena une lutte à mort pour entrer dans la<br />
société paternelle avec la plénitude de ses droits, mais il n’aurait<br />
admis de réussir qu’à une condition: rester l’enfant irresponsable qu’il<br />
était”.<br />
61 Vedi anche André Maurois in Alla ricerca di <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>: “Quando parlate di<br />
cattedrali, io non posso non sentirmi commosso della vostra perspicacia, che vi<br />
consente di indovinare quello che non ho mai rivelato a nessuno e che scrivo qui<br />
per la prima volta: Portico, Vetrate dell’abside etc., per rispondere in anticipo alla<br />
stolta critica che mi si fa di mancare di costruzione (__________) nei miei libri,<br />
mentre io vi dimostrerò che il loro solo pregio è proprio nella solidità delle minime<br />
parti” (____________, p. 150).<br />
62 Kafka, (1950) in La littérature et le mal, in Œuvres complètes, Gallmard, Paris,<br />
vol. IX, 1979, pp. 271-286
58<br />
Se consideriamo <strong>Proust</strong> troviamo che incappa alcune volte in<br />
Kant... Ad esempio, nel 1910, in Da aggiungere a Flaubert (Cahier<br />
XXIX, fogli 43-45; SA, p.10) egli paragona Flaubert, “genio<br />
grammaticale”, a Kant: “La sua originalità immensa, duratura,<br />
difficilissima a riconoscersi perché si è incorporata nella lingua<br />
letteraria del nostro tempo a tal punto che, anche sotto il nome di altri<br />
scrittori, noi leggiamo sempre Flaubert, senza sapere che essi non<br />
fanno altro che parlare come lui, è un’originalità grammaticale. [...]. E<br />
la rivoluzione nella visione, nella rappresentazione del mondo che<br />
deriva dalla sua sintassi – o che ne è espressa, è forse altrettanto<br />
grande di quella operata da Kant trasferendo il centro della<br />
conoscenza dal mondo nell’anima”.<br />
Spulciamo A proposito dello “stile” di Flaubert (1920):<br />
“Confesso di esser rimasto stupito nel veder trattato da scrittore poco<br />
dotato per scrivere un uomo che, per l’uso affatto nuovo e personale<br />
che fece del passato remoto, del passato prossimo, del participio<br />
presente, di certi pronomi e di certe preposizioni, rinnovò la nostra<br />
visione delle cose quasi quanto Kant, con la sua dottrina delle<br />
categorie e della realtà del mondo esterno. Non ch’io abbia una<br />
predilezione per i libri di Flaubert o per il suo stile. Per ragioni che<br />
sarebbe troppo lungo sviluppare qui, sono convinto che solo la<br />
metafora possa conferire allo stile una sorta d’eternità; e in tutto<br />
Flaubert non c’è forse una sola bella metafora” (SA, 538-539).<br />
È evidente: Kant è un creatore come Flaubert e come i grandi;<br />
come coloro che hanno creato un mondo nuovo; hanno categorizzato<br />
il mondo diversamente da coloro che lo avevano caratterizzato<br />
prima. <strong>Proust</strong> prende le distanze da Flaubert... È impegnato a<br />
categorizzare il mondo a modo suo... Anche le sue categorie<br />
saranno...<br />
Lambiremo il problema del couloir... Vedremo che il “drame du<br />
coucher” 63 sarà approfondito molto più da <strong>Proust</strong> che da Kafka<br />
(almeno, in <strong>Proust</strong> avremo molte “riprese”, in Kafka un’icastica<br />
formulazione nella famosa Lettera al padre e poche riprese (una<br />
fondamentale in un frammento)...<br />
Ma qua basta solo accennare ad alcuni punti in comune (tra<br />
<strong>Proust</strong> e Kafka): per Kafka e per <strong>Proust</strong> la letteratura è tutto... Le<br />
convenienze (ogni matrimonio è matrimonio di convenienza) sono<br />
niente; Kafka vive in famiglia. Idem <strong>Proust</strong>. Invita gli amici in famiglia.<br />
Quando i genitori muoiono, eredita e diventa ricchissimo...<br />
Ma spende e spande... Non risparmia...<br />
63 Più estesamente: “le théâtre et le drame de mon coucher” (SW, 44).
59<br />
Il periodo dedito all’“enfantillage” è sicuramente quello dedito<br />
allo snobismo...<br />
4) Letteratura: chargée de réalité<br />
Ma la pubblicazione di Jean Santeuil ha rivelato che, tra il 1895<br />
e il 1899, negli anni in cui <strong>Proust</strong> frequentava più intensamente i<br />
salotti, i teatri... scriveva un romanzo di più di mille pagine in cui<br />
erano presenti, non solo i temi della Recherche, ma anche i primi<br />
abbozzi della medesima. 64<br />
Ricordiamo due avvenimenti capitali nella vita letteraria (e non<br />
solo... se la vita è letteratura la letteratura è – Sainte-Beuve o Contre<br />
Sainte-Beuve – vita (di Kafka e di <strong>Proust</strong>).<br />
Nel 1912 Kafka pubblica Il verdetto. Che dice della sua scrittura<br />
(nel Diario, 23 settembre 1912)? 65<br />
<strong>Proust</strong> ha pubblicato nel 1907 Sentimenti filiali di un matricida<br />
(“Le Figaro” il 1 febbraio 1907). Che ci dice sulla sua scrittura (nella<br />
lettera a Robert Dreyfus del 3 febbraio 1907 [CORR, VII, 62])?<br />
Alcuni passaggi chiave del Diario e della lettera:<br />
Kafka:<br />
– “Questo racconto, Il verdetto, l’ho scritto<br />
– nella notte fra il 22 e il 23,<br />
– dalle dieci di sera alle sei del mattino, in un fiato;<br />
– “La stanchezza scomparsa intorno alla mezzanotte. Entro<br />
64 <strong>Proust</strong> si interrogherà, nel bel mezzo del Contre Sainte-Beuve – Carnet de<br />
1908... – sulla sua capacità di scrivere romanzi: “Sono un romanziere?” Ma,<br />
mentre tenta la strada di Jean Santeuil, romanziere si sente. Lettera a Reynaldo<br />
Hahn del venti marzo 1896: “Sans cela c’est sur tout le roman que tu serai obligé<br />
de mettre ‘déchire’” (CORR, II, 52); al medesimo il 4 settembre dello stesso anno:<br />
“Hier j’ai fait la pagination des 90 pages de mon roman” (CORR, II, 118); a sua<br />
madre il 16 dello stesso mese: “[...] j’ai encore travaillé à mon roman [...]” (CORR,<br />
II, 124); sempre alla madre il 21 ottobre dello stesso anno: “dans le petit récit que<br />
je t’ai envoyé et que je te prie de garder et en sachant où tu le garde car il sera<br />
dans mon roman” (CORR, II, 137)... A Bibesco il 20 dicembre 1902 (sta lavorando<br />
su Ruskin): “Il cosiddetto lavoro che ho ripreso mi è per molti versi penoso.<br />
Soprattutto perché quel che faccio non è lavoro vero, ma documentazione,<br />
traduzione etc. Basta per riaccendere la mia sete di creazione, senza<br />
minimamente appagarla. Adesso che dopo un lungo torpore ho per la prima volta<br />
guardato dentro di me, nella mia mente, avverto il vuoto della mia esistenza. Cento<br />
personaggi di romanzo (cent personnages de romans), mille idee mi chiedono di<br />
dar loro corpo, come le ombre che nell’Odissea supplicano Ulisse di far loro bere<br />
un po’ di sangue per restituirle alla vita, e l’eroe le allontana con la spada” (LG,<br />
495-496; CORR, III, 196).<br />
65 Confessioni e diari, Mondadori, Milano, 1972.
60<br />
tremando nella camera delle sorelle. Prima di dar lettura mi stiro<br />
davanti alla domestica e dico: ‘Ho scritto fino adesso’”;<br />
– “Ieri, da Baum, ho letto alla presenza […]”;<br />
– “Verso alla fine la mia mano, senza controllo, mi girò veramente<br />
davanti alla faccia. Avevo le lacrime agli occhi”.<br />
<strong>Proust</strong>:<br />
– Calmette mi ha chiesto questo articolo mercoledì mattina con<br />
una lettera che non ho letto a causa di una crisi che “mercredi<br />
matin à dix heures du soir”;<br />
– mi sono riposato fino “jusqu’à deuz Heures du soir”;<br />
– “À trois heures je me suis levé sans penser à l’article”;<br />
– “je l’ai aussitôt commencé et je l’ai écrit sans brouillon, sur les<br />
feuilles que le Figaro a eues, jusqu’à huit heures.<br />
Soffermiamoci sui Diari di Kafka in cui Kafka esibisce quel che<br />
Bataille definisce “enfantillage”: “Verso la fine la mia mano, senza<br />
controllo, mi girò veramente davanti alla faccia. Avevo le lacrime agli<br />
occhi”. (Noterete che convivono il gesto sbarazzino della mano e le<br />
lacrime agli occhi).<br />
Qualcosa di simile lo rintracciamo in <strong>Proust</strong>. Considerate la fine<br />
di Sodoma e Gomorra: il Narratore viene a sapere che Mlle Vinteuil è<br />
amica di Albertine... e piomba in un clima che richiama Sentimenti<br />
filiali di un matricida: sotto il segno di Oreste... il narratore si<br />
immagina d’essere punito... per che cosa? “d’aver lasciato morire la<br />
nonna”... Gli si apre una “terra incognita” (come vedremo, poco prima<br />
è definita “patria perduta” quella originaria dell’artista)... Egli si avvia<br />
“a una vita terribile, meritata e nuova (terrible, méritée et nouvelle)”;<br />
ma che sia nuova implica la terribilità di cui è meritevole. In lui si apre<br />
“la strada funesta, e destinata a farsi dolorosa (la voie funeste et<br />
destinée à être douloureuse) del Sapere”...<br />
Bene, nel mezzo di questo cataclisma vi aspettereste due<br />
aggettivi come quelli che troverete alla fine del passo che segue?<br />
“[...] per avviarmi a una vita terribile, meritata e nuova, fors’anche per<br />
farmi esplodere davanti agli occhi le conseguenze funeste che gli atti<br />
malvagi generano all’infinito; non solo per chi li ha commessi, ma<br />
anche per chi non abbia fatto, non abbia creduto di far altro che<br />
contemplare uno spettacolo curioso e divertente (un spectacle<br />
curieux et diverissant), come avevo fatto io, ahimè!, in quel lontano<br />
crepuscolo a Montjouvain, nascosto dietro il cespuglio [...]” (SG,<br />
1115; 368-369).<br />
Curioso e divertente!<br />
Si tratta del famoso sacrilegio ai danni della fotografia di Vinteuil<br />
fatto dalla figlia e dalla sua amica complici... Da piccolo, il Narratore
61<br />
ha spiato questo sacrilegio... (In occasione di una visita resa dai<br />
genitori a Vinteuil ha spiato Vinteuil impegnato non con una<br />
fotografia ma con uno spartito)...<br />
Le immagini di Montjouvain il Narratore le ha “tenute in serbo”<br />
inconsapevole del loro potere “nocivo”. Ma adesso che vive sulla<br />
propria pelle quel sacrilegio (e forse lo carica dei rimorsi verso la<br />
nonna/madre morta/e da poco etc.), come mai usa quei due<br />
aggettivi: “curioso” e “divertente”?<br />
Come ce la caviamo?<br />
A me sembra che la sola ipotesi possibile sia la seguente:<br />
Kafka e <strong>Proust</strong> vivono la loro “particolarità”; questa, nel loro caso, si<br />
chiama “letteratura”. Ma in loro, l’essere “tipi particolari” non significa<br />
essere “stravaganti” come una volta si definivano in modo benevolo i<br />
matti (quelli della propria famiglia o quelli di una famiglia amica).<br />
Significa rimanere nell’interregno tra in-fanzia e scrittura; non<br />
adolescere, crescere fino a diventare “adulti” (cresciuti); significa<br />
tentare e riuscire a immettere l’in-fanzia (l’in-dicibile) nella scrittura<br />
l’in-fanzia.<br />
È per questo che qualsiasi evento transiti nella scrittura, in una<br />
scrittura che sia all’altezza dell’in-fanzia, diventa gioioso: “E la realtà<br />
più terribile (la réalitè la plus terrible) apporta insieme alla sofferenza,<br />
la gioia d’una bella scoperta, perché non fa che dare una forma<br />
nuova e chiara (ne fait que donner une forme neuve et claire) a ciò<br />
che fa tanto tempo andavamo rimuginando senza rendercene conto<br />
(sans nous en douter)” (SG, 1115-1116; 369).<br />
Ma sentite che ruolo gioca la letteratura de Il tempo ritrovato: “la<br />
littérature ne pouvait plus me causer aucune joie, soit par la faute,<br />
étant trop peu doué, soit per la sienne, si elle était en effet moins<br />
chargée de réalité que je n’avais cru” (TR, _____). È del tutto<br />
evidente, se teniamo conto di quel che abbiamo scoperto, che la<br />
letteratura qui configurata non è quella a cui è approdato <strong>Proust</strong> (o<br />
da cui anche è sempre decollato: la dizione dell’ineffabile.<br />
Ora, qual è la realtà di cui la letteratura è chargée (di cui è<br />
portatrice)? Quella di un altro universo o di un universo altro<br />
(diversamente categorizzato)...<br />
5) Messa in forma del néant<br />
Ritorniamo quindi all’antitesi “tutto”/“nulla”...<br />
Abbiamo detto che Mariolina Bertini, sulla scorta di una serie di<br />
studi, indica in modo convincente e anche commovente le tappe
62<br />
della costruzione della Recherche; di cui, peraltro, l’“essenziale” è<br />
stato da <strong>Proust</strong> pensato fin dall’inizio.<br />
“Essenza” è in <strong>Proust</strong>, come vedremo, una figura chiave. Ora,<br />
l’essenza è individuata fin dall’inizio...<br />
E che cos’è l’essenza? Essa coincide con la “vera vita”; essa<br />
produce “resurrezioni” di eventi non solo dimenticati ma mai vissuti;<br />
essa introduce nell’“extra-temporale”...<br />
Nell’aca-tegoriale?<br />
Importante però è avere ben chiaro che qui non si dà l’ingresso<br />
all’immortalità; “solo” quello alla vita; ma alla vita vera; quella<br />
vissuta... ma non “vissuta” appieno rispetto a quella vissuta sono in<br />
parte o après-coup; a quella vissuta dentro un mondo categorizzato<br />
da chi le vive...<br />
Alberto Beretta-Anguissola: “Tra l’alba e il tramonto, tra l’inizio<br />
di un secolo e la sua fine, l’uomo proustiano non progredisce. La<br />
ricerca della verità e l’autoliberazione dalla falsa coscienza è sì un<br />
itinerario immerso nel tempo, punteggiato di tappe, periodi,<br />
arretramenti e avanzate; ma questo ‘progresso’ non è altro che il<br />
graduale riconoscimento del tragico primato del dolore, della<br />
malattia, del vizio, della crudeltà, della morte, della solitudine,<br />
dell’angoscia. La storia esiste in <strong>Proust</strong> solo come via crucis<br />
dell’autocoscienza, una salita al calvario la cui ultima ‘stazione’ – la<br />
più atroce – è paradossalmente, il più alto trionfo entro un’ottica<br />
radicalmente diversa, che non è certo quella di una salvezza<br />
religiosa, ma una vera resurrezione estetica”. 66<br />
Condivido la conclusione tragica. Ma voglio precisare che la<br />
resurrezione è “nascita”; “nuova nascita”?, no, “vera nascita” (in<br />
diretta con la “vraie vie”); al proprio mondo; al mondo che abbiamo<br />
categorizzato. E come lo abbiamo categorizzato? Introducendo in<br />
esso la nostra in-fanzia (“enfantillage”).<br />
Come abbiamo già fatto, invitiamo il lettore a leggere Mariolina<br />
Bertini a proposito delle tappe della costruzione della Recherche. Qui<br />
ricordiamo solo una di queste tappe: la Prisonnière “è il risultato di<br />
un’elaborazione oltremodo travagliata, perseguita attraverso innumeri<br />
tentativi. Se risaliamo infatti ai cahiers del 1910-1911 ci attende una<br />
scoperta sconcertante: Vinteuil non esiste, o meglio, esiste scisso in<br />
due personaggi diversi, lo scienziato Vington e il musicista Berget.<br />
Vington, uomo all’antica, mite e pudibondo, abita nei pressi di<br />
Combray ed ha una figlia lesbica che convive scandalosamente con<br />
un’amica. Amareggiato dal comportamento della figlia, muore ed è<br />
66 <strong>Proust</strong> inattuale, Bulzoni, Roma, 1976, p, 84.
63<br />
vittima, in effige, delle profanazioni rituali della figlia e della sua<br />
amica. Sarà proprio quest’amica, però, ad assicurare l’immortalità<br />
alla sua opera scientifica, passando anni e anni, a ‘rivedere i suoi<br />
manoscritti, ordinare le sue collezioni, proseguire i suoi esperimenti’.<br />
Fu solo verso il maggio del 1913, al momento della correzione delle<br />
bozze Grasset, che <strong>Proust</strong> decise di fondere i due personaggi sino<br />
ad allora distinti, facendo della musica di Vinteuil le due componenti<br />
inscindibili della sua metafora della creazione artistica che trovi posto<br />
della Recherche. Vington cessò di esistere come scienziato, divenne<br />
compositore e Swann cominciò, come del testo definitivo, a porsi il<br />
problema della sua identità ascoltando la meravigliosa Sonata: era<br />
possibile che il sublime musicista, l’audace innovatore avesse<br />
qualche parentela con il maestro di musica di Combray, così timido e<br />
insignificante? In un secondo tempo, sulle stesse bozze, il nome<br />
Vington divenne prima Vindeuil, poi Vinteuil: era nato il personaggio<br />
in cui sarebbero confluiti due motivi, sino ad allora separati, della<br />
musica come ‘trasposizione della profondità nell’ordine sonoro’ e<br />
della profanazione come momento oscuramente necessario sulla via<br />
della salvezza”. 67<br />
Citiamo solo dei frammenti di una pagina dell’episodio che<br />
studieremo meglio: “E proprio quel culto [della figlia verso Vinteuil<br />
che ha contagiato l’amica] aveva fatto sì che, in momenti nei quali si<br />
va all’opposto delle proprie inclinazioni, le due fanciulle potessero<br />
trarre un piacere insano dalle profanazioni che ho raccontate.<br />
L’adorazione per il padre era la condizione stessa (la condition<br />
même) del sacrificio della figlia. E la voluttà di quel sacrilegio non le<br />
esprimeva, certo, avrebbero dovuto rifiutarsela; ma essa non le<br />
esprimeva per intero (ne les exprimait pas tout entières). [...].<br />
Passando anni e anni a risolvere il rebus lasciato da Vinteuil,<br />
procurando la lettura certa dei suoi ignoti geroglifici, l’amica di<br />
Mademoiselle Vinteuil ebbe almeno la consolazione di assicurare al<br />
musicista cui aveva offuscato gli ultimi anni di vita una gloria<br />
compensatrice e immortale. Da relazioni non consacrate dalle leggi<br />
(de relations qui ne sont pas consacrées par les lois) derivano legami<br />
di parentela non meno molteplici, non meno complessi,<br />
semplicemente più solidi, di quelli che nascono dal matrimonio” (P,<br />
262-263; 670).<br />
67 Guida a <strong>Proust</strong>, op. cit., p. 273. Vedi: Lignon, vol. I ed. Tadiè, (C, 29, ES, L,<br />
795); Vington, vol. I (C 14, ES LI, 796-801), vol. III (C 14, ES XIII, 1143-1150);<br />
Berget: vol. I (variante,1202-1203), II (V, 1218), III (V, 1144). Per “variante” si<br />
intende una correzione del testo posteriore al manoscritto.
64<br />
Come non pensare al matrimonio secondo Kafka? Che dice al<br />
padre, meglio: gli scrive, che per lui i matrimoni sono sempre stati<br />
matrimoni di convenienza: nel senso di matrimoni con la legge, con<br />
le categorie?<br />
Qui abbiamo un matrimonio celebrato fuori da ogni legge. Il<br />
sacrilegio, non solo va a braccetto con l’adorazione (e con l’opera<br />
d’arte o la sua scoperta), ma ne è la “condizione” (= la legge)!<br />
L’amica di Mlle Vinteuil “come negli illeggibili taccuini (carnets)<br />
dove un amico geniale, non sapendo d’essere tanto vicino alla morte,<br />
ha annotato scoperte che rimarranno forse per sempre sconosciute,<br />
[...] aveva estratto (dégagé) da carte illeggibili dei papiri punteggiati<br />
di scrittura cuneiforme la formula eternamente vera, infinitamente<br />
feconda di quella gioia ignota, la speranza mistica dell’Angelo<br />
scarlatto del Mattino (du Matin). [...]. Era grazie a lei ch’era potuto<br />
giungere sino a me lo strano richiamo che avrei sentito per sempre<br />
come una promessa dell’esistenza di qualcosa di diverso – qualcosa<br />
la cui realizzazione era affidata, probabilmente, all’arte – dal niente<br />
(le néant) che avevo trovato in tutti i piaceri e nello stesso amore; la<br />
promessa secondo cui la mia vita, che mi sembrava tanto vana, non<br />
era almeno del tutto incompiuta (pas tout accompli)” (P, 262-263;<br />
671).<br />
Avviandoci alla conclusione di questo incipit: è evidente che<br />
l’amica di Mlle Vinteuil ha individuato nei carnets dell’umile maestro<br />
la “formula” (= la legge) che consente la speranza del “mattino” (=<br />
della nascita: alla viva vera); ma è altrettanto vero che i carnets in<br />
questione sono quelli di <strong>Proust</strong>...<br />
Insomma, sappiamo che il Contre Sainte-Beuve, l’ultima tappa<br />
verso la Recherche, vuole dimostrare che l’“io” dell’artista non<br />
corrisponde all’“io” sociale che gli corrisponde. Sainte-Beuve ha<br />
misinterpretato il valore di Flaubert, Baudelaire etc... (avrebbe<br />
misinterpretato anche il valore di <strong>Proust</strong>) perché ha cercato (e non ve<br />
l’ha trovato) il loro valore nella loro vita mentre esso era nella loro<br />
opera.<br />
Quindi, niente psico-critica!<br />
Ma non possiamo nasconderci che <strong>Proust</strong> ha messo in forma il<br />
“néant”; ha creato dal nulla; ha portato alla luce (“matin”). “Tutti” i<br />
suoi piaceri – il suo sfarfallare nei salotti etc. – non erano “niente”;<br />
anzi, erano questo “niente”. 68<br />
68 In questi occhi forse acquistano un significato nuovo i passi seguenti: “[...] pour<br />
faire de l’art, c’est-à-dire retrouver la vie, il fallait non pas réproduire ce que nous<br />
croyons la vie, le passé, les actions et les mots, mais retirer successivement tout<br />
ce que nous avions, dans le moment même où nous l’éprouvions et bien plus
65<br />
“Niente”, però, sarebbe stata la sua vita se fosse coincisa con<br />
quella di Swann, di Charlus e via elencando...<br />
Se fosse coincisa con la nostra (e con quella della maggior<br />
parte dei nostri contemporanei).<br />
Qui è “il “terribile” e “il bello”!<br />
Diversamente da Kafka <strong>Proust</strong> ci ha lasciato cahiers e carnets<br />
in abbondanza. Sembra che conservasse anche le lettere che non<br />
spediva...<br />
E questo ci consente di seguire il processo attraverso il quale<br />
l’in-fanzia si fa nuovo discorso; discorso categorizzato da <strong>Proust</strong><br />
medesimo.<br />
In Kafka abbiamo sospettato (ad un certo punto affermato in –<br />
bona – fide) questo passaggio dell’a-categoriale in un categoriale<br />
nuovo. Ma non abbiamo che scritti “perfetti” (“accompli”). Perfetti<br />
(accompli) erano anche le mille varianti...<br />
Diciamoci la verità, nei cahiers si sente palpitante l’anelare alla<br />
perfezione; ma anche la perfezione di un passaggio... penso a quello<br />
del Mar Rosso verso la Terra Promessa... Si incrociano le “tappe”;<br />
ma che meraviglia! L’“Angelo scarlatto” si leva... ma possiamo levarci<br />
insieme con lui!<br />
Paradossale che proprio l’autore del Contre Sainte-Beuve<br />
autorizzi la nostra) psicocritica sui generis.<br />
6) <strong>Proust</strong> legislatore (categorizzatore)<br />
<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> e i segni, di Gille Deleuze: “L’essenziale nella<br />
Ricerca non è la memoria e il tempo, ma il segno e la verità.<br />
L’essenziale non è ricordare, ma apprendere. La memoria infatti non<br />
vale se non come una facoltà capace d’interpretare certi segni, il<br />
tempo non vale se non come quella materia o il tipo di questa o<br />
quella verità”. 69 ,<br />
ensuite dans ls mémoire et le raisonnement déposé sur la vie, qui l’obscursissait et<br />
à la reproduction de quoi tant d’artistes bornent l’art, croyant ainsi être réels et<br />
vivants”” (Cahier 58, in Matinée chez la Princesse de Guermantes, Gallimard,<br />
1982, p. 143).<br />
“‘Per me la mia opera è tutto. Non so se vivrò abbastanza per vederla finalmente<br />
pubblicata ed è abbastanza naturale che, con l’istinto dell’insetto che ha i giorni<br />
contati, io mi affretti a mettere al sicuro quel che è uscito da me e mi<br />
rappresenterà” 68 (lettera pubblicata da Léon Pierre-Quint, in <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> et sa<br />
stratégie lietteraire, Corrêa, Paris, 1954, p. 146).<br />
69 1964, tr. it. Einaudi, Torino, 1967, p. 87. Indicheremo le pagine con la sigla (D, 5)<br />
etc.
66<br />
Giustamente Deleuze insiste sul fatto dell’importanza<br />
dell’“involontario” in quando casuale incontro con qualcosa che<br />
interroga violentemente, esige una risposta: “I termini ‘volontario’ e<br />
‘involontario’ non indicano facoltà differenti, ma piuttosto un differente<br />
esercizio delle medesime facoltà. Fino a che si esercitano<br />
volontariamente, la percezione, la memoria, l’immaginazione, lo<br />
stesso pensiero hanno solo un esercizio contingente: in tale caso, ciò<br />
che percepiamo, potremmo ugualmente ricordarlo, immaginarlo,<br />
pensarlo; e viceversa. [...]. L’esercizio involontario è il limite<br />
trascendente o la vocazione di ogni facoltà. Al posto del pensiero<br />
volontario, tutto ciò che costringe a pensare, tutto ciò che viene<br />
costretto a pensare, tutto il pensiero involontario, che non può<br />
pensare se non l’essenza” (D, 93-94).<br />
“Indubbiamente il segno non si riduce all’oggetto; ma è anche<br />
inguainato in esso. Indubbiamente, il senso non si riduce al soggetto;<br />
ma dipende a metà dal soggetto, dalle circostanze e dalle<br />
associazioni soggettive. Al di là del segno e del senso, c’è l’Essenza,<br />
come ragion sufficiente degli altri due termini e del loro rapporto” (D,<br />
86).<br />
In altre parole: nell’episodio della madeleine entrano in<br />
tensione la madeleine e il Narratore. La verità non è né nella prima<br />
né nel secondo.<br />
Dov’è?<br />
“[...] via via che la serie si avvicina alla propria legge [...]<br />
presentiamo l’esistenza del tema originale o dell’idea, che supera<br />
insieme i nostri stati soggettivi e gli oggetti in cui s’incarna” (D,<br />
67)”.. 70 .<br />
Il problema è “mais pourquoi les images de Combray et de<br />
Venise m’avaient-elles, à l’un et à l’autre moment, donné une joie<br />
pareille à une certitude, et suffissante, sans autres preuves à me<br />
rendre la mort indifférente?” (TR, 867; 544).<br />
Perché?<br />
La Recherche si incarica di spiegare questo perché. La<br />
differenza tra il primo e l’ultimo volume sta nel fatto che al perché è<br />
data infine una risposta...<br />
<strong>Proust</strong> cita la madeleine come un caso d’insuccesso (D, 15):<br />
“J’avais alors ajourné de chercher les causes profondes” (TR, ____)_<br />
70 Lettera a Jaques Benoist-Méchin del maggio 1922: “Je pense, en effet, que les<br />
hommes n’aiment pas telle ou telle femme isolée, mais un certain type de femme<br />
dont il ne s’écartent jamais. Si, par la suite d’un deuil ou d’une séparation, ils<br />
perdent la femme qu’ils aiment, ils courent après son type. Qu’il poursuivent<br />
obstinément, quoique souvent à leur insu” (CORR, XXI, 239).
67<br />
Ma anche la scoperta della morte della nonna (“je venais<br />
d’apprendre qu’elle était morte... que je l’avais perdue pour toujours”<br />
[SG, 758; ___]) è un episodio di memoria involontaria (D, 22-23). Ed<br />
è dominato non dalla gioia ma dal dolore... 71<br />
Penso che l’unica è decidere che anche la scoperta<br />
dell’avvenuta perdita della nonna è una gioia; anche se una gioia<br />
dello spirito! In fondo, la vera gioia è gioia della verità... (in questo<br />
caso, della perdita; della morte. Sì, perché qui la resurrezione è<br />
paradossale; è la resurrezione di una morta; di una morta che viene<br />
a slacciarci lo stivaletto... per dirci: non ci sono più!<br />
Secondo Deleuze “<strong>Proust</strong> distingue con cura due casi di segni<br />
sensibili: le reminiscenze e le scoperte: le “résurrections de la<br />
mémoire”, e le “vérités à l’aide de figures” [TR, 879]” (D, 53).<br />
Ebbene, nel caso dello stivaletto che porta alla nonna etc... c’è<br />
una resurrezione che porta ad una scoperta<br />
A proposito del “C’était comme au commencement du monde,<br />
comme s’il n’y avait encore eu qu’eux deux sur la terre... “ (SW,<br />
Sonata__). “Il mondo implicato dall’essenza è sempre un principio<br />
del Mondo in generale, un inizio dell’universo, un cominciamento<br />
radicale assoluto. [...]. L’essenza è la nascita stessa del Tempo. Ciò<br />
non significa che il tempo si sia già svolto: non ha ancora le<br />
dimensioni distinte secondo le quali potrebbe snodarsi, e neppure le<br />
serie separate nelle quali si distribuisce su ritmi differenti. Alcuni<br />
neoplatonici si servivamo di una parola profonda per indicare lo stato<br />
originario che precede ogni sviluppo, ogni dispiegarsi, ogni<br />
‘esplicitazione’: la complicatio [...]” (D, 45-46). Ancora: “L’extratemporale<br />
di <strong>Proust</strong> è questo tempo allo stato nascente, e il soggetto<br />
artista che lo ritrova” (D, 47). “Un’essenza è sempre una nascita del<br />
mondo [...]” (D, 49)...<br />
Possiamo trascurare la complicazione della complicatio.<br />
Fondamentale è la definizione dell’essenza come nascita del Tempo.<br />
Possiamo pensare che ci stiamo affacciando al mondo<br />
“superuranio”, quello delle idee (e <strong>Proust</strong> talvolta pensa proprio<br />
questo); 72 possiamo semplicemente pensare di aver colto una legge<br />
71 Giustamente Citati qualifica “intermittenza del cuore” anche l’emersione della<br />
scena di Montjouvain a partenza da “le mie due sorelle maggiori” (SG [Tadié], 499)<br />
di Albertine: “À ces mots [...] une image s’agitait dans mon cœur, une image tenue<br />
en réserve pendant tant d’années [...]”; come nel caso della nonna, “alcuna estasi<br />
di luce” (Citati, op. cit., p. 349).<br />
72 “Il loro carattere distintivo sta nel fatto che sono idee platoniche capovolte, le<br />
quali non abitano il ‘regno sovraceleste’, ma questa terra: il mondo delle<br />
sensazioni, dell’odore e del sapore, del suono e della vista (Citati, La colomba<br />
pugnalata, Mondadori, 1995, p. 247).
68<br />
(e <strong>Proust</strong> più spesso pensa proprio questo)... Di fatto è successo che<br />
un nuovo mondo è cominciato. Cioè, una nuova categorizzazione...<br />
<strong>Proust</strong>, in un passo straordinario, sembra contraddire l’idea<br />
che l’amicizia (come la conversazione etc.) sia nociva proprio in<br />
quanto distrae dall’io interiore. Leggete: “Par l’art seulement, nous<br />
pouvons sortir de nous, savoir ce que un autre de cet univers qui<br />
n’est pas le même que le nôtre et dont les paysages nous seraient<br />
restés aussi inconnus que ceux qu’il peut y avoir dans la lune. Grâce<br />
à l’art, au lieu de voir un seul monde, le nôtre, nous le voyons se<br />
multiplier, et autant qu’il y a d’artistes originaux, autant nous avons<br />
de mondes à notre disposition, plus différents les uns des autres que<br />
ceux qui roulent dans l’infini...” (TR, ______). 73 Tra creatori è<br />
condivisibile la diversità delle categorizzazioni; tra gli idolatri esiste<br />
l’uniformità, la conformazione ad una medesima categorizzazione.<br />
Detto tra noi, siamo molto schivi, ma non vi sembra che<br />
l’individuare delle “leggi” da parte di <strong>Proust</strong> rassomigli molto alla<br />
“legiferazione”? <strong>Proust</strong> = legislatore = nuovo categorizzatore (al pari<br />
degli atri grandi).<br />
7) La “vera vita” non è il passato ritrovato, è l’essenza<br />
(l’acetegoriale) attinto (nello spazio di un mattino)<br />
Citavamo: “Un’essenza è sempre una nascita del mondo [...]”<br />
(D, 49)... Ne deriva una concezione del tempo che fa i conti con la<br />
creazione, nel tempo, del tempo (nelle categorie, di nuove categorie):<br />
“È evidente che alla memoria volontaria sfugge qualche cosa di<br />
essenziale: l’essere in sé del passato. Essa fa come se il passato si<br />
costituisse come tale dopo essere stato presente. Bisognerebbe<br />
dunque aspettare un nuovo presente perché quello precedente<br />
73 Citiamo un altro passo straordinario sull’amicizia. A Antoine Bibesco, 11 maggio<br />
1903: “Volevo dirti che il tuo (d’altronde naturalissimo) mutato atteggiamento nei<br />
miei confronti, il fare misteri – o piuttosto il non confidarsi, il non fare domande,<br />
insomma la mancanza di unione – ha trovato in me un qualcuno che non era prima<br />
(un être que je n’étais pas) di conoscerti, fatto quello che è da te, e che si era<br />
abituato a non vivere più solo per sé, a includere nell’orizzonte della sua vita un<br />
altro e di conseguenza a incanalare in questo indiscernibile prolungamento del suo<br />
io ciò che la sua vita poteva trascinare con sé, così come lo trovava, ogni giorno,<br />
cose preziose o fango, con tutti gli spettacoli che aveva colti e rispecchiati, e i<br />
segreti in cui si era imbattuta. Perdendo adesso il mio secondo me (cioè te) (or<br />
perdant mon deuxième moi [c’est à dire toi]) per il tuo diverso atteggiamento, non<br />
ho potuto cambiare la nuova forma che avevi dato al primo [...]” (LG, 544-545;<br />
CORR, III, 310-311).
69<br />
passi, o diventi passato. Ma così ci sfugge l’attesa del tempo. Poiché<br />
se il presente non fosse passato oltre che presente, se il momento<br />
stesso non coesistesse con sé come presente e passato, esso non<br />
passerebbe mai, e non verrebbe mai a rimpiazzarlo un nuovo<br />
presente. Il passato quale è in sé coesiste col presente che è stato,<br />
non gli succede” (D, 57).<br />
Ne discende che “Combray risuscita sotto una forma<br />
assolutamente nuova. Combray non sorge quale è stata presente.<br />
Combray sorge come passato, ma questo passato non è più relativo<br />
al presente che è stato, né al presente rispetto al quale è adesso<br />
passato. Non si tratta più della percezione, né di quella della<br />
memoria volontaria. Combray appare quale non poteva essere<br />
vissuta: non in realtà, ma nella sua verità; non nei suoi rapporti<br />
esteriori e contingenti, ma nella sua differenza interiorizzata, nella<br />
sua essenza. Combray appare in un passato puro, che coesiste con i<br />
due presenti, ma al di là della loro portata, dove né la memoria<br />
volontaria attuale, né la trascorsa percezione cosciente possono<br />
raggiungerlo. ‘Un peu de temps à l’état pur’. E cioè: non una<br />
semplice somiglianza tra il presente e il passato, tra un presente che<br />
è attuale e un passato che è stato presente; e nemmeno un’identità<br />
dei due momenti; ma, al di là di questo, l’essere in sé del passato,<br />
più profondo di ogni passato che è stato, di ogni presente che fu. ‘Un<br />
peu de temps à l’état pur’, vale a dire l’essenza del tempo<br />
localizzata” (D, 59-60).<br />
Più avanti (dobbiamo saltare molti passaggi): “[...] l’essenza<br />
che s’incarna nel ricordo involontario non ci svela più questo tempo<br />
originale. Ci fa, sì, ritrovare il tempo, ma in tutt’altro modo: quel che ci<br />
fa ritrovare è lo stesso tempo perduto. Sopraggiunge bruscamente in<br />
un tempo già trascorso, già sviluppato. Ritrova in questo tempo che<br />
passa un centro di avvolgimento, ma che è ormai soltanto l’immagine<br />
del tempo originale. [...]. La reminiscenza ci presenta il passato puro,<br />
l’essenza in sé del passato. Questo essere supera indubbiamente<br />
tutte le dimensioni empiriche del tempo. Ma è, nella sua stessa<br />
ambiguità, il principio a partire dal quale tali dimensioni si snodano<br />
nel tempo perduto, come è anche il principio in cui si può ritrovare lo<br />
stesso tempo perduto attorno al quale possiamo avvolgerlo di nuovo<br />
per avere un’immagine dell’eternità. Il passato puro è l’istanza che<br />
non si riduce a nessun presente che passa, ma anche l’istanza che<br />
fa passare tutti i presenti, che presiede al loro passaggio: in questo<br />
senso, esso implica anche la contraddizione tra la sopravvivenza e il<br />
nulla. Dalla loro fusione nasce la visione ineffabile. La memoria<br />
involontaria ci dà l’eternità, ma in modo tale che non abbiamo la
70<br />
forza di sopportarla più di un istante, né il modo di scoprirne la<br />
natura. Quella che ci dà è dunque piuttosto l’immagine istantanea<br />
della eternità. E, dal punto di vista delle essenze, ogni Io della<br />
memoria involontaria rimane inferiore all’Io dell’arte” (D, 61-62).<br />
Interessanti le annotazioni di Deleuze sul tempo (perduto,<br />
ritrovato etc.). Sappiamo che <strong>Proust</strong> ha pensato diversi titoli; ad un<br />
certo punto, nella lettera a Georges de Lauris del 24 marzo 1912,<br />
pensa che bisognerebbe pubblicare nel primo volume (s’ils ont des<br />
titres différents) la prima, la seconda, la terza e la quinta parte “en ne<br />
donnant la quatrième que dans le second volume et en y prévenant<br />
qu’elle se place avant la dernière du premier volume” (CORR, XI,<br />
76). In Introductions, notices, notes et variantes dell’edizione curata<br />
da Tadié (vol. I, 1041 sgg.) si fa l’ipotesi che la quinta parte sia<br />
costituita da quello che sarà Il Tempo ritrovato. Fatto sta che il<br />
processo di pubblicazione (ch’è anche un processo di complicazione<br />
della redazione) del testo è laborioso (e straordinariamente<br />
interessante); ad un certo punto nel 1913 <strong>Proust</strong>, mentre lavora alla<br />
correzione dei primi fogli delle bozze, pensa ancora a due volumi, e<br />
pensa già ai titoli ben noti Il tempo perduto e Il tempo ritrovato...<br />
Ritengo però che questa titolazione, contro quella anch’essa<br />
prevista per l’opera nel suo complesso, Le intermittenze del cuore<br />
(vedi lettera a Gaston Gallimard, 6 novembre 1912, CORR, XI,<br />
286), 74 sia responsabile dell’errore che tutti quanti, almeno sulle<br />
prime, siamo tentati di fare: c’è un tempo che si perde e che si può<br />
ritrovare! Abbiamo visto che il ritrovamento non è ritrovamento del<br />
tempo perduto (dissipato); è individuazione del tempo nascente; è<br />
l’origine del monto (e, quindi, del tempo)... 75<br />
Ricorderemo più avanti che Macchia ha definito i momenti<br />
della memoria involontaria “allucinatori”...<br />
Essendo esperti di allucinazioni sappiamo che i paranoici<br />
considerano le voci che li perseguitano attendibili; meglio: vere in<br />
ogni loro parte. Guai a contestar loro qualche incongruenza...<br />
Il profeta, invece, anche lui oggetto di voci, nella misura in cui<br />
è un “vero” (non un “falso”) profeta, non crede alla realtà delle voci;<br />
tanto meno al fatto ch’esse si rivolgano a lui.<br />
74 J.-L. Vaudoyer, marzo 1913: titolo: Les Intermittences du Passé; primo volume<br />
Le Temps perdu, secondo volume, Le Temps retrouvé (CORR, XIII, 114). Bernard<br />
Grasset, maggio 1913: titolo generale À la recherche du temps perdu (primo<br />
volume Du côté de chez Swann, secondo volume Le côté des Guermantes)<br />
(CORR, XIII, 176).<br />
75 Georges Poulet propone una diversa titolazione: “l’œuvre proustienne s’affirme<br />
comme une recherche non seulement du temps, ma de l’espace perdu” (L’espace<br />
proustien, Gallimard, Paris, 196, p. 19).
71<br />
Vedi l’esempio di Samuele (1 Samuele, 3): per tre volte<br />
Samuele, nel sonno (giace accanto al Santuario) è risvegliato; da<br />
qualcuno che lo chiama per nome; egli risponde: “Eccomi!”; corre da<br />
Eli che dorme nella sua casa (attigua al Tempio) e che pensa essere<br />
l’autore della chiamata e, raggiuntolo, gli dice: “Eccomi, giacché mi<br />
ha chiamato”. Per due volte Eli gli risponde. “Non t’ho chiamato, figlio<br />
mio, torna a dormire”. La terza, intuisce che il Signore chiama il<br />
fanciullo e gli dice: “Va a dormire; a attento: se ti chiamerà, tu dì:<br />
‘Parla, o Signore, ché il tuo servo è in ascolto’”. In occasione della<br />
quarta chiamata – la buona –, Samuele usa la formula suggeritagli<br />
da Eli e Iddio gli si presenta e gli parla. Una grande complicazione.<br />
Samuele, infatti, il giorno seguente apre, sì, i battenti della casa del<br />
Signore, ma non ha il coraggio di riferire la visione ad Eli; e n’ha ben<br />
d’onde: Dio gli ha preannunciato lo sterminio della stirpe di Eli, Jahvé<br />
gli ha dato l’incarico di riferire la sua decisione ad Eli. Ma le orecchie<br />
di Samuele sono ambedue rintronate da quell’annuncio (“Ecco, io sto<br />
per fare in Israele una cosa tale che, chiunque l’udrà, gli<br />
rimbomberanno ambe le orecchie”, è il proemio della parola di Dio<br />
che l’ha raggiunto nella notte, ma non nel sonno). È allora Eli che lo<br />
chiama: “Eccomi”, dice di nuovo Samuele, che gli risponde<br />
immediatamente. Ma aspetta che Eli completi la sua chiamata: “Che<br />
ti disse? Deh, non tenermelo celato! Mandi a te Iddio questo e<br />
questo, se mi celerai parola di quanto ti disse!”. E il testo continua:<br />
“Allora Samuele gli svelò ogni cosa, senza tenergli celata parola. Eli<br />
concluse. ‘Lui è il Signore. Faccia pure ciò che è bene agli occhi<br />
suoi!’”<br />
Dio si manifesta al Profeta (che poi parlerà al popolo al posto<br />
di Dio) in modo insolito. Non richiesto. Una sorta di violenza.<br />
Il piccolo Samuele risponde... ma a Eli che non l’ha<br />
interrogato; poi a Dio; ma non annuncia a Eli il messaggio di Dio...<br />
Poi lo fa.<br />
Le esperienze involontarie sono casuali e violente; e brevi.<br />
Delle finestre sul mondo sconosciuto (dello spirito e della verità). Sì,<br />
sono finestre; non a caso la finestra è un Leitmotiv della<br />
Recherche). 76 Viene in mente l’“analisi grammaticale” praticata da<br />
Giampaolo Lai: quando, nel testo di un locutore, i “predicati finzionali”<br />
superano il tasso del 12 %, si ha ragione di inferirne che tale locutore<br />
si è affacciato alla “finestra del possibile” (della finzione).<br />
76 Lo spioncino attraverso il quale Charlus vede Morel (SG, 464-465, 467) etc...
72<br />
Il mondo proustiano è un mondo in cui ci si affaccia spesso<br />
alla finestra; si contemplano spettacolo straordinari 77 (il sacrilegio<br />
compiuto dalla figlia di Venteuil e della sua amica; l’incontro di<br />
Clarlus e di Jupien...); e, a poco a poco, si scoprono le leggi che<br />
governano il mondo a cui si appartiene; ma anche quelle che<br />
governano altri mondi. Che noi stessi possiamo produrre...<br />
Quando <strong>Proust</strong> sostiene che la verità si rivela nel suo io<br />
interiore (dentro di lui) ripete una formula antica; penso a Giovanni, 4,<br />
23-24: “Ma l’ora viene, è già al presente è, che i veri adoratori<br />
adoreranno il Padre in ispirito e verità; perciocché anche il Padre<br />
domanda tali che l’adorino. Iddio è Spirito: perciò convien che coloro<br />
che l’adorano l’adorino in spirito e verità”; e a Matteo 18, 20:<br />
“Dovunque due o tre sono raunati nel mio nome, quivi io sono nel<br />
mezzo di loro”...<br />
L’“io interiore” non coincide con l’“io sociale”... In interiore<br />
homine habitas veritas esortava sant’Agostino. Non sciogliamo<br />
l’enigma.<br />
Sappiamo poco; ma quanto basta per essere certi che in<br />
quell’interiorità, a gradi diversi, incontriamo, se non Dio, lo spirito e la<br />
verità.<br />
77 “La sua opera è come una finestra attraverso cui si apre alla vista un nuovo<br />
panorama; lo sguardo si posa su un paesaggio finora sconosciuto. [...]. Per un<br />
artista di questo genere la propria vita non significa alla fine se non l’indispensabile<br />
organo della vista e acquista lo stesso valore che possono avere gli strumenti<br />
dell’osservazione per il ricercatore delle scienze naturali” (Curtius, op. cit., p. 34).
73<br />
Cap. 5<br />
MESSUNG/MENSURATION<br />
(Di nuovo Kafka/<strong>Proust</strong>)<br />
[...] car là seulement un hasard peut mettre en présence<br />
de nos paroles le cœur fraternel et à jamais inconnu qui<br />
saura les ressentir (Lettera a Jean-Louis Vaudoyer, 21<br />
marzo 1912. Correspondence de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Plon,<br />
Paris, vol. XI, 1984, p. 67).<br />
“Je prends le volume, je le coupe et je me dis: je vais lire<br />
un quart d’heure et puis le quart d’heure passe... je lis... je<br />
lis toujours. [...]. ‘Mais c’est abominable, cette femme qui<br />
lit toujours, le matin, le jour, le soir, la nuit elle lit, elle lit,<br />
elle lit toujours!’” (Madame Straus à <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 13<br />
maggio 1922; CORR, XXI, 183).<br />
1) Lo spuntar del tempo e dello spazio<br />
Ho cominciato a scrivere delle note da annettere a 2 + 2 = 5, il<br />
testo che approfondisce gli esiti di Edipo. Un innocente.<br />
Interessanti mi sembravano i punti di contatto tra <strong>Proust</strong> e<br />
Kafka. Al di là dello spuntar del giorno e della notte (vedi Kafka. Un<br />
“tipo particolare”): lo spuntar del giorno o della notte sono lo spuntar<br />
del tempo e dello spazio...<br />
Un contatto proprio in un luogo cruciale: quello del “corridoio”,<br />
una figura insistente; quello della scena primaria...<br />
Ma con nessuna intenzione di instaurare un parallelismo tra due<br />
autori... Solo l’ubiquietarietà di un tema che tocca tutti e,<br />
inevitabilmente, anche i due grandi narratori<br />
Dicevo: ho cominciato... e mi sono ritrovato con questo<br />
malloppo.<br />
Il titolo: l’extra-temporale. Qualcosa che ha un rapporto<br />
strettissimo con l’a-categoriale illustrato sia in Kafka. Un “tipo<br />
articolare” sia in Edipo. Un innocente.
74<br />
Penso che mi sono avvicinato all’essenziale di <strong>Proust</strong> in lavori<br />
precedenti. 78 Ma penso anche di averlo forse semplificato,<br />
mondanizzato... Quasi che tutto il lavoro sull’après-coup servisse a<br />
spiegare come vivere appieno la vita...<br />
In Edipo. Un innocente ho citato <strong>Proust</strong> a proposito della<br />
Nachträglichkeit freudiana...<br />
Ma, se lo si capisce appieno, l’après-coup porta a cogliere il<br />
vivibile, non dopo il colpo, ma altrove; e, più che il vivibile, porta a<br />
cogliere questo altrove: l’extra-temporale.<br />
Nella prima parte lavoriamo proprio sul concetto e la pratica<br />
della “misurazione” per approdare alla “dismisura”.<br />
E il pensiero va, inevitabilmente, all’agrimensore<br />
(Landvermesser) del Castello. E capiamo sempre meglio che<br />
quell’agri-mensura (Landvermessung) è paradossale; l’agrimensore<br />
non dice, forse non sa, da dove viene; qui il principium individuationis<br />
fallisce; o trionfa il suo oltre: l’agrimensore non ha metri di mensura<br />
(mensuration; Messung). Anch’egli, infatti, avrà a che fare con<br />
l’immensurabile (nello spazio. Nel tempo: con l’extra-temporale).<br />
Immensurabile che, nella scena finale della Recherche, si esprimerà<br />
nella figura, insieme tragica e comica, dell’essere “mostruoso” –<br />
monstrum = prodigio, portento – arrampicato su smisurate e non<br />
misurabili stampelle...<br />
Questo scritto nasce sotto forma di “appunti”, di osservazioni<br />
provocati da un testo vecchio ma stimolante, <strong>Proust</strong>, di Ramon<br />
Fernandez. 79<br />
Talvolta brevi squarci di un testo, quando soprattutto è passato,<br />
dall’ultima sua lettura, quanto tempo basta perché l’“abitudine” abbia<br />
diminuito il suo potere, rivelano più di quanto rivelerebbe uno studio<br />
sistematico?<br />
Non ho saputo resistere: fatte le osservazioni contenute nei due<br />
primi capitoli, ho riletto la Recherche.<br />
78 Simbolizzazione come costruzione. Intervento sulla "Recherche", con<br />
un’introduzione ricavata da Freud: La rappresentazione dell’oggetto perduto,<br />
Vallecchi, Firenze, 1981; <strong>Su</strong> Georges Simenon. Maigret, conversazionalismo,<br />
abduzione, proustismo, schizo-scrittura, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1996.<br />
79 Éditions Grasset & Fasquelle, 1979. Da allora ho riletto... e per la prima volta<br />
una piccola biblioteca che avevo riunito negli anni. Illeggibili sono lavori come Le<br />
sexe de <strong>Proust</strong>, di Stéphane Zagdanski (Gallimard, Paris,1994), <strong>Proust</strong> et son<br />
père, di Christiam Péchenard (Quai Voltaire, Paris, 1993). Filosofia di <strong>Proust</strong>, di<br />
Federica Sossi (Unicopli, Milano, 1899)... Le sommeil de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, di<br />
Dominique Mabin (PUF, Parigi, 1992) che che ne dica il prefattore, Philip Kolb...<br />
Hommage à <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, La Nouvelle Revue Franaise, Paris, 1923
75<br />
Nell’edizione diretta da Luciano De Maria (Mondadori, 1989,<br />
voll. 4). Nelle osservazioni di cui ho appena detto, cito l’edizione<br />
diretta da Mariolina Bongiovanni Bertini (Einaudi, 1978, voll. 8). Nel<br />
corso della rilettura mi avvalgo dell’edizione francese diretta da<br />
Pierre Clarac e André Ferré (Pléiade, 1954, voll. 4), ricorrendo anche<br />
alla nuova edizione, quella diretta da Jean-Yves Tadiè (Pléiade,<br />
1989, voll. 4) ricca delle esquisse che richiamano di volta in volta i<br />
Brouillons-Cahiers...<br />
Per la prima volta, oltre a capire meglio il significato e la<br />
bellezza della Recherche, ho notato le sue talvolta esasperanti<br />
lungaggini, peraltro segnalate dallo stesso <strong>Proust</strong>; ad esempio, ne La<br />
prigioniera: “Quanto ai nostri sentimenti, ne abbiamo parlato troppe<br />
volte per ripetere qui quel che assai spesso l’amore è soltanto<br />
l’associazione dell’immagine di una giovine donna (che in caso<br />
diverso non ci tarderebbe a diventar insopportabile) con i battiti del<br />
cuore inseparabili da un’attesa intermittente, vana, e da un<br />
appuntamento cui essa non sia venuta” (P, 3).<br />
Nel 1986 Claude e Nathalie Mauriac si imbatterono in un<br />
dattiloscritto rimasto fino ad allora ignoto. Si capì subito che si<br />
trattava dell’“originale” di cui quello usato a partire dal 1925 era solo<br />
una copia. La differenza fondamentale era rappresentata dai tagli;<br />
uno macroscopico: a p. 648, con mano tremante, <strong>Proust</strong> aveva<br />
inserito l’ordine perentorio di eliminare 250 pagine del dattiloscritto.<br />
Nel 1987 Nathalie Mauriac pubblicò da Grasset il testo breve<br />
ritrovato. 80 Fu uno choc... Chissà, se <strong>Proust</strong> fosse vissuto<br />
abbastanza, avrebbe tagliato e tagliato... Come aveva fatto Flaubert.<br />
Quest’ultimo, dalle iniziali 4500 pagine, ne portò solo 500 alla<br />
stampa. E tagliò pagine bellissime. Vedi Madame Bovary. La<br />
censure dévoilée (Alinéa, Rouen, voll. 2, 2007). In italiano vedi La<br />
prima Madame Bovary (Medusa, Milano, 2007). (Evidentemente non<br />
si tratta di tutte le 4500 pagine; ma di quanto basta per leggere il<br />
meglio di quel che è stato tagliato).<br />
Come vedremo, l’esperienza della lettura e rilettura di <strong>Proust</strong>,<br />
Cahier compresi, porterà ad altri approdi.<br />
Consideriamo sul momento quel che Leo Bersani sostiene a<br />
proposito di Flaubert e <strong>Proust</strong>. Rimando a Déguisement du moi et art<br />
fragmentaire (Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 7. Études proustiennes II,<br />
Gallimard, Paris, 1975, pp. 43-65). Una breve citazione: “Flaubert<br />
80 Jean Milly ha pubblicato un testo, come dire, “completo”; un testo che, con<br />
qualche espediente, permette di individuare les différentes couches<br />
chronologiques: Albertine disparue. Édition intégrale. Texte étabi, présenté et<br />
annoté par Jean Milly, Librairie Honoré Champion, Pars, 1992.
76<br />
rêve à un style équivalent à la réalité indépendante de ses sujets;<br />
Emma cherche la réalité équivalente au vocabulaire des clichées<br />
romantiques. [...]. Le sens du moi chez <strong>Marcel</strong> est tellemet<br />
dépendant de la forme de ses espérances que leur destruction vide<br />
littéralement son imagination. Par conséquent, le rytme d’illusion et<br />
de désillusion est différent chez Flaubert et chez <strong>Proust</strong>. Pour <strong>Proust</strong>,<br />
ce rytme consiste en une disparité entre le moi et le monde, plutôt<br />
qu’en un déséquilibre proprement flaubertien entre des fictions<br />
impersonnelles, inépuisables et une réalité qui est soit hypothétique<br />
et au-delà du langage (Flaubert parle d’un sujet romanesque comme<br />
d’une idée platonisienne), soit platement matérielle et inférieure au<br />
langage (Tostes et Yonville)”.<br />
Questa volta (la terza?), mi ha indotto a rileggere tutto l’essermi<br />
imbattuto in un termine che abbiamo dimostrato ricorrente in Kafka,<br />
tanto da assurgere al rango di Leitmotiv, quello della “martellata”: “Da<br />
quale martellata (coup de marteau) è mai stato colpito l’essere o la<br />
cosa che si trova là per ignorare tutto, stupefatto fino al momento in<br />
cui la memoria accorsa gli rende la coscienza o la personalità?” (SG,<br />
407).<br />
Dicevo del testo di Fernandez... prima di rivedere quanto avevo<br />
scritto il pensiero è andato a Jacques Dubois. In sede di<br />
celebrazione del centenario della nascita di Simenon, ho portato in<br />
sintesi i risultati della mia ricerca su Simenon. 81 Tra l’altro, un aspetto<br />
forse trascurato, il côté proustiano di Simenon. In sede di dibattito un<br />
amico, anche per amor di polemica, eccepì proprio su questo punto<br />
(che, peraltro, nel mio intervento, era tout à fait secondario). Ricordo<br />
che Jacques Dubois, con la sua autorevolezza, intervenne per<br />
difendere la mia posizione. Chiesi informazioni su di lui e venni a<br />
sapere di un suo scritto Pour Albertine. <strong>Proust</strong> et le sens du social<br />
(Seuil, Paris, 1977).<br />
Lo lessi subito e mi piacque moltissimo.<br />
È l’unico testo che ho scorso dopo la scrittura di questi appunti<br />
ampliati. Mi ha colpito, mutatis mutandis, una certa analogia... Le<br />
pagine più sottolineate riguardano proprio quelle in cui si incontra, ad<br />
esempio, la frase seguente: “Comme si temps et espace avaient<br />
cessé d’être catégories stables” (p. 77). 82<br />
81 Abduction, identification et dé-identification chez Maigret. Les résultats d’une<br />
recherche, “Traces” (Université de Liège. Travaux du Centre d’Étude Georges<br />
Simenon), 2003, n. 14, pp. 33-50.<br />
82 In nota: tutto un capitolo è intitolato “La contingente”. “L’envie irréprensible de<br />
déguster des crèmes glacées armoriées, le rire cruel et voluptueux, le<br />
métaphorisme bariolé, tout est là pour donner un sentiment de pure dèpense,
2) Importanza degli aggettivi<br />
77<br />
Forse, per cogliere subito la novità dell’approccio a <strong>Proust</strong>, è<br />
meglio leggere tout d’abord la seconda parte.<br />
In essa viene dimostrata l’ubiquitarietà di una scena-madre:<br />
quella dell’“angoscia” della perdita, “calmata” dai baci della madre.<br />
Vengono individuati degli sviluppi di questa scena (dei suoi<br />
stadi).<br />
Prima viene tracciata la distanza tra la sua prima edizione, nella<br />
Recherche (inizio di Dalla parte di Swann) e la sua ultima edizione,<br />
avvenuta in tre vagues (fine de Il tempo ritrovato)...<br />
Individuato il puntum gaudens, cioè il “compimento” dell’œuvre<br />
– non nel recupero del tempo passato e perduto, ma del recupero<br />
della dimensione del tempo: che passa senza che nessuna “gloria”<br />
possa essere risparmiata e senza che nessun wxaton possa<br />
redimere 83 –, vengono illustrate le molte tappe: da All’ombra delle<br />
fanciulle in fiore a Albertine scomparsa...<br />
Scopriremo che in Albertine confluiranno, non tanto per<br />
agglutinarvisi, ma per appalesarsi e farsi superare – tutte le figure<br />
dell’amore: la madre, la sorella, l’amante, la morte...<br />
langagière en même temps qu’érotique. Le discours a perdu ses balises; le roman<br />
est saisi, avec son personnage, d’une sorte de folie: la lubricité d’Albertine<br />
s’épanche somptueusement. On atteint à un comble, où toute détermination paraît<br />
superflue” (p. 83); “Tout cela étant, elle [Albertine] active avec éclat une dynamique<br />
inhérente au roman proustien et qui vise à faire qu’il n’y ait ni linéarité narrative ni<br />
continuité sémantique. Elle devient donc, à certain moment, le moteur mais aussi<br />
l’emblème d’un système de signification qui ne cesse de renvoyer à un ailleurs, à<br />
plus loin et à plus tard, tout en sachant qu’en fin de compte il n’y aura pas de<br />
butée” (p. 165).<br />
83 In pagine per me straordinarie di Jean Santeuil, il Narratore ripete due volte<br />
l’aggettivazione “irreparabile”; la seconda: “Si dice che quel che è stato nella nostra<br />
vita sia irreparabile, che nulla possa far sì che ciò che è stato non sia stato” (JS,<br />
318-319; 150-151). Scopriremo che l’unica riparazione possibile, l’unica possibile<br />
redenzione avverrà col passaggio da Jean Santeuil alla Recherche; dal tentativo di<br />
godere la vita, alla rinuncia ad essa. “Quel nome che contiene qualcosa della voce<br />
di mia madre, del tempo che stava allora scorrendo, della mia scuola, dell’incanto<br />
non già della giovinezza, ma della mia giovinezza. Quel nome io lo venero, esso<br />
per me ha qualcosa di più divino di una reliquia che contenesse sangue di Cristo,<br />
qualcosa che nessun artista o filosofo potrebbe riprodurre. Il nostro tempo [...]” (JS,<br />
319; 151). Il bacio della madre, anche nella Recherche, sarà paragonato ad<br />
un’“ostia”. Ma l’essenziale sarà il passaggio allo spirito e alla verità. La parola<br />
“irreparabile” ricorre un’altra volta (JS, 724; 584).
78<br />
Scopriremo che tutti gli elementi costitutivi della scena-madre<br />
sono sempre presenti (mutatis mutandis). È come se il Narratore<br />
avesse capito tutto fin dall’inizio; o quasi.<br />
Per dirla per metafora, netto è il passaggio dai Campanili di<br />
Martinville (les clochers de Martinville), al centro del secondo<br />
episodio di memoria involontaria (SW, 181 sgg.; 219 sgg.), ai “viventi<br />
trampoli (échasses) che aumentano senza sosta sino a diventare, a<br />
volte, più alti dei campanili (parfois plus hautes que des clochers)”, 84<br />
che concludono Il tempo ritrovato (TR, 1048; 760-761)... I singhiozzi<br />
del Narratore piccolo (SW, 37; 46) risuoneranno dall’inizio fino alla<br />
fine... come le campane di conventi (comme ces cloches de<br />
couvents). Sentiremo l’appel plaintif dei piccioni (P, 400). 85<br />
Il salto di qualità è dato dall’abbandono del mondano invito a<br />
vivere la propria vita, anche se après-coup; e dall’individuazione<br />
dell’“enorme dimensione” (TR, 760) del Tempo: Temps è la parola<br />
che campeggia la fine della Recherche spesso con l’iniziale<br />
maiuscola; sconfigge l’Habitude, l’altra parola che spesso veste<br />
l’iniziale maiuscola: la comprensione dell’enorme dimensione del<br />
tempo porta al superamento (e al compimento = œuvre) “l’immenso<br />
desiderio di conoscere la vita” provato un tempo sulle strade di<br />
Balbec” (AS, 165) e l’“immensa aspirazione” al piacere provata<br />
soprattutto per Albertine (OF, 1128).<br />
Giustamente, in Stesura e fortuna di “Jean Santeuil”, ormai anni<br />
fa, Mariolina Bongiovanni Bertini, parlava di “rinuncia alla vita”.<br />
Talvolta si incontrano, sotto la penna di <strong>Proust</strong>, anche se in forma<br />
abbreviata, presi al volo, passi come quello di Giovanni 12, 24: “In<br />
verità, in verità, io vi dico che se il granel del frumento, caduto in<br />
terra, non muore, rimano solo; ma, se muore, produce molto frutto”. 86<br />
Ma, ad essere sinceri, più che questa “trouvaille” – importanza<br />
non del “vivere” un “vissuto” mancato ma di affacciarsi all’extratemporale<br />
–, quel che ci ha colpiti è la musicalità del linguaggio di<br />
<strong>Proust</strong>. Di conserva abbiamo lavorato sull’aggettivazione della<br />
scena-madre di volta in volta evocata... Una sorta di “analisi<br />
grammaticale”; in fondo, simile a quella fatta da <strong>Proust</strong> sull’opera di<br />
84 Di échasses si parla già all’inzio della ricerca. <strong>Su</strong>l portico di Balcec il nostro eroe<br />
vede “ces grandes statues de saints qui montées sur [des] échasses forment une<br />
sorte d’avenue” (OF, 842). Vedi L’œuvre cathédrale, op. cit., pp. 415-416.<br />
85 Vedi, di Luc Fraisse, L’œuvre cathédrale, op. cit., pp. 181-188.<br />
86 In Jean Santeuil, Einaudi, Torino, 1976, p. XLIII.
79<br />
Flaubert. Vedi A proposito dello “stile” di Flaubert; pubblicato <strong>Proust</strong><br />
vivo, nel 1920. 87<br />
<strong>Marcel</strong> all’intervistatore: “Mais l’artiste s’est transformé, son<br />
horizon s’est étendu en même temps que sa sensibilité s’affinait et<br />
se développait jusqu’au point qu’il peut dire: ‘Il n’est pas un seul<br />
adjectif qui dans mon œuvre nouvelle ne soit senti’”. 88<br />
3) Il Carnet 1908<br />
Dicevo, m’è successo di mettermi a leggere quel che ho sugli<br />
scaffali e che, con l’andare degli anni, è diventato una piccola<br />
biblioteca proustiana.<br />
E mi sono accorto di aver già letto – e sottolineato – Ramon<br />
Fernandez. Allora (Bompiani, 1980) il titolo era <strong>Proust</strong> o la<br />
genealogia del romanzo moderno...<br />
Richiamo qui, dai Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, il n. 8, Le Carnet de<br />
1908. 89<br />
Penso che Kolb abbia ragione quando definisce questo Carnet<br />
“document capitale tel qu’il est, comme une mine que les chercheurs<br />
pourront exploiter encore avec profit. [...]. Le seul de ces carnets qui<br />
ait une importance considérable” (Introduction, 28, 32).<br />
Ad un certo punto di questa introduzione, Kolb cita una lettera<br />
di <strong>Proust</strong> (del 16 agosto 1909), a Mm e Straus, la stessa che gli ha<br />
87 In “Nouvelle Revue Fraçaise” e firmato <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. Vedi Scritti mondali e<br />
letterari, Einaudi, 1984, pp. 538-552. Tadiè, nel suo <strong>Proust</strong>, dà prima per<br />
pubblicato questo saggio nel 1922 (op. cit. p. 306) poi no (p. 313).<br />
88 Le temps, 12.11. 1913, Textes retrouvés, Gallimard, Paris, 1971, 287. In una<br />
lettera a Robert Dreyfus (10 settembre 1988) il diciassettenne <strong>Proust</strong> immagina un<br />
suo autoritratto e lo commenta: “Mia cara, conosci X, cioè M. P? Ti confesserò<br />
ch’io l’ho un po’ in uggia, con i suoi continui slanci, la sua aria affaccendata, le sue<br />
passioni, i suoi aggettivi (et ses adjectifs). [...]” (Correspondance, Plon, Paris, vol.<br />
I, 1970, p. 118; tr. it. Le lettere e i giorni, Mondadori, Milano, 1996, p. 25).<br />
89 Ètabli et présenté par Philip Kolb, Gallimard, Paris, 1976. Basta, forse, a dare<br />
l’idea della complessità della ricostruzione filologica del testo della Recherche...<br />
questa notazione di Henri Bonnet in Matinée chez la Princesse de Guermantes.<br />
Cahiesr du Temps retrouvé. Èdition critique établie par Henri Bonnet en<br />
collaboration avec Bernard Brun, Gallimard, 1982, p. 17: “On peut y ajouter [ai<br />
sette primi Cahiers contenenti il Contre Sainte-Beuve...] une partie du Carnet I<br />
(bizarrement publié sous le titre de Carnet 1908 alors qu’il contient des textes qui,<br />
de l’aveu même du trascripteur, Philip Kolb, ne sont pas de l’année de référence)”.
80<br />
regalato i cinque famosi carnet: “[...] je viens de commencer – et de<br />
finir – tout un long livre”. 90<br />
Mi sembra valido il suggerimento di Kolb: “Non sbagliamoci sul<br />
significato che questa frase comporta. Quel ch’egli vuole dire, è che<br />
ha finito di scrivere l’inizio e la fine (le commencement et la fin) del<br />
suo romanzo. Rimanda a più tardi lo scriverne la parte intermedia.<br />
Questo procedimento gli permette di assicurare subito una struttura<br />
solida al suo romanzo, ed è a ciò ch’egli tiene particolarmente”. 91<br />
In altre parole: ad un certo punto <strong>Proust</strong> ha una “illuminazione”;<br />
e concepisce l’insieme della sua opera. Di essa scrive l’inizio e la<br />
fine...<br />
A chi ha finito di leggere l’opera nel suo insieme, risulta<br />
evidente che le ore di insonnia che preludono al ricordo delle varie<br />
camere, quindi della camera di Combray, va collocata prima della<br />
matinée dai Guermantes e dopo il soggiorno a Tansonville da<br />
Gilberte diventata Mme de Saint-Loup. Quindi, è in sogno che il<br />
Narratore recupera – e poi racconta come da sveglio – il “drame du<br />
coucher”, la tazza di tè etc. Alla fine (conclusione) del “drame”, la<br />
lettura fino all’alba, da parte della madre, di François le Champi. La<br />
madeleine “si colloca, nella cronologia generale della storia, in un<br />
momento imprecisato tra le notti di insonnia delle prime pagine e la<br />
rivelazione finale” (Mariolina Bertini, Guida a <strong>Proust</strong>, op. cit., p. 533).<br />
L’ultimo capitolo del Tempo ritrovato boucle la boucle: il<br />
Narratore si avvia alla matinée in uno stato d’animo identico a quello<br />
che aveva immediatamente prima della madeleine; ed ecco Venezia.<br />
“L’insistenza del Narratore nell’accostare a questo nuovo miracolo il<br />
ricordo dell’esperienza della madeleine non ha nulla di casuale: i due<br />
episodi si corrispondono, sono esattamente simmetrici” (Bertini, op.<br />
cit., p. 356).<br />
E di nuovo François le Champi. Un altro boucler la boucle. È il<br />
libro che la mamma, a conclusione del “drame”, e fino all’alba, gli ha<br />
letto.<br />
Sintomatiche, infatti, nel dattiloscritto del 1909 (Cahier 57) due<br />
eliminazioni dal “Combray” in vista del “Tempo ritrovato”:<br />
1) la rilettura di François le Champi;<br />
2) dall’episodio della piccola madeleine, una riflessione sull’extratemporale<br />
riferita alle lastre ineguali del battistero di San Marco.<br />
90 Parte del seguito: “[...]. Car c’est trop inconvenant et trop long pour être donné<br />
en entier. Mais je voudrais bien finir, aboutir. Si tout est écrit, beaucoup de choses<br />
sont à remanier” (Corréspondance de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. Texte établi, présenté et<br />
annoté par Philip Kolb, Plon, Paris, 1982, vol. IX, p. 163).<br />
91 Introduction a Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> 8, op. cit., p. 21. Il corsivo è dell’autore.
81<br />
Vedi la “variante” – per variante si intende una correzione<br />
posteriore al manoscritto – alla pag. 43 del vol. 1 dell’edizione<br />
Tadié, pp. 1118-1122.<br />
Le Temps retrouvé finisce come è cominciato Du côté de chez<br />
Swann: “longtemps”...<br />
A proposito dell’ultima frase del Tempo ritrovato, e del Cahier<br />
XX, l’ultimo del manoscritto definitivo, vedi, di Tadié, sia <strong>Marcel</strong><br />
<strong>Proust</strong> (Gallimard, Paris, 1996, pp. 892-895) che TR, variante, 1317-<br />
1320; ma, soprattutto, Le temps sensible di Julia Kristeva, Gallimard,<br />
Paris, 1994, pp. 355-367. Utili riferimenti: a proposito del Contre<br />
Sainte-Beuve, lettera a Alfred Vallette dell’agosto 1909: “[...] quand<br />
on aura fini le livre, on verra (je le voudrais) que tout le roman n’est<br />
que la mise en œuvre des principes d’art émis dans cette dernière<br />
partie, sorte di préface si vous voulez mise à la fin” (CORR; IX, 156).<br />
A proposito della Recherche, la lettera a Jaques Boulanger, 1<br />
gennaio 1920: “[...] la dernière page de mon livre est écrite depuis<br />
plusieurs années (la dernière page de tout l’ouvrage, la dernière<br />
page du dernier volume)” (CORR, XIX, 35). 92<br />
4) Repetita...<br />
Abbiamo detto della lettera a madame Straus del 1909...<br />
A madame de Noailles, nel dicembre 1908: “Je voudrais,<br />
quoique malade écrire une étude sur Sainte-Beuve. La chose s’est<br />
bâtie dans mon esprit de deux façons différentes entre lesquelles je<br />
dois choisir. Or je suis sans volonté et sans clairvoyance. La<br />
première est l’essai classique, l’Essai de Taine en mille fois moins<br />
bien (sauf le contenu qui est je crois nouveau). La deuxième<br />
commence par un récit du matin, du réveil, Maman 93 vien me voir<br />
92 Forse L’œuvre cathédrale di Luc Fraisse (José Corti, Parigi, 1990) è il testo che<br />
meglio e più doviziosamente individua e segnala il procedimento di scrivere<br />
insieme inizio e fine e, quindi, di sparpagliare, disseminare. Vedi, in particolare, la<br />
seconda parte (pp. 402-538).<br />
93 Nel Contre Sainte Beuve: “Chiamo, nessuna risposta, nessun rumore (aucun<br />
bruit). Chiamo di nuovo, odo dei passi furtivi (des pas furtifs), avverto un’esitazione<br />
alla mia porta che cigola (qui grince)” (CSB, 217; 11); è evidente l’avvio delle<br />
sonorità che caratterizzeranno le varie edizioni del “drame du coucher”. Questa<br />
versione sarà ripresa in Albertine Scomparsa (AS, 566; 181) dove sarà ripreso<br />
anche il rapporto Sainte-Beuve con la sua propria madre: “Ma un bel mattino (mais<br />
un matin), sua madre, entrando nella sua camera, posa vicino a lui il giornale [...]”<br />
(CSB, 226; 24).
82<br />
près de mon lit, je lui dis que j’ai l’idée d’une étude sur Sainte-Beuve,<br />
je la lui soumets et la lui développe” (CORR, VIII, 320-321).<br />
L’abbiamo già visto: il “saggio” sarà collocato alla fine della<br />
“ricerca” (anche se avviato lungo tutte le vicissitudini della stessa) e il<br />
“risveglio” sarà collocato all’inizio...<br />
Roger Duchêne: “Peut-être même croyat-il, à se moment-là, de<br />
commencer que le Sainte-Beuve. Il voulait débuter par une mise en<br />
scène: ‘un récit du matin, du réveil’. La rédaction de ce récit,<br />
fortement autobiographique, a fait basculer le projet. L’introduction a<br />
engendré le roman” (L’impossible <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Laffont, Paris,<br />
1994, p. 606).<br />
Richiamiamo più ampiamente il testo della lettera a Alfred<br />
Vallette, agosto 1909: “[...]. Je termine un livre qui malgré son titre<br />
provisoire: Contre Sainte-Beuve. Souvenir d’une Matinée est un<br />
véritable roman et un roman extrêmement impudique en certaines<br />
parties. [...]. Le livre finit bien par une longue conversation sur Sainte-<br />
Beuve et sur l’esthétique [...]. Et quand on aura fini le livre, on verra<br />
(je le voudrais) que tout le roman n’est que la mise en œuvre des<br />
principes d’art émis dans cette dernière partie, sorte de préface si<br />
vous voulez mise à la fin” (CORR, IX, 155-156).<br />
<strong>Proust</strong> sa ormai che è un “romanziere”! 94<br />
Ha anche in mente la struttura di un “véritable” romanzo: la cui<br />
conclusione è anche la sua prefazione. Perché il “roman” l’ha avuta<br />
vinta sull’“essai”.<br />
Leggete l’intervista a É.J. Bois, scritta di pugno da <strong>Proust</strong> nel<br />
1913 per pubblicizzare Du côté de chez Swann che sta per uscire,<br />
per capire che tutto era già stato pensato (Textes retrouvés,<br />
Gallimard, Paris, 1971, pp. 284-291).<br />
A Jacques Rivière, 6 febbraio 1914: “Ce n’est pas qu’à la fin du<br />
livre [di Du côté de chez Swann], et une fois les leçons de la vie<br />
comprises, que ma pensée se dévoilera. Celle que j’exprime à la fin<br />
du premier volume, dans cette paranthèse sur le Bois de Boulogne<br />
que j’ai dressée là comme un simple paravent pour finir et clôturer un<br />
livre qui ne pouvant pas pour des raisons matéreilles excéder cinq<br />
94 In Jean Santeuil: “Puis-je appeler ce livre un roman? C’est moins peut-être et<br />
bien plus, l’essence même de ma vie, recueillie sans y rien mêler. [...]. Ce livre n’a<br />
jamais été fait, il a été récolté” (JS, 181). Ma a René Blum, 20 febbraio 1913: “Je<br />
souhaiterais que M. Grasset pubbliât, à mes frais, moi payant l’édition et la<br />
publicité, un important ougrave (disons roman, car c’est une espèce de roman) que<br />
j’ai terminé” (CORR, XII, 79). Sempre a René Blum, 7 novembre 1913: “[...] je n’ai<br />
pas pu entreprende la réduction d’une partie de mon roman en une nouvelle pour<br />
vous” (CORR, XII, 294).
83<br />
cents pages, est le contraire de ma conclusion. Elle est une étape<br />
[...]” (CORR, XIII, 99).<br />
Henri Bonnet: “[...] <strong>Proust</strong> a toujours dit que le dernier chapitre<br />
de son livre avait été écrit immédiatement après le premier, celui des<br />
Cahiers 9 et 10, de fin 1909”. Un premier état de Swann, un testo<br />
pubblicato incompiuto nel 1945, costituirebbe la preparazione della<br />
Recherche. Essa si trova nella sua forma più completa all’inizio del<br />
Cahier 26. Oltre al primato dell’impressione sensibile sul valore<br />
intellettuale, si incontra un ricordo involontario che riemergerà in Il<br />
tempo ritrovato fin dalla prima versione de L’adoration perpétuelle –<br />
la prima delle due sezioni in cui Il tempo ritrovato (Matinée chez la<br />
Princesse de Guermantes) doveva essere articolato, la seconda<br />
essendo Le bal des têtes –, quello dell’urto della forchetta contro un<br />
piatto... Bonnet: “Il touche donc au but qui est Le temps retrouvé et<br />
cela dès cette première version de son œuvre. [...]. Mais le récit du<br />
heurt de la fourchette contre l’assiette sera finalmente reporté à la fin<br />
de la Recherche, au Temps retrouvé. Il aura suffit à <strong>Proust</strong> d’avoir<br />
magistralement décrit dès le début de Swann le souvenir provoqué<br />
par la petite madeleine, et par la suite d’autres réminiscences et de<br />
nombreuses impressions, mais don il s’abstient de tirer le<br />
conséquences”. In una lettera a Valette – che rifiuterà la<br />
pubblicazione, nell’agosto 1909, della parte romanzesca del Sainte-<br />
Beuve –, <strong>Proust</strong> dice: “C’est un livre d’événements les uns sur les<br />
autres à des années d’intervalle [...]”: “L’expression est curieuse –<br />
annota Bonnet –. Elle prouve que dès le départ, ou presque, <strong>Proust</strong> a<br />
prévu de retrouver ses personnages beaucoup plus tard [...]”. Ora,<br />
c’è una stretta parentela tra “les brouillons beuviens et les brouillons<br />
romanesques”, ma anche una svolta: “<strong>Proust</strong> a dû inventer une<br />
forme nouvelle (le sujet insomniaque et la remémoration). Ce<br />
changement dans la technique d’expression ne pouvait pas ne pas<br />
avoir d’incidence sur le message estétique apparemment commun<br />
aux deux projets successifs” (Bernard Brun). Bonnet parla<br />
diffusamente della scoperta di Voker Roloff: la fine del testo dedicato<br />
a François le Champi nel Cahier 10 non è riprodotta in Du côté de<br />
chez Swann, ma figura ne Il tempo ritrovato pubblicato nel 1927;<br />
Bonnet conclude che <strong>Proust</strong> non vuole anticipare quel che deve<br />
risultare come compimento dell’opera! Nel testo curato da Bonnet<br />
troviamo i Cahiers 51 (1909), 58 e 57 (1910-1911), 57 (1913-1916).<br />
Vedi <strong>Proust</strong> di Jean-Yves Tadié (1983, Il Saggiatore, Milano, 1985<br />
pp. 15-43): Sainte-Beuve. Ricordi di una mattinata (Conversation<br />
avec Maman Ò Bal costumé) Ò Bal des têtes Ò L’Adoration<br />
perpétuelle.
84<br />
Ripetiamolo: <strong>Proust</strong> non è più un saggista o un novelliere: è un<br />
romanziere. Nel maggio del 1908, in una lettera a Luis d’Albufera,<br />
aveva fatto una lista di quel che stava scrivendo: “une étude sur la<br />
noblesse / un roman parisien / un essai sur Sainte-Beuve et Flaubert<br />
/ un essai sur les Femmes / un essai sur la Pédérastie (pas facile à<br />
publier) / une étude sur les vitraux / une étude sur les pierres<br />
tombales / une étude sur le roman” (CORR, VIII, 112-113).<br />
L’ha vinta la forma del romanzo. Di un romanzo particolare che<br />
ha incluso in se stesso tutto il resto: tutti gli études e tutti gli essais...<br />
95<br />
Di questo romanzo indica, nel Carnet de 1908, le “pages<br />
écrites” (56).<br />
5) Quando nasce Agostinelli? 96<br />
Dal Cahier de 8 sappiamo che <strong>Proust</strong> ha già pensato ad<br />
Albertine: “Dans la 2 e partie du roman la juene fille sera ruinée, je<br />
l’entretiendrai sans chercher à la posséder par impuissance du<br />
bonheur. [...]. Dans la Seconde partie jeune fille ruinée, entretenue<br />
sans jouir d’elle (comme M lle Georges par América, Luigia par<br />
Sallenauve) par impuissance d’être aimé. Chartres” (C8, 49-50).<br />
Sappiamo che Albertine affiora come nuovo personaggio nel<br />
Cahier 71 (detto Cahier Dux), risalente al 1913. E prende corpo nel<br />
Cahier 54, risalente sempre al 1914. E questo autorizza a cogliere<br />
l’identità Albertine-Agostinelli: Agostinelli, infatti, fugge e muore nel<br />
1914.<br />
Ma la questione che dobbiamo risolvere è la seguente: la Jeune<br />
fille di cui nel Carnet de 1908, chi è? Se non Agostinelli (e Albertine)?<br />
E questo in virtù di quella facoltà divinatoria di cui <strong>Proust</strong> parla,<br />
riferendola alla sua esperienza, in una lettera a Reynaldo Hahn (fine<br />
di ottobre 1914) centrata sulla perdita recente dell’amico/amante;<br />
dopo osservazioni come “Ce n’est pas parce que les autres sont<br />
morts que le chagrin diminue, mais parce qu’on meurt soi-même”: “Si<br />
95 Nel giugno del 1911, a “un jeune homme”, possibile suo segretario, scriverà: “Je<br />
termine un roman ou livre d’essais qui est une œuvre extrêmement considérable,<br />
au moins par sa folle longueur” (COO, X, 308).<br />
96 Henri Bonnet, in La progrès spirituel dans “La recherche” de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong><br />
(Nizet, Parigi, 1979) – e anche in Les amours et la sexualité de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong><br />
(Nizet, Parigi, 1985) – sostiene ancora che <strong>Proust</strong> non era un omosessuale. Da<br />
tutt’altra parte William Carter nel suo <strong>Proust</strong> in love (2006, tr. it. Castelvecchi,<br />
Roma, 2007). Utile anche, sempre di Bonnet, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. De 1907 À 1914.<br />
(Avec une bibliographie générale), Nizet, Paris, 1971.
85<br />
jamais je veux formuler de telles choses ce sera sous le<br />
pseudonyme de Swann. D’ailleurs je n’ai plus à les formuler. Il y a<br />
longtemps que la vie ne m’offre plus que des événements que j’ai<br />
déja décrits” (CORR, XIV, 358-359). 97<br />
Vedi la lettera a Pierre de Polignac del febbraio 1920: “Au reste<br />
cette tristesse était par avance consolée par l’art car avec cette<br />
prévision qui me rend la vie si insipide (parce qu’elle arrive en retard<br />
sur mes livres) j’avais écrit (dans un volume à paraître) votre mariage<br />
(san votre nom bien entendu ni rien de vous il y a un an)” (CORR,<br />
XIX, 105-106).<br />
Proprio in Albertine scomparsa: “E tuttavia queste cose<br />
dolorose [...] quante volte ce le siamo dette, senza saperlo, senza<br />
volerlo, con parole da noi stessi credute menzognere ma alle quali i<br />
fatti hanno dato a posteriori (après-coup) il loro valore profetico (leur<br />
valeur prophétique)!” (AS, 507; 110).<br />
Secondo Pierre-Edomond Robert – Notice su La prisonnier –<br />
(1) i Cahiers 13, 47, 48, 50 e 74 dimostrano che il personaggio di<br />
Albertine compare nell’opera di <strong>Proust</strong> solo nella primavera del<br />
1913; e che la riorganizzazione di À la recherche du temps<br />
perdu che seguì fu parallela agli avvenimenti vissuti con<br />
Agostinelli: la sua partenza nel dicembre 1913, la sua morte nel<br />
maggio 1914;<br />
(2) “à l’invers – mais ce n’est pas une contradiction, la vie venant<br />
seulement appuyer les intention littéraires –, 98 <strong>Proust</strong> avait<br />
annoncé l’illustration des thèmes liés à la scène de<br />
Montjouvain, par une remarque d’une impression ressentie<br />
97 “La réalité de l’expérience utilisée dans la Recherche est hors de doute. Mais<br />
elle est ici racontée avant d’etre vecue. L’expérience précedente, sa mise par écrit<br />
et sa mise en mémoire engendrent un récit prémonitoire qui oriente l’expérience à<br />
venir. À trop se souvenir et à trop raconter, <strong>Proust</strong> s’est lui-même prédéterminé.<br />
Comment purrait-il vivre comme nuovelle une installation qu’il sait d’avance et se<br />
récite par cœur? Ainsi fait-il dans tous les domains. À vingt-huit ans, il ne peut plus<br />
rien lui arriver... Il n’est plus disponibile pour l’événement (ou le sentiment). Il sait<br />
comment cela s’est passé, doit se passer, va se passer. Il ne peut plus le<br />
découvrir. Il ne peut que l’approfondir. Et quelquefois, rarement, se laisser<br />
surprendre par un impossibile imprévu” (Duchêne, op. cit., pp. 352-353).<br />
98 Duchêne, partito dalla lettera a Reynaldo del 20 marzo 1896 – “J’ai frappé et<br />
même – une seule fois – sonné. Je n’ai entendu aucun bruit, vu aucune lumière, on<br />
ne m’a pas ouvert et je rentre bien triste. Dormez-vous seulement?” (CORR, II, 52)<br />
– in cui individua un antenato della scena quasi identica che vede protagonista<br />
Swann verso Odette, conclude: “Comme si les idées de l’auteur sur la jalousie<br />
avaient étés par lui vérifiées dans la vie après-coup, sorte de douloureuse<br />
confirmation par l’événement d’un système déjà arrêté dans son esprit”<br />
(L’impossible <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Laffont, 1994, 308).
86<br />
dans Du côté de chez Swann: ‘C’est peut-être d’une impresison<br />
ressentie aussi auprès de Montjouvain, quelques années plus<br />
tard, impression restée obscure alors, qu’est sortie, bien après,<br />
l’idée que je me suis faite du sadisme’. [...]. Avant d’observer<br />
Mlle Vinteuil et son amie, le narrateur comment à l’intention du<br />
lecteur: ‘On verrà plus tard que, pour de tout autres raisons, le<br />
souvenir de cette impression devait jouer un rôle important<br />
dans ma vie’. Alors que la phrase précédente était une addition<br />
à la dactylographie de 1912, la seconde a été ajoutée à la<br />
dernière minute puisqu’on ne la trouve que dans les épreuves<br />
Grasset qui préparent la pubblication de novembre 1913. Cette<br />
seconde phrase annonce le coup de théâtre de novembre 1913<br />
qui conclut Sodome et Gomorrhe, le départ brusqué de Balbec,<br />
lorsque Albertine apprend au narrateur qu’elle connaît<br />
intimement Mlle Vinteuil et son amie [...]” (Notice, P, 1631-1651<br />
+ SW, 159; 193-194).<br />
Comunque, interessante mi sembra la genealogia di Albertine<br />
che traccia Painter facendola risalire addirittura al suicidio dell’eroina<br />
lesbica di Avant la nuit [1893]. E più interessante la conclusione: “Par<br />
quasi che <strong>Proust</strong> abbia imposto al suo amore per Agostinelli un corso<br />
già prestabilito ed esistente non soltanto nell’esperienza amorosa<br />
complessiva della sua vita ma anche nell’atmosfera del romanzo.<br />
Agostinelli fu condotto lungo un cammino che menava alla tragica<br />
fine dall’ineluttabile meccanismo di un capolavoro; fu ucciso dalla<br />
Recherche [...]. La Recherche è un’opera consacrata da due sacrifici<br />
umani, dalla morte di Mme <strong>Proust</strong> e dalla morte di Agostinelli, e di<br />
tutte e due <strong>Proust</strong>, nella sua mente e nella realtà, fu parzialmente<br />
responsabile” (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 1959, tr. it. 1980, pp. 518-519).<br />
6) Après-coup/non après-coup; categoriale/non categorale<br />
Torneremo spesso su questo punto; perché è vero che la<br />
Recherche narra di una ricerca; quindi: di una perdita e di un<br />
ritrovamento (del Tempo). Ma chi scrive la Recherche, questo<br />
Tempo, oltre ad averlo perso, l’ha anche ritrovato. E scrive la<br />
Recherche dal punto di vista di chi l’ha ritrovato. Da qui la perfezione<br />
della scrittura (escluse le pagine che <strong>Proust</strong> avrebbe dovuto o limare<br />
o togliere).<br />
Da questo punto di vista risulta più chiaro che, essendo l’aprèscoup<br />
collocato... sin dall’inizio... alla fine dell’opera (che è nata tutta<br />
intera dalla testa di Giove), esso non implica un invito a vivere
87<br />
pienamente la propria vita ma l’indicazione sconcertante che<br />
abbiamo sempre accesso all’eterno, all’extra-temporel.<br />
L’illuminazione che abbiamo detto, segna una svolta nel lavoro<br />
di <strong>Proust</strong>. Fino a quel momento egli ha cercato di scrivere un<br />
romanzo su?, una critica di?, Sainte-Beuve.<br />
Lo scenario è quello di una conversazione con la madre nel<br />
corso di una matinée...<br />
Nel corso della quale (conversazione e matinée) vuole<br />
dimostrare che il “metodo” di Sainte-Beuve è sbagliato (esso<br />
consistendo nell’informarsi della vita degli autori, intervistando coloro<br />
che li hanno conosciuti, leggendo tutti i documenti disponibili)... I<br />
giudizi che incontriamo nel Carnet sono tranchant: “Cette médiocrité<br />
du moi l’empêche de se replacer dans l’état où était l’écrivain donc<br />
de le comprendre, – elle empêche aussi d’écrire” (C8, 77); “Folie<br />
moins délétère que bouchage des artères di cerveau” (C8, 68).<br />
Meglio pazzi come Gérard de Nerval che imbecilli come Sainte-<br />
Beuve!<br />
Infatti, come spiegare il fatto che Sainte-Beuve non abbia capito<br />
la genialità dei poeti e romanzieri più originali del suo tempo, li abbia<br />
considerati al di sotto di scrittori che erano loro inferiori? “Pense, se<br />
dit-il, que tous ces gens ont été plus grands que lui” (C8, 77)...<br />
<strong>Proust</strong> è un “romanziere”; e scriverà un romanzo; un romanzo<br />
che includerà, trasfigurato, lo studio critico su Sainte-Beuve. Nel<br />
romanzo, Madame de Villeparisis finito di dire il poco conto in cui<br />
tiene uomini di genio come Balzac, Victor Ugo, Vigny, detto della<br />
“vulgarité affreuse” de M. Beyle, cioè di Stendhal, conclude: “Je crois<br />
que je peux en parler, car ils venaient chez mon père, et, comme<br />
disait M. Sainte-Beuve qui avait bien de l’esprit, il faut croire sur eux<br />
ceux qui les ont vus de près et ont pu juger plus exactement de ce<br />
qu’il valaient” (AO, 711)...<br />
Come vedete, qui, nel romanzo, Sainte-Beuve è diventato<br />
Madame de Villeparisis...<br />
<strong>Proust</strong>, crea un’opera, non di critica letteraria o di filosofia, ma<br />
d’immaginazione. E, nel romanzo, trae le conseguenze del lavoro<br />
fatto su Sainte-Beuve: “Cette leçon pouvait se réduire en somme à<br />
ceci: qu’il nous arrive souvent dans la vie de nous tromper non<br />
seulment sur la valeur d’un écrivain ou d’un artiste, mais aussi sur le<br />
caractère des hommes que nous croyons connaître pour les avoir<br />
fréquentés” (Kolb, 25).<br />
Sì, proprio così. Non più la confutazione della tesi di un critico<br />
letterario che giudica le opere degli scrittori... ma il lavoro di<br />
comprensione (di uno psicologo?, di un sociologo?) che giudica le
88<br />
opere degli uomini (e le proprie). E, per farlo, inventa un metodo che<br />
niente ha a che fare con quello di Sainte-Beuve. Perché parte da una<br />
concezione opposta: più frequentiamo una persona, più conversiamo<br />
con essa, meno la capiamo (per questo, la persona che capiamo di<br />
meno siamo noi stessi). Per “comprenderla” abbiamo bisogno di<br />
strumenti raffinati... quelli di cui <strong>Proust</strong> ci fornisce.<br />
Qui sotto alcuni passaggi del Cahier 8: “Nous croyons le passé<br />
médiocre parce que nous le pensons mais le passé ce n’est pas<br />
cela, c’est telle inégalité des dalles du baptistère di S t Marc<br />
(photographie du Baptistère) de S t Marc à laquelle nous n’avions<br />
plus pensé, nous rendant le soleil aveuglant sur le canal. Peut-être<br />
dois-je bénir ma mauvaise santé, qui m’a appris, par le lest de la<br />
fatigue, l’immobilité, le silence, la possibilité de travailler. 99 Les<br />
avertissements de mort. Bientôt tu ne pourras plus dire tout cela. La<br />
paresse ou le doute ou l’impuissance se réfugiant dans l’incertitude<br />
sur la forme d’art. Faut-il en faire un roman, une étude philosophique,<br />
suis-je romancier? 100 (Ce qui me console, Gérarnd de Nerval Voir<br />
page XXX de ce cahier). Tiens ferme ta couronne. Je sens que j’ai<br />
dans l’esprit comme le lac de Genève invisible la nuit. 101 J’ai quattre<br />
visages de jeunes filles, deux clochers, un filière noble, en l’hortensia<br />
normand un ‘allons plus loin’, dont je ne sais ce que je farai – devoirs<br />
parfois des fétisches dont je ne sais plus le sens. Je fixe devant moi<br />
quatre têtes de jeunes filles et ne vois plus la réalité qui [ ] oublié:<br />
Ma je sens qu’un rien peut briser ce cerveau” (C8, 60-61; vedi TR,<br />
920).<br />
“Approfondir des idées (Nietche, philosophie) est moins grand<br />
qu’approfondir des réminiscences parce que comme l’intelligence ne<br />
crée pas et ne fait que débrouiller non seulement son but est moins<br />
grand mais sa tâche est moins grande. Aucun homme n’a jamais eu<br />
d’influence sur moi (que Darlu et je l’ai reconnue mauvaise). Aucune<br />
action extérieure à soi n’a d’importance: Nietche et la guerre, Nietche<br />
et Wagner, Nietche et ses scrupules. La réalité est en soi. (Wagner<br />
disant: opéra et mariage. Emerson: il faut vivre une idée absurde).<br />
Pour ajoutes dans la dernière partie à ma conception de l’art. Ce qui<br />
se présente ainsi obscurément au fond de la conscience, avant de le<br />
réaliser en œuvre, avant de le faire sortir au dehors il faut lui faire<br />
traverser une région intermédiaire entre notre moi obscur, et<br />
99 “Vous ai-je parlé d’une pensée de Saint-Jean: Travaillez pendant que vous avez<br />
encore la lumière. Comme je ne l’ai plus je me mets au travail” (lettera a Georges<br />
Lauris, dicembre 1908 (CORR, VIII, 316).<br />
100 L’incipit di Jean Santeuil: “Puis-je appeler ce livre un roman?”.<br />
101 Incontreremo il “lac” come simbolo dell’inconscio.
89<br />
l’extérieur, notre intelligence, mais comment l’amener jusque-là,<br />
comment le saisir. On peut rester des heures à tâcher de se répéter<br />
l’impression première, le signe insaisissable qui était sur elle et qui<br />
disait: approfondis-moi, sans s’en approcher san la faire venire à soi.<br />
Et pourtant c’est tout l’art, c’est le seul art. Seule mérite d’être<br />
exprimé ce qui est apparu dans les profondeurs et habituellement<br />
sauf dans l’illumination d’un éclair, ou par des temps<br />
exceptionnellement clairs, animants, ces profondeurs sont obscures.<br />
Cette profondeur, cette inaccessibilité pour nous-même est la seule<br />
marque de la valeur – ainsi peut’être qu’une certaine joie. Peu<br />
importe de quoi il s’agit. Un clocher s’il est insaisissable pendant des<br />
jours a plus de valeur qu’une théorie complète du monde” (C8, 101-<br />
103).<br />
“Je n’ai pas trouvé le beau dans la solitude que dans la societé,<br />
je l’ai trouvé quand par hasard, à une impression si insignificante<br />
qu’elle fût, le bruit répété de la trompe de mon automobile voulant en<br />
dépasser un autre, venait s’ajouter spontanément une impression<br />
antérieure du même gènre qui lui donnait une sorte de consistance,<br />
d’épaisseur, et qui me montrait que la joie la plus grande que puisse<br />
avoir l’âme c’est de contenir quelque chose de générale et qui la<br />
remplisse tout entière. Certes ces moments-là sont rares. Mai ils<br />
dominent toute la vie. Ajouter pour dire qu’il faut qu’il y ait presque<br />
hallucination car pour bien revoir, il faut croire et pas seulement<br />
imaginer [...]. Ne pas oublier [...]. Ne pas oubiler [...]. Ne pas oublier<br />
[...]” (C8, 124-125).<br />
7) Bois de Boulogne e bal de têtes<br />
Du côté de chez Swann, sostiene Painter, “termina con un<br />
brano, unico nel romanzo, in cui per un attimo il Narratore emerge<br />
dall’abisso del passato per osservare il presente nel quale sta<br />
scrivendo. [...]. [<strong>Proust</strong>] aveva deciso di terminare l’episodio di<br />
Gilberte con un confronto tra il Bois del 1988, quando ci andava ad<br />
aspettare Léonie Clomesnil, e il Bois del 1912”. 102<br />
I termini del problema sono già posti: “[...] i diversi elementi di<br />
un ricordo sono solidali tra loro e la nostra memoria li mantiene in<br />
equilibrio (équilibrées) all’interno d’un sistema cui non possiamo<br />
sottrarre o rifiutare nella [...]” (SW, 426; 514)...<br />
Quindi quell’equilibrio va rotto.<br />
102 <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 1959, tr. it. Feltrinelli, 1980, pp. 498-499.
