Su Marcel Proust, PDF File - Disfinzione

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10.06.2013 Views

INDICE<br />

2<br />

Introduzione, p. 3<br />

Titoli proustian, p. 9<br />

Cap. 1. Le coup de marteau e la tâche non facile di trascinare<br />

nelcategoriale le bloc obscur, non defini (il non categoriale) del<br />

sonno, p. 12<br />

Cap. 2. Imbarchiamoci nel sogno di <strong>Proust</strong>, p. 31<br />

Cap. 3. Lʼextra-temporale, p. 45<br />

Cap. 4. Due modi di “essere letteratura” (Kafka e <strong>Proust</strong>), p. 54<br />

Cap. 5. Messung/mensuration (di nuovo Kafka/<strong>Proust</strong>), p. 73<br />

Cap. 6. La scena-madre, p. 96<br />

Cap. 7. La vita vera unʼopera dʼarte // Lʼopera dʼarte una vita vera, p.<br />

139<br />

Cap. 8. Ce retour à lʼinanalysé, p. 150<br />

Cap. 9. Embrasser le visage, p. 159<br />

Cap. 10. Voyeurismo e serialità, p. 189<br />

Cap. 11. La dialectique de la curiosité et de lʼindifférence, p. 203<br />

Cap. 12. Les plaisirs et les jours. Comme un baiser inconnu, p. 229<br />

Cap. 13. Impressions de route en automobile. Lʼansia e il potere<br />

“creatore”, p. 234<br />

Cap. 14. Jean Santeul. Lʼaprès-coup, p. 237<br />

Cap. 15. Jean Santeuil. La scena primaria, p. 251<br />

Cap. 16. Jean Santeuil. Non categoriale e categoriale, p. 256<br />

Cap. 17. Unʼaltra scena madre, p. 263<br />

Cap. 18. Ad infinitum, p. 279<br />

Cap. 19. Odeurs, lumière, bruits, p. 294<br />

Cap. 20. A moʼ di conclusione, p. 301<br />

Cap. 21. Ubi Urszene, p. 305


INTRODUZIONE<br />

3<br />

Si tratta di un work in progress. Quindi lacunoso e non-finito. I<br />

primi capitoli, costruendo un parallelo Kafka/<strong>Proust</strong> spinto fino ad un<br />

piccolo tentativo di “sinossi”, costituiscono una sorta di appendice di<br />

Kafka. Un “tipo particolare” (da poco uscito in 2a Ed. Aracne).<br />

Il cap. 6, La scena madre, è un tributo a Giampaolo Lai; esso<br />

contiene, infatti, il massimo di “analisi grammaticale” che io sia mai<br />

riuscito a fare di un testo...<br />

La scena madre, quella del “drame du coucher”, che incrocia a<br />

meraviglia la scena-cardine della Lettera al padre di Kafka e del suo<br />

Frammento su quel che Bataille chiama “enfantillage”,<br />

inevitabilmente “ritorna”; in molti capitoli (penso al Cap. 17, Unʼaltra<br />

scena madre).<br />

Ricordiamo che <strong>Proust</strong> ha fatto una mirabile analisi<br />

grammaticale del testo di Flaubert in A proposito dello “stile” di<br />

Flaubert (1920). Interessante, di Étienne Brunet, Le Vocabulaire de<br />

<strong>Proust</strong> in 3 voll.; e, di Jean Milly, Lʼétude distributionelle des phrases<br />

dans la Recherche. Metterei quasi sullo stesso piano, L’œuvre<br />

cathédrale di Luc Fraisse.<br />

Lʼinsistenza sul “drame du coucher” è dovuta, oltre alla cattura<br />

subìta da parte delle le straordinarie variazioni concettualmente e<br />

musicalmente orchestrate sul tema, al fatto che nel suo corso<br />

comincia quel “declino della volontà” che sarà la fonte<br />

dellʼinvolontario della “memoria involontaria”.<br />

Questo lavoro su <strong>Proust</strong> completa anche il lavoro su Girard<br />

(Edipo. Un innocente, Guerini), che in uno dei suoi primi saggi,<br />

Menzogna romantica e verità romanzesca. Le mediazioni del<br />

desiderio nella letteratura e nella vita (Bompiani), si rivolge proprio a<br />

<strong>Proust</strong> per esemplificare e approfondire il senso del “desiderio<br />

mimetico”.<br />

Evidentemente, è il Cap. 11, La dialectique de la curiosité et de<br />

lʼindifférence, quello dedicato quasi esclusivamente al desiderio<br />

mimetico.<br />

Qui rimando al § 7 (del Cap 21, Ubi, Urszene), Heures [...]<br />

enserrées dans la mémoire en vue de ce beau sacrifice; oltre che<br />

alla nuova Introduzione della 2a Ed. di Edipo. Un innocente, ancora in<br />

preparazione).<br />

La lettura combinata di Girard e di Kafka mi ha condotto alla<br />

seguente conclusione: il sacrificio, nel caso dellʼe-ducazione, è


4<br />

sacrificio dellʼac-ategoriale a favore delle categorie. Nellʼattacco<br />

psicotico, è sacrificio delle categorie in favore dellʼacategoriale.<br />

Problema: come compiere questi due sacrifici, che sono<br />

inevitabili, in modo che lʼeducazione non estirpi lʼin-fanzia<br />

(trasformandola in in-effabile/in-effato) e che la crisi psicotica non<br />

estirpi la parola (soprattutto, non la trasformi in delirio, in fatum<br />

delirante)?<br />

Sappiamo che il sacrificio è figura centrale in Girard. Lo è anche<br />

in Kafka. Ad ogni piè sospinto abbiamo incontrato lʼOpfer.<br />

Nel Cahier 57, del 1911, anche <strong>Proust</strong> ci parla, ripetutamente di<br />

questo sacrificio. In che cosa esso consiste?<br />

Citiamo due passi di un brano che riportiamo per intero in nota<br />

nel già richiamato § 7: “[...] heures conservées dans la mémoire,<br />

enserrées dans la mémoire en vue de ce beau sacrifice et dʼoù nous<br />

les tirerions [...] pour offrir à une idée la forme dʼ < une > épithète,<br />

entre les journées dʼautrefois qui sont restées particulièrement belles<br />

qui sont dans notre souvenir. Une fin dʼaprès-midi lumineuse dans<br />

une église de campagne devientrait un adjectif, une promenade<br />

lʼhiver en forêt en donnerait peut-être une autre, afin du sacrifice de<br />

tous ces beaux jours dʼautrefois de tirer une goutte de parfum”.<br />

Sembra evidente; dalla realtà categorizzata viene distillato un<br />

epiteto, un aggettivo che sostituiscono, nella celebrazione di un vero<br />

e proprio sacrificio, quella realtà. 1 Ma lʼepiteto, lʼaggettivo, sono già<br />

una nuova realtà categorizzata. Sono lʼopera di <strong>Proust</strong>.<br />

Blanchot [...] 2<br />

Rimando al paragrafo.<br />

E al Cap. 21; leggendo il quale mi è successo qualcosa di<br />

sorprendente (secondo Peirce un fatto “sorpendente” invoca una<br />

adeguata “abduzione”): più di un anno fa, dopo una lettura/scrittura<br />

di/su <strong>Proust</strong> durata alcuni mesi e intensissima, di colpo (tout dʼun<br />

coup, per usare unʼespressione-chiave proustiana), ho chiuso.<br />

La cosa mi ha anche “sorpreso”. <strong>Su</strong>l momento mi sono dato la<br />

seguente spiegazione: hai lavorato come un asino, avrai pure diritto<br />

ad una pausa (non di riflessione ma di riposo)!<br />

La spiegazione non mi ha persuaso. In seconda battuta ho,<br />

infatti, pensato dʼessermi imbattuto in un “qualcosa” – kafkianamente<br />

1 Vedi l’intera lettera a Bibesco (26 ottobre 1912, CORR, 11, 236) da cui distilliamo<br />

solo questa frase: “Et d’heures exaltées, il ne reste qu’une phrase, parfois qu’une<br />

épithète, et calmes”.<br />

2 Lettera a René Blum (20 febbraio 1913): “[...] je travaille depuis longtemps à cette<br />

œuvre, j’y ai mis le meilleur de ma pensée; elle réclame maintenant un tombeau<br />

qui soit achevé avant que le mien soit rempli” (CORR, 12, 79).


5<br />

in un “aculeo”, freudianamente in una “roccia basilare” – che metteva<br />

in questione ogni approdo... dei miei studi proustiani.<br />

È dovuto passare più di un anno. Per circostanze “di forza<br />

maggiore” ho dovuto rileggere il mio Kafka e il mio Girard per<br />

sentirmi invogliato a rileggere il mio <strong>Proust</strong> incompiuto; meglio:<br />

troncato, non sul nascere, ma quasi.<br />

Non sono ancora in grado di fare unʼ“abduzione” pertinente;<br />

comunque, finita la lettura dei primi paragrafi dellʼultimo capitolo<br />

(lʼattuale 21), ho continuato a leggere e scrivere come se non avessi<br />

mai interrotto!<br />

Mi viene in mente lʼincontro con un amico francese. Molto<br />

tempo fa. Ci siamo rivisti dopo più di ventʼanni. Una lunga<br />

passeggiata e una lunga chiacchierata: è stato come se avessimo<br />

ripreso dal giorno prima.<br />

Qualcosa forse affiora.<br />

A lungo mi ha assillato lʼaprès-coup proustiano; lʼho avvicinato<br />

alla Nachträglichkeit freudiana...<br />

Ecco, progressivamente mi è diventato chiaro che non era in<br />

gioco un temps vécu ma un temps à lʼétat pur, meglio: un extratemps<br />

(un extra-temporel). Nulla di più lontano da <strong>Proust</strong> del<br />

tentativo, après-coup, di godere lʼattimo chʼè stato bello ma non si è<br />

saputo cogliere e godere. Nulla di più lontano del culto della memoria<br />

o, addirittura, della mnemotecnica!<br />

Quel che coglie <strong>Proust</strong>, ad un tratto, è lʼeterno (lʼextratemporel).<br />

Ad un tratto.<br />

Sì, da un certo momento in poi, sullʼespressione-chiave aprèsscoup,<br />

ha avuto la meglio lʼaltra, attrettanto chiave: tout dʼun coup.<br />

Si tratta sempre di un éclair!<br />

Ho più di una volta avvicinato (ad esempio in Edipo. Un<br />

innocente, Cap. 3 Bis) allʼAmleto (Atto III, Scena I), il famoso passo<br />

in cui <strong>Proust</strong> descrive il tentativo... meglio: la serie di tentativi di<br />

ripescare il ricordo... (La strada di Swann).<br />

<strong>Proust</strong> parla anchʼegli di “viltà”: “Non so. Adesso non sento<br />

nulla, sʼè fermato, è ridisceso forse; chi sa se risalirà mai dalle sue<br />

tenebre? Debbo ricominciare, chinarmi su di lui dieci volte. E ogni<br />

volta la viltà, che ci distoglie da ogni compito difficile, da ogni impresa<br />

importante (et chaque fois la lâcheté qui nous détourne de toute<br />

tâche difficile, de toute œuvre importante), mʼha consigliato di lasciar<br />

stare, di bere il mio tè pensando semplicemente ai miei fastidi di<br />

oggi, ai miei desideri di domani, che si possono ripercorrere senza<br />

fatica. E ad un tratto (et tout dʼun coup) il ricordo mʼè apparso”.<br />

Shakespeare: “[...] se non che il timore di qualche cosa dopo la


6<br />

morte, il paese non ancora scoperto dal cui confine nessun<br />

viaggiatore ritorna (the undiscovered country, from whose bourn no<br />

traveller returns), confonde la volontà, e ci fa piuttosto sopportare i<br />

mali che abbiamo, che non volare verso altri che non conosciamo?<br />

Così la coscienza ci rende vili (thus conscience does make cowards<br />

of us all), e così la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dalla<br />

pallida cera del pensiero, e imprese di grande altezza e importanza<br />

per questo scrupolo deviano le loro correnti e perdono il nome<br />

dʼazione”.<br />

Amleto ha detto della morte come del paese da cui nessuno è<br />

tornato. Ma ecco che proprio qui, <strong>Proust</strong>, che sembra aver solo<br />

arieggiato Shakespeare, lo supera (o lo corregge). Sì, perché la<br />

ricerca del supposto “ricordo”, di fatto dellʼéclair, dellʼextra-temps, fa<br />

incappare <strong>Proust</strong> nella morte. Nella morte del tempo: “Depongo la<br />

tazza e mi rivolgo al mio animo. Tocca a lui trovare la verità. Ma<br />

come? Grave incertezza, ogni qualvolta lʼanimo nostro si sente<br />

sorpassato da se medesimo; quando lui, il ricercatore, è al tempo<br />

stesso anche il paese tenebroso (quand lui, le chercheur, est tout<br />

ensemble le pays obscur où il doit chercher) dove deve cercare e<br />

dove tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. Cercare? Non<br />

soltanto: creare (chercher? Pas seulement: créer). Si trova di fronte a<br />

qualcosa che ancora non è, e che esso solo può rendere reale, poi<br />

far entrare nella sua luce”.<br />

Sì, la fissura avviene tra il ricercatore e lui medesimo. Ma, a<br />

differenza da Amleto, il ricercatore proustiano fa due cose che<br />

Amleto non fa: (1) ritorna dalla morte; (2) crea (altra vita).<br />

Morte e rinascita.<br />

Ma, fin qui, nulla di nuovo. Cioè, nulla che non avessi già<br />

incrociato nella mia rilettura (/scrittura).<br />

Deleuze però afferma (incipit del Cap. 21) che la Recherche<br />

“nʼest pas une robe, [...] pas une cathédrale, mais une toile<br />

dʼaraignée en train de se tisser sous nons yeux”.<br />

È essa proprio une toile dʼaraignée? Nel senso che non è per<br />

niente quel che <strong>Proust</strong> pensava che fosse (une cathédrale o une<br />

robe)?<br />

Ecco quel che mi ha molto probabilmente bloccato. Ho letto<br />

<strong>Proust</strong>. <strong>Su</strong> <strong>Proust</strong>. Unʼinfinità di Cahier... di <strong>Proust</strong>.<br />

Ma, ecco spuntare un problema nuovo: lʼopera di <strong>Proust</strong> è<br />

quella che ci ha consegnato più recentemente Tadié? O essa va<br />

integrata dai cahier? Dei quali, peraltro, Tadié ha annesso ad ogni<br />

capitolo della Recherche il massimo consentito da una pubblicazione<br />

nella Pléiade?


7<br />

È qui che, probabilmente, mi sono arenato.<br />

Il problema: esiste lʼopera di <strong>Proust</strong>? È, quindi a disposizione<br />

del lettore appassionato? O si tratta di unʼopera infinita nel senso di<br />

non-finita; che il lettore, prima ancora di leggerla, deve ricomporre;<br />

facendo ricorso a tutti i cahier possibili?<br />

Strano.<br />

Come Kafka, anche <strong>Proust</strong> ha fatto bruciare dei brouillon a<br />

Céleste... (Kafka a Dora Diamant). Anche se ha conservato tutti i<br />

possibili brouillon, le paperolles... Sembra che abbia conservato<br />

anche il testo di molte lettere non spedite...<br />

Chissà quanto materiale si potrà ancora trovare... Vedi Il<br />

cappotto di <strong>Proust</strong> di Foschini Lorenza (Mondadori, 2010)...<br />

Ma ecco forse lʼabduzione adeguata:<br />

Ma<br />

Se unʼopera è in-finita; se, cioè, (1) di essa<br />

non si conosce ancora la totalità; (2) di quel<br />

che si conosce si deve scegliere tra versioni<br />

(molte versioni) differenti lʼuna dallʼaltra...<br />

come se la può cavare il lettore?<br />

Ma lʼaggettivazione dellʼopera come “in-finita”<br />

può significare (1) che non è ancora<br />

Allora<br />

conchiusa; (2) che bisogna conchiuderla; ma<br />

anche (3) che essa propone lʼinconchiudibile.<br />

Allora Lʼopera di <strong>Proust</strong> è in-finita perché parla<br />

dellʼinfinito: dellʼextra-temps, del temps à lʼétat<br />

pur; non di quello vécu; caso mai di quello<br />

invivable; tranne che nello spazio di un éclair<br />

(forse).<br />

Si può leggere lʼopera; lʼopera omnia; la<br />

totalità dei cahier... Trarne mille ispirazioni...<br />

Ma deve rimaner chiaro che si sarà colta la<br />

“lezione” di <strong>Proust</strong> solo quando si sarà stati<br />

apaci di distillare, dalla sua opera, un “epiteto”,<br />

un “aggettivo” (forse).<br />

RISULTATO<br />

REGOLA<br />

CASO<br />

Per queste ragioni ed altre ancora, la lettura di lavori come (in<br />

ordine di pubblicazione) <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. Alla ricerca di Swann, di<br />

Giuseppe Scaraffia (Edizioni Studio Tesi, 1986), Album <strong>Proust</strong>.<br />

Iconografia ordinata e comentata da Luciano De Maria (Mondadori,<br />

1987), Alla ricerca ddi <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, di Attilio Bertolucci (Video0Rai)<br />

e Attilio Bertolucci alla ricerca di <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, a cura di Giulio<br />

Ungarlli (Nuova ERI, 1995) etc., è un atto, forse inevitabile, di<br />

“idolatria” (come si sa, è <strong>Proust</strong> stesso a condannare senza<br />

remissione queste ed altre forme di “idolatria”).


8<br />

Infine, la lettura di testi come Jalousie, La précaution inutile o la<br />

versione breve di Albertine disparue ritrovata nel 1986 negli archivi<br />

della nipote di <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, è affascinante, in ogni caso<br />

irrinunciabile, ma depiastante dall’extra-temps... Non riusciamo,<br />

infatti, a condividere il punto di vista di Daria Galateria che,<br />

nell’introduzione a Gelosia, richiama nobili ascendenze: “[...] ha<br />

ragione un altro critico, Giacomo Debenedetti: la Ricerca del tempo<br />

perduto è l’immensa istruttoria di un geloso, l’implacabile<br />

interrogatorio che <strong>Proust</strong>, con l’ossessiva ostinazione della mania<br />

gelosa, rivolge alla sfuggente vita. Come <strong>Proust</strong>, il geloso si occupa<br />

del passato. Pensa che nasconda una verità, dolorosa per lui, ma<br />

chiara e conoscibile, che lo elude. Ed è convinto che un<br />

interrogatorio apparentemente svagato e divagatorio, che prenda le<br />

cose alla lontana e ci giri intorno – per non insospettire l’amato,<br />

rendendolo per sempre reticente – possa fargli raggiungere la<br />

certezza. La verità [...]” (op. cit., p. X)...<br />

Quasi che in <strong>Proust</strong> la “verità” – una delle parole chiave – fosse<br />

quella che si svela (o non si svela) al geloso! Quasi che la ricerca<br />

potesse ridursi ad un implacabile interrogatorio...<br />

La Nostra coglie di sguincio l’essenziale quando allude alla<br />

“sfuggevole vita”...


9<br />

TITOLI PROUSTIANI<br />

À LA RECHERCHE DU TEMPS PERDU<br />

A cura di Clarac e Ferré, Gallimard, Paris, 1954, voll. 3.<br />

(1913), Du côté de chez Swann; e (1919) À l’ombre des jeunes filles en<br />

fleurs. (1921), Du côté des Guermantes e (1921-1923), Sodome et<br />

Gomorrhe, vol. II. (1923), La prisonnière e (1925), Albertine disparue, vol.<br />

III. (1927), Le temps retrouvé, vol. III.<br />

A cura di Tadié, Gallimard, Paris, 11987-1989, voll. 4.<br />

Du côté de chez Swann, Gallimard, Paris, vol. I. À l’ombre des jeunes filles<br />

en fleurs, voll. I-II. Du côté des Guermantes, vol. II. Sodome et Gomorrhe,<br />

vol. II. La prisonnière, vol. III. Alberine disparu (o La fugitive), vol. IV. Le<br />

temps retrouvé, vol. IV.<br />

A cura di Bertini, Einaudi, Torino, 1978, voll. 7.<br />

Dalla strada di Swann, vol. I. All’ombra delle fanciulle in fiore, vol. II. I<br />

Guermantes, vol. III. Sodoma e Gomorra, vol. IV. La prigioniera, vol. V. La<br />

fuggitiva, vol. VI. Il tempo ritrovato, vol. VII.<br />

A cura di De Maria, Milano,1983-1993, voll. 4.<br />

Dalla strada di Swann e All’ombra delle fanciulle in fiore, vol. I; La parte di<br />

Guermantes, vol. II; Sodome et Gomorrhe, voll. II-III; La prigioniera,<br />

Albertine scomparsa e Il tempo ritrovato, vol. IV.<br />

Le abbreviazioni: Dalla parte di Swann = SW. All’ombra delle fanciulle in<br />

fiore = OF. Dalla parte dei Guermantes = G. Sodoma e Gomorra = SG. La<br />

prigioniera = P. Albertine scomparsa = AS. Il tempo ritrovato = TR.<br />

Le esquisses: esquisse = cahier. I cahier sono fondamentali per accedere<br />

al modo di scrittura di <strong>Proust</strong>, l’autore di un work in progress non ancora<br />

concluso. Essi ci consegnano le bozze di un capitolo; una variante: <strong>Proust</strong><br />

non correggeva la frase ma la pagina: ricominciava da capo.<br />

L’edizione curata da Tadié, contiene, quasi in forma di allegato, la gran<br />

parte dei cahier relativi all’opera (o alle opere) pubblicata (e) in un<br />

determinato volume: Du côté de chez Swann e À l’ombre des jeunes filles<br />

en fleurs, Gallimard, Paris, 1987, vol. I, pp. 631-1037. Du côté des<br />

Guermantes, ibidem, 1988, vol. II, pp. 885-1309. Sodome et Gomorrhe, e<br />

La prisonnière, ibidem, 1988, vol. III, pp. 917-1181. Albertine disparue e Le<br />

temps retrouvé, ibidem, 1988, vol. IV, pp. 885-1309.<br />

(L’edizione curata da Tadié, preziosa sul piano filologico, contiene anche<br />

un apparato ragguardevole di “Notes et variantes”).


10<br />

Cahiers, abbreviazioni. (C57, ES, XLI, TR, 899-890) = Cahier 57,<br />

esquisse XLI, Il tempo ritrovato.<br />

Notes et variantes. Ad esempio (CI, NV, 469, TR, 1268) = Carnet I, Notes<br />

et Variantes 469, Il tempo Ritrovato 1268).<br />

Cahiers: 3. Textes retrouvée. Recueillis et présentés par Philip Kolb,<br />

Gallimard, Paris, 1971. 5. Mon ami <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. Souvenirs intimes par<br />

Maurice Dupay, ibidem,1972. 7. Études proustiennes II, ibidem,1975. 8. Le<br />

Carnet de 1908. Établi et présenté par Philip Kolb, ibidem, 1976. 9. Études<br />

proustiennes III, ibidem, 1979. 10. Poèmes. Presentés et annotés par<br />

Claude Francis et Fernande Gontier, ibidem, 1982 (tr. it. Poemi,<br />

Einaudi,Torino, 1983. Poesie, Feltrinelli, Milano, 1993). 11. Études<br />

proustiennes IV, ibidem, 1982. 12. Études proustiennes V, ibidem,1984. 13.<br />

Quelques progrès dans l’étude du cœur humain, par Jaques Rivière,<br />

ibidem, 1985. 14. Études proustiennes VI, ibidem, 1987. Matinéee chez la<br />

Princesse de Guermantes. Cahiers du Temps retrouvé. Édition critique<br />

étabile par Henri Bonnet en collaboration avec Bernard Brun, Gallimard,<br />

Parigi, 1982. Carnets. Édition établie et présentée par Florence Callu et<br />

Antoine Compagnon, Gallimard, Paris, 2002.<br />

Correspondance de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Plon, Paris, voll. XXI, 1970-1990 =<br />

CORR. <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>-Jacques Rivière, Correspondance 1914-1922.<br />

Presentée et annotée par Philp Kolb, Gallimard, Paris, 1976. Lettres à<br />

Reynaldo Hann. Présentés, datées et annotées par Philip Kolb, Gallimard,<br />

Paris, 1984. <strong>Proust</strong>. Le lettere e i giorni. Dall’epistolario 1880-1922.<br />

Edizione curata da Giancarlo Buzzi, Mondadori, Milano,1996 = LG.<br />

Altri scritti: PG = (1896), Le Plaisirs et les jours, in Jean Santeuli prédédé<br />

de Les Plaisirs et les jours. Édition établi par Pierre Clarac, Gallimard,<br />

1971; tr. it. I piaceri e i giorni, Newton Compton, Roma, 1981. P = (1919),<br />

Pastisches et mélanges... tr. it. Pastiches, Marsilio, Venezia,1991. PM =<br />

(19019), Pastisches et mélanges in Contre-Sainte-Beuve... tr. it. Mélanges,<br />

in Scritti mondani e letterari... CSB = (1918), Contre Sainte-Beuve, in<br />

Contre Sainte-Beuve. Précédé de Pastisches et mélanges et suivi de<br />

Essais et Articles, par Pierre Clarac, Pléiade, Gallimars, 1971; tr. it. Contro<br />

Sainet-Beuve, in Scritti mondani e letterari, a cura di Mariolina Bongiovanni<br />

Bertini, Einaudi, Torino, 1971. EA = Essais et Articles, in Contre Sainte-<br />

Beuve... tr. it. Saggi e articoli, in Scritti mondani e letterari... John Ruskin,<br />

Sésame et les Lys, précédé de <strong>Su</strong>r la lecture, éditions Complexe, 1987.<br />

L’Indifférent, Gallimard, Parsi, 1978; tr. it. L’indifferente, Einaudi, Torino,<br />

1978. Précaution inutile, “Les Œuvres libres”, 1923; tr. it. Precauzione<br />

inutile, Passigli, Firenze, 2009. Albertine disparue. Édition intégrale. Texte<br />

établi, présenté et annoté par Jean Milly, Librairie Honoré Champion, Paris,<br />

1992.


11<br />

Altri ancora:<br />

Jalousie, (versione abbreviata del ciclo di Albertine pubblicata da <strong>Proust</strong> nel<br />

1921 nelle Œvres libres), Le Castor Astral, Bordeaux, 2007; tr. it. Gelosia,<br />

Editori Riuniti, Roma, 2008. Précautione inutile (versione abbreviata de La<br />

Prisonnière pubblicata nel 1923 nelle Œvres libres), Le Castor Astral,<br />

Bordeaux, 2008, tr. it. Precauzione inutile, Passigli Ed., Firenze, 2009.<br />

Albertine disparue (versione abbreviata di Albertine disparue tratta dalla<br />

“copie dactylographiée” ritrovata nel 1986 negli archivi di <strong>Su</strong>zy Mante-<br />

<strong>Proust</strong>): Albertine disparue. Éditione originale de la dernière version revue<br />

par l’auteur étabile par Nathalie Mauriac et étienne Wolff avec 4 planches<br />

hors texte, Grasset, Parigi, 1987 + Albertine disparue. Édition intégrale.<br />

Texte établi, présenté et annoté par Jean Milly, Librairie Honoré Champion,<br />

Paris, 1992.<br />

Si avverte il lettore che le citazioni, nei primi capitoli, sono dall’edizione<br />

francese curata da Clarac e Ferré (Gallimard, Paris, 1954) e dalla<br />

traduzione italiana curata da Bertini (Einaudi, 1978). Da un certo momento<br />

in poi, dall’edizione francese curata da Tadié (Gallimard, 1987-1989) e<br />

dalla traduzione italiana curata da De Maria (Mondadori, Milano, 1983-93).<br />

Una volta completata la ricerca provvederemo ad uniformare il testo.


12<br />

Cap. 1<br />

LE COUP DE MARTEAU E LA TÂCHE NON FACILE DI<br />

TRASCINARE NEL CATEGORIALE LE BLOC OBSCUR, NON<br />

DEFINI (IL NON CATEGORIALE) DEL SONNO<br />

1) Paratassi e nuova ipotassi<br />

Mais de plus je ne veux être ni pressé, ni tourmenté, ni<br />

deviné, ni devancé, ni copié, ni commenté, ni critiqué, ni<br />

debiné. Ce sara temps quand ma pensée aura fini son<br />

êuvre de laisser faire à la bêtise des autre (Lettera a<br />

Georges de Lauris, dicembre 1909; CORR, IX, 225).<br />

Vinteuil alla sua morte non ha lasciato che<br />

d’“indéchiffrables notations”, l’amica di Mlle Vinteuil ha<br />

impiegato “des annèes à débrouiller le grimoire [...] en<br />

étabilissant la lecture certaine de ces hiéroglyphes<br />

inconnus”, ed estraendo “de papier plus illisibles que des<br />

papyrus pontués d’écriture cunéiforme, la formule<br />

éternellement vraie de l’Ange écarlate du matin” (P, 766-<br />

767; 671).<br />

Come dire: invece di interpretare il sogno utilizzando le<br />

categorie, introdurre il sogno (il non categoriale) nel categoriale.<br />

Straordinario che della “martellata” si parli nel bel mezzo della<br />

descrizione dell’esperienza più straordinaria della Recherche, quella<br />

dell’intervallo tra sonno e veglia; e per descriverne il momento<br />

culminante; quello del risveglio dal nero gorgo del sonno profondo<br />

(SG, 407). 3<br />

<strong>Proust</strong> sa bene che nel sonno non vale la “catégorie du temps”,<br />

la “loi du temps”; ci si trova in “un autre temps: une autre vie” (SG,<br />

372-373; 408-409). 4<br />

4 “[...] esso [sogno] non tiene conto delle infinitesimali divisioni del tempo, sopprime<br />

i passaggi, oppone i contrasti maggiori, disfa in un istante il lavoro di consolazione<br />

così lentamente tessuto nel giorno” (F, 129).


13<br />

Si tratta di una vita “folle” (proprio perché fuori dalle categorie):<br />

quel che nel sonno viene dimenticato “è la realtà stessa delle cose<br />

che mi circondano – se dormo – e la cui non-percezione fa di me un<br />

pazzo (un fou)”; al posto di essa, nella veglia, “uno spazio bianco (un<br />

pur blanc)” (SG (Tadié), 374; 410). 5<br />

Il sogno è per ciascuno di noi la propria pazzia (Freud)... 6<br />

Pazzia è soprattutto il sogno profondo (a cui corrisponde il<br />

brusco risveglio): Kristeva (Le temps sensible, Gallimard, Parigi,<br />

1994, pp. 291 sgg.) segnala che, invece di un’“altra scena” qui si<br />

parla di un “secondo appartamento (un second appartement)” (non<br />

solo “camera” ma insieme di camere): “nel quale, lasciando il nostro”,<br />

ci ritiriamo per dormire (SG (Tadié), 370; Raboni, 221): “Ha le sue<br />

suonerie a parte (il a des sonneries à lui), e qualche volta vi siamo<br />

svegliati bruscamente da una scampanellata (par un bruit de timbre),<br />

perfettamente intesa dalle nostre orecchie benché nessuno abbia<br />

suonato (quand personne n’a sonné)” (SG, 370; 221).<br />

Straordinario il seguito. Qui importava segnalare il Leitmotiv<br />

delle suonerie, delle scampanellate. Nel secondo appartamento che<br />

è il sogno, suona il campanello, ma nessuno, in realtà, l’ha suonato...<br />

Un indugio sulla paratassi (e la costruzione della nuova<br />

ipotassi) in <strong>Proust</strong>. (Per ipotassi intendiamo la decostruzione, nella<br />

notte, dei discorsi della veglia che, nel sogno, risulteranno “resti<br />

diurni”; per ipotassi, invece, intendiamo la costruzione, sempre nella<br />

notte, di un altro discorso, quello onirico; che utilizza i “resti” dei<br />

discorsi distrutti dalla paratassi). 7<br />

Sempre dalla medesima pagina di Sodoma e Gomorra: dai<br />

sonni profondi ci svegliamo “non sapendo chi siamo, non essendo<br />

nessuno, nuovi (ne sachant qui on est, n’étant personne, neuf)”.<br />

Ed è più bello quando l’approdo al risveglio “si compie<br />

brutalmente” cosicché i nostri pensieri del sonno non hanno il tempo<br />

di dileguarsi progressivamente... “Allora dal nero uragano (du noir<br />

orage) che a noi sembra d’aver attraversato (ma non diciamo<br />

neppure noi), usciamo supini, senza pensieri; un ‘noi’ che sarebbe<br />

5 “[...] pensavo che alla mia opera avrei lavorato alla grande tavola di legno bianco<br />

(sur ma grande table de bois blanc)” (TR, 1033; 775).<br />

6 Vedi L’interpretazione dei sogni, 1900, in O, vol. 3, pp. 91 sgg.: “La resurrezione<br />

al risveglio, dopo quel benefico accesso di alienazione mentale che è il sonno [...]”<br />

(F, 131).<br />

7 Vedi, più diffusamente, Cesario e Serritella, Il transfert, grazie alla<br />

operativizzazione di Luborsky, diventa un semplice, anche se prezioso, test di<br />

vischiosità-flessibilità, in Il transfert da Freud a Luborsky (Cesario e Serritella,<br />

Borla, Roma, 2001, pp. 9 segg.); Cesario, La Traumdeutung e l’impresa di Freud,<br />

in Lezioni di psicologia dinamica (Borla, Roma, 2003, pp. 130 sgg.).


14<br />

senza contenuto. Da quale martellata (coup de marteau) è mai stato<br />

colpito l’essere o la cosa che si trova là per ignorare tutto, stupefatto<br />

fino al momento in cui la memoria accorsa gli rende la coscienza o la<br />

personalità? E ancora, per questi due tipi di risvegli è necessario non<br />

addormentarsi, anche se profondamente, sotto la legge<br />

dell’abitudine: perché, tutto ciò che l’abitudine stringe nelle sue reti,<br />

essa lo sorveglia. Bisogna sfuggirle, prendere il sonno nel momento<br />

in cui credevamo di far tutt’altra cosa che dormire, in una parola,<br />

prendere un sonno che non sia sotto la tutela della previdenza, nella<br />

compagnia, seppur nascosta, della riflessione”.<br />

Già in Du côté des Guermantes, pagine straordinarie sul sogno,<br />

equiparabili a quelle dell’incipit della Recherche a cui rimandiamo:<br />

“Non si è più nessuno (on n’est plus personne)” (G, 84-88; 87-91). 8<br />

Qui, però, attiro la vostra attenzione sulla descrizione del<br />

processo di paratassi e di nuova ipotassi... Vedi il “disco del risveglio<br />

(disque tournant du Réveil)”, tradotto meglio da Raboni: “piattaforma<br />

girevole” (SG, 102).<br />

Vedi il “coup d’éponge” in La prisonnière, (P, 121), tradotto da<br />

Paolo Serini “la spugna del sogno” (P, 121) e, invece, come si deve,<br />

“colpo di spugna” da Raboni (P, 514).<br />

Anche qui: “non siamo più (on n’est plus)” (P, 123; 123). Anche<br />

qui un sogno con interpretazione incorporata...<br />

Inevitabilmente a questi “colpi” di martello o di spugna, fa eco il<br />

“pugno sul cranio” e la “scure per il mare gelato” di Kafka:<br />

“Bisognerebbe, credo (ich glaube) leggere soltanto i libri che<br />

mordono e pungono (die einen beißen und stechen). Se un libro che<br />

leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio (mit einem<br />

Faustschlag auf den Schädel weckt), a che serve leggerlo? Affinché<br />

ci renda felici, come scrivi tu? Dio mio, felici saremmo anche se non<br />

avessimo libri, e i libri che ci rendono felici potremmo egualmente<br />

scriverli noi. Ma noi abbiamo bisogno di libri che agiscano su di noi<br />

come una disgrazia che ci fa molto male (wie ein Unglück das uns<br />

sehr schmerzt), come la morte di uno che ci è più caro di noi stessi<br />

(wie der Tod eines, den wir lieber hatten als uns), come se fossimo<br />

respinti nei boschi, via da tutti gli uomini, come un suicidio (wie ein<br />

Selbstmord), un libro dev’essere la scure per il mare gelato dentro di<br />

noi (ein Buch sein suß die Axt sein für das gefrorene Meer in uns).<br />

Questo credo (Das glaube ich)”... 9<br />

8 “Si è dormito troppo, non si esiste più (on n’est plus)” (P, 123; 515).<br />

9 Lettera a A Pollak, 27.I.1904, in Franz Kafka. Kritische Ausgabe. Briefe, vol. 1<br />

(1900-1912), Fischer, Frankfurt, 1999; tr. it. Lettere, Mondadori, Milano, 1988.


15<br />

Il lavoro del sogno è equiparabile al lavoro della memoria<br />

involontaria: “Spesso era, molto semplicemente, durante il sonno che<br />

queste ‘riprese’, quasi da capo del sogno, voltando d’un colpo (d’un<br />

seul coup) parecchie pagine della memoria, parecchi foglietti del<br />

calendario, mi riportavano, mi facevano retrocedere a un’impressione<br />

dolorosa ma remota, che da molto tempo aveva lasciato il posto ad<br />

altre e che ridiventava presente” (AS, 538; 147). 10<br />

Torniamo alle Intermittenze del cuore in Sodoma e Gomorra<br />

(759-762; 174-178): al clamoroso “sconvolgimento” di tutto l’essere<br />

del Narratore (egli sta sperimentando la perdita della nonna), segue il<br />

sonno e il sogno...<br />

Interessante anche qui la descrizione del lavoro della paratassi<br />

e dell’ipotassi...<br />

Il Narratore vuole permanere nel cuore dell’esperienza... Egli<br />

vuole configgersi i “chiodi” (immagine cristica) dei tormenti subiti<br />

dalla nonna e ora ricordati... Non vuole, cioè, rifugiarsi nel pensiero<br />

“abituale-abitudinario”... Vuole permanere nell’involontario della<br />

memoria involontaria: “Non cercavo di render più dolce la sofferenza,<br />

di abbellirla, di fingere (feindre) che la nonna fosse soltanto assente<br />

[...]. Mai non lo feci, perché non solo mi stava a cuore soffrire, ma<br />

anche rispettare l’originalità della mia sofferenza, quale l’avevo<br />

subìta d’improvviso senza volerlo (tout d’un coup sans le vouloir), e<br />

volevo (et que je voulais) continuare a subirla seguendo le sue leggi<br />

[...]”...<br />

Ma l’“industria dell’intelligenza nel preservarci dal dolore, già si<br />

dava a costruire su macerie ancora fumanti (sur des ruines encore<br />

fumantes = paratassi), a gettare le prime fondamenta (les premières<br />

assises = nuova ipotassi) della sua opera utile e nefasta (de son<br />

œuvre utile et nefaste), troppo assaporavo la dolcezza di ricordare<br />

questo o quel giudizio dell’essere amato, di ricordarli come se<br />

(comme si) lei avesse potuto esprimersi ancora, come se (comme si)<br />

tuttora esistesse, come se (comme si) continuasse a esistere per<br />

lei”...<br />

10 “Di più: se il Sogno m’aveva affascinato, era anche per la sua formidabile sfida<br />

con il Tempo. Non avevo visto tante volte, in una notte, in un minuto d’una notte,<br />

tempi lontanissimi, relegati a distanze immense dove non riusciamo a distinguere<br />

più nulla dei sentimenti provati allora, precipitarsi a tutta velocità su di noi,<br />

abbagliandoci con la loro luce come se fossero aerei giganteschi e non le pallide<br />

stelle che credevamo, farci rivedere tutto ciò che avevano contenuto per noi, dar<br />

l’emozione, la sorpresa (le choc), la chiarezza della vicinanza immediata per poi, al<br />

momento del risveglio, riprendere la distanza miracolosamente abolita, tanto da<br />

farci ravvisare in essi – a torto, per altro – uno dei modi per ritrovare il Tempo<br />

perduto?” (TR, 912; 597-598).


16<br />

Che fa il Narratore?<br />

Si addormenta...<br />

Qui il sonno sopraggiunge ad impedire che la nuova ipotassi si<br />

instauri sulle macerie della paratassi provocata dall’intervento della<br />

memoria involontaria.<br />

Interessante il ricorrere del “come se”, chiaramente equivalente<br />

al “fingere”: quel che qui il Narratore cerca non è una “nuova”<br />

ipotassi, ma la permanenza nella paratassi...<br />

Quant’è difficile permanervi!<br />

Bisogna “imbarcarsi”: “nous nous sommes embarqués [Pascal!]<br />

sur les flots noir de notre sang comme sur un Léthé intérieur... 11<br />

Il Narratore farà anche un sogno, l’unico talmente<br />

particolareggiato da comportare una interpretazione quasi<br />

inevitabile...<br />

E, più avanti, alla fine di questo dolorosissimo e gioiosissimo<br />

capitolo della Recherche, un altro addormentarsi e un altro sogno:<br />

“alors ma grand’mère m’apparut assise dans un fauteuil”...<br />

Ma, anche nei sogni, il dolore si attutisce...: “Il mio cuore era<br />

troppo piccolo per lei” (SG, 198). Dovrà aspettare la matinée... 12<br />

<strong>Proust</strong> va in un oltre in cui converge con: “Ora, quelle mattine (e<br />

questo mi induce a dire che il sonno ignora forse la legge del tempo)<br />

il mio sforzo per svegliarmi consisteva soprattutto in uno sforzo di far<br />

entrare la massa oscura, indefinita (le bloc obscur, non défini), del<br />

sonno da me or ora vissuta, nella cornice del tempo (aux cadres du<br />

temps). Non è un compito facile (Ce n’est pas une tâche facile) [...]”<br />

(SG, 983; 409).<br />

No, non è per niente facile.<br />

Benjamin ci dice addirittura che il testo della Recherche è<br />

paratattico: “Basta pensare alla sterminata serie dei ‘soit que’ che<br />

con una deprimente minuzia mostrano un’azione alla luce degli<br />

innumerevoli motivi che possono averla provocata. Eppure in questa<br />

disposizione paratattica viene alla luce ciò in cui la debolezza e il<br />

genio di <strong>Proust</strong> non sono più che una sola cosa: la rinuncia<br />

intellettuale, l’incrollabile scetticismo che egli opponeva alle cose”. 13<br />

11<br />

“Mi ero imbarcato sul sonno di Albertine (je m’étais embarqué sur le sommeil<br />

d’Albertine)” (P, 72; 69)<br />

12<br />

“Al ricordo di quel che provai davanti a quel quadro di Gustave Moreau, io, che<br />

di impressioni simili ne ho soltanto una l’anno, invidio le persone dalla vita così<br />

regolata che, ogni giorno, possono consacrare qualche tempo alle gioie dell’arte”<br />

(1898, Note sul mondo misterioso di Gustave Moreau, SA, 626).<br />

13<br />

Per un ritratto di <strong>Proust</strong>, 1929, in Ombre corte. Scritti 1928-1929, Einaudi,<br />

Torino, 1993, p. 366).


2) Un indice de mensuration<br />

17<br />

Ricorderete che la nostra definizione del compito assolto da<br />

Kafka è stata la seguente: egli ha saputo entrare nel categoriale<br />

portandosi dietro l’acategoriale, le bloc obscure et indéfini; e, usando<br />

il categoriale, è riuscito a dire l’acategoriale. A trasportare quel bloc<br />

nel tempo, nel linguaggio, nella veglia.<br />

Il Narratore ci spiega anche che cosa ha fatto: ha creato un<br />

nuovo “indice de mensuration” (come fa a non venire in mente il<br />

signor K. agri-mesore?).<br />

L’automobile si è fermata per un instante; ad una grande<br />

altezza sul mare; il Narratore apre lo sportello” della carrozza e “il<br />

suono percepito distintamente d’ogni onda che s’infrangeva aveva<br />

nella sua dolcezza e nella sua chiarezza qualcosa di sublime. Non<br />

era forse esso come un indice di misurazione (un indice de<br />

mensuration), che, capovolgendo le nostre impressioni abituali<br />

(renversant nos impressions habituelle), ci mostra come le distanze<br />

verticali possano essere assimilate alle distanze orizzontali,<br />

contrariamente all’idea che la nostra mente se ne fa di solito (au<br />

contraire de la représentation que notre esprit s’en fait d’habitude)? E<br />

ci mostra come, avvicinando in tal modo il cielo a noi, essi non siano<br />

grandi; e siano anche meno grandi per un suono che le percorra<br />

come faceva quello di quelle piccole onde, giacché lo spazio che il<br />

suono ha da attraversare è più puro. E, infatti, se si indietreggiava<br />

dal dazio due metri soltanto, non si avvertiva più quel suono di onde<br />

al quale duecento metri di strapiombo non avevano tolto la delicata,<br />

minuziosa e dolce precisione” (SG, 898; 318-319).<br />

Vi invito a leggere il bel commento di Fernandez. 14<br />

Vi intrattengo solo su alcuni punti: se l’acategoriale vive fuori<br />

dalle convenzioni del tempo etc., esso coincide inevitabilmente con<br />

l’individuale (il generale è tale solo grazie alla conferma che lo<br />

scorrere del tempo su di lui ingenera).<br />

Avete notato il ricorrere (per due volte) del termine habitude<br />

(come sostantivo e come aggettivo).<br />

Sappiamo l’invasività di questa figura nella Recherche. Talvolta<br />

porta la lettera maiuscola: Habitude (OF, 15 sgg.; 248 sgg.).<br />

Ad esempio in All’ombra delle fanciulle in fiore. 15<br />

14 Op. cit., pp. 118-119.<br />

15 OF,17, 32; 250, 267. Habitude ricorre cinque volte (OF, 4-5; 237). Vedi anche<br />

672; 267: “Senza dubbio quell’amicizia sarebbe sparita, un’altra ne avrebbe preso


18<br />

Scegliamo – sempre nell’incipit di All’ombra... – l’episodio della<br />

visione, dal finestrino del treno, della “belle [et grande] fille” che esce<br />

dalla casa cantoniera; visione che, anch’essa, avviene al risveglio dal<br />

sonno; è il momento dello “spuntar del sole”: “provai dinanzi a lei<br />

quel desiderio di vivere che rinasce in noi ogni volta che prendiamo<br />

di nuovo coscienza della bellezza e della felicità. Dimentichiamo<br />

sempre che l’una e l’altra sono individuali (individuels), e, sostituendo<br />

loro nel nostro spirito un tipo convenzionale (un type de convention)<br />

che formiamo facendo una specie di media fra (une sorte di moyenne<br />

entre) i volti differenti che ci sono piaciuti, fra i piaceri che abbiamo<br />

conosciuti, finiamo col non avere che immagini astratte (abstraites),<br />

le quali sono languide e insipide appunto perché prive di quel<br />

carattere di cosa nuova, diversa da ciò che abbiamo già conosciuto,<br />

il carattere proprio della bellezza e della felicità”. 16<br />

L’acategoriale è individuale; quando penetra nel categoriale, lo<br />

fa come una scheggia. 17<br />

il posto (allora la morte, poi una nuova vita avrebbero, sotto il nome d’Abitudine<br />

[Habitude], compiuto la loro duplice opera); ma, fino al suo annientamento, ogni<br />

sera essa avrebbe sofferto, e quella prima sera soprattutto, messa in presenza<br />

d’un avvenire già attuato (avenir déjà réalisé) dove non c’era più posto per lei, si<br />

ribellava, mi torturava con il grido dei suoi lamenti, ogni qualvolta il mio sguardo,<br />

incapace di distogliersi da ciò che lo feriva, cercava di posarsi sul soffitto<br />

inaccessibile”. L’Abitudine con l’iniziale maiuscola la incontriamo per la prima volta<br />

in SW, 11; 15. Infine in F, 420, 429; 6, 17. Solo un’altra parola, “Tempo, ha tanto<br />

spesso la maiuscola; vedi TR.<br />

16 Lettera a Georges de Lauris dell’8 settembre 1903: “[...]. Non ho nemmeno<br />

tentato di dormire sul treno. Ho visto l’alba. Il che non mi accadeva da molto, e mi<br />

è parsa un bello spettacolo, l’altra faccia, a parer mio più affascinante, del<br />

tramonto (une inversion plus charmante à mon gré du coucher). Al mattino, folle<br />

desiderio di violare piccole cittadine addormentate (leggete cittadine [villes] non<br />

ragazze [filles]), quelle a occidente in un residuo chiaro di luna, e quelle a oriente<br />

nella piena luce del sole nascente, ma mi sono trattenuto e sono rimasto sul treno.<br />

[...]” (LG, 587; CORR, III, 418).<br />

17 Ramon Fernandez insiste molto (e puntualmente) sul fatto che la scoperta, la<br />

ricreazione-creazione è sempre di un dato individuale, di un’impressione (op. cit.,<br />

pp. 64 sgg.). Cita, ad esempio, da Il tempo ritrovato: “Certo, ci sono molti altri errori<br />

dei nostri sensi [...] che ci falsano l’aspetto reale del mondo. Ma, infine, avrei<br />

potuto, a rigore, nella trascrizione per quanto possibile esatta che mi sarei sforzato<br />

di dare (dans la trascription plus exacte que je m’efforcerais de donner), non mutar<br />

posto ai suoni, astenermi dallo staccarli dalla loro causa, accanto alla quale<br />

l’intelligenza li colloca dopo averli uditi [...]” (TR, 622; 388)... ma sarebbe stata<br />

impresa vana... Ho pensato agli anni passati a registrare e trascrivere parola per<br />

parola le conversazioni psicoterapeutiche. E mi sono ricordato del cap. 6, Un<br />

esempio di finzione, di Lezioni di psicologia dinamica (Borla, Roma, 2003, pp. 76<br />

sgg.); vi utilizzavo, oltre al testo derivato dalla trascrizione esatta, parola per<br />

parola, anche l’esatto vissuto relativo, sentimento per sentimento.


19<br />

E, se accolto, porta con sé lo sconosciuto; per il Narratore<br />

questo sconosciuto è bellezza e felicità. Qui, tra parentesi, afferma:<br />

“(la sola forma, sempre particolare [toujours particulière], in cui ci sia<br />

possibile conoscere il sapore della felicità)”.<br />

Evidente: non si tratta di un “stato” di felicità; ma di una<br />

scheggia di felicità...<br />

Ma che altro volete?<br />

Favorisce l’esperienza di felicità connessa alla visione della<br />

bella lattaia, la cessazione momentanea dell’Abitudine: “Perché la<br />

lattaia beneficiava del fatto che era il mio essere completo, capace di<br />

gustare i piaceri più vivi, a trovarsi di fronte a lei”.<br />

L’essere “complet” è l’essere “endormi-revéillé”: “Di solito<br />

viviamo con il nostro essere ridotto al minimo [il minimum coincide<br />

con la moyenne], e la maggior parte delle nostre facoltà restano<br />

addormentate (endormies), riposando sull’abitudine (sur l’habitude),<br />

che sa quel che c’è da fare e non ha bisogno di loro [il sonno delle<br />

facoltà, dell’essere “completo”, è quello che sa evitare il risveglio].<br />

La fanciulla torna sui suoi passi... “non potevo staccare gli occhi<br />

dal suo volto sempre più largo, simile a un sole che possa esser<br />

fissato e che si avvicina fino a un palmo da voi, lasciandosi guardare<br />

da vicino, abbagliandovi d’oro e di rosso”.<br />

Il volto della fanciulla è un sole che sorge e che può essere<br />

guardato da vicino...<br />

Sappiamo che il sole non può essere guardato da vicino...<br />

Ma una scheggia del sole sì!<br />

Sappiamo che il Narratore si è svegliato; e di fronte aveva il<br />

sorgere del sole. Una striscia di cielo “rosa”; che è diventata “rossa”:<br />

“cosicché passavo il mio tempo a correre da un finestrino all’altro per<br />

riunire, per ricomporre su di un’unica tela (rentoiler) i frammenti<br />

intermittenti ed opposti del mio mattino scarlatto e versatile e per<br />

averne una veduta totale ed un quadro continuo”.<br />

Trepido il Narratore rincorre i frammenti di atemporale; li vuole<br />

reintoler, inquadrare, collocarli in un continuum; tradurli in<br />

categoriale. (Ricordate il Narratore – siamo all’inizio della matinée –<br />

inciampato su un ciottolo un po’ più rialzato del precedente, dapprima<br />

cerca di “recuperare l’equilibrio”; ma poco dopo, nel tentativo di<br />

comprendere l’esperienza della memoria involontaria, rimane a<br />

“titubare (tituber)” come ha fatto poco prima “(col rischio di far ridere<br />

l’innumerevole folla di autisti): con un piede sulla pietra più elevata,<br />

l’altro su quella più bassa. Ogni volta che facevo solo materialmente


20<br />

quel medesimo passo, esso mi restava infruttuoso” (TR, 867; 196-<br />

197). 18<br />

18 Consideriamo due ragionamenti di <strong>Proust</strong>. Il primo: “Il pittore aveva sentito dire<br />

che su Vinteuil incombeva una minaccia di alienazione mentale. E assicurava che<br />

era possibile dedurlo da certi passaggi della sua sonata. Swann non trovò assurda<br />

quell’osservazione, ma ne rimase turbato; poiché un’opera di musica pura non<br />

contiene nessuno dei rapporti logici la cui alterazione nel linguaggio denuncia la<br />

follia (car une œuvre de musique pure ne contenant aucun des rapports logiques<br />

dont l’altération dans le langage dénonce la folie), che si potesse riconoscere la<br />

presenza della follia in una sonata gli sembrava qualcosa di altrettanto misterioso<br />

quanto la follia di una cagna, la follia di un cavallo, fenomeni che d’altronde si<br />

verificano realmente” (SW (Tadié), 211; 260-261). Sembra evidente: la musica è<br />

acategoriale; quindi, in essa non vi sono rapporti logici; non si dà, quindi, la<br />

possibilità di un’alterazione dei medesimi; in altre parole, nella pazzia non si dà<br />

pazzia. Il secondo: “Le pédéraste trouve quand il en trouve un autre une sorte de<br />

prédestination que ne trouve pas l’amoureux. Mais voudrait une non tante mais vite<br />

croit demi tante une tante qui lui plaît. Il voudrait et croit trouver des non tantes, car<br />

emplissant son désir bizarre, de tout le desir naturel, croit avoir un désir naturel<br />

dont il peut retrouver l’échange hors de la pédérastie” (Le Carnet de 1908, 63).<br />

Anche qui: evidente! Il pederasta non vuole riconoscersi tale; vuole una nonchecca<br />

(tante); presto considera, però, mezza-checca una checca che gli piace...<br />

Giustamente, sulla scorta delle ricchissime annotazioni di <strong>Proust</strong><br />

sull’omosessualità, Kristeva sostiene che, nella nostra epoca, l’omosessualità,<br />

essendo ancora patrimonio di una minoranza (e fino a quando sarà patrimonio di<br />

una minoranza), rasenta la psicosi. In modo meno crudo si potrebbe dire che non<br />

essere omosessuali preserva l’identità non solo sessuale ma toute courte: “En<br />

effet, cet apparent pansexualisme est une suspension de la sexualité au profit du<br />

délire ou de l’indifférence. En fixant nos pulsions et nos désirs sur un fétiche, un<br />

organe ou une personne, la sexualité bloque nos potentialités de folie: elle les<br />

restreint, les naturalise, parfois les banalise, le plus souvent les absorbe. Il en est<br />

rien avec Charlus. À la fois espace (plante bisexuée) et force (insecte fugitif),<br />

écartelé entre deux états hétérogènes et dissymétriques, Charlus met à nu les<br />

latences psychoyiques de l’homosexualité. Dans la mesure où celle-ci se revèle<br />

omnipésente à <strong>Proust</strong>, le baron exibe les latences délirantes de toute sexualité”<br />

(op. cit., p. 114; il corsivo è dell’autrice). Divertente una lettera di <strong>Proust</strong> a Daniel<br />

Halevy dell’autunno 1888; <strong>Proust</strong> difende la propria omosessualità ma anche la<br />

lingua francese (la grammatica, la sintassi etc.): “Tu m’administres une petite<br />

correction en règle mais tes verges sont si fleuries que je ne saurais t’en vouler, et<br />

l’éclat et le parfum de ces fleurs m’ont assez doucement grisé pour m’adoucir la<br />

cruauté des épines. Tu m’as battu à coups de lyre. Et la lyre est enchanteresse. Je<br />

serais donc enchanté si... Mais je vais t’expliquer ma pensée ou plutôt causer avec<br />

toi comme avec un garçon exquis de choses très dignes d’interêt, encore qu’on<br />

n’aime pas en causer entre soi. J’espère que tu me sauras gré de cette pudeur. Je<br />

trouve l’impudicité un chose horrible. Elle me paraît bien pire que la débauche.<br />

Mes croyances morales me permettent de croire que les plaisirs des sens son très<br />

bons. Elle me recommandent aussi de respecter cercains sentiments, certaines<br />

délicatesses d’amitié, et particulièrement la langue française, dame aimable et<br />

infiniment gracieuse, dont la tristesse et la volupté sont également exquises, mais


21<br />

Deve andare oltre la rincorsa fisica, il fisico titubare.<br />

Deve trovare una nuova unità di misura...<br />

Il volto della fanciulla replica il sorgere del sole (sorto già due<br />

volte, nella striscia rosa; quindi in quella rossa). Esso è “imporporato<br />

dai riflessi del mattino [...], più rosa del cielo” diventato ormai rosso;<br />

forse più rosso ancora...<br />

Il Narratore adesso insegue questo volto (il treno è ripartito):<br />

non vuole essere separato dalla creatura che ha provocato, “anche a<br />

sua insaputa”, questa felicità...<br />

La sconosciuta – questa volta non una passante ma una oltre<br />

la quale si è costretti a passare –, era “una parte d‘una vita diversa<br />

(autre que) da quella che conoscevo, separata da essa da un orlo<br />

(lisière) e dove le sensazioni che gli oggetti destavano non erano più<br />

le stesse; e uscirne, ora, sarebbe stato come morire a me stesso”.<br />

Il Narratore vuole permanere in uno stato... Non vuole uscire<br />

dall’acategoriale... Vuole trascinarsi l’acategoriale nel categoriale...<br />

Ma capisce che i progetti di riprendere lo stesso treno per<br />

fermarsi alla stessa stazione “aveva pure il vantaggio di fornire un<br />

alimento alla disposizione interessata, attiva, pratica, macchinale,<br />

pigra, centrifuga, che è propria del nostro spirito, il quale si distoglie<br />

volentieri dallo sforzo necessario (effort qu’il faut) per approfondire in<br />

noi stessi, in modo generale e disinteressato, un’impressione<br />

piacevole che abbiamo avuta. E, siccome d’altra parte vogliamo<br />

continuare a pensarci, il nostro spirito preferisce immaginarla<br />

nell’avvenire, preparare abilmente le circostanze che potranno farla<br />

rinascere: il che non c’insegna nulla sulla essenza di quella<br />

impressione, ma ci evita la fatica di ricrearla (de la recréer) in noi<br />

stessi e ci permette di sperare di riceverla di nuovo dall’esterno”.<br />

Qui la fuga dall’istante nel categoriale si organizza in un progetto;<br />

in una fuga nell’avvenire che ricorda quella ipotizzata da Freud<br />

in chi preferisce temere che qualcosa di tremendo accada nel futuro<br />

piuttosto che accettare che sia già avvenuto (nel passato) o stia<br />

avvenendo (nel presente). 19<br />

à qui il ne faut jamais imposer des poses sales. C’est déshonorer sa beauté”<br />

(CORR, I, 123).<br />

19 Un’allure simile: “Perché nell’amore non c’è da temere, come nella vita reale,<br />

soltanto l’avvenire, ma anche il passato, che molte volte si attua per noi solo dopo<br />

l’avvenire (qui ne se réalise pour nous souvent qu’après l’avenir), e non parlo solo<br />

del passato che veniamo a conoscere solo a cose fatte, ma di quello conservato da<br />

gran tempo in noi ce che, d’improvviso, impariamo a leggere” (P, 87; 85). Vedi<br />

anche “Ma il futuro, a volte, abita dentro di noi a nostra insaputa, e le nostre parole,<br />

credendo di mentire, disegnano una realtà imminente (mais quelquefois l’avenir


22<br />

Avete visto com’è aggettivata la disposizione a costruire un<br />

progetto: interessata, attiva, pratica, macchinale, pigra, centrifuga...<br />

Generale e disinteressata è invece quella a ricreare... l’acategoriale.<br />

Cioè a ricreare, trasformandole in “equivalenti intellettuali”, le<br />

impressioni individuali; i frammenti di acategoriale...<br />

3) Il couloir<br />

Abbiamo citato una delle pagine finali di Il tempo ritrovato (TR<br />

1044 sgg.; 389).<br />

Qui il Narratore ricorda la sera in cui è iniziato il “declino” della<br />

sua “volontà”, della sua “salute”... Quando, “non potendo più<br />

sopportare d’attendere (ne pouvant plus supporter d’attendre) il<br />

giorno successivo per posare le labbra sul volto di mia madre, (pour<br />

poser mes lèvres sur le visage de ma mère) avevo preso la mia<br />

risoluzione (j’avais pris ma résolution) [SW, 32; 40], ero balzato dal<br />

letto e, in camicia da notte, m’ero messo alla finestra, donde entrava<br />

il chiaro di luna: finché non avevo visto Swann andarsene”.<br />

Rileggendo questo passo dopo aver riletto Kafka, inevitabile<br />

ricordare l’episodio che accadde al piccolo Kafka (di cui nella Lettera<br />

al padre e nel famoso frammento)... Tornando a <strong>Proust</strong>-Kafka, in<br />

entrambi i casi sono in questione i metodi educativi (“Mais dans<br />

l’éducation qu’on me donnait”) (SW, 32). Si è già parlato, a questo<br />

proposito di questa educazione di “stupidità: “la stupidité de mon<br />

éucation”... (SW, 11).<br />

Metodi fatti valere dal padre, ma, di conserva, anche dalla<br />

madre. Anche qui, per caso, troviamo un “couloir” (SW, 34) a<br />

svolgere una funzione discriminante tra categoriale (il padre) e noncategoriale<br />

(la madre che si dà al figlio, a ciò indotta dal padre che,<br />

questa volta, ha capito che il figlio soffre; è un malato di nervi; e, in<br />

quanto malato di nervi, parzialmente esonerato dalle categorie).<br />

In comune nelle due vicissitudini, l’iniziativa dei due piccoli:<br />

Entrambi si ribellano. Kafka viene punito. <strong>Proust</strong> viene<br />

accontentato... Ma con una punizione incorporata: il declino della sua<br />

“volontà”; che, molto probabilmente, è alle origini della memoria<br />

“involontaria”!<br />

Non vediamo in questa convergenza di <strong>Proust</strong> e Kafka il<br />

riscontro di una “familiarità” tra i due; perché il tema è universale;<br />

habite en nous sans que nous le sachions, et nos paroles qui croient mentir<br />

dessinent un réalité prochaine)” (SG, 639; 776)


23<br />

l’educazione, di <strong>Proust</strong>, di Kafka, di ognuno di noi, è sempre<br />

educazione alla categorie.<br />

Ricreare, l’abbiamo visto, comporta un effort qu’il faut pour<br />

approfondir en soi-même...<br />

Non è un caso che qui, alla fine della Recherche, quando il<br />

tempo è stato ritrovato, il Narratore ricordi questo episodio nevralgico<br />

della sua infanzia. 20<br />

In cui l’in-fante ha abdicato alla propria “volontà” (e alla propria<br />

“salute”) nello stesso momento in cui la madre abdicava alla propria.<br />

Volontà = sforzo = sforzo di volontà... 21<br />

Avrebbe potuto il piccolo Narratore prendere una “risoluzione”<br />

diversa?<br />

Avrebbe potuto fare l’effort qu’il fallait...?<br />

Ricordate il cane delle Indagini di un cane? Il piccolo cane che<br />

fa domande ai cani che si producono nella “scena primaria”?<br />

Il piccolo cane dovrà fare le sue indagini da solo.<br />

Da solo dovrà fare il Narratore la sua ricerca...<br />

Il ricercatore scoprirà che gli uomini “concepiscono l’età come<br />

qualcosa di misurabile (comme quelque chose de mesurable)” (TR,<br />

623 sgg.; 389 sgg.); mentre il tempo è “incorporato” in noi... È,<br />

quindi, misurabile solo in noi.<br />

Quando il ricercatore avrà scoperto l’essenza delle cose, potrà<br />

(e dovrà) accogliere una “enorme dimensione” che non sapeva di<br />

avere; quella del tempo incorporato, del tempo in lui: “Ero colto da<br />

vertigine nel vedere sotto di me, e tuttavia in me, quasi io avessi<br />

molte miglia di profondità, tanti anni”...<br />

Ricordate che nel paragrafo seguente, e conclusivo, il Narratore<br />

parlerà dei vecchi “appollaiati sopra vivi trampoli, crescenti senza<br />

20 Nella biblioteca del principe di Guermantes il Narratore sfoglia distrattamente<br />

François le Champi; e risorge “il fanciullo ch’io ero allora, che quel libro aveva<br />

ridestato in me, perché, conoscendo di me solo quel fanciullo, subito lo aveva<br />

chiamato, desideroso d’esser guardato dai suoi soli occhi, d’essere amato dal suo<br />

solo cuore, e di parlare a lui solo. Infatti, il libro che mia madre m’aveva letto ad<br />

alta voce a Combray fin quasi al mattino aveva serbato per me tutto l’incanto di<br />

quella notte. [...]. Contemplato [François le Champi] la prima volta nella mia<br />

cameretta di Combray, nella notte forse più dolce e più triste della mia vita,<br />

quando, ahimè [...], avevo ottenuto dai miei genitori una prima abdicazione, cui<br />

potevo far risalire il declino della mia salute e della mia volontà, la mia rinuncia,<br />

ogni giorno aggravatasi, a un compito difficile [...]” (TR, 883-887; 215-218).<br />

21 In occasione della matinée il Narratore decide di fare tutti gli sforzi necessari ed<br />

è ricompensato dall’infittirsi degli interventi della memoria involontaria e<br />

dall’individuazione del processo creativo: “Mentre me lo domandavo, ormai risoluto<br />

(en étant résolu aujourd’hui) a trovare la risposta [...]” (TR, 867; 198); “Perciò mi<br />

sforzavo (je m’efforçais de tâcher) di vedere chiaro [...]” (TR, 869; 199).


24<br />

posa, a volte più alti di campanili, tali da render loro difficile e<br />

periglioso il camminare, e da cui, d’improvviso, precipitan giù”...<br />

Come evitare di pensare ai trampoli ricorrenti in Kafka?<br />

Il Narratore, alla fine della sua ricerca, si trova arrampicato su<br />

simili trampoli; uno degli “esseri “mostruosi” che occupano “un posto<br />

ben altrimenti considerevole, accanto a quello così angusto (si<br />

restreinte) riservato loro nello spazio (dans l’espace): un posto al<br />

contrario, prolungato a dismisura (prolongée sans mesure), – poiché<br />

essi toccano simultaneamente, giganti immersi negli anni, età così<br />

lontane l’una dall’altra, tra le quali tanti giorni sono venuti a interporsi,<br />

– nel Tempo”. 22<br />

“Tempo”, come “Abitudine”, maiuscolo...<br />

Alla fine siamo nella “dismisura”. Il ricercatore, infatti, ha trovato<br />

il tempo “in se stesso”; con la conseguenza della deformazione<br />

(essere “mostruosi”) del categoriale sotto la pressione<br />

dell’acategoriale che lo penetra.<br />

Ecco la nuova “unità di misura”, la “dismisura”.<br />

4) Declino della volontà e memoria involontaria<br />

Abbiamo detto di <strong>Proust</strong> e di Kafka che entrambi si ribellano.<br />

Kafka viene punito. <strong>Proust</strong> viene accontentato... Ma con una<br />

punizione incorporata: il declino della sua “volontà”; che, molto<br />

probabilmente, è alle origini della memoria “involontaria”!<br />

Sembra però vivissima una differenza tra <strong>Proust</strong> e Kafka.<br />

<strong>Proust</strong> non ha scritto nessuna Lettera al padre.<br />

Ne siamo sicuri?<br />

Ricordate come risuonato lacrimose e lapidarie insieme queste<br />

parole (il tempo, hanno messo già tra quel che è accaduto allora e<br />

adesso una “muraglia”: la muraglie de l’escalier [...] n’existe plus<br />

depuis longtemps): “E da molto tempo a mio padre non è più<br />

possibile dire alla mamma: ‘Vai col piccolo?’ Quelle ore mi sono<br />

22 Questi “giganti” richiamano le statue gigantesche e sonore di Memnone; di cui<br />

ha già parlato (vedi Kristeva, op. cit., pp. 156, 364): “Quelquefois le matin, hereux<br />

dans mon lit, sentant ma pensée en moi pleine comme une statue de Memmon,<br />

qu’il suffisait d’un rayon de soleil sur les arbres dépouillés de la cour pour la faire<br />

chanter [...]” (G, C 40, 41, ES XV, 1142): “[...] et je chante, car le poète est comme<br />

la statue de Memnon; il suffit d’un rayon de soleil levant pour le faire chanter” (P,<br />

C3, ES 1.4, 1096): “Le bonheur n’est qu’une certaine sonorité des cordes qui<br />

vibrent à la moindre chose et qu’un rayon fait chanter. L’homme heureux est<br />

comme la statue de Memnon un rayon de soleil suffit à le faire chanter” (Carnet<br />

1908, 625).


25<br />

ormai inaccessibili. Ma da un po’ di tempo ho ricominciato a sentire<br />

molto bene, se mi concentro (si je prête l’oreille), i singhiozzi che<br />

ebbi la forza di trattenere davanti a mio padre (que j’eus la force de<br />

contenir devant mon père) e che scoppiarono quando, più tardi, mi<br />

ritrovai solo con la mamma. In realtà, essi non sono mai cessati (ils<br />

n’ont jamais cessé); ed è soltanto perché la vita si è fatta adesso più<br />

silenziosa intorno a me che li sento di nuovo, come quelle campane<br />

di conventi (comme ces cloches de couvents) che il clamore della<br />

città copre tanto bene durante il giorno da far pensare che siano<br />

state messe a tacere e invece si rimettono a suonare nel silenzio<br />

della sera (dans le silence du soir)” (SW, 37; 46).<br />

Quanti richiami! E quanto vertiginosi: a grappolo:<br />

– le silence du soir: riecco Kafka;<br />

– ed ecco lo stesso <strong>Proust</strong> consegnare, di fatto, alla madre la sua<br />

Lettera al padre;<br />

– sì, perché, se il padre ha abdicato, ha imposto al figlio quel<br />

medesimo sforzo – j’eus la force de contenir – ch’egli compie<br />

per risalire alle sue “impressioni” fondamentali (eguale e<br />

contraro);<br />

– quindi, c’è stata rinuncia all’esercizio della volontà – per noi<br />

preludio dell’involontario della “memoria involontaria”, però<br />

anche sforzo (di trattenere i singhiozzi);<br />

– il singhiozzo dirotto, apparentemente silenziato, dimenticato,<br />

riemerge come quelle campane di convento... che, anch’esse<br />

sopraffatte dai rumori del giorno, si fanno sentire “al volger della<br />

sera”.<br />

– Quanta vertigine in queste “cloches” che, nominate quimì,<br />

saranno rinominate infinite volte; quante infinite volte avverrà lo<br />

sforzo, riuscito o no, di ricordare. 23<br />

23 Jean Santeuil, 247-248: “Chaque jour c’étaient les premiers tintements lointains<br />

des l’angélus qui dans la campagne les faisaient rebrousser chemin dands le<br />

sentier, sa bonne et lui, afin de rentrer pour le dîner. De même les poésies qui<br />

celébraient la douceur des cloches le laissaient insensibile comme la froide<br />

allégorie d’un sentiment convenu. Il ne s’arrêtait jamais pour les écouter; il n’en<br />

avait encore remarqué la douceur. Mais comment douter qu’alors il l’éprouvait déjà<br />

confusément? Dix ans plus tard, sa vie ayant bien changé, un jour que dans la rue<br />

du faubourg Saint-Germain il se sentait vaguement attristé par le regret indistinct<br />

des années perdues de son irrévocable enfance et de sa vie au grand air, il sentit<br />

tout à coup un son insouciant et léger frapper à la cloison de son oreille. Un autre<br />

son suivit, puis un autre, et un à un les battements doux et profonds des cloches<br />

d’une chapelle lointaine arrivérent à lui, montés sur la brise. Il aperçut à travers ses<br />

larmes, entre les blés, au soleil baissant, le sentier qui ramenait au jardin paternel,<br />

et devant lui sa grande ombre de petit enfant. <strong>Su</strong>spendu au vol léger de ces<br />

années d’enfance comme Prométhée à celui des Océanides invisibles qui venaient


5) La dismisura<br />

26<br />

All’ombra delle fanciulle in fiore: “Ma no, – mi rispose, – quando<br />

un animo è portato al sogno, non bisogna tenernelo lontano,<br />

razionarglielo. Finché distoglierete il vostro animo dai suoi sogni,<br />

esso non li riconoscerà; sarete il trastullo di mille apparenze perché<br />

non ne avrete compreso la natura. Se un po’ di sogno è pericoloso,<br />

quel che ce ne guarisce non è il sognar meno, ma di più, è ” (OF,<br />

446). 24<br />

d‘aussi loin murmurer des paroles délicieuses avec la même voix fraîche et grave,<br />

Jean épiait chaque tintement avec une crainte croissante, au fur et à mesure des<br />

volées valentie, que la dernière écoutée ne fût plus suivie d’aucune autre, mais en<br />

sentait bientôt palpiter une autre, si près de lui et si loin qu’il semblait sentir son<br />

cœur lointain d’autresfois battre mélodieusement dans sa poitrinne. Pour pouvoir<br />

lui dire ces mots qui réveillent brusquement toute le cœur et que ceux-là seuls que<br />

nous aimons le plus ou nous connaissent le mieux peuvent nous dire, il fallait bien<br />

que Jean, dans ces retours anciens avec sa bonne, leur eût livré étourtiment les<br />

secrets déjàs profonds de son âme qu’elles avaient pieusement gardés. Mais à<br />

l’heure où ce tramèrent ces liens si forts entre le cloches et la vie de Jean que le<br />

son d’autres cloches suffirait plus tard à la lui rendre toute pour un instant, à l’heure<br />

où les cloches prenaient son âme d’alors pour la lui prêter plus tard quand il aurait<br />

besoin d’y retremper son âme viellie, ils étaient encore si légers qu’il ne les sentait<br />

pas et qu’en essayant de lui en parler on ne lui parlait de rien”. Rimandiamo a<br />

dove, ne Il tempo ritrovato, questa pagina viene ripresa. Citiamo solo un brano in<br />

cui riaffiora lo “sforzo”: “Alors, en pensant à tous les événements qui se plaçaient<br />

forcément entre l’instant où je les avais entendus et la matinée Guermantes, je fus<br />

effrayé de penser que c’était bien cette sonnette qui tintait encore en moi, sans que<br />

je pouisse changer aux chaillements de son grelot, puisque ne me rappelant plus<br />

bien comment ils s’éteignaint, pour les réapprendre, pour bien l’écoute, je dus<br />

m’efforcer de ne plus entendre le son des conversations que les masques tenaient<br />

autour de moi” (TR, 1046-1047).<br />

24 Abbiamo incontrato un’allure di discorso molto simile in Girard. “Si guarisce da<br />

una sofferenza solo a condizione di sperimentarla pienamente” (F, 126). Vedi in<br />

CSB, <strong>Proust</strong>, a proposito di Sylvie di Gérard de Nerval: “Questo racconto – che<br />

chiamate una pittura ingenua –, è, non dimenticatelo, il sogno di un sogno (c’est le<br />

rêve d’un rêve, rappelez-vous)” CSB, 237; 37); a proposito del sogno, da leggersi<br />

tutta la parte dedicata a Nerval. “Il ne faut jamais avoir peur d’aller tropo loin car la<br />

vérité est au-delà” (lettera a Ernst Robert Curtius, 18 settembre 1922, CORR, XXI,<br />

479). Da Jalousie: “Eh, signore, è che solo il male fa osservare e imparare, e<br />

permette di scomporre i meccanismo che, altrimenti, non si conoscerebbero. Un<br />

uomo che ogni sera cade come una massa nel suo letto e non vive più fino al<br />

momento di svegliarsi e di alzarsi, questo uomo penserà mai di fare, se non delle<br />

grandi scoperte, almeno delle piccole osservazioni sul sonno? A malapena sa di<br />

dormire (à peine sait-il s’il dort). Un po’ di insonnia non è inutile per apprezzare il<br />

sonno, per proiettare qualche luce in quella notte. Una memoria senza lacune non


27<br />

Sempre in All’ombra...: “Ora, i ricordi d’amore non fanno<br />

eccezione alle leggi generali della memoria, rette a loro volta dalle<br />

leggi più generali dell’abitudine. Siccome questa affievolisce tutto,<br />

quel che meglio ci rammenta una persona è proprio ciò che avevamo<br />

dimenticato (perché era insignificante e gli abbiamo lasciato tutta la<br />

sua forza). Ecco perché la parte migliore della nostra memoria è fuori<br />

di noi, nel soffio d’un vento di pioggia, nell’odor di rinchiuso d’una<br />

camera o nell’odore d’una prima fiammata, dovunque ritroviamo di<br />

noi stessi quel che la nostra intelligenza, non sapendo come<br />

impiegarlo, aveva disprezzato: l’ultima riserva del passato, la<br />

migliore, quella che, quando tutte le nostre lagrime sembrano<br />

esaurite, sa farci piangere ancora. Fuori di noi? In noi, (Hors de<br />

nous? En nous) per meglio dire, ma sottratta ai nostri stessi sguardi,<br />

in un oblio più o meno prolungato (dans un oubli plus ou moins<br />

prolongé). Solo grazie a quest’oblio (c’est grâce à cet oubli) che<br />

possiamo di tanto in tanto ritrovare l’essere che fummo, situarci di<br />

fronte alle cose così com’era situato quell’essere, soffrire di nuovo,<br />

perché non siamo più noi, ma lui (parce que nous ne sommes plus<br />

nous, mais lui), e perché egli amava ciò che a noi è adesso<br />

indifferente (indifférent)” (OF, 643; 236).<br />

Alcune cose, una più interessante dell’altra:<br />

– l’abbiamo già capito: il tempo (il categoriale) lo troviamo solo in<br />

noi: incorporato, immagazzinato; diventato sonno sognato fino<br />

in fondo; dimenticato.<br />

– L’oblio (la rimozione?) consente il “ritrovamento”;<br />

– e lo consente nella più grossolana delle trasgressioni del<br />

categoriale: nella disidentità; meglio: nella perdita del<br />

categoriale che è, per eccellenza, primcipium individuationis.<br />

è un eccitatore moltto potente per studiare i fenomeni della memoria” (J, 64; 28-<br />

29). Queste affermazioni concludono alcune pagine centrate sul tentativo di<br />

liberare ricordare il nome della signora d’Arpajon; ridefinito come tentativo di<br />

liberare “tenebroso prigioniero rannicchiato nella notte interiore” – definita,<br />

quest’ultima, anche “gran ‘nascondino’ (grand ‘cache-cache’)”. A dire la verità, la<br />

lettura di queste pagine, se non per le ipotesi a cui sembra approdare, sicuramente<br />

per il modo in cui queste ipotesi costruisce, ricorda le pagine dedicate da Freud, in<br />

Psicopatologia della vita quotidiana, al recupero del nome di Signorelli o al<br />

ripescaggio di quell’“aliquis” che l’interlocutore di Freud ha cassato nella citazione<br />

del virgiliano “exoriar(e) aliquis nostris ex ossibus ultor”. Tutta proustiana è, invece,<br />

la seguente considerazione: “Ed è più triste di quanto non crediate quando vi si<br />

[nella dimenticanza di un nome] sente l’annuncio della stagione in cui i nomi e le<br />

parole svaniranno dalla zona chiara del pensiero (de la zone claire de la pensée) e<br />

in cui bisognerà, per sempre (pour jamais), rinunciare a nominare con se stessi (à<br />

se nommer à soi-même) coloro che si è conosciuti meglio” (ibdem).


28<br />

Proseguiamo il discorso sull’oblio-rimozione. In Sodoma e<br />

Gomorra il Narratore racconta come ha scoperto che la nonna era<br />

“perduta per sempre” proprio “ritrovandola” (nell’atto di togliersi gli<br />

stivaletti si ricorda della nonna che glieli toglieva quand’era piccolo:<br />

“Sconvolgimento di tutto il mio essere”) (SG, 755 sgg.; 911 sgg.):<br />

“L’essere che mi veniva in aiuto, che mi salvava dell’aridità<br />

dell’anima, era quello che, vari anni prima, in un momento di<br />

sconforto e di solitudine identici (identiques), in un momento in cui<br />

non avevo più nulla di mio (je n’avais plus rien de moi), era entrato e<br />

m’aveva restituito a me stesso (à moi-même), giacché era me e più<br />

di me (car il était moi et plus que moi) [...]”.<br />

Facilita il ricordo (involontario) la coincidenza di un gesto che si<br />

fa adesso con uno che si fece tanto tempo fa...<br />

Ma non è questo l’essenziale, almeno qui; l’essenziale è il<br />

chiarimento folgorante del superamento del principio di<br />

individuazione; attraverso l’intervento, là dove non c’è più niente di<br />

me, di qualcuno mi restituisce a me, perché è me... Correzione: “e<br />

più di me”.<br />

Il Narratore “per la prima volta” ha un ricordo “pieno e<br />

involontario”, della “vera nonna”; della “realtà viva”: “Tale realtà non<br />

esiste per noi finché non sia stata ricreata (recréée) dal nostro<br />

pensiero (se non fosse così, gli uomini che hanno preso parte a<br />

un’immane battaglia sarebbero tutti grandi poeti epici)”.<br />

Di nuovo la ricreazione (che è anche una vera e propria<br />

creazione)... 25<br />

25 Abbiamo già citato, nel cap. 4 di Edipo. Un innocente, il passo delle famose<br />

Petites Madeleines: “Depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo. Tocca a lui<br />

trovare la verità. Ma come? Grave incertezza, ogni qualvolta l’animo nostro si<br />

sente sorpassato da se medesimo (dépassé par lui-même); quando lui, il<br />

ricercatore, è al tempo stesso anche il paese tenebroso dove deve cercare e dove<br />

tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. Cercare? Non soltanto: creare<br />

(Chercher? Pas seulement: créer). Si trova di fronte a qualcosa che ancora non è,<br />

e che esso solo può rendere reale, poi far entrare nella sua luce” (SW, 45; 50).<br />

Vedi anche il passo dei Campanili di Martenville: “Quel piacere, il cui oggetto era<br />

solo presentito, e che io stesso dovevo creare (j’avais à créer moi-même) [...].<br />

Oppure non li avevo mai visti (ne les avais-je jamais vus) [...]” (OF, 77-78; 31-317);<br />

il passo dei tre alberi: “Ce plaisir [...] que j’avais à créer moi-même” (OF, 718;<br />

870)... “La creazione del mondo non è avvenuta una volta per tutte [...], avviene,<br />

deve avvenire ogni giorno” (TR, 458). Molto interessanti le pagine di Contro Saint-<br />

Beuve in cui è evidente una tensione tra creazione e ricostruzione: “E quel fanciullo<br />

che gioca così in me sulle rovine (sur les ruines) non ha bisogno di nessun<br />

nutrimento: si nutre semplicemente del piacere procuratogli dalla scoperta di<br />

un’idea. Egli la crea, esso lo crea (il la crée, elle le crée)” / “In fondo, tutta la mia<br />

filosofia mira, come ogni filosofia vera, a giustificare, a ricostruire quel che è (à<br />

reconstruire ce qui est)” (CSB, 303 sgg.; 107 sgg.)