90<br />
A questa rottura provvede la memoria involontaria.<br />
Il Bois è “al primo risveglio di questo maggio delle foglie” (SW,<br />
509). In un momento, quindi, di svolta, di perdita dell’equilibrio; lo<br />
dice l’ossimoro: il maggio che annuncia la primavera, qui annuncia<br />
l’autunno...<br />
Il Bois ha, infatti, l’“aspetto provvisorio e arificioso” di un “vivaio”<br />
in cui sono trapiantate “due o tre specie preziose”; è, questo risveglio<br />
di maggio, la stagione in cui il Bois de Boulogne rivela “il maggior<br />
numero d’essenze diverse (essences diverses) e giustappone il<br />
maggior numero di parti distinte in un composito insieme” (SW, 422;<br />
510). Il Bois non è un “semplice bosco”, ma risponde “a una<br />
destinazione estranea alla vita (étrangère à la vie) dei suoi alberi”: “la<br />
mia esaltazione non era provocata solo dall’ammirazione per<br />
l’autunno, ma da un desiderio. Insomma fonte d’una gioia che<br />
l’anima assapora, dapprima, senza afferrarne la causa, senza capire<br />
che niente di esterno la motiva (sans comprendre que rien au dehors<br />
ne la motive)” (SW, 423; 511).<br />
Il narratore intuisce che deve discendere in se stesso: “Ma la<br />
bellezza [...] non era fissata fuori di me (n’était pas fixée en dehors<br />
de moi), nei ricordi di un’epoca storica, in qualche opera d’arte, in un<br />
tempietto all’Amore. [...]. L’idea di perfezione che custodivo in me<br />
(que je portais en moi), l’avevo prestata (je l’avais prêtée) all’alta<br />
sagoma d’una victoria [...]” (SW, 424; 512).<br />
L’esperienza che il Narratore fa rivisitando il Bois, deve farla<br />
anche rivisitando coloro che lo popolano: “E io non avevo più fede da<br />
infondere in tutte quelle nuove componenti dello spettacolo per dare<br />
loro la consistenza, l’unità, la vita (l’existence): mi passavano<br />
davanti in ordine sparso, a caso (au hazard), senza verità (sans<br />
vérité), prive in se stesse d’una qualsiasi bellezza che i miei occhi<br />
potessero, come allora, sforzarsi di comporre” (SW, 425; 513).<br />
Il Narratore capisce che rischia il feticismo (l’idolatria<br />
rimproverata a Ruskin): “Ma quando una fede scompare, le<br />
sopravvive, e si fa via via più vivace per mascherare il vuoto del<br />
nostro perduto potere di dare realtà alle cose nuove, un<br />
attaccamento feticistino alle cose vecchie ch’esso aveva animate,<br />
come se in quelle e non in noi stessi (comme si c’était en elles et non<br />
en nous que) risiedesse il divino e la nostra attuale incredulità<br />
avesse una causa contingente, la morte degli Dei. Che orrore ! [...].<br />
Che orrore!” (SW, 425; 513).<br />
L’orrore è già quello che il Narratore proverà nel corso del bal<br />
de têtes. Egli vi incontrerà alcune donne “invecchiate, nient’altro più
91<br />
che l’ombra terribile di ciò che erano state, vagare alla disperata<br />
ricerca di chissà che cosa nei boschetti virgiliani” (SW, 515)...<br />
Il Narratore capisce che non è ancora giunto alla meta: “Ma<br />
adesso, anche se non mi conducevano a uno sbocco, quegli attimi<br />
mi sembravano di per sé abbastanza incantevoli. Volevo ritrovarli<br />
identici (tels que) a come li ricordavo [...]” (SW, 426; 514). Ma quel<br />
che il Narratore deve scoprire e accettare è che tutto è cambiato: “La<br />
realtà che avevo conosciuto non esisteva più” (SW, 515).<br />
8) Platonismo senza super-uranio<br />
Ricordate la lettera a André Chaumeix del 12 dicembre 1919?<br />
Che ha come argomento un’obiezione di M. de Pierrefeu? “Pour en<br />
finir avec tout, si vous avez quelquefois l’occasion de causer avec M.<br />
de Pierrefeu, vous pourrez lui dire que le dernier chapitre de mon<br />
œuvre ayant été écrit avant le premier, et tout l’ouvrage étant fait et<br />
terminé, il n’a pas besoin d’attendere ma mort comme il dit pour finir<br />
À la Recherche du Temps Perdu (titre detestable qui je le reconnais<br />
trompe sur la composition serrée de l’œuvre). Cette composition est<br />
si inflexible que M. Francis Jammes m’ayant adjuré d’ôter de Du côté<br />
de chez Swann un épisode qui le choquait, j’ai été sur le poit de lui<br />
donner satisfaction, cet épisode étant en effet inutile dans le premier<br />
volume. Mais je me suis rendu compte que si je l’enlevais, le<br />
trosième et le quatrième volumes étaient détruits puisque c’est le<br />
ressouvenir de cet épisode qui en excitant la jalousie du narrateur<br />
(celui qui dit je et qui n’est pas toujours moi) amenait ce qu’on<br />
appelait au théâtre la péripétie” (CORR, XVIII, 524).<br />
A Jean de Pierrefeu, il 4 gennaio 1920, <strong>Proust</strong> assevererà: “Le<br />
dernier mot en était écrit en 1914. Donc tout est fait” (CORR, XIX,<br />
49)....<br />
<strong>Su</strong>r <strong>Proust</strong>, di Jean-François Revel, 103 è uno degli scritti più<br />
stimolanti.<br />
Penso, ad esempio, all’idea che esista in <strong>Proust</strong> un platonismo<br />
sui generis; un platonismo, cioè, che non fa capo ad un super-uranio<br />
(a un “bene” assoluto). 104<br />
All’idea che “la thèse de <strong>Proust</strong> sur la création littéraire est le<br />
retournement exact de celle de Sainte-Beuve, et elle est du même<br />
103 1960, Grasset, Parigi, 1987.<br />
104 Ibidem, pp. 221 sgg.
92<br />
niveau. À la thèse que l’êuvre procède du moi des dîners en ville,<br />
<strong>Proust</strong> réplique qu’elle procède d’un moi qui ne mange jamais”. 105<br />
Non a caso Revel sostiene che il genio di <strong>Proust</strong> consiste<br />
nell’essere riuscito a descrivere la “verità”... Non solo quella interiore<br />
ma anche quella interiore. Dimostra che le due sono tra loro<br />
interconnesse...<br />
Interessante l’insistenza sull’importanza del “vissuto” e sul fatto<br />
che questo “vissuto” è ossessivo; quasi che quel che ossessiona non<br />
sia un’esperienza accaduta solo nella realtà della vita di <strong>Proust</strong> ma<br />
sia accaduta anche – lo diciamo proustianamente – nella sua pre-vita<br />
(nella sua preistoria): “Mais il fallait un labeur aussi minutieux que<br />
celui de George D. Painter pour ne pas suggérer seulement, mais<br />
démontrer cette superposition, si littéteral, si surprenant, entre le<br />
vécu et le récit” + “Bien qu’il n’y ait dans la Recherce, selon <strong>Proust</strong><br />
lui-même, aucune incorporation littérale et intégrale d’un personnage<br />
ou d’un événement réels, il me semble également indiscutable que<br />
rien, absolument rien, n’y est créé de toutes pièces, et que l’auteur<br />
n’y parle jamais que de ce qu’il a vécu ou vu” 106 + “[...] seul le temps<br />
– même pour lui – peut opérer ce décollement, et, dès lors, ce n’est<br />
pas une ‘dimension métaphysique’ qui s’est ‘consitutée’, mais une<br />
autre chose vécue qui survient” 107 + <strong>Proust</strong> = “l’obsédé qui reproduit<br />
quelques scènes impossibles à modifier”. 108<br />
Ma l’essenziale è la diffidenza di Revel verso l’idea che <strong>Proust</strong><br />
difenda a spada tratta la sua opera come una “costruzione”<br />
(“dogmatica” etc.): “D’un côté persiste tout en s’atténuant<br />
l’improvisation préparée de l’auteur qui voulait coucher sur le papier<br />
quelque souvenirs obsédants, mais qui, sachant obscurément que<br />
ces souvenirs resurgiront toujours [...] délaisse à tout propos cette<br />
ligne principale, prend la liberté de se jeter dans les digressons les<br />
plus longues, et c’est ce retour perpétuel, quoique de plus en plus<br />
espacé, qui donne à la Recherche ses melodie et ses contrepoints,<br />
et qui peut faire parler de composition ‘savante’ (ainsi Du côté de<br />
chez Swann s’ouvrant sur un coucher et finissant sur un lever). De<br />
l’autre côté [...] une autre improvisation se déploie, au service d’une<br />
pensée de constatation, écrit au présent, c’est l’improvisation des<br />
digressions qui enveloppent et noient les images primitives, finissant<br />
par nous les faire perdre de vue, à nous et à l’auteur” + “[...] si<br />
copieuse soit la rhétorique qu’a pu faire couler la fameuse et mytique<br />
105 Ibidem, pp. 228 segg.<br />
106 Ibidem, p. 38.<br />
107 Ibidem, pp. 66-67.<br />
108 Ibidem, p. 35.
93<br />
‘composition en rosace’, façon pudique de dire qu’il s’agit d’un<br />
ensemble de pièces aux coutures hasardeuses, de plusieurs coulées<br />
d’inspiraton librement suivies”. 109<br />
Ne concludiamo che, forse, l’essenziale dell’opera di <strong>Proust</strong> è il<br />
suo essere insieme “compiuta” e “incompiuta”.<br />
Qualcosa come un platonismo senza iperuranio...<br />
Nel qual caso l’ossessione opera già negli scritti della<br />
giovinezza... Prosegue attraverso Jean Santeuil, attraverso<br />
l’esperienza del tête-à-tête con Ruskin, attraverso il Contre Sainte-<br />
Beuve e attraverso la Recherche. La “ricerca” abbraccia tutto questo<br />
percorso, e procede oltre...<br />
10) Infine: qual è la Recherche?<br />
Eugène Nicole in La Recherche et les nom, 110 dimostra nei<br />
brouillon “la résurgence de Noms beaucoup plus anciens” che, al di<br />
là del Jean Santeuil, risalgono a Plaisirs et les Jours...<br />
Come a dire: la ricerca comincia fin dai primi scarabocchi (se<br />
scarabocchi possono essere definiti Plaisirs et les Jours).<br />
Serge Doubrovsky in Corps du texte / text du corps: “Le<br />
commencement de la Recherche est recherche du commencement,<br />
il ne saurait faire partie de l’histoire qu’il raconte, puisqu’il est,<br />
comme tel, anhistorique” 111 ...<br />
Come a dire: l’inizio della ricerca si perde nella notte dei tempi<br />
proprio perché essa è ricerca di quel che da sempre è là (Da-sein)...<br />
“Ce n’est pas donc pas seulement tout l’espace-temps proustien,<br />
Combray, Balbec, Paris, Doncières, Venise, ‘les lieux, les<br />
personnages que j’y avais connues’ (I, 9) que produit littéralement<br />
cet introït insomniaque, mais l’acte de la production même, allégorisé<br />
par l’épisode de la madeleine: remémoration de la remémoration,<br />
souvenir de la naissance du souvenir, l’ouverture insomniaque se<br />
donne ainsi comme un terminus a quo ultime, un point de départ<br />
ansolu du récit, don l’évolution ultérieure sera une immense<br />
involution – une sorte de hors-texte, qui est en même temps une<br />
matrice du texte. Cette position paradoxale, voire intenable, rejette<br />
109 Ibidem, p. 36.<br />
110 In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 14, Études proustiennes, VI, Gallimard, Parigi, 1987,<br />
pp. 76-77.<br />
111 Ibidem, pp. 56-57.
94<br />
l’ouverture en une sorte de no man’s land, une atopie ou utopie de<br />
l’écriture, pour reprendre des termes chers à Barthes”. 112<br />
Bernard Brun, in Le roman de <strong>Proust</strong>: établir un texte, publier<br />
des manuscrits, di fronte alla scelta se pubblicare (come verrà fatto<br />
dalla nuova edizione della Pléiade) o no i brouillon: “On remarque<br />
dès les cahiers de brouillon une horreur du blanc qui va s’aggravant<br />
dans les manuscrits et que les éditeurs postumes, à partire de La<br />
Prisonnière, ont été obligés de respecter peu ou prou. L’édition<br />
cohérente d’un texte uniformément établi selon des principes<br />
systematiques serait une erreur historique. Le discontinu, l’inachevé<br />
sont des données fondamentales du roman qui jusqu’à présent ont<br />
été inutilement occultées au non de la perfection du grand œuvre.<br />
[...]. Jean Santeuil, Contre Sainte-Beuve, Matinée chez la princesse<br />
de Guermantes ne sont pas des ‘inédits’ enfin publiés, parties trop<br />
longtemps ignorées de l’œuvre complète de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, mais des<br />
brouillons interrompus destinées au roman ou plus exactement, dans<br />
le cas des deux premiers et pour éviter toute vision finaliste,<br />
‘téléologique’, des dossiers de travail qui ont été réutilisés, des<br />
années après, pour rédiger ce roman”... 113<br />
Questa dichiarazione (preliminare) non dice tutto il pensiero di<br />
Brun, ma chiarisce l’incompiutezza dell’opera... Meglio, il suo essere<br />
un cantiere sempre – da sempre e per sempre – aperto.<br />
Più avanti, dopo aver dimostrato la dialettica insolubile che lega<br />
i frammento all’insieme, il movimento della scrittura nei brouillon alla<br />
genesi dell’opera concepita nella sua globalità – e che trova la sua<br />
illustrazione più straordinaria nella struttura delle “Matinées”: “Elle<br />
informe la Recherche entière, à partir de la première phrase”: “Le<br />
vieux couple un peu triste ‘genèse et structure’ déraille très vite en ce<br />
sens que, vus de près, les brouillons développent une écriture folle<br />
plus qu’ils ne la contiennent. L’effort de structuration, dans les limites<br />
d’un projet toujours provisoire parce que toujours remis en question,<br />
éclate sous la plume, vers le discontinu, vers le proliférant. Il n’est<br />
récupéré qu’in extremis, pour les besoins de la publication, par une<br />
série de condensations, de renoncement”...<br />
Molto interessante per noi che abbiamo immaginato una<br />
Recherche abbreviata sulle orme di Flaubert, Sodome 1913 di<br />
Antoine Compagnon... È o no possibile pubblicare, insieme, il <strong>Proust</strong><br />
edito e quello inedito? Pubblicare i brouillon non significa<br />
disconoscere la differenza assoluta tra le esquisse e il testo<br />
compiuto? Ad esempio, consideriamo Flaubert: l’unità del suo lavoro<br />
112 Ibidem, p. 54; il corsivo è dell’autore.<br />
113 Ibidem, p. 124
95<br />
è la pagina; la riprende dodici o tredici volte, la riscrive da cima a<br />
fondo, modificandola sempre, fino ad arrivare ad un punto di<br />
equilibrio in cui un’altra scrittura sarebbe una copia... Ma, la scrittura<br />
di Flaubert è “fermée, convergente”, quella di <strong>Proust</strong> “ouverte,<br />
expansive”: “ce pourquoi <strong>Proust</strong> a tant réflechi à la question de<br />
l’unité, de l’achèvement du livre, un achèvement qui ne fût pas une<br />
fermeture ounì un enfermement, à l’image de cette cathédrale, de ce<br />
bœuf mode ou de cette robe, qui ne rejettent jamais une greffe mais<br />
ne perdent pas pour autant leur essence. [...]. Vient la guerre: <strong>Proust</strong><br />
continue d’augmenter son livre, gonfle sans relâche, il ajoute jusqu’à<br />
la mort. La Recherche que nous connaissons n’est pas plus achevée<br />
que ce que nous connaissons pas, et à ce compte-là, il faudrait aussi<br />
nous passer de tout ce qui a paru après la mort de <strong>Proust</strong>, de La<br />
Prisonnière au Temps perdu. [...]. Des larges pans de la Recherche<br />
sont des brouilloins, à l’état d’écriture brouillonne, et la perpective<br />
finaliste est une erreur, qui juge le texte final toujours meilleur que les<br />
versions antérieures. À l’achèvement de la page flaubertienne, il faut<br />
opposer la phrase proustienne, unité de la lecture et de l’écriture,<br />
sans imaginer de médiation entre la phrase et le livre ou l’œuvre, au<br />
nom de laquelle trancher. [...]. Et tout appartient à ce livre, la<br />
séparation de l’avant-texte et du texte est contingente, elle n’est pas<br />
nécessaire. Tous les brouillons appartient au livre”. 114<br />
114 Ibidem, pp. 153-154. Gli autori che ho citato portano a riprova delle loro<br />
affermazioni una documentazione alla quale rimando il mio lettore.
96<br />
Cap. 6<br />
LA SCENA-MADRE<br />
[...] je la vois [...] comme l’ombre du sapin qui se<br />
développait sûr le parquet par les volets découpée sur le<br />
clair de lune 115<br />
[...] race sur qui pèse une malédiction [...] fils sans mère,<br />
à laquelle ils sont obligés de mentir toute la vie et même à<br />
l’heure de lui fermer les jeux [...] 116<br />
[...] les fils n’ayant pas toujours la ressemblance<br />
paternelle, même sans être invertis et en recherchant des<br />
femmes, ils consomment dans leur visage la profanation<br />
de leur mère? Mais laissons ici ce qui mériterait un<br />
chapitre à part: les mères profanées 117<br />
[...] et maman qui aussitôt l’entendait [le cri du parquet]<br />
me faisant avec la bouche le petit bruit qui signifie viens<br />
m’embrasser 118<br />
[...] elle m’a cent fois trop aimé puisque j’ai maintenant la<br />
double torture de penser qu’elle a pu savoir, avec quelle<br />
anxiété, qu’elle me quittait, et surtout de penser que toute<br />
115<br />
“Mais cette nuit enchantée [...] où ma mère était à côté de mon lit, sur le fauteuil<br />
di cretonne, dans sa belle robe de chambre à ramages bleus [...]; je la vois [...]<br />
comme l’ombre du sapin qui se développait sûr le parquet par les volets découpée<br />
sur le clair de lune” (C &, ES X, SW, 676).<br />
116<br />
(SG, 615).<br />
117<br />
SG, tadié, 300.<br />
118<br />
Lettera a madame de Noailles, 28 dicembre 2005, dopo la morte della madre:<br />
“Sono andato in certe stanze dell’appartamento dove per caso non ero più stato ed<br />
ho esplorato così zone sconosciute del mio dolore, che si estende sempre più<br />
infinito man mano che mi ci inoltro. C’è un’assicella del parquet vicino alla camera<br />
della mamma su cui non si può passare senza che scricchioli e mamma, appena<br />
sentiva lo scricchiolio, mi faceva con le labbra il piccolo rumore che significa: vieni<br />
a darmi un bacio (me faisait avec la bouche le petit bruit qui signifie: viens<br />
m’embrasser)” (Correspondence de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Plon, Paris, vol. V., p. 346).<br />
“Mais cette nuit enchantée [...] où ma mère était à côté de mon lit, sur le fauteuil di<br />
cretonne, dans sa belle robe de chambre à ramages bleus [...]; je la vois [...]<br />
comme l’ombre du sapin qui se développait sûr le parquet par les volets découpée<br />
sur le clair de lune” (C &, ES X, SW, 676).
97<br />
la fin de sa vie a été si affligé, si constamment<br />
préoccupée par ma santé [...] 119<br />
Elle est absente de cette préface [a Sésame et les lys], et<br />
j’ai même remplecé le mot “ma mère” qui était fictif et ne<br />
s’appliquait pas à alle par le mot “ma tante” pour qu’il ne<br />
soit pas question d’elle dans ce que j’écris junsqu’à ce<br />
que soit achevé quelque chose qui j’ai comencé et qui<br />
n’est rien que sur elle. 120<br />
Il sait que les êtres [...] qu’on a le plus aimés, on ne pense<br />
jamais à eux, au moment où on pleure le plus, sans leur<br />
addresser passionnément le plus tendre sourir dont on<br />
soit capable. [...]. Est-ce plutôt, que ce sourire-là n’est que<br />
la forme même de l’interminable baiser que nous leur<br />
donnons dans l’Invisible? 121<br />
Nessuno è andato più in là di <strong>Proust</strong> nel ricercare il<br />
significato completo di questa scena. Ma non possiamo<br />
per questo leggerla acriticamente come autobiografica. 122<br />
Jean Milly, nell’L’ouverture de La Prisonnière d’après le<br />
manuscrit ‘definitif’ et les dactylographies: 123 “L’articulation<br />
119 Lettera a Maurice Barrès, 19 gennaio 1906 (CORR, VI, 28).<br />
120 Lettera Lucien Daudet, giugno 1906 (CORR, VI, 100).<br />
121 Une grande-mère, 1907 (CSB, 548).<br />
122 <strong>Proust</strong>, Roger Shannuck, 1974, Mondadori, Milano 1991, p. 17. “[...] l’anecdote<br />
du baiser du soir n’a pas à y être racontée comme elle s’est passée, mais comme<br />
elle doit l’être pour avoir le maximum d’efficacité sur le lecteur de ci livre. Avec le<br />
temps et au fil des divers récits, elle s’est précisée, amplifiée, modifiée,<br />
métamorphosée. Signe du travail du romancier, non de la fidélité du biographe”<br />
(L’impossible <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Roger Duchêne, Laffont, Paris, 1994, p. 23).<br />
Duchêne, pur ricordando il nucleo autobiografico reperibile nella lettera a Maurce<br />
Barrès del 19 gennaio 1906 (CORR, VI, p. 28), preferisce dare un maggiore valore<br />
alla dédicace autobiografica a Les Plaisirs et les Jours (dove l’arca rappresenta il<br />
seno materno che accoglie il figlio malato). Ancora, a proposito della madeleine:<br />
“[...] <strong>Proust</strong> n’a pas forcément raconté la pure vérité. La présence de ‘la vieille<br />
cuisinière’ est gênante pour Painter, soucieux de situer la scène au moment où<br />
l’auteur conçoit la Recherche. [...]. En fait, on ne sait ni où ni quand eut lieu<br />
l’expérience de la biscotte, ni même si <strong>Proust</strong> l’a effectivement connue un beau<br />
jour. [...]. Avec l’expérience de la biscotte, <strong>Proust</strong> tient, sans qu’il le sache encore,<br />
la découverte fondatrice de toute la Recherche, le principe de son existence et de<br />
son déroulenement, le moyen technique et pratique d’y introduire la narration”<br />
(ibidem, pp. 603-604; vedi anche p. 668). (Quando ad Alberttine/Alostinelli:<br />
“Comme presque toujours avec <strong>Proust</strong>, ce n’est pas seulement la fiction qui s’ispire<br />
de la réalité, c’est aussi la réalité qui rejoint la fiction”, ibidem, p. 685)
98<br />
est faite avec la fin de Sodome et Gomorre II et, ce qui<br />
est typiquement proustien, tout de suite avec l’ensemble<br />
de l’histoire du personnage, qui est suggérée comme<br />
connaissant trois stades – enfance, jeunesse, âge adulte<br />
– où est vécu dans des circonstances différentes un<br />
même événement fondamental: la séparation<br />
douloureuse d’avec un être aimé, suivi de la brusque<br />
possibilité donnée par une puissance (le père, le capitaine<br />
de Borodino, ‘la vie’) de le retrouver. Cette mise en série<br />
fait du début de La Prisonnière une reprise de ‘Combray<br />
I’en retraçant dans un autre contexte la scène fondatrice<br />
et itérative du baiser chacque jour apaisant et<br />
‘nourrissant’”. 124 Interessante un passo che ritorna:<br />
manoscritto e aggiunte (NAF 16715): “la vie, quand elle re<br />
nouvelle pour nous la grâce inespérée de < si elle doit<br />
une fois de plus > nous faire échapper < délivrer > contre<br />
toute prévision à une < de > souffrance inévi qui<br />
paraissaient inévitables, le fait dans des conditins<br />
différents / renouvelle sa grâce identique das des<br />
conditions différents, jusqu’à affecter /par fois si<br />
oppos[ées] / le fait<br />
dans....................................................................................<br />
.................. la vie, si elle doit une fois de plus nous<br />
délivrer contre toute prévision de souffrances qui<br />
paraissaient inévitables, le fait dans de conditiones<br />
différents, opposées par fois jusqu’au point qu’il a<br />
presque un sacrilège apparent à constater l’identité de la<br />
grâce qui nou est faite < octroyée >”. 125<br />
123<br />
In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>,14. Études proustiennes VI, Gallimard, Paris, 1987,<br />
pp. 288-337.<br />
124<br />
Ibidem, p. 291.<br />
125<br />
Vedi anche la prima dattilografia (DI) e la seconda (D2) (in Milly, op. cit., pp.<br />
285-296, 309, 315).
99<br />
Dal tintement timide, ovale et doré de la clochette pour les<br />
étrangers di Dalla parte di Swann, al tintement, alla petite<br />
sonnette, del Tempo ritrovato... passando dal car mon heure<br />
pouvait sonner dans quelques minutes, nel medesimo.<br />
1) Baci e abbracci<br />
C’è un tema, addirittura un filone, della Rercherche che la<br />
psicologia “piana” sarebbe tentata di cavalcare. Quello del bacio 126 –<br />
baiser o embrasser –; quello della buonanotte – bonsoir –. A partire,<br />
certamente, dal bacio della madre; a continuare con quello della<br />
nonna; per non parlare di quello di Albertine: un bacio mancato,<br />
inaugura, all’epoca del suo secondo soggiorno a Balbec, la relazione<br />
amorosa del Narratore con Albertine...<br />
Questo tema è però tale da imporsi anche ad una psicologia<br />
“dello spazio” (o della profondità). Perché<br />
(1) domina tutta la Recherche, dal suo inizio alla sua fine;<br />
(2) e presenta delle caratteristiche diverse alla sua fine rispetto a<br />
quelle che aveva al suo inizio (e nel suo sviluppo).<br />
Il fatto stesso che l’ultima redazione del medesimo episodio sia<br />
diversa dalla prima anche solo sul piano lessicale, ci porterà a<br />
ipotizzare che in questo luogo, quello delle numerose e diverse<br />
edizioni di una medesima scena, luogo ostico per lo psicologo,<br />
perché facilmente vi è tentato dallo psicologismo, si “il” luogo in cui si<br />
esprime, si avventura e si conclude l’avventura del ricercatore.<br />
2) La prima edizione del bacio della buonanotte<br />
Partiamo dalla prima edizione (SW, 23-45; 29-55).<br />
Il “solo tra noi” per il quale le visite di Swann fossero oggetto di<br />
“preoccupazione dolorosa” è il Narratore.<br />
Torniamo di qualche pagina indietro (esattamente 15 nel testo<br />
italiano e di 19 in quello francese).<br />
126 Douglas Alden nel suo Le plus ancien état du texte proustien après les<br />
épreuves Grasset, si dilunga sull’“ambiguità” del testo proustiano a proposito del<br />
“baiser” come strumento della “possession”: “Il ne paraît pas très expérimenté<br />
dans l’art du baiser car, en cette occasion en tout cas, il se borne à embrasser la<br />
joue d’Albertine” (In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> 14, Études proustiennes, VI, Gallimard,<br />
Paris, 1987, pp. 99 sgg.).
100<br />
La sua venuta, spesso imprevista (vedremo: che lo sarà anche<br />
la sua partenza) è segnalato da un suono: “Le sere in cui, seduti<br />
davanti a casa sotto il castagno, intorno al tavolino di ferro,<br />
sentivamo dal fondo del giardino, non il sonaglio abbondante e<br />
chiassoso (non pas le grelot profus et criard) che sommergeva, che<br />
stordiva al passaggio, con il suo rumore gelido, implacabile e<br />
metallico (de son bruit ferrugineux, intarissable et glacé), tutte le<br />
persone di casa che lo scatenavano entrando ‘senza suonare (sans<br />
sonner)’, ma il doppio tintinnio timido, ovale e dorato del campanello<br />
per gli estranei (le double tintement timide, ovale et doré de la<br />
clochette pour les étrangers), tutti si affrettavano a chiedersi: ‘Una<br />
visita, chi può essere?’” (SW, 13-14; 18). 127<br />
Segnaliamo la distinzione tra lo scampanellare discreto di<br />
Swann e l’indiscreto non scampanellare degli altri nella forma<br />
condensata che segue: non pas le grelot profus et criard [...] de son<br />
bruit ferrugineux, intarissable et glacé [...] mais le double tintement<br />
timide, ovale et doré de la clochette pour les étrangers.<br />
Ebbene, questo paragone occupa poche righe (SW, 14; 18).<br />
Anticipiamo, nella forma condensata, le vicissitudini sonore del<br />
“drame du coucher” 128 non quando esso è preannunciato ma quando<br />
è in corso e si spinge verso il momento della “catastrofe”: coups<br />
hésitants de la clochette [...] avant que le diner fût sonné [...] et<br />
quand le grelot de la porte m’eut averti qu’il venait de partir [...]<br />
comme ces cloches de couvents [...] se remettent à sonner dans le<br />
silence du soir.<br />
Queste vicissitudini si svolgono in molte pagine (14 nel testo<br />
francese, 23-37, 13 in quello italiano: 33 46) e si scandiscono in<br />
quattro tappe (SW, 27/35; 23/30; 34/42; 37/46).<br />
Pensiamo che decisivo per distinguere tra Swann e gli altri sia<br />
l’inaugurazione: “non pas”: Swann non è indiscreto come gli altri. Egli<br />
127 “[...] il tintinnio, indubbiamente, è ovale soltanto perché o è la campanella, ma<br />
qui come in altri casi la spiegazione non comporta comprensione: qualunque sia la<br />
sua origine il predicato ovale e dorato si basa su tintinnio, e, mediante una<br />
confusione quasi inevitabile, tale qualificazione non viene interpretata come un<br />
transfert, ma come una ‘sinestesia’: lo slittamento metonimico non è soltanto<br />
‘camuffato’, ma addirittura trasformato in predicazione metaforica. Così, invece di<br />
essere antagoniste e incompatibili, metafora e metonimia si sostengono e<br />
s’interpretano, e dare alla seconda il posto che le spetta non consisterà nel<br />
compilare una lista concorrente in antagonismo a quella delle metafore, ma<br />
piuttosto nel mostrare la presenza e l’azione delle relazioni di ‘coesistenza’ proprio<br />
all’interno del rapporto di analogia: il ruolo della metonimia nella metafora”<br />
(Genette, p. cit., p. 42).<br />
128 Definito anche “drame du déshabillage”.
101<br />
si distingue per l’“esitazione”: timide, ovale et doré de la clochette<br />
pour les étrangers in contrasto con profus et criard [...] son bruit<br />
ferrugineux, intarissable et glacé.<br />
Swann si dimostra discreto, non solo nella descrizione dello<br />
scenario su cui è annunciato il “drame”, ma anche nel corso dello<br />
svolgimento di quest’ultimo: il suo scampanellare è “esitante”.<br />
Anche se la sua “visita” causa un vero e proprio “drame”,<br />
rimane che il povero Swann è estraneo al medesimo; ignora<br />
d’esserne la causa.<br />
Quando il dramma “ritorna” per essere “ritrovato” (nella sua<br />
“essenza”, nella sua “verità)”, avviene una sorta di capovolgimento<br />
nell’aggettivazione; quella indiscreta – rebondissant, ferrugineux,<br />
intarissable, criard et frais – viene attribuita non all’arrivo di Swann<br />
(al suo scampanellare) ma alla di lui partenza di Swann.<br />
Che dedurne?<br />
Ricordate? In questione c’è la differenza tra “étrangers” e no (e<br />
Swann è considerato uno straniero affatto speciale). Addirittura si<br />
tratta quasi di “ennemi[s]” o no (SW, 14; 19)...<br />
Ora, il “ritorno”, non del rimosso mal del “ritrovando”, fa<br />
esplodere l’“estraneità” di Swann (la sua “ostilità”) che pure è l’unico<br />
ospite (l’unico straniero/potenzialmente hostis) che frequenta la casa<br />
del Narratore; perché fa esplodere l’estraneità di tutto (madre, padre,<br />
Narratore compreso). 129<br />
“Je mourrais s’il le fallait” (C6, ES X, SW, 674): è in ballo la<br />
sopravvivenza... (Vedi più avanti la nota a proposito<br />
dell’“importanza”). Si va ad una bellum omium contra omnes...<br />
Nemica è anche la nonna; proprio in quanto è il doppio della madre:<br />
“sans dormire, loin de ma mère et ma grand’mère” (SW, 9).<br />
Domanda: “Quel serait mon plus grand malheur?: “Ne pas avoir<br />
connu ma mère, ni ma grand’mère”. In uno dei testi preparatori, uno<br />
dei più poveri, troviamo: “Mais je pleure plus en écrivant ce che mon<br />
père a fait ce jour là que je ne pus le faire alors, dans l’effroi de le<br />
fâcher, et je, lui donne tous les soirs, quand je pense à lui, les<br />
remerciements et les baisers que je n’ai pas osé lui donner alors”<br />
(ES X, SW, 675). Anche il padre è amato e odiato...<br />
Paradossalmente ritroveremo lo stesso Narratore<br />
estraneo/ostile a sé medesimo in un Cahier quando, alla maniera di<br />
Jean Santeuil, si autobacia (“je saisis mon propre bras avec transport<br />
129 Biblioteca Guermantes, François de Champi: “In un primo tempo mi ero chiesto<br />
con rabbia chi fosse l’estraneo che venava a farmi male. Ero io, l’estraneo (cet<br />
étranger, c’était moi-même); era il bambino che io ero allora e che il libro,<br />
conoscendo di me solo quel bambino, aveva suscitato in me [...]” (TR, 884; 564).
102<br />
et j’y déposai un baiser”). Teniamo in mente che il bacio della madre<br />
ha lo scopo di “pacificare” il Narratore; l’auto-bacio è una sorta di sua<br />
auto-consolazione tramite un atto di auto-erotismo.<br />
Non so che ve ne pare, ma la cosa mi sembra ci sembra<br />
alquanto interessante...<br />
Ci torneremo...<br />
Torniamo adesso ad uno dei tournant del “drame du coucher”:<br />
“Le sere in cui c’erano degli estranei (etrangers) o semplicemente<br />
Swann, la mamma, infatti, non saliva nella mia camera”.<br />
Il Narratore cenava prima di tutti; fino alle otto poteva sedere al<br />
tavolo; quindi doveva salire: “quel bacio prezioso e fragile (baiser<br />
précieux et fragile) che di solito la mamma mi affidava mentre ero nel<br />
mio letto e sul punto di addormentarmi, mi toccava trasportarlo dalla<br />
sala da pranzo alla mia camera a tenerlo in serbo per tutto il tempo<br />
che impiegavo a spogliarmi, senza che la sua dolcezza si incrinasse,<br />
senza che si versasse o evaporasse il suo volatile potere, e proprio<br />
quelle sere in cui avrei avuto bisogno di riceverlo con maggior<br />
precauzione ero costretto ad afferrarlo, a portarlo via bruscamente,<br />
pubblicamente, senza nemmeno avere il tempo e la libertà di spirito<br />
necessari per mettere in quel che facevo la speciale attenzione dei<br />
maniaci (cette attention des maniaques) che si sforzano di non<br />
pensare a nient’altro mentre chiudono la porta, per poter poi opporre<br />
al ritorno della loro incertezza morbosa il vittorioso ricordo del<br />
momento nel quale l’hanno chiusa”.<br />
“Eravamo tutti in giardino quando risuonarono i due esitanti<br />
squilli di campanello (quand retentirent les deux coups hésitants de<br />
la clochette)”.<br />
Questo l’incipit del primo episodio.<br />
Arriva Swann, la madre del Narratore va ad accoglierlo e lo<br />
porta in disparte: “Ma io la seguii; non potevo decidermi (je ne<br />
pouvais me décider) ad abbandonarla d’un sol passo, pensando che<br />
prestissimo (tout à l’heure) avrei dovuto lasciarla nella sala da pranzo<br />
e salire nella mia camera senza avere come le altre sere la<br />
consolazione che sarebbe venuta a baciarmi (qu’elle vînt<br />
m’embrasser). [...]. Avrei voluto non pensare alle ore d’angoscia che<br />
mi aspettavano quella sera, solo nella mia camera e incapace di<br />
addormentarmi; cercavo di persuadermi che esse non avevano<br />
alcuna importanza (aucune importance) perché domattina le avrei<br />
dimenticate, di attaccarmi a delle idee di futuro (idées d’avenir) che
103<br />
avrebbero dovuto condurmi, come su un ponte, al di là dell’abisso<br />
imminente che mi terrorizzava”. 130<br />
L’angoscia del Narratore è l’angoscia di chi, sprovvisto di ponti,<br />
non è in grado di immaginare i suoi spostamenti nello spazio e nel<br />
tempo; non ha “idee di futuro” (né di passato...).<br />
È evidente che non possiamo copiare e commentare tutte le<br />
pagine...<br />
Molto più avanti: “Con gli occhi non lasciavo mia madre, sapevo<br />
che, una volta a tavola, non mi sarebbe stato permesso di restare<br />
per tutta la durata (pendant toute la durée) del pranzo e che, per non<br />
contrariare mio padre, la mamma non si sarebbe lasciata baciare a<br />
più riprese (ne me laisserait pas l’embrasser à plusieurs reprises)<br />
davanti agli altri come se fossimo stati in camera mia. Così mi<br />
ripromettevo, in sala da pranzo, quando si fosse cominciato a<br />
mangiare e io avessi sentito avvicinarsi l’ora, di fare in anticipo<br />
(d’avance), riguardo a quel bacio (baiser) che sarebbe stato così<br />
breve e furtivo, tutto ciò che potevo fare da solo, di scegliere con lo<br />
sguardo il punto della guancia che avrei baciato, di preparare il mio<br />
pensiero in modo da riuscire, grazie a quel mentale inizio di bacio<br />
(grâce à ce commencement mental de baiser), a consacrare per<br />
intero il minuto (toute la minute) accordatomi dalla mamma a sentire<br />
il suo viso contro le mie labbra, simile al pittore che, potendo contare<br />
solo su brevi sedute di posa, prepara la sua tavolozza e fa in anticipo<br />
a memoria, basandosi sugli appunti, tutto ciò per cui può a stretto<br />
rigore fare a meno della presenza del modello”.<br />
Vani i tentativi di orientarsi nel tempo... Bisogno assillante de<br />
“tutto” (toute la minute...)<br />
Il fattaccio.<br />
Prima che il pranzo fosse servito (“avant que le diner fût<br />
sonné”), il nonno, vista l’aria stanca del Narratore, chiede che venga<br />
mandato a letto (“Stasera, del resto, si pranza tardi”). Il padre, “che<br />
non teneva così scrupolosamente fede ai trattati come la nonna e la<br />
mamma”: “‘Sì, andiamo, vai a letto’ Feci per baciare (embrasser) mia<br />
130 A proposito dell’“importanza”: “‘D’altronde, non ha la minima (aucune espèce)<br />
importanza’. Frase equivalente a un riflesso (analogue à un réflex), identica, nelle<br />
più gravi come nelle più trascurabili circostanze; e rivelatrice (dénonçant), come in<br />
questo caso, dell’effettiva importanza attribuita alla cosa in questione da chi, a<br />
parole, gliela nega (en celui qui la déclare sans importance). Frase tragica, a volte,<br />
che sfugge prima d’ogni altra – e così carica, allora, di sconforto – a ogni uomo<br />
che, appena un po’ orgoglioso, abbia perduto l’ultima speranza cui s’aggrappava<br />
perché qualcuno gli ha rifiutato un favore: ‘Ah, bene, non ha la minima importanza,<br />
mi arrangerò diversamente’, quando il diverso arrangiarsi verso il quale non ha la<br />
minima importanza, vedersi respinti è, in qualche caso, il suicidio” (OF, 740; 898).
104<br />
madre, proprio in quell’istante risuonò la campanella del pranzo (à<br />
cet istant on entendit la cloche du dîner). ‘Ma no, va, lascia stare tua<br />
madre, vi siete già detti buonanotte (bonsoir) a sufficienza, queste<br />
manifestazioni sono ridicole. Coraggio, sali!’”<br />
Saltiamo... Prima di morire (“prima di seppellirmi nel letto di<br />
ferro”), il Narratore ha “un moto di rivolta” ed escogita un “espediente<br />
(ruse)”: scrive alla madre una lettera in cui le chiede di salire “per una<br />
cosa grave” che non poteva dirle per lettera.<br />
Difficile ogni mediazione (inesistente ogni ponte).<br />
Bisogna leggere una dopo l’altra queste pagine straordinarie<br />
per cogliere, insieme alla sofferenza del piccolo Narratore, l’ironia,<br />
talvolta feroce, del Narratore maturo.<br />
L’espediente finisce con ridursi ad una menzogna: il Narratore<br />
dice a Françoise che la madre aspetta la sua lettera (in essa le dà<br />
una risposta su qualcosa che l’ha pregato di cercare).<br />
Françoise porta la lettera...<br />
Abbastanza più avanti: “Adesso non ero più separato da lei; le<br />
barriere erano cadute, un filo delizioso ci univa. E non era tutto: la<br />
mamma, certo, sarebbe venuta!”<br />
Se bell’e capito: l’angoscia che il piccolo prova quando è privato<br />
del bacio della madre è la stessa che proverà quando, diventato<br />
grande, si sentirà privato dell’amore della sua donna e via di<br />
seguito. 131 In virtù delle vicissitudini del “desiderio” mimetico” – su cui<br />
ritorneremo – per cui l’essere amato, quando sa che lo amano, non<br />
corrisponde (mostra la sua “indifferenza”); ama, invece (diventa<br />
“differente”), solo quando non lo si ama... “Ma quando, come nel mio<br />
caso, essa è entrata dentro di noi prima ancora che quello abbia fatto<br />
la sua apparizione nella nostra vita, allora, aspettando, fluttua libera<br />
e vaga (elle flotte en l’attendant, vague), priva di una destinazione<br />
131 L’avvenuta partenza di Albertine fa precipitare il Narratore nell’ansia; un’ansia<br />
senza limiti; che confluisce da tutte le esperienze del passato, prima fra tutte quella<br />
del passato: “Et hélas aussitôt tous le souvenirs de toutes les anxiétés que j’avais<br />
eues depuis mon enfance, ralliées par l’inquiétude nouvelle se mirent à revenir.<br />
Hélas si quand tant de fois en pensant à Albertine j’avais en réalité pensé à la<br />
princesse de Clèves, à l’héroïne (le nom), à Maggie et à tant d’autres de sorte que<br />
ce que j’éprouvais pour elle la dépassait infiniment, maintenant l’angoisse que<br />
j’éprouvais ce n’était pas seulement celle d’apprendre qu’elle était partie, c’était,<br />
revenues s’assembler mais se fondant toutes ensemble devenues homogènes et<br />
toutes rangées sous le nom d’Albertime, quoique elles lui fusse bien antérieures,<br />
les angoisses que j’avais eues tant de soirs à Combray quand je rentrais le soir de<br />
promenade. [...]. quand il avait fallu dir adieu à maman devant le train, et celle de<br />
Combray le soir où elle n’était pas montée me dire bonsoir à cause de M. Swann<br />
[...]” (C 71, ES I, AS, 630).
105<br />
precisa, al servizio un giorno di un sentimento, l’indomani di un altro,<br />
ora della tenerezza filiale, ora dell’amicizia per un compagno”.<br />
Segue l’immaginazione in cui Swann o chi per lui, lo stesso<br />
Narratore, si serve di un “intermediario” per mandare un messaggio<br />
all’amata circondata da amici a una festa, a teatro: “[...] ecco che uno<br />
dei momenti la cui successione le avrebbe composte, un momento<br />
non meno reale degli altri, forse addirittura più importante per noi dal<br />
momento che la nostra diletta vi è più implicata, siamo in grado di<br />
rappresentarcelo, lo possediamo, vi interveniamo, l’abbiamo – quasi<br />
– creato (nous l’avons crée presque): il momento in cui le diranno<br />
che noi siamo lì, lì giù (là, en bas)”.<br />
Nel bel mezzo della narrazione dell’esperienza archetipica di<br />
ogni altra esperienza; di quelle, perlomeno (ma lo sono tutte) che<br />
avvengono sotto l’orizzonte del “desiderio mimetico”, fa la sua<br />
comparsa per la prima volta l’idea della “creazione”.<br />
La madre rimanda Françoise “senza risposta”. Il Narratore<br />
prende un’altra iniziativa (perché, se questo episodio è quello dove<br />
avviene la grande “abdicazione”, è quello in cui avvengono anche le<br />
grandi “risoluzioni”): “All’improvviso (tout à coup) la mia ansia cadde,<br />
una felicità (félicité) m’invase come quando un farmaco potente<br />
comincia ad agire e ci toglie un dolore: avevo preso la risoluzione (je<br />
venais de prendre la résolution) di non cercare più di addormentarmi<br />
senza aver rivisto la mamma, di baciarla a qualsiasi costo (coûte que<br />
coûte) – benché fossi certo che questo avrebbe significato<br />
sopportare a lungo le conseguenze della sua irritazione – quando<br />
fosse salita a coricarsi. La calma che risultava dalla fine delle mie<br />
angosce mi metteva in uno straordinario stato di allegrezza<br />
(allégresse), non meno di quanto avviene per l’attesa, la sete e la<br />
paura del pericolo. Aprii la finestra (j’ouvris la fenêtre) 132 senza<br />
rumore e mi sedetti in fondo al letto: non facevo quasi nessun<br />
movimento perché da giù non mi sentissero”.<br />
L’abbiamo già detto: è il momento delle grandi scelte, delle<br />
grandi decisioni. Ora sappiamo che la grande decisione del<br />
Narratore è quella di cogliere “al volo” il senso delle esperienze della<br />
132 La finestra sarà uno dei Leit-motiv della scena-madre(primaria): “Le tre<br />
rivelazioni cruciali di perversione sessuale che ha il Narratore sono tutte associate<br />
con l’atto dello spiare, non già come per Stendhal nella scabrosa incisione,<br />
attraverso il buco della serratura ma, in maniera tipicamente proustiana, attraverso<br />
una finestra. Il narratore scopre il lesbismo spiando Mlle Vinteuil e la sua amica<br />
attraverso la finestra a Montjouvain; la sodomia quando assiste all’incontro tra<br />
Charlus e Jupien nel cortile della duchessa. E il piacere solitario nel gabinetto del<br />
piano superiore a Combray, dove lui stesso viene scoperto dal pergolato e dal<br />
torrione di Roussainville” (Painter, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>,1959, tr. it. 2980, pp. 438-439).
106<br />
memoria involontaria ; sappiamo che questa “risoluzione” a fare ogni<br />
“sforzo”, necessario perché il “compito” sia attuato, viene presa nel<br />
preambolo della matinée (e conservata in tutto il suo decorso).<br />
Sappiamo anche che quando la memoria involontaria si attiva, il<br />
Narratore è colto alla sprovvista (tout d’un coup); è invaso da una<br />
straordinaria felicità...<br />
Una volta accertato che, nel racconto dell’esperienza della<br />
grande “abdicazione”, si addensano risoluzione, tout à coup,<br />
straordinaria allegrezza, siamo costretti a concludere che questo<br />
racconto contiene tutti gli elementi del “capolavoro”. Si tratta di una<br />
sorta di ante-prima...<br />
Sappiamo già il seguito: il Narratore sa che lo aspettano<br />
conseguenze gravi; “molto più gravi di quanto un estraneo non<br />
potesse supporre, tali in verità ch’egli avrebbe creduto solo qualche<br />
colpa davvero vergognosa fosse in grado di provocarla. Ma<br />
nell’educazione che mi veniva impartita la gerarchia delle colpe non<br />
era la stessa che nell’educazione degli altri ragazzi, e davanti a tutte<br />
le altre (certamente perché non ce n’era alcuna dalla quale io avessi<br />
bisogno d’essere più attentamente preservato) ero abituato a<br />
collocare quelle di cui capisco ora che possedevano la caratteristica<br />
comune di essere commesse per cedimento a un impulso nervoso”:<br />
commento: sappiamo, comunque, che ogni educazione, per severa<br />
che sia, ubbidisce sempre al principio della categorizzazione.<br />
Il piccolo pensa che, come punizione sarà mandato in collegio:<br />
“Ebbene, avessi anche dovuto gettarmi dalla finestra (par la fenêtre)<br />
cinque minuti dopo, preferivo agire così. Quel che volevo adesso, era<br />
la mamma, dirle buonanotte (lui dire bonsoir), ero andato troppo in là<br />
sulla via verso la realizzazione di questo desiderio per poter tornare<br />
indietro”: commento: quale risolutezza!<br />
“Sentii i passi dei miei genitori che accompagnavano Swann, e<br />
quando il sonaglio della porta (le grelot de la porte) mi avvertì che se<br />
n’era andato, mia affacciai alla finestra”.<br />
Segue qualcosa che rassomiglia alla scena primaria com’essa<br />
viene dipinta da Freud: “Mio padre e mia madre rimasero soli, e si<br />
sedettero un istante; poi mio padre disse: ‘Bene, se vuoi, possiamo<br />
salire a coricarci’. – ‘Se vuoi tu, amico mio, anche se io non ho<br />
nemmeno un’ombra di sonno [...]. Ma vedo la luce nell’office, e dal<br />
momento che la povera Françoise mi ha aspettata, le chiederò di<br />
slacciarmi il corpetto mentre tu ti spogli’. E mia madre aprì la porta<br />
traforata che dal vestibolo immetteva sulle scale. <strong>Su</strong>bito la sentii che<br />
saliva a chiudere la sua finestra (sa fenêtre). Andai senza rumore nel
107<br />
corridoio (dans le couloir) [...]”: come abbiamo già visto, incrociamo il<br />
famoso couloir. Che ritornerà poco più avanti.<br />
In sintesi stretta: il piccolo si getta nelle braccia della madre che<br />
lo guarda sbalordita, in collera (“comme un fou”). “Ma io le ripetevo:<br />
‘Vieni a dirmi la buonanotte (viens me dire bonsoir’”; il padre compie<br />
un atto di clemenza: “[...] poiché non aveva principi (nel senso della<br />
nonna), non aveva – propriamente parlando – alcuna intransigenza”<br />
(questo padre rassomiglia a quello di Kafka per la sua arbitrarietà):<br />
“Visto che in camera sua ci sono due letto, di’ a Françoise di<br />
prepararti il letto grande e dormi accanto a lui, per stanotte (et<br />
couche pour cette nuit après de lui). <strong>Su</strong>, buonanotte, io che non sono<br />
nervoso come voi (je ne suis pas si nerveus que vous) me ne vado a<br />
dormire!”<br />
Qui la grande “abdicazione”... della madre...<br />
Poiché il Narratore non riesce a prendere sonno, la madre gli fa<br />
scegliere un libro e glielo legge: François de Champi...<br />
Quasi senza soluzione di continuità segue, una sorta di<br />
stilizzazione del lungo racconto in un “archetipo”: “E così, ogni volta,<br />
svegliandomi di notte mi ricordavo di Combray, per molto tempo non<br />
ne rividi che quella sorta di lembo luminoso ritagliato nel mezzo delle<br />
tenebre indistinte [...]”.<br />
Preceduto, poche pagine prima dal seguente: “Sono passati<br />
parecchi anni (il ya bien des années de cela). [...]. In realtà essi [i<br />
singhiozzi] non sono mai cessati; ed è soltanto perché la vita si è<br />
fatta adesso più silenziosa intorno a me che li sento di nuovo, come<br />
quelle campane di conventi (comme ces cloches de couvents) che il<br />
clamore della città (le bruit de la ville) copre tanto bene durante il<br />
giorno da far pensare che siano state messe a tacere e invece si<br />
rimettono a suonare nel silenzio della sera (se remettent à sonner<br />
dans le silence du soir)”.<br />
In questa anticipata stilizzazione ricompare – o semplicemente,<br />
insiste – il motivo del sonner.<br />
Quando il Narratore scrive, quella Combray è morta per<br />
sempre: “Morto per sempre? Poteva darsi. 133 Il caso ha gran parte in<br />
tutto ciò, e spesso un secondo caso, quello della nostra morte, non ci<br />
permette di aspettare troppo a lungo i favori del primo”. Seguono le<br />
madeleins... (Vedi più avanti: Mancanza di volontà e memoria<br />
involontaria).<br />
133 “Il était mort [Bergotte]. Mort à jamais? Qui peut le dire?” (P, 187). In questo<br />
caso <strong>Proust</strong> suggerisce che l’unica possibilità di accesso all’immortalità dell’anima<br />
è l’arte.
108<br />
Sì, è proprio l’approssimarsi della morte – di cui la matinée è<br />
una grande rappresentazione (della morte di tutti gli eroi della<br />
Recherche ma anche di quella del ricercatore) – che provocherà<br />
l’ultima edizione del bacio della buonanotte. 134<br />
134 Il Giornate di lettura <strong>Proust</strong> rievoca le letture dell’infanzia e dell’adolescenza.<br />
Cito alcuni passaggi sparsi lungo alcune pagine; in cui si vede <strong>Proust</strong><br />
(infante/adolescente) rischiare ancora una volta il “castigo”; ma non perché ha<br />
voluto la madre presso di sé; ma perché ha voluto, solo nei prati o nella sua<br />
camera, continuare a leggere; dopo che i genitori si sono coricati... Eventualmente<br />
“indifferente” verso di lui è lo scrittore che non ha prolungato il suo racconto: “–<br />
Prima della colazione, che, ahimè, avrebbe messo termine alla lettura, avevo<br />
ancora due ore buone, Ogni tanto sentivo il rumore della pompa (le bruit de la<br />
pompe), da cui stava per scorrere l’acqua, e che mi faceva alzare gli occhi e<br />
guardarla attraverso la finestra chiusa [...]. Qualcuno, senza aspettare più oltre, si<br />
sedeva in anticipo a tavola. Gesto desolante, perché sarebbe stato cattivo esempio<br />
per gli altri, avrebbe indotto a credere che fosse già mezzodì e spinto i miei genitori<br />
a dire troppo presto la parola fatale (la parole fatale): – Si, chiudi il libro, è ora di<br />
colazione –. [...].. “[...] e dove [nella sua camera la sera] il suono delle campane<br />
giungeva così fragoroso (le bruit des cloches arrivait si rétentissant) a causa della<br />
vicinanza della chiesa (alla quale, d’altronde, nelle grandi feste, gli altarini ci<br />
collegavano con una strada di fiori), che potevo immaginare che venissero sonate<br />
sotto il nostro tetto, proprio sopra la finestra da cui salutavo il curato [...] allora,<br />
quella vita segreta si ha l’impressione di chiuderla con sé, quando si va, tutti<br />
tremanti, a tirare il chiavistello dell’uscio; di spingerla dinanzi a sé nel letto e, infine,<br />
di coricarsi con lei (coucher [...] avec elle) tra le grandi lenzuola bianche che ci<br />
salgono sin sopra il viso, mentre, da presso, la chiesa suona (sonne) per l’intera<br />
città le ore d’insonnia dei moribondi e degli innamorati. [...]. In quel boschetto, il<br />
silenzio era profondo, il rischio di essere scoperto quasi nullo, la sicurezza resa più<br />
dolce dalle voci lontane che, da giù, mi chiamavano invano (m’appelaient en vain),<br />
e talvolta si avvicinavano, salivano i primi ripiani, cercando dappertutto, e poi<br />
tornavano indietro, non avendomi trovato; solo, di tanto in tanto, il suono dorato<br />
delle campane (le son d’or des cloches) che, lontano, di là dalle praterie, sembrava<br />
echeggiare dietro il cielo turchino, mi avrebbe potuto avvertire del passar del<br />
tempo; ma, stupito della sua dolcezza e turbato dal silenzio più profondo, non ero<br />
mai sicuro del numero dei rintocchi (je n’étais jamais sûr du nombre des coups).<br />
Non erano le campane tonanti (ce n’était pas le cloches tonnantes) [...]. Il loro<br />
suono non giungeva in fondo al parco che debole e dolce [...]. Infine, qualche volta,<br />
a casa, un bel pezzo dopo cena (longtemps après le dîner), le ultime ore della sera<br />
davano anch’esse ricetto alla mia lettura [...]. Allora, rischiando il castigo che mi<br />
sarebbe stato inflitto se fossi stato scoperto, e l’insonnia, che, terminato il libro,<br />
sarebbe durata l’intera notte, appena i miei genitori si erano coricati (dès que mets<br />
parents étaient couschés), riaccendevo la candela; mentre nella via vicina, tra la<br />
casa dell’armaiolo e l’ufficio postale, bagnati di silenzio, il cielo oscuro, eppure<br />
azzurro, era pieno di stelle [...]. Allora, per dar modo ai tumulti da troppo tempo<br />
scatenatisi in me di placarsi dirigendo altri movimenti, mi alzavo, mi mettevo a<br />
camminare lungo il mio letto (je me mettais à marcher le long de mon lit) [...].<br />
apprendevamo da un personaggio secondario che esso [matrimonio] era stato<br />
celebrato, non sapevamo esattamente quando, in quello stupefacente epilogo,<br />
scritto, sembrava, dall’altro dei cieli, da un essere indifferente (par une personne
109<br />
3) Manque de volonté e mémoire involontaire<br />
Penso che Bloch-Dano abbia qualche ragione nell’addebitare<br />
l’abdicazione al padre. “Allons, bonsoir, moi qui ne suis pas si<br />
nerveux que vous, je vais me coucher”: “Tout y est, meme le ‘vous’<br />
qui fait de la mère et du fils deux êtres fragiles de ma même<br />
espèce”. 135<br />
Ricordate la reazione del Narratore all’abdicazione del padre?<br />
“Non si poteva ringraziare mio padre; lo si sarebbe soltanto infastidito<br />
con quelle ‘morboserie’, come le chiamava lui. Me ne stetti là senza<br />
azzardare un movimento; lui era ancora davanti a noi (devant nous)<br />
alto, nella sua camicia da notte bianca sotto lo scialle indiano viola e<br />
rosa che a quando soffriva di nevralgie sì annodava intorno alla testa<br />
col gesto di Abramo che, nella stampa da Benozzo Gozzoli<br />
regalatami da Swann, dice a Sara che deve separarsi da Isacco<br />
(qu’elle a à se départir du côté d’Isaac). Sono passati diversi anni<br />
[...]” (SW, 36-37; 66).<br />
Riecco i “vous” sotto forma di “nous”; figlio e madre accoppiati...<br />
Bloch-Dano osserva: <strong>Proust</strong> paragona suo padre a Abramo che dice<br />
a Sarah ch’essa deve separarsi da Isacco: “Il fait là une confusion<br />
pleine de sens et peut-être volontaire entre Sarah, l’épouse en titre,<br />
et Agar, la servante dont le patriarche a eu un fils, Ismaël. Ce<br />
glissement lui permet de dire l’essentiel: son père renvoie sa femme<br />
‘du côté de’ son fils, comme Abraham a renvoyé dans le désert Agar<br />
avec Ismaël. En lui ouvrant la chambre de <strong>Marcel</strong>, il lui ferme la<br />
sienne: ‘Allons, bonsoir, je vais me coucher’”.<br />
Da qui – come vedremo, già in Jean Santeuil –, la ratifica della<br />
“irresponsabilità” del Narratore. Irresponsabilità di fronte alle<br />
categorie...<br />
Il Narratore doma la “volontà” della madre (e del padre); ma<br />
contrae, come una di tara, la “mancanza di volontà. 136<br />
indifférente) alle nostre passioni di un giorno, sostituitosi all’autore. Avrei voluto che<br />
il libro continuasse e, se questo fosse stato impossibile, ottenere almeno altri<br />
ragguagli [...]” (GCSB, 161-171; 216-226).<br />
135 Madame <strong>Proust</strong>, Grasset, Paris, 2004, p. 111.<br />
136 Considerando, quasi a caso, un testo, Giornate di lettura; insistente è il tema<br />
dello sforzo – “il supremo sforzo (le dernier effort)” (PM, 171; 232)” – necessario<br />
per “creare (créer)” (ibidem). Nemica è la “pigrizia (paresse)”, in cui si esprime<br />
l’impossibilità di volere: “il est incapable de les vouloir”, “mancanza di volontà<br />
(manque de volonté)”, l’“inerzia della volontà (inertie de [...] sa volonté)” (PM, 178-<br />
179; 234)... La lettura, quando non si è più fanciulli, svolge la stessa funzione della<br />
psicoterapia: “il medico “vuole per te” (“qui voudra pour lui”), e, così facendo,
110<br />
Ma consideriamo bene: la memoria “involontaria” è lo strumento<br />
decisivo nell’esperienza esistenziale e artistica del Narratore (e di<br />
<strong>Proust</strong>). Essa è la porta che si apre per caso: “Ma proprio, a volte,<br />
nel momento in cui tutto ci sembra perduto giunge l’avvertimento che<br />
può salvarci; abbiamo bussato a tutte le porte che non danno su<br />
niente e la sola attraverso la quale si può entrare, e che avremmo<br />
cercato invano per cento anni, l’urtiamo senza saperlo (on y heurte<br />
sans le savoir), e si apre (TR, 866; 542); 137 vedi già nel Jean<br />
Santeuil: “Allora sentiva che grazie a quella porta spinta dal caso<br />
(poussée par un hasard) egli ripudiava quanto non era ancora la vita”<br />
(JS, 839; 709). Sempre in Jean Santeuil: “[...] sapendo che un giorno<br />
o l’altro la realtà contenuta in quegli istanti, l’avrebbe ritrovata – a<br />
condizione di non cercarla (à condition de ne pas la chercher) – [...]”<br />
(JS, 534-537; 380-383); in John Ruskin: “[...] per trovarla [la felicità]<br />
non bisogna cercarla (il faut, pour la trouver chercher autre chose<br />
que lui) [...]” (PM, 110; 164). 138<br />
“restituisce all’infermo la volontà (restituer au malade la volonté)” (PM, 180; 234):<br />
“Ora, quest’impulso che lo spirito pigro (paresseux) non può trovare in sé e che gli<br />
deve venire da altri, è chiaro ch’esso lo deve ricevere in seno alla solitudine, fuori<br />
della quale – lo abbiamo visto –, non può prodursi quell’attività creatrice (activité<br />
créatrice) che si tratta precisamente di suscitare il lui. Dalla pura solitudine quello<br />
spirito non potrebbe trarre nulla, perché esso è incapace di mettere in moto da sé<br />
la sua attività creatrice” (PM, 179-180; 235).<br />
137 “Tout à coup, mon père nous arrêtait et demandait à ma mère: ‘Où sommesnous?’<br />
Epuisée par la marche mais fière de lui, elle lui avouait tendrement qu’elle<br />
nen savait absolument rien. Il haussait les épaules et riait. Alors, comme s’il l’avait<br />
sorti de la poche de son veston avec la clef, il nous montrait debout devant nous la<br />
petite porte de derrière de notre jardin qui était venue avec le coin de la rue de<br />
Saint-Esprit nous attendre au bout de ces chemins inconnus” (SW, 115). è “C’est<br />
le héros qui heurte sans le savoir à la bonne porte de la vocation; mais c’est le<br />
narrateur qui, comme autrefois le père, en a sorti la clé de sa poche, parce que lui<br />
connaît d’avance tout l’itinéraire. Si donc on rapproche ces deux passsages, qui<br />
prouvent la valeur symbolique que <strong>Proust</strong> entend donner à un itinéraire de<br />
promenade, on peut conclure que le cheminement vers une église, les deux étapes<br />
de ce cheminement – sentiment de distance puis brusque accès – sont un autre<br />
équivalent en raccurci de toute la vocazion. L’église, c’est le temps retrouvé qui<br />
livre les secrets de l’art, mais avant d’y accéder, on doit – sans toutefois jamais la<br />
perdre de vue, elle ou sono clocher qui la résume – faire un long détour, celui du<br />
temps perdu, celui encore des deux ‘côtés’” (Luc Fraisse, L’oeuvre cathédrale,<br />
Corti, Parigi, 1990, ppp. 239-240).<br />
138 Lettera (18 febbraio 1907) a Georges de Lauris a cui è morta la madre: “[...] ne<br />
cherchez pas à la voir car vous ne la verrez jamais [...]. En ce moment tâchez<br />
simplement de vivre, de survivre, en laissant tout cela se faire en vous sans<br />
collaboration de votre volonté et les douces images renaîtront d’elle-mêmes pour<br />
ne plus jamais vous quitter” (Correspondence de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Plon, Paris, vol.<br />
VII 1981, p. 87). Vedi anche “Ma le parole ‘Quell’amica è la signorina Vinteuil’
111<br />
Pensiamo che vada colto un nesso profondo tra questa<br />
involontarietà e “ “le manque de volonté”, la “paresse”, di cui il<br />
Narratore, in ogni lavoro – da Les Plaisirs et les jours in poi – si<br />
rimprovera. 139<br />
Ora, la memoria involontaria, presuppone l’abbandono dello<br />
“sforzo” di volontà; presuppone, eventualmente, il fallimento di quel<br />
disperato sforzarsi che è implicito nell’insorgenza dell’hasard: fino a<br />
quel punto, ma invano, si è bussato a tutte le porte; infine...<br />
È come dire che l’abdicazione, in quanto abdicazione alla<br />
volontà, è abdicazione alla salvezza per opere in favore della<br />
salvezza per fede.<br />
Se presupponiamo queste considerazioni che fanno convergere<br />
mancanza di volontà e memoria involontaria, cogliamo la portata del<br />
passaggio, quasi senza transizione, dal racconto del famoso baiser<br />
al primo ricordo involontario. È evidente: senza dirlo <strong>Proust</strong> lo<br />
esibisce; meglio: lo dimostra: la memoria involontaria agisce quando,<br />
e solo quando, la volontà si è arresa (anche da sempre o sia venuta<br />
a mancare nell’occasione).<br />
erano state il “Sesamo” che sarei stato incapace di trovare io stesso, che aveva<br />
fatto entrare Albertine nelle profondità del mio cuore straziato. E la che s’era<br />
richiusa su di lei (e la porte qui s’était refermée), avrei potuto cercare per cent’anni,<br />
senza sapere come si potesse riaprirla” (SG 1127-1128; 382). E vedi anche<br />
perlomeno il titolo di Francesco Orlando: <strong>Proust</strong>, Sainte-Beuve e la ricerca in<br />
direzione sbagliata, in Studi in onore di Mario Fubini, Liviana, Padoba, 1970.<br />
139 Strano, quasi indisponente, che Giovanni Macchia non abbia colto questo<br />
nesso... (Tutti gli scritti su <strong>Proust</strong>, Einaudi, torino, 1997, passim). Comunque, un<br />
passo di Jean Santeuil permette di cogliere la primazia della mancanza di volontà.<br />
Dice la madre di Jean al marito “che con i suoi piedi appoggiati agli alari,<br />
osservava bonariamente il fuoco”: “Non è la salute come avevamo pensato, né [...]<br />
un temperamento appassionato. [...]. E nemmeno [...] l’immaginazione, né [...] la<br />
pigrizia. Lo scoglio è l’assenza di quella forza (l’absence d’une force) che a sei anni<br />
gli avrebbe impedito di piangere la sera, a letto, invece di dormire [...]. Questo<br />
forza, la cui assenza è un terribile scoglio – disse la signora Santeuil –, si chiama<br />
la volontà. – Punta volontà, brutt’affare –, rispose il signor Santeuil allontanando<br />
bruscamente dal fuoco i suoi calzini che cominciavano odorar di strinato” (JS, 232-<br />
233; 60). Vedi Rivère: “Vedete come si possa, io credo che si debba, mettere in<br />
rapporto la mancanza di ingegnosità [qui “ingegnosità” sta al posto di “volontà”] in<br />
<strong>Proust</strong> e il magnifico spessore del suo libro. Tale spessore è un miracolo che<br />
poteva darsi solo mediante o tramite un organismo morale del tutto privo di difesa.<br />
Proprio per non aver mai litigato con la vita <strong>Proust</strong> ha potuto riceverne l’impronta<br />
con questa prodigiosa minuziosità. Proprio per non aver dapprincipio voluto niente<br />
ha raccolto tanto” (Jacques Rivière, <strong>Proust</strong> e Freud. Alcuni progressi nello studio<br />
del cuore umano, 1923-1925; tr. it. Pratiche Editrice, Parla, 1985, p. 133)... “[...] ne<br />
riprodusse [il marchio della vita] la confusa impronta con una fedeltà quasi<br />
rivoltante” (ibidem, p. 350)... “Semmai vi fu in <strong>Proust</strong> qualcosa di mostruoso, fu la<br />
sospensione di qualsiasi chimica pragmatica” (ibidem, p. 155).
112<br />
Tra poco produrremo qualche stralcio del “seguito” dell’episodio<br />
che, nelle esquisse, viene definito “le drame du coucher”. Ma è<br />
importante capire subito che siamo di fronte a un dittico; le cui due<br />
pale sono la sconfitta della volontà e l’involontarietà della memoria. Il<br />
nesso che unisce le due pale è il loro costituire un unico dittico.<br />
Entriamo un po’ nel dettaglio: la mancanza di volontà del<br />
Narratore ha prodotto un “atto di rivolta” (SW, 36); quest’ultimo ha<br />
sconfitto la volontà della madre (e del padre). Il risultato: “Così, per la<br />
prima volta, la mia tristezza non era più considerata una mancanza<br />
da punire, ma un male involontario (un mal involontaire) al quale era<br />
toccato un riconoscimento ufficiale (qu’on venait de reconnaître<br />
officiellement), uno stato nervoso di cui io non ero responsabile [...].<br />
E non ero poco fiero, di fronte a Françoise, di questo rivolgimento del<br />
destino (de ce retour des choses humaines) che, a distanza di un’ora<br />
da quando la mamma s’era rifiutata di salire in camera mia e mi<br />
aveva sdegnosamente fatto rispondete che dovevo dormire, mi<br />
innalzava alla dignità di persona adulta, facendomi raggiungere di<br />
colpo (d’un coup) a una sorta di pubertà della sofferenza, di<br />
emancipazione delle lacrime. [...]. Mi sembrava di aver riportato sì<br />
una vittoria, ma contro di lei, di essere riuscito a piegare la sua<br />
volontà (détendre sa volonté), a far cedere la sua ragione (fléchir sa<br />
raison) [sospensione del categoriale] così come avrebbero potuto<br />
riuscirci la malattia, i dispiaceri o l’età [...]” (38; 47-48). 140 Nel Cahier<br />
6 si parla di “indisposition involontaire” (C 6, ES X, SW, 676). 141<br />
140 Il seguito: “e che quella notte inaugurasse un’era e fosse destinata a restare<br />
come una data, ma una data triste. Se ne avessi avuto il coraggio, adesso avrei<br />
voluto dirle: ‘Non voglio (non je ne veux pas), non dormire qui’. Ma conoscevo la<br />
saggezza pratica, realistica si direbbe oggi, che mitigava in le la natura<br />
ardentemente idealista della nonna, e sapevo che, ora che il male era fatto<br />
(maintenant que le mal était fait), avrebbe preferito lasciarmene gustare il<br />
pacificante piacere e non disturbare mio padre. Certo, il bel viso di mia madre<br />
brillava ancora di giovinezza quella sera, mentre mi stringeva teneramente le mani<br />
e cercava di frenare le mie lacrime; ma mi sembrava, ecco, che fosse qualcosa<br />
che non avrebbe dovuto essere, e la sua collera sarebbe stata meno triste per me<br />
di quella dolcezza nuova che la mia infanzia non aveva mai conosciuta; mi<br />
sembrava di aver tracciato nella sua anima, con mano empia e segreta, una prima<br />
ruga, di averle fatto spuntare il primo capello bianco”: “Il bacio della buonanotte è<br />
negato quando ne ha bisogno ed è concesso quando non lo desidera più” (<strong>Proust</strong>,<br />
Roger Shattuck, 1974, Mondadori, Milano, 1991, 119).<br />
141 Mi sembra preziosa la notazione seguente: “Capital. [...]. Mais la paresse<br />
m’avait gardé de la facilité, peut-être à son tour la maladie allait me protéger contre<br />
la paresse” (C 57, ES LX, TR, 942).
113<br />
Cioè, c’è stata una sorta di torsione dal “manque de volonté” al<br />
“mal involontaire”; che ha consentito l’ulteriore torsione verso ma la<br />
“mémoire involontaire”...<br />
Certo, non si può trascurare un altro elemento: il “retour des<br />
choses humaines”; quello che, in Jean Santeuil, è stato definito<br />
“riconoscimento di un nuovo governo”, una sorta presa del potere, di<br />
trionfo (del figlio sulla madre etc.). Tutto ciò comporta un<br />
ribaltamento: se prima il Narratore dipendeva dal bacio della madre,<br />
d’ora in poi la madre dipenderà dall’aver dato o no quel bacio... Il<br />
servo diventerà padrone... E la lotta comporterà violenze (fino al<br />
sadismo). La dialettica servo-padrone porterà al perdono, forse una<br />
delle figure più straordinarie della Recherche. Il perdono, però, sarà il<br />
frutto dell’abbandono della lotta. A George de Lauris, che ha perso la<br />
madre, scrive <strong>Proust</strong> il 18 febbraio 1097: “Soyez inerte, attendez que<br />
la force incompréhensible [...[ qui nous a brisé, vous relève un peu<br />
[...]”. Il Narratore diventerà “inerte”, “nolente”... Solo allora potrà<br />
godere della “grazia”.<br />
Ora, il dittico mancanza di memoria e involontarietà della<br />
memoria si raddoppia nel dittico scena-madre e ricordo involontario.<br />
Il “drame du coucher”, infatti, per molti versi si sovrappone alla scena<br />
in cui avviene il tout d’un coup: basta segnalare la ricorrenza nel<br />
corso del “drame” di tre motivi cardine: (1) l’irruzione di una gioia<br />
inspiegabile; (2) il disvelamento di una verità, di una essenza; (3) la<br />
scomparsa della paura della morte. 142<br />
142 In occasione del ricordo involontario: “Una deliziosa voluttà (un plaisir délicieux)<br />
mi aveva invaso, isolata, staccata da qualsiasi nozione della sua causa (sans la<br />
notion de sa cause) [sospensione del categoriale]. Di colpo (aussitôt) mi aveva<br />
reso indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la sua<br />
brevità, agendo nello stesso modo dell’amore, colmandomi di un’essenza preziosa<br />
(essence précieuse): o meglio, quell’essenza non era dentro di me, io ero<br />
quell’essenza” (SW, 45; 56). Nel corso del “drame du coucher”: il padre “non aveva<br />
ancora intuito la mia infelicità di ogni sera” (combien j’étais malereux tous les<br />
soirs)” (SW, 37; 47) Ò “All’improvviso (tout d’un coup) la mia ansia cadde, una<br />
felicità m’invase (une félicité m’envahit) come quando un farmaco potente comincia<br />
ad agire e di toglie il dolore. [...]. La calma che risultava dalla fine delle mie<br />
angosce mi metteva in uno straordinario stato di allegrezza (dans une allégresse<br />
extraordinaire)” (SW, 32; 40-41) Ò “Andai senza rumore nel corridoio; il cuore mi<br />
batteva così forte che facevo fatica a camminare, ma almeno non batteva più<br />
d’ansia, ma di spavento e di gioia (d’épouvante et de joie)” (35; 44) Ò La<br />
possibilità che la madre vada a dargli l’ultimo bacio (gli ultimi baci), sottrae il<br />
Narratore ad un rischio mortale: l’andare a letto da solo = “scavarmi da me la mia<br />
tomba sistemando le coperte, indossate il sudario della camicia da notte” (SW, 35)<br />
Ò “<strong>Su</strong>bito la mia ansia cadde; adesso non era più fino a domani, come un attimo<br />
prima, che avevo lasciato mia madre, giacché il mio biglietto [...] mi avrebbe fatto<br />
entrare estasiato e invisibile nella sua stessa stanza [...]” (SW, 37-38) Ò “Sapevo
114<br />
Il ricordo involontario è descritto come un ricordo fallito. Avranno<br />
successo solo i ricordi, questa volta incalzanti, della matinèe. Ma è<br />
evidente che il fallimento è descritto in modo perfetto. (Abbiamo già<br />
detto della scrittura contemporanea dell’inizio e della fine della<br />
Recherche)... In modo perfetto, in ogni caso, è descritto il nesso tra<br />
mancanza di volontà e involontarietà della memoria. Basta<br />
considerare il fatto che, quasi senza transizione, si passa dal<br />
racconto del “drame du coucher” a quello del ricordo involontario...<br />
Quando il Narratore scrive, la scena primaria è scomparsa:<br />
“Sono passati parecchi anni da allora. 143 La parete delle scale [...]<br />
non esiste più da molto tempo. [...] Quelle ore mi sono ancora<br />
inaccessibile. Ma da un po’ di tempo ho ricominciato a sentire, molto<br />
bene, se mi concentro, i singhiozzi che ebbi la forza di trattenere [...]”<br />
(SW, 46).<br />
Qualche pagina più avanti: “E così, ogni volta che svegliandomi<br />
di notte mi ricordavo di Combray, per molto tempo non ne rividi che<br />
quella sorta di lembo luminoso ritagliato nel mezzo delle tenebre<br />
indistinte, simile a quelli che l’accensione di un bengala o un fascio di<br />
luce elettrica rischiarano e isolano in un edificio che resta per le altre<br />
parti sprofondato nel buio [...]” (SW, 54). E poco più avanti: “Ma<br />
poiché quello che avrei ricordato sarebbe affiorato soltanto nella<br />
memoria involontaria, dalla memoria dell’intelligenza, e poiché le<br />
informazioni che questa fornisce sul passato non ne trattengono<br />
nulla di reale, io non avrei mai avuto voglia di pensare a quel resto di<br />
Combray. Per me, in effetti, era morto (SW, 54-55)”.<br />
E ecco, immediatamente l’interrogativo: “Morto per sempre?<br />
Poteva darsi. Il caso ha gran parte in tutto ciò, e spesso un secondo<br />
caso, quello della nostra morte, non ci permette di aspettare troppo a<br />
lungo i favori del primo”.<br />
Segue, lo ripetiamo: senza transizione, il primo ricordo<br />
involontario, quello provocato dalla madeleine... Troppo complesso<br />
da ripresentare e commentare. Lo richiamiamo per frammenti<br />
facendo precedere il richiamo, anche questo per frammenti, della<br />
scena I dell’Atto III dell’Amleto che è citato implicitamente (un<br />
che una notte simile non si sarebbe mai ripetuta; che il desiderio più grande che io<br />
avessi al mondo, tenere mia madre con me, nella mia camera, durante le tristi ore<br />
notturne, contrastava troppo con la necessità della vita (était trop en opposition<br />
avec les nécessités de la vie) [di nuovo il categoriale] e con il volere (et le vœu de<br />
tous) di tutti perché l’esaudimento che gli era stato concesso quella sera potesse<br />
essere altro che eccezionale e artificioso” (SW, 43; 53) Ò “Quella dolcezza nuova<br />
(cette douceur nouvelle) che la mia infanzia non aveva mai conosciuta” (SW, 39;<br />
48).<br />
143 “Plus rien de ce qui composait cette scène n’existe plus” (C 8, ES XII, SW, 692).
115<br />
esempio dell’intertestualità proustiana; talvolta recondita). “Essere, o<br />
non essere: questo è il problema [...]. "Morire, dormire... nient’altro<br />
(no more) [...]. È un epilogo da desiderarsi devotamente, morire e<br />
dormire! Dormire, sorse sognare, sì, lì è l’intoppo (ay, there’s the<br />
rub); perché in questo sonno della morte quali sogni possan venire,<br />
quando noi ci siamo sbarazzati di questo terreno imbroglio, deve<br />
farci riflettere (must give us pause). [...]. Chi vorrebbe portar fardelli,<br />
gemendo e sudando sotto una gravosa vita, se non che il timore di<br />
qualche cosa dopo la morte, il paese non ancora scoperto dal cui<br />
confine nessun viaggiatore ritorna (But that the dread of something<br />
after death,"The undiscovered country, from whose bourn, no<br />
traveller), confonde la volontà (returns, puzzles the will), e ci fa<br />
piuttosto sopportare i mali che abbiamo, che non volare verso altri<br />
che non conosciamo? Così la coscienza ci rende vili (thus<br />
conscience does make cowards of us all), e così la tinta nativa della<br />
risoluzione (and thus the native hue of resolution) è resa malsana (is<br />
sicklied o’er) dalla pallida cera del pensiero, e imprese di grande<br />
altezza e importanza per questo scrupolo deviano le loro correnti e<br />
perdono il nome d’azione”.<br />
Leggendo il testo proustiano incontriamo il dilemma vita/morte;<br />
più profondo quello morte/altra vita (sonno/sogni); il ritorno possibile<br />
dalla terra da cui Shakespeare sembra sostenere che nessuno è<br />
tornato: come dire, nessuno tranne <strong>Proust</strong>! E la viltà 144 che non<br />
consente il ritorno (la resurrezione). Tale ritorno costituisce l’“opera”:<br />
“Depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo. Tocca a lui trovare la<br />
verità. Ma come? Grave incertezza, ogni qualvolta l’animo nostro si<br />
sente sorpassato da se medesimo; quando lui, il ricercatore, è al<br />
tempo stesso anche il paese tenebroso dove deve cercare e dove<br />
tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. (grave incertitude, toutes<br />
les fois que l’esprit se sent dépassé par lui-même; quand lui, le<br />
chercheur, est tout ensemble le pays obscur où il doit chercherer où<br />
son bagage ne lui sera de rien). Cercare? Non soltanto: creare<br />
(Chercher? pas seulement: créer). Si trova di fronte a qualcosa che<br />
ancora non è, e che esso solo può rendere reale, poi far entrare nella<br />
sua luce. E ricomincio a domandarmi che mai potesse essere quello<br />
stato sconosciuto, che non portava con sé alcuna prova logica, ma<br />
l’evidenza della sua felicità, della sua realtà dinanzi alla quale ogni<br />
altra svaniva (et je recommence à me demander quel pouvait être cet<br />
état inconnu, qui n’apportait aucune preuve logique, mais l’évidence<br />
144 (Nelle Intermittenze del cuore, ritorna la “pusillanimità (pusillanimité)” SG, 759;<br />
920); e sempre nel bel mezzo di un ricordo involontario, come ostacolo al suo<br />
pieno dispiegarsi.
116<br />
de sa félicité, de sa réalité devant la quelle les autres<br />
s’évanousissaient). Voglio provarmi a farlo riapparire (je veux<br />
essayer de le faire réapparaître). Indietreggio col pensiero al<br />
momento in cui ho bevuto il primo sorso di tè. Ritrovo lo stesso stato,<br />
senza alcuna luce. Chiedo al mio animo ancora uno sforzo (je<br />
demande à mon esprit un effort de plus), gli chiedo di ricondurmi di<br />
nuovo la sensazione che sfugge. [...]. Ma, sentendo come l’animo<br />
mio si stanchi senza successo, lo costringo a prendersi quella<br />
distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a ripigliar vigore<br />
prima d’un tentativo supremo. [...]. Toccherà mai la superficie della<br />
mia piena coscienza quel ricordo, l’attimo antico che l’attrazione d’un<br />
attimo identico è venuta così di lontano a richiamare, a commuovere,<br />
a sollevare nel più profondo di me stesso? Non so. [...]. Debbo<br />
ricominciare, chinarmi su di lui dieci volte. E ogni volta la viltà, che ci<br />
distoglie da ogni compito difficile, da ogni impresa importante, m’ha<br />
consigliato di lasciar stare (et chaque fois la lâcheté 145 qui nous<br />
détourne de toute tâche difficile, de toute œuvre importante), di bere<br />
il mio tè pensando semplicemente ai miei fastidi di oggi, ai miei<br />
desideri di domani, che si possono ripercorrere senza fatica. E ad un<br />
tratto il ricordo m’è apparso [...]” (SW 44 sgg., 55 SGG.).<br />
4) L’ultima edizione<br />
Le pagine appena scorse sono bellissime.<br />
Un capolavoro.<br />
Contengono una critica letteraria; una critica memorialistica;<br />
uno studio psicologico... Tutto quel che noi abbiamo tralasciato di<br />
valorizzare e fa parte della ricchezza sovrabbondante ma puntuale di<br />
queste pagine.<br />
Che sono scritte dal Narratore che ha capito tutto; che, infatti,<br />
ha scritto, insieme, la prima e l’ultima parte della sua ricerca.<br />
Andiamo all’ultima edizione (TR, 1034-1048; 744-761).<br />
L’ultima edizione arriva in tre ondate.<br />
La prima.<br />
Il ricordo di quella sera e di quella notte incalza da qualche<br />
pagina: “E avrei finalmente realizzato ciò che tanto avevo desiderato,<br />
e creduto impossibile (impossible), così come, avevo creduto<br />
impossibile (impossible), tornando casa, abituarmi ad andare a<br />
145 Il “courage” è stato nominato in un brouillon preparatorio spostato nel Tempo<br />
ritrovato (in cui si incontrno la “minute extratemporelle” e l’“homme<br />
extratemporel”...dell’Esquisse XI (SW, C 25, ES XIV, 701.
117<br />
dormire senza il bacio di mia madre (sans embrasser ma mère) o,<br />
più tardi, all’idea che ad Albertine piacessero le donne, l’idea con la<br />
quale alla fine ero riuscito a convivere senza nemmeno accorgermi<br />
della sua presenza: perché né i nostri peggiori timori né le nostre<br />
maggiori speranze sono al di sopra delle nostre forze, e possiamo<br />
riuscire a dominare gli uni e a realizzare le altre” (Tr, 1045; 745).<br />
L’impossibile è diventato, sta per diventare, possibile.<br />
Poco fa il Narratore ha detto che non c’è nulla che la nostra<br />
intelligenza non riesca a fronteggiare: “Dove la vita mura,<br />
l’intelligenza apre una via di scampo, giacché se non esistono rimedi<br />
a un amore non condiviso, dalla, dalla constatazione di una<br />
sofferenza si esce, non foss’altro che traendone tutte le<br />
conseguenze. L’intelligenza ignora le situazioni bloccate, prive di vie<br />
di scampo, della vita” (TR, 589). 146<br />
La premessa della prima vague dell’ultima edizione è l’intera<br />
matinée-rappresentazione della morte (su questo più avanti).<br />
Come riprendendo il discorso interrotto?<br />
Ricordate?<br />
“Morto per sempre?”<br />
Ora la fine incombe, il Narratore ha scoperto l’“idea del Tempo”:<br />
“ma [...] era ancora tempo, e io stesso sarei stato ancora in grado?<br />
[...]. Ma già scende la notte durante la quale non si può più dipingere,<br />
e sulla quale il giorno non tornerà più ad alzarsi. [...]. Giacche la mia<br />
ora poteva suonare fra pochi minuti (car mon heure pouvait sonner<br />
dans quelques minutes). Bisognava tener presente, infatti, che avevo<br />
un corpo, ossia che ero continuamente minacciato da un doppio<br />
pericolo, esterno e interno. [...]. E avere un corpo è la peggiore<br />
minaccia per la mente. La vita umana e pensante (pensante), di cui<br />
bisogna dire non tanto che è un miracoloso perfezionamento della<br />
vita animale e fisica, quanto che è un’imperfezione – non meno<br />
rudimentale, ancora, dell’esistenza dei protozoi in polipai, del corpo<br />
della balena ecc. – nell’organizzazione della vita spirituale. Il corpo<br />
tiene chiuso lo spirito in una fortezza; presto la fortezza è assediata<br />
da ogni parte, e alla fine bisogna che lo spirito si arrenda” (TR, 1035;<br />
745).<br />
146 “E quest’inferiorità dell’intelligenza tocca tuttavia all’intelligenza stabilirla.<br />
Perché, se non merita la suprema corona, essa sola è capace di assegnarla”<br />
(CSB, 10). Vedi l’incipit della lettera Louis de Rober del maggio 1913: “Mon chier<br />
ami, l’aissez-moi vous dire que je suis arrivé à me rendre compte que les<br />
impossibilités les plus inéluctables n’existent pas” (Correspondance, op. cit., vol.<br />
XII, p. 170).
118<br />
In questo passo, come quasi in tutti, si affollano tantissimi<br />
pensieri; la notte durante la quale non si può dipingere richiama<br />
Giovanni 9, 4 (“la notte viene in cui nessuno può operare”) 147 – tra<br />
poco sarà richiamato in Giovanni 12, 24, il seme che deve morire per<br />
portare frutto) –, la vita “pensante” richiama la canna pensante di<br />
Pascal, l’essere dell’uomo come il meno attrezzato richiama<br />
Nietzsche e i greci...<br />
Ma, di nuovo, l’impossibile sta diventando possibile; non ostanti<br />
le forze immani da poco evocate.<br />
Seconda ondata.<br />
Il Narratore sta pensando al suo libro: “Se avessi lavorato,<br />
sarebbe stato solo di notte (ce ne serait que la nuit)” (TR, 1043; 755).<br />
Interrompiamo per una osservazione. Straordinario: la nuova<br />
edizione definisce la notte non come il luogo in cui egli riesce a<br />
dormire se non baciato e ribaciato dalla madre, ma come il luogo in<br />
cui egli lavorerà; meglio, lavorerà solo di notte (nonostante la notte<br />
147 Già in una lettera Georges de Lauiris dell’8 novembre 1908: “Georges, quand<br />
vous le pourrez: travaillez. Ruskin a dit quelque part une chose sublime et qui doit<br />
être devant votre esprit chaque jour, quand il a dit que les deux grands<br />
commandements de Dieu (le deuxième est presque entèrement de lui mais cela ne<br />
fait rien) étaient: ‘Travaillez pendant que vous avez encore la lumière’ et ‘Soyez<br />
miséricordieux pendant que vous avez encore la miséricorde. [...]. Après le premier<br />
comandement tiré de Saint-Jean vient cette phrase: car bientôt vient la nuit où l’on<br />
ne peut plus rien faire (je cite mal). Je suis déjà, Georges, à demi dans cette nuit<br />
malgré de passagères apparences qui ne signifient rien. [..]. Alors si la vie apporte<br />
des déboires on s’en console car la vraie vie est ailleurs, non pas dans la vie<br />
même, ni après, mais au dehors, si un terme qui tire son origine de l’espace a un<br />
sens en un mondo qui en est affranchi [...]’” (CORR, VIII, 1981285-286). (In cauda<br />
un evidente accenno all’atemporalità-aspazialità). Sempre a Georges de Lauris, 6<br />
marzo 1909: “I gesti sono meno importanti di ciò che si dice, ciò che si dice lo è<br />
memo di ciò che si scrive, e la realtà è altrove (la réalité est ailleurs)” (CORR, IX, p.<br />
62; LG, 935). Sempre a George de Lauris, nel dicembre del 1908, autoironicamente<br />
aveva detto: “Vous ai-je parlé d’une pensée de Saint-Jean: Travaillez<br />
pendant que vous avez en ore la lumière. Comme je n’ai plus je me mets au<br />
travail” (CORR, VIII, 316). A Robert Dreyfus, 16 maggio 1908: “Sit tratterà di una<br />
novella e quindi ci sarà il tempo di riparlarne, Ma la stessa ragione per cui penso<br />
che l’importanza e il carattere sovrasensibile dell’arte facciano forse sì che certi<br />
romanzi aneddotici, per quanto gradevoli, non meritino del tutto l’alta valutazione<br />
che sembri darne (l’arte essendo troppo superiore alla vita, quale la giudichiamo<br />
con l’intelligenza e la descriviamo con le parole, perché ci si possa accontentare di<br />
copiarla): la stessa ragione non mi consente di fare dipendere la realizzazione di<br />
un progetto artistico da elementi essi stessi aneddotici e troppo attinti alla vita per<br />
non partecipare della sua contingenza e della sua irrealtà (et à son irréalité)”<br />
(CORR, VIII, 123; LG, 894).
119<br />
sia, per antonomasia, Vangelo docet, il luogo in cui non si può<br />
operare). 148<br />
“Ma vi sarebbero volute molte notti, forse cento, forse mille [egli<br />
stesso precisa più avanti che sta pensando a le Mille e una notte].<br />
[...]. Un giorno anche i miei libri, come il mio essere di carne,<br />
avrebbero certo finito per morire. Ma bisogna rassegnarsi a morire.<br />
Si accetta il pensiero che fra dieci anni, fra cento anni noi, i nostri<br />
libri, non ci saremo più. La durata eterna non è promessa ai libri più<br />
che agli uomini”.<br />
Di nuovo, come riprendendo un filo interrotto: “Ma ero, io,<br />
ancora in tempo? Non era troppo tardi? Non mi chiedevo soltanto:<br />
Sono ancora in tempo?’ ma: ‘Sono ancora in grado?’ La malattia che<br />
facendomi, come un rude direttore di coscienza, morire al mondo, mi<br />
aveva favorito, ‘perché se il seme, dopo esser stato messo nella<br />
terra, non muore, rimarrà solo, ma se muore recherà molti frutti’, la<br />
malattia dalla quale, dopo che l’indolenza m’aveva protetto contro la<br />
facilità, sarei stato forse protetto dall’indolenza, la malattia aveva<br />
logorato le mie forze e come avevo notato da tempo, soprattutto<br />
quando avevo smesso di amare Albertine, le forze della mia<br />
memoria. Ora, la ricreazione tramite la memoria di impressioni che<br />
sarebbe stato necessario approfondire, chiarire, trasformare in<br />
equivalenti dell’intelligenza (or la recréation par la mémoire<br />
d’impressions qu’il fallait ensuite approfondir, éclairer, transformer en<br />
équivalents d’intelligence), non era forse una delle condizioni, quasi<br />
l’essenza stessa dell’opera d’arte (de l’œuvre d’art) quale l’avevo<br />
concepita poco fa nella biblioteca?” (TR, 1044; 755-756). 149<br />
E qui il pensiero va al François le Champi lettogli una volta dalla<br />
mamma e ricordato poco fa nella biblioteca: “Era quella sera – la<br />
sera dell’abdicazione di mia madre – che era cominciato, insieme<br />
alla morte lenta della nonna, il declino nel momento in cui, non<br />
sopportando più d’aspettare l’indomani per posare le labbra suo viso<br />
di mia madre (pour poser mes lèvres sur le visage de ma mère),<br />
148 Come fare a non pensare a Kafka?<br />
149 A Robert de Montesquiou, novembre 1905: “Mais je suis vencu par la douleur,<br />
par la maladie, chaque jour quand je crois m’etre rendu maître, non par la volonté<br />
hélas, mais par l’intelligence, de ma peine, quand je crois la connaître, en avoir fait<br />
le tour et que je crois que ce chagrin que je veux pour compagnon de toute ma vie<br />
n’a plus de secrets pour moi, alors à ce moment, au hasard d’une impresison, une<br />
nouvelle douleur surgit, la même mais qui a tellement une autre force que je<br />
retombe sous un nouvel inconnu” (CORR, V, 367): “Ce n’est pas en trempant une<br />
madeleine dans une infusion. Mais dans ses expériences douloureusement<br />
cruciales qu’il da découvert le principe d’où sortira À la recherche tu tamps perdu”<br />
(Duchêne, op. cit., p. 524).
120<br />
avevo preso la mia risoluzione (j’avais pris ma résolution), ero saltato<br />
dal letto ed ero andato, in camicia da notte, a installarmi davanti alla<br />
finestra (à la fenêtre) da cui entrava la luce della luna (par où entrait<br />
le clair de la lune) finché non avessi sentito andar via il signor<br />
Swann. I miei genitori l’avevano accompagnato, avevo sentito il<br />
cancelletto del giardino aprirsi, suonare (sonner), rinchiudersi. Di<br />
colpo (tout d’un coup), allora, pensai [...]”<br />
Sonner...<br />
Ed ecco, in due pagine, l’ultima vague: “Se era questa nozione<br />
del tempo incorporato, degli anni passati come non separati da noi,<br />
che io avevo ora intenzione di mettere così fortemente in rilievo, era<br />
perché in quello stesso momento, nel palazzo del principe di<br />
Guermantes, il rumore dei passi (le bruit des pas) dei miei genitori<br />
che accompagnavano il signor Swann, il tintinnio saltellante,<br />
ferruginoso, instancabile, stridulo e fresco della campanella (ce<br />
tintement rebondissant, ferrugineux, intarissable, criard et frais),<br />
annuncio che il signor Swann se n’era finalmente andato e che la<br />
mamma stava per salire, io li sentiti ancora, sentii proprio loro (euxmêmes),<br />
pur situati così lungi nel passato. Allora, pensando a tutti<br />
gli avvenimenti che si collocavano per forza di cose fra l’istante in cui<br />
li avevo sentiti e il ricevimento Guermantes, mi fece spavento<br />
pensare che fosse proprio quella campanella a tintinnare ancora<br />
dentro di me (c’était bien cette sonnette qui tintait en moi), senza<br />
ch’io potessi cambiare nulla alle note stridule del suo sonaglio (sans<br />
que je pusse rien changer aux criallements de son grelot), visto che,<br />
non ricordando più bene come si spegnessero, per riapprenderlo, per<br />
ascoltarlo bene, dovetti sforzarmi di non sentire più il suono delle<br />
parole (je dus m’efforcer de ne plus entendre le son des<br />
conversations) che le maschere si scambiavano attorno a me. Per<br />
cercare di sentirlo più da vicino ero costretto a discendere in me<br />
stesso (s’est en moi-même que j’étais obligé de redescendre). Quel<br />
tintinnio (ce tintement) dunque, era sempre stato lì, e così, fra lui e<br />
l’istante presente, tutto quel passato indefinitamente trascorso che<br />
non sapevo di portare con me. Quando la campanella aveva suonato<br />
(quand elle avait tinté) io esistevo già, e dopo, perché sentissi ancora<br />
quel tintinnio (ce tintemant), bisognava che non ci fosse stata<br />
discontinuità, che nemmeno per un istante avessi cessato, mi fossi<br />
preso il riposo di non esistere, di non pensare, di non avere<br />
coscienza di me (conscience de moi), giacché quell’istante lontano<br />
stava ancorai in me, potevo ritrovarlo, tornare sino a lui, solo<br />
scendendo più profondamente in me (rien qu’en descendant plus<br />
profondément en moi). Ed è perché contengono così le ore del
121<br />
passato che i corpi umani possono fare tanto male a chi li ama,<br />
perché contengono tanti ricordi di gioie e di desideri già cancellati per<br />
loro, ma tanto crudeli per chi contempla e prolunga nell’ordine del<br />
tempo il corpo adorato di cui è geloso, geloso fino a sperarne la<br />
distruzione. Infatti dopo la morte il Tempo si ritira dal corpo, e i ricordi<br />
– così indifferenti, così sbiaditi – sono cancellati da colei che non è<br />
più e presto lo saranno da colui che ancora torturano, ma nel quale<br />
finiranno col perire quando il desiderio di un corpo vivo smetterà di<br />
alimentarli. Profonda Albertine (profonde Albertine) che io vedevo<br />
dormire e che era morta” (TR, 1046-1047; 759-760; l’ultima frase<br />
nell’edizione curata da Tadiè, TR, 624).<br />
Che ve ne sembra?<br />
Non è detto nulla di nuovo; ma a parte la decisiva discesa nel<br />
profondo (seguendo Albertine “la profonda”: torneremo sulla tappa<br />
cruciale rappresentata dai baci e dagli abbracci con A.), avviene<br />
qualcosa, come dire, sul piano grammaticale (o glossologico) che<br />
acumina – ma ce n’era bisogno? – la conscience de soi.<br />
Per il Narratore ce n’era bisogno.<br />
Componiamo una sequenza: ce tintement rebondissant,<br />
ferrugineux, intarissable, criard et frais [...] c’était bien cette sonnette<br />
qui tintait en moi [...] sans que je pusse rien changer aux criallements<br />
de son grelot [...] je dus m’efforcer de ne plus entendre le son des<br />
conversations [...] s’est en moi-même que j’étais obligé de<br />
redescendre [...] rien qu’en descendant plus profonément en moi.<br />
Ricordiamo, ora, le due sequenze presentate in Dalla parte di<br />
Swann:<br />
– la prima relativa alla distinzione tra assidui, familiari, e stranieri:<br />
non pas le grelot profus et criard [...] de son bruit ferrugineux,<br />
intarissable et glacé [...] mais le double tintement timide, ovale<br />
et doré de la clochette pour les étrangers;<br />
– la seconda relativa alla partenza di Swann (le famose dieci<br />
pagine): sonné [...] et quand le grelot de la porte m’eut averti<br />
qu’il venait de partir [...] comme ces cloches de couvents [...] se<br />
remettent à sonner dans le silence du soir.<br />
Sopra abbiamo pensato che il testo di Dalla parte di Swann<br />
suggerisse la caratterizzazione di Swann come discreto, anche se<br />
“straniero” (potenziale “nemico”); ma abbiamo visto anche il<br />
familiare” (heimlich) è il potenzialmente nemico... Nemica<br />
(potenziale), potenziale estranea, è la madre (a parte il padre etc.)...<br />
Nemico/estraneo (a se medesimo) è il Narratore...<br />
È proprio questo che il “ritrovamento” segnala.
122<br />
Infatti, quel che avviene in sede di ritrovamento concerne il<br />
“drame” nel suo svolgimento; addirittura, nella sua fase culminante:<br />
“Si c’était cette notion du temps incorporé [...] que j’avais maintenant<br />
l’intention de mettre si fort en relief, c’est qu’à ce moment même,<br />
dans l’hôtel du prince Guermantes, ce bruit des pas de mes parents<br />
conduisant M. Swann, ce tintement [...]” (TR, 1046). Si parla<br />
esclusivamente del “bruit” etc. che si accompagna alla fine della<br />
visita di Swann (e all’inizio della fase culminante che possiamo<br />
collocare nel “couloir”). Completiamo la frase: “[...] ce tintement<br />
rebondissant [...] qui m’annonçait qu’enfin M. Swann était parti et que<br />
maman allait monter, je les antendis encore, je les entendis euxmême.<br />
Eux situés pourtant si loin dans le passé”.<br />
Mi sembra chiaro: chi “monte” è il nemico; lo scontro sarà<br />
aspro. Quei passi, non solo quelli che hanno accompagnato Swann<br />
alla “porte” ma soprattutto quelli fatti verso la “chambre”... “io li sentii<br />
ancora, sentii proprio loro”...<br />
Basta questo... Teniamo in mente che il ritrovamento è il<br />
ritrovamento di se stesso; della propria mamma in se stesso...<br />
Ma concludiamo: il Narratore è assalito da stanchezza e<br />
sgomento; perché, sente (e capisce) che tutto quel tempo (“senza<br />
una sola interruzione”), non solo era la sua vita (“non solo era la mia<br />
vita”), ma anche...: (non solo era me stesso) “ma anche che dovevo<br />
tenerlo ogni minuto (toute minute) attaccato a me, che mi faceva da<br />
sostegno (qu’il me supportait), a me che, appollaiato sulla sua<br />
sommità vertiginosa, non potevo muovermi senza spostarlo. 150 La<br />
data in cui sentivo il rumore della campanella del giardino (le bruit de<br />
la sonnette du jardin) di Combray, così lontana eppure interiore (si<br />
distant et pourtant intérieur), era un punto di riferimento (un point de<br />
repère) in quella dimensione enorme che non sapevo di possedere.<br />
Avevo le vertigini vedendo sotto di me, eppure in me, come se la mia<br />
altezza fosse di leghe, un tale numero di anni” (TR, p. 1047; 760).<br />
Straordinario: la sonnette, da ricordo lancinante, diventa un<br />
punto di riferimento. La notte “la più dolce e la più triste” della sua<br />
vita, 151 diventa “distante eppure interiore”.<br />
150 Togliere: “come potevo invece fare con lui”...<br />
151 “Ma era piuttosto nella storia della mia propria vita, ossia non da semplice<br />
curioso, che l’avrei trovata [la bellezza del libro]; e collegandola, più spesso che<br />
all’esemplare materiale, all’opera, come a quel François le Champi contemplato<br />
per la prima volta nella mia cameretta di Cambray, durante la notte più dolce e più<br />
triste, forse, della mia vita (pendant la nuit peut-être la plus douce et la plus triste<br />
de ma vie), quando avevo, ahimè! (in un periodo in cui i misteriosi Guermantes mi<br />
sembravano tanto inaccessibili), ottenuto dai miei genitori una prima abdicazione<br />
dalla quale potevo far datare il declino della mia salute e della mia volontà, la mia
123<br />
La distanza diventa interiore.<br />
La dimensione del tempo diventa interiore.<br />
Egli stesso, al pari di coloro di cui riuscirà forse, prima della fine<br />
della sua vita – se il tempo mi basterà “a compiere la mia opera<br />
(accomplir mon œuvre)” –, a descrivere, è diventato un “mostro”;<br />
arrampicato sui trampoli (questi “aumentano senza sosta sino a<br />
diventare, a volte, più alti dei campanili” = il ricordo va<br />
immediatamente ai campanili, quella volta non metaforici, di una<br />
delle prime memorie involontarie). 152<br />
Sa che la forza di “tenere attaccato” a sé “quel passato che<br />
scendeva già a tale lontananza” non è infinita...<br />
L’abbiamo visto: l’eterno, ahimè, dura un momento.<br />
Il tempo di cui il Narratore ha colto la “dismisura (sans<br />
mesure)”, l’enormità, è stato da lui colto nel suo essere senza<br />
misura.<br />
E, miracolo, l’incommensurabile è diventato misurabile: detto tra<br />
parentesi: “(Era per questo [il Narratore ha appena ricordato il duca<br />
di Guermantes vacillante sulle gambe malferme] che il volto degli<br />
uomini d’una certa età era così impossibile confonderlo, anche per gli<br />
occhi dei più ignari, con quello di un giovane, e non appariva che<br />
attraverso una sorta di nuvola di serietà)”.<br />
Il metro non serve a misurare il non misurabile.<br />
Eppure il Narratore è riuscito a misurare.<br />
L’enormità della dimensione del tempo...<br />
(Purtroppo Leo Spitzer, che ci ha lasciato annotazioni<br />
interessantissime sullo stile di <strong>Proust</strong>, ha lavorato solo su Du côté de<br />
chez Swann perché esso “anticipa già tutti i personaggi e tutti i temi<br />
dei volumi successivi). 153<br />
rinuncia ogni giorno più grave a un compito difficile – e ritrovavo oggi nella<br />
biblioteca dei Guermantes [..]” (TR, pp. 886-887; 567).<br />
152 Data l’enorme cultura di <strong>Proust</strong> e stante il contributo costante e ricchissimo che<br />
questa sua cultura dà ad ogni frase, la tessitura della frase, è impensabile che la<br />
mente di <strong>Proust</strong> qui non sia andata a Montaige: “Così abbiamo un bel montare sui<br />
trampoli (sur des es), ma anche sui trampoli (sur des hechasses) bisogna<br />
camminare con le nostre gambe. Ed anche sul più alto tronco della terra non siamo<br />
seduti che sul nostro culo)” (Essais, Gallimard, 2009, vol. III, p. 481; édition Villey-<br />
Saulnier, PUF, Paris, 2004, 115; tr. it. Saggi, Casini Ed., Roma, 1953, p. 1168).<br />
153 <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> e altri saggi di letteratura francese moderna, Einaudi, Torino,<br />
1959, pp. 231-336. Spitzer colloca tra le “triadi simmetricamente costruite: “le grelot<br />
profus et criard qui arrosait, qui étourdissait au passage de son bruit ferrugineux,<br />
intairissable et glacé... mais le double tintement timide, ovale et doré de la<br />
clochette” (SW, 14) insieme a “C’était le clocher de Saint-Hilaire qui donnait à<br />
toutes les occupations, à toutes les heures, à tous les points de vue de la ville, leur<br />
figure, l5)eur couronnement, leur consécration” (SW, 64) (ibidem, p. 245). Cita
124<br />
5) Un ajout su “car mon heure pouvait sonner dans quelques<br />
minutes”<br />
In un frammento di Jean Santeuil, – I Monet del marchese di<br />
Révellion – in modo impressionante, <strong>Proust</strong> si affaccia al luogo che<br />
non è un luogo, al di-là a cui manca il “di” e il “là”.<br />
Citiamo (correggendo qua e là la traduzione di Fortini),<br />
segnalando l’essenziale con l’abbinamento dell’originale: “Ognuno di<br />
essi [luoghi] ha di volta in volta le sue differenti espressioni, onde chi<br />
ama un luogo ama i tempi diversi e tutte le ore di quel luogo (aime<br />
les temps différents et toutes les heures). Poiché sente che la vita di<br />
un luogo, per quanto possa sembrare poco animata, è in realtà molto<br />
più varia di quanto siamo soliti credere. Quando, mentre già il sole si<br />
fa penetrante, il fiume dorme ancora nei sogni della nebbia, noi non<br />
lo vediamo più di quanto esso stesso si veda (nous ne la voyons pas<br />
plus qu’elle ne se voit elle-même). Qui è già il fiume, ma là lo<br />
sguardo è interrotto, si vede solo il nulla (on ne voit plus rien que le<br />
néant), una bruma che impedisce di guardar più lontano. In quella<br />
parte della tela, non dipingere né quel che si vede, poiché non si<br />
vede nulla, né quel che non si vede, perché si deve dipingere solo<br />
quel che si vede, ma dipingere che non si vede, e che all’occhio<br />
incapace di vogare sulla nebbia sia inflitta sulla tela la medesima<br />
sconfitta che ha subìto sul fiume, questo è davvero bello (à cet<br />
endroit de la toile, peindre ni ce qu’on voit puisqu’on ne voit rien, ni<br />
ce qu’on ne voit pas puisqu’on ne doit peindre que ce qu’on voit,<br />
mais peindre qu’on ne voit pas, que la déffaillance de l’œil qui ne<br />
peut pas voguer sur le brouillard lui soit infligée sur la toile comme<br />
sur la rivière, c’est bien beau). E è bello anche quando si tratta di una<br />
cattedrale, perché il portale che non si vede è una cosa molto bella<br />
ma è una cosa che vive nella natura. E certe ore della propria vita<br />
sono nel non sono viste (et certaines heures de sa vie sont de ne<br />
pas être vues), nell’essere visitate dalla nebbia e allora nessuno può<br />
avvicinarle, e quest’ora della propria vita è bella anch’essa (et cette<br />
heure de sa vie est belle aussi). Noi non sapevamo tutto quel che c’è<br />
di reale e di vario nella vita del luogo che amiamo, anche l’ora nella<br />
quale non è più un luogo e che tuttavia non lo rende puramente<br />
negativo perché il suo incanto può essere manifestato (même l’heure<br />
où il n’est point vu et qui n’est pas purement négatif puisque le<br />
sempre “le grelot profus et criard qui arrosait, qui étourdissait au passage de son<br />
bruit” (S, 14) a proposito dell’anafora insieme a “il fallait que je le [le baiser] prisse,<br />
que je le dérobasse brusquenment, publiquement” (SW, 23) (ibidem, p. 259).