29<br />

Ma, per venire all’oblio-rimozione: “È certo l’esistenza del nostro<br />

corpo, simile per noi a un vaso che racchiuda la nostra spiritualità, a<br />

indurci a supporre che tutti i nostri beni interiori, le nostre gioie<br />

possate. 26 Forse è egualmente inesatto credere ch’essi sfuggano o<br />

ritornino (peut-être est-il aussi inexact de croire qu’elles s’échappent<br />

ou reviennent). Comunque sia, se restano in noi, per la maggior<br />

parte del tempo rimangono in un regno sconosciuto, dove non ci<br />

rendono nessun servigio, e dove anche i più usuali son soffocati da<br />

ricordi di un ordine diverso (et où elles même les plus usuelles sont<br />

refoulées par des souvenirs d’ordre différent) e che escludono ogni<br />

simultaneità (simultanéité) con essi nella coscienza. Ma, se<br />

riafferriamo la cornice di sensazioni (le cadre de sensations) dove<br />

son custoditi, essi hanno a loro volta il medesimo potere di scacciare<br />

tutto ciò che è loro incompatibile (ce même pouvoir d’expulser tout ce<br />

qui leur est incompatible), e d’insediare in noi (d’installer [...] en nous)<br />

soltanto l’‘io’ che li ha vissuti. Ora, poiché quello che ero<br />

improvvisamente ridivenuto non esisteva più dalla sera lontana in cui<br />

la nonna m’aveva svestito non appena giunti a Balbec, fu con<br />

estrema naturalezza, non dopo la giornata presente ignorata da<br />

quell’‘io’, ma – come se esistessero nel tempo sequenze diverse e<br />

parallele – senza soluzioni di continuità (sans solutions de<br />

continuité), subito dopo (tout de suite après) la prima sera d’un<br />

tempo, che aderii all’attimo (à la minute) in cui la nonna si era chinata<br />

su di me. L’‘io’ ch’ero stato allora e che era stato così a lungo<br />

assente si trovava di nuovo tanto vicino a me che mi sembrava di<br />

udire ancora le parole immediatamente precedenti (les paroles qui<br />

avaient immédiatement précedé), che pur non erano ormai nulla più<br />

d’un sogno (plus qu’un songe), come un uomo mal desto (mal<br />

éveillé) crede di distinguere accanto a sé i rumori del suo sogno che<br />

dilegua. Adesso ero soltanto quell’essere [...]”.<br />

Rintracciamo solo alcuni filoni<br />

Forse è “inesatto” parlare di rimozione e di ritorno del rimosso;<br />

anche se si può parlare di “incompatibilità” (e si parla di refoulement).<br />

26 “Nous ne voyons que nos corps parce que c’est pas dans la catégorie du Temps<br />

que nous nous voyons” (C 51, ES XLI, TR, 877). “Et, désabusé de cette fausse<br />

idée de nous-même que nous donne l’habitude pour la commodité de la vie de<br />

nous identifier avec notre corps, ce qui fait que nous < nous > représentons notre<br />

pensée comme quelque chose du volume à peu près d’une banane, pour qu’elle<br />

puisse tenir entre nos yeux et notre cheveux –, et l’abitude aussi de ne pas nous<br />

voir dans le temps [...]” (C 11, ES XLII, TR, 901).


30<br />

O forse è giusto parlare di “mozione” in ogni caso; sia quando<br />

l’esperienza vissuta viene a forza espulsa dalla coscienza che<br />

quando essa vi viene a forza immessa.<br />

L’espulsione è così immediata e radicale che l’io protagonista di<br />

questa esperienza da allora in poi è come se non fosse mai esistito;<br />

solo l’incidente (involontario) che lo immette di forza nella coscienza<br />

lo ricrea (lo crea).<br />

La “continuità” è una continuità tutta particolare: quella tra un<br />

vissuto intensissimo après-coup e l’esperienza (equivalente) che è<br />

stata immediatamente espulsa... Perché in questione è l’“attimo” (la<br />

“minute”).<br />

La fenomenologia di questa esperienza ripete quella del<br />

risveglio da un sonno profondissimo.<br />

L’inconscio freudiano, quindi, è traducibile in un “regno<br />

sconosciuto” dei vissuti mancati. Mancati perché il non categoriale<br />

non viene rimosso; proprio perché è per sua stessa natura invivibile<br />

(nel categoriale).<br />

La vera incompatibilità è tra categoriale e non categoriale.<br />

Siamo ingannati dal fatto di avere un corpo; che rassomiglia a un<br />

vaso; il quale ultimo “contiene”... 27<br />

27 A proposito del contenere etc., un passo almeno apparentemente<br />

contraddittorio, “E proprio perché contengono (contiennent) così le ore del passato<br />

i corpi umani possono far tanto male a coloro che li amano: perché contengono<br />

tanti ricordi di gioie e di desideri già svaniti in loro, ma così crudeli per colui che<br />

contempla e prolunga nell’ordine del Tempo il corpo diletto di cui è geloso, geloso<br />

fino a desiderarne la distruzione” (TR, 390).


31<br />

Cap. 2<br />

IMBARCHIAMOCI NEL SOGNO DI PROUST<br />

[...] mais pour une jeune fille qui ne serait d’abord sur<br />

l’horizon de la mer, qu’une fleur ]...] mais une fleur<br />

pensante (F, 501)<br />

L’homme n’est qu’un roseau, le plus faible de la nature,<br />

mais c’est un resau pensant (Pensées, 186)<br />

“je m’étais embarqué sur le sommeil d’Albertine” (P, 72)<br />

“Oui, mais il faut marier. Cela n’est pas volontarie, vous<br />

êtes embarqué” (Pensées, 397)<br />

“Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla<br />

nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è<br />

tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi (Wir haben das<br />

Land verlassen und sind zu Schiff gegangen! Wir haben<br />

di Brücke hinter uns, – mehr noch, wir haben das Land<br />

hinter uns abgebrochen!)” (la gaya scienza, af. 124)<br />

“Seulement le cœur – ou le corps – a ses raisons que la<br />

raison ne connaît guère” (Lettera Jaque Bizet, 1888,<br />

CORR, I, 104).<br />

“Le cœur a ses raisons que la raison ne connaît point”<br />

(Pensées, 397).<br />

“Joie, pleurs de joie, joie” (lettera a Antoine Bibesco,<br />

marzo 1903, CORR, III, 258: Bibesco torna a Parigi nel<br />

1903. <strong>Proust</strong> non può riceverlo. Gli manda questo<br />

biglietto)<br />

“[...]. Dieu d’Abraham, Dieu d’Isaac, Died de Jacob, non<br />

des philosophes et des savants. [...]. Père, juste, le<br />

monde ne t’ha point connu, mais je t’ai connu, Joie, joie,<br />

joie, pleurs de joie. Je m’en suis séparé. [...]” (Pensées,<br />

711)<br />

16 versioni...<br />

L’eroe di sveglia in piena notte; ha perso la nozione dello<br />

del tempo e dello spazio... si crede in una camera dove<br />

ha dormito tanto jadis... pensa all’articolo sul Figaro... si<br />

alza e la madre gli porta l’articolo... Contraddizione: se<br />

l’eroe, malato, dorme solo di giorno, come è potuto<br />

precipitare in un sonno così profondo da fargli dimenticare<br />

la disposizione della camera? Questa contraddizione è


32<br />

risolta provvisoriamente: dormivo solo di giorno e quella<br />

notte ebbi solo pochi minuti di sonno ma mi prese così<br />

bruscamente... Alla fine <strong>Proust</strong> trova una soluzione<br />

migliore: oppone “autrefois”, quando l’eroe conduceva<br />

una vita normale e dormiva la notte e “mentenant”<br />

quando, divenuto insonne, dorme solo di giorno (vedi<br />

Introduzione, ed. Tadié, vol. 1, p. 1960).<br />

“[...] l’interesse dell’esistenza risiede quasi tutto nelle<br />

giornate in cui la polvere della realtà è mista a nebbia<br />

magica, in cui un banale incidente diventa una molla<br />

romanzesca. Un intero promomtorio del mondo<br />

inaccessibile sorge allora dalla luce del sogno ed<br />

entra nella nostra vita, dove, simile al dormente che<br />

si risveglia (comme le dormeur éveillé), scorgiamo le<br />

persone sognate, così ardentemente sognate da<br />

credere che non le avremmo mai viste se non in<br />

sogno” (AF, 865; 1047-1048). 28<br />

1) La pre-ouverture della Recherche<br />

Nei Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> 11, ho trovato un articolo di Bernard<br />

Brun: Le dormeur éveillé. Genèse d’un roman de la mémoire. 29<br />

Straordinario. Il titolo richiama uno dei racconti delle Mille e una notte<br />

che ha ispirato (insieme a Sommeil et les rêves di Alfred Maury)<br />

28 Sembra proprio che <strong>Proust</strong> abbia fatto tesoro delle meditazioni di Schopenhauer<br />

relative alla musica. Questa sarebbe “la copia d’un modello (la Volontà) che non<br />

può mai essere rappresentato direttamente”. Come dire: la musica attinge<br />

l’acategoriale; il musicista l’incarna l’essenza in un paradigma analogo, tratto dal<br />

mondo reale. Nel cahier 58 (scritto alla fine del 1910), la frase che descrive<br />

l’affiorare del ricordo ha lo stesso stampo della celebre frase che termina l’episodio<br />

della madeleine. Ma qui è la musica che occupa e svolge il ruolo del gioco<br />

giapponese: “[...] refaisant le même pas que j’avais fait pour qu’il fît renaître encore<br />

une fois l’insaisissable frôlement des visions indistinctes qui proposaient<br />

impérieusement à mon esprit l’énigme de leur bonheur. Toutes les fois où je<br />

réussissais à ne pas me contenter de faire naturellement le pas avec ma jambe<br />

mais à le refaire en quelque sorte en moi où mon âme retrouvait assez d’élan pour<br />

retoucher une fois encore le point intérieur qu’elle n’avait saisi mais dont le concact<br />

instantané et glissant lui causait une telle joie, à ce moment-là, comme certaines<br />

pages musicales ont souvent le don d’évoquer certains paysages [...]” (C 58, ES,<br />

XXIV, TR, 804).<br />

29 Études proustienne IV. <strong>Proust</strong> et la critique anglo-saxonne (Gallimard, Paris,<br />

1982, pp. 239 sgg.).


33<br />

<strong>Proust</strong> ancora prima che per la grande ouverture della Recherche,<br />

per il “preambolo narrativo” del suo “saggio” Contre Sainte-Beuve. 30<br />

(Ho riletto, qualche giorno dopo, l’incipit della Recherche.<br />

Straordinario bis. Quasi tutto è stato conservato, precisato, superato.<br />

Mi ha colpito, come già-freudiano, l’espressione: “semplicité<br />

primière”: “[...] non sapevo dove mi trovassi e, in un primissimo<br />

momento, nemmeno chi fossi; avevo nella sua semplicità primaria<br />

(dans sa semplicité primière) soltanto il sentimento dell’esistenza<br />

così come può fremere nella profondità di un animale” [SW, 5; 8].<br />

Ricordate la scena “primaria”?).<br />

L’incipit della Conversation avec maman, che doveva contenere<br />

la teorizzazione estetica del Contre Sainte-Beuve, si gioca tutto sulle<br />

vicissitudini nell’addormentarsi e del ridestarsi.. Si tratta di<br />

vicissitudini che producono diversi “errori”... 31 Il Nostro è, infatti,<br />

disorientato del tempo e nello spazio; 32 si trova estraneo al<br />

concatenamento causa-effetto 33 ...<br />

Da un certo punto in poi però, questi errori assumono un valore<br />

positivo: mettono in moto la memoria... della camera... di tutte le<br />

30<br />

Siamo autorizzati ad utilizzare i materiali dei Cahiers dal fatto che <strong>Proust</strong> ha<br />

conservato tutto; in modo quasi maniacale. (Ha fatto bruciar nel corso nel 1917, da<br />

Céleste, nel grande forno della cucina, trentadue “taccuini neri”. Si pensa che la<br />

materia di questi Cahiers sia stata ricopiata e messa in bella altrove. <strong>Proust</strong> non<br />

distruggeva nulla che potesse ancora servigli; così ha sempre conservato Jean<br />

Santeuil.<br />

31<br />

“Plus triste est l’erreur du malade” (C3, 251). Ma questo malato è anche uno che<br />

s’addormenta, si sveglia, si riaddormenta...<br />

32<br />

“/ Et la porte ayant changé de place, met à côté de nous, au lieu du couloir s’en<br />

allant dans la maison, une cour, le mur” (C3, 245); 32 “[...] et nous flottons incertains<br />

entre les lieux et les années qui tornent autour de nos yeux étourdis qui ne peuvent<br />

s’ouvrir” (C3, 246-247); “J’avais du m’endormir assez brusquement, et sans garder<br />

avec moi le plan de la chambre. J’avais du être surpris par le sommeil / m’endormir<br />

assez brusquement et sans avoir le temps de / oublié de / J’avais du m’endormir<br />

assez brusquement Le sommeil avait du me prendre assez brusquement à un<br />

moment où j’avais laissé un instant tomber de la pensée le plan du lieu où je me<br />

trouvais; quand je m’éveillai je l’avais perdu; je ne savais pas où je me trouvais”<br />

(C3, 250); “Et ils s’éveiellent et leur corps / ses membres étourdis cherchent à<br />

reconnaître leur position, s’ils sont étendus sur le sopha du club ou dans le son<br />

corps < étourdi > cherche à reconnaître sa position, s’il s’éveille vient de dormir<br />

assis dans le fauteuil du club ou couché sur le plancher de la barcque, et tandis<br />

que le dormeur l’âme du dormeur encore à peine éveillé hésite et attend hors de<br />

l’espace et du temps entre les lieux, les conditions et les années, ses membres<br />

cherchent dans leur mémoire les souvenirs de leurs attitudes l’image des lieux”<br />

(C3, 254)...<br />

33<br />

Vedi più avanti.


34<br />

camere 34 in cui, nel passato e altrove, il Narratore si è<br />

addormentato...<br />

Brun spiega in che modo la memoria messa in moto dal<br />

risveglio brusco (tout d’un coup) 35 seguìto, a sua volta, ad un brusco<br />

addormentarsi (sulla poltrona, sulla barca, sul letto...) contribuisce a<br />

strutturare, insieme alla memoria propriamente “involontaria”, il<br />

romanzo in cui “il narratore racconta il dormente svegliato che<br />

racconta l’eroe”...<br />

Quel che s’è presentato come un “incidente” (l’addormentarsi o<br />

il risvegliarsi), pur conservando molto dell’in-cidentale, acquista tutto<br />

il valore “rivelatorio” del tout d’un coup. 36<br />

Questo spiega come mai la “cérémonie du dormir” (C1, 280),<br />

d’apprima definita “la place du crucifix” (C1, 279), diventa la fonte<br />

dell’immortalità... In ogni caso, l’ingresso nel misterioso, quello<br />

stesso in cui non c’è più, infine!, il concatenamento causa-effetto:<br />

“Qu’elle était reposante pur mes yeux cette obscurité mysterieuse<br />

que je retrouvais là sans me souvenir qu’elle y était déjà quand je<br />

m’étais endormi qui me semblait venue là sans que je m’en fusse<br />

aperçu, et plus reposante encore pour mon esprit < qui sentait qu’il<br />

était suspendu pour une seconde encore < comme > dans ce hamac<br />

délicieux qui ne touche pas au monde intell[ectuel] / des effets<br />

audessus de la terre, sans plus saisir l’enchaînement des effets et<br />

des causes >” (C5, 262).<br />

“Mais Maman alors dort dans la chambre et je n’entends pas sa<br />

respiration ni le bruit de la mer. Mon lit change encore de direction ou<br />

34 “Toutes celles qu’il avait eues < depuis mon enfance > se présentaient<br />

successivament à sa mémoire < obscure, > reconstruisant < chacune > autour<br />

d’elles, toutes le chambres tous les lieux” (C1, 277).<br />

35 Citiamo solo due luoghi in cui i tout d’un coup s’infittiscono... Essi preannunciano<br />

la fenomenologia della memoria involontaria... Il dormiente che si sveglia di colpo,<br />

anche di colpo si è addormentato... “de ces mots où brusquement on croit sentir la<br />

dame jusque là indifférente avait tout d’un coup < un > de ces mots par qui je<br />

m’aperçevais < tout d’un coup placé à mon insu > dans sa vie à elle, où je n’avais<br />

pas cru que je fusse entré” (C1, 285); “Tout d’un coup j’apercevais J’avais établi<br />

que se trouvait autour de moi, ici la commode, là la cheminée, plus loin la fenêtre.<br />

Tout d’un coup je voiais” (C1, 286)...<br />

36 Citiamo solo due luoghi in cui i tout d’un coup s’infittiscono... Essi sono<br />

preannunciano la fenomenologia della memoria involontaria... Il dormiente si<br />

sveglia di colpo; ma anche di colpo si è addormentato... “de ces mots où<br />

brusquement on croit sentir la dame jusque là indifférente avait tout d’un coup <<br />

un > de ces mots par qui je m’aperçevais < tout d’un coup placé à mon insu > dans<br />

sa vie à elle, où je n’avais pas cru que je fusse entré” (285); “Tout d’un coup<br />

j’apercevais J’avais établi que se trouvait autour de moi, ici la commode, là la<br />

cheminée, plus loin la fenêtre. Tout d’un coup je voiais” (C1, 286)...


35<br />

plutôt je ne cros pas que ce soit un lit [... ]” (C1, 277 + 282 et<br />

passim)...<br />

Il letto è un letto o altro?<br />

<strong>Su</strong> di esso la madre dorme e respira: “Mais Maman alors dort<br />

dans la chambre et je n’entends pas sa respiration ni le bruit de la<br />

mer. Mon lit change encore de direction ou plutôt je ne cros pas que<br />

ce soit un lit ]” (C1, 277 + 282 et passim). Proprio così, è dice<br />

“bonsoir” etc... 37<br />

2) Oltre l’Antico e il Nuovo Testamento<br />

Abbiamo citato nel terzo capitolo un “pezzo”, un pezzo-forte di<br />

cui qui cerchiamo di richiamare l’essenziale per punti.<br />

37 “[...] et Maman je suis souffrant et Maman dort dans la même chambre au fond,<br />

pour m’en assurer je veux tâter s’il n’y a pas de tapis et appeler Maman, mais ma<br />

voix ne peut pas sortir de ma bouche et mon bras ne remue pas et pendant un<br />

istant encore les formes, et les temps vont tourner autour de mon corps étourdi et<br />

rompu [...]” (C3, 248). In ogni “devant lui la chambre où ses parents dorment côte à<br />

côte” (C3, 246). La madre viene a dirgli “bonsoir” (o bonjour...): “Comme j’avais<br />

déjà pris l’habitude de ne dormir que le jour, on entrait chez moi 8 heures c’était le<br />

momenti où Maman entrait me dire bonsoir (j’avais déjà pris l’habitude de < ne ><br />

dormir que le jour, je m’endormais après le 1 er courrier” (C1, 247). Lo<br />

bacia/abbraccia: “Maman entra dans ma chambre et m’embrassa avec pour me<br />

donner mes lettres. Elle n’entrait qu’un moment à celle heure là. Elle avait ce<br />

visage. La tendresse n’était pas cachée sur son visage, comme autrefois quand<br />

elle espérait faire de moi un homme vaillant et qu’elle voulait diminuer et entretenir<br />

le moins possible l’exaltation de ma tendresse pour elle. Maintentant elle accordait<br />

j’étais un malade qu’elle n’espérait plus guérir et elle cherchait à me donner des<br />

consolations. Et puis les chagrins avaient brisé sa volonté. Et sa voix son visage<br />

restaient toujours en une harmonie secrète avec ceux qu’elle pleurait comme si<br />

quelque chose de rude avait du leur faire du mal. Elle avait gardé quelque chose<br />

d’un geste d’infini respect, de timidité infinie d’infinie douceur avec lequel au<br />

cimetière elle avait laissé tomber comme épouvantée, les en poussière légère et<br />

brisée la pelletée de terre sur le cercuil de sa mère. Même sa gaîté avec nous<br />

nous restait douce, et se jouait sans éclat et sans monter jusqu’à lui audessous de<br />

son chagrin. Elle avait A cette heure là pourtant elle m’embrassait vite et se retirait<br />

< ne restait jamais à causer, > pour me montrer que admettant que malade, je<br />

dormisse le jour mais ne voulant pas laisser périmer en moi pour des jours<br />

meilleurs l’horaire d’une vie saine et pratique, et me montrer qu’il ya [des] heures<br />

pour tout [...]!” (C 3, 255-256). Anche qui il campanello: “Tout à l’heure le réveil va<br />

sonner, il faudra se lever vite pour avoir le temps de descendre à la cantine boire<br />

une un verre de café au lait avant de partir musique en tête dans la campage” (C5,<br />

277).


36<br />

(I frammenti collazionati da Brun sono riportati nell’ordine in cui<br />

essi sono stati scritti... 38 Essi ricoprono ottantaquattro pagine (<strong>Proust</strong><br />

45, <strong>Proust</strong> 88, C3, C5, C1, 242-286). Un bel po’ se consideriamo<br />

che siamo ai primi abbozzi dell’ouverture della Recherche... La<br />

lettura di una piccola parte di questi Cahiers ci aiuta a capire come<br />

lavorava <strong>Proust</strong>: il metodo adottato da <strong>Proust</strong> gli permette “di<br />

sviluppare simultaneamente diversi progetti e di riprenderli poi,<br />

isolatamente, su vari fogli o cahiers. [...]. La stessa scena o lo stesso<br />

paragrafo sono [...] ripresi innumerevoli volte (alcuni paragrafi<br />

addirittura trentacinque” 39 )<br />

1) Risveglio: “Je rallumais un instant”,<br />

2) Desiderio che suoni il campanello: quel suono significherà il<br />

soccorso (colui che dorme, infatti, è un malato ed è stato colto<br />

da una grave crisi): “Quel bonheur, il pourra sonner, on viendra<br />

lui porter secours.”<br />

3) “J'éteignais, je me rendormais”.<br />

4) Sogno: come Eva nacque da una costola d’Adamo, una donna<br />

nasce da una posizione della sua coscia...<br />

5) Nel sogno pensa che il piacere gli deriverà dalla nuova Eva; ma<br />

si tratta di un’illusione: “je m’imaginai que c’était elle"qui me<br />

l’offrait”.<br />

6) I “baisers” da chi vengono?<br />

7) Siamo nella veglia o in un luogo dove è possibile ricordare: il<br />

curato gli tirava i boccoli.<br />

8) Questo il terrore dell’infanzia (qui definito come “la dure Loi”).<br />

9) La liberazione da questo terrore avviene attraverso il taglio dei<br />

boccoli e rappresenta un punto di rottura: “La chute de"Kronos,<br />

la découverte de Prométhée, la naissance du Christ" avaient<br />

pas pu soulever aussi haut"le ciel audessus de l’humanité<br />

jusque là écrasée, que n’avait"fait la coupe de mes boucles, qui<br />

avait entraîné avec elle à"jamais l’affreuse appréhension”. 40<br />

10) Ricorriamo qui ad un frammento precedente in cui (a) il punto di<br />

rottura è paragonato solo a quello determinato dalla caduta di<br />

Kronos (per il momento niente Prometeo e Cristo); ma, in<br />

compenso, (b) il taglio dei boccoli è descritto come un<br />

decollamento (evirazione; Sansone); come (3) la soppressione<br />

di un organo (la mente va alla mancanza dell’organo adatto a<br />

38 Le parole cancellate da <strong>Proust</strong> sono in corsivo; le cancellazioni successive sono<br />

separate da una barra obliqua; le aggiunte sono messe tra (< >)... Talvolta<br />

incontriamo dei refusi...<br />

39 Tadié, <strong>Proust</strong>, 1983, tr. it. Il Saggiatore, Milano, 1985, pp. 18, 20).<br />

40 Svegliatosi dall’incubo si accorge che... “j’avais les cheveux ras” (C5, 260).


37<br />

baciare ne La prigioniera): “[...] le supplice de mon enfance [...]<br />

avait pris fin il y avait plus de dix ans au moment où on m’avait<br />

à jamais coupé mes boucles, [...] / dans la région comprise<br />

entre ma tête et mon corps / la < courage > indifférence de ma<br />

nuque conquête de sa liberté La sereine indifférence de ma<br />

nuque, conquise depuis le jour où elle avait été affranchie de<br />

ses terreurs par la suppression de l’objet organe qui en était de<br />

siège” (C5, 263).<br />

11) Quindi, almeno a questo punto, sembra che il taglio dei capelli,<br />

l’evirazione vera e propria, “tolga” (hegelianamente) il terrore<br />

d’essere tirato per i capelli “da dietro”... Tolga, cioè, la paranoia.<br />

Forse attraverso quel famoso meccanismo che va sotto il nome<br />

di trasformazione del passivo in attivo? Che “toglie”,<br />

hegelianamente, per conservare: toglie di mezzo ma anche<br />

toglie in moglie = mette al centro. Questo meccanismo, da San<br />

Paolo in poi, va sotto il nome di Grazia. Vedremo meglio la<br />

grazia proustianamente intesa al lavoro: quando trasformerà il<br />

“manque de volonté” in “mémoire involontaire”...<br />

12) Qui sembra che i boccoli, al Narratore, glieli abbiano tagliati...<br />

<strong>Su</strong> sua richiesta? Ricordo che i miei boccoli mio padre decise di<br />

farmeli tagliare dal barbiere quando protestai: già da troppo<br />

tempo all’asilo mi scambiavano per una bella bambina. Ricordo<br />

che sollevavo il grembiule... Solo adesso colgo il “volgare”<br />

dell’atto esibizionistico: sono un uomo, guardate qua!<br />

13) Prima di proseguire: sì, nel nuovo regime (Nuovo Testamento)<br />

la paura della castrazione non c’è più... Ma, forse, è stata<br />

sostituita da altre paure (l’evirazione non è stata “à jamais”): “À<br />

vrai dire d’autres cra[intes]"souffrances cet d’autres craintes<br />

l’avaient peut’être remplacée, mais si différentes que c'était le<br />

monde de la nouvelle Loi mais l’axe"du monde avait été<br />

déplacé”.<br />

14) Da quel che segue – pensieri del sogno o della veglia o del<br />

dormiveglia – si capisce che adeguato è il richiamo alla venuta<br />

del Cristo; essa ha, infatti, portato una nouvelle Loi (un Nuovo<br />

Testamento) 41 opposto alla Loi encienne (all’Antico<br />

Testamento, la dure Loi). La vecchia legge, il Vecchio<br />

Testamento (il luogo del terrore) è rappresentato dal<br />

sonno/sogno: “Ce monde de l’ancienne loi j’y"rentrais aisément<br />

en dormant, je ne m’éveillais”...<br />

41 Una “nuova era”: “perte de mes boucles < m’avait délivré un > / [et que] depuis<br />

un évènement < qui en m’en délivrant > data pour moi une ère nouvelle, le jour où<br />

on coupa mes boucles, je ne peux plus concevoir” (C1, 274).


38<br />

15) Il terrore della castrazione (il curato che tira i boccoli dal di<br />

dietro derrière ma tête: paranoia) incombe di notte. È smentito<br />

nella veglia dalla rassicurazione: i boccoli sono stati tagliati.<br />

Prima di dormire – “Et avant de me rendormir,"me rappelant<br />

bien que le curé était mort et que j’avais les"cheveux courts” – il<br />

sognatore si crea un nido protettore (il famoso bacio del “drame<br />

du coucher”, in quanto “ostia”, “viatico” etc., non avrà il compito<br />

di produrre quel che qui è pensato come gesto di autotutela?<br />

(vedremo più avanti il ricorso ad un bacio autoerotico): “Et avant<br />

de me rendormir,"me rappelant bien que le curé était mort et<br />

que j’avais les"cheveux courts, j’avais tout de même soin de me<br />

faire avec"cimenter avec l’oreiller, le drap et la couverture, mon<br />

mouchoir et le mur un nid protecteur, où je avant de rentrer<br />

dans"ce monde bizarre où tout de même le curé vivait et j’avais<br />

des"boucles”.<br />

16) Qui il Narratore incrocia altre sensazioni – quelle relative alla<br />

masturbazione, arte impoetica e poetica insieme – che<br />

equivalgono a quelle oniriche. Qui scoppia il grido di gioia: esse<br />

coincidono con “le son des cloches de Pâques”. Ma il Narratore<br />

capisce che queste sensazioni – provate in occasione della<br />

masturbazione possono successivamente tornare soltanto in<br />

sogno. Da cui il diventare del sogno, da dura legge, anche<br />

alcova di piacere: “Des sensations qui < elles"aussi > ne<br />

reviendront plus, qu’en rêve”.<br />

17) Meglio ancora: il Narratore, di queste sensazioni osa parlare<br />

solo in quanto oniriche: “De ces"sensations là je n'oserais pas<br />

parler, si elles ne revenaient / si elles"n’étaient à cette époque<br />

quelquefois revenues dans mon sommeil”.<br />

18) In quanto sensazioni oniriche – o che sono capaci di inaugurare<br />

il sogno – esse coincidono con il primo amore che è<br />

“involontario”: “La Rochefoucauld a dit que nos premières<br />

amours"seules sont involontaires. Il en est ainsi aussi de ces<br />

plaisirs"solitaires qui plus tard ne nous servent qu’à tromper<br />

l’absence"d'une femme, à nous figurer qu’elle est avec elle”.<br />

19) Si può, quindi, affermare che l’autoerotismo è “involontario” (A).<br />

20) Aggettiveremo ulteriormente questo piacere. Proseguiamo:<br />

questo piacere il Narratore lo cerca, per la prima volta, nel<br />

cabinet chiuso. Qui succede qualcosa di interessante: il<br />

Narratore chiuderà nel momento culminante le finestra; ma l’iris<br />

o il lillà (il giovane lillà) che si è intromesso attraverso un<br />

interstizio, fungerà da testimone (il seme – frutto proibito –<br />

andrà “come” a rompere il suo ramo...). La finestra è un


39<br />

elemento centrale della scena. Qui non una via per spiare<br />

qualcun altro, ma una via attraverso la quale giungono i<br />

testimoni del nostro piacere: “Mais à douze"ans quand [...] j’allai<br />

m'enfermer pour"la 1 re fois dans le cabinet [...] où des colliers de<br />

graines d’iris"étaient suspendus, < ce que je venais chercher ><br />

c'était un"plaisir inconnu, special original, qui n’était pas<br />

la"substitution d’un autre”.<br />

21) Intanto, un’altra definizione del piacere autoerotico: esso è<br />

“originale” (B); non sostituisce un altro (sarà il contrario: ogni<br />

altro piacere sostituirà quello autoerotico; ma, non trascuriamo<br />

che qui si tratta del “prino” piacere autoerotico (“pour"la 1 re fois”;<br />

‘La Rochefoucauld a dit qu’on n’aime qu’une fois dansa sa vie.<br />

“Les autres amours sont moins involontaires’” [C5, 265]).<br />

22) A dire il vero c’è anche una esibizione; si potrebbe dire che il<br />

primo piacere (proprio per questo “amore”) autoerotico è<br />

condiviso con un giovane fiore: “Elle fermait parfaitement à<br />

clefs, mais la fenêtre"en était toujours ouverte laissant passage<br />

à un jeune lilas qui"avait poussé sur le mur extérieur et [...] avait<br />

passé par"l'entrebaillement sa tête odorante. Si haut (dans les<br />

combles"du château) j’étais absolument seul mais cette<br />

apparence d’être"en plein air [...] ajoutait un trouble délicieux<br />

[...] au sentiment de sécurité que de solides verroux donnaient<br />

à ma solitude”.<br />

23) Una terza definizione (C): piacere autoerotico, condiviso con un<br />

giovane lillà, non è esteriore ma interiore: “L’exploration que je<br />

fis alors en moi-même à la recherche d’un plaisir que je ne<br />

connaissais pas”.<br />

24) La precisazione che il piacere, quello provato la prima volta<br />

(vedi sopra), oltre che essere autoerotico è anche “interiore” è<br />

essenziale. L’“en moi-même” è l’antesignano dell’interiorità di<br />

tutto, piacere e dispiacere. E richiama l’invito di San Agostino:<br />

“Noli foras ire. In te ipsum redi. In interiore homine, habitat<br />

veritas”.<br />

25) Quarta definizione (D): è extra-temporale: “[L’exploration] ne<br />

m’aurait pas donné plus d’émoi, plus"d’effroi, s’il s’était agi pour<br />

moi de pratiquer à même ma"moëlle et mon cerveau une<br />

opération chirurgicale. À tout"moment je croyais que j’allais<br />

mourir. Mais que m’importait,"ma pensée exaltée par le plaisir<br />

sentait bien qu’elle était plus"vaste, plus puissante que ce<br />

monde cet univers que j'apercevais"au loin par la fenêtre et que<br />

/ dont en temps habituel où dans"l’immensité et l’éternité duquel<br />

je pensais < en temps habituel > avec tristesse que je n’étais


40<br />

qu’une parcelle éphémère."En ce moment aussi loin que les<br />

nuages s’arrondissaient audessus de la forêt, je sentais que<br />

mon esprit allait encore un"peu plus loin, qu’il / et laissait entre<br />

la fin / l’extrémité des choses et"n’était pas entièrement rempli<br />

par elles, laissait une petite"marge encore. Mon regard Je<br />

sentais mon regard puissant dans"mes prunelles porter comme<br />

de simples reflets sans réalité les"belles collines bombées qui<br />

s’élevaient comme des seins"des deux côtés du fleuve. Tout<br />

cela reposait sur moi, j’étais"plus que tout cela, je ne pouvais<br />

mourir”.<br />

26) In un frammento anteriore: “Je ressuscitais à une vie où je<br />

n’avait / j’éprouve en dormant les sensations des années<br />

pendant lesquels j’épruvais ces sensations, ces idées bizarres<br />

d’un autre temps que nous ne pensions plus pouvoir jamais<br />

ressentir [...]” (C5, 259-260). Qui l’aggettivazione “bizzarro”,<br />

prima usata per qualificare il regno del terrore (vedi anche “ce<br />

mond bizarre où j’avais de nouveau des boucles” [C1, 275]),<br />

caratterizza il regno del passato, del risuscitato.<br />

27) Ad ogni modo, le sensazioni sono “détachées de toute ma vie<br />

présente”. 42<br />

28) A questo punto il frutto della eiaculazione appare insieme come<br />

il frutto proibito che, colto, dà accesso alla conoscenza; ma<br />

anche come il tramite per l’accesso alla tenerezza. In ogni caso,<br />

all’io interiore: “À ce moment l’odeur du lilas je sentis < comme<br />

> une"tendresse qui m’entourait, ‘'était l’odeur du lilas que<br />

dans"mon exaltation j’avais cessé de percevoir et qui venait à<br />

moi,"qui venait à moi comme [...]. Mais une odeur âcre qui <<br />

une odeur de séve > s’y"mêlait comme si j’eusse cassé la<br />

branche; j’avais seulement"laissé sur la feuille une trace<br />

argentée et naturelle, comme le"fait le fil de la vierge ou le<br />

colimaçon. Mais sur cette branche"il m’apparaissait [une trace<br />

argentée et naturelle], comme le fruit défendu dans le sur<br />

l’arbre"du mal. Et comme les peuples qui donnent à leurs<br />

divinités"des formes inorganisées, ce fut sous [...] l’apparence<br />

[...] ce fil d’argent qu’on pouvait tendre presque<br />

indéfiniment"sans le faire finir [...] et que je devais tirer de moi-<br />

42 “< C’étaient aussi > d’autres impressions, à peine plus moins anciennes, < mais<br />

> si basses qu’un écrivain serait inexcusable de les dépeindre si l’impossibilité où<br />

on est de les ressentir une fois passée la première adolescence, ne fais[ait] leur en<br />

laissant le parfum, donnait quand elles passaient se montraient dans mes rêves ce<br />

charme d’être détachées de tout lien avec la réalité terre, de s’y épanuir comme<br />

des fleurs d’eau [...]” (C5, 254-265).


41<br />

même, en allant tout au rebours de ma vie naturelle, que je me<br />

représentais dès lors et pour quelque temps le diable”.<br />

29) La divinità e il diavolo coincidono? Sicuramente l’Antico<br />

Testamento è diventato un altro Nuovo Testamento = il sogno è<br />

diventato, da luogo di terrore, luogo di scoperta (e di scoperta<br />

della vita eterna = della conoscenza).<br />

30) Si dovrebbe concluderne che la Recherche produce una rottura<br />

epistemologica ed esistenziale tra Antico e Nuovo Testamento<br />

e un’altra prospettiva...<br />

31) Richiamiamo un frammento anteriore semplificandolo al<br />

massimo: “Je me rendormais. Parfois pendant mon sommeil,<br />

Comme"Eve [...] sortit d’une côte d’Adam, une femme [...]<br />

s’élevait dune fausse position de ma cuisse. [...]. < Je<br />

l’embrassais, > Je m’éveillais. [...]. < le reste du monde<br />

m’apparaissait comme bien peu réel auprés"de celle que je<br />

venais de quitter, > j’avais encore aux lèvres le goût de la<br />

saveur de sa"joue [...]. Bientôt j’avais"oublié la fille voluptueuse<br />

de mon rève, aussi vite que si ç’avait été une amante véritable.<br />

[...]. D’autres fois [...] j’errais en dormant dans ces années<br />

perdues dont les portes ne se"rouvraient pour nous que dans le<br />

sommeil. Et mon rêve / Dans mon réve j'étais"< devenu > celui<br />

que je n'avais plus cru possible d'être jamais” (C5, 264).<br />

3) Nous nous sommes embarques<br />

Imbarchiamoci nel sogno di <strong>Proust</strong>. O meglio, in quella sorta di<br />

passaggio continuo dalla veglia al sogno e dal sogno alla veglia,<br />

transitando per la zona umtratile e luminescente che è il dormiveglia:<br />

ogni interpretazione onirica, vigile e semi-vigile, in un circolo<br />

ermeneutico senza fine, diventa meta-intepretazione di tutte le<br />

interpretazioni precedenti.<br />

“C’est le m[oment] l’heure où le malade qui passe la nuit dans<br />

un hotel étranger et qui est éveillé par un crise affreuse, se réjouit en<br />

apercevant sous la porte une raie de jour. 43 Quel bonheur, il pourra<br />

sonner, on vientra lui porter secours. À ce moment la raie de jour qui<br />

brillait sous sa porte s’éteint. C’est minuit, on vient d’éteindre le gaz<br />

43 Alla “raie de jour” dell’incipit di Du côté de chez Swann, corrisponderà, alla fine<br />

de À l’ombre des jeunes filles en fleurs, un “pan de soleil”. All’ultimo momento<br />

<strong>Proust</strong> trasferisce in questo volume la scena dell’apertura delle tende della camera<br />

di Balbec da parte di Fraçoise: gioioso contrasto con i “couchers” e i “reveils”<br />

inquieti che iniziano il romanzo... e lo assillano.


42<br />

qu'il avait pris pour le matin et il lui faudra rester toute"la longue nuit à<br />

souffrir intolérablement, sans secours. J’éteignais, je me rendormais.<br />

Quelquefois comme Eve naquit"d’une côte d’Adam, une femme<br />

s’élevait naissait d'une fausse"position de ma cuisse. Pétrie du<br />

Formée par le plaisir que"j’étais sur le point de goûter, je m’imaginai<br />

que c’était elle"qui me l'offrait. Mon corps qui sentait en elle sa<br />

propre"chaleur voulait se rejoindre à elle, je m’éveillais. Tout le"reste<br />

des humains m’apparaissait comme bien lointain à"c[ôté] / auprès au<br />

prix de cette femme que venais de quitter,"avec qui j’avais connu tant<br />

de plaisir; c’était la plus récente"et la plus / et je l’avais vue de cette<br />

manière j’avais la tête joue"< encore > chaude encore de ces<br />

baisers, le corps courbaturé par le poids de sa taille. Puis / Bientôt<br />

Peu à peu, j’avais"son souvenir se dissipait s’évanouissait; et bientôt<br />

j’avais oublié"la fille de mon rêve < maintenant > aussi vite que si<br />

c’eut"été une amante véritable. D’autres fois je rentrais me<br />

promenais en dormant dans ces jours de notre enfance, j’éprouvais<br />

sans effort ces sensations qui ont à jamais disparu avec"la dixième<br />

année et que, dans leur insignifiance nous voudrions tant connaître<br />

de nouveau, comme quelqu’un qui"saurait ne plus jamais revoir l’été<br />

aurait aussi bien la nostalgie"même du bruit des mouches qui est<br />

dans la chambre qui"signifie le chaud soleil dehors, même du<br />

grincement des"moustiques qui signifie la nuit parfumée. Je rêvais<br />

que notre"vieux curé allait me tirer par mes boucles, ce qui avait été<br />

la"terreur, < la dure Loi >, de mon enfance. Cette La chute<br />

de"Kronos, la découverte de Prométhée, la naissance du Christ"<br />

avaient pas pu modifier aussi complètement soulever aussi haut"le<br />

ciel audessus de l’humanité jusque là écrasée, que n’avait"fait la<br />

coupe de mes boucles, qui avait entraîné avec elle à "jamais<br />

l’affreuse appréhension. À vrai dire d’autres cra[intes]"souffrances et<br />

d’autres craintes l’avaient peut’être remplacée, mais si différentes<br />

que c’était le monde de la nouvelle Loi mais l’axe"du monde avait été<br />

déplacé. Ce monde de l’ancienne loi j’y"rentrais aisément en<br />

dormant, je ne m’éveillais qu’au moment"où le curé me ayant<br />

vainement essayé d’échapper au pauvre"curé, mort aprés tant<br />

d’années, je sentais mes boucles"vivement tirées derrière ma tête. Et<br />

avant de me rendormir,"me rappelant bien que le curé était mort et<br />

que j’avais les"cheveux courts, j’avais tout de même soin de me faire<br />

avec"cimenter avec l’oreiller, le drap et la couverture, mon mouchoir<br />

et le mur un nid protecteur, où je avant de rentrer dans"ce monde<br />

bizarre où tout de même le curé vivait et j’avais des"boucles. Il y a<br />

d’autres sensations encore qui caractérisent une enfance à peine"un<br />

peu plus adolescente. Elles sont de celles dont on ne devrait


43<br />

pas"parler si elles / pourrait pas parler, si elles < n’ > étaient<br />

exclusivement attachées à un âge si lointain, qu’elles / Parmi<br />

d’autres sensations par elles mêmes peu poétiques qui sont si<br />

inséparables d’un âge"[pass. illis.]. / Il est des sensations Des<br />

sensations qui < elles"aussi > ne reviendront plus, qu’en rêve,<br />

caractérisent les"années qui suivent, et si peu poetiques qu’elles<br />

soient, se"chargent de toute la poésie de cet âge, comme rien ne<br />

n’est"si plein du son des cloches de Pâques et des premières<br />

violettes"que ces derniers froids de l’année qui gâtait<br />

nos"vacances et forcaient à faire du feu pour le déjeuner. De<br />

ces"sensations là je n'oserais pas parler, si elles ne revenaient / si<br />

elles"n’étaient à cette époque quelquefois revenues dans mon<br />

sommeil qui"revenaient alors quelquefois dans mom sommeil je<br />

n’oserais"pas parler, si elles n’y apparaissaient étaient apparues,<br />

presque"poetiques, détachées de toute ma vie présente, comme<br />

blanches"comme ces fleurs d’eau qu'on dont la racine ne tient pas à<br />

la"terre. La Rochefoucauld a dit que nos premières amours"seules<br />

sont involontaires. Il en est ainsi aussi de ces plaisirs"solitaires qui<br />

plus tard ne nous servent qu’à tromper l’absence"d’une femme, à<br />

nous figurer qu’elle est avec elle. Mais à douze"ans quand on va<br />

s’enfermer la 1 re foi[s] j’allai m’enfermer pour"la 1 re fois dans le<br />

cabinet qui était en haut du château et < de"notre maison à Combray<br />

> où des colliers de graines d’iris"étaient suspendus, < ce que je<br />

venais chercher > c’était un"plaisir inconnu, special original, qui<br />

n’était pas la" substitution d’un autre. La fenêtre C’était, pour des<br />

cabinets"une très grande pièce; le plaisir / sentiment de sécurité que<br />

j’avais"à y être enfermé seul était rendu plus troublant par la fenêtre<br />

ouverte où un jeune lilas, poussé dans l'interstice du mur venait<br />

passer sa tête odorante. Elle fermait parfaitement à clefs, mais la<br />

fenêtre"en était toujours ouverte laissant passage à un jeune lilas<br />

qui"avait poussé sur le mur extérieur et passait avait passé<br />

par"l’entrebaillement sa tête odorante. Si haut (dans les combles"du<br />

château) j’étais absolument seul mais cette apparence d’être"en plein<br />

air, non séparé ajoutait un trouble délicieux à la solitu[de] au<br />

sentiment de sécurité que de solides verroux donnaient à ma<br />

solitude. L'exploration que je fis alors en moi-même à la recherche<br />

d’un plaisir que je ne connaissais pas"n’aurait pas été ne m’aurait<br />

pas donné plus d’émoi, plus"d’effroi, s’il s’était agi pour moi de<br />

pratiquer à même ma" moëlle et mon cerveau une opération<br />

chirurgicale. À tout"moment je croyais que j’allais mourir. Mais que<br />

m’importait, "ma pensée exaltée par le plaisir sentait bien qu’elle était<br />

plus"vaste, plus puissante que ce monde cet univers que


44<br />

j'apercevais"au loin par la fenêtre et que / dont en temps habituel où<br />

dans"l’immensité et l’éternité duquel je pensais < en temps habituel ><br />

avec tristesse que je n’étais qu’une parcelle éphémère. "En ce<br />

moment aussi loin que les nuages s’arrondissaient audessus de la<br />

forêt, je sentais que mon esprit allait encore un"peu plus loin, qu’il / et<br />

laissait entre la fin / l’extrémité des choses et"n’était pas entièrement<br />

rempli par elles, laissait une petite"marge encore. Mon regard Je<br />

sentais mon regard puissant dans"mes prunelles porter comme de<br />

simples reflets sans réalité les" belles collines bombées qui<br />

s’élevaient comme des seins"des deux côtés du fleuve. Tout cela<br />

reposait sur moi, j’étais"plus que tout cela, je ne pouvais mourir.<br />

J’avais Je repris"haleine un instant; pour m’asseoir sur le siège sans<br />

être"dérangé par le soleil qui le chauffait, je lui dis: ôte toi de là mon<br />

petit que je m’y mette et je tirai le rideau de la fenêtre, mais la<br />

branche du lilas l’empéchait de fermer. Enfin tout s’éleva un pâle jet<br />

d’opale, par élans successifs, comme, au moment où il s’élance, le<br />

jet d'eau de S t Cloud que / dont"j’ai que j’ai reconnu nous pouvons<br />

reconnaître – car un jet"d’eau / il dans l’écoulement incessant de ses<br />

eaux, il a sa"per[sonnalité] son individualité que dessine<br />

gracieusement sa"courbe résistante – dans un portrait qu’en a laissé<br />

Hubert Robert"nle portrait qu’en a laissé Hubert Robert, alors<br />

seulement"que la foule qui l'admirait avait des [[[qui <strong>Proust</strong> ha<br />

lasciato “un mot en blanc]]] qui font dans le tableau"du vieux maître<br />

des petites valves roses, vermillonnées ou"noires. À ce moment<br />

l'odeur du lilas je sentis < comme > une"tendresse qui m’entourait,<br />

c’était l'odeur du lilas que dans"mon exaltation j’avais cessé de<br />

percevoir et qui venait à moi,"qui venait à moi comme [...]. Mais une<br />

odeur âcre qui < une odeur de séve > s’y"mêlait comme si j’eusse<br />

cassé la branche; j’avais seulement"laissé sur la feuille une trace<br />

argentée et naturelle, comme le" fait le fil de la vierge ou le<br />

colimaçon. Mais sur cette branche"il m’apparaissait comme le fruit<br />

défendu dans le sur l’arbre"du mal. Et comme les peuples qui<br />

donnent à leurs divinités"des formes inorganisées, ce fut sous cette<br />

l’apparence de cette "ce fil d’argent qu’on pouvait tendre presque<br />

indéfiniment"sans le faire finir, que / et et que je devais tirer de moimême,"en<br />

allant tout au rebours de ma vie naturelle, que je me<br />

représentai dès lors et pour quelque temps le diable. Malgré<br />

cette"odeur de branche cassée, de linge mouillé, c’était la<br />

tendre"odeur < ce qui surnageait c’était la tendre odeur des lilas,"elle<br />

venait à moi comme tous les jours > (C1, 267-271).


45<br />

Cap. 3<br />

L’EXTRA-TEMPORALE<br />

Da Il tempo ritrovato (870 sgg.; 199 sgg.).<br />

Qual è il meccanismo che opera nella memoria involontaria?<br />

Esemplifichiamo a partire dal primo degli interventi della m.i. nel<br />

preambolo della matinée (in una sorta di rincorsa ne avvengono uno<br />

di seguito all’altro una mezza dozzina).<br />

Tra la sensazione del lastricato ineguale di Guermantes e le<br />

lastre diseguali del battistero di Venezia (etc.) c’è una “analogia”; ma<br />

anche un “enorme divario”: esse sono “incomparabili<br />

(incomparables)”. 44<br />

Ciò che le rende incomparabili è la “distanza” che si è<br />

instaurata tra esse: “Sì, se il ricordo, grazie all’oblio (grâce à l’oubli),<br />

non ha potuto contrarre nessun legame, gettare nessun ponte tra sé<br />

e il momento presente: se è rimasto nel suo proprio luogo, alla sua<br />

propria data, se ha conservato le distanze, il suo isolamento nella<br />

profondità d’una valle o sulla vetta d’una montagna, esso ci fa di<br />

colpo (tout à coup) respirare un’aria nuova – nuova proprio perché è<br />

un’aria che s’è respirata in passato – quell’aria più pura che invano i<br />

poeti hanno tentato di far regnare in Paradiso, e che non potrebbe<br />

darci questa sensazione profonda di rinnovellamento se non fosse<br />

già stata respirata, perché i veri paradisi sono i paradisi che abbiamo<br />

perduti”.<br />

Le “impressioni” avute nel passato sono andate a raccogliersi<br />

“in mille giare sigillate (mille vases clos)”; 45 nell’oblio; “di colpo”<br />

un’impressione analoga la richiama.<br />

44 “[...] ogni impressione è duplice – per una metà inguainata nell’oggetto, per<br />

l’altra, la sola che potremmo conoscere, prolungata in noi stessi – [...]” (TR, 223).<br />

45 In Jean Santeuil: “Nella nostra bocca aperta che si ode man mano respirare<br />

sempre più profondamente, la notte verserà a lungo le sue urne di oblio (ses outres<br />

d’oubli)” (JS, 296; 127). Una notazione, qui, che preannuncia il nesso strettissimo,<br />

lungo tutta la Ricerca, tra la “vocazione” artistica e la “vocazione” tout court; ad<br />

esempio, da parte del piccolo della madre (nella “scena madre”)... Luc Fraisse: “Et<br />

à Venise, où la mère du Héros a dans le souvenir, ‘sa place réservée et immuable<br />

comme une mosaïque’, n’oublion pas que les deux visiteurs entrent dans l’église<br />

Saint-Marc, ‘foulant tous deux les mosaïques de marbre et de verre du pavage’<br />

(TR, 646). C’est cet instant qui, superposé par la mémoire involontaire à la<br />

sensation de pavés inégaux devant l’hôtel des Guermantes, fait naître en<br />

ressuscitant toutes les découvertes du Temps retrouvé [...]” (L’œuvre cathédrale,<br />

op. cit., p. 315).


46<br />

Fondamentale e il tout à coup, la rottura della continuità<br />

temporale: le impressioni hanno “in comune,” questo: “Che io le<br />

provavo a un tempo (à la fois) nel momento presente e in un<br />

momento lontano, sì da far interferire il passato sul presente (jusq’à<br />

faire empiétier le passé sur le present), da rendermi titubante nello<br />

stabilire in quale dei due mi trovassi (à me faire hésiter à savoir dans<br />

lequel des deux je me trouvais). Invero, l’essere che in me delibava<br />

allora tale impressione la delibava in ciò che essa aveva di comune<br />

(commun) in un giorno trascorso e nel momento presente, in ciò che<br />

aveva di extratemporale (d’extra-temporel): un essere che compariva<br />

solo quando, per una di tali identità tra presente e il passato (par une<br />

de ces identités entre le présent et le passé), gli era possibile trovarsi<br />

nell’unico elemento (dans le seul milieu) in cui gli è dato vivere, e<br />

gioire dell’essenza delle cose: ossia, fuori del tempo (en dehors du<br />

temps)”.<br />

Per l’ingresso nell’extra-temporale (nell’acategoriale),<br />

fondamentale è la fuoriuscita dal presente; ma anche dal passato...<br />

E anche dal futuro: “Questo spiegava come le mie inquietudini<br />

riguardo alla mia morte fossero cessate nello stesso momento in cui<br />

avevo riconosciuto, inconsciamente, il sapore della madeleine, dato<br />

che in quel momento l’essere ch’io ero stato era un essere<br />

extratemporale, e, quindi, incurante delle vicissitudini del futuro”.<br />

Si tratta di un “meraviglioso espediente (expédient) della<br />

natura”; che fa vivere un “autentico momento del passato [...]. Solo<br />

un momento del passato? Molto di più. Forse; qualcosa che, comune<br />

sia al passato sia al presente, è molto più essenziale di entrambi”; è<br />

l’eterno: 46 “e, grazie a questo sotterfugio (grâce à ce subterfuge),<br />

46 “ma tale contemplazione [di “frammenti d’esistenza sottratti al tempo”], sebbene<br />

partecipe dell’eternità (quoique d’éternitè), era fuggitiva”. Tutto il contrario della<br />

“contemplazione d’un passato che l’intelligenza dissecca [...] conservando di essi<br />

[dei frammenti di passato e presente] soltanto quanto conviene al fine utilitario (à la<br />

fin utilitaire), strettamente umano, che essa loro assegna”. Acategoriale come<br />

convenzionale. “Un tale fatto [che la partenza, nel corso della matinée, verso una<br />

“vita nuova” fosse stata provocata da un “ritorno in società” invece che essere<br />

germinata nella solitudine] nulla aveva di straordinario; un’impressione capace di<br />

resuscitare in me l’uomo eterno (l’homme éternel) non essendo necessariamente<br />

legata alla solitudine più che alla società [...]” (TR, 918; 253). “Adesso non era più<br />

così: poiché la felicità che provavo non veniva da una tensione puramente<br />

soggettiva dei nervi che ci isola dal passato ma, al contrario, da un allargamento<br />

della mente in cui si riformava, si attualizzava quel passato, dandomi – ma, ahimè,<br />

momentaneamente – un valore di eternità (une valeur d’éternité)” (TR, 1036; 381).<br />

“Io dico che la legge crudele dell’arte è che gli esseri umani muoiano e che noi<br />

stessi moriamo, dopo aver esaurito tutte le sofferenze, perché cresca l’erba non<br />

dell’oblio, ma della vita eterna (mais de la vie éternelle), l’erba folta delle opere


47<br />

aveva permesso al mio essere di cogliere, di isolare, di fermare, per<br />

la durata d’un lampo (la durée d’un éclair), ciò che di solito esso non<br />

cattura mai: un frammento di tempo allo stato puro (un peu de temps<br />

à l’état pur)”.<br />

Fondamentale<br />

(1) la necessità dell’espediente, del sotterfugio; il quale è, di tutta<br />

evidenza, l’oblio (vedi la formula che si ripete: “grâce à”);<br />

fondamentale<br />

(2) fondamentale... è lo strappo della continuità del tempo; non c’è<br />

nessuna glorificazione dell’istante” (“Fermati, istante, sei<br />

bello!”); c’è solo la constatazione di un lampeggiare (il tout à<br />

coup è consustanziale alla scrittura proustiana). 47<br />

Ma la cosa si complica.<br />

Va al di là del ricordo che rinnovella, grazie all’espediente del<br />

connubio di analogia e dislivello tra impressione presente e<br />

impressione passata: “Ma, anche per quanto concerneva le immagini<br />

d’un altro genere, quelle del ricordo, sapevo che la bellezza di Balbec<br />

io non l’avevo mai trovata (pas trouvée) quando c’ero stato; e<br />

neppure quella che essa aveva lasciata, quella del ricordo, era la<br />

medesima da me ritrovata nel mio secondo soggiorno. Avevo troppo<br />

sperimentato l’impossibilità di attingere nel reale quel che era in<br />

fondo a me stesso”; “Tuttavia, di lì a poco, dopo aver riflettuto su<br />

quelle resurrezioni compiute dalla memoria, mi resi conto che, sotto<br />

altra forma (d’une autre façon), oscure impressioni avevano qualche<br />

volta – e già a Combray, dalla ‘parte di Guermantes’ –, sollecitato il<br />

mio pensiero nella stessa guisa di quelle reminiscenze, ma<br />

racchiudendo in sé non una sensazione passata, bensì una verità<br />

feconde, sulla quale le generazioni future verranno lietamente a far le loro<br />

‘colazioni sull’erba’, incuranti di chi dorme là sotto” (TR, 1038; 388). “La durata<br />

eterna (la durée éternelle) non è promessa ai libri più che agli uomini” (TR, 1043; p.<br />

387)... Come vedete man mano che il narratore procede al compimento dell’opera,<br />

si infittisce il pensiero dell’eterno; ma con inflessioni anche auto-ironiche. Di che<br />

tipo di eternità si tratta? Lo vedremo. Cito dal Contro Sainte-Beuve: “[...] sino ad<br />

attingere l’eterno (l’éternel): quell’eterno che l’impressione contiene al pari d’un<br />

profumo di biancospino o di qualsiasi cosa che si sappia approfondire” (CSB, 308;<br />

111). Da In memoria delle chiese assassinate: “[...] la cui moralità [trattasi delle<br />

realtà che ispirano le opere degli artisti], infine, facendole guardare sotto un<br />

aspetto d’eternità (sous un aspect d’éternité) [...] lo spingeva a sacrificare al<br />

bisogno di percepire e alla necessità di riprodurle, per assicurarne una visone<br />

chiara e durevole, tutti i suoi piaceri, tutti i suoi doveri e financo la stessa vita<br />

(jusqu’à sa proprie vie) [...]” (MCS, 76; 131).<br />

47 Quasi nella medesima pagina, la “durata d’un lampo” è ripresa come “piccola<br />

zona [petite zone]”, “un istante [un instant]” 2vv., “di colpo [instantanément], “di<br />

colpo [tout d’un coup”]...


48<br />

nuova (mais une vérité nouvelle), una immagine preziosa che<br />

cercavo di scoprire, con sforzi simili a quelli che uno compie per<br />

ricordare qualcosa, quasi le nostre idee più belle fossero come motivi<br />

musicali, che ritornino in noi senza che li abbiamo mai uditi (sans que<br />

nous les eussions jamais entendus), e che ci sforziamo di ascoltare,<br />

di trascrivere”.<br />

Quindi<br />

(1) viene ricreata, après-coup, l’esperienza passata non vissuta;<br />

(2) ma, più importante ancora, viene creata ex novo un’esperienza<br />

mai avuta (nell’esempio, una musica mai udita; non<br />

semplicemente “mancata”). 48<br />

Detto diversamente, a parte la vivificazione dell’esperienza<br />

passata tramite il ricordo “involontario” del passato, abbiamo la<br />

costruzione di “figure”: “infatti, si trattasse di reminiscenze sul tipo del<br />

rumore del coltello o del sapore della madeleine, o di quelle verità<br />

scritte con l’ausilio di figure (à l’aide de figures) 49 delle quali cercavo<br />

di cogliere il significato nel mio pensiero [...]”...<br />

Ora, il ricorso alle figure per dire il nuovo corrisponde ad una<br />

creazione; anche se alla creazione di qualcosa di necessario. Quasi<br />

che l’acategoriale sia un altro mondo, retto da altre leggi: “la loro<br />

caratteristica [delle figure] era ch’io non ero libero di sceglierle, che<br />

mi venivan date tali e quali (telles quelles). [...]. Quando al libro<br />

interiore di tali segni sconosciuti (signes inconnus) (segni in rilievo,<br />

sembrava, che la mia attenzione, esplorando il subcosciente [mon<br />

inconscient], cercava, urtava, contornava come un palombaro che<br />

scandagli) nessuno poteva aiutarmi con nessuna regola a decifrarlo:<br />

perché la sua lettura consiste in un atto di creazione (en un acte de<br />

création) in cui nessuno può sostituirci, e nemmeno collaborare con<br />

noi”.<br />

“[...] o meglio, come la vita stessa, quando, raccostando una<br />

qualità comune a due sensazioni (en rapprochant une qualité<br />

commune à deux sensations), ne avrà liberato una l’essenza<br />

comune (leur essence commune) riunendole insieme, per sottrarle<br />

alle contingenze del tempo, in una metafora (dans une métaphore)”<br />

(TR, 889; 221).<br />

48 1913, intervista a É.J. Bois: “[...] nous sentons combien ce passé était différent<br />

de ce que nous croyons nous rappeler, et que notre mémoire volontaire peignait,<br />

comme les mauvais peintres, avec des couleurs sans verité” (Textes retrouvés,<br />

Gallipard, Paris, 1971, p. 289).<br />

49 L’espressione ricorre altre due volte nella medesima pagina: “sa figure<br />

materielle”, “aux caractères figurés”.


49<br />

Un’idea sull’ordito metafora-metonimia in <strong>Proust</strong> secondo<br />

Genette: “In apparenza nel meccanismo della reminiscenza si trova<br />

effettivamente solo l’analogico puro, dato che essa riposa sull’identità<br />

di sensazioni provate a grandissima distanza l’una dall’altra, e nel<br />

tempo e/o nello spazio. [...]. La metafora è ora, apparentemente,<br />

scevra di qualsiasi metonima. [...]. In realtà, l’esperienza reale non<br />

comincia con la percezione di una identità di sensazione, ma con un<br />

sentimento di ‘piacere’, di ‘felicità’ che appare in un primo momento<br />

‘senza la nozione della causa’ [...]. Nel Temps retrouvé, la ‘felicità’<br />

provata porta in sé fin dall’inizio una specificazione sensoriale, delle<br />

‘immagini evocate’, azzurro intenso, frescura, luce, che designano<br />

Venezia ancora prima che sia stata reperita la sensazione comune<br />

[...]. Vediamo dunque che la relazione metaforica non è mai<br />

percepita per prima, e che addirittura, nella maggior parte dei casi,<br />

essa compare solo alla fine dell’esperienza, come la chiave di un<br />

mistero recitato interamente senza di lei”. 50<br />

Creazione, ricreazione...<br />

Difficile dire. 51<br />

Vedi questo passo: “non siamo affatto liberi di fronte all’opera<br />

d’arte, che non la componiamo a nostro piacimento (à notre gré), ma<br />

50 Metonimia in <strong>Proust</strong>, in Figure III. Discorso del racconto, Gérard Genette, 1972,<br />

Einaudi, Torino, 1976, pp. 57-58. 50 “[...] è anche una austera lezione atta a<br />

insegnarci che non agli esseri noi dobbiamo attaccarci, perché non sono essi a<br />

esistere realmente (ce ne sont pas les êtres qui existent réellement) e ad essere<br />

quindi passibili d’espressione, bensì le idee” (TR, 908; 241). Non so come mai<br />

Spitzer, per dimostrare l’auto-ironia con cui <strong>Proust</strong> avvicina anche i temi più sacri<br />

(come quello dell’“essenza”) invece dell’immersione dell’intuizione sensibile in un<br />

fluido spirituale, non cita il passo seguente: “Mi sembrava che quelle sfumature<br />

celesti rivelassero le deliziose creature che si erano divertite a metamorfosarsi in<br />

legumi e che attraverso il travestimento della loro carne salda e commestibile<br />

lasciavano scorgere in quei colori teneri d’aurora, in quegli accenni d’arcobaleno, in<br />

quello spegnersi di sere azzurre, l’essenza preziosa (cette essence précieuse) che<br />

io potevo ancora riconoscere quando, dopo che ne avevo mangiato a pranzo,<br />

giocavano per tutta la notte lo scherzo, poetico e grossolano come una<br />

fantasmagoria di Shakespeare, di trasformare il mio vaso da notte in una<br />

profumiera” (SW,121; 147-148) (Spitzer, op. cit., p. 289). Già in Jean Santeuil:<br />

“Alors je sens [...] dans telle odeur de cabinet de toilette où les savons ont été<br />

trempées [...]. l’essence variée et individuelle de la vie en bateau [...] dans un<br />

cabinet de toilette [...]” (JS, 400-401).<br />

51 Utile questo passaggio dal Contro Sainte-Beuve: “Ma – si obietterà – Gérard, per<br />

comporre Sylvie, si recò a rivedere il Valois. Verissimo. La passione considera<br />

reale il proprio oggetto; l’amante di sogno di un paese (l’amant de rêve d’un pays)<br />

vuole vederlo; altrimenti, non sarebbe sincero: <strong>Marcel</strong> Prévost si dice: ‘si tratta di<br />

un sogno, restiamocene a casa’. Ma, tutto sommato, solo l’inesprimibile, solo quel<br />

che si credeva di non poter far entrare in un libro, resta in questo (CSB, 241; 41).


50<br />

che, preesistente a noi (préxistante à nous), dobbiamo, dacché è a<br />

un tempo necessaria e nascosta, e come faremmo per una legge<br />

della natura, scoprirla”.<br />

Questa realtà – la “nostra vera vita (notre vraie vie)” – che si<br />

scopre è quella nascosta nell’acategoriale?<br />

L’accesso al quale comporta quello sconvolgimento della vita<br />

normale che si incarna nell’opera d’arte? 52<br />

Citiamo da <strong>Proust</strong> palimseste di Genette in Figures I: “Comment<br />

concevoir en effet qu’une métaphore, c’est à dire un déplacement, un<br />

transfert de sensations d’un objet sur un autre, puisse nous conduire<br />

à l’essence de cet objet? Comment admettre que la ‘vérité profonde’<br />

d’une chose, cette vérité particulière et ‘distincte’ que cherche <strong>Proust</strong>,<br />

puisse se révéler dans une figure qui n’en dégage les propriétés<br />

qu’en les transposant, c’est-à-dire en les aliénant? Ce que rélève la<br />

réminiscence, c’est une ‘essence commune’ aux sensations et, à<br />

travers elles, aux objets qui les éveillent en nous, et dont l’écrivain<br />

doit ‘poser le rapport’ dans une métaphore. Mais qu’est-ce qu’une<br />

essence commune, sinon une abstraction, c’est-à-dire ce que <strong>Proust</strong><br />

veut éviter à tout prix, et comment une description fondée sur le<br />

‘rapport’ de deux objets ne risquerait-elle pas plutôt de faire<br />

s’évanouir l’essence de chacun d’eux?” 53<br />

Semplificando: scoprire l’analogia tra una sensazione presente<br />

ed una sensazione passata, secondo <strong>Proust</strong>, porta all’annullamento<br />

delle distanze temporali e schiude “une minute affranchie de l’ordre<br />

du temps”... Commenta Genette: “L’objet présent n’est alors qu’un<br />

prétext, qu’une occasion: il s’évanouit aussitôt qu’il a rempli sa<br />

fonction mnémonique. Aussi bien n’y a-t-il pas ici de véritable<br />

métaphore, puisqu’un des termes en serait purement accessoire.<br />

L’‘essence commune’ se réduit en fait à la sensation ancienne dont<br />

l’autre n’est que le véhicule” (46-47)...<br />

Ad esempio, il Narratore, per descrivere il mare che gli appare<br />

dalla finestra del Grand Hôtel, utilizza dei termini alpestri... Domanda:<br />

“Mais on ne voit pas que cet éblouissant contrepoit de mer et de<br />

montagne nous conduise à l’‘essence’ de l’une ou de l’autre. Nous<br />

nous trouvons devant un paysage paradoxale où la montagne et la<br />

mer ont changé leurs qualités et pour ainsi dire leurs substances, où<br />

la montagne s’est faite mer et la mer montagne, et rien n’est plus loin<br />

52 “mi accorgevo che quel libro essenziale, l’unico vero libro, un grande scrittore<br />

non ha, nel senso comune della parola, da inventarlo, in quanto esiste già in<br />

ognuno di noi, ma da tradurlo. Il dovere e il compito di uno scrittore sono quelli d’un<br />

traduttore” (dell’acategoriale?) (TR, 222).<br />

53 Éd. du Seuil, Paris, 1966, pp. 45-46.


51<br />

que cette sorte de vertige, du sentiment de stable assurance que<br />

devrait nous inspirer une véritable vision des essences” (48)...<br />

Il pensiero di Genette dovrebbe essere ulteriormente articolato.<br />

La mia reazione: certo!, siamo colti da vertigine... perché non<br />

approdiamo all’essenza delle cose, ma all’interstizio tra le cose, all’atemporale<br />

(e all’a-spaziale). A proposito del compimento dell’opera e<br />

del suo non compimento: “La Recherche du temps perdu est, comme<br />

le dit Blanchot, une œuvre ‘achevée-inachevée’, mais sa lecture<br />

même s’achève dans l’inachèvement, toujours en suspens, toujours<br />

‘à reprendere’, quisqu’elle trouve son objet sans cesse relancé dans<br />

une vertigineuse rotation” (ibidem, p. 63).<br />

Citiamo un passo famoso – anche perché sembrerebbe<br />

annunciare una sorta di psicologia del profondo! – dalle ultime<br />

pagine del Tempo ritrovato: “E, senza dubbio, tutti quei piani diversi<br />

sui quali il Tempo, dopo che l’avevo riafferrato durante quel<br />

ricevimento, disponeva la mia vita, inducendomi a pensare che, in un<br />

libro che volesse raccontare una vita, sarebbe stato necessario<br />

usare, anziché la psicologia piana usata di solito, una specie di<br />

psicologia dello spazio, aggiungevano una bellezza nuova (nouvelle)<br />

alle resurrezioni operate dalla mia memoria involontaria, mentre<br />

stavo solo a pensare nella biblioteca, poiché la memoria,<br />

introducendo il passato nel presente senza alterarlo (sans le<br />

modifier), qual era (tel qu’il était) nel momento in cui era esso il<br />

presente, sopprime (supprime) appunto quella grande dimensione<br />

del Tempo secondo la quale si attua la vita” (TR, 1031; p. 373).<br />

Quindi, la memoria involontaria recupera il passato (quel che ci<br />

è accaduto ma che non abbiamo vissuto; e non avremmo potuto<br />

viverlo perché, ce lo insegna <strong>Proust</strong>, si vive sempre e solo aprèscoup),<br />

tel quel!<br />

Allora è una ricreazione!<br />

A questo approdo ci spinge l’identificazione di un’esperienza<br />

telle quelle... Ma dobbiamo fare attenzione al fatto che questo telquel<br />

non c’è mai stato. E quando “avviene” (ac-cade nell’animo, nella<br />

mente, nel corpo)... avviene (ac-cade) raramente (al Narratore, in<br />

modo compiuto, solo alla fine della sua vita, all’inizio della matinée<br />

dei Guermantes).<br />

Infatti, l’ac-cadere tel quel del passato nel presente, tel quel un<br />

altro presente, comporta l’eliminazione della dimensione del Tempo;<br />

avvia all’acategoriale anche se, introducendolo l’acategoriale nel libro<br />

di una vita, lo categorizza.<br />

Abbiamo parlato a proposito di Kafka di categorizzazione<br />

dell’acategoriale.


52<br />

Vedremo meglio più avanti, ma possiamo anticipare che il<br />

tempo perduto è quello vissuto dentro le categorie: memoria<br />

volontaria, intelligenza, psicologia piana; quello ritrovato non è il<br />

tempo passato nel senso di “storicamente” passato; il tempo<br />

“anteriore”; quello ritrovato è il tempo/non-tempo, l’extra-temporale,<br />

l’acategoriale; l’eterno; ma non nel senso che dura per sempre, che<br />

non finisce più, perché subentra infine l’immortalità; ma perché, nel<br />

breve spazio della vita mortale ci è dato – dalla memoria involontaria<br />

(una sorta di grazia) – cogliere l’acategoriale e iscriverlo nella<br />

dimensione della nostra vita (del tempo).<br />

La ricerca (del tempo perduto) è ricerca del divino, dell’eterno<br />

che solo a pochi, e a quei pochi solo talora, è dato (se lo cercano).<br />

Un evidente paradosso; quello della combinazione di<br />

involontarietà e di sforzo, di intelligenza profonda e intelligenza<br />

piana; qualcosa come la combinazione di opere e grazia dove è<br />

proprio, forse, il fallimento dell’opera che produce la grazia: “Dove il<br />

peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata” (Romani, 5, 20). 54<br />

“Ma – e ancora in seguito, come già vari episodi hanno potuto<br />

dimostrarlo – il fatto che l’intelligenza non sia lo strumento più sottile,<br />

più potente, più appropriato per afferrare il vero, è solo un’ulteriore<br />

ragione per cominciare con l’aiuto dell’intelligenza, e non con l’intuito<br />

dell’inconscio, non con una fede elementare nei presentimenti. È la<br />

vita che, a poco a poco, caso per caso, ci permette di notare come<br />

quel che è maggiormente importante per il nostro cuore, o per il<br />

nostro spirito (esprit) non ci sia insegnato dal ragionamento, ma da<br />

altri poteri. E allora l’intelligenza stessa, rendendosi conto della<br />

superiorità di questi, abdica ragionevolmente di fronte a loro e<br />

accetta di diventarne collaboratrice e serva. È la fede sperimentale<br />

(foi expérimentale)” (????????); vedi <strong>Proust</strong> di Roger Shattuck,<br />

1974, Mondadori, 1991, pp. 144-151: “fois expérimentale. Credo<br />

scientifico. Esperimento pieno di fede. Intelligenza e intuizione<br />

lavorano insieme, controllandosi e incoraggiandosi l’una l’altra”.<br />

54 “Esto peccator et pecca fortiter, sed fortius fide et gaude in Christo” (Sii pure<br />

peccatore, pecca coraggiosamente, ma ancor più coraggiosamente confida e<br />

rallegrati in Cristo)” (Lutero, lettera a Melantone del 1° agosto 1521, edizione di<br />

Weimar, WA Br 2, n. 424. La traduzione è di Silvana Nitti. Vedi il suo Abituarsi alla<br />

libertà. Lutero alla Wartburg, Claudiana, Torino, 2008). Ma forse ha ragione Citati:<br />

“Anche la rivelazione di <strong>Marcel</strong> è un dono: non importa parlare di grazia o di caso,<br />

perché nel mondo moderno la grazia prende l’aspetto e il nome del caso” (op. cit.,<br />

p. 375).


54<br />

Cap. 4<br />

DUE MODI DI “ESSERE LETTERATURA” (KAFKA E PROUST)<br />

1) Essere letteratura<br />

La soluzione proustiana [...] consiste nella negazione del<br />

Tempo e della Morte, nella negazione della Morte in<br />

conseguenza della negazione del Tempo. La Morte è<br />

morta in quanto il Tempo è morto. [...]. (A questo punto<br />

una breve impertinenza consistente nel considerare Le<br />

Temps retrouvé altrettanto inadeguato come titolo, per<br />

quanto riguarda la soluzione proustiana, quando Delitto e<br />

Castigo lo è di un’opera che non contiene alcuna<br />

allusione né al delitto né al castigo. Il tempo non è<br />

ritrovato, è negato. [...]. <strong>Proust</strong> è questo soggetto puro.<br />

Egli è quasi esente dall’impurità della volontà. [...].<br />

Quando il soggetto è esente da volontà, l’oggetto è<br />

esente da casualità (Tempo e Spazio presi insieme). 55<br />

<strong>Proust</strong>: “La vraie vie, la vie enfin découverte et éclaircie, la<br />

seule vie par conséquent réelment vécue, c’est la littérature; cette vie<br />

qui, en un sens, habite à chaque instant chez tous les hommes aussi<br />

bien que chez l’artiste” (TR, 895) + “Pour ceux qui, comme moi,<br />

croient que la littérature est la dernière espression del la vie [...]”<br />

(lettera a Louis de Robert, 24 marzo 1911, CORR, X, 271). Kafka: “Io<br />

non ho un interesse letterario, ma sono fatto di letteratura, non sono<br />

e non posso essere altro” (lettera a Felice del 14.VIII.1913). 56<br />

55 <strong>Proust</strong>, Samuel Bechett, 1929, <strong>Su</strong>garCo Ed., Milano, 1978, p. 79. “L’inizio è un<br />

ricominciare. In realtà questi libri non possono nemmeno avere una fine; che<br />

finiscano è una concessione alla limitatezza della nostra vita fisica legata alla<br />

materia finita. Per il tempo che seguiamo <strong>Proust</strong> siamo immessi nell’infinita<br />

corrente dello spirito che non conosce l’arresto e la morte. [...]. Quest’arte [...] non<br />

tende in avanti ma in profondità, non vuole precorrere il tempo ma vuole uscire dal<br />

tempo” (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Ernst Robert Curtius, 1925, Il Mulino, Bologna, 1985, pp.<br />

90, 98).<br />

56 “Ich habe kein literarisches Interesse, sondern bestehe aus Literatur, ich bin<br />

nichts anderes und kann nichts anderes sein” (Briefe an Felice, Fischer, Frankfurt,<br />

2003; tr. it. Lettere a Felice, Mondadori, Milano, 1974). La lettera prosegue:<br />

“Recentemente in una Storia della credenza del diavolo ho letto questo racconto.


55<br />

In una lettera a Milena (9.VIII.1920) Kafka sembra suggerire<br />

una coesistenza di letteratura ed angoscia: “[...] anzi sono fatto di<br />

essa [di angoscia] ed essa è forse la mia parte migliore”. 57<br />

Risultano abbastanza evidenti: (1) nella famosa distinzione tra<br />

letteratura e vita, l’appartenenza totale alla vita; (2) la definizione di<br />

questa appartenenza come angoscia. Quasi che l’astrazione dalla<br />

vita in cerca, nelle parole di <strong>Proust</strong>, della “vita vera”, non possa<br />

dissociarsi dall’angoscia.<br />

Come vedremo tra poco: come l’ozio non possa dissociarsi<br />

dalla malattia.<br />

2) Letteratura e ozio<br />

Tra tutti gli interventi critici a sfavore del Du côté de chez<br />

Swann, al momento della sua pubblicazione nel 1914, citiamo quello<br />

di Henri Ghéon: “Si sente che <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> ha davanti a sé tutto il<br />

tempo necessario per maturare, mettere insieme, portare a<br />

compimento un’opera considerevole. Il tempo è tutto suo: ne<br />

approfitta alla sua maniera. [...]. <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> invece di riassumersi,<br />

di concentrarsi, si abbandona. Non cerca la linea di sviluppo di un<br />

carattere ma i suoi aspetti contraddittori e diversi. Non si cura della<br />

logica e ancora meno della ‘composizione. [...]. Ecco il suo<br />

divertimento”. 58<br />

‘Un ecclesiastico aveva una voce così bella e dolce che era un piacere ascoltarla.<br />

Allorché un giorno udì tanta dolcezza, un prete osservò: questa voce non è la voce<br />

di un uomo, bensì del diavolo. Alla presenza di tutti gli ammiratori esorcizzò il<br />

demonio che infatti uscì, dopo di che (poiché si trattava di un corpo umano tenuto<br />

in vita dal diavolo invece che dall’anima) cadde a terra e cominciò a puzzare’. Così<br />

all’incirca, proprio così è il rapporto tra me e la letteratura, salvo che la mia<br />

letteratura non è dolce come la voce del monaco”.<br />

57 “ja ich bestehe aus ihr und sie ist vielleicht mein Bestes)” (Briefe an Milena,<br />

Erweiterte Neuausgabe, Fischer, Frankfurt, 2004; tr. it. Lettere a Milena, in Lettere,<br />

Mondadori, Milano, 1988).<br />

58 Du côté de chez Swann, in “Nouvelle Revue Francaise”, 1 gennaio 1914. Non<br />

molto diverso il tenore dell’articolo di Jacques Boulenger, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, in<br />

“L’Opinion”, 20 dicembre, cioè all’indomani dell’attribuzione a <strong>Proust</strong> del Goncourt<br />

per All’ombra delle fanciulle in fiore: “D’altra parte non si preoccupa minimamente<br />

di mettere in luce, di disporre i fatti e i suoi commenti ai fatti secondo la loro<br />

importanza in rapporto a un disegno, a un piano, a un’armonia prestabiliti. [...]. E il<br />

suo romanzo annota tutto quello che gli torna alla memoria, senza studiarlo<br />

attentamente, senza curarsi minimamente della costruzione e della forma del libro,<br />

senza altra preoccupazione che la verità, obbedisce ben più alle regole della critica<br />

scientifica che non alle norme (d’altronde segrete) dell’arte” (ora in Mais l’Art est<br />

difficile, Première série, Plon, Parsi, 1921, p. 92). La chiusa forse riscatta tutto?


56<br />

Citiamo solo l’incipit della lunghissima lettera di risposta di<br />

<strong>Proust</strong>: “Voi dite, Signor, che il mio libro è un’opera nata da una vita<br />

d’ozio, che ho tutto il tempo che voglio. Mi scuserete se non entro in<br />

particolari privi d’interesse per voi; vi dirò soltanto che una<br />

professione attiva non è l’unica cosa che possa sottrarre un uomo<br />

all’ozio (une profession active n’est pas la sule chose qui puisse<br />

priver un homme de loisir), prendendogli il suo tempo. Una malattia,<br />

per esempio, può essere assillante e faticosa, assorbirlo ed<br />

invecchiarlo come la più dura delle professioni, anche manuali”. 59<br />

Risulta evidente un’accusa all’“ozio”, al “loisir” ed una difesa da<br />

questa accusa. <strong>Proust</strong>, però, non accampa una vita “attiva”. Propone<br />

che esista qualche cos’altro (n’est pas la seule chose) che è capace<br />

di consentire una “composizione”, potremmo dire: una<br />

categorizzazione. 60<br />

“Finalmente un lettore che intuisce che il mio libro è un’opera<br />

dogmatica e di struttura (et une construction)”, <strong>Proust</strong> potrà infine<br />

scrivere a Jacques Rivière. “[...]. Quella che esprimo alla fine del<br />

primo volume, in quella parentesi sul Bois de Boulogne che ho<br />

messo lì come semplice paravento per terminare e chiudere un libro<br />

che per motivi pratici non poteva superare le cinquecento pagine, è il<br />

contrario della conclusione. È una tappa, che si presenta come<br />

soggettiva e dilettantesca, sulla via che porta a una conclusione del<br />

tutto oggettiva e convinta. Inferirne che il mio atteggiamento mentale<br />

è uno scetticismo disincantato, sarebbe esattamente come se uno<br />

spettatore, vedendo alla fine del primo atto del Parsifal che il<br />

personaggio non capisce niente della cerimonia ed è cacciato dal<br />

Gurnemantz, supponesse che Wagner ha voluto dire che la<br />

semplicità di cuore non porta da nessuna parte. In questo primo<br />

volume avete visto la sensazione piacevole che mi procura la<br />

madeleine inzuppata nel tè – dico che smetto di sentirmi mortale etc.<br />

e non capisco perché. Lo spiegherò solo alla fine del terzo volume.<br />

Tutta l’opera è costruita in questa maniera. Se Swann affida così<br />

fiduciosamente Odette a Charlus (e sembra ch’io abbia voluto<br />

riproporre la banale situazione del marito che si fida dell’amante della<br />

mogli) è che Charlus, e Swann lo sa, lungi dall’essere l’amante di<br />

Odette, è un omosessuale che ha orrore delle donne. [...]. No, se non<br />

avessi convinzioni intellettuali, se cercassi soltanto di ricordare il<br />

passato e di duplicare con questi ricordi l’esperienza, non mi<br />

prenderei, malato come sono, la briga di scrivere. Ma questa<br />

59 2 gennaio 1914, Correspondance, op. cit., vol. XIII, 1985, p. 23.<br />

60 Vedi anche, tra le altre, la lettera a Paul Souday, del 10 novembre 1919 (CORR,<br />

XVIII, 462-465).


57<br />

evoluzione del pensiero, non ho voluto analizzarla astrattamente<br />

bensì ricrearla [...]. Le seconde volume accentuera ce malentendu.<br />

J’espère que le dernier le dissipera. [...]” (6 febbraio 1914; CORR,<br />

XIII, 98-100; 1082-1083). 61<br />

Qui <strong>Proust</strong> è ancora fermo all’idea di due volumi: Il tempo<br />

perduto e Il tempo ritrovato!<br />

Mariolina Bongiovanni Bertini, nel suo Guida a <strong>Proust</strong>, forse<br />

meglio di molti altri offre un raccourci dell’immenso lavoro di<br />

composizione fatto da <strong>Proust</strong> nel lavoro per la Recherche (pp. 231-<br />

288/345-367)... A queste pagine rimandiamo (anche se qua e là<br />

torneremo anche noi su alcune svolte)...<br />

3) Loisir, malattia, angoscia<br />

Ma il punto resta comunque: quel che Ghéon definisce “loisir”,<br />

<strong>Proust</strong> “malattia”, Kafka angoscia... e sembra essere sempre la<br />

“letteratura”, in che cosa consiste?<br />

E ancora: qual è la differenza che <strong>Proust</strong> fa tra avere<br />

“convinzioni intellettuali” e farsi categorizzare?<br />

Ricordate che abbiamo pensato di cogliere il tratto distintivo di<br />

Kafka (la sua “essenza”) nel suo essere (e anche auto-definirsi) un<br />

“tipo particolare” (nella sua “particolarità”). Bataille ha parlato di<br />

“enfantillage”: vedi “La parfaite puérilité de Kafka” e “Le mantien de la<br />

situation enfantine”, “l’univers joyeux de Franz Kafka”, 62 il suo<br />

rimanere esente dalle categorie (anche se capace di dirci<br />

l’acategoriale in un categoriale unico per la sua limpidità;<br />

sottolineiamo: “unico”): “Il ne voulut pas s’opposer à ce père qui lui<br />

retirait la possibilité de vivre, il ne voulut pas être à son tour, adult et<br />

père. À sa manière, il mena une lutte à mort pour entrer dans la<br />

société paternelle avec la plénitude de ses droits, mais il n’aurait<br />

admis de réussir qu’à une condition: rester l’enfant irresponsable qu’il<br />

était”.<br />

61 Vedi anche André Maurois in Alla ricerca di <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>: “Quando parlate di<br />

cattedrali, io non posso non sentirmi commosso della vostra perspicacia, che vi<br />

consente di indovinare quello che non ho mai rivelato a nessuno e che scrivo qui<br />

per la prima volta: Portico, Vetrate dell’abside etc., per rispondere in anticipo alla<br />

stolta critica che mi si fa di mancare di costruzione (__________) nei miei libri,<br />

mentre io vi dimostrerò che il loro solo pregio è proprio nella solidità delle minime<br />

parti” (____________, p. 150).<br />

62 Kafka, (1950) in La littérature et le mal, in Œuvres complètes, Gallmard, Paris,<br />

vol. IX, 1979, pp. 271-286


58<br />

Se consideriamo <strong>Proust</strong> troviamo che incappa alcune volte in<br />

Kant... Ad esempio, nel 1910, in Da aggiungere a Flaubert (Cahier<br />

XXIX, fogli 43-45; SA, p.10) egli paragona Flaubert, “genio<br />

grammaticale”, a Kant: “La sua originalità immensa, duratura,<br />

difficilissima a riconoscersi perché si è incorporata nella lingua<br />

letteraria del nostro tempo a tal punto che, anche sotto il nome di altri<br />

scrittori, noi leggiamo sempre Flaubert, senza sapere che essi non<br />

fanno altro che parlare come lui, è un’originalità grammaticale. [...]. E<br />

la rivoluzione nella visione, nella rappresentazione del mondo che<br />

deriva dalla sua sintassi – o che ne è espressa, è forse altrettanto<br />

grande di quella operata da Kant trasferendo il centro della<br />

conoscenza dal mondo nell’anima”.<br />

Spulciamo A proposito dello “stile” di Flaubert (1920):<br />

“Confesso di esser rimasto stupito nel veder trattato da scrittore poco<br />

dotato per scrivere un uomo che, per l’uso affatto nuovo e personale<br />

che fece del passato remoto, del passato prossimo, del participio<br />

presente, di certi pronomi e di certe preposizioni, rinnovò la nostra<br />

visione delle cose quasi quanto Kant, con la sua dottrina delle<br />

categorie e della realtà del mondo esterno. Non ch’io abbia una<br />

predilezione per i libri di Flaubert o per il suo stile. Per ragioni che<br />

sarebbe troppo lungo sviluppare qui, sono convinto che solo la<br />

metafora possa conferire allo stile una sorta d’eternità; e in tutto<br />

Flaubert non c’è forse una sola bella metafora” (SA, 538-539).<br />

È evidente: Kant è un creatore come Flaubert e come i grandi;<br />

come coloro che hanno creato un mondo nuovo; hanno categorizzato<br />

il mondo diversamente da coloro che lo avevano caratterizzato<br />

prima. <strong>Proust</strong> prende le distanze da Flaubert... È impegnato a<br />

categorizzare il mondo a modo suo... Anche le sue categorie<br />

saranno...<br />

Lambiremo il problema del couloir... Vedremo che il “drame du<br />

coucher” 63 sarà approfondito molto più da <strong>Proust</strong> che da Kafka<br />

(almeno, in <strong>Proust</strong> avremo molte “riprese”, in Kafka un’icastica<br />

formulazione nella famosa Lettera al padre e poche riprese (una<br />

fondamentale in un frammento)...<br />

Ma qua basta solo accennare ad alcuni punti in comune (tra<br />

<strong>Proust</strong> e Kafka): per Kafka e per <strong>Proust</strong> la letteratura è tutto... Le<br />

convenienze (ogni matrimonio è matrimonio di convenienza) sono<br />

niente; Kafka vive in famiglia. Idem <strong>Proust</strong>. Invita gli amici in famiglia.<br />

Quando i genitori muoiono, eredita e diventa ricchissimo...<br />

Ma spende e spande... Non risparmia...<br />

63 Più estesamente: “le théâtre et le drame de mon coucher” (SW, 44).


59<br />

Il periodo dedito all’“enfantillage” è sicuramente quello dedito<br />

allo snobismo...<br />

4) Letteratura: chargée de réalité<br />

Ma la pubblicazione di Jean Santeuil ha rivelato che, tra il 1895<br />

e il 1899, negli anni in cui <strong>Proust</strong> frequentava più intensamente i<br />

salotti, i teatri... scriveva un romanzo di più di mille pagine in cui<br />

erano presenti, non solo i temi della Recherche, ma anche i primi<br />

abbozzi della medesima. 64<br />

Ricordiamo due avvenimenti capitali nella vita letteraria (e non<br />

solo... se la vita è letteratura la letteratura è – Sainte-Beuve o Contre<br />

Sainte-Beuve – vita (di Kafka e di <strong>Proust</strong>).<br />

Nel 1912 Kafka pubblica Il verdetto. Che dice della sua scrittura<br />

(nel Diario, 23 settembre 1912)? 65<br />

<strong>Proust</strong> ha pubblicato nel 1907 Sentimenti filiali di un matricida<br />

(“Le Figaro” il 1 febbraio 1907). Che ci dice sulla sua scrittura (nella<br />

lettera a Robert Dreyfus del 3 febbraio 1907 [CORR, VII, 62])?<br />

Alcuni passaggi chiave del Diario e della lettera:<br />

Kafka:<br />

– “Questo racconto, Il verdetto, l’ho scritto<br />

– nella notte fra il 22 e il 23,<br />

– dalle dieci di sera alle sei del mattino, in un fiato;<br />

– “La stanchezza scomparsa intorno alla mezzanotte. Entro<br />

64 <strong>Proust</strong> si interrogherà, nel bel mezzo del Contre Sainte-Beuve – Carnet de<br />

1908... – sulla sua capacità di scrivere romanzi: “Sono un romanziere?” Ma,<br />

mentre tenta la strada di Jean Santeuil, romanziere si sente. Lettera a Reynaldo<br />

Hahn del venti marzo 1896: “Sans cela c’est sur tout le roman que tu serai obligé<br />

de mettre ‘déchire’” (CORR, II, 52); al medesimo il 4 settembre dello stesso anno:<br />

“Hier j’ai fait la pagination des 90 pages de mon roman” (CORR, II, 118); a sua<br />

madre il 16 dello stesso mese: “[...] j’ai encore travaillé à mon roman [...]” (CORR,<br />

II, 124); sempre alla madre il 21 ottobre dello stesso anno: “dans le petit récit que<br />

je t’ai envoyé et que je te prie de garder et en sachant où tu le garde car il sera<br />

dans mon roman” (CORR, II, 137)... A Bibesco il 20 dicembre 1902 (sta lavorando<br />

su Ruskin): “Il cosiddetto lavoro che ho ripreso mi è per molti versi penoso.<br />

Soprattutto perché quel che faccio non è lavoro vero, ma documentazione,<br />

traduzione etc. Basta per riaccendere la mia sete di creazione, senza<br />

minimamente appagarla. Adesso che dopo un lungo torpore ho per la prima volta<br />

guardato dentro di me, nella mia mente, avverto il vuoto della mia esistenza. Cento<br />

personaggi di romanzo (cent personnages de romans), mille idee mi chiedono di<br />

dar loro corpo, come le ombre che nell’Odissea supplicano Ulisse di far loro bere<br />

un po’ di sangue per restituirle alla vita, e l’eroe le allontana con la spada” (LG,<br />

495-496; CORR, III, 196).<br />

65 Confessioni e diari, Mondadori, Milano, 1972.


60<br />

tremando nella camera delle sorelle. Prima di dar lettura mi stiro<br />

davanti alla domestica e dico: ‘Ho scritto fino adesso’”;<br />

– “Ieri, da Baum, ho letto alla presenza […]”;<br />

– “Verso alla fine la mia mano, senza controllo, mi girò veramente<br />

davanti alla faccia. Avevo le lacrime agli occhi”.<br />

<strong>Proust</strong>:<br />

– Calmette mi ha chiesto questo articolo mercoledì mattina con<br />

una lettera che non ho letto a causa di una crisi che “mercredi<br />

matin à dix heures du soir”;<br />

– mi sono riposato fino “jusqu’à deuz Heures du soir”;<br />

– “À trois heures je me suis levé sans penser à l’article”;<br />

– “je l’ai aussitôt commencé et je l’ai écrit sans brouillon, sur les<br />

feuilles que le Figaro a eues, jusqu’à huit heures.<br />

Soffermiamoci sui Diari di Kafka in cui Kafka esibisce quel che<br />

Bataille definisce “enfantillage”: “Verso la fine la mia mano, senza<br />

controllo, mi girò veramente davanti alla faccia. Avevo le lacrime agli<br />

occhi”. (Noterete che convivono il gesto sbarazzino della mano e le<br />

lacrime agli occhi).<br />

Qualcosa di simile lo rintracciamo in <strong>Proust</strong>. Considerate la fine<br />

di Sodoma e Gomorra: il Narratore viene a sapere che Mlle Vinteuil è<br />

amica di Albertine... e piomba in un clima che richiama Sentimenti<br />

filiali di un matricida: sotto il segno di Oreste... il narratore si<br />

immagina d’essere punito... per che cosa? “d’aver lasciato morire la<br />

nonna”... Gli si apre una “terra incognita” (come vedremo, poco prima<br />

è definita “patria perduta” quella originaria dell’artista)... Egli si avvia<br />

“a una vita terribile, meritata e nuova (terrible, méritée et nouvelle)”;<br />

ma che sia nuova implica la terribilità di cui è meritevole. In lui si apre<br />

“la strada funesta, e destinata a farsi dolorosa (la voie funeste et<br />

destinée à être douloureuse) del Sapere”...<br />

Bene, nel mezzo di questo cataclisma vi aspettereste due<br />

aggettivi come quelli che troverete alla fine del passo che segue?<br />

“[...] per avviarmi a una vita terribile, meritata e nuova, fors’anche per<br />

farmi esplodere davanti agli occhi le conseguenze funeste che gli atti<br />

malvagi generano all’infinito; non solo per chi li ha commessi, ma<br />

anche per chi non abbia fatto, non abbia creduto di far altro che<br />

contemplare uno spettacolo curioso e divertente (un spectacle<br />

curieux et diverissant), come avevo fatto io, ahimè!, in quel lontano<br />

crepuscolo a Montjouvain, nascosto dietro il cespuglio [...]” (SG,<br />

1115; 368-369).<br />

Curioso e divertente!<br />

Si tratta del famoso sacrilegio ai danni della fotografia di Vinteuil<br />

fatto dalla figlia e dalla sua amica complici... Da piccolo, il Narratore


61<br />

ha spiato questo sacrilegio... (In occasione di una visita resa dai<br />

genitori a Vinteuil ha spiato Vinteuil impegnato non con una<br />

fotografia ma con uno spartito)...<br />

Le immagini di Montjouvain il Narratore le ha “tenute in serbo”<br />

inconsapevole del loro potere “nocivo”. Ma adesso che vive sulla<br />

propria pelle quel sacrilegio (e forse lo carica dei rimorsi verso la<br />

nonna/madre morta/e da poco etc.), come mai usa quei due<br />

aggettivi: “curioso” e “divertente”?<br />

Come ce la caviamo?<br />

A me sembra che la sola ipotesi possibile sia la seguente:<br />

Kafka e <strong>Proust</strong> vivono la loro “particolarità”; questa, nel loro caso, si<br />

chiama “letteratura”. Ma in loro, l’essere “tipi particolari” non significa<br />

essere “stravaganti” come una volta si definivano in modo benevolo i<br />

matti (quelli della propria famiglia o quelli di una famiglia amica).<br />

Significa rimanere nell’interregno tra in-fanzia e scrittura; non<br />

adolescere, crescere fino a diventare “adulti” (cresciuti); significa<br />

tentare e riuscire a immettere l’in-fanzia (l’in-dicibile) nella scrittura<br />

l’in-fanzia.<br />

È per questo che qualsiasi evento transiti nella scrittura, in una<br />

scrittura che sia all’altezza dell’in-fanzia, diventa gioioso: “E la realtà<br />

più terribile (la réalitè la plus terrible) apporta insieme alla sofferenza,<br />

la gioia d’una bella scoperta, perché non fa che dare una forma<br />

nuova e chiara (ne fait que donner une forme neuve et claire) a ciò<br />

che fa tanto tempo andavamo rimuginando senza rendercene conto<br />

(sans nous en douter)” (SG, 1115-1116; 369).<br />

Ma sentite che ruolo gioca la letteratura de Il tempo ritrovato: “la<br />

littérature ne pouvait plus me causer aucune joie, soit par la faute,<br />

étant trop peu doué, soit per la sienne, si elle était en effet moins<br />

chargée de réalité que je n’avais cru” (TR, _____). È del tutto<br />

evidente, se teniamo conto di quel che abbiamo scoperto, che la<br />

letteratura qui configurata non è quella a cui è approdato <strong>Proust</strong> (o<br />

da cui anche è sempre decollato: la dizione dell’ineffabile.<br />

Ora, qual è la realtà di cui la letteratura è chargée (di cui è<br />

portatrice)? Quella di un altro universo o di un universo altro<br />

(diversamente categorizzato)...<br />

5) Messa in forma del néant<br />

Ritorniamo quindi all’antitesi “tutto”/“nulla”...<br />

Abbiamo detto che Mariolina Bertini, sulla scorta di una serie di<br />

studi, indica in modo convincente e anche commovente le tappe


62<br />

della costruzione della Recherche; di cui, peraltro, l’“essenziale” è<br />

stato da <strong>Proust</strong> pensato fin dall’inizio.<br />

“Essenza” è in <strong>Proust</strong>, come vedremo, una figura chiave. Ora,<br />

l’essenza è individuata fin dall’inizio...<br />

E che cos’è l’essenza? Essa coincide con la “vera vita”; essa<br />

produce “resurrezioni” di eventi non solo dimenticati ma mai vissuti;<br />

essa introduce nell’“extra-temporale”...<br />

Nell’aca-tegoriale?<br />

Importante però è avere ben chiaro che qui non si dà l’ingresso<br />

all’immortalità; “solo” quello alla vita; ma alla vita vera; quella<br />

vissuta... ma non “vissuta” appieno rispetto a quella vissuta sono in<br />

parte o après-coup; a quella vissuta dentro un mondo categorizzato<br />

da chi le vive...<br />

Alberto Beretta-Anguissola: “Tra l’alba e il tramonto, tra l’inizio<br />

di un secolo e la sua fine, l’uomo proustiano non progredisce. La<br />

ricerca della verità e l’autoliberazione dalla falsa coscienza è sì un<br />

itinerario immerso nel tempo, punteggiato di tappe, periodi,<br />

arretramenti e avanzate; ma questo ‘progresso’ non è altro che il<br />

graduale riconoscimento del tragico primato del dolore, della<br />

malattia, del vizio, della crudeltà, della morte, della solitudine,<br />

dell’angoscia. La storia esiste in <strong>Proust</strong> solo come via crucis<br />

dell’autocoscienza, una salita al calvario la cui ultima ‘stazione’ – la<br />

più atroce – è paradossalmente, il più alto trionfo entro un’ottica<br />

radicalmente diversa, che non è certo quella di una salvezza<br />

religiosa, ma una vera resurrezione estetica”. 66<br />

Condivido la conclusione tragica. Ma voglio precisare che la<br />

resurrezione è “nascita”; “nuova nascita”?, no, “vera nascita” (in<br />

diretta con la “vraie vie”); al proprio mondo; al mondo che abbiamo<br />

categorizzato. E come lo abbiamo categorizzato? Introducendo in<br />

esso la nostra in-fanzia (“enfantillage”).<br />

Come abbiamo già fatto, invitiamo il lettore a leggere Mariolina<br />

Bertini a proposito delle tappe della costruzione della Recherche. Qui<br />

ricordiamo solo una di queste tappe: la Prisonnière “è il risultato di<br />

un’elaborazione oltremodo travagliata, perseguita attraverso innumeri<br />

tentativi. Se risaliamo infatti ai cahiers del 1910-1911 ci attende una<br />

scoperta sconcertante: Vinteuil non esiste, o meglio, esiste scisso in<br />

due personaggi diversi, lo scienziato Vington e il musicista Berget.<br />

Vington, uomo all’antica, mite e pudibondo, abita nei pressi di<br />

Combray ed ha una figlia lesbica che convive scandalosamente con<br />

un’amica. Amareggiato dal comportamento della figlia, muore ed è<br />

66 <strong>Proust</strong> inattuale, Bulzoni, Roma, 1976, p, 84.


63<br />

vittima, in effige, delle profanazioni rituali della figlia e della sua<br />

amica. Sarà proprio quest’amica, però, ad assicurare l’immortalità<br />

alla sua opera scientifica, passando anni e anni, a ‘rivedere i suoi<br />

manoscritti, ordinare le sue collezioni, proseguire i suoi esperimenti’.<br />

Fu solo verso il maggio del 1913, al momento della correzione delle<br />

bozze Grasset, che <strong>Proust</strong> decise di fondere i due personaggi sino<br />

ad allora distinti, facendo della musica di Vinteuil le due componenti<br />

inscindibili della sua metafora della creazione artistica che trovi posto<br />

della Recherche. Vington cessò di esistere come scienziato, divenne<br />

compositore e Swann cominciò, come del testo definitivo, a porsi il<br />

problema della sua identità ascoltando la meravigliosa Sonata: era<br />

possibile che il sublime musicista, l’audace innovatore avesse<br />

qualche parentela con il maestro di musica di Combray, così timido e<br />

insignificante? In un secondo tempo, sulle stesse bozze, il nome<br />

Vington divenne prima Vindeuil, poi Vinteuil: era nato il personaggio<br />

in cui sarebbero confluiti due motivi, sino ad allora separati, della<br />

musica come ‘trasposizione della profondità nell’ordine sonoro’ e<br />

della profanazione come momento oscuramente necessario sulla via<br />

della salvezza”. 67<br />

Citiamo solo dei frammenti di una pagina dell’episodio che<br />

studieremo meglio: “E proprio quel culto [della figlia verso Vinteuil<br />

che ha contagiato l’amica] aveva fatto sì che, in momenti nei quali si<br />

va all’opposto delle proprie inclinazioni, le due fanciulle potessero<br />

trarre un piacere insano dalle profanazioni che ho raccontate.<br />

L’adorazione per il padre era la condizione stessa (la condition<br />

même) del sacrificio della figlia. E la voluttà di quel sacrilegio non le<br />

esprimeva, certo, avrebbero dovuto rifiutarsela; ma essa non le<br />

esprimeva per intero (ne les exprimait pas tout entières). [...].<br />

Passando anni e anni a risolvere il rebus lasciato da Vinteuil,<br />

procurando la lettura certa dei suoi ignoti geroglifici, l’amica di<br />

Mademoiselle Vinteuil ebbe almeno la consolazione di assicurare al<br />

musicista cui aveva offuscato gli ultimi anni di vita una gloria<br />

compensatrice e immortale. Da relazioni non consacrate dalle leggi<br />

(de relations qui ne sont pas consacrées par les lois) derivano legami<br />

di parentela non meno molteplici, non meno complessi,<br />

semplicemente più solidi, di quelli che nascono dal matrimonio” (P,<br />

262-263; 670).<br />

67 Guida a <strong>Proust</strong>, op. cit., p. 273. Vedi: Lignon, vol. I ed. Tadiè, (C, 29, ES, L,<br />

795); Vington, vol. I (C 14, ES LI, 796-801), vol. III (C 14, ES XIII, 1143-1150);<br />

Berget: vol. I (variante,1202-1203), II (V, 1218), III (V, 1144). Per “variante” si<br />

intende una correzione del testo posteriore al manoscritto.


64<br />

Come non pensare al matrimonio secondo Kafka? Che dice al<br />

padre, meglio: gli scrive, che per lui i matrimoni sono sempre stati<br />

matrimoni di convenienza: nel senso di matrimoni con la legge, con<br />

le categorie?<br />

Qui abbiamo un matrimonio celebrato fuori da ogni legge. Il<br />

sacrilegio, non solo va a braccetto con l’adorazione (e con l’opera<br />

d’arte o la sua scoperta), ma ne è la “condizione” (= la legge)!<br />

L’amica di Mlle Vinteuil “come negli illeggibili taccuini (carnets)<br />

dove un amico geniale, non sapendo d’essere tanto vicino alla morte,<br />

ha annotato scoperte che rimarranno forse per sempre sconosciute,<br />

[...] aveva estratto (dégagé) da carte illeggibili dei papiri punteggiati<br />

di scrittura cuneiforme la formula eternamente vera, infinitamente<br />

feconda di quella gioia ignota, la speranza mistica dell’Angelo<br />

scarlatto del Mattino (du Matin). [...]. Era grazie a lei ch’era potuto<br />

giungere sino a me lo strano richiamo che avrei sentito per sempre<br />

come una promessa dell’esistenza di qualcosa di diverso – qualcosa<br />

la cui realizzazione era affidata, probabilmente, all’arte – dal niente<br />

(le néant) che avevo trovato in tutti i piaceri e nello stesso amore; la<br />

promessa secondo cui la mia vita, che mi sembrava tanto vana, non<br />

era almeno del tutto incompiuta (pas tout accompli)” (P, 262-263;<br />

671).<br />

Avviandoci alla conclusione di questo incipit: è evidente che<br />

l’amica di Mlle Vinteuil ha individuato nei carnets dell’umile maestro<br />

la “formula” (= la legge) che consente la speranza del “mattino” (=<br />

della nascita: alla viva vera); ma è altrettanto vero che i carnets in<br />

questione sono quelli di <strong>Proust</strong>...<br />

Insomma, sappiamo che il Contre Sainte-Beuve, l’ultima tappa<br />

verso la Recherche, vuole dimostrare che l’“io” dell’artista non<br />

corrisponde all’“io” sociale che gli corrisponde. Sainte-Beuve ha<br />

misinterpretato il valore di Flaubert, Baudelaire etc... (avrebbe<br />

misinterpretato anche il valore di <strong>Proust</strong>) perché ha cercato (e non ve<br />

l’ha trovato) il loro valore nella loro vita mentre esso era nella loro<br />

opera.<br />

Quindi, niente psico-critica!<br />

Ma non possiamo nasconderci che <strong>Proust</strong> ha messo in forma il<br />

“néant”; ha creato dal nulla; ha portato alla luce (“matin”). “Tutti” i<br />

suoi piaceri – il suo sfarfallare nei salotti etc. – non erano “niente”;<br />

anzi, erano questo “niente”. 68<br />

68 In questi occhi forse acquistano un significato nuovo i passi seguenti: “[...] pour<br />

faire de l’art, c’est-à-dire retrouver la vie, il fallait non pas réproduire ce que nous<br />

croyons la vie, le passé, les actions et les mots, mais retirer successivement tout<br />

ce que nous avions, dans le moment même où nous l’éprouvions et bien plus


65<br />

“Niente”, però, sarebbe stata la sua vita se fosse coincisa con<br />

quella di Swann, di Charlus e via elencando...<br />

Se fosse coincisa con la nostra (e con quella della maggior<br />

parte dei nostri contemporanei).<br />

Qui è “il “terribile” e “il bello”!<br />

Diversamente da Kafka <strong>Proust</strong> ci ha lasciato cahiers e carnets<br />

in abbondanza. Sembra che conservasse anche le lettere che non<br />

spediva...<br />

E questo ci consente di seguire il processo attraverso il quale<br />

l’in-fanzia si fa nuovo discorso; discorso categorizzato da <strong>Proust</strong><br />

medesimo.<br />

In Kafka abbiamo sospettato (ad un certo punto affermato in –<br />

bona – fide) questo passaggio dell’a-categoriale in un categoriale<br />

nuovo. Ma non abbiamo che scritti “perfetti” (“accompli”). Perfetti<br />

(accompli) erano anche le mille varianti...<br />

Diciamoci la verità, nei cahiers si sente palpitante l’anelare alla<br />

perfezione; ma anche la perfezione di un passaggio... penso a quello<br />

del Mar Rosso verso la Terra Promessa... Si incrociano le “tappe”;<br />

ma che meraviglia! L’“Angelo scarlatto” si leva... ma possiamo levarci<br />

insieme con lui!<br />

Paradossale che proprio l’autore del Contre Sainte-Beuve<br />

autorizzi la nostra) psicocritica sui generis.<br />

6) <strong>Proust</strong> legislatore (categorizzatore)<br />

<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> e i segni, di Gille Deleuze: “L’essenziale nella<br />

Ricerca non è la memoria e il tempo, ma il segno e la verità.<br />

L’essenziale non è ricordare, ma apprendere. La memoria infatti non<br />

vale se non come una facoltà capace d’interpretare certi segni, il<br />

tempo non vale se non come quella materia o il tipo di questa o<br />

quella verità”. 69 ,<br />

ensuite dans ls mémoire et le raisonnement déposé sur la vie, qui l’obscursissait et<br />

à la reproduction de quoi tant d’artistes bornent l’art, croyant ainsi être réels et<br />

vivants”” (Cahier 58, in Matinée chez la Princesse de Guermantes, Gallimard,<br />

1982, p. 143).<br />

“‘Per me la mia opera è tutto. Non so se vivrò abbastanza per vederla finalmente<br />

pubblicata ed è abbastanza naturale che, con l’istinto dell’insetto che ha i giorni<br />

contati, io mi affretti a mettere al sicuro quel che è uscito da me e mi<br />

rappresenterà” 68 (lettera pubblicata da Léon Pierre-Quint, in <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> et sa<br />

stratégie lietteraire, Corrêa, Paris, 1954, p. 146).<br />

69 1964, tr. it. Einaudi, Torino, 1967, p. 87. Indicheremo le pagine con la sigla (D, 5)<br />

etc.


66<br />

Giustamente Deleuze insiste sul fatto dell’importanza<br />

dell’“involontario” in quando casuale incontro con qualcosa che<br />

interroga violentemente, esige una risposta: “I termini ‘volontario’ e<br />

‘involontario’ non indicano facoltà differenti, ma piuttosto un differente<br />

esercizio delle medesime facoltà. Fino a che si esercitano<br />

volontariamente, la percezione, la memoria, l’immaginazione, lo<br />

stesso pensiero hanno solo un esercizio contingente: in tale caso, ciò<br />

che percepiamo, potremmo ugualmente ricordarlo, immaginarlo,<br />

pensarlo; e viceversa. [...]. L’esercizio involontario è il limite<br />

trascendente o la vocazione di ogni facoltà. Al posto del pensiero<br />

volontario, tutto ciò che costringe a pensare, tutto ciò che viene<br />

costretto a pensare, tutto il pensiero involontario, che non può<br />

pensare se non l’essenza” (D, 93-94).<br />

“Indubbiamente il segno non si riduce all’oggetto; ma è anche<br />

inguainato in esso. Indubbiamente, il senso non si riduce al soggetto;<br />

ma dipende a metà dal soggetto, dalle circostanze e dalle<br />

associazioni soggettive. Al di là del segno e del senso, c’è l’Essenza,<br />

come ragion sufficiente degli altri due termini e del loro rapporto” (D,<br />

86).<br />

In altre parole: nell’episodio della madeleine entrano in<br />

tensione la madeleine e il Narratore. La verità non è né nella prima<br />

né nel secondo.<br />

Dov’è?<br />

“[...] via via che la serie si avvicina alla propria legge [...]<br />

presentiamo l’esistenza del tema originale o dell’idea, che supera<br />

insieme i nostri stati soggettivi e gli oggetti in cui s’incarna” (D,<br />

67)”.. 70 .<br />

Il problema è “mais pourquoi les images de Combray et de<br />

Venise m’avaient-elles, à l’un et à l’autre moment, donné une joie<br />

pareille à une certitude, et suffissante, sans autres preuves à me<br />

rendre la mort indifférente?” (TR, 867; 544).<br />

Perché?<br />

La Recherche si incarica di spiegare questo perché. La<br />

differenza tra il primo e l’ultimo volume sta nel fatto che al perché è<br />

data infine una risposta...<br />

<strong>Proust</strong> cita la madeleine come un caso d’insuccesso (D, 15):<br />

“J’avais alors ajourné de chercher les causes profondes” (TR, ____)_<br />

70 Lettera a Jaques Benoist-Méchin del maggio 1922: “Je pense, en effet, que les<br />

hommes n’aiment pas telle ou telle femme isolée, mais un certain type de femme<br />

dont il ne s’écartent jamais. Si, par la suite d’un deuil ou d’une séparation, ils<br />

perdent la femme qu’ils aiment, ils courent après son type. Qu’il poursuivent<br />

obstinément, quoique souvent à leur insu” (CORR, XXI, 239).


67<br />

Ma anche la scoperta della morte della nonna (“je venais<br />

d’apprendre qu’elle était morte... que je l’avais perdue pour toujours”<br />

[SG, 758; ___]) è un episodio di memoria involontaria (D, 22-23). Ed<br />

è dominato non dalla gioia ma dal dolore... 71<br />

Penso che l’unica è decidere che anche la scoperta<br />

dell’avvenuta perdita della nonna è una gioia; anche se una gioia<br />

dello spirito! In fondo, la vera gioia è gioia della verità... (in questo<br />

caso, della perdita; della morte. Sì, perché qui la resurrezione è<br />

paradossale; è la resurrezione di una morta; di una morta che viene<br />

a slacciarci lo stivaletto... per dirci: non ci sono più!<br />

Secondo Deleuze “<strong>Proust</strong> distingue con cura due casi di segni<br />

sensibili: le reminiscenze e le scoperte: le “résurrections de la<br />

mémoire”, e le “vérités à l’aide de figures” [TR, 879]” (D, 53).<br />

Ebbene, nel caso dello stivaletto che porta alla nonna etc... c’è<br />

una resurrezione che porta ad una scoperta<br />

A proposito del “C’était comme au commencement du monde,<br />

comme s’il n’y avait encore eu qu’eux deux sur la terre... “ (SW,<br />

Sonata__). “Il mondo implicato dall’essenza è sempre un principio<br />

del Mondo in generale, un inizio dell’universo, un cominciamento<br />

radicale assoluto. [...]. L’essenza è la nascita stessa del Tempo. Ciò<br />

non significa che il tempo si sia già svolto: non ha ancora le<br />

dimensioni distinte secondo le quali potrebbe snodarsi, e neppure le<br />

serie separate nelle quali si distribuisce su ritmi differenti. Alcuni<br />

neoplatonici si servivamo di una parola profonda per indicare lo stato<br />

originario che precede ogni sviluppo, ogni dispiegarsi, ogni<br />

‘esplicitazione’: la complicatio [...]” (D, 45-46). Ancora: “L’extratemporale<br />

di <strong>Proust</strong> è questo tempo allo stato nascente, e il soggetto<br />

artista che lo ritrova” (D, 47). “Un’essenza è sempre una nascita del<br />

mondo [...]” (D, 49)...<br />

Possiamo trascurare la complicazione della complicatio.<br />

Fondamentale è la definizione dell’essenza come nascita del Tempo.<br />

Possiamo pensare che ci stiamo affacciando al mondo<br />

“superuranio”, quello delle idee (e <strong>Proust</strong> talvolta pensa proprio<br />

questo); 72 possiamo semplicemente pensare di aver colto una legge<br />

71 Giustamente Citati qualifica “intermittenza del cuore” anche l’emersione della<br />

scena di Montjouvain a partenza da “le mie due sorelle maggiori” (SG [Tadié], 499)<br />

di Albertine: “À ces mots [...] une image s’agitait dans mon cœur, une image tenue<br />

en réserve pendant tant d’années [...]”; come nel caso della nonna, “alcuna estasi<br />

di luce” (Citati, op. cit., p. 349).<br />

72 “Il loro carattere distintivo sta nel fatto che sono idee platoniche capovolte, le<br />

quali non abitano il ‘regno sovraceleste’, ma questa terra: il mondo delle<br />

sensazioni, dell’odore e del sapore, del suono e della vista (Citati, La colomba<br />

pugnalata, Mondadori, 1995, p. 247).


68<br />

(e <strong>Proust</strong> più spesso pensa proprio questo)... Di fatto è successo che<br />

un nuovo mondo è cominciato. Cioè, una nuova categorizzazione...<br />

<strong>Proust</strong>, in un passo straordinario, sembra contraddire l’idea<br />

che l’amicizia (come la conversazione etc.) sia nociva proprio in<br />

quanto distrae dall’io interiore. Leggete: “Par l’art seulement, nous<br />

pouvons sortir de nous, savoir ce que un autre de cet univers qui<br />

n’est pas le même que le nôtre et dont les paysages nous seraient<br />

restés aussi inconnus que ceux qu’il peut y avoir dans la lune. Grâce<br />

à l’art, au lieu de voir un seul monde, le nôtre, nous le voyons se<br />

multiplier, et autant qu’il y a d’artistes originaux, autant nous avons<br />

de mondes à notre disposition, plus différents les uns des autres que<br />

ceux qui roulent dans l’infini...” (TR, ______). 73 Tra creatori è<br />

condivisibile la diversità delle categorizzazioni; tra gli idolatri esiste<br />

l’uniformità, la conformazione ad una medesima categorizzazione.<br />

Detto tra noi, siamo molto schivi, ma non vi sembra che<br />

l’individuare delle “leggi” da parte di <strong>Proust</strong> rassomigli molto alla<br />

“legiferazione”? <strong>Proust</strong> = legislatore = nuovo categorizzatore (al pari<br />

degli atri grandi).<br />

7) La “vera vita” non è il passato ritrovato, è l’essenza<br />

(l’acetegoriale) attinto (nello spazio di un mattino)<br />

Citavamo: “Un’essenza è sempre una nascita del mondo [...]”<br />

(D, 49)... Ne deriva una concezione del tempo che fa i conti con la<br />

creazione, nel tempo, del tempo (nelle categorie, di nuove categorie):<br />

“È evidente che alla memoria volontaria sfugge qualche cosa di<br />

essenziale: l’essere in sé del passato. Essa fa come se il passato si<br />

costituisse come tale dopo essere stato presente. Bisognerebbe<br />

dunque aspettare un nuovo presente perché quello precedente<br />

73 Citiamo un altro passo straordinario sull’amicizia. A Antoine Bibesco, 11 maggio<br />

1903: “Volevo dirti che il tuo (d’altronde naturalissimo) mutato atteggiamento nei<br />

miei confronti, il fare misteri – o piuttosto il non confidarsi, il non fare domande,<br />

insomma la mancanza di unione – ha trovato in me un qualcuno che non era prima<br />

(un être que je n’étais pas) di conoscerti, fatto quello che è da te, e che si era<br />

abituato a non vivere più solo per sé, a includere nell’orizzonte della sua vita un<br />

altro e di conseguenza a incanalare in questo indiscernibile prolungamento del suo<br />

io ciò che la sua vita poteva trascinare con sé, così come lo trovava, ogni giorno,<br />

cose preziose o fango, con tutti gli spettacoli che aveva colti e rispecchiati, e i<br />

segreti in cui si era imbattuta. Perdendo adesso il mio secondo me (cioè te) (or<br />

perdant mon deuxième moi [c’est à dire toi]) per il tuo diverso atteggiamento, non<br />

ho potuto cambiare la nuova forma che avevi dato al primo [...]” (LG, 544-545;<br />

CORR, III, 310-311).


69<br />

passi, o diventi passato. Ma così ci sfugge l’attesa del tempo. Poiché<br />

se il presente non fosse passato oltre che presente, se il momento<br />

stesso non coesistesse con sé come presente e passato, esso non<br />

passerebbe mai, e non verrebbe mai a rimpiazzarlo un nuovo<br />

presente. Il passato quale è in sé coesiste col presente che è stato,<br />

non gli succede” (D, 57).<br />

Ne discende che “Combray risuscita sotto una forma<br />

assolutamente nuova. Combray non sorge quale è stata presente.<br />

Combray sorge come passato, ma questo passato non è più relativo<br />

al presente che è stato, né al presente rispetto al quale è adesso<br />

passato. Non si tratta più della percezione, né di quella della<br />

memoria volontaria. Combray appare quale non poteva essere<br />

vissuta: non in realtà, ma nella sua verità; non nei suoi rapporti<br />

esteriori e contingenti, ma nella sua differenza interiorizzata, nella<br />

sua essenza. Combray appare in un passato puro, che coesiste con i<br />

due presenti, ma al di là della loro portata, dove né la memoria<br />

volontaria attuale, né la trascorsa percezione cosciente possono<br />

raggiungerlo. ‘Un peu de temps à l’état pur’. E cioè: non una<br />

semplice somiglianza tra il presente e il passato, tra un presente che<br />

è attuale e un passato che è stato presente; e nemmeno un’identità<br />

dei due momenti; ma, al di là di questo, l’essere in sé del passato,<br />

più profondo di ogni passato che è stato, di ogni presente che fu. ‘Un<br />

peu de temps à l’état pur’, vale a dire l’essenza del tempo<br />

localizzata” (D, 59-60).<br />

Più avanti (dobbiamo saltare molti passaggi): “[...] l’essenza<br />

che s’incarna nel ricordo involontario non ci svela più questo tempo<br />

originale. Ci fa, sì, ritrovare il tempo, ma in tutt’altro modo: quel che ci<br />

fa ritrovare è lo stesso tempo perduto. Sopraggiunge bruscamente in<br />

un tempo già trascorso, già sviluppato. Ritrova in questo tempo che<br />

passa un centro di avvolgimento, ma che è ormai soltanto l’immagine<br />

del tempo originale. [...]. La reminiscenza ci presenta il passato puro,<br />

l’essenza in sé del passato. Questo essere supera indubbiamente<br />

tutte le dimensioni empiriche del tempo. Ma è, nella sua stessa<br />

ambiguità, il principio a partire dal quale tali dimensioni si snodano<br />

nel tempo perduto, come è anche il principio in cui si può ritrovare lo<br />

stesso tempo perduto attorno al quale possiamo avvolgerlo di nuovo<br />

per avere un’immagine dell’eternità. Il passato puro è l’istanza che<br />

non si riduce a nessun presente che passa, ma anche l’istanza che<br />

fa passare tutti i presenti, che presiede al loro passaggio: in questo<br />

senso, esso implica anche la contraddizione tra la sopravvivenza e il<br />

nulla. Dalla loro fusione nasce la visione ineffabile. La memoria<br />

involontaria ci dà l’eternità, ma in modo tale che non abbiamo la


70<br />

forza di sopportarla più di un istante, né il modo di scoprirne la<br />

natura. Quella che ci dà è dunque piuttosto l’immagine istantanea<br />

della eternità. E, dal punto di vista delle essenze, ogni Io della<br />

memoria involontaria rimane inferiore all’Io dell’arte” (D, 61-62).<br />

Interessanti le annotazioni di Deleuze sul tempo (perduto,<br />

ritrovato etc.). Sappiamo che <strong>Proust</strong> ha pensato diversi titoli; ad un<br />

certo punto, nella lettera a Georges de Lauris del 24 marzo 1912,<br />

pensa che bisognerebbe pubblicare nel primo volume (s’ils ont des<br />

titres différents) la prima, la seconda, la terza e la quinta parte “en ne<br />

donnant la quatrième que dans le second volume et en y prévenant<br />

qu’elle se place avant la dernière du premier volume” (CORR, XI,<br />

76). In Introductions, notices, notes et variantes dell’edizione curata<br />

da Tadié (vol. I, 1041 sgg.) si fa l’ipotesi che la quinta parte sia<br />

costituita da quello che sarà Il Tempo ritrovato. Fatto sta che il<br />

processo di pubblicazione (ch’è anche un processo di complicazione<br />

della redazione) del testo è laborioso (e straordinariamente<br />

interessante); ad un certo punto nel 1913 <strong>Proust</strong>, mentre lavora alla<br />

correzione dei primi fogli delle bozze, pensa ancora a due volumi, e<br />

pensa già ai titoli ben noti Il tempo perduto e Il tempo ritrovato...<br />

Ritengo però che questa titolazione, contro quella anch’essa<br />

prevista per l’opera nel suo complesso, Le intermittenze del cuore<br />

(vedi lettera a Gaston Gallimard, 6 novembre 1912, CORR, XI,<br />

286), 74 sia responsabile dell’errore che tutti quanti, almeno sulle<br />

prime, siamo tentati di fare: c’è un tempo che si perde e che si può<br />

ritrovare! Abbiamo visto che il ritrovamento non è ritrovamento del<br />

tempo perduto (dissipato); è individuazione del tempo nascente; è<br />

l’origine del monto (e, quindi, del tempo)... 75<br />

Ricorderemo più avanti che Macchia ha definito i momenti<br />

della memoria involontaria “allucinatori”...<br />

Essendo esperti di allucinazioni sappiamo che i paranoici<br />

considerano le voci che li perseguitano attendibili; meglio: vere in<br />

ogni loro parte. Guai a contestar loro qualche incongruenza...<br />

Il profeta, invece, anche lui oggetto di voci, nella misura in cui<br />

è un “vero” (non un “falso”) profeta, non crede alla realtà delle voci;<br />

tanto meno al fatto ch’esse si rivolgano a lui.<br />

74 J.-L. Vaudoyer, marzo 1913: titolo: Les Intermittences du Passé; primo volume<br />

Le Temps perdu, secondo volume, Le Temps retrouvé (CORR, XIII, 114). Bernard<br />

Grasset, maggio 1913: titolo generale À la recherche du temps perdu (primo<br />

volume Du côté de chez Swann, secondo volume Le côté des Guermantes)<br />

(CORR, XIII, 176).<br />

75 Georges Poulet propone una diversa titolazione: “l’œuvre proustienne s’affirme<br />

comme une recherche non seulement du temps, ma de l’espace perdu” (L’espace<br />

proustien, Gallimard, Paris, 196, p. 19).


71<br />

Vedi l’esempio di Samuele (1 Samuele, 3): per tre volte<br />

Samuele, nel sonno (giace accanto al Santuario) è risvegliato; da<br />

qualcuno che lo chiama per nome; egli risponde: “Eccomi!”; corre da<br />

Eli che dorme nella sua casa (attigua al Tempio) e che pensa essere<br />

l’autore della chiamata e, raggiuntolo, gli dice: “Eccomi, giacché mi<br />

ha chiamato”. Per due volte Eli gli risponde. “Non t’ho chiamato, figlio<br />

mio, torna a dormire”. La terza, intuisce che il Signore chiama il<br />

fanciullo e gli dice: “Va a dormire; a attento: se ti chiamerà, tu dì:<br />

‘Parla, o Signore, ché il tuo servo è in ascolto’”. In occasione della<br />

quarta chiamata – la buona –, Samuele usa la formula suggeritagli<br />

da Eli e Iddio gli si presenta e gli parla. Una grande complicazione.<br />

Samuele, infatti, il giorno seguente apre, sì, i battenti della casa del<br />

Signore, ma non ha il coraggio di riferire la visione ad Eli; e n’ha ben<br />

d’onde: Dio gli ha preannunciato lo sterminio della stirpe di Eli, Jahvé<br />

gli ha dato l’incarico di riferire la sua decisione ad Eli. Ma le orecchie<br />

di Samuele sono ambedue rintronate da quell’annuncio (“Ecco, io sto<br />

per fare in Israele una cosa tale che, chiunque l’udrà, gli<br />

rimbomberanno ambe le orecchie”, è il proemio della parola di Dio<br />

che l’ha raggiunto nella notte, ma non nel sonno). È allora Eli che lo<br />

chiama: “Eccomi”, dice di nuovo Samuele, che gli risponde<br />

immediatamente. Ma aspetta che Eli completi la sua chiamata: “Che<br />

ti disse? Deh, non tenermelo celato! Mandi a te Iddio questo e<br />

questo, se mi celerai parola di quanto ti disse!”. E il testo continua:<br />

“Allora Samuele gli svelò ogni cosa, senza tenergli celata parola. Eli<br />

concluse. ‘Lui è il Signore. Faccia pure ciò che è bene agli occhi<br />

suoi!’”<br />

Dio si manifesta al Profeta (che poi parlerà al popolo al posto<br />

di Dio) in modo insolito. Non richiesto. Una sorta di violenza.<br />

Il piccolo Samuele risponde... ma a Eli che non l’ha<br />

interrogato; poi a Dio; ma non annuncia a Eli il messaggio di Dio...<br />

Poi lo fa.<br />

Le esperienze involontarie sono casuali e violente; e brevi.<br />

Delle finestre sul mondo sconosciuto (dello spirito e della verità). Sì,<br />

sono finestre; non a caso la finestra è un Leitmotiv della<br />

Recherche). 76 Viene in mente l’“analisi grammaticale” praticata da<br />

Giampaolo Lai: quando, nel testo di un locutore, i “predicati finzionali”<br />

superano il tasso del 12 %, si ha ragione di inferirne che tale locutore<br />

si è affacciato alla “finestra del possibile” (della finzione).<br />

76 Lo spioncino attraverso il quale Charlus vede Morel (SG, 464-465, 467) etc...


72<br />

Il mondo proustiano è un mondo in cui ci si affaccia spesso<br />

alla finestra; si contemplano spettacolo straordinari 77 (il sacrilegio<br />

compiuto dalla figlia di Venteuil e della sua amica; l’incontro di<br />

Clarlus e di Jupien...); e, a poco a poco, si scoprono le leggi che<br />

governano il mondo a cui si appartiene; ma anche quelle che<br />

governano altri mondi. Che noi stessi possiamo produrre...<br />

Quando <strong>Proust</strong> sostiene che la verità si rivela nel suo io<br />

interiore (dentro di lui) ripete una formula antica; penso a Giovanni, 4,<br />

23-24: “Ma l’ora viene, è già al presente è, che i veri adoratori<br />

adoreranno il Padre in ispirito e verità; perciocché anche il Padre<br />

domanda tali che l’adorino. Iddio è Spirito: perciò convien che coloro<br />

che l’adorano l’adorino in spirito e verità”; e a Matteo 18, 20:<br />

“Dovunque due o tre sono raunati nel mio nome, quivi io sono nel<br />

mezzo di loro”...<br />

L’“io interiore” non coincide con l’“io sociale”... In interiore<br />

homine habitas veritas esortava sant’Agostino. Non sciogliamo<br />

l’enigma.<br />

Sappiamo poco; ma quanto basta per essere certi che in<br />

quell’interiorità, a gradi diversi, incontriamo, se non Dio, lo spirito e la<br />

verità.<br />

77 “La sua opera è come una finestra attraverso cui si apre alla vista un nuovo<br />

panorama; lo sguardo si posa su un paesaggio finora sconosciuto. [...]. Per un<br />

artista di questo genere la propria vita non significa alla fine se non l’indispensabile<br />

organo della vista e acquista lo stesso valore che possono avere gli strumenti<br />

dell’osservazione per il ricercatore delle scienze naturali” (Curtius, op. cit., p. 34).


73<br />

Cap. 5<br />

MESSUNG/MENSURATION<br />

(Di nuovo Kafka/<strong>Proust</strong>)<br />

[...] car là seulement un hasard peut mettre en présence<br />

de nos paroles le cœur fraternel et à jamais inconnu qui<br />

saura les ressentir (Lettera a Jean-Louis Vaudoyer, 21<br />

marzo 1912. Correspondence de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Plon,<br />

Paris, vol. XI, 1984, p. 67).<br />

“Je prends le volume, je le coupe et je me dis: je vais lire<br />

un quart d’heure et puis le quart d’heure passe... je lis... je<br />

lis toujours. [...]. ‘Mais c’est abominable, cette femme qui<br />

lit toujours, le matin, le jour, le soir, la nuit elle lit, elle lit,<br />

elle lit toujours!’” (Madame Straus à <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 13<br />

maggio 1922; CORR, XXI, 183).<br />

1) Lo spuntar del tempo e dello spazio<br />

Ho cominciato a scrivere delle note da annettere a 2 + 2 = 5, il<br />

testo che approfondisce gli esiti di Edipo. Un innocente.<br />

Interessanti mi sembravano i punti di contatto tra <strong>Proust</strong> e<br />

Kafka. Al di là dello spuntar del giorno e della notte (vedi Kafka. Un<br />

“tipo particolare”): lo spuntar del giorno o della notte sono lo spuntar<br />

del tempo e dello spazio...<br />

Un contatto proprio in un luogo cruciale: quello del “corridoio”,<br />

una figura insistente; quello della scena primaria...<br />

Ma con nessuna intenzione di instaurare un parallelismo tra due<br />

autori... Solo l’ubiquietarietà di un tema che tocca tutti e,<br />

inevitabilmente, anche i due grandi narratori<br />

Dicevo: ho cominciato... e mi sono ritrovato con questo<br />

malloppo.<br />

Il titolo: l’extra-temporale. Qualcosa che ha un rapporto<br />

strettissimo con l’a-categoriale illustrato sia in Kafka. Un “tipo<br />

articolare” sia in Edipo. Un innocente.


74<br />

Penso che mi sono avvicinato all’essenziale di <strong>Proust</strong> in lavori<br />

precedenti. 78 Ma penso anche di averlo forse semplificato,<br />

mondanizzato... Quasi che tutto il lavoro sull’après-coup servisse a<br />

spiegare come vivere appieno la vita...<br />

In Edipo. Un innocente ho citato <strong>Proust</strong> a proposito della<br />

Nachträglichkeit freudiana...<br />

Ma, se lo si capisce appieno, l’après-coup porta a cogliere il<br />

vivibile, non dopo il colpo, ma altrove; e, più che il vivibile, porta a<br />

cogliere questo altrove: l’extra-temporale.<br />

Nella prima parte lavoriamo proprio sul concetto e la pratica<br />

della “misurazione” per approdare alla “dismisura”.<br />

E il pensiero va, inevitabilmente, all’agrimensore<br />

(Landvermesser) del Castello. E capiamo sempre meglio che<br />

quell’agri-mensura (Landvermessung) è paradossale; l’agrimensore<br />

non dice, forse non sa, da dove viene; qui il principium individuationis<br />

fallisce; o trionfa il suo oltre: l’agrimensore non ha metri di mensura<br />

(mensuration; Messung). Anch’egli, infatti, avrà a che fare con<br />

l’immensurabile (nello spazio. Nel tempo: con l’extra-temporale).<br />

Immensurabile che, nella scena finale della Recherche, si esprimerà<br />

nella figura, insieme tragica e comica, dell’essere “mostruoso” –<br />

monstrum = prodigio, portento – arrampicato su smisurate e non<br />

misurabili stampelle...<br />

Questo scritto nasce sotto forma di “appunti”, di osservazioni<br />

provocati da un testo vecchio ma stimolante, <strong>Proust</strong>, di Ramon<br />

Fernandez. 79<br />

Talvolta brevi squarci di un testo, quando soprattutto è passato,<br />

dall’ultima sua lettura, quanto tempo basta perché l’“abitudine” abbia<br />

diminuito il suo potere, rivelano più di quanto rivelerebbe uno studio<br />

sistematico?<br />

Non ho saputo resistere: fatte le osservazioni contenute nei due<br />

primi capitoli, ho riletto la Recherche.<br />

78 Simbolizzazione come costruzione. Intervento sulla "Recherche", con<br />

un’introduzione ricavata da Freud: La rappresentazione dell’oggetto perduto,<br />

Vallecchi, Firenze, 1981; <strong>Su</strong> Georges Simenon. Maigret, conversazionalismo,<br />

abduzione, proustismo, schizo-scrittura, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1996.<br />

79 Éditions Grasset & Fasquelle, 1979. Da allora ho riletto... e per la prima volta<br />

una piccola biblioteca che avevo riunito negli anni. Illeggibili sono lavori come Le<br />

sexe de <strong>Proust</strong>, di Stéphane Zagdanski (Gallimard, Paris,1994), <strong>Proust</strong> et son<br />

père, di Christiam Péchenard (Quai Voltaire, Paris, 1993). Filosofia di <strong>Proust</strong>, di<br />

Federica Sossi (Unicopli, Milano, 1899)... Le sommeil de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, di<br />

Dominique Mabin (PUF, Parigi, 1992) che che ne dica il prefattore, Philip Kolb...<br />

Hommage à <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, La Nouvelle Revue Franaise, Paris, 1923


75<br />

Nell’edizione diretta da Luciano De Maria (Mondadori, 1989,<br />

voll. 4). Nelle osservazioni di cui ho appena detto, cito l’edizione<br />

diretta da Mariolina Bongiovanni Bertini (Einaudi, 1978, voll. 8). Nel<br />

corso della rilettura mi avvalgo dell’edizione francese diretta da<br />

Pierre Clarac e André Ferré (Pléiade, 1954, voll. 4), ricorrendo anche<br />

alla nuova edizione, quella diretta da Jean-Yves Tadiè (Pléiade,<br />

1989, voll. 4) ricca delle esquisse che richiamano di volta in volta i<br />

Brouillons-Cahiers...<br />

Per la prima volta, oltre a capire meglio il significato e la<br />

bellezza della Recherche, ho notato le sue talvolta esasperanti<br />

lungaggini, peraltro segnalate dallo stesso <strong>Proust</strong>; ad esempio, ne La<br />

prigioniera: “Quanto ai nostri sentimenti, ne abbiamo parlato troppe<br />

volte per ripetere qui quel che assai spesso l’amore è soltanto<br />

l’associazione dell’immagine di una giovine donna (che in caso<br />

diverso non ci tarderebbe a diventar insopportabile) con i battiti del<br />

cuore inseparabili da un’attesa intermittente, vana, e da un<br />

appuntamento cui essa non sia venuta” (P, 3).<br />

Nel 1986 Claude e Nathalie Mauriac si imbatterono in un<br />

dattiloscritto rimasto fino ad allora ignoto. Si capì subito che si<br />

trattava dell’“originale” di cui quello usato a partire dal 1925 era solo<br />

una copia. La differenza fondamentale era rappresentata dai tagli;<br />

uno macroscopico: a p. 648, con mano tremante, <strong>Proust</strong> aveva<br />

inserito l’ordine perentorio di eliminare 250 pagine del dattiloscritto.<br />

Nel 1987 Nathalie Mauriac pubblicò da Grasset il testo breve<br />

ritrovato. 80 Fu uno choc... Chissà, se <strong>Proust</strong> fosse vissuto<br />

abbastanza, avrebbe tagliato e tagliato... Come aveva fatto Flaubert.<br />

Quest’ultimo, dalle iniziali 4500 pagine, ne portò solo 500 alla<br />

stampa. E tagliò pagine bellissime. Vedi Madame Bovary. La<br />

censure dévoilée (Alinéa, Rouen, voll. 2, 2007). In italiano vedi La<br />

prima Madame Bovary (Medusa, Milano, 2007). (Evidentemente non<br />

si tratta di tutte le 4500 pagine; ma di quanto basta per leggere il<br />

meglio di quel che è stato tagliato).<br />

Come vedremo, l’esperienza della lettura e rilettura di <strong>Proust</strong>,<br />

Cahier compresi, porterà ad altri approdi.<br />

Consideriamo sul momento quel che Leo Bersani sostiene a<br />

proposito di Flaubert e <strong>Proust</strong>. Rimando a Déguisement du moi et art<br />

fragmentaire (Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 7. Études proustiennes II,<br />

Gallimard, Paris, 1975, pp. 43-65). Una breve citazione: “Flaubert<br />

80 Jean Milly ha pubblicato un testo, come dire, “completo”; un testo che, con<br />

qualche espediente, permette di individuare les différentes couches<br />

chronologiques: Albertine disparue. Édition intégrale. Texte étabi, présenté et<br />

annoté par Jean Milly, Librairie Honoré Champion, Pars, 1992.


76<br />

rêve à un style équivalent à la réalité indépendante de ses sujets;<br />

Emma cherche la réalité équivalente au vocabulaire des clichées<br />

romantiques. [...]. Le sens du moi chez <strong>Marcel</strong> est tellemet<br />

dépendant de la forme de ses espérances que leur destruction vide<br />

littéralement son imagination. Par conséquent, le rytme d’illusion et<br />

de désillusion est différent chez Flaubert et chez <strong>Proust</strong>. Pour <strong>Proust</strong>,<br />

ce rytme consiste en une disparité entre le moi et le monde, plutôt<br />

qu’en un déséquilibre proprement flaubertien entre des fictions<br />

impersonnelles, inépuisables et une réalité qui est soit hypothétique<br />

et au-delà du langage (Flaubert parle d’un sujet romanesque comme<br />

d’une idée platonisienne), soit platement matérielle et inférieure au<br />

langage (Tostes et Yonville)”.<br />

Questa volta (la terza?), mi ha indotto a rileggere tutto l’essermi<br />

imbattuto in un termine che abbiamo dimostrato ricorrente in Kafka,<br />

tanto da assurgere al rango di Leitmotiv, quello della “martellata”: “Da<br />

quale martellata (coup de marteau) è mai stato colpito l’essere o la<br />

cosa che si trova là per ignorare tutto, stupefatto fino al momento in<br />

cui la memoria accorsa gli rende la coscienza o la personalità?” (SG,<br />

407).<br />

Dicevo del testo di Fernandez... prima di rivedere quanto avevo<br />

scritto il pensiero è andato a Jacques Dubois. In sede di<br />

celebrazione del centenario della nascita di Simenon, ho portato in<br />

sintesi i risultati della mia ricerca su Simenon. 81 Tra l’altro, un aspetto<br />

forse trascurato, il côté proustiano di Simenon. In sede di dibattito un<br />

amico, anche per amor di polemica, eccepì proprio su questo punto<br />

(che, peraltro, nel mio intervento, era tout à fait secondario). Ricordo<br />

che Jacques Dubois, con la sua autorevolezza, intervenne per<br />

difendere la mia posizione. Chiesi informazioni su di lui e venni a<br />

sapere di un suo scritto Pour Albertine. <strong>Proust</strong> et le sens du social<br />

(Seuil, Paris, 1977).<br />

Lo lessi subito e mi piacque moltissimo.<br />

È l’unico testo che ho scorso dopo la scrittura di questi appunti<br />

ampliati. Mi ha colpito, mutatis mutandis, una certa analogia... Le<br />

pagine più sottolineate riguardano proprio quelle in cui si incontra, ad<br />

esempio, la frase seguente: “Comme si temps et espace avaient<br />

cessé d’être catégories stables” (p. 77). 82<br />

81 Abduction, identification et dé-identification chez Maigret. Les résultats d’une<br />

recherche, “Traces” (Université de Liège. Travaux du Centre d’Étude Georges<br />

Simenon), 2003, n. 14, pp. 33-50.<br />

82 In nota: tutto un capitolo è intitolato “La contingente”. “L’envie irréprensible de<br />

déguster des crèmes glacées armoriées, le rire cruel et voluptueux, le<br />

métaphorisme bariolé, tout est là pour donner un sentiment de pure dèpense,


2) Importanza degli aggettivi<br />

77<br />

Forse, per cogliere subito la novità dell’approccio a <strong>Proust</strong>, è<br />

meglio leggere tout d’abord la seconda parte.<br />

In essa viene dimostrata l’ubiquitarietà di una scena-madre:<br />

quella dell’“angoscia” della perdita, “calmata” dai baci della madre.<br />

Vengono individuati degli sviluppi di questa scena (dei suoi<br />

stadi).<br />

Prima viene tracciata la distanza tra la sua prima edizione, nella<br />

Recherche (inizio di Dalla parte di Swann) e la sua ultima edizione,<br />

avvenuta in tre vagues (fine de Il tempo ritrovato)...<br />

Individuato il puntum gaudens, cioè il “compimento” dell’œuvre<br />

– non nel recupero del tempo passato e perduto, ma del recupero<br />

della dimensione del tempo: che passa senza che nessuna “gloria”<br />

possa essere risparmiata e senza che nessun wxaton possa<br />

redimere 83 –, vengono illustrate le molte tappe: da All’ombra delle<br />

fanciulle in fiore a Albertine scomparsa...<br />

Scopriremo che in Albertine confluiranno, non tanto per<br />

agglutinarvisi, ma per appalesarsi e farsi superare – tutte le figure<br />

dell’amore: la madre, la sorella, l’amante, la morte...<br />

langagière en même temps qu’érotique. Le discours a perdu ses balises; le roman<br />

est saisi, avec son personnage, d’une sorte de folie: la lubricité d’Albertine<br />

s’épanche somptueusement. On atteint à un comble, où toute détermination paraît<br />

superflue” (p. 83); “Tout cela étant, elle [Albertine] active avec éclat une dynamique<br />

inhérente au roman proustien et qui vise à faire qu’il n’y ait ni linéarité narrative ni<br />

continuité sémantique. Elle devient donc, à certain moment, le moteur mais aussi<br />

l’emblème d’un système de signification qui ne cesse de renvoyer à un ailleurs, à<br />

plus loin et à plus tard, tout en sachant qu’en fin de compte il n’y aura pas de<br />

butée” (p. 165).<br />

83 In pagine per me straordinarie di Jean Santeuil, il Narratore ripete due volte<br />

l’aggettivazione “irreparabile”; la seconda: “Si dice che quel che è stato nella nostra<br />

vita sia irreparabile, che nulla possa far sì che ciò che è stato non sia stato” (JS,<br />

318-319; 150-151). Scopriremo che l’unica riparazione possibile, l’unica possibile<br />

redenzione avverrà col passaggio da Jean Santeuil alla Recherche; dal tentativo di<br />

godere la vita, alla rinuncia ad essa. “Quel nome che contiene qualcosa della voce<br />

di mia madre, del tempo che stava allora scorrendo, della mia scuola, dell’incanto<br />

non già della giovinezza, ma della mia giovinezza. Quel nome io lo venero, esso<br />

per me ha qualcosa di più divino di una reliquia che contenesse sangue di Cristo,<br />

qualcosa che nessun artista o filosofo potrebbe riprodurre. Il nostro tempo [...]” (JS,<br />

319; 151). Il bacio della madre, anche nella Recherche, sarà paragonato ad<br />

un’“ostia”. Ma l’essenziale sarà il passaggio allo spirito e alla verità. La parola<br />

“irreparabile” ricorre un’altra volta (JS, 724; 584).


78<br />

Scopriremo che tutti gli elementi costitutivi della scena-madre<br />

sono sempre presenti (mutatis mutandis). È come se il Narratore<br />

avesse capito tutto fin dall’inizio; o quasi.<br />

Per dirla per metafora, netto è il passaggio dai Campanili di<br />

Martinville (les clochers de Martinville), al centro del secondo<br />

episodio di memoria involontaria (SW, 181 sgg.; 219 sgg.), ai “viventi<br />

trampoli (échasses) che aumentano senza sosta sino a diventare, a<br />

volte, più alti dei campanili (parfois plus hautes que des clochers)”, 84<br />

che concludono Il tempo ritrovato (TR, 1048; 760-761)... I singhiozzi<br />

del Narratore piccolo (SW, 37; 46) risuoneranno dall’inizio fino alla<br />

fine... come le campane di conventi (comme ces cloches de<br />

couvents). Sentiremo l’appel plaintif dei piccioni (P, 400). 85<br />

Il salto di qualità è dato dall’abbandono del mondano invito a<br />

vivere la propria vita, anche se après-coup; e dall’individuazione<br />

dell’“enorme dimensione” (TR, 760) del Tempo: Temps è la parola<br />

che campeggia la fine della Recherche spesso con l’iniziale<br />

maiuscola; sconfigge l’Habitude, l’altra parola che spesso veste<br />

l’iniziale maiuscola: la comprensione dell’enorme dimensione del<br />

tempo porta al superamento (e al compimento = œuvre) “l’immenso<br />

desiderio di conoscere la vita” provato un tempo sulle strade di<br />

Balbec” (AS, 165) e l’“immensa aspirazione” al piacere provata<br />

soprattutto per Albertine (OF, 1128).<br />

Giustamente, in Stesura e fortuna di “Jean Santeuil”, ormai anni<br />

fa, Mariolina Bongiovanni Bertini, parlava di “rinuncia alla vita”.<br />

Talvolta si incontrano, sotto la penna di <strong>Proust</strong>, anche se in forma<br />

abbreviata, presi al volo, passi come quello di Giovanni 12, 24: “In<br />

verità, in verità, io vi dico che se il granel del frumento, caduto in<br />

terra, non muore, rimano solo; ma, se muore, produce molto frutto”. 86<br />

Ma, ad essere sinceri, più che questa “trouvaille” – importanza<br />

non del “vivere” un “vissuto” mancato ma di affacciarsi all’extratemporale<br />

–, quel che ci ha colpiti è la musicalità del linguaggio di<br />

<strong>Proust</strong>. Di conserva abbiamo lavorato sull’aggettivazione della<br />

scena-madre di volta in volta evocata... Una sorta di “analisi<br />

grammaticale”; in fondo, simile a quella fatta da <strong>Proust</strong> sull’opera di<br />

84 Di échasses si parla già all’inzio della ricerca. <strong>Su</strong>l portico di Balcec il nostro eroe<br />

vede “ces grandes statues de saints qui montées sur [des] échasses forment une<br />

sorte d’avenue” (OF, 842). Vedi L’œuvre cathédrale, op. cit., pp. 415-416.<br />

85 Vedi, di Luc Fraisse, L’œuvre cathédrale, op. cit., pp. 181-188.<br />

86 In Jean Santeuil, Einaudi, Torino, 1976, p. XLIII.


79<br />

Flaubert. Vedi A proposito dello “stile” di Flaubert; pubblicato <strong>Proust</strong><br />

vivo, nel 1920. 87<br />

<strong>Marcel</strong> all’intervistatore: “Mais l’artiste s’est transformé, son<br />

horizon s’est étendu en même temps que sa sensibilité s’affinait et<br />

se développait jusqu’au point qu’il peut dire: ‘Il n’est pas un seul<br />

adjectif qui dans mon œuvre nouvelle ne soit senti’”. 88<br />

3) Il Carnet 1908<br />

Dicevo, m’è successo di mettermi a leggere quel che ho sugli<br />

scaffali e che, con l’andare degli anni, è diventato una piccola<br />

biblioteca proustiana.<br />

E mi sono accorto di aver già letto – e sottolineato – Ramon<br />

Fernandez. Allora (Bompiani, 1980) il titolo era <strong>Proust</strong> o la<br />

genealogia del romanzo moderno...<br />

Richiamo qui, dai Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, il n. 8, Le Carnet de<br />

1908. 89<br />

Penso che Kolb abbia ragione quando definisce questo Carnet<br />

“document capitale tel qu’il est, comme une mine que les chercheurs<br />

pourront exploiter encore avec profit. [...]. Le seul de ces carnets qui<br />

ait une importance considérable” (Introduction, 28, 32).<br />

Ad un certo punto di questa introduzione, Kolb cita una lettera<br />

di <strong>Proust</strong> (del 16 agosto 1909), a Mm e Straus, la stessa che gli ha<br />

87 In “Nouvelle Revue Fraçaise” e firmato <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. Vedi Scritti mondali e<br />

letterari, Einaudi, 1984, pp. 538-552. Tadiè, nel suo <strong>Proust</strong>, dà prima per<br />

pubblicato questo saggio nel 1922 (op. cit. p. 306) poi no (p. 313).<br />

88 Le temps, 12.11. 1913, Textes retrouvés, Gallimard, Paris, 1971, 287. In una<br />

lettera a Robert Dreyfus (10 settembre 1988) il diciassettenne <strong>Proust</strong> immagina un<br />

suo autoritratto e lo commenta: “Mia cara, conosci X, cioè M. P? Ti confesserò<br />

ch’io l’ho un po’ in uggia, con i suoi continui slanci, la sua aria affaccendata, le sue<br />

passioni, i suoi aggettivi (et ses adjectifs). [...]” (Correspondance, Plon, Paris, vol.<br />

I, 1970, p. 118; tr. it. Le lettere e i giorni, Mondadori, Milano, 1996, p. 25).<br />

89 Ètabli et présenté par Philip Kolb, Gallimard, Paris, 1976. Basta, forse, a dare<br />

l’idea della complessità della ricostruzione filologica del testo della Recherche...<br />

questa notazione di Henri Bonnet in Matinée chez la Princesse de Guermantes.<br />

Cahiesr du Temps retrouvé. Èdition critique établie par Henri Bonnet en<br />

collaboration avec Bernard Brun, Gallimard, 1982, p. 17: “On peut y ajouter [ai<br />

sette primi Cahiers contenenti il Contre Sainte-Beuve...] une partie du Carnet I<br />

(bizarrement publié sous le titre de Carnet 1908 alors qu’il contient des textes qui,<br />

de l’aveu même du trascripteur, Philip Kolb, ne sont pas de l’année de référence)”.


80<br />

regalato i cinque famosi carnet: “[...] je viens de commencer – et de<br />

finir – tout un long livre”. 90<br />

Mi sembra valido il suggerimento di Kolb: “Non sbagliamoci sul<br />

significato che questa frase comporta. Quel ch’egli vuole dire, è che<br />

ha finito di scrivere l’inizio e la fine (le commencement et la fin) del<br />

suo romanzo. Rimanda a più tardi lo scriverne la parte intermedia.<br />

Questo procedimento gli permette di assicurare subito una struttura<br />

solida al suo romanzo, ed è a ciò ch’egli tiene particolarmente”. 91<br />

In altre parole: ad un certo punto <strong>Proust</strong> ha una “illuminazione”;<br />

e concepisce l’insieme della sua opera. Di essa scrive l’inizio e la<br />

fine...<br />

A chi ha finito di leggere l’opera nel suo insieme, risulta<br />

evidente che le ore di insonnia che preludono al ricordo delle varie<br />

camere, quindi della camera di Combray, va collocata prima della<br />

matinée dai Guermantes e dopo il soggiorno a Tansonville da<br />

Gilberte diventata Mme de Saint-Loup. Quindi, è in sogno che il<br />

Narratore recupera – e poi racconta come da sveglio – il “drame du<br />

coucher”, la tazza di tè etc. Alla fine (conclusione) del “drame”, la<br />

lettura fino all’alba, da parte della madre, di François le Champi. La<br />

madeleine “si colloca, nella cronologia generale della storia, in un<br />

momento imprecisato tra le notti di insonnia delle prime pagine e la<br />

rivelazione finale” (Mariolina Bertini, Guida a <strong>Proust</strong>, op. cit., p. 533).<br />

L’ultimo capitolo del Tempo ritrovato boucle la boucle: il<br />

Narratore si avvia alla matinée in uno stato d’animo identico a quello<br />

che aveva immediatamente prima della madeleine; ed ecco Venezia.<br />

“L’insistenza del Narratore nell’accostare a questo nuovo miracolo il<br />

ricordo dell’esperienza della madeleine non ha nulla di casuale: i due<br />

episodi si corrispondono, sono esattamente simmetrici” (Bertini, op.<br />

cit., p. 356).<br />

E di nuovo François le Champi. Un altro boucler la boucle. È il<br />

libro che la mamma, a conclusione del “drame”, e fino all’alba, gli ha<br />

letto.<br />

Sintomatiche, infatti, nel dattiloscritto del 1909 (Cahier 57) due<br />

eliminazioni dal “Combray” in vista del “Tempo ritrovato”:<br />

1) la rilettura di François le Champi;<br />

2) dall’episodio della piccola madeleine, una riflessione sull’extratemporale<br />

riferita alle lastre ineguali del battistero di San Marco.<br />

90 Parte del seguito: “[...]. Car c’est trop inconvenant et trop long pour être donné<br />

en entier. Mais je voudrais bien finir, aboutir. Si tout est écrit, beaucoup de choses<br />

sont à remanier” (Corréspondance de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. Texte établi, présenté et<br />

annoté par Philip Kolb, Plon, Paris, 1982, vol. IX, p. 163).<br />

91 Introduction a Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> 8, op. cit., p. 21. Il corsivo è dell’autore.


81<br />

Vedi la “variante” – per variante si intende una correzione<br />

posteriore al manoscritto – alla pag. 43 del vol. 1 dell’edizione<br />

Tadié, pp. 1118-1122.<br />

Le Temps retrouvé finisce come è cominciato Du côté de chez<br />

Swann: “longtemps”...<br />

A proposito dell’ultima frase del Tempo ritrovato, e del Cahier<br />

XX, l’ultimo del manoscritto definitivo, vedi, di Tadié, sia <strong>Marcel</strong><br />

<strong>Proust</strong> (Gallimard, Paris, 1996, pp. 892-895) che TR, variante, 1317-<br />

1320; ma, soprattutto, Le temps sensible di Julia Kristeva, Gallimard,<br />

Paris, 1994, pp. 355-367. Utili riferimenti: a proposito del Contre<br />

Sainte-Beuve, lettera a Alfred Vallette dell’agosto 1909: “[...] quand<br />

on aura fini le livre, on verra (je le voudrais) que tout le roman n’est<br />

que la mise en œuvre des principes d’art émis dans cette dernière<br />

partie, sorte di préface si vous voulez mise à la fin” (CORR; IX, 156).<br />

A proposito della Recherche, la lettera a Jaques Boulanger, 1<br />

gennaio 1920: “[...] la dernière page de mon livre est écrite depuis<br />

plusieurs années (la dernière page de tout l’ouvrage, la dernière<br />

page du dernier volume)” (CORR, XIX, 35). 92<br />

4) Repetita...<br />

Abbiamo detto della lettera a madame Straus del 1909...<br />

A madame de Noailles, nel dicembre 1908: “Je voudrais,<br />

quoique malade écrire une étude sur Sainte-Beuve. La chose s’est<br />

bâtie dans mon esprit de deux façons différentes entre lesquelles je<br />

dois choisir. Or je suis sans volonté et sans clairvoyance. La<br />

première est l’essai classique, l’Essai de Taine en mille fois moins<br />

bien (sauf le contenu qui est je crois nouveau). La deuxième<br />

commence par un récit du matin, du réveil, Maman 93 vien me voir<br />

92 Forse L’œuvre cathédrale di Luc Fraisse (José Corti, Parigi, 1990) è il testo che<br />

meglio e più doviziosamente individua e segnala il procedimento di scrivere<br />

insieme inizio e fine e, quindi, di sparpagliare, disseminare. Vedi, in particolare, la<br />

seconda parte (pp. 402-538).<br />

93 Nel Contre Sainte Beuve: “Chiamo, nessuna risposta, nessun rumore (aucun<br />

bruit). Chiamo di nuovo, odo dei passi furtivi (des pas furtifs), avverto un’esitazione<br />

alla mia porta che cigola (qui grince)” (CSB, 217; 11); è evidente l’avvio delle<br />

sonorità che caratterizzeranno le varie edizioni del “drame du coucher”. Questa<br />

versione sarà ripresa in Albertine Scomparsa (AS, 566; 181) dove sarà ripreso<br />

anche il rapporto Sainte-Beuve con la sua propria madre: “Ma un bel mattino (mais<br />

un matin), sua madre, entrando nella sua camera, posa vicino a lui il giornale [...]”<br />

(CSB, 226; 24).


82<br />

près de mon lit, je lui dis que j’ai l’idée d’une étude sur Sainte-Beuve,<br />

je la lui soumets et la lui développe” (CORR, VIII, 320-321).<br />

L’abbiamo già visto: il “saggio” sarà collocato alla fine della<br />

“ricerca” (anche se avviato lungo tutte le vicissitudini della stessa) e il<br />

“risveglio” sarà collocato all’inizio...<br />

Roger Duchêne: “Peut-être même croyat-il, à se moment-là, de<br />

commencer que le Sainte-Beuve. Il voulait débuter par une mise en<br />

scène: ‘un récit du matin, du réveil’. La rédaction de ce récit,<br />

fortement autobiographique, a fait basculer le projet. L’introduction a<br />

engendré le roman” (L’impossible <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Laffont, Paris,<br />

1994, p. 606).<br />

Richiamiamo più ampiamente il testo della lettera a Alfred<br />

Vallette, agosto 1909: “[...]. Je termine un livre qui malgré son titre<br />

provisoire: Contre Sainte-Beuve. Souvenir d’une Matinée est un<br />

véritable roman et un roman extrêmement impudique en certaines<br />

parties. [...]. Le livre finit bien par une longue conversation sur Sainte-<br />

Beuve et sur l’esthétique [...]. Et quand on aura fini le livre, on verra<br />

(je le voudrais) que tout le roman n’est que la mise en œuvre des<br />

principes d’art émis dans cette dernière partie, sorte de préface si<br />

vous voulez mise à la fin” (CORR, IX, 155-156).<br />

<strong>Proust</strong> sa ormai che è un “romanziere”! 94<br />

Ha anche in mente la struttura di un “véritable” romanzo: la cui<br />

conclusione è anche la sua prefazione. Perché il “roman” l’ha avuta<br />

vinta sull’“essai”.<br />

Leggete l’intervista a É.J. Bois, scritta di pugno da <strong>Proust</strong> nel<br />

1913 per pubblicizzare Du côté de chez Swann che sta per uscire,<br />

per capire che tutto era già stato pensato (Textes retrouvés,<br />

Gallimard, Paris, 1971, pp. 284-291).<br />

A Jacques Rivière, 6 febbraio 1914: “Ce n’est pas qu’à la fin du<br />

livre [di Du côté de chez Swann], et une fois les leçons de la vie<br />

comprises, que ma pensée se dévoilera. Celle que j’exprime à la fin<br />

du premier volume, dans cette paranthèse sur le Bois de Boulogne<br />

que j’ai dressée là comme un simple paravent pour finir et clôturer un<br />

livre qui ne pouvant pas pour des raisons matéreilles excéder cinq<br />

94 In Jean Santeuil: “Puis-je appeler ce livre un roman? C’est moins peut-être et<br />

bien plus, l’essence même de ma vie, recueillie sans y rien mêler. [...]. Ce livre n’a<br />

jamais été fait, il a été récolté” (JS, 181). Ma a René Blum, 20 febbraio 1913: “Je<br />

souhaiterais que M. Grasset pubbliât, à mes frais, moi payant l’édition et la<br />

publicité, un important ougrave (disons roman, car c’est une espèce de roman) que<br />

j’ai terminé” (CORR, XII, 79). Sempre a René Blum, 7 novembre 1913: “[...] je n’ai<br />

pas pu entreprende la réduction d’une partie de mon roman en une nouvelle pour<br />

vous” (CORR, XII, 294).