125<br />
charme de cela peut être rendu). Sappiamo bene che quel luogo è<br />
bello d’autunno, quando è quasi trasfigurato, ma lo avremmo amato<br />
meglio se non lo avessimo avuto in un solo momento dell’anno come<br />
uno spettacolo, se avessimo amato tutte le ore della sua vita perché<br />
manifestano appunto la sua vita, la sua vita, (si nous avions aimé<br />
toutes les heures de sa vie parce qu’elles manifestent sa vie, sa vie)<br />
quando l’estate fa tanto ardenti le tegole del tetto della chiesa e orla il<br />
sentiero familiare di tanti papaveri fioriti e manipoli di fieno, o se, un<br />
giorno di sgelo, invece di andarcene quasi colui che senza toccarlo<br />
scorreva su quel paesaggio fosse stato un nemico estraneo a quel<br />
luogo, noi avessimo veduto il sole, il turchino del cielo, il ghiaccio<br />
spezzato, il fango, l’acqua corrente far del fiume uno specchio<br />
abbacinante che l’occhio non può fissare e dove non può più<br />
riconoscersi (que lœil ne peut fixer et où il ne peut se reconnaître),<br />
non riuscendo a ritrovar la forma di nulla (ne retrouvant la forme de<br />
rien), mentre gli alberi spogli e lucidi di brina son là, intorno ad una<br />
radura o lungo qualche riva, chi sa (on ne sait)” (JS, 896-897; 470-<br />
771).<br />
Sembra proprio che <strong>Proust</strong>, superando ogni problematica della<br />
memoria, volontaria o involontaria, colga la vita anche là dov’essa<br />
non è: “non è”; bel diverso da “non è più”.<br />
Non si tratta di ricordare quel che s’è vissuto; si tratta di vivere il<br />
non-vissuto! E il non-vivibile.<br />
6) I suoni nei Cahiers<br />
Prendetelo come un divertissement: ho recuperato nei Cahiers i<br />
testi preparatori delle scene, come dire, “sonore”, commentate in<br />
questo capitolo. Le cito qui sotto.<br />
SILLOGE dei testi preparatori del “drame du coucher” in due<br />
tranche:<br />
– quella relativa alla costruzione dello scenario rassomiglia molto<br />
a quella di La strada di Swann: bruit de cloche [...] le carillon<br />
profus, étourdissant et criard [...] ses tintements ferrugineux et<br />
glacés [...] sans sonner [...] le double tintement timide, ovale,<br />
doré de la sonnette des ‘étrangers’ (680-681);
126<br />
– quella relativa all’arrivo e alla partenza di Swann: neuf heures<br />
sonnent (688) la sonnette retentit (688) un bruit de pas sur le<br />
gravier puis la sonnette de la porte (890). 154<br />
Notiamo che (1) tutto avviene nel giro di tre pagine (contro le<br />
dieci del testo pubblicato); che (2) si passa senza transizione dall’o<br />
scamanellare per il prazo, a quello per l’arrivo di Swann a quello per<br />
la sua partenza; (3) e che, immediatamente, segue l’osservazione:<br />
“C’était le momenti où on allait monter” (691): impersonale; non sale<br />
un nemico; salgono i nemici (tra questi ci siamo anche noi: “si sale”).<br />
A questa frase incardinata sull’impersonale segue: “Il fallai<br />
envisager les choses en face. [...]. Bientôt j’entendis Maman qui<br />
montait fermer sa fenêtre, j’allai dans le couloir sans bruit. Mon cœur<br />
battai [...]”...<br />
Nel silenzio più profondo – almeno per quel che riguarda il<br />
Narratore, “sans bruit” – quel che si fa sentire (“battait”) è il suo<br />
cuore.<br />
Anticipiamo: dai Cahiers al testo definitivo, il passaggio<br />
evidente, per quel che riguarda Dalla parte di Swann, dal momento<br />
della formulazione della premessa – penso alla differenza tra<br />
heimlich e un-heimlich (per dirla freudianamente) –, al momento della<br />
descrizione della crisi scandita in varie tappe.<br />
Anticipiamo sempre: inversamente, nel Tempo ritrovato,<br />
abbiamo il passaggio da una descrizione dettagliata (addirittura,<br />
dispersa) ad una oltremodo sintetica.<br />
SILLOGE dell’ultima ora: un bruit de pas [...] la sonnette de la<br />
porte [...] le ressort déclenché de l’horologerie va sonner l’heure?<br />
L’heure! Mais < la > dernière heure.<br />
SILLOGE dal Tempo ritrovato: le son rebondissant, rougeâtre,<br />
cressonier et criard de la petite sonnette [...] je l’ententais encore en<br />
moi sonner [...] son tintement [...] son grelot [...] descendis en moimême<br />
[...] écouter de plus près son tintement [...] elle avait retenti à<br />
mes oreilles à Combray [...] jusqu’au jour où tinte la petite sonnette<br />
de Combray [...] sans avoir à sortir de moi<br />
1.<br />
“Les soirs où assis autour de la petite table de fer, dévant le perron,<br />
nous entendions au bout du jardin non pas le carillon profus,<br />
étourdissant et criard qui arrosait au passage de la pluie multipliée<br />
de ses tintements ferrugineux et glacés toute personne de la maison<br />
qui entrait sans sonner, mais le double tintement timide, ovale, doré<br />
154 Vedi nelle esquisses del Tempo ritrovato quel che manca qua: “[...] les aprèsmidi<br />
de Combray dans le bruit de cloche de l’horologe de mon voisin [...]” (C 57,<br />
ES XXXI, ES XLI.2, TR, 847).
127<br />
de la sonnette des ‘étrangers’” (C 8, ES XII, SW, 680-681) + “[...] je<br />
fixais avant que neuf heures sonnent la place de la joue de maman<br />
où je l’embrassai” (C 8, ES XII, 688) + “j’avais entraîné Maman<br />
dans le vestibule pour lui dire bonsoir et ne l’avais pas encore<br />
embrassée quand la sonnette retentit, c’était M. Swann; à ce<br />
moment mon père ouvre la porte, dit: ‘Voyons, on sonne, monte’”<br />
(C8, ES XII, SW, 688) + “Je m’assis au pied du lit et quand un bruit<br />
de pas sur le gravier puis la sonnette de la porte m’eurent averti que<br />
M. Swann venait de partir, j’entrouvris la fenêtre” (C 8, ES XII, SW,<br />
890) + “[...] les après-midi de Combray dans le bruit de cloche de<br />
l’horologe de mon voisin [...]” (C 57, ES XXXI, ES XLI.2, TR, 847).<br />
2.<br />
L’appressarsi dell’ultima ora (arriva la notte nella quale non si<br />
può più “operare”): “Capitalissime. [...]. Dans l’ignorance, qui est la<br />
notre aussi, d’une aiguille qui est arrêtée et qui ne sait pas, au point<br />
où le ressort déclenché de l’horologerie va sonner l’heure? L’heure!<br />
Mais < la > dernière heure. Peut-être ma crainte d’avoir déjà<br />
parcouru presque tout entier ma minute qui la précède, quand déjà le<br />
coup se prépare, le coup dans mon cerveau [...]” (C 57, ES LX, TR,<br />
943).<br />
3.<br />
“E tout d’un coup entendant dans mon souvenir mes parents<br />
qui accompagnaient M. Swann vers la porte, puis le son<br />
rebondissant, rougeâtre, cressonier et criard de la petite sonnette qui<br />
me signifiait qu’il venait de partir, je l’ententais encore en moi sonner<br />
à cette époque qui était encore actuelle et qui ne mettait à sa date<br />
que le événements que j’étais obligé de placer entre elle et le<br />
moment présent, que c’était bien elle qui sonnait, sans que je pusse<br />
rien changer à son tintement, puisque ne me rappelant pas bien<br />
d’abord comment s’étegnait son grelot, je m’efforçai de ne plus<br />
entendre le son des conversations autour de moi et descendis en<br />
moi-même écouter de plus près son tintement pour l’observer mieux.<br />
Ce passé si profond je le portais ave moi quisque quand elle avait<br />
retenti à mes oreilles à Combray dans ce passé si profond, j’existais<br />
déjà. j’étais déjà, et depuis je n’avais cessé un seconde d’exister, de<br />
penser, d’avoir conscience de moi, puisque ce passé m’était<br />
intérieur, comme une longue galerie où je pouvais retourner jusqu’au<br />
jour où tinte la petite sonnette de Combray sens être arrêté par une<br />
clôture [,] par une route extérieure, sans avoir à sortir de moi<br />
[quest’ultima espressione sottolineata] “ (C57, ES, XLI, TR, 899-890).
128<br />
7) Tornando alla prima edizione: la “serie”<br />
Se Combray è la storia di un fanciullo, Un amore di Swann è<br />
una storia d’amore. Chi è l’eroe di questo secondo romanzo. Sembra<br />
che lo sia il nostro <strong>Proust</strong>.<br />
Citiamo fior da fiore... scegliendo, in questa breve incursione –<br />
incursione molto interessante perché ci aiuta a capire i torti e le<br />
ragioni sia di Sainte-Beuve che del Contre-Siante-Beuve – due<br />
lettere in cui <strong>Proust</strong> preannuncia la scrittura...<br />
Lettera a Reynaldo Hahn del 26 aprile 1895 (<strong>Proust</strong> ha 14<br />
anni): “Attendre le petit, le perdre, le retrouver, l‘aimer deux fois plus<br />
en voyant qu’il est revenu chez Flavie pour me prendre, l’espérer<br />
pendant cinq ou le faire attendre cinq minutes, voilà pour moi la<br />
véritable tragédie, palpitante et profonde que j’écrirai peut-être un<br />
jour et qu’en attendant je vis” (CORR, I, 380) 155<br />
J’écrirai...<br />
(Il 18 gennaio 1895, concludendo un lettera a Reynaldo: “Sache<br />
que dand la liturgie catholique présence réelle veut justement dire<br />
présence idéale” [CORR, I, 363]. C’è già la liturgia cattolica;<br />
l’ostia/viatico etc. Dalla présence réelle del drame du coucher, la<br />
futura Adoration Perpetuelle Ò Tempo ritrovato). 156<br />
Diciassette anni dopo, scrive a Albert Nahmias fils – che ha<br />
mancato un appuntamento; lettera dl 20 agosto 1912 (CORR. VI, 17-<br />
190: “Un jour je peindrai ces caractères qui ne sauront jamais, même<br />
à un point de vue vulgaire, ce que c’est que l’élégance, prêt pour un<br />
bal, d’y renoncer pour tenir compagnie à un ami. Ils se croient par là<br />
mondains et sont le contraire”)<br />
Je peindrai!<br />
Poco prima: “Vous n’êtes même pas en pierre qui peut être<br />
sculptée si elle a la chance de rencontrer un sculpteur [...], vous êtes<br />
en eau, en eau banale, insaisissable, incolore, fluide, sempi<br />
terenellement inconsistante, aussi vite écoulée que coulée”.<br />
Andiamo a leggere che cosa dirà Swann a Odette che ha<br />
preferito andare dai Verdurin a vedere Un Nuit de Cléopâtre invece<br />
di restare con lui: “[...]. Alors, si tu es cela, comment pourrait-on<br />
155 Le lettere a Reynaldo Hahn sono state pubblicate: Lettres à Reynaldo Hahn.<br />
Présentées datées et annotées par Philippe Kolb, Gallimard, 1956. La lettera in<br />
questione è a p. 37.<br />
156 Vedi l’identica conclusione della lettera a Lucien Daudet del maggio 1916<br />
(CORR, XV, 153): “[...] si ta soirée n’admet pas que je te retrouve quelque part, ne<br />
prends pas la peine de me répondre, et je me contenterai – c’est le pain quotidien<br />
de ma solitude, de ta présence réelle”.
129<br />
t’aimer, car tu n’es même pas une personne, une créature définie,<br />
imparfaite, mais du moins perfectible. Tu es une eau informe qui<br />
coule selon la pente qu’on lui offre, un posisson sans mémoire et<br />
sans reflexion qui, tant qu’il vivra dans un aquarium, se heurtera cent<br />
fois par jour contre le vitrage qu’il continue à prendre pour de l’eau”<br />
(SWW, 290).<br />
Agostinelli...<br />
In Impressions de route (1907) descrive Agostinelli utilizzando<br />
immagini femminili “mon mécanicien avait revêtu une vaste mane de<br />
caoutchouc et coiffé une sorte di capuche qui, enserrant la plénitude<br />
de sin jeune visage imberbe, le faisait sembler [...] à quelque pèlerin<br />
ou plutôt à quelque nome de vitesse (PM, 66-67).<br />
La metafora che paragone lo chauffeur al volante con Cécile<br />
au clavier (PM, 6) sarà utilizzata tale e quale per Albertine nella<br />
Prisonnière (P, 884)...<br />
Agostinelli si iscrive come allievo aviatore col nome di <strong>Marcel</strong><br />
<strong>Proust</strong>!<br />
Annega, dopo un incidente. Il fattaccio avviene mentre va verso<br />
di lui, ma non può più raggiungerlo, una lettera di <strong>Proust</strong> (30 marzo<br />
1912 CORR, XIII, 217-223): gli promette di far incidere su di un<br />
aeroplano i versi del “Cygne” di Mallarmé.... Tra gli altri questi: “Le<br />
vierge le vivace et le bel Aujourd’hui / Vat-il nous déchrere avec un<br />
coup d’aile ivre / Ce lac dur oublié, que hante sous le givre, / / Le<br />
trasparent glacier des vols qui n’ont pas fui” (219).<br />
Questo fa il Narratore con Albertine a proposito di uno yacht<br />
(AS, 445-446): “[...] je ferai graver sur le... du yacht [...] ces vers de<br />
Mallarmé que vous amiez... Vous vous rappelez, c’est la poésie qui<br />
commence par: Le vierge [...]”.<br />
Nella medesima lettera <strong>Proust</strong> elogia fa l’elogio di una frase di<br />
Agostinelli (“une phrase était ravissante (crépusculaire etc)”.<br />
Diventerà quella di Albertine: “je n’oublierai pas cette promenade<br />
deux fois crépusculaire (puisque la nuit venait et que nous nous<br />
allions nous quitter)” (AS, 468).<br />
Nel Notice a Un amour de Swann, ed. Tadiè, vol. I, p. 1184:<br />
“L’originalité d’‘Un amour de Swann’ n’est pas dans les personnages<br />
qu’il réunit, ni même peut-être dans la peinture d’une passion<br />
destructrice, de cette angoisse que rien ne peut apaisr, et qu’a<br />
connue l’enfant de Combray puisq’à la mère correspond la<br />
courtisane, ma dans l’histoire d’une vocation”.<br />
Interessante: la cortigiana corrisponde alla madre...<br />
L’autore del Notice coglie qualcosa di essenziale...
130<br />
In psicologia, figuriamoci in psicoanalisi!, si tende a considerare<br />
le vicissitudini amorose dipendenti dall’imago materna. Non si<br />
colgono le implicazioni della retrodatazione dell’Edipo fatta da<br />
Melania Klein etc... Retrocedendo si incrocia il desiderio di procreare;<br />
si incrocia la propria nascita... Conclusione: si scopre che non esiste<br />
un punto di partenza e un punto di arrivo; siamo in presenza di una<br />
“serie”.<br />
Di essa parla Deleuze: “Ne concluderemo che forse l’immagine<br />
della madre non è il tema più profondo, né la ragione della serie<br />
amorosa: è ben vero che i nostri amori ripetono i sentimenti verso la<br />
madre, ma questi già ripetono altri amori che non abbiamo vissuto<br />
noi stessi. La madre appare piuttosto come la transizione da<br />
un’esperienza a n’altra, la maniera in cui comincia l’esperienza<br />
nostra, ma già si riallaccia ad altre esperienze, che furono fatte da<br />
altri. Al limite, l’esperienza amorosa è quella dell’intera comunità<br />
attraversata dalla corrente di un’eredità trascendente”. 157<br />
Se accettiamo l’idea della “serie”, non viene prima la madre. Né<br />
la cortigiana. La madre è sempre “anche” una cortigiana, la<br />
cortigiana è sempre “anche” una madre...<br />
Nella parte che fin qui abbiamo trascurato del “drame du<br />
coucher” – quella del ricorso alla scrittura (di una lettera) per ottenere<br />
la presenza (“réelle”) della madre, abbiamo visto che <strong>Proust</strong> parla di<br />
“specializzazione”: Swann, se avesse letto la lettera, se ne sarebbe<br />
beffato! “Invece, come ho appreso in seguito, un’angoscia simile fu<br />
per lunghi anni il tormento della sua vita, e nessuno, forse, avrebbe<br />
potuto capirmi meglio di lui; a lui, quell’angoscia che si prova<br />
sentendo l’essere al quale si vuol bene in un luogo di piacere (dans<br />
un lieu de plaisir) dove noi non siamo, dove non possiamo<br />
raggiungerlo, è l’amore che l’ha fatta conoscere, l’amore cui è in<br />
qualche modo predestinata, da cui sarà accaparrata, specializzata<br />
(spécialisée) [...]”.<br />
Che vuol dire? Proprio quel che vuol dire la “serie” deleuziana.<br />
Di volta in volta l’amore si manifesta come amore della madre, della<br />
cortigiana, della sorella, della moglie etc... 158<br />
157 <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> e i segni, op. cit., pp. 69-70.<br />
158 Non pensa ad una “serie” <strong>Proust</strong> quando descrive così la risatina di Charlus?<br />
“Una risatina che gli veniva probabilmente da qualche nonna bavarese o lorenese<br />
che anche lei lo ereditava a sua volta, identico, da un’antenata, in modo che<br />
suonava così, immutato, da parecchi secoli in certe vecchie e piccole corti<br />
d’Europa, e si gustava la sua qualità preziosa come quella di certi strumenti antichi<br />
divenuti rarissimi” (SG ____; 179 [Tadié, 332-333]__________). Vedi L’œuvre<br />
cathédrale, op. cit., p. 421.
131<br />
Pietro Citati, ne La colomba pugnalata. <strong>Proust</strong> e la<br />
Recherche, 159 parla di “complesso edipico” (101), di “Edipo<br />
veggente” (173-174), “tremendo peccato edipico” (262, 267, 266), di<br />
“passine edipica” (348), di “assoluta e quasi mostruosa identità<br />
edipica” (145) con la madre, di “assoluta identità incestuosa” (264)<br />
con la stessa... 160<br />
Citati ricorda l’incipit duna lettera di <strong>Proust</strong> ad Antoine Binesco<br />
a cui è recentemente morta la madre: “[...] ho visto la tua grafia<br />
stravolta, quasi irriconoscibile, con i caratteri rimpiccioliti e contratti,<br />
come occhi diventati piccoli a forza di piangere, è stato per me un<br />
altro colpo [...]”. I caratteri di Bibesco richiamano alla memoria di<br />
<strong>Proust</strong> uno degli episodi “archetipici” (Citati) della sua vita, la<br />
telefonata da Fontainebleu: “Ma una volta la chiamai al telefono da<br />
Fontenebleau, e tutt’a un tratto dalla cornetta mi giunse la sua povera<br />
voce rotta, torturata, incrinata, mutata per sempre da quella che<br />
conoscevo. Ed è accogliendo quei sanguinanti brandelli ch’ebbi per<br />
la prima volta l’atroce percezione di ciò che era spezzato in lei<br />
<strong>Su</strong>ccede lo stesso con la tua lettera, nella quale si avverte l’infinita<br />
fatica di scrivere [...]” (LG, 486; CORR, III, 182). Citati commenta:<br />
“L’identità giunse ancora più in profondo. Violando qualsiasi tabù,<br />
l’amico diventò la madre di <strong>Proust</strong>” (119).<br />
È evidente che siamo in presenza di una concezione non<br />
“seriale” – come quella deleuziana – ma consequenziale. Deleuze,<br />
infatti, se avesse incrociato l’incipit della lettera a Bibesco avrebbe<br />
“completato”. Citati infierisce: “Nel Pronao viene ripetuta due volte la<br />
scena del Peccato Originale, raccontata nel terzo capitolo della<br />
Genesi, e che qui appare in luoghi e forme diverse. La prima scema<br />
è l’episodio del bacio materno, rifiutato e poi concesso, che<br />
costituisce una specie di ‘evento primordiale’: esso vive da sempre e<br />
per sempre nella memoria e nell’immaginazione di <strong>Proust</strong>, che lo<br />
antepone agli eventi di Combray, perché non ha bisogno di nessuna<br />
madeleine e tazza di tè per rievocarla” (263).<br />
Noi abbiamo cercato di leggere questa scena come una “serie<br />
di scene”...<br />
159 Mondadori, Milano, 1995.<br />
160 A proposito della conclusione del “drame du coucher”: “Risalita nella stanza del<br />
figlio, ma madre gli legge François le Champi di George Sand: lo legge con tutta ‘la<br />
tenerezza naturale, l’ampia dolcezzza’ che le frasi reclamano; omette le scene<br />
d’amore, così che il figlio non capisce che il libro parla di lui. Se <strong>Marcel</strong> non<br />
comprende, noi comprendiamo benissimo: in François le Champi il figlio (sia pure<br />
d’elezione) ama la madre, vuole sposare e sposerà la madre: lo stesso desiderio<br />
colpa il cuore di <strong>Marcel</strong> e di <strong>Proust</strong>” (p. 263).
132<br />
Citati richiama l’ultima edizione del “drame”: “Ascolta il passo<br />
dei suoi genitori, che accompagnano Swann alla porta, e il suono<br />
della campanella, ‘quel tintinnio rimbalzante, ferruginoso,<br />
inesauribile, stridulo e fresco’: lo sente, lo sente ancora, senza che<br />
essi sia cambiato in nulla, senza che dopo tanti anni abbia mai<br />
cessato di echeggiare dentro di lui. Così un’altra volta la Recherche<br />
torna al principio, rievoca la scena archetipica, formando la<br />
perfezione di un cerchio. Tutto ritorna – ma nulla è stato espiato”<br />
(382-283).<br />
Ripeto, noi abbiamo cercato di trovare la differenza.<br />
Strano!, lo stesso Citati, precisando il metodo di scrittura di<br />
<strong>Proust</strong>, sembra aver colto il metodo della “seriazione”: “Durante<br />
l’elaborazione, <strong>Proust</strong> si mosse contemporaneamente verso tre<br />
direzioni. Da un lato, frantumò le grandi scene in scene minori: liberò<br />
ogni motivo dalla scoria che l’affliggeva; spesso frantumò in piccoli<br />
motivi. Poi, nelle stesse pagine o in pagine vicine, intrecciò ogni<br />
motivo con motivi d’intonazione diversa, ottenendo effetti di<br />
contrasto, di dissonanza o di parallelismo. Infine trasformò una parte<br />
dei motivi in Leitmotiv” (390).<br />
Jean-Yves Tadié, nella sua monumentale biografia (<strong>Proust</strong>,<br />
Gallimard, 1996), a proposito di Auteuil, parla di una “plaquee<br />
indicant ‘l’eauferrugineuse’” e suggerisce che “ce mo rare et<br />
sonore”abbia colpito <strong>Marcel</strong> bambino e sia stato trasferito alla<br />
“sonnette” di Combray. E pensa che la presenza del “ferrugineux” sia<br />
a nel “drame du coucher” che nella “matinée”, “ouvrant et fermant<br />
l’œuvre et lui donnant une cohésion structurelle supplémentaire, un<br />
nuoveau mouvement circulaire, infini comme la source” (21). 161<br />
161 “[...] chissà cosa avrebbe dato per poter avere uno di quei bicchieri che suo<br />
padre usava tutti i giorni e nascondeva in una piccola cavità della roccia<br />
sovrastante la fontana, per esser certo che nessun altro se ne servisse. E uno dei<br />
sogni di Jean era quello di ritrovare a Auteuil la villa di Montmorency dove talvolta<br />
andava a bere un bicchier d’acqua ferruginosa (d’eau ferrugineuse)” (JS, 868;<br />
740). Per quel che può valere un repertorio dei suoni del Jean Santeuil<br />
eventualmente legati al “drame du coucher”: “facendo suonare sul loro passaggio<br />
la campanella (la clochette) della porta” (JS, 284; 114); “poi si sentiva il tintinnio<br />
agro della campanella (le petit son aigre de la sonnette)” (JS, 342; 175); “[...] il<br />
sole, come mosso simultaneamente dallo scampanio (par le sonneur) [...]. pareva,<br />
come uno scampanio (les battements des cloches) [...] come un ultimo colpo<br />
(comme un dernier coup de sonne) , quando si crede ormai ristabilito per sempre il<br />
silenzio, rintocca ancora” (347-348; 181-182); “tintinnare del campanello (tintement<br />
de la sonnette)” (353; 187); “al nitido tintinnio delle campane della chiesa (net<br />
tintement des cloches)” (JS, 515; 360); “si udirono i rintocchi della pendola (on<br />
entendit une sonnerie)” (JS, 569; 418); “Jean [...] tirò un piccolo campanello (une<br />
petite sonnette) che come quelli di campagna continuò a lungo le agre gocce del
133<br />
8) Tornando alla prima edizione: vocazione/ispirazione/<br />
scrittura/œuvre<br />
Ma qui vogliamo cogliere un’altra sollecitazione che ci viene dal<br />
Notice di cui sopra. L’autore del Notice probabilmente non ci ha<br />
neppure pensato; ma leggendolo per la prima ho capito che la<br />
scrittura di quella lettera è la prima e drammatica esperienza che il<br />
Narratore fa della scrittura (scioccamente, quindi, si sostiene che il<br />
Narratore solo obliquamente fa riferimento alla propria vocazione<br />
letteraria... Essa è centrale, come strumento che fallisce e che riesce<br />
nel bel mezzo del “drame”.<br />
Riprendiamo il “drame”.<br />
L’abbiamo visto: il Narratore se n’è andato “senza viatico” in<br />
camera sua: “Ma prima di seppellirmi” (SW, 28 sgg; 35 sgg.).<br />
È una questione di vita o di morte!<br />
Il narratore ha un “moto di rivolta” e vuole “tentare un<br />
espediente (une ruse) da condannato”: “Scrissi a mia madre (j’écrit à<br />
ma mère) [...]”...<br />
Ricordate? J’écrirai... J’écrirai...<br />
La prima scrittura avviene è quella di un fanciullo in cerca di un<br />
“viatico”...<br />
Il Narratore scrive alla madre “supplicandola per una cosa<br />
grave (une chose grave) che non potevo dirle per lettera (que je ne<br />
pouvais lui dire dans une lettre)”.<br />
La cosa grave è l’inseppellimento... La scrittura della lettera<br />
sembra no strumento per sopravvivere... Ma è fin dall’inizio definito<br />
inefficace. Con la scrittura della lettera il Narratore non può dire<br />
questa cosa “grave”...<br />
Che fa il Narratore? Scritta la lettera, “non esita[i] a mentirle” (a<br />
Françoise): “dicendole che non ero assolutamente io a voler scrivere<br />
(ce n’était pas du tout moi qui avais voulu écrire) alla mamma ma era<br />
stata lei che, lasciandomi, mi aveva raccomandato di non<br />
dimenticare di farle avere una risposta a proposito di qualcosa che<br />
m’aveva pregato di cercarle; e si sarebbe certo moto arrabbiata se<br />
non le fosse stato consegnato il biglietto in questione (ce mot)”...<br />
Quindi, l’autore della lettera (lo scrittore) mente sostenendo che<br />
non ha deciso lui di scrivere...<br />
suo chiaro tintinnio (à égreber les gouttes aigres d’un son clair)” (JS, 780; 646); “e<br />
aver suonato una piccola campanella che tintinna a lungo (une petite sonnette qui<br />
tint longtemps)” (JS, 891; 765).
134<br />
Si chiamerà poi ispirazione?<br />
Françoise non gli crede. Ma porta il “mot”... E torna: “il<br />
maggiordomo non poteva consegnare la lettera (remettre la lettre) in<br />
quel momento davanti a tutti, ma che quando avessero portato i<br />
rince-bouches avrebbe trovato il mondo di farla arrivare alla<br />
mamma”.<br />
Che succede?<br />
“<strong>Su</strong>bito la mia ansia cadde (aussitôt mon anxieté tomba)”.<br />
La speranza che il testo sarà letto toglie immediatamente<br />
l’ansia; la fa cadere... “adesso non era più fino a domani (jousq’à<br />
demain), come un attimo prima, che avevo lasciato mia madre,<br />
giacché il mio biglietto (mon petit mot), non potendo irritarla (e a<br />
maggior ragione in quanto quel maneggio rischiava di rendermi<br />
ridicolo agli occhi di Swann), mi avrebbe fatto entrare estasiato e<br />
invisibile nella sia stanza, le avrebbe parlato di me all’orecchio; e<br />
quella sala da pranzo proibita, ostile, ancora un istante prima, lo<br />
stesso gelato – la ‘granita’ –, gli stessi rince-bouches mi sembravano<br />
racchiudere voluttà malefiche e mortalmente malinconiche perché la<br />
mamma le assaporava lontano da me, mi si apriva simile a un frutto<br />
che, divenuto dolce, fa scoppiare il suo involucro, sul punto di<br />
sprizzare, di proiettare fino al mio cuore inebriato l’attenzione della<br />
mamma nel momento in cui avrebbe letto le mie parole (tandis<br />
qu’elle lirait mes lignes). Adesso non ero più separato da lei: le<br />
barriere erano cadute, un filo delizioso ci univa (un fil délicieux nous<br />
réunissait). E non era tutto: la mamma, certo, sarebbe venuta!”<br />
La lettera ristabilisce la “présence réelle”... Addirittura ne<br />
annuncia una più completa...<br />
Quel che è successo al Narratore enfant è successo a Swann<br />
adulto: “[...] un’angoscia simile fu per lunghi anni il tormento della sua<br />
vita, e nessuno, forse, avrebbe potuto capirmi meglio di lui; a lui,<br />
quell’angoscia che si prova sentendo l’essere al quale si vuol bene in<br />
un luogo di piacere (dans un lieu de plaisir) dove noi non siamo, dove<br />
non possiamo raggiungerlo, è l’amore che l’ha fatta conoscere,<br />
l’amore cui è in qualche modo predestinata, da cui sarà accaparrata,<br />
specializzata (spécialisée) [...]”.<br />
Proseguiamo il brano: “ma quando, come nel mio caso, essa<br />
[angoscia] è entrata dentro di noi prima ancora che quello [l’amore]<br />
abbia fatto la sua apparizione nella nostra vita, allora, aspettandolo,<br />
fluttua libera e vaga, priva di destinazione precisa )elle flotte en<br />
l’attendant, vague et libre, sans affectation déterminée), al servizio<br />
un giorno di un sentimento, l’indomani di un altro, ora della tenerezza<br />
filiale, ora dell’amicizia di un compagno. E la gioia della quel io feci il
135<br />
primo apprendistato quando Françoise tornò a dirmi che la mia<br />
lettera (ma lettre) sarebbe stata consegnata. Swann l’aveva<br />
conosciuta bene anche lui, quella gioia ingannevole [...]”.<br />
Meglio di così non potrebbe essere illustrata la “serie”.<br />
La gioia è, però, ingannevole...<br />
“Mia madre non venne [...]”!<br />
“[...] mi fede dire da Françoise quelle parole: ‘Non c’è risposta’”!<br />
Il filo si è spezzato<br />
Il Narratore sente accrescersi la sua agitazione... Teme che non<br />
riuscirà ad addormentarsi... Ma...<br />
“All’improvviso la mia ansia cadde (tout à coup mon anxiété<br />
tomba”...<br />
Di nuovo...<br />
“[...] una felicità (félicité) m’invase come quando un farmaco<br />
potente comincia ad agire e ci toglie il dolore: avevo preso la<br />
risoluzione di non cercare più di riaddormentarmi senza aver visto la<br />
mamma, di baciarla a qualsiasi costo [...]. La calma che risultava<br />
dalla fine delle mie angosce mi metteva in uno straordinario stato di<br />
allegrezza (dans une allégresse extraordinaire) non meno di quanto<br />
avviene per l’attesa, la sete e la paura del pericolo. Aprii la finestra<br />
sena rumore e mi sedetti in fondo al letto; non facevo quasi nessun<br />
movimento perché da giù non mi sentissero”.<br />
La felicità, l’allegrezza... come sappiamo sono gli indicatori<br />
dell’azione della memoria involontaria... Potremmo dire: i primordi<br />
dell’œuvre! Della scrittura riuscita.<br />
Il Narratore ha deciso di andare oltre il potere di una lettera, di<br />
uno scritto... Aspetterà la madre; l’abbraccerà “ad ogni costo”.<br />
Sappiamo il resto.<br />
“La mamma passò quella notte nella mia camera [...]”.<br />
Come dire, la scrittura ha collaborato...<br />
Interessante: che fa la mamma? Gli legge George Sand... Tutta<br />
la notte.<br />
Mi sembra straordinario.<br />
Ho prelevato dal testo i brani che servivano alla mia<br />
dimostrazione. Bisogna però ricordare che essi vivono dentro un<br />
testo molto più ampio; il cui respiro non è quello della nostra<br />
dimostrazione (o tentativo di dimostrazione)...<br />
Come dire: nelle lettere di cui sopra <strong>Proust</strong> dice la sua<br />
sofferenza (che, l’abbiamo ormai chiaro, è identica a quella vissuta<br />
nel “drame du coucher”; tutti i drammi sono egualmente<br />
“drammatici”...)... E di volta in volta conclude: Scriverò! Dipingerò!<br />
Annuncia qualcosa che non sta facendo nelle lettere.
136<br />
Ecco: la differenza tra quelle lettere inviate ai suoi destinatari e<br />
quelle lettere inserite nell’œuvre è la differenza che passa tra la vita<br />
e l’arte (o tra la vita di un aspirante artista e quella di un artista)... 162<br />
9) Le vocabulaire de <strong>Proust</strong><br />
Molto interessante relativamente ad un approccio non<br />
contenutistico al testo, Le Vocabulaire de <strong>Proust</strong> di Étienne<br />
Brunet. 163 Ce ne dà un’idea Jean Milly nel suo L’étude distributionelle<br />
des phrases dans la Recherche. 164<br />
Milly, in Combray I, individua le seguenti percentuali di frasi B<br />
(brevi = 34 %) M (medie = 41 %) e L (lunghe = 25 %). Chiama<br />
“extension” ognuno di queste percentuali. Individua in “Combray I” tre<br />
episodi successivi: “réveils”, “soirée à Combray” e “la madeleine”.<br />
<strong>Su</strong>ddivide gli episodi in frammenti soprattutto sulla base delle<br />
modificazioni nell’estensione:<br />
B M L<br />
fragm. 1 la résurrection du passé. Extensions 33 24 43<br />
fragm. 2 la madeleine; recherche – 66 34 0<br />
fragm. 3<br />
anxieuse du souvenir.<br />
la madeleine; réminiscence de<br />
Combray,<br />
– 2 29 69<br />
Questo quadro dice molte cose anche solo intuitivamente.<br />
Milly osserva, sempre in “Comnbray I”, un fenomeno<br />
interessante; quello dell’alternanza regolare dei frammenti successivi<br />
tra un profilo alto, cioè più ricco di frasi lunghe e medie rispetto alla<br />
media dell’insieme, e un profilo basso, più ricco di frasi brevi:<br />
profil<br />
Impression de réveil bas<br />
Évocations tournoyantes haut<br />
162 Jean-Yves Tadié, nella sua biografia di <strong>Proust</strong>, fa una coppia della lettura da<br />
parte della madre del Narratore di François le Champi e la traduzione dalparte<br />
della madre di <strong>Proust</strong> di Ruskin... (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Gallimard, Paris, 1996, p. 346).<br />
163 Slatkine-Champion, Genève-Paris, 1983, voll. 3. Fa coppia con questo enorme<br />
lavoro quello di Luc Fraisse, L’œuvre cathédrale. <strong>Proust</strong> et l’architecture médiévale<br />
(José Corti, Parigi, 1990). L’autore definisce il suo lavoro anche Dictionnaire<br />
raisonné de l’architecture médiévale chez <strong>Proust</strong> (ibidem, pp. 154, 424, 483).<br />
164 In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 14, Études proustienne VI, Gallimard, Paris, 1987, pp.<br />
31-49.
137<br />
La lanterne magique bas<br />
Promenades de ma grande mère haut<br />
Désir du baiser et arrivée de Swann haut<br />
La père de Swann bas<br />
Portrait de Swann haut<br />
Double vie de Swann bas<br />
Privation du baiser au lit haut<br />
Conversation avec Swann bas<br />
Anticipation du baiser et envoi au lit haut<br />
Alternance d’angoisse et d’apaisement haut<br />
Conversations après le départ de Swann bas<br />
Scène dans l’escalier avec mes parents bas<br />
Réflections sur leur compréhension haut<br />
Lecture de François le Champi moyen<br />
La résurrection du passé haut<br />
La madeleine: recherche anxieuse bas<br />
La madeleine: réminiscence de Combray haut<br />
e dà molte spiegazioni. Alcune delle quali:<br />
– c’è un grande ritmo alternativo che fa succedere i passaggi<br />
amplificatori e i passaggi a frasi più brevi, “presque avec une<br />
régularité de respiration”;<br />
– il testo di “Combray I”, racchiude molte allusioni al teatro:<br />
l’arrivo teatrale di Swann, lo squillo del “coucher”, il teatro del<br />
“déshabillage”... questo suggerisce “de comparer cette<br />
alternance à celle des tirades et des dialogues, ou encore à<br />
celle, à l’opéra, des airs ou des morceaux d’ensemble et des<br />
récitatifs”;<br />
– certi “référents” d’ordine psicologico comportano degli<br />
“allungamenti, come la memoria, la tristezza, l’esaltazione,<br />
l’ironia del narratore, l’amore. Ugualmente, certi gesti ed<br />
atteggiamenti: il bacio materno, la lettura, il sonno, le<br />
passeggiate; certi luoghi: Combray, il giardino, la case, le<br />
camere;<br />
– i frammenti di conversazione sono a basso profilo; come il<br />
passaggio sulla lanterna magica, importante per il seguito del<br />
romanzo e a tendenza estetica nettamente marcata: il profilo<br />
basso è dovuto alla sua colorazione psicologica “dysphorique”;<br />
– mentre i diversi frammenti che annunciano il bacio della sera<br />
sono, a causa della loro carica affettiva, di profilo alto: il fatto è<br />
che non sono più portatori di speranza, come i precedenti, e vi<br />
regna una intensa drammatizzazione; il discorso che rende<br />
quest’ultima è frammentato;
138<br />
– lo stesso dicasi, nell’episodio della madeleine, per la ricerca<br />
ansiosa del ricordo (per opposizione al frammento seguente in<br />
cui l’apparizione di Combray nel ricorso di manifesta<br />
euforicamente in un blocco di frasi lunghe raggruppate in modo<br />
compatto). La drammatizzazione intensa è un fattore di<br />
abbreviamento.
139<br />
Cap. 7<br />
LA VITA VERA UN’OPERA D’ARTE // L’OPERA D’ARTE UNA<br />
VITA VERA 165<br />
1) Sorella morte; non distrugge, cura<br />
Soffermiamoci su quel che è accaduto tra la prima e l’ultima<br />
edizione dell’angoscia relativa al bacio...<br />
L’abbiamo già detto, la matinée è una grande rappresentazione<br />
della morte: “[...] – il Tempo che di solito non è visibile, e per<br />
diventarlo cerca dei corpi e, ovunque li trovi, se ne impadronisce per<br />
proiettare su di essi la sua lanterna magica” (TR, 612). “Ed io che fin<br />
dall’infanzia ero vissuto alla giornata, ma con un’impressione<br />
definitiva di me stesso e degli altri, mi accorsi allora per la prima<br />
volta, dalle metamorfosi verificatesi in tutte quelle persone, del tempo<br />
che era passato per loro, il che mi sconvolse con la rivelazione che<br />
165 “[...] la Recherche [...] non è, rigorosamente parlando un’opera di fiction, bensì<br />
un’autobiografia creativa. <strong>Proust</strong> era convinto, e non a torto, che la sua vita avesse<br />
la forma e il significato di una grande opera d’arte [...]” (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, George<br />
Painter, 1959, tr. it. Feltrinelli, Milano, 1980, p. 15). Provate a leggere Painter e poi<br />
Anne Henry (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. Théorie pour une estétique, Klincksieck, Parigi, 1981).<br />
Io l’ho letta dopo aver riletto Painter. Henry cerca di dimostrare nella filosofia la<br />
nascita del romanzo; esso nasce come dimostrazione. Come dire, il bal des têtes è<br />
solo un mezzo per approfondire la conversation avec Maman... Il lavoro è<br />
interessantissimo anche perché rintraccia fonti allora non ancora individuate.<br />
Penso che abbia ragione Tadié quando obietta: “in nessun caso un saggio<br />
filosofico o una sintesi ideologica può dar luogo a un romanzo; al contrario, il loro<br />
effetto sarebbe piuttosto di bloccarlo” (<strong>Proust</strong>, op. cit., p. 214). Scherzosamente<br />
verrebbe da ipotizzare che Anne Henry abbia preso alla lettera Grasset che,<br />
rintracciato in Svizzera nel 1914, scrive a René Blum che non ha a portata di<br />
mano il “trattato”! (Pierre-Quint, <strong>Proust</strong> et la stratégie litteraire, Corréa, Paris, 1954,<br />
pp. 127-133). Benjamin mi sembra categorico: “La biografia di quest’uomo è tanto<br />
importante perché essa mostra come qui, con una stravaganza e una<br />
determinazione rare, una vita abbia tratto in tutto e per tutto le sue leggi dalle<br />
necessità della sua opera. E la grottesca avversione di cui la sua opera è rimasta<br />
vittima in Germania [...] deriva in parte dal fatto che non si è voluto percorrere la<br />
strada più ovvia: rappresentare la vita di uno dei nostri contemporanei più singolari”<br />
(Carte su <strong>Proust</strong>, 1929, in Ombre corte. Scritti 1928-1929, Einaudi, Torino, 1993, p.<br />
382). Molto interessanti le pagine che Genette (Palimpsestes. La littérature au<br />
second degré, Éd. du Soleil, Paris, 1982, pp. 355-358) dedica alla lettera a<br />
Madame Scheikevitsch (3 novembre 1915, CORR, XIV, 280-285) in cui <strong>Proust</strong>,<br />
anticipando il seguito del suo romanzo, intreccia il “je” dell’autore della lettera a<br />
quello del Narratore.
140<br />
esso era passato anche per me (aussi pour moi). Di per sé<br />
indifferente (indifférente en elle-même), la loro vecchiaia mi<br />
rattristava avvertendomi dell’approssimarsi della mia” (TR, 927; 615).<br />
Tutti sono destinati a morire.<br />
Il Narratore incluso.<br />
Il Narratore incontra una quantità di cadaveri ambulanti. 166 Vedi<br />
la descrizione atrocemente ironica della nipote di madame Saint-<br />
Euverte come cullata dentro una bara. 167 Vedi la straordinaria<br />
descrizione dell’attuale duca di Guermantes. 168<br />
166 Cadaveri ambulanti = “tours mouvantes” (C 51, C 51, ES XLI, TR, 877); “tours<br />
ambulantes” (C 11, ES XLII, TR, 901). “Poiché noi tutti, viventi, non siamo che<br />
morti non ancora entrati in funzione [...] (comme nous ne sommes tous, nous les<br />
vivants, que des morts qui ne son pas encore entrés en fonctions)” (PM,186; 241).<br />
167 “La nipote [di madame de Saint-Euverte], ignoro se fosse a causa d’una<br />
malattia di stomaco o di nervi, d’una flebite, d’un parto imminente o recente o d’un<br />
aborto, che ascoltava la musica distesa e senza alzarsi per nessuno. La cosa più<br />
probabile è che, fiera delle sue belle sete rosse, pensasse di fare su quella chaise<br />
longue un effetto della Récamier? Non si rendeva conto di determinare per me una<br />
nuova fioritura del nome Saint-Euverte, che a così lungo intervallo segnava la<br />
distanza e la continuità del Tempo. Ciò che stava cullando, in quella navicella dove<br />
il nome Saint-Euverte e lo stile Impero fiorivano in fucsie di seta rossa, era il<br />
Tempo” (TR, pp. 732-733)<br />
168 “Non era più che un rudere, ma superbo, anzi meno ancora che un rudere:<br />
quella bella cosa romantica che può essere una roccia nella tempesta. Sferzato da<br />
ogni parte dalle ondate di sofferenza, di collera del soffrire, di inarrestabile marea<br />
della morte che lo circondavano, il suo volto, sgretolato come un masso, serbava lo<br />
stile, la linea che avevo ammirati; era corroso come una di quelle belle teste<br />
antiche in estrema rovina, ma di cui siamo estremamente felici di poter ornare il<br />
nostro studio. Sembrava semplicemente appartenere, rispetto a una volta, a<br />
un’epoca più antica, non solo a causa di ciò che aveva preso di ruvido e di rotto<br />
nella sua materia un tempo così brillante, ma perché all’espressione penetrante e<br />
vivace era succeduta, plasmata dalla malattia, un’involontaria, inconsapevole (une<br />
involontaire, une inconsciente) espressione di lotta contro la morte, resistenza,<br />
difficoltà di vivere. Le arterie, perduta ogni elasticità, avevano dato al viso, un<br />
tempo disteso, una durezza scultorea. E, senza che il duca se ne rendesse conto<br />
(sans que le duc s’en doutât). Svelava nella nuca, nella guancia, nella fronte<br />
aspetti in cui l’essere, come costretto ad aggrapparsi accanitamente a ciascun<br />
minuto, sembrava travolto da una tragica raffica, mentre le ciocche bianche della<br />
sta stupenda capigliatura, fattasi meno folta, schiaffeggiavano con la loro schiuma<br />
l’invaso promontorio del volto. E come riflessi strani, unici, che solo l’approssimarsi<br />
della tempesta in cui tutto verrà sommerso dà alle rocce rimaste sino a quel<br />
momento d’un altro colore, capii (je compris) che il grigio plumbeo delle guance<br />
logore e irrigidite, il grigio quasi bianco e increspato delle ciocche sollevate, la<br />
fievole luce ancora concessa agli occhi che vedevano appena, erano colori non già<br />
irreali, semmai, al contrario, sin troppo reali, ma fantastici (non pas irréelles, trop<br />
réelles au contraire, mais fantastiques), e attinti alla tavolozza, inimitabile nelle sue<br />
nerezze spaventose e profetiche, della vecchiaia, della vicinanza della morte”<br />
(TR,1017; 123-124)
141<br />
Qui si aggiunge una complicazione: “Ma a spiegare la mia<br />
angoscia era una ragione più grave: scoprivo l’azione distruttrice del<br />
Tempo proprio nel momento in cui volevo accingermi a rendere<br />
chiare, a intellettualizzare in un’opera d’arte, delle realtà extratemporali”<br />
(TR, 619). 169<br />
Il tutto si gioca nella quadratura di questa contraddizione.<br />
Consideriamo alcuni punti. La morte, prima di arrivare, matura<br />
producendo la decrepitezza dei cadaveri ambulanti della matinée.<br />
Ma, prima ancora, sopraggiunge ogni volta che nella nostra vita un<br />
“io” si sostituisce agli altri “io” determinandone, per l’appunto, la<br />
scomparsa; 170 il Narratore può affermare: “Capivo infatti che morire<br />
non era qualcosa di nuovo, che dall’infanzia in poi ero morto tante<br />
volte” (TR, 748).<br />
Ma c’è qualcosa per la quale si può arrischiare la vita: “Quante<br />
volte [...] ero stato incapace d’accordare la mia attenzione a cose o<br />
persone che poi, quando la loro immagine mi fosse stata presentata<br />
da un artista mentre ero solo, avrei fatto chilometri, avrei rischiato la<br />
vita per ritrovare” (TR, 364). Sappiamo che la memoria involontaria<br />
produce un essere incurante della morte: “Ma perché le immagini di<br />
Combray e di Venezia mi avevano dato, in quel momento e in<br />
questo, una gioia simile a una certezza, e capace senza bisogno<br />
d’altre prove di rendermi indifferente la morte?” (TR, 544) (Abbiamo<br />
già citato l’incuranza rispetto alle “vicissitudini del futuro” (TR, 548)...<br />
“Ma se anche quelli [rapporti] con il mio corpo, con me stesso, si<br />
fossero interrotti...? Sicuramente sarebbe accaduta la stessa cosa. Il<br />
nostro amore della vita non è che una vecchia relazione di cui non<br />
sappiamo liberarci. La sua forza sta nella sua permanenza. Ma la<br />
morte, interrompendola, ci guarirà del desiderio dell’immortalità” (TR,<br />
275).<br />
Se Swann vivrà, e vivrà dopo essere morto, al di là della sua<br />
vita e della sua morte, egli vivrà nell’opera: “La morte di Swann!<br />
Swann non svolge, in questa frase, il ruolo d’un semplice genitivo.<br />
Ciò che intendo è la morte particolare, la morte messa dal destino al<br />
servizio di Swann. Infatti, per semplificare, diciamo la morte, ma ce<br />
169 “[...] puisque si, depuis une heure, je tenais à la vie, c’était à cause de l’œuvre<br />
que je venais de sentire tressaillir dans mon esprit et pour la mettre au jour” (C 11,<br />
ES XLII, TR, 901-902).<br />
170 <strong>Su</strong>lla molteplicità degli “io” etc. vedi Il tempo ritrovato (741, 749)... “Ebbene, la<br />
sostituzione così completa di questo io nuovo non è un cambiamento altrettanto<br />
profondo, una morte altrettanto totale dell’io che si era, quanto vedere un volto<br />
rugoso sormontato da una parrucca bianca rimpiazzare l’antico?” (AS, 271). Forse<br />
la pratica geniale di <strong>Proust</strong> nell’ambito del pastiche è tributaria alla molteplicità<br />
degli io (più che all’identificazione con gli altri io)
142<br />
ne sono tante, quasi, quante persone. [...]. Allora, pochi minuti prima<br />
dell’ultimo respiro, la morte, come una suora che, invece di<br />
distruggervi, vi avesse curati, viene ad assistere ai vostri ultimi<br />
istanti, a coronare di un’aureola suprema l’essere ormai gelido il cui<br />
cuore ha smesso di battere (alors, quelques minutes avant le dernier<br />
souffle, la mort, comme une religieuse qui vous aurait soigné au lieu<br />
de vous détruire, vient à assister à vos derniers instants, couronne<br />
d’une auréole suprême l’être à jamais glacé dont le cœur a cessé de<br />
battre). [...]. Swann era [...] una notevole personalità intellettuale e<br />
artistica; e sebbene non avesse ‘prodotto’ nulla, ebbe la ventura di<br />
durare un po’ più a lungo. Eppure, caro Charles Swann che ho<br />
conosciuto così poco, quando io ero ancora così giovane e voi<br />
sull’orla della tomba, se si ricomincia a parlare di voi, e forse vivrete<br />
(peut-être vous vivrez), è perché quello che, probabilmente,<br />
ritenevate un piccolo imbecille (un petit imbécile) ha fatto di voi l’eroe<br />
di un romanzo (P, 199-200; 600).<br />
Prima della conclusione scanzonata e solenne (peut-être vous<br />
vivrez grazie a un petit imbécile) una prefigurazione della morte<br />
stessa come madre-suora che dissipa l’angoscia della perdita (della<br />
fine); qui non c’è una madre che bacia e abbraccia per dare al<br />
proprio figlio il riposo del sonno; c’è una madre che, invece di<br />
distruggere, cura!<br />
2) In cima ai trampoli. In cima ai campanili.<br />
Comunque, si siamo avvicinati alla risposta: “Adesso non era<br />
più così: perché la felicità che provavo non veniva da una emozione<br />
puramente soggettiva dei nervi che ci isola dal passato ma, al<br />
contrario, da un allargamento della mente in cui si riformava, si<br />
attualizzava quel passato, dandomi – ma, ahimé, momentaneamente<br />
– un valore d’eternità (mais hélas! momentanément, une valeur<br />
d’éternité)” (TR, 1036; 746).<br />
L’eternità è momentanea!<br />
La sola opera possibile è il raggiungimento della verità, della<br />
vera vita, nel compimento dell’opera: “Forse, dicevo ad Albertine,<br />
proprio in questo, in questa qualità sconosciuta d’un mondo unico e<br />
che nessun musicista ci aveva mai fatto vedere, consisteva la prova<br />
più autentica del genio, assai più che nel contenuto dell’opera<br />
stessa. ‘Anche in letteratura?’ Mi chiedeva Albertine. – ‘Anche in<br />
letteratura’. E, ripensando alla monotonia delle opere di Vinteuil,<br />
spiegavo ad Albertine che i grandi scrittori non hanno mai fatto che
143<br />
una sola opera o, meglio, rifranto attraverso mezzi diversi una<br />
medesima bellezza ch’essi recano al mondo” (P, 795).<br />
L’opera: “Felice chi ha incontrato quella [la verità] prima di<br />
questa [la morte], chi ha sentito suonare (a sonné), per vicina che<br />
l’una debba essere all’altra, l’ora della verità prima dell’ora della<br />
morte” (TR, 910; 595). E qui ritorna il “suonare” dell’ora fatale.<br />
Funesta non è la morte ma la perdita della verità; della “vera vita”:<br />
“[...] la grandezza dell’arte vera (la grandeur de l’art véritable) [...] era<br />
[...] di farci conoscere quella realtà che rischieremmo di morire senza<br />
aver conosciuta e che, è, molto semplicemente, la nostra vita (notre<br />
vie). La vera vita (la vraie vie), la vita finalmente riscoperta e<br />
illuminata, la sola vita, dunque, pienamente vissuta, è la letteratura”<br />
(TR, 895; 577; Kafka).<br />
“Io dico che è legge crudele dell’arte che gli esseri muoiano e<br />
che noi stessi moriamo, dando fondo a tutte le sofferenze, perché<br />
spunti l’erba non dell’oblio (non de l’oubli) ma della vita eterna (mais<br />
de la vie éternelle), l’erba rigogliosa delle opere feconde, su cui le<br />
generazioni verranno a fare allegramente (gaîment), senza<br />
preoccuparsi di chi dorme sotto, il loro ‘déjeuner sur l’herbe’” (TR, p.<br />
1038; 749).<br />
La vera vita, l’opera, nata dall’oblio (del quale abbiamo tessuto<br />
le lodi nella prima parte), fa rigogliosa la vita eterna.<br />
Consideriamo questo passo: “E poiché, malgrado tutto, c’era<br />
ancora una certa somiglianza fra il potente principe d’ora e il ritratto<br />
serbato dal mio ricordo, ammiravo la forza di rinnovamento originale<br />
del Tempo che, pur rispettando l’unità dell’essere e le leggi della vita,<br />
sa cambiare così la scena, introducendo arditi contrasti in due aspetti<br />
successivi d’un medesimo personaggio (aspects successif d’un<br />
même personnage)” (TR, 935; 424).<br />
Gli aspetti successivi d’un medesimo personaggio<br />
corrispondono a due diversi personaggi... Abbiamo già parlato dei<br />
diversi “io”; il Narratore sa che è morto già diverse volte; la memoria<br />
involontaria gli ha dimostrato che il suo potere è di provocare delle<br />
“resurrezioni”...<br />
È necessario fare a questo punto quel che ha fatto il Narratore:<br />
fin dall’esperienza delle madeleines... dei tre alberi visti scendendo<br />
verso Hudimesnil... il Narratore ha capito l’essenziale del<br />
meccanismo della memoria involontaria: je fais le vide devant lui, je<br />
remets en face de lui la saveur ancore récente de cette première<br />
gorgée et je sens tressaillir en moi quelque chose qui se déplace<br />
(SW, 46)... mon esprit ayant trébuché entre quelque année lointaine<br />
et le moment présent.... (OF, 717).
144<br />
Ecco i termini: farsi prendere dallo spostamento del sapore<br />
recente verso chissà dove... verso un ulteriore... tentennare tra un<br />
anno lontano e un momento presente...<br />
L’esperienza della memoria involontaria è esperienza del<br />
vacillare.<br />
Del vacillare tra presente e passato?<br />
No! Questa è una delle vulgate più povere.<br />
Del vacillare tra la vita e la morte?<br />
No!<br />
Sì, del vacillare tra la vita non vera e quella vera: l’approdo a<br />
quest’ultima è l’œuvre.<br />
<strong>Su</strong>i trampolini del Tempo (non del presente né del passato) si<br />
dà un’esperienza mostruosa ma salutare (curativa); quella che<br />
sconfigge l’angoscia per la perdita (i baci della buonanotte); ma non<br />
ispirando una fede incrollabile in chissà che cosa (la vera fede); 171<br />
ma facendo perdere e insieme acquistare, acquistare e insieme<br />
perdere, passato e presente (nemmeno si parla del futuro).<br />
Perché il tentennare si radicalizza.<br />
Non è alla ricerca di chissà che cosa.<br />
È la scoperta dell’essenza dei trampoli.<br />
Dell’eterno.<br />
Il tempo ritrovato è quello che si esperimenta nel vacillare.<br />
Non correndo alla finestra (da Combray, a Balbec, a Parigi...); o<br />
su è giù per un corridoio (idem). Alla ricerca di un bacio, di un<br />
abbraccio...<br />
Perché la morte è diventata una sorella; che cura e che<br />
guarisce.<br />
Guarisce dalla paura che il tempo passi (e noi con lui).<br />
Dall’alto dei trampoli, è possibile in uno sguardo panoramico<br />
capace di cogliere il passare, l’essere presente, il protendersi verso il<br />
futuro; nella loro l’essenza...<br />
171 “È questa l’ultima analogia tra l’arte e la critica, forse la più importante: il loro<br />
comune potere di resistere al tempo e alla morte non – come la magia o la<br />
religione – con la certezza della vittoria, ma con quella fiducia trepida che si<br />
esprime nello sguardo delle cose destate per la prima volta alla vita dall’attenzione<br />
disinteressata, non violenta, tenera dell’uomo” (Mariolina Bongiovanni Berini,<br />
Introduzione a Scritti mondani e letterari, Einaudi, 1971, pp. XLIV-XLV). “A sinistra<br />
c’era un villaggio che si chiamava Champieu (Campus Pagani, secondo il curato).<br />
<strong>Su</strong>lla destra, al di là delle messi, si scorgevano i due campanili (deux clochers)<br />
rustici e cesellati (ciselés etrustiques) di Sant-André-des Champs, sfilacciati<br />
(effilés) essi stessi, scagliosi, embricati d’alveoli, bulinati, biondeggianti e grumosi<br />
(écailleux, imbriqués d’alvéoles, guillochés, jaunissants et grumeleux) come due<br />
spighe” (SW, 146 177-1789).
145<br />
Ma fuori dal sic transit gloria mundi. Al di fuori, cioè dalla<br />
prospettiva di un sxaton. Sembra che glorioso (meglio: curativo)<br />
sia non il mondo che passa, né quello che arriverà ed è atteso; ma<br />
quello breve e fragile in cima ai trampoli.<br />
In cima ai campanili.<br />
3) Di nuovo dismisura e misura<br />
Ripercorriamo questo cammino a partire da un passo già citato:<br />
“Ora, la ricreazione tramite la memoria di impressioni che sarebbe<br />
stato necessario approfondire, che poi bisognava chiarire,<br />
trasformare in equivalenti dell’intelligenza (or la recréation par la<br />
mémoire d’impressions qu’il fallait ensuite approfondir, éclairer,<br />
transformer en équivalents d’intelligence), non era forse una delle<br />
condizioni, quasi l’essenza stessa dell’opera d’arte quale l’avevo<br />
concepita poco fa nella biblioteca?” (TR, 1044; 755-755). 172<br />
Ma quel che nel corso della matinée il Narratore scopre, è la<br />
morte anche fisica degli eroi del suo romanzo e di se stesso.<br />
Tutta qua la differenza?<br />
E vi par poco?<br />
Una cosa è, infatti, per il Narratore, parlare di aprés-coup... 173<br />
che sono avvenuti nel corso della sua vita. Altra cosa è<br />
sperimentare, sulla scena della matinée in cui recitano solo dei<br />
cadaveri ambulanti, che agli “io” morti si accompagnano anche dei<br />
“corpi” morti; e, tra questi, il proprio.<br />
Si tratta come di una sanzione più definitiva.<br />
172 “Ciò che chiamiamo la realtà è un certo rapporto fra le sensazioni e i ricordi che<br />
ci circondano simultaneamente [...], unico rapporto che lo scrittore deve trovare per<br />
incatenare per sempre (à jamais) l’uno all’altro, nella sua frase, i due diversi<br />
termini. Si possono elencare di seguito quanto si vuole, in una descrizione, gli<br />
oggetti che figuravano nel luogo descritto: la verità comincerà solo nel momento in<br />
cui lo scrittore prenderà due oggetti diversi, ne porrà il rapporto, analogo a quello<br />
dell’arte e quello della scienza, e li fisserà con gli indispensabili anelli del bello stile.<br />
Anzi, quando, come la vita (ainsi que la vie), avvicinando una qualità comune alle<br />
due sensazioni, egli ricaverà la loro essenza comune, riunendole entrambe, per<br />
sottrarle alle contingenze del tempo, in una metafora” (TR, 889; 750).<br />
173 Considerando solo Il tempo ritrovato, le ricorrenze della formula après-coup si<br />
bilanciano con quelle rétrospettive o rétrospectivement: a posteriori = après-coup<br />
(pp. 487, 502, 1507; 85, 104, 510)... in un secondo momento = après-coup (p. 975;<br />
674); retrospettiva = rétrospective (p. 487; 86); retrospettivamente =<br />
rétrospectivement (p. 484, 511, 564, 642, 1007; 82, 115, 178, 273, 711); a priori =<br />
à priori (p. 556; 169). Una sola volta: “solo in un secondo tempo” = après-coup (p.<br />
975; 674).
146<br />
È la scoperta “crudele” della altrui morte e, soprattutto, della<br />
propria, che produce nel Narratore la “decisione”: “E adesso capivo<br />
(je comprenais) cosa fosse la vecchiaia [...]. La crudele scoperta che<br />
avevo appena fatto non avrebbe potuto non servirmi, certo, per<br />
quanto concerne la materia stessa del mio libro. Poiché avevo deciso<br />
(j’avais décidé) che essa non poteva essere costituita soltanto dalle<br />
impressioni veramente piene, quelle che situate al di fuori del tempo<br />
(en dehors du temps), fra le verità con le quali contavo di<br />
incastonarle, quelle che si riferiscono al tempo, al tempo in cui sono<br />
immersi e cambiano gli uomini, le società, le nazioni, avrebbero<br />
avuto un posto importante” (TR, p. 932; 621).<br />
Proprio così; non basta cogliere le impressioni véritablement<br />
pleines – tutte le esperienze di memoria involontaria che hanno<br />
preceduto la matinée hanno implicato solo una parte del processo<br />
creativo, del processo che porta alla “vera vita” –; bisogna collocarle<br />
nella prospettiva effimera del tempo (veramente effimero).<br />
Il Narratore è preso da stanchezza e sgomento: “sente”,<br />
capisce: “tutto quel tempo così lungo<br />
– non solo era stato senza una sola interruzione, vissuto,<br />
pensato, secreto da me, non solo era la mia vita, non solo era<br />
me stesso,<br />
– ma anche che dovevo tenerlo ogni minuto (toute minute)<br />
attaccato a me, che mi faceva da sostegno, a me che,<br />
appollaiato sulla sua sommità vertiginosa, non potevo<br />
muovermi senza spostarlo. 174<br />
– La data in cui sentivo il rumore della campanella del giardino<br />
(le bruit de la sonnette du jardin) di Combray, così lontana<br />
eppure interiore (si distant et pourtant intérieur), era un punto di<br />
riferimento (un point de repère) in quella dimensione enorme<br />
che non sapevo di possedere. Avevo le vertigini vedendo sotto<br />
di me, eppure in me, come se la mia altezza fosse di leghe, un<br />
tale numero di anni” (TR, 1047; 760).<br />
Per quanto tempo riuscirà il Narratore a rimanere attaccato a<br />
quella sommità? Fin quando saprà spingersi “l’immenso desiderio di<br />
conoscere la vita” provato un tempo sulle strade di Balbec” (AS,<br />
165).<br />
Nel frattempo, straordinario!, la notte “la più dolce e la più triste”<br />
della sua vita, 175 quella compendiata nel bruit de la sonnette du jardin<br />
di Combray, rimane “lontana” ma diventa “interiore”.<br />
174 Togliere: “come potevo invece fare con lui”.<br />
175 “Ma era piuttosto della storia della mia propria vita, ossia non da semplice<br />
curioso, che l’avrei trovata [la bellezza del libro]; e collegandola, più spesso che
147<br />
Il Narratore ha “incorporato (incorporée)” (TR,1056; 759) il<br />
tempo; ne ha, cioè, avuta una visione piena.<br />
E che cosa succede? Che il non misurabile diventa misurabile<br />
ma solo paradossalmente: il Narratore si spaventa di nuovo: del fatto<br />
che, come il duca di Guermantes che ha visto vacillante su gambe<br />
malferme, è appollaiato su “viventi trampoli, più alti di campanili”.<br />
Quanto sono alti i trampoli? Quanto è lungo il tempo passato e<br />
quanto quello che ancora deve e può passare?<br />
Il Narratore, per la prima volta riconosce la misurabilità del<br />
tempo; tra parentesi: “(Era per questo che il volto degli uomini d’una<br />
certa età era così impossibile confonderlo, anche per gli occhi dei più<br />
ignari, con quello d’un giovane, e non appariva che attraverso una<br />
sorta di nuvola di serietà?)”...<br />
Ma, essendo il tempo infinito l’unica misura è la “dismisura”: se<br />
al Narratore rimarrà il tempo di “compiere (accomplir)” la sua “opera<br />
(œuvre)”, quella di descrivere gli uomini, “a costo di farli sembrare<br />
mostruosi” come occupanti “un posto [...] prolungato a dismisura<br />
(une place [...] prolongée sans mesure)”.<br />
E il tempo è infinito non perché non finisce mai; ma perché, allo<br />
sguardo acuto del Narratore, appare, dans l’espace d’un matin, di un<br />
frammento della sua opera, “eterno”.<br />
“Eterno” è il tempo infinito quando sboccia “dentro” il<br />
Narratore...<br />
Ricordate l’incipit del lungo paragrafo: “Certo, ci sono molti<br />
errori dei nostri sensi [...]” (TR, 557). Seguono due pagine; tra l’altro:<br />
“E anche se non avessi avuto modo di preparare [...] le cento<br />
maschere che conviene applicare a uno stesso viso, a seconda<br />
almeno degli occhi che lo vedono e del senso in cui ne leggono i tratti<br />
e, per gli stessi occhi, a seconda della speranza o del timore o, al<br />
contrario, dell’amore e dell’abitudine che nascondono per trent’anni i<br />
cambiamenti dell’età, insomma, non mi fossi proposto [...] di<br />
rappresentare certe persone non al di fuori, ma al di dentro di noi<br />
(pas au dehors mais au dedans de nous), là dove un loro minimo<br />
gesto può provocare turbamenti mortali [...]” (TR, 1045-1046; 757-<br />
758).<br />
all’esemplare materiale, all’opera, come a quel François le Champi contemplato<br />
per la prima volta nella mia cameretta di Cambray, durante la notte più dolce e più<br />
triste, forse, della mia vita (pendant la nuit peut-être la plus douce et la plus triste<br />
de ma vie), quando avevo, ahimè! (in un periodo in cui i misteriosi Guermantes mi<br />
sembravano tanto inaccessibili), ottenuto dai miei genitori una prima abdicazione<br />
dalla quale potevo far datare il declino della mia salute e della mia volontà, la mia<br />
rinuncia ogni giorno più grave a un compito difficile – e ritrovavo oggi nella<br />
biblioteca dei Guermantes [...]” TR, 886-887; 567).
148<br />
Il difficile è misurare il tempo che passa, il suo passare, dentro<br />
di noi... Ma: “D’altronde, che noi occupiamo un posto in continua<br />
crescita nel Tempo, tutti lo sentono, e questa universalità non poteva<br />
non rallegrarmi poiché era la verità, la verità sospettata da ciascuno,<br />
che io dovevo sforzarmi di chiarire. Non solo tutti sentono che<br />
occupiamo un posto nel Tempo, ma questo posto anche i più<br />
semplici sono in grado di misurarlo approssimativamente (le plus<br />
simple la mesure approximativement) così come misurerebbero<br />
(comme il mesurerait) quello che occupiamo nello spazio, dal<br />
momento che anche una persona non particolarmente perspicace,<br />
vedendo due uomini che non conosce, tutti e due con i baffi neri o<br />
tutti e due rasati, dice che sono due uomini l’uno d’una ventina, l’altro<br />
d’una quarantina d’anni. Spesso ci si sbaglia, certo, in questa<br />
valutazione, ma il fatto stesso che si ritenga di poterla fare significa<br />
che si concepisce l’età come qualcosa di misurabile (comme quelque<br />
chose de mesurable). Al secondo uomo con i baffi neri si sono<br />
effettivamente aggiunti vent’anni di più” (TR, 1046; 768-759).<br />
È probabile che, rileggendole, <strong>Proust</strong> avrebbe limato qua e là<br />
queste pagine.<br />
Quel che possiamo dire è quanto segue: è difficile, quasi<br />
impossibile, misurare; a causa del quoziente personale che<br />
interferisce; ma una misura sembra, anche se approssimativa,<br />
possibile a proposito dell’invecchiamento: si distingue un uomo di<br />
quarant’anni da uno di venti...<br />
Ma abbiamo visto il Narratore, nel corso della matinée,<br />
aggrapparsi al nero del suoi baffi (TR, 620), al nero dei suoi capelli<br />
neri (TR, 750), allo scopo di dimostrarsi di non essere, come tutti gli<br />
altri, anche lui un cadavere ambulante...<br />
Possiamo ipotizzare che la misura più clamorosa è quella<br />
dell’invecchiamento; tutti sembrano riuscire, almeno<br />
approssimativamente, a orientarsi; ma è proprio l’età ad essere la<br />
meno misurabile; proprio perché essa, quando viene messa al centro<br />
della nostra attenzione così come essa lo è stata al centro<br />
dell’attenzione del Narratore nel corso della matinée, rivela la sua<br />
“dismisura”.<br />
3) Je lui pardonnai<br />
Facciamo un decisivo passo avanti; facendo un passo<br />
all’indietro. Abbiamo già capito che la conclusione dell’opera è<br />
contenuta nel suo inizio; il Narratore deve cogliere “al volo” il
149<br />
meccanismo... Un’anticipazione straordinaria è in Albertine<br />
scomparsa: il Narratore, sempre trascinato nelle infinite escalation<br />
del desiderio mimetico (vedi il cap. 11: La dialectique de la curiosité<br />
et de l’indifférence. Negazione e desiderio mimetico), riesce a<br />
perdonare; interrompendo così l’escalation nell’unico modo possibile<br />
(Girard): “Per persuadermi della sua innocenza [di Albertine] mi<br />
bastava baciarla (il me suffisait de l’embrasser), e potevo farlo<br />
adesso ch’era caduto il muro che ci separava, simile a quello<br />
impalpabile e resistente che dopo un litigio s’innalza fra due<br />
innamorati e contro cui si infrangerebbero i loro baci (contre laquelle<br />
se briseraient les baisers). No, non aveva bisogno di dirmi niente.<br />
Avesse fatto pure, povera piccina, quel che aveva voluto: c’erano<br />
sentimenti nei quali potevamo unirci al di sopra di quanto ci divideva.<br />
Se la storia era vera, e se Albertine mi aveva nascosto i suoi gusti<br />
[verso le donne], era stato per non farmi soffrire. Ebbi la dolcezza di<br />
sentirglielo dire, a quella Albertine. D’altronde, ne avevo mai<br />
conosciuto un’altra? Nei nostri rapporti con un altro essere, le<br />
maggiori cause d’errore sono che noi abbiamo buon cuore oppure<br />
che, quell’essere, lo amiamo. Si ama per un sorriso, per uno<br />
sguardo, per una spalla. È quanto basta; nelle lunghe ore di<br />
speranza o di tristezza si fabbrica allora una persona, si compone un<br />
carattere. E quando, più tardi, si frequenta la persona amata, non si<br />
può, a qualsiasi crudele realtà si sia messi di fronte, togliere quel<br />
carattere buono, quella natura di donna che ci ama, all’essere cui<br />
appartengono quel certo sguardo, quella certa spalla, più di quanto<br />
possiamo toglierla, quando invecchia (quand elle vieillit), a una<br />
persona che conosciamo fin dalla giovinezza (depuis sa jeunesse).<br />
Evocai lo sguardo bello, così buono e compassionevole, di quella<br />
Albertine, le sue grosse guance, il suo collo dalla grana larga. Era<br />
l’immagine di una morta; ma, poiché quella morta viveva, mi fu facile<br />
fare immediatamente ciò che avrei infallibilmente fatto se mi fosse<br />
stata accanto in vita (e che farei se mai dovessi ritrovarla in un’altra<br />
vita): la perdonai (je lui pardonnai)” (AS, 530-531; 138).<br />
Straordinario questo perdono; che interrompe ogni escalation,<br />
anche solo immaginaria. E che si consuma di fronte all’invecchiare di<br />
qualcuno che conosciamo dalla sua giovinezza (ed è forse morto). Il<br />
tempo passato con costui (qui: costei) diventa “perdonabile”<br />
perch’egli (ella) viene sbalzato dal tempo nell’eternità (nel profondo<br />
di noi).
150<br />
Cap. 8<br />
CE RETOUR À L’INANALYSÉ<br />
[...] je ne dissimule pas que ce n’est pas un sujet “curant”<br />
et j’ai trouvé plus loyal de vous le dire; plus prudent aussi<br />
car est certainement la dernière que j’écrirai et où j’ai<br />
tâché de fair tenir ma philosophie de résonner toute ma<br />
“musique” [...] 176<br />
“Si je me permets de raisonner ainsi sur mon livre, poursuit M.<br />
<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, c’est qu’il n’est à aucun degré une œuvre de<br />
raisonnement, c’est que ses moindres éléments m’ont été<br />
fournis par ma sensibilité, que je les ai d’abord aperçus au fond<br />
de moi-même, sans les comprendre, ayant autant de peine à<br />
les convertir en quelque chose d’intelligible que s’ils avaient été<br />
aussi étrangers au monde de l’intelligence que, comment dire?<br />
un motif musical”. 177<br />
Cerchiamo di cogliere i movimenti del pezzo suonato da <strong>Proust</strong><br />
ne La prigioniera sulla partitura della sonata e del settimino di<br />
Venteuil. Sì, perché di musica si tratta.<br />
“Come quando, in un paese che non crediamo di conoscere<br />
(dans un pays qu’on ne croit pas connaître) e al quale, in effetti, ci<br />
siamo accostati da una parte diversa, di colpo (tout d’un coup), dopo<br />
la svolta d’un sentiero, ci troviamo ad imboccarne un altro di cui ogni<br />
176 Dalla presentazione che <strong>Proust</strong> fa del romanzo che vuole pubblicare a Eugène<br />
Fasquelle (l’editore) il 28 ottobre 1912 (CORR, XI, 256-257).<br />
177 Intervista a Élie-Joseph Bois, Le temps, 12.11.1913, in Textes retrouvés,<br />
Gallimard, 1971, p. 290. (<strong>Su</strong>lle vicissitudini di questa intervista redatta dallo stesso<br />
<strong>Proust</strong>, vedi, di Henri Bonnet, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> de 1907 à 1914. Essai de biographie<br />
critique, Librairie Nizet, Paris, 1959, pp. 121-122, 144-145). “Flaubert fu il primo a<br />
sbarazzarsi dal parassitismo degli aneddoti e dalle scorie della storia. Fu il primo a<br />
metterli in musica (il les met en musique)” (EA, 595; 548). “Per la sua opera <strong>Proust</strong><br />
ha composto, se si può dire così, la propria musica: è la sonata per violino e piano<br />
e il settimino di Vinteuil” (Curtius, op. cit., p. 38). “Forse <strong>Proust</strong> è stato il primo tra i<br />
grandi artisti moderni, a scrivere con le parole alcune partiture musicali”<br />
(Debenedetti, Rileggere <strong>Proust</strong>, 1922-1966, Mondadori, Milano, 1982, p. 204).<br />
Leggere La musica in <strong>Proust</strong>, di Luigi Magnani (Einaudi, Torino, 1978). Se si<br />
esclude la “Premessa”, decisivo.
151<br />
minimo tratto ci è familiare ma che, semplicemente, non eravamo<br />
abituati (on n’avait pas l’habitude) a prendere da quel lato, e tutt’a un<br />
tratto (tout d’un coup) pensiamo: ‘Ma è il sentiero che conduce al<br />
cancelletto del giardino dei miei amici ÚÚÚ (mais c’est le petit chemin<br />
qui mène à la petite porte du jardin de mes amis ÚÚÚ), che conduce<br />
a due minuti da casa loro’; e, in effetti, la figlia dei padroni di casa è<br />
lì, venuta a salutarci al passaggio; così, tutt’a un tratto (tout d’un<br />
coup), io mi riconobbi, nel mezzo di quella musica nuova per me (au<br />
milieu de cette musique nouvelle pour moi), in piena sonata di<br />
Vinteuil; e, più meravigliosa di un’adolescente, la piccola frase,<br />
avvolta, bardata d’argento, tutta grondante di sonorità brillanti,<br />
leggere e dolci come sciarpe di velo (enveloppée, harnachée<br />
d’argent, toute ruisselante de sonorités brillantes, légères et douces<br />
comme des écharpes), venne a me, riconoscibile sotto quelle vesti<br />
novelle (sous ce parures nouvelles). La mia gioia d’averla ritrovata<br />
(ma joie de l’avoir retrouvée) [...]” (P, 249; 656-657).<br />
<strong>Su</strong>l limitare di queste pagine straordinarie, ricorrenze di alcuni<br />
Leitmotif: (1) l’incalzante tout d’un coup; (2) il paese conosciuto da<br />
cui nessuno è ritornato (Shakespeare); (3) la petite porte du jardin de<br />
mes amis.<br />
La piccola frase, nota, si presenta “da un lato” sconosciuto.<br />
L’aggettivazione della musica “nouvelle”: enveloppée,<br />
harnachée d’argent, toute ruisselante de sonorités brillantes, légères<br />
et douces comme des écharpes.<br />
Vedremo che la musica nuova, il nuovo, si presenta con una<br />
sonorità più schietta. Così come più schietta si presenta al Narratore<br />
la sonorità del campanello del grelot di Cambray in sede di<br />
“ritrovamento”.<br />
Diamo subito un senso alla “sonorità” maggiore... Abbiamo<br />
rilevato la sonorità schietta che, nel Tempo ritrovato, annuncia<br />
l’arrivo di Swann; abbiamo rilevato ch’essa eguaglia la sonorità<br />
invadente e volgare del non scampanellare, in Du côté chez Swann,<br />
dei familiari... solo supposti non stranieri... E abbiamo ipotizzato che,<br />
nel Tempo ritrovato, lo straniero ritorni, come straniero – vedi il<br />
“paese straniero”, il “paese non conosciuto” –, come unheimlich; ma<br />
che il “ritorno” qui coincida col “ritrovamento”; da cui l’accento di<br />
trionfo... nella aumentata sonorità...<br />
Ebbene, qui, ne La prigioniera, l’accento di trionfo – in cui<br />
confluisce la gioia del ritrovamento insieme con la crudezza del<br />
ritrovato –, è sistematico.<br />
“Appena ricordata [la piccola frase], disparve, e mi ritrovai in un<br />
mondo ignoto [...]. Quello che stava davanti a me mi faceva provare
152<br />
tanta gioia quanta me ne avrebbe data la Sonata se non l’avessi<br />
conosciuta; era dunque, essendo altrettanto bella, altra cosa (en<br />
étant aussi beau, était autre)” (P, 249-250; 657): fondamentale è la<br />
novità dello sguardo (qui dell’orecchio).<br />
La “nuova opera” comincia “in mezzo a un acre silenzio, in un<br />
vuoto infinito [...] in un rosa aurorale”: “Mentre la Sonata si apriva su<br />
un’alba liliale e campestre (liliale et campêtre), dividendo il suo<br />
candore leggero ma sospendendosi sull’intrico lieve eppure<br />
consistente d’un pergolato rustico (rustique) di caprifoglio sopra<br />
gerani bianchi, era su superfici uniformi e piane come quelle del<br />
mare che, in un mattino di tempesta, cominciava, in mezzo a un acre<br />
silenzio, in un vuoto infinito, la nuova opera, ed era in un rosa<br />
aurorale che, per costruirsi progressivamente davanti a me,<br />
quell’universo ignoto veniva estratto dal silenzio e dalla notte” (P,<br />
250; 657).<br />
Di seguito: “Quel rosso così nuovo, assente nella tenera,<br />
campestre e candida (tendre, champêtre et candide) Sonata, tingeva<br />
tutto il cielo, come l’aurora, d’una speranza misteriosa. E già un<br />
canto lacerava l’aria (perçait [...] l’air), un canto di sette note, ma così<br />
strano, così diverso da tutto quanto avessi mai immaginato, al tempo<br />
stesso ineffabile e chiassoso (à la fois ineffable et criard), non più<br />
gemito di colomba (non plus roucoulement de colombe) come nella<br />
Sonata, ma squarciante l’aria (déchirant l’air), vivo come la tinta<br />
scarlatta in cui era immerso l’inizio, qualcosa come un mistico canto<br />
del gallo, un richiamo, ineffabile ma sopracuto, dell’eterno mattino<br />
(ineffable mais suraigu del l’éternel matin)” (P, 250; 657-658). 178<br />
Appare chiara l’aumentata sonorità...<br />
Segnaliamo l’accoppiamento ineffable et criard // ineffable mais<br />
suraigu (“criard”, in Du côté... è il “grelot” aperto dai familiari stranierinemici):<br />
l’“eterno” si affaccia sulla scena come novità assoluta.<br />
Bellissima ma terribile. Il canto del gallo richiama alla mente,<br />
insieme, il tradimento di Pietro e la salvezza del Cristo.<br />
L’atmosfera “fredda, lavata di pioggia, elettrica” cambiava ad<br />
ogni istante “cancellando la promessa purpurea dell’aurora”: “A<br />
mezzogiorno, tuttavia (pourtant), in un trionfo ardente e passeggero<br />
di sole (dans un ensoleillement brülant et passeger), questa<br />
178 A proposito delle cloches, di Combray, esse riappaiono il giorno in cui rivivono<br />
nel septuor di Vinteuil. E Luc Fraisse segnala che non si presta attenzione al fatto<br />
che la tonalità generale del septuor è ispirata dall’immagine delle “cloches qui,<br />
avant d’apparaître, sont annoncées par un ‘chant [...] criard’, ‘déchirant l’ait’ qui<br />
‘perçait déjà, ‘un appel [...] suraigu de l’éternel matin, ‘un mystique chant du coq’<br />
[...] (L’œuvre cathédrale, Corti, Parigi, 1990, p. 163).
153<br />
sembrava compiersi in una felicità greve, paesana e quasi rustica<br />
bonheur lourd, villageois et presque rustique), dove il vacillare di<br />
campane scatenate e squillanti (où la titubation de cloches<br />
retentissants et déchaînées) (simili a quelle che incendiavano di<br />
calore la piazza della chiesa di Cambray, e che Vinteuil, che tante<br />
volte doveva averle sentite, aveva forse colte in quel’attimo nella sua<br />
memoria come un colore che si abbia a portata di mano su una<br />
tavolozza) sembrava materializzare la più spessa delle gioie. A dire il<br />
verro, esteticamente quel motivo gioioso non mi piaceva, lo trovavo<br />
quasi brutto, il suo ritmo si trascinava così faticosamente a terra (s’en<br />
traînait si péniblement à terre) che si sarebbe potuto imitarne quasi<br />
tutto l’essenziale con semplici rumori, battendo in un certo modo le<br />
bacchette su un tavolo” (P, 250; 658).<br />
Finisce così il primo “movimento” (o la “presentazione” del<br />
motivo)... evidentemente della partitura proustiana. (Come vedrete,<br />
non riusciremo a illustrare tutti i movimenti)... ensoleillement brülant<br />
et passeger // bonheur lourd, villageois et presque rustique //<br />
titubation de cloches retentissants et déchaînées...<br />
La festosità dello scampanio – che compete, per vincere, col<br />
canto del gallo – è solo un segno bruciante e passeggero di una<br />
felicità greve (lourd)... Infatti, si trascina per terra... Altro che voli...<br />
Si capisce che al Narratore non piaccia. Gli sembra addirittura<br />
“brutta”.<br />
Ma “il motivo trionfante delle campane (le motif triomphant des<br />
cloches) viene cacciato e disperso da altri”...<br />
Il trionfo delle campane richiama il frastuono inutile dei familiari<br />
di Cambray...<br />
Saltiamo alcune pagine (circa quattro): “La gioia suscitata in lui<br />
[in Vinteuil] da certe sonorità, la moltiplicazione di forze ch’egli ne<br />
aveva tratta per trovarne di nuove, trascinavano ancora l’ascoltatore<br />
di scoperta in scoperta; o meglio, era lo stesso creatore a trascinarlo,<br />
attingendo dai colori appena trovati una gioia immensa che gli dava<br />
la forza di scoprire, di gettarsi su quello ch’essi sembravano<br />
invocare, estasiato, trasalendo come all’urto d’una scintilla quando il<br />
sublime scaturiva spontaneo dall’intersezione dei ‘fiati’, ansimante,<br />
ebbro, sconvolto, vertiginoso nell’atto di dipingere il suo grande<br />
affresco musicale come Michelangelo quando, appeso a testa in giù<br />
alla sua scala, scagliava tumultuosi colpi di pennello sulla volta della<br />
Cappella Sistina. Vinteuil era morto da parecchi anni (Vinteuil était<br />
mort depuis nombre d’années); ma, in mezzo a questi strumenti che<br />
aveva amati, gli era stato concesso di continuare, per un tempo<br />
illimitato, una parte almeno della sua vita. Della sua vita d’uomo,
154<br />
soltanto (de sa vie d’homme seulement)? Se l’arte non era davvero<br />
che un prolungamento della vita, valeva la pena di sacrificarle<br />
qualcosa? Non era, l’arte, irreale quanto la vita stessa?” (P, 254-255;<br />
662-663).<br />
Vinteuil è morto da anni. Ricordate: Combray è morta.<br />
Immediato l’interrogativo: morta per sempre?<br />
Qui, addirittura: nella sua vita d’uomo, soltanto?<br />
Risposta: “Ascoltando meglio quel Settimino, non mi era<br />
possibile pensarlo”.<br />
Perché?<br />
“Il rosseggiante Settimino differiva singolarmente, non c’era<br />
dubbio, dalla bianca Sonata; la timida interrogazione (la timide<br />
interrogation), cui rispondeva la piccola frase (la petite phrase), dalla<br />
supplica anelante (de la supplication haletante) per l’adempimento<br />
della stana (étrange) promessa ch’era risuonata così acre, così<br />
sovrannaturale, così breve (qui avait retenti, si aigre, si surnaturelle,<br />
si brève), facendo vibrare l’ancora inerte rossore del cielo mattutino<br />
al di sopra del mare” (P, 255; 663).<br />
Qui l’interrogazione (della piccola frase) è “timide”; la supplica<br />
dei “primi gridi d’aurora (premiers cris d’aurore)” (P, 253; 661) è<br />
“haletante”... Ricordate i “coups hésitants de la clochette” che dicono<br />
l’arrivo di Swann...<br />
Nella Prigioniera le due sonorità sfumano l’una nell’altra?<br />
“Eppure, quelle frasi tanto diverse erano fatte degli stessi<br />
elementi [...]. La musica di Vinteuil stendeva, nota dopo nota, tocco<br />
dopo tocco, le colorazioni ignote, inestimabili, di un universo<br />
insospettato, frammentato dalle lacune che separavano i successivi<br />
ascolti della sua opera; le due interrogazioni così dissimili che<br />
dominavano il movimento della Sonata e quello così diverso del<br />
Settimino, l’una spezzando in brevi richiami (brisant en courts<br />
appels) una linea continua e pura, l’altra rinsaldando dentro<br />
un’armatura indivisibile degli sparsi frammenti, l’una così calma e<br />
timida (si calme et timide), quasi distaccata e come filosofica<br />
(presque détachée et comme philosophique), l’altra così pressante,<br />
ansiosa, implorante (si pressante, anxieuse, implorante), erano<br />
tuttavia un’unica preghiera, sgorgata davanti a differenti albe interiori,<br />
pur essendosi rifratta attraverso i differenti ambiti di pensieri altri, di<br />
ricerche d’arte via via progredite nel corso di anni durante i quali il<br />
compositore s’era sforzato di creare qualcosa di nuovo” (P, 255;<br />
663).<br />
Semplificando: i musicologi possono scovare “col<br />
ragionamento” somiglianze che sono “esteriori” piuttosto che “sentite
155<br />
con l’impressione diretta”. Quando Vienteuil “recuperava, a varie<br />
riprese, la stessa frase, la variava, si divertiva a cambiarne il ritmo, a<br />
farla riapparire nella sua forma primitiva, tali somiglianze, volute<br />
(voulues), opera dell’intelligenza, forzatamente superficiali, non<br />
arrivavano mai ad essere impressionanti quanto le somiglianze<br />
dissimulate, involontarie (involontaires), che prorompevano sotto<br />
colori diversi da due distinti capolavori; perché Vinteuil, nella sua<br />
potente ricerca del nuovo, interrogava allora se stesso, attingeva con<br />
tutta la potenza del suo sforzo creativo la sua propria essenza (sa<br />
propre essence) a profondità dove, qualunque sia la domanda, è con<br />
lo stesso accento, il suo, ch’essa risponde” (P, 256; 664).<br />
Quindi: anche il creatore ricorre all’intelligenza oltre che<br />
all’impressione... Ma è l’“involontario” che porta all’“essenza”.<br />
Con quel che segue il Narratore vuole dirci che l’artista abita nel<br />
paese straniero (Shakespeare); e che questo paese è, però, una<br />
patria sconosciuta (un-heimlich = heimlich)...<br />
“Ogni artista è come il cittadino d’una patria sconosciuta (d’une<br />
patrie inconnue), da lui stesso obliata, diversa da quella da cui verrà,<br />
salpando alla volta della Terra, un altro grande artista. Tutt’al più. A<br />
quella patria Vinteuil sembrava, nelle sue ultime opere, essersi<br />
avvicinato. L’atmosfera, in esse, non era più la stessa che nella<br />
Sonata, le frasi interrogative vi si facevano più pressanti, più inquiete,<br />
le risposte più misteriose; l’aria dilavata del mattino e della sera<br />
sembrava influire persino sulle corde degli strumenti. [...] i suoni [...]<br />
mi parvero singolarmente penetranti, quasi striduli (presque criards).<br />
Era un’asprezza (acrêté) affascinante e, come in certe voci, vi si<br />
coglieva una sorta di qualità morale e di superiorità intellettuale. Ma<br />
poteva urtare (mais cela pouvait choquer). Quando la visione<br />
dell’universo si modifica, si depura, diventa più adeguata al ricordo<br />
della patria interiore (de la patrie intérieure), è naturale che questo si<br />
traduca in un’alterazione delle sonorità nel musicista, come nel<br />
colore nel pittore” (P, 257; 665).<br />
Quindi: entrambe le sonorità (Sonata e Settimino) sono gradi di<br />
avvicinamento all’essenza; quella del Settimino è più prossima<br />
all’essenza, quindi più “criarde”.<br />
La “patria perduta (perdue)”, i musicisti “non se la ricordano”;<br />
ma ciascuno di essi, “sempre inconsapevolmente”, rimane<br />
“accordato in un cero unisono (en un certain unisson) con lei”...<br />
Si tratta di un “unisson” diverso da quello che incontreremo in<br />
Jean Santeuil (vedi cap. 13); qui non c’è un’aderenza al reale, una<br />
individuazione precisa del medesimo; c’è, di esso, una creazione:<br />
“L’unico vero viaggio, il solo bagno di Giovinezza (le seul bain de
156<br />
Jouvence), non consisterebbe nell’andare verso nuovi paesaggi, ma<br />
nell’avere altri occhi, nel vedere l’universo con gli occhi di un altro, di<br />
cento altri, nel vedere i cento universi che ciascuno di essi vede, che<br />
ciascuno di essi è (que chacun d’eux est) [...]” (P, 258; 666). 179<br />
E a questo punto – anche se saltiamo una pagina – si colloca<br />
un passaggio straordinario: “Ma che cos’erano le parole – che, come<br />
ogni esteriore parola umana, mi lasciavano affatto indifferente –<br />
rispetto alla celeste frase musicale con la quale mi ero appena<br />
intrattenuto? [...]. E come certi esseri sono gli ultimi testimoni d’una<br />
forma di vita che la natura ha abbandonata, mi chiedevo se la<br />
musica non fosse l’esempio unico di ciò che sarebbe potuta essere –<br />
se non vi fossero state l’invenzione del linguaggio, la formazione<br />
delle parole, l’analisi delle idee (l’analyse des idées) – la<br />
comunicazione delle anime. È, la musica, come una possibilità che<br />
non ha avuto seguito; l’umanità ha imboccato altre strade, quella del<br />
linguaggio parlato e scritto. Ma quel ritorno al non analizzato (ce<br />
retour à l’inanalysé) era così inebriante che, uscendo da quel<br />
paradiso, il contatto con esseri più o meno intelligenti mi sembrava<br />
assolutamente insignificante” (P, 258-259; 666-667).<br />
Penso che lo spostamento dei nostri “appunti”, da alcune<br />
considerazioni teoriche che pure restano cruciali, all’analisi delle<br />
sonorità di alcuni passi salienti dell’œuvre, la dica lunga...<br />
Realizzi una sorta di “unisson” con <strong>Proust</strong>.<br />
A più riprese torna questa o quella frase, “ma mutata ogni volta<br />
[...] la stessa eppure diversa”: “Poi le frasi si allontanarono, tranne<br />
una che vidi ripassare sino a cinque, sei volte senza riuscire a<br />
scorgerne il volto, ma la cui voce era così carezzevole, così diversa<br />
(si caressante, si différente) – come lo era, probabilmente, la piccola<br />
frase della Sonata per Swann – da ogni desiderio che una donna<br />
avesse mai potuto suscitare, da fare di quella frase che m’offriva con<br />
179 Vedi anche: Vedi anche: “Per essere riconosciuti, il pittore originale, lʼartista<br />
originale procedono con la tecnica degli oculisti. Il trattamento messo in atto dalla<br />
loro pittura, o dalla loro prosa, non è sempre gradevole (nʼest pas toujours<br />
agréable). Quando è terminato, lo specialista ci dice: Adesso guardate. Ed ecco<br />
che il mondo (che non è stato creato una sola volta, ma tutte le volte che è<br />
sopraggiunto un artista originale [qui nʼest pas été créé une fois, mais aussi<br />
souvent quʼun artiste original est survenu]) ci appare completamente diverso da<br />
prima, e tuttavia perfettamente chiaro. Per la strada passano donne diverse da<br />
quelle dʼun tempo, perché sono dei Renoir – quei Renoir nei quali, allora, ci<br />
rifiutavamo di vedere delle donne. Anche le carrozze sono dei Renoir, e lʼacqua, e<br />
il cielo [...]. Così è lʼuniverso, nuovo e perituro (nouveau et périssable), che è stato<br />
appena creato. Durerà fino alla prossima catastrofe geologica scatenata da un<br />
nuovo pittore o da un nuovo scrittore originali” (G, 327; 398-399).
157<br />
tanta dolcezza una felicità cui si sarebbe dovuto davvero aspirare e<br />
che pure capivo tanto bene, la sola Sconosciuta, forse, che mi sia<br />
stato dato incontrare. Poi quella frase si disfece, si trasformò, come<br />
faceva la piccola frase della Sonata, e diventò il misterioso richiamo<br />
dell’inizio. Le si oppose una frase d’indole dolorosa, ma così<br />
profonda, così vaga, così interna, così – quasi – organica e viscerale<br />
(mais si profonde, si vague, si interne, presque si organique et<br />
viscérale) che, ogni volta, non si sapeva se le sue riprese fossero<br />
quelle di un tema o di una nevralgia” (P. 260; 668-669).<br />
Trasformazioni a non finire... Incontro con la Sconosciuta...<br />
Ritorno della ricchissima aggettivazione: mais si profonde, si vague,<br />
si interne, presque si organique et viscérale...<br />
Ben presto fra i due motivi, una “lotta a corpo a corpo” e il<br />
Narratore è come uno “spettatore interiore incurante, a sua volta, di<br />
nomi e particolari e interessato a quel loro combattimento<br />
immateriale e dinamico di cui seguiva con passione le peripezie<br />
sonore” (P, 260; 669)...<br />
Quel che stiamo facendo noi...<br />
“Alla fine, fu il motivo gioioso a trionfare; non era più un<br />
richiamo quasi inquieto lanciato verso un cielo vuoto, era una gioia<br />
ineffabile (ineffable) che sembrava venire dal paradiso, una gioia<br />
tanto diversa da quella della Sonata quanto da un angelo dolce e<br />
grave di Bellini, suonatore di tiorba, potrebbe esserlo, avvolto in una<br />
veste scarlatta, un arcangelo di Mantegna intento a soffiare in una<br />
buccina. Sapevo che quella nuova sfumatura di gioia, quell’appello<br />
ad una gioia ultraterrena (cet appel vers une joie supra-terrestre),<br />
non li avrei mai dimenticati. Ma sarebbe mai stata, una simile gioia,<br />
realizzabile per me?” (P, 260-261; 669).<br />
Ricordate il ricorrente interrogativo: sono un romanziere?<br />
La risposta, lo sappiamo ormai molto bene, avviene nella forma<br />
dell’accesso all’extratemporale, all’etraterrestre.<br />
In cui è detto il non-dicible (quell’“ineffable” che è ritornato tre o<br />
quattro volte).<br />
Sì, l’ineffabile è detto; detto musicalmente: la musica di Vinteuil<br />
meglio ancora: quella frase, “poteva caratterizzare nel migliore dei<br />
modi – come tagliando netto con tutto il resto della mia vita, con il<br />
mondo visibile – le impressioni ch’io ritrovavo nella mia esistenza, a<br />
larghi intervalli, come i punti di riferimento, le pietre angolari per la<br />
costruzione di una vita vera (les amorces pour la construction d’une<br />
vie véritable) [...]” (P, 261; 669).<br />
Il Narratore è approdato all’“essenza”, alla “vita vera”... E l’ha<br />
fatto approfondendo quelle “impressioni” che, ad intervalli, ha avuto
158<br />
(ne fa un rapido elenco)... Sono tutte state impressioni relative a fatti<br />
di nessun rilievo... E anche adesso: chi è stato Vinteuil? Uno<br />
sconosciuto, un “triste, compìto piccolo borghese”; proprio così: “il<br />
presentimento più estraneo a ciò che assegna la vita terra-terra,<br />
l’approssimazione più ardita all’esultanza dell’al di là (l’approximation<br />
la plus hardie des allégresses de l’au-delà)” sono venute da piccole<br />
frasi del piccolo Vinteuil.<br />
Il regno dei cieli è dei poveri; che hanno sete di giustizia... di<br />
vita vera.<br />
Seguono pagine straordinarie sulla connessione tra sacrilegioadorazione-deciframento...<br />
Si tratta di pagine, come quasi tutte,<br />
autobiografiche...<br />
È stata l’amica di Mademoiselle Vinteuil, colei che ha spinto la<br />
figlia al sacrilegio, ad “estrarre” “da carte più illeggibili dei papiri<br />
punteggiati di scrittura cuneiforme la formula eternamente vera,<br />
infinitamente feconda di quella gioia ignota, la speranza mistica<br />
dell’Angelo scarlatto del Mattino” (P, 261; 671).<br />
Ricordiamo che i brogliacci del Tempo ritrovato si intitolano<br />
“L’Adoration perpétuelle” e “Bal de têtes”... Il primo dei due titoli<br />
suggeriva un parallelo tra il rito cattolico della perpetua adorazione<br />
della presenza nel Santo Sacramento e la scoperta dell’indistruttibile<br />
verità del Tempo Ritrovato... E, da sempre, il corpo di Cristo –<br />
“mangiatene tutti” – è il bacio della madre: “[...] chinando sul mio letto<br />
il suo viso amoroso (sa figure aimante), protendendolo (l’avait<br />
tendue) verso di me come un’ostia per una comunione di pace<br />
(comme une hostie pour une communion de paix) dalla quale le mie<br />
labbra avrebbero attinto la sua presenza reale (sa présence réelle) e<br />
il potere di addormentarmi” (SW, 13; 17-18)...<br />
Vi dirò la verità: tutta la faccenda del sacrilegio mi risulta fasulla.<br />
Che differenza c’è tra il bacio che equivale ad un’ostia e l’ostia<br />
che equivale a un bacio?<br />
Non è sempre desiderio di “presenza reale”?<br />
E di “perpetuità”?