83<br />

cents pages, est le contraire de ma conclusion. Elle est une étape<br />

[...]” (CORR, XIII, 99).<br />

Henri Bonnet: “[...] <strong>Proust</strong> a toujours dit que le dernier chapitre<br />

de son livre avait été écrit immédiatement après le premier, celui des<br />

Cahiers 9 et 10, de fin 1909”. Un premier état de Swann, un testo<br />

pubblicato incompiuto nel 1945, costituirebbe la preparazione della<br />

Recherche. Essa si trova nella sua forma più completa all’inizio del<br />

Cahier 26. Oltre al primato dell’impressione sensibile sul valore<br />

intellettuale, si incontra un ricordo involontario che riemergerà in Il<br />

tempo ritrovato fin dalla prima versione de L’adoration perpétuelle –<br />

la prima delle due sezioni in cui Il tempo ritrovato (Matinée chez la<br />

Princesse de Guermantes) doveva essere articolato, la seconda<br />

essendo Le bal des têtes –, quello dell’urto della forchetta contro un<br />

piatto... Bonnet: “Il touche donc au but qui est Le temps retrouvé et<br />

cela dès cette première version de son œuvre. [...]. Mais le récit du<br />

heurt de la fourchette contre l’assiette sera finalmente reporté à la fin<br />

de la Recherche, au Temps retrouvé. Il aura suffit à <strong>Proust</strong> d’avoir<br />

magistralement décrit dès le début de Swann le souvenir provoqué<br />

par la petite madeleine, et par la suite d’autres réminiscences et de<br />

nombreuses impressions, mais don il s’abstient de tirer le<br />

conséquences”. In una lettera a Valette – che rifiuterà la<br />

pubblicazione, nell’agosto 1909, della parte romanzesca del Sainte-<br />

Beuve –, <strong>Proust</strong> dice: “C’est un livre d’événements les uns sur les<br />

autres à des années d’intervalle [...]”: “L’expression est curieuse –<br />

annota Bonnet –. Elle prouve que dès le départ, ou presque, <strong>Proust</strong> a<br />

prévu de retrouver ses personnages beaucoup plus tard [...]”. Ora,<br />

c’è una stretta parentela tra “les brouillons beuviens et les brouillons<br />

romanesques”, ma anche una svolta: “<strong>Proust</strong> a dû inventer une<br />

forme nouvelle (le sujet insomniaque et la remémoration). Ce<br />

changement dans la technique d’expression ne pouvait pas ne pas<br />

avoir d’incidence sur le message estétique apparemment commun<br />

aux deux projets successifs” (Bernard Brun). Bonnet parla<br />

diffusamente della scoperta di Voker Roloff: la fine del testo dedicato<br />

a François le Champi nel Cahier 10 non è riprodotta in Du côté de<br />

chez Swann, ma figura ne Il tempo ritrovato pubblicato nel 1927;<br />

Bonnet conclude che <strong>Proust</strong> non vuole anticipare quel che deve<br />

risultare come compimento dell’opera! Nel testo curato da Bonnet<br />

troviamo i Cahiers 51 (1909), 58 e 57 (1910-1911), 57 (1913-1916).<br />

Vedi <strong>Proust</strong> di Jean-Yves Tadié (1983, Il Saggiatore, Milano, 1985<br />

pp. 15-43): Sainte-Beuve. Ricordi di una mattinata (Conversation<br />

avec Maman Ò Bal costumé) Ò Bal des têtes Ò L’Adoration<br />

perpétuelle.


84<br />

Ripetiamolo: <strong>Proust</strong> non è più un saggista o un novelliere: è un<br />

romanziere. Nel maggio del 1908, in una lettera a Luis d’Albufera,<br />

aveva fatto una lista di quel che stava scrivendo: “une étude sur la<br />

noblesse / un roman parisien / un essai sur Sainte-Beuve et Flaubert<br />

/ un essai sur les Femmes / un essai sur la Pédérastie (pas facile à<br />

publier) / une étude sur les vitraux / une étude sur les pierres<br />

tombales / une étude sur le roman” (CORR, VIII, 112-113).<br />

L’ha vinta la forma del romanzo. Di un romanzo particolare che<br />

ha incluso in se stesso tutto il resto: tutti gli études e tutti gli essais...<br />

95<br />

Di questo romanzo indica, nel Carnet de 1908, le “pages<br />

écrites” (56).<br />

5) Quando nasce Agostinelli? 96<br />

Dal Cahier de 8 sappiamo che <strong>Proust</strong> ha già pensato ad<br />

Albertine: “Dans la 2 e partie du roman la juene fille sera ruinée, je<br />

l’entretiendrai sans chercher à la posséder par impuissance du<br />

bonheur. [...]. Dans la Seconde partie jeune fille ruinée, entretenue<br />

sans jouir d’elle (comme M lle Georges par América, Luigia par<br />

Sallenauve) par impuissance d’être aimé. Chartres” (C8, 49-50).<br />

Sappiamo che Albertine affiora come nuovo personaggio nel<br />

Cahier 71 (detto Cahier Dux), risalente al 1913. E prende corpo nel<br />

Cahier 54, risalente sempre al 1914. E questo autorizza a cogliere<br />

l’identità Albertine-Agostinelli: Agostinelli, infatti, fugge e muore nel<br />

1914.<br />

Ma la questione che dobbiamo risolvere è la seguente: la Jeune<br />

fille di cui nel Carnet de 1908, chi è? Se non Agostinelli (e Albertine)?<br />

E questo in virtù di quella facoltà divinatoria di cui <strong>Proust</strong> parla,<br />

riferendola alla sua esperienza, in una lettera a Reynaldo Hahn (fine<br />

di ottobre 1914) centrata sulla perdita recente dell’amico/amante;<br />

dopo osservazioni come “Ce n’est pas parce que les autres sont<br />

morts que le chagrin diminue, mais parce qu’on meurt soi-même”: “Si<br />

95 Nel giugno del 1911, a “un jeune homme”, possibile suo segretario, scriverà: “Je<br />

termine un roman ou livre d’essais qui est une œuvre extrêmement considérable,<br />

au moins par sa folle longueur” (COO, X, 308).<br />

96 Henri Bonnet, in La progrès spirituel dans “La recherche” de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong><br />

(Nizet, Parigi, 1979) – e anche in Les amours et la sexualité de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong><br />

(Nizet, Parigi, 1985) – sostiene ancora che <strong>Proust</strong> non era un omosessuale. Da<br />

tutt’altra parte William Carter nel suo <strong>Proust</strong> in love (2006, tr. it. Castelvecchi,<br />

Roma, 2007). Utile anche, sempre di Bonnet, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. De 1907 À 1914.<br />

(Avec une bibliographie générale), Nizet, Paris, 1971.


85<br />

jamais je veux formuler de telles choses ce sera sous le<br />

pseudonyme de Swann. D’ailleurs je n’ai plus à les formuler. Il y a<br />

longtemps que la vie ne m’offre plus que des événements que j’ai<br />

déja décrits” (CORR, XIV, 358-359). 97<br />

Vedi la lettera a Pierre de Polignac del febbraio 1920: “Au reste<br />

cette tristesse était par avance consolée par l’art car avec cette<br />

prévision qui me rend la vie si insipide (parce qu’elle arrive en retard<br />

sur mes livres) j’avais écrit (dans un volume à paraître) votre mariage<br />

(san votre nom bien entendu ni rien de vous il y a un an)” (CORR,<br />

XIX, 105-106).<br />

Proprio in Albertine scomparsa: “E tuttavia queste cose<br />

dolorose [...] quante volte ce le siamo dette, senza saperlo, senza<br />

volerlo, con parole da noi stessi credute menzognere ma alle quali i<br />

fatti hanno dato a posteriori (après-coup) il loro valore profetico (leur<br />

valeur prophétique)!” (AS, 507; 110).<br />

Secondo Pierre-Edomond Robert – Notice su La prisonnier –<br />

(1) i Cahiers 13, 47, 48, 50 e 74 dimostrano che il personaggio di<br />

Albertine compare nell’opera di <strong>Proust</strong> solo nella primavera del<br />

1913; e che la riorganizzazione di À la recherche du temps<br />

perdu che seguì fu parallela agli avvenimenti vissuti con<br />

Agostinelli: la sua partenza nel dicembre 1913, la sua morte nel<br />

maggio 1914;<br />

(2) “à l’invers – mais ce n’est pas une contradiction, la vie venant<br />

seulement appuyer les intention littéraires –, 98 <strong>Proust</strong> avait<br />

annoncé l’illustration des thèmes liés à la scène de<br />

Montjouvain, par une remarque d’une impression ressentie<br />

97 “La réalité de l’expérience utilisée dans la Recherche est hors de doute. Mais<br />

elle est ici racontée avant d’etre vecue. L’expérience précedente, sa mise par écrit<br />

et sa mise en mémoire engendrent un récit prémonitoire qui oriente l’expérience à<br />

venir. À trop se souvenir et à trop raconter, <strong>Proust</strong> s’est lui-même prédéterminé.<br />

Comment purrait-il vivre comme nuovelle une installation qu’il sait d’avance et se<br />

récite par cœur? Ainsi fait-il dans tous les domains. À vingt-huit ans, il ne peut plus<br />

rien lui arriver... Il n’est plus disponibile pour l’événement (ou le sentiment). Il sait<br />

comment cela s’est passé, doit se passer, va se passer. Il ne peut plus le<br />

découvrir. Il ne peut que l’approfondir. Et quelquefois, rarement, se laisser<br />

surprendre par un impossibile imprévu” (Duchêne, op. cit., pp. 352-353).<br />

98 Duchêne, partito dalla lettera a Reynaldo del 20 marzo 1896 – “J’ai frappé et<br />

même – une seule fois – sonné. Je n’ai entendu aucun bruit, vu aucune lumière, on<br />

ne m’a pas ouvert et je rentre bien triste. Dormez-vous seulement?” (CORR, II, 52)<br />

– in cui individua un antenato della scena quasi identica che vede protagonista<br />

Swann verso Odette, conclude: “Comme si les idées de l’auteur sur la jalousie<br />

avaient étés par lui vérifiées dans la vie après-coup, sorte de douloureuse<br />

confirmation par l’événement d’un système déjà arrêté dans son esprit”<br />

(L’impossible <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Laffont, 1994, 308).


86<br />

dans Du côté de chez Swann: ‘C’est peut-être d’une impresison<br />

ressentie aussi auprès de Montjouvain, quelques années plus<br />

tard, impression restée obscure alors, qu’est sortie, bien après,<br />

l’idée que je me suis faite du sadisme’. [...]. Avant d’observer<br />

Mlle Vinteuil et son amie, le narrateur comment à l’intention du<br />

lecteur: ‘On verrà plus tard que, pour de tout autres raisons, le<br />

souvenir de cette impression devait jouer un rôle important<br />

dans ma vie’. Alors que la phrase précédente était une addition<br />

à la dactylographie de 1912, la seconde a été ajoutée à la<br />

dernière minute puisqu’on ne la trouve que dans les épreuves<br />

Grasset qui préparent la pubblication de novembre 1913. Cette<br />

seconde phrase annonce le coup de théâtre de novembre 1913<br />

qui conclut Sodome et Gomorrhe, le départ brusqué de Balbec,<br />

lorsque Albertine apprend au narrateur qu’elle connaît<br />

intimement Mlle Vinteuil et son amie [...]” (Notice, P, 1631-1651<br />

+ SW, 159; 193-194).<br />

Comunque, interessante mi sembra la genealogia di Albertine<br />

che traccia Painter facendola risalire addirittura al suicidio dell’eroina<br />

lesbica di Avant la nuit [1893]. E più interessante la conclusione: “Par<br />

quasi che <strong>Proust</strong> abbia imposto al suo amore per Agostinelli un corso<br />

già prestabilito ed esistente non soltanto nell’esperienza amorosa<br />

complessiva della sua vita ma anche nell’atmosfera del romanzo.<br />

Agostinelli fu condotto lungo un cammino che menava alla tragica<br />

fine dall’ineluttabile meccanismo di un capolavoro; fu ucciso dalla<br />

Recherche [...]. La Recherche è un’opera consacrata da due sacrifici<br />

umani, dalla morte di Mme <strong>Proust</strong> e dalla morte di Agostinelli, e di<br />

tutte e due <strong>Proust</strong>, nella sua mente e nella realtà, fu parzialmente<br />

responsabile” (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 1959, tr. it. 1980, pp. 518-519).<br />

6) Après-coup/non après-coup; categoriale/non categorale<br />

Torneremo spesso su questo punto; perché è vero che la<br />

Recherche narra di una ricerca; quindi: di una perdita e di un<br />

ritrovamento (del Tempo). Ma chi scrive la Recherche, questo<br />

Tempo, oltre ad averlo perso, l’ha anche ritrovato. E scrive la<br />

Recherche dal punto di vista di chi l’ha ritrovato. Da qui la perfezione<br />

della scrittura (escluse le pagine che <strong>Proust</strong> avrebbe dovuto o limare<br />

o togliere).<br />

Da questo punto di vista risulta più chiaro che, essendo l’aprèscoup<br />

collocato... sin dall’inizio... alla fine dell’opera (che è nata tutta<br />

intera dalla testa di Giove), esso non implica un invito a vivere


87<br />

pienamente la propria vita ma l’indicazione sconcertante che<br />

abbiamo sempre accesso all’eterno, all’extra-temporel.<br />

L’illuminazione che abbiamo detto, segna una svolta nel lavoro<br />

di <strong>Proust</strong>. Fino a quel momento egli ha cercato di scrivere un<br />

romanzo su?, una critica di?, Sainte-Beuve.<br />

Lo scenario è quello di una conversazione con la madre nel<br />

corso di una matinée...<br />

Nel corso della quale (conversazione e matinée) vuole<br />

dimostrare che il “metodo” di Sainte-Beuve è sbagliato (esso<br />

consistendo nell’informarsi della vita degli autori, intervistando coloro<br />

che li hanno conosciuti, leggendo tutti i documenti disponibili)... I<br />

giudizi che incontriamo nel Carnet sono tranchant: “Cette médiocrité<br />

du moi l’empêche de se replacer dans l’état où était l’écrivain donc<br />

de le comprendre, – elle empêche aussi d’écrire” (C8, 77); “Folie<br />

moins délétère que bouchage des artères di cerveau” (C8, 68).<br />

Meglio pazzi come Gérard de Nerval che imbecilli come Sainte-<br />

Beuve!<br />

Infatti, come spiegare il fatto che Sainte-Beuve non abbia capito<br />

la genialità dei poeti e romanzieri più originali del suo tempo, li abbia<br />

considerati al di sotto di scrittori che erano loro inferiori? “Pense, se<br />

dit-il, que tous ces gens ont été plus grands que lui” (C8, 77)...<br />

<strong>Proust</strong> è un “romanziere”; e scriverà un romanzo; un romanzo<br />

che includerà, trasfigurato, lo studio critico su Sainte-Beuve. Nel<br />

romanzo, Madame de Villeparisis finito di dire il poco conto in cui<br />

tiene uomini di genio come Balzac, Victor Ugo, Vigny, detto della<br />

“vulgarité affreuse” de M. Beyle, cioè di Stendhal, conclude: “Je crois<br />

que je peux en parler, car ils venaient chez mon père, et, comme<br />

disait M. Sainte-Beuve qui avait bien de l’esprit, il faut croire sur eux<br />

ceux qui les ont vus de près et ont pu juger plus exactement de ce<br />

qu’il valaient” (AO, 711)...<br />

Come vedete, qui, nel romanzo, Sainte-Beuve è diventato<br />

Madame de Villeparisis...<br />

<strong>Proust</strong>, crea un’opera, non di critica letteraria o di filosofia, ma<br />

d’immaginazione. E, nel romanzo, trae le conseguenze del lavoro<br />

fatto su Sainte-Beuve: “Cette leçon pouvait se réduire en somme à<br />

ceci: qu’il nous arrive souvent dans la vie de nous tromper non<br />

seulment sur la valeur d’un écrivain ou d’un artiste, mais aussi sur le<br />

caractère des hommes que nous croyons connaître pour les avoir<br />

fréquentés” (Kolb, 25).<br />

Sì, proprio così. Non più la confutazione della tesi di un critico<br />

letterario che giudica le opere degli scrittori... ma il lavoro di<br />

comprensione (di uno psicologo?, di un sociologo?) che giudica le


88<br />

opere degli uomini (e le proprie). E, per farlo, inventa un metodo che<br />

niente ha a che fare con quello di Sainte-Beuve. Perché parte da una<br />

concezione opposta: più frequentiamo una persona, più conversiamo<br />

con essa, meno la capiamo (per questo, la persona che capiamo di<br />

meno siamo noi stessi). Per “comprenderla” abbiamo bisogno di<br />

strumenti raffinati... quelli di cui <strong>Proust</strong> ci fornisce.<br />

Qui sotto alcuni passaggi del Cahier 8: “Nous croyons le passé<br />

médiocre parce que nous le pensons mais le passé ce n’est pas<br />

cela, c’est telle inégalité des dalles du baptistère di S t Marc<br />

(photographie du Baptistère) de S t Marc à laquelle nous n’avions<br />

plus pensé, nous rendant le soleil aveuglant sur le canal. Peut-être<br />

dois-je bénir ma mauvaise santé, qui m’a appris, par le lest de la<br />

fatigue, l’immobilité, le silence, la possibilité de travailler. 99 Les<br />

avertissements de mort. Bientôt tu ne pourras plus dire tout cela. La<br />

paresse ou le doute ou l’impuissance se réfugiant dans l’incertitude<br />

sur la forme d’art. Faut-il en faire un roman, une étude philosophique,<br />

suis-je romancier? 100 (Ce qui me console, Gérarnd de Nerval Voir<br />

page XXX de ce cahier). Tiens ferme ta couronne. Je sens que j’ai<br />

dans l’esprit comme le lac de Genève invisible la nuit. 101 J’ai quattre<br />

visages de jeunes filles, deux clochers, un filière noble, en l’hortensia<br />

normand un ‘allons plus loin’, dont je ne sais ce que je farai – devoirs<br />

parfois des fétisches dont je ne sais plus le sens. Je fixe devant moi<br />

quatre têtes de jeunes filles et ne vois plus la réalité qui [ ] oublié:<br />

Ma je sens qu’un rien peut briser ce cerveau” (C8, 60-61; vedi TR,<br />

920).<br />

“Approfondir des idées (Nietche, philosophie) est moins grand<br />

qu’approfondir des réminiscences parce que comme l’intelligence ne<br />

crée pas et ne fait que débrouiller non seulement son but est moins<br />

grand mais sa tâche est moins grande. Aucun homme n’a jamais eu<br />

d’influence sur moi (que Darlu et je l’ai reconnue mauvaise). Aucune<br />

action extérieure à soi n’a d’importance: Nietche et la guerre, Nietche<br />

et Wagner, Nietche et ses scrupules. La réalité est en soi. (Wagner<br />

disant: opéra et mariage. Emerson: il faut vivre une idée absurde).<br />

Pour ajoutes dans la dernière partie à ma conception de l’art. Ce qui<br />

se présente ainsi obscurément au fond de la conscience, avant de le<br />

réaliser en œuvre, avant de le faire sortir au dehors il faut lui faire<br />

traverser une région intermédiaire entre notre moi obscur, et<br />

99 “Vous ai-je parlé d’une pensée de Saint-Jean: Travaillez pendant que vous avez<br />

encore la lumière. Comme je ne l’ai plus je me mets au travail” (lettera a Georges<br />

Lauris, dicembre 1908 (CORR, VIII, 316).<br />

100 L’incipit di Jean Santeuil: “Puis-je appeler ce livre un roman?”.<br />

101 Incontreremo il “lac” come simbolo dell’inconscio.


89<br />

l’extérieur, notre intelligence, mais comment l’amener jusque-là,<br />

comment le saisir. On peut rester des heures à tâcher de se répéter<br />

l’impression première, le signe insaisissable qui était sur elle et qui<br />

disait: approfondis-moi, sans s’en approcher san la faire venire à soi.<br />

Et pourtant c’est tout l’art, c’est le seul art. Seule mérite d’être<br />

exprimé ce qui est apparu dans les profondeurs et habituellement<br />

sauf dans l’illumination d’un éclair, ou par des temps<br />

exceptionnellement clairs, animants, ces profondeurs sont obscures.<br />

Cette profondeur, cette inaccessibilité pour nous-même est la seule<br />

marque de la valeur – ainsi peut’être qu’une certaine joie. Peu<br />

importe de quoi il s’agit. Un clocher s’il est insaisissable pendant des<br />

jours a plus de valeur qu’une théorie complète du monde” (C8, 101-<br />

103).<br />

“Je n’ai pas trouvé le beau dans la solitude que dans la societé,<br />

je l’ai trouvé quand par hasard, à une impression si insignificante<br />

qu’elle fût, le bruit répété de la trompe de mon automobile voulant en<br />

dépasser un autre, venait s’ajouter spontanément une impression<br />

antérieure du même gènre qui lui donnait une sorte de consistance,<br />

d’épaisseur, et qui me montrait que la joie la plus grande que puisse<br />

avoir l’âme c’est de contenir quelque chose de générale et qui la<br />

remplisse tout entière. Certes ces moments-là sont rares. Mai ils<br />

dominent toute la vie. Ajouter pour dire qu’il faut qu’il y ait presque<br />

hallucination car pour bien revoir, il faut croire et pas seulement<br />

imaginer [...]. Ne pas oublier [...]. Ne pas oubiler [...]. Ne pas oublier<br />

[...]” (C8, 124-125).<br />

7) Bois de Boulogne e bal de têtes<br />

Du côté de chez Swann, sostiene Painter, “termina con un<br />

brano, unico nel romanzo, in cui per un attimo il Narratore emerge<br />

dall’abisso del passato per osservare il presente nel quale sta<br />

scrivendo. [...]. [<strong>Proust</strong>] aveva deciso di terminare l’episodio di<br />

Gilberte con un confronto tra il Bois del 1988, quando ci andava ad<br />

aspettare Léonie Clomesnil, e il Bois del 1912”. 102<br />

I termini del problema sono già posti: “[...] i diversi elementi di<br />

un ricordo sono solidali tra loro e la nostra memoria li mantiene in<br />

equilibrio (équilibrées) all’interno d’un sistema cui non possiamo<br />

sottrarre o rifiutare nella [...]” (SW, 426; 514)...<br />

Quindi quell’equilibrio va rotto.<br />

102 <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 1959, tr. it. Feltrinelli, 1980, pp. 498-499.


90<br />

A questa rottura provvede la memoria involontaria.<br />

Il Bois è “al primo risveglio di questo maggio delle foglie” (SW,<br />

509). In un momento, quindi, di svolta, di perdita dell’equilibrio; lo<br />

dice l’ossimoro: il maggio che annuncia la primavera, qui annuncia<br />

l’autunno...<br />

Il Bois ha, infatti, l’“aspetto provvisorio e arificioso” di un “vivaio”<br />

in cui sono trapiantate “due o tre specie preziose”; è, questo risveglio<br />

di maggio, la stagione in cui il Bois de Boulogne rivela “il maggior<br />

numero d’essenze diverse (essences diverses) e giustappone il<br />

maggior numero di parti distinte in un composito insieme” (SW, 422;<br />

510). Il Bois non è un “semplice bosco”, ma risponde “a una<br />

destinazione estranea alla vita (étrangère à la vie) dei suoi alberi”: “la<br />

mia esaltazione non era provocata solo dall’ammirazione per<br />

l’autunno, ma da un desiderio. Insomma fonte d’una gioia che<br />

l’anima assapora, dapprima, senza afferrarne la causa, senza capire<br />

che niente di esterno la motiva (sans comprendre que rien au dehors<br />

ne la motive)” (SW, 423; 511).<br />

Il narratore intuisce che deve discendere in se stesso: “Ma la<br />

bellezza [...] non era fissata fuori di me (n’était pas fixée en dehors<br />

de moi), nei ricordi di un’epoca storica, in qualche opera d’arte, in un<br />

tempietto all’Amore. [...]. L’idea di perfezione che custodivo in me<br />

(que je portais en moi), l’avevo prestata (je l’avais prêtée) all’alta<br />

sagoma d’una victoria [...]” (SW, 424; 512).<br />

L’esperienza che il Narratore fa rivisitando il Bois, deve farla<br />

anche rivisitando coloro che lo popolano: “E io non avevo più fede da<br />

infondere in tutte quelle nuove componenti dello spettacolo per dare<br />

loro la consistenza, l’unità, la vita (l’existence): mi passavano<br />

davanti in ordine sparso, a caso (au hazard), senza verità (sans<br />

vérité), prive in se stesse d’una qualsiasi bellezza che i miei occhi<br />

potessero, come allora, sforzarsi di comporre” (SW, 425; 513).<br />

Il Narratore capisce che rischia il feticismo (l’idolatria<br />

rimproverata a Ruskin): “Ma quando una fede scompare, le<br />

sopravvive, e si fa via via più vivace per mascherare il vuoto del<br />

nostro perduto potere di dare realtà alle cose nuove, un<br />

attaccamento feticistino alle cose vecchie ch’esso aveva animate,<br />

come se in quelle e non in noi stessi (comme si c’était en elles et non<br />

en nous que) risiedesse il divino e la nostra attuale incredulità<br />

avesse una causa contingente, la morte degli Dei. Che orrore ! [...].<br />

Che orrore!” (SW, 425; 513).<br />

L’orrore è già quello che il Narratore proverà nel corso del bal<br />

de têtes. Egli vi incontrerà alcune donne “invecchiate, nient’altro più


91<br />

che l’ombra terribile di ciò che erano state, vagare alla disperata<br />

ricerca di chissà che cosa nei boschetti virgiliani” (SW, 515)...<br />

Il Narratore capisce che non è ancora giunto alla meta: “Ma<br />

adesso, anche se non mi conducevano a uno sbocco, quegli attimi<br />

mi sembravano di per sé abbastanza incantevoli. Volevo ritrovarli<br />

identici (tels que) a come li ricordavo [...]” (SW, 426; 514). Ma quel<br />

che il Narratore deve scoprire e accettare è che tutto è cambiato: “La<br />

realtà che avevo conosciuto non esisteva più” (SW, 515).<br />

8) Platonismo senza super-uranio<br />

Ricordate la lettera a André Chaumeix del 12 dicembre 1919?<br />

Che ha come argomento un’obiezione di M. de Pierrefeu? “Pour en<br />

finir avec tout, si vous avez quelquefois l’occasion de causer avec M.<br />

de Pierrefeu, vous pourrez lui dire que le dernier chapitre de mon<br />

œuvre ayant été écrit avant le premier, et tout l’ouvrage étant fait et<br />

terminé, il n’a pas besoin d’attendere ma mort comme il dit pour finir<br />

À la Recherche du Temps Perdu (titre detestable qui je le reconnais<br />

trompe sur la composition serrée de l’œuvre). Cette composition est<br />

si inflexible que M. Francis Jammes m’ayant adjuré d’ôter de Du côté<br />

de chez Swann un épisode qui le choquait, j’ai été sur le poit de lui<br />

donner satisfaction, cet épisode étant en effet inutile dans le premier<br />

volume. Mais je me suis rendu compte que si je l’enlevais, le<br />

trosième et le quatrième volumes étaient détruits puisque c’est le<br />

ressouvenir de cet épisode qui en excitant la jalousie du narrateur<br />

(celui qui dit je et qui n’est pas toujours moi) amenait ce qu’on<br />

appelait au théâtre la péripétie” (CORR, XVIII, 524).<br />

A Jean de Pierrefeu, il 4 gennaio 1920, <strong>Proust</strong> assevererà: “Le<br />

dernier mot en était écrit en 1914. Donc tout est fait” (CORR, XIX,<br />

49)....<br />

<strong>Su</strong>r <strong>Proust</strong>, di Jean-François Revel, 103 è uno degli scritti più<br />

stimolanti.<br />

Penso, ad esempio, all’idea che esista in <strong>Proust</strong> un platonismo<br />

sui generis; un platonismo, cioè, che non fa capo ad un super-uranio<br />

(a un “bene” assoluto). 104<br />

All’idea che “la thèse de <strong>Proust</strong> sur la création littéraire est le<br />

retournement exact de celle de Sainte-Beuve, et elle est du même<br />

103 1960, Grasset, Parigi, 1987.<br />

104 Ibidem, pp. 221 sgg.


92<br />

niveau. À la thèse que l’êuvre procède du moi des dîners en ville,<br />

<strong>Proust</strong> réplique qu’elle procède d’un moi qui ne mange jamais”. 105<br />

Non a caso Revel sostiene che il genio di <strong>Proust</strong> consiste<br />

nell’essere riuscito a descrivere la “verità”... Non solo quella interiore<br />

ma anche quella interiore. Dimostra che le due sono tra loro<br />

interconnesse...<br />

Interessante l’insistenza sull’importanza del “vissuto” e sul fatto<br />

che questo “vissuto” è ossessivo; quasi che quel che ossessiona non<br />

sia un’esperienza accaduta solo nella realtà della vita di <strong>Proust</strong> ma<br />

sia accaduta anche – lo diciamo proustianamente – nella sua pre-vita<br />

(nella sua preistoria): “Mais il fallait un labeur aussi minutieux que<br />

celui de George D. Painter pour ne pas suggérer seulement, mais<br />

démontrer cette superposition, si littéteral, si surprenant, entre le<br />

vécu et le récit” + “Bien qu’il n’y ait dans la Recherce, selon <strong>Proust</strong><br />

lui-même, aucune incorporation littérale et intégrale d’un personnage<br />

ou d’un événement réels, il me semble également indiscutable que<br />

rien, absolument rien, n’y est créé de toutes pièces, et que l’auteur<br />

n’y parle jamais que de ce qu’il a vécu ou vu” 106 + “[...] seul le temps<br />

– même pour lui – peut opérer ce décollement, et, dès lors, ce n’est<br />

pas une ‘dimension métaphysique’ qui s’est ‘consitutée’, mais une<br />

autre chose vécue qui survient” 107 + <strong>Proust</strong> = “l’obsédé qui reproduit<br />

quelques scènes impossibles à modifier”. 108<br />

Ma l’essenziale è la diffidenza di Revel verso l’idea che <strong>Proust</strong><br />

difenda a spada tratta la sua opera come una “costruzione”<br />

(“dogmatica” etc.): “D’un côté persiste tout en s’atténuant<br />

l’improvisation préparée de l’auteur qui voulait coucher sur le papier<br />

quelque souvenirs obsédants, mais qui, sachant obscurément que<br />

ces souvenirs resurgiront toujours [...] délaisse à tout propos cette<br />

ligne principale, prend la liberté de se jeter dans les digressons les<br />

plus longues, et c’est ce retour perpétuel, quoique de plus en plus<br />

espacé, qui donne à la Recherche ses melodie et ses contrepoints,<br />

et qui peut faire parler de composition ‘savante’ (ainsi Du côté de<br />

chez Swann s’ouvrant sur un coucher et finissant sur un lever). De<br />

l’autre côté [...] une autre improvisation se déploie, au service d’une<br />

pensée de constatation, écrit au présent, c’est l’improvisation des<br />

digressions qui enveloppent et noient les images primitives, finissant<br />

par nous les faire perdre de vue, à nous et à l’auteur” + “[...] si<br />

copieuse soit la rhétorique qu’a pu faire couler la fameuse et mytique<br />

105 Ibidem, pp. 228 segg.<br />

106 Ibidem, p. 38.<br />

107 Ibidem, pp. 66-67.<br />

108 Ibidem, p. 35.


93<br />

‘composition en rosace’, façon pudique de dire qu’il s’agit d’un<br />

ensemble de pièces aux coutures hasardeuses, de plusieurs coulées<br />

d’inspiraton librement suivies”. 109<br />

Ne concludiamo che, forse, l’essenziale dell’opera di <strong>Proust</strong> è il<br />

suo essere insieme “compiuta” e “incompiuta”.<br />

Qualcosa come un platonismo senza iperuranio...<br />

Nel qual caso l’ossessione opera già negli scritti della<br />

giovinezza... Prosegue attraverso Jean Santeuil, attraverso<br />

l’esperienza del tête-à-tête con Ruskin, attraverso il Contre Sainte-<br />

Beuve e attraverso la Recherche. La “ricerca” abbraccia tutto questo<br />

percorso, e procede oltre...<br />

10) Infine: qual è la Recherche?<br />

Eugène Nicole in La Recherche et les nom, 110 dimostra nei<br />

brouillon “la résurgence de Noms beaucoup plus anciens” che, al di<br />

là del Jean Santeuil, risalgono a Plaisirs et les Jours...<br />

Come a dire: la ricerca comincia fin dai primi scarabocchi (se<br />

scarabocchi possono essere definiti Plaisirs et les Jours).<br />

Serge Doubrovsky in Corps du texte / text du corps: “Le<br />

commencement de la Recherche est recherche du commencement,<br />

il ne saurait faire partie de l’histoire qu’il raconte, puisqu’il est,<br />

comme tel, anhistorique” 111 ...<br />

Come a dire: l’inizio della ricerca si perde nella notte dei tempi<br />

proprio perché essa è ricerca di quel che da sempre è là (Da-sein)...<br />

“Ce n’est pas donc pas seulement tout l’espace-temps proustien,<br />

Combray, Balbec, Paris, Doncières, Venise, ‘les lieux, les<br />

personnages que j’y avais connues’ (I, 9) que produit littéralement<br />

cet introït insomniaque, mais l’acte de la production même, allégorisé<br />

par l’épisode de la madeleine: remémoration de la remémoration,<br />

souvenir de la naissance du souvenir, l’ouverture insomniaque se<br />

donne ainsi comme un terminus a quo ultime, un point de départ<br />

ansolu du récit, don l’évolution ultérieure sera une immense<br />

involution – une sorte de hors-texte, qui est en même temps une<br />

matrice du texte. Cette position paradoxale, voire intenable, rejette<br />

109 Ibidem, p. 36.<br />

110 In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 14, Études proustiennes, VI, Gallimard, Parigi, 1987,<br />

pp. 76-77.<br />

111 Ibidem, pp. 56-57.


94<br />

l’ouverture en une sorte de no man’s land, une atopie ou utopie de<br />

l’écriture, pour reprendre des termes chers à Barthes”. 112<br />

Bernard Brun, in Le roman de <strong>Proust</strong>: établir un texte, publier<br />

des manuscrits, di fronte alla scelta se pubblicare (come verrà fatto<br />

dalla nuova edizione della Pléiade) o no i brouillon: “On remarque<br />

dès les cahiers de brouillon une horreur du blanc qui va s’aggravant<br />

dans les manuscrits et que les éditeurs postumes, à partire de La<br />

Prisonnière, ont été obligés de respecter peu ou prou. L’édition<br />

cohérente d’un texte uniformément établi selon des principes<br />

systematiques serait une erreur historique. Le discontinu, l’inachevé<br />

sont des données fondamentales du roman qui jusqu’à présent ont<br />

été inutilement occultées au non de la perfection du grand œuvre.<br />

[...]. Jean Santeuil, Contre Sainte-Beuve, Matinée chez la princesse<br />

de Guermantes ne sont pas des ‘inédits’ enfin publiés, parties trop<br />

longtemps ignorées de l’œuvre complète de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, mais des<br />

brouillons interrompus destinées au roman ou plus exactement, dans<br />

le cas des deux premiers et pour éviter toute vision finaliste,<br />

‘téléologique’, des dossiers de travail qui ont été réutilisés, des<br />

années après, pour rédiger ce roman”... 113<br />

Questa dichiarazione (preliminare) non dice tutto il pensiero di<br />

Brun, ma chiarisce l’incompiutezza dell’opera... Meglio, il suo essere<br />

un cantiere sempre – da sempre e per sempre – aperto.<br />

Più avanti, dopo aver dimostrato la dialettica insolubile che lega<br />

i frammento all’insieme, il movimento della scrittura nei brouillon alla<br />

genesi dell’opera concepita nella sua globalità – e che trova la sua<br />

illustrazione più straordinaria nella struttura delle “Matinées”: “Elle<br />

informe la Recherche entière, à partir de la première phrase”: “Le<br />

vieux couple un peu triste ‘genèse et structure’ déraille très vite en ce<br />

sens que, vus de près, les brouillons développent une écriture folle<br />

plus qu’ils ne la contiennent. L’effort de structuration, dans les limites<br />

d’un projet toujours provisoire parce que toujours remis en question,<br />

éclate sous la plume, vers le discontinu, vers le proliférant. Il n’est<br />

récupéré qu’in extremis, pour les besoins de la publication, par une<br />

série de condensations, de renoncement”...<br />

Molto interessante per noi che abbiamo immaginato una<br />

Recherche abbreviata sulle orme di Flaubert, Sodome 1913 di<br />

Antoine Compagnon... È o no possibile pubblicare, insieme, il <strong>Proust</strong><br />

edito e quello inedito? Pubblicare i brouillon non significa<br />

disconoscere la differenza assoluta tra le esquisse e il testo<br />

compiuto? Ad esempio, consideriamo Flaubert: l’unità del suo lavoro<br />

112 Ibidem, p. 54; il corsivo è dell’autore.<br />

113 Ibidem, p. 124


95<br />

è la pagina; la riprende dodici o tredici volte, la riscrive da cima a<br />

fondo, modificandola sempre, fino ad arrivare ad un punto di<br />

equilibrio in cui un’altra scrittura sarebbe una copia... Ma, la scrittura<br />

di Flaubert è “fermée, convergente”, quella di <strong>Proust</strong> “ouverte,<br />

expansive”: “ce pourquoi <strong>Proust</strong> a tant réflechi à la question de<br />

l’unité, de l’achèvement du livre, un achèvement qui ne fût pas une<br />

fermeture ounì un enfermement, à l’image de cette cathédrale, de ce<br />

bœuf mode ou de cette robe, qui ne rejettent jamais une greffe mais<br />

ne perdent pas pour autant leur essence. [...]. Vient la guerre: <strong>Proust</strong><br />

continue d’augmenter son livre, gonfle sans relâche, il ajoute jusqu’à<br />

la mort. La Recherche que nous connaissons n’est pas plus achevée<br />

que ce que nous connaissons pas, et à ce compte-là, il faudrait aussi<br />

nous passer de tout ce qui a paru après la mort de <strong>Proust</strong>, de La<br />

Prisonnière au Temps perdu. [...]. Des larges pans de la Recherche<br />

sont des brouilloins, à l’état d’écriture brouillonne, et la perpective<br />

finaliste est une erreur, qui juge le texte final toujours meilleur que les<br />

versions antérieures. À l’achèvement de la page flaubertienne, il faut<br />

opposer la phrase proustienne, unité de la lecture et de l’écriture,<br />

sans imaginer de médiation entre la phrase et le livre ou l’œuvre, au<br />

nom de laquelle trancher. [...]. Et tout appartient à ce livre, la<br />

séparation de l’avant-texte et du texte est contingente, elle n’est pas<br />

nécessaire. Tous les brouillons appartient au livre”. 114<br />

114 Ibidem, pp. 153-154. Gli autori che ho citato portano a riprova delle loro<br />

affermazioni una documentazione alla quale rimando il mio lettore.


96<br />

Cap. 6<br />

LA SCENA-MADRE<br />

[...] je la vois [...] comme l’ombre du sapin qui se<br />

développait sûr le parquet par les volets découpée sur le<br />

clair de lune 115<br />

[...] race sur qui pèse une malédiction [...] fils sans mère,<br />

à laquelle ils sont obligés de mentir toute la vie et même à<br />

l’heure de lui fermer les jeux [...] 116<br />

[...] les fils n’ayant pas toujours la ressemblance<br />

paternelle, même sans être invertis et en recherchant des<br />

femmes, ils consomment dans leur visage la profanation<br />

de leur mère? Mais laissons ici ce qui mériterait un<br />

chapitre à part: les mères profanées 117<br />

[...] et maman qui aussitôt l’entendait [le cri du parquet]<br />

me faisant avec la bouche le petit bruit qui signifie viens<br />

m’embrasser 118<br />

[...] elle m’a cent fois trop aimé puisque j’ai maintenant la<br />

double torture de penser qu’elle a pu savoir, avec quelle<br />

anxiété, qu’elle me quittait, et surtout de penser que toute<br />

115<br />

“Mais cette nuit enchantée [...] où ma mère était à côté de mon lit, sur le fauteuil<br />

di cretonne, dans sa belle robe de chambre à ramages bleus [...]; je la vois [...]<br />

comme l’ombre du sapin qui se développait sûr le parquet par les volets découpée<br />

sur le clair de lune” (C &, ES X, SW, 676).<br />

116<br />

(SG, 615).<br />

117<br />

SG, tadié, 300.<br />

118<br />

Lettera a madame de Noailles, 28 dicembre 2005, dopo la morte della madre:<br />

“Sono andato in certe stanze dell’appartamento dove per caso non ero più stato ed<br />

ho esplorato così zone sconosciute del mio dolore, che si estende sempre più<br />

infinito man mano che mi ci inoltro. C’è un’assicella del parquet vicino alla camera<br />

della mamma su cui non si può passare senza che scricchioli e mamma, appena<br />

sentiva lo scricchiolio, mi faceva con le labbra il piccolo rumore che significa: vieni<br />

a darmi un bacio (me faisait avec la bouche le petit bruit qui signifie: viens<br />

m’embrasser)” (Correspondence de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Plon, Paris, vol. V., p. 346).<br />

“Mais cette nuit enchantée [...] où ma mère était à côté de mon lit, sur le fauteuil di<br />

cretonne, dans sa belle robe de chambre à ramages bleus [...]; je la vois [...]<br />

comme l’ombre du sapin qui se développait sûr le parquet par les volets découpée<br />

sur le clair de lune” (C &, ES X, SW, 676).


97<br />

la fin de sa vie a été si affligé, si constamment<br />

préoccupée par ma santé [...] 119<br />

Elle est absente de cette préface [a Sésame et les lys], et<br />

j’ai même remplecé le mot “ma mère” qui était fictif et ne<br />

s’appliquait pas à alle par le mot “ma tante” pour qu’il ne<br />

soit pas question d’elle dans ce que j’écris junsqu’à ce<br />

que soit achevé quelque chose qui j’ai comencé et qui<br />

n’est rien que sur elle. 120<br />

Il sait que les êtres [...] qu’on a le plus aimés, on ne pense<br />

jamais à eux, au moment où on pleure le plus, sans leur<br />

addresser passionnément le plus tendre sourir dont on<br />

soit capable. [...]. Est-ce plutôt, que ce sourire-là n’est que<br />

la forme même de l’interminable baiser que nous leur<br />

donnons dans l’Invisible? 121<br />

Nessuno è andato più in là di <strong>Proust</strong> nel ricercare il<br />

significato completo di questa scena. Ma non possiamo<br />

per questo leggerla acriticamente come autobiografica. 122<br />

Jean Milly, nell’L’ouverture de La Prisonnière d’après le<br />

manuscrit ‘definitif’ et les dactylographies: 123 “L’articulation<br />

119 Lettera a Maurice Barrès, 19 gennaio 1906 (CORR, VI, 28).<br />

120 Lettera Lucien Daudet, giugno 1906 (CORR, VI, 100).<br />

121 Une grande-mère, 1907 (CSB, 548).<br />

122 <strong>Proust</strong>, Roger Shannuck, 1974, Mondadori, Milano 1991, p. 17. “[...] l’anecdote<br />

du baiser du soir n’a pas à y être racontée comme elle s’est passée, mais comme<br />

elle doit l’être pour avoir le maximum d’efficacité sur le lecteur de ci livre. Avec le<br />

temps et au fil des divers récits, elle s’est précisée, amplifiée, modifiée,<br />

métamorphosée. Signe du travail du romancier, non de la fidélité du biographe”<br />

(L’impossible <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Roger Duchêne, Laffont, Paris, 1994, p. 23).<br />

Duchêne, pur ricordando il nucleo autobiografico reperibile nella lettera a Maurce<br />

Barrès del 19 gennaio 1906 (CORR, VI, p. 28), preferisce dare un maggiore valore<br />

alla dédicace autobiografica a Les Plaisirs et les Jours (dove l’arca rappresenta il<br />

seno materno che accoglie il figlio malato). Ancora, a proposito della madeleine:<br />

“[...] <strong>Proust</strong> n’a pas forcément raconté la pure vérité. La présence de ‘la vieille<br />

cuisinière’ est gênante pour Painter, soucieux de situer la scène au moment où<br />

l’auteur conçoit la Recherche. [...]. En fait, on ne sait ni où ni quand eut lieu<br />

l’expérience de la biscotte, ni même si <strong>Proust</strong> l’a effectivement connue un beau<br />

jour. [...]. Avec l’expérience de la biscotte, <strong>Proust</strong> tient, sans qu’il le sache encore,<br />

la découverte fondatrice de toute la Recherche, le principe de son existence et de<br />

son déroulenement, le moyen technique et pratique d’y introduire la narration”<br />

(ibidem, pp. 603-604; vedi anche p. 668). (Quando ad Alberttine/Alostinelli:<br />

“Comme presque toujours avec <strong>Proust</strong>, ce n’est pas seulement la fiction qui s’ispire<br />

de la réalité, c’est aussi la réalité qui rejoint la fiction”, ibidem, p. 685)


98<br />

est faite avec la fin de Sodome et Gomorre II et, ce qui<br />

est typiquement proustien, tout de suite avec l’ensemble<br />

de l’histoire du personnage, qui est suggérée comme<br />

connaissant trois stades – enfance, jeunesse, âge adulte<br />

– où est vécu dans des circonstances différentes un<br />

même événement fondamental: la séparation<br />

douloureuse d’avec un être aimé, suivi de la brusque<br />

possibilité donnée par une puissance (le père, le capitaine<br />

de Borodino, ‘la vie’) de le retrouver. Cette mise en série<br />

fait du début de La Prisonnière une reprise de ‘Combray<br />

I’en retraçant dans un autre contexte la scène fondatrice<br />

et itérative du baiser chacque jour apaisant et<br />

‘nourrissant’”. 124 Interessante un passo che ritorna:<br />

manoscritto e aggiunte (NAF 16715): “la vie, quand elle re<br />

nouvelle pour nous la grâce inespérée de < si elle doit<br />

une fois de plus > nous faire échapper < délivrer > contre<br />

toute prévision à une < de > souffrance inévi qui<br />

paraissaient inévitables, le fait dans des conditins<br />

différents / renouvelle sa grâce identique das des<br />

conditions différents, jusqu’à affecter /par fois si<br />

oppos[ées] / le fait<br />

dans....................................................................................<br />

.................. la vie, si elle doit une fois de plus nous<br />

délivrer contre toute prévision de souffrances qui<br />

paraissaient inévitables, le fait dans de conditiones<br />

différents, opposées par fois jusqu’au point qu’il a<br />

presque un sacrilège apparent à constater l’identité de la<br />

grâce qui nou est faite < octroyée >”. 125<br />

123<br />

In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>,14. Études proustiennes VI, Gallimard, Paris, 1987,<br />

pp. 288-337.<br />

124<br />

Ibidem, p. 291.<br />

125<br />

Vedi anche la prima dattilografia (DI) e la seconda (D2) (in Milly, op. cit., pp.<br />

285-296, 309, 315).


99<br />

Dal tintement timide, ovale et doré de la clochette pour les<br />

étrangers di Dalla parte di Swann, al tintement, alla petite<br />

sonnette, del Tempo ritrovato... passando dal car mon heure<br />

pouvait sonner dans quelques minutes, nel medesimo.<br />

1) Baci e abbracci<br />

C’è un tema, addirittura un filone, della Rercherche che la<br />

psicologia “piana” sarebbe tentata di cavalcare. Quello del bacio 126 –<br />

baiser o embrasser –; quello della buonanotte – bonsoir –. A partire,<br />

certamente, dal bacio della madre; a continuare con quello della<br />

nonna; per non parlare di quello di Albertine: un bacio mancato,<br />

inaugura, all’epoca del suo secondo soggiorno a Balbec, la relazione<br />

amorosa del Narratore con Albertine...<br />

Questo tema è però tale da imporsi anche ad una psicologia<br />

“dello spazio” (o della profondità). Perché<br />

(1) domina tutta la Recherche, dal suo inizio alla sua fine;<br />

(2) e presenta delle caratteristiche diverse alla sua fine rispetto a<br />

quelle che aveva al suo inizio (e nel suo sviluppo).<br />

Il fatto stesso che l’ultima redazione del medesimo episodio sia<br />

diversa dalla prima anche solo sul piano lessicale, ci porterà a<br />

ipotizzare che in questo luogo, quello delle numerose e diverse<br />

edizioni di una medesima scena, luogo ostico per lo psicologo,<br />

perché facilmente vi è tentato dallo psicologismo, si “il” luogo in cui si<br />

esprime, si avventura e si conclude l’avventura del ricercatore.<br />

2) La prima edizione del bacio della buonanotte<br />

Partiamo dalla prima edizione (SW, 23-45; 29-55).<br />

Il “solo tra noi” per il quale le visite di Swann fossero oggetto di<br />

“preoccupazione dolorosa” è il Narratore.<br />

Torniamo di qualche pagina indietro (esattamente 15 nel testo<br />

italiano e di 19 in quello francese).<br />

126 Douglas Alden nel suo Le plus ancien état du texte proustien après les<br />

épreuves Grasset, si dilunga sull’“ambiguità” del testo proustiano a proposito del<br />

“baiser” come strumento della “possession”: “Il ne paraît pas très expérimenté<br />

dans l’art du baiser car, en cette occasion en tout cas, il se borne à embrasser la<br />

joue d’Albertine” (In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> 14, Études proustiennes, VI, Gallimard,<br />

Paris, 1987, pp. 99 sgg.).


100<br />

La sua venuta, spesso imprevista (vedremo: che lo sarà anche<br />

la sua partenza) è segnalato da un suono: “Le sere in cui, seduti<br />

davanti a casa sotto il castagno, intorno al tavolino di ferro,<br />

sentivamo dal fondo del giardino, non il sonaglio abbondante e<br />

chiassoso (non pas le grelot profus et criard) che sommergeva, che<br />

stordiva al passaggio, con il suo rumore gelido, implacabile e<br />

metallico (de son bruit ferrugineux, intarissable et glacé), tutte le<br />

persone di casa che lo scatenavano entrando ‘senza suonare (sans<br />

sonner)’, ma il doppio tintinnio timido, ovale e dorato del campanello<br />

per gli estranei (le double tintement timide, ovale et doré de la<br />

clochette pour les étrangers), tutti si affrettavano a chiedersi: ‘Una<br />

visita, chi può essere?’” (SW, 13-14; 18). 127<br />

Segnaliamo la distinzione tra lo scampanellare discreto di<br />

Swann e l’indiscreto non scampanellare degli altri nella forma<br />

condensata che segue: non pas le grelot profus et criard [...] de son<br />

bruit ferrugineux, intarissable et glacé [...] mais le double tintement<br />

timide, ovale et doré de la clochette pour les étrangers.<br />

Ebbene, questo paragone occupa poche righe (SW, 14; 18).<br />

Anticipiamo, nella forma condensata, le vicissitudini sonore del<br />

“drame du coucher” 128 non quando esso è preannunciato ma quando<br />

è in corso e si spinge verso il momento della “catastrofe”: coups<br />

hésitants de la clochette [...] avant que le diner fût sonné [...] et<br />

quand le grelot de la porte m’eut averti qu’il venait de partir [...]<br />

comme ces cloches de couvents [...] se remettent à sonner dans le<br />

silence du soir.<br />

Queste vicissitudini si svolgono in molte pagine (14 nel testo<br />

francese, 23-37, 13 in quello italiano: 33 46) e si scandiscono in<br />

quattro tappe (SW, 27/35; 23/30; 34/42; 37/46).<br />

Pensiamo che decisivo per distinguere tra Swann e gli altri sia<br />

l’inaugurazione: “non pas”: Swann non è indiscreto come gli altri. Egli<br />

127 “[...] il tintinnio, indubbiamente, è ovale soltanto perché o è la campanella, ma<br />

qui come in altri casi la spiegazione non comporta comprensione: qualunque sia la<br />

sua origine il predicato ovale e dorato si basa su tintinnio, e, mediante una<br />

confusione quasi inevitabile, tale qualificazione non viene interpretata come un<br />

transfert, ma come una ‘sinestesia’: lo slittamento metonimico non è soltanto<br />

‘camuffato’, ma addirittura trasformato in predicazione metaforica. Così, invece di<br />

essere antagoniste e incompatibili, metafora e metonimia si sostengono e<br />

s’interpretano, e dare alla seconda il posto che le spetta non consisterà nel<br />

compilare una lista concorrente in antagonismo a quella delle metafore, ma<br />

piuttosto nel mostrare la presenza e l’azione delle relazioni di ‘coesistenza’ proprio<br />

all’interno del rapporto di analogia: il ruolo della metonimia nella metafora”<br />

(Genette, p. cit., p. 42).<br />

128 Definito anche “drame du déshabillage”.


101<br />

si distingue per l’“esitazione”: timide, ovale et doré de la clochette<br />

pour les étrangers in contrasto con profus et criard [...] son bruit<br />

ferrugineux, intarissable et glacé.<br />

Swann si dimostra discreto, non solo nella descrizione dello<br />

scenario su cui è annunciato il “drame”, ma anche nel corso dello<br />

svolgimento di quest’ultimo: il suo scampanellare è “esitante”.<br />

Anche se la sua “visita” causa un vero e proprio “drame”,<br />

rimane che il povero Swann è estraneo al medesimo; ignora<br />

d’esserne la causa.<br />

Quando il dramma “ritorna” per essere “ritrovato” (nella sua<br />

“essenza”, nella sua “verità)”, avviene una sorta di capovolgimento<br />

nell’aggettivazione; quella indiscreta – rebondissant, ferrugineux,<br />

intarissable, criard et frais – viene attribuita non all’arrivo di Swann<br />

(al suo scampanellare) ma alla di lui partenza di Swann.<br />

Che dedurne?<br />

Ricordate? In questione c’è la differenza tra “étrangers” e no (e<br />

Swann è considerato uno straniero affatto speciale). Addirittura si<br />

tratta quasi di “ennemi[s]” o no (SW, 14; 19)...<br />

Ora, il “ritorno”, non del rimosso mal del “ritrovando”, fa<br />

esplodere l’“estraneità” di Swann (la sua “ostilità”) che pure è l’unico<br />

ospite (l’unico straniero/potenzialmente hostis) che frequenta la casa<br />

del Narratore; perché fa esplodere l’estraneità di tutto (madre, padre,<br />

Narratore compreso). 129<br />

“Je mourrais s’il le fallait” (C6, ES X, SW, 674): è in ballo la<br />

sopravvivenza... (Vedi più avanti la nota a proposito<br />

dell’“importanza”). Si va ad una bellum omium contra omnes...<br />

Nemica è anche la nonna; proprio in quanto è il doppio della madre:<br />

“sans dormire, loin de ma mère et ma grand’mère” (SW, 9).<br />

Domanda: “Quel serait mon plus grand malheur?: “Ne pas avoir<br />

connu ma mère, ni ma grand’mère”. In uno dei testi preparatori, uno<br />

dei più poveri, troviamo: “Mais je pleure plus en écrivant ce che mon<br />

père a fait ce jour là que je ne pus le faire alors, dans l’effroi de le<br />

fâcher, et je, lui donne tous les soirs, quand je pense à lui, les<br />

remerciements et les baisers que je n’ai pas osé lui donner alors”<br />

(ES X, SW, 675). Anche il padre è amato e odiato...<br />

Paradossalmente ritroveremo lo stesso Narratore<br />

estraneo/ostile a sé medesimo in un Cahier quando, alla maniera di<br />

Jean Santeuil, si autobacia (“je saisis mon propre bras avec transport<br />

129 Biblioteca Guermantes, François de Champi: “In un primo tempo mi ero chiesto<br />

con rabbia chi fosse l’estraneo che venava a farmi male. Ero io, l’estraneo (cet<br />

étranger, c’était moi-même); era il bambino che io ero allora e che il libro,<br />

conoscendo di me solo quel bambino, aveva suscitato in me [...]” (TR, 884; 564).


102<br />

et j’y déposai un baiser”). Teniamo in mente che il bacio della madre<br />

ha lo scopo di “pacificare” il Narratore; l’auto-bacio è una sorta di sua<br />

auto-consolazione tramite un atto di auto-erotismo.<br />

Non so che ve ne pare, ma la cosa mi sembra ci sembra<br />

alquanto interessante...<br />

Ci torneremo...<br />

Torniamo adesso ad uno dei tournant del “drame du coucher”:<br />

“Le sere in cui c’erano degli estranei (etrangers) o semplicemente<br />

Swann, la mamma, infatti, non saliva nella mia camera”.<br />

Il Narratore cenava prima di tutti; fino alle otto poteva sedere al<br />

tavolo; quindi doveva salire: “quel bacio prezioso e fragile (baiser<br />

précieux et fragile) che di solito la mamma mi affidava mentre ero nel<br />

mio letto e sul punto di addormentarmi, mi toccava trasportarlo dalla<br />

sala da pranzo alla mia camera a tenerlo in serbo per tutto il tempo<br />

che impiegavo a spogliarmi, senza che la sua dolcezza si incrinasse,<br />

senza che si versasse o evaporasse il suo volatile potere, e proprio<br />

quelle sere in cui avrei avuto bisogno di riceverlo con maggior<br />

precauzione ero costretto ad afferrarlo, a portarlo via bruscamente,<br />

pubblicamente, senza nemmeno avere il tempo e la libertà di spirito<br />

necessari per mettere in quel che facevo la speciale attenzione dei<br />

maniaci (cette attention des maniaques) che si sforzano di non<br />

pensare a nient’altro mentre chiudono la porta, per poter poi opporre<br />

al ritorno della loro incertezza morbosa il vittorioso ricordo del<br />

momento nel quale l’hanno chiusa”.<br />

“Eravamo tutti in giardino quando risuonarono i due esitanti<br />

squilli di campanello (quand retentirent les deux coups hésitants de<br />

la clochette)”.<br />

Questo l’incipit del primo episodio.<br />

Arriva Swann, la madre del Narratore va ad accoglierlo e lo<br />

porta in disparte: “Ma io la seguii; non potevo decidermi (je ne<br />

pouvais me décider) ad abbandonarla d’un sol passo, pensando che<br />

prestissimo (tout à l’heure) avrei dovuto lasciarla nella sala da pranzo<br />

e salire nella mia camera senza avere come le altre sere la<br />

consolazione che sarebbe venuta a baciarmi (qu’elle vînt<br />

m’embrasser). [...]. Avrei voluto non pensare alle ore d’angoscia che<br />

mi aspettavano quella sera, solo nella mia camera e incapace di<br />

addormentarmi; cercavo di persuadermi che esse non avevano<br />

alcuna importanza (aucune importance) perché domattina le avrei<br />

dimenticate, di attaccarmi a delle idee di futuro (idées d’avenir) che


103<br />

avrebbero dovuto condurmi, come su un ponte, al di là dell’abisso<br />

imminente che mi terrorizzava”. 130<br />

L’angoscia del Narratore è l’angoscia di chi, sprovvisto di ponti,<br />

non è in grado di immaginare i suoi spostamenti nello spazio e nel<br />

tempo; non ha “idee di futuro” (né di passato...).<br />

È evidente che non possiamo copiare e commentare tutte le<br />

pagine...<br />

Molto più avanti: “Con gli occhi non lasciavo mia madre, sapevo<br />

che, una volta a tavola, non mi sarebbe stato permesso di restare<br />

per tutta la durata (pendant toute la durée) del pranzo e che, per non<br />

contrariare mio padre, la mamma non si sarebbe lasciata baciare a<br />

più riprese (ne me laisserait pas l’embrasser à plusieurs reprises)<br />

davanti agli altri come se fossimo stati in camera mia. Così mi<br />

ripromettevo, in sala da pranzo, quando si fosse cominciato a<br />

mangiare e io avessi sentito avvicinarsi l’ora, di fare in anticipo<br />

(d’avance), riguardo a quel bacio (baiser) che sarebbe stato così<br />

breve e furtivo, tutto ciò che potevo fare da solo, di scegliere con lo<br />

sguardo il punto della guancia che avrei baciato, di preparare il mio<br />

pensiero in modo da riuscire, grazie a quel mentale inizio di bacio<br />

(grâce à ce commencement mental de baiser), a consacrare per<br />

intero il minuto (toute la minute) accordatomi dalla mamma a sentire<br />

il suo viso contro le mie labbra, simile al pittore che, potendo contare<br />

solo su brevi sedute di posa, prepara la sua tavolozza e fa in anticipo<br />

a memoria, basandosi sugli appunti, tutto ciò per cui può a stretto<br />

rigore fare a meno della presenza del modello”.<br />

Vani i tentativi di orientarsi nel tempo... Bisogno assillante de<br />

“tutto” (toute la minute...)<br />

Il fattaccio.<br />

Prima che il pranzo fosse servito (“avant que le diner fût<br />

sonné”), il nonno, vista l’aria stanca del Narratore, chiede che venga<br />

mandato a letto (“Stasera, del resto, si pranza tardi”). Il padre, “che<br />

non teneva così scrupolosamente fede ai trattati come la nonna e la<br />

mamma”: “‘Sì, andiamo, vai a letto’ Feci per baciare (embrasser) mia<br />

130 A proposito dell’“importanza”: “‘D’altronde, non ha la minima (aucune espèce)<br />

importanza’. Frase equivalente a un riflesso (analogue à un réflex), identica, nelle<br />

più gravi come nelle più trascurabili circostanze; e rivelatrice (dénonçant), come in<br />

questo caso, dell’effettiva importanza attribuita alla cosa in questione da chi, a<br />

parole, gliela nega (en celui qui la déclare sans importance). Frase tragica, a volte,<br />

che sfugge prima d’ogni altra – e così carica, allora, di sconforto – a ogni uomo<br />

che, appena un po’ orgoglioso, abbia perduto l’ultima speranza cui s’aggrappava<br />

perché qualcuno gli ha rifiutato un favore: ‘Ah, bene, non ha la minima importanza,<br />

mi arrangerò diversamente’, quando il diverso arrangiarsi verso il quale non ha la<br />

minima importanza, vedersi respinti è, in qualche caso, il suicidio” (OF, 740; 898).


104<br />

madre, proprio in quell’istante risuonò la campanella del pranzo (à<br />

cet istant on entendit la cloche du dîner). ‘Ma no, va, lascia stare tua<br />

madre, vi siete già detti buonanotte (bonsoir) a sufficienza, queste<br />

manifestazioni sono ridicole. Coraggio, sali!’”<br />

Saltiamo... Prima di morire (“prima di seppellirmi nel letto di<br />

ferro”), il Narratore ha “un moto di rivolta” ed escogita un “espediente<br />

(ruse)”: scrive alla madre una lettera in cui le chiede di salire “per una<br />

cosa grave” che non poteva dirle per lettera.<br />

Difficile ogni mediazione (inesistente ogni ponte).<br />

Bisogna leggere una dopo l’altra queste pagine straordinarie<br />

per cogliere, insieme alla sofferenza del piccolo Narratore, l’ironia,<br />

talvolta feroce, del Narratore maturo.<br />

L’espediente finisce con ridursi ad una menzogna: il Narratore<br />

dice a Françoise che la madre aspetta la sua lettera (in essa le dà<br />

una risposta su qualcosa che l’ha pregato di cercare).<br />

Françoise porta la lettera...<br />

Abbastanza più avanti: “Adesso non ero più separato da lei; le<br />

barriere erano cadute, un filo delizioso ci univa. E non era tutto: la<br />

mamma, certo, sarebbe venuta!”<br />

Se bell’e capito: l’angoscia che il piccolo prova quando è privato<br />

del bacio della madre è la stessa che proverà quando, diventato<br />

grande, si sentirà privato dell’amore della sua donna e via di<br />

seguito. 131 In virtù delle vicissitudini del “desiderio” mimetico” – su cui<br />

ritorneremo – per cui l’essere amato, quando sa che lo amano, non<br />

corrisponde (mostra la sua “indifferenza”); ama, invece (diventa<br />

“differente”), solo quando non lo si ama... “Ma quando, come nel mio<br />

caso, essa è entrata dentro di noi prima ancora che quello abbia fatto<br />

la sua apparizione nella nostra vita, allora, aspettando, fluttua libera<br />

e vaga (elle flotte en l’attendant, vague), priva di una destinazione<br />

131 L’avvenuta partenza di Albertine fa precipitare il Narratore nell’ansia; un’ansia<br />

senza limiti; che confluisce da tutte le esperienze del passato, prima fra tutte quella<br />

del passato: “Et hélas aussitôt tous le souvenirs de toutes les anxiétés que j’avais<br />

eues depuis mon enfance, ralliées par l’inquiétude nouvelle se mirent à revenir.<br />

Hélas si quand tant de fois en pensant à Albertine j’avais en réalité pensé à la<br />

princesse de Clèves, à l’héroïne (le nom), à Maggie et à tant d’autres de sorte que<br />

ce que j’éprouvais pour elle la dépassait infiniment, maintenant l’angoisse que<br />

j’éprouvais ce n’était pas seulement celle d’apprendre qu’elle était partie, c’était,<br />

revenues s’assembler mais se fondant toutes ensemble devenues homogènes et<br />

toutes rangées sous le nom d’Albertime, quoique elles lui fusse bien antérieures,<br />

les angoisses que j’avais eues tant de soirs à Combray quand je rentrais le soir de<br />

promenade. [...]. quand il avait fallu dir adieu à maman devant le train, et celle de<br />

Combray le soir où elle n’était pas montée me dire bonsoir à cause de M. Swann<br />

[...]” (C 71, ES I, AS, 630).


105<br />

precisa, al servizio un giorno di un sentimento, l’indomani di un altro,<br />

ora della tenerezza filiale, ora dell’amicizia per un compagno”.<br />

Segue l’immaginazione in cui Swann o chi per lui, lo stesso<br />

Narratore, si serve di un “intermediario” per mandare un messaggio<br />

all’amata circondata da amici a una festa, a teatro: “[...] ecco che uno<br />

dei momenti la cui successione le avrebbe composte, un momento<br />

non meno reale degli altri, forse addirittura più importante per noi dal<br />

momento che la nostra diletta vi è più implicata, siamo in grado di<br />

rappresentarcelo, lo possediamo, vi interveniamo, l’abbiamo – quasi<br />

– creato (nous l’avons crée presque): il momento in cui le diranno<br />

che noi siamo lì, lì giù (là, en bas)”.<br />

Nel bel mezzo della narrazione dell’esperienza archetipica di<br />

ogni altra esperienza; di quelle, perlomeno (ma lo sono tutte) che<br />

avvengono sotto l’orizzonte del “desiderio mimetico”, fa la sua<br />

comparsa per la prima volta l’idea della “creazione”.<br />

La madre rimanda Françoise “senza risposta”. Il Narratore<br />

prende un’altra iniziativa (perché, se questo episodio è quello dove<br />

avviene la grande “abdicazione”, è quello in cui avvengono anche le<br />

grandi “risoluzioni”): “All’improvviso (tout à coup) la mia ansia cadde,<br />

una felicità (félicité) m’invase come quando un farmaco potente<br />

comincia ad agire e ci toglie un dolore: avevo preso la risoluzione (je<br />

venais de prendre la résolution) di non cercare più di addormentarmi<br />

senza aver rivisto la mamma, di baciarla a qualsiasi costo (coûte que<br />

coûte) – benché fossi certo che questo avrebbe significato<br />

sopportare a lungo le conseguenze della sua irritazione – quando<br />

fosse salita a coricarsi. La calma che risultava dalla fine delle mie<br />

angosce mi metteva in uno straordinario stato di allegrezza<br />

(allégresse), non meno di quanto avviene per l’attesa, la sete e la<br />

paura del pericolo. Aprii la finestra (j’ouvris la fenêtre) 132 senza<br />

rumore e mi sedetti in fondo al letto: non facevo quasi nessun<br />

movimento perché da giù non mi sentissero”.<br />

L’abbiamo già detto: è il momento delle grandi scelte, delle<br />

grandi decisioni. Ora sappiamo che la grande decisione del<br />

Narratore è quella di cogliere “al volo” il senso delle esperienze della<br />

132 La finestra sarà uno dei Leit-motiv della scena-madre(primaria): “Le tre<br />

rivelazioni cruciali di perversione sessuale che ha il Narratore sono tutte associate<br />

con l’atto dello spiare, non già come per Stendhal nella scabrosa incisione,<br />

attraverso il buco della serratura ma, in maniera tipicamente proustiana, attraverso<br />

una finestra. Il narratore scopre il lesbismo spiando Mlle Vinteuil e la sua amica<br />

attraverso la finestra a Montjouvain; la sodomia quando assiste all’incontro tra<br />

Charlus e Jupien nel cortile della duchessa. E il piacere solitario nel gabinetto del<br />

piano superiore a Combray, dove lui stesso viene scoperto dal pergolato e dal<br />

torrione di Roussainville” (Painter, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>,1959, tr. it. 2980, pp. 438-439).


106<br />

memoria involontaria ; sappiamo che questa “risoluzione” a fare ogni<br />

“sforzo”, necessario perché il “compito” sia attuato, viene presa nel<br />

preambolo della matinée (e conservata in tutto il suo decorso).<br />

Sappiamo anche che quando la memoria involontaria si attiva, il<br />

Narratore è colto alla sprovvista (tout d’un coup); è invaso da una<br />

straordinaria felicità...<br />

Una volta accertato che, nel racconto dell’esperienza della<br />

grande “abdicazione”, si addensano risoluzione, tout à coup,<br />

straordinaria allegrezza, siamo costretti a concludere che questo<br />

racconto contiene tutti gli elementi del “capolavoro”. Si tratta di una<br />

sorta di ante-prima...<br />

Sappiamo già il seguito: il Narratore sa che lo aspettano<br />

conseguenze gravi; “molto più gravi di quanto un estraneo non<br />

potesse supporre, tali in verità ch’egli avrebbe creduto solo qualche<br />

colpa davvero vergognosa fosse in grado di provocarla. Ma<br />

nell’educazione che mi veniva impartita la gerarchia delle colpe non<br />

era la stessa che nell’educazione degli altri ragazzi, e davanti a tutte<br />

le altre (certamente perché non ce n’era alcuna dalla quale io avessi<br />

bisogno d’essere più attentamente preservato) ero abituato a<br />

collocare quelle di cui capisco ora che possedevano la caratteristica<br />

comune di essere commesse per cedimento a un impulso nervoso”:<br />

commento: sappiamo, comunque, che ogni educazione, per severa<br />

che sia, ubbidisce sempre al principio della categorizzazione.<br />

Il piccolo pensa che, come punizione sarà mandato in collegio:<br />

“Ebbene, avessi anche dovuto gettarmi dalla finestra (par la fenêtre)<br />

cinque minuti dopo, preferivo agire così. Quel che volevo adesso, era<br />

la mamma, dirle buonanotte (lui dire bonsoir), ero andato troppo in là<br />

sulla via verso la realizzazione di questo desiderio per poter tornare<br />

indietro”: commento: quale risolutezza!<br />

“Sentii i passi dei miei genitori che accompagnavano Swann, e<br />

quando il sonaglio della porta (le grelot de la porte) mi avvertì che se<br />

n’era andato, mia affacciai alla finestra”.<br />

Segue qualcosa che rassomiglia alla scena primaria com’essa<br />

viene dipinta da Freud: “Mio padre e mia madre rimasero soli, e si<br />

sedettero un istante; poi mio padre disse: ‘Bene, se vuoi, possiamo<br />

salire a coricarci’. – ‘Se vuoi tu, amico mio, anche se io non ho<br />

nemmeno un’ombra di sonno [...]. Ma vedo la luce nell’office, e dal<br />

momento che la povera Françoise mi ha aspettata, le chiederò di<br />

slacciarmi il corpetto mentre tu ti spogli’. E mia madre aprì la porta<br />

traforata che dal vestibolo immetteva sulle scale. <strong>Su</strong>bito la sentii che<br />

saliva a chiudere la sua finestra (sa fenêtre). Andai senza rumore nel


107<br />

corridoio (dans le couloir) [...]”: come abbiamo già visto, incrociamo il<br />

famoso couloir. Che ritornerà poco più avanti.<br />

In sintesi stretta: il piccolo si getta nelle braccia della madre che<br />

lo guarda sbalordita, in collera (“comme un fou”). “Ma io le ripetevo:<br />

‘Vieni a dirmi la buonanotte (viens me dire bonsoir’”; il padre compie<br />

un atto di clemenza: “[...] poiché non aveva principi (nel senso della<br />

nonna), non aveva – propriamente parlando – alcuna intransigenza”<br />

(questo padre rassomiglia a quello di Kafka per la sua arbitrarietà):<br />

“Visto che in camera sua ci sono due letto, di’ a Françoise di<br />

prepararti il letto grande e dormi accanto a lui, per stanotte (et<br />

couche pour cette nuit après de lui). <strong>Su</strong>, buonanotte, io che non sono<br />

nervoso come voi (je ne suis pas si nerveus que vous) me ne vado a<br />

dormire!”<br />

Qui la grande “abdicazione”... della madre...<br />

Poiché il Narratore non riesce a prendere sonno, la madre gli fa<br />

scegliere un libro e glielo legge: François de Champi...<br />

Quasi senza soluzione di continuità segue, una sorta di<br />

stilizzazione del lungo racconto in un “archetipo”: “E così, ogni volta,<br />

svegliandomi di notte mi ricordavo di Combray, per molto tempo non<br />

ne rividi che quella sorta di lembo luminoso ritagliato nel mezzo delle<br />

tenebre indistinte [...]”.<br />

Preceduto, poche pagine prima dal seguente: “Sono passati<br />

parecchi anni (il ya bien des années de cela). [...]. In realtà essi [i<br />

singhiozzi] non sono mai cessati; ed è soltanto perché la vita si è<br />

fatta adesso più silenziosa intorno a me che li sento di nuovo, come<br />

quelle campane di conventi (comme ces cloches de couvents) che il<br />

clamore della città (le bruit de la ville) copre tanto bene durante il<br />

giorno da far pensare che siano state messe a tacere e invece si<br />

rimettono a suonare nel silenzio della sera (se remettent à sonner<br />

dans le silence du soir)”.<br />

In questa anticipata stilizzazione ricompare – o semplicemente,<br />

insiste – il motivo del sonner.<br />

Quando il Narratore scrive, quella Combray è morta per<br />

sempre: “Morto per sempre? Poteva darsi. 133 Il caso ha gran parte in<br />

tutto ciò, e spesso un secondo caso, quello della nostra morte, non ci<br />

permette di aspettare troppo a lungo i favori del primo”. Seguono le<br />

madeleins... (Vedi più avanti: Mancanza di volontà e memoria<br />

involontaria).<br />

133 “Il était mort [Bergotte]. Mort à jamais? Qui peut le dire?” (P, 187). In questo<br />

caso <strong>Proust</strong> suggerisce che l’unica possibilità di accesso all’immortalità dell’anima<br />

è l’arte.


108<br />

Sì, è proprio l’approssimarsi della morte – di cui la matinée è<br />

una grande rappresentazione (della morte di tutti gli eroi della<br />

Recherche ma anche di quella del ricercatore) – che provocherà<br />

l’ultima edizione del bacio della buonanotte. 134<br />

134 Il Giornate di lettura <strong>Proust</strong> rievoca le letture dell’infanzia e dell’adolescenza.<br />

Cito alcuni passaggi sparsi lungo alcune pagine; in cui si vede <strong>Proust</strong><br />

(infante/adolescente) rischiare ancora una volta il “castigo”; ma non perché ha<br />

voluto la madre presso di sé; ma perché ha voluto, solo nei prati o nella sua<br />

camera, continuare a leggere; dopo che i genitori si sono coricati... Eventualmente<br />

“indifferente” verso di lui è lo scrittore che non ha prolungato il suo racconto: “–<br />

Prima della colazione, che, ahimè, avrebbe messo termine alla lettura, avevo<br />

ancora due ore buone, Ogni tanto sentivo il rumore della pompa (le bruit de la<br />

pompe), da cui stava per scorrere l’acqua, e che mi faceva alzare gli occhi e<br />

guardarla attraverso la finestra chiusa [...]. Qualcuno, senza aspettare più oltre, si<br />

sedeva in anticipo a tavola. Gesto desolante, perché sarebbe stato cattivo esempio<br />

per gli altri, avrebbe indotto a credere che fosse già mezzodì e spinto i miei genitori<br />

a dire troppo presto la parola fatale (la parole fatale): – Si, chiudi il libro, è ora di<br />

colazione –. [...].. “[...] e dove [nella sua camera la sera] il suono delle campane<br />

giungeva così fragoroso (le bruit des cloches arrivait si rétentissant) a causa della<br />

vicinanza della chiesa (alla quale, d’altronde, nelle grandi feste, gli altarini ci<br />

collegavano con una strada di fiori), che potevo immaginare che venissero sonate<br />

sotto il nostro tetto, proprio sopra la finestra da cui salutavo il curato [...] allora,<br />

quella vita segreta si ha l’impressione di chiuderla con sé, quando si va, tutti<br />

tremanti, a tirare il chiavistello dell’uscio; di spingerla dinanzi a sé nel letto e, infine,<br />

di coricarsi con lei (coucher [...] avec elle) tra le grandi lenzuola bianche che ci<br />

salgono sin sopra il viso, mentre, da presso, la chiesa suona (sonne) per l’intera<br />

città le ore d’insonnia dei moribondi e degli innamorati. [...]. In quel boschetto, il<br />

silenzio era profondo, il rischio di essere scoperto quasi nullo, la sicurezza resa più<br />

dolce dalle voci lontane che, da giù, mi chiamavano invano (m’appelaient en vain),<br />

e talvolta si avvicinavano, salivano i primi ripiani, cercando dappertutto, e poi<br />

tornavano indietro, non avendomi trovato; solo, di tanto in tanto, il suono dorato<br />

delle campane (le son d’or des cloches) che, lontano, di là dalle praterie, sembrava<br />

echeggiare dietro il cielo turchino, mi avrebbe potuto avvertire del passar del<br />

tempo; ma, stupito della sua dolcezza e turbato dal silenzio più profondo, non ero<br />

mai sicuro del numero dei rintocchi (je n’étais jamais sûr du nombre des coups).<br />

Non erano le campane tonanti (ce n’était pas le cloches tonnantes) [...]. Il loro<br />

suono non giungeva in fondo al parco che debole e dolce [...]. Infine, qualche volta,<br />

a casa, un bel pezzo dopo cena (longtemps après le dîner), le ultime ore della sera<br />

davano anch’esse ricetto alla mia lettura [...]. Allora, rischiando il castigo che mi<br />

sarebbe stato inflitto se fossi stato scoperto, e l’insonnia, che, terminato il libro,<br />

sarebbe durata l’intera notte, appena i miei genitori si erano coricati (dès que mets<br />

parents étaient couschés), riaccendevo la candela; mentre nella via vicina, tra la<br />

casa dell’armaiolo e l’ufficio postale, bagnati di silenzio, il cielo oscuro, eppure<br />

azzurro, era pieno di stelle [...]. Allora, per dar modo ai tumulti da troppo tempo<br />

scatenatisi in me di placarsi dirigendo altri movimenti, mi alzavo, mi mettevo a<br />

camminare lungo il mio letto (je me mettais à marcher le long de mon lit) [...].<br />

apprendevamo da un personaggio secondario che esso [matrimonio] era stato<br />

celebrato, non sapevamo esattamente quando, in quello stupefacente epilogo,<br />

scritto, sembrava, dall’altro dei cieli, da un essere indifferente (par une personne


109<br />

3) Manque de volonté e mémoire involontaire<br />

Penso che Bloch-Dano abbia qualche ragione nell’addebitare<br />

l’abdicazione al padre. “Allons, bonsoir, moi qui ne suis pas si<br />

nerveux que vous, je vais me coucher”: “Tout y est, meme le ‘vous’<br />

qui fait de la mère et du fils deux êtres fragiles de ma même<br />

espèce”. 135<br />

Ricordate la reazione del Narratore all’abdicazione del padre?<br />

“Non si poteva ringraziare mio padre; lo si sarebbe soltanto infastidito<br />

con quelle ‘morboserie’, come le chiamava lui. Me ne stetti là senza<br />

azzardare un movimento; lui era ancora davanti a noi (devant nous)<br />

alto, nella sua camicia da notte bianca sotto lo scialle indiano viola e<br />

rosa che a quando soffriva di nevralgie sì annodava intorno alla testa<br />

col gesto di Abramo che, nella stampa da Benozzo Gozzoli<br />

regalatami da Swann, dice a Sara che deve separarsi da Isacco<br />

(qu’elle a à se départir du côté d’Isaac). Sono passati diversi anni<br />

[...]” (SW, 36-37; 66).<br />

Riecco i “vous” sotto forma di “nous”; figlio e madre accoppiati...<br />

Bloch-Dano osserva: <strong>Proust</strong> paragona suo padre a Abramo che dice<br />

a Sarah ch’essa deve separarsi da Isacco: “Il fait là une confusion<br />

pleine de sens et peut-être volontaire entre Sarah, l’épouse en titre,<br />

et Agar, la servante dont le patriarche a eu un fils, Ismaël. Ce<br />

glissement lui permet de dire l’essentiel: son père renvoie sa femme<br />

‘du côté de’ son fils, comme Abraham a renvoyé dans le désert Agar<br />

avec Ismaël. En lui ouvrant la chambre de <strong>Marcel</strong>, il lui ferme la<br />

sienne: ‘Allons, bonsoir, je vais me coucher’”.<br />

Da qui – come vedremo, già in Jean Santeuil –, la ratifica della<br />

“irresponsabilità” del Narratore. Irresponsabilità di fronte alle<br />

categorie...<br />

Il Narratore doma la “volontà” della madre (e del padre); ma<br />

contrae, come una di tara, la “mancanza di volontà. 136<br />

indifférente) alle nostre passioni di un giorno, sostituitosi all’autore. Avrei voluto che<br />

il libro continuasse e, se questo fosse stato impossibile, ottenere almeno altri<br />

ragguagli [...]” (GCSB, 161-171; 216-226).<br />

135 Madame <strong>Proust</strong>, Grasset, Paris, 2004, p. 111.<br />

136 Considerando, quasi a caso, un testo, Giornate di lettura; insistente è il tema<br />

dello sforzo – “il supremo sforzo (le dernier effort)” (PM, 171; 232)” – necessario<br />

per “creare (créer)” (ibidem). Nemica è la “pigrizia (paresse)”, in cui si esprime<br />

l’impossibilità di volere: “il est incapable de les vouloir”, “mancanza di volontà<br />

(manque de volonté)”, l’“inerzia della volontà (inertie de [...] sa volonté)” (PM, 178-<br />

179; 234)... La lettura, quando non si è più fanciulli, svolge la stessa funzione della<br />

psicoterapia: “il medico “vuole per te” (“qui voudra pour lui”), e, così facendo,


110<br />

Ma consideriamo bene: la memoria “involontaria” è lo strumento<br />

decisivo nell’esperienza esistenziale e artistica del Narratore (e di<br />

<strong>Proust</strong>). Essa è la porta che si apre per caso: “Ma proprio, a volte,<br />

nel momento in cui tutto ci sembra perduto giunge l’avvertimento che<br />

può salvarci; abbiamo bussato a tutte le porte che non danno su<br />

niente e la sola attraverso la quale si può entrare, e che avremmo<br />

cercato invano per cento anni, l’urtiamo senza saperlo (on y heurte<br />

sans le savoir), e si apre (TR, 866; 542); 137 vedi già nel Jean<br />

Santeuil: “Allora sentiva che grazie a quella porta spinta dal caso<br />

(poussée par un hasard) egli ripudiava quanto non era ancora la vita”<br />

(JS, 839; 709). Sempre in Jean Santeuil: “[...] sapendo che un giorno<br />

o l’altro la realtà contenuta in quegli istanti, l’avrebbe ritrovata – a<br />

condizione di non cercarla (à condition de ne pas la chercher) – [...]”<br />

(JS, 534-537; 380-383); in John Ruskin: “[...] per trovarla [la felicità]<br />

non bisogna cercarla (il faut, pour la trouver chercher autre chose<br />

que lui) [...]” (PM, 110; 164). 138<br />

“restituisce all’infermo la volontà (restituer au malade la volonté)” (PM, 180; 234):<br />

“Ora, quest’impulso che lo spirito pigro (paresseux) non può trovare in sé e che gli<br />

deve venire da altri, è chiaro ch’esso lo deve ricevere in seno alla solitudine, fuori<br />

della quale – lo abbiamo visto –, non può prodursi quell’attività creatrice (activité<br />

créatrice) che si tratta precisamente di suscitare il lui. Dalla pura solitudine quello<br />

spirito non potrebbe trarre nulla, perché esso è incapace di mettere in moto da sé<br />

la sua attività creatrice” (PM, 179-180; 235).<br />

137 “Tout à coup, mon père nous arrêtait et demandait à ma mère: ‘Où sommesnous?’<br />

Epuisée par la marche mais fière de lui, elle lui avouait tendrement qu’elle<br />

nen savait absolument rien. Il haussait les épaules et riait. Alors, comme s’il l’avait<br />

sorti de la poche de son veston avec la clef, il nous montrait debout devant nous la<br />

petite porte de derrière de notre jardin qui était venue avec le coin de la rue de<br />

Saint-Esprit nous attendre au bout de ces chemins inconnus” (SW, 115). è “C’est<br />

le héros qui heurte sans le savoir à la bonne porte de la vocation; mais c’est le<br />

narrateur qui, comme autrefois le père, en a sorti la clé de sa poche, parce que lui<br />

connaît d’avance tout l’itinéraire. Si donc on rapproche ces deux passsages, qui<br />

prouvent la valeur symbolique que <strong>Proust</strong> entend donner à un itinéraire de<br />

promenade, on peut conclure que le cheminement vers une église, les deux étapes<br />

de ce cheminement – sentiment de distance puis brusque accès – sont un autre<br />

équivalent en raccurci de toute la vocazion. L’église, c’est le temps retrouvé qui<br />

livre les secrets de l’art, mais avant d’y accéder, on doit – sans toutefois jamais la<br />

perdre de vue, elle ou sono clocher qui la résume – faire un long détour, celui du<br />

temps perdu, celui encore des deux ‘côtés’” (Luc Fraisse, L’oeuvre cathédrale,<br />

Corti, Parigi, 1990, ppp. 239-240).<br />

138 Lettera (18 febbraio 1907) a Georges de Lauris a cui è morta la madre: “[...] ne<br />

cherchez pas à la voir car vous ne la verrez jamais [...]. En ce moment tâchez<br />

simplement de vivre, de survivre, en laissant tout cela se faire en vous sans<br />

collaboration de votre volonté et les douces images renaîtront d’elle-mêmes pour<br />

ne plus jamais vous quitter” (Correspondence de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Plon, Paris, vol.<br />

VII 1981, p. 87). Vedi anche “Ma le parole ‘Quell’amica è la signorina Vinteuil’


111<br />

Pensiamo che vada colto un nesso profondo tra questa<br />

involontarietà e “ “le manque de volonté”, la “paresse”, di cui il<br />

Narratore, in ogni lavoro – da Les Plaisirs et les jours in poi – si<br />

rimprovera. 139<br />

Ora, la memoria involontaria, presuppone l’abbandono dello<br />

“sforzo” di volontà; presuppone, eventualmente, il fallimento di quel<br />

disperato sforzarsi che è implicito nell’insorgenza dell’hasard: fino a<br />

quel punto, ma invano, si è bussato a tutte le porte; infine...<br />

È come dire che l’abdicazione, in quanto abdicazione alla<br />

volontà, è abdicazione alla salvezza per opere in favore della<br />

salvezza per fede.<br />

Se presupponiamo queste considerazioni che fanno convergere<br />

mancanza di volontà e memoria involontaria, cogliamo la portata del<br />

passaggio, quasi senza transizione, dal racconto del famoso baiser<br />

al primo ricordo involontario. È evidente: senza dirlo <strong>Proust</strong> lo<br />

esibisce; meglio: lo dimostra: la memoria involontaria agisce quando,<br />

e solo quando, la volontà si è arresa (anche da sempre o sia venuta<br />

a mancare nell’occasione).<br />

erano state il “Sesamo” che sarei stato incapace di trovare io stesso, che aveva<br />

fatto entrare Albertine nelle profondità del mio cuore straziato. E la che s’era<br />

richiusa su di lei (e la porte qui s’était refermée), avrei potuto cercare per cent’anni,<br />

senza sapere come si potesse riaprirla” (SG 1127-1128; 382). E vedi anche<br />

perlomeno il titolo di Francesco Orlando: <strong>Proust</strong>, Sainte-Beuve e la ricerca in<br />

direzione sbagliata, in Studi in onore di Mario Fubini, Liviana, Padoba, 1970.<br />

139 Strano, quasi indisponente, che Giovanni Macchia non abbia colto questo<br />

nesso... (Tutti gli scritti su <strong>Proust</strong>, Einaudi, torino, 1997, passim). Comunque, un<br />

passo di Jean Santeuil permette di cogliere la primazia della mancanza di volontà.<br />

Dice la madre di Jean al marito “che con i suoi piedi appoggiati agli alari,<br />

osservava bonariamente il fuoco”: “Non è la salute come avevamo pensato, né [...]<br />

un temperamento appassionato. [...]. E nemmeno [...] l’immaginazione, né [...] la<br />

pigrizia. Lo scoglio è l’assenza di quella forza (l’absence d’une force) che a sei anni<br />

gli avrebbe impedito di piangere la sera, a letto, invece di dormire [...]. Questo<br />

forza, la cui assenza è un terribile scoglio – disse la signora Santeuil –, si chiama<br />

la volontà. – Punta volontà, brutt’affare –, rispose il signor Santeuil allontanando<br />

bruscamente dal fuoco i suoi calzini che cominciavano odorar di strinato” (JS, 232-<br />

233; 60). Vedi Rivère: “Vedete come si possa, io credo che si debba, mettere in<br />

rapporto la mancanza di ingegnosità [qui “ingegnosità” sta al posto di “volontà”] in<br />

<strong>Proust</strong> e il magnifico spessore del suo libro. Tale spessore è un miracolo che<br />

poteva darsi solo mediante o tramite un organismo morale del tutto privo di difesa.<br />

Proprio per non aver mai litigato con la vita <strong>Proust</strong> ha potuto riceverne l’impronta<br />

con questa prodigiosa minuziosità. Proprio per non aver dapprincipio voluto niente<br />

ha raccolto tanto” (Jacques Rivière, <strong>Proust</strong> e Freud. Alcuni progressi nello studio<br />

del cuore umano, 1923-1925; tr. it. Pratiche Editrice, Parla, 1985, p. 133)... “[...] ne<br />

riprodusse [il marchio della vita] la confusa impronta con una fedeltà quasi<br />

rivoltante” (ibidem, p. 350)... “Semmai vi fu in <strong>Proust</strong> qualcosa di mostruoso, fu la<br />

sospensione di qualsiasi chimica pragmatica” (ibidem, p. 155).


112<br />

Tra poco produrremo qualche stralcio del “seguito” dell’episodio<br />

che, nelle esquisse, viene definito “le drame du coucher”. Ma è<br />

importante capire subito che siamo di fronte a un dittico; le cui due<br />

pale sono la sconfitta della volontà e l’involontarietà della memoria. Il<br />

nesso che unisce le due pale è il loro costituire un unico dittico.<br />

Entriamo un po’ nel dettaglio: la mancanza di volontà del<br />

Narratore ha prodotto un “atto di rivolta” (SW, 36); quest’ultimo ha<br />

sconfitto la volontà della madre (e del padre). Il risultato: “Così, per la<br />

prima volta, la mia tristezza non era più considerata una mancanza<br />

da punire, ma un male involontario (un mal involontaire) al quale era<br />

toccato un riconoscimento ufficiale (qu’on venait de reconnaître<br />

officiellement), uno stato nervoso di cui io non ero responsabile [...].<br />

E non ero poco fiero, di fronte a Françoise, di questo rivolgimento del<br />

destino (de ce retour des choses humaines) che, a distanza di un’ora<br />

da quando la mamma s’era rifiutata di salire in camera mia e mi<br />

aveva sdegnosamente fatto rispondete che dovevo dormire, mi<br />

innalzava alla dignità di persona adulta, facendomi raggiungere di<br />

colpo (d’un coup) a una sorta di pubertà della sofferenza, di<br />

emancipazione delle lacrime. [...]. Mi sembrava di aver riportato sì<br />

una vittoria, ma contro di lei, di essere riuscito a piegare la sua<br />

volontà (détendre sa volonté), a far cedere la sua ragione (fléchir sa<br />

raison) [sospensione del categoriale] così come avrebbero potuto<br />

riuscirci la malattia, i dispiaceri o l’età [...]” (38; 47-48). 140 Nel Cahier<br />

6 si parla di “indisposition involontaire” (C 6, ES X, SW, 676). 141<br />

140 Il seguito: “e che quella notte inaugurasse un’era e fosse destinata a restare<br />

come una data, ma una data triste. Se ne avessi avuto il coraggio, adesso avrei<br />

voluto dirle: ‘Non voglio (non je ne veux pas), non dormire qui’. Ma conoscevo la<br />

saggezza pratica, realistica si direbbe oggi, che mitigava in le la natura<br />

ardentemente idealista della nonna, e sapevo che, ora che il male era fatto<br />

(maintenant que le mal était fait), avrebbe preferito lasciarmene gustare il<br />

pacificante piacere e non disturbare mio padre. Certo, il bel viso di mia madre<br />

brillava ancora di giovinezza quella sera, mentre mi stringeva teneramente le mani<br />

e cercava di frenare le mie lacrime; ma mi sembrava, ecco, che fosse qualcosa<br />

che non avrebbe dovuto essere, e la sua collera sarebbe stata meno triste per me<br />

di quella dolcezza nuova che la mia infanzia non aveva mai conosciuta; mi<br />

sembrava di aver tracciato nella sua anima, con mano empia e segreta, una prima<br />

ruga, di averle fatto spuntare il primo capello bianco”: “Il bacio della buonanotte è<br />

negato quando ne ha bisogno ed è concesso quando non lo desidera più” (<strong>Proust</strong>,<br />

Roger Shattuck, 1974, Mondadori, Milano, 1991, 119).<br />

141 Mi sembra preziosa la notazione seguente: “Capital. [...]. Mais la paresse<br />

m’avait gardé de la facilité, peut-être à son tour la maladie allait me protéger contre<br />

la paresse” (C 57, ES LX, TR, 942).


113<br />

Cioè, c’è stata una sorta di torsione dal “manque de volonté” al<br />

“mal involontaire”; che ha consentito l’ulteriore torsione verso ma la<br />

“mémoire involontaire”...<br />

Certo, non si può trascurare un altro elemento: il “retour des<br />

choses humaines”; quello che, in Jean Santeuil, è stato definito<br />

“riconoscimento di un nuovo governo”, una sorta presa del potere, di<br />

trionfo (del figlio sulla madre etc.). Tutto ciò comporta un<br />

ribaltamento: se prima il Narratore dipendeva dal bacio della madre,<br />

d’ora in poi la madre dipenderà dall’aver dato o no quel bacio... Il<br />

servo diventerà padrone... E la lotta comporterà violenze (fino al<br />

sadismo). La dialettica servo-padrone porterà al perdono, forse una<br />

delle figure più straordinarie della Recherche. Il perdono, però, sarà il<br />

frutto dell’abbandono della lotta. A George de Lauris, che ha perso la<br />

madre, scrive <strong>Proust</strong> il 18 febbraio 1097: “Soyez inerte, attendez que<br />

la force incompréhensible [...[ qui nous a brisé, vous relève un peu<br />

[...]”. Il Narratore diventerà “inerte”, “nolente”... Solo allora potrà<br />

godere della “grazia”.<br />

Ora, il dittico mancanza di memoria e involontarietà della<br />

memoria si raddoppia nel dittico scena-madre e ricordo involontario.<br />

Il “drame du coucher”, infatti, per molti versi si sovrappone alla scena<br />

in cui avviene il tout d’un coup: basta segnalare la ricorrenza nel<br />

corso del “drame” di tre motivi cardine: (1) l’irruzione di una gioia<br />

inspiegabile; (2) il disvelamento di una verità, di una essenza; (3) la<br />

scomparsa della paura della morte. 142<br />

142 In occasione del ricordo involontario: “Una deliziosa voluttà (un plaisir délicieux)<br />

mi aveva invaso, isolata, staccata da qualsiasi nozione della sua causa (sans la<br />

notion de sa cause) [sospensione del categoriale]. Di colpo (aussitôt) mi aveva<br />

reso indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la sua<br />

brevità, agendo nello stesso modo dell’amore, colmandomi di un’essenza preziosa<br />

(essence précieuse): o meglio, quell’essenza non era dentro di me, io ero<br />

quell’essenza” (SW, 45; 56). Nel corso del “drame du coucher”: il padre “non aveva<br />

ancora intuito la mia infelicità di ogni sera” (combien j’étais malereux tous les<br />

soirs)” (SW, 37; 47) Ò “All’improvviso (tout d’un coup) la mia ansia cadde, una<br />

felicità m’invase (une félicité m’envahit) come quando un farmaco potente comincia<br />

ad agire e di toglie il dolore. [...]. La calma che risultava dalla fine delle mie<br />

angosce mi metteva in uno straordinario stato di allegrezza (dans une allégresse<br />

extraordinaire)” (SW, 32; 40-41) Ò “Andai senza rumore nel corridoio; il cuore mi<br />

batteva così forte che facevo fatica a camminare, ma almeno non batteva più<br />

d’ansia, ma di spavento e di gioia (d’épouvante et de joie)” (35; 44) Ò La<br />

possibilità che la madre vada a dargli l’ultimo bacio (gli ultimi baci), sottrae il<br />

Narratore ad un rischio mortale: l’andare a letto da solo = “scavarmi da me la mia<br />

tomba sistemando le coperte, indossate il sudario della camicia da notte” (SW, 35)<br />

Ò “<strong>Su</strong>bito la mia ansia cadde; adesso non era più fino a domani, come un attimo<br />

prima, che avevo lasciato mia madre, giacché il mio biglietto [...] mi avrebbe fatto<br />

entrare estasiato e invisibile nella sua stessa stanza [...]” (SW, 37-38) Ò “Sapevo


114<br />

Il ricordo involontario è descritto come un ricordo fallito. Avranno<br />

successo solo i ricordi, questa volta incalzanti, della matinèe. Ma è<br />

evidente che il fallimento è descritto in modo perfetto. (Abbiamo già<br />

detto della scrittura contemporanea dell’inizio e della fine della<br />

Recherche)... In modo perfetto, in ogni caso, è descritto il nesso tra<br />

mancanza di volontà e involontarietà della memoria. Basta<br />

considerare il fatto che, quasi senza transizione, si passa dal<br />

racconto del “drame du coucher” a quello del ricordo involontario...<br />

Quando il Narratore scrive, la scena primaria è scomparsa:<br />

“Sono passati parecchi anni da allora. 143 La parete delle scale [...]<br />

non esiste più da molto tempo. [...] Quelle ore mi sono ancora<br />

inaccessibile. Ma da un po’ di tempo ho ricominciato a sentire, molto<br />

bene, se mi concentro, i singhiozzi che ebbi la forza di trattenere [...]”<br />

(SW, 46).<br />

Qualche pagina più avanti: “E così, ogni volta che svegliandomi<br />

di notte mi ricordavo di Combray, per molto tempo non ne rividi che<br />

quella sorta di lembo luminoso ritagliato nel mezzo delle tenebre<br />

indistinte, simile a quelli che l’accensione di un bengala o un fascio di<br />

luce elettrica rischiarano e isolano in un edificio che resta per le altre<br />

parti sprofondato nel buio [...]” (SW, 54). E poco più avanti: “Ma<br />

poiché quello che avrei ricordato sarebbe affiorato soltanto nella<br />

memoria involontaria, dalla memoria dell’intelligenza, e poiché le<br />

informazioni che questa fornisce sul passato non ne trattengono<br />

nulla di reale, io non avrei mai avuto voglia di pensare a quel resto di<br />

Combray. Per me, in effetti, era morto (SW, 54-55)”.<br />

E ecco, immediatamente l’interrogativo: “Morto per sempre?<br />

Poteva darsi. Il caso ha gran parte in tutto ciò, e spesso un secondo<br />

caso, quello della nostra morte, non ci permette di aspettare troppo a<br />

lungo i favori del primo”.<br />

Segue, lo ripetiamo: senza transizione, il primo ricordo<br />

involontario, quello provocato dalla madeleine... Troppo complesso<br />

da ripresentare e commentare. Lo richiamiamo per frammenti<br />

facendo precedere il richiamo, anche questo per frammenti, della<br />

scena I dell’Atto III dell’Amleto che è citato implicitamente (un<br />

che una notte simile non si sarebbe mai ripetuta; che il desiderio più grande che io<br />

avessi al mondo, tenere mia madre con me, nella mia camera, durante le tristi ore<br />

notturne, contrastava troppo con la necessità della vita (était trop en opposition<br />

avec les nécessités de la vie) [di nuovo il categoriale] e con il volere (et le vœu de<br />

tous) di tutti perché l’esaudimento che gli era stato concesso quella sera potesse<br />

essere altro che eccezionale e artificioso” (SW, 43; 53) Ò “Quella dolcezza nuova<br />

(cette douceur nouvelle) che la mia infanzia non aveva mai conosciuta” (SW, 39;<br />

48).<br />

143 “Plus rien de ce qui composait cette scène n’existe plus” (C 8, ES XII, SW, 692).


115<br />

esempio dell’intertestualità proustiana; talvolta recondita). “Essere, o<br />

non essere: questo è il problema [...]. "Morire, dormire... nient’altro<br />

(no more) [...]. È un epilogo da desiderarsi devotamente, morire e<br />

dormire! Dormire, sorse sognare, sì, lì è l’intoppo (ay, there’s the<br />

rub); perché in questo sonno della morte quali sogni possan venire,<br />

quando noi ci siamo sbarazzati di questo terreno imbroglio, deve<br />

farci riflettere (must give us pause). [...]. Chi vorrebbe portar fardelli,<br />

gemendo e sudando sotto una gravosa vita, se non che il timore di<br />

qualche cosa dopo la morte, il paese non ancora scoperto dal cui<br />

confine nessun viaggiatore ritorna (But that the dread of something<br />

after death,"The undiscovered country, from whose bourn, no<br />

traveller), confonde la volontà (returns, puzzles the will), e ci fa<br />

piuttosto sopportare i mali che abbiamo, che non volare verso altri<br />

che non conosciamo? Così la coscienza ci rende vili (thus<br />

conscience does make cowards of us all), e così la tinta nativa della<br />

risoluzione (and thus the native hue of resolution) è resa malsana (is<br />

sicklied o’er) dalla pallida cera del pensiero, e imprese di grande<br />

altezza e importanza per questo scrupolo deviano le loro correnti e<br />

perdono il nome d’azione”.<br />

Leggendo il testo proustiano incontriamo il dilemma vita/morte;<br />

più profondo quello morte/altra vita (sonno/sogni); il ritorno possibile<br />

dalla terra da cui Shakespeare sembra sostenere che nessuno è<br />

tornato: come dire, nessuno tranne <strong>Proust</strong>! E la viltà 144 che non<br />

consente il ritorno (la resurrezione). Tale ritorno costituisce l’“opera”:<br />

“Depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo. Tocca a lui trovare la<br />

verità. Ma come? Grave incertezza, ogni qualvolta l’animo nostro si<br />

sente sorpassato da se medesimo; quando lui, il ricercatore, è al<br />

tempo stesso anche il paese tenebroso dove deve cercare e dove<br />

tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. (grave incertitude, toutes<br />

les fois que l’esprit se sent dépassé par lui-même; quand lui, le<br />

chercheur, est tout ensemble le pays obscur où il doit chercherer où<br />

son bagage ne lui sera de rien). Cercare? Non soltanto: creare<br />

(Chercher? pas seulement: créer). Si trova di fronte a qualcosa che<br />

ancora non è, e che esso solo può rendere reale, poi far entrare nella<br />

sua luce. E ricomincio a domandarmi che mai potesse essere quello<br />

stato sconosciuto, che non portava con sé alcuna prova logica, ma<br />

l’evidenza della sua felicità, della sua realtà dinanzi alla quale ogni<br />

altra svaniva (et je recommence à me demander quel pouvait être cet<br />

état inconnu, qui n’apportait aucune preuve logique, mais l’évidence<br />

144 (Nelle Intermittenze del cuore, ritorna la “pusillanimità (pusillanimité)” SG, 759;<br />

920); e sempre nel bel mezzo di un ricordo involontario, come ostacolo al suo<br />

pieno dispiegarsi.


116<br />

de sa félicité, de sa réalité devant la quelle les autres<br />

s’évanousissaient). Voglio provarmi a farlo riapparire (je veux<br />

essayer de le faire réapparaître). Indietreggio col pensiero al<br />

momento in cui ho bevuto il primo sorso di tè. Ritrovo lo stesso stato,<br />

senza alcuna luce. Chiedo al mio animo ancora uno sforzo (je<br />

demande à mon esprit un effort de plus), gli chiedo di ricondurmi di<br />

nuovo la sensazione che sfugge. [...]. Ma, sentendo come l’animo<br />

mio si stanchi senza successo, lo costringo a prendersi quella<br />

distrazione che gli rifiutavo, a pensare ad altro, a ripigliar vigore<br />

prima d’un tentativo supremo. [...]. Toccherà mai la superficie della<br />

mia piena coscienza quel ricordo, l’attimo antico che l’attrazione d’un<br />

attimo identico è venuta così di lontano a richiamare, a commuovere,<br />

a sollevare nel più profondo di me stesso? Non so. [...]. Debbo<br />

ricominciare, chinarmi su di lui dieci volte. E ogni volta la viltà, che ci<br />

distoglie da ogni compito difficile, da ogni impresa importante, m’ha<br />

consigliato di lasciar stare (et chaque fois la lâcheté 145 qui nous<br />

détourne de toute tâche difficile, de toute œuvre importante), di bere<br />

il mio tè pensando semplicemente ai miei fastidi di oggi, ai miei<br />

desideri di domani, che si possono ripercorrere senza fatica. E ad un<br />

tratto il ricordo m’è apparso [...]” (SW 44 sgg., 55 SGG.).<br />

4) L’ultima edizione<br />

Le pagine appena scorse sono bellissime.<br />

Un capolavoro.<br />

Contengono una critica letteraria; una critica memorialistica;<br />

uno studio psicologico... Tutto quel che noi abbiamo tralasciato di<br />

valorizzare e fa parte della ricchezza sovrabbondante ma puntuale di<br />

queste pagine.<br />

Che sono scritte dal Narratore che ha capito tutto; che, infatti,<br />

ha scritto, insieme, la prima e l’ultima parte della sua ricerca.<br />

Andiamo all’ultima edizione (TR, 1034-1048; 744-761).<br />

L’ultima edizione arriva in tre ondate.<br />

La prima.<br />

Il ricordo di quella sera e di quella notte incalza da qualche<br />

pagina: “E avrei finalmente realizzato ciò che tanto avevo desiderato,<br />

e creduto impossibile (impossible), così come, avevo creduto<br />

impossibile (impossible), tornando casa, abituarmi ad andare a<br />

145 Il “courage” è stato nominato in un brouillon preparatorio spostato nel Tempo<br />

ritrovato (in cui si incontrno la “minute extratemporelle” e l’“homme<br />

extratemporel”...dell’Esquisse XI (SW, C 25, ES XIV, 701.


117<br />

dormire senza il bacio di mia madre (sans embrasser ma mère) o,<br />

più tardi, all’idea che ad Albertine piacessero le donne, l’idea con la<br />

quale alla fine ero riuscito a convivere senza nemmeno accorgermi<br />

della sua presenza: perché né i nostri peggiori timori né le nostre<br />

maggiori speranze sono al di sopra delle nostre forze, e possiamo<br />

riuscire a dominare gli uni e a realizzare le altre” (Tr, 1045; 745).<br />

L’impossibile è diventato, sta per diventare, possibile.<br />

Poco fa il Narratore ha detto che non c’è nulla che la nostra<br />

intelligenza non riesca a fronteggiare: “Dove la vita mura,<br />

l’intelligenza apre una via di scampo, giacché se non esistono rimedi<br />

a un amore non condiviso, dalla, dalla constatazione di una<br />

sofferenza si esce, non foss’altro che traendone tutte le<br />

conseguenze. L’intelligenza ignora le situazioni bloccate, prive di vie<br />

di scampo, della vita” (TR, 589). 146<br />

La premessa della prima vague dell’ultima edizione è l’intera<br />

matinée-rappresentazione della morte (su questo più avanti).<br />

Come riprendendo il discorso interrotto?<br />

Ricordate?<br />

“Morto per sempre?”<br />

Ora la fine incombe, il Narratore ha scoperto l’“idea del Tempo”:<br />

“ma [...] era ancora tempo, e io stesso sarei stato ancora in grado?<br />

[...]. Ma già scende la notte durante la quale non si può più dipingere,<br />

e sulla quale il giorno non tornerà più ad alzarsi. [...]. Giacche la mia<br />

ora poteva suonare fra pochi minuti (car mon heure pouvait sonner<br />

dans quelques minutes). Bisognava tener presente, infatti, che avevo<br />

un corpo, ossia che ero continuamente minacciato da un doppio<br />

pericolo, esterno e interno. [...]. E avere un corpo è la peggiore<br />

minaccia per la mente. La vita umana e pensante (pensante), di cui<br />

bisogna dire non tanto che è un miracoloso perfezionamento della<br />

vita animale e fisica, quanto che è un’imperfezione – non meno<br />

rudimentale, ancora, dell’esistenza dei protozoi in polipai, del corpo<br />

della balena ecc. – nell’organizzazione della vita spirituale. Il corpo<br />

tiene chiuso lo spirito in una fortezza; presto la fortezza è assediata<br />

da ogni parte, e alla fine bisogna che lo spirito si arrenda” (TR, 1035;<br />

745).<br />

146 “E quest’inferiorità dell’intelligenza tocca tuttavia all’intelligenza stabilirla.<br />

Perché, se non merita la suprema corona, essa sola è capace di assegnarla”<br />

(CSB, 10). Vedi l’incipit della lettera Louis de Rober del maggio 1913: “Mon chier<br />

ami, l’aissez-moi vous dire que je suis arrivé à me rendre compte que les<br />

impossibilités les plus inéluctables n’existent pas” (Correspondance, op. cit., vol.<br />

XII, p. 170).


118<br />

In questo passo, come quasi in tutti, si affollano tantissimi<br />

pensieri; la notte durante la quale non si può dipingere richiama<br />

Giovanni 9, 4 (“la notte viene in cui nessuno può operare”) 147 – tra<br />

poco sarà richiamato in Giovanni 12, 24, il seme che deve morire per<br />

portare frutto) –, la vita “pensante” richiama la canna pensante di<br />

Pascal, l’essere dell’uomo come il meno attrezzato richiama<br />

Nietzsche e i greci...<br />

Ma, di nuovo, l’impossibile sta diventando possibile; non ostanti<br />

le forze immani da poco evocate.<br />

Seconda ondata.<br />

Il Narratore sta pensando al suo libro: “Se avessi lavorato,<br />

sarebbe stato solo di notte (ce ne serait que la nuit)” (TR, 1043; 755).<br />

Interrompiamo per una osservazione. Straordinario: la nuova<br />

edizione definisce la notte non come il luogo in cui egli riesce a<br />

dormire se non baciato e ribaciato dalla madre, ma come il luogo in<br />

cui egli lavorerà; meglio, lavorerà solo di notte (nonostante la notte<br />

147 Già in una lettera Georges de Lauiris dell’8 novembre 1908: “Georges, quand<br />

vous le pourrez: travaillez. Ruskin a dit quelque part une chose sublime et qui doit<br />

être devant votre esprit chaque jour, quand il a dit que les deux grands<br />

commandements de Dieu (le deuxième est presque entèrement de lui mais cela ne<br />

fait rien) étaient: ‘Travaillez pendant que vous avez encore la lumière’ et ‘Soyez<br />

miséricordieux pendant que vous avez encore la miséricorde. [...]. Après le premier<br />

comandement tiré de Saint-Jean vient cette phrase: car bientôt vient la nuit où l’on<br />

ne peut plus rien faire (je cite mal). Je suis déjà, Georges, à demi dans cette nuit<br />

malgré de passagères apparences qui ne signifient rien. [..]. Alors si la vie apporte<br />

des déboires on s’en console car la vraie vie est ailleurs, non pas dans la vie<br />

même, ni après, mais au dehors, si un terme qui tire son origine de l’espace a un<br />

sens en un mondo qui en est affranchi [...]’” (CORR, VIII, 1981285-286). (In cauda<br />

un evidente accenno all’atemporalità-aspazialità). Sempre a Georges de Lauris, 6<br />

marzo 1909: “I gesti sono meno importanti di ciò che si dice, ciò che si dice lo è<br />

memo di ciò che si scrive, e la realtà è altrove (la réalité est ailleurs)” (CORR, IX, p.<br />

62; LG, 935). Sempre a George de Lauris, nel dicembre del 1908, autoironicamente<br />

aveva detto: “Vous ai-je parlé d’une pensée de Saint-Jean: Travaillez<br />

pendant que vous avez en ore la lumière. Comme je n’ai plus je me mets au<br />

travail” (CORR, VIII, 316). A Robert Dreyfus, 16 maggio 1908: “Sit tratterà di una<br />

novella e quindi ci sarà il tempo di riparlarne, Ma la stessa ragione per cui penso<br />

che l’importanza e il carattere sovrasensibile dell’arte facciano forse sì che certi<br />

romanzi aneddotici, per quanto gradevoli, non meritino del tutto l’alta valutazione<br />

che sembri darne (l’arte essendo troppo superiore alla vita, quale la giudichiamo<br />

con l’intelligenza e la descriviamo con le parole, perché ci si possa accontentare di<br />

copiarla): la stessa ragione non mi consente di fare dipendere la realizzazione di<br />

un progetto artistico da elementi essi stessi aneddotici e troppo attinti alla vita per<br />

non partecipare della sua contingenza e della sua irrealtà (et à son irréalité)”<br />

(CORR, VIII, 123; LG, 894).


119<br />

sia, per antonomasia, Vangelo docet, il luogo in cui non si può<br />

operare). 148<br />

“Ma vi sarebbero volute molte notti, forse cento, forse mille [egli<br />

stesso precisa più avanti che sta pensando a le Mille e una notte].<br />

[...]. Un giorno anche i miei libri, come il mio essere di carne,<br />

avrebbero certo finito per morire. Ma bisogna rassegnarsi a morire.<br />

Si accetta il pensiero che fra dieci anni, fra cento anni noi, i nostri<br />

libri, non ci saremo più. La durata eterna non è promessa ai libri più<br />

che agli uomini”.<br />

Di nuovo, come riprendendo un filo interrotto: “Ma ero, io,<br />

ancora in tempo? Non era troppo tardi? Non mi chiedevo soltanto:<br />

Sono ancora in tempo?’ ma: ‘Sono ancora in grado?’ La malattia che<br />

facendomi, come un rude direttore di coscienza, morire al mondo, mi<br />

aveva favorito, ‘perché se il seme, dopo esser stato messo nella<br />

terra, non muore, rimarrà solo, ma se muore recherà molti frutti’, la<br />

malattia dalla quale, dopo che l’indolenza m’aveva protetto contro la<br />

facilità, sarei stato forse protetto dall’indolenza, la malattia aveva<br />

logorato le mie forze e come avevo notato da tempo, soprattutto<br />

quando avevo smesso di amare Albertine, le forze della mia<br />

memoria. Ora, la ricreazione tramite la memoria di impressioni che<br />

sarebbe stato necessario approfondire, chiarire, trasformare in<br />

equivalenti dell’intelligenza (or la recréation par la mémoire<br />

d’impressions qu’il fallait ensuite approfondir, éclairer, transformer en<br />

équivalents d’intelligence), non era forse una delle condizioni, quasi<br />

l’essenza stessa dell’opera d’arte (de l’œuvre d’art) quale l’avevo<br />

concepita poco fa nella biblioteca?” (TR, 1044; 755-756). 149<br />

E qui il pensiero va al François le Champi lettogli una volta dalla<br />

mamma e ricordato poco fa nella biblioteca: “Era quella sera – la<br />

sera dell’abdicazione di mia madre – che era cominciato, insieme<br />

alla morte lenta della nonna, il declino nel momento in cui, non<br />

sopportando più d’aspettare l’indomani per posare le labbra suo viso<br />

di mia madre (pour poser mes lèvres sur le visage de ma mère),<br />

148 Come fare a non pensare a Kafka?<br />

149 A Robert de Montesquiou, novembre 1905: “Mais je suis vencu par la douleur,<br />

par la maladie, chaque jour quand je crois m’etre rendu maître, non par la volonté<br />

hélas, mais par l’intelligence, de ma peine, quand je crois la connaître, en avoir fait<br />

le tour et que je crois que ce chagrin que je veux pour compagnon de toute ma vie<br />

n’a plus de secrets pour moi, alors à ce moment, au hasard d’une impresison, une<br />

nouvelle douleur surgit, la même mais qui a tellement une autre force que je<br />

retombe sous un nouvel inconnu” (CORR, V, 367): “Ce n’est pas en trempant une<br />

madeleine dans une infusion. Mais dans ses expériences douloureusement<br />

cruciales qu’il da découvert le principe d’où sortira À la recherche tu tamps perdu”<br />

(Duchêne, op. cit., p. 524).


120<br />

avevo preso la mia risoluzione (j’avais pris ma résolution), ero saltato<br />

dal letto ed ero andato, in camicia da notte, a installarmi davanti alla<br />

finestra (à la fenêtre) da cui entrava la luce della luna (par où entrait<br />

le clair de la lune) finché non avessi sentito andar via il signor<br />

Swann. I miei genitori l’avevano accompagnato, avevo sentito il<br />

cancelletto del giardino aprirsi, suonare (sonner), rinchiudersi. Di<br />

colpo (tout d’un coup), allora, pensai [...]”<br />

Sonner...<br />

Ed ecco, in due pagine, l’ultima vague: “Se era questa nozione<br />

del tempo incorporato, degli anni passati come non separati da noi,<br />

che io avevo ora intenzione di mettere così fortemente in rilievo, era<br />

perché in quello stesso momento, nel palazzo del principe di<br />

Guermantes, il rumore dei passi (le bruit des pas) dei miei genitori<br />

che accompagnavano il signor Swann, il tintinnio saltellante,<br />

ferruginoso, instancabile, stridulo e fresco della campanella (ce<br />

tintement rebondissant, ferrugineux, intarissable, criard et frais),<br />

annuncio che il signor Swann se n’era finalmente andato e che la<br />

mamma stava per salire, io li sentiti ancora, sentii proprio loro (euxmêmes),<br />

pur situati così lungi nel passato. Allora, pensando a tutti<br />

gli avvenimenti che si collocavano per forza di cose fra l’istante in cui<br />

li avevo sentiti e il ricevimento Guermantes, mi fece spavento<br />

pensare che fosse proprio quella campanella a tintinnare ancora<br />

dentro di me (c’était bien cette sonnette qui tintait en moi), senza<br />

ch’io potessi cambiare nulla alle note stridule del suo sonaglio (sans<br />

que je pusse rien changer aux criallements de son grelot), visto che,<br />

non ricordando più bene come si spegnessero, per riapprenderlo, per<br />

ascoltarlo bene, dovetti sforzarmi di non sentire più il suono delle<br />

parole (je dus m’efforcer de ne plus entendre le son des<br />

conversations) che le maschere si scambiavano attorno a me. Per<br />

cercare di sentirlo più da vicino ero costretto a discendere in me<br />

stesso (s’est en moi-même que j’étais obligé de redescendre). Quel<br />

tintinnio (ce tintement) dunque, era sempre stato lì, e così, fra lui e<br />

l’istante presente, tutto quel passato indefinitamente trascorso che<br />

non sapevo di portare con me. Quando la campanella aveva suonato<br />

(quand elle avait tinté) io esistevo già, e dopo, perché sentissi ancora<br />

quel tintinnio (ce tintemant), bisognava che non ci fosse stata<br />

discontinuità, che nemmeno per un istante avessi cessato, mi fossi<br />

preso il riposo di non esistere, di non pensare, di non avere<br />

coscienza di me (conscience de moi), giacché quell’istante lontano<br />

stava ancorai in me, potevo ritrovarlo, tornare sino a lui, solo<br />

scendendo più profondamente in me (rien qu’en descendant plus<br />

profondément en moi). Ed è perché contengono così le ore del


121<br />

passato che i corpi umani possono fare tanto male a chi li ama,<br />

perché contengono tanti ricordi di gioie e di desideri già cancellati per<br />

loro, ma tanto crudeli per chi contempla e prolunga nell’ordine del<br />

tempo il corpo adorato di cui è geloso, geloso fino a sperarne la<br />

distruzione. Infatti dopo la morte il Tempo si ritira dal corpo, e i ricordi<br />

– così indifferenti, così sbiaditi – sono cancellati da colei che non è<br />

più e presto lo saranno da colui che ancora torturano, ma nel quale<br />

finiranno col perire quando il desiderio di un corpo vivo smetterà di<br />

alimentarli. Profonda Albertine (profonde Albertine) che io vedevo<br />

dormire e che era morta” (TR, 1046-1047; 759-760; l’ultima frase<br />

nell’edizione curata da Tadiè, TR, 624).<br />

Che ve ne sembra?<br />

Non è detto nulla di nuovo; ma a parte la decisiva discesa nel<br />

profondo (seguendo Albertine “la profonda”: torneremo sulla tappa<br />

cruciale rappresentata dai baci e dagli abbracci con A.), avviene<br />

qualcosa, come dire, sul piano grammaticale (o glossologico) che<br />

acumina – ma ce n’era bisogno? – la conscience de soi.<br />

Per il Narratore ce n’era bisogno.<br />

Componiamo una sequenza: ce tintement rebondissant,<br />

ferrugineux, intarissable, criard et frais [...] c’était bien cette sonnette<br />

qui tintait en moi [...] sans que je pusse rien changer aux criallements<br />

de son grelot [...] je dus m’efforcer de ne plus entendre le son des<br />

conversations [...] s’est en moi-même que j’étais obligé de<br />

redescendre [...] rien qu’en descendant plus profonément en moi.<br />

Ricordiamo, ora, le due sequenze presentate in Dalla parte di<br />

Swann:<br />

– la prima relativa alla distinzione tra assidui, familiari, e stranieri:<br />

non pas le grelot profus et criard [...] de son bruit ferrugineux,<br />

intarissable et glacé [...] mais le double tintement timide, ovale<br />

et doré de la clochette pour les étrangers;<br />

– la seconda relativa alla partenza di Swann (le famose dieci<br />

pagine): sonné [...] et quand le grelot de la porte m’eut averti<br />

qu’il venait de partir [...] comme ces cloches de couvents [...] se<br />

remettent à sonner dans le silence du soir.<br />

Sopra abbiamo pensato che il testo di Dalla parte di Swann<br />

suggerisse la caratterizzazione di Swann come discreto, anche se<br />

“straniero” (potenziale “nemico”); ma abbiamo visto anche il<br />

familiare” (heimlich) è il potenzialmente nemico... Nemica<br />

(potenziale), potenziale estranea, è la madre (a parte il padre etc.)...<br />

Nemico/estraneo (a se medesimo) è il Narratore...<br />

È proprio questo che il “ritrovamento” segnala.


122<br />

Infatti, quel che avviene in sede di ritrovamento concerne il<br />

“drame” nel suo svolgimento; addirittura, nella sua fase culminante:<br />

“Si c’était cette notion du temps incorporé [...] que j’avais maintenant<br />

l’intention de mettre si fort en relief, c’est qu’à ce moment même,<br />

dans l’hôtel du prince Guermantes, ce bruit des pas de mes parents<br />

conduisant M. Swann, ce tintement [...]” (TR, 1046). Si parla<br />

esclusivamente del “bruit” etc. che si accompagna alla fine della<br />

visita di Swann (e all’inizio della fase culminante che possiamo<br />

collocare nel “couloir”). Completiamo la frase: “[...] ce tintement<br />

rebondissant [...] qui m’annonçait qu’enfin M. Swann était parti et que<br />

maman allait monter, je les antendis encore, je les entendis euxmême.<br />

Eux situés pourtant si loin dans le passé”.<br />

Mi sembra chiaro: chi “monte” è il nemico; lo scontro sarà<br />

aspro. Quei passi, non solo quelli che hanno accompagnato Swann<br />

alla “porte” ma soprattutto quelli fatti verso la “chambre”... “io li sentii<br />

ancora, sentii proprio loro”...<br />

Basta questo... Teniamo in mente che il ritrovamento è il<br />

ritrovamento di se stesso; della propria mamma in se stesso...<br />

Ma concludiamo: il Narratore è assalito da stanchezza e<br />

sgomento; perché, sente (e capisce) che tutto quel tempo (“senza<br />

una sola interruzione”), non solo era la sua vita (“non solo era la mia<br />

vita”), ma anche...: (non solo era me stesso) “ma anche che dovevo<br />

tenerlo ogni minuto (toute minute) attaccato a me, che mi faceva da<br />

sostegno (qu’il me supportait), a me che, appollaiato sulla sua<br />

sommità vertiginosa, non potevo muovermi senza spostarlo. 150 La<br />

data in cui sentivo il rumore della campanella del giardino (le bruit de<br />

la sonnette du jardin) di Combray, così lontana eppure interiore (si<br />

distant et pourtant intérieur), era un punto di riferimento (un point de<br />

repère) in quella dimensione enorme che non sapevo di possedere.<br />

Avevo le vertigini vedendo sotto di me, eppure in me, come se la mia<br />

altezza fosse di leghe, un tale numero di anni” (TR, p. 1047; 760).<br />

Straordinario: la sonnette, da ricordo lancinante, diventa un<br />

punto di riferimento. La notte “la più dolce e la più triste” della sua<br />

vita, 151 diventa “distante eppure interiore”.<br />

150 Togliere: “come potevo invece fare con lui”...<br />

151 “Ma era piuttosto nella storia della mia propria vita, ossia non da semplice<br />

curioso, che l’avrei trovata [la bellezza del libro]; e collegandola, più spesso che<br />

all’esemplare materiale, all’opera, come a quel François le Champi contemplato<br />

per la prima volta nella mia cameretta di Cambray, durante la notte più dolce e più<br />

triste, forse, della mia vita (pendant la nuit peut-être la plus douce et la plus triste<br />

de ma vie), quando avevo, ahimè! (in un periodo in cui i misteriosi Guermantes mi<br />

sembravano tanto inaccessibili), ottenuto dai miei genitori una prima abdicazione<br />

dalla quale potevo far datare il declino della mia salute e della mia volontà, la mia


123<br />

La distanza diventa interiore.<br />

La dimensione del tempo diventa interiore.<br />

Egli stesso, al pari di coloro di cui riuscirà forse, prima della fine<br />

della sua vita – se il tempo mi basterà “a compiere la mia opera<br />

(accomplir mon œuvre)” –, a descrivere, è diventato un “mostro”;<br />

arrampicato sui trampoli (questi “aumentano senza sosta sino a<br />

diventare, a volte, più alti dei campanili” = il ricordo va<br />

immediatamente ai campanili, quella volta non metaforici, di una<br />

delle prime memorie involontarie). 152<br />

Sa che la forza di “tenere attaccato” a sé “quel passato che<br />

scendeva già a tale lontananza” non è infinita...<br />

L’abbiamo visto: l’eterno, ahimè, dura un momento.<br />

Il tempo di cui il Narratore ha colto la “dismisura (sans<br />

mesure)”, l’enormità, è stato da lui colto nel suo essere senza<br />

misura.<br />

E, miracolo, l’incommensurabile è diventato misurabile: detto tra<br />

parentesi: “(Era per questo [il Narratore ha appena ricordato il duca<br />

di Guermantes vacillante sulle gambe malferme] che il volto degli<br />

uomini d’una certa età era così impossibile confonderlo, anche per gli<br />

occhi dei più ignari, con quello di un giovane, e non appariva che<br />

attraverso una sorta di nuvola di serietà)”.<br />

Il metro non serve a misurare il non misurabile.<br />

Eppure il Narratore è riuscito a misurare.<br />

L’enormità della dimensione del tempo...<br />

(Purtroppo Leo Spitzer, che ci ha lasciato annotazioni<br />

interessantissime sullo stile di <strong>Proust</strong>, ha lavorato solo su Du côté de<br />

chez Swann perché esso “anticipa già tutti i personaggi e tutti i temi<br />

dei volumi successivi). 153<br />

rinuncia ogni giorno più grave a un compito difficile – e ritrovavo oggi nella<br />

biblioteca dei Guermantes [..]” (TR, pp. 886-887; 567).<br />

152 Data l’enorme cultura di <strong>Proust</strong> e stante il contributo costante e ricchissimo che<br />

questa sua cultura dà ad ogni frase, la tessitura della frase, è impensabile che la<br />

mente di <strong>Proust</strong> qui non sia andata a Montaige: “Così abbiamo un bel montare sui<br />

trampoli (sur des es), ma anche sui trampoli (sur des hechasses) bisogna<br />

camminare con le nostre gambe. Ed anche sul più alto tronco della terra non siamo<br />

seduti che sul nostro culo)” (Essais, Gallimard, 2009, vol. III, p. 481; édition Villey-<br />

Saulnier, PUF, Paris, 2004, 115; tr. it. Saggi, Casini Ed., Roma, 1953, p. 1168).<br />

153 <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> e altri saggi di letteratura francese moderna, Einaudi, Torino,<br />

1959, pp. 231-336. Spitzer colloca tra le “triadi simmetricamente costruite: “le grelot<br />

profus et criard qui arrosait, qui étourdissait au passage de son bruit ferrugineux,<br />

intairissable et glacé... mais le double tintement timide, ovale et doré de la<br />

clochette” (SW, 14) insieme a “C’était le clocher de Saint-Hilaire qui donnait à<br />

toutes les occupations, à toutes les heures, à tous les points de vue de la ville, leur<br />

figure, l5)eur couronnement, leur consécration” (SW, 64) (ibidem, p. 245). Cita


124<br />

5) Un ajout su “car mon heure pouvait sonner dans quelques<br />

minutes”<br />

In un frammento di Jean Santeuil, – I Monet del marchese di<br />

Révellion – in modo impressionante, <strong>Proust</strong> si affaccia al luogo che<br />

non è un luogo, al di-là a cui manca il “di” e il “là”.<br />

Citiamo (correggendo qua e là la traduzione di Fortini),<br />

segnalando l’essenziale con l’abbinamento dell’originale: “Ognuno di<br />

essi [luoghi] ha di volta in volta le sue differenti espressioni, onde chi<br />

ama un luogo ama i tempi diversi e tutte le ore di quel luogo (aime<br />

les temps différents et toutes les heures). Poiché sente che la vita di<br />

un luogo, per quanto possa sembrare poco animata, è in realtà molto<br />

più varia di quanto siamo soliti credere. Quando, mentre già il sole si<br />

fa penetrante, il fiume dorme ancora nei sogni della nebbia, noi non<br />

lo vediamo più di quanto esso stesso si veda (nous ne la voyons pas<br />

plus qu’elle ne se voit elle-même). Qui è già il fiume, ma là lo<br />

sguardo è interrotto, si vede solo il nulla (on ne voit plus rien que le<br />

néant), una bruma che impedisce di guardar più lontano. In quella<br />

parte della tela, non dipingere né quel che si vede, poiché non si<br />

vede nulla, né quel che non si vede, perché si deve dipingere solo<br />

quel che si vede, ma dipingere che non si vede, e che all’occhio<br />

incapace di vogare sulla nebbia sia inflitta sulla tela la medesima<br />

sconfitta che ha subìto sul fiume, questo è davvero bello (à cet<br />

endroit de la toile, peindre ni ce qu’on voit puisqu’on ne voit rien, ni<br />

ce qu’on ne voit pas puisqu’on ne doit peindre que ce qu’on voit,<br />

mais peindre qu’on ne voit pas, que la déffaillance de l’œil qui ne<br />

peut pas voguer sur le brouillard lui soit infligée sur la toile comme<br />

sur la rivière, c’est bien beau). E è bello anche quando si tratta di una<br />

cattedrale, perché il portale che non si vede è una cosa molto bella<br />

ma è una cosa che vive nella natura. E certe ore della propria vita<br />

sono nel non sono viste (et certaines heures de sa vie sont de ne<br />

pas être vues), nell’essere visitate dalla nebbia e allora nessuno può<br />

avvicinarle, e quest’ora della propria vita è bella anch’essa (et cette<br />

heure de sa vie est belle aussi). Noi non sapevamo tutto quel che c’è<br />

di reale e di vario nella vita del luogo che amiamo, anche l’ora nella<br />

quale non è più un luogo e che tuttavia non lo rende puramente<br />

negativo perché il suo incanto può essere manifestato (même l’heure<br />

où il n’est point vu et qui n’est pas purement négatif puisque le<br />

sempre “le grelot profus et criard qui arrosait, qui étourdissait au passage de son<br />

bruit” (S, 14) a proposito dell’anafora insieme a “il fallait que je le [le baiser] prisse,<br />

que je le dérobasse brusquenment, publiquement” (SW, 23) (ibidem, p. 259).


125<br />

charme de cela peut être rendu). Sappiamo bene che quel luogo è<br />

bello d’autunno, quando è quasi trasfigurato, ma lo avremmo amato<br />

meglio se non lo avessimo avuto in un solo momento dell’anno come<br />

uno spettacolo, se avessimo amato tutte le ore della sua vita perché<br />

manifestano appunto la sua vita, la sua vita, (si nous avions aimé<br />

toutes les heures de sa vie parce qu’elles manifestent sa vie, sa vie)<br />

quando l’estate fa tanto ardenti le tegole del tetto della chiesa e orla il<br />

sentiero familiare di tanti papaveri fioriti e manipoli di fieno, o se, un<br />

giorno di sgelo, invece di andarcene quasi colui che senza toccarlo<br />

scorreva su quel paesaggio fosse stato un nemico estraneo a quel<br />

luogo, noi avessimo veduto il sole, il turchino del cielo, il ghiaccio<br />

spezzato, il fango, l’acqua corrente far del fiume uno specchio<br />

abbacinante che l’occhio non può fissare e dove non può più<br />

riconoscersi (que lœil ne peut fixer et où il ne peut se reconnaître),<br />

non riuscendo a ritrovar la forma di nulla (ne retrouvant la forme de<br />

rien), mentre gli alberi spogli e lucidi di brina son là, intorno ad una<br />

radura o lungo qualche riva, chi sa (on ne sait)” (JS, 896-897; 470-<br />

771).<br />

Sembra proprio che <strong>Proust</strong>, superando ogni problematica della<br />

memoria, volontaria o involontaria, colga la vita anche là dov’essa<br />

non è: “non è”; bel diverso da “non è più”.<br />

Non si tratta di ricordare quel che s’è vissuto; si tratta di vivere il<br />

non-vissuto! E il non-vivibile.<br />

6) I suoni nei Cahiers<br />

Prendetelo come un divertissement: ho recuperato nei Cahiers i<br />

testi preparatori delle scene, come dire, “sonore”, commentate in<br />

questo capitolo. Le cito qui sotto.<br />

SILLOGE dei testi preparatori del “drame du coucher” in due<br />

tranche:<br />

– quella relativa alla costruzione dello scenario rassomiglia molto<br />

a quella di La strada di Swann: bruit de cloche [...] le carillon<br />

profus, étourdissant et criard [...] ses tintements ferrugineux et<br />

glacés [...] sans sonner [...] le double tintement timide, ovale,<br />

doré de la sonnette des ‘étrangers’ (680-681);


126<br />

– quella relativa all’arrivo e alla partenza di Swann: neuf heures<br />

sonnent (688) la sonnette retentit (688) un bruit de pas sur le<br />

gravier puis la sonnette de la porte (890). 154<br />

Notiamo che (1) tutto avviene nel giro di tre pagine (contro le<br />

dieci del testo pubblicato); che (2) si passa senza transizione dall’o<br />

scamanellare per il prazo, a quello per l’arrivo di Swann a quello per<br />

la sua partenza; (3) e che, immediatamente, segue l’osservazione:<br />

“C’était le momenti où on allait monter” (691): impersonale; non sale<br />

un nemico; salgono i nemici (tra questi ci siamo anche noi: “si sale”).<br />

A questa frase incardinata sull’impersonale segue: “Il fallai<br />

envisager les choses en face. [...]. Bientôt j’entendis Maman qui<br />

montait fermer sa fenêtre, j’allai dans le couloir sans bruit. Mon cœur<br />

battai [...]”...<br />

Nel silenzio più profondo – almeno per quel che riguarda il<br />

Narratore, “sans bruit” – quel che si fa sentire (“battait”) è il suo<br />

cuore.<br />

Anticipiamo: dai Cahiers al testo definitivo, il passaggio<br />

evidente, per quel che riguarda Dalla parte di Swann, dal momento<br />

della formulazione della premessa – penso alla differenza tra<br />

heimlich e un-heimlich (per dirla freudianamente) –, al momento della<br />

descrizione della crisi scandita in varie tappe.<br />

Anticipiamo sempre: inversamente, nel Tempo ritrovato,<br />

abbiamo il passaggio da una descrizione dettagliata (addirittura,<br />

dispersa) ad una oltremodo sintetica.<br />

SILLOGE dell’ultima ora: un bruit de pas [...] la sonnette de la<br />

porte [...] le ressort déclenché de l’horologerie va sonner l’heure?<br />

L’heure! Mais < la > dernière heure.<br />

SILLOGE dal Tempo ritrovato: le son rebondissant, rougeâtre,<br />

cressonier et criard de la petite sonnette [...] je l’ententais encore en<br />

moi sonner [...] son tintement [...] son grelot [...] descendis en moimême<br />

[...] écouter de plus près son tintement [...] elle avait retenti à<br />

mes oreilles à Combray [...] jusqu’au jour où tinte la petite sonnette<br />

de Combray [...] sans avoir à sortir de moi<br />

1.<br />

“Les soirs où assis autour de la petite table de fer, dévant le perron,<br />

nous entendions au bout du jardin non pas le carillon profus,<br />

étourdissant et criard qui arrosait au passage de la pluie multipliée<br />

de ses tintements ferrugineux et glacés toute personne de la maison<br />

qui entrait sans sonner, mais le double tintement timide, ovale, doré<br />

154 Vedi nelle esquisses del Tempo ritrovato quel che manca qua: “[...] les aprèsmidi<br />

de Combray dans le bruit de cloche de l’horologe de mon voisin [...]” (C 57,<br />

ES XXXI, ES XLI.2, TR, 847).


127<br />

de la sonnette des ‘étrangers’” (C 8, ES XII, SW, 680-681) + “[...] je<br />

fixais avant que neuf heures sonnent la place de la joue de maman<br />

où je l’embrassai” (C 8, ES XII, 688) + “j’avais entraîné Maman<br />

dans le vestibule pour lui dire bonsoir et ne l’avais pas encore<br />

embrassée quand la sonnette retentit, c’était M. Swann; à ce<br />

moment mon père ouvre la porte, dit: ‘Voyons, on sonne, monte’”<br />

(C8, ES XII, SW, 688) + “Je m’assis au pied du lit et quand un bruit<br />

de pas sur le gravier puis la sonnette de la porte m’eurent averti que<br />

M. Swann venait de partir, j’entrouvris la fenêtre” (C 8, ES XII, SW,<br />

890) + “[...] les après-midi de Combray dans le bruit de cloche de<br />

l’horologe de mon voisin [...]” (C 57, ES XXXI, ES XLI.2, TR, 847).<br />

2.<br />

L’appressarsi dell’ultima ora (arriva la notte nella quale non si<br />

può più “operare”): “Capitalissime. [...]. Dans l’ignorance, qui est la<br />

notre aussi, d’une aiguille qui est arrêtée et qui ne sait pas, au point<br />

où le ressort déclenché de l’horologerie va sonner l’heure? L’heure!<br />

Mais < la > dernière heure. Peut-être ma crainte d’avoir déjà<br />

parcouru presque tout entier ma minute qui la précède, quand déjà le<br />

coup se prépare, le coup dans mon cerveau [...]” (C 57, ES LX, TR,<br />

943).<br />

3.<br />

“E tout d’un coup entendant dans mon souvenir mes parents<br />

qui accompagnaient M. Swann vers la porte, puis le son<br />

rebondissant, rougeâtre, cressonier et criard de la petite sonnette qui<br />

me signifiait qu’il venait de partir, je l’ententais encore en moi sonner<br />

à cette époque qui était encore actuelle et qui ne mettait à sa date<br />

que le événements que j’étais obligé de placer entre elle et le<br />

moment présent, que c’était bien elle qui sonnait, sans que je pusse<br />

rien changer à son tintement, puisque ne me rappelant pas bien<br />

d’abord comment s’étegnait son grelot, je m’efforçai de ne plus<br />

entendre le son des conversations autour de moi et descendis en<br />

moi-même écouter de plus près son tintement pour l’observer mieux.<br />

Ce passé si profond je le portais ave moi quisque quand elle avait<br />

retenti à mes oreilles à Combray dans ce passé si profond, j’existais<br />

déjà. j’étais déjà, et depuis je n’avais cessé un seconde d’exister, de<br />

penser, d’avoir conscience de moi, puisque ce passé m’était<br />

intérieur, comme une longue galerie où je pouvais retourner jusqu’au<br />

jour où tinte la petite sonnette de Combray sens être arrêté par une<br />

clôture [,] par une route extérieure, sans avoir à sortir de moi<br />

[quest’ultima espressione sottolineata] “ (C57, ES, XLI, TR, 899-890).


128<br />

7) Tornando alla prima edizione: la “serie”<br />

Se Combray è la storia di un fanciullo, Un amore di Swann è<br />

una storia d’amore. Chi è l’eroe di questo secondo romanzo. Sembra<br />

che lo sia il nostro <strong>Proust</strong>.<br />

Citiamo fior da fiore... scegliendo, in questa breve incursione –<br />

incursione molto interessante perché ci aiuta a capire i torti e le<br />

ragioni sia di Sainte-Beuve che del Contre-Siante-Beuve – due<br />

lettere in cui <strong>Proust</strong> preannuncia la scrittura...<br />

Lettera a Reynaldo Hahn del 26 aprile 1895 (<strong>Proust</strong> ha 14<br />

anni): “Attendre le petit, le perdre, le retrouver, l‘aimer deux fois plus<br />

en voyant qu’il est revenu chez Flavie pour me prendre, l’espérer<br />

pendant cinq ou le faire attendre cinq minutes, voilà pour moi la<br />

véritable tragédie, palpitante et profonde que j’écrirai peut-être un<br />

jour et qu’en attendant je vis” (CORR, I, 380) 155<br />

J’écrirai...<br />

(Il 18 gennaio 1895, concludendo un lettera a Reynaldo: “Sache<br />

que dand la liturgie catholique présence réelle veut justement dire<br />

présence idéale” [CORR, I, 363]. C’è già la liturgia cattolica;<br />

l’ostia/viatico etc. Dalla présence réelle del drame du coucher, la<br />

futura Adoration Perpetuelle Ò Tempo ritrovato). 156<br />

Diciassette anni dopo, scrive a Albert Nahmias fils – che ha<br />

mancato un appuntamento; lettera dl 20 agosto 1912 (CORR. VI, 17-<br />

190: “Un jour je peindrai ces caractères qui ne sauront jamais, même<br />

à un point de vue vulgaire, ce que c’est que l’élégance, prêt pour un<br />

bal, d’y renoncer pour tenir compagnie à un ami. Ils se croient par là<br />

mondains et sont le contraire”)<br />

Je peindrai!<br />

Poco prima: “Vous n’êtes même pas en pierre qui peut être<br />

sculptée si elle a la chance de rencontrer un sculpteur [...], vous êtes<br />

en eau, en eau banale, insaisissable, incolore, fluide, sempi<br />

terenellement inconsistante, aussi vite écoulée que coulée”.<br />

Andiamo a leggere che cosa dirà Swann a Odette che ha<br />

preferito andare dai Verdurin a vedere Un Nuit de Cléopâtre invece<br />

di restare con lui: “[...]. Alors, si tu es cela, comment pourrait-on<br />

155 Le lettere a Reynaldo Hahn sono state pubblicate: Lettres à Reynaldo Hahn.<br />

Présentées datées et annotées par Philippe Kolb, Gallimard, 1956. La lettera in<br />

questione è a p. 37.<br />

156 Vedi l’identica conclusione della lettera a Lucien Daudet del maggio 1916<br />

(CORR, XV, 153): “[...] si ta soirée n’admet pas que je te retrouve quelque part, ne<br />

prends pas la peine de me répondre, et je me contenterai – c’est le pain quotidien<br />

de ma solitude, de ta présence réelle”.


129<br />

t’aimer, car tu n’es même pas une personne, une créature définie,<br />

imparfaite, mais du moins perfectible. Tu es une eau informe qui<br />

coule selon la pente qu’on lui offre, un posisson sans mémoire et<br />

sans reflexion qui, tant qu’il vivra dans un aquarium, se heurtera cent<br />

fois par jour contre le vitrage qu’il continue à prendre pour de l’eau”<br />

(SWW, 290).<br />

Agostinelli...<br />

In Impressions de route (1907) descrive Agostinelli utilizzando<br />

immagini femminili “mon mécanicien avait revêtu une vaste mane de<br />

caoutchouc et coiffé une sorte di capuche qui, enserrant la plénitude<br />

de sin jeune visage imberbe, le faisait sembler [...] à quelque pèlerin<br />

ou plutôt à quelque nome de vitesse (PM, 66-67).<br />

La metafora che paragone lo chauffeur al volante con Cécile<br />

au clavier (PM, 6) sarà utilizzata tale e quale per Albertine nella<br />

Prisonnière (P, 884)...<br />

Agostinelli si iscrive come allievo aviatore col nome di <strong>Marcel</strong><br />

<strong>Proust</strong>!<br />

Annega, dopo un incidente. Il fattaccio avviene mentre va verso<br />

di lui, ma non può più raggiungerlo, una lettera di <strong>Proust</strong> (30 marzo<br />

1912 CORR, XIII, 217-223): gli promette di far incidere su di un<br />

aeroplano i versi del “Cygne” di Mallarmé.... Tra gli altri questi: “Le<br />

vierge le vivace et le bel Aujourd’hui / Vat-il nous déchrere avec un<br />

coup d’aile ivre / Ce lac dur oublié, que hante sous le givre, / / Le<br />

trasparent glacier des vols qui n’ont pas fui” (219).<br />

Questo fa il Narratore con Albertine a proposito di uno yacht<br />

(AS, 445-446): “[...] je ferai graver sur le... du yacht [...] ces vers de<br />

Mallarmé que vous amiez... Vous vous rappelez, c’est la poésie qui<br />

commence par: Le vierge [...]”.<br />

Nella medesima lettera <strong>Proust</strong> elogia fa l’elogio di una frase di<br />

Agostinelli (“une phrase était ravissante (crépusculaire etc)”.<br />

Diventerà quella di Albertine: “je n’oublierai pas cette promenade<br />

deux fois crépusculaire (puisque la nuit venait et que nous nous<br />

allions nous quitter)” (AS, 468).<br />

Nel Notice a Un amour de Swann, ed. Tadiè, vol. I, p. 1184:<br />

“L’originalité d’‘Un amour de Swann’ n’est pas dans les personnages<br />

qu’il réunit, ni même peut-être dans la peinture d’une passion<br />

destructrice, de cette angoisse que rien ne peut apaisr, et qu’a<br />

connue l’enfant de Combray puisq’à la mère correspond la<br />

courtisane, ma dans l’histoire d’une vocation”.<br />

Interessante: la cortigiana corrisponde alla madre...<br />

L’autore del Notice coglie qualcosa di essenziale...


130<br />

In psicologia, figuriamoci in psicoanalisi!, si tende a considerare<br />

le vicissitudini amorose dipendenti dall’imago materna. Non si<br />

colgono le implicazioni della retrodatazione dell’Edipo fatta da<br />

Melania Klein etc... Retrocedendo si incrocia il desiderio di procreare;<br />

si incrocia la propria nascita... Conclusione: si scopre che non esiste<br />

un punto di partenza e un punto di arrivo; siamo in presenza di una<br />

“serie”.<br />

Di essa parla Deleuze: “Ne concluderemo che forse l’immagine<br />

della madre non è il tema più profondo, né la ragione della serie<br />

amorosa: è ben vero che i nostri amori ripetono i sentimenti verso la<br />

madre, ma questi già ripetono altri amori che non abbiamo vissuto<br />

noi stessi. La madre appare piuttosto come la transizione da<br />

un’esperienza a n’altra, la maniera in cui comincia l’esperienza<br />

nostra, ma già si riallaccia ad altre esperienze, che furono fatte da<br />

altri. Al limite, l’esperienza amorosa è quella dell’intera comunità<br />

attraversata dalla corrente di un’eredità trascendente”. 157<br />

Se accettiamo l’idea della “serie”, non viene prima la madre. Né<br />

la cortigiana. La madre è sempre “anche” una cortigiana, la<br />

cortigiana è sempre “anche” una madre...<br />

Nella parte che fin qui abbiamo trascurato del “drame du<br />

coucher” – quella del ricorso alla scrittura (di una lettera) per ottenere<br />

la presenza (“réelle”) della madre, abbiamo visto che <strong>Proust</strong> parla di<br />

“specializzazione”: Swann, se avesse letto la lettera, se ne sarebbe<br />

beffato! “Invece, come ho appreso in seguito, un’angoscia simile fu<br />

per lunghi anni il tormento della sua vita, e nessuno, forse, avrebbe<br />

potuto capirmi meglio di lui; a lui, quell’angoscia che si prova<br />

sentendo l’essere al quale si vuol bene in un luogo di piacere (dans<br />

un lieu de plaisir) dove noi non siamo, dove non possiamo<br />

raggiungerlo, è l’amore che l’ha fatta conoscere, l’amore cui è in<br />

qualche modo predestinata, da cui sarà accaparrata, specializzata<br />

(spécialisée) [...]”.<br />

Che vuol dire? Proprio quel che vuol dire la “serie” deleuziana.<br />

Di volta in volta l’amore si manifesta come amore della madre, della<br />

cortigiana, della sorella, della moglie etc... 158<br />

157 <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> e i segni, op. cit., pp. 69-70.<br />

158 Non pensa ad una “serie” <strong>Proust</strong> quando descrive così la risatina di Charlus?<br />

“Una risatina che gli veniva probabilmente da qualche nonna bavarese o lorenese<br />

che anche lei lo ereditava a sua volta, identico, da un’antenata, in modo che<br />

suonava così, immutato, da parecchi secoli in certe vecchie e piccole corti<br />

d’Europa, e si gustava la sua qualità preziosa come quella di certi strumenti antichi<br />

divenuti rarissimi” (SG ____; 179 [Tadié, 332-333]__________). Vedi L’œuvre<br />

cathédrale, op. cit., p. 421.


131<br />

Pietro Citati, ne La colomba pugnalata. <strong>Proust</strong> e la<br />

Recherche, 159 parla di “complesso edipico” (101), di “Edipo<br />

veggente” (173-174), “tremendo peccato edipico” (262, 267, 266), di<br />

“passine edipica” (348), di “assoluta e quasi mostruosa identità<br />

edipica” (145) con la madre, di “assoluta identità incestuosa” (264)<br />

con la stessa... 160<br />

Citati ricorda l’incipit duna lettera di <strong>Proust</strong> ad Antoine Binesco<br />

a cui è recentemente morta la madre: “[...] ho visto la tua grafia<br />

stravolta, quasi irriconoscibile, con i caratteri rimpiccioliti e contratti,<br />

come occhi diventati piccoli a forza di piangere, è stato per me un<br />

altro colpo [...]”. I caratteri di Bibesco richiamano alla memoria di<br />

<strong>Proust</strong> uno degli episodi “archetipici” (Citati) della sua vita, la<br />

telefonata da Fontainebleu: “Ma una volta la chiamai al telefono da<br />

Fontenebleau, e tutt’a un tratto dalla cornetta mi giunse la sua povera<br />

voce rotta, torturata, incrinata, mutata per sempre da quella che<br />

conoscevo. Ed è accogliendo quei sanguinanti brandelli ch’ebbi per<br />

la prima volta l’atroce percezione di ciò che era spezzato in lei<br />

<strong>Su</strong>ccede lo stesso con la tua lettera, nella quale si avverte l’infinita<br />

fatica di scrivere [...]” (LG, 486; CORR, III, 182). Citati commenta:<br />

“L’identità giunse ancora più in profondo. Violando qualsiasi tabù,<br />

l’amico diventò la madre di <strong>Proust</strong>” (119).<br />

È evidente che siamo in presenza di una concezione non<br />

“seriale” – come quella deleuziana – ma consequenziale. Deleuze,<br />

infatti, se avesse incrociato l’incipit della lettera a Bibesco avrebbe<br />

“completato”. Citati infierisce: “Nel Pronao viene ripetuta due volte la<br />

scena del Peccato Originale, raccontata nel terzo capitolo della<br />

Genesi, e che qui appare in luoghi e forme diverse. La prima scema<br />

è l’episodio del bacio materno, rifiutato e poi concesso, che<br />

costituisce una specie di ‘evento primordiale’: esso vive da sempre e<br />

per sempre nella memoria e nell’immaginazione di <strong>Proust</strong>, che lo<br />

antepone agli eventi di Combray, perché non ha bisogno di nessuna<br />

madeleine e tazza di tè per rievocarla” (263).<br />

Noi abbiamo cercato di leggere questa scena come una “serie<br />

di scene”...<br />

159 Mondadori, Milano, 1995.<br />

160 A proposito della conclusione del “drame du coucher”: “Risalita nella stanza del<br />

figlio, ma madre gli legge François le Champi di George Sand: lo legge con tutta ‘la<br />

tenerezza naturale, l’ampia dolcezzza’ che le frasi reclamano; omette le scene<br />

d’amore, così che il figlio non capisce che il libro parla di lui. Se <strong>Marcel</strong> non<br />

comprende, noi comprendiamo benissimo: in François le Champi il figlio (sia pure<br />

d’elezione) ama la madre, vuole sposare e sposerà la madre: lo stesso desiderio<br />

colpa il cuore di <strong>Marcel</strong> e di <strong>Proust</strong>” (p. 263).


132<br />

Citati richiama l’ultima edizione del “drame”: “Ascolta il passo<br />

dei suoi genitori, che accompagnano Swann alla porta, e il suono<br />

della campanella, ‘quel tintinnio rimbalzante, ferruginoso,<br />

inesauribile, stridulo e fresco’: lo sente, lo sente ancora, senza che<br />

essi sia cambiato in nulla, senza che dopo tanti anni abbia mai<br />

cessato di echeggiare dentro di lui. Così un’altra volta la Recherche<br />

torna al principio, rievoca la scena archetipica, formando la<br />

perfezione di un cerchio. Tutto ritorna – ma nulla è stato espiato”<br />

(382-283).<br />

Ripeto, noi abbiamo cercato di trovare la differenza.<br />

Strano!, lo stesso Citati, precisando il metodo di scrittura di<br />

<strong>Proust</strong>, sembra aver colto il metodo della “seriazione”: “Durante<br />

l’elaborazione, <strong>Proust</strong> si mosse contemporaneamente verso tre<br />

direzioni. Da un lato, frantumò le grandi scene in scene minori: liberò<br />

ogni motivo dalla scoria che l’affliggeva; spesso frantumò in piccoli<br />

motivi. Poi, nelle stesse pagine o in pagine vicine, intrecciò ogni<br />

motivo con motivi d’intonazione diversa, ottenendo effetti di<br />

contrasto, di dissonanza o di parallelismo. Infine trasformò una parte<br />

dei motivi in Leitmotiv” (390).<br />

Jean-Yves Tadié, nella sua monumentale biografia (<strong>Proust</strong>,<br />

Gallimard, 1996), a proposito di Auteuil, parla di una “plaquee<br />

indicant ‘l’eauferrugineuse’” e suggerisce che “ce mo rare et<br />

sonore”abbia colpito <strong>Marcel</strong> bambino e sia stato trasferito alla<br />

“sonnette” di Combray. E pensa che la presenza del “ferrugineux” sia<br />

a nel “drame du coucher” che nella “matinée”, “ouvrant et fermant<br />

l’œuvre et lui donnant une cohésion structurelle supplémentaire, un<br />

nuoveau mouvement circulaire, infini comme la source” (21). 161<br />

161 “[...] chissà cosa avrebbe dato per poter avere uno di quei bicchieri che suo<br />

padre usava tutti i giorni e nascondeva in una piccola cavità della roccia<br />

sovrastante la fontana, per esser certo che nessun altro se ne servisse. E uno dei<br />

sogni di Jean era quello di ritrovare a Auteuil la villa di Montmorency dove talvolta<br />

andava a bere un bicchier d’acqua ferruginosa (d’eau ferrugineuse)” (JS, 868;<br />

740). Per quel che può valere un repertorio dei suoni del Jean Santeuil<br />

eventualmente legati al “drame du coucher”: “facendo suonare sul loro passaggio<br />

la campanella (la clochette) della porta” (JS, 284; 114); “poi si sentiva il tintinnio<br />

agro della campanella (le petit son aigre de la sonnette)” (JS, 342; 175); “[...] il<br />

sole, come mosso simultaneamente dallo scampanio (par le sonneur) [...]. pareva,<br />

come uno scampanio (les battements des cloches) [...] come un ultimo colpo<br />

(comme un dernier coup de sonne) , quando si crede ormai ristabilito per sempre il<br />

silenzio, rintocca ancora” (347-348; 181-182); “tintinnare del campanello (tintement<br />

de la sonnette)” (353; 187); “al nitido tintinnio delle campane della chiesa (net<br />

tintement des cloches)” (JS, 515; 360); “si udirono i rintocchi della pendola (on<br />

entendit une sonnerie)” (JS, 569; 418); “Jean [...] tirò un piccolo campanello (une<br />

petite sonnette) che come quelli di campagna continuò a lungo le agre gocce del


133<br />

8) Tornando alla prima edizione: vocazione/ispirazione/<br />

scrittura/œuvre<br />

Ma qui vogliamo cogliere un’altra sollecitazione che ci viene dal<br />

Notice di cui sopra. L’autore del Notice probabilmente non ci ha<br />

neppure pensato; ma leggendolo per la prima ho capito che la<br />

scrittura di quella lettera è la prima e drammatica esperienza che il<br />

Narratore fa della scrittura (scioccamente, quindi, si sostiene che il<br />

Narratore solo obliquamente fa riferimento alla propria vocazione<br />

letteraria... Essa è centrale, come strumento che fallisce e che riesce<br />

nel bel mezzo del “drame”.<br />

Riprendiamo il “drame”.<br />

L’abbiamo visto: il Narratore se n’è andato “senza viatico” in<br />

camera sua: “Ma prima di seppellirmi” (SW, 28 sgg; 35 sgg.).<br />

È una questione di vita o di morte!<br />

Il narratore ha un “moto di rivolta” e vuole “tentare un<br />

espediente (une ruse) da condannato”: “Scrissi a mia madre (j’écrit à<br />

ma mère) [...]”...<br />

Ricordate? J’écrirai... J’écrirai...<br />

La prima scrittura avviene è quella di un fanciullo in cerca di un<br />

“viatico”...<br />

Il Narratore scrive alla madre “supplicandola per una cosa<br />

grave (une chose grave) che non potevo dirle per lettera (que je ne<br />

pouvais lui dire dans une lettre)”.<br />

La cosa grave è l’inseppellimento... La scrittura della lettera<br />

sembra no strumento per sopravvivere... Ma è fin dall’inizio definito<br />

inefficace. Con la scrittura della lettera il Narratore non può dire<br />

questa cosa “grave”...<br />

Che fa il Narratore? Scritta la lettera, “non esita[i] a mentirle” (a<br />

Françoise): “dicendole che non ero assolutamente io a voler scrivere<br />

(ce n’était pas du tout moi qui avais voulu écrire) alla mamma ma era<br />

stata lei che, lasciandomi, mi aveva raccomandato di non<br />

dimenticare di farle avere una risposta a proposito di qualcosa che<br />

m’aveva pregato di cercarle; e si sarebbe certo moto arrabbiata se<br />

non le fosse stato consegnato il biglietto in questione (ce mot)”...<br />

Quindi, l’autore della lettera (lo scrittore) mente sostenendo che<br />

non ha deciso lui di scrivere...<br />

suo chiaro tintinnio (à égreber les gouttes aigres d’un son clair)” (JS, 780; 646); “e<br />

aver suonato una piccola campanella che tintinna a lungo (une petite sonnette qui<br />

tint longtemps)” (JS, 891; 765).


134<br />

Si chiamerà poi ispirazione?<br />

Françoise non gli crede. Ma porta il “mot”... E torna: “il<br />

maggiordomo non poteva consegnare la lettera (remettre la lettre) in<br />

quel momento davanti a tutti, ma che quando avessero portato i<br />

rince-bouches avrebbe trovato il mondo di farla arrivare alla<br />

mamma”.<br />

Che succede?<br />

“<strong>Su</strong>bito la mia ansia cadde (aussitôt mon anxieté tomba)”.<br />

La speranza che il testo sarà letto toglie immediatamente<br />

l’ansia; la fa cadere... “adesso non era più fino a domani (jousq’à<br />

demain), come un attimo prima, che avevo lasciato mia madre,<br />

giacché il mio biglietto (mon petit mot), non potendo irritarla (e a<br />

maggior ragione in quanto quel maneggio rischiava di rendermi<br />

ridicolo agli occhi di Swann), mi avrebbe fatto entrare estasiato e<br />

invisibile nella sia stanza, le avrebbe parlato di me all’orecchio; e<br />

quella sala da pranzo proibita, ostile, ancora un istante prima, lo<br />

stesso gelato – la ‘granita’ –, gli stessi rince-bouches mi sembravano<br />

racchiudere voluttà malefiche e mortalmente malinconiche perché la<br />

mamma le assaporava lontano da me, mi si apriva simile a un frutto<br />

che, divenuto dolce, fa scoppiare il suo involucro, sul punto di<br />

sprizzare, di proiettare fino al mio cuore inebriato l’attenzione della<br />

mamma nel momento in cui avrebbe letto le mie parole (tandis<br />

qu’elle lirait mes lignes). Adesso non ero più separato da lei: le<br />

barriere erano cadute, un filo delizioso ci univa (un fil délicieux nous<br />

réunissait). E non era tutto: la mamma, certo, sarebbe venuta!”<br />

La lettera ristabilisce la “présence réelle”... Addirittura ne<br />

annuncia una più completa...<br />

Quel che è successo al Narratore enfant è successo a Swann<br />

adulto: “[...] un’angoscia simile fu per lunghi anni il tormento della sua<br />

vita, e nessuno, forse, avrebbe potuto capirmi meglio di lui; a lui,<br />

quell’angoscia che si prova sentendo l’essere al quale si vuol bene in<br />

un luogo di piacere (dans un lieu de plaisir) dove noi non siamo, dove<br />

non possiamo raggiungerlo, è l’amore che l’ha fatta conoscere,<br />

l’amore cui è in qualche modo predestinata, da cui sarà accaparrata,<br />

specializzata (spécialisée) [...]”.<br />

Proseguiamo il brano: “ma quando, come nel mio caso, essa<br />

[angoscia] è entrata dentro di noi prima ancora che quello [l’amore]<br />

abbia fatto la sua apparizione nella nostra vita, allora, aspettandolo,<br />

fluttua libera e vaga, priva di destinazione precisa )elle flotte en<br />

l’attendant, vague et libre, sans affectation déterminée), al servizio<br />

un giorno di un sentimento, l’indomani di un altro, ora della tenerezza<br />

filiale, ora dell’amicizia di un compagno. E la gioia della quel io feci il


135<br />

primo apprendistato quando Françoise tornò a dirmi che la mia<br />

lettera (ma lettre) sarebbe stata consegnata. Swann l’aveva<br />

conosciuta bene anche lui, quella gioia ingannevole [...]”.<br />

Meglio di così non potrebbe essere illustrata la “serie”.<br />

La gioia è, però, ingannevole...<br />

“Mia madre non venne [...]”!<br />

“[...] mi fede dire da Françoise quelle parole: ‘Non c’è risposta’”!<br />

Il filo si è spezzato<br />

Il Narratore sente accrescersi la sua agitazione... Teme che non<br />

riuscirà ad addormentarsi... Ma...<br />

“All’improvviso la mia ansia cadde (tout à coup mon anxiété<br />

tomba”...<br />

Di nuovo...<br />

“[...] una felicità (félicité) m’invase come quando un farmaco<br />

potente comincia ad agire e ci toglie il dolore: avevo preso la<br />

risoluzione di non cercare più di riaddormentarmi senza aver visto la<br />

mamma, di baciarla a qualsiasi costo [...]. La calma che risultava<br />

dalla fine delle mie angosce mi metteva in uno straordinario stato di<br />

allegrezza (dans une allégresse extraordinaire) non meno di quanto<br />

avviene per l’attesa, la sete e la paura del pericolo. Aprii la finestra<br />

sena rumore e mi sedetti in fondo al letto; non facevo quasi nessun<br />

movimento perché da giù non mi sentissero”.<br />

La felicità, l’allegrezza... come sappiamo sono gli indicatori<br />

dell’azione della memoria involontaria... Potremmo dire: i primordi<br />

dell’œuvre! Della scrittura riuscita.<br />

Il Narratore ha deciso di andare oltre il potere di una lettera, di<br />

uno scritto... Aspetterà la madre; l’abbraccerà “ad ogni costo”.<br />

Sappiamo il resto.<br />

“La mamma passò quella notte nella mia camera [...]”.<br />

Come dire, la scrittura ha collaborato...<br />

Interessante: che fa la mamma? Gli legge George Sand... Tutta<br />

la notte.<br />

Mi sembra straordinario.<br />

Ho prelevato dal testo i brani che servivano alla mia<br />

dimostrazione. Bisogna però ricordare che essi vivono dentro un<br />

testo molto più ampio; il cui respiro non è quello della nostra<br />

dimostrazione (o tentativo di dimostrazione)...<br />

Come dire: nelle lettere di cui sopra <strong>Proust</strong> dice la sua<br />

sofferenza (che, l’abbiamo ormai chiaro, è identica a quella vissuta<br />

nel “drame du coucher”; tutti i drammi sono egualmente<br />

“drammatici”...)... E di volta in volta conclude: Scriverò! Dipingerò!<br />

Annuncia qualcosa che non sta facendo nelle lettere.