159<br />
Cap. 9<br />
EMBRASSER LE VISAGE<br />
Questo è uno dei titoli che incontriamo nel Carnet de<br />
1908 (C8, 56) e che Klob ritiene che corrisponda “au<br />
morceau où <strong>Proust</strong> donne une description si originale et<br />
charmante du baiser” (II, 363-365 = Le côté de<br />
Guermantes)” (Introduction, C8,14). Ecco il brano<br />
introdotto dal titolo “Pages écrites”: “Robert et le<br />
chevreau, Maman part en voyage. Le côté de Villebon et<br />
le côté de Méséglise. Le vice sceau et ouverture du<br />
visage. La déception qu’est une possession, embrasser le<br />
visage. Ma g d mère au giardin, le dîner de M. de<br />
Breteville, je monte, le visage de Maman alors et depuis<br />
dans mes rêves, je ne peux m’endormir, concession etc.<br />
Les Castellane, les hortensias normands, les chatelains<br />
anglais, allemand: la petite fille de Louis-Philippe,<br />
Fantasie, le visage maternel dans un petit fils débauché.<br />
Ce que m’ont appris le côté de Villebon et le côté de<br />
Méséglise” (C8, 56). Come contrappeso: “oubliant son<br />
visage, je me jetais sur elle et ce furent de violentes<br />
caresses que je sentais apprises à elle par des bergers,<br />
et où j’avais l’impression de ne plus être moi, d’être un<br />
jeune paysan qu’une jeune paysanne plus hardie et déjà<br />
dessalée roule dans le foin” (AS, CA 36, 23, 24, 50; ES<br />
XVIII, 714). Vedi anche: “À cause de toutes les<br />
apparitions successives de visages différents qu’offrait<br />
Mme de Guetmantes, visages occupant une étendue<br />
relative et variée tontôt étroite, tantôt vaste, dans<br />
l’ensemble de sa toilette, mon amour n’était pas attaché à<br />
telle ou telle de ces parties changeantes de chair et<br />
d’éttoffe qui prenaient, selon les jours, la place des autres<br />
et qu’elle pouvait modificer et renouveler presque<br />
entièrement sans altérer mom trouble parce qu’à travers<br />
elles, à travers le nouveauu collet et la joue inconnue, je<br />
sentais que c’était toujours Mme de Guermantes. Ce que<br />
j’aimais c’étatit la personne invisible qui mettait en<br />
mouvement tout cela” (SG, 362).<br />
Lettere a Reynaldo Hahn: 3 luglio 1896: “Seulement je<br />
serai bien content aussi, ah! mon cheri petit, bien bien<br />
content quand je pourrai vous embrasser, vous vraiment
1) Incesto e sacrilegio<br />
160<br />
la personne qu’avec Maman j’aime le mieux au monde”<br />
(CORR, II, 88); 8 agosto 1896: “Mais si ma fantasie est<br />
absurde, c’est une fantasie de malade, et qu’à cause de<br />
cela il ne faut contrarier” (CORR, II, 97); maggio 1912:<br />
“Mais je suis tellement fastiné après ma mauvaise nuit<br />
que je veux fumer vite pour tâcher de dormir, car j’ai<br />
besoin et besoin. Mais je n’aurais pas pu m’endormir sans<br />
vous avoir embrassé, sans vous avoir donné le baiser de<br />
Combray, j’embrasse votre petite main mon Gunibuls”<br />
(CORR, XI, 39-40).<br />
Lettera a Georges de Lauris, 7 ottobre 1908: “Vedervi è<br />
sempre una delizia [...]. Ciascuna delle vostre membra<br />
salvatesi miracolosamente [...]. Tutto il vostro corpo [...]. I<br />
vostri occhi soprattutto, che subitaneamente si abbuiano<br />
se qualcosa di triste vi passa nel cuore, ma al cui fondo<br />
con repentina ascensione si aprono squarci di azzurro,<br />
magnifiche schiarite: il vostro corpo tutto vorrei ora vedere<br />
e toccare, per avere troppo dimenticato che è la<br />
condizione indispensabile di quella spontaneità spirituale<br />
che è voi [...]. Mi sembra di avere fino a oggi troppo<br />
esclusivamente amato la vostra intelligenza e il vostro<br />
cuore, e proverei adesso una gioia pura ed esaltante,<br />
come il cristiano quando mangia il pane e beve il vino e<br />
canta venite ad oremus, recitando accanto a voi la litania<br />
delle vostre caviglie e le lodi dei vostri polsi (la litanie de<br />
vos chevilles et les louanges de vos poignets) (CORR,<br />
VIII, 239; LG, 907-908).<br />
Abbiamo visto che la scena archetipica è quella del bacio della<br />
buonanotte dispensato dalla madre.<br />
Ora, in francese, baiser significa bacio; embrasser, usato molto<br />
spesso come equivalente, significa sia bacio che abbraccio; significa<br />
anche amplesso (vedi embrassement).<br />
Ad esempio, ne La prigioniera: “Ma lei, la sera, aveva<br />
continuato a baciarmi in quel modo (à m’embrasser de la même<br />
manière), che mi rendeva furioso. [...]. E così, non avendo più da lei
161<br />
le soddisfazioni carnali (le satisfactions charnelles) alle quali tenevo<br />
[...]” (P, 404; 826). 180<br />
In ogni caso spesso siamo sull’orlo del sacrilegio<br />
(frequentissimo in <strong>Proust</strong>). 181<br />
Citiamo da Dalla parte di Swann: “La sola consolazione,<br />
quando salivo a coricarmi, era che la mamma (maman) sarebbe<br />
venuta a darmi un bacio (viendrait m’embrasser) una volta che io<br />
fossi a letto. Ma quella buonanotte (ce bonsoir) durava così poco, lei<br />
ridiscendava così presto, che il momento in cui la sentivo salire, e poi<br />
nel corridoio (couloir) a doppia porta trascorreva il lieve fruscio della<br />
sua veste da giardino in mussola azzurra dalla quale pendevano dei<br />
cordoncini di paglia intrecciata, era per me un momento doloroso.<br />
[...]. A volte. Quando dopo avermi baciato (embrassé) apriva la porta<br />
per uscire, io desideravo richiamarla, dirle ‘dammi un altro bacio<br />
(embrasse-moi une fois encore)’, ma [...]. Ora, vederla indispettita<br />
distruggeva tutta la calma (tout le calme) di cui mi aveva riempito per<br />
un istante prima chinando sul mio letto il suo viso amoroso (sa figure<br />
aimante), protendendolo (tendue) verso di me come un’ostia (comme<br />
une hostie) per una comunione di pace dalla quale le mie labbra<br />
avrebbero attinto la sua presenza reale e il potere di addormentarmi”<br />
(SW, 13; 17-18)... 182<br />
In Albertine scomparsa: “cercava [la madre, a Venezia] di<br />
avvicinare il più possibile a me [il suo sguardo appassionato], di<br />
innalzare, sporgendo le labbra, in un sorriso che sembrava baciarmi<br />
(un sourire qui semblait m’embrasser), entro la cornice e sotto il<br />
baldacchino del più discreto sorriso dell’ogiva [...]” (AS, 624; 251).<br />
La madre, l’amante, la sorella etc. verranno poste sotto lo<br />
stesso segno; sarà solo lo sviluppo affettivo a creare dei<br />
“dipartimenti” – qui l’“emigrazione” –, delle “suddivisioni”; dipartimenti<br />
e suddivisioni che l’ansia, l’angoscia, elimineranno. (La figura che<br />
180 Lettera di <strong>Proust</strong> al nonno, Nathé Weil, del 17 maggio 1988; <strong>Proust</strong> chiede un<br />
soccorso economico per una disavventura in una maison de passe: “Mais 1° dans<br />
mon émotion j’ai cassé un vase de nuit, 3 francs 2° dans cette même émotion je<br />
n’ai pas pu baiser. [...]. il n’arrive pas deux fois da la vie d’être trop trouble pour<br />
pouvoir baiser” (CORR, XXI, 551).<br />
181 Straordinario a questo proposito, di Georges Bataille, <strong>Proust</strong> in La littérature et<br />
le mal, 1957, in Œuvre complètes, Gallimard, Paris, vol. IX, 1979, pp. 259-261.<br />
Basta ricordare che la parte finale del Tempo ritrovato in origine si intitolava<br />
“L’adoration pérpetuelle”: questo titolo tracciava “un parallelo tra il rito cattolico<br />
della perpetua adorazione della presenza nel Santo Sacramento e la scoperta<br />
dell’indistruttibile verità del Tempo Ritrovato, che inconsapevolmente il Narratore<br />
ha adorato per tutta la vita” (Painter, op. cit., p. 547).<br />
182 In una nelle versioni del “drame du coucher”, la parola “hostie” ricorre quattro<br />
volte (C 8, ES XII, SW, 665-666); in un’altra tre (C8, ES XII, SW, 680).
162<br />
abbiamo già incontrato, nel Tempo ritrovato, della sorella morte,<br />
porta a conclusione sia l’agglutinamento in un solo sentimento<br />
angoscioso di ogni figura soggetta alla perdita, sia la ripartizione in<br />
sentimenti diversi, di amor filiale, sororale, d’amante...).<br />
Vediamo intanto in Dalla parte di Swann: “E tuttavia [...] non<br />
riuscireste [...]: allo stesso modo che di sera, tornando a casa –<br />
nell’ora in cui si risvegliava in me l’angoscia che più tardi emigra<br />
nell’amore, e può divenirne inseparabile per tutta la vita –, non avrei<br />
desiderato che venisse a darmi la buona notte (me dire bonsoir) una<br />
mamma più bella e più intelligente della mia. No: come quel che mi<br />
era necessario per potermi addormentare felice – con quella pace<br />
senza turbamento che nessuna amante (aucune maîtresse) mi poté<br />
ispirare più tardi, poiché di loro si dubita sempre, anche nel momento<br />
in cui si presta loro fede, e non ci è dato mai di possedere il loro<br />
cuore come era dato a me ricevere in un bacio quello di mia madre,<br />
tutto (tout entier), senza la riserva d’un pensiero nascosto, senza<br />
residuo d’un’intenzione non rivolta a me – era che fosse lei, che lei<br />
chinasse verso di me quel volto dove c’era sotto l’occhio qualcosa<br />
che sembra fosse un difetto, e che amavo come il resto [...]” (SW,<br />
185; 225).<br />
2) L’incomprensione della strada che porta “alla vera vita”, fa<br />
scadere la “creazione” a “creazione fittizia”.<br />
Qui sotto richiamiamo, da A l’ombra delle fanciulle in fiore e da<br />
La parte dei Guermantes, due scene molto interessanti: i baci e gli<br />
abbracci con Albertine, quelli falliti, quelli riusciti.<br />
Riusciti?<br />
In A l’ombra delle fanciulle in fiore succede che, prima di<br />
partire, Albertine offra al Narratore un convegno nella sua camera...<br />
Alcuni punti di somiglianza e di contrasto rispetto alla scenamadre:<br />
– esaudimento – sperato – del desiderio (di baciare) avviene in<br />
termini rovesciati: “Potrete assistere al mio pranzo accanto al<br />
mio letto (vous purrez venir assister à mon dîner à côté de mon<br />
lit)”: quasi che il Narratore possa qui stare accanto alla madre,<br />
non solo non lontano dal banchetto, ma nel corso del<br />
banchetto;<br />
– riecco la finestra; ma accanto c’è Albertine; accanto, non alla<br />
porta del giardino: “Mi guardava sorridendo. Accanto a lei, nel<br />
riquadro della finestra (à côté d’elle, dans la fenêtre), la valle
163<br />
era illuminata dal chiaro di luna” (la luna è un altro elemento<br />
costitutivo della scena);<br />
– infine, anche qui qualcosa suona (e la scena viene interrotta):<br />
“Albertine con tutte le sue forze, aveva suonato (Albertine avait<br />
sonné de toutes ses forces)”.<br />
“Vedevo di lato le sue guance, che spesso apparivano pallide<br />
ma, così, erano irrorate, illuminate da un sangue chiaro, rilucenti<br />
come certe mattine d’inverno, quando le pietre parzialmente lambite<br />
dal sole sembrano di granito rosa e sprigionano gioia. [...]. Poi, d’un<br />
tratto (tout à coup), pensai che ogni dubbio era immotivato: m’aveva<br />
detto di andare quando fosse stata a letto. Quella che m’infondeva,<br />
in quel momento, la vista delle guance di Albertine era altrettanto<br />
viva, ma sfociava in un altro desiderio: non di una passeggiata, ma di<br />
un bacio (mais du baiser). Le chiesi se i progetti che le attribuivano<br />
fossero veri: ‘Sì, rispose, passerò la notte nel vostro albergo, e<br />
siccome sono un po’ raffreddata, mi coricherò prima di mangiare.<br />
Potrete assistere al mio pranzo accanto al mio letto (vous purrez<br />
venir assister à mon dîner à côté de mon lit) e, dopo, giocheremo a<br />
quel che vorrete (et après nous jouerons à ce que vous voudrez).<br />
[...]. Mentre la Gilberte che vedevo ai Champs Élysées era un’altra<br />
rispetto a quella che ritrovavo in me quando ero solo, adesso, di<br />
colpo (tout d’un coup), nell’Albertine reale (réelle), quella che vedevo<br />
ogni giorno, che credevo piena di pregiudizi borghesi e sempre<br />
sincera con sua zia, s’era incarnata l’Albertine immaginaria, quella<br />
dalla quale, quando ancora non la conoscevo, m’era parso d’essere<br />
furtivamente sogguardato sulla diga, quella che, vedendomi andar<br />
via, era rincasata – si sarebbe detto – a malincuore. [...]. Poi, d’un<br />
tratto (tout d’un coup), pensai che ogni dubbio era immotivato:<br />
m’aveva detto di andare quando fosse stata a letto (quand elle serait<br />
couchée). [...]. Trovai Albertine coricata nel suo letto (couchée dans<br />
son lit). Lasciandole il collo scoperto, la camicia bianca mutava le<br />
proporzioni del viso che, congestionato dal calore del letto, o dal<br />
raffreddore, o dal pranzo, sembrava più rosa; pensai ai colori che<br />
avevo avuto accanto a me poche ore prima, sulla diga, e dei quali<br />
avrei infine conosciuto il sapore; la sua guancia era attraversata,<br />
dall’alto in basso, da una delle lunghe trecce nere e ricciute che, per<br />
piacermi, aveva del tutto disciolte. Mi guardava sorridendo. Accanto<br />
a lei, nel riquadro della finestra (à côté d’elle, dans la fenêtre), la<br />
valle era illuminata dal chiaro di luna (clair de lune). La vista del collo<br />
nudo di Albertine, di quelle guance d’un rosa troppo acceso, mi<br />
aveva precipitato in una tale ebbrezza [...]. E tutto quanto la natura<br />
potesse concedermi di vita, mi sarebbe parso ben povero, gli aliti del
164<br />
mare mi sarebbero parsi ben avari per l’immensa aspirazione (pour<br />
l’immense aspiration) 183 che sollevava il mio petto. Mi chinai verso<br />
Albertine per baciarla (je me penchais vers Albertine pour<br />
l’embrasser). Se la morte mi avesse colto in quell’attimo, mi sarebbe<br />
sembrata indifferente o piuttosto impossibile, giacché la vita non era<br />
fuori di me, era in me (m’eût paru indifférent ou plutôt impossible, car<br />
la vie n’était pas hors de moi, elle était en moi); [...]. ‘Finitela o suono<br />
(finissez ou je sonne)’, intimò Albertine vedendo che mi slanciavo su<br />
di lei per baciarla (je me jetais sur elle pour l’embrasser). [...]. Stavo<br />
per conoscere l’odore, il sapore di quell’ignoto frutto rosa. Sentii il<br />
suono precipitoso, prolungato e stridulo (j’entendis un son précipité,<br />
prolongé et criard). Albertine, con tutte le sue forze, aveva suonato<br />
(Albertine avait sonné de toutes ses forces)” (OF, 931-934; 1124-<br />
1128). 184<br />
Interessante cogliere anche qui, come quasi sempre, gli<br />
elementi costitutivi dell’ultima edizione (della scena-madre): m’eût<br />
paru indifférent ou plutôt impossible, car la vie n’était pas hors de<br />
moi, elle était en moi. Solo che qui prevale lo strazio della perdita. 185<br />
In La parte dei Guermantes, Albertine, che da tempo, a Parigi,<br />
viene a trovare il Narratore, una volta, senza che il Narratore abbia<br />
“suonato”, compare; questa volta, la scena avvenuta a Balbec è<br />
invertita: il Narratore è a letto e Albertine seduta accanto a lui, sul<br />
letto: l’esaudimento reintroduce la scena-madre.<br />
183 Abbiamo già incontrato “l’immenso desiderio di conoscere la vita” provato un<br />
tempo sulle strade di Balbec”; (AS, 165) e la “dimension énorme” del Tempo (TR,<br />
1047)<br />
184 Rimandiamo, per l’esperienza – De l’amitè au désir – con Charlotte, a Jean<br />
Santeuil (JS, 837-841). Richiamiamo fuggevolmente, la “scène du lit” nel Cahier 25<br />
(OF, 1007-1009): “Je santais en moi quelque chose se soulever, comme une<br />
torture qui eût voulu saisir et emporter ce fruit rose; je levai, je me jetai vers le lit,<br />
les lèvres tendues dans un besoin de savoir le goût de la surface rose ed violacée<br />
qui tournait devant moi. À demi dressée, elle dit sevèremet: Je vous défends, je<br />
vous défends, prenez garde, un mouvement de plus, je sonne’. Je me rappellai ses<br />
paroles habituelles, l’unique chance de cet instant que je ne retrouverais pas:<br />
‘Seulement vous embrasser. – Jamais, jamais, je sonne’. Elle avais pris la<br />
sonnette, je m’avançai encore, j’étais presque à sa joue, elle sonna et un coup<br />
interminable retentit dans l’hôtel, je m’échappai”. (C 25, ES LXXI, OF, 1008-1009).<br />
Notate che questa descrizione è meno sintetica. Peraltro, ad essa segue un lungo<br />
commento che nel testo definitivo ci è risparmiato. Alla conclusione del commento:<br />
“[...] dès que j’eus eu la preuve, par cette experence décisive qu’elle n’était même<br />
pas embrassable, je cessai de penser à elle”. Non andrà così con Albertine.<br />
185 A proposito di questo passaggio, interessante, di Yves Sandre, Destin d’une<br />
variante (in Cahiers de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 7. Études proustiennes, II, Gallimard, Paris,<br />
1975, pp. 143-155).
165<br />
Il Narratore, che non ama più Albertine, è comunque coinvolto<br />
in un’esperienza che ha tutta la struttura della memoria involontaria.<br />
Il Narratore si trova di fronte ad Albertine diverse: quella della<br />
prima Balbec (della banda delle fanciulle in fiore), quella della<br />
seconda Balbec (dello “scacco”), l’ultima, la “nuova”. Tale pluralità<br />
favorisce la perdita d’equilibrio (preliminare essenziale della memoria<br />
involontaria). Penso alla rottura dell’equilibrio determinata<br />
dall’impertinenza filologica di Albertine; a quella della scomparsa del<br />
volto di Albertine (non più percepito dagli occhi che le si sono<br />
avvicinati troppo per poterlo ancora vedere) durante il bacio.<br />
Ma – qui il tragico –, tale scomparsa, invece di essere<br />
interpretata come l’accesso all’“essenza” alla vera Albertina, alla<br />
“vera vita” con lei, viene misinterpretata come l’irrilevanza di<br />
un’Albertine a cui si è diventati “indifferenti” (nel momento in cui essa<br />
è diventata “docile”)...<br />
Leggete queste pagine (G, 350-370; 427-552). Che sono<br />
straordinariamente ricche. Perché l’esperienza con Albertine non è<br />
solo calata nella storia del Narratore, ma, verrebbe da dire, nella<br />
storia di tutti noi; tanto sono ricchi ed eloquenti i riferimenti artistici,<br />
filologici, storici; tanto numerose e profonde sono le pieghe della<br />
narrazione...<br />
Segue il testo a brani e con veloci annotazioni: “Ogni tanto<br />
sentivo il rumore dell’ascensore (le bruit de l’ascenseur) in salita [...]<br />
un rumore in se stesso doloroso, nel quale risuonava una sorta di<br />
sentenza di abbandono. E io m’immalinconivo al pensiero di dover<br />
restare a tu per tu con lei [con la “grigia giornata”] che non mi<br />
conosceva più di un’operaia installatasi accanto alla finestra (près de<br />
la fenêtre) per avere più luce nel suo lavoro. [...]. All’improvviso (tout<br />
d’un coup), senza ch’io avessi sentito suonare (sans que j’eusse<br />
entendu sonner), Françoise aprì la porta, introducendo Albertine che<br />
entrò sorridente, silenziosa e grassoccia, contenendo nella<br />
plenitudine del suo corpo, pronti perché continuassi a viverli, venuti<br />
sino a me, i giorni passati (les jours passés) in quella Balbec dove<br />
non ero più tornato (où je n’étais jamais retourné)”. 186<br />
186 Nel Cahier 46 Albrtine non si affaccia, come dire, ex-abrupto: “Il était quattre<br />
heures de l’après-midi, j’etendis sonner, c’était Albertine” (C 46; ES XXVIII, G,<br />
1218-1220). Nelle esquisse a quest’episodio sono dedicate 4 pagine (C 46, ES<br />
XXVII, G, 1217-1221), ne La parte dei Guermantes molte di più (G, 350370; 427-<br />
452). Nel Cahier, qualcosa di velatamente volgare: “‘Eh bien où avons-nous dit que<br />
vous alliez me chatouiller? Je crois que je suis très sensible aux genoux?’ [Tutto è<br />
cominciato dagli oreilles e con essi finirà]. Elle s’installa commodément, presque<br />
méthodiquement; ainsi abaissées ses joues pleines paraissaient plus belles et plus<br />
roses. [...]. Elle continuait à me chatouiller les genoux, l’air de ne pas savoir
166<br />
Ricompaiono figure tipiche: la finestra e il suono. E poi il tempo<br />
perduto (i giorni passati che non sono più tornati).<br />
“Certo ogni volta che rivediamo una persona con la quale i<br />
nostri rapporti – per insignificanti che siano – sono venuti mutando, è<br />
come se due epoche si confrontassero tra loro (une confrontation de<br />
deux Époques)”: “Aveva un altro viso o, meglio, aveva finalmente un<br />
viso [...]”.<br />
Il confrontarsi di due epoche determina la perdita<br />
dell’equilibrio 187 che è il preliminare della memoria involontaria. Qui il<br />
Narratore non ritroverà qualcosa che ha perduto perché non l’ha<br />
vissuto pienamente; bacerà e possederà quell’Albertine che non ha<br />
mai baciato né posseduta. Prezioso qui più che altrove il richiamo<br />
alla “creazione” come creazione della donna da parte di Adamo: vedi<br />
più avanti.<br />
“Questa volta tuttavia [...]. C’erano, in lei, novità più attraenti;<br />
sentivo, nella stessa graziosa fanciulla ch’era venuta a sedersi<br />
accanto al mio letto (qui venait de s’asseoir près de mon lit),<br />
qualcosa ch’era diverso, e nelle linee per il cui tramite, nello sguardo<br />
e nei tratti del volto, si esprime la volontà abituale, un cambiamento<br />
di fronte, una semiconversione, come fossero andate distrutte le<br />
resistenze contro le quali m’ero schiantato a Balbec, la sera in cui<br />
formavamo una coppia simmetrica ma inversa rispetto all’attuale,<br />
perché allora era lei ad essere coricata e io accanto al suo letto (un<br />
couple symétrique mais inverse de celui de l’après-midi actuelle,<br />
puisque alors c’était elle qui était couchée et moi, à côté de son lit)”.<br />
Di questo capovolgimento della situazione abbiamo già detto.<br />
Il Narratore, pur consapevole di non essere “affatto innamorato”<br />
di Albertine, sogna intorno ad essa: “Certo, non ero affatto<br />
innamorato di Albertine: figlia della nebbia che regnava oltre i vetri,<br />
poteva solo soddisfare il desiderio dell’immaginazione che il nuovo<br />
tempo aveva risvegliato in me e che era una via di mezzo fra i<br />
desideri cui vengono incontro le arti della cucina e quelle della<br />
scultura monumentale, giacché mi faceva sognare (me faisait rêver),<br />
insieme, sia di mischiare alla mia carne una materia diversa e calda<br />
sia di attaccare in un qualche punto al mio corpo disteso un corpo<br />
davantage, timide, innocente, réservée. Au but d’un instant je lui dis: ‘Cela ne me<br />
chatuille plus, donnez-moi votre joue’, et je voulus m’approcher pour y passer ma<br />
mustache et mes lèvres sur la joue et l’oreille d’Albertine [...]”: qui la mancanza<br />
dell’organo destinato al bacio.<br />
187 “E, d’altronde, anche materialmente, quando non era più tenuta in equilibrio<br />
(elle était non plus balancée) dalla mia immaginazione di contro all’orizzonte<br />
marino, ma immobile accanto a me, Albertine [...]”; “ma, beninteso, i due elementi<br />
disuniti (désunis) possono essere nuovamente riuniti dalla gelosia”.
167<br />
divergente, così come il corpo di Eva aderisce solo per i piedi<br />
all’anca di Adamo, al cui corpo è pressoché perpendicolare, nei<br />
bassorilievi romanici della cattedrale di Balbec, raffiguranti in modo<br />
così nobile e pacato – ancora, quasi, come un fregio antico – la<br />
creazione della donna (la création de la femme) [...]”.<br />
Il Narratore conversa con Albertine. E scopre che parla in modo<br />
radicalmente diverso dalle prime volte a Balbec. E l’attrae a sé: “Era<br />
una tale novità (c’était si nouveau), era così visibilmente un’alluvione<br />
di cui si potevano immaginare le capricciose scorrerie attraverso<br />
terreni un tempo sconosciuti, che alle parole ‘a mio giudizio’ io trassi<br />
a me Albertine, e a ‘ritengo’ la feci sedere sul mio letto” (je l’assis sur<br />
mon lit)”.<br />
Il Nostro continua a dirsi che non è innamorato, che è “del tutto<br />
indifferente (fort indifférent)”... Ma viene colto alla sprovvista da una<br />
novità dietro un’altra: “[...] credo, tuttavia, che a farmi decidere sia<br />
stata un’ennesima scoperta filologica”.<br />
Albertine – che è “ormai, sul bordo del [mio] letto (maintenant<br />
[...] au coin de mon lit) – dice: “Sembra una piccola Musmè”; usa,<br />
cioè, non solo un’espressione che è nuova sulle sue labbra, ma<br />
anche spiacevole; ma spiacevole in modo tale da costituire<br />
un’ulteriore novità: “È verosimile che, se le cose avessero seguito il<br />
loro corso normale, lei non l’avrebbe mai imparata [l’espressione<br />
usata], e io non ci avrei visto alcun inconveniente, dato che non c’è<br />
vocabolo più orripilante (horripilant). Sentendolo, si avverte lo stesso<br />
mal di denti di quando ci si infila in bocca un pezzo troppo grosso di<br />
gelato. Ma in Albertine carina com’era, nemmeno ‘musmè’ riusciva a<br />
dispiacermi. In compenso, mi parve il sintomo, se non di<br />
un’iniziazione esteriore, almeno di un’interna evoluzione... [...]. Di<br />
fronte a ‘musmè’ tutte le mie perplessità svanirono, e m’affrettai a<br />
comunicarle: ‘Sapete? Non soffro per niente il solletico; potreste<br />
farmelo per un’ora e non me ne accorgerei nemmeno?”<br />
Inizia l’avvicinamento ulteriore:<br />
“Se non vi dispiace; ma sarebbe più comodo se vi stendeste sul<br />
mio letto.<br />
– Così?<br />
– No, venite più dentro.<br />
– Ma non vi peso?<br />
Non aveva finito questa frase che s’aprì la porta, e Françoise<br />
entrò con la lampada.”<br />
Françoise, questa volta, non inaugura una nuova tappa nella<br />
relazione con Albertine, ma la interrompe.
168<br />
Ad un certo punto un errore di grammatica di Albertine, qui<br />
difficilmente traducibile, crea una ulteriore complicità tra lei e il<br />
Narratore:<br />
“Uscita Françoise, Albertine tornò a sedersi sul mio letto:<br />
– Sapete di che cosa ho paura? Le dissi. Che se continuiamo<br />
così, non potrò fare a meno di baciarvi (vous embrasser).<br />
– Sarebbe una bella disgrazia.<br />
– Non raccolsi subito l’invito. Per un altro, forse, sarebbe stato<br />
addirittura superfluo, perché Albertine aveva una pronuncia così<br />
carnale e così dolce che dava, solo a parlarvi, l’impressione di<br />
baciarvi (elle semblait vous embrasser). Ogni sua parola era un<br />
favore concesso, e la sua conversazione vi copriva di baci (sa<br />
conversation vous couvrait de baisers)”.<br />
Al narratore appaiono tre Albertine; tra le quali deve fare un<br />
confronto (“un confronto [une confrontation] fra diverse immagini<br />
intrise di bellezza”):<br />
– quella sulla spiaggia (Balbec 1) = “semplice proiezione<br />
(projection)”;<br />
– una donna vera (une femme vraie); ma ha imparato che con lei<br />
è possibile solo conversare: “non era possibile toccarla né<br />
baciarla (de la toucher, de l’embrasser) (Balbec 2);<br />
– infine, una Albertine disponibile: “[...] l‘idea che baciare<br />
(embrasser) le guance di Albertine era una cosa possibile<br />
implicava per me un piacere superiore ancora a quello di<br />
baciarle (embrasser). Che differenza (quelle différence), fra il<br />
possedere (posséder) una donna sulla quale – poiché non è<br />
che un pezzo di carne – ad applicarsi è solo il nostro corpo, e il<br />
possedere la fanciulla che scorgevamo sulla spiaggia, accanto<br />
alle sue amiche, in determinati giorni, senza nemmeno sapere<br />
perché proprio in quei giorni e non in altri e ogni volta per<br />
questo, tremando di non rivederla!”<br />
All’indifferenza è seguita la “differenza”: “è per questo che sono<br />
le donne un po’ difficili, quelle che non riusciamo a possedere, che<br />
non sappiamo nemmeno, in principio, se potremo mai possedere,<br />
sono davvero interessanti. Perché conoscerle, avvicinarle,<br />
conquistare, è far variare di forma (faire varier de forme), di<br />
grandezza, di rilievo l’immagine umana [...]. Le donne che<br />
incontriamo per la prima volta da una mezzana non sono<br />
interessanti, perché rimangono invariabili (invariables)”.<br />
Differenza e variazione fanno tutt’uno... “<br />
“[...]. Albertine teneva, strette attorno a sé, le impressioni<br />
(impressions) di tutta una sequenza marittima che mi era
169<br />
particolarmente cara. Sentivo che sulle sue gote avrei baciato<br />
(j’aurais [...] embrassé) l’intera spiaggia di Balbec”.<br />
Siamo così in pieno sogno...<br />
Meglio, in piena realizzazione di un sogno...<br />
Segue la lunga preparazione e la lunga effettuazione del bacio.<br />
Infine: “All’assenza di un tale organo [capace di baciare] supplisce<br />
[l’uomo] con le labbra; e raggiunge così, forse, un risultato un po’ più<br />
soddisfacente che se fosse costretto ad accarezzare l’amata con una<br />
zanna di corno”: evidentemente tutta questa montatura del bacio<br />
come impossibile, in assenza di un organo capace di baciare... sta<br />
ad indicare la novità del bacio che il Narratore sta per poggiare sulle<br />
guance di Albertine.<br />
“Inizialmente, man mano che la mia bocca veniva accostandosi<br />
alle guance che i miei sguardi le avevano proposti di baciare, questi<br />
ultimi, postandosi, scorsero delle guance nuove: il volto, visto da più<br />
vicino e come al microscopio, palesò, nella sua grana grossa, una<br />
robustezza che modificò il carattere del viso”.<br />
Il Narratore ha scoperto, fin dall’inizio, che Albertine ha “un altro<br />
viso: “meglio, aveva finalmente un viso”.<br />
A poco a poco questo volto cambia ulteriormente...<br />
E finisce con lo scomparire: “[...] tutt’a un tratto (tout d’un coup),<br />
ahimè, i miei occhi smisero di vedere, il mio naso, schiacciatosi,<br />
cessò a sua volta di percepire qualunque odore, e da quei segni<br />
detestabili appreso, senza per questo conoscere meglio il sapore del<br />
desiderato color rosa, che stavo infine baciando (j’étais en train<br />
d’embrasser) la guancia di Albertine”.<br />
L’organo non esiste; la vista non soccorre; neanche il tatto;<br />
quando il naso si avvicina per annusare, finito schiacciato contro la<br />
guancia, perde ogni suo potere. Cessa d’essere un naso.<br />
Segue l’abbraccio nel senso più profondo: “Fu, forse, perché<br />
recitavamo (secondo la figura descritta dalla rivoluzione di un solido)<br />
una scena che invertiva (la scène inverse) quella di Balbec, ed ero io<br />
a trovarmi coricato mentre lei, in piedi, poteva schivare un attacco<br />
brutale e dirigere il piacere a modo suo, che Albertine mi lasciò<br />
prendere con tanta facilità ciò che un tempo m’aveva rifiutato con<br />
così severo cipiglio?”<br />
Quanta delusione in questa descrizione! In Dalla parte di<br />
Swann, il Narratore prova di fronte alla reale madame de<br />
Guermantes una delusione che richiama quella di Amiel di Stendhal:<br />
“È questa, è soltanto questa, (c’est cela, ce n’est que cela), Madame<br />
de Guermantes!” (SW, 175; 213)... “‘Possibile? L’amore è solo<br />
questo?’ – si chiedeva Lamiel, stupefatta (Quoi! I’amour ce n’est que
170<br />
ça? se disait Lamiel"étonnée). [...]. Poi scoppiò a ridere, ripetendosi:<br />
‘Ma come! il famoso amore è tutto qui?’ (Puis elle éclata de rire en se<br />
répétant: ‘Comment,"ce fameux amour ce n’est que ça!’). 188 È tutta<br />
qui l’Albertine che desideravo (inevitabile approdo del desiderio<br />
mimetico quando è stato soddisfatto). 189<br />
Ma, nel suo corso, l’esperienza – descritta in lungo e in largo, e<br />
in profondo... – appare come una “sperimentazione”: “Insomma, così<br />
come, a Balbec, Albertine m’era apparsa tante volte diversa<br />
(différente), adesso – come se, accelerando prodigiosamente<br />
(prodigieusement) la rapidità dei mutamenti di prospettiva e dei<br />
mutamenti di colorazione offertici da una stessa persona in una serie<br />
successiva di incontri (dans nos diverses rencontres avec elle),<br />
avessi voluto condensarli tutti in pochi secondi per riprodurre<br />
sperimentalmente (expérimentalment) il fenomeno che diversifica<br />
(diversifie) l’individualità di un essere, traendo l’una dall’altra, come<br />
da un astuccio, tutte le possibilità ch’esso racchiude – durante il<br />
breve tragitto delle mie labbra verso la guancia furono dieci le<br />
Albertine che io vidi; quell’unica fanciulla era una dea dalle molteplici<br />
teste [...]”.<br />
È chiaro: questa esperienza è identica a quelle che, all’inizio<br />
della matinée si susseguiranno in un crescendo prodigioso; anche<br />
qui c’è del “prodigioso”! Per non parlare addirittura del tratto che<br />
rende il Narratore più vicino alla “scoperta”: il titubare non solo tra<br />
due punti esperienziali, uno recente e uno passato, ma tra due punti<br />
dell’esperienza di una medesima persona, tra due suoi volti... La<br />
differenza sta “solo” nel fatto che nel corso della matinée il Narratore<br />
capirà pienamente il meccanismo della memoria involontaria. In<br />
sintesi: capirà che non c’è tempo (passato; non vissuto) che si possa<br />
“ritrovare”; si può solo cogliere la dimensione del “Tempo”; del suo<br />
“immenso” svolgersi (immenso è il desiderio di vivere, immensa<br />
l’aspirazione al piacere, immenso è il tempo; almeno, considerato<br />
dalla cima dei trampoli). Qui non lo capisce; da cui la delusione<br />
(anche se la descrizione fatta dal Narratore è perfetta).<br />
Avviene la presa di possesso della terra “incognita” – che<br />
diventa cognita –; il Narratore protesta ancora il suo disinteresse: il<br />
suo desiderio era “momentaneo e puramente fisico”; ma “un<br />
188 Lamiel, 1838-1842, Gallimard, Paris, 1983, pp. 152-153; tr. it. in Stendhal.<br />
Romanzi e racconti, vol. 3°, Mondadori, Milano, 2008, pp. 1152-1153.<br />
189 “E se l’ipocrisia le chiude la bocca, in fondo al cuore, si dice: ‘Come, il filosofo di<br />
Rembrandt è tutto qui (ce n’est que cela)?’” (1895, Camille Saint-Saëns, pianista,<br />
SA, 383; 324). <strong>Proust</strong> parla in modo critico... a proposito di una donna che non<br />
capisce Rembrandt...
171<br />
cambiamento ancor più sbalorditivo si produsse in lei quella stessa<br />
sera, non appena le mie carezze m’ebbero condotto alla<br />
soddisfazione di cui certo s’avvide e ch’io temetti, anzi, potesse<br />
provocarle il piccolo moto di repulsione, e di pudore offeso, avuto da<br />
Gilberte in un momento analogo, dietro il boschetto di lauri ai<br />
Champs Élysées. Fu esattamente in contrario. Già nel momento in<br />
cui l’avevo fatta sdraiare sul mio letto (je l’avais couchée sur mon lit)<br />
e avevo cominciato ad accarezzarla, Albertine aveva assunto un<br />
atteggiamento che non le conoscevo (que je ne lui connaissais pas),<br />
di buona volontà docile (docile), di semplicità puerile. Cancellando<br />
dal suo volto ogni abituale pretesa o preoccupazione, l’attimo che<br />
precede il piacere – simile, in questo, all’attimo che segue la morte –<br />
aveva, per così dire, restituito ai suoi tratti ringiovaniti l’innocenza<br />
della prima età”...<br />
Seguono alcune pagine...<br />
“Arrivata alla porta, stupita ch’io non l’avessi preceduta<br />
(étonnée que je ne l’eusse pas devancée), mi tese la guancia,<br />
pensando che non ci fosse nessun bisogno d’un grossolano<br />
desiderio fisico, adesso, per baciarci (pour que [...] nous nous<br />
ebrassions). Poiché i brevi rapporti che avevamo avuti erano di quelli<br />
cui talora conducono un’intimità assoluta e una scelta del cuore,<br />
Albertine s’era sentita in dovere d’improvvisare e aggiungere<br />
momentaneamente ai baci (aux baisers) che ci eravamo scambiati<br />
sul mio letto il sentimento di cui essi sarebbero stati il segno per un<br />
cavaliere e la sua dama secondo la concezione d’un menestrello<br />
gotico”.<br />
La situazione si è completamente capovolta: adesso chi<br />
conduce il gioco è il Narratore (Albertine è diventata “docile”); il turno<br />
del desiderante ora tocca a Albertine. La quale se ne va quasi<br />
“cacciata” (étonnée que...)!<br />
Conclusione: “Questo è il terribile inganno dell’amore: che<br />
comincia col farci giocare, anziché con una donna del mondo<br />
esterno, con una sorta di bambola (poupée) interna al nostro cervello<br />
– la sola, d’altronde, che abbiamo sempre a nostra disposizione, la<br />
sola che potremo possedere, e che l’arbitrio del ricordo, poco meno<br />
assoluto di quello della fantasia, può aver resa tanto diversa<br />
(différente) dalla donna reale quanto la Balbec del sogno lo era stata,<br />
per me, dalla Balbec della realtà. Creazione fittizia (création factice)<br />
cui gradualmente, per la nostra sofferenza, costringeremo la donna e<br />
reale ad assomigliare”.<br />
Tremendo.
172<br />
L’incomprensione della strada che porta “alla vera vita”, fa<br />
scadere la “creazione” a “creazione fittizia”.<br />
3) Sodoma e Gomorra: baciare Albertine = baciare la madre<br />
“Aveva [Albertine] un’espressione così dolce, così tristemente<br />
docile, come se aspettasse da me la felicità, che facevo fatica a<br />
trattenermi dal baciare (à ne pas l’embrasser) – dal baciare con lo<br />
stesso tipo di piacere, quasi, che avrei provato baciando mia madre<br />
(à l’embrasser presque avec le même genre de plaisir que j’aurais eu<br />
à embrasser ma mère) – quel volto nuovo (se visage nouveau), che<br />
non somigliava più al musetto sveglio e colorito d’una gatta ribelle e<br />
perversa dal roseo nasino all’insù, fuso nella bontà a larghe colate<br />
appiattite e cadenti” (SG, 831; 59).<br />
“Era da Trieste, da quel mondo sconosciuto (de ce mond<br />
inconnu), in cui sentivo che Albertine era felice, in cui stavano i suoi<br />
ricordi, le sue amicizie, i suoi amori infantili (ses amours d’enfance),<br />
che si sprigionava questa atmosfera ostile, inesplicabile, simile a<br />
quella che saliva un tempo sino alla mia camera di Combray dalla<br />
sala da pranzo dove sentivo conversare e ridere con gli estranei, fra<br />
il rumore delle forchette, la mamma che non sarebbe venuta a darmi<br />
la buonanotte (maman qui ne viendrait pas me dire bonsoir); o a<br />
quella che aveva riempito, per Swann, le case (les maisons) in cui<br />
Odette andava a cercare, la sera, inconcepibili piaceri<br />
(d’inconcevables joies). [...]. Il collo di Albertine, che usciva affatto<br />
libero dalla camicia da notte, era potente, dorato, di grana grossa. Lo<br />
baciai con la stessa purezza con cui avrei baciato mia madre (je<br />
l’embrassai aussi purement que si j’avais embrassé ma mère) per<br />
calmare un dispiacere di fanciullo che credevo, allora, di non poter<br />
mai estirpare dal mio cuore. [...]. Rimasi solo nella camera, nella<br />
stessa camera con soffitto troppo alto dove ero stato infelice il giorno<br />
del primo arrivo, dove avevo pensato con tanta tenerezza a<br />
Mademoiselle de Sternaria, spiato il passaggio di Albertine e delle<br />
sue amiche come quello di uccelli migratori posatisi sulla spiaggia,<br />
dove l’avevo posseduta (possédée) con tanta indifferenza (avec tant<br />
d’indifférence) la volta che avevo mandato il lift a cercarla, dove<br />
avevo conosciuto la bontà della nonna e, poi, avevo preso coscienza<br />
della sua morte (puis appris qu’elle était morte); le imposte, sotto le<br />
quali filtrava la luce del mattino, le avevo aperte la prima volta per<br />
vedere i primi contrafforti del mare (quelle imposte che Albertine mi<br />
faceva chiudere perché non ci vedessero mentre ci baciavamo [pur
173<br />
qu’on ne nous vît pas nous embrasser]). Mi accorgevo (je prenais<br />
conscience) delle mie trasformazioni confrontandole con l’identità<br />
delle cose. Ci si abitua ad esse come alle persone, e, quando di<br />
colpo (tout d’un coup), ricordiamo il significato diverso che hanno<br />
comportato per noi – una volta perduto ogni significato (quand elles<br />
eurent perdu toute signification) – gli avvenimenti, così diversi da<br />
quelli presenti, di cui sono state cornice, la diversità degli atti<br />
compiuti sotto lo stesso soffitto, fra le stesse librerie a vetri, il<br />
cambiamento nel cuore e nella vita che tale diversità implica, ci<br />
sembra ancora accresciuto dalla permanenza immutabile dell’arredo,<br />
rafforzato dall’unità di luogo” (SG, 1121, 1124, 1125-1126; 375, 378,<br />
380-381).<br />
“Quando penso, adesso, che al nostro ritorno da Balbec la mia<br />
amica era venuta ad abitare a Parigi con me, sotto lo stesso tetto,<br />
rinunciando all’idea di recarsi in crociera, e aveva la sua camera a<br />
venti passi dalla mia, in fondo al corridoio (au bout du couloir), nello<br />
studio ornato d’arazzi di mio padre (dans le cabinet à tapisserie de<br />
mon père), e ogni sera, molto tardi, prima di lasciarmi, mi faceva<br />
scivolare in bocca la sua lingua come un pane quotidiano (elle<br />
glissait dans ma bouche sa langue, comme un pain quotidien), [altro<br />
che bacio] come un cibo nutriente e dotato del carattere quasi sacro<br />
(presque sacré) [l’ostia] proprio d’ogni carne cui le sofferenze da noi<br />
patite per causa sua hanno finito col conferire una sorta di dolcezza<br />
morale, ciò che subito viene fatto d’evocare a paragone non è la<br />
notte che il capitano Borodino [83 sgg.] mi permise di passare in<br />
caserma, concedendomi un favore che, in fin dei conti, mi guariva da<br />
un disagio effimero, ma quella in cui mio padre mandò la mamma a<br />
dormire nel lettino accanto al mio (mais celle où mon père envoya<br />
maman dormir dans le petit lit à côté de moi). È così che la vita, se<br />
deve liberarci una volta di più da sofferenze che sembravano<br />
inevitabili, lo fa in condizioni talmente diverse, o addirittura opposte,<br />
che sembra quasi di commettere sacrilegio (sacrilège) constatando<br />
l’identità della grazia (grâce) ricevuta” (P, 10; 390). 190<br />
190 L’intermediario tra il Verbo e la carne è “un état de grâce” che diventa un luogo<br />
possibile: “C’est l’espace-temps de la loi comme expérience imaginaire et,<br />
inversement, l’éxperience de l’imaginaire comme réalité impérative (comme foi) et<br />
cependant constructible (foi relativisée, dérisoire). Ni dans le status corruptionis du<br />
péché sans entendement, ni dans le status integrationis de l’entente conceptuelle<br />
pacifiée, le narrateur imaginaire se maintient dans l’entre-deux du status graciae”<br />
(Kristeva, op. cit., p. 384).
174<br />
Evidente: tutti gli elementi della scena ritornano; il bacio (anche<br />
se è quello di un’amante), il corridoio, l’abdicazione del padre (qui<br />
egli abbandona la sua camera)... 191<br />
4) Il desiderio mimetico attraversa anche la scena primaria.<br />
Come sua parte costitutiva: tout d’un coup nous entendîmes<br />
la cadence régulière d’un appel plaintif<br />
Albertine si è negata; poi si è offerta. Alla fine (ne La<br />
prigioniera) si nega di nuovo... e definitivamente. 192<br />
Prima di richiamare la descrizione di questo terzo atto, come<br />
preliminare dello stesso, illustriamo il lapsus 193 invocato a carico di<br />
Albertine; quello che induce il presentimento della sua scomparsa;<br />
della sua fuga e della sua morte.<br />
Incrociamo qui alcuni temi che riprenderemo (come quello<br />
dell’inconscio)... Quanto ai lapsus ricordate quello anch’esso<br />
straordinario su cui ha scritto Lavagetto (Stanza 43. Un lapsus di<br />
<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Einaudi, 1991): è possibile immaginare che <strong>Proust</strong><br />
l’abbia fatto appositamente, questo lapsus: attribuisce in un primo<br />
191<br />
Albertine = madre = nonna... A Balbec...“[...] mi gettai fra le braccia della nonna<br />
premendo le labbra sul suo viso come se in quel modo accedessi al cuore<br />
immenso che lei mi spalancava. Quando stavo così, con al bocca incollata alle sue<br />
gote, alla sua fronte (ma bouche collée à ses joues, à son front), vi attingevo<br />
qualcosa di tanto benefico, di tanto nutriente (de si nourricier), da poter conservare<br />
l’immobile serietà, l’avidità tranquilla di un bambino che succhia il seno materno<br />
(d’un enfant qui tète)” (OF, 668; 809). “In quei momenti, accostando la morte della<br />
nonna a quella di Albertine, mi sembrava che la mia vita fosse macchiata da un<br />
doppio assassinio che solo la viltà del mondo poteva perdonarmi” (AS, 126; 97).<br />
192<br />
Qualcuno ha detto che, facendola morire, <strong>Proust</strong> l’ha sottratta al nefasto lavoro<br />
del tempo.<br />
193<br />
<strong>Proust</strong> usa la parola lapsus in All’ombra delle fanciulle in fiore (949; 1145). A<br />
proposito dei lapsus, alcuni passaggi: “E dopo uno di quei rallentamenti del<br />
discorso da cui una parola esplode all’improvviso (et après un de ces<br />
ralentissement du débit où tout d’un coup une parole éclate), come contro la<br />
volontà di chi parla, e quasi che un’irresistibile convinzione travolgesse, in lui, gli<br />
sforzi balbettanti che faceva tacere: ‘No, no, mi disse con slancio, vostro padre non<br />
deve presentarsi” (SW, 225; 271-272). “E una volta, avendo affermato in presenza<br />
di lei che Charlus nutriva, in quel momento, un sentimento abbastanza intenso per<br />
una certa persona, vidi, stupefatto, balenare negli occhi della principessa quel<br />
raggio peculiare e istantaneo che traccia nelle pupille una sorta di incrinatura<br />
(comme le sillon d’une fêlure) e che proviene da un pensiero che il nostro discorso<br />
ha involontariamente (nos paroles, à leur insu) sommosso nel nostro interlocutore,<br />
un pensiero segreto destinato a non tradursi in parole, ma a emergere, su dalle<br />
profondità da noi sconvolte, alla superficie momentaneamente alterata (un instant<br />
altérée) dello sguardo” (SG, 714-715; 866-867).
175<br />
momento a Charlus la stanza 43 del postribolo maschile (TR, 480<br />
sgg.); ma, quando, in un secondo momento, ci ripensa, vi si colloca<br />
lui stesso. 194<br />
Preannunciamo che, accanto a tanti sotto-temi ricorrenti – la<br />
finestra, il corridoio, il rumore etc... – qui predomina quello della<br />
“differenza/indifferenza”.<br />
Di questo aspetto che, come vedremo, caratterizza tutta la<br />
psicologia proustiana, anticipiamo questo: il “gioco mimetico” è<br />
sempre in atto e sempre con escalation terribili (angoscianti). Tale<br />
gioco consiste nel mostrarsi “indifferente” all’amata. Questo è<br />
considerato il metodo, l’unico metodo, capace di far accedere al suo<br />
amore. L’inevitabile risultato è che, quando l’amata si concede,<br />
quando diventa “differente” verso di noi, noi diventiamo “indifferenti”<br />
verso di lei...<br />
Solo l’esperienza della matinée – inutilmente vissuta prima: già<br />
ne Dalla parte di Swann etc. – placherà l’escalation.<br />
Abbiamo già incrociato il “perdono”...<br />
“Così, commosso che fosse tanto modesta e si credesse<br />
disprezzata dai Verdurin le dissi teneramente: ‘Ma, mia cara, potete<br />
ben credere che vi darei volentieri qualche centinaio di franchi,<br />
perché andaste a fare la signora chic dove vi piacesse, e offrire un<br />
bel pranzo ai Verdurin. Ahimè! Albertine era parecchie persone. La<br />
più misteriosa, la più semplice, la più atroce si mostrò nella risposta<br />
che mi diede in tono di disgusto e della quale, a dir la verità, non<br />
distinsi bene le parole (anzi le parole dell’inizio, perché non finì la<br />
frase). Una volta che si è capito, si comprende anche<br />
retrospettivamente (rétrospectivement). Grazie tante! Piuttosto di<br />
spendere anche un solo soldo per quei vecchi, preferisco mi lasciate<br />
libera, una volta, di andare a farmi rompere (j’aime bien mieux que<br />
vous me laissiez une fois libre pour que j’aille me fair casser)...’<br />
<strong>Su</strong>bito, di colpo (aussitôt), s’imporporò il viso, assunse<br />
un’espressione desolata, si mise la mano davanti alla bocca come se<br />
avesse potuto farvi rientrare le parole che aveva appena pronunciate<br />
e che io no avevo capite. ‘Cosa state dicendo? Albertine? – No,<br />
niente, ero mezzo addormentata (Non, rien, je m’endormais à<br />
moitié)” (P, 337; 754-755).<br />
Saltiamo un pel pezzo di conversazione (sul presunto lapsus):<br />
“Non smisi di insistere: ‘Insomma, abbiate almeno il coraggio di finire<br />
la frase, siete rimasta a rompere (vous en êtes restée à casser)... –<br />
Oh! No! Lasciatemi stare! – Ma perché? – Perché è terribilmente<br />
194 Dubois ne segnala due che noi non riprendiamo (op. cit., p. 24).
176<br />
volgare, mi vergognerei troppo a dirlo davanti a voi. [...] je rêvais tout<br />
haut” (P, 338; 755).<br />
(All’occhio – o all’udito – acuto risulta subito evidente che il<br />
Narratore sta facendo un vero e proprio lapsus a proposito di un<br />
lapsus presunto: vous en êtes restée à casser? Ma Albertine ha<br />
appena detto: j’aime bien mieux que vous me laissiez une fois libre<br />
pour que j’aille me fair casser!... In ogni caso, un bel pasticcio).<br />
Più avanti: “Ma, mentre lei parlava, proseguiva in me, nel sonno<br />
vivo e creatore dell’inconscio (dans le sommeil fort vivant et créateur<br />
de l’inconscient) (sonno in cui finiscono di incidersi le cose che ci<br />
hanno soltanto sfiorati, in cui le mani addormentate si<br />
impadroniscono della chiave giusta, cercata invano sino a quel<br />
momento), la ricerca di cosa Albertine avesse voluto dire con la frase<br />
interrotta della quale avrei voluto conoscere la fine. E tutt’a un tratto<br />
(tout d’un coup) mi caddero addosso due parole atroci, a cui non<br />
avevo minimamente pensato: ‘Il culo (le pot)’. Non posso dire che<br />
vennero d’un sol colpo (d’un seul coup), come quando, in una lunga<br />
sottomissione passiva a un ricordo incompleto, pur cercando piano<br />
piano, con prudenza, di estenderlo, si rimane piegati, appiccicati ad<br />
esso. No, contrariamente al mio modo abituale di ricordare vi furono,<br />
credo, due vie parallele di ricerca, e una teneva conto non soltanto<br />
della frase di Albertine, ma del suo sguardo esasperato quando le<br />
avevo proposto di regalarle del denaro per dare un bel pranzo, uno<br />
sguardo che sembrava dire: ‘Grazie, spendere del denaro per delle<br />
cose che mi annoiano quando senza denaro ne potrei fare che mi<br />
divertono!’ E fu, forse, il ricordo di quel suo sguardo a farmi cambiare<br />
metodo per trovare la fine di ciò che Albertine aveva voluto dire. Sino<br />
a quel momento mi ero lasciato ipnotizzare dall’ultima parola.<br />
‘rompere (casser)’; rompere che cosa? Che cosa aveva voluto dire?<br />
Rompere il muso (du bois)? No. Le scatole (du sucre)? No.<br />
Rompere, rompere, rompere (casser, casser, casser). E, di colpo<br />
(tout à coup), il ritorno allo sguardo accompagnato da un’alzata di<br />
spalle (le retour au regard avec haussement d’épaules), con cui<br />
Albertine aveva reagito alla mia proposta di dare un pranzo, mi fece<br />
retrocedere (me fit rétrograder) in modo analogo anche nelle parole<br />
della sua frase (aussi dans les mots de sa phrase). E così vidi che<br />
non aveva detto ‘rompere (casser)’ ma ‘farmi rompere (me faire<br />
casser)’. Orrore! Era questo che Albertine avrebbe preferito. Doppio<br />
orrore! Perché nemmeno l’ultima delle puttane, che vi consenta o lo<br />
desideri, usa con l’uomo che vi si accinge questa schifosa<br />
espressione. Se ne sentirebbe avvilita. Solo con una donna, se ama<br />
le donne, può dire così senza scusarsi se, fra poco, si darà a un
177<br />
uomo. Albertine aveva mentito dicendomi che stava mezzo<br />
sognando. Distratta, impulsiva, non pensando che era con me, aveva<br />
alzato le spalle, s’era messa a parlare come avrebbe fatto con una di<br />
quelle donne, con, forse, una delle mie fanciulle in fiore. E<br />
bruscamente richiamata alla realtà, rossa di vergogna, ricacciandosi<br />
in gola quel che stava per dire, disperata, non aveva più voluto<br />
pronunciare una sola parola!” (P, 339-340; 756-757)<br />
Divertente questa interpretazione d’un lapsus (presunto perché<br />
mai si saprà se Albertine era o non era una donna a cui piacevano le<br />
donne). <strong>Proust</strong> parla di “ricerca inconscia” in Tadié (P, 843); 195 in<br />
Clarac e Ferré “scoperta (découverte)” (P, 340). E, come abbiamo<br />
visto, adotta l’atteggiamento tipicamente abduttivo di Peirce: si ritrae<br />
così come Albertine si è ritratta (alzando le spalle)... nel tentativo di<br />
recuperare le parole non dette quasi andandole a cercare in cima a<br />
un gesto sintomatico...<br />
Il Narratore propone una rottura; abbastanza interessante: “[...]<br />
vi chiedo, per abbreviare il grande dolore che proverò, di dirmi addio<br />
questa sera (de me dire adieu ce soir) e di andarvene domattina<br />
senza ch’io vi riveda, mentre starò dormendo (pendant que je<br />
dormirais)’” (P, 341; 759).<br />
<strong>Proust</strong> insiste. Il Narratore vuole abbandonare Albertine ma<br />
vuole anche tenersela presso di sé.<br />
Qui risulta chiaro, meglio forse che altrove, che il gioco<br />
mimetico attraversa il terreno dei lapsus ma anche quello del<br />
baiser/embrasser etc. dimostrandosi il problema centrale:<br />
evidentemente, come abbiamo già avuto modo di precisare, il tema<br />
centrale è il conflitto a-categoriale/categoriale; abbiamo già cercato di<br />
dimostrare in Edipo. Un innocente che la rimozione è rimozione<br />
dell’acategoriale; in <strong>Proust</strong>, l’acategoriale (il tempo perduto) – come<br />
in Kafka, ma con un’approssimazione se possibile maggiore – viene<br />
immesso nel categoriale (il tempo ritrovato).<br />
Questo l’approdo dei nostri Appunti. L’approdo della rilettura –<br />
La scena-madre – è che l’apice della Recherche si ha solo in cima ai<br />
trampoli, in cima ai campanili di Martinville (non di fronte ad essi). Si<br />
ha, cioè, in una sorta di ritorno al non-categoriale. Una volta<br />
raggiunto il luogo-non luogo in cui, in un categoriale perfetto, si è,<br />
195 Tadié, nel suo Le lac inconnu, annota: “ce n’est pas une éxpression employée<br />
par les femmes: <strong>Proust</strong> révèle ici que son personnage est un travesti, que sa<br />
femme est un homme. Albertine es un homme comme Charlus est une femme<br />
(‘C’es était une!’)”; e ancora: “Albertine trahit ainsi des habitudes sodomites, à<br />
moins que, par inadvertance, <strong>Proust</strong>, employant un lexique masculin, n’ait oublié<br />
qu’il ne s’agissait plus d’Agostinelli” (Gallimard, Paris, 2012, pp. 66, 148).
178<br />
infine, in grado di compiere l’opera (quest’opera la si può compiere<br />
solo di notte).<br />
Ma veniamo al lapsus etc.: “Se Albertine, dal canto suo, avesse<br />
voluto giudicare quel che provavo da quel che le dicevo, avrebbe<br />
infatti appreso esattamente il contrario della verità (exactement le<br />
contraire de la vérité), visto che manifestavo il desiderio di lasciarla<br />
unicamente quando non potevo fare a meno di lei, e a Balbec le<br />
avevo confessato due volte di amare un’altra donna – una volta<br />
Andrée, un’altra volta una persona misteriosa –, proprio le due volte<br />
in cui la gelosia aveva riacceso il mio amore per Albertine. Le mie<br />
parole non riflettevano dunque in alcun modo i miei sentimenti. Se il<br />
lettore ne ha un’impressione alquanto debole e proprio perché, in<br />
quanto narratore (c’est qu’étant narrateur), io gli espongo i miei<br />
sentimenti nello stesso momento in cui gli ripeto le mie parole. Ma se<br />
gli nascondessi i primi e lui conoscesse soltanto le seconde, i miei<br />
atti, così poco in rapporto con esse, gli darebbero spesso<br />
l’impressione di mutamenti improvvisi da fargli credere ch’io sia<br />
pressoché folle (à peu près fou). Tale procedimento non sarebbe, del<br />
resto, molto più falso di quello che ho adottato, perché le immagini<br />
che mi facevamo agire, così opposte a quelle dipinte dalle mie<br />
parole, erano in quel momento molto oscure: non conoscevo che<br />
imperfettamente la natura secondo la quale agivo; oggi ne conosco<br />
chiaramente la verità soggettiva. Quanto a quella oggettiva, vale a<br />
dire se le intuizioni di tale natura cogliessero le vere intenzioni di<br />
Albertine più esattamente del mio ragionamento, se io abbia avuto<br />
ragione a fidarmene e se essa, anziché individuare le intenzioni di<br />
Albertine, non le abbia invece alterate, è qualcosa che mi riesce<br />
difficile dire” (P, 347; 765).<br />
“Sapevo che non poteva lasciarmi senza avvertirmi; d’altronde<br />
non poteva né desiderarlo (otto giorni dopo doveva provare le nuove<br />
vesti di Fortuny) né farlo decentemente, visto che mia madre tornava<br />
quella fine della settimana e sua zia lo stesso. Perché, se era<br />
impossibile che se ne andasse, le dissi a più riprese che il giorno<br />
dopo saremmo usciti insieme per andare a vedere i vetri di Venezia<br />
che volevo regalarle, e perché fui sollevato sentendole dire che era<br />
d’accordo? Quando venne a darmi la buonanotte (dire bonsoir) e la<br />
baciai (je l’embrassai), non fece come al solito; si voltò, e – non<br />
erano passati che pochi istanti dal momento in cui avevo pensato<br />
com’era dolce che mi desse tutte le sere ciò che aveva rifiutato<br />
(qu’elle me donnât tous les soirs ce qu’elle m’avait refusé) a Balbec –<br />
non mi restituì il bacio (elle ne me rendit pas son baiser). [...]. La<br />
baciai (je l’ambrassai) una seconda volta, stringendomi contro il
179<br />
cuore l’azzurro scintillante e dorato del Canal Grande e gli uccelli<br />
accoppiati, simboli di morte e di resurrezione. Ma una seconda volta,<br />
anziché restituirmi il bacio (au lieu de me rendre mon baiser), lei si<br />
scostò, con quella specie di ostinazione istintiva e nefasta degli<br />
animali che sentono la morte. [...]. Mi parve comunque che averla<br />
tutta in bianco, con il collo nudo, davanti a me, così come (comme)<br />
l’avevo vista a Balbec nel suo letto, mi avrebbe dato abbastanza<br />
audacia perché lei fosse costretta a cedere. [...]. Ad un tratto<br />
sentimmo la cadenza regolare d’un appello lamentoso (tout d’un<br />
coup nous entendîmes la cadence régulière d’un appel plaintif).<br />
Erano i piccioni che cominciavano a tubare (roucouler). [...]. La<br />
somiglianza fra il loro tubare e il canto del gallo (chant du coq) era<br />
profonda e oscura come nel Settimino di Venteuil, la somiglianza del<br />
tema dell’adagio, costruito sullo stesso tema-chiave del primo e<br />
dell’ultimo brano, ma talmente trasformato dalle differenze di tonalità,<br />
di tempo etc. che il pubblico profano, se apre un saggio su Venteuil,<br />
si stupisce vedendo che sono costruiti tutt’e tre sulle stesse quattro<br />
note, quattro note che, d’altronde, si possono suonare (jouer) con un<br />
dito al pianoforte senza ritrovare nessuno dei tre brani. Allo stesso<br />
modo, quel pezzo melanconico eseguito dai piccioni era una sorta di<br />
canto del gallo in minore [tonalità triste se non mortifera; vedi W.A.<br />
Mozart: concerto per pianoforte e orchestra K 491 in do minore di<br />
Giorgio Pagannone, Carocci, Roma, 2006], che non s’elevava al<br />
cielo, non s’innalzava verticalmente, ma regolare come il raglio d’un<br />
asino (comme le braiment d’un âne), avvolto di dolcezza, andava da<br />
un piccione all’altro su una stessa linea orizzontale e mai si<br />
raddrizzava (et jamais ne se redressait), mai mutava il suo lamento<br />
laterale in quell’appello gioioso (en ce joyeux appel) lanciato tante<br />
volte dall’allegro dell’introduzione e dal finale. So che pronunciai<br />
allora la parola ‘mort’, come se Albertine stesse per morire. [...].<br />
Quando vidi che Albertine non prendeva l’iniziativa di baciarmi (elle<br />
ne m’embrassait pas), e rendendomi conto che era tutto tempo perso<br />
e che solo a partire dal bacio (à partir du baiser) sarebbero<br />
cominciati i minuti pacificanti (calmantes) e veri, le dissi: ‘Buonanotte<br />
(bonsoir), è troppo tardi’, perché così lei mi avrebbe baciato e poi<br />
saremmo andati avanti. Ma dopo avermi detto: ‘Buonanotte<br />
(bonsoir), cercate di dormire bene’, esattamente come le prime due<br />
volte lei si limitò a un bacio sulla guancia (baiser sur ma joue).<br />
Stavolta non osai richiamarla. Ma il cuore mi batteva così forte che<br />
non potei rimettermi disteso. Come un uccello che si sposta dall’una<br />
estremità all’altra della sua gabbia, passavo senza posa dalla<br />
preoccupazione che Albertine potesse andar via a una calma
180<br />
relativa. [Albertine se ne va]. D’improvviso (tout à coup), nel silenzio<br />
della notte, fui colpito da un rumore (bruit) in apparenza insignificante<br />
che mi riempì di terrore, il rumore della finestra (le bruit de la fenêtre)<br />
di Albertine che si apriva violentemente. [...]. Inoltre, il rumore (bruit)<br />
era stato violento, quasi sgarbato (violent, presque mal élevé), come<br />
se avesse aperto rossa di collera e dicendo: ‘Questa vita mi soffoca,<br />
basta, ho bisogno d’aria!’. Non mi dissi esattamente queste cose, ma<br />
continuai a pensare a quel rumore (bruit) della finestra aperta da<br />
Albertine come a un presagio più misterioso e più funebre d’un grido<br />
di civetta. In preda a un’agitazione (agitation) come non ne avevo più<br />
avute, forse, dalla sera di Combray quando Swann aveva pranzato a<br />
casa nostra, andai avanti e indietro tutta la notte per il corridoio<br />
(couloir), sperando, col rumore che facevo, di attirare l’attenzione di<br />
Albertine, che avrebbe avuto pietà di me e mi avrebbe chiamato; ma<br />
dalla sua camera non sentivo venire alcun rumore (aucun bruit). A<br />
Combray avevo chiesto a mia madre di venire. Ma con mia madre<br />
temevo la sua collera e basta, sapevo di non diminuire il suo affetto<br />
esprimendole il mio. Per questo ho tardato a chiamare Albertine. A<br />
poco a poco sentii che era troppo tardi” (P, 399-403; 820-825).<br />
Il giorno dopo, e il successivo... “Ma lei, la sera, aveva<br />
continuato a baciarmi in quel modo (à m’embrasser de la même<br />
manière), che mi rendeva furioso. [...]. E così, non avendo più da lei<br />
le soddisfazioni carnali (le satisfactions charnelles) alle quali tenevo<br />
[...]” (P, 404; 826).<br />
Albertine se ne va: “E quando, così, non ci fosse nessun<br />
inconveniente riguardo alla partenza, scegliere una giornata di bel<br />
tempo come questa – ce ne sarebbero state tante – in cui Albertine<br />
mi fosse indifferente (indifférente), e io fossi tentato da mille desideri;<br />
avrei dovuto lasciarla uscire senza vederla e poi alzarmi, prepararmi<br />
in fretta, lasciarle due righe, approfittando del fatto che, poiché in<br />
quel periodo non avrebbe potuto andare in nessun luogo che mi<br />
mettesse in agitazione. Mi sarebbe stato possibile, durante il viaggio,<br />
non raffigurarmi le cattive azioni che avrebbe potuto compiere, e che<br />
in quel momento, del resto, mi erano del tutto indifferenti (bien<br />
indifférentes); e, senza averla rivista, partire per Venezia. <strong>Su</strong>onai (je<br />
sonnais) per Françoise perché andasse a comprarmi una guida e un<br />
orario ferroviario, come avevo fatto da bambino (comme j’avais fait<br />
enfant) [...]. Françoise, che aveva sentito la mia scampanellata (coup<br />
de sonnette), entrò [...]” (P, 414; 837).<br />
Albertine se n’è andata. 196<br />
196 Più avanti, ad ulteriore testimonianza del desiderio mimetico: “E tuttavia, forse,<br />
se fossi stato interamente fedele, non avrei sofferto di infedeltà che non sarei
181<br />
5) Il Narratore è figlio, fratello, amante... ma anche madre<br />
Cito alcuni passi dalla Prigioniera che precedono l’episodio<br />
appena ricordato. E danno la conferma che “in nuce” l‘opera è<br />
contenuta già nel suo inizio; figuriamoci in quello che è il suo<br />
massimo sviluppo (la storia con Albertine). 197<br />
C’è una sorta di auto-analisi del Narratore; profonda, acuta.<br />
Una collezione di tutti gli elementi della scena-madre in una<br />
prospettiva che va mutando... Infatti, si ha la netta impressione che<br />
già ora, nel mezzo della messa in schiavitù di Albertine e di se<br />
stesso, il Narratore abbia colto l’essenziale: “E il sonno di Albertine<br />
era, in effetti, quello d’un bambino. [...]. Mi meravigliavo – come una<br />
madre, ancora (comme une mère encore)”.<br />
Il narratore è diventato madre, da bambino angosciato per<br />
l’assenza della madre, dei suoi baci...<br />
<strong>Su</strong>perando quell’angoscia che annulla ogni “divisione”, che fa<br />
tutt’uno di madre, sorella, figlia, amante...<br />
Qua e là il Narratore è ancora lui; ma solo perché non è ancora<br />
albeggiata la matinèe.<br />
Leggete queste pagine che richiamo solo a brandelli; e che<br />
danno un’ulteriore conferma del fatto che l’opera è compiuta fin dal<br />
suo inizio; le manca solo quello che si chiama: “tirare le<br />
conseguenze”.<br />
“Se, un tempo, m’ero esaltato credendo di scorgere del mistero<br />
negli occhi di Albertine, adesso ero felice solo nei momenti in cui da<br />
quegli occhi, persino da quelle guance capaci di riflettere come occhi,<br />
a volte così dolci ma subito imbronciate, riuscivo a eliminare ogni<br />
riuscito a concepire. Mentre ciò che mi torturava immaginare in Albertine era il mio<br />
perpetuo desiderio di piacere a nuove donne, di iniziare nuovi romanzi; era<br />
attribuirle uno sguardo ch’io stesso il giorno prima, non avevo potuto, nemmeno al<br />
suo fianco, impedirmi di gettare sulle giovani cicliste sedute ai tavoli del Bois de<br />
Boulogne” (P, 806).<br />
197 Ad esempio, all’inizio del Contro Saint-Beuve incontriamo – e siamo nel periodo<br />
che va dal 1905 al 1909 – quasi tutti gli episodi di memoria involontari. Mutatis<br />
mutandis. Ad esempio, la madeleine – che, in quanto conquille Saint-Jacques,<br />
porta con sé una quantità straripante di richiami – è qui rappresentata da “pane<br />
abbrustolito (pain grillé)” (CSB, 211-212; 6-7). Se consideriamo, invece, la<br />
Recherche, dal pain grillé si passa alla madeleine; che però, prima, si chiama<br />
biscotte. Nei folios 2 r°-10 r° del Cahier 25 si trova una nuova versione del testo<br />
sulla memoria involontaria, rifatta rispetto al Cahier 8, ed è qui che la biscotte si<br />
trasforma in una petite madeleine... (vedi Introduzione a Du coté de chez Swann,<br />
ed. Tadiè, vol. I, p.1068).
182<br />
mistero. L’immagine che ricercavo, nella quale mi riposavo (je me<br />
reposais), attaccato alla quale avrei voluto morire (contre laquelle<br />
j’aurais voulu mourir), non era più di un’Albertine dal passato<br />
sconosciuto, ma anzi di un’Albertine che conoscessi il più possibile<br />
(ed è per questo che il mio amore poteva essere duraturo solo a<br />
patto di restare infelice, giacché, per definizione, non soddisfaceva il<br />
bisogno di mistero), di un’Albertine che non riflettesse un mondo<br />
lontano ma desiderasse unicamente – e, in effetti, c’erano dei<br />
momenti in cui sembrava che fosse così – di starmi accanto, in tutto<br />
simile a me (toute pareille à moi), immagine di ciò che precisamente<br />
era mio e non dell’ignoto (de ce qui précisement était mien et non de<br />
l’inconnu). Quando è così – da un’ora d’angoscia concernente una<br />
persona, dall’incertezza se riusciremo a tenerla con noi o invece ci<br />
sfuggirà – che un amore è nato, questo amore porta con sé il<br />
marchio della rivoluzione che l’ha creato. Ricorda ben poco quel che<br />
prima d’allora avevamo visto pensando a quella stessa persona. E le<br />
mie prime impressioni (premières impressions) di fronte ad Albertine<br />
sulla riva del mare potevano in minima parte sussistere nel mio<br />
amore per lei; in realtà, tali impressioni anteriori non occupano che<br />
pochissimo spazio in un amore del genere (ces impressions<br />
antérieures ne tiennent qu’une petite place dans un amour de ce<br />
genre), nella sua forza, nella sua sofferenza, nel suo bisogno di<br />
dolcezza, nel suo aspirare a un ricordo pacifico (paisible), pacificante<br />
(apaisant) in cui ci si vorrebbe rifugiare senza scoprire più niente di<br />
colei che si ama (ne plus rien apprendre de celle qu’on aime),<br />
nemmeno se vi fosse qualcosa di odioso da sapere (même s’il y<br />
avait quelque chose d’odieux à savoir); – persino se conserva le<br />
impressioni anteriori (même en conservant les impressions<br />
antérieurs), un tale amore è fatto di ben altra materia! A volte<br />
spegnevo la luce prima che lei entrasse. E nel buio, guidata dalla<br />
luce d’un tizzone, Albertine si sdraiava accanto a me (se couchait à<br />
mon côté). Solo le mie mani, le mie gote riconoscevano, mentre i<br />
miei occhi – i miei occhi che tante volte temevano di trovarla mutata<br />
– non la vedevano. E così, col favore di questo amore cieco, lei si<br />
sentiva più del solito, forse, sommersa dalla tenerezza. Mi spogliavo,<br />
mi coricavo e – Albertine seduta su un angolo del letto (assise sur un<br />
coin du mon lit) – riprendevamo la partita o la conversazione<br />
interrotta dai baci (baisers); e tale, nel desiderio che solo ci fa<br />
provare interesse per l’esistenza e il carattere di una persona, è la<br />
fedeltà che serbiamo alla nostra natura, mentre abbandoniamo via<br />
via le varie creature successivamente da noi amate (nous<br />
abbandonons successivement les différents être aimés tour à tour
183<br />
par nous), che una volta, scorgendomi nello specchio nel momento<br />
in cui baciavo (au moment où j’embrassais) Albertine, chiamandola<br />
‘bambina mia’, l’espressione triste e appassionata del mio viso,<br />
simile a quello ch’esso avrebbe avuto accanto a Gilberte, di cui non<br />
mi ricordavo più, e a quella che forse avrebbe avuto un giorno<br />
Albertine, mi fece pensare che al di sopra d’ogni considerazione<br />
concernente la persona (giacché l’istinto vuole che consideriamo<br />
l’attuale come l’unica vera) io assolvevo ai dovere d’una devozione<br />
ardente e dolorosa rivolta come un’offerta (offrande) alla giovinezza e<br />
alla bellezza femminili. E tuttavia, a questo desiderio dedicato come<br />
‘ex voto’ alla giovinezza, e ai ricordi stessi di Balbec, nel bisogno<br />
ch’io avevo di tenere così Albertine ogni sera accanto a me (tous les<br />
soirs [...] auprès de moi) si mischiava qualcos’altro, qualcosa ch’era<br />
stato sino allora estraneo alla mia vita amorosa pur non essendo del<br />
tutto nuovo nella mia vita (qui avait été étranger jusq’ici à ma vie, au<br />
moins amoureuse, s’il n’était pas entièrement nouveau dans ma vie).<br />
Era un senso di pacificazione (apaisement) quale, non avevo più<br />
provato dalle lontane sere di Combray in cui mia madre, chinandosi<br />
sul mio letto, mi portava un bacio di riposo (le repos dans un baiser).<br />
Certo, mi sarei molto stupito, a quel tempo, se m’avessero detto che<br />
non ero poi così buono, e, soprattutto, che avrei mai cercato di<br />
privare qualcuno d’un piacere. È probabilmente che, allora, mi<br />
conoscessi molto male, visto che il mio piacere d’avere Albertine<br />
fissa in casa mia non era tanto un piacere positivo, quanto quello<br />
d’aver ritirato dal mondo, dove ciascuno poteva a sua volta goderne,<br />
la fanciulla in fiore che così, se non mi dava grandi gioie, almeno ne<br />
privava gli altri. L’ambizione, la gloria mi avrebbero lasciato<br />
indifferente. Tanto più ero incapace di provare dell’odio. Eppure,<br />
amare carnalmente voleva dire, per me, godere d’un trionfo su tanti<br />
concorrenti. Non lo ripeterò mai abbastanza: era, più d’ogni altra<br />
cosa, una pacificazione (c’était un apaisement plus que tout)” [...].<br />
Ciò non toglie che, sul finire del pomeriggio, io fossi felice<br />
dell’approssimarsi dell’ora in cui avrei potuto chiedere alla presenza<br />
di Albertine la pace (apaisement) della quale avevo bisogno.<br />
Disgraziatamente, fu una di quelle sere che non portavano calma<br />
(apaisement), e in cui il bacio (baiser) datomi da Albertine al<br />
momento di lasciarmi, affatto diverso dal bacio abituale (bien<br />
différent du baiser habituel), non mi avrebbe procurato più tranquillità<br />
di quanta me ne procurasse un tempo il bacio (baiser) di mia madre i<br />
giorni in cui era arrabbiata e io sentivo, pur non osandolo richiamarla,<br />
che non sarei riuscito a prender sonno. [...]. Non era più la calma<br />
(apaisement) del bacio (du baiser) di mia madre a Combray ciò che
184<br />
provavo in quelle sere accanto (auprès) ad Albertine, ma, al<br />
contrario, l’angoscia di quando mia madre mi diceva a malapena<br />
buonasera (à peine bonsoir) o, addirittura, non saliva affatto in<br />
camera mia, perché era arrabbiata con me o perché qualche ospite<br />
la tratteneva. Quell’angoscia – non la sua trasposizione nell’amore –<br />
no, proprio quella stessa angoscia, che un tempo s’era specializzata<br />
(spécialisée) nell’amore e che, una volta operatasi la spartizione, la<br />
divisione delle passioni, gli era stata assegnata in modo esclusivo,<br />
adesso sembrava nuovamente estesa a tutte, ridiventata indivisa<br />
com’era nell’infanzia (semblait à nouveau étendue à toutes,<br />
redevenue indivise, de même que dans mon enfance), quasi che tutti<br />
i miei sentimenti, tremando (qui tremblaient) 198 di non poter<br />
trattenere Albertine accanto al mio letto (auprès de mon lit), come<br />
un’amante e al tempo stesso come una sorella, come una figlia,<br />
financo come una madre (à la fois comme une maîtresse, comme<br />
une sœur, comme une fille, comme une mère aussi) della cui<br />
buonanotte quotidiana ricominciavo a provare il puerile bisogno,<br />
avessero preso ad assomigliarsi, a unificarsi nella prematura sera<br />
della mia vita (dans le soir prématuré de ma vie), che sembrava<br />
dover essere non meno breve d’un giorno d’inverno (qui semblait<br />
devoir être aussi brève qu’un jour d’hiver). Ma, pur provando la<br />
stessa angoscia della mia infanzia, il mutamento dell’essere per il<br />
quale la provavo, la diversità del sentimento ch’esso mi ispirava, la<br />
trasformazione stessa del mio carattere mi rendevano impossibile<br />
pretendere la pacificazione (da Albertine come allora da mia madre<br />
(le changement de l’être qui me la faisait éprouver, la différence de<br />
sentiment qu’il m’inspirait, la transformation même de mon caractère,<br />
me rendaient impossible d’en réclamer l’apaisement). [...]. Ogni<br />
minuto mi avvicinava al saluto serale (du bonsoir) che Albertine, alla<br />
fine, mi dava. Ma quella sera il suo bacio (baiser), dal quale lei era<br />
assente e che non riusciva ad incontrarmi, mi lasciava talmente<br />
ansioso che – mentre, col cuore palpitante, la guardavo raggiungere<br />
la porta – pensavo: ‘Se voglio trovare un pretesto per richiamarla,<br />
trattenerla, fare la pace (faire la paix), devo affrettarmi, non ha più<br />
che qualche passo da fare per esser fuori della stanza, soltanto due,<br />
soltanto uno, sta girando la maniglia, apre, è troppo tardi, ha richiuso<br />
la porta!’ Forse non troppo tardi, tuttavia. Come un tempo (comme<br />
jadis) a Combray, quando mia madre mi lasciava senza avermi<br />
calmato con il suo bacio (sans m’avoir calmé par son baiser), volevo<br />
slanciarmi sui passi di Albertine, sentivo che non avrei avuto pace<br />
198 Vedi il tremare, il tremito... fondamentali in Kafka; parole-chiave.
185<br />
(paix) finché non l’avessi rivista, che rivederla stava per diventare<br />
qualcosa di immenso come non era ancora mai stato (que se revoir<br />
allait devenir quelque chose d’immense qu’il n’avait pas encore été<br />
jusqu’ici), e che se non fossi riuscito a sbarazzarmi da solo di quella<br />
tristezza avrei forse preso la vergognosa abitudine d’andare a<br />
mendicare dalla mia amica; saltavo fuori dal letto quando Albertine<br />
era già in camera sua, passavo e ripassavo lungo il corridoio (dans le<br />
couloir) nella speranza che lei uscisse e mi chiamasse; rimanevo<br />
immobile davanti alla sua porta per non rischiare di lasciarmi sfuggire<br />
un suo sommesso richiamo; tornavo per un istante nella mia camera<br />
e vedere se, per un caso fortunato, non vi avesse dimenticato un<br />
fazzoletto [...]. Qualche volta, in sere come quella, ricorsi a uno<br />
stratagemma (ruse) che mi assicurava il bacio (qui me donnait le<br />
baiser) di Albertine. Sapendo quanto, una volta coricata, il suo<br />
addormentarsi fosse rapido (e lo sapeva anche lei se istintivamente,<br />
non appena si stendeva, si toglieva le pantofole che le avevo<br />
regalate e l’anello, posandolo accanto a sé come faceva in camera<br />
sua prima di mettersi a letto), e sapendo quanto il suo sonno fosse<br />
profondo e tenero il risveglio, mi allontanavo col pretesto d’andare a<br />
cercare qualcosa e la facevo stendere sul mio letto (je la faisais<br />
étendre sur mon lit). Quando tornavo, s’era addormentata (elle était<br />
endormie), e io mi trovavo davanti quest’altra donna ch’ella diventava<br />
(cette autre femme qu’elle devenait) quando la si vedeva di fronte.<br />
Ma ben presto la sua personalità cambiava, perché mi sdraiavo al<br />
suo fianco (je m’allogeais à côté d’elle) e trovavo il suo profilo.<br />
Potevo mettere la mano nella sua, sulla sua spalla, sulla sua<br />
guancia: Albertine continuava a dormire. Potevo prenderle la testa,<br />
rovesciarla, accostarla alle mie labbra, farle circondare il mio collo<br />
con le braccia: lei continuava a dormire come un orologio che non si<br />
ferma, come un animale che continua a vivere in qualunque<br />
posizione lo si metta, come una pianta rampicante, un convolvolo<br />
che continua a protendere i suoi rami qualunque appoggio gli si dia.<br />
[...]. Il suo sonno, d’altronde, non l’allontanava da me, e lasciava<br />
sussistere in lei la nozione della nostra tenerezza; aveva anzi l’effetto<br />
di abolire tutto il resto; la baciavo (je l’embrassais), le dicevo che<br />
uscivo a fare due passi e lei, socchiudendo gli occhi, mi diceva<br />
stupita (e, in effetti, era già notte): ‘Ma dove vai a quest’ora, caro?’<br />
(aggiungendo a ‘caro’ il mio nome), e subito si riaddormentava. Il suo<br />
sonno non era che una sorta di cancellazione del resto della vita, un<br />
silenzio uniforme da cui spiccavano di tanto in tanto solo parole<br />
familiari di tenerezza. Avvicinandole l’una all’altra, si sarebbe<br />
composta la conversazione incorrotta (sans alliage), l’intimità segreta
186<br />
d’un puro amore (d’un pur amour). Quel sonno così calmo (si calme)<br />
mi estasiava come estasia una madre (comme ravît une mère), che<br />
lo considera una qualità, il buon sonno del bambino (le bon sommeil<br />
de son enfant). E il sonno di Albertine era, in effetti, quello d’un<br />
bambino (et son sommeil était d’un enfant, en effet). E anche il suo<br />
risveglio, talmente naturale, talmente dolce, prima ancora che si<br />
rendesse conto di dov’era, che mi chiedevo a volte con spavento se,<br />
prima di vivere con me, non fosse tata abituata a non dormire sola, a<br />
trovarsi accanto qualcuno quando riapriva gli occhi. Ma la sua grazia<br />
infantile era più forte. Mi meravigliavo – come una madre, ancora<br />
(comme une mère encore) – [...]” (P, 75-77, 87, 111-115; 462-464,<br />
475, 502-506).<br />
6) Da Albertine scomparsa<br />
Citiamo, un po’ alla rinfusa, da Albertine scomparsa.<br />
Avendo già dettagliato la prima e l’ultima edizione della scenamadre,<br />
dopo aver illustrato alcune tappe significative, qui diamo un<br />
elenco delle numerose ricorrenze dei suoi elementi costitutivi; ma<br />
senza commentare. L’unico commento, come dire, cumulativo può<br />
essere il seguente: la scena-madre domina tutta la Recherche. E,<br />
anche quando essa non è rievocata con l’inserto di modulazioni<br />
decisive, i suoi elementi costituivi sono sparsi dappertutto.<br />
Come dire: chi non è interessato, può concludere qui la<br />
lettura.<br />
“Questa seconda ipotesi non era quella dell’intelligenza, e il<br />
timor panico che avevo provato la sera in cui Albertine non m’aveva<br />
baciato (pas embrassé), la notte in cui avevo sentito il rumore della<br />
finestra (le bruit de la fenêtre), questo timore non era ragionato” (AS,<br />
423; 10) + “Quando mi era lontano, adesso, il desiderio di Venezia!<br />
Come un tempo a Combray quello di conoscere Madame de<br />
Guermantes quando veniva l’ora in cui non tenevo più che a un’unica<br />
cosa, avere la mamma in camera mia (avoir maman dans ma<br />
chambre). Ed erano proprio, in effetti, tutte queste inquietudini che,<br />
richiamate dalla nuova angoscia, erano accorse a rafforzarla, ad<br />
amalgamarsi con essa in una massa omogenea che mi soffocava”<br />
(AS, 424; 11-12) + “[...] e non ho detto [...] che dal giorno in cui<br />
aveva smesso di baciarmi (avait cessé de m’embrasser) Albertine<br />
era stata l’immagine stessa della scontentezza, tutta rigida, impalata,<br />
con una voce triste nelle cose più semplici, lenta nei movimenti,<br />
senza più un sorriso” (AS, 427; 14-15) + “[...] vivere senza di lei [...]
187<br />
passare davanti alla porta della sua camera [...] sapendo che lei non<br />
c’era, coricarmi senza averle dato la buonanotte (sans lui avoir dit<br />
bonsoir), ecco [...]” (AS, 448; 41) + “Dismisi ogni fierezza nei<br />
confronti di Albertine, le mandai un telegramma [...] che chiedevo<br />
solo di baciarla (l’embrasser) per un istante tre volte alla settimana<br />
prima che andasse a dormire. [...]. Poiché avevo bisogno della sua<br />
presenza, dei suoi baci (de ses baisers). [...]. Anche quando lei<br />
usciva, quando ero solo, continuavo a baciarla (je l’embrassais<br />
encore). [...]. Istintivamente mi passai una mano sul collo, sulle<br />
labbra, che si sentivano baciati (embrassés) da lei da quando era<br />
partita e che non lo sarebbero stati mai più; vi passai una mano così<br />
come la mamma, quando era morta la nonna, mi aveva accarezzato<br />
dicendomi: ‘Povero piccino, la nonna che ti voleva tanto bene non ti<br />
bacerà più (ne t’embrassera plus)” (AS, 476-477; 72-73) + “[...] a<br />
me che ricevevo così teneri baci (embrassait alors si tendrement) da<br />
colei che adesso era morta” (AS, 480; 77) + baci = baisers 2 vv. (AS,<br />
482; 80) + “Cercavo di baciare (embrasser) l’immagine di Albertine<br />
[...] io l’avevo baciata (embrassée) per la prima volta [...]” (494; 94) +<br />
“Avevo anche voluto persuadermi che i nostri rapporti fossero<br />
l’amore, che praticassimo reciprocamente i rapporti chiamati amore,<br />
dal momento che lei ricambiava docilmente i baci (les baisers) che le<br />
davo. E per aver preso l’abitudine di crederlo, non avevo perduto<br />
soltanto una donna che amavo, ma una donna che mi amava, una<br />
sorella, una figlia, una tenera amante (ma sœur, mon enfant, ma<br />
tendre maîtresse)” (AS, 498; 99) + “Chi m’avrebbe detto a Combray,<br />
quando aspettavo con tanta tristezza la buonanotte (bonsoir) di mia<br />
madre, che le mie ansie sarebbero scomparse per una fanciulla la<br />
quale non sarebbe stata a tutta prima, sull’orizzonte del mare, che un<br />
fiore da cui i miei occhi sarebbero stati attratti ogni giorno – ma un<br />
fiore pensante (mais une fleur pensante 199 ) e nei cui pensieri io<br />
aspiravo tanto puerilmente a occupare un grande spazio da soffrire<br />
al pensiero che ignorasse i miei buoni rapporti con Madame de<br />
Villeparisis? Sì, era per la buonanotte (bonsoir), per il bacio (baiser)<br />
di quell’estranea che avrei dovuto, in capo a qualche anno, soffrire<br />
come quando, bambino, mia madre non veniva a salutarmi (me voir).<br />
Questa Albertine così necessaria, del cui amore la mia anima era<br />
ormai quasi unicamente composta, se Swann non mi avesse parlato<br />
di Balbec io non l’avrei mai conosciuta” (AS, 501; 102-103) + “le avrei<br />
consentito di soddisfarli, e adesso potrei ancora baciarla (je<br />
l’embrasserais encore)” (AS, 509; 112) + “volevo baciarla (je voulais<br />
199 Pascal!
188<br />
l’embrasser)” (AS, 511; 115) + “Per persuadermi della sua innocenza<br />
mi bastava baciarla (l’embrasser) [...] e contro cui si infrangerebbero i<br />
baci (baisers)” (AS, 530; 138) + “Avermi dato un bacio (m’avoir<br />
embrassé) (AS, 531; 139) + “il desiderio di baciare (embrasser) le<br />
grosse guance di Albertine” (AS, 532; 140) + “[...] Albertine sarebbe<br />
venuta a dargli il bacio della buonanotte (viedrait lui dire bonsoir et<br />
l’ambrasser)” (AS, 534; 143) + “[...] così come dopo il lungo intervallo<br />
seguito al bacio rifiutato (baiser refusé) (AS, 537; 146) + “Lei mi<br />
diceva che non faceva nulla di male, che aveva soltanto, il giorno che<br />
aveva baciato (embrassé sur les lèvres) Mademoiselle Vinteuil [...]”<br />
(AS, 539; 149) + “continuava a tormentarmi quel bacio (baiser) che<br />
Albertine m’aveva detto di aver dato” (AS, 540; 150) + “quando<br />
abbracciavo (j’embrassais) un’operaia” (AS, 552; 164) + “Ciò che<br />
avrei voluto era che la nuova venuta venisse ad abitare a casa mia, e<br />
mi desse ogni sera, prima di lasciarmi, un bacio familiare di sorella<br />
(un baiser familial de sœur). Avrei dunque potuto credere – se non<br />
avessi sperimentato quanto mi era insopportabile la presenza di<br />
un’altra – di rimpiangere un bacio (baiser) più di certe labbra, un<br />
piacere più di un amore, un’abitudine più di una persona” (AS, 554;<br />
166) + “di colpo (tout d’un coup) mi tornò in mente il ricordo di una<br />
frase che le avevo detta a Balbec il giorno che lei mi aveva regalato<br />
una matita. Rimproverandola di non aver permesso che le dessi un<br />
bacio (m’avoir laissé l’embrasser), le avevo detto di trovare tanto<br />
naturale questo, quanto ignobile che una donna avesse rapporti con<br />
un’altra donna” (AS, 556; 168) + “Ora, io non avevo mai ripensato a<br />
quel nipote, che era stato forse l’iniziatore grazie al quale io avevo<br />
avuto da lei il primo bacio (j’avais été embrassé la premère fois)”<br />
(AS, 614; 238) + “dai dolci baci della sera (baisers du soir) che<br />
Albertine mi dava sul collo” (AS, 642-643; 272). 200<br />
200 Da Il tempo ritrovato, in aggiunta ai passi già citati, ricordiamo i seguenti: “Uno,<br />
allora, con il tono di chi confessa qualcosa di satanico, azzardava: ‘Sapete, barone,<br />
da ragazzo, voi non ci crederete, guardavo dal buco della serratura i miei genitori<br />
che si baciavano (s’embrasser)” (TR, 827; 494). “Guardavo Gilberte e non pensai:<br />
“’Vorrei rivederla’, ma le dissi che mi avrebbe sempre fatto piacere essere invitato<br />
a casa sua assieme a delle ragazze molto giovani, possibilmente povere, in modo<br />
da poterle fare contente con qualche piccolo regalo, senza chiedere loro,<br />
d'altronde, più che di far rinascere in me le fantasticherie, le tristezze d’un tempo, e<br />
forse, un giorno improbabile, un casto bacio (un chaste baiser)” (TR, 988; 688-<br />
689).
189<br />
Cap. 10<br />
IL VOYEURISMO E SERIALITÀ<br />
Ho riletto l’ultimo capitolo di <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. À la recherche du<br />
temps perdu di Gérard Coges: 201 “Esplication de text”. Coges invita<br />
a rileggere “Le sommeil d’Albertine” (III, 577-580 [...]): “Depuis ‘Entre<br />
les deux décors si différents...’ jusqu’à ‘Je m’étais embarqué sur le<br />
sommeil d’Albertine’”...<br />
Ne viene una convincente interpretazione del celebre episodio<br />
de La prisonnière tutto centrata sul tentativo (illusorio) del Narratore<br />
di ottenere il possesso dell’altro: di Albertine; possesso favorito dal<br />
fatto ch’ella dorme; e soggiace al suo sguardo (sguardo che non può<br />
ricambiare): il classico registro del voyeurismo... tipico del Narratore.<br />
Qui si tratta del sonno di Albertine; e Albertine è sospettata di<br />
saffismo proprio perché il Narratore ha scoperto che la sua amica<br />
“era stata quasi allevata dall’amica di Mademoiselle Vinteuil” (P,<br />
462); non c’è bisogno di ricordare che il Narratore, adolescente, ha<br />
spiato Mademoiselle Vinteuil e la sua amica in uno scambio lesbico<br />
colorato del sadismo contro il padre Venteuil ormai morto (presente<br />
in effigie).<br />
Proprio la conclusione della sezione richiamata da Coges “Je<br />
m’étais embarqué sur le sommeil d’Albertine”, mi suggeriva un’altra<br />
chiave. È evidente il richiamo al pascaliano “Nous sommes<br />
embarqués”, sottinteso, nella medesima barca... che è questa vita<br />
etc. Conseguentemente è difficile che la chiave voyeuristica sia<br />
quella esclusiva. In ogni caso, ho letto la sezione e vi propongo di<br />
seguirne lo sviluppo; mi sembra utile allargarla: (P, 573-589; 450-<br />
469).<br />
Forse è utile una precisazione: la Recherche non va letta come<br />
una via crucis le cui stazioni propongono un percorso lineare<br />
scandito in tappe.<br />
Forse neppure la via crucis propriamente detta è scandibile in<br />
tappe... quasi che il Cristo sia maturato passo dopo passo fino a<br />
diventare capace del sacrificio sul Golgota... I sinottici e non solo i<br />
sinottici insistono nel chiarire che ogni gesto, ogni parola del Cristo<br />
sono stati profetizzati... Non a caso nel canone cristiano i profeti<br />
sono stati collocati per ultimi rispetto al canone ebraico dove sono<br />
201 PUF, Paris, 1990, pp. 116 sgg.
190<br />
collocati tra la “legge” e gli “scritti”: il Nuovo Testamento doveva<br />
essere il seguito, l’adempimento delle profezie. 202<br />
Siamo, quindi, in presenza non tanto di una “crescita” quanto di<br />
una “dimostrazione”. 203<br />
Lo stesso si può dire di <strong>Proust</strong> o del Narratore; che non procede<br />
da una caduta reso la redenzione (dal tempo perduto a quello<br />
ritrovato)... Nel corso della matinée il Narratore capisce – quasi<br />
attraverso una rivelazione – che la sua “vocazione” è reale. Questo<br />
fa sì che la tale vocazione agisca retroattivamente su tutta la<br />
Recherche. Che, quindi, in quell’istante, si presenti tutta e perfetta (=<br />
compiuta). Sappiamo che <strong>Proust</strong> ha immaginato, di essa, insieme<br />
l’inizio e la fine... 204<br />
Ne consegue che l’episodio del “sonno di Albertine” non va letto<br />
come una tappa... Ma come un evento inevitabile... Come una<br />
“stazione” sacra... Dove non è opportuno fermarsi (ricordate<br />
l’episodio della “trasfigurazione”?); 205 ma che rivela un’essenza...<br />
202 La Bibbia ebraica e quella cristiana, che si fonda sull’ebraica, non si<br />
equivalgono. Alle loro sacre scritture gli ebrei danno il nome di Tanakh, un<br />
acronimo post-biblico derivato dagli equivalenti ebraici delle lettere t, n e k<br />
(pronunciate kh) corrispondenti alle parole ebraiche torah = legge o insegnamento,<br />
nebi’im = profeti, ketubim = scritti. Se si ribattezzasse l’Antico Testamento con uno<br />
acronimo equiparabile, questo sarebbe Takhan, perché l’ordine è, grosso modo,<br />
legge, scritti, profeti. Vedi Dieu. Une biographie, di Jack Miles, 1995, Robert<br />
Laffont, Parigi, 1996, pp. 22 sgg., 434 sgg.<br />
203 “In questo libro, dove non con c’è un solo fatto che non sia fittizio, dove non c’è<br />
un solo personaggio ‘a chiave’, dove tutto è stato inventato da me secondo le<br />
necessità della mia dimostrazione (___________________), io debbo dire in lode<br />
del mio paese che solo i parenti milionari di Françoise, che avevano abbandonato il<br />
loro ritiro per aiutare la nipote priva di appoggio, son persone reali che esistono”<br />
(G, _______________________________________).<br />
204 Interessanti, a questo proposito, le notazioni di Roger Shattuck (<strong>Proust</strong>, 1974,<br />
Mondadori, Milano, 1991, pp.154-162). Anche queste di Genette: “Il y a une<br />
réussite de <strong>Proust</strong>, qui est d’avoir entrepris et mené à son terme une expérience<br />
spirituelle; mais conbien peu nous importe cette réussite auprès de cette autre, qui<br />
est d’avoir encore réussi l’échec de son entreprise, et de nous avoir laissé de cet<br />
échec le spectacle parfait qu’est son œuvre” (<strong>Proust</strong> palimpseste, in Figures I, Éd.<br />
Du Seuil 1966, p. 67).<br />
205 Matteo 17, 1-13, Marco 9, 2-13; Luca 9, 28-36: “E sei giorni appresso, Gesù<br />
prese seco Pietro, e Giacomo, e Giovanni, suo fratello, e li condusse sopra un alto<br />
monte, in disparte. E fu trasfigurato in loro presenza, e la sua faccia risplendé<br />
come il sole, e i suoi vestimenti divennero come luce. Ed ecco, apparvero loro<br />
Mosé ed Elia, che ragionavano con lui. E Pietro fece motto a Gesù, e gli disse:<br />
Signore, egli è bene che non stiam qui; se tu vuoi, facciam qui tre tabernacoli; uno<br />
a te, uno a Mosé, e uno a Elia”... Pietro non ha capito quel ch’è successo: il Cristo<br />
è stato loro rivelato come la realizzazione di Mosé e di Elia...