136<br />

Ecco: la differenza tra quelle lettere inviate ai suoi destinatari e<br />

quelle lettere inserite nell’œuvre è la differenza che passa tra la vita<br />

e l’arte (o tra la vita di un aspirante artista e quella di un artista)... 162<br />

9) Le vocabulaire de <strong>Proust</strong><br />

Molto interessante relativamente ad un approccio non<br />

contenutistico al testo, Le Vocabulaire de <strong>Proust</strong> di Étienne<br />

Brunet. 163 Ce ne dà un’idea Jean Milly nel suo L’étude distributionelle<br />

des phrases dans la Recherche. 164<br />

Milly, in Combray I, individua le seguenti percentuali di frasi B<br />

(brevi = 34 %) M (medie = 41 %) e L (lunghe = 25 %). Chiama<br />

“extension” ognuno di queste percentuali. Individua in “Combray I” tre<br />

episodi successivi: “réveils”, “soirée à Combray” e “la madeleine”.<br />

<strong>Su</strong>ddivide gli episodi in frammenti soprattutto sulla base delle<br />

modificazioni nell’estensione:<br />

B M L<br />

fragm. 1 la résurrection du passé. Extensions 33 24 43<br />

fragm. 2 la madeleine; recherche – 66 34 0<br />

fragm. 3<br />

anxieuse du souvenir.<br />

la madeleine; réminiscence de<br />

Combray,<br />

– 2 29 69<br />

Questo quadro dice molte cose anche solo intuitivamente.<br />

Milly osserva, sempre in “Comnbray I”, un fenomeno<br />

interessante; quello dell’alternanza regolare dei frammenti successivi<br />

tra un profilo alto, cioè più ricco di frasi lunghe e medie rispetto alla<br />

media dell’insieme, e un profilo basso, più ricco di frasi brevi:<br />

profil<br />

Impression de réveil bas<br />

Évocations tournoyantes haut<br />

162 Jean-Yves Tadié, nella sua biografia di <strong>Proust</strong>, fa una coppia della lettura da<br />

parte della madre del Narratore di François le Champi e la traduzione dalparte<br />

della madre di <strong>Proust</strong> di Ruskin... (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Gallimard, Paris, 1996, p. 346).<br />

163 Slatkine-Champion, Genève-Paris, 1983, voll. 3. Fa coppia con questo enorme<br />

lavoro quello di Luc Fraisse, L’œuvre cathédrale. <strong>Proust</strong> et l’architecture médiévale<br />

(José Corti, Parigi, 1990). L’autore definisce il suo lavoro anche Dictionnaire<br />

raisonné de l’architecture médiévale chez <strong>Proust</strong> (ibidem, pp. 154, 424, 483).<br />

164 In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 14, Études proustienne VI, Gallimard, Paris, 1987, pp.<br />

31-49.


137<br />

La lanterne magique bas<br />

Promenades de ma grande mère haut<br />

Désir du baiser et arrivée de Swann haut<br />

La père de Swann bas<br />

Portrait de Swann haut<br />

Double vie de Swann bas<br />

Privation du baiser au lit haut<br />

Conversation avec Swann bas<br />

Anticipation du baiser et envoi au lit haut<br />

Alternance d’angoisse et d’apaisement haut<br />

Conversations après le départ de Swann bas<br />

Scène dans l’escalier avec mes parents bas<br />

Réflections sur leur compréhension haut<br />

Lecture de François le Champi moyen<br />

La résurrection du passé haut<br />

La madeleine: recherche anxieuse bas<br />

La madeleine: réminiscence de Combray haut<br />

e dà molte spiegazioni. Alcune delle quali:<br />

– c’è un grande ritmo alternativo che fa succedere i passaggi<br />

amplificatori e i passaggi a frasi più brevi, “presque avec une<br />

régularité de respiration”;<br />

– il testo di “Combray I”, racchiude molte allusioni al teatro:<br />

l’arrivo teatrale di Swann, lo squillo del “coucher”, il teatro del<br />

“déshabillage”... questo suggerisce “de comparer cette<br />

alternance à celle des tirades et des dialogues, ou encore à<br />

celle, à l’opéra, des airs ou des morceaux d’ensemble et des<br />

récitatifs”;<br />

– certi “référents” d’ordine psicologico comportano degli<br />

“allungamenti, come la memoria, la tristezza, l’esaltazione,<br />

l’ironia del narratore, l’amore. Ugualmente, certi gesti ed<br />

atteggiamenti: il bacio materno, la lettura, il sonno, le<br />

passeggiate; certi luoghi: Combray, il giardino, la case, le<br />

camere;<br />

– i frammenti di conversazione sono a basso profilo; come il<br />

passaggio sulla lanterna magica, importante per il seguito del<br />

romanzo e a tendenza estetica nettamente marcata: il profilo<br />

basso è dovuto alla sua colorazione psicologica “dysphorique”;<br />

– mentre i diversi frammenti che annunciano il bacio della sera<br />

sono, a causa della loro carica affettiva, di profilo alto: il fatto è<br />

che non sono più portatori di speranza, come i precedenti, e vi<br />

regna una intensa drammatizzazione; il discorso che rende<br />

quest’ultima è frammentato;


138<br />

– lo stesso dicasi, nell’episodio della madeleine, per la ricerca<br />

ansiosa del ricordo (per opposizione al frammento seguente in<br />

cui l’apparizione di Combray nel ricorso di manifesta<br />

euforicamente in un blocco di frasi lunghe raggruppate in modo<br />

compatto). La drammatizzazione intensa è un fattore di<br />

abbreviamento.


139<br />

Cap. 7<br />

LA VITA VERA UN’OPERA D’ARTE // L’OPERA D’ARTE UNA<br />

VITA VERA 165<br />

1) Sorella morte; non distrugge, cura<br />

Soffermiamoci su quel che è accaduto tra la prima e l’ultima<br />

edizione dell’angoscia relativa al bacio...<br />

L’abbiamo già detto, la matinée è una grande rappresentazione<br />

della morte: “[...] – il Tempo che di solito non è visibile, e per<br />

diventarlo cerca dei corpi e, ovunque li trovi, se ne impadronisce per<br />

proiettare su di essi la sua lanterna magica” (TR, 612). “Ed io che fin<br />

dall’infanzia ero vissuto alla giornata, ma con un’impressione<br />

definitiva di me stesso e degli altri, mi accorsi allora per la prima<br />

volta, dalle metamorfosi verificatesi in tutte quelle persone, del tempo<br />

che era passato per loro, il che mi sconvolse con la rivelazione che<br />

165 “[...] la Recherche [...] non è, rigorosamente parlando un’opera di fiction, bensì<br />

un’autobiografia creativa. <strong>Proust</strong> era convinto, e non a torto, che la sua vita avesse<br />

la forma e il significato di una grande opera d’arte [...]” (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, George<br />

Painter, 1959, tr. it. Feltrinelli, Milano, 1980, p. 15). Provate a leggere Painter e poi<br />

Anne Henry (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. Théorie pour une estétique, Klincksieck, Parigi, 1981).<br />

Io l’ho letta dopo aver riletto Painter. Henry cerca di dimostrare nella filosofia la<br />

nascita del romanzo; esso nasce come dimostrazione. Come dire, il bal des têtes è<br />

solo un mezzo per approfondire la conversation avec Maman... Il lavoro è<br />

interessantissimo anche perché rintraccia fonti allora non ancora individuate.<br />

Penso che abbia ragione Tadié quando obietta: “in nessun caso un saggio<br />

filosofico o una sintesi ideologica può dar luogo a un romanzo; al contrario, il loro<br />

effetto sarebbe piuttosto di bloccarlo” (<strong>Proust</strong>, op. cit., p. 214). Scherzosamente<br />

verrebbe da ipotizzare che Anne Henry abbia preso alla lettera Grasset che,<br />

rintracciato in Svizzera nel 1914, scrive a René Blum che non ha a portata di<br />

mano il “trattato”! (Pierre-Quint, <strong>Proust</strong> et la stratégie litteraire, Corréa, Paris, 1954,<br />

pp. 127-133). Benjamin mi sembra categorico: “La biografia di quest’uomo è tanto<br />

importante perché essa mostra come qui, con una stravaganza e una<br />

determinazione rare, una vita abbia tratto in tutto e per tutto le sue leggi dalle<br />

necessità della sua opera. E la grottesca avversione di cui la sua opera è rimasta<br />

vittima in Germania [...] deriva in parte dal fatto che non si è voluto percorrere la<br />

strada più ovvia: rappresentare la vita di uno dei nostri contemporanei più singolari”<br />

(Carte su <strong>Proust</strong>, 1929, in Ombre corte. Scritti 1928-1929, Einaudi, Torino, 1993, p.<br />

382). Molto interessanti le pagine che Genette (Palimpsestes. La littérature au<br />

second degré, Éd. du Soleil, Paris, 1982, pp. 355-358) dedica alla lettera a<br />

Madame Scheikevitsch (3 novembre 1915, CORR, XIV, 280-285) in cui <strong>Proust</strong>,<br />

anticipando il seguito del suo romanzo, intreccia il “je” dell’autore della lettera a<br />

quello del Narratore.


140<br />

esso era passato anche per me (aussi pour moi). Di per sé<br />

indifferente (indifférente en elle-même), la loro vecchiaia mi<br />

rattristava avvertendomi dell’approssimarsi della mia” (TR, 927; 615).<br />

Tutti sono destinati a morire.<br />

Il Narratore incluso.<br />

Il Narratore incontra una quantità di cadaveri ambulanti. 166 Vedi<br />

la descrizione atrocemente ironica della nipote di madame Saint-<br />

Euverte come cullata dentro una bara. 167 Vedi la straordinaria<br />

descrizione dell’attuale duca di Guermantes. 168<br />

166 Cadaveri ambulanti = “tours mouvantes” (C 51, C 51, ES XLI, TR, 877); “tours<br />

ambulantes” (C 11, ES XLII, TR, 901). “Poiché noi tutti, viventi, non siamo che<br />

morti non ancora entrati in funzione [...] (comme nous ne sommes tous, nous les<br />

vivants, que des morts qui ne son pas encore entrés en fonctions)” (PM,186; 241).<br />

167 “La nipote [di madame de Saint-Euverte], ignoro se fosse a causa d’una<br />

malattia di stomaco o di nervi, d’una flebite, d’un parto imminente o recente o d’un<br />

aborto, che ascoltava la musica distesa e senza alzarsi per nessuno. La cosa più<br />

probabile è che, fiera delle sue belle sete rosse, pensasse di fare su quella chaise<br />

longue un effetto della Récamier? Non si rendeva conto di determinare per me una<br />

nuova fioritura del nome Saint-Euverte, che a così lungo intervallo segnava la<br />

distanza e la continuità del Tempo. Ciò che stava cullando, in quella navicella dove<br />

il nome Saint-Euverte e lo stile Impero fiorivano in fucsie di seta rossa, era il<br />

Tempo” (TR, pp. 732-733)<br />

168 “Non era più che un rudere, ma superbo, anzi meno ancora che un rudere:<br />

quella bella cosa romantica che può essere una roccia nella tempesta. Sferzato da<br />

ogni parte dalle ondate di sofferenza, di collera del soffrire, di inarrestabile marea<br />

della morte che lo circondavano, il suo volto, sgretolato come un masso, serbava lo<br />

stile, la linea che avevo ammirati; era corroso come una di quelle belle teste<br />

antiche in estrema rovina, ma di cui siamo estremamente felici di poter ornare il<br />

nostro studio. Sembrava semplicemente appartenere, rispetto a una volta, a<br />

un’epoca più antica, non solo a causa di ciò che aveva preso di ruvido e di rotto<br />

nella sua materia un tempo così brillante, ma perché all’espressione penetrante e<br />

vivace era succeduta, plasmata dalla malattia, un’involontaria, inconsapevole (une<br />

involontaire, une inconsciente) espressione di lotta contro la morte, resistenza,<br />

difficoltà di vivere. Le arterie, perduta ogni elasticità, avevano dato al viso, un<br />

tempo disteso, una durezza scultorea. E, senza che il duca se ne rendesse conto<br />

(sans que le duc s’en doutât). Svelava nella nuca, nella guancia, nella fronte<br />

aspetti in cui l’essere, come costretto ad aggrapparsi accanitamente a ciascun<br />

minuto, sembrava travolto da una tragica raffica, mentre le ciocche bianche della<br />

sta stupenda capigliatura, fattasi meno folta, schiaffeggiavano con la loro schiuma<br />

l’invaso promontorio del volto. E come riflessi strani, unici, che solo l’approssimarsi<br />

della tempesta in cui tutto verrà sommerso dà alle rocce rimaste sino a quel<br />

momento d’un altro colore, capii (je compris) che il grigio plumbeo delle guance<br />

logore e irrigidite, il grigio quasi bianco e increspato delle ciocche sollevate, la<br />

fievole luce ancora concessa agli occhi che vedevano appena, erano colori non già<br />

irreali, semmai, al contrario, sin troppo reali, ma fantastici (non pas irréelles, trop<br />

réelles au contraire, mais fantastiques), e attinti alla tavolozza, inimitabile nelle sue<br />

nerezze spaventose e profetiche, della vecchiaia, della vicinanza della morte”<br />

(TR,1017; 123-124)


141<br />

Qui si aggiunge una complicazione: “Ma a spiegare la mia<br />

angoscia era una ragione più grave: scoprivo l’azione distruttrice del<br />

Tempo proprio nel momento in cui volevo accingermi a rendere<br />

chiare, a intellettualizzare in un’opera d’arte, delle realtà extratemporali”<br />

(TR, 619). 169<br />

Il tutto si gioca nella quadratura di questa contraddizione.<br />

Consideriamo alcuni punti. La morte, prima di arrivare, matura<br />

producendo la decrepitezza dei cadaveri ambulanti della matinée.<br />

Ma, prima ancora, sopraggiunge ogni volta che nella nostra vita un<br />

“io” si sostituisce agli altri “io” determinandone, per l’appunto, la<br />

scomparsa; 170 il Narratore può affermare: “Capivo infatti che morire<br />

non era qualcosa di nuovo, che dall’infanzia in poi ero morto tante<br />

volte” (TR, 748).<br />

Ma c’è qualcosa per la quale si può arrischiare la vita: “Quante<br />

volte [...] ero stato incapace d’accordare la mia attenzione a cose o<br />

persone che poi, quando la loro immagine mi fosse stata presentata<br />

da un artista mentre ero solo, avrei fatto chilometri, avrei rischiato la<br />

vita per ritrovare” (TR, 364). Sappiamo che la memoria involontaria<br />

produce un essere incurante della morte: “Ma perché le immagini di<br />

Combray e di Venezia mi avevano dato, in quel momento e in<br />

questo, una gioia simile a una certezza, e capace senza bisogno<br />

d’altre prove di rendermi indifferente la morte?” (TR, 544) (Abbiamo<br />

già citato l’incuranza rispetto alle “vicissitudini del futuro” (TR, 548)...<br />

“Ma se anche quelli [rapporti] con il mio corpo, con me stesso, si<br />

fossero interrotti...? Sicuramente sarebbe accaduta la stessa cosa. Il<br />

nostro amore della vita non è che una vecchia relazione di cui non<br />

sappiamo liberarci. La sua forza sta nella sua permanenza. Ma la<br />

morte, interrompendola, ci guarirà del desiderio dell’immortalità” (TR,<br />

275).<br />

Se Swann vivrà, e vivrà dopo essere morto, al di là della sua<br />

vita e della sua morte, egli vivrà nell’opera: “La morte di Swann!<br />

Swann non svolge, in questa frase, il ruolo d’un semplice genitivo.<br />

Ciò che intendo è la morte particolare, la morte messa dal destino al<br />

servizio di Swann. Infatti, per semplificare, diciamo la morte, ma ce<br />

169 “[...] puisque si, depuis une heure, je tenais à la vie, c’était à cause de l’œuvre<br />

que je venais de sentire tressaillir dans mon esprit et pour la mettre au jour” (C 11,<br />

ES XLII, TR, 901-902).<br />

170 <strong>Su</strong>lla molteplicità degli “io” etc. vedi Il tempo ritrovato (741, 749)... “Ebbene, la<br />

sostituzione così completa di questo io nuovo non è un cambiamento altrettanto<br />

profondo, una morte altrettanto totale dell’io che si era, quanto vedere un volto<br />

rugoso sormontato da una parrucca bianca rimpiazzare l’antico?” (AS, 271). Forse<br />

la pratica geniale di <strong>Proust</strong> nell’ambito del pastiche è tributaria alla molteplicità<br />

degli io (più che all’identificazione con gli altri io)


142<br />

ne sono tante, quasi, quante persone. [...]. Allora, pochi minuti prima<br />

dell’ultimo respiro, la morte, come una suora che, invece di<br />

distruggervi, vi avesse curati, viene ad assistere ai vostri ultimi<br />

istanti, a coronare di un’aureola suprema l’essere ormai gelido il cui<br />

cuore ha smesso di battere (alors, quelques minutes avant le dernier<br />

souffle, la mort, comme une religieuse qui vous aurait soigné au lieu<br />

de vous détruire, vient à assister à vos derniers instants, couronne<br />

d’une auréole suprême l’être à jamais glacé dont le cœur a cessé de<br />

battre). [...]. Swann era [...] una notevole personalità intellettuale e<br />

artistica; e sebbene non avesse ‘prodotto’ nulla, ebbe la ventura di<br />

durare un po’ più a lungo. Eppure, caro Charles Swann che ho<br />

conosciuto così poco, quando io ero ancora così giovane e voi<br />

sull’orla della tomba, se si ricomincia a parlare di voi, e forse vivrete<br />

(peut-être vous vivrez), è perché quello che, probabilmente,<br />

ritenevate un piccolo imbecille (un petit imbécile) ha fatto di voi l’eroe<br />

di un romanzo (P, 199-200; 600).<br />

Prima della conclusione scanzonata e solenne (peut-être vous<br />

vivrez grazie a un petit imbécile) una prefigurazione della morte<br />

stessa come madre-suora che dissipa l’angoscia della perdita (della<br />

fine); qui non c’è una madre che bacia e abbraccia per dare al<br />

proprio figlio il riposo del sonno; c’è una madre che, invece di<br />

distruggere, cura!<br />

2) In cima ai trampoli. In cima ai campanili.<br />

Comunque, si siamo avvicinati alla risposta: “Adesso non era<br />

più così: perché la felicità che provavo non veniva da una emozione<br />

puramente soggettiva dei nervi che ci isola dal passato ma, al<br />

contrario, da un allargamento della mente in cui si riformava, si<br />

attualizzava quel passato, dandomi – ma, ahimé, momentaneamente<br />

– un valore d’eternità (mais hélas! momentanément, une valeur<br />

d’éternité)” (TR, 1036; 746).<br />

L’eternità è momentanea!<br />

La sola opera possibile è il raggiungimento della verità, della<br />

vera vita, nel compimento dell’opera: “Forse, dicevo ad Albertine,<br />

proprio in questo, in questa qualità sconosciuta d’un mondo unico e<br />

che nessun musicista ci aveva mai fatto vedere, consisteva la prova<br />

più autentica del genio, assai più che nel contenuto dell’opera<br />

stessa. ‘Anche in letteratura?’ Mi chiedeva Albertine. – ‘Anche in<br />

letteratura’. E, ripensando alla monotonia delle opere di Vinteuil,<br />

spiegavo ad Albertine che i grandi scrittori non hanno mai fatto che


143<br />

una sola opera o, meglio, rifranto attraverso mezzi diversi una<br />

medesima bellezza ch’essi recano al mondo” (P, 795).<br />

L’opera: “Felice chi ha incontrato quella [la verità] prima di<br />

questa [la morte], chi ha sentito suonare (a sonné), per vicina che<br />

l’una debba essere all’altra, l’ora della verità prima dell’ora della<br />

morte” (TR, 910; 595). E qui ritorna il “suonare” dell’ora fatale.<br />

Funesta non è la morte ma la perdita della verità; della “vera vita”:<br />

“[...] la grandezza dell’arte vera (la grandeur de l’art véritable) [...] era<br />

[...] di farci conoscere quella realtà che rischieremmo di morire senza<br />

aver conosciuta e che, è, molto semplicemente, la nostra vita (notre<br />

vie). La vera vita (la vraie vie), la vita finalmente riscoperta e<br />

illuminata, la sola vita, dunque, pienamente vissuta, è la letteratura”<br />

(TR, 895; 577; Kafka).<br />

“Io dico che è legge crudele dell’arte che gli esseri muoiano e<br />

che noi stessi moriamo, dando fondo a tutte le sofferenze, perché<br />

spunti l’erba non dell’oblio (non de l’oubli) ma della vita eterna (mais<br />

de la vie éternelle), l’erba rigogliosa delle opere feconde, su cui le<br />

generazioni verranno a fare allegramente (gaîment), senza<br />

preoccuparsi di chi dorme sotto, il loro ‘déjeuner sur l’herbe’” (TR, p.<br />

1038; 749).<br />

La vera vita, l’opera, nata dall’oblio (del quale abbiamo tessuto<br />

le lodi nella prima parte), fa rigogliosa la vita eterna.<br />

Consideriamo questo passo: “E poiché, malgrado tutto, c’era<br />

ancora una certa somiglianza fra il potente principe d’ora e il ritratto<br />

serbato dal mio ricordo, ammiravo la forza di rinnovamento originale<br />

del Tempo che, pur rispettando l’unità dell’essere e le leggi della vita,<br />

sa cambiare così la scena, introducendo arditi contrasti in due aspetti<br />

successivi d’un medesimo personaggio (aspects successif d’un<br />

même personnage)” (TR, 935; 424).<br />

Gli aspetti successivi d’un medesimo personaggio<br />

corrispondono a due diversi personaggi... Abbiamo già parlato dei<br />

diversi “io”; il Narratore sa che è morto già diverse volte; la memoria<br />

involontaria gli ha dimostrato che il suo potere è di provocare delle<br />

“resurrezioni”...<br />

È necessario fare a questo punto quel che ha fatto il Narratore:<br />

fin dall’esperienza delle madeleines... dei tre alberi visti scendendo<br />

verso Hudimesnil... il Narratore ha capito l’essenziale del<br />

meccanismo della memoria involontaria: je fais le vide devant lui, je<br />

remets en face de lui la saveur ancore récente de cette première<br />

gorgée et je sens tressaillir en moi quelque chose qui se déplace<br />

(SW, 46)... mon esprit ayant trébuché entre quelque année lointaine<br />

et le moment présent.... (OF, 717).


144<br />

Ecco i termini: farsi prendere dallo spostamento del sapore<br />

recente verso chissà dove... verso un ulteriore... tentennare tra un<br />

anno lontano e un momento presente...<br />

L’esperienza della memoria involontaria è esperienza del<br />

vacillare.<br />

Del vacillare tra presente e passato?<br />

No! Questa è una delle vulgate più povere.<br />

Del vacillare tra la vita e la morte?<br />

No!<br />

Sì, del vacillare tra la vita non vera e quella vera: l’approdo a<br />

quest’ultima è l’œuvre.<br />

<strong>Su</strong>i trampolini del Tempo (non del presente né del passato) si<br />

dà un’esperienza mostruosa ma salutare (curativa); quella che<br />

sconfigge l’angoscia per la perdita (i baci della buonanotte); ma non<br />

ispirando una fede incrollabile in chissà che cosa (la vera fede); 171<br />

ma facendo perdere e insieme acquistare, acquistare e insieme<br />

perdere, passato e presente (nemmeno si parla del futuro).<br />

Perché il tentennare si radicalizza.<br />

Non è alla ricerca di chissà che cosa.<br />

È la scoperta dell’essenza dei trampoli.<br />

Dell’eterno.<br />

Il tempo ritrovato è quello che si esperimenta nel vacillare.<br />

Non correndo alla finestra (da Combray, a Balbec, a Parigi...); o<br />

su è giù per un corridoio (idem). Alla ricerca di un bacio, di un<br />

abbraccio...<br />

Perché la morte è diventata una sorella; che cura e che<br />

guarisce.<br />

Guarisce dalla paura che il tempo passi (e noi con lui).<br />

Dall’alto dei trampoli, è possibile in uno sguardo panoramico<br />

capace di cogliere il passare, l’essere presente, il protendersi verso il<br />

futuro; nella loro l’essenza...<br />

171 “È questa l’ultima analogia tra l’arte e la critica, forse la più importante: il loro<br />

comune potere di resistere al tempo e alla morte non – come la magia o la<br />

religione – con la certezza della vittoria, ma con quella fiducia trepida che si<br />

esprime nello sguardo delle cose destate per la prima volta alla vita dall’attenzione<br />

disinteressata, non violenta, tenera dell’uomo” (Mariolina Bongiovanni Berini,<br />

Introduzione a Scritti mondani e letterari, Einaudi, 1971, pp. XLIV-XLV). “A sinistra<br />

c’era un villaggio che si chiamava Champieu (Campus Pagani, secondo il curato).<br />

<strong>Su</strong>lla destra, al di là delle messi, si scorgevano i due campanili (deux clochers)<br />

rustici e cesellati (ciselés etrustiques) di Sant-André-des Champs, sfilacciati<br />

(effilés) essi stessi, scagliosi, embricati d’alveoli, bulinati, biondeggianti e grumosi<br />

(écailleux, imbriqués d’alvéoles, guillochés, jaunissants et grumeleux) come due<br />

spighe” (SW, 146 177-1789).


145<br />

Ma fuori dal sic transit gloria mundi. Al di fuori, cioè dalla<br />

prospettiva di un sxaton. Sembra che glorioso (meglio: curativo)<br />

sia non il mondo che passa, né quello che arriverà ed è atteso; ma<br />

quello breve e fragile in cima ai trampoli.<br />

In cima ai campanili.<br />

3) Di nuovo dismisura e misura<br />

Ripercorriamo questo cammino a partire da un passo già citato:<br />

“Ora, la ricreazione tramite la memoria di impressioni che sarebbe<br />

stato necessario approfondire, che poi bisognava chiarire,<br />

trasformare in equivalenti dell’intelligenza (or la recréation par la<br />

mémoire d’impressions qu’il fallait ensuite approfondir, éclairer,<br />

transformer en équivalents d’intelligence), non era forse una delle<br />

condizioni, quasi l’essenza stessa dell’opera d’arte quale l’avevo<br />

concepita poco fa nella biblioteca?” (TR, 1044; 755-755). 172<br />

Ma quel che nel corso della matinée il Narratore scopre, è la<br />

morte anche fisica degli eroi del suo romanzo e di se stesso.<br />

Tutta qua la differenza?<br />

E vi par poco?<br />

Una cosa è, infatti, per il Narratore, parlare di aprés-coup... 173<br />

che sono avvenuti nel corso della sua vita. Altra cosa è<br />

sperimentare, sulla scena della matinée in cui recitano solo dei<br />

cadaveri ambulanti, che agli “io” morti si accompagnano anche dei<br />

“corpi” morti; e, tra questi, il proprio.<br />

Si tratta come di una sanzione più definitiva.<br />

172 “Ciò che chiamiamo la realtà è un certo rapporto fra le sensazioni e i ricordi che<br />

ci circondano simultaneamente [...], unico rapporto che lo scrittore deve trovare per<br />

incatenare per sempre (à jamais) l’uno all’altro, nella sua frase, i due diversi<br />

termini. Si possono elencare di seguito quanto si vuole, in una descrizione, gli<br />

oggetti che figuravano nel luogo descritto: la verità comincerà solo nel momento in<br />

cui lo scrittore prenderà due oggetti diversi, ne porrà il rapporto, analogo a quello<br />

dell’arte e quello della scienza, e li fisserà con gli indispensabili anelli del bello stile.<br />

Anzi, quando, come la vita (ainsi que la vie), avvicinando una qualità comune alle<br />

due sensazioni, egli ricaverà la loro essenza comune, riunendole entrambe, per<br />

sottrarle alle contingenze del tempo, in una metafora” (TR, 889; 750).<br />

173 Considerando solo Il tempo ritrovato, le ricorrenze della formula après-coup si<br />

bilanciano con quelle rétrospettive o rétrospectivement: a posteriori = après-coup<br />

(pp. 487, 502, 1507; 85, 104, 510)... in un secondo momento = après-coup (p. 975;<br />

674); retrospettiva = rétrospective (p. 487; 86); retrospettivamente =<br />

rétrospectivement (p. 484, 511, 564, 642, 1007; 82, 115, 178, 273, 711); a priori =<br />

à priori (p. 556; 169). Una sola volta: “solo in un secondo tempo” = après-coup (p.<br />

975; 674).


146<br />

È la scoperta “crudele” della altrui morte e, soprattutto, della<br />

propria, che produce nel Narratore la “decisione”: “E adesso capivo<br />

(je comprenais) cosa fosse la vecchiaia [...]. La crudele scoperta che<br />

avevo appena fatto non avrebbe potuto non servirmi, certo, per<br />

quanto concerne la materia stessa del mio libro. Poiché avevo deciso<br />

(j’avais décidé) che essa non poteva essere costituita soltanto dalle<br />

impressioni veramente piene, quelle che situate al di fuori del tempo<br />

(en dehors du temps), fra le verità con le quali contavo di<br />

incastonarle, quelle che si riferiscono al tempo, al tempo in cui sono<br />

immersi e cambiano gli uomini, le società, le nazioni, avrebbero<br />

avuto un posto importante” (TR, p. 932; 621).<br />

Proprio così; non basta cogliere le impressioni véritablement<br />

pleines – tutte le esperienze di memoria involontaria che hanno<br />

preceduto la matinée hanno implicato solo una parte del processo<br />

creativo, del processo che porta alla “vera vita” –; bisogna collocarle<br />

nella prospettiva effimera del tempo (veramente effimero).<br />

Il Narratore è preso da stanchezza e sgomento: “sente”,<br />

capisce: “tutto quel tempo così lungo<br />

– non solo era stato senza una sola interruzione, vissuto,<br />

pensato, secreto da me, non solo era la mia vita, non solo era<br />

me stesso,<br />

– ma anche che dovevo tenerlo ogni minuto (toute minute)<br />

attaccato a me, che mi faceva da sostegno, a me che,<br />

appollaiato sulla sua sommità vertiginosa, non potevo<br />

muovermi senza spostarlo. 174<br />

– La data in cui sentivo il rumore della campanella del giardino<br />

(le bruit de la sonnette du jardin) di Combray, così lontana<br />

eppure interiore (si distant et pourtant intérieur), era un punto di<br />

riferimento (un point de repère) in quella dimensione enorme<br />

che non sapevo di possedere. Avevo le vertigini vedendo sotto<br />

di me, eppure in me, come se la mia altezza fosse di leghe, un<br />

tale numero di anni” (TR, 1047; 760).<br />

Per quanto tempo riuscirà il Narratore a rimanere attaccato a<br />

quella sommità? Fin quando saprà spingersi “l’immenso desiderio di<br />

conoscere la vita” provato un tempo sulle strade di Balbec” (AS,<br />

165).<br />

Nel frattempo, straordinario!, la notte “la più dolce e la più triste”<br />

della sua vita, 175 quella compendiata nel bruit de la sonnette du jardin<br />

di Combray, rimane “lontana” ma diventa “interiore”.<br />

174 Togliere: “come potevo invece fare con lui”.<br />

175 “Ma era piuttosto della storia della mia propria vita, ossia non da semplice<br />

curioso, che l’avrei trovata [la bellezza del libro]; e collegandola, più spesso che


147<br />

Il Narratore ha “incorporato (incorporée)” (TR,1056; 759) il<br />

tempo; ne ha, cioè, avuta una visione piena.<br />

E che cosa succede? Che il non misurabile diventa misurabile<br />

ma solo paradossalmente: il Narratore si spaventa di nuovo: del fatto<br />

che, come il duca di Guermantes che ha visto vacillante su gambe<br />

malferme, è appollaiato su “viventi trampoli, più alti di campanili”.<br />

Quanto sono alti i trampoli? Quanto è lungo il tempo passato e<br />

quanto quello che ancora deve e può passare?<br />

Il Narratore, per la prima volta riconosce la misurabilità del<br />

tempo; tra parentesi: “(Era per questo che il volto degli uomini d’una<br />

certa età era così impossibile confonderlo, anche per gli occhi dei più<br />

ignari, con quello d’un giovane, e non appariva che attraverso una<br />

sorta di nuvola di serietà?)”...<br />

Ma, essendo il tempo infinito l’unica misura è la “dismisura”: se<br />

al Narratore rimarrà il tempo di “compiere (accomplir)” la sua “opera<br />

(œuvre)”, quella di descrivere gli uomini, “a costo di farli sembrare<br />

mostruosi” come occupanti “un posto [...] prolungato a dismisura<br />

(une place [...] prolongée sans mesure)”.<br />

E il tempo è infinito non perché non finisce mai; ma perché, allo<br />

sguardo acuto del Narratore, appare, dans l’espace d’un matin, di un<br />

frammento della sua opera, “eterno”.<br />

“Eterno” è il tempo infinito quando sboccia “dentro” il<br />

Narratore...<br />

Ricordate l’incipit del lungo paragrafo: “Certo, ci sono molti<br />

errori dei nostri sensi [...]” (TR, 557). Seguono due pagine; tra l’altro:<br />

“E anche se non avessi avuto modo di preparare [...] le cento<br />

maschere che conviene applicare a uno stesso viso, a seconda<br />

almeno degli occhi che lo vedono e del senso in cui ne leggono i tratti<br />

e, per gli stessi occhi, a seconda della speranza o del timore o, al<br />

contrario, dell’amore e dell’abitudine che nascondono per trent’anni i<br />

cambiamenti dell’età, insomma, non mi fossi proposto [...] di<br />

rappresentare certe persone non al di fuori, ma al di dentro di noi<br />

(pas au dehors mais au dedans de nous), là dove un loro minimo<br />

gesto può provocare turbamenti mortali [...]” (TR, 1045-1046; 757-<br />

758).<br />

all’esemplare materiale, all’opera, come a quel François le Champi contemplato<br />

per la prima volta nella mia cameretta di Cambray, durante la notte più dolce e più<br />

triste, forse, della mia vita (pendant la nuit peut-être la plus douce et la plus triste<br />

de ma vie), quando avevo, ahimè! (in un periodo in cui i misteriosi Guermantes mi<br />

sembravano tanto inaccessibili), ottenuto dai miei genitori una prima abdicazione<br />

dalla quale potevo far datare il declino della mia salute e della mia volontà, la mia<br />

rinuncia ogni giorno più grave a un compito difficile – e ritrovavo oggi nella<br />

biblioteca dei Guermantes [...]” TR, 886-887; 567).


148<br />

Il difficile è misurare il tempo che passa, il suo passare, dentro<br />

di noi... Ma: “D’altronde, che noi occupiamo un posto in continua<br />

crescita nel Tempo, tutti lo sentono, e questa universalità non poteva<br />

non rallegrarmi poiché era la verità, la verità sospettata da ciascuno,<br />

che io dovevo sforzarmi di chiarire. Non solo tutti sentono che<br />

occupiamo un posto nel Tempo, ma questo posto anche i più<br />

semplici sono in grado di misurarlo approssimativamente (le plus<br />

simple la mesure approximativement) così come misurerebbero<br />

(comme il mesurerait) quello che occupiamo nello spazio, dal<br />

momento che anche una persona non particolarmente perspicace,<br />

vedendo due uomini che non conosce, tutti e due con i baffi neri o<br />

tutti e due rasati, dice che sono due uomini l’uno d’una ventina, l’altro<br />

d’una quarantina d’anni. Spesso ci si sbaglia, certo, in questa<br />

valutazione, ma il fatto stesso che si ritenga di poterla fare significa<br />

che si concepisce l’età come qualcosa di misurabile (comme quelque<br />

chose de mesurable). Al secondo uomo con i baffi neri si sono<br />

effettivamente aggiunti vent’anni di più” (TR, 1046; 768-759).<br />

È probabile che, rileggendole, <strong>Proust</strong> avrebbe limato qua e là<br />

queste pagine.<br />

Quel che possiamo dire è quanto segue: è difficile, quasi<br />

impossibile, misurare; a causa del quoziente personale che<br />

interferisce; ma una misura sembra, anche se approssimativa,<br />

possibile a proposito dell’invecchiamento: si distingue un uomo di<br />

quarant’anni da uno di venti...<br />

Ma abbiamo visto il Narratore, nel corso della matinée,<br />

aggrapparsi al nero del suoi baffi (TR, 620), al nero dei suoi capelli<br />

neri (TR, 750), allo scopo di dimostrarsi di non essere, come tutti gli<br />

altri, anche lui un cadavere ambulante...<br />

Possiamo ipotizzare che la misura più clamorosa è quella<br />

dell’invecchiamento; tutti sembrano riuscire, almeno<br />

approssimativamente, a orientarsi; ma è proprio l’età ad essere la<br />

meno misurabile; proprio perché essa, quando viene messa al centro<br />

della nostra attenzione così come essa lo è stata al centro<br />

dell’attenzione del Narratore nel corso della matinée, rivela la sua<br />

“dismisura”.<br />

3) Je lui pardonnai<br />

Facciamo un decisivo passo avanti; facendo un passo<br />

all’indietro. Abbiamo già capito che la conclusione dell’opera è<br />

contenuta nel suo inizio; il Narratore deve cogliere “al volo” il


149<br />

meccanismo... Un’anticipazione straordinaria è in Albertine<br />

scomparsa: il Narratore, sempre trascinato nelle infinite escalation<br />

del desiderio mimetico (vedi il cap. 11: La dialectique de la curiosité<br />

et de l’indifférence. Negazione e desiderio mimetico), riesce a<br />

perdonare; interrompendo così l’escalation nell’unico modo possibile<br />

(Girard): “Per persuadermi della sua innocenza [di Albertine] mi<br />

bastava baciarla (il me suffisait de l’embrasser), e potevo farlo<br />

adesso ch’era caduto il muro che ci separava, simile a quello<br />

impalpabile e resistente che dopo un litigio s’innalza fra due<br />

innamorati e contro cui si infrangerebbero i loro baci (contre laquelle<br />

se briseraient les baisers). No, non aveva bisogno di dirmi niente.<br />

Avesse fatto pure, povera piccina, quel che aveva voluto: c’erano<br />

sentimenti nei quali potevamo unirci al di sopra di quanto ci divideva.<br />

Se la storia era vera, e se Albertine mi aveva nascosto i suoi gusti<br />

[verso le donne], era stato per non farmi soffrire. Ebbi la dolcezza di<br />

sentirglielo dire, a quella Albertine. D’altronde, ne avevo mai<br />

conosciuto un’altra? Nei nostri rapporti con un altro essere, le<br />

maggiori cause d’errore sono che noi abbiamo buon cuore oppure<br />

che, quell’essere, lo amiamo. Si ama per un sorriso, per uno<br />

sguardo, per una spalla. È quanto basta; nelle lunghe ore di<br />

speranza o di tristezza si fabbrica allora una persona, si compone un<br />

carattere. E quando, più tardi, si frequenta la persona amata, non si<br />

può, a qualsiasi crudele realtà si sia messi di fronte, togliere quel<br />

carattere buono, quella natura di donna che ci ama, all’essere cui<br />

appartengono quel certo sguardo, quella certa spalla, più di quanto<br />

possiamo toglierla, quando invecchia (quand elle vieillit), a una<br />

persona che conosciamo fin dalla giovinezza (depuis sa jeunesse).<br />

Evocai lo sguardo bello, così buono e compassionevole, di quella<br />

Albertine, le sue grosse guance, il suo collo dalla grana larga. Era<br />

l’immagine di una morta; ma, poiché quella morta viveva, mi fu facile<br />

fare immediatamente ciò che avrei infallibilmente fatto se mi fosse<br />

stata accanto in vita (e che farei se mai dovessi ritrovarla in un’altra<br />

vita): la perdonai (je lui pardonnai)” (AS, 530-531; 138).<br />

Straordinario questo perdono; che interrompe ogni escalation,<br />

anche solo immaginaria. E che si consuma di fronte all’invecchiare di<br />

qualcuno che conosciamo dalla sua giovinezza (ed è forse morto). Il<br />

tempo passato con costui (qui: costei) diventa “perdonabile”<br />

perch’egli (ella) viene sbalzato dal tempo nell’eternità (nel profondo<br />

di noi).


150<br />

Cap. 8<br />

CE RETOUR À L’INANALYSÉ<br />

[...] je ne dissimule pas que ce n’est pas un sujet “curant”<br />

et j’ai trouvé plus loyal de vous le dire; plus prudent aussi<br />

car est certainement la dernière que j’écrirai et où j’ai<br />

tâché de fair tenir ma philosophie de résonner toute ma<br />

“musique” [...] 176<br />

“Si je me permets de raisonner ainsi sur mon livre, poursuit M.<br />

<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, c’est qu’il n’est à aucun degré une œuvre de<br />

raisonnement, c’est que ses moindres éléments m’ont été<br />

fournis par ma sensibilité, que je les ai d’abord aperçus au fond<br />

de moi-même, sans les comprendre, ayant autant de peine à<br />

les convertir en quelque chose d’intelligible que s’ils avaient été<br />

aussi étrangers au monde de l’intelligence que, comment dire?<br />

un motif musical”. 177<br />

Cerchiamo di cogliere i movimenti del pezzo suonato da <strong>Proust</strong><br />

ne La prigioniera sulla partitura della sonata e del settimino di<br />

Venteuil. Sì, perché di musica si tratta.<br />

“Come quando, in un paese che non crediamo di conoscere<br />

(dans un pays qu’on ne croit pas connaître) e al quale, in effetti, ci<br />

siamo accostati da una parte diversa, di colpo (tout d’un coup), dopo<br />

la svolta d’un sentiero, ci troviamo ad imboccarne un altro di cui ogni<br />

176 Dalla presentazione che <strong>Proust</strong> fa del romanzo che vuole pubblicare a Eugène<br />

Fasquelle (l’editore) il 28 ottobre 1912 (CORR, XI, 256-257).<br />

177 Intervista a Élie-Joseph Bois, Le temps, 12.11.1913, in Textes retrouvés,<br />

Gallimard, 1971, p. 290. (<strong>Su</strong>lle vicissitudini di questa intervista redatta dallo stesso<br />

<strong>Proust</strong>, vedi, di Henri Bonnet, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> de 1907 à 1914. Essai de biographie<br />

critique, Librairie Nizet, Paris, 1959, pp. 121-122, 144-145). “Flaubert fu il primo a<br />

sbarazzarsi dal parassitismo degli aneddoti e dalle scorie della storia. Fu il primo a<br />

metterli in musica (il les met en musique)” (EA, 595; 548). “Per la sua opera <strong>Proust</strong><br />

ha composto, se si può dire così, la propria musica: è la sonata per violino e piano<br />

e il settimino di Vinteuil” (Curtius, op. cit., p. 38). “Forse <strong>Proust</strong> è stato il primo tra i<br />

grandi artisti moderni, a scrivere con le parole alcune partiture musicali”<br />

(Debenedetti, Rileggere <strong>Proust</strong>, 1922-1966, Mondadori, Milano, 1982, p. 204).<br />

Leggere La musica in <strong>Proust</strong>, di Luigi Magnani (Einaudi, Torino, 1978). Se si<br />

esclude la “Premessa”, decisivo.


151<br />

minimo tratto ci è familiare ma che, semplicemente, non eravamo<br />

abituati (on n’avait pas l’habitude) a prendere da quel lato, e tutt’a un<br />

tratto (tout d’un coup) pensiamo: ‘Ma è il sentiero che conduce al<br />

cancelletto del giardino dei miei amici ÚÚÚ (mais c’est le petit chemin<br />

qui mène à la petite porte du jardin de mes amis ÚÚÚ), che conduce<br />

a due minuti da casa loro’; e, in effetti, la figlia dei padroni di casa è<br />

lì, venuta a salutarci al passaggio; così, tutt’a un tratto (tout d’un<br />

coup), io mi riconobbi, nel mezzo di quella musica nuova per me (au<br />

milieu de cette musique nouvelle pour moi), in piena sonata di<br />

Vinteuil; e, più meravigliosa di un’adolescente, la piccola frase,<br />

avvolta, bardata d’argento, tutta grondante di sonorità brillanti,<br />

leggere e dolci come sciarpe di velo (enveloppée, harnachée<br />

d’argent, toute ruisselante de sonorités brillantes, légères et douces<br />

comme des écharpes), venne a me, riconoscibile sotto quelle vesti<br />

novelle (sous ce parures nouvelles). La mia gioia d’averla ritrovata<br />

(ma joie de l’avoir retrouvée) [...]” (P, 249; 656-657).<br />

<strong>Su</strong>l limitare di queste pagine straordinarie, ricorrenze di alcuni<br />

Leitmotif: (1) l’incalzante tout d’un coup; (2) il paese conosciuto da<br />

cui nessuno è ritornato (Shakespeare); (3) la petite porte du jardin de<br />

mes amis.<br />

La piccola frase, nota, si presenta “da un lato” sconosciuto.<br />

L’aggettivazione della musica “nouvelle”: enveloppée,<br />

harnachée d’argent, toute ruisselante de sonorités brillantes, légères<br />

et douces comme des écharpes.<br />

Vedremo che la musica nuova, il nuovo, si presenta con una<br />

sonorità più schietta. Così come più schietta si presenta al Narratore<br />

la sonorità del campanello del grelot di Cambray in sede di<br />

“ritrovamento”.<br />

Diamo subito un senso alla “sonorità” maggiore... Abbiamo<br />

rilevato la sonorità schietta che, nel Tempo ritrovato, annuncia<br />

l’arrivo di Swann; abbiamo rilevato ch’essa eguaglia la sonorità<br />

invadente e volgare del non scampanellare, in Du côté chez Swann,<br />

dei familiari... solo supposti non stranieri... E abbiamo ipotizzato che,<br />

nel Tempo ritrovato, lo straniero ritorni, come straniero – vedi il<br />

“paese straniero”, il “paese non conosciuto” –, come unheimlich; ma<br />

che il “ritorno” qui coincida col “ritrovamento”; da cui l’accento di<br />

trionfo... nella aumentata sonorità...<br />

Ebbene, qui, ne La prigioniera, l’accento di trionfo – in cui<br />

confluisce la gioia del ritrovamento insieme con la crudezza del<br />

ritrovato –, è sistematico.<br />

“Appena ricordata [la piccola frase], disparve, e mi ritrovai in un<br />

mondo ignoto [...]. Quello che stava davanti a me mi faceva provare


152<br />

tanta gioia quanta me ne avrebbe data la Sonata se non l’avessi<br />

conosciuta; era dunque, essendo altrettanto bella, altra cosa (en<br />

étant aussi beau, était autre)” (P, 249-250; 657): fondamentale è la<br />

novità dello sguardo (qui dell’orecchio).<br />

La “nuova opera” comincia “in mezzo a un acre silenzio, in un<br />

vuoto infinito [...] in un rosa aurorale”: “Mentre la Sonata si apriva su<br />

un’alba liliale e campestre (liliale et campêtre), dividendo il suo<br />

candore leggero ma sospendendosi sull’intrico lieve eppure<br />

consistente d’un pergolato rustico (rustique) di caprifoglio sopra<br />

gerani bianchi, era su superfici uniformi e piane come quelle del<br />

mare che, in un mattino di tempesta, cominciava, in mezzo a un acre<br />

silenzio, in un vuoto infinito, la nuova opera, ed era in un rosa<br />

aurorale che, per costruirsi progressivamente davanti a me,<br />

quell’universo ignoto veniva estratto dal silenzio e dalla notte” (P,<br />

250; 657).<br />

Di seguito: “Quel rosso così nuovo, assente nella tenera,<br />

campestre e candida (tendre, champêtre et candide) Sonata, tingeva<br />

tutto il cielo, come l’aurora, d’una speranza misteriosa. E già un<br />

canto lacerava l’aria (perçait [...] l’air), un canto di sette note, ma così<br />

strano, così diverso da tutto quanto avessi mai immaginato, al tempo<br />

stesso ineffabile e chiassoso (à la fois ineffable et criard), non più<br />

gemito di colomba (non plus roucoulement de colombe) come nella<br />

Sonata, ma squarciante l’aria (déchirant l’air), vivo come la tinta<br />

scarlatta in cui era immerso l’inizio, qualcosa come un mistico canto<br />

del gallo, un richiamo, ineffabile ma sopracuto, dell’eterno mattino<br />

(ineffable mais suraigu del l’éternel matin)” (P, 250; 657-658). 178<br />

Appare chiara l’aumentata sonorità...<br />

Segnaliamo l’accoppiamento ineffable et criard // ineffable mais<br />

suraigu (“criard”, in Du côté... è il “grelot” aperto dai familiari stranierinemici):<br />

l’“eterno” si affaccia sulla scena come novità assoluta.<br />

Bellissima ma terribile. Il canto del gallo richiama alla mente,<br />

insieme, il tradimento di Pietro e la salvezza del Cristo.<br />

L’atmosfera “fredda, lavata di pioggia, elettrica” cambiava ad<br />

ogni istante “cancellando la promessa purpurea dell’aurora”: “A<br />

mezzogiorno, tuttavia (pourtant), in un trionfo ardente e passeggero<br />

di sole (dans un ensoleillement brülant et passeger), questa<br />

178 A proposito delle cloches, di Combray, esse riappaiono il giorno in cui rivivono<br />

nel septuor di Vinteuil. E Luc Fraisse segnala che non si presta attenzione al fatto<br />

che la tonalità generale del septuor è ispirata dall’immagine delle “cloches qui,<br />

avant d’apparaître, sont annoncées par un ‘chant [...] criard’, ‘déchirant l’ait’ qui<br />

‘perçait déjà, ‘un appel [...] suraigu de l’éternel matin, ‘un mystique chant du coq’<br />

[...] (L’œuvre cathédrale, Corti, Parigi, 1990, p. 163).


153<br />

sembrava compiersi in una felicità greve, paesana e quasi rustica<br />

bonheur lourd, villageois et presque rustique), dove il vacillare di<br />

campane scatenate e squillanti (où la titubation de cloches<br />

retentissants et déchaînées) (simili a quelle che incendiavano di<br />

calore la piazza della chiesa di Cambray, e che Vinteuil, che tante<br />

volte doveva averle sentite, aveva forse colte in quel’attimo nella sua<br />

memoria come un colore che si abbia a portata di mano su una<br />

tavolozza) sembrava materializzare la più spessa delle gioie. A dire il<br />

verro, esteticamente quel motivo gioioso non mi piaceva, lo trovavo<br />

quasi brutto, il suo ritmo si trascinava così faticosamente a terra (s’en<br />

traînait si péniblement à terre) che si sarebbe potuto imitarne quasi<br />

tutto l’essenziale con semplici rumori, battendo in un certo modo le<br />

bacchette su un tavolo” (P, 250; 658).<br />

Finisce così il primo “movimento” (o la “presentazione” del<br />

motivo)... evidentemente della partitura proustiana. (Come vedrete,<br />

non riusciremo a illustrare tutti i movimenti)... ensoleillement brülant<br />

et passeger // bonheur lourd, villageois et presque rustique //<br />

titubation de cloches retentissants et déchaînées...<br />

La festosità dello scampanio – che compete, per vincere, col<br />

canto del gallo – è solo un segno bruciante e passeggero di una<br />

felicità greve (lourd)... Infatti, si trascina per terra... Altro che voli...<br />

Si capisce che al Narratore non piaccia. Gli sembra addirittura<br />

“brutta”.<br />

Ma “il motivo trionfante delle campane (le motif triomphant des<br />

cloches) viene cacciato e disperso da altri”...<br />

Il trionfo delle campane richiama il frastuono inutile dei familiari<br />

di Cambray...<br />

Saltiamo alcune pagine (circa quattro): “La gioia suscitata in lui<br />

[in Vinteuil] da certe sonorità, la moltiplicazione di forze ch’egli ne<br />

aveva tratta per trovarne di nuove, trascinavano ancora l’ascoltatore<br />

di scoperta in scoperta; o meglio, era lo stesso creatore a trascinarlo,<br />

attingendo dai colori appena trovati una gioia immensa che gli dava<br />

la forza di scoprire, di gettarsi su quello ch’essi sembravano<br />

invocare, estasiato, trasalendo come all’urto d’una scintilla quando il<br />

sublime scaturiva spontaneo dall’intersezione dei ‘fiati’, ansimante,<br />

ebbro, sconvolto, vertiginoso nell’atto di dipingere il suo grande<br />

affresco musicale come Michelangelo quando, appeso a testa in giù<br />

alla sua scala, scagliava tumultuosi colpi di pennello sulla volta della<br />

Cappella Sistina. Vinteuil era morto da parecchi anni (Vinteuil était<br />

mort depuis nombre d’années); ma, in mezzo a questi strumenti che<br />

aveva amati, gli era stato concesso di continuare, per un tempo<br />

illimitato, una parte almeno della sua vita. Della sua vita d’uomo,


154<br />

soltanto (de sa vie d’homme seulement)? Se l’arte non era davvero<br />

che un prolungamento della vita, valeva la pena di sacrificarle<br />

qualcosa? Non era, l’arte, irreale quanto la vita stessa?” (P, 254-255;<br />

662-663).<br />

Vinteuil è morto da anni. Ricordate: Combray è morta.<br />

Immediato l’interrogativo: morta per sempre?<br />

Qui, addirittura: nella sua vita d’uomo, soltanto?<br />

Risposta: “Ascoltando meglio quel Settimino, non mi era<br />

possibile pensarlo”.<br />

Perché?<br />

“Il rosseggiante Settimino differiva singolarmente, non c’era<br />

dubbio, dalla bianca Sonata; la timida interrogazione (la timide<br />

interrogation), cui rispondeva la piccola frase (la petite phrase), dalla<br />

supplica anelante (de la supplication haletante) per l’adempimento<br />

della stana (étrange) promessa ch’era risuonata così acre, così<br />

sovrannaturale, così breve (qui avait retenti, si aigre, si surnaturelle,<br />

si brève), facendo vibrare l’ancora inerte rossore del cielo mattutino<br />

al di sopra del mare” (P, 255; 663).<br />

Qui l’interrogazione (della piccola frase) è “timide”; la supplica<br />

dei “primi gridi d’aurora (premiers cris d’aurore)” (P, 253; 661) è<br />

“haletante”... Ricordate i “coups hésitants de la clochette” che dicono<br />

l’arrivo di Swann...<br />

Nella Prigioniera le due sonorità sfumano l’una nell’altra?<br />

“Eppure, quelle frasi tanto diverse erano fatte degli stessi<br />

elementi [...]. La musica di Vinteuil stendeva, nota dopo nota, tocco<br />

dopo tocco, le colorazioni ignote, inestimabili, di un universo<br />

insospettato, frammentato dalle lacune che separavano i successivi<br />

ascolti della sua opera; le due interrogazioni così dissimili che<br />

dominavano il movimento della Sonata e quello così diverso del<br />

Settimino, l’una spezzando in brevi richiami (brisant en courts<br />

appels) una linea continua e pura, l’altra rinsaldando dentro<br />

un’armatura indivisibile degli sparsi frammenti, l’una così calma e<br />

timida (si calme et timide), quasi distaccata e come filosofica<br />

(presque détachée et comme philosophique), l’altra così pressante,<br />

ansiosa, implorante (si pressante, anxieuse, implorante), erano<br />

tuttavia un’unica preghiera, sgorgata davanti a differenti albe interiori,<br />

pur essendosi rifratta attraverso i differenti ambiti di pensieri altri, di<br />

ricerche d’arte via via progredite nel corso di anni durante i quali il<br />

compositore s’era sforzato di creare qualcosa di nuovo” (P, 255;<br />

663).<br />

Semplificando: i musicologi possono scovare “col<br />

ragionamento” somiglianze che sono “esteriori” piuttosto che “sentite


155<br />

con l’impressione diretta”. Quando Vienteuil “recuperava, a varie<br />

riprese, la stessa frase, la variava, si divertiva a cambiarne il ritmo, a<br />

farla riapparire nella sua forma primitiva, tali somiglianze, volute<br />

(voulues), opera dell’intelligenza, forzatamente superficiali, non<br />

arrivavano mai ad essere impressionanti quanto le somiglianze<br />

dissimulate, involontarie (involontaires), che prorompevano sotto<br />

colori diversi da due distinti capolavori; perché Vinteuil, nella sua<br />

potente ricerca del nuovo, interrogava allora se stesso, attingeva con<br />

tutta la potenza del suo sforzo creativo la sua propria essenza (sa<br />

propre essence) a profondità dove, qualunque sia la domanda, è con<br />

lo stesso accento, il suo, ch’essa risponde” (P, 256; 664).<br />

Quindi: anche il creatore ricorre all’intelligenza oltre che<br />

all’impressione... Ma è l’“involontario” che porta all’“essenza”.<br />

Con quel che segue il Narratore vuole dirci che l’artista abita nel<br />

paese straniero (Shakespeare); e che questo paese è, però, una<br />

patria sconosciuta (un-heimlich = heimlich)...<br />

“Ogni artista è come il cittadino d’una patria sconosciuta (d’une<br />

patrie inconnue), da lui stesso obliata, diversa da quella da cui verrà,<br />

salpando alla volta della Terra, un altro grande artista. Tutt’al più. A<br />

quella patria Vinteuil sembrava, nelle sue ultime opere, essersi<br />

avvicinato. L’atmosfera, in esse, non era più la stessa che nella<br />

Sonata, le frasi interrogative vi si facevano più pressanti, più inquiete,<br />

le risposte più misteriose; l’aria dilavata del mattino e della sera<br />

sembrava influire persino sulle corde degli strumenti. [...] i suoni [...]<br />

mi parvero singolarmente penetranti, quasi striduli (presque criards).<br />

Era un’asprezza (acrêté) affascinante e, come in certe voci, vi si<br />

coglieva una sorta di qualità morale e di superiorità intellettuale. Ma<br />

poteva urtare (mais cela pouvait choquer). Quando la visione<br />

dell’universo si modifica, si depura, diventa più adeguata al ricordo<br />

della patria interiore (de la patrie intérieure), è naturale che questo si<br />

traduca in un’alterazione delle sonorità nel musicista, come nel<br />

colore nel pittore” (P, 257; 665).<br />

Quindi: entrambe le sonorità (Sonata e Settimino) sono gradi di<br />

avvicinamento all’essenza; quella del Settimino è più prossima<br />

all’essenza, quindi più “criarde”.<br />

La “patria perduta (perdue)”, i musicisti “non se la ricordano”;<br />

ma ciascuno di essi, “sempre inconsapevolmente”, rimane<br />

“accordato in un cero unisono (en un certain unisson) con lei”...<br />

Si tratta di un “unisson” diverso da quello che incontreremo in<br />

Jean Santeuil (vedi cap. 13); qui non c’è un’aderenza al reale, una<br />

individuazione precisa del medesimo; c’è, di esso, una creazione:<br />

“L’unico vero viaggio, il solo bagno di Giovinezza (le seul bain de


156<br />

Jouvence), non consisterebbe nell’andare verso nuovi paesaggi, ma<br />

nell’avere altri occhi, nel vedere l’universo con gli occhi di un altro, di<br />

cento altri, nel vedere i cento universi che ciascuno di essi vede, che<br />

ciascuno di essi è (que chacun d’eux est) [...]” (P, 258; 666). 179<br />

E a questo punto – anche se saltiamo una pagina – si colloca<br />

un passaggio straordinario: “Ma che cos’erano le parole – che, come<br />

ogni esteriore parola umana, mi lasciavano affatto indifferente –<br />

rispetto alla celeste frase musicale con la quale mi ero appena<br />

intrattenuto? [...]. E come certi esseri sono gli ultimi testimoni d’una<br />

forma di vita che la natura ha abbandonata, mi chiedevo se la<br />

musica non fosse l’esempio unico di ciò che sarebbe potuta essere –<br />

se non vi fossero state l’invenzione del linguaggio, la formazione<br />

delle parole, l’analisi delle idee (l’analyse des idées) – la<br />

comunicazione delle anime. È, la musica, come una possibilità che<br />

non ha avuto seguito; l’umanità ha imboccato altre strade, quella del<br />

linguaggio parlato e scritto. Ma quel ritorno al non analizzato (ce<br />

retour à l’inanalysé) era così inebriante che, uscendo da quel<br />

paradiso, il contatto con esseri più o meno intelligenti mi sembrava<br />

assolutamente insignificante” (P, 258-259; 666-667).<br />

Penso che lo spostamento dei nostri “appunti”, da alcune<br />

considerazioni teoriche che pure restano cruciali, all’analisi delle<br />

sonorità di alcuni passi salienti dell’œuvre, la dica lunga...<br />

Realizzi una sorta di “unisson” con <strong>Proust</strong>.<br />

A più riprese torna questa o quella frase, “ma mutata ogni volta<br />

[...] la stessa eppure diversa”: “Poi le frasi si allontanarono, tranne<br />

una che vidi ripassare sino a cinque, sei volte senza riuscire a<br />

scorgerne il volto, ma la cui voce era così carezzevole, così diversa<br />

(si caressante, si différente) – come lo era, probabilmente, la piccola<br />

frase della Sonata per Swann – da ogni desiderio che una donna<br />

avesse mai potuto suscitare, da fare di quella frase che m’offriva con<br />

179 Vedi anche: Vedi anche: “Per essere riconosciuti, il pittore originale, lʼartista<br />

originale procedono con la tecnica degli oculisti. Il trattamento messo in atto dalla<br />

loro pittura, o dalla loro prosa, non è sempre gradevole (nʼest pas toujours<br />

agréable). Quando è terminato, lo specialista ci dice: Adesso guardate. Ed ecco<br />

che il mondo (che non è stato creato una sola volta, ma tutte le volte che è<br />

sopraggiunto un artista originale [qui nʼest pas été créé une fois, mais aussi<br />

souvent quʼun artiste original est survenu]) ci appare completamente diverso da<br />

prima, e tuttavia perfettamente chiaro. Per la strada passano donne diverse da<br />

quelle dʼun tempo, perché sono dei Renoir – quei Renoir nei quali, allora, ci<br />

rifiutavamo di vedere delle donne. Anche le carrozze sono dei Renoir, e lʼacqua, e<br />

il cielo [...]. Così è lʼuniverso, nuovo e perituro (nouveau et périssable), che è stato<br />

appena creato. Durerà fino alla prossima catastrofe geologica scatenata da un<br />

nuovo pittore o da un nuovo scrittore originali” (G, 327; 398-399).


157<br />

tanta dolcezza una felicità cui si sarebbe dovuto davvero aspirare e<br />

che pure capivo tanto bene, la sola Sconosciuta, forse, che mi sia<br />

stato dato incontrare. Poi quella frase si disfece, si trasformò, come<br />

faceva la piccola frase della Sonata, e diventò il misterioso richiamo<br />

dell’inizio. Le si oppose una frase d’indole dolorosa, ma così<br />

profonda, così vaga, così interna, così – quasi – organica e viscerale<br />

(mais si profonde, si vague, si interne, presque si organique et<br />

viscérale) che, ogni volta, non si sapeva se le sue riprese fossero<br />

quelle di un tema o di una nevralgia” (P. 260; 668-669).<br />

Trasformazioni a non finire... Incontro con la Sconosciuta...<br />

Ritorno della ricchissima aggettivazione: mais si profonde, si vague,<br />

si interne, presque si organique et viscérale...<br />

Ben presto fra i due motivi, una “lotta a corpo a corpo” e il<br />

Narratore è come uno “spettatore interiore incurante, a sua volta, di<br />

nomi e particolari e interessato a quel loro combattimento<br />

immateriale e dinamico di cui seguiva con passione le peripezie<br />

sonore” (P, 260; 669)...<br />

Quel che stiamo facendo noi...<br />

“Alla fine, fu il motivo gioioso a trionfare; non era più un<br />

richiamo quasi inquieto lanciato verso un cielo vuoto, era una gioia<br />

ineffabile (ineffable) che sembrava venire dal paradiso, una gioia<br />

tanto diversa da quella della Sonata quanto da un angelo dolce e<br />

grave di Bellini, suonatore di tiorba, potrebbe esserlo, avvolto in una<br />

veste scarlatta, un arcangelo di Mantegna intento a soffiare in una<br />

buccina. Sapevo che quella nuova sfumatura di gioia, quell’appello<br />

ad una gioia ultraterrena (cet appel vers une joie supra-terrestre),<br />

non li avrei mai dimenticati. Ma sarebbe mai stata, una simile gioia,<br />

realizzabile per me?” (P, 260-261; 669).<br />

Ricordate il ricorrente interrogativo: sono un romanziere?<br />

La risposta, lo sappiamo ormai molto bene, avviene nella forma<br />

dell’accesso all’extratemporale, all’etraterrestre.<br />

In cui è detto il non-dicible (quell’“ineffable” che è ritornato tre o<br />

quattro volte).<br />

Sì, l’ineffabile è detto; detto musicalmente: la musica di Vinteuil<br />

meglio ancora: quella frase, “poteva caratterizzare nel migliore dei<br />

modi – come tagliando netto con tutto il resto della mia vita, con il<br />

mondo visibile – le impressioni ch’io ritrovavo nella mia esistenza, a<br />

larghi intervalli, come i punti di riferimento, le pietre angolari per la<br />

costruzione di una vita vera (les amorces pour la construction d’une<br />

vie véritable) [...]” (P, 261; 669).<br />

Il Narratore è approdato all’“essenza”, alla “vita vera”... E l’ha<br />

fatto approfondendo quelle “impressioni” che, ad intervalli, ha avuto


158<br />

(ne fa un rapido elenco)... Sono tutte state impressioni relative a fatti<br />

di nessun rilievo... E anche adesso: chi è stato Vinteuil? Uno<br />

sconosciuto, un “triste, compìto piccolo borghese”; proprio così: “il<br />

presentimento più estraneo a ciò che assegna la vita terra-terra,<br />

l’approssimazione più ardita all’esultanza dell’al di là (l’approximation<br />

la plus hardie des allégresses de l’au-delà)” sono venute da piccole<br />

frasi del piccolo Vinteuil.<br />

Il regno dei cieli è dei poveri; che hanno sete di giustizia... di<br />

vita vera.<br />

Seguono pagine straordinarie sulla connessione tra sacrilegioadorazione-deciframento...<br />

Si tratta di pagine, come quasi tutte,<br />

autobiografiche...<br />

È stata l’amica di Mademoiselle Vinteuil, colei che ha spinto la<br />

figlia al sacrilegio, ad “estrarre” “da carte più illeggibili dei papiri<br />

punteggiati di scrittura cuneiforme la formula eternamente vera,<br />

infinitamente feconda di quella gioia ignota, la speranza mistica<br />

dell’Angelo scarlatto del Mattino” (P, 261; 671).<br />

Ricordiamo che i brogliacci del Tempo ritrovato si intitolano<br />

“L’Adoration perpétuelle” e “Bal de têtes”... Il primo dei due titoli<br />

suggeriva un parallelo tra il rito cattolico della perpetua adorazione<br />

della presenza nel Santo Sacramento e la scoperta dell’indistruttibile<br />

verità del Tempo Ritrovato... E, da sempre, il corpo di Cristo –<br />

“mangiatene tutti” – è il bacio della madre: “[...] chinando sul mio letto<br />

il suo viso amoroso (sa figure aimante), protendendolo (l’avait<br />

tendue) verso di me come un’ostia per una comunione di pace<br />

(comme une hostie pour une communion de paix) dalla quale le mie<br />

labbra avrebbero attinto la sua presenza reale (sa présence réelle) e<br />

il potere di addormentarmi” (SW, 13; 17-18)...<br />

Vi dirò la verità: tutta la faccenda del sacrilegio mi risulta fasulla.<br />

Che differenza c’è tra il bacio che equivale ad un’ostia e l’ostia<br />

che equivale a un bacio?<br />

Non è sempre desiderio di “presenza reale”?<br />

E di “perpetuità”?


159<br />

Cap. 9<br />

EMBRASSER LE VISAGE<br />

Questo è uno dei titoli che incontriamo nel Carnet de<br />

1908 (C8, 56) e che Klob ritiene che corrisponda “au<br />

morceau où <strong>Proust</strong> donne une description si originale et<br />

charmante du baiser” (II, 363-365 = Le côté de<br />

Guermantes)” (Introduction, C8,14). Ecco il brano<br />

introdotto dal titolo “Pages écrites”: “Robert et le<br />

chevreau, Maman part en voyage. Le côté de Villebon et<br />

le côté de Méséglise. Le vice sceau et ouverture du<br />

visage. La déception qu’est une possession, embrasser le<br />

visage. Ma g d mère au giardin, le dîner de M. de<br />

Breteville, je monte, le visage de Maman alors et depuis<br />

dans mes rêves, je ne peux m’endormir, concession etc.<br />

Les Castellane, les hortensias normands, les chatelains<br />

anglais, allemand: la petite fille de Louis-Philippe,<br />

Fantasie, le visage maternel dans un petit fils débauché.<br />

Ce que m’ont appris le côté de Villebon et le côté de<br />

Méséglise” (C8, 56). Come contrappeso: “oubliant son<br />

visage, je me jetais sur elle et ce furent de violentes<br />

caresses que je sentais apprises à elle par des bergers,<br />

et où j’avais l’impression de ne plus être moi, d’être un<br />

jeune paysan qu’une jeune paysanne plus hardie et déjà<br />

dessalée roule dans le foin” (AS, CA 36, 23, 24, 50; ES<br />

XVIII, 714). Vedi anche: “À cause de toutes les<br />

apparitions successives de visages différents qu’offrait<br />

Mme de Guetmantes, visages occupant une étendue<br />

relative et variée tontôt étroite, tantôt vaste, dans<br />

l’ensemble de sa toilette, mon amour n’était pas attaché à<br />

telle ou telle de ces parties changeantes de chair et<br />

d’éttoffe qui prenaient, selon les jours, la place des autres<br />

et qu’elle pouvait modificer et renouveler presque<br />

entièrement sans altérer mom trouble parce qu’à travers<br />

elles, à travers le nouveauu collet et la joue inconnue, je<br />

sentais que c’était toujours Mme de Guermantes. Ce que<br />

j’aimais c’étatit la personne invisible qui mettait en<br />

mouvement tout cela” (SG, 362).<br />

Lettere a Reynaldo Hahn: 3 luglio 1896: “Seulement je<br />

serai bien content aussi, ah! mon cheri petit, bien bien<br />

content quand je pourrai vous embrasser, vous vraiment


1) Incesto e sacrilegio<br />

160<br />

la personne qu’avec Maman j’aime le mieux au monde”<br />

(CORR, II, 88); 8 agosto 1896: “Mais si ma fantasie est<br />

absurde, c’est une fantasie de malade, et qu’à cause de<br />

cela il ne faut contrarier” (CORR, II, 97); maggio 1912:<br />

“Mais je suis tellement fastiné après ma mauvaise nuit<br />

que je veux fumer vite pour tâcher de dormir, car j’ai<br />

besoin et besoin. Mais je n’aurais pas pu m’endormir sans<br />

vous avoir embrassé, sans vous avoir donné le baiser de<br />

Combray, j’embrasse votre petite main mon Gunibuls”<br />

(CORR, XI, 39-40).<br />

Lettera a Georges de Lauris, 7 ottobre 1908: “Vedervi è<br />

sempre una delizia [...]. Ciascuna delle vostre membra<br />

salvatesi miracolosamente [...]. Tutto il vostro corpo [...]. I<br />

vostri occhi soprattutto, che subitaneamente si abbuiano<br />

se qualcosa di triste vi passa nel cuore, ma al cui fondo<br />

con repentina ascensione si aprono squarci di azzurro,<br />

magnifiche schiarite: il vostro corpo tutto vorrei ora vedere<br />

e toccare, per avere troppo dimenticato che è la<br />

condizione indispensabile di quella spontaneità spirituale<br />

che è voi [...]. Mi sembra di avere fino a oggi troppo<br />

esclusivamente amato la vostra intelligenza e il vostro<br />

cuore, e proverei adesso una gioia pura ed esaltante,<br />

come il cristiano quando mangia il pane e beve il vino e<br />

canta venite ad oremus, recitando accanto a voi la litania<br />

delle vostre caviglie e le lodi dei vostri polsi (la litanie de<br />

vos chevilles et les louanges de vos poignets) (CORR,<br />

VIII, 239; LG, 907-908).<br />

Abbiamo visto che la scena archetipica è quella del bacio della<br />

buonanotte dispensato dalla madre.<br />

Ora, in francese, baiser significa bacio; embrasser, usato molto<br />

spesso come equivalente, significa sia bacio che abbraccio; significa<br />

anche amplesso (vedi embrassement).<br />

Ad esempio, ne La prigioniera: “Ma lei, la sera, aveva<br />

continuato a baciarmi in quel modo (à m’embrasser de la même<br />

manière), che mi rendeva furioso. [...]. E così, non avendo più da lei


161<br />

le soddisfazioni carnali (le satisfactions charnelles) alle quali tenevo<br />

[...]” (P, 404; 826). 180<br />

In ogni caso spesso siamo sull’orlo del sacrilegio<br />

(frequentissimo in <strong>Proust</strong>). 181<br />

Citiamo da Dalla parte di Swann: “La sola consolazione,<br />

quando salivo a coricarmi, era che la mamma (maman) sarebbe<br />

venuta a darmi un bacio (viendrait m’embrasser) una volta che io<br />

fossi a letto. Ma quella buonanotte (ce bonsoir) durava così poco, lei<br />

ridiscendava così presto, che il momento in cui la sentivo salire, e poi<br />

nel corridoio (couloir) a doppia porta trascorreva il lieve fruscio della<br />

sua veste da giardino in mussola azzurra dalla quale pendevano dei<br />

cordoncini di paglia intrecciata, era per me un momento doloroso.<br />

[...]. A volte. Quando dopo avermi baciato (embrassé) apriva la porta<br />

per uscire, io desideravo richiamarla, dirle ‘dammi un altro bacio<br />

(embrasse-moi une fois encore)’, ma [...]. Ora, vederla indispettita<br />

distruggeva tutta la calma (tout le calme) di cui mi aveva riempito per<br />

un istante prima chinando sul mio letto il suo viso amoroso (sa figure<br />

aimante), protendendolo (tendue) verso di me come un’ostia (comme<br />

une hostie) per una comunione di pace dalla quale le mie labbra<br />

avrebbero attinto la sua presenza reale e il potere di addormentarmi”<br />

(SW, 13; 17-18)... 182<br />

In Albertine scomparsa: “cercava [la madre, a Venezia] di<br />

avvicinare il più possibile a me [il suo sguardo appassionato], di<br />

innalzare, sporgendo le labbra, in un sorriso che sembrava baciarmi<br />

(un sourire qui semblait m’embrasser), entro la cornice e sotto il<br />

baldacchino del più discreto sorriso dell’ogiva [...]” (AS, 624; 251).<br />

La madre, l’amante, la sorella etc. verranno poste sotto lo<br />

stesso segno; sarà solo lo sviluppo affettivo a creare dei<br />

“dipartimenti” – qui l’“emigrazione” –, delle “suddivisioni”; dipartimenti<br />

e suddivisioni che l’ansia, l’angoscia, elimineranno. (La figura che<br />

180 Lettera di <strong>Proust</strong> al nonno, Nathé Weil, del 17 maggio 1988; <strong>Proust</strong> chiede un<br />

soccorso economico per una disavventura in una maison de passe: “Mais 1° dans<br />

mon émotion j’ai cassé un vase de nuit, 3 francs 2° dans cette même émotion je<br />

n’ai pas pu baiser. [...]. il n’arrive pas deux fois da la vie d’être trop trouble pour<br />

pouvoir baiser” (CORR, XXI, 551).<br />

181 Straordinario a questo proposito, di Georges Bataille, <strong>Proust</strong> in La littérature et<br />

le mal, 1957, in Œuvre complètes, Gallimard, Paris, vol. IX, 1979, pp. 259-261.<br />

Basta ricordare che la parte finale del Tempo ritrovato in origine si intitolava<br />

“L’adoration pérpetuelle”: questo titolo tracciava “un parallelo tra il rito cattolico<br />

della perpetua adorazione della presenza nel Santo Sacramento e la scoperta<br />

dell’indistruttibile verità del Tempo Ritrovato, che inconsapevolmente il Narratore<br />

ha adorato per tutta la vita” (Painter, op. cit., p. 547).<br />

182 In una nelle versioni del “drame du coucher”, la parola “hostie” ricorre quattro<br />

volte (C 8, ES XII, SW, 665-666); in un’altra tre (C8, ES XII, SW, 680).


162<br />

abbiamo già incontrato, nel Tempo ritrovato, della sorella morte,<br />

porta a conclusione sia l’agglutinamento in un solo sentimento<br />

angoscioso di ogni figura soggetta alla perdita, sia la ripartizione in<br />

sentimenti diversi, di amor filiale, sororale, d’amante...).<br />

Vediamo intanto in Dalla parte di Swann: “E tuttavia [...] non<br />

riuscireste [...]: allo stesso modo che di sera, tornando a casa –<br />

nell’ora in cui si risvegliava in me l’angoscia che più tardi emigra<br />

nell’amore, e può divenirne inseparabile per tutta la vita –, non avrei<br />

desiderato che venisse a darmi la buona notte (me dire bonsoir) una<br />

mamma più bella e più intelligente della mia. No: come quel che mi<br />

era necessario per potermi addormentare felice – con quella pace<br />

senza turbamento che nessuna amante (aucune maîtresse) mi poté<br />

ispirare più tardi, poiché di loro si dubita sempre, anche nel momento<br />

in cui si presta loro fede, e non ci è dato mai di possedere il loro<br />

cuore come era dato a me ricevere in un bacio quello di mia madre,<br />

tutto (tout entier), senza la riserva d’un pensiero nascosto, senza<br />

residuo d’un’intenzione non rivolta a me – era che fosse lei, che lei<br />

chinasse verso di me quel volto dove c’era sotto l’occhio qualcosa<br />

che sembra fosse un difetto, e che amavo come il resto [...]” (SW,<br />

185; 225).<br />

2) L’incomprensione della strada che porta “alla vera vita”, fa<br />

scadere la “creazione” a “creazione fittizia”.<br />

Qui sotto richiamiamo, da A l’ombra delle fanciulle in fiore e da<br />

La parte dei Guermantes, due scene molto interessanti: i baci e gli<br />

abbracci con Albertine, quelli falliti, quelli riusciti.<br />

Riusciti?<br />

In A l’ombra delle fanciulle in fiore succede che, prima di<br />

partire, Albertine offra al Narratore un convegno nella sua camera...<br />

Alcuni punti di somiglianza e di contrasto rispetto alla scenamadre:<br />

– esaudimento – sperato – del desiderio (di baciare) avviene in<br />

termini rovesciati: “Potrete assistere al mio pranzo accanto al<br />

mio letto (vous purrez venir assister à mon dîner à côté de mon<br />

lit)”: quasi che il Narratore possa qui stare accanto alla madre,<br />

non solo non lontano dal banchetto, ma nel corso del<br />

banchetto;<br />

– riecco la finestra; ma accanto c’è Albertine; accanto, non alla<br />

porta del giardino: “Mi guardava sorridendo. Accanto a lei, nel<br />

riquadro della finestra (à côté d’elle, dans la fenêtre), la valle


163<br />

era illuminata dal chiaro di luna” (la luna è un altro elemento<br />

costitutivo della scena);<br />

– infine, anche qui qualcosa suona (e la scena viene interrotta):<br />

“Albertine con tutte le sue forze, aveva suonato (Albertine avait<br />

sonné de toutes ses forces)”.<br />

“Vedevo di lato le sue guance, che spesso apparivano pallide<br />

ma, così, erano irrorate, illuminate da un sangue chiaro, rilucenti<br />

come certe mattine d’inverno, quando le pietre parzialmente lambite<br />

dal sole sembrano di granito rosa e sprigionano gioia. [...]. Poi, d’un<br />

tratto (tout à coup), pensai che ogni dubbio era immotivato: m’aveva<br />

detto di andare quando fosse stata a letto. Quella che m’infondeva,<br />

in quel momento, la vista delle guance di Albertine era altrettanto<br />

viva, ma sfociava in un altro desiderio: non di una passeggiata, ma di<br />

un bacio (mais du baiser). Le chiesi se i progetti che le attribuivano<br />

fossero veri: ‘Sì, rispose, passerò la notte nel vostro albergo, e<br />

siccome sono un po’ raffreddata, mi coricherò prima di mangiare.<br />

Potrete assistere al mio pranzo accanto al mio letto (vous purrez<br />

venir assister à mon dîner à côté de mon lit) e, dopo, giocheremo a<br />

quel che vorrete (et après nous jouerons à ce que vous voudrez).<br />

[...]. Mentre la Gilberte che vedevo ai Champs Élysées era un’altra<br />

rispetto a quella che ritrovavo in me quando ero solo, adesso, di<br />

colpo (tout d’un coup), nell’Albertine reale (réelle), quella che vedevo<br />

ogni giorno, che credevo piena di pregiudizi borghesi e sempre<br />

sincera con sua zia, s’era incarnata l’Albertine immaginaria, quella<br />

dalla quale, quando ancora non la conoscevo, m’era parso d’essere<br />

furtivamente sogguardato sulla diga, quella che, vedendomi andar<br />

via, era rincasata – si sarebbe detto – a malincuore. [...]. Poi, d’un<br />

tratto (tout d’un coup), pensai che ogni dubbio era immotivato:<br />

m’aveva detto di andare quando fosse stata a letto (quand elle serait<br />

couchée). [...]. Trovai Albertine coricata nel suo letto (couchée dans<br />

son lit). Lasciandole il collo scoperto, la camicia bianca mutava le<br />

proporzioni del viso che, congestionato dal calore del letto, o dal<br />

raffreddore, o dal pranzo, sembrava più rosa; pensai ai colori che<br />

avevo avuto accanto a me poche ore prima, sulla diga, e dei quali<br />

avrei infine conosciuto il sapore; la sua guancia era attraversata,<br />

dall’alto in basso, da una delle lunghe trecce nere e ricciute che, per<br />

piacermi, aveva del tutto disciolte. Mi guardava sorridendo. Accanto<br />

a lei, nel riquadro della finestra (à côté d’elle, dans la fenêtre), la<br />

valle era illuminata dal chiaro di luna (clair de lune). La vista del collo<br />

nudo di Albertine, di quelle guance d’un rosa troppo acceso, mi<br />

aveva precipitato in una tale ebbrezza [...]. E tutto quanto la natura<br />

potesse concedermi di vita, mi sarebbe parso ben povero, gli aliti del


164<br />

mare mi sarebbero parsi ben avari per l’immensa aspirazione (pour<br />

l’immense aspiration) 183 che sollevava il mio petto. Mi chinai verso<br />

Albertine per baciarla (je me penchais vers Albertine pour<br />

l’embrasser). Se la morte mi avesse colto in quell’attimo, mi sarebbe<br />

sembrata indifferente o piuttosto impossibile, giacché la vita non era<br />

fuori di me, era in me (m’eût paru indifférent ou plutôt impossible, car<br />

la vie n’était pas hors de moi, elle était en moi); [...]. ‘Finitela o suono<br />

(finissez ou je sonne)’, intimò Albertine vedendo che mi slanciavo su<br />

di lei per baciarla (je me jetais sur elle pour l’embrasser). [...]. Stavo<br />

per conoscere l’odore, il sapore di quell’ignoto frutto rosa. Sentii il<br />

suono precipitoso, prolungato e stridulo (j’entendis un son précipité,<br />

prolongé et criard). Albertine, con tutte le sue forze, aveva suonato<br />

(Albertine avait sonné de toutes ses forces)” (OF, 931-934; 1124-<br />

1128). 184<br />

Interessante cogliere anche qui, come quasi sempre, gli<br />

elementi costitutivi dell’ultima edizione (della scena-madre): m’eût<br />

paru indifférent ou plutôt impossible, car la vie n’était pas hors de<br />

moi, elle était en moi. Solo che qui prevale lo strazio della perdita. 185<br />

In La parte dei Guermantes, Albertine, che da tempo, a Parigi,<br />

viene a trovare il Narratore, una volta, senza che il Narratore abbia<br />

“suonato”, compare; questa volta, la scena avvenuta a Balbec è<br />

invertita: il Narratore è a letto e Albertine seduta accanto a lui, sul<br />

letto: l’esaudimento reintroduce la scena-madre.<br />

183 Abbiamo già incontrato “l’immenso desiderio di conoscere la vita” provato un<br />

tempo sulle strade di Balbec”; (AS, 165) e la “dimension énorme” del Tempo (TR,<br />

1047)<br />

184 Rimandiamo, per l’esperienza – De l’amitè au désir – con Charlotte, a Jean<br />

Santeuil (JS, 837-841). Richiamiamo fuggevolmente, la “scène du lit” nel Cahier 25<br />

(OF, 1007-1009): “Je santais en moi quelque chose se soulever, comme une<br />

torture qui eût voulu saisir et emporter ce fruit rose; je levai, je me jetai vers le lit,<br />

les lèvres tendues dans un besoin de savoir le goût de la surface rose ed violacée<br />

qui tournait devant moi. À demi dressée, elle dit sevèremet: Je vous défends, je<br />

vous défends, prenez garde, un mouvement de plus, je sonne’. Je me rappellai ses<br />

paroles habituelles, l’unique chance de cet instant que je ne retrouverais pas:<br />

‘Seulement vous embrasser. – Jamais, jamais, je sonne’. Elle avais pris la<br />

sonnette, je m’avançai encore, j’étais presque à sa joue, elle sonna et un coup<br />

interminable retentit dans l’hôtel, je m’échappai”. (C 25, ES LXXI, OF, 1008-1009).<br />

Notate che questa descrizione è meno sintetica. Peraltro, ad essa segue un lungo<br />

commento che nel testo definitivo ci è risparmiato. Alla conclusione del commento:<br />

“[...] dès que j’eus eu la preuve, par cette experence décisive qu’elle n’était même<br />

pas embrassable, je cessai de penser à elle”. Non andrà così con Albertine.<br />

185 A proposito di questo passaggio, interessante, di Yves Sandre, Destin d’une<br />

variante (in Cahiers de <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 7. Études proustiennes, II, Gallimard, Paris,<br />

1975, pp. 143-155).


165<br />

Il Narratore, che non ama più Albertine, è comunque coinvolto<br />

in un’esperienza che ha tutta la struttura della memoria involontaria.<br />

Il Narratore si trova di fronte ad Albertine diverse: quella della<br />

prima Balbec (della banda delle fanciulle in fiore), quella della<br />

seconda Balbec (dello “scacco”), l’ultima, la “nuova”. Tale pluralità<br />

favorisce la perdita d’equilibrio (preliminare essenziale della memoria<br />

involontaria). Penso alla rottura dell’equilibrio determinata<br />

dall’impertinenza filologica di Albertine; a quella della scomparsa del<br />

volto di Albertine (non più percepito dagli occhi che le si sono<br />

avvicinati troppo per poterlo ancora vedere) durante il bacio.<br />

Ma – qui il tragico –, tale scomparsa, invece di essere<br />

interpretata come l’accesso all’“essenza” alla vera Albertina, alla<br />

“vera vita” con lei, viene misinterpretata come l’irrilevanza di<br />

un’Albertine a cui si è diventati “indifferenti” (nel momento in cui essa<br />

è diventata “docile”)...<br />

Leggete queste pagine (G, 350-370; 427-552). Che sono<br />

straordinariamente ricche. Perché l’esperienza con Albertine non è<br />

solo calata nella storia del Narratore, ma, verrebbe da dire, nella<br />

storia di tutti noi; tanto sono ricchi ed eloquenti i riferimenti artistici,<br />

filologici, storici; tanto numerose e profonde sono le pieghe della<br />

narrazione...<br />

Segue il testo a brani e con veloci annotazioni: “Ogni tanto<br />

sentivo il rumore dell’ascensore (le bruit de l’ascenseur) in salita [...]<br />

un rumore in se stesso doloroso, nel quale risuonava una sorta di<br />

sentenza di abbandono. E io m’immalinconivo al pensiero di dover<br />

restare a tu per tu con lei [con la “grigia giornata”] che non mi<br />

conosceva più di un’operaia installatasi accanto alla finestra (près de<br />

la fenêtre) per avere più luce nel suo lavoro. [...]. All’improvviso (tout<br />

d’un coup), senza ch’io avessi sentito suonare (sans que j’eusse<br />

entendu sonner), Françoise aprì la porta, introducendo Albertine che<br />

entrò sorridente, silenziosa e grassoccia, contenendo nella<br />

plenitudine del suo corpo, pronti perché continuassi a viverli, venuti<br />

sino a me, i giorni passati (les jours passés) in quella Balbec dove<br />

non ero più tornato (où je n’étais jamais retourné)”. 186<br />

186 Nel Cahier 46 Albrtine non si affaccia, come dire, ex-abrupto: “Il était quattre<br />

heures de l’après-midi, j’etendis sonner, c’était Albertine” (C 46; ES XXVIII, G,<br />

1218-1220). Nelle esquisse a quest’episodio sono dedicate 4 pagine (C 46, ES<br />

XXVII, G, 1217-1221), ne La parte dei Guermantes molte di più (G, 350370; 427-<br />

452). Nel Cahier, qualcosa di velatamente volgare: “‘Eh bien où avons-nous dit que<br />

vous alliez me chatouiller? Je crois que je suis très sensible aux genoux?’ [Tutto è<br />

cominciato dagli oreilles e con essi finirà]. Elle s’installa commodément, presque<br />

méthodiquement; ainsi abaissées ses joues pleines paraissaient plus belles et plus<br />

roses. [...]. Elle continuait à me chatouiller les genoux, l’air de ne pas savoir


166<br />

Ricompaiono figure tipiche: la finestra e il suono. E poi il tempo<br />

perduto (i giorni passati che non sono più tornati).<br />

“Certo ogni volta che rivediamo una persona con la quale i<br />

nostri rapporti – per insignificanti che siano – sono venuti mutando, è<br />

come se due epoche si confrontassero tra loro (une confrontation de<br />

deux Époques)”: “Aveva un altro viso o, meglio, aveva finalmente un<br />

viso [...]”.<br />

Il confrontarsi di due epoche determina la perdita<br />

dell’equilibrio 187 che è il preliminare della memoria involontaria. Qui il<br />

Narratore non ritroverà qualcosa che ha perduto perché non l’ha<br />

vissuto pienamente; bacerà e possederà quell’Albertine che non ha<br />

mai baciato né posseduta. Prezioso qui più che altrove il richiamo<br />

alla “creazione” come creazione della donna da parte di Adamo: vedi<br />

più avanti.<br />

“Questa volta tuttavia [...]. C’erano, in lei, novità più attraenti;<br />

sentivo, nella stessa graziosa fanciulla ch’era venuta a sedersi<br />

accanto al mio letto (qui venait de s’asseoir près de mon lit),<br />

qualcosa ch’era diverso, e nelle linee per il cui tramite, nello sguardo<br />

e nei tratti del volto, si esprime la volontà abituale, un cambiamento<br />

di fronte, una semiconversione, come fossero andate distrutte le<br />

resistenze contro le quali m’ero schiantato a Balbec, la sera in cui<br />

formavamo una coppia simmetrica ma inversa rispetto all’attuale,<br />

perché allora era lei ad essere coricata e io accanto al suo letto (un<br />

couple symétrique mais inverse de celui de l’après-midi actuelle,<br />

puisque alors c’était elle qui était couchée et moi, à côté de son lit)”.<br />

Di questo capovolgimento della situazione abbiamo già detto.<br />

Il Narratore, pur consapevole di non essere “affatto innamorato”<br />

di Albertine, sogna intorno ad essa: “Certo, non ero affatto<br />

innamorato di Albertine: figlia della nebbia che regnava oltre i vetri,<br />

poteva solo soddisfare il desiderio dell’immaginazione che il nuovo<br />

tempo aveva risvegliato in me e che era una via di mezzo fra i<br />

desideri cui vengono incontro le arti della cucina e quelle della<br />

scultura monumentale, giacché mi faceva sognare (me faisait rêver),<br />

insieme, sia di mischiare alla mia carne una materia diversa e calda<br />

sia di attaccare in un qualche punto al mio corpo disteso un corpo<br />

davantage, timide, innocente, réservée. Au but d’un instant je lui dis: ‘Cela ne me<br />

chatuille plus, donnez-moi votre joue’, et je voulus m’approcher pour y passer ma<br />

mustache et mes lèvres sur la joue et l’oreille d’Albertine [...]”: qui la mancanza<br />

dell’organo destinato al bacio.<br />

187 “E, d’altronde, anche materialmente, quando non era più tenuta in equilibrio<br />

(elle était non plus balancée) dalla mia immaginazione di contro all’orizzonte<br />

marino, ma immobile accanto a me, Albertine [...]”; “ma, beninteso, i due elementi<br />

disuniti (désunis) possono essere nuovamente riuniti dalla gelosia”.


167<br />

divergente, così come il corpo di Eva aderisce solo per i piedi<br />

all’anca di Adamo, al cui corpo è pressoché perpendicolare, nei<br />

bassorilievi romanici della cattedrale di Balbec, raffiguranti in modo<br />

così nobile e pacato – ancora, quasi, come un fregio antico – la<br />

creazione della donna (la création de la femme) [...]”.<br />

Il Narratore conversa con Albertine. E scopre che parla in modo<br />

radicalmente diverso dalle prime volte a Balbec. E l’attrae a sé: “Era<br />

una tale novità (c’était si nouveau), era così visibilmente un’alluvione<br />

di cui si potevano immaginare le capricciose scorrerie attraverso<br />

terreni un tempo sconosciuti, che alle parole ‘a mio giudizio’ io trassi<br />

a me Albertine, e a ‘ritengo’ la feci sedere sul mio letto” (je l’assis sur<br />

mon lit)”.<br />

Il Nostro continua a dirsi che non è innamorato, che è “del tutto<br />

indifferente (fort indifférent)”... Ma viene colto alla sprovvista da una<br />

novità dietro un’altra: “[...] credo, tuttavia, che a farmi decidere sia<br />

stata un’ennesima scoperta filologica”.<br />

Albertine – che è “ormai, sul bordo del [mio] letto (maintenant<br />

[...] au coin de mon lit) – dice: “Sembra una piccola Musmè”; usa,<br />

cioè, non solo un’espressione che è nuova sulle sue labbra, ma<br />

anche spiacevole; ma spiacevole in modo tale da costituire<br />

un’ulteriore novità: “È verosimile che, se le cose avessero seguito il<br />

loro corso normale, lei non l’avrebbe mai imparata [l’espressione<br />

usata], e io non ci avrei visto alcun inconveniente, dato che non c’è<br />

vocabolo più orripilante (horripilant). Sentendolo, si avverte lo stesso<br />

mal di denti di quando ci si infila in bocca un pezzo troppo grosso di<br />

gelato. Ma in Albertine carina com’era, nemmeno ‘musmè’ riusciva a<br />

dispiacermi. In compenso, mi parve il sintomo, se non di<br />

un’iniziazione esteriore, almeno di un’interna evoluzione... [...]. Di<br />

fronte a ‘musmè’ tutte le mie perplessità svanirono, e m’affrettai a<br />

comunicarle: ‘Sapete? Non soffro per niente il solletico; potreste<br />

farmelo per un’ora e non me ne accorgerei nemmeno?”<br />

Inizia l’avvicinamento ulteriore:<br />

“Se non vi dispiace; ma sarebbe più comodo se vi stendeste sul<br />

mio letto.<br />

– Così?<br />

– No, venite più dentro.<br />

– Ma non vi peso?<br />

Non aveva finito questa frase che s’aprì la porta, e Françoise<br />

entrò con la lampada.”<br />

Françoise, questa volta, non inaugura una nuova tappa nella<br />

relazione con Albertine, ma la interrompe.


168<br />

Ad un certo punto un errore di grammatica di Albertine, qui<br />

difficilmente traducibile, crea una ulteriore complicità tra lei e il<br />

Narratore:<br />

“Uscita Françoise, Albertine tornò a sedersi sul mio letto:<br />

– Sapete di che cosa ho paura? Le dissi. Che se continuiamo<br />

così, non potrò fare a meno di baciarvi (vous embrasser).<br />

– Sarebbe una bella disgrazia.<br />

– Non raccolsi subito l’invito. Per un altro, forse, sarebbe stato<br />

addirittura superfluo, perché Albertine aveva una pronuncia così<br />

carnale e così dolce che dava, solo a parlarvi, l’impressione di<br />

baciarvi (elle semblait vous embrasser). Ogni sua parola era un<br />

favore concesso, e la sua conversazione vi copriva di baci (sa<br />

conversation vous couvrait de baisers)”.<br />

Al narratore appaiono tre Albertine; tra le quali deve fare un<br />

confronto (“un confronto [une confrontation] fra diverse immagini<br />

intrise di bellezza”):<br />

– quella sulla spiaggia (Balbec 1) = “semplice proiezione<br />

(projection)”;<br />

– una donna vera (une femme vraie); ma ha imparato che con lei<br />

è possibile solo conversare: “non era possibile toccarla né<br />

baciarla (de la toucher, de l’embrasser) (Balbec 2);<br />

– infine, una Albertine disponibile: “[...] l‘idea che baciare<br />

(embrasser) le guance di Albertine era una cosa possibile<br />

implicava per me un piacere superiore ancora a quello di<br />

baciarle (embrasser). Che differenza (quelle différence), fra il<br />

possedere (posséder) una donna sulla quale – poiché non è<br />

che un pezzo di carne – ad applicarsi è solo il nostro corpo, e il<br />

possedere la fanciulla che scorgevamo sulla spiaggia, accanto<br />

alle sue amiche, in determinati giorni, senza nemmeno sapere<br />

perché proprio in quei giorni e non in altri e ogni volta per<br />

questo, tremando di non rivederla!”<br />

All’indifferenza è seguita la “differenza”: “è per questo che sono<br />

le donne un po’ difficili, quelle che non riusciamo a possedere, che<br />

non sappiamo nemmeno, in principio, se potremo mai possedere,<br />

sono davvero interessanti. Perché conoscerle, avvicinarle,<br />

conquistare, è far variare di forma (faire varier de forme), di<br />

grandezza, di rilievo l’immagine umana [...]. Le donne che<br />

incontriamo per la prima volta da una mezzana non sono<br />

interessanti, perché rimangono invariabili (invariables)”.<br />

Differenza e variazione fanno tutt’uno... “<br />

“[...]. Albertine teneva, strette attorno a sé, le impressioni<br />

(impressions) di tutta una sequenza marittima che mi era


169<br />

particolarmente cara. Sentivo che sulle sue gote avrei baciato<br />

(j’aurais [...] embrassé) l’intera spiaggia di Balbec”.<br />

Siamo così in pieno sogno...<br />

Meglio, in piena realizzazione di un sogno...<br />

Segue la lunga preparazione e la lunga effettuazione del bacio.<br />

Infine: “All’assenza di un tale organo [capace di baciare] supplisce<br />

[l’uomo] con le labbra; e raggiunge così, forse, un risultato un po’ più<br />

soddisfacente che se fosse costretto ad accarezzare l’amata con una<br />

zanna di corno”: evidentemente tutta questa montatura del bacio<br />

come impossibile, in assenza di un organo capace di baciare... sta<br />

ad indicare la novità del bacio che il Narratore sta per poggiare sulle<br />

guance di Albertine.<br />

“Inizialmente, man mano che la mia bocca veniva accostandosi<br />

alle guance che i miei sguardi le avevano proposti di baciare, questi<br />

ultimi, postandosi, scorsero delle guance nuove: il volto, visto da più<br />

vicino e come al microscopio, palesò, nella sua grana grossa, una<br />

robustezza che modificò il carattere del viso”.<br />

Il Narratore ha scoperto, fin dall’inizio, che Albertine ha “un altro<br />

viso: “meglio, aveva finalmente un viso”.<br />

A poco a poco questo volto cambia ulteriormente...<br />

E finisce con lo scomparire: “[...] tutt’a un tratto (tout d’un coup),<br />

ahimè, i miei occhi smisero di vedere, il mio naso, schiacciatosi,<br />

cessò a sua volta di percepire qualunque odore, e da quei segni<br />

detestabili appreso, senza per questo conoscere meglio il sapore del<br />

desiderato color rosa, che stavo infine baciando (j’étais en train<br />

d’embrasser) la guancia di Albertine”.<br />

L’organo non esiste; la vista non soccorre; neanche il tatto;<br />

quando il naso si avvicina per annusare, finito schiacciato contro la<br />

guancia, perde ogni suo potere. Cessa d’essere un naso.<br />

Segue l’abbraccio nel senso più profondo: “Fu, forse, perché<br />

recitavamo (secondo la figura descritta dalla rivoluzione di un solido)<br />

una scena che invertiva (la scène inverse) quella di Balbec, ed ero io<br />

a trovarmi coricato mentre lei, in piedi, poteva schivare un attacco<br />

brutale e dirigere il piacere a modo suo, che Albertine mi lasciò<br />

prendere con tanta facilità ciò che un tempo m’aveva rifiutato con<br />

così severo cipiglio?”<br />

Quanta delusione in questa descrizione! In Dalla parte di<br />

Swann, il Narratore prova di fronte alla reale madame de<br />

Guermantes una delusione che richiama quella di Amiel di Stendhal:<br />

“È questa, è soltanto questa, (c’est cela, ce n’est que cela), Madame<br />

de Guermantes!” (SW, 175; 213)... “‘Possibile? L’amore è solo<br />

questo?’ – si chiedeva Lamiel, stupefatta (Quoi! I’amour ce n’est que


170<br />

ça? se disait Lamiel"étonnée). [...]. Poi scoppiò a ridere, ripetendosi:<br />

‘Ma come! il famoso amore è tutto qui?’ (Puis elle éclata de rire en se<br />

répétant: ‘Comment,"ce fameux amour ce n’est que ça!’). 188 È tutta<br />

qui l’Albertine che desideravo (inevitabile approdo del desiderio<br />

mimetico quando è stato soddisfatto). 189<br />

Ma, nel suo corso, l’esperienza – descritta in lungo e in largo, e<br />

in profondo... – appare come una “sperimentazione”: “Insomma, così<br />

come, a Balbec, Albertine m’era apparsa tante volte diversa<br />

(différente), adesso – come se, accelerando prodigiosamente<br />

(prodigieusement) la rapidità dei mutamenti di prospettiva e dei<br />

mutamenti di colorazione offertici da una stessa persona in una serie<br />

successiva di incontri (dans nos diverses rencontres avec elle),<br />

avessi voluto condensarli tutti in pochi secondi per riprodurre<br />

sperimentalmente (expérimentalment) il fenomeno che diversifica<br />

(diversifie) l’individualità di un essere, traendo l’una dall’altra, come<br />

da un astuccio, tutte le possibilità ch’esso racchiude – durante il<br />

breve tragitto delle mie labbra verso la guancia furono dieci le<br />

Albertine che io vidi; quell’unica fanciulla era una dea dalle molteplici<br />

teste [...]”.<br />

È chiaro: questa esperienza è identica a quelle che, all’inizio<br />

della matinée si susseguiranno in un crescendo prodigioso; anche<br />

qui c’è del “prodigioso”! Per non parlare addirittura del tratto che<br />

rende il Narratore più vicino alla “scoperta”: il titubare non solo tra<br />

due punti esperienziali, uno recente e uno passato, ma tra due punti<br />

dell’esperienza di una medesima persona, tra due suoi volti... La<br />

differenza sta “solo” nel fatto che nel corso della matinée il Narratore<br />

capirà pienamente il meccanismo della memoria involontaria. In<br />

sintesi: capirà che non c’è tempo (passato; non vissuto) che si possa<br />

“ritrovare”; si può solo cogliere la dimensione del “Tempo”; del suo<br />

“immenso” svolgersi (immenso è il desiderio di vivere, immensa<br />

l’aspirazione al piacere, immenso è il tempo; almeno, considerato<br />

dalla cima dei trampoli). Qui non lo capisce; da cui la delusione<br />

(anche se la descrizione fatta dal Narratore è perfetta).<br />

Avviene la presa di possesso della terra “incognita” – che<br />

diventa cognita –; il Narratore protesta ancora il suo disinteresse: il<br />

suo desiderio era “momentaneo e puramente fisico”; ma “un<br />

188 Lamiel, 1838-1842, Gallimard, Paris, 1983, pp. 152-153; tr. it. in Stendhal.<br />

Romanzi e racconti, vol. 3°, Mondadori, Milano, 2008, pp. 1152-1153.<br />

189 “E se l’ipocrisia le chiude la bocca, in fondo al cuore, si dice: ‘Come, il filosofo di<br />

Rembrandt è tutto qui (ce n’est que cela)?’” (1895, Camille Saint-Saëns, pianista,<br />

SA, 383; 324). <strong>Proust</strong> parla in modo critico... a proposito di una donna che non<br />

capisce Rembrandt...


171<br />

cambiamento ancor più sbalorditivo si produsse in lei quella stessa<br />

sera, non appena le mie carezze m’ebbero condotto alla<br />

soddisfazione di cui certo s’avvide e ch’io temetti, anzi, potesse<br />

provocarle il piccolo moto di repulsione, e di pudore offeso, avuto da<br />

Gilberte in un momento analogo, dietro il boschetto di lauri ai<br />

Champs Élysées. Fu esattamente in contrario. Già nel momento in<br />

cui l’avevo fatta sdraiare sul mio letto (je l’avais couchée sur mon lit)<br />

e avevo cominciato ad accarezzarla, Albertine aveva assunto un<br />

atteggiamento che non le conoscevo (que je ne lui connaissais pas),<br />

di buona volontà docile (docile), di semplicità puerile. Cancellando<br />

dal suo volto ogni abituale pretesa o preoccupazione, l’attimo che<br />

precede il piacere – simile, in questo, all’attimo che segue la morte –<br />

aveva, per così dire, restituito ai suoi tratti ringiovaniti l’innocenza<br />

della prima età”...<br />

Seguono alcune pagine...<br />

“Arrivata alla porta, stupita ch’io non l’avessi preceduta<br />

(étonnée que je ne l’eusse pas devancée), mi tese la guancia,<br />

pensando che non ci fosse nessun bisogno d’un grossolano<br />

desiderio fisico, adesso, per baciarci (pour que [...] nous nous<br />

ebrassions). Poiché i brevi rapporti che avevamo avuti erano di quelli<br />

cui talora conducono un’intimità assoluta e una scelta del cuore,<br />

Albertine s’era sentita in dovere d’improvvisare e aggiungere<br />

momentaneamente ai baci (aux baisers) che ci eravamo scambiati<br />

sul mio letto il sentimento di cui essi sarebbero stati il segno per un<br />

cavaliere e la sua dama secondo la concezione d’un menestrello<br />

gotico”.<br />

La situazione si è completamente capovolta: adesso chi<br />

conduce il gioco è il Narratore (Albertine è diventata “docile”); il turno<br />

del desiderante ora tocca a Albertine. La quale se ne va quasi<br />

“cacciata” (étonnée que...)!<br />

Conclusione: “Questo è il terribile inganno dell’amore: che<br />

comincia col farci giocare, anziché con una donna del mondo<br />

esterno, con una sorta di bambola (poupée) interna al nostro cervello<br />

– la sola, d’altronde, che abbiamo sempre a nostra disposizione, la<br />

sola che potremo possedere, e che l’arbitrio del ricordo, poco meno<br />

assoluto di quello della fantasia, può aver resa tanto diversa<br />

(différente) dalla donna reale quanto la Balbec del sogno lo era stata,<br />

per me, dalla Balbec della realtà. Creazione fittizia (création factice)<br />

cui gradualmente, per la nostra sofferenza, costringeremo la donna e<br />

reale ad assomigliare”.<br />

Tremendo.


172<br />

L’incomprensione della strada che porta “alla vera vita”, fa<br />

scadere la “creazione” a “creazione fittizia”.<br />

3) Sodoma e Gomorra: baciare Albertine = baciare la madre<br />

“Aveva [Albertine] un’espressione così dolce, così tristemente<br />

docile, come se aspettasse da me la felicità, che facevo fatica a<br />

trattenermi dal baciare (à ne pas l’embrasser) – dal baciare con lo<br />

stesso tipo di piacere, quasi, che avrei provato baciando mia madre<br />

(à l’embrasser presque avec le même genre de plaisir que j’aurais eu<br />

à embrasser ma mère) – quel volto nuovo (se visage nouveau), che<br />

non somigliava più al musetto sveglio e colorito d’una gatta ribelle e<br />

perversa dal roseo nasino all’insù, fuso nella bontà a larghe colate<br />

appiattite e cadenti” (SG, 831; 59).<br />

“Era da Trieste, da quel mondo sconosciuto (de ce mond<br />

inconnu), in cui sentivo che Albertine era felice, in cui stavano i suoi<br />

ricordi, le sue amicizie, i suoi amori infantili (ses amours d’enfance),<br />

che si sprigionava questa atmosfera ostile, inesplicabile, simile a<br />

quella che saliva un tempo sino alla mia camera di Combray dalla<br />

sala da pranzo dove sentivo conversare e ridere con gli estranei, fra<br />

il rumore delle forchette, la mamma che non sarebbe venuta a darmi<br />

la buonanotte (maman qui ne viendrait pas me dire bonsoir); o a<br />

quella che aveva riempito, per Swann, le case (les maisons) in cui<br />

Odette andava a cercare, la sera, inconcepibili piaceri<br />

(d’inconcevables joies). [...]. Il collo di Albertine, che usciva affatto<br />

libero dalla camicia da notte, era potente, dorato, di grana grossa. Lo<br />

baciai con la stessa purezza con cui avrei baciato mia madre (je<br />

l’embrassai aussi purement que si j’avais embrassé ma mère) per<br />

calmare un dispiacere di fanciullo che credevo, allora, di non poter<br />

mai estirpare dal mio cuore. [...]. Rimasi solo nella camera, nella<br />

stessa camera con soffitto troppo alto dove ero stato infelice il giorno<br />

del primo arrivo, dove avevo pensato con tanta tenerezza a<br />

Mademoiselle de Sternaria, spiato il passaggio di Albertine e delle<br />

sue amiche come quello di uccelli migratori posatisi sulla spiaggia,<br />

dove l’avevo posseduta (possédée) con tanta indifferenza (avec tant<br />

d’indifférence) la volta che avevo mandato il lift a cercarla, dove<br />

avevo conosciuto la bontà della nonna e, poi, avevo preso coscienza<br />

della sua morte (puis appris qu’elle était morte); le imposte, sotto le<br />

quali filtrava la luce del mattino, le avevo aperte la prima volta per<br />

vedere i primi contrafforti del mare (quelle imposte che Albertine mi<br />

faceva chiudere perché non ci vedessero mentre ci baciavamo [pur


173<br />

qu’on ne nous vît pas nous embrasser]). Mi accorgevo (je prenais<br />

conscience) delle mie trasformazioni confrontandole con l’identità<br />

delle cose. Ci si abitua ad esse come alle persone, e, quando di<br />

colpo (tout d’un coup), ricordiamo il significato diverso che hanno<br />

comportato per noi – una volta perduto ogni significato (quand elles<br />

eurent perdu toute signification) – gli avvenimenti, così diversi da<br />

quelli presenti, di cui sono state cornice, la diversità degli atti<br />

compiuti sotto lo stesso soffitto, fra le stesse librerie a vetri, il<br />

cambiamento nel cuore e nella vita che tale diversità implica, ci<br />

sembra ancora accresciuto dalla permanenza immutabile dell’arredo,<br />

rafforzato dall’unità di luogo” (SG, 1121, 1124, 1125-1126; 375, 378,<br />

380-381).<br />

“Quando penso, adesso, che al nostro ritorno da Balbec la mia<br />

amica era venuta ad abitare a Parigi con me, sotto lo stesso tetto,<br />

rinunciando all’idea di recarsi in crociera, e aveva la sua camera a<br />

venti passi dalla mia, in fondo al corridoio (au bout du couloir), nello<br />

studio ornato d’arazzi di mio padre (dans le cabinet à tapisserie de<br />

mon père), e ogni sera, molto tardi, prima di lasciarmi, mi faceva<br />

scivolare in bocca la sua lingua come un pane quotidiano (elle<br />

glissait dans ma bouche sa langue, comme un pain quotidien), [altro<br />

che bacio] come un cibo nutriente e dotato del carattere quasi sacro<br />

(presque sacré) [l’ostia] proprio d’ogni carne cui le sofferenze da noi<br />

patite per causa sua hanno finito col conferire una sorta di dolcezza<br />

morale, ciò che subito viene fatto d’evocare a paragone non è la<br />

notte che il capitano Borodino [83 sgg.] mi permise di passare in<br />

caserma, concedendomi un favore che, in fin dei conti, mi guariva da<br />

un disagio effimero, ma quella in cui mio padre mandò la mamma a<br />

dormire nel lettino accanto al mio (mais celle où mon père envoya<br />

maman dormir dans le petit lit à côté de moi). È così che la vita, se<br />

deve liberarci una volta di più da sofferenze che sembravano<br />

inevitabili, lo fa in condizioni talmente diverse, o addirittura opposte,<br />

che sembra quasi di commettere sacrilegio (sacrilège) constatando<br />

l’identità della grazia (grâce) ricevuta” (P, 10; 390). 190<br />

190 L’intermediario tra il Verbo e la carne è “un état de grâce” che diventa un luogo<br />

possibile: “C’est l’espace-temps de la loi comme expérience imaginaire et,<br />

inversement, l’éxperience de l’imaginaire comme réalité impérative (comme foi) et<br />

cependant constructible (foi relativisée, dérisoire). Ni dans le status corruptionis du<br />

péché sans entendement, ni dans le status integrationis de l’entente conceptuelle<br />

pacifiée, le narrateur imaginaire se maintient dans l’entre-deux du status graciae”<br />

(Kristeva, op. cit., p. 384).


174<br />

Evidente: tutti gli elementi della scena ritornano; il bacio (anche<br />

se è quello di un’amante), il corridoio, l’abdicazione del padre (qui<br />

egli abbandona la sua camera)... 191<br />

4) Il desiderio mimetico attraversa anche la scena primaria.<br />

Come sua parte costitutiva: tout d’un coup nous entendîmes<br />

la cadence régulière d’un appel plaintif<br />

Albertine si è negata; poi si è offerta. Alla fine (ne La<br />

prigioniera) si nega di nuovo... e definitivamente. 192<br />

Prima di richiamare la descrizione di questo terzo atto, come<br />

preliminare dello stesso, illustriamo il lapsus 193 invocato a carico di<br />

Albertine; quello che induce il presentimento della sua scomparsa;<br />

della sua fuga e della sua morte.<br />

Incrociamo qui alcuni temi che riprenderemo (come quello<br />

dell’inconscio)... Quanto ai lapsus ricordate quello anch’esso<br />

straordinario su cui ha scritto Lavagetto (Stanza 43. Un lapsus di<br />

<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Einaudi, 1991): è possibile immaginare che <strong>Proust</strong><br />

l’abbia fatto appositamente, questo lapsus: attribuisce in un primo<br />

191<br />

Albertine = madre = nonna... A Balbec...“[...] mi gettai fra le braccia della nonna<br />

premendo le labbra sul suo viso come se in quel modo accedessi al cuore<br />

immenso che lei mi spalancava. Quando stavo così, con al bocca incollata alle sue<br />

gote, alla sua fronte (ma bouche collée à ses joues, à son front), vi attingevo<br />

qualcosa di tanto benefico, di tanto nutriente (de si nourricier), da poter conservare<br />

l’immobile serietà, l’avidità tranquilla di un bambino che succhia il seno materno<br />

(d’un enfant qui tète)” (OF, 668; 809). “In quei momenti, accostando la morte della<br />

nonna a quella di Albertine, mi sembrava che la mia vita fosse macchiata da un<br />

doppio assassinio che solo la viltà del mondo poteva perdonarmi” (AS, 126; 97).<br />

192<br />

Qualcuno ha detto che, facendola morire, <strong>Proust</strong> l’ha sottratta al nefasto lavoro<br />

del tempo.<br />

193<br />

<strong>Proust</strong> usa la parola lapsus in All’ombra delle fanciulle in fiore (949; 1145). A<br />

proposito dei lapsus, alcuni passaggi: “E dopo uno di quei rallentamenti del<br />

discorso da cui una parola esplode all’improvviso (et après un de ces<br />

ralentissement du débit où tout d’un coup une parole éclate), come contro la<br />

volontà di chi parla, e quasi che un’irresistibile convinzione travolgesse, in lui, gli<br />

sforzi balbettanti che faceva tacere: ‘No, no, mi disse con slancio, vostro padre non<br />

deve presentarsi” (SW, 225; 271-272). “E una volta, avendo affermato in presenza<br />

di lei che Charlus nutriva, in quel momento, un sentimento abbastanza intenso per<br />

una certa persona, vidi, stupefatto, balenare negli occhi della principessa quel<br />

raggio peculiare e istantaneo che traccia nelle pupille una sorta di incrinatura<br />

(comme le sillon d’une fêlure) e che proviene da un pensiero che il nostro discorso<br />

ha involontariamente (nos paroles, à leur insu) sommosso nel nostro interlocutore,<br />

un pensiero segreto destinato a non tradursi in parole, ma a emergere, su dalle<br />

profondità da noi sconvolte, alla superficie momentaneamente alterata (un instant<br />

altérée) dello sguardo” (SG, 714-715; 866-867).


175<br />

momento a Charlus la stanza 43 del postribolo maschile (TR, 480<br />

sgg.); ma, quando, in un secondo momento, ci ripensa, vi si colloca<br />

lui stesso. 194<br />

Preannunciamo che, accanto a tanti sotto-temi ricorrenti – la<br />

finestra, il corridoio, il rumore etc... – qui predomina quello della<br />

“differenza/indifferenza”.<br />

Di questo aspetto che, come vedremo, caratterizza tutta la<br />

psicologia proustiana, anticipiamo questo: il “gioco mimetico” è<br />

sempre in atto e sempre con escalation terribili (angoscianti). Tale<br />

gioco consiste nel mostrarsi “indifferente” all’amata. Questo è<br />

considerato il metodo, l’unico metodo, capace di far accedere al suo<br />

amore. L’inevitabile risultato è che, quando l’amata si concede,<br />

quando diventa “differente” verso di noi, noi diventiamo “indifferenti”<br />

verso di lei...<br />

Solo l’esperienza della matinée – inutilmente vissuta prima: già<br />

ne Dalla parte di Swann etc. – placherà l’escalation.<br />

Abbiamo già incrociato il “perdono”...<br />

“Così, commosso che fosse tanto modesta e si credesse<br />

disprezzata dai Verdurin le dissi teneramente: ‘Ma, mia cara, potete<br />

ben credere che vi darei volentieri qualche centinaio di franchi,<br />

perché andaste a fare la signora chic dove vi piacesse, e offrire un<br />

bel pranzo ai Verdurin. Ahimè! Albertine era parecchie persone. La<br />

più misteriosa, la più semplice, la più atroce si mostrò nella risposta<br />

che mi diede in tono di disgusto e della quale, a dir la verità, non<br />

distinsi bene le parole (anzi le parole dell’inizio, perché non finì la<br />

frase). Una volta che si è capito, si comprende anche<br />

retrospettivamente (rétrospectivement). Grazie tante! Piuttosto di<br />

spendere anche un solo soldo per quei vecchi, preferisco mi lasciate<br />

libera, una volta, di andare a farmi rompere (j’aime bien mieux que<br />

vous me laissiez une fois libre pour que j’aille me fair casser)...’<br />

<strong>Su</strong>bito, di colpo (aussitôt), s’imporporò il viso, assunse<br />

un’espressione desolata, si mise la mano davanti alla bocca come se<br />

avesse potuto farvi rientrare le parole che aveva appena pronunciate<br />

e che io no avevo capite. ‘Cosa state dicendo? Albertine? – No,<br />

niente, ero mezzo addormentata (Non, rien, je m’endormais à<br />

moitié)” (P, 337; 754-755).<br />

Saltiamo un pel pezzo di conversazione (sul presunto lapsus):<br />

“Non smisi di insistere: ‘Insomma, abbiate almeno il coraggio di finire<br />

la frase, siete rimasta a rompere (vous en êtes restée à casser)... –<br />

Oh! No! Lasciatemi stare! – Ma perché? – Perché è terribilmente<br />

194 Dubois ne segnala due che noi non riprendiamo (op. cit., p. 24).


176<br />

volgare, mi vergognerei troppo a dirlo davanti a voi. [...] je rêvais tout<br />

haut” (P, 338; 755).<br />

(All’occhio – o all’udito – acuto risulta subito evidente che il<br />

Narratore sta facendo un vero e proprio lapsus a proposito di un<br />

lapsus presunto: vous en êtes restée à casser? Ma Albertine ha<br />

appena detto: j’aime bien mieux que vous me laissiez une fois libre<br />

pour que j’aille me fair casser!... In ogni caso, un bel pasticcio).<br />

Più avanti: “Ma, mentre lei parlava, proseguiva in me, nel sonno<br />

vivo e creatore dell’inconscio (dans le sommeil fort vivant et créateur<br />

de l’inconscient) (sonno in cui finiscono di incidersi le cose che ci<br />

hanno soltanto sfiorati, in cui le mani addormentate si<br />

impadroniscono della chiave giusta, cercata invano sino a quel<br />

momento), la ricerca di cosa Albertine avesse voluto dire con la frase<br />

interrotta della quale avrei voluto conoscere la fine. E tutt’a un tratto<br />

(tout d’un coup) mi caddero addosso due parole atroci, a cui non<br />

avevo minimamente pensato: ‘Il culo (le pot)’. Non posso dire che<br />

vennero d’un sol colpo (d’un seul coup), come quando, in una lunga<br />

sottomissione passiva a un ricordo incompleto, pur cercando piano<br />

piano, con prudenza, di estenderlo, si rimane piegati, appiccicati ad<br />

esso. No, contrariamente al mio modo abituale di ricordare vi furono,<br />

credo, due vie parallele di ricerca, e una teneva conto non soltanto<br />

della frase di Albertine, ma del suo sguardo esasperato quando le<br />

avevo proposto di regalarle del denaro per dare un bel pranzo, uno<br />

sguardo che sembrava dire: ‘Grazie, spendere del denaro per delle<br />

cose che mi annoiano quando senza denaro ne potrei fare che mi<br />

divertono!’ E fu, forse, il ricordo di quel suo sguardo a farmi cambiare<br />

metodo per trovare la fine di ciò che Albertine aveva voluto dire. Sino<br />

a quel momento mi ero lasciato ipnotizzare dall’ultima parola.<br />

‘rompere (casser)’; rompere che cosa? Che cosa aveva voluto dire?<br />

Rompere il muso (du bois)? No. Le scatole (du sucre)? No.<br />

Rompere, rompere, rompere (casser, casser, casser). E, di colpo<br />

(tout à coup), il ritorno allo sguardo accompagnato da un’alzata di<br />

spalle (le retour au regard avec haussement d’épaules), con cui<br />

Albertine aveva reagito alla mia proposta di dare un pranzo, mi fece<br />

retrocedere (me fit rétrograder) in modo analogo anche nelle parole<br />

della sua frase (aussi dans les mots de sa phrase). E così vidi che<br />

non aveva detto ‘rompere (casser)’ ma ‘farmi rompere (me faire<br />

casser)’. Orrore! Era questo che Albertine avrebbe preferito. Doppio<br />

orrore! Perché nemmeno l’ultima delle puttane, che vi consenta o lo<br />

desideri, usa con l’uomo che vi si accinge questa schifosa<br />

espressione. Se ne sentirebbe avvilita. Solo con una donna, se ama<br />

le donne, può dire così senza scusarsi se, fra poco, si darà a un


177<br />

uomo. Albertine aveva mentito dicendomi che stava mezzo<br />

sognando. Distratta, impulsiva, non pensando che era con me, aveva<br />

alzato le spalle, s’era messa a parlare come avrebbe fatto con una di<br />

quelle donne, con, forse, una delle mie fanciulle in fiore. E<br />

bruscamente richiamata alla realtà, rossa di vergogna, ricacciandosi<br />

in gola quel che stava per dire, disperata, non aveva più voluto<br />

pronunciare una sola parola!” (P, 339-340; 756-757)<br />

Divertente questa interpretazione d’un lapsus (presunto perché<br />

mai si saprà se Albertine era o non era una donna a cui piacevano le<br />

donne). <strong>Proust</strong> parla di “ricerca inconscia” in Tadié (P, 843); 195 in<br />

Clarac e Ferré “scoperta (découverte)” (P, 340). E, come abbiamo<br />

visto, adotta l’atteggiamento tipicamente abduttivo di Peirce: si ritrae<br />

così come Albertine si è ritratta (alzando le spalle)... nel tentativo di<br />

recuperare le parole non dette quasi andandole a cercare in cima a<br />

un gesto sintomatico...<br />

Il Narratore propone una rottura; abbastanza interessante: “[...]<br />

vi chiedo, per abbreviare il grande dolore che proverò, di dirmi addio<br />

questa sera (de me dire adieu ce soir) e di andarvene domattina<br />

senza ch’io vi riveda, mentre starò dormendo (pendant que je<br />

dormirais)’” (P, 341; 759).<br />

<strong>Proust</strong> insiste. Il Narratore vuole abbandonare Albertine ma<br />

vuole anche tenersela presso di sé.<br />

Qui risulta chiaro, meglio forse che altrove, che il gioco<br />

mimetico attraversa il terreno dei lapsus ma anche quello del<br />

baiser/embrasser etc. dimostrandosi il problema centrale:<br />

evidentemente, come abbiamo già avuto modo di precisare, il tema<br />

centrale è il conflitto a-categoriale/categoriale; abbiamo già cercato di<br />

dimostrare in Edipo. Un innocente che la rimozione è rimozione<br />

dell’acategoriale; in <strong>Proust</strong>, l’acategoriale (il tempo perduto) – come<br />

in Kafka, ma con un’approssimazione se possibile maggiore – viene<br />

immesso nel categoriale (il tempo ritrovato).<br />

Questo l’approdo dei nostri Appunti. L’approdo della rilettura –<br />

La scena-madre – è che l’apice della Recherche si ha solo in cima ai<br />

trampoli, in cima ai campanili di Martinville (non di fronte ad essi). Si<br />

ha, cioè, in una sorta di ritorno al non-categoriale. Una volta<br />

raggiunto il luogo-non luogo in cui, in un categoriale perfetto, si è,<br />

195 Tadié, nel suo Le lac inconnu, annota: “ce n’est pas une éxpression employée<br />

par les femmes: <strong>Proust</strong> révèle ici que son personnage est un travesti, que sa<br />

femme est un homme. Albertine es un homme comme Charlus est une femme<br />

(‘C’es était une!’)”; e ancora: “Albertine trahit ainsi des habitudes sodomites, à<br />

moins que, par inadvertance, <strong>Proust</strong>, employant un lexique masculin, n’ait oublié<br />

qu’il ne s’agissait plus d’Agostinelli” (Gallimard, Paris, 2012, pp. 66, 148).


178<br />

infine, in grado di compiere l’opera (quest’opera la si può compiere<br />

solo di notte).<br />

Ma veniamo al lapsus etc.: “Se Albertine, dal canto suo, avesse<br />

voluto giudicare quel che provavo da quel che le dicevo, avrebbe<br />

infatti appreso esattamente il contrario della verità (exactement le<br />

contraire de la vérité), visto che manifestavo il desiderio di lasciarla<br />

unicamente quando non potevo fare a meno di lei, e a Balbec le<br />

avevo confessato due volte di amare un’altra donna – una volta<br />

Andrée, un’altra volta una persona misteriosa –, proprio le due volte<br />

in cui la gelosia aveva riacceso il mio amore per Albertine. Le mie<br />

parole non riflettevano dunque in alcun modo i miei sentimenti. Se il<br />

lettore ne ha un’impressione alquanto debole e proprio perché, in<br />

quanto narratore (c’est qu’étant narrateur), io gli espongo i miei<br />

sentimenti nello stesso momento in cui gli ripeto le mie parole. Ma se<br />

gli nascondessi i primi e lui conoscesse soltanto le seconde, i miei<br />

atti, così poco in rapporto con esse, gli darebbero spesso<br />

l’impressione di mutamenti improvvisi da fargli credere ch’io sia<br />

pressoché folle (à peu près fou). Tale procedimento non sarebbe, del<br />

resto, molto più falso di quello che ho adottato, perché le immagini<br />

che mi facevamo agire, così opposte a quelle dipinte dalle mie<br />

parole, erano in quel momento molto oscure: non conoscevo che<br />

imperfettamente la natura secondo la quale agivo; oggi ne conosco<br />

chiaramente la verità soggettiva. Quanto a quella oggettiva, vale a<br />

dire se le intuizioni di tale natura cogliessero le vere intenzioni di<br />

Albertine più esattamente del mio ragionamento, se io abbia avuto<br />

ragione a fidarmene e se essa, anziché individuare le intenzioni di<br />

Albertine, non le abbia invece alterate, è qualcosa che mi riesce<br />

difficile dire” (P, 347; 765).<br />

“Sapevo che non poteva lasciarmi senza avvertirmi; d’altronde<br />

non poteva né desiderarlo (otto giorni dopo doveva provare le nuove<br />

vesti di Fortuny) né farlo decentemente, visto che mia madre tornava<br />

quella fine della settimana e sua zia lo stesso. Perché, se era<br />

impossibile che se ne andasse, le dissi a più riprese che il giorno<br />

dopo saremmo usciti insieme per andare a vedere i vetri di Venezia<br />

che volevo regalarle, e perché fui sollevato sentendole dire che era<br />

d’accordo? Quando venne a darmi la buonanotte (dire bonsoir) e la<br />

baciai (je l’embrassai), non fece come al solito; si voltò, e – non<br />

erano passati che pochi istanti dal momento in cui avevo pensato<br />

com’era dolce che mi desse tutte le sere ciò che aveva rifiutato<br />

(qu’elle me donnât tous les soirs ce qu’elle m’avait refusé) a Balbec –<br />

non mi restituì il bacio (elle ne me rendit pas son baiser). [...]. La<br />

baciai (je l’ambrassai) una seconda volta, stringendomi contro il


179<br />

cuore l’azzurro scintillante e dorato del Canal Grande e gli uccelli<br />

accoppiati, simboli di morte e di resurrezione. Ma una seconda volta,<br />

anziché restituirmi il bacio (au lieu de me rendre mon baiser), lei si<br />

scostò, con quella specie di ostinazione istintiva e nefasta degli<br />

animali che sentono la morte. [...]. Mi parve comunque che averla<br />

tutta in bianco, con il collo nudo, davanti a me, così come (comme)<br />

l’avevo vista a Balbec nel suo letto, mi avrebbe dato abbastanza<br />

audacia perché lei fosse costretta a cedere. [...]. Ad un tratto<br />

sentimmo la cadenza regolare d’un appello lamentoso (tout d’un<br />

coup nous entendîmes la cadence régulière d’un appel plaintif).<br />

Erano i piccioni che cominciavano a tubare (roucouler). [...]. La<br />

somiglianza fra il loro tubare e il canto del gallo (chant du coq) era<br />

profonda e oscura come nel Settimino di Venteuil, la somiglianza del<br />

tema dell’adagio, costruito sullo stesso tema-chiave del primo e<br />

dell’ultimo brano, ma talmente trasformato dalle differenze di tonalità,<br />

di tempo etc. che il pubblico profano, se apre un saggio su Venteuil,<br />

si stupisce vedendo che sono costruiti tutt’e tre sulle stesse quattro<br />

note, quattro note che, d’altronde, si possono suonare (jouer) con un<br />

dito al pianoforte senza ritrovare nessuno dei tre brani. Allo stesso<br />

modo, quel pezzo melanconico eseguito dai piccioni era una sorta di<br />

canto del gallo in minore [tonalità triste se non mortifera; vedi W.A.<br />

Mozart: concerto per pianoforte e orchestra K 491 in do minore di<br />

Giorgio Pagannone, Carocci, Roma, 2006], che non s’elevava al<br />

cielo, non s’innalzava verticalmente, ma regolare come il raglio d’un<br />

asino (comme le braiment d’un âne), avvolto di dolcezza, andava da<br />

un piccione all’altro su una stessa linea orizzontale e mai si<br />

raddrizzava (et jamais ne se redressait), mai mutava il suo lamento<br />

laterale in quell’appello gioioso (en ce joyeux appel) lanciato tante<br />

volte dall’allegro dell’introduzione e dal finale. So che pronunciai<br />

allora la parola ‘mort’, come se Albertine stesse per morire. [...].<br />

Quando vidi che Albertine non prendeva l’iniziativa di baciarmi (elle<br />

ne m’embrassait pas), e rendendomi conto che era tutto tempo perso<br />

e che solo a partire dal bacio (à partir du baiser) sarebbero<br />

cominciati i minuti pacificanti (calmantes) e veri, le dissi: ‘Buonanotte<br />

(bonsoir), è troppo tardi’, perché così lei mi avrebbe baciato e poi<br />

saremmo andati avanti. Ma dopo avermi detto: ‘Buonanotte<br />

(bonsoir), cercate di dormire bene’, esattamente come le prime due<br />

volte lei si limitò a un bacio sulla guancia (baiser sur ma joue).<br />

Stavolta non osai richiamarla. Ma il cuore mi batteva così forte che<br />

non potei rimettermi disteso. Come un uccello che si sposta dall’una<br />

estremità all’altra della sua gabbia, passavo senza posa dalla<br />

preoccupazione che Albertine potesse andar via a una calma


180<br />

relativa. [Albertine se ne va]. D’improvviso (tout à coup), nel silenzio<br />

della notte, fui colpito da un rumore (bruit) in apparenza insignificante<br />

che mi riempì di terrore, il rumore della finestra (le bruit de la fenêtre)<br />

di Albertine che si apriva violentemente. [...]. Inoltre, il rumore (bruit)<br />

era stato violento, quasi sgarbato (violent, presque mal élevé), come<br />

se avesse aperto rossa di collera e dicendo: ‘Questa vita mi soffoca,<br />

basta, ho bisogno d’aria!’. Non mi dissi esattamente queste cose, ma<br />

continuai a pensare a quel rumore (bruit) della finestra aperta da<br />

Albertine come a un presagio più misterioso e più funebre d’un grido<br />

di civetta. In preda a un’agitazione (agitation) come non ne avevo più<br />

avute, forse, dalla sera di Combray quando Swann aveva pranzato a<br />

casa nostra, andai avanti e indietro tutta la notte per il corridoio<br />

(couloir), sperando, col rumore che facevo, di attirare l’attenzione di<br />

Albertine, che avrebbe avuto pietà di me e mi avrebbe chiamato; ma<br />

dalla sua camera non sentivo venire alcun rumore (aucun bruit). A<br />

Combray avevo chiesto a mia madre di venire. Ma con mia madre<br />

temevo la sua collera e basta, sapevo di non diminuire il suo affetto<br />

esprimendole il mio. Per questo ho tardato a chiamare Albertine. A<br />

poco a poco sentii che era troppo tardi” (P, 399-403; 820-825).<br />

Il giorno dopo, e il successivo... “Ma lei, la sera, aveva<br />

continuato a baciarmi in quel modo (à m’embrasser de la même<br />

manière), che mi rendeva furioso. [...]. E così, non avendo più da lei<br />

le soddisfazioni carnali (le satisfactions charnelles) alle quali tenevo<br />

[...]” (P, 404; 826).<br />

Albertine se ne va: “E quando, così, non ci fosse nessun<br />

inconveniente riguardo alla partenza, scegliere una giornata di bel<br />

tempo come questa – ce ne sarebbero state tante – in cui Albertine<br />

mi fosse indifferente (indifférente), e io fossi tentato da mille desideri;<br />

avrei dovuto lasciarla uscire senza vederla e poi alzarmi, prepararmi<br />

in fretta, lasciarle due righe, approfittando del fatto che, poiché in<br />

quel periodo non avrebbe potuto andare in nessun luogo che mi<br />

mettesse in agitazione. Mi sarebbe stato possibile, durante il viaggio,<br />

non raffigurarmi le cattive azioni che avrebbe potuto compiere, e che<br />

in quel momento, del resto, mi erano del tutto indifferenti (bien<br />

indifférentes); e, senza averla rivista, partire per Venezia. <strong>Su</strong>onai (je<br />

sonnais) per Françoise perché andasse a comprarmi una guida e un<br />

orario ferroviario, come avevo fatto da bambino (comme j’avais fait<br />

enfant) [...]. Françoise, che aveva sentito la mia scampanellata (coup<br />

de sonnette), entrò [...]” (P, 414; 837).<br />

Albertine se n’è andata. 196<br />

196 Più avanti, ad ulteriore testimonianza del desiderio mimetico: “E tuttavia, forse,<br />

se fossi stato interamente fedele, non avrei sofferto di infedeltà che non sarei


181<br />

5) Il Narratore è figlio, fratello, amante... ma anche madre<br />

Cito alcuni passi dalla Prigioniera che precedono l’episodio<br />

appena ricordato. E danno la conferma che “in nuce” l‘opera è<br />

contenuta già nel suo inizio; figuriamoci in quello che è il suo<br />

massimo sviluppo (la storia con Albertine). 197<br />

C’è una sorta di auto-analisi del Narratore; profonda, acuta.<br />

Una collezione di tutti gli elementi della scena-madre in una<br />

prospettiva che va mutando... Infatti, si ha la netta impressione che<br />

già ora, nel mezzo della messa in schiavitù di Albertine e di se<br />

stesso, il Narratore abbia colto l’essenziale: “E il sonno di Albertine<br />

era, in effetti, quello d’un bambino. [...]. Mi meravigliavo – come una<br />

madre, ancora (comme une mère encore)”.<br />

Il narratore è diventato madre, da bambino angosciato per<br />

l’assenza della madre, dei suoi baci...<br />

<strong>Su</strong>perando quell’angoscia che annulla ogni “divisione”, che fa<br />

tutt’uno di madre, sorella, figlia, amante...<br />

Qua e là il Narratore è ancora lui; ma solo perché non è ancora<br />

albeggiata la matinèe.<br />

Leggete queste pagine che richiamo solo a brandelli; e che<br />

danno un’ulteriore conferma del fatto che l’opera è compiuta fin dal<br />

suo inizio; le manca solo quello che si chiama: “tirare le<br />

conseguenze”.<br />

“Se, un tempo, m’ero esaltato credendo di scorgere del mistero<br />

negli occhi di Albertine, adesso ero felice solo nei momenti in cui da<br />

quegli occhi, persino da quelle guance capaci di riflettere come occhi,<br />

a volte così dolci ma subito imbronciate, riuscivo a eliminare ogni<br />

riuscito a concepire. Mentre ciò che mi torturava immaginare in Albertine era il mio<br />

perpetuo desiderio di piacere a nuove donne, di iniziare nuovi romanzi; era<br />

attribuirle uno sguardo ch’io stesso il giorno prima, non avevo potuto, nemmeno al<br />

suo fianco, impedirmi di gettare sulle giovani cicliste sedute ai tavoli del Bois de<br />

Boulogne” (P, 806).<br />

197 Ad esempio, all’inizio del Contro Saint-Beuve incontriamo – e siamo nel periodo<br />

che va dal 1905 al 1909 – quasi tutti gli episodi di memoria involontari. Mutatis<br />

mutandis. Ad esempio, la madeleine – che, in quanto conquille Saint-Jacques,<br />

porta con sé una quantità straripante di richiami – è qui rappresentata da “pane<br />

abbrustolito (pain grillé)” (CSB, 211-212; 6-7). Se consideriamo, invece, la<br />

Recherche, dal pain grillé si passa alla madeleine; che però, prima, si chiama<br />

biscotte. Nei folios 2 r°-10 r° del Cahier 25 si trova una nuova versione del testo<br />

sulla memoria involontaria, rifatta rispetto al Cahier 8, ed è qui che la biscotte si<br />

trasforma in una petite madeleine... (vedi Introduzione a Du coté de chez Swann,<br />

ed. Tadiè, vol. I, p.1068).


182<br />

mistero. L’immagine che ricercavo, nella quale mi riposavo (je me<br />

reposais), attaccato alla quale avrei voluto morire (contre laquelle<br />

j’aurais voulu mourir), non era più di un’Albertine dal passato<br />

sconosciuto, ma anzi di un’Albertine che conoscessi il più possibile<br />

(ed è per questo che il mio amore poteva essere duraturo solo a<br />

patto di restare infelice, giacché, per definizione, non soddisfaceva il<br />

bisogno di mistero), di un’Albertine che non riflettesse un mondo<br />

lontano ma desiderasse unicamente – e, in effetti, c’erano dei<br />

momenti in cui sembrava che fosse così – di starmi accanto, in tutto<br />

simile a me (toute pareille à moi), immagine di ciò che precisamente<br />

era mio e non dell’ignoto (de ce qui précisement était mien et non de<br />

l’inconnu). Quando è così – da un’ora d’angoscia concernente una<br />

persona, dall’incertezza se riusciremo a tenerla con noi o invece ci<br />

sfuggirà – che un amore è nato, questo amore porta con sé il<br />

marchio della rivoluzione che l’ha creato. Ricorda ben poco quel che<br />

prima d’allora avevamo visto pensando a quella stessa persona. E le<br />

mie prime impressioni (premières impressions) di fronte ad Albertine<br />

sulla riva del mare potevano in minima parte sussistere nel mio<br />

amore per lei; in realtà, tali impressioni anteriori non occupano che<br />

pochissimo spazio in un amore del genere (ces impressions<br />

antérieures ne tiennent qu’une petite place dans un amour de ce<br />

genre), nella sua forza, nella sua sofferenza, nel suo bisogno di<br />

dolcezza, nel suo aspirare a un ricordo pacifico (paisible), pacificante<br />

(apaisant) in cui ci si vorrebbe rifugiare senza scoprire più niente di<br />

colei che si ama (ne plus rien apprendre de celle qu’on aime),<br />

nemmeno se vi fosse qualcosa di odioso da sapere (même s’il y<br />

avait quelque chose d’odieux à savoir); – persino se conserva le<br />

impressioni anteriori (même en conservant les impressions<br />

antérieurs), un tale amore è fatto di ben altra materia! A volte<br />

spegnevo la luce prima che lei entrasse. E nel buio, guidata dalla<br />

luce d’un tizzone, Albertine si sdraiava accanto a me (se couchait à<br />

mon côté). Solo le mie mani, le mie gote riconoscevano, mentre i<br />

miei occhi – i miei occhi che tante volte temevano di trovarla mutata<br />

– non la vedevano. E così, col favore di questo amore cieco, lei si<br />

sentiva più del solito, forse, sommersa dalla tenerezza. Mi spogliavo,<br />

mi coricavo e – Albertine seduta su un angolo del letto (assise sur un<br />

coin du mon lit) – riprendevamo la partita o la conversazione<br />

interrotta dai baci (baisers); e tale, nel desiderio che solo ci fa<br />

provare interesse per l’esistenza e il carattere di una persona, è la<br />

fedeltà che serbiamo alla nostra natura, mentre abbandoniamo via<br />

via le varie creature successivamente da noi amate (nous<br />

abbandonons successivement les différents être aimés tour à tour


183<br />

par nous), che una volta, scorgendomi nello specchio nel momento<br />

in cui baciavo (au moment où j’embrassais) Albertine, chiamandola<br />

‘bambina mia’, l’espressione triste e appassionata del mio viso,<br />

simile a quello ch’esso avrebbe avuto accanto a Gilberte, di cui non<br />

mi ricordavo più, e a quella che forse avrebbe avuto un giorno<br />

Albertine, mi fece pensare che al di sopra d’ogni considerazione<br />

concernente la persona (giacché l’istinto vuole che consideriamo<br />

l’attuale come l’unica vera) io assolvevo ai dovere d’una devozione<br />

ardente e dolorosa rivolta come un’offerta (offrande) alla giovinezza e<br />

alla bellezza femminili. E tuttavia, a questo desiderio dedicato come<br />

‘ex voto’ alla giovinezza, e ai ricordi stessi di Balbec, nel bisogno<br />

ch’io avevo di tenere così Albertine ogni sera accanto a me (tous les<br />

soirs [...] auprès de moi) si mischiava qualcos’altro, qualcosa ch’era<br />

stato sino allora estraneo alla mia vita amorosa pur non essendo del<br />

tutto nuovo nella mia vita (qui avait été étranger jusq’ici à ma vie, au<br />

moins amoureuse, s’il n’était pas entièrement nouveau dans ma vie).<br />

Era un senso di pacificazione (apaisement) quale, non avevo più<br />

provato dalle lontane sere di Combray in cui mia madre, chinandosi<br />

sul mio letto, mi portava un bacio di riposo (le repos dans un baiser).<br />

Certo, mi sarei molto stupito, a quel tempo, se m’avessero detto che<br />

non ero poi così buono, e, soprattutto, che avrei mai cercato di<br />

privare qualcuno d’un piacere. È probabilmente che, allora, mi<br />

conoscessi molto male, visto che il mio piacere d’avere Albertine<br />

fissa in casa mia non era tanto un piacere positivo, quanto quello<br />

d’aver ritirato dal mondo, dove ciascuno poteva a sua volta goderne,<br />

la fanciulla in fiore che così, se non mi dava grandi gioie, almeno ne<br />

privava gli altri. L’ambizione, la gloria mi avrebbero lasciato<br />

indifferente. Tanto più ero incapace di provare dell’odio. Eppure,<br />

amare carnalmente voleva dire, per me, godere d’un trionfo su tanti<br />

concorrenti. Non lo ripeterò mai abbastanza: era, più d’ogni altra<br />

cosa, una pacificazione (c’était un apaisement plus que tout)” [...].<br />

Ciò non toglie che, sul finire del pomeriggio, io fossi felice<br />

dell’approssimarsi dell’ora in cui avrei potuto chiedere alla presenza<br />

di Albertine la pace (apaisement) della quale avevo bisogno.<br />

Disgraziatamente, fu una di quelle sere che non portavano calma<br />

(apaisement), e in cui il bacio (baiser) datomi da Albertine al<br />

momento di lasciarmi, affatto diverso dal bacio abituale (bien<br />

différent du baiser habituel), non mi avrebbe procurato più tranquillità<br />

di quanta me ne procurasse un tempo il bacio (baiser) di mia madre i<br />

giorni in cui era arrabbiata e io sentivo, pur non osandolo richiamarla,<br />

che non sarei riuscito a prender sonno. [...]. Non era più la calma<br />

(apaisement) del bacio (du baiser) di mia madre a Combray ciò che


184<br />

provavo in quelle sere accanto (auprès) ad Albertine, ma, al<br />

contrario, l’angoscia di quando mia madre mi diceva a malapena<br />

buonasera (à peine bonsoir) o, addirittura, non saliva affatto in<br />

camera mia, perché era arrabbiata con me o perché qualche ospite<br />

la tratteneva. Quell’angoscia – non la sua trasposizione nell’amore –<br />

no, proprio quella stessa angoscia, che un tempo s’era specializzata<br />

(spécialisée) nell’amore e che, una volta operatasi la spartizione, la<br />

divisione delle passioni, gli era stata assegnata in modo esclusivo,<br />

adesso sembrava nuovamente estesa a tutte, ridiventata indivisa<br />

com’era nell’infanzia (semblait à nouveau étendue à toutes,<br />

redevenue indivise, de même que dans mon enfance), quasi che tutti<br />

i miei sentimenti, tremando (qui tremblaient) 198 di non poter<br />

trattenere Albertine accanto al mio letto (auprès de mon lit), come<br />

un’amante e al tempo stesso come una sorella, come una figlia,<br />

financo come una madre (à la fois comme une maîtresse, comme<br />

une sœur, comme une fille, comme une mère aussi) della cui<br />

buonanotte quotidiana ricominciavo a provare il puerile bisogno,<br />

avessero preso ad assomigliarsi, a unificarsi nella prematura sera<br />

della mia vita (dans le soir prématuré de ma vie), che sembrava<br />

dover essere non meno breve d’un giorno d’inverno (qui semblait<br />

devoir être aussi brève qu’un jour d’hiver). Ma, pur provando la<br />

stessa angoscia della mia infanzia, il mutamento dell’essere per il<br />

quale la provavo, la diversità del sentimento ch’esso mi ispirava, la<br />

trasformazione stessa del mio carattere mi rendevano impossibile<br />

pretendere la pacificazione (da Albertine come allora da mia madre<br />

(le changement de l’être qui me la faisait éprouver, la différence de<br />

sentiment qu’il m’inspirait, la transformation même de mon caractère,<br />

me rendaient impossible d’en réclamer l’apaisement). [...]. Ogni<br />

minuto mi avvicinava al saluto serale (du bonsoir) che Albertine, alla<br />

fine, mi dava. Ma quella sera il suo bacio (baiser), dal quale lei era<br />

assente e che non riusciva ad incontrarmi, mi lasciava talmente<br />

ansioso che – mentre, col cuore palpitante, la guardavo raggiungere<br />

la porta – pensavo: ‘Se voglio trovare un pretesto per richiamarla,<br />

trattenerla, fare la pace (faire la paix), devo affrettarmi, non ha più<br />

che qualche passo da fare per esser fuori della stanza, soltanto due,<br />

soltanto uno, sta girando la maniglia, apre, è troppo tardi, ha richiuso<br />

la porta!’ Forse non troppo tardi, tuttavia. Come un tempo (comme<br />

jadis) a Combray, quando mia madre mi lasciava senza avermi<br />

calmato con il suo bacio (sans m’avoir calmé par son baiser), volevo<br />

slanciarmi sui passi di Albertine, sentivo che non avrei avuto pace<br />

198 Vedi il tremare, il tremito... fondamentali in Kafka; parole-chiave.


185<br />

(paix) finché non l’avessi rivista, che rivederla stava per diventare<br />

qualcosa di immenso come non era ancora mai stato (que se revoir<br />

allait devenir quelque chose d’immense qu’il n’avait pas encore été<br />

jusqu’ici), e che se non fossi riuscito a sbarazzarmi da solo di quella<br />

tristezza avrei forse preso la vergognosa abitudine d’andare a<br />

mendicare dalla mia amica; saltavo fuori dal letto quando Albertine<br />

era già in camera sua, passavo e ripassavo lungo il corridoio (dans le<br />

couloir) nella speranza che lei uscisse e mi chiamasse; rimanevo<br />

immobile davanti alla sua porta per non rischiare di lasciarmi sfuggire<br />

un suo sommesso richiamo; tornavo per un istante nella mia camera<br />

e vedere se, per un caso fortunato, non vi avesse dimenticato un<br />

fazzoletto [...]. Qualche volta, in sere come quella, ricorsi a uno<br />

stratagemma (ruse) che mi assicurava il bacio (qui me donnait le<br />

baiser) di Albertine. Sapendo quanto, una volta coricata, il suo<br />

addormentarsi fosse rapido (e lo sapeva anche lei se istintivamente,<br />

non appena si stendeva, si toglieva le pantofole che le avevo<br />

regalate e l’anello, posandolo accanto a sé come faceva in camera<br />

sua prima di mettersi a letto), e sapendo quanto il suo sonno fosse<br />

profondo e tenero il risveglio, mi allontanavo col pretesto d’andare a<br />

cercare qualcosa e la facevo stendere sul mio letto (je la faisais<br />

étendre sur mon lit). Quando tornavo, s’era addormentata (elle était<br />

endormie), e io mi trovavo davanti quest’altra donna ch’ella diventava<br />

(cette autre femme qu’elle devenait) quando la si vedeva di fronte.<br />

Ma ben presto la sua personalità cambiava, perché mi sdraiavo al<br />

suo fianco (je m’allogeais à côté d’elle) e trovavo il suo profilo.<br />

Potevo mettere la mano nella sua, sulla sua spalla, sulla sua<br />

guancia: Albertine continuava a dormire. Potevo prenderle la testa,<br />

rovesciarla, accostarla alle mie labbra, farle circondare il mio collo<br />

con le braccia: lei continuava a dormire come un orologio che non si<br />

ferma, come un animale che continua a vivere in qualunque<br />

posizione lo si metta, come una pianta rampicante, un convolvolo<br />

che continua a protendere i suoi rami qualunque appoggio gli si dia.<br />

[...]. Il suo sonno, d’altronde, non l’allontanava da me, e lasciava<br />

sussistere in lei la nozione della nostra tenerezza; aveva anzi l’effetto<br />

di abolire tutto il resto; la baciavo (je l’embrassais), le dicevo che<br />

uscivo a fare due passi e lei, socchiudendo gli occhi, mi diceva<br />

stupita (e, in effetti, era già notte): ‘Ma dove vai a quest’ora, caro?’<br />

(aggiungendo a ‘caro’ il mio nome), e subito si riaddormentava. Il suo<br />

sonno non era che una sorta di cancellazione del resto della vita, un<br />

silenzio uniforme da cui spiccavano di tanto in tanto solo parole<br />

familiari di tenerezza. Avvicinandole l’una all’altra, si sarebbe<br />

composta la conversazione incorrotta (sans alliage), l’intimità segreta


186<br />

d’un puro amore (d’un pur amour). Quel sonno così calmo (si calme)<br />

mi estasiava come estasia una madre (comme ravît une mère), che<br />

lo considera una qualità, il buon sonno del bambino (le bon sommeil<br />

de son enfant). E il sonno di Albertine era, in effetti, quello d’un<br />

bambino (et son sommeil était d’un enfant, en effet). E anche il suo<br />

risveglio, talmente naturale, talmente dolce, prima ancora che si<br />

rendesse conto di dov’era, che mi chiedevo a volte con spavento se,<br />

prima di vivere con me, non fosse tata abituata a non dormire sola, a<br />

trovarsi accanto qualcuno quando riapriva gli occhi. Ma la sua grazia<br />

infantile era più forte. Mi meravigliavo – come una madre, ancora<br />

(comme une mère encore) – [...]” (P, 75-77, 87, 111-115; 462-464,<br />

475, 502-506).<br />

6) Da Albertine scomparsa<br />

Citiamo, un po’ alla rinfusa, da Albertine scomparsa.<br />

Avendo già dettagliato la prima e l’ultima edizione della scenamadre,<br />

dopo aver illustrato alcune tappe significative, qui diamo un<br />

elenco delle numerose ricorrenze dei suoi elementi costitutivi; ma<br />

senza commentare. L’unico commento, come dire, cumulativo può<br />

essere il seguente: la scena-madre domina tutta la Recherche. E,<br />

anche quando essa non è rievocata con l’inserto di modulazioni<br />

decisive, i suoi elementi costituivi sono sparsi dappertutto.<br />

Come dire: chi non è interessato, può concludere qui la<br />

lettura.<br />

“Questa seconda ipotesi non era quella dell’intelligenza, e il<br />

timor panico che avevo provato la sera in cui Albertine non m’aveva<br />

baciato (pas embrassé), la notte in cui avevo sentito il rumore della<br />

finestra (le bruit de la fenêtre), questo timore non era ragionato” (AS,<br />

423; 10) + “Quando mi era lontano, adesso, il desiderio di Venezia!<br />

Come un tempo a Combray quello di conoscere Madame de<br />

Guermantes quando veniva l’ora in cui non tenevo più che a un’unica<br />

cosa, avere la mamma in camera mia (avoir maman dans ma<br />

chambre). Ed erano proprio, in effetti, tutte queste inquietudini che,<br />

richiamate dalla nuova angoscia, erano accorse a rafforzarla, ad<br />

amalgamarsi con essa in una massa omogenea che mi soffocava”<br />

(AS, 424; 11-12) + “[...] e non ho detto [...] che dal giorno in cui<br />

aveva smesso di baciarmi (avait cessé de m’embrasser) Albertine<br />

era stata l’immagine stessa della scontentezza, tutta rigida, impalata,<br />

con una voce triste nelle cose più semplici, lenta nei movimenti,<br />

senza più un sorriso” (AS, 427; 14-15) + “[...] vivere senza di lei [...]


187<br />

passare davanti alla porta della sua camera [...] sapendo che lei non<br />

c’era, coricarmi senza averle dato la buonanotte (sans lui avoir dit<br />

bonsoir), ecco [...]” (AS, 448; 41) + “Dismisi ogni fierezza nei<br />

confronti di Albertine, le mandai un telegramma [...] che chiedevo<br />

solo di baciarla (l’embrasser) per un istante tre volte alla settimana<br />

prima che andasse a dormire. [...]. Poiché avevo bisogno della sua<br />

presenza, dei suoi baci (de ses baisers). [...]. Anche quando lei<br />

usciva, quando ero solo, continuavo a baciarla (je l’embrassais<br />

encore). [...]. Istintivamente mi passai una mano sul collo, sulle<br />

labbra, che si sentivano baciati (embrassés) da lei da quando era<br />

partita e che non lo sarebbero stati mai più; vi passai una mano così<br />

come la mamma, quando era morta la nonna, mi aveva accarezzato<br />

dicendomi: ‘Povero piccino, la nonna che ti voleva tanto bene non ti<br />

bacerà più (ne t’embrassera plus)” (AS, 476-477; 72-73) + “[...] a<br />

me che ricevevo così teneri baci (embrassait alors si tendrement) da<br />

colei che adesso era morta” (AS, 480; 77) + baci = baisers 2 vv. (AS,<br />

482; 80) + “Cercavo di baciare (embrasser) l’immagine di Albertine<br />

[...] io l’avevo baciata (embrassée) per la prima volta [...]” (494; 94) +<br />

“Avevo anche voluto persuadermi che i nostri rapporti fossero<br />

l’amore, che praticassimo reciprocamente i rapporti chiamati amore,<br />

dal momento che lei ricambiava docilmente i baci (les baisers) che le<br />

davo. E per aver preso l’abitudine di crederlo, non avevo perduto<br />

soltanto una donna che amavo, ma una donna che mi amava, una<br />

sorella, una figlia, una tenera amante (ma sœur, mon enfant, ma<br />

tendre maîtresse)” (AS, 498; 99) + “Chi m’avrebbe detto a Combray,<br />

quando aspettavo con tanta tristezza la buonanotte (bonsoir) di mia<br />

madre, che le mie ansie sarebbero scomparse per una fanciulla la<br />

quale non sarebbe stata a tutta prima, sull’orizzonte del mare, che un<br />

fiore da cui i miei occhi sarebbero stati attratti ogni giorno – ma un<br />

fiore pensante (mais une fleur pensante 199 ) e nei cui pensieri io<br />

aspiravo tanto puerilmente a occupare un grande spazio da soffrire<br />

al pensiero che ignorasse i miei buoni rapporti con Madame de<br />

Villeparisis? Sì, era per la buonanotte (bonsoir), per il bacio (baiser)<br />

di quell’estranea che avrei dovuto, in capo a qualche anno, soffrire<br />

come quando, bambino, mia madre non veniva a salutarmi (me voir).<br />

Questa Albertine così necessaria, del cui amore la mia anima era<br />

ormai quasi unicamente composta, se Swann non mi avesse parlato<br />

di Balbec io non l’avrei mai conosciuta” (AS, 501; 102-103) + “le avrei<br />

consentito di soddisfarli, e adesso potrei ancora baciarla (je<br />

l’embrasserais encore)” (AS, 509; 112) + “volevo baciarla (je voulais<br />

199 Pascal!


188<br />

l’embrasser)” (AS, 511; 115) + “Per persuadermi della sua innocenza<br />

mi bastava baciarla (l’embrasser) [...] e contro cui si infrangerebbero i<br />

baci (baisers)” (AS, 530; 138) + “Avermi dato un bacio (m’avoir<br />

embrassé) (AS, 531; 139) + “il desiderio di baciare (embrasser) le<br />

grosse guance di Albertine” (AS, 532; 140) + “[...] Albertine sarebbe<br />

venuta a dargli il bacio della buonanotte (viedrait lui dire bonsoir et<br />

l’ambrasser)” (AS, 534; 143) + “[...] così come dopo il lungo intervallo<br />

seguito al bacio rifiutato (baiser refusé) (AS, 537; 146) + “Lei mi<br />

diceva che non faceva nulla di male, che aveva soltanto, il giorno che<br />

aveva baciato (embrassé sur les lèvres) Mademoiselle Vinteuil [...]”<br />

(AS, 539; 149) + “continuava a tormentarmi quel bacio (baiser) che<br />

Albertine m’aveva detto di aver dato” (AS, 540; 150) + “quando<br />

abbracciavo (j’embrassais) un’operaia” (AS, 552; 164) + “Ciò che<br />

avrei voluto era che la nuova venuta venisse ad abitare a casa mia, e<br />

mi desse ogni sera, prima di lasciarmi, un bacio familiare di sorella<br />

(un baiser familial de sœur). Avrei dunque potuto credere – se non<br />

avessi sperimentato quanto mi era insopportabile la presenza di<br />

un’altra – di rimpiangere un bacio (baiser) più di certe labbra, un<br />

piacere più di un amore, un’abitudine più di una persona” (AS, 554;<br />

166) + “di colpo (tout d’un coup) mi tornò in mente il ricordo di una<br />

frase che le avevo detta a Balbec il giorno che lei mi aveva regalato<br />

una matita. Rimproverandola di non aver permesso che le dessi un<br />

bacio (m’avoir laissé l’embrasser), le avevo detto di trovare tanto<br />

naturale questo, quanto ignobile che una donna avesse rapporti con<br />

un’altra donna” (AS, 556; 168) + “Ora, io non avevo mai ripensato a<br />

quel nipote, che era stato forse l’iniziatore grazie al quale io avevo<br />

avuto da lei il primo bacio (j’avais été embrassé la premère fois)”<br />

(AS, 614; 238) + “dai dolci baci della sera (baisers du soir) che<br />

Albertine mi dava sul collo” (AS, 642-643; 272). 200<br />

200 Da Il tempo ritrovato, in aggiunta ai passi già citati, ricordiamo i seguenti: “Uno,<br />

allora, con il tono di chi confessa qualcosa di satanico, azzardava: ‘Sapete, barone,<br />

da ragazzo, voi non ci crederete, guardavo dal buco della serratura i miei genitori<br />

che si baciavano (s’embrasser)” (TR, 827; 494). “Guardavo Gilberte e non pensai:<br />

“’Vorrei rivederla’, ma le dissi che mi avrebbe sempre fatto piacere essere invitato<br />

a casa sua assieme a delle ragazze molto giovani, possibilmente povere, in modo<br />

da poterle fare contente con qualche piccolo regalo, senza chiedere loro,<br />

d'altronde, più che di far rinascere in me le fantasticherie, le tristezze d’un tempo, e<br />

forse, un giorno improbabile, un casto bacio (un chaste baiser)” (TR, 988; 688-<br />

689).