191<br />
“E, in se stesse, cos’erano Albertine e Andrée? Per saperlo,<br />
bisognerebbe immobilizzarvi, non vivere più in questa attesa<br />
perpetua di voi in cui voi passate sempre diverse; bisognerebbe non<br />
amarvi più per fermarvi, non conoscere più il vostro arrivo<br />
interminabile e sempre sconcertante (votre interminable, 206 et<br />
toujours déconcertante arrivée), o fanciulle, o raggio successivo nel<br />
turbine in cui palpitiamo di vedervi riapparire, riconoscendovi appena<br />
nella velocità vertiginosa della luce”...<br />
La sezione che stiamo esaminando è piena di queste<br />
precisazioni circa l’“essere in fuga”... Ogni essere è in fuga; sia<br />
quello che amiamo (l’altro), sia noi rispetto a noi stessi (altr’altro noi<br />
stessi)...<br />
Quindi l’immobilizzazione non è possibile...<br />
Ma il sonno immobilizza? (In questo caso Albertine)...<br />
Nella concezione proustiana l’immobilità è possibile solo<br />
quando cessa l’interesse (anzi, da questa cessazione consegue<br />
necessariamente): “Non dico che non verrà il giorno in cui persino a<br />
queste luminose fanciulle noi daremo dei tratti estremamente definiti<br />
(des caractères très tranchés); ma sarà perché avranno smesso di<br />
interessarci, il loro arrivo non sarà più per il nostro cuore<br />
l’apparizione ch’esso si aspettava diversa e che lo lascia, ogni volta,<br />
sconvolto sulle nuove incarnazioni. La loro immobilità sarà il riflesso<br />
della nostra indifferenza (indifférence), che le consegnerà al giudizio<br />
dell’intelletto”.<br />
Il sonno immobilizza Albertine? E il Narratore?<br />
Talvolta succede che, per il Narratore, Albertine sia, oltre a<br />
quella che l’“abitudine” ha forgiato (“ci si rende conto di quale lavoro<br />
di modellatura compia giorno dopo giorno l’abitudine”), quella ch’egli<br />
ha visto a Balbec...<br />
E qui ritorna la seconda frase del “drame du coucher”, quella<br />
della “riposante” accoglienza... “Le sere (les soirs) non li leggeva ad<br />
alta voce [la mamma gli aveva letto François le Champi], la mia<br />
amica mi faceva un po’ di musica, o iniziava con me delle partire a<br />
dama o delle conversazioni ch’io interrompevo, le une e le altre, per<br />
baciarla (pour l’embrasser). I nostri rapporti erano d’una semplicità<br />
che li rendeva riposanti (qui les rendait reposants). [...]. Non era lei,<br />
in effetti [...], la fanciulla che avevo vista per la prima volta a Balbec<br />
[...]”?<br />
Sì, nel Narratore “viveva ancora il desiderio ispiratomi un tempo<br />
dal corteo insolente e fiorito”...<br />
206 “attesa interminabile (attente interminable)” (P, 575; 453)...
192<br />
Ma Albertine “prigioniera della sua gabbia” è la stessa<br />
dell’Albertine della “piccola banda”?<br />
“Questo [il modellarsi di Albertine con ombre misteriose],<br />
d’altronde, era dovuto al sovrapporsi non solo delle immagini<br />
successive (des images successives) che m’ero costruite di<br />
Albertine, ma anche delle grandi qualità d’intelligenza e di cuore, dei<br />
difetti di carattere, per me insospettati le une e gli altri, che Albertine,<br />
in una germinazione, una moltiplicazione di se stessa (une<br />
moltiplication d’elle-même), una carnosa efflorescenza dai cupi<br />
colori, aveva aggiunti (ajoutés) a una natura in altri tempi pressoché<br />
nulla (jadis peu près nulle) e adesso difficile da approfondire<br />
(maintenant difficile à approfondir)”.<br />
Straordinario: anche dopo essere stata prigioniera, Albertine è<br />
diventata “difficile da approfondire”... Che cosa il Narratore cerca di<br />
volta in volta di “approfondire”? Le “impressioni”... <strong>Su</strong>lle “impressioni”<br />
e il loro “approfondimento” – che porta all’“estrazione” da esse delle<br />
“essenze” – si gioca tutta la Recherche...<br />
Diventata prigioniera, Albertine è passata dal “pressoché nulla”<br />
all’“inapprofondibile”... Albertine non più “una semplice sagoma sullo<br />
sfondo del mare”; la sua figura ha registrato un “arricchimento, un<br />
incremento di solidità e di volume”...<br />
Un passaggio dalla psicologia piana...<br />
Ecco il “sonno di Albertine”: Distesa dalla testa ai piedi sul mio<br />
letto (sur mon lit), in un atteggiamento talmente naturale che sarebbe<br />
stato impossibile inventarlo, mi dava l’idea d’un lungo stelo fiorito che<br />
qualcuno avesse posato là, e così era in effetti: la capacità di<br />
sognare (le pouvoir de rêrver) che avevo soltanto in sua assenza la<br />
ritrovavo (je la retrouvais), in quei momenti, accanto a lei (auprès<br />
d’elle), come se, dormendo, si fosse trasformata in una pianta. Il suo<br />
sonno realizzava così, in una certa misura, la possibilità dell’amore:<br />
da solo, potevo pensare a lei ma lei mi mancava. Non la possedevo<br />
(je ne la possédais pas); lei presente, le parlavo, ma ero troppo<br />
assente da me stesso per poter pensare. Quando lei dormiva non<br />
dovevo più parlare, sapevo che lei non mi guardava più (je savais<br />
que je n’étais plus regardé par elle), non avevo bisogno di vivere alla<br />
superficie di me stesso (je n’avais plus besoin de vivre à la surface<br />
de noi-même). Chiudendo gli occhi, perdendo coscienza, Albertine<br />
s’era spogliata, l’uno dopo l’altro, dei vari caratteri d’umanità che<br />
m’avevano deluso dal giorno in cui l’avevo conosciuta. Ormai era<br />
animata solo dalla vita inconsapevole dei vegetali, degli alberi, una<br />
vita più remota dalla mia, più strana, e che tuttavia m’apparteneva di
193<br />
più (vie plus différente de la mienne, plus étrange et qui cependant<br />
m’appartenait davantage)”.<br />
Interrompiamo un momento: il sonno di Albertine non comporta,<br />
qui, la presa di possesso, a cui è preliminare la presa dello sguardo...<br />
Sembra che la “capacità di sognare” coinvolga anche il<br />
Narratore; il quale è messo in contatto con una vita “differente” dalla<br />
sua, “strana”...<br />
Ma l’essenziale è la “differenza”!<br />
Proseguiamo: “Il suo io non scappava via ogni momento<br />
(s’échappait pas à tous moments), come quando conversavamo,<br />
attraverso i varchi del pensiero inconfessato e dello sguardo (et du<br />
regard). Albertine aveva richiamato a sé tutto ciò che di lei era al di<br />
fuori di lei; si era rifugiata, racchiusa, riassunta (elle s’était réfugiée,<br />
enclose, résumée) nel suo corpo. Tenendola sotto il mio sguardo (en<br />
la tenant sous mon regard), fra le mie mani (dans mes mains), io<br />
avevo quell’impressione di possederla tutta intera (j’avais cette<br />
impression de la posséder tout intière) che non avevo quando era<br />
sveglia (que je n’avais pas quand elle était réveillée). La sua vita mi<br />
era sottomessa (sa vie m’était soumise), esalava verso di me il suo<br />
respiro leggero. Ascoltavo il mormorio di quell’emanazione<br />
misteriosa, dolce come uno zefiro marino, fiabesca come un chiaro di<br />
luna, ch’era il suo sonno. Finché durava, potevo sognare di lei e al<br />
tempo stesso guardarla (je pouvais rêver à elle et pourtant la<br />
regarder), e – quando il sonno diventava più profondo (plus profond)<br />
– toccarla, baciarla (la toucher, l’embrasser). Quel che provavo<br />
allora era un amore puro, immateriale e misterioso (un amour devant<br />
quelque chose d’aussi pur, d’aussi immatériel, d’aussi mystérieux)<br />
che se mi fossi trovato davanti alle creature inanimate di cui è fatta la<br />
bellezza della natura. E, in effetti, non appena dormiva un po’<br />
profondamente (un peu profondément), Albertine smetteva d’essere<br />
la semplice pianta ch’era stata: il suo sonno, in riva al quale sognavo<br />
(son sommeil, au bord duquel je rêvais) con una fresca voluttà di cui<br />
non mi sarei mai stancato, di cui avrei potuto godere all’infinito, era<br />
per me un intero paesaggio” .<br />
Albertine, da “una” pianta che era è diventato un intero<br />
paesaggio...<br />
Albertine ha catturato nel suo sogno il Narratore...<br />
Sì, Albertine è diventata ancora più prigioniera – si è “riassunta”<br />
nel suo corpo –, è stata dominata dallo sguardo del Narratore...<br />
Ma è chiaro che il Narratore “sogna di lei” e “al tempo stesso” la<br />
guarda; e quando il sonno diventa più “profondo”, la tocca e la<br />
bacia...
194<br />
Ma il piacere è “puro, immateriale, misterioso”; come le essenze<br />
che si sprigionano dalle impressioni... quelle impressioni che il sogno<br />
“approfondisce” (il sonno di Albertine, quando diventa più “profondo”<br />
trascina nel profondo anche il Narratore)...<br />
Sì, c’è del voyeurista; ma anche del violentatore (il Narratore<br />
guarda, tocca, bacia)...<br />
Ma, invece di considerare il “sonno di Albertine” nella chiave<br />
della spiata di Montjouvain non è forse il caso di considerare quella<br />
spiata nella chiave di questo sogno?<br />
“Approfondire” non implica una violenza?<br />
Il Narratore si avvicina al letto... si siede sulla sedia accanto al<br />
letto; addirittura sul letto (à côté du lit, puis sur le lit même): “Ho<br />
passato sere incantevoli a parlare, a giocare con Albertine, mai però<br />
paragonabili per dolcezza a quelle in cui la guardavo dormire (mai<br />
jamais d’aussi doux que quand je la regardais dormir). [...]. Ormai era<br />
immobile (elle restait désormais immobile). [...]. Pur conoscendo<br />
diverse Albertine in una sola, mi sembrava di vederne ancora molte<br />
altre riposare accanto a me. Le sue sopracciglia, arcuate come mai<br />
le avevo viste, circondavano i globi delle palpebre come un dolce<br />
nido d’alcione, Razze, atavismi, vizi affioravano alla superficie del<br />
suo volto. Ogni volta che spostava la testa creava una donna nuova,<br />
una donna di cui non sospettavo l’esistenza. Mi sembrava di<br />
possedere non una, ma innumerevoli fanciulle (il me semblait<br />
posséder non pas une, mais d’innobrables jeunes filles)”.<br />
Mi sembra evidente: qui non avviene la presa di possesso di<br />
Albertine, ma l’apertura all’infinito di fanciulle che il sogno riscuote da<br />
Albertine (e dal Narratore)...<br />
Ricordatevi delle razze, degli atavismi, dei vizi... Più avanti il<br />
Narratore ne parlerà a proposito di se medesimo...<br />
Albertine è ormai “immobile”; sì, possibile oggetto di un “ratto”;<br />
ma essa si moltiplica... Della molteplicità derivante non si dà presa di<br />
possesso; si dà possibilità di “approfondimento”: “Il suo respiro,<br />
gradatamente più profondo (plus profonde), le sollevava<br />
regolarmente il seno e, sopra, le mani incrociate, le perle, che lo<br />
stesso movimento spostava in modo diverso, come le barche<br />
(comme ces barques), le cime d’ormeggio che il moto dell’onda fa<br />
oscillare. Allora, sentendo che il suo sonno aveva raggiunto la<br />
pienezza, che non rischiavo più d’urtare negli scogli della coscienza<br />
ricoperto ora dal mare profondo del sonno profondo (par la pleine<br />
mer du sommeil profond), saltavo decisamente sul letto senza far<br />
rumore (délibérément je sautais sans bruit sur le lit), mi coricavo<br />
lungo il suo corpo, le cingevo con un braccio la vita, le posavo le
195<br />
labbra sulla guancia e sul cuore e poi, su tutte le parti del corpo, la<br />
sola mano rimastami libera e sollevata anch’essa, come le perle, dal<br />
suo respiro di dormiente; io steso (moi-même) venivo lievemente<br />
spostato da quel movimento regolare. Mi ero imbracato nel sonno di<br />
Albertine (je m’étais embarqué sur le sommeil d’Albertine)”.<br />
Mi sembra evidente che qui non c’è una presa di possesso;<br />
niente di brutale; c’è l’apertura all’infinito; il Narratore salta su letto<br />
della dormiente e si imbarca nel suo sonno...<br />
A proposito del voyeurismo, il Narratore, dopo aver tratto un<br />
piacere “meno puro”: “Sceglievo per guardarla, il lato del suo viso<br />
che non si vedeva mai, e che era così bello (qu’on ne voyait jamais<br />
et qui état si belle)”...<br />
Quel che il Narratore vede è quel che non ha mai visto...<br />
Vedere l’invisibile corrisponde al voyeurismo?<br />
Se sì, evviva il voyeurismo.<br />
In tal modo il Narratore accede alla “differenza”: “Ma quanto più<br />
strano è che una donna sia attaccata, come Rosita a Doodica, a<br />
un’altra donna (à une autre femme) dalla cui diversa bellezza (dont la<br />
beauté différente) si deduce un carattere differente (un autre<br />
caractère), e per vedere la quale bisogna mettersi di profilo mentre<br />
l’altra la si vede di faccia”...<br />
“[...] potevo baciarla senza aver interrotto il suo sonno (je<br />
pouvais l’embrasser sans avoir interrompu son sommeil). Mi<br />
sembrava, in quei momenti, d’averla posseduta più completamente,<br />
come una cosa incosciente e senza resistenza della muta natura (il<br />
me semplait que je venais de la posséder plus complètement,<br />
comme ne chose inconsciente et sans résistance)”: il Narratore bacia<br />
Albertine senza interromperne il sonno; gli “sembra” di averla<br />
posseduta più completamente; in realtà ha avuto un contatto con<br />
Albertine inconscia; con se stesso inconscio; con l’inconscio.<br />
“Assaporavo il suo sonno con un amore disinteressato e<br />
pacificante (désintéressé et apaisant) [...]”. Sappiamo che il<br />
disinteresse (e il pacificante) sgorga dall’involontario... “[...] ascoltarla<br />
parlare non mi faceva discendere in lei così profondamente (je ne<br />
descendais pas tout de même aussi avant en elle)”... Qui il<br />
Narratore, scendendo “assi avant en elle”, scende anche di più in se<br />
stesso... Non è un caso che qui viene tralasciata la “conversazione”<br />
(“comme quand nous causions”)...<br />
“Continuavo a sentire, a raccogliere, di momento in momento, il<br />
mormorio, rasserenante (apaisant) come un’impercettibile brezza,<br />
del suo puro respiro (de sa pure haleine). Avevo davanti a me, mia (à<br />
moi), tutta un’esistenza fisiologica; non meno a lungo di quanto, un
196<br />
tempo, rimanevo disteso sulla spiaggia, al chiaro di luna, sarei<br />
rimasto ora a guardarla (à la regarder), ad ascoltarla. Talvolta si<br />
sarebbe detto che il mare ingrossava, che la tempesta si faceva<br />
sentire sin nella baia, e io mi mettevo come lei (comme elle) ad<br />
ascoltare il rombo del suo respiro, ch’era adesso un russare”.<br />
Albertine è diventato il paesaggio; questa volta marino...<br />
Quando Albertine aveva troppo caldo, si toglieva, già quasi<br />
addormentata, il chimono e lo gettava su una poltrona. Un chimono<br />
prezioso per il Narratore geloso: nella sua tasca interna una firma, un<br />
appuntamento... “Quando sentivo che il sonno di Albertine era ormai<br />
profondo, lasciavo i piedi del suo letto, da dove l’avevo contemplata<br />
a lungo senza alcun movimento (sans fair un mouvement). Per<br />
azzardare un passo, preso da una curiosità ardente nel percepire il<br />
segreto di quella vita offerta, floscia e indifesa (offert, floche et sans<br />
défence) sopra la poltrona, Forse lo facevo, quel passo, anche<br />
perché guardar dormire senza muoversi (sans bouger) diventa, alla<br />
lunga, stancante. E così, piano piano, voltandomi di continuo per<br />
controllare che Albertine non si svegliasse, arrivavo fino alla poltrona.<br />
Là mi fermavo, restando a lungo a guardare (je restais longtemps à<br />
regarder) il chimono così com’ero (comme j’étais) rimasto a lungo a<br />
guardare Albertine. Ma (e forse ho avuto torto) mai ho toccato il<br />
chimono, messo la mano nella tasca, guardato le lettere. Alla fine,<br />
capendo che non mi sarei deciso, me ne tornavo a passi di lupo<br />
accanto al letto di Albertine e mi rimettevo a guardar dormire lei [...]”.<br />
Il chimono è descritto come un corpo: offert, floche et sans<br />
défence; esso è paragonato al corpo di Albertine: comme; guardato<br />
sì, ma violato no!<br />
Il Narratore se ne sta “immobile”. Tale e quale Albertine...<br />
Quando la bacia, bacia la vita che esce da lei e entra dentro di<br />
lei: “[...] per avere il suo respiro vicino alla mia guancia, nella sua<br />
bocca, che schiudevo sulla mia dove, contro la mia lingua, passava<br />
la sua vita”.<br />
“Ma a questo piacere di vederla dormire, che era dolce quanto<br />
quello di sentirla vivere, un altro metteva fine, ed era quello di vederla<br />
svegliarsi”. Lo svegliarsi, lo sappiamo, è il passare da un mondo<br />
all’altro... nel quale non ci si orienta, non ci riconosce... Il piacere che<br />
prova il Narratore è vedere Albertine riconoscersi: nella sua casa, in<br />
lui: “Si trattava – a un livello più profondo, più misterioso (à un degré<br />
plus profond et plus mystérieux) – del piacere stesso che la mia<br />
amica abitasse in casa mia. [...]. Ancora più dolce era che, dal fondo<br />
del sonno (du fond du sommeil) risalendo gli ultimi gradini della scala<br />
del sogno, fosse nella mia camera (dans ma chambre) che Albertine
197<br />
rinasceva alla coscienza e alla vita, si chiedeva fugacemente ‘dove<br />
sono (où suis-je)?’ e, vedendo gli oggetti da cui era circondata, la<br />
lampada la cui luce le faceva appena sbattere gli occhi, poteva<br />
rispondersi che era a casa dal momento che si svegliava a casa mia<br />
(chez moi). In quel primo, delizioso momento d’incertezza, era come<br />
s’io prendessi di nuovo e più completamente possesso (possession)<br />
di lei, giacché non era lei che, dopo essere uscita, rientrava in<br />
camera sua, ma era la mia camera che, non appena riconosciuta da<br />
lei, si affrettava a rinchiuderla, a contenerla (la contenir), senza che<br />
gli occhi di Albertine manifestassero il minimo turbamento, restando<br />
invece calmi come se nemmeno si fosse addormentata. Rivelata dal<br />
suo silenzio, l’esitazione del risveglio non si rifletteva per nulla nel<br />
suo sguardo”.<br />
Sappiamo dell’angosciante disorientamento nella “chambre”<br />
che è una di tante “chambres” e non si sa quale... Ebbene, qui è<br />
come se qualcuno – il Narratore – avesse vegliato accanto al<br />
dormiente, partecipato al suo sonno e al suo sogno, per poter<br />
garantire una transizione, da un mondo all’altro, senza trauma...<br />
Il Narratore insiste sulla “differenza” tra Albertine adesso e<br />
Albertine a Balbec... Non sono passati molti anni... Eppure un<br />
mutamento “sostanziale e improvviso” è avvenuto; quando ha<br />
scoperto che la sua amica era stata “quasi allevata” dall’amica di<br />
Mademoiselle Vinteuil...<br />
Quando ha avuto il sospetto che Albertine fosse lesbica...<br />
La spiata di Montjouvain e il sonno di Albertine si incontrano.<br />
Il Narratore vorrebbe eliminare il mistero proposto dalla<br />
possibilità che Albertine sia lesbica; cerca un’immagine diversa da<br />
questa troppo “differente” dalla prima; disperatamente: “l’immagine<br />
che cercavo, nella quale mi riposavo, accanto alla quale avrei voluto<br />
morire”...<br />
Il Narratore desidera, addirittura, un’Albertine non diversa da lui:<br />
“che desiderasse [...] di starmi accanto, in tutto simile a me (toute<br />
pareille à moi), immagine di ciò che precisamente era mio e non<br />
dell’ignoto (image de ce qui précisement était mien et non<br />
del’inconnu)”...<br />
Il Narratore che da poco si è “imbarcato”, vuole sbarcare...<br />
Sazio di ignoto, cerca il noto...<br />
Le “prime impressione (premiètes impressions)” di fronte ad<br />
Albertine sulla riva del mare non possono sussistere nell’amore per<br />
lei... queste “impressioni anteriori (impressions antéreieures)”<br />
occupano un piccolissimo spazio in “un amore del genere”, “nella sua<br />
forza, nella sua sofferenza, nel suo bisogno di dolcezza, nel suo
198<br />
aspirare a un ricordo pacifico, pacificante (paisible, apaisant) in cui si<br />
vorrebbe rifugiare senza scoprire più niente di colei che si ama,<br />
nemmeno se vi fosse qualcosa di odioso da sapere”.<br />
Ecco riemergere quel che va sotto il nome di “paresse”: non<br />
ricerca delle “impressioni”, ma paura di esse... Ricerca della pace,<br />
della pacificazione... “persino se conserva le impressioni anteriori, un<br />
tale amore è fatto di ben altra materia! A volte spegnevo la luce<br />
prima che lei entrasse. E nel buio, guidata appena dalla luce d’un<br />
tizzone, le mie gote riconoscevano, mentre i miei occhi – i miei occhi<br />
che tante volte temevano di trovarla mutata – non al vedevano (sans<br />
que mes yeux la vissent). È così, con favore di questo amore cieco,<br />
lei si sentiva più del solito, forse, sommersa di tenerezza”.<br />
È evidente che il voyeurismo è audacia di vedere lo sconosciuto<br />
(anche il lesbismo della figlia di Venteuil e della sua amica,<br />
l’omosessualità di Charlus etc. Leggete gli “approfondimenti, talvolta<br />
abissali, di <strong>Proust</strong> su i due “casi”). Qui il Narratore non vuole<br />
vedere... Tenebris faventibus... – quale filologia diversa di “nel buio,<br />
guidata appena dalla luce” – sommerge Albertine nelle tenerezze...<br />
Il Narratore è reticente alle nuove impressioni... Vuole non<br />
volere...<br />
Quando, vedendosi nello specchio mentre sta baciando<br />
Albertine chiamandola “bambina mia”, scopre una novità: scopre che<br />
l’espressione “triste e appassionata” del proprio viso è “simile a<br />
quella ch’esso avrebbe avuto un tempo accanto a Gilberte”... Tutto<br />
questo lo porta ad un’ipotesi nuova: “mi fece pensare che al di sopra<br />
d’ogni considerazione concernente la persona (giacché l’istinto vuole<br />
che consideriamo l’attuale come l’unica vera) io assolvevo ai doveri<br />
d’una devozione (devotion) ardente e dolorosa rivolta come un’offerta<br />
(comme une offrande) alla giovinezza e alla bellezza femminile”<br />
La mente va alle “serie” deleuziane.<br />
Non si tratta di archetipi! Di serie!<br />
Emerge – è quasi un sintomo (cioè, un segnale) – il linguaggio<br />
religioso (non per questo profanatorio) che caratterizza, ad esempio,<br />
il “baiser” della buonanotte: “E tuttavia, a questo desiderio dedicato<br />
come un ‘ex voto’ alla giovinezza, e ai ricordi stessi di Balbec, nel<br />
bisogno ch’io avevo di tenere così Albertine ogni sera accanto a me<br />
(tous les soirs [...] après de moi) si mischiava qualcos’altro, qualcosa<br />
ch’era stato sino allora estraneo alla mia vita amorosa (qui avait été<br />
étranger jusqu’ici à ma vie, ou moins amoureuse) pur non essendo<br />
del tutto nuovo nella mia vita (s’il n’était pas entièrement nouveau<br />
dans ma vie). Era un senso di pacificazione (apaisement) che non<br />
avevo più provato dalle lontane sere di Combray in cui mia madre,
199<br />
chinandosi sul mio letto, mi portava in un bacio il riposo (le repos<br />
dans un baiser)”.<br />
L’abbiamo già notato, anche se solo in sede di anticipazione, a<br />
proposito di “razze, atavismi vizi”, di binari, di serie... Poco sopra<br />
abbiamo incontrato formule religiose... che si rivolgono a riti sacri;<br />
che al Narratore sembrano estranee alla sua vita amorosa<br />
appartenendo solo a quella filiale. Il fatto è che il “bacio” filiale ha una<br />
valenza amorosa e quello d‘amante una valenza filiale...<br />
E tutti ubbidiscono a delle regole...<br />
Quali?<br />
Forse, piuttosto che parlare di “archetipi” è più prudente parlare<br />
di “serie”...<br />
Il narratore, nel tentativo di venire al dunque – al comune<br />
denominatore della vita amorosa sensu lato – conclude:<br />
“L’ambizione, la gloria mi avrebbero lasciato indifferente (indifférent).<br />
Tanto più ero incapace di provare dell’odio. Eppure, amare<br />
carnalmente voleva dire, per me, godere d’un trionfo su tanti<br />
concorrenti (jouir pour moi d’un triomphe sur tant de concurrentes).<br />
Non lo ripeterò mai abbastanza: era, più d’ogni altra cosa, una<br />
pacificazione (un apaisement)”.<br />
La pacificazione, l’abbiamo visto, è il risultato che produce il<br />
bacio della buona notte. Ora il Narratore ci spiega che essa consiste<br />
in un trionfo sulla concorrenza; un freudiano concluderebbe che il<br />
“padre” e i suoi equivalenti sono i concorrenti; e Girard, mutatis<br />
mutandis, approverebbe. Sostenendo che può emergere il triangolo<br />
anche se non necessariamente edipico...<br />
Ma proseguiamo.<br />
“Poco importava che, prima del suo ritorno, io avessi dubitato di<br />
Albertine, l’avessi immaginata nella camera (dans la chambre) di<br />
Montjouvain; mi bastava che, in vestaglia, si sedesse di fronte alla<br />
mia poltrona, o ai piedi del mio letto se, com’era più frequente non mi<br />
ero alzato, per deporre tutti i dubbi sul suo conto, rimettendoli a lei<br />
perché me ne liberasse (pour qu’elle m’en déchargeât) con<br />
l’abdicazione (l’abdication) d’un credente in preghiera. Per tutta la<br />
serata, lei aveva saputo, maliziosamente appallottolata (pelotonée<br />
espièglement) sul mio letto, giocare con me come una grossa gatta<br />
[...]”...<br />
Straordinario. Ricompare l’“abdicazine” (al culmine del “drame<br />
du coucher” abdicò il padre; ma, forse l’abdicazione più dolorosa fu<br />
quella della madre)...<br />
Tutto qui avviene in una prospettiva religiosa: avete notato<br />
l’allure del “Padre nostro”: “rimettici i nostri peccati come noi li
200<br />
rimettiamo” = “per deporre tutti i dubbi sul suo conto, rimettendoli a<br />
lei”... Il congiuntivo non infrequente in <strong>Proust</strong> ma raro in francese in<br />
“pour qu’elle m’en déchargeât” ne è un’altra prova. (Per non parlare<br />
del fatto che in ballo è la preghiera di un credente).<br />
Quando, dopo le seduzioni che abbiamo saltato, “poi, al<br />
momento di lasciarmi, mi si avvicinava per darmi la buonanotte (pour<br />
me dire bonsoir), era la loro dolcezza divenuta quasi familiare (quasi<br />
familiare) ch’io baciavo (que je la baisais) sui due lati del suo collo<br />
poderoso che non mi pareva mai, allora, abbastanza scuro, né di<br />
grana abbastanza grossa, come se queste due solide qualità<br />
avessero avuto in Albertine qualche rapporto con la sua leale bontà”.<br />
Sì, le seduzioni di Albertine danno a questa l’accesso al bacio<br />
del Narratore perché la rendono “quasi familiare”; quasi identica alla<br />
madre (etc)...<br />
Di nuovo l’“aura” di sacralità che si infittisce (su un personaggio<br />
= una funzione), poi si estende (ad un altro/a a tutti/e) etc.<br />
Più avanti: “[...] in mezzo ad espressioni carnali, se ne<br />
riconoscevano altre ch’erano tipiche (qui étaient propres à) di mia<br />
madre e di mia nonna. A poco a poco, infatti, venivo assomigliando a<br />
tutti i miei parenti (à tous mes parents), a mio padre che (in tutt’altro<br />
modo dal mio, certo, perché le cose si ripetono, sì, ma non senza<br />
grandi variazioni [car si les choses se répètent, c’est avec de<br />
grandes variations]) si interessava tanto a quale tempo facesse; e<br />
non a lui soltanto, ma sempre di più a mia zia Léonie”.<br />
Tra poco ritorniamo sul padre... Evidente la rassomiglianza di<br />
Albertine alla madre ma, immediatamente dopo, quella del Narratore<br />
al padre (a tutti i parenti): la “serie” si riproduce, e ogni “stazione”<br />
ripete quella del corrispondente itinerario, ma anche lo varia.<br />
La zia Léonie... Anche lei passava il tempo... tra l’altro a spiare<br />
dalla finestra quel che succedeva nel paese...: “A zia Léonie, così<br />
bigotta, e con la quale avrei giurato di non avere il minimo punto di<br />
contatto”... Invece!<br />
Anche la maniacalità, la sedentarietà... della zia...<br />
“Ora, sebbene ogni giorno ne trovassi il pretesto in un<br />
malessere particolare, a far sì che io rimanessi così sovente a letto<br />
era un essere, non Albertine, non un essere ch’io amassi, ma un<br />
essere che aveva su di me più potere d’un essere amato: era,<br />
trasmigrata in me (trasmigrée en moi), dispotica al punto da far a<br />
volte tacere i miei sospetti gelosi o almeno da impedirmi d’andare a<br />
verificare se fossero o meno fondati, era mia zia Léonie. Non<br />
bastava ch’io assomigliassi esageratamente a mio padre, tanto da<br />
non accontentarmi di consultare come lui il barometro, ma da
201<br />
diventare io stesso un barometro vivente, e mi lasciassi comandare<br />
da mia zia Léonie restandomene a osservare il tempo, non solo dalla<br />
mia camera o addirittura dal letto? Ecco che, adesso, parlavo ad<br />
Albertine un po’ come da bambino, a Combray, avevo parlato a mia<br />
madre, un po’ come la nonna parlava con me. <strong>Su</strong>perata una certa<br />
età, l’anima del bambino che siamo stati e l’anima dei morti da cui<br />
siamo usciti vengono a gettarci a manciate le loro ricchezze e le loro<br />
disgrazie, chiedendoci di cooperare ai nuovi sentimenti che proviamo<br />
e nei quali, cancellando la loro vecchia effigie, li rifondiamo in una<br />
canzone originale (en une création originale). 207 Così, tutto il mio<br />
passato a partire dagli anni più remoti e, al di là di questi, il passato<br />
dei miei parenti mischiavano al mio impuro amore per Albertine la<br />
dolcezza d’un affetto al tempo stesso filiale e materno (à la fois filiale<br />
et maternelle). Siano destinati a ricevere, da una cert’ora in poi tutti i<br />
nostri parenti, che arrivano da lontano e si raccolgono attorno a noi”.<br />
Forse non c’è bisogno di commento.<br />
Il sesso magnificamente descritto; quindi: “C’era solo, quando si<br />
metteva su un lato, un certo aspetto del suo viso (così bello e buono<br />
se visto di fronte) che non potevo sopportare, adunco come in certe<br />
caricature di Leonardo, rivelante, si sarebbe detto, la malvagità,<br />
l’aspra avidità di guadagno, la furbizia di una spia (la furberie d’une<br />
espionne), la cui presenza presso di me m’avrebbe fatto orrore e che<br />
sembrava smascherata da quel profilo. M’affrettavo a prenderne fra<br />
le mani il volto di Albertine e la rimetterlo di faccia”.<br />
È questione di spionaggio!<br />
Di novo sesso: e considerazioni sulla vita amorosa (la vita in<br />
comune): promossa dalla dolcezza, ma inevitabilmente un “inferno<br />
segreto” che traspare “in modo involontario” da gesti “sintomatici”.<br />
Vita in comune non importa con chi; perché nonna, zia, madre<br />
padre... queste figure si rieditano in quelle del Narratore e di<br />
Albertine... Perché la vita (in comune o no) è inferno. Questa vita che<br />
è inferno da dove è nata? “[...] a chi mi avesse chiesto cosa<br />
significava quella vita da eremo, in cui mi sequestravo al punto da<br />
non andare più a teatro, avrei potuto (e non avrei voluto) rispondere<br />
ch’essa traeva origine dall’ansia di una sera (elle avait pour origine<br />
l’anxiété d’un soir) e dal bisogno di provare a me stesso, nei giorni<br />
che l’avrebbero seguita, che colei di cui avevo scoperto l’incresciosa<br />
infanzia non avrebbe avuto la possibilità, se l’avessi voluto, di esporsi<br />
alle stesse tentazioni. [...]. Distruggerle [le possibilità di tradimento] –<br />
o tentare di farlo – giorno dopo giorno era probabilmente la causa<br />
207 Dell’“air de la chanson” <strong>Proust</strong> parla altrove (CSB, 303).
202<br />
per la quale (était sans doute la cause pourquoi) mi era così dolce<br />
baciare quelle guance che non erano più belle di tante altre (qui<br />
n’étaient pas plus belles que bien d’autres); sotto ogni dolcezza<br />
carnale un po’ profonda c’è il permanere d’un pericolo”.<br />
N’étaient pas plus belles que bien d’autres = tutte le situazioni<br />
(“stazioni”) appartengono a un percorso seriale; elle avait pour<br />
origine l’anxiété d’un soir / était sans doute la cause pourquoi = molto<br />
probabilmente non c’è origine né causa se non inerente alla<br />
“serialità”. Anche se tutto sembra originare dall’“anxiété” e su essa<br />
riconverge.
203<br />
Cap. 11<br />
LA DIALECTIQUE DE LA CURIOSITÉ ET DE<br />
L’INDIFFÉRENCE 208<br />
1) Negazione e bastian contrario<br />
Abbiamo già diverse volte commentato uno breve e celebre<br />
scritto di Freud del 1925, Die Verneinung. 209 L’essenziale del<br />
meccanismo della negazione: “Oppure – prosegue Freud –: ‘Lei<br />
domanda chi possa essere questa persona del sogno: Non è mia<br />
madre.’ Noi rettifichiamo: dunque è la madre. Ci prendiamo la libertà,<br />
nell’interpretazione, di trascurare la negazione e di cogliere il puro<br />
contenuto dell’associazione”.<br />
Freud precisa: “Talvolta si riesce a procurarsi in modo assai<br />
comodo (sehr bequeme) un chiarimento desiderato sul materiale<br />
rimosso inconscio. Si domanda: qual è secondo Lei la cosa più<br />
inverosimile fra tutte in quella situazione? Che cosa a <strong>Su</strong>o parere era<br />
allora più lungi da Lei? Se il paziente cade in questa trappola e<br />
nomina la cosa in cui gli riesce di credere di meno, quasi sempre<br />
(fast immer), così facendo, confessa la cosa giusta”. 210<br />
208 Pierre-Edmon Robert , Notice, in La prisonnière, À la recherche du temps perdu, édition étabile sous la<br />
direction de Jean-Yves Tadié, Gallimardi, 1988, vol. III, p.1646. “C’est précisément parce qu’elle l’aimait<br />
qu’aucun visage, qu’aucun sourire, qu’aucune démarche ne lui étaient aussi<br />
agréables que les siens et non parce que son visage, son sourire, sa démarche<br />
étaient plus agréables que d’autres, qu’elle l’aimait” (L’indifférent, Einaudi,<br />
1978,42).<br />
209 Lezioni di Psicologia dinamica, Borla, Roma, 2003, pp. 51 sgg.; Letteratura è<br />
psicoanalisi, Borla, Roma, 2005, pp. 83 sgg.; Chi ha paura della psicologia<br />
dinamica?, in Per una nuova interpretazione dei sogni, a cura di Benelli, Moretti &<br />
Vitali, Milano, 2006, pp. 139-171.<br />
210 1925, Die Verneinung, in Gesammelte Werke, Frankfurt, Fischer, vol. XIV,<br />
1948, 5a ed. 1976, pp. 11-15; tr. it., La negazione, in Opere, Torino, Boringhieri,<br />
vol. 10, 1978, pp. 197-201. Eguaglia il “comodo” di Freud il “forse” di <strong>Proust</strong> nel<br />
passo seguente: “Ma quello scuotere la testa, così abitualmente associato a un<br />
avvenimento futuro, insinua proprio per questo un senso d’incertezza nella<br />
negazione (dénégation) di un avvenimento passato. Di più: evoca semplici ragioni<br />
di convenienza personale piuttosto che un atteggiamento di riprovazione o<br />
un’impossibilità morale. Vedendo Odette far segno che non era vero, Swann capì<br />
che forse (peut-être) lo era” (SW, 362; 437-438).
204<br />
Commentando nelle Memorie d’oltretomba, l’“apologia” di<br />
Zanze contro l’affermato “falso” compiuto da Silvio Pellico – che ha<br />
raccontato d’essere stato da lei abbracciato… in carcere –, il<br />
visconte de Chateaubriand afferma: “La vivace sposa non vuole<br />
riconoscersi nel delizioso efebo rappresentato dal recluso; ma<br />
contesta il fatto con tanta grazia, che negandolo lo prova (mais elle<br />
conteste le fait avec tant de charme, qu’elle le prouve en le niant”. 211<br />
In letteratura è psicoanalisi ho sostenuto che l’essenziale del<br />
ragionamento di Freud è contenuto nel breve passaggio di<br />
Chateaubriand.<br />
In 2 + 2 = 5 ho richiamato la “negazione della negazione” di<br />
Hegel...<br />
Qui vorrei dimostrare che <strong>Proust</strong> conosce bene il meccanismo;<br />
che c’è un intervento suo che ha l’allure della dichiarazione di Freud;<br />
che è proprio dell’arte la lettura à rebours.<br />
Ma vorrei, soprattutto, dimostrare<br />
(1) che <strong>Proust</strong> fa una descrizione addirittura più precisa, o<br />
completa, dell’operari della negazione: contemplando, oltre alla<br />
negazione (esagerata) che bisogna capovolgere in<br />
affermazione, anche l’affermazione esagerata...<br />
(2) che la sua perspicacia coglie l’ambivalenza del meccanismo: la<br />
negazione o l’affermazione esagerate dicono sempre, anche se<br />
solo parzialmente, il vero;<br />
3) che il gioco a nascondino pervade tutto l’universo delle relazioni<br />
umane; e coincide con quello che Girard definisce “desiderio<br />
mimetico”. 212<br />
211 De Chateaubriand, 1834-1994, Mémoires d’outre-tombe, Librairie Garnier<br />
Frères, Paris, voll. VI, p. 317; tr. it. Memorie d’oltretomba, Einaudi-Gallimard,<br />
Torino, 1995, vol. 2, p. 738.<br />
212 Dei commentatori di <strong>Proust</strong> Mariolina Bongiovanni Bertini è uno dei pochi che<br />
ha richiamato il lavoro di Girard non solo nella bibliografia (Guida a <strong>Proust</strong><br />
(Mondadori, 1981, pp. 35, 80, 130, 401-402). Giustamente Bertini cita un passo del<br />
Tempo ritrovato in cui è chiaramente descritto il rapporto amoroso come un mors<br />
tua vita mea: “A questo punto, lei ha capito: [...] può dispensarsi dal dare di più, e<br />
approfittare d’un momento in cui lui non può più stare senza vederla, in cui vuole<br />
metter fine alla guerra a qualsiasi costo (il veut a tout prix terminer la guerre), per<br />
imporgli una pace (en lui imposant une pax) la cui prima condizione sarà il<br />
platonismo dei rapporti” (TR, 819; 485). Citano Girard solo in bibliografia Henri<br />
Bonnet nella seconda edizione di <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> de 1907 à 1914, Nizet, Paris,<br />
1971, p. 258; Roger Shattuck in <strong>Proust</strong>, 1974, Mondadori, Milano, 1991, pp. 205,<br />
216; Gérard Cogez in <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. À la recherche du temps perdu, PUF, Paris,<br />
1990, p. 124. Tadié, nella bibliografia annessa alla traduzione del 1987-1989, non<br />
lo cita... François Revel, al pari di Girard, proprio a proposito dell’omessualità,<br />
richiama alcune notazioni sul narcisismo fatte da Freud (op. cit., pp. 149 sgg.).
205<br />
A proposito di desiderio mimetico... <strong>Proust</strong> fu un prodigioso<br />
imitatore, un irresistibile caricaturista. Vedi i suoi Pastiches.<br />
Pensando ad essi Citati parla di “istinto mimetico allo stato puro”. 213<br />
Segnalo l’introduzione alla traduzione dei medesimi (con testo a<br />
fronte) di Giuseppe Merlino. 214<br />
Opportuno il suo richiamo alla lettera a Marie Nordlinger,<br />
indispensabile aiuto nella traduzione di Ruskin: “Travaillez-vous?<br />
Moi, plus. J’ai clos à jamais l’ère des traductions, que Maman<br />
favorisait. Et quant aux traductions de moi-même je n’en ai plus le<br />
courage”. 215<br />
Straordinario questo “tradurre se stesso”. Questa impossibilità<br />
di uscire dal circolo mimetico. Al massimo: tradurre se stessi.<br />
<strong>Proust</strong> tenta di distinguere tra fare pastiche = tradurre gli altri e<br />
scrivere = tradurre se stesso. A Georges de Lauris (13 marzo 1915):<br />
“[...] je ne crains pas de faire dire des choses pas trop mal à Sainte-<br />
Beuve ou à Henri de Régnier [...]; ne prenant jamais, même<br />
inconsciemment, le bien d’autrui, je ne fais jamais de pastiche plus<br />
ou moins involontaire dans mes œuvres. Cela me donne plus de<br />
plénitude et de gaieté quand j’en fais ouvertement”. 216<br />
Osserva Giuseppe Merlino: “È l’unico caso in <strong>Proust</strong>, io credo,<br />
in cui l’aggettivo ‘involontario’ non appartiene al registro euforico<br />
della rivelazione, della verità e dell’arte”. 217<br />
213<br />
Introduzione a <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> di Leo Spitzer, Einaudi, 1959, p. XI. A proposito<br />
della capacità di immedesimazione e di presa i distanza: in due lettere, una a Louis<br />
de Robert (1 maggio 1913, CORR, XIII, p. 165) e una a Gide (22 marzo 1914,<br />
CORR, XIII, p. 119; tr. it. Lettere a Gide, SE, Milano, 1987, p. 23), <strong>Proust</strong>, quasi<br />
negli stessi termini, proprio lui che è “impotente a ottenere qualcosa per sé (me)”<br />
ha invece “il potere di procurare la felicità agli altri”: “Ho riconciliato non soltanto<br />
avversari ma persino amanti, ho guarito malati mentre non ho potuto far altro che<br />
peggiorare il mio male, ho indotto al lavoro dei pigri rimanendo tale io stesso”. Vedi<br />
la lettera a <strong>Proust</strong> a Robert de Montesquiou del 13 dicembre 1895: “Alors, en effet,<br />
par l’effet qui entraîne le corps à la suite de l’âme, la voix, l’accent se rythmaient<br />
sans doute sur l’allure de cette pensée empruntée. Si l’on vous a dit plus, et si l’on<br />
a parlé de caricature, j’invoque votre axiome [...]” (CORR, I, 451-452).<br />
214<br />
Marsilio, Venezia, 1991.<br />
215<br />
dicembre 1906. CORR, VI, 308.<br />
216<br />
CORR, XV, p. 84.<br />
217<br />
Ibidem, p. 38. In realtà <strong>Proust</strong> dirà qualcosa di molto simile (e di più articolato)<br />
nel suo saggio, del 1922, su Flaubert: un lettore di Flaubert... “vorrebbe continuare<br />
a parlare come loro. Bisogna permetterglielo un momento, lasciare che il pedale<br />
prolunghi il suono, bisogna cioè fare una parodia volontaria (un pastiche volontaire)<br />
per poter dopo di ciò ridiventare noi stessi e non continuare a fare parodia<br />
involontaria (un pastiche involontaire) per tutta la vita. La parodia volontaria<br />
(volontaire), la si fa del tutto spontaneamente: è chiaro che quando, anni fa, scrissi<br />
una contraffazione (d’altronde, detestabile) di Flaubert, non mi ero chiesto se il
206<br />
Evidente: il pastiche è sempre volontario; ubbidisce, cioè,<br />
sempre alla volontà di potenza = alla volontà di imitazione...<br />
L’abbandono... il manque de volontè, apre alla possibilità della<br />
grazia...<br />
Richiamerò solo alcuni snodi dell’esperienza del Narratore allo<br />
scopo di dimostrare la forza del desiderio mimetico, tale da<br />
comportare una lotta per la vita (la propria) e per la morte (l’altrui).<br />
Girard stesso ha trovato nell’opera di <strong>Proust</strong> una dimostrazione<br />
articolata delle sue tesi. 218<br />
2) Freudianamente<br />
Premettiamo un’affermazione decisa: “La menzogna è<br />
essenziale all’umanità. Vi svolge un ruolo altrettanto importante,<br />
forse, quanto la ricerca del piacere, ricerca da cui è d‘altronde<br />
comandata” (AS, 232). 219<br />
Il problema è, quindi, intravedere attraverso il velo...<br />
Segue la dichiarazione ad allure freudiana, a proposito di<br />
Charlus: “[...] avrei dovuto pensare che ci sono, l’uno davanti all’altro,<br />
canto che udivo dentro di me dipendesse dalla ripetizione degl’imperfetti o dei<br />
participi presenti: altrimenti, non avrei potuto scriverlo. Oggi, cercando di segnalare<br />
in fretta talune particolarità dello stile di Flaubert, ho compiuto un lavoro inverso. Il<br />
nostro spirito non è mai soddisfatto finché non abbia saputo compiere una chiara<br />
analisi di quanto aveva prodotto in modo inconscio oppure una ricreazione vivente<br />
di quanto aveva prima analizzato” (A proposito dello “stile” di Flaubert, in Scritti<br />
mondani e letterari, Einaudi, Torino, 1984, 595; 547)<br />
218 I mondi di <strong>Proust</strong>, 1961, in Menzogna romantica e verità romanzesca<br />
(Bompiani, Milano, pp. 168-197); Problemi di tecnica in <strong>Proust</strong> e Dostoevskij<br />
(ibidem, pp. 199-220); La conversione proustiana, 1978, in Delle cose nascoste sin<br />
dalla fondazione del mondo (Adelphi, Milano, 1983, pp. 473-478). Girard dimostra<br />
che, in Shakespeare, in Dostoevskij e in Joyce, il desiderio mimetico si esprime<br />
nell’insistente innamoramento della donna di un proprio amico (amata perché già<br />
amata quindi amabile, amanda). In Kafka. Un “tipo particolare” (2008, p. 256) ho<br />
segnalato Beethoven (vedi Maynard Solomon, Beethoven. La vita, l’opera, il<br />
romanzo familiare, 1977, ed. italiana Marsilio Editore, Venezia, 2007): l’“immortale<br />
amata”, Antonietta Brentano, era moglie di un suo amico. Qui non possiamo non<br />
ricordare che Painter, il celebre biografo di <strong>Proust</strong>, dimostra la medesima<br />
ricorrenza in <strong>Proust</strong> (op. cit., pp. 67, 92, 312, 559). Painter, diversamente da<br />
Girard, supinamente iscrive questa vicissitudine del desiderio mimetico<br />
nell’omosessualità. La medesima cosa Jean-Yves Tadié nella sua monumentale<br />
biografia (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Gallimard, 1996, pp. 133, 495). Si distingue Duchêne<br />
(op. cit. 219).<br />
219 “L’interprete dei segni amorosi è necessariamente interprete di menzogne”<br />
(Gilles Deleuze, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, op. cit, p. 12).
207<br />
due mondi, il primo costituito dalle cose che gli esseri migliori, i più<br />
sinceri (le meilleurs, les plus sincères), dicono, e dietro a questo il<br />
mondo composto dal succedesi di ciò che gli stessi esseri (ces<br />
mêmes êtres) fanno; e così, quando una donna sposata ci dice di un<br />
giovanotto: ‘Oh! È verissimo (c’est parfaitement vrai) che ho per lui<br />
un’immensa amicizia (immense amitié), ma è una cosa<br />
assolutamente innocente (très innocent), assolutamente puro (très<br />
pur), potrei giurarlo (je pourrais le jurer) sulla memoria dei miei<br />
genitori’, dovremmo noi stessi (on devrait soi-même), anziché<br />
esitare, giurarci (jurer à soi-même) che con ogni probabilità<br />
(probablement) è appena uscita dalla stanza da bagno dove si<br />
precipita, per non avere bambini, dopo ciascuno dei suoi convegni<br />
con il giovanotto in questione” (AS, 612; 235).<br />
Il troppo che stroppia.<br />
(Per semplificare, in generale ordiniamo le citazioni in ordine<br />
cronologico; cioè, a partire da Dalla parte di Swann etc.).<br />
3) Il troppo che stroppia...<br />
Legrandin “era uno snob. Certo, di tutto questo non traspariva<br />
mai nulla nel linguaggio che i miei parenti e io amavamo tanto. E se<br />
io chiedevo: ‘Conoscete i Guermantes?’, Legrandin il conversatore<br />
rispondeva: “No, non ho mai voluto conoscerli’, sventuratamente,<br />
giungeva soltanto secondo a rispondere così, perché un altro<br />
Legrandin, che egli nascondeva con cura nel fondo di se stesso, che<br />
non faceva vedere a nessuno perché quello là, quel Legrandin,<br />
sapeva sul conto del nostro, e del suo snobismo, certe storie<br />
compromettenti, un altro Legrandin aveva risposto con la ferita dello<br />
sguardo, con il rictus della bocca, con il tono esageratamente grave<br />
(par la gravité excessive) della risposta, con le mille frecce da cui il<br />
nostro Legrandin s’era trovato di colpo (en un instant) crivellato e<br />
illanguidito come un san Sebastiano dello snobismo: ‘Ah! Come mi<br />
fate male! No, non conosco i Guermantes, non risvegliate il grande<br />
dolore della mia vita’. [...]. Questo, ben inteso, non vuol dire che il<br />
signor Legrandin non fosse sincero quando tuonava contro gli snob.<br />
Non poteva sapere, almeno da se stesso, di esserlo lui, giacché noi<br />
non conosciamo mai che le passioni degli altri, e quel che arriviamo<br />
a sapere delle nostre è solo dagli altri che abbiamo potuto scoprirlo.<br />
<strong>Su</strong> di noi, esse agiscono in modo meramente secondario, attraverso<br />
l’immaginazione che sostituisce i moventi originari con altri moventi<br />
di ricambio, più decorosi dei primi” (SW, 128-129; 157-158) +
208<br />
Leggere anche il seguito... + “– Chì? E perché? chiese il presidente<br />
dell’ordine, dissimulando la propria esultanza sotto uno stupore<br />
esagerato (exagéré); vi riferite ai miei ospiti? Aggiunse, sentendosi<br />
capace di continuare la finzione; ma cosa c’è di chic nell’invitare a<br />
colazione degli amici? Devono pur mangiare, da qualche parte” (AF,<br />
687; 832) + “‘D’altronde, non ha la minima (aucune espèce)<br />
importanza’. Frase equivalente a un riflesso (analogue à un réflex),<br />
identica, nelle più gravi come nelle più trascurabili circostanze; e<br />
rivelatrice (dénonçant), come in questo caso, dell’effettiva importanza<br />
attribuita alla cosa in questione da chi, a parole, gliela nega (en celui<br />
qui la déclare sans importance). Frase tragica, a volte, che sfugge<br />
prima d’ogni altra – e così carica, allora, di sconforto – a ogni uomo<br />
che, appena un po’ orgoglioso, abbia perduto l’ultima speranza cui<br />
s’aggrappava perché qualcuno gli ha rifiutato un favore: ‘Ah, bene,<br />
non ha la minima importanza, mi arrangerò diversamente’, quando il<br />
diverso arrangiarsi verso il quale non ha la minima importanza,<br />
vedersi respinti è, in qualche caso, il suicidio” (OF, 740; 898) +<br />
“Rimasi serio. Da un lato, trovavo stupido che mostrasse di credere o<br />
di voler far credere che nessuno, in realtà, fosse più chic di lei.<br />
Dall’altro, le persone che ridono così forte (si forte) di ciò che dicono,<br />
e che non è per niente spiritoso (et qui n’est pas drôle), ci<br />
dispensano in tal modo, prendendo l’ilarità a loro carico, dal<br />
parteciparvi” (SG, 702; 851) + “Questo tono non traeva in inganno, e<br />
i segni opposti per mezzo dei quali esprimiamo i nostri sentimenti<br />
traducendolo nel loro contrario (par leur contraire) sono di così facile<br />
lettura che ci si chiede come possa esserci ancora qualcuno che<br />
dice, per esempio: ‘Ho tanti inviti (j’ai tant d’invitations) che non so<br />
dove sbattere la testa’ per dissimulare di non essere invitato da<br />
nessuno (pour dissimuler qu’il ne sont pas invités)” (SG, 1023; 268) +<br />
“Ma preferivo avere l’aria di chi sa, non quella di chi domanda.<br />
D’altronde, Albertine non m’avrebbe risposto, o avrebbe risposto con<br />
un ‘no’ la cui ‘n’ sarebbe stata troppo (trop) esitante e l’ ‘o’troppo<br />
(trop) deciso” (SG, 1097; 348) + Ma era sicuramente per incontrarvi<br />
qualcuno, per prepararvi qualche piacere. Altrimenti, non ci avrebbe<br />
tenuto tanto (tellement). Voglio dire: non mi avrebbe ripetuto tante<br />
volte che non ci teneva (elle ne m’eût pas répeté qu’elle n’y tenait<br />
pas)” (P, 88; 476) + “‘Credo che voi conosceste molto bene mio<br />
padre. – Ah! Lo credo’, disse Madame de Guermantes, in un tono<br />
malinconico che rivelava come capisse il dolore della figlia e con un<br />
voluto eccesso di intensità (avec un excès d’intensité voulu)<br />
apparentemente inteso a dissimulare che non era sicura di ricordare<br />
molto esattamente il padre. ‘L’abbiamo conosciuto molto bene, me lo
209<br />
ricordo molto bene’. (E, in effetti, poteva ricordarselo: era venuto a<br />
trovarla quasi ogni giorno per venticinque anni). ‘So benissimo chi<br />
era, vi dirò’ [...]” (AS, 580; 197-198).<br />
4) ... e l’inverso<br />
“[...] a meno che parole siffatte, che in qualche modo devono<br />
essere lette alla rovescia (à l’envers), la loro lettura significando il<br />
contrario (le contraire) della verità, non siano il necessario effetto, il<br />
grafico negativo di un riflesso” (AF, 860; 1040) + “A volte, la scrittura<br />
in cui decifravo le menzogne di Albertine, senza giungere ad essere<br />
ideografica, aveva semplicemente bisogno d’essere letta<br />
all’incontrario (à rebours)” (P, 91; 479)<br />
5) Non solo l’affermazione; anche l’omissione...<br />
“In Albertine, la sensazione della menzogna era data da molte<br />
particolarità già emerse nel corso di questa narrazione, ma<br />
principalmente (principalement) da questa: che, quando mentiva, il<br />
suo racconto peccava o per insufficienza, omissione (omission),<br />
inverosimiglianza, o – al contrario (au contraire) – per eccesso<br />
(excès) di fatterelli destinati a renderlo verosimile. La<br />
verosimiglianza, malgrado quel che ne pensa il mentitore, non è la<br />
verità. Non appena, mentre si sta ascoltando qualcosa di vero, si<br />
percepisce qualcosa che è soltanto verosimile, che lo è, forse, più<br />
del vero, che lo è forse troppo (qui l’est peut-être trop), l’orecchio<br />
musicalmente un po’ esperto sente che non è così, come un verso<br />
falso o una parola ad alta voce, per un altro” (P, 178-179; 577-578).<br />
6) Così è costruito il nostro linguaggio<br />
Il troppo che stroppia... la recisa negazione, la recisa<br />
omissione... che costringono chi vuole sapere la “verità” a procedere<br />
à rebours... non sono delle eccezioni, sono la norma. Così funziona il<br />
linguaggio: “Le parole ‘quando ci si chiama marchese di Saint-Loup’,<br />
il signor di Guermantes le pronunciò con enfasi (avec emphase).<br />
Certo, sapeva benissimo che chiamarsi ‘duca di Guermantes’ era<br />
ancora di più. Ma se il suo amor proprio tendeva piuttosto ad
210<br />
esagerare la superiorità del suo titolo, lo spingevano ad attenuarla<br />
non tanto le regole del buon gusto, quanto le leggi<br />
dell’immaginazione. Ciascuno di noi vede in una luce migliore ciò che<br />
vede a distanza, ciò che vede negli altri. Così, le leggi generali che<br />
governano la prospettiva dell’immaginazione valgono per i duchi<br />
esattamente come per tutti mortali. E non soltanto le leggi<br />
dell’immaginazione, ma anche quelle del linguaggio. Ora, in questo<br />
caso si poteva applicare l’una o l’altra delle due leggi del linguaggio.<br />
Secondo la prima, ci si esprime come i componenti della propria<br />
categoria intellettuale e non come quelli della propria casta sociale. Il<br />
duca di Guermantes poteva dunque essere, nell’eloquio, e persino<br />
quando voleva parlare della nobiltà, tributario dei piccolissimi<br />
borghesi che avrebbero detto ‘quando ci si chiama duca di<br />
Guermantes’, mentre una persona colta, uno Swann, un Legrandin,<br />
non l’avrebbero mai detto. Un duca può scrivere un romanzo da<br />
droghiere, magari proprio sui costumi mondani, i suoi titoli nobiliari<br />
non essendogli, in questo caso, di nessun aiuto, e un plebeo<br />
meritare, con i suoi scritti, d’essere definito aristocratico. Chi fosse,<br />
nella fattispecie, il borghese dal quale il signor di Guermantes aveva<br />
sentito dire ‘quando ci si chiama’, probabilmente lo ignorava lui<br />
stesso. Ma un’altra legge del linguaggio vuole che, di tanto in tanto –<br />
così come si manifestano, e poi scompaiono, certe malattie di cui, in<br />
seguito, non si sente più parlare –, nascano in modi perlopiù<br />
imprecisabili (o spontaneamente, o per un caso paragonabile a<br />
quello che fece attecchire in Francia un’erba grama americana<br />
perché un suo seme, rimasto impigliato nei fili d’una coperta da<br />
viaggio, era caduto su una scarpata della ferrovia) delle espressioni<br />
che, nello stesso decennio sentiamo usare da persone le quali, in<br />
proposito, non hanno preso nessun accordo tra loro” (G, 235-236;<br />
284-285).<br />
“Non pretendo certo che mia nonna e i suoi rari simili fossero i<br />
soli a ignorare questo genere di calcoli. La media dell’umanità,<br />
esercitando professioni delicate a priori, raggiunge in parte, grazie<br />
alla sua mancanza di intuito (par son manque d’intuition), l’ignoranza<br />
di cui la nonna era debitrice al suo nobile disinteresse. Bisogna<br />
scendere, spesso, fino ai mantenuti, uomini o donne, per dover<br />
cercare il movente dell’atto o delle parole apparentemente più<br />
innocenti nell’interesse, nella necessità della sopravvivenza. Quale<br />
uomo, quando una donna ch’egli sa d’essere tenuto a pagare gli<br />
dice: ‘Non parliamo di danaro’, ignora che questa frase dev’essere<br />
considerata quel che in musica si chiama ‘una battuta vuota’? e che,<br />
in seguito, se gli dichiara: ‘Mi hai fatto troppo soffrire, non mi dici la
211<br />
verità, non ce la faccio più’, dovrà interpretare: ‘Un altro protettore mi<br />
offre più di te’? E questo è ancora il linguaggio di una cocotte<br />
abbastanza vicina alle donne della buona società Gli apaches<br />
offrono esempi più eloquenti. Ma il signor di Norpois e il principe<br />
tedesco, se non conoscevano gli apaches, s’erano abituati a vivere<br />
sullo stesso piano delle nazioni, e queste sono a loro volta, a dispetto<br />
della grandezza, esseri egoisti e astuti, che si possono domare solo<br />
con la forza o l’interesse, il quale può spingerle sino all’omicidio –<br />
omicidio, in molti casi, simbolico anch’esso, giacché il rifiuto di<br />
battersi o la semplice esitazione a battersi possono significare, per<br />
una nazione, ‘perire’” (G, 260-261; 315).<br />
7) L’inconscio etc. 220<br />
In Freud il meccanismo della negazione è assimilabile a quello<br />
della rimozione; meglio, è una delle forme in cui la rimozione si<br />
manifesta. La rimozione in Freud implica l’inconscio...<br />
Alberto Beretta Anguissola e Daria Galanteria, nelle note a<br />
Albertina scomparsa, citano uno studio di linguistica quantitativa,<br />
quello di Étienne Brunet: Le vocabulaire di <strong>Proust</strong> (Genève-Paris,<br />
Slaktine-Champin, 1983), vol. II, Index de À la recherche du Temps<br />
perdu, p. 752, da cui risulta che la parola inconscio, nelle forme<br />
sostantivali, aggettivali o avverbiali occorre 60 volte, corrispondenti al<br />
quadruplo rispetto alla frequenza media dello stesso vocabolo nella<br />
prosa letteraria del tempo di <strong>Proust</strong> (AS, 802).<br />
Non seguiamo i nostri nell’impresa anche per loro ardua di<br />
rintracciare influssi freudiani... Casomai, saremmo tentati di pensare<br />
a influssi proustiani su Freud! In realtà pensiamo<br />
(1) a un effetto dello spirito del tempo (ma allora perché il<br />
“quadruplo”?);<br />
(2) pensiamo che l’inconscio è sempre esistito. Per inconscio non<br />
si deve intendere l’inconscio freudiano. Quello dovuto alla<br />
rimozione... In Girard vediamo l’utilizzazione del termine e del<br />
concetto di inconscio (legati al termine e al concetto di transfert<br />
[duplice]) indipendenti dal termine e dal concetto di rimozione.<br />
Noi abbiamo proposto che la vera rimozione è rimozione<br />
dell’infanzia, dell’acategoriale.<br />
220 “Une vérité clairement comprise ne peut plus être écrite avec sincérité”<br />
(Senancour, in Textes retrouvés. Recueillis et présentés par Philp Kolb, Gallimard,<br />
Paris, 1971, 84).
212<br />
Alcune dichiarazioni dirimenti: “[...] quanto lavoro egli [Flaubert]<br />
dové sostenere per fissare tale visione, per farla passare<br />
dall’inconscio nella coscienza (la faire passer de l’inconscient dans le<br />
conscient), per incorporarla nelle varie parti del discorso!” (1920, A<br />
proposito dello “stile” di Flaubert, SA, 592; 544) + “Gli atti creativi<br />
procedono [...] non dalla conoscenza delle loro leggi, ma da una<br />
potenza oscura e incomprensibile, che non rafforziamo<br />
illuminandola” (1895, Chardin et Rembrandt, SA, 382; 323) + “Si<br />
tratta di tirar fuori dall’incosciente (tirer hors de l’inconscient) per farla<br />
entrare nel regno dell’intelligenza, ma cercando di serbarla in vita<br />
(mais en tâchant de lui garder sa vie), di non mutilarla, di disperderne<br />
il meno possibile, una realtà che la solo luce dell’intelligenza, pare,<br />
basterebbe a distruggere” (1922, Risposte ad un’inchiesta delle<br />
“Annales”, SA, 640-641; 593).<br />
Lo scopo è quello di trovare un “esatto dosaggio di memoria e<br />
di oblio (exact dosage de mémoire et d’oublie)” fornito dai ricordi<br />
involontari (1913, Swann spiegato da <strong>Proust</strong>, SA, 559; 509). 221<br />
Quindi, alcuni passaggi in cui è individuato all’opera l’inconscio:<br />
“[...] per esempio, in Corneille, e nei quali un romanticismo<br />
intermittente, contenuto, e per questo tanto più emozionante, non è<br />
tuttavia penetrato sino alle sorgenti fisiche della vita, non ha<br />
modificato l’organismo inconscio e generalizzabile (organisme<br />
inconscient et généralisable) in cui dimora l’idea” (G, 549; 667) + “La<br />
filosofia parla spesso di atti liberi e atti necessari. Forse non c’è atto<br />
più completamente subìto di quello che, in virtù di una forza<br />
ascensionale compressa (en vertu d’une force ascensionelle<br />
comprimée) durante l’azione, fa sì che, messo a riposo il pensiero,<br />
un ricordo fino allora livellato agli altri dalla forza oppressiva<br />
(oppressive) della distrazione risalga di slancio, giacché più d’ogni<br />
altro conteneva, a nostra insaputa (à notre insu), un fascino di cui ci<br />
accorgiamo soltanto ventiquatt’ore dopo. E nemmeno c’è atto, forse,<br />
più libero di questo, ancora sciolto dall’abitudine, da quella sorta di<br />
mania mentale che, in amore, favorisce l’esclusivo rinascere<br />
dell’immagine di una determinata persona” (OF, 822-823; 997) + “[...]<br />
la fanciulla, la Galatea appena desta nell’inconscio di quel corpo<br />
(dans l’inconsciet de cet corps) d’uomo [...]” (SG, 621; 753) + “[...] ma<br />
in modo quasi inconscio, come per un’abitudine o una particolarità<br />
animale (d’une façon quasi inconsciente, par une sorte d’habitude et<br />
de particularité animale)” (TR, 703; 344) + “Era, quell’in fin dei conti<br />
me ne infischio, un esemplare fra mille dello straordinario linguaggio,<br />
221 Vedi quanto osservato sull’oblio nel cap. 1.
213<br />
così diverso da quello che parliamo abitualmente, in cui l’emozione fa<br />
deviare ciò che volevamo dire e fa sbocciare al suo posto (à sa<br />
place) una frase affatto differente, emersa da un lago ignoto<br />
(émergée d’un lac inconnu) in cui vivono le espressioni che non<br />
hanno rapporto col pensiero e per ciò stesso lo rivelano” (TR, 822;<br />
489) + “Nelle persone che amiamo c’è, immanente ad esse, un certo<br />
sogno che noi perseguiamo anche se non sempre riusciamo a<br />
discernerlo. [...]. Questo desiderio che si risveglia ogni volta alla vista<br />
d’una cavallerizza, chi può mai dire a quale sogno durevole e<br />
inconscio (à quel rêve durable et inconscient) sia legato, inconscio e<br />
non meno misterioso, per esempio, per chi ha sofferto tutta la vita di<br />
crisi d’asma, dell’influsso d’una città apparentemente simile alle altre<br />
in cui, per la prima volta, respira liberamente? [...]. Nel signor di<br />
Charlus, tutto il suo sogno di virilità [...]. Insomma, il suo desiderio<br />
d’essere incatenato, d’essere percosso, tradiva, nella sua bassezza,<br />
un sogno non meno poetico (aussi poétique que) del desiderio, in<br />
altri, d’andare a Venezia o di mantenere delle ballerine” (TR, 839-<br />
840; 509-511) + “D’altronde di Charlus ce n’erano due, senza<br />
contare gli altri. Fra i due, l’intellettuale passava il suo tempo a<br />
dolersi d’andare verso l’afasia, di pronunciare di continuo una parola,<br />
una lettera al posto di un’altra, Ma non appena gli succedeva<br />
realmente di farlo, l’altro Charlus, quello inconscio (le subconscient),<br />
che voleva essere invidiato quanto l’altro commiserato e ricorreva a<br />
civetterie che l’altro disdegnava, interrompeva immediatamente<br />
come un direttore d’orchestra con degli orchestrali che pasticciano, la<br />
frase cominciata, e con un’ingegnosità infinita riattaccava quanto<br />
veniva dopo alla parola detta, in realtà, al posto di un’altra, facendola<br />
sembrare scelta a bella posta” (TR, 861; 536). 222<br />
222 Se è presente il concetto di inconscio, come del resto risulta evidente da molti<br />
dei passi già citati – considerate la forza ascensionale etc. –, inevitabilmente sono<br />
presenti quello di proiezione e quello di repressione/rimozione, di transfert...<br />
Proiezione: “E benché fosse solo, questa idea esterna alla sua figura, impalpabile,<br />
immensa e sussultante come una proiezione (projection), sembrava precederlo e<br />
guidarlo, simile a quelle Divinità, invisibili al resto degli umani, che stavano al<br />
fianco dei guerrieri greci” (G, 40; 40) + “Non era solo nel firmamento che proiettavo<br />
(que je mettais) il pensiero di Madame de Guermantes” (G, 120; 141) + “E ancora<br />
resta incerto se li abbiamo già incontrati – o se non abbiano piuttosto quel carattere<br />
di cosa non vista per la prima volta che viene proiettato su di essi da un’illusione<br />
(que projette sur eux une illusion), da una suddivisione (perché parlare di<br />
sdoppiamento non era sufficiente)” (AS, 492; 92) + “non facciamo altro che<br />
proiettare (projecter) fuori di noi (hors de nous)” (AS, 496; 97).<br />
Repressione/rimozione: “Madame Verdurin non potè reprimere (réprimer) che in<br />
parte il sorriso [...]” (SG, 953; 191) + “E di colpo (tout d’un coup), ricordando certi<br />
moti d’impazienza d’Albertine, d’altronde subito repressi (qu’elle réprimait du reste
214<br />
aussitôt) (P, 295; 708) + “E poiché le impressioni che, per me, davano alle cose il<br />
loro valore, erano di quelle che gli altri non provano, o rimuovono (refoulent) senza<br />
pensarci come insignificanti [...]” (SG, 949; 187) + “Ma la natura che reprimiamo<br />
(que nous refoulons) non cessa per questo di abitare in noi” (P, 291; 703).<br />
Transfert: “Ma l’immaginazione non le situava più ora, nello stile di una grande<br />
attrice; a partire dalle mie visite a Elstir, era su arazzi, su certi quadri moderni che<br />
avevo trasferito (reporté) la fede interiore nutrita un tempo per la recitazione, per<br />
l’arte tragica della Berma [...]” (G, 36; 38) + “Tuttavia, trascorsi alcuni giorni [...] fu<br />
quest’ultimo [il ricordo di Madame Guermantes] che, alla fine, riformò più spesso,<br />
come spontaneamente, mentre i suoi concorrenti s’eliminavano fra loro; fu sul suo<br />
versante che infine mi trovai – ancora volontariamente, tutto sommato, e come per<br />
scelta di piacere – ad aver trasferito (transferé) ogni mio pensiero d’amore” (G, 61;<br />
69) + “A dimostrarlo (più ancora della noia che si accompagna alla felicità) è<br />
quanto il vedere o non vedere quella persona, l’esserne o non esserne stimati,<br />
l’averla o no a nostra disposizione, ci sarà indifferente quando non dovremo più<br />
porci il problema (a tal punto ozioso che non ce lo porremo neanche più) se non in<br />
relazione alla persona in quanto tale (en tant que se rattachant à elle), il processo<br />
di emozioni e di angosce essendo ormai obliato – almeno in rapporto a lei, perché<br />
potrebbe essersi sviluppato di nuovo, ma trasferito a un’altra persona (mais<br />
transferé à une autre). Prima, quando era ancora legato a lei, credevamo che la<br />
nostra felicità dipendesse dalla sua persona: dipendeva semplicemente dalla<br />
terminazione della nostra ansia. Il nostro inconscio (notre inconscient) era dunque,<br />
in quel momento, più chiaroveggente di noi, rendendo così piccola la figura della<br />
donna amata [...]” (AS, 433; 21-22). Presente anche il concetto (e la pratica) della<br />
libera associazione: “Anche la lettura dei giornali mi era odiosa e, perdipiù, non è<br />
inoffensiva. Dentro di noi, in effetti, da ogni idea, come da un crocevia in una<br />
foresta (comme d’un carrefour dans une forêt), partono tante strade che, nel<br />
momento in cui meno ce l’aspettiamo, mi trovavo davanti a un ricordo” (AS, 543;<br />
153). (L’esempio massimo di libere associazioni è La vita e le opinioni di Tristram<br />
Shandy, gentiluomo, di Sterne). Sappiamo, comunque, che <strong>Proust</strong> rifiutava le libere<br />
associazioni come metodo: “Au reste, je crains que l’architecture de À la recherche<br />
du temps perdu ne soit pas plus sensible dans ce livre que dans Swann. Je vois<br />
des lecteurs s’imaginer que j’écris, en me fiant à d’arbitraires et fortuites<br />
associations d’idées, l’histoire de ma vie. Ma composition est voilée e d’autant<br />
moins rapidement perceptible qu’elle se développe sur une large eschelle [...] mais<br />
pour voir combien elle est rigoureuse [...]” (lettera a Paul Souday, 10 novembre<br />
1919. CORR, XVIII, p. 464). Ma ancora: “E come procede <strong>Proust</strong> per ottenere<br />
questo richiamo, questa resurrezione? Proprio nello stesso modo raccomandato da<br />
Freud: per associazione di idee. A dire il vero, mentre Freud, che è esterno al suo<br />
malato, cerca di provocare in lui delle associazioni, lo tenta, non gli dà tregua,<br />
<strong>Proust</strong>, che opera su se stesso, è costretto ad aspettare passivamente l’occasione<br />
di una associazione feconda. Soltanto il puro caso può premiarlo [...]. Ma una volta<br />
che il caso è stato catturato, lo sforzo di concentrazione che <strong>Proust</strong> fa per<br />
ricavarne ogni vantaggio e fargli restituire tutto quanto contiene è molto più vicino<br />
alla pressione che Freud esercita sul suo paziente e all’appello costante da lui<br />
rivolto alla sua memoria” (Jacques Rivière, <strong>Proust</strong> e Freud. Alcuni progressi nello<br />
studio del cuore umano, 1923-1925; tr. it. Pratiche Editrice, Parla, 1985, p. 57).<br />
Infine: “L’‘association libre’ est un discours qui a su perdre toute impatience et qui<br />
se déroule, en compression ou en extension, à l’image des intermittences<br />
syntaxiques de <strong>Proust</strong>. Elle devrait se dérouler à l’image de la phrase de <strong>Proust</strong>.
8) Il <strong>Proust</strong> e Freud di Rivière<br />
215<br />
<strong>Proust</strong> e Freud. Alcuni progressi nello studio del cuore umano,<br />
raccoglie alcuni saggi (conferenze) di Jacques Rivière che cadono<br />
nel periodo 1924-1925 e che sono stati pubblicati in Les Cahiers de<br />
l’Occident nel 1927. 223 Anche se solo di sfuggita, ricordiamo che<br />
Rivière era un rappresentante autorevole della Gallimard che, dopo<br />
Du côté de chez Swann, pubblicato da Grasset, pubblicherà tutto<br />
<strong>Proust</strong>; conoscerà <strong>Proust</strong>; avrà un significativo carteggio con lui...<br />
Rilevato che l’inconscio “non è una scoperta di Freud”, 224 e<br />
dichiarata l’“ignoranza in cui sono reciprocamente vissuti”, 225<br />
definisce quel che hanno in comune: “<strong>Proust</strong> e Freud inaugurano un<br />
nuovo modo di interrogare la coscienza. Rompono con le indicazioni<br />
del senso intimo; non vogliono più rimanervi paralleli; aspettano,<br />
spiano, anziché i sentimenti, i loro effetti; vogliono capirli attraverso i<br />
loro segni. L’uomo interiore è qui trattato per la prima volta come un<br />
corpo sulla cui composizione non possono ragguagliare se non le<br />
reazioni a cui dà luogo. Il metodo induttivo si estende agli aspetti<br />
psicologici che finora eravamo abituati ad accogliere e a credere<br />
veri”. 226<br />
Cioè: “l’ipocrisia è inerente alla coscienza. Spingendo<br />
all’estremo l’idea di Freud, dirò che avere coscienza significa essere<br />
ipocriti”. 227<br />
Ma il “rivelatore” è soprattutto <strong>Proust</strong>, perlomeno nell’ambito<br />
letterario e per quel che riguarda lo stesso Rivière. Cominciando da<br />
Rivière (e a seguire): “Per quanto almeno mi riguarda, <strong>Proust</strong> sarà<br />
stato il più spaventoso rivelatore su me stesso che potessi<br />
incontrare”; 228 “Per primo <strong>Proust</strong> commette quella terribile empietà,<br />
Qui y parvient? Personne. Souvent, l’analyse échoue à perdre l’impatience sans<br />
sombrer dans la dépression” (Kristeva, op. cit., p. 368). “Le souffle enfin retrouvé<br />
comme temps, et ouvert à tous vents comme lui, dans cette association libre et<br />
interminable qu’est la Recherche et que la mort seule peut interrompre (ibidem, p.<br />
300).<br />
223<br />
Tr. it. Pratiche Editrice, Parma, 1985.<br />
224<br />
Ibidem, p. 28.<br />
225<br />
Ibidem, p. 43.<br />
226<br />
Ibidem, p. 161. “Tutto quello che gli scrittori si sono abituati a subire,<br />
all’improvviso semplicemente [<strong>Proust</strong> e Freud] lo guardano: per decifrarlo, si<br />
servono di tutte quelle tracce, di tutti quei segni che deposita sui visi o sulle parole,<br />
di tutti quei residui non sfruttati, e anziché riprodurli, li interpretano” (ibidem, p.<br />
115).<br />
227<br />
Ibidem, p. 34.<br />
228 Ibidem, p. 160.
216<br />
che mi rivolta e mi affascina ad un tempo, di affrontare se stesso con<br />
spirito positivo”. 229<br />
E continuando a citare: “Per vincere un’illusione così forte (è poi<br />
un’illusione?) e così necessaria alla continuazione della vita sulla<br />
terra, sarebbe occorsa una indipendenza di spirito che taluni<br />
troveranno forse diabolica, e che a volte mi appare così, ma a volte<br />
anche come il dono più straordinario che sia mai toccato in sorte ad<br />
essere umano, come una delle manifestazioni più belle, più potenti<br />
del genio dell’uomo”; 230 “L’intelligenza in lui non si concede tregua;<br />
non si fa affettata né rigida, ma con magnifica pigrizia, lenta come<br />
una rete che si tira su, riporta tranquillamente alla superficie l’enorme<br />
preda della sensibilità; la contraddice nei particolari; tra nelle sue<br />
maglie trattiene soltanto il vero. Non so proprio come descrivere<br />
questa operazione, debole, delicata e decisiva. Anch’essa è imposta<br />
forse, o permessa, si deve osarlo dire, da una certa mancanza di<br />
carattere in <strong>Proust</strong>, ma unita alla più rara intrepidezza<br />
intellettuale”. 231<br />
Qualcosa che sconvolge Rivière, nella lettura delle<br />
“Intermittenze del cuore” è la concezione proustiana della convivenza<br />
di “io” differenti: “Il nostro autore giunge così all’idea di mirabile<br />
audacia secondo la quale siamo composti di serie diverse e<br />
parallele, 232 la durata psichica si svolge su parecchi piani senza<br />
contatto fra loro, anche quando s’intersecano, solo l’unità del nostro<br />
corpo può darci l’impressione che siamo un unico essere, mentre in<br />
realtà ci sono parecchi io che vivono in simbiosi, come si dice in<br />
biologia, disponendo fra tutti di una sola coscienza, a cui, per<br />
conoscersi, devono attingere di volta in volta la luce. In altre parole,<br />
<strong>Proust</strong> ha introdotto lo sdoppiamento della personalità nella vita<br />
normale. [...]. Lo trovo sconvolgente”. 233<br />
229 Ibidem, p. 76.<br />
230 Ibidem, p. 96.<br />
231 Ibidem, pp. 159-160. Benjamin riprende quasi tale e quale questa immagine<br />
della preda nel 1929; in Per un ritratto di <strong>Proust</strong>, in Ombre corte. Scritti 1928-1929,<br />
Einaudi, Torino, 1993, p. 367<br />
232 “Ora, poiché quello che ero improvvisamente ridiventato non era più esistito<br />
dalla lontana prima sera in cui la nonna, al mio arrivo a Balbec, mi aveva aiutato a<br />
svestirmi, fu con assoluta naturalezza, non già dopo l’attuale giornata (che quell’io<br />
ignorava), bensì – come se ci fossero, nel tempo, delle serie distinte e parallele –<br />
immediatamente dopo quella sera, senza alcuna soluzione di continuità con essa,<br />
che aderii all’attimo in cui la nonna s’era chinata su di me” (SG, 917).<br />
233 Ibidem, 71
217<br />
In ogni caso, quanto al desiderio mimetico, vedi “altalena<br />
descritta da <strong>Proust</strong>”... 234<br />
9) <strong>Proust</strong> e Freud in Genette<br />
Solo un cenno ad uno scritto molto bello di Gérard Genette,<br />
<strong>Proust</strong> e il linguaggio indiretto. 235<br />
Genette recupera un’aggettivazione proustiana: “E alla cattiva<br />
abitudine di parlare di sé e dei propri difetti bisogna aggiungere<br />
l’altra, che fa blocco con la prima, di denunciare negli altri la<br />
presenza di difetti perfettamente analoghi ai nostri. Ora, è sempre di<br />
questi difetti che parliamo, quasi fosse un modo per parlare di noi,<br />
deviato (détournée) e tale da assommare il piacere di confessare a<br />
quello di assolverci” (OF, 743; 901): “manière de parler [...]<br />
détournée”.<br />
Nello scritto di Genette ritroviamo molti dei passaggi segnalati<br />
da noi. Ma Genette non richiama mai Gerard; solo da un certo punto<br />
in poi Freud; ad esempio parla di “negazione (négation)”, di pensiero<br />
“represso, compresso (réprimée, comprimée)”, di “espulsione<br />
(expulsion)”, di “ritorno del rimosso (retour du refoulé)”, di<br />
spostamento (déplacé) già prima di citare Freud (272, 274, 276; 203,<br />
205, 206).<br />
Ad un certo “il confronto s’impone tra queste allusioni<br />
involontarie e i lapsus studiati da Freud (209). Genette qui cita n<br />
passaggio che noi abbiamo già citato: “Era, quell’in fin dei conti me<br />
ne infischio, un esemplare fra mille dello straordinario linguaggio,<br />
così diverso da quello che parliamo abitualmente, in cui l’emozione fa<br />
deviare ciò che volevamo dire e fa sbocciare al suo posto (à sa<br />
place) una frase affatto differente, emersa da un lago ignoto<br />
(émergée d’un lac inconnu) in cui vivono le espressioni che non<br />
hanno rapporto col pensiero e per ciò stesso lo rivelano” (TR, 822;<br />
489). Qui Genette sceglie una posizione divertente: “applicheremo –<br />
afferma – questa formula di <strong>Proust</strong>, più rigorosa forse [di quella<br />
234 Ibidem, p. 109. A proposito del rapporto tra <strong>Proust</strong> e Freud (a parte il fatto che<br />
nessuno dei due ha letto l’altro ecc.), dopo aver ricordato il mio La<br />
rappresentazione dell’oggetto perduto che figura come Introduzione ricavata da<br />
Freud a Simbolizzazione come costruzione (Vallecchi, Firenze, 1981, pp. 5-27),<br />
segnalo il recente Le lac inconnu. Entre <strong>Proust</strong> et Freud, di Jean-Yves Tadié,<br />
Gallimard, Parigi, 2012. Un inedito Tadié psicoanalista.<br />
235 <strong>Proust</strong> et le langage indirect, in Figures II, Le Seuil, Paris, 1969; tr. it. <strong>Proust</strong> e il<br />
discorso indiretto in In Figure II, Einaudi, Torino, 1972.
218<br />
freudiana] nella stessa ambiguità”. E in nota: “Esiste una definizione<br />
più bella dell’inconscio?” (210).<br />
Ma da questo momento in poi il testo si infittisce di repressione<br />
(meno di ritorno del rimosso), di “transfert” (216), soprattutto di<br />
negazione: “La terza e ultima forma di confessione involontaria<br />
risponde anch’essa a un principio enunciato, qualche anno dopo, da<br />
Freud”: nel 1925; <strong>Proust</strong> è morto nel 1922. “Quest’intrusione del<br />
contenuto rimosso nel discorso, ma in forma negativa, che Freud<br />
chiama Verneinung e che in Francia dopo Lacan viene generalmente<br />
tradotta con dénégation, risponde alla forma retorica dell’antifrase”<br />
(214). Più avanti, facendo propria l’argomentazione di Freud, parla<br />
anche di “amalgama di denegazione e di proiezione” (215).<br />
Concludiamo questo veloce richiamo con una notazione che ci<br />
sembra centrale: “La sola realtà autentica, come sappiamo, è per<br />
<strong>Proust</strong> quella che si offre nell’esperienza della reminiscenza e si<br />
perpetua nell’esercizio della metafora – presenza d’una sensazione<br />
in un’altra, ‘balenìo’ del ricordo, profondità analogica e differenziale,<br />
trasparenza ambigua del testo, palinsesti della scrittura. Lungi dal<br />
riportarci a una qualsiasi immediatezza del percepito, il Temps<br />
retrouvé ci sprofonderà senza uscita in quello che James chiamava<br />
lo ‘splendore dell’indiretto’, nell’infinita mediazione del linguaggio”<br />
(223).<br />
10) La verità e l’arte<br />
Lo scopo del Narratore è di trovare la “verità”. Importantissimo:<br />
la verità si mostra solo attraverso gli interstizi: “Lo scrittore non si<br />
deve offendere se l’invertito dà alle sue eroine un volto maschile.<br />
Solo questa particolarità un po’ aberrante consente all’invertito di<br />
attribuire poi a quel che legge tutta la sua generalità. [...]. Allo stesso<br />
modo, se Charlus non avesse dato all’‘infedele’, su cui piange<br />
Musset nella Nuit d’octobre o nel Souvenir, il viso di Morel, non<br />
avrebbe né pianto, né capito, giacché solo per questa via angusta e<br />
traversa (puisque c’était par cette seule vie, étroite et détournée,<br />
que) egli aveva accesso alle verità dell’amore” (TR, 910-911; 596).<br />
Ma, forse più importante?, solo l’arte – quella di cui <strong>Proust</strong> ci dà<br />
un esempio –, può raggiungere questa verità: “Questo lavoro<br />
dell’artista – cercar di scorgere sotto la materia, sotto l’esperienza,<br />
sotto le parole, qualcosa di diverso – è esattamente l’inverso del<br />
lavoro (le travail inverse) che compiono incessantemente in noi,<br />
quando viviamo distolti da noi stessi, l’amor proprio, la passione,
219<br />
l’intelligenza, l’abitudine, ammassando sopra le nostre impressione<br />
vere (nos impressions vraies), per nascondercele completamente, le<br />
nomenclature, le finalità pratiche che chiamiamo erroneamente la<br />
vita. Insomma, quell’arte così complicata è precisamente la sola arte<br />
viva (le seul art vivant). Essa sola esprime per gli altri e fa vedere a<br />
noi stessi la nostra propria vita (notre propre vie), la vita che non può<br />
essere ‘osservata’, le cui apparenze, una volta osservate, hanno<br />
bisogno d’esser tradotte e, spesso, lette alla rovescia (souvent lues à<br />
rebours) e decifrate con fatica. È il lavoro fatto dal nostro amor<br />
proprio, dalla nostra passione, dal nostro spirito d’imitazione, dalla<br />
mostra intelligenza astratta, dalle nostre abitudini, quello che l’arte<br />
dovrà disfare; quello che l’arte ci farà compiere è il cammino in senso<br />
opposto (en sens contraire), il ritorno alla profondità dove ciò che è<br />
realmente esistito è sepolto, a noi conosciuto” (TR, 896; 578-579).<br />
9) La verità...<br />
In ogni caso, la verità non è né in quello che viene negato né in<br />
quello che viene affermato, né in quello che viene omesso...<br />
La verità è qualcosa di troppo complesso...<br />
Freud ha detto: sarebbe “comodo” se...<br />
<strong>Proust</strong>: “Ma quello scuotere la testa, così abitualmente<br />
associato a un avvenimento futuro, insinua proprio per questo un<br />
senso d’incertezza nella negazione (dénégation) di un avvenimento<br />
passato. Di più: evoca semplici ragioni di convenienza personale<br />
piuttosto che un atteggiamento di riprovazione o un’impossibilità<br />
morale. Vedendo Odette far segno che non era vero, Swann capì<br />
che forse lo era” (SW, 362; 437-438) + “‘Non voglio conoscerlo’ va<br />
tradotto con ‘non posso conoscerlo’. Questo è il senso intellettuale.<br />
Ma il senso passionale è realmente: ‘Non voglio conoscerlo’. Si sa<br />
che non è vero (on sait que cela n’est pas vrai), ma se lo si dice non<br />
è per semplice artificio, bensì (anche) perché lo si prova (mais on le<br />
dit parce qu’on épruove ainsi), e tanto basta alla soppressione della<br />
distanza, cioè alla felicità” (OF, 771; 935) + “Morel, nel suo desiderio<br />
di dare quella lezione, non era del tutto insincero (tout à fait<br />
insincère)” (SG, 1077; 362) + “Per metà, dunque, era sincera (elle<br />
était doc à demi sincère)” (SG, 885; 117) + “È possibile che il barone<br />
fosse sincero quando parlava di Morel come di un buon amico, e che<br />
dicesse la verità credendo di mentire (qu’il dît la vérité peut-être en<br />
croyant mentir) quando diceva: ‘Non so cosa faccia, non conosco la<br />
sua vita’” (P, 214; 618) + “D’altronde, sono tanti i diversi sentimenti
220<br />
che possono contribuire (d’ailleurs, tant de sentiments différents<br />
peuvent contribuer) a formarne uno solo (à en former un seul), che è<br />
difficile dire se non vi fosse (qu’on ne saurait pas dir s’il n’y avais), in<br />
questo suo interesse, qualcosa di affettuoso (quelque chose<br />
d’affectueux) per Swann” (AS, 578; 195) + “Quante volte un gran<br />
signore è derubato ogni anno da un amministratore che egli stesso<br />
ha allevato, di cui avrebbe giurato che era onesto, e forse lo era (et<br />
qui l’était peut-être)! Ora, questo sipario che nasconde i moventi<br />
altrui diventa più impenetrabile se di quella persona siamo<br />
innamorati” (AS, 618; 242) + “In quel caso, certo, bisogna lottare<br />
contro un’amicizia che porta diritto al tradimento. E proprio questo<br />
credo di aver sempre fatto. Ma per chi non ne ha la forza, non si può<br />
dire che l’amicizia che affettano per il detentore sia, in loro, una pura<br />
astuzia (une pure ruse); la provano sinceramente (ils l’éprouvent<br />
sincèrement), e per questo la manifestano con un ardore che, una<br />
volta consumato il tradimento, fa sì che il marito o l’amante ingannato<br />
possa dire con stupefatta indignazione: ‘Se aveste sentito che<br />
proteste d’affetto mi prodigava, quel miserabile! Che si derubi un<br />
uomo del suo tesoro, posso ancora capirlo. Ma che si senta il<br />
bisogno diabolico di giurargli (de l’assurer de), prima, la propria<br />
amicizia, è un’ignominia, una perversità d’un grado inimmaginabile’.<br />
Ebbene no, non c’è in questo nessun piacere perverso, e nemmeno<br />
una menzogna interamente consapevole (ni même mensonge tout à<br />
fait lucide). [...]. Ma la ragione ultima, che non faceva che elevare a<br />
una sorta di appassionato parossismo le prime due, lui stesso, forse<br />
(peut-être), la ignorava, e le altre due esistevano realmente<br />
(réellement), così come era realmente esistito in Albertine, quando<br />
aveva tanto desiderato andare da Madame Verdurin [...].<br />
Madamoiselle Vinteuil, aveva allora aumentato il mio tormento,<br />
rafforzato i miei sospetti, ma retrospettivamente mi provava che<br />
aveva tenuto ad essere sincera, e per una cosa innocente, anzi<br />
proprio, forse, perché (et peut-être justement parce que) era una<br />
cosa innocente” (AS, 621-622; 246-248) + “(e tutto ciò, sebbene lo<br />
scrivesse come una menzogna, era in fin dei conti vero)” (. TR, 340)<br />
+ “[...] giacché per far sembrare nuove le cose anche se sono<br />
vecchie, e persino se sono nuove (car pour quel le choses paraissent<br />
nouvelles si elles sont nanciennes, et même si elles sont nouvelles),<br />
occorrono – nell’arte come nella medicina o nella mondanità – dei<br />
nomi nuovi” (TR, 726; 372; il “même si trova nell’edizione curata da<br />
Tadié, 304) + “(Eppure, esse erano reali; quanto notavo di soggettivo<br />
nell’odio come nella stessa vista non impediva che l’oggetto potesse<br />
avere qualità o difetti reali, e non faceva affatto (nullement) svanire la
221<br />
realtà in un puro relativismo)” (TR, 913; 599) + “E forse era vero (et<br />
c’était peut-être vrai)” (TR, 1021; 729) con un bel po’ di<br />
considerazioni che procedono e seguono.<br />
La verità, quella complessa, si iscrive nel volto degli “esseri”...<br />
“Persino quando la sentiva suonare [la ‘piccola frase’], non era<br />
[Odette] obbligata all’espressione estatica che assumeva un tempo,<br />
giacché questa, nel frattempo, era diventata il suo volto (car celui-ci<br />
était devenù sa figure)” (SG, 906; 140) + “Molto spesso, infatti, per<br />
scoprire che siamo innamorati, fors’anche per diventarlo, bisogna<br />
che arrivi il giorno della separazione” (AS, 109).<br />
Ma sappiamo, proprio dal Tempo ritrovato, che gli uomini<br />
divengono...<br />
10) Desiderio mimetico, escalation = rappresaglia... Perdono<br />
Jupien aveva “in perfetta simmetria (en symétrie parfaite) col<br />
barone”... (SG, 604; 733).<br />
È, questo, uno dei pochi passi in cui <strong>Proust</strong> parla di vera e<br />
propria “simmetria”. Le parole più usate sono “differenza” e<br />
“indifferenza”; per farmi amare devo apparire indifferente e il<br />
reciproco... fino alle rappresaglie e oltre.<br />
A proposito della straordinaria storia d’amore di Swann: “Di tutti<br />
i modi di produzione dell’amore, di tutti gli agenti di disseminazione<br />
del male sacro, uno dei più efficaci è certo questo gran soffio d’ansia<br />
(souffle d’agitation) che passa a volte su di noi. La sorte è segnata<br />
allora: sarà lui, l’essere della cui compagnia godiamo in quell’istante,<br />
sarà lui che ameremo. Non c’è nemmeno bisogno che, prima, ci<br />
piacesse più di altri, e nemmeno altrettanto. Occorreva soltanto che<br />
la nostra inclinazione per lui diventasse esclusiva (exclusif). E tale<br />
condizione si realizza quando – nel momento in cui non ne<br />
disponiamo (à ce moment où il nous fait défaut) – alla ricerca dei<br />
piaceri prodigatici dalla sua grazia (à la recherche des plaisirs que<br />
son agrément nous donnait) si sostituisce bruscamente dentro di noi<br />
(s’est brusquement substitué en nous) il bisogno ansioso (un besoin<br />
ansieux) che ha per oggetto quell’essere medesimo, un bisogno<br />
assurdo, che le leggi di questo mondo rendono impossibile<br />
soddisfare e difficile da guarire – il bisogno insensato e doloroso di<br />
possederlo” (SW, 230-231; 280).<br />
L’indifferenza (indifférence) (SW, 230; 279), il disinteresse<br />
(désinteréssement) (SW, 229; 278) esibiti sono l’arma per far<br />
soffiare nell’altro l’ansia e il desiderio di possesso: “Proprio a
222<br />
quell’angoscia [a quell’ansia, a quell’agitazione], forse, egli era<br />
debitore dell’importanza che Odette aveva assunta per lui. Le<br />
persone, di solito, ci sono così indifferenti (indifférents) che, quando<br />
abbiamo collocato in una di loro delle simili possibilità, nei nostri<br />
confronti, di sofferenza e di gioia, essa appartiene quasi a un altro<br />
universo (à un autre univers), si circonda di un alone di poesia,<br />
trasforma la nostra vita in un’estensione emotiva dove si misura la<br />
sua maggior o minore vicinanza rispetto a noi” (SW, 235-236; 286).<br />
“[Swann] felice che [...] dopo aver così a lungo simulato con Odette<br />
una sorta di indifferenza (une sorte d’indifférence), non gli fosse ora<br />
accaduto di darle, mediante la gelosia, quella prova di troppo amore<br />
(cette preuve qu’il l’aimait trop) che, fra due amanti, esime per<br />
sempre (à tout jamais) colui che la riceve dall’amare l’altro a<br />
sufficienza” (SW, 275; 333-334).<br />
Avete notato che fa parte costitutiva dell’escalation il “trop” che<br />
caratterizza la negazione. È inevitabile che alla negazione si associ<br />
l’affermazione... perché si produca l’escalation... del desiderio<br />
(mimetico).<br />
Ma continuando: “Certo, dell’estensione del suo amore Swann<br />
non aveva immediata coscienza. [...]. ‘È un progresso davvero<br />
notevole, si diceva il giorno dopo; a voler essere obiettivi, ieri, a letto<br />
con lei, non ho provato nessun piacere: che strano, la trovavo<br />
addirittura brutta’. E certamente era sincero, ma il suo amore si<br />
estendeva ben oltre le regioni del desiderio fisico (mai son amour<br />
s’étendait bien au delà des régions du désir phisique). La persona<br />
stessa di Odette non vi occupava molto spazio. Quando il suo<br />
sguardo incontrava sul tavolo la fotografia di Odette, o quando lei<br />
veniva a trovarlo, faticava a identificare quel volto di carne o di<br />
cartoncino con il turbamento costante e doloroso che abitava in lui.<br />
Quasi con stupore si diceva: ‘È lei’, come se, all’improvviso (tout d’un<br />
coup), qualcuno ci mostrasse, esteriorizzata davanti a noi, una<br />
nostra malattia (une des nos maladies) e noi non vi riconoscessimo<br />
alcuna somiglianza con la nostra sofferenza. ‘Lei’, Swann cercava di<br />
chiedersi che cosa fosse; giacché una somiglianza fra amore e<br />
morte, piuttosto che quelle, così vaghe, di cui si suole parlare, è che<br />
l’uno e l’altra ci spingono a indagare più a fondo il mistero della<br />
personalità” (SW, 308; 373).<br />
Fino a qualcosa che rassomiglia molto al mors tua vita mea: “Il<br />
lavoro di causalità che finisce col produrre tutti gli effetti possibili e, di<br />
conseguenza, anche quelli che meno avevamo creduto tali, questo<br />
lavoro è talvolta lento, reso un poco più lento dal nostro desiderio – il<br />
quale, cercando di accelerarlo, lo intralcia –, dalla nostra stessa
223<br />
esistenza, e non giunge a compimento che quando abbiamo cessato<br />
di desiderare e, qualche volta, di vivere (n’abouti que quand nous<br />
avons cessé de désirer, et quelquefois de vivre). Swann non lo<br />
sapeva forse per esperienza propria, non era forse già, nella sua<br />
vita, – sorta di prefigurazione di quanto sarebbe avvenuto dopo la<br />
sua scomparsa –, una felicità post mortem il matrimonio di Odette<br />
che aveva appassionatamente amata – anche se non gli era piaciuta<br />
di primo acchito – e che aveva sposata quando non l’amava più,<br />
quando l’essere che, in Swann, aveva tanto sognato e tanto<br />
disperato di vivere tutta la vita accanto a Odette, quell’essere, ormai,<br />
era morto?” (OF, 471; 568).<br />
Swann, sposato, si innamora di un’altra donna: “Perché la<br />
gelosia di Swann rinascesse non era indispensabile che questa<br />
donna gli fosse infedele, bastava che per una qualunque ragione<br />
(pour une raison quelconque) si fosse trovata lontana da lui, a un<br />
ricevimento per esempio, e mostrasse d’essersi divertita. Bastava<br />
questo a risvegliare in lui l’antica angoscia (l’ancienne angoisse),<br />
lamentevole e contraddittoria escrescenza del suo amore che<br />
allontanava Swann da ciò che lei era come un bisogno di<br />
raggiungere qualcosa (il sentimento reale che la giovane donna<br />
nutriva per lui, il desiderio nascosto delle sue giornate, il segreto del<br />
suo cuore), perché fra Swann e colei ch’egli amava quell’angoscia<br />
frapponeva un ammasso refrattario di sospetti antecedenti, che<br />
avevano la loro causa in Odette o, forse, in un’altra ancora, venuta<br />
prima di Odette, e non permettevano più all’amante invecchiato di<br />
conoscere la sua attuale amante se non attraverso il fantasma<br />
remoto e collettivo della ‘donna che suscitava la sua gelosia’,<br />
fantasma in cui aveva arbitrariamente incarnato il suo nuovo amore”<br />
(OF, 524-525; 633-634).<br />
Qualcuno vedrebbe in questo passo un riferimento alle<br />
“imagines” parentali etc. A nostro parere, invece, le medesime<br />
imagines, lungi dall’essere produttrici del desiderio, sono esse stesse<br />
il prodotto del desiderio mimetico.<br />
Dalle rappresaglie alla rinuncia alla rappresaglie: “Ma, mentre in<br />
passato, egli aveva fatto il giuramento, se mai avesse smesso<br />
d’amare colei che non immaginava sarebbe diventata un giorno sua<br />
moglie, di manifestarle implacabilmente un’indifferenza finalmente<br />
sincera (son indifférence, enfin sincère) per vendicare il proprio<br />
orgoglio a lunga umiliato, tali rappresaglie (représailles), che gli<br />
erano ormai consentite senza alcun rischio [...], adesso, non<br />
significavano più nulla; insieme con l’amore era scomparso il<br />
desiderio di mostrare che in lui non c’era più amore. E lo stesso
224<br />
uomo che, quando soffriva per Odette, avrebbe tanto voluto farle<br />
vedere, un giorno, d’essere innamorato d’un’altra, ora che ne aveva<br />
la possibilità prendeva mille precauzioni perché la moglie non<br />
sospettasse il suo amore” (OF, 525; 634-635).<br />
A proposito dell’amore del Narratore per Gilberte:<br />
“Parallelamente, in amore, per quanti sforzi si facciano, le barriere<br />
non possono essere infrante dall’esterno ad opera di chi è condotto<br />
alla disperazione, ma quando questi non se ne preoccuperà più,<br />
allora, di colpo (tout à coup), per effetto d’un lavoro compiuto altrove<br />
(par l’effet du travail venu d’un autre côté), nell’animo di colei che non<br />
amava (accompli à l’interieur del celle qui n’aimait pas), le stesse<br />
barriere prima attaccate senza successo cadranno senza costrutto.<br />
Se fossi andato da Gilberte ad annunciarle la mia futura indifferenza<br />
[...]” (OF, 612-613; 740-741). 236<br />
Il Narratore capisce bene che l’unica soluzione è il perdono:<br />
“Non capiva che bisogna amare anche gli orgogliosi, e vincere il loro<br />
orgoglio con l’amore e non con un orgoglio più potente (elle ne<br />
comprenait pas qu’il fallait aimer même les orgueilleux et vaincre leur<br />
236 Ne il tempo ritrovato, un bell’esempio di desiderio mimetico: alta è negli uomini<br />
“la proporzione delle sofferenze provocate da donne ‘che non erano il loro tipo’.<br />
Questo, forse, ha più di una causa: prima di tutto, poiché non sono ‘il nostro tipo’,<br />
all’inizio ci lasciamo amare senza amare, e lasciamo così che attecchisca sulla<br />
nostra vita un’abitudine che non si sarebbe formata con una donna ‘del nostro tipo’,<br />
la quale, sentendosi desiderata, si sarebbe resa preziosa, non ci avrebbe<br />
accordato che rari appuntamenti, non si sarebbe installata in tutte le ore della<br />
nostra vita in quel modo che poi, se viene l’amore e lei ci viene a mancare per un<br />
litigio, per un viaggio durante il quale si lascia senza notizie, non strappa in noi un<br />
solo legame, ma mille. In secondo luogo, questa abitudine è sentimentale perché<br />
alla sua base non c’è un grande desiderio fisico, e se nasce l’amore il cervello<br />
lavora molto di più, c’è un romanzo al posto di un bisogno. Delle donne che non<br />
sono ‘il nostro tipo’ non diffidiamo, lasciamo che ci amino e, se poi le amiamo, le<br />
amiamo cento volte di più delle altre, e senza nemmeno avere, con loro, la<br />
soddisfazione del desiderio appagato. Per queste ragioni e parecchie altre (et bien<br />
d’autres), il fatto che proviamo i dolori più grandi con donne che non sono ‘il nostro<br />
tipo’ non dipende solo dall’irridente destino che realizza sempre la nostra felicità<br />
nella forma che meno ci piace. Una donna che sia ‘il nostro tipo’ è raramente<br />
pericolosa perché non vuol saperne di noi, ci accontenta, ci lascia presto, non si<br />
installa nella nostra vita, e ciò che è pericoloso e ci procura sofferenze in amore<br />
non è la donna stessa, è la sua presenza di tutti i giorni, è l’essere in ogni<br />
momento curiosi di quello che fa; non è la donna, è l’abitudine” (TR, 1021-1922;<br />
729-730). Odette, che è stata definta da Swann – alla fine di Un amore di Swann<br />
(una donna “che non era il mio tipo” (S, 382), definirà nel Tempo ritrovato Charlus<br />
all’opposto: “Pauvre Charles, il était si intelligent, si séduisant, exactement le genre<br />
d’hommes que j’aimais” (III, 1021). Il Narratore commenterà: “Et c’était peut-être<br />
vrai”.
225<br />
orgueil par l’amour et non pas par un plus puissant orgueil)” (AS,<br />
604; 226).<br />
Come abbiamo già visto, il Narratore perdona Albertine (AS,<br />
138). Abbiamo visto anche che il perdono permette di superare le<br />
vicissitudini atroci e interminabili del desiderio mimetico; ma permette<br />
anche di compiere l’opera. Dimostrazione chiara quant’altre mai che<br />
l’opera è la trasformazione della propria vita; la cui essenza si trova<br />
quando si approda alla verità, a quella verità ch’è possibile anche<br />
solo intravedere solo se ci si colloca fuori dal campo di battaglia del<br />
desiderio mimetico.<br />
Solo una volta <strong>Proust</strong> spezza una lancia a favore<br />
dell’amicizia 237 e confessa che qualcosa non gli è indifferente<br />
(riconosce, cioè, di stare in una relazione non all’insegna del<br />
desiderio mimetico); forse perché siamo già nell’après?: “Oggi sono<br />
quanto meno sicuro che esista il piacere, se non di vedere, almeno di<br />
aver visto (si non de voir, du moins d’avoir vu) una cosa bella<br />
assieme a una certa persona. Un’ora è arrivata per me in cui se<br />
ricordo il battistero, davanti ai flutti del Giordano dove san Giovanni<br />
immerge il Cristo mentre la gondola ci aspettava davanti alla<br />
Piazzetta, non mi è indifferente (il ne m’était pas indifférent) che<br />
accanto a me in quella fresca penombra ci fosse una donna<br />
drappeggiata nel suo lutto con il fervore rispettoso ed entusiasta<br />
della donna anziana che si vede a Venezia nella Sant’Orsola del<br />
Carpaccio [...]” (AS, 646; 276-277).<br />
Un passo, forse, anche più eccezionale ne La prigioniera: “È<br />
probabile che meglio sarebbe valsa la solitudine, più feconda, meno<br />
dolorosa [rispetto all’esperienza con Albertine]. Ma quanto alla vita<br />
del collezionista che Swann mi consigliava, che il signor di Charlus<br />
mi rimproverava di non conoscere quando con un misto di spirito, di<br />
insolenza e di compiacimento mi diceva: ‘Quant’è brutta la vostra<br />
casa!’, quali mai statue, quali quadri lungamente perseguiti e infine<br />
posseduti o, nel migliore dei casi, contemplati con disinteresse, mi<br />
avrebbero, quanto la piccola ferita che si cicatrizzava abbastanza in<br />
fretta, ma che l’incosciente sbadataggine di Albertine, degli estranei<br />
o dei miei stessi pensieri (ou de mes propres pensées) non tardava a<br />
riaprire, consentito l’accesso a quell’uscita fuori di se stessi (sur cette<br />
issue hors de soi-même), a quella via di comunicazione privata (ce<br />
chemin de communication privé), ma destinata a immettersi nella<br />
grande strada dove passa ciò che ci è dato conoscere solo quando<br />
237 “Purtroppo avrei dovuto lottare contro l’abitudine di mettersi al posto degli altri,<br />
che favorisce, è vero, la concezione di un’opera, ma ne ritarda l’esecuzione” (TR,<br />
p. 687).
226<br />
cominciamo a soffrire: la vita degli altri (la vie des autres)?” (P, 387;<br />
807-808).
227<br />
NOTA<br />
Desiderio mimetico e desiderio creativo.<br />
In un passo più vertiginoso di altri, <strong>Proust</strong> illustra le vicissitudini<br />
del desiderio (riecco i baci); il desiderio “crea” il suo oggetto.<br />
Intraprendendo anche una lotta con l’oggetto reale che cerca di<br />
imporsi qual è (ma è?) al desiderante costringendolo a delle<br />
correzioni (che sono, però, altre creazioni).<br />
Risulta evidente, in questo passo, che si tratta delle vicissitudini<br />
del desiderio mimetico.<br />
La “creazione”, esito straordinario, della memoria involontaria,<br />
appartiene ancora al desiderio mimetico.<br />
Solo il perdono consentirà un atto veramente “creativo”.<br />
“Questo stupore è indubbiamente dovuto, in parte, al fatto che<br />
la persona ci mostra allora, di sé, una nuova faccia (une nouvelle<br />
face de lui-même); ma tale è la molteplicità di ciascun essere, la<br />
ricchezza delle linee del suo viso e del suo corpo – linee di cui, non<br />
appena ce ne stacchiamo, ben poco sopravvive nell’arbitraria<br />
semplicità del nostro ricordo, giacché la memoria ha scelto una certa<br />
particolarità che ci ha colpiti, isolandola, esagerandola, facendo di<br />
una donna che ci è parsa alta uno studio in cui la sua altezza risulta<br />
smisurata, o di una donna che ci è parsa bionda e rosea una pura<br />
‘Armonia in rosa e oro’ –, che nel momento in cui la donna ci è di<br />
nuovo vicina (de nouveau [...] près de nous), tutte le altre qualità<br />
dimenticate, sorta di contrappeso rispetto a quella ricordata, ci<br />
assalgono nella loro confusa complessità, riducendo l’altezza,<br />
diluendo il rosa, e sostituendo all’unico oggetto della nostra ricerca<br />
altre particolarità che adesso, mentre ci chiediamo perplessi come<br />
mai ci aspettassimo così poco di rivederle, rammentiamo d’aver<br />
notate la prima volta (la première fois). Ricordavamo il pavone, gli<br />
andavamo incontro, e troviamo un ciuffolotto. E questo inevitabile<br />
sbalordimento (cet étonnement) non è il solo: accanto, ce n’è un<br />
altro, nato dalla differenza, non più fra le stilizzazioni del ricordo e la<br />
realtà, ma fra l’essere che abbiamo visto l’ultima volta e quello che ci<br />
appare oggi in un’altra visuale, rivelandoci un nuovo oggetto. Il volto<br />
umano è davvero come quello del Dio di una teogonia orientale, un<br />
grappolo (grappe) intero di volti giustapposti su piani diversi e che è<br />
impossibile vedere tutti insieme. Ma in gran parte, il nostro stupore<br />
deriva dal fatto che l’essere ci presenta anche una medesima faccia
228<br />
(l’être nous présente aussi une même fâce). Occorrerebbe un tale<br />
sforzo per ricreare (pour recréer) tutto quanto c’è stato fornito da ciò<br />
con cui non ci identifichiamo – fosse solo il sapore d’un frutto – che<br />
appena ricevuta l’impressione (qu’à peine l’impression reçue),<br />
scendiamo insensibilmente la china del ricordo, e senza rendercene<br />
conto (sans nous en rendre compte), in pochissimo tempo, siamo già<br />
lontanissimi (très loin) da quel che abbiamo provato (senti). Così,<br />
ogni nuovo incontro (chaque nouvelle entrevue) è una sorta di<br />
raddrizzamento (redressement) che ci riporta a ciò che avevamo pur<br />
(bien) visto. Non ce ne ricordavamo già più, perché il ‘ricordare’ un<br />
essere è, in realtà, un dimenticarlo (tant ce qu’on appelle se rappeler<br />
un être, c’est en realité l’oublier). Ma fin tanto che sappiamo ancora<br />
vedere (nous savons encore voir), quando un tratto dimenticato ci<br />
riappare lo riconosciamo, siamo costretti a rettificare la linea deviata,<br />
ed è per questo che la perenne, feconda sorpresa (la perpétuelle et<br />
féconde surprise) grazie alla quale trovavo così salutari, così<br />
distensivi gli appuntamenti quotidiani con le belle fanciulle della<br />
spiaggia, era fatta, non meno che di scoperte, di reminiscenze (tout<br />
autant que de découvertes, de réminiscences). Se a questo si<br />
aggiunge l’agitazione (l’agitation) provocata da ciò che le fanciulle<br />
rappresentavano per me, qualcosa che, non coincidendo mai<br />
esattamente con le mie supposizioni (qui n’était jamais tout à fait ce<br />
que j’avais cru), faceva sì che la speranza del prossimo<br />
appuntamento non fosse più simile alla precedente speranza, ma al<br />
ricordo ancora vibrante dell’ultimo incontro, si capirà come ogni<br />
(chaque) passeggiata desse un violento colpo di timone (un violent<br />
coup de barre) ai miei pensieri, e non proprio nel senso tracciato<br />
prima (et non pas du tout dans le sens que), a mente fresca [???],<br />
nella solitudine della mia camera. Tale direzione era dimenticata,<br />
abolita quando tornavo in albergo, ronzante come un alveare<br />
[comme une ruche = vedi la “grappe” di visi giustapposti] dei discorsi<br />
che mi avevano turbato e che risuonavano a lungo dentro di me.<br />
Ogni essere è distrutto appena smettiamo di vederlo; la sua<br />
apparizione successiva è una nuova creazione (création nouvelle),<br />
diversa da quella che l’ha immediatamente preceduta (différente de<br />
celle qui l’a immédiatement précédé), se non da tutte le altre (sinon<br />
de toutes). Il minimo grado di varietà che possa regnare in queste<br />
creazioni (créations) è, infatti, di due. Se ricordiamo un’occhiata<br />
energica, un atteggiamento ardito, la volta successiva sarà<br />
inevitabilmente da un profilo quasi languido, da una certa sognante<br />
dolcezza, che saremmo stupiti, vale a dire colpiti in modo pressoché<br />
esclusivo (presque uniquement frappés). Confrontando il nostro
229<br />
ricordo con la nuova realtà (réalité nouvelle), ciò che segnerà la<br />
nostra delusione, o la nostra sorpresa, ci apparirà come un ritocco<br />
della realtà stessa (comme la retouche de la réalité), avvertendoci<br />
che non avevamo ricordato bene (en nous avvertissant que nous<br />
nous étions mal rappelé). Ma l’aspetto del viso trascurato l’ultima<br />
volta, e proprio per questo, ora, più sorprendente, più reale, più<br />
innovatore, diventerà a sua volta [???] materia di fantasticheria, di<br />
ricordo (deviendra matière à rêverie), à souvenirs). Sarà un profilo<br />
languido e pastoso, un’espressione dolce, sognante che<br />
desidereremo rivedere. E allora, di nuovo (de nouveau), la volta<br />
successiva (la fois suivante). Quel che c’è di volitivo negli occhi<br />
penetranti, nel naso appuntito, nelle labbra serrate, verrà a<br />
correggere lo scarto (l’écart) fra il nostro desiderio e l’oggetto cui<br />
esso ha creduto di corrispondere (entre notre désir et l’objet auquel il<br />
a cru correspondre). Beninteso, questa fedeltà alle impressioni prime<br />
(cette fidélité aux impressions premières), e puramente fisiche,<br />
ritrovate ogni volta (chaque fois) accanto alle mie amiche, non<br />
riguardava soltanto i tratti del viso, giacché, come si è visto, ero<br />
sensibile anche alla loro voce, per me forse più conturbante ancora<br />
(nella misura in cui non si limita, come il viso, a offrire le medesime<br />
superfici singolari e sensuali, ma appartiene all‘abisso inaccessibile<br />
che dà la vertigine dei baci senza speranza [l’abîme inaccessible qui<br />
donne le vertige des baisers sans espoir]), la loro voce, simile al<br />
suono unico d’un piccolo strumento nel quale ciascuna si risolveva<br />
per intero e che era suo soltanto (et qui n’était qu’à elle). Tracciata da<br />
un’inflessione, una certa linea profonda d’una di quelle voci mi<br />
meravigliava quando, dopo averla dimenticata, la riconoscevo. E<br />
così, le correzioni che ogni nuovo incontro (les rectifications qu’à<br />
chaque rencontre) mi costringeva ad apportare, per un ritorno alla<br />
perfetta calibratura (pour un retour à la parfaite justesse), erano<br />
quelle d’un accordatore o d’un maestro di canto non meno che d’un<br />
disegnatore” (OF, 916-918; 1107-1109).
230<br />
Cap. 12<br />
LES PLAISIRS ET LES JOURS. COMME UN BAISER INCONNU<br />
1) Un duello<br />
Si sa che nel febbraio del ‘97 <strong>Proust</strong> sfidò a duello Jean Lorrain;<br />
questi aveva concluso una stroncatura de Les Plaisirs et les jours<br />
(usciti del 1896) con un’allusione all’amicizia non del tutto platonica<br />
che legava l’autore di quei languidi racconti a Lucien Daudet...<br />
Probabilmente vide a suo tempo giusto Kolb 238 quando propose<br />
che <strong>Proust</strong> non poteva rimanere insensibile alla derisione del suo<br />
modo di scrivere poiché le frecciate di Lorrain si sarebbero potute<br />
applicare anche al Jean Santeuil ch’egli stava scrivendo.<br />
La lettura delle prime pagini è, infatti, imbarazzante. Sono<br />
pagine stucchevoli. Ad un certo punto ci si imbatte in passi come il<br />
seguente: “Il suo snobismo [di madame Fremer] non era che<br />
immaginazione, ed era tutta la sua immaginazione. [...]. Portando<br />
sempre gli stessi riccioli, la sua acconciatura non mutava mai come,<br />
del resto, i suoi princìpi. I suoi occhi brillavano di stupidità. [...].<br />
Aveva, per fiducia in Dio, lo stesso agitato ottimismo sia la vigilia di<br />
un garden party che quella di una rivoluzione, con gesti rapidi che<br />
sembravano scongiurare il radicalismo o il cattivo tempo. [...]. Del<br />
resto non aveva dimenticato i vecchi amici più umili, e si ricordava<br />
soprattutto di loro quando erano ammalati o in lutto, circostanze<br />
toccanti in cui d’altronde non ci si può lamentare di non esser stati<br />
invitati, come in società” (PG, 122-123)...<br />
2) Je m’éveillai peu à peu au monde des rêves<br />
Inutile segnalare che già sono presenti anche parole e concetti<br />
che caratterizzeranno la Recherche: la mancanza di volontà (PG, 48,<br />
111-112 [5 vv.], 115), l’abitudine (112, 153), gli esseri di fuga delle<br />
jeune filles en fleurs incontrare sulle rive del mare... “Nulla resta,<br />
nulla vi passa [nel mare] se non sfuggendo [...]” (PG, 143; 170), il<br />
sonno/sogno: “Appena coricato mi riaddormentai. Dopo un po’ di<br />
tempo, difficile a precisare quanto lungo, mi risvegliai gradatamente,<br />
238 Le premier roman de <strong>Proust</strong>, in Saggi e ricerche di letteratura francese, vol. IV,<br />
Bottega d’Erasmo, Torino, 1963, pp. 215-277.
231<br />
o piuttosto mi svegliai gradatamente al mondo dei sogni (ou plutôt je<br />
m’éveillai peu à peu au monde des rêves), confuso all’inizio come il<br />
mondo reale per un risveglio normale, ma che poi diventò preciso.<br />
[...]” (PG, 128; 154-155); il valore strategico dell’indifferenza: “Se in<br />
un mese, col rischio di guastare con tanti artifici le gioie che ti<br />
ripromettevi all’inizio di quest’amore, disdegnerai quella che ami, se<br />
saprai mostrare malizia e fingere indifferenza (si tu sais pratiquer la<br />
coquetterie et affecter l’indifférence), se non andrai ai convegni e<br />
riuscirai a tener lontane le tue labbra dal seno che lei ti offrirà come<br />
un mazzo di rose, il vostro amore fedele e condiviso si alzerà per<br />
l’eternità sulla base incorruttibile della tua pazienza” (GP, 49; 71-<br />
72)... la “présence réelle” (PG, 134; 161)<br />
3) Se cacher dans une chambre<br />
Le dinamiche del desiderio mimetico vi sono già evidenziate.<br />
Vedi il sottocapitolo XVI, L’estraneo di Rimpianti e sogni, colore del<br />
tempo (PG, 152 sgg.). Ma, soprattutto, tutto intero La fine della<br />
gelosia.<br />
Una relazione che ricorda molto quella con Albertine... “A parte<br />
la signora Seaune, alla quale vi avranno certo presentato. Se ne<br />
avete voglia, pare sia facile. Personalmente, non m’interessa.[...]. A<br />
quanto pare, non è ben fatta. E lui [François di Gouvres] non ha<br />
voluto seguitare” (PG, 179)...<br />
Si tratta della sua donna!<br />
Il Nostro, che ha già bell’e individuato la “legge psicologica”<br />
dell’incostanza (PG, 177), avrà pane per i suoi denti...<br />
Nelle mille peripezie nelle quali il desiderio mimetico lo<br />
precipita, il Nostro arriva alle soglie della ripetizione della scena<br />
primaria (classicamente intesa). Come potrà non venirvi in mente la<br />
camera 43? “Pensava, approfittando del fatto che la sua relazione<br />
con lei non era conosciuta, di fare scommesse sulla sua virtù con<br />
altri uomini, lanciarli su di lei, vedere se era capace di cedere,<br />
cercare di scoprire qualcosa, di sapere, nascondersi in una camera<br />
(se cacher dans une chambre) (ricordava di averlo fatto per<br />
divertimento quando era più giovane) e vedere tutto” (PG, 153-154;<br />
182-183; vedi anche PG, 194).<br />
E ritorna la scena-madre... Il Nostro, a causa di un incidente, è<br />
sul letto di morte... Vuole che la sua donna sia felice: che gli uomini<br />
le diano la felicità... ma non il piacere! “Allora gli tornò in mente uno<br />
dei suoi desideri di bambino, del bambino che era quando aveva
232<br />
sette anni e andava a letto ogni sera alle otto. Quando la madre,<br />
invece di restare fino a mezzanotte nella camera che era accanto<br />
alla sua e poi coricarsi, doveva uscire verso le undici e si vestiva; egli<br />
la supplicava di vestirsi prima del pranzo e di uscire subito (non<br />
importava dove andasse) perché non sopportava l’idea che, mentre<br />
cercava di addormentarsi, lei si preparasse per una festa e quindi<br />
uscisse. Per fargli piacere e calmarlo, sua madre veniva a salutarlo<br />
alle otto in abito da sera e andava da un’amica ad aspettare l’ora del<br />
ballo. Solo così, in quelle sere così tristi per lui, durante le quali la<br />
madre andava al ballo, poteva, addolorato ma tranquillo,<br />
addormentarsi. Adesso gli veniva alle labbra la stessa preghiera che<br />
rivolgeva a sua madre, ma rivolta a Françoise. Avrebbe voluto<br />
chiederle di sposarsi subito, che si preparasse perché egli potesse<br />
infine addormentarsi per sempre, desolato ma calmo (désolé, mais<br />
calme), senza mostrarsi inquieto per quanto sarebbe accaduto dopo<br />
che si fosse addormentato” (PG, 161; 191-192).<br />
Uno dei meccanismi di difesa di Freud: il passaggio dal passivo<br />
all’attivo!<br />
Tutte queste mosse, e altre ancora, sono definite “precauzioni<br />
da bambini (précautions bonnes pour les enfants)” (PG, 162; 192).<br />
Come non ricordare la Précaution inutile 239 – chiaro il riferimento al<br />
sottotitolo di Le Barbier de Séville – il titolo della versione abbreviata<br />
de La Prisonnière pensata per Les Œuvres libres (e uscita nel<br />
novembre 1923, dopo La Prisonnière; quest’ultima uscita il 18<br />
novembre 1922). E come non ricordare che questo non è l’unico<br />
testo dato da <strong>Proust</strong> alla rivista dell’editore Fayard; nel novembre<br />
1921 vi è apparso un estratto di Sodome ed Gomorrhe II che ha<br />
preso il titolo di Jalousie.<br />
Ora il capitolo di Les Plaisirs et les jours che stiamo<br />
commentando si intitola La Fin de la jalousie; essa è la morte!<br />
4) Comme un baiser inconnu<br />
Qui di seguito ricordiamo, ricominciando dall’inizio di Les<br />
Plaisirs, alcuni passi relativi alla scena-madre.<br />
Bisogna imparare a vivere; superare, quindi, il bisogno dei baci:<br />
“Quando cominciò la mia adolescenza, mia madre, che non m’aveva<br />
lasciato e anche la notte restava accanto a me, ‘aprì la porta<br />
dell’arca’ e uscì. Poiché come la colomba ‘tornò la sera stessa’.<br />
239 Precauzione inutile, Passigli Editori, Firenze, 2009.
233<br />
Poiché guarii completamente, come la colomba ‘lei non tornò più’.<br />
Bisognò ricominciare a vivere, ad ascoltare parole più dure di quelle<br />
di una madre; oltre tutto, le sue, sempre così dolci fino ad allora, non<br />
erano più le stesse, ma impresse dalla severità della vita e del<br />
dovere che lei doveva insegnarmi” (PG, 6-7; 23).<br />
Qui il bacio che diventa amplesso (con un donna sconosciuta):<br />
“Ora, come in virtù di una tacita intesa e della quale non poteva<br />
determinare l’inizio, [il visconte di Sylvanie] le [ad “una giovane<br />
signora”] baciava (baisait) i polsi e le accarezzava il collo. La vedeva<br />
così felice che una sera osò di più: cominciò a baciarla (l’embrasser);<br />
poi l’accarezzò a lungo e di nuovo la baciò (l’embrassa) sugli occhi,<br />
sulle guance, sulle labbra, sul collo, sul naso” (PG, 15; 34).<br />
Qui non c’è l’approfondimento; il contrario; più avanti: “[...] si<br />
fermava all’esterno delle cose, e rifletteva su se stessa non per<br />
approfondirsi (non pour s’approfondir), ma per ammirarsi<br />
voluttuosamente e maliziosamente come in uno specchio” (PG, 37;<br />
58).<br />
Nel passo seguente, invece, il bacio “ritorna”; “dal fondo del<br />
passato”: “Le due sere che passava agli Oublis veniva [sua mare] a<br />
darmi la buonanotte a letto (me dire dire bonsoir dans mon lit), antica<br />
abitudine che aveva perduto perché vi trovavo troppo piacere e<br />
troppa pena, tanto che non mi addormentavo più a forza di<br />
richiamarla perché mi desse ancora la buonanotte; e non osavo più<br />
infine, pur avendone ancora l’appassionato bisogno, intentando<br />
sempre nuovi pretesti [...]. Baciai (j’embraissai) mia madre. Mai più<br />
son riuscita sentire la dolcezza di quel bacio (de ce baiser). [...]. Se<br />
allora saltavo con tutte le mie forze, baciavo (j’ambrassais) mille volte<br />
mia madre, correvo avanti come un giovane cane [...]. Mentre<br />
stavamo per metterci a tavola, vicino alla finestra (vers la fenêtre)<br />
accostai il viso a quel viso riposato dalle sofferenze passate e la<br />
baciai con passione (je l’embrassai avec passion). Mi ero sbagliata<br />
nel dire che non avevo più ritrovato la dolcezza del bacio dato agli<br />
Oublis. Il bacio di quella sera fu più dolce di qualunque altro. O<br />
meglio, fu il bacio degli Oublis che, evocato dal fascino di un uguale<br />
momento (d’une minute pareille), ritornò dolcemente dal fondo del<br />
passato e venne a posarsi fra le guance ancora un po’ pallide di mia<br />
madre e le mie labbra” (PG, 86-94; 108-117).<br />
Infine, un bacio dato in sogno: “[...]. Si avvicinò a me, mise<br />
all’altezza della mia guancia la sua testa rovesciata di cui potevo<br />
contemplare la grazia misteriosa, e spingendo la lingua fuori delle<br />
bocca fresca, sorridente (dardant sa langue hors de sa bouche<br />
fraîche, souriante), raccolse le mie lacrime all’orlo dei miei occhi. Poi
234<br />
le ingoiò con un rumore leggero delle labbra che mi sembrò come un<br />
bacio sconosciuto (comme un baiser inconnu), più intimamente<br />
inquietante che se mi avesse realmente toccato. Mi risvegliai<br />
all’improvviso, riconobbi la mia camera [...]. Il suo nome pronunciato<br />
in una conversazione mi fece trasalire, evocò l’immagine<br />
insignificante che l’avrebbe accompagnato senza quella notte (avant<br />
cette nuit), e nonostante mi fosse indifferente (et pendant qu’elle<br />
m’était indifférente) come qualsiasi altra banale donna della società<br />
elegante, mi attirò più irresistibilmente della più cara amante o del più<br />
affascinante destino. Non avrei fatto un passo per vedere lei, ma per<br />
quell’altra ‘lei’ avrei dato la vita. Ogni ora cancella un poco il ricordo<br />
del sogno, già alterato in questo racconto. [...]. Ahimè! L’amore è<br />
passato su di me come un sogno, con una potenza di trasfigurazione<br />
altrettanto misteriosa. E voi che conoscete la donna che amo, ma<br />
che non eravate nel mio sogno, non potete capirmi: non cercate<br />
quindi di consigliarmi” (PG, 129-130; 156-157).<br />
È qui evidente lo scardo – la differenza – tra sogno e realtà...<br />
Ma, infine, il perdono: “La persona che ci ha duramente<br />
provato e della cui essenza siamo saturi, non può più far passare su<br />
di noi l’ombra di una gioia o di un dolore. È più che morta per noi.<br />
Dopo averla ritenuta l’unica cosa preziosa di questo mondo, dopo<br />
averla maledetta, dopo averla disprezzata ci è impossibile giudicarla;<br />
il profilo del suo viso si delinea appena agli occhi del nostro ricordo<br />
stanchi di esser stati troppo a lungo fissi su di lui. Ma il giudizio sulla<br />
persona amata, giudizio che ha tanto variato spesso torturando con<br />
la sua chiarezza in nostro cuore cieco, spesso accecandoci per<br />
mettere fine al crudele disaccordo, deve compiere un’ultima<br />
oscillazione. Come qui paesaggi che si scoprono solamente dall’alto,<br />
dall’alto del perdono (de hauteurs du pardon), ci appare nel suo vero<br />
valore colei che era più morta per noi dopo essere stata tutta la<br />
nostra vita” (PG, 133; 160).
235<br />
Cap. 13<br />
IMPRESSIONS DE ROUTE EN AUTOMOBILE<br />
L’ANSIA E IL POTERE “CREATORE”<br />
Il 19 novembre 1907, per la prima volta vengono pubblicate, sul<br />
Figaro, le Impressions de route en automobile che costituiscono<br />
l’incipit di In memoria delle chiese assassinate.<br />
Chi guida l’automobile è Agostinelli. Quell’Agostinelli che sarà<br />
un decisivo ascendente di Albertine. 240<br />
Richiamo qui uno squarcio abbastanza lungo perché<br />
testimonia, in modo inequivocabile, la preesistenza, rispetto alla<br />
matinée, dell’esito della Recherche.<br />
Per contestualizzare il brano che citiamo, ricordiamo che <strong>Proust</strong><br />
non ha molto tempo da perdere se vuole “arrivare prima di notte dai<br />
propri genitori”.<br />
Il lettore, con la memoria rinfrescata sui numerosi ritorni della<br />
scena-madre, coglierà l’anticipazione di sviluppi insospettati.<br />
È precisato che si tratta di una questione di “indipendenza”.<br />
Dai genitori?<br />
No!<br />
Dal potere.<br />
Ma come viene definito questo potere?<br />
“Creatore”.<br />
E non abbiamo ancora detto l’essenziale: qui, chi aspetta,<br />
ansiosamente, sono i genitori. E sono loro che sentono, infine, il<br />
suono della “trompe”, come un suono “presque humain”, liberatorio.<br />
Infatti, all’angoscia che coglie, classicamente, <strong>Proust</strong>/Narratore<br />
all’approssimarsi della notte, corrisponde l’ansa dei genitori che<br />
aspettano il suo arrivo.<br />
Come dire: quest’ansia è inevitabile.<br />
Alla fine, l’“attesa”, come “attesa della felicità”, viene definita<br />
“prodigiosa”.<br />
Abbiamo la famosa “abdicazione”. Qui, ancora più chiaramente<br />
che agli inizi di Dalla parte di Swann, essa è abdicazione sia del<br />
240 “Quando scrivevo queste righe, non prevedevo che sette od otto anni dopo quel<br />
giovine mi avrebbe chiesto di copiare a macchina un mio libro, avrebbe imparato a<br />
volare sotto il nome di <strong>Marcel</strong> Swann, in cui aveva amichevolmente associato il mio<br />
nome di battesimo e quello di uno dei miei personaggi, e avrebbe trovato la morte,<br />
a ventisei anni, in un incidente aviatorio, al largo di Antibes” (PM, 122)
236<br />
padre che della madre: ma non di fronte a un bisogno “nervoso” del<br />
figlioletto.<br />
Infatti, l’abdicazione – che, non trascuriamolo, è abdicazione al<br />
potere creatore di cui sopra –, è “apparente e geniale”.<br />
Ci limitiamo a segnalare momenti a nostro avviso cruciali<br />
inserendo, tra parentesi, il testo originale.<br />
“Ma di quel viaggiatore ciò che l’automobile ci ha restituito di<br />
più prezioso è quella mirabile indipendenza (admirable<br />
indépendance) che gli permetteva di partire all’ora che voleva e di<br />
fermarsi dove più gli garbava. Mi comprenderanno tutti coloro cui il<br />
vento, passando, ha ispirato talora il desiderio irresistibile di fuggire<br />
con lui fino al mare a vedere, invece degli inerti ciottolati del villaggio<br />
invano sferzati dal fortunale, i flutti sollevati, in atto di rendergli colpo<br />
per colpo e rumore per rumore (coup pour coup et rumeur pour<br />
rumeur); tutti coloro, soprattutto, che sanno che cosa possa<br />
significare, certe sere, il timore di chiudersi con la propria pena<br />
l’intera notte; tutti coloro che conoscono quale allegrezza (allégresse)<br />
sia, dopo aver lottato a lungo contro la propria angoscia (angoisse), e<br />
quando si comincia a salire verso la propria camera soffocando i<br />
battiti del cuore, poter fermarsi e dirsi: ‘Ebbene, no, non salirò in<br />
camera (je ne monterai pas); mi farò invece sellare il cavallo, tirar<br />
fuori l’automobile’; e poi fuggire, tutta la notte, lasciando dietro di sé i<br />
villaggi dove la nostra angoscia ci avrebbe soffocati, dove la<br />
indoviniamo sotto ogni piccolo tetto addormentato, mentre passiamo,<br />
a tutta velocità, senza esserne riconosciuti, inafferrabili da lei. Ma<br />
l’automobile si era fermata all’angolo d’una strada infossata, davanti<br />
a una porta feltrata di giaggioli fioriti e di rose. Eravamo giunti alla<br />
casa dei miei genitori. Il meccanico suona la tromba (donne de la<br />
trompe), perché il giardiniere ci venga ad aprire: la tromba il cui<br />
suono ci è sgradito per il suo stridore, e la sua monotonia (cette<br />
trompe dont le son nous déplait par sa stridence et sa monotonie),<br />
ma che, come qualsiasi altra materia, può diventare gradevole se<br />
s’impregna di un sentimento. Esso è risonato nel cuore dei miei<br />
genitori come una parola insperata, gioiosamente (au cœur de mes<br />
parents il a retanti joyeusement)... – Mi sembra d’aver sentito... Non<br />
può essere che lui! – Essi si alzano, accendono una candela,<br />
proteggendola contro il vento della porta che hanno già aperta,<br />
impaziente, mentre in fondo al giardino la tromba, di cui non possono<br />
più fraintendere il suono divenuto gioioso, quasi umano (joyeux,<br />
presque humain), non cessa di lanciare il suo appello, sempre<br />
eguale, come l’idea fissa della gioia imminente, urgente e reiterato<br />
come la loro crescente ansietà (son appel uniforme comme l’idée fixe
237<br />
de leur joie prochaine, pressant et répété comme leur anxiété<br />
grandissante). E io pensavo intanto che, nel Tristano e Isolda (nel<br />
secondo atto, anzitutto, quando Isolda agita la sua sciarpa a mo’ di<br />
segnale; e poi nel terzo, all’arrivo della nave), è, nel primo caso, alla<br />
ripetizione stridente, indefinita e sempre più rapida (à la redite<br />
stridente, indéfinie et de plus en plus rapide) di due note, la<br />
successione viene talvolta prodotta dal caso nel mondo<br />
inorganizzato dei rumori; nel secondo caso, alla zampogna d’un<br />
povero pastore, e all’intensità crescente, all’insaziabile monotonia<br />
della sua gracile melodia (à l’intensité croissante, à l’insatiable<br />
monotonie de sa maigre chanson), che Wagner, con un’apparente e<br />
geniale abdicazione della sua potenza creatrice (par une apparente<br />
et géniale abdication de sa puissance créatrice), ha affidato<br />
l’espressione della più prodigiosa attesa di felicità (de la plus<br />
prodigieuse attente de félicité) che abbia mai riempito l’anima<br />
umana” (PM, 68-69; 123-124).
1) Vocabolario (e enciclopedia)<br />
238<br />
CAP. 14<br />
JEAN SANTEUIL<br />
L’APRÈS-COUP<br />
Il vocabolario (e l’enciclopedia) che servirà a raccontare la<br />
matinée è già tutto presente in questo testo preparatorio... Segnalo<br />
alcune ricorrenze (anche se senza nessuna velleità di completezza).<br />
Enciclopedia: “Un quadro, senza che noi ce ne accorgiamo, ci<br />
dice una cosa sola” (JS, 766) + “E [...] aveva baciato il suo faccino<br />
mentre [...] è assorto in quella gran cosa misteriosa che si chiama<br />
dormire. Perché i bambini e il cane [...] fanno con il loro corpicino<br />
gravi cose, come dormire, come morire” (JS, 734) + “Ainsi il sentait<br />
que par la porte poussée par un hasard il répudiait ce qui n’était pas<br />
encore la vie [...]” (JS, 837-842; 707-712) + “Esagerazione e falsità<br />
rese ancor più verosimili dall’eccessiva (trop grande) mobilità<br />
dell’occhio, dall’eccessiva (excessive) elasticità del corpo [...]” (JS,<br />
378; 213)...<br />
Vocabolario: indifférence (JS, 378; 212), fausse indifférence,<br />
748 + habitude (habitudes, douces aveugles), 410, 520, 559 737<br />
(les vieux gonds de l’habitude), 810, 823 + paresse, 232 (e vv.), 235,<br />
420, 428, 441, 523, 627, 703, 706, 866 + volonté, 222 (3 vv.), 232 +<br />
approfondir, 440, 620, 628, 633, 701 + extraire, 486, 632 + tout à<br />
coup; 241 scegliamo solo le pagine dedicate ad un prodromo del bacio,<br />
mancato, ad Albertine a Balbec; l’espressione in sei pagine ricorre 9<br />
volte! (vi fa la sua comparsa anche l’hasard (3 vv.) 242 + la généralitè<br />
241<br />
Tout à coup, tout d’un coup... sono il sigillo della memoria involontaria: “tout<br />
d’un coup sans le vouloir” (SG, 759).<br />
242<br />
Vedi un passo in cui al tout d’un coup si aggiunge il meccanismo dello<br />
squilibrio... “[...] ad un tratto (tout d’un coup) [...]. Tutt’a un tratto (tout d’un coup).<br />
[...]. Invece in quel momento di tanta felicità non temeremo di perderla [la vita] e di<br />
non lasciar traccia. Perché quel che ci rapisce nel piacere che proviamo è<br />
qualcosa che sentiamo nel profondo, qualcosa che non è di oggi, perché il<br />
sentimento di un passato nel quale abbiamo veduti eguali (pareils) meli fioriti è<br />
interno a quel piacere, e non è più soltanto del passato...” (JS, 279-280; 109-110).<br />
“In quel punto, l’odore muffito di un libro che qualcuno gli aveva passato, simile a
239<br />
des idèes, 453 + essence 295, 401, 490, 497, 519, 520, 522 (3 vv.),<br />
565, essence intime des choses, 521 (2 vv.), essence intime de<br />
nous-mêmes, 521 (2 vv.), essence merveilleuse, 326; essence<br />
divine, 361; essence heureuse, 300, essence précieuse, 741,<br />
essence mistérieuse, 832, essence commune, 400, 875 + journées<br />
pareilles d’autrefois, 297+ sensibilité involontaire, 222 + intelligence<br />
Jean n’avait plus confiance dans l’intelligence, dans le<br />
raisonnement), 485 + résurrection, 236, je ne voyait plus<br />
d’inconvéniente sérieux à mourir, 702-703 + vérité, 397, vérité des<br />
idées, 521-522, vie véritable, 395, 756, vie nouvelle et véritable, 840,<br />
vraie vie, 724, notre vraie nature, 401, 881, vie intèrieure 745 (3 vv.),<br />
755-756 + traduction 669 (4 vv.), 672-673 (4 vv): [...]. Traduction /<br />
[...]. traduciton / [...]. Traduction / ]...] Traduction (nella “vita<br />
mondana” di Jean)...<br />
2) Intorno al vecu (a proposito dell’après-coup)<br />
“Li stava guardando [i filari di vite] quando le foglie più alte gli<br />
parvero un po’ più chiare di quanto non gli fossero parse prima e di<br />
quanto non fossero effettivamente in quella stagione. Poco a poco<br />
parvero illuminarsi ancora, come fossero sul punto di dorarsi. Capì (il<br />
comprit) che, dietro lo schermo delle nubi, riappariva un filo di sole; le<br />
vigne erano ancora nell’ombra ma era un’ombra dove già le<br />
illuminava un po’ di pallido sole sommesso. <strong>Su</strong>bito Jean si rivide<br />
[aussitôt Jean se revit) sul sentiero di La Fort dove tanto spesso un<br />
pallido sole [...]. Quella somiglianza durò solo un attimo. [...]. Ma<br />
Jean ricordava la Bretagna (mais Jean se rappelait la Bretagne) [...].<br />
Oh, perché non posso essere là (y être) a vederle [le barche], l’una<br />
dopo l’altra [...]. Oh, è ora il momento – si diceva –. Bisognerebbe<br />
che ci potessi essere (je puisse y être) prima di cinque minuti [...]. E<br />
guardava disperatamente il prato steso ai suoi piedi e i campi lavorati<br />
che poco prima illuminati dal tramonto diventavano cupi e senza<br />
saper ricevere alcun riflesso [...]. Guardava disperatamente [...]” (JS,<br />
387-388; 222-223).<br />
Evidentemente Jean non sta cercando in se stesso. Sta<br />
cercando in un luogo esterno (“là”, nella Bretagna, eventualmente nel<br />
ricordo)... Si capisce la disperazione...<br />
Più avanti va già meglio. La “verità preziosa” che giace sulla<br />
sabbia di una certa spiaggia ci arriva “lungo le sole vie che possano<br />
(comme ceux) quello dei libri che egli trovava allora nella biblioteca del pievano,<br />
bastava ad inebriarlo” (JS, 300; 132).
240<br />
condurvi, quelle dell’immaginazione [...]” (JS, 397; 233)... “Forse la<br />
bellezza, la felicità sono, per il poeta, in quella invisibile sostanza che<br />
si può chiamare immaginazione, che non può applicarsi alla realtà<br />
presente, che non può applicarsi nemmeno alla realtà passata<br />
restituita dalla memoria e che fluttua (flotte) solo intorno alla realtà<br />
passata imprigionata in quella presente?” (JS, 399; 235). 243<br />
Ecco profilarsi la fluttuazione tra presente e passato.<br />
Insieme, un superamento dell’importanza dell’uno e dell’altro.<br />
Fondamentale, ormai lo sappiamo, è il disequilibrio tra l’uno e l’atro;<br />
disequilibrio che apre un interstizio attraverso il quale si dà un lampo<br />
di extra-temperale (di acategoriale).<br />
Quando una “sensazione” si fa avanti “nel presente come fosse<br />
stata quella di un passato, dall’accostamento (du rapprochement) 244<br />
sgorgava qualcosa di simile ad una sensazione collocata fuor del<br />
potere dei sensi, nel campo dell’immaginazione; la quale avendo ora<br />
innanzi a sé un oggetto eterno poteva conoscerlo, sì che, a un tratto,<br />
ecco una qualche realtà, sviluppatasi separatamente dalla mia vita, e<br />
che un tempo ho visto passare come un quadro, eccola apparire,<br />
conservata nella memoria. E invece della tristezza di chi possiede<br />
appena una collezione, invece di vivere senza vivere, ecco la<br />
coscienza di aver vissuto, o meglio di aver vissuto qualcosa che<br />
ancora vive e che sarà possibile vivere domani (je me sens vivre,<br />
avoir vécu, ou plutôt avoir vécu quelque chose qui vit encore et qu’on<br />
pourra vivre demain) (JS, 400; 237). 245<br />
243 “Metafore che ricompongono e ci restituiscono la menzogna della nostra prima<br />
impressione, di quando, passeggiando in un bosco o seguendo le rive di un fiume,<br />
abbiamo pensato in un primo momento, udendo rotolare qualche cosa, che si<br />
trattasse di un frutto, e non di un uccello, o di quando, sorpresi dallo scatto vivace<br />
sopra le acque di uno slancio improvviso, abbiamo creduto al volo di un uccello,<br />
prima di aver udito la trota ricadere nel fiume. Ma anche questi paragoni pieni di<br />
fascino e di vita, che sostituiscono alla constatazione di ciò che è la resurrezione di<br />
quel che abbiamo sentito (la sola realtà interessante), scompaiono accanto ad<br />
immagini veramente sublimi, degne delle più belle di Hugo” (1907, Le<br />
éblouissements, della contessa di Noailles, SA, 491-492).<br />
244 Di rapprochement si riparla (JS, 470). Se ne riparla nel Cahiers (C 58, 115):<br />
Quand un tel esprit [...] trouvait un telle vérité [...] il fallait le rapprochement de deux<br />
termes différents ayant une base commune c’est à dire une métaphore”. In<br />
Matinée chez la Princesse de Guermantes, Cahiers du Temps retrouvé. Édition<br />
critique étabile par Henri Bonnet en collaboration avec Bernard Brun, Gallimardi,<br />
Paris,1982.<br />
245 “Il piacere che vi dà la sua [di Chardin] raffigurazione pittorica dove si lavora di<br />
cucito, d’una dispensa, d’una cucina, d’una credenza, è, colto al suo passaggio,<br />
affrancato dall’istante (dégagé de l‘instant), approfondito (approfondi), eternato<br />
(éternisé), il piacere che gli dava la vista d’una credenza [...]” (1895, Chardin e<br />
Rembrabd, SA, 374; p. 314).
241<br />
Qui è evidente il valore del rapprochement 246 che, individuando<br />
qualcosa di comune a due sensazioni risalenti l’una al presente e<br />
l’altra al passato, schiude l’accesso all’extra-temporale. Ma è<br />
decisivo il bisogno di “aver vissuto”... Nel mezzo dell’esperienza, o<br />
après-coup rispetto ad essa, l’essenziale è ancora il vivere la vita.<br />
Non il superarla. 247<br />
Fondamentale è ancora il godere la vita: “Non sappiamo<br />
quando, cercando la bellezza d’una montagna o d’un cielo, la<br />
troveremo nel rumore di una ruota di gomma o nell’odore di una<br />
stoffa, in quelle cose che han navigato nella nostra vita (qui ont flotté<br />
sur notre vie) e dove il caso le riconduce a navigare (les ramène<br />
flotter), ma meglio armate questa volta perché noi si possa goderne<br />
(mais mieux armées cette fois-ci pour en jouir), distruggendo la loro<br />
immagine passata e la loro realtà presente, strappandoci alla<br />
schiavitù del presente, inondandoci con la coscienza di una vita<br />
durevole” (JS, 402; 239).<br />
“Durevole”! “Permanente”! Siamo ancora dentro lo spaziotempo.<br />
Comunque, anche se è intravisto il “processo” che all’extratemporale<br />
attraverso il superamento delle cadenze del tempo<br />
(presente/passato), si ha quasi la sensazione che l’immaginazione<br />
sia, per l’appunto, un “organo che serve l’eterno (l’organe qui sert<br />
l’éternel)” (JS, 401; 238); quasi che l’eterno fosse qualcosa che è là a<br />
disposizione per chi abbia l’organo adeguato alla sua degustazione...<br />
Come nel passo in cui è ricercato l’unisono con la natura (non<br />
l’essenza; e non in se stesso): “[...] tutto gli dava un piacere<br />
incompleto [...] e soprattutto, per quanto bello fosse l’oggetto, pareva<br />
non innalzar lui al proprio unisono (à son unisson) ma lasciar che la<br />
sua anima impotente e incompresa si colmasse di disagio e la sua<br />
intelligenza di disperazione. [...]. E ognuno dei sentimenti di Jean<br />
pareva rimaner anch’esso, senza sforzo, all’unisono con ogni cosa (à<br />
246 Identico valore la l’“urto (choc)” (“del presente e del passato”) (JS, 402; 238).<br />
247 Un passo molto interessante: “[...] i giorni vi appaiono come le piccole<br />
suddivisioni che segnano i minuti sul vostro orologio, quasi piccole caselle vuote<br />
dove si collocheranno questi o quegli avvenimenti e, più spesso, nessun<br />
avvenimento (et le plus souvent aucun événement du tout), ma che, a parte il loro<br />
contenuto, non differiscono affatto le une dalle altre” (JR, 249; 78). Poiché questo<br />
passo è nel Jean Santeuil, tendiamo ad interpretarlo nel senso che capita spesso<br />
di non vivere la propria vita pienamente = un avvenimento equivale a un nonavvenimento;<br />
in quanto non avvenuto per noi; se lo incontrassimo nella Recherche,<br />
lo interpreteremmo nel senso che ogni avvenimento, anche quello après-coup, è<br />
un non-avvenimento se non dà accesso all’extratemporale. L’unico avvenimento è<br />
l’avvento della verità e dello spirito.
242<br />
l’unisson de toutes choses), gustando la perfetta gioia che risulta<br />
dall’armonia” (JS, 492-493; 336). 248<br />
Facciamo il confronto con altre pagine, insuperate nel Santeuil,<br />
ricche di notazioni importanti (penso a quelle sull’identificazione con<br />
il criminale in un “atto di rivolta” 249 ) e nelle quali, non a caso, avviene<br />
un approfondimento (è la parola giusta) di notazioni già fatte (vedi la<br />
fine di Da Beg-Meil a Penmarch, in un giorno di tempesta, JS, 211<br />
sgg.), ma imprecise: penso a quelle sulla trasformazione di un<br />
paesaggio marino in un paesaggio montano (JS, 211). Le<br />
riprendiamo a spizzichi e bocconi: “[...] un immaginario più strano e<br />
sconcertante, quello che si riferisce a cose dove abbiamo lasciato<br />
una parte di noi stessi e che è situato non più nell’astratto, bensì in<br />
noi (mais en nous), in un punto che gode e trema [et qui tremble =<br />
Kafka!] quando lo si tocca [...]. Fisionomia che è tanto in loro quanto<br />
in noi (qui est en nous autant qu’en eux), ma che solo noi forse<br />
possiamo dare a quei luoghi [...]. Ci sono [i luoghi] più cari d’ogni<br />
cosa al mondo; perché nulla fuori di noi (rien en dehors de nous) può<br />
restituirci una impressione che abbiamo avuta. È un tesoro che può<br />
conservarsi in un solo scrigno: la memoria, e che può esser donato<br />
agli altri solo da una sorta di allusione: la poesia. [...]. Viventi [le idee]<br />
simultaneamente (à la fois) nel suo passato [di Jean], nel suo<br />
passato a Penmarch, e nel presente; e più profonde, collegando<br />
questo a quello, più reali, mostrando con ciò il valore dell’attimo<br />
passato e di quello presente, di qualcosa che esiste in sé veramente<br />
(de quelque chose qui, lui, existait vraiment) e che non sarebbe finito<br />
in quello stesso minuto. [...]. E infatti non divorava più la vita con<br />
l’angoscia di vederla sparire sotto il godimento (il ne dévorait plus la<br />
vie avec une sorte d’angoisse de la voir disparaître sous la<br />
jouissance), ma la gustava con fiducia, sapendo che un giorno o<br />
l’altro la realtà contenuta in quegli istanti, l’avrebbe ritrovata – a<br />
condizione di non cercarla (à condition de ne pas la chercher) – nel<br />
brusco richiamo di un colpo di vento, d’un odore di fuoco, d’un cielo<br />
basso [...]. Realtà [...] che, in quelle brusche svolte della memoria<br />
disinteressata, ci fa navigare (flotter) tra passato e presente, nella<br />
loro essenza comune (dans leur essence commune), che nel<br />
248 Vedi anche il passo in cui il desiderio è di essere all’unisono con Fontainbleau:<br />
“Tu vorresti vedere quella cosa unica che è una città o un luogo, che è quella e non<br />
altra, sulla quale non puoi nulla, cui tu non puoi togliere uno solo dei giorni ch’essa<br />
ha vissuto, farla più vecchia o più giovane; che è lei, saporoso residuo della sua<br />
esistenza passata, sulla quale non hai, eccetto quello di goderne, altro potere<br />
(aucun pouvoir que d’en jouir)” (JS, 571; 40).<br />
249 Riprese (JS, 454).
243<br />
presente ci ha richiamato il passato, essenza che ci turba perché è in<br />
noi stessi (essence qui nous trouble en ce qu’elle est en nous-même)<br />
[...]” (JS, 534-537; 380-383).<br />
Comunque, in Jean Santeuil ci si avvicina solo al ritrovamento:<br />
“Dieci anni più tardi [...] udì ad un tratto (d’abord) un suono di<br />
pianoforte [...]. Voleva ritrovare quelle ore (il voulait retrouver ces<br />
heures) [...]. Ma non vi ritrovò più (il n’y retrouva plus) quel vago<br />
desiderio d’amare [...]” (JS, 818-819; 686-688); “Jean sentì [...]<br />
qualcosa agitarsi improvvisamente (avait trassailli) in fondo all’animo<br />
suo. Certo era qualche melodia dimenticata nella quale c’era quel<br />
medesimo motivo (cette même phrase) [...] che [...] tentava di tornare<br />
alla vita [...]. Jean cercava di riudire la melodia che tutt’a un tratto<br />
(tout d’un coup) aveva colpito qualcosa dentro di lui [...]. Per caso<br />
(par hasard), accavallandosi un po’, le dita di Loisel han cavato da<br />
quel buon pianoforte un suono proprio altrettanto aspro quanto (un<br />
son juste aussi aigre que) quello del pianoforte del signor Sandré.<br />
Altrimenti Jean non vi avrebbe pensato mai più, perché da allora non<br />
ci aveva mai più pensato” (JS, 897-898; 772)...<br />
Blanchot giustamente afferma, a proposito dell’esperienza di<br />
memoria involontaria sopra-descritta: “E ciò è davvero<br />
impressionante. Quasi tutta l’esperienza del Temps perdu si ritrova<br />
qui: il fenomeno di reminiscenza, la metamorfosi annunciata<br />
(trasmutazione del passato in presente), la sensazione di trovarsi di<br />
fronte a una porta aperta sul campo proprio all’immaginazione, e<br />
infine la risoluzione di scrivere alla luce di quegli istanti per restituirli<br />
alla luce”. 250<br />
Invito il lettore a leggere questo scritto, peraltro breve, di<br />
Blanchot. In sintesi: come mai <strong>Proust</strong> che ha già la chiave dell’arte si<br />
limita a scrivere Jean Santeuil e non la sua opera?, e, “in questo<br />
senso, continua a non scrivere”?<br />
Tenendo ben presente che tutta la Recherche è la storia di una<br />
vocazione; dapprima mancata e solo alla fine intravista e colta...<br />
vocazione a scrivere.<br />
La risposta di Blanchot: il <strong>Proust</strong> del Jean Santeuil “sembra<br />
concepire un’arte più pura, concentrata sui soli istanti, senza<br />
riempitivi, senza ricorso ai ricordi volontari né alle verità d’ordine<br />
generale formate o riprese dall’intelligenza, alle quali più tardi<br />
crederà aver fatto largo posto nella sua opera; insomma un racconto<br />
‘puro’, che sarebbe fatto dei soli punti da cui trae origine, come un<br />
cielo dove, al di fuori delle stelle, non ci fosse che il vuoto”.<br />
250 L’esperienza di <strong>Proust</strong>, 1995, in Il libro a venire, Einaudi, Torino, 1969, p. 27).
244<br />
Blanchot richiama la seguente affermazione di <strong>Proust</strong> che non<br />
abbiamo citata quando parlavamo del rapprochement: “Perché il<br />
piacere ch’essa [la vita che sgorga dall’urto di un presente e di un<br />
passato identici etc.] ci dà è un segno della superiorità sua; e a<br />
questa superiorità io mi son fidato, per non aver voluto scrivere nulla<br />
di quel che vedevo, di quel che pensavo, di quel che ragionavo, di<br />
quel che ricordavo, per scrivere solo quando un passato risuscitava<br />
improvvisamente erompendo da un odore o da una visione mentre<br />
sopra di lui palpitava l’immaginazione, e quando quella gioia mi<br />
ispirava” (JS, 238).<br />
Blanchot vede in questo impegno a scrivere solo degli istanti di<br />
memoria involontaria qualcosa come una ricerca di scrittura<br />
automatica. Macchia descrive questi istanti come “vere e proprie<br />
allucinaz 251 ioni”. 252 Ma, anche considerando queste allucinazioni<br />
come resurrezioni, è difficile immaginare, tanto più praticare, una<br />
“allucinazione permanente”: “<strong>Proust</strong> scopre che gli istanti privilegiati<br />
non sono dei punti immobili, una sola volta reali, tali da dover essere<br />
raffigurati come un’unica fuggitiva evanescenza; ma che dalla<br />
superficie della sfera al suo centro passano e ripassano, volti, in<br />
modo incessante anche se intermittente, verso l’intimità della loro<br />
vera realizzazione, procedendo dalla irrealtà alla profondità<br />
nascosta, che raggiungono quando è raggiunto il centro immaginario<br />
e segreto della sfera: la quale, a partire da qui, sembra rigenerarsi<br />
nel momento che è compiuta”.<br />
Per <strong>Proust</strong>, maturato fino all’altezza della sua opera, “lo spazio<br />
dell’immaginario romanzesco è una sfera, generata, grazie ad un<br />
moto ritardato infinitamente, da istanti essenziali, anch’essi sempre<br />
in divenire, e la cui essenza non è d’essere puntuali, ma è la durata<br />
immaginaria che <strong>Proust</strong>, alla fine della sua impresa, scopre essere la<br />
sostanza stessa di quei misteriosi fenomeni di scintillazione”. 253<br />
251 NV, OF, 1397: “Mais le nez, le front, le pli des lèvres, donnait comme dans une<br />
hallucination la figure de sa mère, plus vraie qu’en sa mère même car fallait que<br />
l’imagination la repoussât et par là donnât plus de force, de consistance à la<br />
perception”.<br />
252 L’oblio, in Tutti gli scritti su <strong>Proust</strong>, Einaudi, Torino, 1997, p. 114. Vedi Kristeva,<br />
op. cit., pp. 263, 292, 310. <strong>Proust</strong> medesimo: “Quelquefois même cette heure<br />
prématurée sonnait deuz coups de plus que la dernière, il y en avait donc une que<br />
je n’avais pas entendue, quelque chose qui avait eu lieu n’avait pas eu lieu pour<br />
moi; l’ineterêt de la lecture, magique comme un profond sommeil avait donné le<br />
change à mes oreilles hallucinée et effacé la cloche d’or sur la surface azurée du<br />
silence (SW, 87-88)<br />
253 Ibidem, pp. 30-31.
245<br />
Insomma, anche “contro se stesso”, <strong>Proust</strong> “rimase docile alla<br />
verità della sua esperienza, che non solo lo svincola dal tempo<br />
ordinario, ma lo impegna in un tempo altro, il tempo ‘puro’ in cui la<br />
durata non può mai essere lineare e non si riduce ai soli<br />
avvenimenti”.<br />
La scelta di abbandonare Jean Santeuil, di non parlarne con<br />
nessuno, quasi fino quasi a dimenticarselo lui medesimo, dimostra la<br />
profondità della sua ispirazione e “la sua decisione di seguirla<br />
sostenendola nel suo moto infinito. Se Jean Santeuil fosse stato<br />
terminato e pubblicato, <strong>Proust</strong> si sarebbe perduto, la sua opera<br />
impossibile e il Tempo smarrito definitivamente”. 254<br />
Avevamo segnalato, nel Jean Santeuil, la tendenza a cogliere<br />
l’essenza in un luogo specifico; quasi ch’essa fosse una cosa<br />
specifica, un tesoro preesistente ad ogni sua ricerca... Una tendenza<br />
idolatrica... A recuperare il “vissuto”; l’après-coup essendo allora solo<br />
una ricerca del risarcimento per il non-vissuto-abbastanza...<br />
Blanchot ci aiuta precisando che il passaggio alla Recherche<br />
avviene attraverso l’abbandono del “poetico” inoltrandosi in un<br />
viaggio nel deserto. Un viaggio che simbolicamente dura<br />
quarant’anni... Basterebbero i quaranta giorni nel deserto del Cristo;<br />
peraltro sono essi che i quarant’anni preannunciavano... Nel corso di<br />
254 Ibidem, p. 32. Richiamo qui un passo fondamentale sempre a proposito del<br />
tempo in <strong>Proust</strong>: “Quale istante! [matinée, inciampamento, San Marco a Venezia<br />
etc.]. Un momento ‘liberato dall’ordine del tempo’ e che in me ricrea ‘un uomo<br />
liberato dall’ordine del tempo’. Ma subito, con una contraddizione di cui, tanto è<br />
necessaria e feconda, appena si avvede, <strong>Proust</strong>, quasi fosse una svista, dice che<br />
quel minuto fuori del tempo gli ha permesso di ‘ottenere, d’isolare, di immobilizzare<br />
– la durata di un lampo – ciò che non afferra mai: un po’ di tempo allo stato puro’.<br />
Perché questo rovesciamento? Perché quel che è fuori del tempo mette a sua<br />
disposizione il tempo puro? Perché, grazie alla simultaneità che ha realmente<br />
ricongiunto il passo di Venezia e il passo di Guermantes, l’allora del passato e il qui<br />
del presente, come due adesso chiamati a sovrapporsi, e grazie alla congiunzione<br />
di quei due presenti che aboliscono il tempo, <strong>Proust</strong> ha fatto inoltre l’esperienza<br />
incomparabile, unica, dell’estasi del tempo. Vivere l’abolizione del tempo, vivere<br />
questo moto rapido come il lampo per il quale due istanti infinitamente separati<br />
vengono (a poco a poco benché subito) uno incontro all’altro, unendosi come due<br />
persone che nella metamorfosi del desiderio sembrano identificarsi, significa<br />
percorre tutta la realtà del tempo, e percorrendola sperimentare il tempo come<br />
spazio e luogo vuoto, cioè libero dagli avvenimenti che lo riempiono sempre nella<br />
vita ordinaria. Tempo puro, senza avvenimenti, mobile vacanza, distanza agitata,<br />
spazio interiore in divenire, dove le estasi del tempo si dispongono in una<br />
simultaneità affascinate, che cos’è dunque tutto questo? È proprio il tempo del<br />
racconto, il tempo che non è fuori del tempo, ma come fuori è sperimentato, sotto<br />
forma di uno spazio, l’immaginario spazio in cui l’arte trova e dispone le sue<br />
risorse” (ibidem, p. 22).
246<br />
questo viaggio <strong>Proust</strong> si fa carico di ogni esperienza; non solo delle<br />
minuzie, ma di tutto; ed, eventualmente, di tutte le minuzie. Non si<br />
risparmia nulla. Da qui il respiro infinito della Recherche; respiro che<br />
alita in ogni sua più piccola frase. La lettura dei Cahiers ci aiuta a<br />
capire l’enormità del lavoro che <strong>Proust</strong> ha fatto per preparare le varie<br />
parti del romanzo...<br />
Come dire: ha rinunciato a fermare l’istante perché bello. Ha<br />
reso bello tutto il deserto in cui qualche istante appare... e ne basta<br />
uno solo per renderlo terra promessa.<br />
Come non ricordare la Lettera a Antoine Bibesco del 15 ottobre<br />
1912? “Prendi per esempio il pezzo sulla chiesa [L’Église de village]:<br />
se scrivessi come si usa oggigiorno, da una sola delle impressioni<br />
che lo compongono – se ne avessi raccontato come cosa importante<br />
la storia – avrei potuto ricavare un articolo, e quindi da tutto il pezzo<br />
una decina di articoli. Se per esempio, anche senza andare al fondo<br />
dell’impressione che ho tratto dalle pietre tombali, avessi assunto<br />
delle pose, fatto gesti stravaganti, avrei fatto colpo, i lettori vi<br />
avrebbero scritto qualcosa di originale. Invece la mia impressione<br />
approfondita, illuminata, intima (approfondie, éclaircie, possedée) io<br />
la celo fra molte altre (je la cache à côté) sotto uno stile piano, dove<br />
occhi acuti sono sicuro che la scopriranno prima o poi. Dei momenti<br />
di esaltazione rimangono soltanto, e pacati, una frase, talvolta un<br />
epiteto (il ne reste qu’un phrase, parfois qu’une épithète, et calmes)”<br />
(CORR, XI, 235-236; LG, 998-999).<br />
3) Capitalissime issime, issime<br />
Ricordate? “Oh, è ora il momento – si diceva –. Bisognerebbe<br />
che ci potessi essere (je puisse y être) prima di cinque minuti [...]. E<br />
guardava disperatamente il prato steso ai suoi piedi”...<br />
Nei Cahiers si ritrova lo stesso approccio. Mi riferisco alle<br />
vicissitudini che portano <strong>Marcel</strong> alla ricerca di una sconosciuta. Tutto<br />
parte da un flôrer questa volta molto più audace di quello ipotizzato<br />
per Albertine (P, 887): “Elle ecrasa ses seins sur moi comme pur<br />
m’en révéler, seul condifence qu’elle put me faire, la consistance de<br />
la forme” (C 36, ES SG, 961)... Vista... scomparsa... “Du moins en<br />
rentrant comme les heures d’exaltation de Combray, je sentis en moi<br />
une vie plus grande que la mort” (ibidem). Nei Cahiers 49 e 24 la<br />
ricerca della sconosciuta. Chi è la fille aux roses rouges che la<br />
“sfiorato”? Mlle Vigognac, Mlle Tronchin, la femme de chambre della<br />
baronessa Picpus? <strong>Marcel</strong> passa da una delusione all’altra: “Que le
247<br />
nom de Vigognac mainenant me paraissait indifférent et laid, quelle<br />
forme biscornue de jeune fielle mièvre et desséchée il prenait” (C49,<br />
ES VIII, SG, 998). Ma rimane il fatto che <strong>Marcel</strong> cerca in una<br />
persona, fuori di sé... quel che sembra tanto prezioso da inaugurare<br />
una vita “più grande della morte”.<br />
Cito ora dal Cahier 57 che, insieme col Cahier 58, contiene le<br />
sole vestigia della prima versione di À la recherche du Temps<br />
perdu. 255<br />
“Capitalissime issime, issime de peut-être le plus de t te l’œuvre:<br />
quand je parle du plaisir éternel de la cuiller, tasse de thè etc. = art:<br />
Était-ce cela ce bonheur proposé par la petite phrase de la Sonate à<br />
Swann qui s’était trompé en l’assimilant au plaisir de l’amour et<br />
n’avait pas su où le trouver (dans l’art); ce bonheur que m’avait défini<br />
comme plus supraterrestre encore que n’avait fait la petite phrase de<br />
la Sonate, l’appel mysterieux, le cocorico du Sextuor que Swann<br />
n’avait pu connaître car cet évangile là n’avait été divulgué qu’un peu<br />
plus tard et Swann était mort comme tant d’autres avant la révélation<br />
[...]” (C 57, 331).<br />
Capitalissimo. Il “plaisir éternel” non è in una frase. Neppure in<br />
quella che Swann è morto senza capire...<br />
A proposito del Quatuor de Vinteuil (scritto su tutta la pagina<br />
incluso il margine, normalmente riservato alle correzioni, alle<br />
aggiunte): “Je pourrai sans doute quand j’ai compris ce qu’il y a de<br />
réel dans l’essence commune du souvenir et que c’est cela que je<br />
voudrais conserver (mais ne sachant pas encore que cela se peut<br />
par l’art, sachant seulement que cela ne se peut ni par le voyage, ni<br />
par l’amour, ni par l’intelligence) dire que j’endends à travers la porte<br />
le quator de Vinteuil (aux œuvres de qui la matinée sera consacrée)”<br />
(C 56, 292-293).<br />
Riecco la “porta”. La frase di Venteuil può essere, è, la porta;<br />
ma per accedere a che cosa?<br />
“Et je dirai à peu près ceci: comme jadis à Combray quand<br />
ayant épuisé les joies que me donnait l’aubépine et ne voulant pas<br />
en demander à une autre fleur, je vis dans le chemin montant de<br />
Tassonville, un centre de nouvelles joies naître pour moi d’un<br />
buisson d’épine rose, ainsi n’ayant plus de joie nouvelle à épouser<br />
dans la sonate de Vinteuil, je sentis tout d’un coup en entendant<br />
commencer le quatuor que j’éprouvais de nouveau cette joie, la<br />
même et pourtant intacte encore, envéloppant et dévoilant à mes<br />
yeux un autre univers, semblable mais inconnu; et la ressemblance<br />
255 Cahiers 57 [Notes pour Le temps retouvé], in Matinée chez la Princesse de<br />
Guermantes, op. cit. (C 57).
248<br />
s’achevait de ce que le début si différent de tout ce que je<br />
connaissais dans ce quatuor s’irradiait, flambait, de joyeuses lueurs<br />
écarlates; c’était un morceau incarnadin [carnicino, color rosa], c’était<br />
la sonate en rose”.<br />
Il classico tout d’un coup... E la sottolineatura che la porta si<br />
apre, non su qualcosa che ci è sfuggito e finalmente cogliamo, ma su<br />
qualcosa che per la prima volta ci appare. Continuando: “La sonate<br />
de Vinteuil m’avait paru tout un monde, mais un monde que je<br />
connaisais entièrement et voici que le Dieu qui l’avait créée n’y avait<br />
pas épuisé son pouvoir en en faisant une seconde, c’est à dire une<br />
tout autre, aussi originale qu’était la sonate de sorte que la sonate<br />
qui m’avait semblé une totalité n’était plus qu’une unité, que je<br />
dépassais maintenant la notion de l’un et comprenais ce qu’était le<br />
multiple grâce à la richesse de ce genie qui me prouvait que la<br />
beauté dont il avait manifesté l’essence dans la sonate avait encore<br />
bien d’autres secrets à dire, bien d’autres paradis à ouvrir”. 256<br />
4) L’après-coup “impossibile à expliquer ici”<br />
A proposito di après-coup come tentativo riuscito di cogliere il<br />
“vissuto” anche se con qualche ritardo, può essere utile leggere la<br />
lettera di <strong>Proust</strong> alla principessa Bibesco del 24 aprile 1912 e il<br />
commento, veramente immiserente, della stessa principessa nel libro<br />
di memorie dedicato a <strong>Proust</strong>, Au bal avec <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>.<br />
Ecco la lettera (il testo italiano lo riprendo da Al ballo...<br />
tradotto; 257 ad esso segue il commento della Bibesco): “Ho appena<br />
ricevuto con molta gioia, nella sua rilegatura da formulario, da<br />
agenda, da guida o promemoria (e nel senso originale di queste<br />
parole decadute non è esso tutto questo, e anche l’agenda perché le<br />
vostre parole devono essere ‘agite’?) un piccolo libro – un grande<br />
libro – che ha poi suscitato in me molta ammirazione e molta<br />
tristezza (beaucoup d’admiration et de tristesse). Ma la gioia è il<br />
riceverlo e in un momento in cui è particolarmente benvenuto. Avevo<br />
ricevuto due giorni prima un invito per la serata dell’Intransigeant,<br />
256 E così iterando: “Je ne concevais pas que se genre de beautés qu’elle contenait<br />
ne fût pas entièrement épuisé et consommé en elle [...]. Et voici que cette phrase<br />
rose, aussi merveilleuse que m’avait paru la première fois celle de la sonate, mais<br />
tout autre [...] venait naître, comme à côté d’une jeune fille, une sœur toute<br />
différente” (C 57, 293-294).<br />
257 Al ballo con <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Sellerio Editore, Palermo, 1978, pp. 74-77; tr. it. Au<br />
bal avec <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Gallimard,1928, Parigi, 1956, pp. 83-86.
249<br />
dove non andrò (où jen n’iraias d’allieurs). Proprio la stessa serata e<br />
nello stesso luogo in cui vi ho visto l’anno scorso così bella, così<br />
eloquente, ma così ostile tanto che non potrei attribuire la cosa se<br />
non alle circostanze imperfette dell’incontro e anche<br />
all’interpretazione errata che forse avete dato in quel momento a<br />
cose che non vi riguardano, ma che voi giudicate, che avete troppo<br />
dimenticato in seguito perché io tenti anche soltanto l’impresa<br />
impossibile di farvele ricordare. Vi avevo poi spesso ripensato,<br />
avvolto in quell’ombra che si proietta ora anche sui vostri Paradisi [la<br />
principessa aveva pubblicato Les Huit Paradis], e il biglietto che<br />
annunciava la serata del Carlton mi aveva restituito esattamente<br />
quella mia impressione di allora (m’avait rendu si exactement mon<br />
impression). Cosicché il vostro Alessandro Asiatico [un libro della<br />
principessa su Alessandro Magno] è veramente venuto con un ‘volto<br />
di sole’. Purtroppo proprio il libro mi ha dimostrato che il nostro<br />
dissenso è più profondo e riguarda le idee (notre dissentiment était<br />
plus profonde et touchait aux idées). Non che io non abbia una<br />
grande ammirazione per quelle parole che sono come gioielli con<br />
una montatura di silenzio, per quell’arte così audacemente, così<br />
abilmente reticente. Quello che voi dite non è che una piccola parte<br />
di ciò che avete pensato. Proferendo quello che avete taciuto (e però<br />
definito come una circonferenza di cui si sia misurato il diametro e<br />
che si tralascia di tracciare), un commentatore potrà scrivere<br />
un’opera più lunga. E questo silenzio è anche un piedistallo e indica<br />
l’altezza a cui bisogna istallarsi per leggervi; è anche una<br />
convenienza e permette l’accordo del vostro pensiero moderno o<br />
futuro con le immagini lontane, e fa fiorire quelle sentenze profonde<br />
come un prato su un tappeto (del verde tappeto che fioriva sotto<br />
l’esercito di Keïthoun, etc.) o come il chiacchiericcio di un uccello. Ma,<br />
a meno che il libro non sia tutto in funzione della fine (e perché<br />
questo non potrebbe essere vero?) niente mi è più estraneo del<br />
cercare la presenza della felicità nella sensazione immediata, e a<br />
maggior ragione nella realizzazione materiale (rien ne m’est plus<br />
étranger que de chercher dans la sensation immédiate, à plus forte<br />
raison dans sa réalisation matérielle, la présence du bonheur). Una<br />
sensazione, per quanto sia disinteressata, un profumo, una luce, se<br />
sono presenti sono ancora troppo in mio potere per rendermi felice<br />
(s’ils sont présents sont encore trop en mon pouvoir pour me rendre<br />
hereux). È quando me ne ricordano un altro, quando li gusto tra il<br />
presente e il passato (entre le présent et le passé) (e non nel<br />
passato, impossibile spiegare qui [et non pas dans le passé,<br />
impossibile à expliquer ici]) che essi mi rendono felice. Alessandro
250<br />
ha ragione di dire che cessar di sperare è la disperazione stessa. Ma<br />
se non smetto di desiderare, io non spero mai. E forse anche la<br />
grande sobrietà della mia vita sociale, senza luce, è una circostanza<br />
contingente che alimenta in me la perennità del desiderio. E quando<br />
non si pensa al proprio piacere (et quand on pense pas à son propre<br />
plaisir), se ne trova anche a constatare le leggi per le quali ci viene<br />
strappato quello che pensavamo di potere conservare, compresi i<br />
cuori. E l’interesse delle leggi per le quali, viceversa, ci sono infine<br />
date le cose su cui non avremmo mai creduto di poter contare (nous<br />
sont finalement apportées le choses sur lesquelles nous n’aurions<br />
jamais cru pouvoir compter), quest’interesse è in grado di<br />
compensare per noi la delusione di possedere ciò che ci sembrava<br />
bello quando lo desideravamo. Mi accorgo che dopo avervi detto che<br />
non pensavo mai a me, non vi parlo che di me e di una gioia in cui<br />
però penso tanto a voi. Ma mi accorgo anche che è come esegeta di<br />
voi che parlo di me. Perché le ultime parole si accorderebbero in<br />
modo singolare con quelle di Alessandro: si cessa più radicalmente<br />
di sperare ciò che si possiede che non quello che non si avrà. La<br />
morte che preconizzate non somiglia alla vita che conduco (la morte<br />
que vous préconisez ne ressemble-t-il pas à la vie que je mène)? Ma<br />
a quest’ultima mancherà sempre la grazia deliziosa e veramente<br />
perfetta delle vostre parole quando dite che la ‘storia della sua vita si<br />
conclude sul discorso di un uccello’. È la perfezione stessa, l’arte<br />
suprema che rifiuta le ricchezze inutili e che, anche in questo senso,<br />
è omissione (et qui, en se sens-là encore, est omission). Conserverò<br />
sempre vicino a me il promemoria blu (sembra di questo colore alla<br />
luce elettrica) in cui c’è tutto quel che è importante ricordare, il<br />
formulario in cui forse troverò dei rimedi e in ogni caso dei veleni. E<br />
cercherò di comprendere meglio Alessandro e la principessa Bibesco<br />
dei quali una parte mi sfugge. Degnatevi di accettare, Principessa, la<br />
mia ammirazione e il mio riconoscente rispetto” (CORR, XI, 108-111).<br />
Il testo della principessa: “La parte che gli sfuggiva di me era<br />
quella che dedicavo al movimento, alla deliziosa spontaneità del<br />
vivere. Mentre egli alimentava in sé il desiderio con la rinuncia. Io mi<br />
disincantavo in altro modo. Il mio eroe vinceva tutte le battaglie,<br />
prendeva tutte le città, non rinunciava a nulla, otteneva tutto, e<br />
moriva a trentadue anni, completamente disperato. Ci voleva<br />
soltanto una bella salute. <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> mi confessava di aver<br />
giocato la sua vita a chi-perde-vince al contrario di Alessandro, che,<br />
pur vincendo sempre, aveva perso. Questa lettera straordinaria mi<br />
dava la soluzione dell’enigma proustiano, molto tempo prima della<br />
rivelazione del Temps retrouvé; essa situava la felicità ‘tra il presente
251<br />
e il passato’, e non nel presente; essa creava quella regione<br />
intermedia, quello spazio sentimentale nuovo in cui <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> ha<br />
vissuto e gustato i suoi piaceri. Ecco la sua invenzione che<br />
contraddice il vecchio Carpe diem di Orazio; egli non ha goduto del<br />
momento, ed è così che raggiunse quella regione felice dove riusciva<br />
a alimentare ‘la perennità del desiderio’ Cosa c’è di più mistico,<br />
oserei dire i più cristiano di questa assenza davanti alla presenza<br />
reale della felicità?” 258<br />
258 Ibidem, pp. 86-87; pp. 77-78.
252<br />
CAP. 15<br />
JEAN SANTEUIL<br />
LA SCENA PRIMARIA<br />
In Jean Santeuil, nel frammento che comincia con annotazioni<br />
circa l’Amour di Stendhal, troviamo condensate in un’unica vicenda<br />
due avvenimenti della vita amorosa e gelosa (e conoscitiva) di<br />
Swann: l’ansiosa ricerca di Odette che ha detto di sé ch’è andata a<br />
prendere una cioccolata da Prévost (SW, 277 sgg.); l’incontro fallito<br />
con Odette (che forse era in camera con un’amante a cui fa da<br />
seguito l’attività di spionaggio a proposito della lettera di Odette a<br />
Forchenville) (SW, 336 sgg.).<br />
Preferiamo commentare la visita di Jean alla sua amata signora<br />
S. Si tratta di diverse pagine (JS, 750 sgg.; 613 sgg.) delle quali<br />
riprendiamo alcuni elementi anche trasgredendo le cadenze<br />
temporali...<br />
Jean va ad una festa; ad una cert’ora ha concordato con la<br />
signora S. (d’ora in poi la chiameremo semplicemente S.) che andrà<br />
a “dirle buonanotte ancora una volta (lui redire encore un fois<br />
bonsoir)”. Ci va. Il giorno dopo, la sera, fa un’improvvisata. Trova la<br />
finestra illuminata.<br />
La scena primaria: Jean cerca di guardare attraverso le<br />
imposte... Non vede niente, ma sente i rumori. Ode “il brusìo di una<br />
conversazione (le bruit d’une conversation)”; certo odia “quel brusìo<br />
di voci (ce bruit de voix)” che gli ha rivelato la presenza di un atro; la<br />
“coppia nemica”. Ma “ora possedeva almeno un vantaggio su di loro,<br />
li aveva lì, e, se avesse bussato per farsi aprire la finestra (se faire<br />
ouvrir la fenêtre), sarebbe stato lui in quel momento il vincitore,<br />
perché essa sarebbe rimasta in trappola, confusa, piena di vergogna<br />
[...]. E poi, aveva la conoscenza di un fatto (la connaissence d’un<br />
fait), in quel mistero che lo turbava così dolorosamente. Si diceva:<br />
almeno ho imparato questo, almeno lo so (j’ai appris cela, je sais<br />
cela). Benché la vita di lei fosse qualcosa ch’egli non conosceva, che<br />
sfuggiva al suo possesso, ecco che un caso (un hasard), 259 come un<br />
gran colpo di rete, gliene portava una parte”...<br />
259 Si tratta di una parola-chiave nel lessico del giovane <strong>Proust</strong>. Vedi la sua lettera<br />
del luglio 1893 in Une nouvelle Croix de Berny, il romanzo epistolare fallito: in<br />
Écrits de jeneusse, 1887-1895, Institut <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> International, Combray, p.<br />
248.
253<br />
La mente va a Noè che mostra le pudenda ai figli...<br />
Un’altra scena-primaria...<br />
La vergogna di lei... ma anche la sua: “Aveva un po’ vergogna a<br />
bussare, a far vedere che era tornato; ma non poteva però resistere<br />
al desiderio di far conoscere che era lì, che aveva saputo tutto (qu’il<br />
avait tout su). E poi, tutte quelle cose che, a distanza, quando<br />
pensava che ciò potesse accadere a sua insaputa (à son insu),<br />
senza che ne si volesse saperne di lui, quasi contro di lui, lo<br />
turbavano, pareva che vedendole, penetrandole, qualunque<br />
vergogna egli avesse dovuto averne, qualunque pena a tornarsene<br />
indietro, almeno il loro mistero sarebbe stato spezzato. Era sul punto<br />
di bussare alla persiana (il alla frapper au volet) e il suo cuore gli<br />
batteva forte nel petto come quando sta per avvenire un grande<br />
mutamento in noi (un grand changement en nous)”...<br />
Un grande cambiamento... 260<br />
Dunque: questa volta il Narratore non guarda dalla finestra della<br />
sua camera, ma, attraverso la finestra, dentro la camera di S.<br />
Non vede niente.<br />
Ma sente...<br />
“Allora ciò che per noi è l’ignoto e intorno al quale s’aggira<br />
abbaiando il nostro pensiero (alors l’inconnu pour nous, ce devant<br />
quoi rôde et aboie notre pensée)”...<br />
Come non pensare alle Indagini di un cane?<br />
Che vede il cane?<br />
Niente.<br />
Sente e immagina.<br />
Jean si consola col fatto che “ha imparato questo, sa questo”...<br />
Anche se il contenuto della rivelazione è doloroso (vedi Les Plaisirs<br />
et le jours)...<br />
Ma che cosa sa?<br />
Intanto un particolare ci colpisce. L’ingresso su questa scena<br />
(primaria) del “caso”.<br />
Sappiamo che il “caso” è elemento costitutivo, anzi augurale,<br />
della memoria involontaria...<br />
Domanda (perdonate il salto pindarico): la memoria involontaria<br />
non è una via di accesso alla scena primaria?<br />
Probabilmente.<br />
La scena primaria può allora essere definita come il non<br />
categorizzato; addirittura in non categorizzabile.<br />
È questo l’extra-temprale?<br />
260 Di grande cambiamento si riparlerà (JS, 811; 679).
254<br />
Ma continuiamo... Jean sente un “rumore di voci (bruit de voix)”<br />
che sale dalla “finestra aperta (la fenêtre ouverte)”: sicuramente S. si<br />
sta spogliando; “luci e voci [...] conservavano per lui la medesima<br />
punta dolorosa di quando lo avevano colpito, perché volevano dire in<br />
realtà: ‘Aspettava proprio qualcuno, c’è qualcuno, ora che ti crede<br />
andato via’. Ma l’amore che pone tanta passione nella persona che<br />
amiamo e che, quando vediamo che non è tutta (toute) nostra, che è<br />
forse tutta (toute) d’altri, pone con la gelosia, che è quasi il suo<br />
inverso (qui est comme son envers), una curiosità così appassionata<br />
nel sapere tutto (à savoir tout) quel che fa l’essere amato, faceva sì<br />
che quel lembo di vita segreta, quella introvabile pagina di realtà<br />
(cette page introuvable de réalité) che la luce della finestra gli<br />
preannunciava, gli si presentasse come qualcosa di immensamente<br />
interessante (d’un interêt immense) capace di dare alla sua<br />
intelligenza, malgrado il suo contenuto doloroso, una specie di<br />
soddisfazione”...<br />
Una realtà, un lembo di realtà è stata “trovato”...<br />
La ricerca del tempo perduto!<br />
Jean vuole “tutto”; il bisogno della totalità accomuna la ricerca<br />
dell’innamorato e quella del geloso...<br />
Ma almeno coglie un lembo, un morceau di realtà...<br />
Scoperta: Jean ha sbagliato finestra: “La persiana si aprì<br />
completamente, comparve un vecchio signore, e un altro che gli<br />
stava vicino. [...]. Capì (il comprit)”.<br />
A parte la notazione che questo categorico, definitivo “il<br />
comprit” denuncia la scoperta = il ritrovamento (che avviene sempre<br />
tout d’un coup), cosa capì Jean?<br />
Forse capì che la scena primaria, il rapporto, cioè, con<br />
l’acategoriale deve rimanere acategoriale...<br />
Il bisogno di trasformarlo in savoir, come sapere di ogni cosa<br />
(tout), lo vanifica...<br />
O la scena primaria è la scena vuota?<br />
La possiamo percorrere in una direzione o nell’altra: ciascuna è<br />
l’invers dell’altra...<br />
Perché contemplare la scena primaria significa contemplare<br />
l’extra-temporale (l’extra-categoriale).<br />
Un pomeriggio Jean va da S: “suonò (sonna), udì il rumore<br />
(entendit du bruit); ma, per quanto suonasse, nessuno venne ad<br />
aprire. Si disse che c’era forse qualcuno, volle disturbarli, volle<br />
battere ai vetri (frapper au carreau), ma nessuno aprì”...<br />
Quando ripassa, S. gli apre: dormiva etc...: “Era curioso di<br />
sentirla parlare, forse mentire, sentendo che tutte (toutes) le cose
255<br />
che gli piacevano, che avrebbe voluto sapere, che non poteva<br />
sapere (qu’il eut voulu et ne pouvait savoir), erano là, davanti a lui,<br />
svolgendosi maldestramente sotto la pressione della sua triste<br />
curiosità”...<br />
Di nuovo il bisogno di sapere tutto...<br />
Ma questo paragrafo è chiuso in modo stupefacente: “Perché<br />
nell’ignoto di eventi che ci sono celati, è molto difficile che tutto ciò<br />
che è falso desti i nostri sospetti e che la verità sia quel che ci<br />
immaginiamo. Perché non è determinata dalle le possibilità che ci<br />
fingiamo, bensì da una realtà anteriore a noi sconosciuta”... 261<br />
S. quasi sicuramente mente; ma non è detto...<br />
La realtà antérieure è quella perduta e l’oggetto della ricerca.<br />
Jean torna a casa... Cerca di leggere una lettera che S. gli ha<br />
chiesto di imbucare... “avrebbe preferito leggere tutta (toute) la<br />
lettera”... Quanto la legge tutta, ad un tratto, tout d’un coup, legge<br />
“Ho fatto bene ad aprire, era mio padre” (in SW sarà lo zio).<br />
La scoperta.<br />
Egli capì.<br />
D’un tratto...<br />
Si affaccia al segreto di S.: “Rimaneva lì, perduto, desolato, ma<br />
tuttavia tenendo la verità in mano, tenendo per caso (par hasard)<br />
attraverso il vetro trasparente (à travers le vitrage trasparent)<br />
[un’altra finestra] di una busta che [...] lasciava scorgere un po’ della<br />
vita segreta della sua amica, una parte di una vita celata alla sua<br />
conoscenza”.<br />
Ecco che l’ignoto intorno al quale rôde et aboie il ricercatore, gli<br />
si rivela: per caso...<br />
Che cosa gli si rivela?<br />
Intanto, che cosa vorrebbe più precisamente che gli si riveli?<br />
“Quel che è (ce qui est), quel che oggi è stato (ce qui a été<br />
aujourd’hui), non secondo i suoi [di S.] racconti, ma in sé (mais en<br />
soi), quale era per l’altro (tel quel c’était pour l’autre), per Dio; (pour<br />
Dieu, le fait), ecco quel che il nostro pensiero non può<br />
raggiungere”. 262<br />
Ma vorrebbe raggiungere.<br />
261 Qualcosa di simile più avanti: “È vero che nemmeno il ragionamento contrario<br />
[...] è corretto, perché nessun ragionamento si applica alle contingenze della<br />
realtà”.<br />
262 “[...] mi sembrava di far piangere l’anima di mia madre, l’anima del mio angelo<br />
custode, l’anima di Dio” (PJ, 118). “È un dio [amore] che si nasconde e ride quando<br />
non lo vediamo più. Giuoca, e i suoi giuochi son crudeli perché non depone mai le<br />
sue frecce” (JS, 696).
256<br />
La conoscenza di Dio! O, meglio ancora, la conoscenza che ha<br />
Dio...<br />
Proseguendo: “Ecco una parte (un peu) di quanto gli portava un<br />
settore aperto nell’ignoto, quella lettera, e di quanto gli metteva sotto<br />
gli occhi: un po’ (un peu) di quella vita vera (vie véritable), il segreto<br />
di un avvenimento che probabilmente non avrebbe mai conosciuto,<br />
che essa non gli avrebbe mai raccontato, parte di quell’ignoto che<br />
non sapeva come raggiungere e che il caso (le hasard), un mezzo<br />
sicuro, gli illuminavano bruscamente (brusquement) e gli facevano<br />
apparire. Traendolo dall’oscurità della camera dalle imposte<br />
[chiuse]”.<br />
Di nuovo il caso. E di nuovo la vita vera... Di nuovo il<br />
ritrovamento... Attraverso una parte, un po’, un’occhiata sulla scena<br />
primaria, par la fenêtre...<br />
Qualche pagina più avanti: “[...] rimpiangiamo di non essere più<br />
in rapporto con quella strana forza naturale (cette force singulière de<br />
la nature) che poteva farci soffrire ma che almeno schiudeva la<br />
nostra vita su un moto così reale, così strano, così impossibile (sur<br />
un courant si réel, si curieux, si impossible). E se allora un nome letto<br />
per caso (par hasard) [...]”...
1) Le categorie = une échelle<br />
257<br />
Cap. 16<br />
JEAN SANTEUIL<br />
Non categoriale e categoriale...<br />
“Il portello (la petite porte) del giardino si richiuse lentamente su<br />
Jean. Per la terza volta era tornato a dire buonanotte (bonsoir) a sua<br />
madre ed era stato accolto piuttosto male. [...]. Presto la finestra (la<br />
fenêtre) si aprì, una minuscola figura bionda comparve su di una<br />
candida camicia da notte, e disse a bassa voce: – Mammina, ho<br />
bisogno di te un minuto [...]. Per Jean il momento di andare a letto<br />
era sempre un momento veramente tragico, reso tanto crudele da un<br />
vago sentimento di orrore. Fin da quando scendeva la sera (déjà<br />
quand le jour tombait), prima che fosse portata la lampada, il mondo<br />
intero poteva abbandonarlo, avrebbe voluto aggrapparsi alla luce,<br />
impedirle di morire, di trascinarlo con sé nella morte. [...]. Ma fino a<br />
quella sera, quando Jean aveva finito di spogliarsi, chiamava sua<br />
madre perché venisse a dargli un bacio mentre entrava a letto. Quel<br />
bacio era un dolce viatico (ce baiser-à, c’était le viatique) [...]; 263 era<br />
la cara offerta (la douce offrande) di focacce che i greci appendevano<br />
al collo della sposa o dell’amico defunti, mentre li deponevano nella<br />
tomba, perché compissero senza terrore il viaggio sotterraneo e<br />
attraversassero sazi i regni bui. Così Jean assaporava lungamente le<br />
tenere guance di sua madre; poi sulla sua fronte febbrile essa<br />
posava un bacio fresco come una benda umida (comme une<br />
compresse), che attraverso la pelle ardente e sottile, insinuandosi tra<br />
la frangia bionda, recava a quella piccola anima la calma (venait<br />
calmer sa petite âme). Allora si addormentava. Quella buonanotte<br />
nel suo letto era il dono atteso con febbrile pazienza il cui potere<br />
meraviglioso calmava come un esorcismo (comme un<br />
enchantement), come l’olio sul mare, quel suo cuore agitato. Il gesto<br />
di sua madre che si abbassava a baciarlo (qui si bassait pour<br />
l’embrasser), sterminava subito l’inquietudine e l’insonnia. Era questo<br />
che gli stava mancando e che da allora in poi gli sarebbe mancato<br />
tutte le sere. [...]. Questo era il solo punto sul quale [la madre] fosse<br />
263 “[...] la signora Servan riceveva il suo bacio senza restituirlo, come una reliquia<br />
(comme une relique) dipinta a colori vivaci” (JS, 341; 174).
258<br />
severa con lui. E lui, ancora troppo giovane (trop jeune encore) per<br />
sapere distinguere il morale e il fisico, la libertà e la necessità, si<br />
sentiva oscuramente responsabile della propria agitazione, della<br />
propria tristezza e delle lacrime, senza tuttavia aver la forza di<br />
dominarle. Jean udì nel corridoio il passo di Augustin [...]. Si alzò,<br />
andò alla finestra (près de la fenêtre), scorse la madre, il padre e il<br />
dottore vicini, quali la luce della luna, come una lampada troppo<br />
debole, illuminava senza permettergli di distinguerli, mostrandoli e<br />
nascondendoli a un tempo. [...]. Ma la mamma venne e al calore del<br />
suo bacio tutta la sua agitazione si sciolse in dolcezza, in lacrime.<br />
[...]. Per fortuna – aggiunse ridendo [il dottore] –, le pene di quell’età<br />
sono senza importanza. 264 È lecito credere che Jean, prendendole<br />
sul serio, si sbagliasse meno dell’ironico dottore. Quelle ore infantili<br />
suonavano (sonnaient) contro il vivo metallo del suo cuore e il suono<br />
(le son) che esse avevano allora poté diventare più profondo (plus<br />
grave) quando il suo cuore si fu fatto più duro, diventar più rauco (se<br />
fêler) o approfondirsi; ma quel suono (ce son) rimase il suo. [...].<br />
L’abitudine, la sola delle antiche potenze di questo mondo che sia più<br />
forte della sofferenza, poté vincere poco a poco in Jean la crudele<br />
angoscia che abbiamo visto tormentarlo e che, per tutti quegli anni<br />
d’infanzia lo fece soffrire ogni sera. Ma nella sua giovinezza e<br />
persino nella sua maturità, ogni qual volta (chaque fois) una<br />
circostanza qualsiasi sopravvenisse a sospendere gli effetti<br />
anestetici dell’abitudine, ogni volta (chaque fois) [...] egli sentì in<br />
fondo alla propria anima, vaga come una figura nota e perduta di<br />
vista, ridestarsi una inquietudine vecchia come lui stesso. [...]. Quel<br />
nuovissimo senso di irresponsabilità che, di fronte ad Augustin, sua<br />
madre aveva allora riconosciuto pubblicamente come si riconosce un<br />
nuovo governo (comme on reconnaît un gouvernement nouveau), 265<br />
264 “‘D’altronde, non ha la minima (aucune espèce) importanza’. Frase equivalente<br />
a un riflesso (analogue à un réflex), identica, nelle più gravi come nelle più<br />
trascurabili circostanze; e rivelatrice (dénonçant), come in questo caso,<br />
dell’effettiva importanza attribuita alla cosa in questione da chi, a parole, gliela<br />
nega (en celui qui la déclare sans importance). Frase tragica, a volte, che sfugge<br />
prima d’ogni altra – e così carica, allora, di sconforto – a ogni uomo che, appena<br />
un po’ orgoglioso, abbia perduto l’ultima speranza cui s’aggrappava perché<br />
qualcuno gli ha rifiutato un favore: ‘Ah, bene, non ha la minima importanza, mi<br />
arrangerò diversamente’, quando il diverso arrangiarsi verso il quale non ha la<br />
minima importanza vedersi respinti è, in qualche caso, il suicidio” (OF, 740; 898).<br />
265 “Jean [...] al primo rumore s’era asciugati gli occhi, glorioso del suo potere<br />
(glorieux de son pouvoir) su sua madre [...] sorrideva a Augustin con la gioia del<br />
trionfo (avec la joie du trionphe) [...]” (JS, 208; 34). Una lettera alla madre del 6<br />
dicembre 1902 ci dice dei risvolti di complicità e reciproco ricatto che l’alterazione<br />
nervosa, l’abdicazione etc. avevano prodotto: “La verità è che quando vado bene,
259<br />
lo informava sui suoi diritti, gli garantiva l’esistenza, ne assicurava<br />
l’avvenire. [...]. Certo la sua volontà, allora, era già abbastanza<br />
debole (sa volonté était déjà bien faible alors). Solo poco a poco, in<br />
seguito a sforzi continui (Ce n’est que peu à peu, à la longue de ces<br />
efforts constants) [...]. E finalmente abbiamo un ultimo motivo di aver<br />
preso sul serio, come Jean medesimo, quelle pene infantili: ed è che,<br />
malgrado il sorriso del dottore, o di suo padre, forse mai egli ebbe a<br />
provarne di più strazianti (il n’en éprouva peut-être jamais de plus<br />
cruels). Più tardi, infatti, quand’era triste, gli interessi, le occupazioni,<br />
le idee, i ricordi gli porgevano una scala (une échelle), 266 grazie alla<br />
siccome la vita che mi fa andare bene ti esaspera, tu distruggi tutto fino a farmi<br />
andare male di nuovo. [...]. È triste però non potere avere insieme affetto e salute.<br />
Se avessi l’uno e l’altra in questo momento [...]” (LG, 493; CORR, III, 191). Sempre<br />
alla madre, data incerta, probabile maggio 1903: “Car j’aime mieux avoir des<br />
crises et te plaire que te déplaire et n’en pas avoir” (CORR, III, 328). Vedi nella<br />
lettera a Jaques Bizet del 14 giugno 1888 il riconoscimento del ruolo svolto dalla<br />
“malattia” nelle tenzoni familiari: “[...] peut-être parce qu’elle redoute pour moi cette<br />
affection un peu eccessive, n’est pas? Et qui peut dégénérer (elle le croit peut-être)<br />
en... affection sensuelle...”. La madre ha proibito a <strong>Marcel</strong> di incontrare Jacques:<br />
“<strong>Su</strong>r mon refus énergique elle m’a du moins défendu d’aller chez toi ou de te voir<br />
chez moi. Scène furieuse, désespoir lent, menaces, mauvaise santé [...]” (CORR,<br />
_________, 554-555).<br />
266 Di fronte ad un attacco di panico come quello provocato dall’improvvisa<br />
partenza di Albertine, l’unica risorsa è il “concatenare”: “Aussi, si ma réflexion<br />
s’attachait à une de ces séries, si je commençais à penser à la musique, à la<br />
maladie, à Bergotte, aux Guermantes, les idées s’enchaînaient les unes les autres<br />
comme elles le faisaient autrefois; oui, comme elles le faisaient autrefois j’en sus<br />
sur car si tout d’un coup j’aperçevais l’idée qu’Albertine était partie, il me semble<br />
que je me suis livré pendant me réflexions à quelque chose d’aussi absurde qu’un<br />
rêve que la réalité dément et qu’one secoue au réveil” (C 71; ES I, AS, 631). Nel<br />
Tempo ritrovato troveremo un altro modo di concatenare: “Ciò che chiamiamo<br />
realtà è un certo rapporto fra le sensazioni e i ricordi che ci circondano<br />
simultaneamente [...] unico rapporto che lo scrittore deve trovare per incatenare<br />
per sempre l’uno all’altro, nella sua frase (por en enchaîner à jamais dans sa<br />
phrase), i due diversi termini. Si possono elencare di seguito quanto si vuole, in<br />
una descrizione, gli oggetti che figuravano nel luogo descritto: la verità (la vérité)<br />
comincerà solo nel momento in cui lo scrittore prenderà due oggetti diversi, ne<br />
porrà il rapporto, analogo nel mondo dell’arte a quello che è il rapporto esclusivo di<br />
causa ed effetto nel mondo della scienza, e li fisserà con gli indispensabili anelli<br />
(anneaux) dello stile. Anzi, quando, come la vita, avvicinando una qualità comune<br />
alle due sensazioni, egli ricaverà la loro essenza comune, riunendole entrambe,<br />
per sottrarle alle contingenze del tempo, in una metafora” (TR, 889; 570). Questo<br />
passo, su cui abbiamo già a lungo meditato, riconosce il concatenamento causaeffetto<br />
che colloca ogni evento nello spazio e nel tempo; ma lo distingue da quello<br />
che, invece, colloca l’essenza fuori dello spazio e del tempo. I due eventi<br />
simultanei e diversi che la memoria involontaria produce, non devono essere<br />
concatenati come si suole fare quando si coordina il passato e il presente... ma<br />
come si deve se si vuole attingere l’extratemporale, l’essenza.
260<br />
quale (par où), se aveva la forza di afferrarla (s’il avait la force de la<br />
saisir), poteva evadere di riflessione in riflessione o di creatura in<br />
creatura, in quel campo aperto della speranza e dei secoli, dove lo<br />
spirito può correre come un puledro lasciato libero. Ma la sua<br />
infanzia si agitò miseramente in fondo a un pozzo di tristezza 267<br />
donde nulla poteva ancora aiutarlo ad uscire, non ancora illuminata<br />
neppure dall’idea della causa delle sue pene. E d’altronde, della sua<br />
tristezza, egli non conobbe più tardi se non le cause seconde (il ne<br />
connut guère plus tard que les causes secondes), perché la causa<br />
prima gli parve sempre tanto inseparabile da sé medesimo che non<br />
poté mai rinunciare ad essa senza rinunciare a se stesso” (JS, 202-<br />
211; 27-37).<br />
L’incipit – “il portello del giardino si richiuse lentamente su Jean”<br />
– è un po’ spiazzante. Ma, dopo poco, ci ritroviamo. A parte una<br />
serie di motivi diventati tipici: forza dell’abitudine, mancanza di<br />
volontà... qui, ancora più forse che in SW, viene equiparata la paura<br />
della notte alla paura della morte; e, questa paura, viene definita<br />
come “importante” (non “senza importanza”)... Jean è “ancora troppo<br />
giovane”... ma ha capito che il riposo del sonno equivale al riposo<br />
della morte. Solo col progredire dell’età riuscirà a costruire una<br />
“scala”; fondamentalmente quella che collega una causa col suo<br />
effetto; le categorie famose: anche se le cause categoriali sono<br />
sempre “causes secondes”... La causa prima... Ma, se andiamo alla<br />
ricerca della causa “prima”, ci inoltriamo nel “privo di prima e dopo”...<br />
Ci inoltriamo nell’acategoriale.<br />
Nell’irresponsabilità...<br />
La morte ci offre l’acategoriale in una forma che spaventa,<br />
almeno apparentemente; la nascita, in una forma che, almeno<br />
apparentemente, rallegra. Forse Hereafter potrebbe insegnarci<br />
qualcosa. A capire che l’acategoriale spaventa, ma non è<br />
spaventoso.<br />
2) Ancora sull’acategoriale<br />
“La porta era aperta. Jean sentì che Réveillon aveva udito e,<br />
vedendo ormai pronta la sua valigia, posò in fretta le labbra<br />
indifferenti sulle guance di sua madre, sgradevolmente infiammate<br />
dalla fretta e dal malumore [...]. Salita la scala [quattro ore dopo,<br />
approdato all’albergo], arrivando ad un pianerottolo sconosciuto, si<br />
267 Questo “fond d’un puits de tristesse” richiama il “lac inconnu” del Tempo<br />
ritrovato.
261<br />
sentì a un tratto (brusquement) lontano da sua madre. E nel fondo<br />
del petto si destò una palpitazione debole ma immensa, come in<br />
lontananza, il palpito continuo del mare. Erano forse pensieri,<br />
desideri, paure, inquietudini, slanci fino allora cresciuti sotto l’ala di<br />
sua madre e ora recati così lontano da lei, i quali, a un tratto (tout<br />
d’un coup) accorgendosi d’essere abbandonati, balzavano in lui<br />
come per slanciarsi fuori, spaventati, disperati, folli della loro<br />
impotenza [...]” (JS, 356 sgg.; 190 sgg.).<br />
Dall’albergo la cui camera è una “prigione” e il cui letto una<br />
“tomba”, Jean telefona alla madre... “Ma commovente, limpido, ecco<br />
il campanello che trilla e pare balzare qua e là (voici le timbre qui<br />
sonne, resonne, semble courir çà et là). [...]. Poi, d’un tratto (tout d’un<br />
coup) – ed è come se tutti se ne fossero andati dalla camera ed egli<br />
cadesse fra le braccia di sua madre – viene proprio contro di lui, così<br />
dolce, così fragile, così delicata, così chiara, così fusa, come un<br />
piccolo frammento di ghiaccio spezzato, la voce di sua madre. – Sei<br />
tu, caro? – È come se gli parlasse per la prima volta (pour la<br />
première fois). Come se la ritrovasse, dopo la morte, in paradiso.<br />
Perché per la prima volta (pour la première fois), egli ode la voce di<br />
sua madre. [...]. Il campanello suona (il sonne). È finito (est fini)”.<br />
La collocazione nel tempo del suono della voce della madre – la<br />
“prima volta” (2 vv.) – è fatta da chi, risbattuto nell’acategoriale, si riaffaccia<br />
al categoriale... Grazie al telefono...<br />
3) La madre da ritrovare<br />
Lite di Jean con i genitori. Fuga in camera. Ricerca,<br />
nell’armadio, di qualcosa per coprirsi perché ha freddo... La sua<br />
mano “tanto eccitata e quasi folle” trova un mantello di velluto nero<br />
orlato di frange, foderato di satin rosso e di ermellino: “come ferito<br />
dalla violenza del colpo, esso entrò nella camera stretto nel pugno di<br />
Jean come una fanciulla che un guerriero abbia afferrata per le<br />
chiome”.<br />
È il mantello della madre: “Turbato guardò il mantello, che nei<br />
suoi colori ancora freschi, nel suo velluto ancora dolce, somigliava a<br />
quegli anni che non servivano più a nulla, senza rapporto con la vita<br />
ma non appassiti, intatti nel suo ricordo. L’avvicinò al naso, sentì il<br />
velluto scivolare ancora sotto la palma della mano e credette di stare<br />
abbracciando sua madre, quella sera, quando, accompagnata dal<br />
signor Sandré che era ancora valido, ancora giovane, bella, senza<br />
aver conosciuto il dolore o la malattia, essa usciva [...] posandogli
262<br />
sulla guancia prima di salire in carrozza, con le sue labbra belle e<br />
fresche, un bacio limpido (un baiser limpide) come la sua fiducia e<br />
come al sua felicità. Provò la voglia irresistibile di abbracciare sua<br />
madre, ancora una volta, in quel modo. [...]. Ma sua madre non era<br />
più lei. La morte di suo padre, la pigrizia di Jean [...] l’avevano<br />
mutata. [...]. egli non l’avrebbe più ritrovata. E fra qualche anno non<br />
l’avrebbe neppur ritrovata quale era adesso. [...]. Avrebbe voluto<br />
baciare sulle guance della madre quanto restava della sua<br />
giovinezza e della sua felicità, trattenere con i suoi baci per ore intere<br />
gli attimi che passavano, la vita che scorreva, la bellezza che<br />
appassiva, le speranze che fuggivano, l’esistenza insomma della<br />
persona in rapporto alla quale egli concepiva ogni cosa e che un<br />
giorno sarebbe stata completamente annientata, senza ch’egli<br />
potesse mai più ritrovarla (sans qu’il pût jamais la retrouver), senza<br />
che nulla di lei sopravvivesse come non fosse mai esistita” (JS, 419<br />
sgg.; 257 segg.).<br />
Ecco quel che bisogna ritrovare. La madre? Sì, ma la madre<br />
degli anni rimasti, in noi, “non appassiti, intatti (pas fanées,<br />
intactes)”... E quali sono? Quelli in cui non si è ancora costruita la<br />
“scala”... Non si sono ancora imparate le categorie...<br />
4) Essere madre alla madre e a se stesso<br />
“Di sera in sera, risalì fino a quella quando aveva pianto tanto a<br />
lungo, col viso contro il cuscino, dopo tante prove dell’indifferenza<br />
(indifférence) di Marie Kossichef [...]. E siccome il lenzuolo era<br />
abbondantemente ripiegato poté farne una specie di dolce cuscino<br />
sopra le spalle. Anche la sua bocca scomparve e, come quando era<br />
piccolo (comme quand il était petit), ebbe bisogno di farle riprender<br />
aria; ‘un giorno soffocherai’, diceva la governante. Sorrise, con una<br />
delle sue mani afferrò l’altra e la baciò (il sourit, prit une des ses<br />
mains ave l’autre et l’embrassa). [...]. Andò a prendere un piccolo<br />
scialle di sua madre con quale, quando era piccolo (pendant son<br />
enfance), essa, se li aveva freddi, era solita fasciargli i piedi. Nelle<br />
sue maglie quello scialle conservava gran parte di quella calda<br />
tenerezza e di quel passato freddoloso. E così se lo posò intorno al<br />
collo con grande dolcezza, come fossero state le braccia di sua<br />
madre (commme les bras mêmes de sa mère qui le passa autour de<br />
son cou). Si figurò di appoggiare la testa sul seno di lei, come<br />
quando era malato o triste; e, ripiegata sulla persona l’ala bianca del<br />
lenzuolo, si addormentò” (JS, 829-830; 698-699).
263<br />
Jean è diventato capace di essere madre a se stesso. 268<br />
E fa da madre alla madre (diventata infante): “Jean socchiuse la<br />
porta della camera da letto di sua madre, e scorse il suo bel profilo<br />
severo, i capelli sciolti, gli occhi chiusi, il naso, la bocca placata e<br />
chiusa come ogni bocca infantile (comme une buche d’enfant),<br />
dormente sul cuscino. Si tolse le scarpe per non svegliarla, camminò<br />
in punta di piedi fino al letto, posò un bacio sul sottile lenzuolo che<br />
la copriva fino al mento, gonfiato dalle sue braccia, e poi, vedendo<br />
che non si svegliava, sui suoi capelli. [...]. Jean non era più triste e<br />
non aveva più paura di dormire. Sentiva che durante il sonno<br />
avrebbe avuto vicino sua madre. [...]. E infatti, come questa fu dolce<br />
(Qu’elle fut douce, en effet)!” <strong>Su</strong>a madre [...] non appena, svegliato,<br />
egli suonò il campanello (il sonna), apparve tutta preparata, pettinata,<br />
col volto fresco su un abito da mattino. [...]. Ogni tanto la faceva<br />
alzare dalla sedia per abbracciarla” (JS, 854-856; 726-727). 269<br />
Se si tiene presente che questa scena avviene in assenza del<br />
padre (fuori Parigi per lavoro), essa acquista una possibile<br />
connotazione incestuosa. Vedi Evelyne Bloch-Dano, a proposito<br />
della lettura da parte della mamma al Narratore settenne di François<br />
de Campi: “l’histoire – ô génie de <strong>Proust</strong>! – d’un amour incestueux<br />
entre enfant ed sa mère adoptive...” 270<br />
268 Un gesto molto simile lo ritroviamo nei Cahiers. La “sonnette de la porte” ha<br />
avvertito il Narratore che Swann se n’è andato, egli apre la finestra, vede e sente<br />
le manovre dei genitori preparatorie dell’andare a letto: “J’étais dans une<br />
disposition si joyeuse que ces paroles insignifiantes qui montaient du jardin<br />
m’enchantaient je me répétais fort < Zut, xut, [mot illisible] > avec le même accent<br />
enivré que si ces mots avaient signifié quelque vérité délicieuse, je sautais seul<br />
dans ma chambre, je m’addressai un sourire dans ma glace, et ne sachant sur<br />
quoi fair tomber ma tendresse et ma joie, je saisis mon propre bras avec transport<br />
et j’y déposai un baiser. Hélas cette joie dura peu” (C 8, ES XII, SW, 690-691).<br />
269 In uno dei Cahiers, il famoso “drame du coucher” si conclude, prima che con<br />
l’addormentarsi del Narratore, con l’addormentarsi della madre: “Je la priai de se<br />
coucher, elle referma le volume à la couverture cerise, et fu convenu que nous en<br />
continuerions un outre jour la lecture. Elle s’endormit. J’ai quelquefois – bien<br />
rarement – dans mon enfance connu le sentiment du repos complet, du repos<br />
sans tristesse, du calme parfait. Je ne l’ai jamais connnu comme cette nuit-là.<br />
J’étais si hereux que je n’osais pas m’endormir. Je ne sais pas quando je<br />
m’endormis” (C 6, ES X, SW, 676).<br />
270 Op. cit., Grasset, Paris, 2004, p. 112. Anche se, dal Narratore, sappiamo che la<br />
mamma “saltava tutte le scene d’amore” (SW, 52).
1) Onomatopee<br />
264<br />
Cap. 17<br />
UN’ALTRA SCENA MADRE<br />
Ho letto con grandi attesa, e grande delusione, la<br />
monumentale biografia di <strong>Proust</strong> scritta da Jean-Yves Tadié<br />
(benemerito curatore dell’ultima edizione riveduta della Recherche<br />
con annesse moltissime Esquisses e variantes), <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. 271<br />
Mi ha, invece, subito incuriosito la sua definizione del<br />
“téléphone avec sa mère” 272 come “scène presque aussi capitale que<br />
celles du baiser du soir”...<br />
Mi sono messo subito al lavoro dopo aver pensato<br />
– che non è forse il caso di parlare al plurale della scena del<br />
bacio (o del “drame di coucher”) e al singolare del “téléphone<br />
avec la mère”; perché in entrambi i casi abbiamo attiva una<br />
“seriazione”;<br />
– che Tadié ha forse trascurato un altro “coup de télépnone”,<br />
quello di Albertine (in Sodoma e Gomorra [SG, 127 sgg; 885<br />
sgg.])... Albertine non è la madre... Ma ormai sappiamo che<br />
l’angoscia, di volta in volta, “si specializza” e si orienta sulla<br />
madre, sulla sorella, sull’amante... Unificando tutte queste<br />
figure, seriandole.<br />
Tadié individua uno svolgimento della seriazione che dura 23<br />
anni; a partire dal 20 ottobre 1896 quando <strong>Proust</strong> scrive su se stesso<br />
come Jean Santeuil (JS, 360 sgg.; 190 sgg.), passando per Giornate<br />
di lettura del 1907 (CSB, 527 sgg.; 476 sgg.), per arrivare a Dalla<br />
parte dei Guermantes del 1920 (G, 131 sgg.; 157 sgg.).<br />
Riandiamo questa seriazione ricordando che, come il Narratore<br />
nel bel mezzo del “drame”, lo stesso Swann aveva sofferto. Di che<br />
cosa? Del fatto che Odette era in “un luogo di piacere” dov’egli non<br />
era... 273 (Come lo era stata la madre del Narratore insieme a tutti gli<br />
altri, compreso Swann)...<br />
271 Gallimard, Paris, 1996, pp. 328-329.<br />
272 Il titolo del Jean Santeuil è Jean à Beg-Mail. I. Le téléphonage à sa mère.<br />
273 Swann, se avesse letto la lettera scritta dal Narratore e mandata, con<br />
l’intermediazione di Françoise, alla madre, se ne sarebbe beffato! “Invece, come<br />
ho appreso in seguito, un’angoscia simile fu per lunghi anni il tormento della sua<br />
vita, e nessuno, forse, avrebbe potuto capirmi meglio di lui; a lui, quell’angoscia
265<br />
Ora, la differenza che salterà agli occhi tra “drame du coucher”<br />
e “drame du téléphone” è che il telefono sembra proprio abolire la<br />
distanza. Siamo nello stesso luogo...<br />
Vedremo meglio.<br />
Per orientarci è utile tener presenti le seguenti scadenze: morte<br />
della nonna (materna) il 29 gennaio 1890; scrittura del pezzo sul<br />
coup de téléphone il 1896; lettera (di cui qui sotto) a Bibesco, 4<br />
dicembre 1902 (la madre ha perso recentemente i suoi genitori);<br />
morte della madre il 26 settembre 1905. Tenere presente che, sotto<br />
la penna dello scrittore, la nonna sta spesso per la madre; in ipotesi<br />
questo non implica “equivalenza” ma “seriazione”.<br />
Allora, il 4 dicembre 1902 <strong>Proust</strong> scrive ad Antoine Binesco, a<br />
cui è recentemente morta la madre... e, ad un certo punto, ricorda la<br />
voce della propria madre sentita al telefono a Fontainebleau di cui<br />
<strong>Proust</strong> ha scritto già nel Jean Santeuil: “ho visto la tua grafia<br />
stravolta, quasi irriconoscibile, con i caratteri rimpiccioliti e contratti<br />
(avec ses lettres diminuées, retrectés), come occhi diventati piccoli<br />
(devenus tout petits) a forza di piangere, è stato per me un altro<br />
colpo come se per la prima volta (comme si pour la première fois)<br />
avessi la sensazione netta della tua infelicità. Ricordo che quando<br />
Mamma perse i suoi genitori – provandone un dolore al quale ancora<br />
mi chiedo come abbia potuto sopravvivere – la vedevo ogni giorno,<br />
ogni momento. Ma una volta ero andato a Fontainebleau e le ho<br />
telefonato. Nella cornetta d’un tratto (tout d’un coup) mi giunse la sua<br />
povera voce rotta, torturata, incrinata, uccisa per sempre (sa pauvre<br />
voix brisé, meurtrie à jamais), diversa da quella che avevo sempre<br />
conosciuto, piena di incrinature e di fenditure (pleine de fêlures et de<br />
fissures); ed è accogliendo nel ricevitore quei brandelli sanguinanti e<br />
distrutti (les morceuax saignants et brisés) ch’ebbi per la prima<br />
volta (pour la première fois) l’atroce percezione di ciò che era<br />
spezzato in lei (à jamais brisé en elle). <strong>Su</strong>ccede lo stesso con la tua<br />
lettera, nella quale si avverte l’infinita fatica di scrivere, tanto di<br />
parlare del tuo dolore che di non parlarne. La tua lettera m’ha fatto<br />
piacere se posso dire così, ma mi ha reso molto infelice. [...]” (LG,<br />
486; CORR, III, 182).<br />
Sigliamo: ses lettres diminuées, retrectés // devenus tout petits<br />
// sa pauvre voix brisé, meurtrie à jamais // pleine de fêlures et de<br />
fissures // les morceuax saignants et brisés // à jamais brisé en elle.<br />
che si prova sentendo l’essere al quale si vuol bene in un luogo di piacere (dans un<br />
lieu de plaisir) dove noi non siamo, dove non possiamo raggiungerlo, è l’amore che<br />
l’ha fatta conoscere, l’amore cui è in qualche modo predestinata, da cui sarà<br />
accaparrata, specializzata (spécialisée) [...]” (SW,30; 38).
266<br />
Sembra un’omotopeia: tutto si incrina, si rompe... Si disfa,<br />
anche, e sanguina e muore. Ma, a livello sonoro, sovrasta<br />
l’incrinatura e la rottura: diminuées / retrectés / brisé / fêlures /<br />
fissures / morceuax / brisés / brisé...<br />
<strong>Proust</strong> scrive subito la pagina del Jean Santeuil e la manda alla<br />
madre perché la conservi...<br />
Il 21 ottobre 1896 (mercredi matin, 9 heurs ½) scrive alla<br />
madre: “Je ne peux pas te dire l’heure épouvantable que j’ai passée<br />
hier de 4 heures à 6 heures (moment que j’ai rétroplacé avant le<br />
téléphon dans le petit récit que je t’ai envoyé et que je te prie de<br />
garder et en sachant où tu le gardes car il sera dans mon roman).<br />
Jamais je crois aucune de mes angoisses d’aucun genre n’a atteint à<br />
ce degré” (CORR, II, 137).<br />
Kolb situa la telefonata il pomeriggio del martedì precedente<br />
(CORR, II, 139).<br />
Nella carte-lettre che la mamma gli spedisce il 20 ottobre (1) lei<br />
medesima gli parla di “demoiselles du téléphon”; (2) fa risuonare<br />
un’onomatopeia gioiosa: nessuno è contento tranne le porte e i<br />
campanelli che hanno intonato degli alleluia chiassosi: “[...] malgré<br />
toutes mes offres aux demoiselles de versement extra – (demoiselles<br />
du téléphon) elles m’ont renvoyée à la cabine. Tu a donc dû avoir<br />
une longue station! Je bouillais pour toi. Il n’y a de content de ton<br />
départ que les portes et sonnettes qui ont entonné de bruyants<br />
halleluias. [...]” (CORR II, 134).<br />
Siglando: demoiselles du téléphon / content / départ / portes /<br />
sonnettes / entonné / bruyants halleluias.<br />
Sempre il 21 ottobre (mercredi 2 heures) la madre definisce le<br />
pagine appena lette “bien douces mais bien tristes, mon pauvre loup”<br />
(CORR, II, 141). La sua carte-lettre ha come anticipato le<br />
“demoiselles” ed ha come preventivamente bilanciato, con<br />
l’onomatopea gioiosa, quella triste (ma dolce). (Mme <strong>Proust</strong> invita<br />
anche il figlio a perdonare al telefono “tes blasphèmes passés. Quel<br />
remords d’avoir méprisé, dédaigné, éloigné un tel bienfaiteur”...<br />
Il telefono è un “benefattore”? Nella misura in cui riesce a<br />
togliere la distanza, a ricreare la “présence réelle”?<br />
Che ora vedremo.<br />
Teniamo presente che la reazione di Mme <strong>Proust</strong> è al testo che<br />
comparirà in Jean Santeuil. In ogni caso l’onomatopea gioiosa è<br />
quasi sarcastica: nessuno è contento tranne le porte e i campanelli...<br />
Perché essi non sono più sottoposti alla regolamentazione severa di<br />
<strong>Marcel</strong>... Ma non è proprio la sua assenza da casa che dovrebbe<br />
rattristare la casa medesima?
2) Jean Santeuil<br />
267<br />
“[...] si sentì a un tratto lontano da sua madre (il se sentit<br />
brusquement loin de sa mère)”...<br />
Tutto parte da questa lontananza.<br />
Poco prima, al momento della partenza – adesso è arrivato<br />
(all’albergo delle Rocce Nere di Trouville) – ha “posato in fretta le<br />
labbra indifferenti sulle guance di sua madre, sgradevolmente<br />
infiammate dalla fretta e dal malincuore.<br />
Ma che cos’è la madre? “[...] si sentì a un tratto lontano da sua<br />
madre. E nel fondo del petto si destò una palpitazione debole ma<br />
immensa (une palpitation faible mais immense), come, in lontananza,<br />
il palpito continuo del mare (l’incessante palpitation de la mer). Erano<br />
pensieri, desideri, paure, inquietudini, slanci fino allora cresciuti sotto<br />
l’ala di sua madre (qui avaient grandi jusqu’là sous l’aile de sa mère)<br />
e ora recati così lontano da lei (si loin d’elle), i quali, a un tratto (tout<br />
à coup) accorgendosi d’essere abbandonati, balzavano in lui come<br />
per slanciarsi fuori, spaventati, disperati, folli nella loro impotenza,<br />
torma tumultuosa e debole, infantile e tenera come una nidiata di<br />
piccoli albatri che vengano gettati in mare quando la riva è ormai<br />
lontana e che gridino, spezzando il loro slancio con l’impotenza delle<br />
ali, e chiamino la madre che non può udirli e sentano il loro cuore<br />
balzare fino a lei senza che possano, veloci come lei,<br />
raggiungerla?” 274<br />
L’angoscia che scoppia è cresciuta sotto l’ala materna! L’ala<br />
materna non ha impedito tale crescita. L’ha soltanto custodita.<br />
Anticipando: ha offerto un luogo – la sua ala – in cui il piccolo ha<br />
potuto costruire le sue “abitudini”; le abitudini che lo rendono<br />
insensibile alla realtà (cieco).<br />
Comunque qui è la madre al centro... Il figlio, arrivato in un<br />
albergo lontano da casa (dalla madre), entra nella “sua camera” che<br />
non sente per niente “sua” perché non è della madre... La camera<br />
desiderata è qui descritta come la camera visitata dalla madre:<br />
“quando sua madre seduta in una poltrona gli sorrideva senza<br />
parlare”...<br />
274 comme por s’élancer dehors, effrayée, désespérée, folle de n’en avoir pas la<br />
force, foule tumultueuse et faible, enfantine et tendre, comme une couvée de petits<br />
goélands qu’on jette à la mer quand le bord est perdu de vue et qui poussent des<br />
cris, brisent leur élan à l’impuissance de leurs ailes, appellent leur mére qui ne peut<br />
pas le entendre et sentent leur cœur sauter jusq’à elle sans qu’allant aussi vite que<br />
lui puissent la rejoindre?
268<br />
“[...] quando Jean entrava in quell’anima diffusa che era la sua<br />
camera, per così dire egli non faceva che rientrare in se stesso<br />
(rentrer en lui-même), o meglio, era la camera che entrava in lui (ou<br />
plutôt c’était sa chambre qui entrait en lui) con tutta la vivacità della<br />
simpatia e la dolcezza dell’abitudine (avec toute la vivacité de la<br />
sympathie et la douceur de l’habitude). Egli si sentiva, pur solo<br />
com’era, con cuore ricco, più disteso, più vasto”.<br />
Entrare nella propria camera = entrare in se stesso... No!, =<br />
entrare della camera in lui...<br />
Questo è stato il procedimento fondamentale: in contrasto con<br />
l’entrare nel nuovo (rappresentato dal mondo ma anche da “sé<br />
medesimi), fare entrare il nuovo... Cioè, invece di affrontarlo,<br />
addomesticarlo.<br />
Comunque, l’essenziale è che la manovra (dell’ingresso nella<br />
camera sua o della sua camera in lui etc.) avvenga sotto il segno<br />
dell’“abitudine”.<br />
Ascoltate la colonna sonora stridula dei tentativi di “entrare”<br />
nella camera ignota = nell’ignoto: “egli si sentì suo malgrado<br />
diminuito, indurito, smussato (diminué, durci, éponité), incapace di<br />
penetrare in quelle cose estranee che la simpatia non riusciva a<br />
schiudergli, a rompere il fascio (briser le faisceau) di quelle forze che<br />
parevano nemiche, ad aprirsi a una strada in quel mondo compatto,<br />
duro e glaciale (dans ce monde compact, dur et glacé). [...]. In quello<br />
specchio invece doveva cercare, con grandi sforzi dolorosi, di aprirsi<br />
una fessura (tâcher de se faire une fissure), di entrare. E il minuscolo<br />
palpito del cuore che balzava verso sua madre, cresceva, batteva<br />
ora proprio sotto la pelle”.<br />
Siglando: diminué, durci, épointé / briser le faisceau / compact,<br />
dur et glacé / une fissure..<br />
Sembra di risentire <strong>Proust</strong> nella lettera a Bibesco...<br />
Evidente: la durezza dell’ignoto richiede una eguale durezza da<br />
parte del suo investigatore. Jean è incapace di questa durezza.<br />
Si vede in quel letto, incapace di dormire, “col pensiero a sua<br />
madre, mantenuto lontano da lei (gardé loin d’elle) da quelle coperte<br />
mute e troppo ricamate, sentendo il palpito infinito del suo cuore<br />
crescere nel silenzio della notte, e l’irrevocabilità dell’assenza<br />
(l’irrévocable de l’absence), l’immobilità del riposo, l’angoscia della<br />
solitudine e dell’insonnia. La camera era una prigione; ma quel letto<br />
era la sua tomba”.<br />
Come nel “drame du coucher” qui a far problema è l’assenza;<br />
l’assenza della madre. Ad essa corrisponde la morte.
269<br />
Ricordate che anche in Dalla parte di Swann il Narratore sente<br />
che dovrà andare a seppellirsi: “scavarmi da me la mia tomba<br />
sistemando le coperte, indossare il sudario della camicia da notte”<br />
(SW, 35)...<br />
Che fa il nostro eroe? “Si slanciò fuori della stanza [...]”... Pronto<br />
a partire per rientrare a casa (della madre = “sua”)...<br />
Riecco però la minaccia: “Riparto, fra tre ore sarò felice, ah, la<br />
mamma... No, la mamma sarà seccata, forse si arrabbierà, è<br />
impossibile, domani sarò più calmo. Domani? Allora dovrò passare la<br />
notte qui? No! Parto”.<br />
Anche qui Shakesperare è richiamato in filigrana: dormire,<br />
sognare = domani; domani?<br />
Ma ecco il soccorso del telefono. Il nostro eroe deve fare<br />
“qualcosa che lo ponga [ponesse] immediatamente in comunicazione<br />
(en immediate communication) con la mamma”...<br />
Ci sono, però, degli ostacoli.<br />
Il tempo passa.<br />
“Ma commovente, limpido, ecco il campanello che trilla e pare<br />
balzare qua e là (mais, commotionant, clair, voici le timbre qui sonne,<br />
resonne, semble courir çà et là)...<br />
Altre difficoltà: la “voce forte e dura (forte et dure)” di un<br />
ragazzo; poi un’“altra voce forte e dura (forte et dure)...<br />
“Poi tutt’a un tratto (tout d’un coup) – ed è come se tutti se ne<br />
fossero andati dalla camera ed egli cadesse fra le braccia di sua<br />
madre – viene proprio contro di lui (vient là tout contre lui), così<br />
dolce, così fragile, così delicata, così chiara, così fusa (si douce, si<br />
fragile, si délicate, si claire, si fondue), come un piccolo frammento di<br />
ghiaccio spezzato (un petit morceau de glace brisée), la voce di sua<br />
madre. – Sei tu, caro? –”<br />
Sigliamo<br />
– il suono del campanello: commotionant, clair, voici le timbre qui<br />
sonne, resonne, semble courir çà et là;<br />
– delle voci dei ragazzi: forte et dure / forte et dure...<br />
– della voce della madre: si douce, si fragile, si délicate, si claire,<br />
si fondue, un petit morceau de glace brisée.<br />
Sembra evidente, soprattutto nella ricchissima aggettivazione<br />
della voce della madre, la compresenza del dolce e dello stridulo. Lo<br />
stridulo richiama lo stridulo del suono del campanello (che potrebbe,<br />
invece, essere qualificato “clamore”); ma il petit morceau de glace<br />
brisée richiama lo stridulo della lettera a Bibesco...<br />
Eppure esso abita la voce “ritrovata”!<br />
Ma ritrovata come?
270<br />
Il nostro eroe cade; tra le braccia della madre; la quale viene<br />
“contro di lui (contre lui)”; ma dolce etc.; anche se come un piccolo<br />
frammento di ghiaccio spezzato = la dolcezza comporta una<br />
incrinatura?<br />
È come se [elle lui] parlasse per la prima volta (pour la<br />
première fois), come se la ritrovasse, dopo la morte, in paradiso<br />
(comme s’il la retrouvait après sa mort dans le paradis), perché per<br />
la prima volta (pour la première fois) egli ode la voce di sua madre.<br />
Ascolta sempre quel che gli dice, ma la sua voce non l’aveva mai<br />
notata, non più della propria voce, d’altronde. Allora, ricevendola così<br />
tutt’a un tratto (tout d’un coup), proprio quando la desidera di più e<br />
meno l’aspetta (au moment où il le désire le plus et s’y attends le<br />
moins), quando è preparato ad udire ancora la voce di un ragazzo, è<br />
stupefatto per l’abisso che c’è tra quelle dure voci (ces dures voix) e<br />
quel piccolissimo frammento di ghiaccio spezzato (et ce tout petit<br />
morceau de glace brisée) su cui paiono colare lacrime, mentre tutte<br />
le pene sofferte da anni continuano a circolare in quella voce,<br />
singhiozzi o gemiti ch’essa non ha mai lasciato sfuggire per non<br />
addolorare i suoi e che [sono] nascosti là, vicinissimi, come i ricordi<br />
dei morti sono nell’aspetto consueto della sua camera (dans l’aspect<br />
coutumier de sa chambre), a un palmo di mano da lei (à un doigt<br />
d’elle), nei cassetti. Ma soprattutto quel che lo colpisce e lo stupisce<br />
dopo quelle voci maschili, è trovare in quella voce che pare cento<br />
miglia lontana dalle loro, trovare quella cosa che gli pare di non aver<br />
mai vista e di scoprire lì per la prima volta (pour la première fois): la<br />
dolcezza – la dolcezza, la piccola essenza divina che ha spesso<br />
sognata, non immaginandola affatto com’era, soave, magnifica<br />
(suave, magnifique): e che ora egli ha lì, nel suo orecchio,<br />
vicinissima, come i minuscoli frammenti offerti di un cuore spezzato<br />
(comme les petits morceaux offerts d’un cœur brisé), una piccola<br />
scheggia di ghiaccio che fonde (un petit morceau de glace qui fond).<br />
Tutto appare nuovo (vedi l’iterato “per la prima volta”); quindi si<br />
rivela l’ignoto; infatti, il ritrovamento della madre avviene come negli<br />
inferi... Già presenti gli accenni autoironici del Tempo Ritrovato: nel<br />
TR il Narratore legge il proprio invecchiamento in quello dei cadaveri<br />
ambulanti della matinée; qui scopre la propria voce in quella della<br />
madre... après sa mort. Non conosce nessuna delle due... Le sente<br />
per la prima volta... E accede alla rivelazione: nel TR la porta, infine,<br />
non spinta, si apre; qui è la voce della madre che – au moment où il<br />
le désire le plus et s’y attends le moins – gli si rivela.<br />
Diversa da quella dura e forte del ragazzo (dei ragazzi)...<br />
La rivelazione?
271<br />
L’“abisso” = la dimensione del Tempo...<br />
Il Tempo che ha portato via, con la sua falce, i genitori della<br />
madre (i suoi nonni)... La madre ha conservato i segni dei morti nei<br />
cassetti; ma ha conservato un aspetto “consueto” alla sua camera...<br />
Ha cercato di non incrinare l’abitudine...<br />
Ma “soprattutto” egli “trova” quel che non ha mai visto: la<br />
dolcezza. Non l’ha mai immaginata così: insieme “soave, magnifica”<br />
e “vicinissima come i minuscoli frammenti offerti di un cuore spezzato<br />
(comme les petits morceaux offerts d’un cœur brisé), una piccola<br />
scheggia di ghiaccio che fonde (un petit morceau de glace qui fond).<br />
Siglando: petits morceaux offerts d’un cœur brisé / petit<br />
morceau de glace qui fond. Sembra che la durezza, lo stridulo,<br />
dell’aggettivazione complessiva sia smussata dal “petit” iterato... e<br />
dal “fond”. Il “fond”, se da una parte addolcisce il “morceau”, dall’altra<br />
suggerisce una possibilità di elevarsi verso l’alto...<br />
Cioè: la scoperta (la rivelazione) è della coesistenza possibile<br />
dei diversi aspetti della realtà; del noto e dell’ignoto; della vita e della<br />
morte...<br />
Non rimane che l’esaltazione di questa voce in cui coesiste la<br />
presenza e l’assenza: “Come sente allora tutto quel che egli è per<br />
sua madre. [...]. In quel frammento di voce spezzata (dans ce petit<br />
morceau de voix brisée) si sente tutta la sua vita per lui, l’unica<br />
tenerezza che sia tutta per lui (toute à lui) senza nemmeno una<br />
particella trattenuta per sé, la voce pura come una scheggia di<br />
ghiaccio (pure comme un petit morceau de glace) dove non c’è voce,<br />
né forza, non la voce e non la forza dell’orgoglio, dell’egoismo, dei<br />
desideri, dell’interesse, ma solo la voce della dolcezza, della<br />
sovrannaturale dolcezza che era vicino a lui senza che egli lo<br />
sapesse, che non aveva nulla di straordinario, in apparenza, e che,<br />
sorpresa così, tutt’a un tratto (tout à coup), fra [quelle] altre voci, si fa<br />
sentire come se fosse a cento miglia da quelle; la voce della<br />
dolcezza che si rompe e si fonde (qui se brise et fond) tanto cara<br />
all’orecchio del cuore.<br />
Siglando: ce petit morceau de voix brisée / pure comme un<br />
petit morceau de glace / qui se brise et fond.<br />
Di nuovo la coesistenza.<br />
“Ma egli è ben presto riafferrato dalla vita; che cosa deve dirle?<br />
Si parlano ed egli non ode [più] la sua voce, come, vivendo con lei,<br />
non conosce la sua persona. Essa è là. Pur continuando a parlare,<br />
come di questioni pratiche, si dice; – Mamma, mamma, sei là,<br />
avvicinati, voglio darti un bacio (je veut t’embrasser), oh, passerà<br />
molto tempo prima che ti possa dare un bacio (je ne t’embrasserai
272<br />
pas d’ici longtemps), mamma, mammina, mamma! – S’accorge che<br />
sua madre si stanca, non comprende più distintamente quel ch’essa<br />
gli sta dicendo... Il campanello suona. È finito (Il sonne. C’est fini)”.<br />
Il sonne. C’est fini.<br />
Ricordate la sottrazione all’ultimo momento del bacio da parte<br />
di Albertine? “Stavo per conoscere l’odore, il sapore di quell’ignoto<br />
frutto rosa. Sentii il suono precipitoso, prolungato e stridulo<br />
(j’entendis un son précipité, prolongé et criard). Albertine, con tutte le<br />
sue forze, aveva suonato (Albertine avait sonné de toutes ses<br />
forces)” (OF, 934; 1128)...<br />
Che cosa finisce qui? Non il bacio della madre, della sorella,<br />
dell’amante etc... Ma il bacio della madre etc. vivente e morta;<br />
presente-assente. Finisce qui la rivelazione della compresenza della<br />
presenza e dell’assenza e della capacità di viverle insieme che si è<br />
data in un’estasi.<br />
Non a caso, come sappiamo dalla medesima lettera – 20<br />
octobre, mardi soir 7 heures – in cui <strong>Proust</strong> ha parlato alla madre<br />
dell’“heure épuovantable”, egli ha riorganizzato la disposizione dei<br />
mobili della stanza, l’ha piegata, il più possibile, ai suoi bisogniabitudini:<br />
“Je viens de parler à la femme de chambre, elle va me<br />
mettre mon lit autrement, tête au mur (parce qu’on ne peut ôter les<br />
ciels de lit), mais le lit au milieu de la cambre. Je crois que ce sera<br />
plus commode pour moi” (CORR, II, 138).<br />
3) Giornate di lettura<br />
Qui il telefono viene evocato per la sua comodità fittizia, fittizia<br />
perché nasconde un mistero, qualcosa di “sacro”: “Prima [di metterci<br />
a leggere] facciamo molte telefonate. E poiché siamo bambini e<br />
giochiamo con le forze sacre senza tremare [sans frisone = Kafka]<br />
dinanzi al loro mistero, del telefono pensiamo soltanto che ‘è<br />
comodo’, anzi, dato che siamo bambini viziati, pensiamo che ‘non è<br />
abbastanza comodo’ [...]”.<br />
Il telefono è comodo perché rende presente l’assente; anche se<br />
– è qui il “vizio” dei bambini “viziati” – si chiede al telefono d’essere<br />
più rapido a togliere l’assenza: “[...] non troviamo ancora<br />
sufficientemente rapido nei suoi mutamenti l’ammirevole incantesimo<br />
nel quale, in effetti, trascorrono a volte alcuni minuti prima che<br />
compaia accanto a noi, invisibile ma presente, l’amica con la quale<br />
avevamo il desiderio di parlare, e che, pur restando al suo tavolino,<br />
nella città lontana dove abita, sotto un cielo diverso dal nostro, con
273<br />
un tempo diverso che noi ignoriamo e ch’essa sta per raccontarci, si<br />
trova d’un tratto (tout à coup) trasportata a cento miglia di distanza<br />
(lei, e tutto l’ambiente in cui rimane immersa), contro il nostro<br />
orecchio, nel momento in cui il nostro capriccio l’ha ordinato”.<br />
Il paradosso sta nel fatto che le “Vergini vigilanti” etc., rendono<br />
presente l’assente, ma, loro, rimangono invisibili: “Perché questo<br />
miracolo si rinnovi per noi, non dobbiamo far altro che accostare le<br />
labbra alla membrana magica e chiamare – a volte un po’ a lungo, lo<br />
ammetto – le Vergini vigilanti delle quali udiamo ogni giorno la voce<br />
senza mai conoscerne il volto (dont nous entendons chaque jour la<br />
voix sans jamais connaître leur visage) e che sono i nostri Angeli<br />
custodi delle tenebre vertiginose di cui sorvegliano le porte, le<br />
Onnipossenti per opera delle quali i volti assenti sorgono accanto a<br />
noi, senza che ci sia consentito di scorgerli (sans qu’il nous soit<br />
permis de les apercevoir) [...]”...<br />
Non solo queste Vergini... rimangono a noi invisibili, ma, quali<br />
Danaidi dell’Invisibile, Furie gelose, interrompono il nostro “contatto”<br />
con l’invisibile nostro interlocutore: “mentre mormoriamo una<br />
confidenza (tandis que nous murmurons une confidence) ci gridano<br />
ironicamente: ‘Vi ascolto’ proprio nel momento in cui speravamo che<br />
non ci udisse nessuno, le irate officianti del Mistero, le Divinità<br />
implacabili, le signorine del telefono!”<br />
Riecco les demoiselles du téléphone evocate dalla madre...<br />
“Ed appena il loro richiamo ha risuonato nella notte piena di<br />
apparizioni sulla quale le nostre orecchie sole si aprono, un rumore<br />
leggero, un rumore astratto (une bruit léger, un bruit abstract) –<br />
quello della distanza soppressa (celui de la distance supprimée) –,<br />
ed ecco che la voce della nostra amica si rivolge e noi”...<br />
Se le Furie gelose possono interrompere la nostra<br />
conversazione telefonica, restaurando così la distanza da poco<br />
abolita, è vero anche che suoni che importunano la voce<br />
dell’interlocutore finiscono col consolidare l’impressione che la<br />
distanza è stata realmente abolita, un ponte è stato gettato: non solo<br />
con l’interlocutore ma con il mondo a cui egli appartiene: “Se, in quel<br />
momento, entra dalla sua finestra (par sa fenêtre) e giunge a<br />
importunarla, mentre ci parla, la canzone di un passante, la tromba di<br />
un ciclista o la fanfara lontana di un reggimento in marcia, tutti questi<br />
suoni echeggiano non meno distintamente per noi (quasi a<br />
dimostrarci che è proprio lei che ci sta accanto, con tutto quel che la<br />
circonda in quel momento, quel che colpisce le sue orecchie e<br />
distrae la sua attenzione) – frammenti di verità, estranei<br />
all’argomento della conversazione, inutili in se stessi, ma tanto più
274<br />
necessari a rivelarci tutta l’evidenza del miracolo – tocchi sobri e<br />
fascinosi di colore locale, atti a descriverci la via e lo stradone di<br />
provincia su cui si affaccia casa sua, tocchi quali li sceglie un poeta<br />
quando vuole, dando vita ad un personaggio, evocare intorno a lui il<br />
suo ambiente”.<br />
In questo scritto <strong>Proust</strong> in modo meno drammatico, chiamando<br />
le signorine del telefono: Vergini vigilanti, Angeli custodi,<br />
Onnipossenti, Danaidi dell’Invisibile, Furie gelose, Divinità<br />
implacabili; dando cioè ad esse, per definizione “invisibili”, funzione<br />
protettrice (Angeli custodi) ma anche persecutrice (Furie gelose),<br />
sottolinea il fatto che la stessa “presenza” implica l’assenza. La<br />
“présence réelle” – quella del corpo e del sangue del Cristo che, per<br />
transustansazione, è passato nel pane e nel vino della Santa Cena,<br />
è anche e inevitabilmente assenza (morte; anche attraverso la<br />
crocefissione): “È lei. È la sua voce che ci parla, che è presente (qui<br />
est là). Eppure com’è lontana! Quante volte non l’ho potuta ascoltare<br />
senza angoscia, come se davanti a quell’impossibilità di vedere,<br />
senza lunghe ore di viaggio, colei la cui voce era così vicina al mio<br />
orecchio, avvertissi meglio quel che c’è di deludente nell’apparenza<br />
della più dolce vicinanza e a quale distanza possiamo essere alle<br />
cose amate nel momento stesso in cui pare che non avremmo che<br />
da tendere la mano per trattenerle. Presenza reale (présence réelle)<br />
– questa voce vicina – nell’effettiva separazione (dans la séparation<br />
effective). Ma anche anticipazione di una separazione eterna. Molto<br />
spesso, ascoltandola così, senza vedere colei che mi parlava da<br />
tanto lontano, mi è parso che quella voce gridasse dalle profondità<br />
da cui non c’è ritorno (que cette voix clamait des profondeurs 275 d’où<br />
l’on ne remonte pas), ed ho conosciuto l’ansia che mi avrebbe<br />
affettato un giorno, quando una voce sarebbe ritornata così, sola e<br />
non più legata ad un corpo che non avrei riveduto mai, per<br />
mormorarmi all’orecchio parole che avrei voluto poter baciare a volo<br />
su labbra ormai in polvere per sempre (que j’aurais voulu pouvoir<br />
embrasser au passage sur des lèvres à jamais en pussière)”.<br />
3) La parte dei Guermantes<br />
L’abbiamo capito: presenza reale è anche reale assenza e<br />
viceversa. Non se ne esce: se si è nel categoriale! Diversamente,<br />
più profondamente, il dilemma è tra essere dentro o fuori dal<br />
275 Vox clamans in deserto...
275<br />
categoriale; e tale problema si pone solo a chi è ormai dentro il<br />
categoriale. Per costui la scena madre, la scena primaria, è una<br />
finestra sull’acategoriale...<br />
L’impressione netta è che nel Jean Santeuil troviamo tutto; il<br />
problema e la sua soluzione; Dalla parte di Swann e il Tempo<br />
ritrovato. Le tappe successive servono a creare delle “cadenze”.<br />
In La parte dei Guermantes ritroviamo il pezzo di Giornate di<br />
lettura perfezionato.<br />
A perfezionare quello di Jean Santeuil.<br />
“Quel giorno a Doncières il miracolo, ahimè, non accadde (ce<br />
jour-là, à Doncières, le miracle n’eut pas lieu)”.<br />
E segue il gioco al massacro tra le comunicazioni possibili: il<br />
Narratore arriva all’ufficio postale, la nonna lo ha già chiamato; entra<br />
nella cabina: “la linea era occupata, a parlare era qualcuno il quale,<br />
evidentemente, ignorava che non ci fosse nessuno (qu’il n’y avait<br />
personne) a rispondergli giacché, quando portai all’orecchio il<br />
ricevitorie, quel pezzo di legno si mise a sbraitare come Pulcinella<br />
(ce morceau de bois se mit à parler comme Pulchinelle); io lo feci<br />
tacere (je le fis taire), come al teatro dei burattini, rimettendolo al suo<br />
posto, ma, proprio come Pulcinella, non appena tornavo a prenderlo<br />
ricominciava il suo sproloquio (il recommançait son bavardage).<br />
Come estrema, disperata risorsa finii, riagganciando definitivamente<br />
il ricevitore, col soffocare le convulsioni del troncone sonoro (par<br />
étouffer le convulsions de ce tronçon sonore), che blaterò (qui<br />
jacassa) fino all’ultimo secondo, e andai a cercare l’impiegato, il<br />
quale mi disse d’aspettare un momento; poi parlai, e dopo qualche<br />
istante di silenzio giunse al’improvviso (tout d’un coup) quella voce<br />
che a torto credevo di conoscere perfettamente (cette voix que je<br />
croyais à tort de connaître si bien) [...]”<br />
qu’il n’y avait personne / ce morceau de bois se mit à parler<br />
comme Pulchinelle / je le fis taire / recommançait son bavardage /<br />
par étouffer le convulsions de ce tronçon sonore / qui jacassa / tou<br />
d’un coup<br />
“Si bien?” Illusione.<br />
Dopo l’apertura sulle demoiselles, ripresa da Giornate di<br />
Lettura, la delusione, ripresa da Jean Santeuil. Qualche variante: il<br />
Narratore ha sempre seguito ciò che diceva sullo “spartito aperto del<br />
suo viso (la partition ouverte de son visage)” dove gli occhi avevano<br />
una parte importante: “mentre la sua voce in quanto tale, l’ascoltavo<br />
oggi per la prima volta (pour la première fois)”. Diventata “un tutto”<br />
indipendente dai ricordi, priva dell’“accompagnamento dei tratti del<br />
volto”, manifesta al
276<br />
Narratore la sua dolcezza: “scopersi quanto dolce fosse quella<br />
voce; né forse, d’altronde, lo era mai stata fino a quel punto (peutêtre<br />
d’ailleurs ne l’avait-elle jamais été à ce poit)”.<br />
Quindi, una totale novità.<br />
Una voce nuova, una nonna nuova.<br />
Raramente <strong>Proust</strong> che insiste sulla “creazione” o “ricreazione”<br />
ha segnalato una così radicale svolta; in questo caso: dalla nonna<br />
che conosceva a quest’altra.<br />
Peraltro, la nonna crede di potersi “abbandonare all’effusione di<br />
una tenerezza che di solito conteneva e celava per “principi<br />
educativi”...<br />
Ritorniamo al tema dei principi educativi del “drame du<br />
coucher”... Ma con un approfondimento: “Era dolce; ma com’era<br />
triste, anche, a causa innanzitutto della sua stessa dolcezza,<br />
decantata, quasi, più di quanto poche voci umane siano mai riuscite<br />
ad esserlo, d’ogni durezza, d’ogni egoismo, di qualsiasi elemento di<br />
resistenza agli altri! Fragile a forza di delicatezza. Sembrava di<br />
continuo sul punto di spezzarsi, di spirare in un puro fiotto di lacrime:<br />
e avendola tutta sola accanto a me, guardandola così senza<br />
maschera del volto, notavo per la prima volta (pour la première fois) i<br />
segni delle afflizioni che l’avevano incrinata nel corso della vita”.<br />
L’ultimo accordo richiama Dalla parte di Swann: “Certo, il bel<br />
viso di mia madre brillava ancora di giovinezza quella sera, mentre<br />
mi stringeva teneramente le mani e cercava di frenare le mie lacrime;<br />
ma mi sembrava, ecco, che fosse qualcosa che non avrebbe dovuto<br />
essere, e la sua collera sarebbe stata meno triste per me di quella<br />
dolcezza nuova che la mia infanzia non aveva mai conosciuta; mi<br />
sembrava di aver tracciato nella sua anima, con mano empia e<br />
segreta, una prima ruga, di averle fatto spuntare un primo capello<br />
bianco” (SW, 48).<br />
Siamo in pieno Jean Fanteuil... ma impreziosito. La tristezza<br />
proviene “innanzitutto” dalla dolcezza Ò sembra un ossimoro ed è è<br />
una condensazione ed una sineddoche... La nonna è dolce proprio<br />
perché è triste... // la dolcezza è decantata, quasi, più di quanto<br />
poche voci umane siano mai riuscite ad esserlo Ò un superlativo //<br />
fragile a forza di delicatezza Ò altra condensazione e sineddoche //<br />
sempre sul punto si spezzarsi...<br />
Siamo nel “primario”; nel “fuori maschera”; nell’a-categoriale...<br />
Di che cosa è onomatopea tutto questo? “Elle était douce, mais<br />
aussi comme elle était triste, d’abord à cause de sa douceur même,<br />
presque décantée. Plus que peu de voix humaines ont jamais dû
277<br />
l’être [...] fragile à force de délicatesse, elle semblait à tout moment<br />
prête à se briser, à expirer en un pur flot de larmes [...]”. 276<br />
Tutto cambia in virtù di un radicale “isolamento”: della nonna<br />
“per la prima volta separata da me (pour la première fois séparée de<br />
moi)”... “Gli ordini, i divieti [...] erano aboliti in quel momento e<br />
potevano esserlo anche per il futuro dal momento che la nonna non<br />
esigeva ch’io restassi accanto a lei, sottoposto alla sua legge<br />
(n’exigeat plus de m’avoir près d’elle sous sa loi)”.<br />
Abbiamo visto che l’indicazione “pour la première fois” nel Jean<br />
Santeuil ricorre tre volte; rieccola qui; essa indica il “primario” della<br />
“scena primaria”. È, infatti, per la prima volta che il Narratore si trova<br />
fuori dal categoriale (sa loi)... Ma, forse, più importante ancora: (pour<br />
la première fois) “séparée de moi”. Quasi che la separazione fosse<br />
una conquista... Quasi che il fare comunità, con la mamma, con la<br />
nonna... fosse accettare una “loi” come sempre “sa loi”, legge di un<br />
altro.<br />
Anche se la “libertà” acquisita (“la libertà che ormai mi<br />
lasciava”: di trattenermi a Doncières) che il Narratore non era mai<br />
riuscito ad immaginare... gli sembra “all’improvviso triste come la<br />
libertà che mi sarebbe toccata dopo la sua morte”.<br />
“Gridai: ‘Nonna, nonna’ [...]”.<br />
La comunicazione è caduta. Entrambi cercano di ristabilirla, ma<br />
invano.<br />
Angoscia: il Narratore ricorda quando, bambino, l’aveva perduta<br />
tra la folla: “angoscia, più che di non ritrovarla, di sapere che lei mi<br />
stava cercando e pensava ch’io la stessi cercando” Ò di nuovo<br />
condensazione e sineddoche mobile; “angoscia abbastanza simile a<br />
quella che avrei provata un giorno parlando a qualcuno che non può<br />
più rispondere e che si vorrebbe, almeno, potesse ascoltare tutto<br />
quanto non gli abbiamo mai detto (au moins tant faire entendre tout<br />
ce qu’on ne leur a pas dit), e sapere che non soffriamo” Ò tale e<br />
quale “né forse, d’altronde, lo era mai stata sino a quel punto”...<br />
Comunione delle anime; al di là di ogni dicibile... C’è qualcosa<br />
che non abbiamo mai detto; chissà, forse non riusciremo a dirlo mai;<br />
se solo riuscissimo a far sapere che non soffriamo più...<br />
5) Sodoma e Gomorra<br />
276 A proposito di onomatopeia vedi La phrase de <strong>Proust</strong>, in Julia Kristeva, op. cit.,<br />
pp. 341 sgg.
278<br />
Anche qui, ampi stralci soprattutto di Giornate di lettura. Ma<br />
tutto immerso nella tensione della gelosia...<br />
Una serie di manovre: il Narratore, nella speranza che Albertine<br />
gli telefoni, gira il commutatore e ristabilisce la comunicazione tra il<br />
centralino e la sua camera... Sarebbe stato più semplice avere un<br />
ricevitore nel piccolo corridoio su cui si affaccia la camera di<br />
Fançoise... Ma quest’ultima odia il progresso: citazione da Giornate<br />
di lettura a proposito del telefono come invenzione... Quindi, il<br />
telefono è stato installato nella camera del Narratore e, “per evitare<br />
che disturbasse i suoi [mie] genitori, la suoneria (sonnerie) era stata<br />
sostituita con una semplice raganella (bruit de tourniquet)”...<br />
Il Narratore è “torturato dall’incessante ritorno del desiderio [...]<br />
di udire il segnale della chiamata (bruit d’appel)”: “poi, al culmine di<br />
una tormentata ascensione nelle spirali della mia angoscia solitaria,<br />
dal fondo (du fond) d’una Parigi popolosa e notturna fattasi ad un<br />
tratto vicina (proche soudain de moi), affiancatasi alla mia libreria,<br />
sentii di colpo (tout d’un coup), meccanico e sublime (mécanique et<br />
sublime) come, nel Tristano, lo sventolìo della sciarpa o l’oboe del<br />
pastore, il ronzio di trottola del telefono (le bruit de toupie du<br />
téléphone). Mi precipitai, era Albertine”.<br />
Segue una telefonata tormentatissima. Passano messaggi<br />
contraddittori, tormentati dalla gelosia (del Narratore) e dalla<br />
(supposta) mendacità (di Albertine)...<br />
Una parte che abbiamo già incontrato in Giornate di lettura qui<br />
si carica d’altri significati: “Ma dov’era (mais où était-elle)? Alle sue<br />
parole si mischiavano altri suoni: la tromba d’un ciclista, la voce<br />
d’una donna che cantava, la fanfara lontana risuonavano<br />
(retentissaient) non meno distintamente della cara voce, come per<br />
mostrarmi che accanto a me (près de moi), in quel momento, c’era<br />
proprio Albertine nel suo ambiente attuale, come una zolla di terra<br />
assieme alla quale si fossero prelevate tutte le graminacee che la<br />
circondavano”.<br />
Evidentemente non basta! Quel che dovrebbe permettere una<br />
collocazione di Albertine (una risposta alla domanda angosciata: “Ma<br />
dov’era?”) testimonia solo il suo essere altrove.<br />
Leggete la lunga telefonata (alla fine della quale: “Françoise<br />
entrò ad annunciarmi: ‘C’è la signorina Albertine”)...<br />
Ad un certo punto un nesso col “drame du coucher”: quel che ci<br />
si aspettava: “[...] sentii come al desiderio di rivedere il viso vellutato<br />
che, già a Balbec orientava ciascuna delle mie giornate verso il<br />
momento in cui, davanti al mare violetto di settembre, sarei stato<br />
vicino a quel fiore roseo, tentasse dolorosamente d’unirsi un
279<br />
elemento ben diverso. Avevo imparato a riconoscerlo a Combray,<br />
quel terribile bisogno di un essere, in rapporto a mia madre, e tanto<br />
da voler morire se lei mi mandava a dire da Françoise che non<br />
sarebbe salita. Un simile sforzo dell’antico sentimento per<br />
combinarsi, così da fare tutt’uno, con l’altro, più recente, che aveva<br />
come unico voluttuoso oggetto la superficie colorata, il roseo<br />
incarnato d’un fiore di spiaggia, questo sforzo, spesso, finisce<br />
semplicemente col creare (nel senso chimico del termine) un corpo<br />
nuovo, destinato a durare solo pochi istanti. Almeno per quella sera,<br />
e per molto tempo ancora, i due elementi rimasero dissociati. Ma già<br />
sulla scorta di quelle ultime parole udite al telefono, cominciai a<br />
capire che la vita di Albertine era situata (non materialmente, certo) a<br />
una tale distanza da me, che mi sarebbero sempre occorse faticose<br />
esplorazioni per metterci sopra le mani [...]”.<br />
I due elementi sono il bisogno dell’essere-madre e quello<br />
dell’essere-amante...<br />
Abbiamo già dimostrato (?) che i due elementi convergono in<br />
uno. 277<br />
277 Tra quel che segue anche una qualificazione dell’amante (e, per<br />
intermediazione, della madre) come “puttana”; un classico! Albertine faceva parte<br />
di quella categoria di persone “cui la portinaia si impegna, con il fattorino, a<br />
consegnare la vostra lettera non appena rincaseranno – fino a quando, un bel<br />
giorno, scoprite che lei stessa, la persona incontrata altrove, e alla quale vi siete<br />
permessi di scrivere, è la portinaia. Abita veramente, insomma, all’indirizzo che vi<br />
ha dato, ma in portineria (e, d’altronde, l’indirizzo è quello di una piccola casa<br />
d’appuntamenti, di cui la persona in questione, oltre che portinaia, è anche<br />
tenutaria)”.
1) Tasse de thè e tasse<br />
280<br />
Cap. 18<br />
AD INFINITUM?<br />
Cercherò di presentare lo “schema” del ragionamento che, a<br />
proposito del “drame du coucher” e della “tasse de thé” e del nesso<br />
stretto e rivelatore che esiste tra i due episodi, svolge Julia Kristeva<br />
nel suo lavoro su <strong>Proust</strong> già citato – <strong>Proust</strong>. Le temps sensible<br />
(Gallimard, Paris, 1994) – che a noi sembra, almeno ad oggi, il<br />
migliore, il più originale, il più penetrante. (Verrebbe da dire:<br />
nonostante che Kristeva sia una psicoanalista).<br />
Ricordiamo in quali termini la madeleine emerge: “Elle [mia<br />
madre] envoya chercher un de ses gâteaux courts ed dodus appelés<br />
Petites Madeleines qui semblent avoir été moulés dans la valve<br />
rainurée dun coquille de Saint-Jacques” (SW, tadié, 44) = “Mandò a<br />
prendere uno di quei dolci corti e paffuti che chiamano petites<br />
madeleines e che sembrano modellati dentro la valva scanalata di<br />
una ‘cappasanta’” (SW, 55).<br />
Da dove vengono le madeleines? Sappiamo che all’inizio del<br />
Contro Saint-Beuve la madeleine è rappresentata da “pane<br />
abbrustolito (pain grillé)” (CSB, 211-212; 6-7). Se consideriamo,<br />
invece, la Recherche, dal pain grillé si passa alla madeleine; che<br />
però, prima si chiama biscotte... Nei folios 2 r°-10 r° del Cahier 25 si<br />
trova una nuova versione del testo sulla memoria involontaria, rifatta<br />
rispetto al Cahier 8, ed è qui che la biscotte si trasforma in petite<br />
madeleine... (vedi Introduzione a Du coté de chez Swann, ed. Tadiè,<br />
vol. I, p. 1068 e SW, ES XIV, 697-702).<br />
Kristeva parte dalle Maddalene del vangelo e privilegia Maria<br />
Maddalena la peccatrice (Luca 7, 37; Giovanni, 12, 1-8; 20, 15)<br />
Attraverso i secoli Maria Maddalena diventa la patrona dei<br />
profumieri, dei guantai e delle donne pentite. Nel XVII secolo il nome<br />
comune di “maddalena” viene dato ai frutti dell’epoca della Santa-<br />
Maddalena (pesche, prugne, mele, pere). Nel XIX secolo si<br />
designano con lo stesso nome dei dolci in omaggio ad una cuoca,<br />
Madeleine Paulmier. Il dolce è popolare a Illiers (Combray)...<br />
Peraltro Illiers è una tappa del pellegrinaggio medievale che va<br />
da Parigi al santuario di San Giacomo di Compostella in Ispagna. La<br />
chiesa di Illiers porta il nome di San Giacomo e il dolce ricava la sua
281<br />
forma dalla conchiglia che i pellegrini attaccavano al cappello o al<br />
mantello = coquilles Saint-Jacques.<br />
Come e perché si passa dalla prosaica “biscotte” al nome di<br />
peccatrice, poi di santa, poi di banale “friandise”...<br />
François le Champi è un testo che contribuisce a strutturare la<br />
ricerca. 278 Esso, infatti, compare all’inizio della Recherche: la madre<br />
del Narratore lo legge la notte che passa con Narratore; e alla sua<br />
fine: nella biblioteca del principe di Guermantes il volume “campêtre”<br />
provoca il quarto ricordo involontario e la rivelazione dell’estetica<br />
dello scrittore....<br />
François le Champi narra la storia di un bambino ritrovato –<br />
“champi veut dire ‘enfant trouvé’ en potois berrichon” – che, accolto<br />
dalla mugnaia Madeleine Blanchet, è fatto oggetto d’un amore<br />
inconscio da parte di quest’ultima; poi diventa l’amante, quindi il<br />
marito della madre adottiva quando, adulto, ritrova Madeleine<br />
diventata, nel frattempo, vedova.<br />
L’atmosfera erotica sembra che abbia urtato i contemporanei<br />
soprattutto dopo la sua rappresentazione all’Odéon nel 1849: “On est<br />
donc fondé à penser que c’est précisément le thème incestueux,<br />
celui de la mère pécheresse, qui a retenu et maintenu l’attention de<br />
<strong>Proust</strong> sur François le Champi, par-delà ses réticences vis-à-vis du<br />
style de G. Sand. La meunière Madeleine Blanchet trasmettra ainsi,<br />
avec la blancheur de sa farine, le goût d’un amour interdit qui va<br />
s’insinuer dans le credo esthétique du narrateur, transformé en objet<br />
apparemment anodin: les pedites madaleines” (20).<br />
Kristeva segnala due fatti, “minori”, che, nel corso<br />
dell’evoluzione del testo, attraverso le sue varie esquisses, gettano<br />
una luce interessante sulla genesi della scrittura proustiana.<br />
1.<br />
Il nome di Madeleine Blancot appare in una variante di Du côté<br />
de chez Swann: “[...] je sentais que [...] elle [l’incontro con Madeleine<br />
Blanchet) aurait plus tard de l’importance dans la vie des<br />
personnages, que se c’était pas un scène détachée, mais un<br />
commencement qui tendait vers un avenir inconnu” (SW, VR, 1117);<br />
quindi scompare.<br />
Come mai?<br />
2.<br />
Il 1 marzo 1896 La vie contemporaine pubblica una novella di<br />
<strong>Proust</strong> L’Indifférent. Questa novella è stata scoperta e pubblicata da<br />
Philip Kolb nel 1978. In una lettera del 1910 a Robert de Fleurs<br />
278 Vedi la lettera a Lucie Daudet del settembre 1913 (CORR, XII, 259) + (SW, VA,<br />
1118-1122).
282<br />
(CORR, X, 196-197) <strong>Proust</strong> chiede all’amico se ha una copia di<br />
questa novella... Evidentemente l’ha perduta ma la vuole rileggere...<br />
Una donna, che si chiama Madeleine de Gouvres, vi si<br />
innamora di un giovane, Lepré, che le è “indifferente”... Egli ama le<br />
prostitute...<br />
Kristeva suggerisce un parallelo tra Madeleine/Indifferente e<br />
Odette/Swann; Odette sarebbe un amalgama delle prostitute amate<br />
dall’Indifferente e la nobile donna che si chiama Maddalena; un<br />
ponte possibile: l’amore comune per le cattleye... (“mot fétiche” di<br />
Odette e di Swannn... “faire cattleya”...).<br />
Kristeva: l’incesto alla Sand, dal giovane <strong>Proust</strong> (che scrive<br />
L’Indifferente), è capovolto, camuffato, reso ancora più vizioso: la<br />
sua Maddalena è intoccabile ma essa ama; Lepré ama, ma delle<br />
“donne ignobili”. “De la farine de George Sand émergent les cattleyas<br />
d’une passion noble et froide qui côtoie l’gnoble” (23)<br />
Ponte ancora più convincente: <strong>Proust</strong>, mentre scrive di Swann,<br />
ha bisogno de L’Indifferente e lo chiede al suo amico... proprio<br />
perché Swann e Odette gli richiamano Lepré e Madeleine de<br />
Gouvres...<br />
In buona sostanza Kristeva propone che la “tazza di tè” sia<br />
carica di un’ambivalenza fortissima.<br />
È la madre che gliela offre...<br />
Quando la memoria involontaria da essa fa sorgere Combray, il<br />
Narratore si ricorda di quando era la zia Léonie a offrirgliela.<br />
La madre, quindi,<br />
(1) è la madre di cui il Narratore ha bisogno e che gli si concede =<br />
incesto (Madeleine Blanchet),<br />
(2) è la madre a cui il Narratore si rifiuta (Madeleine de Gouvres) =<br />
degradazione...<br />
La peccatrice Maria Maddalena sarà santificata in un modo del<br />
tutto diverso da quello narrato dai Vangeli: “la parte excitante de la<br />
femme, de la mère, gèle en femme intouchable dans l’Indifférent”<br />
(26). La madeleine avrà, quindi, un sapore puro e dolce; del<br />
rapporto con la madre conserverà solo la tenerezza. Ma...<br />
Kristeva segnala altre Maddalene... Il Narratore associa ad un<br />
Tempio, questa volta orientale, i dolci che accompagnano il tè dagli<br />
Swann (SW, 497; 611)...<br />
Ma torniamo all’ambivalenza: la madeleine offerta al Narratore<br />
dalla madre diventa, attraverso la memoria involontaria, quella<br />
offertagli dalla zia: Kristeva vi vede uno “spostamento”: l’esperienza<br />
presente – “la madeleine maman” – sarebbe d’un’intensità distruttiva<br />
(32); per questo si sposta sull’esperienza passata, sulla “madeleine
283<br />
zia”... Abbozzata a distanza, la zia Léonie “suggère une version<br />
dérisoire de l’image maternelle que le narrateur n’aura aucun mal à<br />
désacraliser” (32). Darà a un bordello il “canapé” della zia, quello<br />
stesso sul quale ha conosciuto i primi piaceri: con una cuginetta (di<br />
nuovo l’incesto) (OF, 568; 698)... “[...] on comprend [...] que tante<br />
Léonie assume le rôle de cette mère sur laquelle le narrateur doit se<br />
venger pour enfin s’en séparer et qu’adviennent le plaisir sexuel ainsi<br />
que l’écriture” (33). 279 La madaleine della zia aveva permesso “à la<br />
saveur vertigineuse” provocata dalla maddalena della madre, “de<br />
trouver son sens et ses mots”. All’altro capo del percorso iniziatico<br />
dell’adolescente, il giovane uomo gode introducendo nell’orgia del<br />
bordello l’innocenza degli idilli amorosi e incestuosi con la cugina sul<br />
canapé della zia... “À deux reprises, donc, une gradation de la<br />
maternité rabaissée – d’abord, simplement distante; enfin<br />
explicitement profanée – assure le temps sensible du narrateur. Son<br />
style: dire la saveur de la madeleine. Et sono plaisir: jouir en se<br />
vengeant” (33).<br />
Kristeva, sostituendo al bordello di cui in All’ombra delle<br />
fanciulle in fiore quello degli uomini di Le Temps retrouvé, può<br />
affermare che l’oralità mobilizzata dalla madeleine “révèle son sens<br />
pervers. Têter le sein maternel devient fellation. Le liquide qui muille<br />
l’objet du désir excite la pulsion orale autant que la pulsion urétrale.<br />
Le thè ne rappelle-t-il pas davantage l’urine que le lait? L’érotisme<br />
homosexuel connaît le rituel du pain trempé dans l’urine. De quoi<br />
profaner non seulement maman et les madeleines, mais l’eucharistie<br />
elle-même. Toutes convoquées, adorées et avilies” (34)<br />
(Peraltro, nell’argot, tasse sta per orinatoio pubblico).<br />
<strong>Su</strong>ggerisco di leggere questo libro. Kristeva sviluppa la sua<br />
ricerca, a partenza da questa interpretazione della tazza di tè come<br />
sbocco del dramma dell’andare a letto; attraverso l’esperienza con<br />
Albertine: “On ne sait pas assez que c’est surtout par les seins que<br />
les femmes l’éprouvent [la jouissance]. Et, voyez, les leurs se<br />
touchent complètement” (SG, 191)... per finire col barone di Charlus<br />
nel bordello maschile...<br />
279 Kristeva segnala che, sia nell’episodio della “tazza di tè”, sia in quello del<br />
“canapé” della zia, è questione di migrazione di anime morte: “Ma non appena li<br />
trovai [i mobili] là, dove quelle donne se ne servivano, tutte le virtù che respiravano<br />
nella camera di mia zia a Combray mi apparvero davanti, suppliziate dal contatto<br />
crudele cui, indifese, le avevo abbandonate. Non avrei sofferto di più se avessi<br />
consentito che violassero una morta. Non tornai più dalla mezzana, perché mi<br />
sembrava che i mobili fossero vivi e mi suppliziassero, come gli oggetti<br />
apparentemente inanimati che, in un racconto persiano, racchiudono anime che<br />
subiscono un martirio e implorano d’essere liberate”.
284<br />
La proposta fondamentale è che il sadomasochismo sia un<br />
mezzo di identificazione... che la poiesis trasforma in scrittura<br />
(nell’analista: in interpretazione). 280<br />
2) Il pavé...<br />
Nella Morte della cattedrali (1918) <strong>Proust</strong>, a proposito della<br />
celebrazione del sabato santo, cita Émile Mâle: Gesù Cristo è “la<br />
pierre angulaire du monde” (CSB, 144).<br />
Kristeva fa molte osservazioni utili. “Ce passage s’avérera<br />
capital” (137). Il simbolo della “pierre angulaire”, trasferito da Amiens<br />
a Venezia, poi a Parigi sotto l’aspetto banale di una “dalle”, sarà, per<br />
<strong>Proust</strong>, la sorgente della felicità (del “flot de lumière” estatico)...<br />
Kristeva segue le peripezie bibliche, dall’Antico al Nuovo<br />
Testamento, per descrivere la pietra che prima funziona come “pietra<br />
d’intoppo/sasso d’inciampo”, poi diventa “capo del cantone” (1 Pietro,<br />
2, 6-7) = Cristo...<br />
“Heurter la pierre, achopper – comme le fait si souvent le<br />
narrateur – serait ainsi une manière de se fier au sacré. Car celui-ci<br />
est pierre” (137)...<br />
L’oggetto è un oggetto dove si nasconde qualche ora della<br />
nostra vita: “L’oggetto in cui si nasconde – o, meglio, la sensazione,<br />
perché a noi ogni oggetto è sensazione –, può darsi benissimo che<br />
non l’incontriamo mai” (CSM, 211; 5).<br />
Secondo Kristeva <strong>Proust</strong> ci dà due esempi.<br />
1.<br />
La “fetta di pane abbrustolito (tranche de pain grillé”) (CSB,<br />
211; 5) – che è anche “pane inzuppato (pain trempé)” e “pane<br />
abbrustolito (biscotte)” (CSB, 212; 6) –, diventerà “madeleine” e...<br />
“pavé”, a Venezia.<br />
2.<br />
280 “[...] il serait important réfléchir sur la parte sadomasochiste de la performance<br />
esthétique qui se dissimule dans l’interpretation analytique en générale, mais<br />
davantage encore face à la psychose ou à l’autisme. Plaisir sadomasochiste<br />
inconsciet de s’identifier avec une âme enchainée, avec cette sensation palpitante<br />
et mytique qui m’ignore come autre tout en m’incluant dans son toucher, sa salive,<br />
sa respiration, son regard plat, fuyant ou percutant. Plaisir violent, aussi, de ce mot<br />
que je n’entends ni ne vois, mais je génère. J’observe par un trou de ma<br />
conscience, provisoirement ouverte en chair, une psyché entravée. Je<br />
l’ensemence de ma fusion, mais je sais qu’elle a besoin de ma distance. Ainsi,<br />
cette autre chair pourra, peut-être, de mon plaisir nommé, devenir réellement<br />
quelqu’un d’autre, un sujet” (op. cit., pp. 204-355; il corsivo è dell’autore).
285<br />
Incontriamo, nel Carnet de 1908, l’“inegalité des dalles du<br />
baptistère de St. Marc” (C, 1908, 60); nel Contre Sainte-Beuve i<br />
“pavés inégaux et brillantes (le lastre di pietra mal livellate e<br />
scintillanti)” (CSB, 212; 6); il “pavé inégal et brillant (lastre ineguali e<br />
scintillanti)” (CSB, 213; 7): “Tout à coup, un flot de lumière m’inonda.<br />
C’était une même sensation du pied 281 que j’avais éprouvée sur le<br />
pavage un peu inégal et lisse du baptistère de Saint-Marc” (CSB,<br />
213): “[...] le pied heurte un obstacle. Équivalent du corps et de sa<br />
partie la plus sensible qui est le sexe, le pied est ici en contact avec<br />
une différenze inattandue: ‘pavés inégaux et brillants’” (139).<br />
Nella versione finale si tratterà di “pavés mal équarris” (TR,<br />
445). Gli epiteti “inégaux” e “mal équarris” ricordano le “pietre conce<br />
a scarpello” (Esodo 20, 25) con le quali “non” doveva essere<br />
costruito il Tempio secondo il comandamento divino...<br />
L’ostacolo provoca un “trouble”: “[...] un oggetto più importante<br />
mi tratteneva, non sapevo ancora quale, ma sentivo trasalire nel<br />
profondo di me (au fond de moi-même tressailir = di nuovo Kafka) un<br />
passato che non riconoscevo. Sentivo una felicità invadermi, e<br />
intuivo che stavo per essere arricchito da quella pura sostanza di noi<br />
stessi che è un’impressione (impression) passata, un po’ di vita pura<br />
conservata pura [...]” (CSB, 213; 6-7).<br />
Gli stessi termini evocavano “le plaisir oral du contact de la<br />
bouche avevc les petites madeleines” (139)...<br />
“Moins infantile que celle de la madeleine, plus nettement<br />
différenciée – le pavé est une géométrie en acte” (139)...<br />
Comunque: la pietra angolare, la pietra di inciampo, la pietra del<br />
cantone di Gesù subisce qui una nuova metamorfosi: il narratore vi<br />
urta, “mais du même pas, et en s’y fiant, il manifeste à la fois sa faute<br />
et le dépassenet de celle-ci” (139)...<br />
3) Madre = Venezia = madre = ?<br />
Nell’esquisse XV.2 (Cahier 3; Contre Sainte-Beuve), il Narratore<br />
e la madre sono in viaggio verso Venezia: “Avant d’arriver à Venise<br />
et tandis que le train avait déjàs dépassé Mestre, maman me lisait<br />
les descriptions éblouissantes que Ruskin en donna, la comparant<br />
tour à tour aux rochers de corail de la mer des Indes et à une<br />
opale”...<br />
Di nuovo la madre legge... Non più Sand ma Ruskin...<br />
281 In italiano si traduce solo di “sensazione”!
286<br />
Un altro indicatore della struttura della ricerca e del boucler la<br />
boucle che avviene tra baiser-madeleine-Sand e Ruskin-pavé...<br />
Più tardi la madre aspetta il figlio leggendo.<br />
Kristeva: “La ville a absorbé la mère; elle absorbe en<br />
conséquence le fils” (147).<br />
Rileggiamo due sequenze di Albertine scomparsa.<br />
1.<br />
“Non che si fosse costretti, a Venezia come a Combray quando<br />
il sole picchiava forte, ad abbassare, lungo il canale, delle tende; ma<br />
erano tese fra i quadrilobi e i viticci d’una finestra gotica. Lo stesso<br />
posso dire di quella del nostro albergo alla cui balaustra mia madre<br />
m’aspettava guardando il canale con una pazienza (avec une<br />
patience) che forse non avrebbe mostrata ai tempi di Combray,<br />
quando – riponendo in me delle speranze che poi non si sarebbero<br />
realizzate – non voleva lasciarmi vedere quanto bene mi volesse<br />
(elle ne voulait pas me laisser voir combien elle m’aimait). Sentiva,<br />
adesso, che la sua freddezza apparente non avrebbe più cambiato<br />
nulla, e la tenerezza che mi prodigava era come quegli alimenti<br />
proibiti che non si rifiutano più ai malati quando si è ben certi che non<br />
potranno guarire. Certo, gli umili particolari che rendevano individuale<br />
la finestra della camera della zia Léonie su rue de l’Oiseau, la sua<br />
asimmetria provocata dall’ineguale distanza fra le due finestre vicine,<br />
l’altezza eccessiva del suo davanzale di legno, e il ferro a gomito che<br />
serviva ad aprire le imposte, i due lembi di raso azzurro e inamidato<br />
che una fascia divideva e teneva scostati, di tutto ciò esisteva<br />
l’equivalente (l’équivalent) in quell’albergo di Venezia dove sentivo<br />
anche quelle parole così particolari, così eloquenti, grazie alle quali<br />
riconosciamo da lontano la dimora (demeure) in cui rientriamo per la<br />
colazione e che restano più tardi nel nostro ricordo come<br />
testimonianza che quella dimora fu per un certo tempo nostra (la<br />
nôtre); ma l’incarico di pronunciarle non era demandato, come a<br />
Combray e un po’ dappertutto (comme il l’était à Combray et comme<br />
il l’est en peu partout), alle cose più semplici, se non addirittura alle<br />
più brutte, ma all’ogiva ancora mezzo araba riprodotta in tutti musei<br />
di calchi e in tutti i libri d’arte illustrati come un capolavoro<br />
dell’architettura del Medioevo; da parecchio lontano, appena<br />
superato San Giorgio Maggiore, scorgevo quell’ogiva che m’aveva<br />
veduto, e lo slancio dei suoi archi spezzati aggiungeva al suo sorriso<br />
di benvenuto la distinzione d’uno sguardo più elevato e quasi<br />
incompreso. E poiché dietro quei balaustri di marmo di vari colori la<br />
mamma leggeva aspettandomi (maman lisait en m’attendant), il viso<br />
raccolto in una veletta di tulle d’un bianco non meno straziante di
287<br />
quello dei suoi capelli per me che sentivo come mia madre l’avesse,<br />
nascondendo le lacrime, aggiunta al suo cappello di paglia non tanto<br />
per apparire ‘elegante’ alle persone dell’albergo, quanto per<br />
sembrare a me meno in lutto, meno triste, quasi consolata della<br />
morte della nonna; poiché, non avendomi riconosciuto subito, non<br />
appena la chiamavo dalla gondola mandava verso di me, dal fondo<br />
del cuore, il suo amore che s’arrestava solo dove non c’era più<br />
materia per sorreggerlo (là où il n’y avais plus de matière pour la<br />
soutenir), alla superficie del suo sguardo appassionato che cercava<br />
di avvicinare il più possibile a me, di innalzare, sporgendo le labbra,<br />
in un sorriso che sembrava baciarmi (en un sourire qui semblait<br />
m’embrasser), entro la cornice e sotto il baldacchino del più discreto<br />
sorriso dell’ogiva illuminata dal sole di mezzogiorno: a causa di tutto<br />
ciò quella finestra (cette fenêtre) ha preso nella mia memoria la<br />
dolcezza delle cose che assieme a noi, contemporaneamente a noi,<br />
ebbero la loro parte in una certa ora, che suonava identica per noi e<br />
per loro (dans une certaine heure qui sonnait, la même pour nous et<br />
pour elles): e per quante e quanto splendide siano le forme racchiuse<br />
fra le due colonne, quella finestra (cette fenêtre) illustre conserva per<br />
me l’aspetto intimo d’un uomo di genio con il quale si sia trascorso<br />
un mese nello stesso luogo di villeggiatura e che abbia contratto per<br />
noi una qualche amicizia, e se da allora, ogni volta che vedo il calco<br />
di quella finestra (cette fenêtre) in un museo, sono costretto a<br />
trattenere le lacrime, è semplicemente perché essa mi dice la cosa<br />
che più d’ogni altra può commuovermi: ‘Me la ricordo molto bene,<br />
vostra madre’” (AS, 203-205; 250-252).<br />
Straordinario:<br />
– Venezia = Combray; Venezia è un “equivalente” di Combray; e<br />
sappiamo che le “idee” sono l’“equivalente” delle “essenze”;<br />
– un ruolo centrale è recitato sempre dalla finestra (vedi il<br />
voyeurismo);<br />
– differenza: il Narratore vede; ma è soprattutto veduto (dalla<br />
madre/ogiva);<br />
– differenza: a Venezia (ora) la madre non è impaziente; ha<br />
rinunciato a volere che il figlio voglia; 282<br />
– mostra (esibisce) quanto lo ami;<br />
282 In un’esquisse la reitroduzione della figura paterna (che qui viene abolita):<br />
“Mais aussitôt je pensais à une peine que je lui avais faite là-bas, le besoin d’être<br />
tendre pour elle m’envahissait, et comme elle n’y serait pas si j’y partais car elle ne<br />
voudrait pas quitter mon père, j’aurais cette angoisse sur laquelle toute la beauté<br />
de l’univers n’est pas un baume” (AS, CA 3, ES XV.1, 691).
288<br />
– la madre nasconde solo il dolore per la morte della nonna = il<br />
Narratore il dolore per la morte della madre...<br />
– Differenza: il luogo (una volta era la “camera”) lasciato, è<br />
ritrovato e sentito come proprio.<br />
– Differenza decisiva: l’ora “suona”, la medesima, per noi e per<br />
loro.<br />
2.<br />
La possibilità di incontrare la Baronessa Putbus... spinge il<br />
Narratore a chiedere alla madre di ritardare la partenza da Venezia.<br />
“L’impressione che lei non prendesse per un solo istante in<br />
considerazione e nemmeno sul serio la mia preghiera risvegliò nei<br />
miei nervi eccitati dalla primavera veneziana il mio vecchio desiderio<br />
di resistenza a un complotto immaginario tramato contro di me dai<br />
miei genitori (à un complot imaginaire tramé contre moi par mes<br />
parents) (persuasi di potermi costringere a obbedire), la stessa<br />
volontà di lotta (cette volonté de lutte), desiderio che mi spingeva un<br />
tempio a imporre bruscamente la mia volontà alle persone più amate,<br />
salvo conformarmi io alla loro dopo essere riuscito a farli cedere”<br />
(AS, 230; 283).<br />
E rieccoci a Combray... In tutti i particolari: complotto; rivolta;<br />
volontà ritardataria di cedere...<br />
Ma una differenza: questa volta a “ne pas bouger” non è la<br />
madre (che a Combray non aveva voluto salire a baciarlo, presa da<br />
Swann) ma il Narratore (che, preso dalla Baronessa etc., non vuole<br />
partire; raggiungere la madre alla stazione)...<br />
“Dissi a mia madre che non sarei partito [...]. E quando venne il<br />
momento (et quando fut venue l’heure) in cui mia madre, seguita da<br />
tutte le sue cose, si imbarcò per la stazione, io mi feci portare una<br />
consumazione sulla terrazza, davanti al Canale, e mi sistemai lì,<br />
guardando il sole che tramontava (regardant se coucher le soleil) su<br />
una barca ferma di fronte all’albergo un musicante cantava Sole mio.<br />
[...]. Presto sarebbe partita, sarei rimasto solo a Venezia, solo con la<br />
tristezza di saperla addolorata per causa mia, e senza la sua<br />
presenza a consolarmi. L’ora del treno si avvicinava (l’heure d’un<br />
train s’avançait). La mia solitudine irrevocabile era così imminente<br />
che mi sembrava già cominciata e totale. [...]. La città che avevo<br />
davanti aveva smesso d’essere Venezia. [...]. E tuttavia quel luogo<br />
qualunque era strano come un luogo dove si sia appena arrivati (où<br />
on vient d’arriver), che non ci conosca ancora, come un luogo da cui<br />
si sia appena partiti (d’où l’on est parti) e ci abbia già dimenticati. [...].<br />
Ma, nello stesso tempo, quel luogo mediocre mi sembrava lontano.<br />
[...] sentivo che quell’orizzonte così vicino, che avrei potuto
289<br />
raggiungere in un’ora (en une heure), era una curvatura della terra<br />
affatto diversa da quella dei mari della Francia, una curvatura lontana<br />
che l’artificio del viaggio aveva fatto ormeggiare accanto a me (près<br />
de moi); e così quel bacino al tempo stesso insignificante e lontano<br />
mi riempiva dello stesso miscuglio di disgusto e di spavento che<br />
avevo provato da bambino (tout enfant) la prima volta che avevo<br />
accompagnato mia madre ai Bagni Deligny; in effetti nel paesaggio<br />
fantastico composto da un’acqua cupa cui non sovrastavano il cielo e<br />
il sole e che circondato di cabine comunicava tuttavia, lo si sentiva,<br />
con invisibili profondità coperte di corpi umani in mutande, mi ero<br />
chiesto se tali profondità, nascoste ai mortali da baraccamenti che<br />
impedivano di sospettarne l’esistenza dalla strada, non fossero<br />
l’ingresso dei mari glaciali che lì avevano inizio, se i poli non vi<br />
fossero compresi, e se quello stretto spazio non fosse appunto il<br />
mare libero del polo; questa Venezia senza simpatia per me e in cui<br />
stavo per rimanere solo non mi sembrava meno isolata, meno<br />
irreale, ed era il mio sgomento che il canto di Sole mio, innalzato<br />
come una deplorazione della Venezia che avevo conosciuta,<br />
sembrava prendere a testimone” (AS, 230-232; 233-235).<br />
Quindi:<br />
– questa volta è il Narratore che abbandona la madre;<br />
– l’“heure” risuona per lo meno tre volte;<br />
– il Narratore si trova in un luogo più strano delle varie<br />
“chambres”... in un luogo où on vient d’arriver / d’où l’on est<br />
parti...<br />
– sembra si ripeta, capovolta, nel verso doloroso, la reciprocità<br />
per noi/per loro;<br />
– ed ecco riaffacciarsi una scena che risale all’infanzia e che<br />
appare, dilatata, già in Jean Santeuil (CSB, 305-306; 137-138).<br />
La scena di un accesso ad un luogo sconosciuto: al mondo!<br />
“Certo avrei dovuto (il aurait fallu) smettere di ascoltarlo per<br />
poter ancora raggiungere mia madre (si j’avais voulu pouvoir<br />
rejoindre encore ma mère) e prendere il treno con le, avrei dovuto<br />
decidere (il aurait fallu décider), senza perdere un solo secondo<br />
(sans perdre une seconde), di partire, ma era proprio ciò che non<br />
potevo fare; rimanevo immobilizzato, incapace non solo di alzarmi<br />
ma anche di decidere che dovevo alzarmi” (AS, 232; 233).<br />
Ricordate la grande “risoluzione” presa dal Narratore bambino?<br />
Qui, niente risoluzione...<br />
Impigliato nella romanza non riesce a prendere la “risoluzione”:<br />
“ciascuna delle frasi [della romanza], una volta passata, si<br />
trasformava in un ostacolo a prendere efficacemente tale risoluzione
290<br />
(résolution) o, meglio, mi costringeva alla risoluzione opposta, non<br />
partire, perché faceva sì che passasse l’ora (car elle me faisait<br />
passer l’heure)” (AS, 232; 233).<br />
Intanto l’ora passa.<br />
“[...] e, pur dicendomi: ‘In fin dei conti, non faccio altro che<br />
ascoltare un’altra frase’, sapevo che questo voleva dire: ‘Rimarrò<br />
solo a Venezia (je resterai seul à Venise)’”.<br />
Solo!<br />
La canzone ha “un incanto disperato ma fascinatore”... Il<br />
Narratore guarda – tramontare – il sole fermo dietro San Giorgio<br />
Maggiore, “così che quella luce crepuscolare (cette lumière<br />
crépusculaire) avrebbe fatto per sempre nella mia memoria con il<br />
brivido della mia emozione e la voce di bronzo del cantante una<br />
mescolanza equivoca, immutabile e straziante”.<br />
Sappiamo quanto il “crepuscolare” abbia colorato di sé la<br />
relazione tempestosa tra <strong>Proust</strong> e Agostinelli...<br />
“Rimanevo dunque immobile, con una volontà dissolta (avec<br />
une volonté dissoute), senza decisione apparente; in quei momenti<br />
essa è probabilmente già presa (sans doute à ces moments-là elle<br />
est déjà prise); spesso anche i nostri amici possono prevederla. Ma<br />
noi, noi non possiamo; tante sofferenze, altrimenti, ci sarebbero<br />
risparmiate. Ma infine, da antri più oscuri di quelli da cui si slancia la<br />
cometa che può essere predetta – grazie all’insospettabile potenza<br />
difensiva dell’abitudine inveterata, grazie alle riserve nascoste che<br />
con impulso improvviso essa getta all’ultimo momento nella mischia<br />
–, scaturì infine la mia azione: mi misi le gambe in spalla e arrivai,<br />
con gli sportelli già chiusi, ma in tempo per trovare mia madre che,<br />
rossa d’emozione, si sforzava di non piangere, perché credeva che<br />
non sarei più arrivato. Poi il treno partì, e vedemmo Padova e poi<br />
Verona venire incontro al treno, venire a dirci addio (nous dire adieu)<br />
quasi sino alla stazione e – quando ci fummo allontanati –<br />
riguadagnare, loro che non partivano e avrebbero ripreso la loro vita,<br />
una la sua pianura, l’altra la sua collina”.<br />
Chi dice “bonsoir” – “adieu” – sono due città. E dicono addio sia<br />
al Narratore che alla madre (sia alla madre che al Narratore).<br />
Che vuol dire?<br />
Forse che “entrambi” hanno imparato qualcosa; a farsi dire<br />
addio (bonsoir)...<br />
E a dire addio... Alla possibilità di prendere delle decisioni;<br />
perché queste prendono noi: se ne accorgono i nostri amici – delle<br />
decisioni già “prese” mentre cerchiamo di prenderle – secondo quella
291<br />
legge fondamentale per cui solo gli “altri” colgono le leggi cui<br />
sottostiamo (noi, a nostra volta, siamo l’“altro” per i nostri amici)...<br />
Anche in Freud – la Minuta H – sono gli altri che colgono il<br />
delirare dei nostri pensieri (deliranti)...<br />
La “risoluzione” scaturisce, sembra, da quegli stessi antri<br />
sotterranei di cui non si poteva sospettare l’esistenza (più sopra). Il<br />
sotterraneo che prima rappresentava l’ignoto, ora rappresenta<br />
l’abitudine.<br />
Sì, paradossalmente, è l’abitudine a sparigliare un gioco al<br />
rialzo massimo (vedi il procedere verso il basso-più basso, l’alto-più<br />
alto della romanza)...<br />
Ma non l’abitudine sic et simplicter: l’abitudine “invétérée”...<br />
Il destino?<br />
“Le ore passavano (le heures passaient). Mia madre non<br />
s’affrettò a leggere le lettere che aveva solo aperte (ma mère ne se<br />
pressa pas de lire les deux lettres qu’elle avait ouvertes)...<br />
Di nuovo qualcosa da leggere...<br />
Ma la lettura, qui, è rinviata...<br />
Infine, la madre legge “stupita”; quindi solleva la testa e i suoi<br />
occhi sembrano posarsi via via sui ricordi distinti, “incompatibili” e<br />
che lei non riesce a “mettere insieme”...<br />
Il Narratore, ad un certo punto, apre la sua busta: Gilberte gli<br />
annuncia il suo matrimonio don Robert de Saint-Loup. Gli dice di<br />
avergli telegrafato in proposito a Venezia... “Di colpo (tout d’un coup)<br />
sentii nel mio cervello un fatto, che vi si era installato allo stato di<br />
ricordo, lasciare il suo posto e cederlo a un altro” (AS, 234; 288).<br />
Il tout d’un coup è il classico clic della rivelazione (della<br />
memoria involontaria). Qui il Narratore scopre di aver fatto un lapsus<br />
di lettura. Ha letto Albertine dov’era scritto Gilberte nel telegramma in<br />
cui Gilberte – e non Albertine – gli diceva di essere “vivissima” e di<br />
voler “parlare di matrimonio”...<br />
“Quante lettere legge in una parola una persona distratta e<br />
soprattutto prevenuta, che parte dall’idea che quella lettera sia d’una<br />
certa persona? Quante parole nella frase? Leggendo si indovina, si<br />
crea (on crée); tutto parte da un errore iniziale; quelli che seguono (e<br />
non soltanto nella lettura delle lettere e dei telegrammi, non soltanto<br />
in ogni lettura) sono, per straordinari che possano apparire a chi non<br />
ha lo stesso punto di partenza, assolutamente naturali. Una buona<br />
parte di quello che crediamo, ed è così fino alle conclusioni ultime,<br />
con un’ostinazione pari alla buona fede, viene da un primo equivoco<br />
riguardo alle premesse”.
292<br />
Ricordate che Swann è stato anche lui vittima di un equivoco:<br />
“E dire che ho sciupato anni della mia vita, ho desiderato di morire,<br />
ho avuto il mio più grande amore, per una donna che non mi piaceva,<br />
che non era il mio tipo” (SW, 461).<br />
La madre, dopo aver letto, va di nuovo a ricordi “incompatibili”<br />
con ciò che ha letto (e a cose incompatibili tra loro)... Il figlio scopre<br />
che ha letto una cosa per un’altra...<br />
E si trattava di una questione di vita e di morte!<br />
Albertine è veramente morta!<br />
La “luce crepuscolare” è veramente – e rimane –<br />
“crepuscolare”...<br />
Le due sequenze – ulteriori versioni del “drame du coucher” –<br />
che abbiamo rilette sembrano dirci questo:<br />
1. il Narratore trova un’intima comunione con la madre (attraverso<br />
di lei con la nonna che è morta; con la morte dei propri cari);<br />
2. quindi capisce che sia lui che la madre sono esposti allo<br />
“stupore”; il mondo sotterraneo che in Jean Santeuil era abitato<br />
tranquillamente dalla madre e temuto dal figlio, incombe qui su<br />
entrambi.<br />
In un’esquisse la reitroduzione della figura paterna: “Mais aussitôt je pensais à une<br />
peine que je lui avais faite là-bas, le besoin d’être tendre pour elle m’envahissait, et<br />
comme elle n’y serait pas si j’y partais car elle ne voudrait pas quitter mon père,<br />
j’aurais cette angoisse sur laquelle toute la beauté de l’univers n’est pas un baume”<br />
(AS, CA 3, ES XV.1, 691).
293<br />
Cap. 19<br />
ODEURS, LUMIÈRE, BRUITS<br />
L’œuvre inachevée, inachebable, qu’il ne faut pas achever, ad<br />
uno dei suoi stadi, quello che va sotto il nome di Contre Sainte-<br />
Beuve, costruisce lo scenario seguente:<br />
“... Maman me quitte, mais je repense à mon article et tout d’un<br />
coup j’ai l’idée d’un prochaine Contre Sainte-Beuve. Dernièrement, je<br />
l’ai relu, j’ai pris contre mon habitude des quantités de petites notes<br />
que j’ai là dans un tiroir, et j’ai des choses importantes à dire làdessus.<br />
Je commence à bâtir l’article dans ma tête. À toute minute<br />
des idées nouvelles me viennent. Il n’y a pas un demi-heure de<br />
passé, et l’article tout entier est bâti dans ma tête. Je voudraus bien<br />
demander à maman ce q’elle en pense. J’appelle, aucun bruit ne<br />
répond. J’appelle de nouveau, j’entend des pas furtifs, une hésitation<br />
à ma porte qui grince” (CSB, 217).<br />
A metà dicembre 1908, in una lettera a Madame de Noailles,<br />
<strong>Proust</strong>, del suo lavoro, diceva quanto segue: “Je voudrais, quoique<br />
malade, écrire une étude sur Sainte-Beuve. La chose s’est bâti dans<br />
mon esprit de deux façons différentes entre lesquelles je dois choisir.<br />
Or je suis sans volonté et sans clairvoyance. La première est l’assai<br />
classique, l’Essai de Taine en mille fois moins bien (sauf le contenu<br />
que est je crois nouveau). La deuxième commence par un récit du<br />
matin, du réveil, Maman vient me voir près de mon lit, je lui dis que<br />
j’ai l’idée d’une étude sur Sainte-Beuve, je la lui soumets et la lui<br />
développe. [...]” (CORR, VIII, 320-321).<br />
Lo scenario, quindi, è quello di una conversazione con la madre<br />
nel corso di una matinée...<br />
<strong>Su</strong>ccede che, fin dall’inizio, la scena con la madre, la scenamadre<br />
è preceduta dal racconto dei vari “gradi” del risveglio; il<br />
risveglio è una sorta di resurrezione... Il Narratore esce da uno stato<br />
di depersonalizzazione... Brun: “Mais l’unité de temps, au fil des<br />
brouillions, devait vite éclater, par l’évocation de la nuit précédant la<br />
matinée, puis des nuits et des matinées passées” (qui sotto, p. 231).<br />
Ebbene, è nel punto di transizione tra sonno/sogno e veglia che<br />
si inseriscono i “rumori”.<br />
Conclusione provvisoria: l’importanza dei rumori è legata al<br />
fatto ch’essi richiamano alla consapevolezza; ma alla<br />
consapevolezza della tenebra del sogno.
294<br />
Bernard Brun, in Étude génétique de l’ouverture’ de La<br />
Prisonnière, 283 cita ampiamente i vari cahier che preludono a La<br />
Prisonnière (a partenza dal Contre Sainte-Beuve)...<br />
Inizialmente – Cahier 4, 1909 –, il nostro eroe, al risveglio,<br />
intuisce (o abduce) che tempo fa sulla base delle luci e degli odori.<br />
Ad esempio. “Qu’importait que je fusse couché, les rideaux fermés,<br />
je savais que l’heure existait / l’heure qu’un seule de ses<br />
particularités de lumière ou d’odeur suffi[sait] à une seule de se<br />
manifestations de lumière ou d’odeur je savais que l’eure ÉTAIT <<br />
non pas dans mon imagination mas dans la realité présente du<br />
temps, > [...]” + “Ce rayon chaud qui traverse ma chambre m’élance<br />
vers la vie qu’il m’ouvre, se glissant dans la serrure de la maison de<br />
Combray où la salle à manger est pleine de soleil, où on va partir<br />
pour l’église / sur la place si ma chambre est encore obscure parce<br />
que les rideaux sont fermés le petit couloir vitré < avec double porte<br />
> qui y conduit est d[éjà] a déjà, étendue par terre, une riante<br />
carpette de soleil [...]”...<br />
Anche se i suoni non sono assenti; poco oltre: “Quand<br />
j’entendis la cloche de l’église sonner deux he[ures] Parfois l’odeur <<br />
de pétrole > d’une automobile qui passait se pénétrait par la fenêtre,<br />
cette odeur que les délicats et le matérialistes croient nous gâter la<br />
hioie des champs [...]”...<br />
Nel cahier 3 (inizio del 1909) compaiono e acquistano forza i<br />
suoni. Ad esempio: “À la couleur plus ou moins claire de cette raie du<br />
jour au-dessus des rideaux je sais le temps qu’il fait. [...]. Mais je n’ai<br />
pas besoin d’elle de l’avoir vue. La tête < encore > tournée contre le<br />
mur, et même avant qu’elle ai par[u] / quelquefois avant d’avoir<br />
tourné les yeux vers les rideaux les premiers bruits de la rue<br />
morf[ondus] vibrants / j’ai entendu avec les bruits de la rue les<br />
premiers bruits de la rue me sont arrivés avec / le roulements du <<br />
premier > tranway m’ont apporté avec eux, < dans leurs sonorités,<br />
leur atmosphère, > l’abbatement / la tristesse l’ennui de la pluie où il<br />
se morfondent [...]” + “Les jours où l’air sous les timbres des<br />
véhicules qui passent l’air retentit tinte comme une clochette ou<br />
résonne comme un mirliton, où la rue invisible m’était périphérique<br />
par le bruit, un appel rare semble le faire vibrer sonner au milieu du<br />
vide, et un appel clair des jours d’été l’ensoleille et même le construit<br />
à neuf en beau quartier vide qui s’étende à peine construit vers la<br />
banlieu, les cimitières, l’air friable sur lequel les différents timbres<br />
incisent des traits de toutes couleurs l’air résistant du printemps du<br />
283 In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. 14. Études proustiennes, VI, Gallimard, Parigi,1987,<br />
pp. 211-287.
295<br />
printemps léger mais comme consistant comme un habit flottant<br />
qu’arlequinise les timbres multicolores des véhicules qui”...<br />
Anche se ad un certo punto sembra che sia tutta una questione<br />
di nervi: “Mais les jours Et peut-être même ces le temps qu’il fait n’a<br />
même pas plus besoin que de la couleur du jour, de la sonorité des<br />
bruits de la rue pour se révéler à moi et m’emmener dans appeler<br />
vers la saison et le climat dont il semble détaché un envoyé. Les<br />
nerfs qui / Ce qui vit en moi de nerfs excités, apaisés / Le petit<br />
monde intérieur de nerfs, de souffles À sentir le calme et les<br />
mouvements / et l’apaisement et la lenteur < de communication et<br />
d’échanges > qui règne dans la petite salle cité intérieure < de nerfs<br />
et de vaisseaux > que je porte en moi [...]”.<br />
Saltiamo il cahier 50 (fine 19010)...<br />
Dall’Étude génétique cito adesso solo estesamente il Cahier 53<br />
(di esso una piccolissima parte nell’Esquisse II, P, 1099-1100).<br />
L’ampia citazione ubbidisce anche al desiderio i mostrare come<br />
scrive e riscrive <strong>Proust</strong>: “cinquante pages de brouillons successifs<br />
pour trois pages de La Prisonnière” (Brun p. 286) 284 ... <strong>Proust</strong>, oltre a<br />
correggere un tentativo, lo riscrive... Interessante, a parziale<br />
completamento, sempre a proposito de La Prisonniere, di Jean Milly,<br />
L’ouverture de La Prisonnière d’après le manuscrit ‘definitif’ et les<br />
dactylographies. 285<br />
Allo scopo di “mostrare”... (1) riportiamo tutto il cahier: in<br />
corsivo, le parti cancellate da <strong>Proust</strong>, nel soffietto < > le aggiunte (2)<br />
data la lunghezza del cahier (pp. 273- 283), talvolta saltiamo una<br />
parte e indichiamo questo salto con [...] in neretto.<br />
In sintesi:<br />
– contro ogni previsione, si ripete la felicità originaria: allora, a<br />
Combray, con la madre, adesso, a Parigi, con Albertine,<br />
– ma la gioia non è la stessa (sembra incombere, invece, la<br />
morte);<br />
– succede invece che il nostro eroe assapora i piaceri quando se<br />
ne sta solo nel suo letto lontano da Albertine!<br />
– Anzi, starsene a letto, starsene, cioè, inattivi (l’involontarietà),<br />
sembra favorire il godimento dei piaceri!<br />
– Chi se ne sta a letto – chi si affida all’involontario – accede a ciò<br />
che lo “scultore del blocco caotico, l’uomo dimenticato che<br />
284 “Chaque brouillon, chaque état du roman à une époque déterminée de la<br />
rédactiom est provisoirement definitif. Chaque avant-texte est écrit pour être un<br />
texte. C’est après coup, une fois réécrit, refait, une fois le roman publié qu’il devient<br />
avant-texte” (p. 212).<br />
285 Ibidem, pp. 288-337.
296<br />
fummo” libera dal fondo di noi stessi: “un’altra vita” (abbiamo<br />
visto che il “bloc obscure” è la notte, il sonno profondo, portato<br />
dal risveglio nello stato di veglia...<br />
– La rinuncia alla “matinée” godibile con i sensi fa accedere alla<br />
matineè “unica, eterna”.<br />
– Il nostro eroe preferisce essere presente a se stesso (al suo<br />
“moi” profondo) all’essere nella compresenza con Albertine.<br />
Sceglie, cioè, la solitudine.<br />
[...]. La vie nous réserve accorde quelquefois ce qui nous semblait<br />
puls insensé. Depuis le jour soir où ma mère était venue coucher<br />
dans ma chambre à Combray au moment où il ne me paraissait ni<br />
possible comme il me paraissait inévitable et mortel de passer la nuit<br />
sans l’embrasser avoir embrassée, ma mère était venu coucher dans<br />
ma chambre à Combray, jamais, comme [...]. Elle habitait avec nous,<br />
couchait sa chambre était au bout du couloir à deux chambres<br />
quelques pas de la mienne. Jamais depuis le soir où ma mère était<br />
venue coucher auprès de moi de Combray où maman, soudain<br />
apaisée par mon père, était venue coucher dans le grand lit à côté du<br />
mien, la vie ne m’avait au rebours de toutes le prévisions, accordé<br />
[...] non, il me faut remonter jusqu’au soir de Combray au moment<br />
quand je pense qu’Albertine vint habiter à Paris avec nous, qu’elle<br />
renonça à l’dée d’aller à Amsterdam [...] qu’elle eut sa chambre à<br />
vingt pas de la mienne < dans le cabinet à tapisseries de mon père,<br />
> au bout du couloir, il me faut remonter au soir de Combray où<br />
maman soudain apaisée par mon père, vint coucher dans le grand lit<br />
à côté du mien, si je veux où je ne pouvais me décider à passer la<br />
nuit sans avoir embrassé maman, quand < par miracle > mon père<br />
l’apaisa, elle vint coucher dans le grand lit à côté du mien il me faut<br />
remonter à ce soir où maman vint coucher dans mon petit grand lit à<br />
côté du mien je veux trouver un exemple comparable une autre<br />
circonstance où la vie m’ai fait remise, contre toute prévision, d’un<br />
malheur qui me semblait à la fois inévitable et mortel. À Combray<br />
elle m’avait accordé cette nuit Mais elle ne me donnait pas cette fois<br />
la joie que j’avais connue à Combray. La présence d’Albertine <<br />
auprès de moi, > ne faisait que m’épargner une souffrance [...]. Elle<br />
[la souffrance] perdait d’autant plus de sa force que je souffrais<br />
mo[ins] ma souffrance de ce soir là se guérissait peu à peu, comme<br />
l’idée de la mort s’affaiblit chez un malade au fur et à mesure qu’il<br />
s’éloigne de la crise qui a failli l’emporter > Apaisé le soir par un<br />
baiser d’Albertine, de la sentir ensuite, couchée < toute la nuit > dans<br />
une chambre voisine, je restais souvent couché le jour, faisant venir
297<br />
soit des chevaux, soit un[e] automobile pour qu’Albertine pût se<br />
promener ou se distraire et m’arrageant toujours à ce que quelque<br />
amie à elle en qui j’avais confiance, et de préférence Andrée vînt la<br />
chercher; le soir Sans doute cet apaisement me permettait de goûter<br />
grâce à cet apaisement je n’étais plus fermé à certains des joies,<br />
mais loin de les devoir à Albertine, je les goûtais surtout au contraire<br />
< pendant qu’elle n’était pas auprès de moi, > dans la solitude [...].<br />
Dès le matin, avan[t] la tête encore tournée contre le mur et avant<br />
d’avoir vu la couleur de la raie du jour par-dessus des grands rideaux<br />
des fenêtres, je savais déjà le temps qu’il faisait par les premiers<br />
bruits de la rue, selon qu’ils étaient arrivés amortis et déviés par<br />
l’humidité ou vibrant comme des flèches dans l’espace sonore et<br />
vide d’un matin froid et pur, par le roulement du premier tranway que<br />
je sentais morfondu dans la pluie ou en partance pour l’azur de<br />
quelle couleur était la raie du jour pard-dessus de grands rideaux des<br />
fenêtres, je savais déjà quel temps il faisait; les premiers bruits de la<br />
rue me l’avaient appris, selon qu’il m’étaient arrivés amortis et déviés<br />
par l’humidité ou vibrant comme des flèches dans l’espace sonore et<br />
vide d’un matin froid et pur [...]. Et peut-être < le bruits > eux-mêmes<br />
avaient-ils été devancés par l’odeur ou par quelque émanation plus<br />
rapide et plus pénétrante, qui traversait mon sommeil même et<br />
établissait entre mon être et la journée commençante une harmonie<br />
si immédiate, quelque émanation plus rapide et plus pénétrante –<br />
peut-être une odeur – qui à travers mon sommeil même mettait mon<br />
organisme en harmonie avec la journée, y répandait une tristesse à<br />
laquelle je pouvais conjecturer que viendrait au de hors s’associer la<br />
neige, ou y déchaînait mettait en branle tant de cris de joie de<br />
melodies / chans cantiques en l’honneur du soleil que ceux-ci<br />
finissaient par amener mon réveil, un réveil en musique, comme on<br />
dit au régiment. < Quand je sonnais (Esther q.q. part) Françoise<br />
m’appportait mon courier [...]. je regardais dans le Figaro si ne s’y<br />
trouvait pas un article que j’avais adressé à – seul travail ma seule<br />
œuvre depuis page écrite depuis tant d’années – que j’avais envoyé<br />
à ce journal et qui n’y paraissait pas. < Mettre ici le petit bonhomme<br />
barométrique qui est dans le Cahier brun puis voir au verso > après<br />
le petit bonhomme < au avant mais enfin dans la matinée. ><br />
J’entendais le pas d’Albertine dans le couloir, le bruit de sa jupe, tant<br />
sa chambre était près de la mienne. [...]. D’ailleurs quand elles<br />
allaient en automobile le chauffer était à ma dévotion. Ainsi calme je<br />
pouvais lui répondre [à Albertine] que ce serait pour une autre fois<br />
que ce jour là je resterais couché. < En effet le médecin m’avait<br />
prescrit ordonné de garder presque continuellement le lit > Elle me
298<br />
disait il fait si beau. Je le savais bien disait comme il serait agréable<br />
de faire une longue promenade par ce beau temps par ce beau<br />
temps une longue promenade, celle que je voudrais. Mais je la<br />
laissais partir, car tous les plaisirs de cette promenade seul, dans<br />
mon lit, je les goûtais, grâce au désir, à l’appétit que la journée<br />
commençante en avait éveillé en moi / Mais je la laissais partir, car je<br />
savais que seul, dans mon lit, le désir de cette promendade m’en<br />
ferait goûter tous les plaisirs. [...]. Car je savait bien que seul dans<br />
mon lit les désirs Resté dans mon lit, je ne prenais pas moins ma<br />
parte des plaisirs de la journée commençante; le désir purement<br />
arbitraire, la velléité capricieuse et purement individuelle de les<br />
goûter n’aurait pas suffit à les mettre à ma portée si le temps<br />
particulier qu’il faisait ne m’en avait plus qu’évoqué le souvenir bien<br />
plus qu’évoqué les images passées affirmé la réalité actuelle,<br />
accessibile immédiatement accessibile à tous les hommes qu’une<br />
circostance contingente et par conséquent négligeable, ne forçait<br />
pas à rester couchés. Certains beaux jours il faisait pourtant si froid<br />
qu’il semblait qu’on eût écart[è] on était en si libre large<br />
communication avec la rue, qu’il semblait qu’on eût écarté le<br />
jointures de la ma[ison] disjoint les murs de la maison et quand le<br />
tranway passait, son timbre comme eût fait < auprès de moi > un<br />
couteau d’argent, semblait frapper résonnait aussi, comme eût fait<br />
auprès de moi un couteau d’argent, frappant une maison de verre<br />
[...]. intercalant < das l’air de > ma chambre de Paris de véritables<br />
pleins de < belles > incrustations de ma vie d’autrefois, où je me<br />
réjoussais commme si j’allais sauter du lit pour aller retrouver St<br />
Loup et ses amis ou me promener du côté de Méseglise. Ainsi j’avais<br />
refusé d’aller prendre < Ces évocations où ne passent pas<br />
seulement devant vos yeux / Ces similitudes Cette similitude des<br />
journées avec de plus ansiennes qui ne nous montrent pas<br />
seulement l’apparence des choses < vue alors, > mais du fond de<br />
nous-même dégagent comme le sculpteur du bloc chaotique,<br />
l’homme oublié que nous fûmes quand nous les vivions, et qui ainsi<br />
jour par jour nous appelle à une autre vie, nous fait pénétrer dans<br />
une autre profondeur des choses, était celle qui convenait vraiment à<br />
ce que j’avais de plus profond en moi, qui me donnait les joies d’une<br />
mémoire profonde, intéresant à son mon souvenir le couches les<br />
plus souterraines de moi-même, les soulevant puissamment à la plus<br />
gde profondeur. C’était le trait particulier de ma nature, ces joies que<br />
j’éprouvais dans les promendades avec M e de Villeparisis quand je<br />
croyais reconnaître trois arbres. Mais même pour ceux qui ne sont<br />
pas ainsi faits, quand on a assez déjà un peu vécu, chaque br[uit]
299<br />
tintement de pluie, chaque bouffée de chaleur, chaque buée odeur<br />
de brume, de sa main invisible déroule devant nous un petit tableau,<br />
paysage que nous avons vu sous la pluie, au soleil, par un temps de<br />
brume. [...]. Pour avoir refusé de jouir < imparfaitement avec mes<br />
sens > de cette matinée, je joussais < pleinement, avec mon<br />
imagination, > de toutes les matinées pareilles, ou plutôt d’une<br />
matinée passées ou possibile, ou plutôt d’une matinée unique,<br />
éternelle, < comblant mon esprit de sa plénitude et > dont j’avais<br />
reconnu les signes toujours identiques et qui emplissait elles<br />
n’étaient que l’apparition intermittente. Elle comblait mon esprit de sa<br />
/ Sa plénitud com[blait] Elle comblait mon esprit de sa plénitude et lui<br />
communiquait une allégresse que mon état de maladie débilité ne<br />
diminuait pas. < Je l’avais vite reconnue; l’air vif avait de lui-même<br />
tourné la page où se trouvait l’Évangile du Jour et où je pourrais le<br />
suivre de mon lit comme faisait autrefois ma tante Octave. > Notre<br />
bien-être résulte bien moins < en effet > de notre bonne santé, de<br />
nos forces, que de l’excédent de forces que nous n’employons pas et<br />
qui le reste le même si nous que nous ne trasformons pas en<br />
activité. [...]. Celle dont je dérbordais et que je tenais immobile dans<br />
mon lit, me faisait tressauter, intérieur bondir, et chanter, comme une<br />
machine sous pression qu’on arrête. Alors, convalescent affamé qui<br />
jouit de touts les mets qu’on lui refuse encore je sentais que si<br />
j’épousais Albertine je me priverais à jamais des fruits de la solitude<br />
me demandais si en épousant Albertine je gâcherais ma vie tant en<br />
assumant la tâche trop lourde pour moi de me consacrer à un autre<br />
être, qu’en vivant absent de moi-même par cette présence<br />
continuelle et en me privant à jamais des fruits de la solitude. [...]. cet<br />
objet abstrait, contratictoire et inexistant, la Beauté. [...]. j’avai soif<br />
de guérir, de sortir, d’être et non pas avec Albertine, d’être libre, et<br />
parfois au moment où une femme inconnue passait dans la rue,<br />
tantôt à pied, tantôt de toute la vitesse de son automobile, je<br />
souffrais de ne pas pouvoir tomber sur elle comme une flèche tirée<br />
de l’embrasure de ma fenêtre par une arquebuse et immobliser la<br />
fuite du visage où m’attendait la possibilité des baisers que je ne<br />
goûterais pas > tandis qu’Albertine D’Albertine, elle, je n’avais plus<br />
rien à apprendre. [...]. Et puis parfois vers la fin de la matinée l’air<br />
froid s’adoucissait; le timbre du tramway qui y a un heure perçait de<br />
son fifre l’air transparent et blu comme avec une vrille, y chantait<br />
comme un violon, et au milieu [...].<br />
Conclude, quasi magistralmente, Brun: “Dans ce système,<br />
Albertine commence à gêner. [...]. Il n’y a pas une Beauté, mais des<br />
femmes belles, et c’est la femme inconnue que le héros appelle. Les
300<br />
bruit de la rue, comme Albertine, c’est l’appel de l’extérieur, du désir<br />
amoureux, qui est antinomique de l’appel de l’art. Le narrateur doit<br />
rester au lit, dans sa chambre. Il ne faut pas qu’il aille à la fenêtre,<br />
qu’il se promène, qu’il voyage” (pp. 286-287).<br />
Comunque l’incipit dell’ouverture:<br />
– il Narratore congettura il tempo che fa a partire non dalla<br />
“nuance” della “raie du jour” ma dal suono dei “premiers bruits”;<br />
– forse i rumori della strada sono stati anticipati da qualche<br />
emanazione “più rapida” proveniente dal sonno;<br />
– in ogni caso il risveglio è un “réveil en musique”.<br />
“Dès le matin, la tête encore tourné contre le mur et avant<br />
d’avoir vu, au-dessus des grands rideaux de la fenêtre, de quelle<br />
nuance était la raie du jour, je savais déjà le temps qu’il faisait. Les<br />
premiers bruits de la rue me l’avaient appris, selon qu’ils me<br />
parvenaient amortis et déviés par l’humidité ou vibrants comme des<br />
s dans l’aire résonnante et vide d’un matin spacieux, glaciale et pur:<br />
dès le roulement du premier tranway, j’avais entendu s’il était<br />
morfondu dans la pluie ou en partance pour l’azur. E peut-être ces<br />
bruits avaient-ils été devancés eux-mêmes par quelque émanation<br />
plus rapide et plus pénétrante qui, glissée au travers de mon<br />
sommeil, y répandait une tristesse annonciatrice de la neige, ou y<br />
faisait etonner, à certain petit personnage intemittent, de si nombreux<br />
cantiques à la gloire du soleil que ceux-ci finissaient par amener pour<br />
moi, qui encore endormi commençais à sourire et dont les paupières<br />
closes se préparaient à être éblouies, un étourdisssant réveil en<br />
musique” (P, 519).<br />
Che dire di un altro risveglio, da una notte di insonnia, in pieno<br />
martellare dei “cri” di Parigi... giù core, trompette, flûte... “l’ouïe, se<br />
sens délicieux”: “Le lendemain de cette soirée où Albertine m’avait dit<br />
qu’elle irait peut-être, quis qu’elle n’irait pas chez les Verdurin, je<br />
m’éveillai de bonne heure, et, encore à demi endormi, ma joie<br />
m’apprit qu’il y avait, interpolé dans l’hiver, un jour de printemps.<br />
Dehors, des thèmes populaires finement écrits pour des instruments<br />
variés, depuis la corne du raccommodeur de porcelaine, ou la<br />
trompette du rempailleur de chaises, jusqu’à la flûte du chevrier qui<br />
paraissait dans un beau jour être un pâtre de Sicilie, orchestraient<br />
légèrement l’air matinal, en une ‘ouverture pour un jour de fête’.<br />
L’ouïe, se sens délicieux [...]” (P, 623; 50’7 sgg.).<br />
Venendo a L’ouverture de La Prisonnière d’après le manuscrit<br />
‘definitif’ et le dactylographies di Jean Sally a cui abbiamo già<br />
rimandato per gli ulteriori stadi della scrittura dell’“ouverture”: “Ce qui<br />
se passe, c’est que les déplacements de séquences au cours de la
301<br />
genèse, les déstructurations suivies de restructurations elle-mêmes<br />
remises en jeu, le interférences de structures différentes tendent à<br />
faire de la construction du texte, au niveau local, un ‘puzzle sans<br />
modèle’ ou dont les modèles seraient, selon le cas, thématiques ou<br />
systématiques, les pièces s’assemblant tantôt selon leurs ‘coleurs’,<br />
tantôt selon leurs formes”. E più avanti: “Dans sa microstructure, la<br />
diversité de ses éléments, et les changements successifs des<br />
relations qui les unissent et dont rien n’assure qu’ils nauraient pas<br />
continué si <strong>Proust</strong> n’avait pas été définitivement interrompu,<br />
n’empêchent pas une grande cohérence thématique et une<br />
apparence de cohérence narrative”. 286<br />
286 Ibidem, pp. 335, 337.
302<br />
Cap. 20<br />
A MO’ DI CONCLUSIONE<br />
Leggete la lettera che <strong>Proust</strong> manda a Zadig, il cane che ha<br />
regalato a Reynold Hahn nel novembre 1911: “Ti voglio tanto bene<br />
perché tu hai molsto dischpiacere (beauscoup de schasgrin) e amore<br />
per la stessa persona che me, e non potevi trovare meglio nel mondo<br />
intero. Ma non sono geloso che lui stia più con te, perché è giusto e<br />
tu sei più infelice e innamorato. Ecco come lo so, genstile caniolino<br />
(gentstil chouen). Quando ero piccolo e avevo dispiacere perché<br />
dovevo staccarmi dalla mamma o per un viaggio o per andare a letto<br />
o per una ragazza che amavo ero più infelice di adesso (quando<br />
j’étais petit et que j’avais du chagrin pour quitter Maman, pour partir<br />
en voyage, ou pour me coucher, ou pour une jeune fille que j’aimais,<br />
j’étais puls malhereux qu’aujourd’hui), prima di tutto perché come te<br />
non ero libero di andare a distrarmi dal mio dispiacere e mi chiudevo<br />
con lui, ma poi anche perché ero prigioniero nella mia testa, nella<br />
quale non c’erano idee, ricordi di letture (où je n’avais aucune idée,<br />
aucun souvenir de lecture), progetti dove rifugiarmi. E tu sei così,<br />
Zadig, non ha mai fatto letture, non hai idee. E devi essere ben<br />
infelice quando sei triste. Ma sappi, caro Zadig, che quella specie di<br />
caniolino ch’io sono come te può dirti e dirti perché è stato uomo e tu<br />
no. Questa intelligenza che abbiamo ci serve solo a sostituire le<br />
impressioni che fanno amare e soffrire con delle false impressioni<br />
che fanno amare e soffrire meno (cette intelligence ne nous sert qu’à<br />
remplacer ces impressions qui te font aimer et souffrir par des facsimilés<br />
qui font moins de chagrin et donnent moins de tendresse).<br />
Nei rari momenti in cui ritrovo tutto il mio affetto, tutta la mia<br />
sofferenza, è perché le mie sensazioni non sono più basate su false<br />
idee ma su qualcos’altro che esiste, uguale, in e in me, caniolino mio<br />
(dans les rares moments où je retroove toute ma tendresse, toute ma<br />
souffrance, c’est que je n’ai plus senti d’après ces fausses idées,<br />
mais d’après quelque chose qui est semblable en toi et en moi mon<br />
petit chouen). E questo mi sembra così superiore al resto che è solo<br />
quando torno a essere cane, un povero Zadig come te, che mi metto<br />
a scrivere, e solo i libri scritti così sono quelli che mi piacciono (je me<br />
mets à écrire et il n’y a que les livres écrits ainsi que j’aime). Quello<br />
che porta il tuo nome [il protagonista dell’omonimo scritto di Voltaire],<br />
vecchio mio, non è per niente così. È un piccolo motivo di contrasto
303<br />
fra il tuo padrone, che è anche il mio, e me. Ma tu non litigherai con<br />
lui perché non pensi. Caro Zadig, siamo tutti e due vecchi e malati.<br />
Ma mi piacerebbe venirti a trovare, perché tu mi avvicini al tuo<br />
padrone invece che allontanarmene. Ti abbraccio con tutto il mio<br />
affetto e al tuo amico Reynaldo mando il tuo piccolo riscatto [il<br />
denaro per l’acquisto del cane regalato a Reynaldo Hahn]” (CORR,<br />
X, 372-373; LG, 975-976).<br />
Un mese prima <strong>Proust</strong>, in una lunga lettera a Maurice Barrès (1<br />
ottobre 1911) ha detto che sta scrivendo: “une espèce d’immense<br />
roman” (CORR, X, 553).<br />
L’essai è diventato una espèce de roman; il roman, comunque,<br />
un immense roman...<br />
<strong>Proust</strong> sta scrivendo quel che diventerà Le côté de chez<br />
Swann... Ma sta anche lavorando a costruire l’insieme della<br />
Recherche...<br />
Questa lettera mi è parsa straordinaria. In essa si affacciano,<br />
nel colloquio tenero con l’amico più tenero... 287 moyennat il suo (il<br />
loro) cane, quasi tutti i temi della Recherche...<br />
Ma la si può interpretare in vari modi.<br />
Un esempio, quello di Roger Duchêne: “Si la scène de la<br />
biscotte-madeleine et les autres exemples donnés dès le Sainte-<br />
Beuve ne racontent pas forcément des expériences biographiques, il<br />
traduisent, et c’est l’essentiel, une conviction qui doit être<br />
profondément ancrée chez <strong>Proust</strong> pour qu’il l’exprime avec une telle<br />
force dans une lettre à son ami le plus cher, celui auquel il ment le<br />
moins parce qu’il a le plus confidence en lui. On s’étonne que le plus<br />
intelligent de nos romanciers, celui dont les analyses sont les plus<br />
fines et les plus subtiles, à partir des situations les plus ténues et à<br />
propos des personnages les plus complexes, s’illusionne à ce point<br />
sur le principe même de son écriture. Si l’impulsion vient de son<br />
cœur, de son immense désir de retrouver les sentiments, heureux ou<br />
malheureux, de son passé, c’est bien évidemment avec son<br />
intelligence qu’il les décrit. Sentir comme le ‘chouen’ Zadig ne suffit<br />
pas si l’on n’a pas aussi, prour exprimer, l’esprit que Voltaire a donné<br />
à sono personnage” (Ibidem, pp. 634-635).<br />
Il pensiero va ad una lettera a Jacques Copeau (rappresentante<br />
di Gallimard) del 22 maggio 1913, in cui un ruolo decisivo, proprio<br />
287 “Adieu, on vieux genstil. Je ne peut pas dire que je pense souvent à toi, car tu<br />
es installé dans mon âme comme une de ses couches superposées et je ne peux<br />
pas regarder du dedans au dehors, ni recevoir une impression du dehors au<br />
dedans sans que cela ne traverse mon binchnibuls intérieur devenu translucide et<br />
poreu” (a Hahn, ____________).
304<br />
nel passaggio da inconscio a conscio, è affidato all’intelligenza: “[...].<br />
Mais j’ai craint que faisant allusion à des pages que vous avez lues<br />
de moi, [elle] ne contint un malentendu. Le souvenir auquel j’attache<br />
tant d’importance n’est nullement se qu’on appelle généralement<br />
ainsi. L’attitude d’un dilettante qui se contente de s’enchanter du<br />
souvenir des choses est le contraire de la mienne. Non que<br />
théoriquement, avec préméditation, j’aie constitué à cet égard un<br />
système. Rien de plus inconscient chez moi. Mais de même qu’en<br />
lisant Stendhal, Thomas Hardy, Balzac, j’ai revelé chez eux, avec<br />
mon intelligence, des traits profonds de leur instinct que j’aimerais<br />
dessiner car cela n’a jamais été fait si un peu de temps m’était<br />
encore concédé. Mais je peux dire que le souvenir de Dostoïewski,<br />
Tolstoï (vous comprenez bien que quand je cite de grands noms ce<br />
n’est pas pour m’égaler à eux! ni même en approcher de mille<br />
lieues!) le ‘il devait plus tard se rappeler toujours le moment où il<br />
avait remarqué cette porte’ est encor quelque chose d’extrêmement<br />
contingent et accidental relativement à ‘mon’ souvenir, où tous les<br />
elements matériels constitutifs de l’impression antérieure se trouvant<br />
modifiés le souvenir prend au point de vue de l’inconscient la même<br />
généralité, la même force de réalité superieure que la loi en<br />
physique, par la variation des circostances. C’est un acte et non une<br />
volupté passive. D’ailleurs la notion de plaisir n’existe pas pour moi.<br />
Non que ma vie soit dépourvue de plaisirs comme on croit mais c’est<br />
que je ne le cherche jamais, il accompagne seulement l’amour ardent<br />
que j’ai des choses et qui peut-être en effet est un peu surextité par<br />
la privation. [...]” (CORR, XIII, 179-180; il corsivo è dell’autore).<br />
Riprendiamo una lettera celebre, quella in risposta a Jacques<br />
Rivière, il segretario della NRF che, il 6 febbraio del 1914, gli ha<br />
espresso tutto il suo entusiasmo per Le côté de Chez Swann...<br />
Ma è chiaro che, se accettiamo la critica di <strong>Proust</strong> a Sainte-<br />
Beuve, non è importante quel che lo scrittore dice della sua opera ma<br />
la sua opera; in ballo ci sono due “io! diversi...<br />
“Finalmente un lettore che intuisce che il libro è un’opera<br />
dogmatica e strutturata (enfin je trouve un lecteur qui devine que<br />
mon livre est un ouvrage dogmatique et une construction). [...]. Come<br />
artista, ho trovato più onesto e delicato non rivelare, non proclamare<br />
che quel che mi prefiggevo era la ricerca della verità, e in che cosa<br />
essa consisteva per me. A tal punto detesto le opere ideologiche<br />
nelle quali la narrazione è un continuo tradimento delle intenzioni<br />
dell’autore, che ho preferito non dir nulla. È solo alla fine del libro,<br />
che dopo aver compreso le lezioni della vita, che il mio pensiero si<br />
paleserà. Quella che esprimo alla fine del primo volume, in quella
305<br />
parentesi sul Bois de Boulogne che ho messo lì come semplice<br />
paravento per terminare e chiudete un libro, che per motivi pratici<br />
non poteva superate le cinquecento pagine, è il contrario della<br />
conclusione. È una tappa, che si presenta come soggettiva e<br />
dilettantesca (esse est une étape, d’apparence subjective et<br />
dilettante), sulla via che porta a una conclusione del tutto oggettiva e<br />
convinta. [...]. In questo primo volume avete visto la sensazione<br />
piacevole che mi procura la madeleine inzuppata nel tè – come dico,<br />
smetto di sentirmi mortale etc. e non capisco perché. Lo spiegherò<br />
solo alla fine del terzo volume. Tutta l’opera è costruita in questa<br />
maniera (tout est ainsi construit). [...]. No, se non avessi convinzioni<br />
intellettuali, se cercassi soltanto di ricordare il passato e di duplicare<br />
con questi ricordi l’esperienza, non mi prenderei, malato come sono,<br />
la briga di scrivere (non, si jen n’avais pas de croyances<br />
intellectuelles, si je cherchais simplement à me souvenir et à faire<br />
double emploi par ces souvenirs avec les jours vécus, je ne<br />
prenderais pas, malade comme je suis, la peine d’écrire). Ma questa<br />
evoluzione del pensiero, non ho voluto analizzarla astrattamente<br />
bensì ricrearla, farla vivere. Sono costretto quindi a dipingere gli<br />
errori senza ritenermi in dovere di dire che li giudico tali: tanto peggio<br />
per me se il lettore crede che li considero verità. [...]” (CORR, XIII,<br />
98-100; LG, 1082-1083; il corsivo è dell’autore).
1) Lavori in corso<br />
306<br />
Cap. 21<br />
UBI UR-SZENE?<br />
Molto interessanti i materiali raccolti nei Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong><br />
7. Études proustiennes II. 288 A partire dall’intervento iniziale di Jean<br />
Ricardou sulla metafora, “Miracles” de l’analogie (pp. 11-3) che non<br />
citerò.<br />
Deleuze afferma che la Recherche “n’est pas une robe, [...] pas<br />
une cathédrale, mais une toile d’araignée en train de se tisser sous<br />
nons yeux” (Table ronde, ibidem, p. 91). Che, cioè, non è quel che<br />
<strong>Proust</strong> pensava che fosse: “je bâtirais mon livre, je n’ose dire<br />
ambitieusement comme une cathédrale, mais tout simplement<br />
comme une robe” (TR, 103).<br />
È une toine d’arignée?<br />
Alla medesima tavola rotonda (<strong>Proust</strong> et la nouvelle critique,<br />
New York University, 1972) Barthes paragona <strong>Proust</strong> al Beethoven<br />
delle variazioni su Diabelli: “on s’aperçoit que là on a affaire à trentetrois<br />
variations sans thème. Et il y a un thème qui est donné au<br />
début, qui est un thème très bête, mais qui est donné justement, un<br />
peu, à titre de dérision. Je dirais que ces variations de Beethoven<br />
fonctionnent un peu comme l’œuvre de <strong>Proust</strong>. Le thème se diffracte<br />
entièrement das les variations et il n’y a plus de traitement varié d’un<br />
thème. Se qui veut dire qu’en un sens sans la métaphore (car d’idée<br />
de variation est paradigmatique) est détruite. Ou, en tout cas,<br />
l’origine de la métaphore est détruite; c’est une métaphore, mais<br />
sans origine” (ibidem, p. 102).<br />
Dobbiamo, cioè, venire a patti con l’idea stessa di “origine”?<br />
Genette, alla medesima tavola rotonda: “Mais d’autre part, sa<br />
théorie littéraire est tout de même un peu plus subtile que la grande<br />
syntèse achevante et clôturante du Temps retrouvé” (ibidem, p.<br />
112)... E ancora: il testo di <strong>Proust</strong> “n’est plus aujourd’hui ce quil était,<br />
dison, en 1939” quando si conosceva solo la Recherche, più due o<br />
tre opere considerate minori: “À mon avis, l’événement capital dans<br />
la critique proustienne de ces dernières années, ce n’est pas ce que<br />
nous pouvons écrire ou avoir écrit sur <strong>Proust</strong>, c’est ce qu’il a<br />
288 Gallimard, Paris,1975.
307<br />
continué, si j’ose dire, d’écrire lui-même: c’est la mise au jour de<br />
cette masse d’avant-textes et para-textes qui font la Recherche plus<br />
ouverte aujourd’hui qu’elle ne l’était hier, lorsqu’on la lisait comme<br />
une œuvre isolée. Je veux dire que non seulement elle s’ouvre,<br />
comme on l’a toujours su, par la fin, en ce sens que sa circularité<br />
l’empêche de se clore en s’arrêtant; elle s’ouvre aussi par le début,<br />
en ce sens que non seulement elle ne finit pas, mais que d’une<br />
certaine manière elle n’a jamais commencé, parce que <strong>Proust</strong> a<br />
toujours déjà travaillé à cette œuvre. Et en un sens il y travaille<br />
encore: nous n’avons pas encore tout le texte proustien; tout ce que<br />
nous en disons aujourd’hui sera en partie périmé quand nous<br />
l’aurons dans son entier; mais heureusement, pour lui et pour nous,<br />
nous ne l’aurons jamais dans son entier” (Ibidem, pp. 112-113).<br />
Abbiamo a che fare con un cantiere con i lavori in corso?<br />
Con un accostamento alla non-finibilità insieme kafkiana e<br />
freudiana? 289<br />
L’acategoriale, anche se riversato nel categoriale, resta infinibile<br />
(in-effabile).<br />
In <strong>Su</strong>r deux versions anciennes des “côtés” di Combray,<br />
Quémar 290 sostiene una posizione paradossale ma, proprio per<br />
questo, molto interessante: “C’est évidemment de ‘brouillons’ qu’il<br />
s’agit. Ou mieux: d’‘avant-textes’, puisque loin d’être d’informes<br />
‘fourre-tout’ ou de simples ébauches isolés, ils appartiennent à une<br />
suite romanesque. ‘Avant-textes’ qu’il serai injuste de ne prendre en<br />
considération que relativement à l’œuvre definitive, en se contentant<br />
d’inventorier leurs imperfections et leurs manques; auxquels il<br />
convient au contraire de conferer le statut de ‘textes’, ayant une<br />
fonction dans un ensemble, répondant à une ou des intentions<br />
289 Come dire: il transfert chissà quando comincia se comincia e chissà quando<br />
finisce se finisce. Luborsky ha operazionalizzato il transfert; lo ha reso verificabile<br />
sperimentalmente, ne ha quindi dimostrato l’esistenza e la monitorabilità.<br />
Applicando il suo test (CCRT) a terapie non psicoanalitiche abbiamo dimostrato<br />
che il transfert è ubiquo. Abbiamo rilevato, oltre agli EERR (Episodi Relazionali<br />
relativi al paziente) anche gli EERRDD (Episodi Relazionali Didattici; relativi, cioè,<br />
allo psicoterapeuta); abbiamo dimostrato l’utilità della rilevazione degli EERR su<br />
entrambi i fronti (paziente e terapeuta); con ciò stesso verificato una vecchia<br />
ipotesi: che non esiste un transfert ma un co-transfert. Procedendo oltre, possiamo<br />
aggiungere che non esiste nulla che non sia l’approdo di un transfert (di un<br />
trasferimento)... Ma anche che l’approdo di ogni trasferimento è sempre solo<br />
provvisorio. Il transfert da Freud a Luborsky. La verifica luborskiana di una<br />
terapia sistemico-relazionale, Cesario/Serritella, Borla, Roma, 2001.<br />
290 In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 7. Études proustiennes II, Gallimard, Paris, 1975, pp.<br />
117-118)
308<br />
precises du romancier par rapport à un projet global à un stade<br />
donné de sa genèse. Car ‘à chaque instant de la rédaction, il y a déjà<br />
pour celui qui rédige, œuvre et non pas préparation à l’œuvre’ (Jean<br />
Bekkemin-Noël, Le Texte et l’avant-texte, Larousse, 1971, p. 13).<br />
Mais on ne se privera pas pour autant de survellier, à l’intérieur de<br />
chacun des deux fragments, les hésitations, les modifications de<br />
structure et les glissements de sens, enfin les additions, qui<br />
accompagnent la cristallisation progressive des motifs, ni de<br />
comparer entre elles les deux versions et les rapprocher du texte de<br />
la Recherche, si l’on veut saisir l’avènement des ‘formes’ et de<br />
‘significations’, et de tenter de comprendre le fonctionnement du<br />
discours proustien” (pp. 223-224).<br />
Il paradosso consiste nel considerare testo anche l’avantesto.<br />
Quémar dimostra, ad esempio, come per tappe, a partenza da<br />
ricordi autobiografici, si siano formati i due côté, ciascuno avente al<br />
suo centro l’immagine di una donna, con annessa l’immagine di un<br />
fiore... e ciascuno avente una porta d’accesso diversa...<br />
Dimostra, quindi, un viaggio verso la perfezione. Ricostruisce,<br />
cioè, la genesi del testo...<br />
Ma incappiamo in elementi sorprendenti. Ad esempio, i due<br />
côté che, nel testo definitivo, appariranno prima incomunicabili, alla<br />
fine comunicabil, sono presentati – nei due frammenti IV e XII –<br />
subito sia incomunicabili che comunicabili: (1) “Car je sus alors que<br />
le côté de Méséglise et le côté de Garmantes n’étaient pas aussi<br />
inconciliables que je le croyais autrefois et qu’on pouvait partir du<br />
côté de Méséglise couper par Garmantes” (IV, 176); (2) “Mais aux<br />
années dont je parle unir le côté de Germantes et le côté de<br />
Meséglise me paraissait aussi impossible que de faire venir l’Orient<br />
près de l’Occident et de les ranger l’un à côté de l’autre. Alors je ne<br />
savais pas qu’il n’y avait pas tant de différence entre le côté de<br />
Garmantes et le côté de Meséglise” (ibidem).<br />
Ma, soprattutto, Quémar ci spiega che la scena-madre del<br />
“drame du coucher” forse è tardiva.<br />
La scena-madre?<br />
Tardiva?<br />
Il primum movens tardivo?<br />
Non è possibile, il primum movens coincide con i primordi, è i<br />
primordi.<br />
Forse no.<br />
Ricordate il Leitmotiv della reincarnazione? O, in tono minore,<br />
delle tappe evolutive? “Puis elle [croyance] commençait à me devenir<br />
intelligibile, comme après la métempsycose les pensées d’une
309<br />
existence antérieure” (S, 3) “j’avais seulement dans sa semplicité<br />
première, le sentiment de l’existence comme il peut frémir au fond<br />
d’un animal; j’étais plus denué que l’homme des cavernes” (S, 5)...<br />
Non esiste, quindi, un primum movens che fittizio; un semblant<br />
di esso. La scena-madre risale a oltre “le madri” di goethiana<br />
memoria; e la “robe” sarà, se mai lo sarà, attillata solo in un futuro<br />
stadio evolutivo (o di reincarnazione).<br />
Consideriamo il “drame” come lo si ritrova nei “morceaux”<br />
riportati da Quémar dei Cahier IV e XII che sono i più antichi sui<br />
“côté” (situabili, il primo a cavallo tra il 1908 e il<br />
1909_______________). 291<br />
2) Il drame du coucher<br />
Il “drame du coucher” sembra aver costituito inizialmente il<br />
legame tra il motivo delle passeggiate (almeno della masseggiata<br />
verso Villebon/Garmantes) e quello dei “dîners familiaux” con Swann:<br />
“Mais à partir de là, débordant peu à peu le cadre stricte de ces<br />
réceptions tant redoutées par le jeune garçon et perdant de vue le<br />
thème du coucher, le discours s’organise en une sorte de portraitroman<br />
de Swann [...]” (pp. 213-214)<br />
In ogni caso “le récit de ces soirées de Combray ne se referme<br />
pas sur lui-même, c’est-à-dire sur le thème de la chambre de l’enfant<br />
et du baiser maternel. On est encore loin de cette unité circulaire du<br />
‘coucher du soir à Combray’, qui, dans le roman, circonscrit ce qu’on<br />
est convenu d’appeler ‘Combray I’. L’entrée en scène de Swann<br />
entraîne l’écrivain dans un développement centré sur ce personnage,<br />
291 Kuémar a proposito del Cahier IV envers, f° s 71 V°-57 V° e CSB 61-73: si tratta<br />
di un “ensemble suivi assez complexe” perché <strong>Proust</strong> l’ha molto “remanié et<br />
augmenté”. Si tratta di una messa a punto a partire da esquisse diverse contenute<br />
nei primi cinque cahier e destinate al CSB narrativo. All’inizio questi “marceaux”<br />
erano stati redatti nella prospettiva di un prologo ad una versione narrativa del SB<br />
(alla quale verosimilmente <strong>Proust</strong> pensava quando cominciò a riempire i cahier, nel<br />
1908). All’inizio si trattava di evocare le ore vissute, prima e dopo lo spuntare del<br />
giorno, nell’attesa di una conversazione mattutina “avec Maman” su Sainte-Beuve.<br />
Poi si sono aggiunti dei frammenti su dei ricordi subentrati nel corso di insonnie, in<br />
un tempo anteriore a quello di questa matinée. Allora <strong>Proust</strong> sembra essere<br />
scivolato verso “une utilisation nouvelle de cette matinée” che “si sostituisce à<br />
l’utilisation qui lui avait d’abord été assignée” (Maurice Bardèche, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong><br />
romancier, Paris, 1971, I, p. 211): il Sainte-Beuve narrativo è abbandonato e quel<br />
che era destinato al suo prologo darà nascita all’“ouverture” di Swann.
310<br />
et le drame du coucher est ainsi complètement oublié” (Ibidem, p.<br />
214).<br />
“Mais ce qui distinguait pardessus tout pour moi Garmantes<br />
c’est que le jours où nous étions allés nous promener de ce ‘côté’,<br />
comme nous rentrions tard on nous envoyait coucher // presque //<br />
assitôt notre soupe prise et que Maman ces soirs là ne montait pas<br />
me dire bonsoir dans mon lit. Toute la journée pendant la promenade<br />
je pensais à la Comtesse de Garmantes, // ou // aux nymphéas<br />
comme si je n’avais pas eu cette appréhension pour le soir. Mais sur<br />
le retour quand le vent commençait à tomber, mon angoisse me<br />
prenait. Et c’est ainsi sur le côté de Garmantes que j’ai appris à<br />
distinguer en moi ces états distincts, presque opposés, qui se<br />
succèdent dans ma vie, dans chaque journée // même // où la<br />
tristesse revient à une certaine heure avec la régularité de la fièvre,<br />
et pendant lesquels ce qui fu désiré // redouté, // accompli, dans les<br />
états différents paraît presque incompréhensible. En rentrant de<br />
Garmantes je savais que je n’avais guère plus d’une demie heure<br />
avant l’instant où il faudrait dire bonsoir à Maman” (IV, 176-177). 292<br />
Quindi: (1) i côté sono “opposti” (IV, 162); nel romanzo lo<br />
rimarranno; diventeranno conciliabili sono alla fine: un esempio tra i<br />
molti della scrittura simultanea dell’inizio e della fine e della<br />
successiva distribuzione... (2) il “drame” è solo una questione di<br />
“ritardo” nel ritorno dal “côté de Garmantes”; (3) ma “tuote la journée”<br />
il Narratore pensa alla Comtesse de Garmantes (o alle “nymphéas”;<br />
(4) “comme si je n’avais pas eu cette appréhension pour le soir”:<br />
come se non ci fosse nessun presagio del “drame”; (5) che irrompe<br />
tempestoso; (6) solo ad un certo punto il Narratore scopre la<br />
“regolarità” del fenomeno. (7) Ma qual è il fenomeno? Citiamo un<br />
passaggio immediatamente precedente (e immediatamente<br />
susseguente a quello citato dianzi): “Mais aux années dont je parle<br />
unir le côté de Garmantes et le côté de Meséglise me paraissait<br />
aussi impossible que de faire venir l’Orient près de l’Occident et de<br />
les ranger l’un à côté de l’autre. Alors je ne savais pas qu’il n’y avait<br />
pas tant de différence entre le côté de Garmantes et le côté de<br />
Meséglise. Il y a encore quelques autres choses que je ne savais<br />
pas alors et que je sais aujourd’hui. Mais elles son sans valeur. Et<br />
alors je savais des choses précieuses que je ne saurai jamais,<br />
jamais plus. Mais le côté de Garmantes avait surtout quelque chose<br />
qui me le rendait différent de tout le reste mais à laquelle chose<br />
curieuse je ne commencais à penser qu’à 7 heures du soir. C’est sur<br />
292 “[...] Meséglise et Guermantes n’étaient pas aussi absolument opposés et<br />
inconciliables que je le croyais pendant toute non enfance [...]” (XII, 178).
311<br />
le côté de Meséglise petit chemin qui mène à la route de Garmantes<br />
et que j’ai appris depuis être du côté de conduire à Meséglise que j’ai<br />
appris que c’est assez pour faire naître l’amour qu’une femme fixe<br />
son regard sur nous et que nous sentions qu’elle pourrait nous<br />
appartenir. Mais c’est sur la route de Garmantes que j’ai appris que<br />
c’est assez pour faire naître l’amour q’une femme détourne son<br />
regard de nous et que nous sentions qu’elle ne pourrait pas nous<br />
appartenire. Mais ce qui distinguait... (IV, 176).<br />
Quindi: la differenza tra avere il bacio della sera o non averlo –<br />
simile alla differenza tra i due côté, tra l’oriente e l’occidente –,<br />
sappiamo che apparirà fasulla alla fine (ma è già apparsa fin<br />
dall’inizio)... Quindi: la “regolarità” è la regolarità tra il bene e il male,<br />
tra la presenza e l’assenza... Non si tratta di “episodi”, di “drammi”, di<br />
“scene”...<br />
Si tratta della pulsazione dell’universo... 293<br />
E questa pulsazione è governata, anche questa volta, dal<br />
“desiderio mimetico”? Per trovarsi immerso in una storia d’amore<br />
basta che una donna “détourne son renard de nous”!<br />
Vedremo più avanti...<br />
<strong>Su</strong>lla strada per Meséglise <strong>Marcel</strong> ha imparato l’amore<br />
corrisposto; sulla strada per Garmantes quello non corrisposto.<br />
Ma l’uno è l’altra faccia della medesima medaglia.<br />
Straordinario il passo che ri-citiamo in cui sembra quasi che le<br />
contraddizioni si impennino ma anche perdano il loro “valore”: “Il y a<br />
encore quelques autres choses que je ne savais pas alors et que je<br />
sais aujourd’hui. Mais elles son sans valeur. Et alors je savais des<br />
choses précieuses que je ne saurai jamais, jamais plus”.<br />
Ritorniamo al tema del “baiser”: “Tel était le côté de<br />
Guermantes [ et vous me mèneriez dans un pays où il y aurait<br />
d’aussi beaux, de plus beaux nymphéas, une // une plus jolie rivière,<br />
de plus belles routes, si ce n’est pas ce pays là et non un autre, cela<br />
ne me fera pas plus de plaisir que si ma mère avait envoyé me dire<br />
bonsoir au lieu d’elle une femme qui lui // aurait // ressemblé qui<br />
aurait été aussi belle et aussi intelligente, plus intelligente et plus<br />
belle. La petite irrégularité que Maman avait dans le menton me<br />
293 “[...] et qui allait jusqu’au village qu’on voyait au fond avec le gare un peu<br />
distante, et sur lequel passait aux 'heures’ le son de l’horologe de l’église dont<br />
nous nous arrêtions pour compter les coups, affaibli, horizontal, détaché dans sa<br />
forme nette du reste de l’air // qu’il traversait sans s’y mélanger // par sa densité<br />
qu’il semblait avoir emprunté aux cloches, et comme côtelé de nervures par la<br />
palpitation // successive // de toutes le lignes de sa trame, vibrant audessus des<br />
herbes comme l’élytre de gaze // et le métal // d’une libellule invisible” (XII, 181).
312<br />
rappelait que c’était bien elle m’était alors plus chère, qu’un menton<br />
plus parfait chez une autre. [...]. Ce que nous aimons dans un pays<br />
comme dans une personne ce n’est pas sa beauté que d’autres<br />
peuvent égaler, éclipser, c’est son individualité. Quand je voulais que<br />
Maman vienne me dire bonsoir dans ma chambre, vous m’auriez<br />
envoyé une mère plus belle, plus intelligente et qui n’aurait pas été<br />
elle, même plus belle même plus intelligente cela ne m’eut fait aucun<br />
plaisir. Le défaut la petite fente qu’elle avait dans le menton, en me<br />
montrant que c’était bien elle m’était beaucoup plus agréable que le<br />
menton parfait d’une autre. Une rivière plus belle que la Vivette //<br />
mais qui ne serait pas elle // , // avec // de nymphéas plus éclatantes,<br />
je ne tiens pas du tout à aller la voir. Que ne donnerais-je pas pur<br />
retourner à Combray, et avec quelle émoti plaisir j’y retrouverais ces<br />
particularités dépourvues de beauté peut’être mais qui disent c’est<br />
bien là, l’endroit. Où le chemin diverge, la ferme unique en face des<br />
deux fermes, l’allée d’arbres qui mène à l’ancien Calvaire, rien que le<br />
nom de la station qui précède Combray, et qui est émouvant pour<br />
moi comme le nom de la rue où habite une femme aimée. Et si l’on<br />
veut y penser, dans la différence d’un endroit aimé et d’une femme<br />
aimée, qui sans cela se ressemblent tant et qui est [que] le paysage<br />
est attaché éternellement à la même place, ou plutôt qu’il est la place<br />
même git tout le problème toujours mal posé du voyage” (XII, 204-<br />
206).<br />
3) L’escalation manca<br />
Qui, lo rileva Quémar, esiste una corrispondenza d’amorosi<br />
sensi; non vige ancora la regola della “differenza” che alimenta<br />
l’escalation...<br />
Qui la “differenza” non ostacola ma accudisce l’unione...<br />
Qui sono il paese, la strada (côté de Gueramntes), la madre<br />
che si ama... che vengono amati; un paese, un côté, una madre più<br />
regolari/perfetti – addirittura più belli (più intelligenti: qui si tratta della<br />
madre) – sarebbero meno amabili.<br />
Il Narratore pone il problema del viaggio... Sappiamo gli sviluppi<br />
che avrà... Qui il viaggio va da un côté all’altro, dalla madre alla<br />
madre...<br />
Ma sappiamo che l’amore passa da un coté all’altro...<br />
“Tel était le Côté de Guermantes. Le Côté de Méséglise, tout<br />
en champs élevés audessus de la ville et étendus à l’infini a fait // à<br />
jamais // pour moi, des bleuets des coquelicots, de la fleur du
313<br />
pommier, de l’aubépine, quelque chose de bien différent des fleurs<br />
qu’une femme du monde ou un dilettante prétendent aimer, // et //<br />
dont il caractérisent d’un mot heureux la couleur singulière ou le<br />
parfum” (XII, 206).<br />
Un côté non è da meno dell’altro...<br />
Di nuovo la differenza; tra l’amato e il non amato; differenza non<br />
c’è – c’è solo passaggio, pulsazione – tra un côté e l’altro, tra la<br />
madre che dà la buona notte e quella che la nega...<br />
Quindi, solo pulsazione, palpitazione...<br />
Nella versione definitiva le due figure femminili – M lle Swann e<br />
Mm e de Guarmantes – sono prima sognate dal Narratore che se ne<br />
fa inevitabilmente un’immagine arbitraria; una “songerie” che<br />
favorisce la cristallizazione amorosa prelude al “coup de foudre”<br />
dell’incontro e la prepara. “Rien de cela au stade de nos inédits. Au<br />
Cahier IV, M lle Swann et la comtesse de Garmantes sont l’une et<br />
l’autre mentionnées pour la première fois au moment même de leur<br />
rentrée en scène. Pas la moindre rêverie antérieur de la part du<br />
protagoniste. Et de la part du romancier, pas la moindre préparation<br />
plus haut dans le texte. Contrevenant au mode de présentation<br />
auquel il recourra ultérieurement pour les ‘personnages importants’<br />
dans toute l’œuvre, <strong>Proust</strong> introduit ici les deux femmes dans la<br />
trame romanesque ‘de plain-pied et comme à [Tadié, p. 68],<br />
précisément parce qu’il improvise” (p. 271).<br />
Solo a partire dal Cahier XII comincerà quella “rêverie” intorno a<br />
M ll e Swann che si svilupperà nel testo definitivo.<br />
Quanto alla contessa, nel Cahier VIII il curato di Cobray l’ha<br />
menzionata come dama altera che ha rifiutato di riceverlo; ma il<br />
Narratore “na pas commencé encore de l’immaginer. Ni au Cahier IV<br />
ni au Cahier XII son apparition [di M me de Guermantes] n’entraîne<br />
donc de déception, et pas davantage celle de M lle Swann. Bien au<br />
contraire. C’est là une différence fondamentale par rapport au texte<br />
finale. [...]. De fait, c’est, dans les deux cas, toute la rencontre dans<br />
son déroulement, ainsi que la signification s’attachant aux deux<br />
femmes, qui distinguent nos versions de la rédaction définitive. [...].<br />
<strong>Proust</strong> reprende au Cahier XII, en le développant, le récit di Cahier<br />
IV, avec le schéma qui s’était imposé à lui à ce stade originel.<br />
D’abord une rencontre gratificante, puis une rencontre frustrante,<br />
mortificante; schéma exactement inverse de celui qu’il a retenu dans<br />
le texte imprimé. [...]. “à la différence de ce qui se produira dans le<br />
texte definitif, le coup de foudre se réalise ici, dès le Cahier IV, sous
314<br />
le signe du bonheur, c’est-à-dire de la réciprocité. 294 [...]. L’amour<br />
s’instaure donc dans le roman sous le signe de la fusion des coeurs<br />
et des pensées. Car c’est bien de cela qu’il s’agit ici” (pp. 273-277).<br />
Citiamo due passaggi: (1) “Un jour que nous étions partis ‘du<br />
coté de Villebon elle était justement à la porte du parc dans une<br />
petite robe capote rose, je ne pouvais pas m’empêcher de la<br />
regarder, elle me regardait aussi [...]. elle s’arrêta, continua à<br />
regarder, puis enfin se décida à s’en aller, et je voyais au loin la<br />
petite capote voile // entre les arbres [...]” (IV, 167). 295 (2) “Et dans les<br />
amours plus vastes et plus exigeants qui ont pour dessein une fusion<br />
des pensées, des volontés, le fait d’apercevoir qu’une jeune fille ne<br />
veut que ce que nous voulons, que nous tenons une // grande //<br />
place dans sa pensée tout cela peut entraîner comme<br />
rétroactivement l’amour qui se sera proposé cela pour but. Qu’on<br />
sente qu’elle dise ‘nous’ et notre cœur avide d’un cêur dans ce<br />
heures solitaires de la jeunesse ne peut se détacher de celle qui l’a<br />
mis contre le sien” (XII. 189).<br />
In quest’ultimo passaggio del Cahier XII un incontro tacito d’un<br />
cuore con un altro cuore: “rencontre purement sentimentale, sans<br />
nuance érotique. [...]. rien d’elle [de Mlle Swann] n’es perçu en de<br />
294 “Tel était le côté de ‘Garmates’ et ce que j’aimais dans ces lieux c’était comme<br />
toujours quand on aime, non pas leurs beautés, mais eux-mêmes” (p. 170). “[...] le<br />
jour où // perdu // après une longue journée d’automobile dans un pays que je ne<br />
connaissais pas, mon chauffeur me dit qu’en prenant la première route à droite on<br />
arriverait [à] Garmantes, ce fu absolument comme s’il me disait qu’en prenant le<br />
premir chamin à gauche en tournant de deuxième à droite je tomberais droit sur<br />
ma jeneusse ou sur mon premier amour. Au reste n’en est-il pas un peu ainsi<br />
chaque fois que se présente le paradoxe d’un idéal réalisé, d’une chose qui n’a été<br />
connue que par l’imagination et qui par une volte face soudaine tombe sous les<br />
yeux, chaque fois qu’il faut se dire devant une ville c’est Venise, devant un<br />
Monsieur qui se promène c’est Victor Hugo, devant un lavoir, // ce sont les Sources<br />
du Loir” (IV, 172) = “[...] suivez la route pendant dix minutes, la seconde avenue de<br />
chênes à gauche vous tomberez sur Guermantes, c’a été comme s’il m’avait dit,<br />
continuez tout droit la première à gauche et vous avez à droite votre passé, votre<br />
jeunesse: vous allez toucher l’intangible, vous allez atteindre aux inaccessibles<br />
lointains dont on ne connaît jamais sur terre que la direction, ‘le côté’ (XII, p. 178).<br />
295 “M lle Swann vit mon oncle mon grand père, mais moi elle ne se contenta pas de<br />
me voir, elle me regarda. Ses cils se plissèrent légèrement comme sous l’effort<br />
d’une attention profonde et dissimulée les deux petites fleurs de myosotis<br />
semblèrent sortir légèrement des paupières, // me // toucher et entrer vite pour<br />
qu’on ne remarquat pas leur mouvement. Mais rentrées à leur place habituelle et<br />
ne semblant plus me voir que comme mon grand père, mon oncle et le chemin,<br />
elles restèrent fixés sur moi pendant tout le temps que nous montions en quelque<br />
sorte vers elle, quoique de l’autre côté de la haie, avec un persistance sans trêve,<br />
dans une immobilité qui me troublait infinement” (XII, 187).
315<br />
hors de sa figure: rien de son corps. [...]. Seul est vu le visage, donc,<br />
et dans ce visage, nulle allusion encore eu teint, à la carnation” (p.<br />
277).<br />
È solo nella seconda versione del Cahier XII che la visione<br />
dell’amata si tingerà di erotismo...<br />
Quémar parla di un “apax”; potremmo dire di un “inaudito” (o<br />
udito una sola volta): “Ce ne sera plus la pure extase sentimentale, la<br />
grave et mutielle effusion des deux versions précedentes, effusion<br />
d’autant plus remarquable qu’elle est quasiment un hapax dans le<br />
contexte de la Recherche” (p. 279).<br />
4) Il senso del souvenir<br />
Riprendiamo dai Cahier: “mais une réalité qui s’impose à moi<br />
avec tant de charme que la vue de la petite flamme de toile rouge<br />
d’un coquelicot // hissée en haut de son cordage vert et // claquant<br />
au vent // contre la bouée noire et graisseuse // sur un talus, me fait<br />
battre le cœur, avec tant de mystère ainsi que je cours encore //<br />
comme quand j’étais petit // si // je suis sur qu’on ne me voit pas<br />
quand j’aperçois un pommier en fleurs, et reste à dégager de ses<br />
beaux pétales que je reconnaîtrais entre tous ce qui peut en eux<br />
solliciter aver cette force mon amour et mon étude. <strong>Su</strong>r ces pétales il<br />
y a comme une petite épaisseur // invisible // impalpabile // et qui<br />
offre une douce résistance à mon regard avant qu’il arrive jusqu’à la<br />
blancheur charnue des pétales; // elle est probablement faite de tous<br />
les regards que j’ai fixés sur eux autrefois et que mon regard<br />
d’aujourd’hui est obligé de retraverser pour arriver jusqu’à la fleur;<br />
ces fleurs là ce n’est pas une fantasie esthétique qui me les fait<br />
aimer, elles s’imposent à moi de toute la puissance d’un passé que<br />
je ne suis pas libre de changer” (XII, 206-207)<br />
Si parlava prima di una pulsazione tra côté dell’universo;<br />
l’importanza dei côté deriva dalla loro storia (che precede e segue la<br />
vita del Narratore come quella di tutti).<br />
In Déguisements du moi et art fragmentaire, Leo Bersani<br />
sostiene che il ruolo cruciale dei ricordi involontari 296 è legato alla loro<br />
296 Claudine Quémar in <strong>Su</strong>r deux versions anciennes des “côtés” de Combray<br />
(Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 7. Études proustiennes II, Gallimard, Paris, 1975, pp. 217-<br />
118) a proposito di Cahier I envers, f° s 71 V°-57 V° e CSB 61-73: si tratta di un<br />
“ensemble suivi assez complexe” perché <strong>Proust</strong> l’ha molto “remanié et augmenté”.<br />
Si tratta di una messa a punto a partire da esquisse diverse contenute nei primi<br />
cinque cahier e destinate al CSB narrativo. All’inizio questi “marceaux” erano stati
316<br />
“signification estrêmement modeste” (31): “Or ces souvenirs ne<br />
créent rien; sans eux, la narrateur n’aurait sans doute jamais eu<br />
conscience de cette essence extra-temporelle que la mémoire<br />
involontarie dégage d’une sensation présente et d’une sensation<br />
passée, mais cette essence n’en est pas moins une verité qui<br />
concerne l’histoire des sensations de <strong>Marcel</strong> et ne contient en ellemême<br />
rien qui puisse inspirer un avenir. L’intérêt réel des essences<br />
liberées par les souvenirs involontaires est qu’elles rendent<br />
impossibile tuote formulation définitive du moi” (51)<br />
“Certes, la mémoire involontarie, dans la mesure où elle offre<br />
des preuves d’‘un moi individuel, identique et permanent’, apaise la<br />
crainte de la discontinuité psychologique chez <strong>Marcel</strong>. Mais elle fait<br />
plus; elle démolit toute tentative de fixer le moi dans une totalité<br />
stable en montrant combien toute définition de soi-même est<br />
instable” (52). “Donc, l’essence libérée par un souvenir involontarie<br />
est, d’abord, personnelle: elle n’est pas dans les choses, elle est<br />
dans les analogies ou les identités particulières que l’appareil<br />
sensoriel de <strong>Marcel</strong> établit entre sensations. Il ne s’agit pas non plus<br />
de l’essence de la personnalité; il est plutôt question d’une qualité de<br />
sensation commune à deux moments de sa vie. Enfin, les souvenirs<br />
involontarires de <strong>Marcel</strong> mettent en doute certaines façons<br />
habituelles de définir le passé; il suggèrent des nouvelles<br />
dispositions des divers éléments dans un épisode ou dans un cadre<br />
du passé. Ainsi ces souvenirs autorisent la notion d’une personnalité<br />
jamais ‘finie’, toujours ouverte – notion sous-jacente à une écriture<br />
constamment en train de recréer, d’improviser le moi” (53). “Être<br />
l’artiste de sa propre vie suppose la possibilité de vivre selon certains<br />
styles au lieu de certaines obsessions – c’est-à-dire la possibilité de<br />
se répéter dans une variété divertissante de paroles, de gestes,<br />
d’actions” (65).<br />
redatti nella prospettiva di un prologo ad una versione narrativa del SB (alla quale<br />
verosimilmente <strong>Proust</strong> pensava quando cominciò a riempire i cahier, nel 1908).<br />
All’inizio si trattava di evocare le ore vissute, prima e dopo lo spuntare del giorno,<br />
nell’attesa di una conversazione mattutina “avec Maman” su Sainte-Beuve. Poi si<br />
sono aggiunti dei frammenti su dei ricordi subentrati nel corso di insonnie, in un<br />
tempo anteriore a quello di questa matinée. Allora <strong>Proust</strong> sembra essere scivolato<br />
verso “une utilisation nouvelle de cette matinée” che “si sostituisce à l’utilisation qui<br />
lui avait d’abord été assignée” (Maurice Bardèche, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> romancier, Paris,<br />
1971, I, p. 211): il Sainte-Beuve narrativo è abbandonato e quel che era destinato<br />
al suo prologo darà nascita all’“ouverture” di Swann.
317<br />
5) Di nuovo il drame du coucher (e la non escalation e il<br />
souvenir)<br />
Torniamo al “drame”: “Elles continuent // dans le champs la<br />
minute qui est terminée dans ma vie. Elles sont en dehors de moi la<br />
seule chose qui soit à la même profondeur que le passé qui est dans<br />
mon cœur. // Par là elles n’ont pas seulement pour moi la beauté de<br />
la nature, elles en ont l’existence vraiment réelle. Indépendante de<br />
notre caprice d’aujourd’hui, à laquelle il faut nous plier et qui ne se<br />
plie pas à nous” (XII, 207).<br />
Il profondo del cuore e il dehors – il fuori di me – sono due<br />
côté...<br />
Da qui la portata non “estetica” del ricordo... Esso rappresenta il<br />
passaggio tra i due côté...<br />
“[...]. On me dannerait des pays immenses où il n’y aurait ni<br />
coquelicots, ni bleuets, ni pommiers, ni aubépines, // je n’en voudrais<br />
pas, // je ne me sentirais pas dans la nature. Le Côté de Guermates<br />
a fixé à jamais de traits différents mais aussi nécessaires une autre<br />
partie de ce qui est pour moi l’image du bonheur. // Si // Je ne peux<br />
plus concevoir la nature sans aubépines, je ne peux plus non plus la<br />
concevoir sans rivière. Une des // rares // plaisirs que j’espère encore<br />
goûter et qui fuyant toujours devant moi me redonnent pourtant par<br />
leurs signaux enchantés la force de continuer encore ma route, c’est<br />
de retourner un jour // dîner // à ce petit restaurant sur la Vivette. Ce<br />
n’est pas un restaurant sur une autre rivière que je voudrais, je<br />
voudrais partir à la même heure de la ville laborieuse, en cariole. Il<br />
me semble que c’est // seulement // en replicant exactement le<br />
présent sur le passé, en faisant passer // exactement // le lignes<br />
d’aujourd’hui par tous le points d’autrefois que je peux espérer une<br />
coïncidence parfaite et vraiment heureuse” (ibidem).<br />
Passato e presente = due côté di cui si è temuto che non<br />
comunicassero e invece comunicano...<br />
Il “viaggio” è viaggio da un côté all’altro...<br />
Saltiamo due pagine circa: “[...] Madame de Guermantes m’a<br />
vu, s’est informée de mon nom, elle s’est repentie de sa raillerie. Elle<br />
m’aimera, elle a voulu m’envoyer une dépêche, c’est elle qui passe<br />
en ce moment, elle sera à Combray avant nous, voici ce qu’elle me<br />
dira [...]” (XII, 209).<br />
Mentre M lle Gilbert lo ha fissato innamorata, M me de<br />
Guermantes ha allontanato lo sguardo da lui (ha gettato verso di lui<br />
“un regard dédaigneux”, XII, 203)...
318<br />
Il viaggio da un côté all’altro comporta il passaggio dallo<br />
sguardo “fixé” a quello “dédaigneux” e viceversa...<br />
Comporta la possibilità che, invece di arrivare noi in ritardo a<br />
casa e perdere, di conseguenza, il bacio di Maman, miracolo,<br />
miracolo!, sia M me de Guermant che ci preceda (“elle sera à Combray<br />
avant nous”)!<br />
5) Il punctum dolens<br />
È a questo punto che più di un anno fa ho interrotto la lettura di<br />
<strong>Proust</strong> (e la scrittura su <strong>Proust</strong>).<br />
Chissà, forse perché esausto: avevo letto in media una decina<br />
e più di ore al giorno.<br />
Ma, forse, perché Leo Bersani, nel suo Déguisements du moi et<br />
art fragmentaire, mi aveva colpito al cuore. Un veloce richiamo: il<br />
ruolo cruciale dei ricordi involontari 297 è legato alla loro “signification<br />
estrêmement modeste” (31): “Or ces souvenirs ne créent rien; sans<br />
eux, la narrateur n’aurait sans doute jamais eu conscience de cette<br />
essence extra-temporelle que la mémoire involontarie dégage d’une<br />
sensation présente et d’une sensation passée, mais cette essence<br />
n’en est pas moins une verité qui concerne l’histoire des sensations<br />
de <strong>Marcel</strong> et ne contient en elle-même rien qui puisse inspirer un<br />
avenir. L’intérêt réel des essences liberées par les souvenirs<br />
involontaires est qu’elles rendent impossibile tuote formulation<br />
définitive du moi” (51).<br />
E come potrebbe essere diversamente se all’accesso<br />
all’intemporel è accesso all’acategoriale?<br />
297 Claudine Quémar in <strong>Su</strong>r deux versions anciennes des “côtés” de Combray<br />
(Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 7. Études proustiennes II, Gallimard, Paris, 1975, pp. 217-<br />
118) a proposito di Cahier I envers, f° s 71 V°-57 V° e CSB 61-73: si tratta di un<br />
“ensemble suivi assez complexe” perché <strong>Proust</strong> l’ha molto “remanié et augmenté”.<br />
Si tratta di una messa a punto a partire da esquisse diverse contenute nei primi<br />
cinque cahier e destinate al CSB narrativo. All’inizio questi “marceaux” erano stati<br />
redatti nella prospettiva di un prologo ad una versione narrativa del SB (alla quale<br />
verosimilmente <strong>Proust</strong> pensava quando cominciò a riempire i cahier, nel 1908).<br />
All’inizio si trattava di evocare le ore vissute, prima e dopo lo spuntare del giorno,<br />
nell’attesa di una conversazione mattutina “avec Maman” su Sainte-Beuve. Poi si<br />
sono aggiunti dei frammenti su dei ricordi subentrati nel corso di insonnie, in un<br />
tempo anteriore a quello di questa matinée. Allora <strong>Proust</strong> sembra essere scivolato<br />
verso “une utilisation nouvelle de cette matinée” che “si sostituisce à l’utilisation qui<br />
lui avait d’abord été assignée” (Maurice Bardèche, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> romancier, Paris,<br />
1971, I, p. 211): il Sainte-Beuve narrativo è abbandonato e quel che era destinato<br />
al suo prologo darà nascita all’“ouverture” di Swann.
319<br />
Di questo accesso si può – <strong>Proust</strong> può – descrivere la<br />
fenomenologia; ma, da un certo momento in poi, incomincia una terra<br />
incognita che incognita deve e non può non restare.<br />
Leggo nel bellissimo testo di Luc Fraisse (L’œuvre cathédrale,<br />
op. cit.) la parte dedicata ai “cloches” (pp. 154-188) e, in particolare,<br />
quella intitolata Le clochers et le temps retrouvé – Jouy-le-Vicompte<br />
vu du clocher.<br />
Fraisse considera il “clocher” di Combray “le principe<br />
ordonnateur du petit monde de l’enfance. Comme plus généralement<br />
l’église, le chocher sert au romancier de point d’ancrage” (168; il<br />
corsivo è dell’autore)...<br />
Ecco, in questione è l’esistenza di un principio ordinatore.<br />
Una possibilità è che questo principio ordinatore governi il<br />
percorso verso l’innefabile; e verso la pronuncia di questo ineffabile.<br />
E che qui si fermi, perché qui comincia, quasi fatiche di Sisifo, l’opera<br />
non derisoriamente ma novellamente, sempre novellamente ripresa.<br />
Qui, forse, lo splendido perché, della Recherche, siano stati<br />
composti contemporaneamente l’inizio e la fine.<br />
Sì, lo sappiamo, <strong>Proust</strong> difende la sua “costruzione”... Ed ha le<br />
sue buone ragioni per farlo. Ma la sua cosrruzione, quando approda,<br />
approda all’in-costruibile; il fari l’in-effabile (l’in-volonario) produce<br />
una fuoriuscita dall’in-effabile che solo al lettore si presenta come un<br />
fatum che schiude l’in-effabile. Secondo quel circuito che la lettura di<br />
Kafka ci ha insegnato. Kafka dice l’in-fanzia in modo<br />
straordinariamente categorizzato. Ma la lettura di Kafka, se non<br />
introduce nell’in-effabile, non ha senso... almeno per noi.<br />
Interessante che sia Kafka che <strong>Proust</strong> abbiano cercato di far<br />
bruciare almeno una parte della loro opera. In compenso <strong>Proust</strong><br />
sembra che sia stato attaccatissimo ai suoi manoscritti. Quasi nella<br />
speranza che una novella figlia pentita di Venteuil, in sede postuma,<br />
potesse interpretarli e dar loro la loro forma definitiva.<br />
Io penso che, soggiacente all’incessante riscrittura della sua<br />
opera, ci sia, acuto, in <strong>Proust</strong>, il sentimento della sua interminabilità.<br />
Interminabilità non come difetto = incapacità di approdare, ma come<br />
senso profondo = è proprio l’in-terminabile, il senza termine, che si<br />
può, forse, dire...<br />
E che <strong>Proust</strong> dice.<br />
Prendiamo Fraisse perché nel corso del suo tentativo di<br />
dimostrare il “compimento” dell’opera (della cattedrale) fino alla<br />
perfezione, si imbatte in materiale che suggerisce anche l’imperfezione<br />
come potenzialità in-effabile.
320<br />
Il “clocher” di Combray “s’offrira comme l’élelement fixe qui<br />
permet de rattacher l’univers nouveau de cette fin de roman à<br />
l’univers ancien de Swann” (p. 169).<br />
“Element fixe”!<br />
“Rattacher”!<br />
Qui Fraisse cita dal cahier 73 (1915): “Et, comme les carnets où<br />
un chimiste de génie aurait tracé des découvertes qui auraient pu<br />
rester à jamais ignorées, elle [la figlia di Venteuil] avait exhumé de<br />
ces papiers épars et illisibles la formule de cette flamme écarlate, de<br />
cette joie inconnue, de cette mystique espérance de l’ange du matin,<br />
et des frêles cahiers retrouvés, des indications elliptiques à demi<br />
effacées, elle avait fait surgir, solide comme l’airain des cloches de<br />
Combray et les pierres du clocher et de la place ruisselants de soleil<br />
comme je les apercevais de mon lit, la titubation de leurs volées et le<br />
débordement de leur joie” (C14, ES XIII, P, 1147).<br />
Sì, possiamo pensare che <strong>Proust</strong>, nonostante tutto, cercasse la<br />
“formula”. Ma il suo lascito è l’assenza di formule.<br />
Secondo Fraisse, invece, “le clocher de l’église Saint-Hilaire<br />
survient sous sa plume comme une chernière rattachant solidement<br />
au vieux fonds du roman les excroissances tardives” (169).<br />
Fraisse cita sia il carnet I: “Un clocher s’il est insaisissable<br />
pendant des jours a plus de valeur qu’une théorie complète du<br />
monde” (CI, NV 474, TR, 1268) e la lettera a Bibesco del 19 aprile<br />
1903: “comme en tout cas un clocher se suffit à soi-même” (CORR,<br />
III, 305); ma non ne conclude che l’inafferrabilità supera la<br />
completezza, tutt’altro; secondo Fraisse queste riflessioni le<br />
ritroviamo in Du côté de chez Swann, a proposito della chiesa Saint-<br />
Hilaire: “Et sans doute, toute une partie de l’église qu’on apercevait la<br />
distinguait de tout autre édifice, par une sorte de pensée qui lui était<br />
infuse, mais c’était dans son clocher qu’elle semblait prendre<br />
conscience d’elle-même. Affirmer une existence individuelle, et<br />
responsabile. C’était lui qui parlait pour elle” (SW, 64).<br />
Forse si può concludere: “le clocher semble donc livrer<br />
l’essence même de tout travail de la mémoire sur le temps” (Fraisse,<br />
172...) Ma il problema resta se l’essenza sia o no racchiudibile in una<br />
formulazione “fixe”!<br />
Ma veniamo a Jouy-le-Vicomte.<br />
Fraisse: “[...] il s’agit de reconnaître les symboles dans tous ces<br />
clochers qui ornent les paysages, tant citadins que champêtres, du<br />
roman proustien. En premier lieu chez <strong>Proust</strong>, le clocher semble<br />
devoir figurer surtout le regard particulier du créateur, le processus<br />
de la création rapporté au sens de la vue. C’est un écrivain au cœur
321<br />
de la modernité qui fait prononcer à son curé de village l’éloge des<br />
paysages fragmentés: ‘Mais ce qui est incontestablement le plus<br />
curieux dans notre église, c’est le point de vu qu’on a du clocher qui<br />
est grandiose [...]. <strong>Su</strong>rtout on embrasse à la fois des choses qu’on<br />
ne peut voir habituellement que l’une sans l’autre, comme le cours de<br />
la Vivonne et les fossés de Saint-Assise-lès-Combray dont elle est<br />
séparée par un rideau de grands arbres, ou encore comme les<br />
différents canaux de Jouy-le-Vicomte. [...]. Chaque fois que je suis<br />
allé à Jouy-le-Vicomte, j’ai bien vu un bout de canal, puis quand<br />
j’avais tourné une rue, j’en voyais un autre, mais alors je ne voyais<br />
plus le précédent. J’avais beau les mettre ensemble par la pensée,<br />
cela ne me faisait pas un grand effet. Du clocher de Saint-Hilaire<br />
c’est autre chose, c’est tout un réseau où la localité est prise.<br />
Seulement on ne distingue pas d’eau, on dirait de grandes fentes qui<br />
coupent si bien la ville en quartiers, qu’elle est comme une brioche<br />
dont les morceaux tiennent ensemble, mais son dèjà découpés. Il<br />
faudrait, pour bien faire, être à la fois dans le clocher de Saint-Hilaire<br />
et à Jouy-le-Vicomte’” (SW, 105-106).<br />
Ma come essere “à la fois” qui e là?<br />
Come avere l’ubiquità!<br />
Impossibile, lo sappiamo. E lo sa anche <strong>Proust</strong>: “on embrasse à<br />
la fois des choses qu’on ne peut voir habituellement que l’une sans<br />
l’autre”. E sappiamo la forza che ha, in <strong>Proust</strong>, l’Abitudine, con la<br />
lettera maiuscola.<br />
È chiaro, la memoria “in-volontaria”, vulnera l’abitudine. Ma, se<br />
va bene, non sostituire ad essa un’altra abitudine. La “toglie”<br />
hegelianamente, ma, non hegelianamente, “toglie in sposa” l’averla<br />
tolta.<br />
Fraisse, invece: “Le point de vue morcelé mais globale, que l’on<br />
a du clocher sur Jouy-le-Vicomte, est la réplique inversée des<br />
fragments de clocher que l’on aperçoit en parcourant le rues situées<br />
derrière l’abside. La ressamblance entre ces deux perceptions<br />
contraires est le découpage en moraceau; la différence est que vu<br />
des rue et d’en bas, le clocher n’apparaît que moraceau par<br />
moraceau, quand vu du clocher, le village de Jouy-le-Vicomte s’offre<br />
comme une totalisation de morceaux” (174-175).<br />
Fermiamoci un momento solo per sottolineare questa<br />
“totalisation de morceaux”. Ma <strong>Proust</strong> non ha appena segnalato:<br />
“seulement on ne distingue pas d’eau”? Non ha appena parlato di<br />
“grandes fentes”? Di una brioche “dont les morceaux tiennent<br />
ensemble, mais son dèjà découpés”?<br />
Da dove quella “totalisation”?
322<br />
“On retire, de ce point de vue panoramique et morcelé,<br />
l’impression que la fragmentation chez <strong>Proust</strong> garde une valeur<br />
positive et même créatrice; c’est pourquoi nous avons dégagé bien<br />
des significations esthetiques du thème de Jouy-le-Vicomte [...].<br />
Clocher morcelé dans les rues, clocher morcelant le village: ne<br />
serait-ce pas la figuration successive du temps perdu et du temps<br />
retrouvé, régis par la même loi, mais à une échelle simplement<br />
différente? Ainsi, la même vie du héros, la même église construite<br />
par le narrateur, serair le temps perdu, parcourue d’étape en étape,<br />
visitée chapelle après chapelle, puis le temps retrouvé, une fois<br />
aperçus tous les morceaux côté à côté, une fois dessiné le plan<br />
d’ensemble qui composent le temps perdu. Les parties composantes<br />
demeurent les mêmes, et pourtant apparaissent différemment, quand<br />
on en fait un parcours analytique, ou quand on en prend une vue<br />
syntétique. Celui qui aperçoit des fragments de clocher rue après<br />
rue, voilà le héros dans le temps perdu; celui qui réunit les<br />
moraceaux depuis le clocher, voilà le narrateur dans le temps<br />
retrouvé. Ainsi, le contrepoint de ces deux prises de vue, du clocher<br />
à partir des rues, du village à partir du clocher, juxtaposerait<br />
symboliquement et les étapes de la vocation et les voix narratives<br />
dans la Recherche” (p. 175).<br />
Teniamo conto che il finale del lavoro di Fraisse, che si<br />
concentra sulla “chiave di volta” – conclusione del capitolo “Voute” –,<br />
è al massimo aperto: “[...] la clé de voûte existe, c’est une pierre<br />
angulaire, fondation instable et suspendue dans les airs; c’est, à<br />
l’image d’Albertine, une insaisissable pierre de fuite” (op. cit., il<br />
corsivo è dell’autore).<br />
In ogni caso, Luc Fraisse è forse l’autore più convincente...<br />
Quasi convincente! 298<br />
298 Fraisse torna sull’episodio segnalando un divertente pendant – o contro-altare –<br />
in La fugitive nel soggiorno veneziano: “Ma gondole suivait les petits canaux;<br />
comme la main mystérieuse d’un génie qui m’aurait conduit dans les détours de<br />
cette ville d’Orient, ils semblaient, au fur et à mesure que j’avançais, me pratiquer<br />
un chemin creusé en plein cœur d’un quartier qu’ils divisaient en écartant à peine,<br />
d’un mince sillon arbitrairement tracé, les hautes maisons aux petites fenêtres<br />
mauresques. [...]. On sentait qu’entre les peuvres demeures que le petit canal<br />
venait de séparer, et qui eussent sans cela formé un tout compact, aucune place<br />
n’avait été réservée” (627). E commenta: “Le village vu des rues, c’est la vision<br />
fragmentaire et analytique du temps perdu; aperçu du clocher, c’est le panorma<br />
synthétique du temps retrouvé. Il n’est pas étonnant qu’à Venise, le héros ne<br />
reproduise que la première moitié de l’expérience à Jouy-le-Vicomte, puisque La<br />
fugitive appartient à l’étape centrale de la vocation, l’âge des mots, âge positif où<br />
les croyances sont révolues, en attente des révélations finales. Venise vue du<br />
clocher, ce sera le souvenir transfiguré de la cité des doges, durant la dernière
323<br />
In effetti, è proprio così: “Point d’irradiation des épisodes, point<br />
au contraire de convergence pour le héros, le clocher entre aussi,<br />
très tôt et de plus en plus, grâce à ce rythme ample de diastyoles et<br />
de systoles, en dialogue avec tout le roman; tout reflue du clocher, et<br />
tout afflue vers lui. En sorte que tout dans la Recherche – mais on le<br />
comprend très tard – porrait répondre à ce titre de comédie cité par<br />
<strong>Proust</strong> en 1917: Course au clocher” (Fraisse, 188, cita da una lettera<br />
a Lionel Hausser del 1 luglio 119117, CORR, XVI, 177).<br />
Incoraggiamo il lettore a meditare tutte le pagine su “cloches” e<br />
“clocher”.<br />
Ma ritorniamo al Carnet de 1908: “Ce qui se présente ainsi<br />
obscurément au fond de la conscience, avant de le réaliser en<br />
œuvre, avant de le faire sortir du de hors, il faut lui faire traverser une<br />
région intermédiaire entre notre moi obscure, et l’extérieur, notre<br />
intelligence, mais comment l’ammener jusqu’là, comment le saisir?<br />
On peut rester des heures à tacher de se répeter l’impression<br />
première, le signe insaisissable qui était sur elle et qui disait:<br />
approfondis-moi, sans s’en approcher, sans le faire venir à soi. Et<br />
pourtanti c’est tout l’art, c’est le seul art. Seul mérite d’être exprimé<br />
ce qui est appartenu dans les profondeurs et habituellement sauf<br />
dans l’illumimation d’un éclair, ou par des temps exceptionellement<br />
clairs, animants, ces profondeurs sont obscure. Cette profondeur,<br />
cette inaccessibilité pour nous-même est la seule marque de la<br />
valeur – ainsi peut-être qu’une certaine joie. Peu importe de quoi il<br />
sagit. Un clocher s’il est insaisissable pendant des jours a plus de<br />
valeur qu’une théorie complète du monde” (102).<br />
“Habituellement sauf dans l’illumimation d’un éclair”. Di nuovo<br />
l’abitudine. Che insegna (historia magistra vitae!) che l’illuminazione<br />
avviene in un “éclair”. Ci ritroviamo con la “tache non facile” di<br />
trascinare nel categoriale “le bloc obscur, non defini” (il non<br />
categoriale) del sonno.<br />
7) Heures conservées dans la mémoire, enserrées dans la<br />
mémoire en vue de ce beau sacrifice<br />
La lettura combinata di Girard e di Kafka mi ha condotto alla<br />
seguente conclusione: il sacrificio, nel caso dellʼe-ducazione, è<br />
sacrificio dellʼac-ategoriale a favore delle categorie. Nellʼattacco<br />
matinée du roman. Cette vision synthétique, les quartiers du vitrail sertis dans les<br />
plombs la préfiguraient secrètement, dès la première description de l’église à<br />
Combray” (op. cit., p. 524).
324<br />
psicotico, è sacrificio delle categorie in favore dellʼacategoriale.<br />
Problema: come compiere questi due sacrifici, che sono<br />
inevitabili, in modo che lʼeducazione non estirpi lʼin-fanzia<br />
(trasformandola in in-effabile/in-effato) e che la crisi psicotica non<br />
estirpi la parola (soprattutto, non la trasformi in delirio, in fatum<br />
delirante)?<br />
Sappiamo che il sacrificio è figura centrale in Girard. Lo è anche<br />
in Kafka. Ad ogni piè sospinto abbiamo incontrato lʼOpfer.<br />
Nel Cahier 57, del 1911, anche <strong>Proust</strong> ci parla, ripetutamente di<br />
questo sacrificio. In che cosa esso consiste?<br />
Citiamo due passi di un brano che riportiamo per intero in nota:<br />
“[...] heures conservées dans la mémoire, enserrées dans la<br />
mémoire en vue de ce beau sacrifice et dʼoù nous les tirerions [...]<br />
pour offrir à une idée la forme dʼ < une > épithète, entre les journées<br />
dʼautrefois qui sont restées particulièrement belles qui sont dans<br />
notre souvenir. Une fin dʼaprès-midi lumineuse dans une église de<br />
campagne devientrait un adjectif, une promenade lʼhiver en forêt en<br />
donnerait peut-être une autre, afin du sacrifice de tous ces beaux<br />
jours dʼautrefois de tirer une goutte de parfum. Quant à ces minutes<br />
de particulière”. 299<br />
Sembra evidente; dalla realtà categorizzata viene distillato un<br />
epiteto, un aggettivo che sostituiscono, nella celebrazione di un vero<br />
e proprio sacrificio, quella realtà. Ma lʼepiteto, lʼaggettivo, sono già<br />
una nuova realtà categorizzata. Sono lʼopera di <strong>Proust</strong>.<br />
Blanchot ci ha spesso spiegato perché e come la scrittura<br />
299 Cahier 57, Esquisse, XXIV, in Le temps retrouvé, a cura di Tadié, Gallimard, Parigi,<br />
1989, p. 827: “Cette vérité, de la plus poétique à celle qui nʼest que psychologique, il<br />
faudrait que ce qui lʼexprime – langage, personnage, action – fût en quelque sorte<br />
entièrement choisi et créé par elle, de façon à lui ressembler entièrement, à ce<br />
quʼaucune parole étrangère ne la dénaturât. Je nʼaurais voulu, si jʼavais été un écrivain,<br />
nʼy employer comme matière que ce qui dans ma vie mʼavait donné la sensation de la<br />
réalité et non du mensonge. Pour le vêtement des plus poétiques il serait fait comme<br />
les robes dʼaurore etc., comme entre les robes couleur du temps de la substance<br />
transperente des heures les plus belles, dont nous avons gardé le souvenir, de < telle ><br />
matinée dʼautomne, de telle fin dʼaprès-midi dʼété où une chose nous apparut, < où ><br />
nous vîmes tout dʼun coup engendrées par elles deux, une réalité poétique et complète,<br />
moment vraiment musicaux, heures conservées dans la mémoire, enserrées dans la<br />
mémoire en vue de ce beau sacrifice et dʼoù nous les tirerions pour fournir – parfois<br />
plusieurs seraient nécessaires – vérifier pou cela – pour offrir à une idée la forme dʼ <<br />
une > épithète, entre les journées dʼautrefois qui sont restées particulièrement belles<br />
qui sont dans notre souvenir. Une fin dʼaprès-midi lumineuse dans une église de<br />
campagne devientrait un adjectif, une promenade lʼhiver en forêt en donnerait peut-être<br />
une autre, afin du sacrifice de tous ces beaux jours dʼautrefois de tirer une goutte de<br />
parfum. Quant à ces minutes de particulière allégresse où nous sentîmes tout dʼun<br />
coup en une chose les qualités, lʼessence incarnée dʼune autre, elles nous fourniraient<br />
ce qui en est lʼéquivalent dans le langage, une métaphore”.
325<br />
uccida; anche se per far vivere... La cosa non è molto semplice. Si<br />
tratta, come pensiamo faccia Kafka, di rimanere sulla soglia, tra ca-<br />
categoriale e categoriale. E, in sortite avventurose, di a-categorizzare<br />
il già categorizzato, e categorizzare le deiecta membra<br />
“novellamente” (da “buona novella”)... e così di seguito...<br />
Lʼadjectif nel quale una chiesa perirà e risorgerà, sarà lʼepiteto<br />
“momentané”. In un passo del Cahier 28 <strong>Proust</strong> dà il seguente<br />
esempio pratico dʼimpressionismo letterario: “quand dans un tableau<br />
de Turner représentant un monument pour parler de lʼimportance de<br />
lʼeffet de lumière je dis que le monument apparaît momentané”. 300 290<br />
Così, lʼeroe osserva nella chiesa Saint-Hilaire “un sourire momentané<br />
de soleil”, o ancora, “des flocons [...] plutôt posés là momentanément<br />
par une lueur du dehors prête à sʼévanuir que par de coulers à<br />
jamais attachées à la pierre”: 301 il narratore, tout à coup, colloca il<br />
monumento di Combray nella luce provvisoria e cangevole dʼuna<br />
prospettiva impressionistica (e questa “sacrifica” la realtà del<br />
monumento).<br />
A proposito di “sacrificio” ricordiamo due passi di La parte dei<br />
Guermantes dedicate alla Berma, illusioni e delusioni e ri-illusioni: “E<br />
non fu senza malinconia che constatai in me tanta indifferenza per<br />
qualcosa cui, un tempo, avevo sacrificato la salute, il riposo (in<br />
francese: à ce que jadis j’avais préféré à la santé, au repos). Non<br />
che il mio desiderio di poter contemplare da vicino le preziose<br />
molecole di realtà intraviste con l’immaginazione fosse meno<br />
appassionato d’allora. Ma l’immaginazione non le situava più, ora,<br />
nello stile di una grande attrice; a partire dalle mie visite a Elstir, era<br />
su certi arazzi, su certi quadri moderni che avevo trasferito (reporté)<br />
la fede interiore nutrita un tempo per la recitazione, per l’arte tragica<br />
della Berma; dal momento che la mia fede, il mio desiderio non<br />
tributavano più alla dizione e ai gesti della Berma un culto incessante<br />
(un culte incessant), il ‘doppio’ di essi ch’io serbavo nel cuore era a<br />
poco a poco deperito (avait dépéri peu à peu), come quei ‘doppi’ dei<br />
trapassati (des trépassés) dell’antico Egitto che bisognava nutrire di<br />
continuo per mantenerli in vita. L’arte della Berma era diventata<br />
gracile e pietosa. Non era più abitata da un’anima profonda. [...]. la<br />
‘Scena della Dichiarazione’, la Brema vivevano allora, ai miei occhi,<br />
di una sorta d’esistenza assoluta (une sorte d’existence absolue).<br />
Avulse dal mondo dell’esperienza corrente, esistevano in sé e per<br />
sé, toccava a me avvicinarle per penetrarne quel che avessi potuto e<br />
300<br />
Cahier 28, Esquisse XXIV, in Le temps retrouvé, op. cit., p. 1407, nota a p. 818, p.<br />
1407.<br />
301<br />
Du côté de Chez Swann, Gallimard, Parigi, 1987, p. 60.
326<br />
certo, pur spalancando gli occhi e l’anima, non ne avrei assorbito che<br />
una minima parte. Ma come mi sembrava piacevole, la vita! Che poi<br />
quella ch’io stesso conducevo fosse insignificante, non aveva<br />
importanza, non più dei momenti in cui ci si veste, ci si prepara per<br />
uscire, perché al di là di essa esistevano in assoluto, avvicinabili solo<br />
con difficoltà, irriducibile a un possesso totale, quelle realtà più<br />
concrete; Phèdre, lo stile della Berma. [...]. C’era stato un momento<br />
in cui, malato, avrei avvertito la necessità di andare a sentire la<br />
Berma quand’anche avessi creduto di dover morire (même si j’avais<br />
cru en murir). [...]. Ne provavo [della perdita dell’assoluto] uno<br />
scoramento tanto più profondo in quanto, se l’oggetto del mio<br />
ostinato e attivo desiderio non esisteva più (n’existait plus).<br />
persistevano in compenso le medesime disposizioni a una qualche<br />
elaborazione fantastica che, pur mutando d’anno in anno, sfociava in<br />
un impulso violento e incurante del rischio (une pulsion brusque,<br />
insoucieuse du danger). Quella sera in cui, pur sentendomi male<br />
(malade), partivo per andare a vedere in un castello un quadro di<br />
Elstir o un arazzo gotico, assomigliava talmente al giorno in cui sarei<br />
dovuto partire per Venezia, o ero andato ad ascoltare la Berma, o ero<br />
partito per Balbec, da farmi presentire come l’oggetto attuale del mio<br />
sacrificio (l’objet présent de mon sacrifice) m’avrebbe lasciato, di lì a<br />
poco, indifferente, e come avrei potuto, allora, passargli vicinissimo<br />
senza degnare d’un’occhiata quel quadro o quell’arazzo per i quali<br />
avrei affrontato adesso tante notti insonni, tante crisi dolorose.<br />
Dall’instabilità del suo oggetto misuravo la vanità del mio sforzo (la<br />
vanité de mon effort) e, nello stesso tempo, la sia incredibile<br />
enormità, come quei nevrastenici la cui stanchezza raddoppia se gli<br />
si fa notare che soni stanchi. Nell’attesa, il mio fantasticare rendeva<br />
prestigioso tutto ciò che ad esso potesse ricollegarsi. E persino nei<br />
più carnali fra i miei desideri, sempre orientati in una certa direzione,<br />
concentrati attorno alla medesima fantasia (autour d’un même rêve),<br />
avrei potuto individuare il motore primo in un’idea, un’idea cui avrei<br />
sacrificato la vita (à laquelle j’aurai sacrifié ma vie) e al centro della<br />
quale, come nei sogni ad occhi aperti che facevo a Combray, in<br />
giardino, durante i miei pomeriggi di lettura, si collocava il concetto di<br />
perfezione (l’idée de perfection) (P, 36-37, 44-46; 38-39, 49-50).<br />
Per punti:<br />
– è evidente, insistito, il tema del sacrificio; che diventa addirittura<br />
“sacrifico della vita”.<br />
– Il “même si j’avais cru en murir” richiama “sino al punto di” in<br />
Jalousie: “terribile bisogno di un altro essere che, a Combray,<br />
avevo imparato a conoscere con mia madre, e sino al punto di
327<br />
voler morire (jusq’à vouloir mourir) se mi faceva dire da<br />
Françoise che non sarebbe potuta salire” (J, 193; 141). Qui si<br />
tratta di Albertine che ricorda la madre. Entrambe le esperienze<br />
di abbandono, a questo punto, si ripetono nella delusioneabbandono<br />
della Berma etc.<br />
– Infatti, il brano che abbiamo citato termina col ricordo dei “sogni<br />
ad occhi aperti che facevo a Combray”...<br />
– La pulsion brusque, insoucieuse du danger = l’objet présent de<br />
mon sacrifice... fanno capo a un desiderio che, ad un certo<br />
punto non esiste più: n’existait plus.<br />
– In questione è proprio il “concetto di perfezione”!<br />
– Perfezione in generale; perfezione dei rapporti con l’arte, con la<br />
madre... con tutto.<br />
– La nostra idea è che <strong>Proust</strong> abbia scoperto che questa<br />
perfezione non si dà come modello perseguibile (non a caso<br />
parlerà di “idolatria”: dell’arte, ma anche della madre, di<br />
Albertine...<br />
– Si dà solo come éclair.<br />
Come non ricordare, a questo punto, il “coup de sonnette”<br />
mancato che segna l’addio di Albertine insieme col viaggio per<br />
Venezia: “<strong>Su</strong>onai (je sonnai) per Françoise perché andasse a<br />
comprarmi una guida e un orario ferroviario, come avevo fatto da<br />
bambino (enfant) quando avevo voluto preparare, già allora, un<br />
viaggio a Venezia, attuazione d’un desiderio violento (réalisation d’un<br />
désir aussi violent) quanto quello che preparavo ora; dimenticavo<br />
che, dopo, ce n’era pur stato uno che avevo realizzato senza alcun<br />
piacere (sans aucun plaisir), quello di Balbec, e che Venezia,<br />
essendo anch’essa un fenomeno visibile, non avrebbe probabilmente<br />
potuto, non più di Balbec, realizzare un sogno ineffabile (un rêve<br />
ineffable) – il tempo gotico attualizzato in un mare primaverile (celui<br />
du temps gothique, actualisé d’un mer printanière) – che veniva<br />
istante dopo istante (d’instant en instant) a sfiorare la mia mente con<br />
un’immagine incantata, carezzevole, inafferrabile, misteriosa e<br />
confusa (d’une image enchantée, caressante, insaisissable,<br />
mystérieuse et confuse), Françoise, che aveva sentito la mia<br />
scampanellato (mon coup de sonnette), entrò [...]” P, 414; 837).<br />
Ecco come viene definito anche definito l’extra-temps: temps<br />
gothique.<br />
Nel suo L’œuvre cathédrale (op. cit. pp. 277 sgg.), Fraisse<br />
dimostra che il “gotico” è il soubassement à l’essor di tutta la<br />
ricerca... Il “gotico” è consustanziale alla creazione dell’universo di<br />
Combray etc. Nel Chaier 12 (del 1909) la parola “gotico” non è anora
328<br />
presente. Si parla della Maison des Archers “dont l’un [des lilas en<br />
fleurs] depassait le toit de sa flèche rose comme dun minaret peint,<br />
les autres entremêlaint en jouant au-dessus du pignon les joyeuses<br />
fusées de leurs fleurs mauves et blanches” (C 12, ESLIV, SW 814).<br />
Nel cahier 14 (del 1910) l’edificio del parco riappare inalterato: “Au<br />
milieu de ces lilas était un étroit pavillon de vieilles tuiles au pignon<br />
saillant qu’on appellait la maison des archers (C 14; ESLIX, SW 857).<br />
Insomma, freccia, minareto, fuso, saliente... tracciano un tempo<br />
– quello gotico, ancora prima che il gotico si instauri (a Combray) –<br />
ch’è perpendicolare e non verticale.<br />
Come l’Eclair”<br />
Il senso verticale del temps gothique, anche se venato d’una<br />
nostalgia che all’apparizione (all’epifania) associa ancora, ma<br />
volontariamente, il souvenir del passato, lo troviamo in una splendida<br />
pagina del Du côté de chez Swann: “Anche quando [a Combray] si<br />
andava a fare acquisti dietro la chiesa, da dove era impossibile<br />
vederlo (là où on ne la voyait pas), tutto sembrava regolato in<br />
rapporto al campanile (tout semblait ordonné par rapport au clocher)<br />
che spuntava ogni tanto tra le case (surgi ici ou là entre les maisons),<br />
ancor più commovente, forse, quando appariva così, solo, senza la<br />
chiesa (ainsi sans l’église). [...]. Non dimenticherò mai, in una curiosa<br />
città della Normandia non lontana da Balbec, due incantevoli palazzi<br />
del XVIII secolo, che mi sono per molti aspetti cari e venerabili e in<br />
mezzo ai quali, guardando dal bel giardino che dalle scalinate<br />
scende verso il fiume, la guglia gotica (la flèche gothique) d’una<br />
chiesa ch’essi nascondono (qu’ils cachent) si slancia quasi a<br />
completare, a sormontare le loro facciate (s’élance, ayant l’air de<br />
terminer, de surmonter leurs façades), ma in una maniera così<br />
diversa (mais d’une manière si différente), così preziosa e anellata,<br />
scintillante, rosea, che si vede benissimo che non appartiene a loro<br />
(qu’elle n’en fait pas plus partie) più di quanto la cuspide (flèche)<br />
cremata e porporina d’una conchiglia rastremata a torretta e candita<br />
di smalto non appartenga ai due sassi gemelli tra i quali, sulla<br />
spiaggia, si trova prigioniera. [...]. ecco che nessuna [delle piccole<br />
incisioni] tiene sotto il suo dominio una parte intera di quelle<br />
apparizioni (comme fait le souvenir) del campanile di Combray nelle<br />
stradine dietro la chiesa. Lo si vedesse alle cinque [...] rialzare<br />
bruscamente (surélevant brusquement) con la sua punta isolata<br />
(d’une cime isolée) la linea degli apici dei tetti; [...] o, stando in riva<br />
alla Vivonne, l’abside, muscolosamente raccolta e rialzata alla<br />
prospettiva, desse l’impressione di balzar fuori (semblât jaillir) dallo<br />
sforzo che faceva il campanile di lanciare la sua cuspide nel cuore
329<br />
del cielo (de l’effort que le clocher faisait pour lancer sa flèche au<br />
cœur du ciel); era sempre a lui che bisognava tornare, era sempre lui<br />
a dominare tutto, coronando le case con un pinnacolo inatteso (d’un<br />
pinacle inattandu) che s’elevava davanti ai miei occhi come il dito di<br />
Dio (le doigt de Dieu), nascosto col corpo dentro la folla degli umani<br />
che per questo io potessi confonderlo con loro. [...]. E anche oggi, se<br />
in una grande città di provincia o in un quartiere di Parigi che non<br />
conosco bene un passante che mi ha ‘messo sulla strada’ mi mostra<br />
là in fondo, come punto di riferimento, una torretta d’ospedale o un<br />
campanile di convento che fa capolino con la sommità del suo<br />
zucchetto ecclesiastico all’angolo della via in cui dovrò inoltrarmi,<br />
basta che la mia memoria riesca oscuramente a trovargli qualche<br />
tenue somiglianza con l’amata e scomparsa fisionomia perché il<br />
passante, se si volta per assicurarsi che non mi stia smarrendo,<br />
possa vedermi, con sua grande sorpresa, restare là per delle ore,<br />
immobile, davanti al campanile, dimentico della passeggiata<br />
intrapresa o della commissione da fare, cercando di ricordare,<br />
sentendo in fondo a me stesso rassodarsi, riassestarsi le terre<br />
riconquistate all’oblio; e allora, certo, e più ansiosamente di quando,<br />
poco fa, lo pregavo di indicarmela, io cerco la strada, svolto in una<br />
via... ma... soltanto nel mio cuore (mais... c’est dans mon cœur)”<br />
(SW, 65-67; 80-82).<br />
Tornando, infine, alla “rimozione originaria”, essa indica la<br />
rottura dello “scudo”... Equipollente ad essa è la “censura” nel “lavoro<br />
onirico”. Lʼ“elaborazione secondaria”, secondo Freud, è responsabile<br />
dellamodificazione sostanziale del significato del sogno. Il sogno<br />
“interpreta (deute)” 302 i bisogni del dormiente (ad esempio gli “stimoli”<br />
notturni); lʼinterpretazione (Deutung) del sogno è, dunque,<br />
unʼinterpretazione dellʼinterpretazione...<br />
Lʼaddormentarsi implica lʼingresso in un universo non governato<br />
dalle categorie (spazio-temporali). Il risvegliarsi è, invece, risvegliarsi<br />
alle categorie. Da qui la dimenticanza, la rimozione, la censura. Si<br />
tratta di due universi tra loro incompatibili.<br />
Il sonno (la notte) comporta, quindi, la distruzione dei “discorsi”<br />
del giorno; di essi, infatti, nel “racconto” del sogno non ci saranno<br />
altro che “resti”...<br />
8) “Il me semblait que jʼétais moi-mëme ce dont parlait<br />
lʼouvrage: une église” (SW, 3)<br />
302 Die Traumdeutung, 1900, in Gesammelte Werke, Fischer, Frankfurt, vol II/III, p. 227;<br />
tr. it. Lʼinterpretazione dei sogni, in Opere, Boringhieri, Torino, 1966, p. 208.
330<br />
Luc Fraisse, in Lʼœuvre cathédrale, lavora molto sulla figura<br />
della “chiesa”. 303 Da essa <strong>Proust</strong> parte (vedi la prima pagina di SW<br />
citata nel titolo di questo paragrafo); con essa termina nel TR.<br />
Secondo Fraisse la chiesa di Saint-Hilaire era, fin dallʼepoca di<br />
Combray, una prefigurazione completa dellʼultima matinée: “voilà<br />
pourquoi une église se reforme das lʼultime apparition des<br />
personnages, dans lʼultime scène du cicle romanesque”.<br />
Fraisse cita una lettera di <strong>Proust</strong> a Hubert del 1895 in cui dice di<br />
Mme Lemaire “me tenant ainsi depuis quatre ans sur les fonts<br />
baptismaus des lettres” (CORR, I, 455) e commenta: “Les fonts<br />
baptismaux se trouvent, comme on sait, généralement à lʼentrée de<br />
lʼéglise: la topographie du monument évoque donc déjà ici à<br />
lʼitineraire de la vocation. Arrêté sur le seuil de lʼéglise, le visitaur se<br />
voit entrer en leittérature”. 304<br />
Il problema è: “Che cosʼè la letteratura?”<br />
In ogni caso Swann parte dal sogno (“[...] il me semblait que<br />
jʼétais moi-même ce dont parlait lʼouvrage: une église”) e il Tempo<br />
ritrovato nel sogno finisce. Nellʼimmateriale, dove scocca “lampo”<br />
dellʼeterno, del tempo allo stato puro.<br />
Cahier 51, 1909, primo abbozzo del “Bal de tête”: “Mais il avait<br />
fait tout cela pendant que je nʼexistais pas encore”! Sì, tutta<br />
lʼesistenza è stata una non-esistenza. Lʼesistenza comincia con la<br />
scoperta della quarta dimensione, quella del tempo; e questa<br />
scoperta coincide con quella della propria morte.<br />
Dellʼimmateriale, extratemporale.<br />
Dal Cahier 51: “Tout commence à pâlir, à diminuer, un jour tout<br />
sʼéteindra. Certes jʼavais déjà vu les travaux visibles de lʼouvrier<br />
invisible et présent, toute la mâle œuvre de lʼEnchantuer quand je<br />
regardais le marbre boursouflé et les tapisseries fondues dans<br />
lʼéglise de Combray. Mais il avait fait tout cela pendant que je<br />
nʼexistais pas encore. Tandis que les fils blancs quʼil a mêlé das la<br />
barbiche noire de M. Froideaux, la poudre de clair de lune dont il a<br />
saupoudré la barbe de M. de Taines, lʼimperceptible petit rayonnage<br />
autour des sourcils devenus fournis das le coin des yeux comme<br />
ridés, dans le bas de la bouche devenue dʼun homme dont il a<br />
desséché la figure enfantine du petit Bétourné, tout cela, toute cette<br />
végétation féérique quʼil a fait pousser sure les hôtes irréel du palais<br />
de contes de fées, qui ont lʼair de sortir dʼun songe dony ils nʼont pas<br />
conscience, et dʼavoir travesti de quelque tissu immatériel et<br />
303 Vedi op. cit., pp. 208-272.<br />
304 Op. cit., p. 269.
331<br />
enchanté, quelque chose comme une étoffe de clair de lune ou<br />
dʼargent, tout cela me semble que cʼesy à mes dépences que cela<br />
sʼest fait, et que cʼest dans ma force et ma puissance de vie, que<br />
lʼEnchanteur est venu chercher ses poudres colorées et son fil. Et<br />
pourtant elle est bien jolie son œuvre; je nʼaurais jamais pu croire<br />
quʼon aurait pu ajouter la figure du petit Bétourné un charme de<br />
songe. Et pourtant il a lʼair dʼun chevalier de conte car ce sérieux,<br />
cette gravité, on sent quʼil les a rapportés dʼune chevauchée dans<br />
lʼimmatériel, dans le temps, pendant que lʼEnchanteur avait dʼautre<br />
jeux et cherchait à faire saillir une statue de Mme de Forcheville dans<br />
le corps de sa fille qui déforme tout son corps, le rend énorme. Et elle<br />
aussi ses cheveux comme les fils de la tapisserie, comme la filigrane<br />
du vitrail de Combray étincellent de lʼargent de leur assise, dʼun<br />
argent poétique aussi et naturel. Mon dieu voilà donc Mme de<br />
Villeparisis, je savais bien que la pauvre femme avait été à deux pas<br />
de la tombe, avait falli y tomber, mais je vois quʼelle nʼa pu se relever<br />
tout à fait, elle reste projetée en avant, cassée en deux, prête à<br />
tomber” (C 51, EX XLI, TR, 875-876).
332