189<br />

Cap. 10<br />

IL VOYEURISMO E SERIALITÀ<br />

Ho riletto l’ultimo capitolo di <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. À la recherche du<br />

temps perdu di Gérard Coges: 201 “Esplication de text”. Coges invita<br />

a rileggere “Le sommeil d’Albertine” (III, 577-580 [...]): “Depuis ‘Entre<br />

les deux décors si différents...’ jusqu’à ‘Je m’étais embarqué sur le<br />

sommeil d’Albertine’”...<br />

Ne viene una convincente interpretazione del celebre episodio<br />

de La prisonnière tutto centrata sul tentativo (illusorio) del Narratore<br />

di ottenere il possesso dell’altro: di Albertine; possesso favorito dal<br />

fatto ch’ella dorme; e soggiace al suo sguardo (sguardo che non può<br />

ricambiare): il classico registro del voyeurismo... tipico del Narratore.<br />

Qui si tratta del sonno di Albertine; e Albertine è sospettata di<br />

saffismo proprio perché il Narratore ha scoperto che la sua amica<br />

“era stata quasi allevata dall’amica di Mademoiselle Vinteuil” (P,<br />

462); non c’è bisogno di ricordare che il Narratore, adolescente, ha<br />

spiato Mademoiselle Vinteuil e la sua amica in uno scambio lesbico<br />

colorato del sadismo contro il padre Venteuil ormai morto (presente<br />

in effigie).<br />

Proprio la conclusione della sezione richiamata da Coges “Je<br />

m’étais embarqué sur le sommeil d’Albertine”, mi suggeriva un’altra<br />

chiave. È evidente il richiamo al pascaliano “Nous sommes<br />

embarqués”, sottinteso, nella medesima barca... che è questa vita<br />

etc. Conseguentemente è difficile che la chiave voyeuristica sia<br />

quella esclusiva. In ogni caso, ho letto la sezione e vi propongo di<br />

seguirne lo sviluppo; mi sembra utile allargarla: (P, 573-589; 450-<br />

469).<br />

Forse è utile una precisazione: la Recherche non va letta come<br />

una via crucis le cui stazioni propongono un percorso lineare<br />

scandito in tappe.<br />

Forse neppure la via crucis propriamente detta è scandibile in<br />

tappe... quasi che il Cristo sia maturato passo dopo passo fino a<br />

diventare capace del sacrificio sul Golgota... I sinottici e non solo i<br />

sinottici insistono nel chiarire che ogni gesto, ogni parola del Cristo<br />

sono stati profetizzati... Non a caso nel canone cristiano i profeti<br />

sono stati collocati per ultimi rispetto al canone ebraico dove sono<br />

201 PUF, Paris, 1990, pp. 116 sgg.


190<br />

collocati tra la “legge” e gli “scritti”: il Nuovo Testamento doveva<br />

essere il seguito, l’adempimento delle profezie. 202<br />

Siamo, quindi, in presenza non tanto di una “crescita” quanto di<br />

una “dimostrazione”. 203<br />

Lo stesso si può dire di <strong>Proust</strong> o del Narratore; che non procede<br />

da una caduta reso la redenzione (dal tempo perduto a quello<br />

ritrovato)... Nel corso della matinée il Narratore capisce – quasi<br />

attraverso una rivelazione – che la sua “vocazione” è reale. Questo<br />

fa sì che la tale vocazione agisca retroattivamente su tutta la<br />

Recherche. Che, quindi, in quell’istante, si presenti tutta e perfetta (=<br />

compiuta). Sappiamo che <strong>Proust</strong> ha immaginato, di essa, insieme<br />

l’inizio e la fine... 204<br />

Ne consegue che l’episodio del “sonno di Albertine” non va letto<br />

come una tappa... Ma come un evento inevitabile... Come una<br />

“stazione” sacra... Dove non è opportuno fermarsi (ricordate<br />

l’episodio della “trasfigurazione”?); 205 ma che rivela un’essenza...<br />

202 La Bibbia ebraica e quella cristiana, che si fonda sull’ebraica, non si<br />

equivalgono. Alle loro sacre scritture gli ebrei danno il nome di Tanakh, un<br />

acronimo post-biblico derivato dagli equivalenti ebraici delle lettere t, n e k<br />

(pronunciate kh) corrispondenti alle parole ebraiche torah = legge o insegnamento,<br />

nebi’im = profeti, ketubim = scritti. Se si ribattezzasse l’Antico Testamento con uno<br />

acronimo equiparabile, questo sarebbe Takhan, perché l’ordine è, grosso modo,<br />

legge, scritti, profeti. Vedi Dieu. Une biographie, di Jack Miles, 1995, Robert<br />

Laffont, Parigi, 1996, pp. 22 sgg., 434 sgg.<br />

203 “In questo libro, dove non con c’è un solo fatto che non sia fittizio, dove non c’è<br />

un solo personaggio ‘a chiave’, dove tutto è stato inventato da me secondo le<br />

necessità della mia dimostrazione (___________________), io debbo dire in lode<br />

del mio paese che solo i parenti milionari di Françoise, che avevano abbandonato il<br />

loro ritiro per aiutare la nipote priva di appoggio, son persone reali che esistono”<br />

(G, _______________________________________).<br />

204 Interessanti, a questo proposito, le notazioni di Roger Shattuck (<strong>Proust</strong>, 1974,<br />

Mondadori, Milano, 1991, pp.154-162). Anche queste di Genette: “Il y a une<br />

réussite de <strong>Proust</strong>, qui est d’avoir entrepris et mené à son terme une expérience<br />

spirituelle; mais conbien peu nous importe cette réussite auprès de cette autre, qui<br />

est d’avoir encore réussi l’échec de son entreprise, et de nous avoir laissé de cet<br />

échec le spectacle parfait qu’est son œuvre” (<strong>Proust</strong> palimpseste, in Figures I, Éd.<br />

Du Seuil 1966, p. 67).<br />

205 Matteo 17, 1-13, Marco 9, 2-13; Luca 9, 28-36: “E sei giorni appresso, Gesù<br />

prese seco Pietro, e Giacomo, e Giovanni, suo fratello, e li condusse sopra un alto<br />

monte, in disparte. E fu trasfigurato in loro presenza, e la sua faccia risplendé<br />

come il sole, e i suoi vestimenti divennero come luce. Ed ecco, apparvero loro<br />

Mosé ed Elia, che ragionavano con lui. E Pietro fece motto a Gesù, e gli disse:<br />

Signore, egli è bene che non stiam qui; se tu vuoi, facciam qui tre tabernacoli; uno<br />

a te, uno a Mosé, e uno a Elia”... Pietro non ha capito quel ch’è successo: il Cristo<br />

è stato loro rivelato come la realizzazione di Mosé e di Elia...


191<br />

“E, in se stesse, cos’erano Albertine e Andrée? Per saperlo,<br />

bisognerebbe immobilizzarvi, non vivere più in questa attesa<br />

perpetua di voi in cui voi passate sempre diverse; bisognerebbe non<br />

amarvi più per fermarvi, non conoscere più il vostro arrivo<br />

interminabile e sempre sconcertante (votre interminable, 206 et<br />

toujours déconcertante arrivée), o fanciulle, o raggio successivo nel<br />

turbine in cui palpitiamo di vedervi riapparire, riconoscendovi appena<br />

nella velocità vertiginosa della luce”...<br />

La sezione che stiamo esaminando è piena di queste<br />

precisazioni circa l’“essere in fuga”... Ogni essere è in fuga; sia<br />

quello che amiamo (l’altro), sia noi rispetto a noi stessi (altr’altro noi<br />

stessi)...<br />

Quindi l’immobilizzazione non è possibile...<br />

Ma il sonno immobilizza? (In questo caso Albertine)...<br />

Nella concezione proustiana l’immobilità è possibile solo<br />

quando cessa l’interesse (anzi, da questa cessazione consegue<br />

necessariamente): “Non dico che non verrà il giorno in cui persino a<br />

queste luminose fanciulle noi daremo dei tratti estremamente definiti<br />

(des caractères très tranchés); ma sarà perché avranno smesso di<br />

interessarci, il loro arrivo non sarà più per il nostro cuore<br />

l’apparizione ch’esso si aspettava diversa e che lo lascia, ogni volta,<br />

sconvolto sulle nuove incarnazioni. La loro immobilità sarà il riflesso<br />

della nostra indifferenza (indifférence), che le consegnerà al giudizio<br />

dell’intelletto”.<br />

Il sonno immobilizza Albertine? E il Narratore?<br />

Talvolta succede che, per il Narratore, Albertine sia, oltre a<br />

quella che l’“abitudine” ha forgiato (“ci si rende conto di quale lavoro<br />

di modellatura compia giorno dopo giorno l’abitudine”), quella ch’egli<br />

ha visto a Balbec...<br />

E qui ritorna la seconda frase del “drame du coucher”, quella<br />

della “riposante” accoglienza... “Le sere (les soirs) non li leggeva ad<br />

alta voce [la mamma gli aveva letto François le Champi], la mia<br />

amica mi faceva un po’ di musica, o iniziava con me delle partire a<br />

dama o delle conversazioni ch’io interrompevo, le une e le altre, per<br />

baciarla (pour l’embrasser). I nostri rapporti erano d’una semplicità<br />

che li rendeva riposanti (qui les rendait reposants). [...]. Non era lei,<br />

in effetti [...], la fanciulla che avevo vista per la prima volta a Balbec<br />

[...]”?<br />

Sì, nel Narratore “viveva ancora il desiderio ispiratomi un tempo<br />

dal corteo insolente e fiorito”...<br />

206 “attesa interminabile (attente interminable)” (P, 575; 453)...


192<br />

Ma Albertine “prigioniera della sua gabbia” è la stessa<br />

dell’Albertine della “piccola banda”?<br />

“Questo [il modellarsi di Albertine con ombre misteriose],<br />

d’altronde, era dovuto al sovrapporsi non solo delle immagini<br />

successive (des images successives) che m’ero costruite di<br />

Albertine, ma anche delle grandi qualità d’intelligenza e di cuore, dei<br />

difetti di carattere, per me insospettati le une e gli altri, che Albertine,<br />

in una germinazione, una moltiplicazione di se stessa (une<br />

moltiplication d’elle-même), una carnosa efflorescenza dai cupi<br />

colori, aveva aggiunti (ajoutés) a una natura in altri tempi pressoché<br />

nulla (jadis peu près nulle) e adesso difficile da approfondire<br />

(maintenant difficile à approfondir)”.<br />

Straordinario: anche dopo essere stata prigioniera, Albertine è<br />

diventata “difficile da approfondire”... Che cosa il Narratore cerca di<br />

volta in volta di “approfondire”? Le “impressioni”... <strong>Su</strong>lle “impressioni”<br />

e il loro “approfondimento” – che porta all’“estrazione” da esse delle<br />

“essenze” – si gioca tutta la Recherche...<br />

Diventata prigioniera, Albertine è passata dal “pressoché nulla”<br />

all’“inapprofondibile”... Albertine non più “una semplice sagoma sullo<br />

sfondo del mare”; la sua figura ha registrato un “arricchimento, un<br />

incremento di solidità e di volume”...<br />

Un passaggio dalla psicologia piana...<br />

Ecco il “sonno di Albertine”: Distesa dalla testa ai piedi sul mio<br />

letto (sur mon lit), in un atteggiamento talmente naturale che sarebbe<br />

stato impossibile inventarlo, mi dava l’idea d’un lungo stelo fiorito che<br />

qualcuno avesse posato là, e così era in effetti: la capacità di<br />

sognare (le pouvoir de rêrver) che avevo soltanto in sua assenza la<br />

ritrovavo (je la retrouvais), in quei momenti, accanto a lei (auprès<br />

d’elle), come se, dormendo, si fosse trasformata in una pianta. Il suo<br />

sonno realizzava così, in una certa misura, la possibilità dell’amore:<br />

da solo, potevo pensare a lei ma lei mi mancava. Non la possedevo<br />

(je ne la possédais pas); lei presente, le parlavo, ma ero troppo<br />

assente da me stesso per poter pensare. Quando lei dormiva non<br />

dovevo più parlare, sapevo che lei non mi guardava più (je savais<br />

que je n’étais plus regardé par elle), non avevo bisogno di vivere alla<br />

superficie di me stesso (je n’avais plus besoin de vivre à la surface<br />

de noi-même). Chiudendo gli occhi, perdendo coscienza, Albertine<br />

s’era spogliata, l’uno dopo l’altro, dei vari caratteri d’umanità che<br />

m’avevano deluso dal giorno in cui l’avevo conosciuta. Ormai era<br />

animata solo dalla vita inconsapevole dei vegetali, degli alberi, una<br />

vita più remota dalla mia, più strana, e che tuttavia m’apparteneva di


193<br />

più (vie plus différente de la mienne, plus étrange et qui cependant<br />

m’appartenait davantage)”.<br />

Interrompiamo un momento: il sonno di Albertine non comporta,<br />

qui, la presa di possesso, a cui è preliminare la presa dello sguardo...<br />

Sembra che la “capacità di sognare” coinvolga anche il<br />

Narratore; il quale è messo in contatto con una vita “differente” dalla<br />

sua, “strana”...<br />

Ma l’essenziale è la “differenza”!<br />

Proseguiamo: “Il suo io non scappava via ogni momento<br />

(s’échappait pas à tous moments), come quando conversavamo,<br />

attraverso i varchi del pensiero inconfessato e dello sguardo (et du<br />

regard). Albertine aveva richiamato a sé tutto ciò che di lei era al di<br />

fuori di lei; si era rifugiata, racchiusa, riassunta (elle s’était réfugiée,<br />

enclose, résumée) nel suo corpo. Tenendola sotto il mio sguardo (en<br />

la tenant sous mon regard), fra le mie mani (dans mes mains), io<br />

avevo quell’impressione di possederla tutta intera (j’avais cette<br />

impression de la posséder tout intière) che non avevo quando era<br />

sveglia (que je n’avais pas quand elle était réveillée). La sua vita mi<br />

era sottomessa (sa vie m’était soumise), esalava verso di me il suo<br />

respiro leggero. Ascoltavo il mormorio di quell’emanazione<br />

misteriosa, dolce come uno zefiro marino, fiabesca come un chiaro di<br />

luna, ch’era il suo sonno. Finché durava, potevo sognare di lei e al<br />

tempo stesso guardarla (je pouvais rêver à elle et pourtant la<br />

regarder), e – quando il sonno diventava più profondo (plus profond)<br />

– toccarla, baciarla (la toucher, l’embrasser). Quel che provavo<br />

allora era un amore puro, immateriale e misterioso (un amour devant<br />

quelque chose d’aussi pur, d’aussi immatériel, d’aussi mystérieux)<br />

che se mi fossi trovato davanti alle creature inanimate di cui è fatta la<br />

bellezza della natura. E, in effetti, non appena dormiva un po’<br />

profondamente (un peu profondément), Albertine smetteva d’essere<br />

la semplice pianta ch’era stata: il suo sonno, in riva al quale sognavo<br />

(son sommeil, au bord duquel je rêvais) con una fresca voluttà di cui<br />

non mi sarei mai stancato, di cui avrei potuto godere all’infinito, era<br />

per me un intero paesaggio” .<br />

Albertine, da “una” pianta che era è diventato un intero<br />

paesaggio...<br />

Albertine ha catturato nel suo sogno il Narratore...<br />

Sì, Albertine è diventata ancora più prigioniera – si è “riassunta”<br />

nel suo corpo –, è stata dominata dallo sguardo del Narratore...<br />

Ma è chiaro che il Narratore “sogna di lei” e “al tempo stesso” la<br />

guarda; e quando il sonno diventa più “profondo”, la tocca e la<br />

bacia...


194<br />

Ma il piacere è “puro, immateriale, misterioso”; come le essenze<br />

che si sprigionano dalle impressioni... quelle impressioni che il sogno<br />

“approfondisce” (il sonno di Albertine, quando diventa più “profondo”<br />

trascina nel profondo anche il Narratore)...<br />

Sì, c’è del voyeurista; ma anche del violentatore (il Narratore<br />

guarda, tocca, bacia)...<br />

Ma, invece di considerare il “sonno di Albertine” nella chiave<br />

della spiata di Montjouvain non è forse il caso di considerare quella<br />

spiata nella chiave di questo sogno?<br />

“Approfondire” non implica una violenza?<br />

Il Narratore si avvicina al letto... si siede sulla sedia accanto al<br />

letto; addirittura sul letto (à côté du lit, puis sur le lit même): “Ho<br />

passato sere incantevoli a parlare, a giocare con Albertine, mai però<br />

paragonabili per dolcezza a quelle in cui la guardavo dormire (mai<br />

jamais d’aussi doux que quand je la regardais dormir). [...]. Ormai era<br />

immobile (elle restait désormais immobile). [...]. Pur conoscendo<br />

diverse Albertine in una sola, mi sembrava di vederne ancora molte<br />

altre riposare accanto a me. Le sue sopracciglia, arcuate come mai<br />

le avevo viste, circondavano i globi delle palpebre come un dolce<br />

nido d’alcione, Razze, atavismi, vizi affioravano alla superficie del<br />

suo volto. Ogni volta che spostava la testa creava una donna nuova,<br />

una donna di cui non sospettavo l’esistenza. Mi sembrava di<br />

possedere non una, ma innumerevoli fanciulle (il me semblait<br />

posséder non pas une, mais d’innobrables jeunes filles)”.<br />

Mi sembra evidente: qui non avviene la presa di possesso di<br />

Albertine, ma l’apertura all’infinito di fanciulle che il sogno riscuote da<br />

Albertine (e dal Narratore)...<br />

Ricordatevi delle razze, degli atavismi, dei vizi... Più avanti il<br />

Narratore ne parlerà a proposito di se medesimo...<br />

Albertine è ormai “immobile”; sì, possibile oggetto di un “ratto”;<br />

ma essa si moltiplica... Della molteplicità derivante non si dà presa di<br />

possesso; si dà possibilità di “approfondimento”: “Il suo respiro,<br />

gradatamente più profondo (plus profonde), le sollevava<br />

regolarmente il seno e, sopra, le mani incrociate, le perle, che lo<br />

stesso movimento spostava in modo diverso, come le barche<br />

(comme ces barques), le cime d’ormeggio che il moto dell’onda fa<br />

oscillare. Allora, sentendo che il suo sonno aveva raggiunto la<br />

pienezza, che non rischiavo più d’urtare negli scogli della coscienza<br />

ricoperto ora dal mare profondo del sonno profondo (par la pleine<br />

mer du sommeil profond), saltavo decisamente sul letto senza far<br />

rumore (délibérément je sautais sans bruit sur le lit), mi coricavo<br />

lungo il suo corpo, le cingevo con un braccio la vita, le posavo le


195<br />

labbra sulla guancia e sul cuore e poi, su tutte le parti del corpo, la<br />

sola mano rimastami libera e sollevata anch’essa, come le perle, dal<br />

suo respiro di dormiente; io steso (moi-même) venivo lievemente<br />

spostato da quel movimento regolare. Mi ero imbracato nel sonno di<br />

Albertine (je m’étais embarqué sur le sommeil d’Albertine)”.<br />

Mi sembra evidente che qui non c’è una presa di possesso;<br />

niente di brutale; c’è l’apertura all’infinito; il Narratore salta su letto<br />

della dormiente e si imbarca nel suo sonno...<br />

A proposito del voyeurismo, il Narratore, dopo aver tratto un<br />

piacere “meno puro”: “Sceglievo per guardarla, il lato del suo viso<br />

che non si vedeva mai, e che era così bello (qu’on ne voyait jamais<br />

et qui état si belle)”...<br />

Quel che il Narratore vede è quel che non ha mai visto...<br />

Vedere l’invisibile corrisponde al voyeurismo?<br />

Se sì, evviva il voyeurismo.<br />

In tal modo il Narratore accede alla “differenza”: “Ma quanto più<br />

strano è che una donna sia attaccata, come Rosita a Doodica, a<br />

un’altra donna (à une autre femme) dalla cui diversa bellezza (dont la<br />

beauté différente) si deduce un carattere differente (un autre<br />

caractère), e per vedere la quale bisogna mettersi di profilo mentre<br />

l’altra la si vede di faccia”...<br />

“[...] potevo baciarla senza aver interrotto il suo sonno (je<br />

pouvais l’embrasser sans avoir interrompu son sommeil). Mi<br />

sembrava, in quei momenti, d’averla posseduta più completamente,<br />

come una cosa incosciente e senza resistenza della muta natura (il<br />

me semplait que je venais de la posséder plus complètement,<br />

comme ne chose inconsciente et sans résistance)”: il Narratore bacia<br />

Albertine senza interromperne il sonno; gli “sembra” di averla<br />

posseduta più completamente; in realtà ha avuto un contatto con<br />

Albertine inconscia; con se stesso inconscio; con l’inconscio.<br />

“Assaporavo il suo sonno con un amore disinteressato e<br />

pacificante (désintéressé et apaisant) [...]”. Sappiamo che il<br />

disinteresse (e il pacificante) sgorga dall’involontario... “[...] ascoltarla<br />

parlare non mi faceva discendere in lei così profondamente (je ne<br />

descendais pas tout de même aussi avant en elle)”... Qui il<br />

Narratore, scendendo “assi avant en elle”, scende anche di più in se<br />

stesso... Non è un caso che qui viene tralasciata la “conversazione”<br />

(“comme quand nous causions”)...<br />

“Continuavo a sentire, a raccogliere, di momento in momento, il<br />

mormorio, rasserenante (apaisant) come un’impercettibile brezza,<br />

del suo puro respiro (de sa pure haleine). Avevo davanti a me, mia (à<br />

moi), tutta un’esistenza fisiologica; non meno a lungo di quanto, un


196<br />

tempo, rimanevo disteso sulla spiaggia, al chiaro di luna, sarei<br />

rimasto ora a guardarla (à la regarder), ad ascoltarla. Talvolta si<br />

sarebbe detto che il mare ingrossava, che la tempesta si faceva<br />

sentire sin nella baia, e io mi mettevo come lei (comme elle) ad<br />

ascoltare il rombo del suo respiro, ch’era adesso un russare”.<br />

Albertine è diventato il paesaggio; questa volta marino...<br />

Quando Albertine aveva troppo caldo, si toglieva, già quasi<br />

addormentata, il chimono e lo gettava su una poltrona. Un chimono<br />

prezioso per il Narratore geloso: nella sua tasca interna una firma, un<br />

appuntamento... “Quando sentivo che il sonno di Albertine era ormai<br />

profondo, lasciavo i piedi del suo letto, da dove l’avevo contemplata<br />

a lungo senza alcun movimento (sans fair un mouvement). Per<br />

azzardare un passo, preso da una curiosità ardente nel percepire il<br />

segreto di quella vita offerta, floscia e indifesa (offert, floche et sans<br />

défence) sopra la poltrona, Forse lo facevo, quel passo, anche<br />

perché guardar dormire senza muoversi (sans bouger) diventa, alla<br />

lunga, stancante. E così, piano piano, voltandomi di continuo per<br />

controllare che Albertine non si svegliasse, arrivavo fino alla poltrona.<br />

Là mi fermavo, restando a lungo a guardare (je restais longtemps à<br />

regarder) il chimono così com’ero (comme j’étais) rimasto a lungo a<br />

guardare Albertine. Ma (e forse ho avuto torto) mai ho toccato il<br />

chimono, messo la mano nella tasca, guardato le lettere. Alla fine,<br />

capendo che non mi sarei deciso, me ne tornavo a passi di lupo<br />

accanto al letto di Albertine e mi rimettevo a guardar dormire lei [...]”.<br />

Il chimono è descritto come un corpo: offert, floche et sans<br />

défence; esso è paragonato al corpo di Albertine: comme; guardato<br />

sì, ma violato no!<br />

Il Narratore se ne sta “immobile”. Tale e quale Albertine...<br />

Quando la bacia, bacia la vita che esce da lei e entra dentro di<br />

lei: “[...] per avere il suo respiro vicino alla mia guancia, nella sua<br />

bocca, che schiudevo sulla mia dove, contro la mia lingua, passava<br />

la sua vita”.<br />

“Ma a questo piacere di vederla dormire, che era dolce quanto<br />

quello di sentirla vivere, un altro metteva fine, ed era quello di vederla<br />

svegliarsi”. Lo svegliarsi, lo sappiamo, è il passare da un mondo<br />

all’altro... nel quale non ci si orienta, non ci riconosce... Il piacere che<br />

prova il Narratore è vedere Albertine riconoscersi: nella sua casa, in<br />

lui: “Si trattava – a un livello più profondo, più misterioso (à un degré<br />

plus profond et plus mystérieux) – del piacere stesso che la mia<br />

amica abitasse in casa mia. [...]. Ancora più dolce era che, dal fondo<br />

del sonno (du fond du sommeil) risalendo gli ultimi gradini della scala<br />

del sogno, fosse nella mia camera (dans ma chambre) che Albertine


197<br />

rinasceva alla coscienza e alla vita, si chiedeva fugacemente ‘dove<br />

sono (où suis-je)?’ e, vedendo gli oggetti da cui era circondata, la<br />

lampada la cui luce le faceva appena sbattere gli occhi, poteva<br />

rispondersi che era a casa dal momento che si svegliava a casa mia<br />

(chez moi). In quel primo, delizioso momento d’incertezza, era come<br />

s’io prendessi di nuovo e più completamente possesso (possession)<br />

di lei, giacché non era lei che, dopo essere uscita, rientrava in<br />

camera sua, ma era la mia camera che, non appena riconosciuta da<br />

lei, si affrettava a rinchiuderla, a contenerla (la contenir), senza che<br />

gli occhi di Albertine manifestassero il minimo turbamento, restando<br />

invece calmi come se nemmeno si fosse addormentata. Rivelata dal<br />

suo silenzio, l’esitazione del risveglio non si rifletteva per nulla nel<br />

suo sguardo”.<br />

Sappiamo dell’angosciante disorientamento nella “chambre”<br />

che è una di tante “chambres” e non si sa quale... Ebbene, qui è<br />

come se qualcuno – il Narratore – avesse vegliato accanto al<br />

dormiente, partecipato al suo sonno e al suo sogno, per poter<br />

garantire una transizione, da un mondo all’altro, senza trauma...<br />

Il Narratore insiste sulla “differenza” tra Albertine adesso e<br />

Albertine a Balbec... Non sono passati molti anni... Eppure un<br />

mutamento “sostanziale e improvviso” è avvenuto; quando ha<br />

scoperto che la sua amica era stata “quasi allevata” dall’amica di<br />

Mademoiselle Vinteuil...<br />

Quando ha avuto il sospetto che Albertine fosse lesbica...<br />

La spiata di Montjouvain e il sonno di Albertine si incontrano.<br />

Il Narratore vorrebbe eliminare il mistero proposto dalla<br />

possibilità che Albertine sia lesbica; cerca un’immagine diversa da<br />

questa troppo “differente” dalla prima; disperatamente: “l’immagine<br />

che cercavo, nella quale mi riposavo, accanto alla quale avrei voluto<br />

morire”...<br />

Il Narratore desidera, addirittura, un’Albertine non diversa da lui:<br />

“che desiderasse [...] di starmi accanto, in tutto simile a me (toute<br />

pareille à moi), immagine di ciò che precisamente era mio e non<br />

dell’ignoto (image de ce qui précisement était mien et non<br />

del’inconnu)”...<br />

Il Narratore che da poco si è “imbarcato”, vuole sbarcare...<br />

Sazio di ignoto, cerca il noto...<br />

Le “prime impressione (premiètes impressions)” di fronte ad<br />

Albertine sulla riva del mare non possono sussistere nell’amore per<br />

lei... queste “impressioni anteriori (impressions antéreieures)”<br />

occupano un piccolissimo spazio in “un amore del genere”, “nella sua<br />

forza, nella sua sofferenza, nel suo bisogno di dolcezza, nel suo


198<br />

aspirare a un ricordo pacifico, pacificante (paisible, apaisant) in cui si<br />

vorrebbe rifugiare senza scoprire più niente di colei che si ama,<br />

nemmeno se vi fosse qualcosa di odioso da sapere”.<br />

Ecco riemergere quel che va sotto il nome di “paresse”: non<br />

ricerca delle “impressioni”, ma paura di esse... Ricerca della pace,<br />

della pacificazione... “persino se conserva le impressioni anteriori, un<br />

tale amore è fatto di ben altra materia! A volte spegnevo la luce<br />

prima che lei entrasse. E nel buio, guidata appena dalla luce d’un<br />

tizzone, le mie gote riconoscevano, mentre i miei occhi – i miei occhi<br />

che tante volte temevano di trovarla mutata – non al vedevano (sans<br />

que mes yeux la vissent). È così, con favore di questo amore cieco,<br />

lei si sentiva più del solito, forse, sommersa di tenerezza”.<br />

È evidente che il voyeurismo è audacia di vedere lo sconosciuto<br />

(anche il lesbismo della figlia di Venteuil e della sua amica,<br />

l’omosessualità di Charlus etc. Leggete gli “approfondimenti, talvolta<br />

abissali, di <strong>Proust</strong> su i due “casi”). Qui il Narratore non vuole<br />

vedere... Tenebris faventibus... – quale filologia diversa di “nel buio,<br />

guidata appena dalla luce” – sommerge Albertine nelle tenerezze...<br />

Il Narratore è reticente alle nuove impressioni... Vuole non<br />

volere...<br />

Quando, vedendosi nello specchio mentre sta baciando<br />

Albertine chiamandola “bambina mia”, scopre una novità: scopre che<br />

l’espressione “triste e appassionata” del proprio viso è “simile a<br />

quella ch’esso avrebbe avuto un tempo accanto a Gilberte”... Tutto<br />

questo lo porta ad un’ipotesi nuova: “mi fece pensare che al di sopra<br />

d’ogni considerazione concernente la persona (giacché l’istinto vuole<br />

che consideriamo l’attuale come l’unica vera) io assolvevo ai doveri<br />

d’una devozione (devotion) ardente e dolorosa rivolta come un’offerta<br />

(comme une offrande) alla giovinezza e alla bellezza femminile”<br />

La mente va alle “serie” deleuziane.<br />

Non si tratta di archetipi! Di serie!<br />

Emerge – è quasi un sintomo (cioè, un segnale) – il linguaggio<br />

religioso (non per questo profanatorio) che caratterizza, ad esempio,<br />

il “baiser” della buonanotte: “E tuttavia, a questo desiderio dedicato<br />

come un ‘ex voto’ alla giovinezza, e ai ricordi stessi di Balbec, nel<br />

bisogno ch’io avevo di tenere così Albertine ogni sera accanto a me<br />

(tous les soirs [...] après de moi) si mischiava qualcos’altro, qualcosa<br />

ch’era stato sino allora estraneo alla mia vita amorosa (qui avait été<br />

étranger jusqu’ici à ma vie, ou moins amoureuse) pur non essendo<br />

del tutto nuovo nella mia vita (s’il n’était pas entièrement nouveau<br />

dans ma vie). Era un senso di pacificazione (apaisement) che non<br />

avevo più provato dalle lontane sere di Combray in cui mia madre,


199<br />

chinandosi sul mio letto, mi portava in un bacio il riposo (le repos<br />

dans un baiser)”.<br />

L’abbiamo già notato, anche se solo in sede di anticipazione, a<br />

proposito di “razze, atavismi vizi”, di binari, di serie... Poco sopra<br />

abbiamo incontrato formule religiose... che si rivolgono a riti sacri;<br />

che al Narratore sembrano estranee alla sua vita amorosa<br />

appartenendo solo a quella filiale. Il fatto è che il “bacio” filiale ha una<br />

valenza amorosa e quello d‘amante una valenza filiale...<br />

E tutti ubbidiscono a delle regole...<br />

Quali?<br />

Forse, piuttosto che parlare di “archetipi” è più prudente parlare<br />

di “serie”...<br />

Il narratore, nel tentativo di venire al dunque – al comune<br />

denominatore della vita amorosa sensu lato – conclude:<br />

“L’ambizione, la gloria mi avrebbero lasciato indifferente (indifférent).<br />

Tanto più ero incapace di provare dell’odio. Eppure, amare<br />

carnalmente voleva dire, per me, godere d’un trionfo su tanti<br />

concorrenti (jouir pour moi d’un triomphe sur tant de concurrentes).<br />

Non lo ripeterò mai abbastanza: era, più d’ogni altra cosa, una<br />

pacificazione (un apaisement)”.<br />

La pacificazione, l’abbiamo visto, è il risultato che produce il<br />

bacio della buona notte. Ora il Narratore ci spiega che essa consiste<br />

in un trionfo sulla concorrenza; un freudiano concluderebbe che il<br />

“padre” e i suoi equivalenti sono i concorrenti; e Girard, mutatis<br />

mutandis, approverebbe. Sostenendo che può emergere il triangolo<br />

anche se non necessariamente edipico...<br />

Ma proseguiamo.<br />

“Poco importava che, prima del suo ritorno, io avessi dubitato di<br />

Albertine, l’avessi immaginata nella camera (dans la chambre) di<br />

Montjouvain; mi bastava che, in vestaglia, si sedesse di fronte alla<br />

mia poltrona, o ai piedi del mio letto se, com’era più frequente non mi<br />

ero alzato, per deporre tutti i dubbi sul suo conto, rimettendoli a lei<br />

perché me ne liberasse (pour qu’elle m’en déchargeât) con<br />

l’abdicazione (l’abdication) d’un credente in preghiera. Per tutta la<br />

serata, lei aveva saputo, maliziosamente appallottolata (pelotonée<br />

espièglement) sul mio letto, giocare con me come una grossa gatta<br />

[...]”...<br />

Straordinario. Ricompare l’“abdicazine” (al culmine del “drame<br />

du coucher” abdicò il padre; ma, forse l’abdicazione più dolorosa fu<br />

quella della madre)...<br />

Tutto qui avviene in una prospettiva religiosa: avete notato<br />

l’allure del “Padre nostro”: “rimettici i nostri peccati come noi li


200<br />

rimettiamo” = “per deporre tutti i dubbi sul suo conto, rimettendoli a<br />

lei”... Il congiuntivo non infrequente in <strong>Proust</strong> ma raro in francese in<br />

“pour qu’elle m’en déchargeât” ne è un’altra prova. (Per non parlare<br />

del fatto che in ballo è la preghiera di un credente).<br />

Quando, dopo le seduzioni che abbiamo saltato, “poi, al<br />

momento di lasciarmi, mi si avvicinava per darmi la buonanotte (pour<br />

me dire bonsoir), era la loro dolcezza divenuta quasi familiare (quasi<br />

familiare) ch’io baciavo (que je la baisais) sui due lati del suo collo<br />

poderoso che non mi pareva mai, allora, abbastanza scuro, né di<br />

grana abbastanza grossa, come se queste due solide qualità<br />

avessero avuto in Albertine qualche rapporto con la sua leale bontà”.<br />

Sì, le seduzioni di Albertine danno a questa l’accesso al bacio<br />

del Narratore perché la rendono “quasi familiare”; quasi identica alla<br />

madre (etc)...<br />

Di nuovo l’“aura” di sacralità che si infittisce (su un personaggio<br />

= una funzione), poi si estende (ad un altro/a a tutti/e) etc.<br />

Più avanti: “[...] in mezzo ad espressioni carnali, se ne<br />

riconoscevano altre ch’erano tipiche (qui étaient propres à) di mia<br />

madre e di mia nonna. A poco a poco, infatti, venivo assomigliando a<br />

tutti i miei parenti (à tous mes parents), a mio padre che (in tutt’altro<br />

modo dal mio, certo, perché le cose si ripetono, sì, ma non senza<br />

grandi variazioni [car si les choses se répètent, c’est avec de<br />

grandes variations]) si interessava tanto a quale tempo facesse; e<br />

non a lui soltanto, ma sempre di più a mia zia Léonie”.<br />

Tra poco ritorniamo sul padre... Evidente la rassomiglianza di<br />

Albertine alla madre ma, immediatamente dopo, quella del Narratore<br />

al padre (a tutti i parenti): la “serie” si riproduce, e ogni “stazione”<br />

ripete quella del corrispondente itinerario, ma anche lo varia.<br />

La zia Léonie... Anche lei passava il tempo... tra l’altro a spiare<br />

dalla finestra quel che succedeva nel paese...: “A zia Léonie, così<br />

bigotta, e con la quale avrei giurato di non avere il minimo punto di<br />

contatto”... Invece!<br />

Anche la maniacalità, la sedentarietà... della zia...<br />

“Ora, sebbene ogni giorno ne trovassi il pretesto in un<br />

malessere particolare, a far sì che io rimanessi così sovente a letto<br />

era un essere, non Albertine, non un essere ch’io amassi, ma un<br />

essere che aveva su di me più potere d’un essere amato: era,<br />

trasmigrata in me (trasmigrée en moi), dispotica al punto da far a<br />

volte tacere i miei sospetti gelosi o almeno da impedirmi d’andare a<br />

verificare se fossero o meno fondati, era mia zia Léonie. Non<br />

bastava ch’io assomigliassi esageratamente a mio padre, tanto da<br />

non accontentarmi di consultare come lui il barometro, ma da


201<br />

diventare io stesso un barometro vivente, e mi lasciassi comandare<br />

da mia zia Léonie restandomene a osservare il tempo, non solo dalla<br />

mia camera o addirittura dal letto? Ecco che, adesso, parlavo ad<br />

Albertine un po’ come da bambino, a Combray, avevo parlato a mia<br />

madre, un po’ come la nonna parlava con me. <strong>Su</strong>perata una certa<br />

età, l’anima del bambino che siamo stati e l’anima dei morti da cui<br />

siamo usciti vengono a gettarci a manciate le loro ricchezze e le loro<br />

disgrazie, chiedendoci di cooperare ai nuovi sentimenti che proviamo<br />

e nei quali, cancellando la loro vecchia effigie, li rifondiamo in una<br />

canzone originale (en une création originale). 207 Così, tutto il mio<br />

passato a partire dagli anni più remoti e, al di là di questi, il passato<br />

dei miei parenti mischiavano al mio impuro amore per Albertine la<br />

dolcezza d’un affetto al tempo stesso filiale e materno (à la fois filiale<br />

et maternelle). Siano destinati a ricevere, da una cert’ora in poi tutti i<br />

nostri parenti, che arrivano da lontano e si raccolgono attorno a noi”.<br />

Forse non c’è bisogno di commento.<br />

Il sesso magnificamente descritto; quindi: “C’era solo, quando si<br />

metteva su un lato, un certo aspetto del suo viso (così bello e buono<br />

se visto di fronte) che non potevo sopportare, adunco come in certe<br />

caricature di Leonardo, rivelante, si sarebbe detto, la malvagità,<br />

l’aspra avidità di guadagno, la furbizia di una spia (la furberie d’une<br />

espionne), la cui presenza presso di me m’avrebbe fatto orrore e che<br />

sembrava smascherata da quel profilo. M’affrettavo a prenderne fra<br />

le mani il volto di Albertine e la rimetterlo di faccia”.<br />

È questione di spionaggio!<br />

Di novo sesso: e considerazioni sulla vita amorosa (la vita in<br />

comune): promossa dalla dolcezza, ma inevitabilmente un “inferno<br />

segreto” che traspare “in modo involontario” da gesti “sintomatici”.<br />

Vita in comune non importa con chi; perché nonna, zia, madre<br />

padre... queste figure si rieditano in quelle del Narratore e di<br />

Albertine... Perché la vita (in comune o no) è inferno. Questa vita che<br />

è inferno da dove è nata? “[...] a chi mi avesse chiesto cosa<br />

significava quella vita da eremo, in cui mi sequestravo al punto da<br />

non andare più a teatro, avrei potuto (e non avrei voluto) rispondere<br />

ch’essa traeva origine dall’ansia di una sera (elle avait pour origine<br />

l’anxiété d’un soir) e dal bisogno di provare a me stesso, nei giorni<br />

che l’avrebbero seguita, che colei di cui avevo scoperto l’incresciosa<br />

infanzia non avrebbe avuto la possibilità, se l’avessi voluto, di esporsi<br />

alle stesse tentazioni. [...]. Distruggerle [le possibilità di tradimento] –<br />

o tentare di farlo – giorno dopo giorno era probabilmente la causa<br />

207 Dell’“air de la chanson” <strong>Proust</strong> parla altrove (CSB, 303).


202<br />

per la quale (était sans doute la cause pourquoi) mi era così dolce<br />

baciare quelle guance che non erano più belle di tante altre (qui<br />

n’étaient pas plus belles que bien d’autres); sotto ogni dolcezza<br />

carnale un po’ profonda c’è il permanere d’un pericolo”.<br />

N’étaient pas plus belles que bien d’autres = tutte le situazioni<br />

(“stazioni”) appartengono a un percorso seriale; elle avait pour<br />

origine l’anxiété d’un soir / était sans doute la cause pourquoi = molto<br />

probabilmente non c’è origine né causa se non inerente alla<br />

“serialità”. Anche se tutto sembra originare dall’“anxiété” e su essa<br />

riconverge.


203<br />

Cap. 11<br />

LA DIALECTIQUE DE LA CURIOSITÉ ET DE<br />

L’INDIFFÉRENCE 208<br />

1) Negazione e bastian contrario<br />

Abbiamo già diverse volte commentato uno breve e celebre<br />

scritto di Freud del 1925, Die Verneinung. 209 L’essenziale del<br />

meccanismo della negazione: “Oppure – prosegue Freud –: ‘Lei<br />

domanda chi possa essere questa persona del sogno: Non è mia<br />

madre.’ Noi rettifichiamo: dunque è la madre. Ci prendiamo la libertà,<br />

nell’interpretazione, di trascurare la negazione e di cogliere il puro<br />

contenuto dell’associazione”.<br />

Freud precisa: “Talvolta si riesce a procurarsi in modo assai<br />

comodo (sehr bequeme) un chiarimento desiderato sul materiale<br />

rimosso inconscio. Si domanda: qual è secondo Lei la cosa più<br />

inverosimile fra tutte in quella situazione? Che cosa a <strong>Su</strong>o parere era<br />

allora più lungi da Lei? Se il paziente cade in questa trappola e<br />

nomina la cosa in cui gli riesce di credere di meno, quasi sempre<br />

(fast immer), così facendo, confessa la cosa giusta”. 210<br />

208 Pierre-Edmon Robert , Notice, in La prisonnière, À la recherche du temps perdu, édition étabile sous la<br />

direction de Jean-Yves Tadié, Gallimardi, 1988, vol. III, p.1646. “C’est précisément parce qu’elle l’aimait<br />

qu’aucun visage, qu’aucun sourire, qu’aucune démarche ne lui étaient aussi<br />

agréables que les siens et non parce que son visage, son sourire, sa démarche<br />

étaient plus agréables que d’autres, qu’elle l’aimait” (L’indifférent, Einaudi,<br />

1978,42).<br />

209 Lezioni di Psicologia dinamica, Borla, Roma, 2003, pp. 51 sgg.; Letteratura è<br />

psicoanalisi, Borla, Roma, 2005, pp. 83 sgg.; Chi ha paura della psicologia<br />

dinamica?, in Per una nuova interpretazione dei sogni, a cura di Benelli, Moretti &<br />

Vitali, Milano, 2006, pp. 139-171.<br />

210 1925, Die Verneinung, in Gesammelte Werke, Frankfurt, Fischer, vol. XIV,<br />

1948, 5a ed. 1976, pp. 11-15; tr. it., La negazione, in Opere, Torino, Boringhieri,<br />

vol. 10, 1978, pp. 197-201. Eguaglia il “comodo” di Freud il “forse” di <strong>Proust</strong> nel<br />

passo seguente: “Ma quello scuotere la testa, così abitualmente associato a un<br />

avvenimento futuro, insinua proprio per questo un senso d’incertezza nella<br />

negazione (dénégation) di un avvenimento passato. Di più: evoca semplici ragioni<br />

di convenienza personale piuttosto che un atteggiamento di riprovazione o<br />

un’impossibilità morale. Vedendo Odette far segno che non era vero, Swann capì<br />

che forse (peut-être) lo era” (SW, 362; 437-438).


204<br />

Commentando nelle Memorie d’oltretomba, l’“apologia” di<br />

Zanze contro l’affermato “falso” compiuto da Silvio Pellico – che ha<br />

raccontato d’essere stato da lei abbracciato… in carcere –, il<br />

visconte de Chateaubriand afferma: “La vivace sposa non vuole<br />

riconoscersi nel delizioso efebo rappresentato dal recluso; ma<br />

contesta il fatto con tanta grazia, che negandolo lo prova (mais elle<br />

conteste le fait avec tant de charme, qu’elle le prouve en le niant”. 211<br />

In letteratura è psicoanalisi ho sostenuto che l’essenziale del<br />

ragionamento di Freud è contenuto nel breve passaggio di<br />

Chateaubriand.<br />

In 2 + 2 = 5 ho richiamato la “negazione della negazione” di<br />

Hegel...<br />

Qui vorrei dimostrare che <strong>Proust</strong> conosce bene il meccanismo;<br />

che c’è un intervento suo che ha l’allure della dichiarazione di Freud;<br />

che è proprio dell’arte la lettura à rebours.<br />

Ma vorrei, soprattutto, dimostrare<br />

(1) che <strong>Proust</strong> fa una descrizione addirittura più precisa, o<br />

completa, dell’operari della negazione: contemplando, oltre alla<br />

negazione (esagerata) che bisogna capovolgere in<br />

affermazione, anche l’affermazione esagerata...<br />

(2) che la sua perspicacia coglie l’ambivalenza del meccanismo: la<br />

negazione o l’affermazione esagerate dicono sempre, anche se<br />

solo parzialmente, il vero;<br />

3) che il gioco a nascondino pervade tutto l’universo delle relazioni<br />

umane; e coincide con quello che Girard definisce “desiderio<br />

mimetico”. 212<br />

211 De Chateaubriand, 1834-1994, Mémoires d’outre-tombe, Librairie Garnier<br />

Frères, Paris, voll. VI, p. 317; tr. it. Memorie d’oltretomba, Einaudi-Gallimard,<br />

Torino, 1995, vol. 2, p. 738.<br />

212 Dei commentatori di <strong>Proust</strong> Mariolina Bongiovanni Bertini è uno dei pochi che<br />

ha richiamato il lavoro di Girard non solo nella bibliografia (Guida a <strong>Proust</strong><br />

(Mondadori, 1981, pp. 35, 80, 130, 401-402). Giustamente Bertini cita un passo del<br />

Tempo ritrovato in cui è chiaramente descritto il rapporto amoroso come un mors<br />

tua vita mea: “A questo punto, lei ha capito: [...] può dispensarsi dal dare di più, e<br />

approfittare d’un momento in cui lui non può più stare senza vederla, in cui vuole<br />

metter fine alla guerra a qualsiasi costo (il veut a tout prix terminer la guerre), per<br />

imporgli una pace (en lui imposant une pax) la cui prima condizione sarà il<br />

platonismo dei rapporti” (TR, 819; 485). Citano Girard solo in bibliografia Henri<br />

Bonnet nella seconda edizione di <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> de 1907 à 1914, Nizet, Paris,<br />

1971, p. 258; Roger Shattuck in <strong>Proust</strong>, 1974, Mondadori, Milano, 1991, pp. 205,<br />

216; Gérard Cogez in <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. À la recherche du temps perdu, PUF, Paris,<br />

1990, p. 124. Tadié, nella bibliografia annessa alla traduzione del 1987-1989, non<br />

lo cita... François Revel, al pari di Girard, proprio a proposito dell’omessualità,<br />

richiama alcune notazioni sul narcisismo fatte da Freud (op. cit., pp. 149 sgg.).


205<br />

A proposito di desiderio mimetico... <strong>Proust</strong> fu un prodigioso<br />

imitatore, un irresistibile caricaturista. Vedi i suoi Pastiches.<br />

Pensando ad essi Citati parla di “istinto mimetico allo stato puro”. 213<br />

Segnalo l’introduzione alla traduzione dei medesimi (con testo a<br />

fronte) di Giuseppe Merlino. 214<br />

Opportuno il suo richiamo alla lettera a Marie Nordlinger,<br />

indispensabile aiuto nella traduzione di Ruskin: “Travaillez-vous?<br />

Moi, plus. J’ai clos à jamais l’ère des traductions, que Maman<br />

favorisait. Et quant aux traductions de moi-même je n’en ai plus le<br />

courage”. 215<br />

Straordinario questo “tradurre se stesso”. Questa impossibilità<br />

di uscire dal circolo mimetico. Al massimo: tradurre se stessi.<br />

<strong>Proust</strong> tenta di distinguere tra fare pastiche = tradurre gli altri e<br />

scrivere = tradurre se stesso. A Georges de Lauris (13 marzo 1915):<br />

“[...] je ne crains pas de faire dire des choses pas trop mal à Sainte-<br />

Beuve ou à Henri de Régnier [...]; ne prenant jamais, même<br />

inconsciemment, le bien d’autrui, je ne fais jamais de pastiche plus<br />

ou moins involontaire dans mes œuvres. Cela me donne plus de<br />

plénitude et de gaieté quand j’en fais ouvertement”. 216<br />

Osserva Giuseppe Merlino: “È l’unico caso in <strong>Proust</strong>, io credo,<br />

in cui l’aggettivo ‘involontario’ non appartiene al registro euforico<br />

della rivelazione, della verità e dell’arte”. 217<br />

213<br />

Introduzione a <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> di Leo Spitzer, Einaudi, 1959, p. XI. A proposito<br />

della capacità di immedesimazione e di presa i distanza: in due lettere, una a Louis<br />

de Robert (1 maggio 1913, CORR, XIII, p. 165) e una a Gide (22 marzo 1914,<br />

CORR, XIII, p. 119; tr. it. Lettere a Gide, SE, Milano, 1987, p. 23), <strong>Proust</strong>, quasi<br />

negli stessi termini, proprio lui che è “impotente a ottenere qualcosa per sé (me)”<br />

ha invece “il potere di procurare la felicità agli altri”: “Ho riconciliato non soltanto<br />

avversari ma persino amanti, ho guarito malati mentre non ho potuto far altro che<br />

peggiorare il mio male, ho indotto al lavoro dei pigri rimanendo tale io stesso”. Vedi<br />

la lettera a <strong>Proust</strong> a Robert de Montesquiou del 13 dicembre 1895: “Alors, en effet,<br />

par l’effet qui entraîne le corps à la suite de l’âme, la voix, l’accent se rythmaient<br />

sans doute sur l’allure de cette pensée empruntée. Si l’on vous a dit plus, et si l’on<br />

a parlé de caricature, j’invoque votre axiome [...]” (CORR, I, 451-452).<br />

214<br />

Marsilio, Venezia, 1991.<br />

215<br />

dicembre 1906. CORR, VI, 308.<br />

216<br />

CORR, XV, p. 84.<br />

217<br />

Ibidem, p. 38. In realtà <strong>Proust</strong> dirà qualcosa di molto simile (e di più articolato)<br />

nel suo saggio, del 1922, su Flaubert: un lettore di Flaubert... “vorrebbe continuare<br />

a parlare come loro. Bisogna permetterglielo un momento, lasciare che il pedale<br />

prolunghi il suono, bisogna cioè fare una parodia volontaria (un pastiche volontaire)<br />

per poter dopo di ciò ridiventare noi stessi e non continuare a fare parodia<br />

involontaria (un pastiche involontaire) per tutta la vita. La parodia volontaria<br />

(volontaire), la si fa del tutto spontaneamente: è chiaro che quando, anni fa, scrissi<br />

una contraffazione (d’altronde, detestabile) di Flaubert, non mi ero chiesto se il


206<br />

Evidente: il pastiche è sempre volontario; ubbidisce, cioè,<br />

sempre alla volontà di potenza = alla volontà di imitazione...<br />

L’abbandono... il manque de volontè, apre alla possibilità della<br />

grazia...<br />

Richiamerò solo alcuni snodi dell’esperienza del Narratore allo<br />

scopo di dimostrare la forza del desiderio mimetico, tale da<br />

comportare una lotta per la vita (la propria) e per la morte (l’altrui).<br />

Girard stesso ha trovato nell’opera di <strong>Proust</strong> una dimostrazione<br />

articolata delle sue tesi. 218<br />

2) Freudianamente<br />

Premettiamo un’affermazione decisa: “La menzogna è<br />

essenziale all’umanità. Vi svolge un ruolo altrettanto importante,<br />

forse, quanto la ricerca del piacere, ricerca da cui è d‘altronde<br />

comandata” (AS, 232). 219<br />

Il problema è, quindi, intravedere attraverso il velo...<br />

Segue la dichiarazione ad allure freudiana, a proposito di<br />

Charlus: “[...] avrei dovuto pensare che ci sono, l’uno davanti all’altro,<br />

canto che udivo dentro di me dipendesse dalla ripetizione degl’imperfetti o dei<br />

participi presenti: altrimenti, non avrei potuto scriverlo. Oggi, cercando di segnalare<br />

in fretta talune particolarità dello stile di Flaubert, ho compiuto un lavoro inverso. Il<br />

nostro spirito non è mai soddisfatto finché non abbia saputo compiere una chiara<br />

analisi di quanto aveva prodotto in modo inconscio oppure una ricreazione vivente<br />

di quanto aveva prima analizzato” (A proposito dello “stile” di Flaubert, in Scritti<br />

mondani e letterari, Einaudi, Torino, 1984, 595; 547)<br />

218 I mondi di <strong>Proust</strong>, 1961, in Menzogna romantica e verità romanzesca<br />

(Bompiani, Milano, pp. 168-197); Problemi di tecnica in <strong>Proust</strong> e Dostoevskij<br />

(ibidem, pp. 199-220); La conversione proustiana, 1978, in Delle cose nascoste sin<br />

dalla fondazione del mondo (Adelphi, Milano, 1983, pp. 473-478). Girard dimostra<br />

che, in Shakespeare, in Dostoevskij e in Joyce, il desiderio mimetico si esprime<br />

nell’insistente innamoramento della donna di un proprio amico (amata perché già<br />

amata quindi amabile, amanda). In Kafka. Un “tipo particolare” (2008, p. 256) ho<br />

segnalato Beethoven (vedi Maynard Solomon, Beethoven. La vita, l’opera, il<br />

romanzo familiare, 1977, ed. italiana Marsilio Editore, Venezia, 2007): l’“immortale<br />

amata”, Antonietta Brentano, era moglie di un suo amico. Qui non possiamo non<br />

ricordare che Painter, il celebre biografo di <strong>Proust</strong>, dimostra la medesima<br />

ricorrenza in <strong>Proust</strong> (op. cit., pp. 67, 92, 312, 559). Painter, diversamente da<br />

Girard, supinamente iscrive questa vicissitudine del desiderio mimetico<br />

nell’omosessualità. La medesima cosa Jean-Yves Tadié nella sua monumentale<br />

biografia (<strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Gallimard, 1996, pp. 133, 495). Si distingue Duchêne<br />

(op. cit. 219).<br />

219 “L’interprete dei segni amorosi è necessariamente interprete di menzogne”<br />

(Gilles Deleuze, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, op. cit, p. 12).


207<br />

due mondi, il primo costituito dalle cose che gli esseri migliori, i più<br />

sinceri (le meilleurs, les plus sincères), dicono, e dietro a questo il<br />

mondo composto dal succedesi di ciò che gli stessi esseri (ces<br />

mêmes êtres) fanno; e così, quando una donna sposata ci dice di un<br />

giovanotto: ‘Oh! È verissimo (c’est parfaitement vrai) che ho per lui<br />

un’immensa amicizia (immense amitié), ma è una cosa<br />

assolutamente innocente (très innocent), assolutamente puro (très<br />

pur), potrei giurarlo (je pourrais le jurer) sulla memoria dei miei<br />

genitori’, dovremmo noi stessi (on devrait soi-même), anziché<br />

esitare, giurarci (jurer à soi-même) che con ogni probabilità<br />

(probablement) è appena uscita dalla stanza da bagno dove si<br />

precipita, per non avere bambini, dopo ciascuno dei suoi convegni<br />

con il giovanotto in questione” (AS, 612; 235).<br />

Il troppo che stroppia.<br />

(Per semplificare, in generale ordiniamo le citazioni in ordine<br />

cronologico; cioè, a partire da Dalla parte di Swann etc.).<br />

3) Il troppo che stroppia...<br />

Legrandin “era uno snob. Certo, di tutto questo non traspariva<br />

mai nulla nel linguaggio che i miei parenti e io amavamo tanto. E se<br />

io chiedevo: ‘Conoscete i Guermantes?’, Legrandin il conversatore<br />

rispondeva: “No, non ho mai voluto conoscerli’, sventuratamente,<br />

giungeva soltanto secondo a rispondere così, perché un altro<br />

Legrandin, che egli nascondeva con cura nel fondo di se stesso, che<br />

non faceva vedere a nessuno perché quello là, quel Legrandin,<br />

sapeva sul conto del nostro, e del suo snobismo, certe storie<br />

compromettenti, un altro Legrandin aveva risposto con la ferita dello<br />

sguardo, con il rictus della bocca, con il tono esageratamente grave<br />

(par la gravité excessive) della risposta, con le mille frecce da cui il<br />

nostro Legrandin s’era trovato di colpo (en un instant) crivellato e<br />

illanguidito come un san Sebastiano dello snobismo: ‘Ah! Come mi<br />

fate male! No, non conosco i Guermantes, non risvegliate il grande<br />

dolore della mia vita’. [...]. Questo, ben inteso, non vuol dire che il<br />

signor Legrandin non fosse sincero quando tuonava contro gli snob.<br />

Non poteva sapere, almeno da se stesso, di esserlo lui, giacché noi<br />

non conosciamo mai che le passioni degli altri, e quel che arriviamo<br />

a sapere delle nostre è solo dagli altri che abbiamo potuto scoprirlo.<br />

<strong>Su</strong> di noi, esse agiscono in modo meramente secondario, attraverso<br />

l’immaginazione che sostituisce i moventi originari con altri moventi<br />

di ricambio, più decorosi dei primi” (SW, 128-129; 157-158) +


208<br />

Leggere anche il seguito... + “– Chì? E perché? chiese il presidente<br />

dell’ordine, dissimulando la propria esultanza sotto uno stupore<br />

esagerato (exagéré); vi riferite ai miei ospiti? Aggiunse, sentendosi<br />

capace di continuare la finzione; ma cosa c’è di chic nell’invitare a<br />

colazione degli amici? Devono pur mangiare, da qualche parte” (AF,<br />

687; 832) + “‘D’altronde, non ha la minima (aucune espèce)<br />

importanza’. Frase equivalente a un riflesso (analogue à un réflex),<br />

identica, nelle più gravi come nelle più trascurabili circostanze; e<br />

rivelatrice (dénonçant), come in questo caso, dell’effettiva importanza<br />

attribuita alla cosa in questione da chi, a parole, gliela nega (en celui<br />

qui la déclare sans importance). Frase tragica, a volte, che sfugge<br />

prima d’ogni altra – e così carica, allora, di sconforto – a ogni uomo<br />

che, appena un po’ orgoglioso, abbia perduto l’ultima speranza cui<br />

s’aggrappava perché qualcuno gli ha rifiutato un favore: ‘Ah, bene,<br />

non ha la minima importanza, mi arrangerò diversamente’, quando il<br />

diverso arrangiarsi verso il quale non ha la minima importanza,<br />

vedersi respinti è, in qualche caso, il suicidio” (OF, 740; 898) +<br />

“Rimasi serio. Da un lato, trovavo stupido che mostrasse di credere o<br />

di voler far credere che nessuno, in realtà, fosse più chic di lei.<br />

Dall’altro, le persone che ridono così forte (si forte) di ciò che dicono,<br />

e che non è per niente spiritoso (et qui n’est pas drôle), ci<br />

dispensano in tal modo, prendendo l’ilarità a loro carico, dal<br />

parteciparvi” (SG, 702; 851) + “Questo tono non traeva in inganno, e<br />

i segni opposti per mezzo dei quali esprimiamo i nostri sentimenti<br />

traducendolo nel loro contrario (par leur contraire) sono di così facile<br />

lettura che ci si chiede come possa esserci ancora qualcuno che<br />

dice, per esempio: ‘Ho tanti inviti (j’ai tant d’invitations) che non so<br />

dove sbattere la testa’ per dissimulare di non essere invitato da<br />

nessuno (pour dissimuler qu’il ne sont pas invités)” (SG, 1023; 268) +<br />

“Ma preferivo avere l’aria di chi sa, non quella di chi domanda.<br />

D’altronde, Albertine non m’avrebbe risposto, o avrebbe risposto con<br />

un ‘no’ la cui ‘n’ sarebbe stata troppo (trop) esitante e l’ ‘o’troppo<br />

(trop) deciso” (SG, 1097; 348) + Ma era sicuramente per incontrarvi<br />

qualcuno, per prepararvi qualche piacere. Altrimenti, non ci avrebbe<br />

tenuto tanto (tellement). Voglio dire: non mi avrebbe ripetuto tante<br />

volte che non ci teneva (elle ne m’eût pas répeté qu’elle n’y tenait<br />

pas)” (P, 88; 476) + “‘Credo che voi conosceste molto bene mio<br />

padre. – Ah! Lo credo’, disse Madame de Guermantes, in un tono<br />

malinconico che rivelava come capisse il dolore della figlia e con un<br />

voluto eccesso di intensità (avec un excès d’intensité voulu)<br />

apparentemente inteso a dissimulare che non era sicura di ricordare<br />

molto esattamente il padre. ‘L’abbiamo conosciuto molto bene, me lo


209<br />

ricordo molto bene’. (E, in effetti, poteva ricordarselo: era venuto a<br />

trovarla quasi ogni giorno per venticinque anni). ‘So benissimo chi<br />

era, vi dirò’ [...]” (AS, 580; 197-198).<br />

4) ... e l’inverso<br />

“[...] a meno che parole siffatte, che in qualche modo devono<br />

essere lette alla rovescia (à l’envers), la loro lettura significando il<br />

contrario (le contraire) della verità, non siano il necessario effetto, il<br />

grafico negativo di un riflesso” (AF, 860; 1040) + “A volte, la scrittura<br />

in cui decifravo le menzogne di Albertine, senza giungere ad essere<br />

ideografica, aveva semplicemente bisogno d’essere letta<br />

all’incontrario (à rebours)” (P, 91; 479)<br />

5) Non solo l’affermazione; anche l’omissione...<br />

“In Albertine, la sensazione della menzogna era data da molte<br />

particolarità già emerse nel corso di questa narrazione, ma<br />

principalmente (principalement) da questa: che, quando mentiva, il<br />

suo racconto peccava o per insufficienza, omissione (omission),<br />

inverosimiglianza, o – al contrario (au contraire) – per eccesso<br />

(excès) di fatterelli destinati a renderlo verosimile. La<br />

verosimiglianza, malgrado quel che ne pensa il mentitore, non è la<br />

verità. Non appena, mentre si sta ascoltando qualcosa di vero, si<br />

percepisce qualcosa che è soltanto verosimile, che lo è, forse, più<br />

del vero, che lo è forse troppo (qui l’est peut-être trop), l’orecchio<br />

musicalmente un po’ esperto sente che non è così, come un verso<br />

falso o una parola ad alta voce, per un altro” (P, 178-179; 577-578).<br />

6) Così è costruito il nostro linguaggio<br />

Il troppo che stroppia... la recisa negazione, la recisa<br />

omissione... che costringono chi vuole sapere la “verità” a procedere<br />

à rebours... non sono delle eccezioni, sono la norma. Così funziona il<br />

linguaggio: “Le parole ‘quando ci si chiama marchese di Saint-Loup’,<br />

il signor di Guermantes le pronunciò con enfasi (avec emphase).<br />

Certo, sapeva benissimo che chiamarsi ‘duca di Guermantes’ era<br />

ancora di più. Ma se il suo amor proprio tendeva piuttosto ad


210<br />

esagerare la superiorità del suo titolo, lo spingevano ad attenuarla<br />

non tanto le regole del buon gusto, quanto le leggi<br />

dell’immaginazione. Ciascuno di noi vede in una luce migliore ciò che<br />

vede a distanza, ciò che vede negli altri. Così, le leggi generali che<br />

governano la prospettiva dell’immaginazione valgono per i duchi<br />

esattamente come per tutti mortali. E non soltanto le leggi<br />

dell’immaginazione, ma anche quelle del linguaggio. Ora, in questo<br />

caso si poteva applicare l’una o l’altra delle due leggi del linguaggio.<br />

Secondo la prima, ci si esprime come i componenti della propria<br />

categoria intellettuale e non come quelli della propria casta sociale. Il<br />

duca di Guermantes poteva dunque essere, nell’eloquio, e persino<br />

quando voleva parlare della nobiltà, tributario dei piccolissimi<br />

borghesi che avrebbero detto ‘quando ci si chiama duca di<br />

Guermantes’, mentre una persona colta, uno Swann, un Legrandin,<br />

non l’avrebbero mai detto. Un duca può scrivere un romanzo da<br />

droghiere, magari proprio sui costumi mondani, i suoi titoli nobiliari<br />

non essendogli, in questo caso, di nessun aiuto, e un plebeo<br />

meritare, con i suoi scritti, d’essere definito aristocratico. Chi fosse,<br />

nella fattispecie, il borghese dal quale il signor di Guermantes aveva<br />

sentito dire ‘quando ci si chiama’, probabilmente lo ignorava lui<br />

stesso. Ma un’altra legge del linguaggio vuole che, di tanto in tanto –<br />

così come si manifestano, e poi scompaiono, certe malattie di cui, in<br />

seguito, non si sente più parlare –, nascano in modi perlopiù<br />

imprecisabili (o spontaneamente, o per un caso paragonabile a<br />

quello che fece attecchire in Francia un’erba grama americana<br />

perché un suo seme, rimasto impigliato nei fili d’una coperta da<br />

viaggio, era caduto su una scarpata della ferrovia) delle espressioni<br />

che, nello stesso decennio sentiamo usare da persone le quali, in<br />

proposito, non hanno preso nessun accordo tra loro” (G, 235-236;<br />

284-285).<br />

“Non pretendo certo che mia nonna e i suoi rari simili fossero i<br />

soli a ignorare questo genere di calcoli. La media dell’umanità,<br />

esercitando professioni delicate a priori, raggiunge in parte, grazie<br />

alla sua mancanza di intuito (par son manque d’intuition), l’ignoranza<br />

di cui la nonna era debitrice al suo nobile disinteresse. Bisogna<br />

scendere, spesso, fino ai mantenuti, uomini o donne, per dover<br />

cercare il movente dell’atto o delle parole apparentemente più<br />

innocenti nell’interesse, nella necessità della sopravvivenza. Quale<br />

uomo, quando una donna ch’egli sa d’essere tenuto a pagare gli<br />

dice: ‘Non parliamo di danaro’, ignora che questa frase dev’essere<br />

considerata quel che in musica si chiama ‘una battuta vuota’? e che,<br />

in seguito, se gli dichiara: ‘Mi hai fatto troppo soffrire, non mi dici la


211<br />

verità, non ce la faccio più’, dovrà interpretare: ‘Un altro protettore mi<br />

offre più di te’? E questo è ancora il linguaggio di una cocotte<br />

abbastanza vicina alle donne della buona società Gli apaches<br />

offrono esempi più eloquenti. Ma il signor di Norpois e il principe<br />

tedesco, se non conoscevano gli apaches, s’erano abituati a vivere<br />

sullo stesso piano delle nazioni, e queste sono a loro volta, a dispetto<br />

della grandezza, esseri egoisti e astuti, che si possono domare solo<br />

con la forza o l’interesse, il quale può spingerle sino all’omicidio –<br />

omicidio, in molti casi, simbolico anch’esso, giacché il rifiuto di<br />

battersi o la semplice esitazione a battersi possono significare, per<br />

una nazione, ‘perire’” (G, 260-261; 315).<br />

7) L’inconscio etc. 220<br />

In Freud il meccanismo della negazione è assimilabile a quello<br />

della rimozione; meglio, è una delle forme in cui la rimozione si<br />

manifesta. La rimozione in Freud implica l’inconscio...<br />

Alberto Beretta Anguissola e Daria Galanteria, nelle note a<br />

Albertina scomparsa, citano uno studio di linguistica quantitativa,<br />

quello di Étienne Brunet: Le vocabulaire di <strong>Proust</strong> (Genève-Paris,<br />

Slaktine-Champin, 1983), vol. II, Index de À la recherche du Temps<br />

perdu, p. 752, da cui risulta che la parola inconscio, nelle forme<br />

sostantivali, aggettivali o avverbiali occorre 60 volte, corrispondenti al<br />

quadruplo rispetto alla frequenza media dello stesso vocabolo nella<br />

prosa letteraria del tempo di <strong>Proust</strong> (AS, 802).<br />

Non seguiamo i nostri nell’impresa anche per loro ardua di<br />

rintracciare influssi freudiani... Casomai, saremmo tentati di pensare<br />

a influssi proustiani su Freud! In realtà pensiamo<br />

(1) a un effetto dello spirito del tempo (ma allora perché il<br />

“quadruplo”?);<br />

(2) pensiamo che l’inconscio è sempre esistito. Per inconscio non<br />

si deve intendere l’inconscio freudiano. Quello dovuto alla<br />

rimozione... In Girard vediamo l’utilizzazione del termine e del<br />

concetto di inconscio (legati al termine e al concetto di transfert<br />

[duplice]) indipendenti dal termine e dal concetto di rimozione.<br />

Noi abbiamo proposto che la vera rimozione è rimozione<br />

dell’infanzia, dell’acategoriale.<br />

220 “Une vérité clairement comprise ne peut plus être écrite avec sincérité”<br />

(Senancour, in Textes retrouvés. Recueillis et présentés par Philp Kolb, Gallimard,<br />

Paris, 1971, 84).


212<br />

Alcune dichiarazioni dirimenti: “[...] quanto lavoro egli [Flaubert]<br />

dové sostenere per fissare tale visione, per farla passare<br />

dall’inconscio nella coscienza (la faire passer de l’inconscient dans le<br />

conscient), per incorporarla nelle varie parti del discorso!” (1920, A<br />

proposito dello “stile” di Flaubert, SA, 592; 544) + “Gli atti creativi<br />

procedono [...] non dalla conoscenza delle loro leggi, ma da una<br />

potenza oscura e incomprensibile, che non rafforziamo<br />

illuminandola” (1895, Chardin et Rembrandt, SA, 382; 323) + “Si<br />

tratta di tirar fuori dall’incosciente (tirer hors de l’inconscient) per farla<br />

entrare nel regno dell’intelligenza, ma cercando di serbarla in vita<br />

(mais en tâchant de lui garder sa vie), di non mutilarla, di disperderne<br />

il meno possibile, una realtà che la solo luce dell’intelligenza, pare,<br />

basterebbe a distruggere” (1922, Risposte ad un’inchiesta delle<br />

“Annales”, SA, 640-641; 593).<br />

Lo scopo è quello di trovare un “esatto dosaggio di memoria e<br />

di oblio (exact dosage de mémoire et d’oublie)” fornito dai ricordi<br />

involontari (1913, Swann spiegato da <strong>Proust</strong>, SA, 559; 509). 221<br />

Quindi, alcuni passaggi in cui è individuato all’opera l’inconscio:<br />

“[...] per esempio, in Corneille, e nei quali un romanticismo<br />

intermittente, contenuto, e per questo tanto più emozionante, non è<br />

tuttavia penetrato sino alle sorgenti fisiche della vita, non ha<br />

modificato l’organismo inconscio e generalizzabile (organisme<br />

inconscient et généralisable) in cui dimora l’idea” (G, 549; 667) + “La<br />

filosofia parla spesso di atti liberi e atti necessari. Forse non c’è atto<br />

più completamente subìto di quello che, in virtù di una forza<br />

ascensionale compressa (en vertu d’une force ascensionelle<br />

comprimée) durante l’azione, fa sì che, messo a riposo il pensiero,<br />

un ricordo fino allora livellato agli altri dalla forza oppressiva<br />

(oppressive) della distrazione risalga di slancio, giacché più d’ogni<br />

altro conteneva, a nostra insaputa (à notre insu), un fascino di cui ci<br />

accorgiamo soltanto ventiquatt’ore dopo. E nemmeno c’è atto, forse,<br />

più libero di questo, ancora sciolto dall’abitudine, da quella sorta di<br />

mania mentale che, in amore, favorisce l’esclusivo rinascere<br />

dell’immagine di una determinata persona” (OF, 822-823; 997) + “[...]<br />

la fanciulla, la Galatea appena desta nell’inconscio di quel corpo<br />

(dans l’inconsciet de cet corps) d’uomo [...]” (SG, 621; 753) + “[...] ma<br />

in modo quasi inconscio, come per un’abitudine o una particolarità<br />

animale (d’une façon quasi inconsciente, par une sorte d’habitude et<br />

de particularité animale)” (TR, 703; 344) + “Era, quell’in fin dei conti<br />

me ne infischio, un esemplare fra mille dello straordinario linguaggio,<br />

221 Vedi quanto osservato sull’oblio nel cap. 1.


213<br />

così diverso da quello che parliamo abitualmente, in cui l’emozione fa<br />

deviare ciò che volevamo dire e fa sbocciare al suo posto (à sa<br />

place) una frase affatto differente, emersa da un lago ignoto<br />

(émergée d’un lac inconnu) in cui vivono le espressioni che non<br />

hanno rapporto col pensiero e per ciò stesso lo rivelano” (TR, 822;<br />

489) + “Nelle persone che amiamo c’è, immanente ad esse, un certo<br />

sogno che noi perseguiamo anche se non sempre riusciamo a<br />

discernerlo. [...]. Questo desiderio che si risveglia ogni volta alla vista<br />

d’una cavallerizza, chi può mai dire a quale sogno durevole e<br />

inconscio (à quel rêve durable et inconscient) sia legato, inconscio e<br />

non meno misterioso, per esempio, per chi ha sofferto tutta la vita di<br />

crisi d’asma, dell’influsso d’una città apparentemente simile alle altre<br />

in cui, per la prima volta, respira liberamente? [...]. Nel signor di<br />

Charlus, tutto il suo sogno di virilità [...]. Insomma, il suo desiderio<br />

d’essere incatenato, d’essere percosso, tradiva, nella sua bassezza,<br />

un sogno non meno poetico (aussi poétique que) del desiderio, in<br />

altri, d’andare a Venezia o di mantenere delle ballerine” (TR, 839-<br />

840; 509-511) + “D’altronde di Charlus ce n’erano due, senza<br />

contare gli altri. Fra i due, l’intellettuale passava il suo tempo a<br />

dolersi d’andare verso l’afasia, di pronunciare di continuo una parola,<br />

una lettera al posto di un’altra, Ma non appena gli succedeva<br />

realmente di farlo, l’altro Charlus, quello inconscio (le subconscient),<br />

che voleva essere invidiato quanto l’altro commiserato e ricorreva a<br />

civetterie che l’altro disdegnava, interrompeva immediatamente<br />

come un direttore d’orchestra con degli orchestrali che pasticciano, la<br />

frase cominciata, e con un’ingegnosità infinita riattaccava quanto<br />

veniva dopo alla parola detta, in realtà, al posto di un’altra, facendola<br />

sembrare scelta a bella posta” (TR, 861; 536). 222<br />

222 Se è presente il concetto di inconscio, come del resto risulta evidente da molti<br />

dei passi già citati – considerate la forza ascensionale etc. –, inevitabilmente sono<br />

presenti quello di proiezione e quello di repressione/rimozione, di transfert...<br />

Proiezione: “E benché fosse solo, questa idea esterna alla sua figura, impalpabile,<br />

immensa e sussultante come una proiezione (projection), sembrava precederlo e<br />

guidarlo, simile a quelle Divinità, invisibili al resto degli umani, che stavano al<br />

fianco dei guerrieri greci” (G, 40; 40) + “Non era solo nel firmamento che proiettavo<br />

(que je mettais) il pensiero di Madame de Guermantes” (G, 120; 141) + “E ancora<br />

resta incerto se li abbiamo già incontrati – o se non abbiano piuttosto quel carattere<br />

di cosa non vista per la prima volta che viene proiettato su di essi da un’illusione<br />

(que projette sur eux une illusion), da una suddivisione (perché parlare di<br />

sdoppiamento non era sufficiente)” (AS, 492; 92) + “non facciamo altro che<br />

proiettare (projecter) fuori di noi (hors de nous)” (AS, 496; 97).<br />

Repressione/rimozione: “Madame Verdurin non potè reprimere (réprimer) che in<br />

parte il sorriso [...]” (SG, 953; 191) + “E di colpo (tout d’un coup), ricordando certi<br />

moti d’impazienza d’Albertine, d’altronde subito repressi (qu’elle réprimait du reste


214<br />

aussitôt) (P, 295; 708) + “E poiché le impressioni che, per me, davano alle cose il<br />

loro valore, erano di quelle che gli altri non provano, o rimuovono (refoulent) senza<br />

pensarci come insignificanti [...]” (SG, 949; 187) + “Ma la natura che reprimiamo<br />

(que nous refoulons) non cessa per questo di abitare in noi” (P, 291; 703).<br />

Transfert: “Ma l’immaginazione non le situava più ora, nello stile di una grande<br />

attrice; a partire dalle mie visite a Elstir, era su arazzi, su certi quadri moderni che<br />

avevo trasferito (reporté) la fede interiore nutrita un tempo per la recitazione, per<br />

l’arte tragica della Berma [...]” (G, 36; 38) + “Tuttavia, trascorsi alcuni giorni [...] fu<br />

quest’ultimo [il ricordo di Madame Guermantes] che, alla fine, riformò più spesso,<br />

come spontaneamente, mentre i suoi concorrenti s’eliminavano fra loro; fu sul suo<br />

versante che infine mi trovai – ancora volontariamente, tutto sommato, e come per<br />

scelta di piacere – ad aver trasferito (transferé) ogni mio pensiero d’amore” (G, 61;<br />

69) + “A dimostrarlo (più ancora della noia che si accompagna alla felicità) è<br />

quanto il vedere o non vedere quella persona, l’esserne o non esserne stimati,<br />

l’averla o no a nostra disposizione, ci sarà indifferente quando non dovremo più<br />

porci il problema (a tal punto ozioso che non ce lo porremo neanche più) se non in<br />

relazione alla persona in quanto tale (en tant que se rattachant à elle), il processo<br />

di emozioni e di angosce essendo ormai obliato – almeno in rapporto a lei, perché<br />

potrebbe essersi sviluppato di nuovo, ma trasferito a un’altra persona (mais<br />

transferé à une autre). Prima, quando era ancora legato a lei, credevamo che la<br />

nostra felicità dipendesse dalla sua persona: dipendeva semplicemente dalla<br />

terminazione della nostra ansia. Il nostro inconscio (notre inconscient) era dunque,<br />

in quel momento, più chiaroveggente di noi, rendendo così piccola la figura della<br />

donna amata [...]” (AS, 433; 21-22). Presente anche il concetto (e la pratica) della<br />

libera associazione: “Anche la lettura dei giornali mi era odiosa e, perdipiù, non è<br />

inoffensiva. Dentro di noi, in effetti, da ogni idea, come da un crocevia in una<br />

foresta (comme d’un carrefour dans une forêt), partono tante strade che, nel<br />

momento in cui meno ce l’aspettiamo, mi trovavo davanti a un ricordo” (AS, 543;<br />

153). (L’esempio massimo di libere associazioni è La vita e le opinioni di Tristram<br />

Shandy, gentiluomo, di Sterne). Sappiamo, comunque, che <strong>Proust</strong> rifiutava le libere<br />

associazioni come metodo: “Au reste, je crains que l’architecture de À la recherche<br />

du temps perdu ne soit pas plus sensible dans ce livre que dans Swann. Je vois<br />

des lecteurs s’imaginer que j’écris, en me fiant à d’arbitraires et fortuites<br />

associations d’idées, l’histoire de ma vie. Ma composition est voilée e d’autant<br />

moins rapidement perceptible qu’elle se développe sur une large eschelle [...] mais<br />

pour voir combien elle est rigoureuse [...]” (lettera a Paul Souday, 10 novembre<br />

1919. CORR, XVIII, p. 464). Ma ancora: “E come procede <strong>Proust</strong> per ottenere<br />

questo richiamo, questa resurrezione? Proprio nello stesso modo raccomandato da<br />

Freud: per associazione di idee. A dire il vero, mentre Freud, che è esterno al suo<br />

malato, cerca di provocare in lui delle associazioni, lo tenta, non gli dà tregua,<br />

<strong>Proust</strong>, che opera su se stesso, è costretto ad aspettare passivamente l’occasione<br />

di una associazione feconda. Soltanto il puro caso può premiarlo [...]. Ma una volta<br />

che il caso è stato catturato, lo sforzo di concentrazione che <strong>Proust</strong> fa per<br />

ricavarne ogni vantaggio e fargli restituire tutto quanto contiene è molto più vicino<br />

alla pressione che Freud esercita sul suo paziente e all’appello costante da lui<br />

rivolto alla sua memoria” (Jacques Rivière, <strong>Proust</strong> e Freud. Alcuni progressi nello<br />

studio del cuore umano, 1923-1925; tr. it. Pratiche Editrice, Parla, 1985, p. 57).<br />

Infine: “L’‘association libre’ est un discours qui a su perdre toute impatience et qui<br />

se déroule, en compression ou en extension, à l’image des intermittences<br />

syntaxiques de <strong>Proust</strong>. Elle devrait se dérouler à l’image de la phrase de <strong>Proust</strong>.


8) Il <strong>Proust</strong> e Freud di Rivière<br />

215<br />

<strong>Proust</strong> e Freud. Alcuni progressi nello studio del cuore umano,<br />

raccoglie alcuni saggi (conferenze) di Jacques Rivière che cadono<br />

nel periodo 1924-1925 e che sono stati pubblicati in Les Cahiers de<br />

l’Occident nel 1927. 223 Anche se solo di sfuggita, ricordiamo che<br />

Rivière era un rappresentante autorevole della Gallimard che, dopo<br />

Du côté de chez Swann, pubblicato da Grasset, pubblicherà tutto<br />

<strong>Proust</strong>; conoscerà <strong>Proust</strong>; avrà un significativo carteggio con lui...<br />

Rilevato che l’inconscio “non è una scoperta di Freud”, 224 e<br />

dichiarata l’“ignoranza in cui sono reciprocamente vissuti”, 225<br />

definisce quel che hanno in comune: “<strong>Proust</strong> e Freud inaugurano un<br />

nuovo modo di interrogare la coscienza. Rompono con le indicazioni<br />

del senso intimo; non vogliono più rimanervi paralleli; aspettano,<br />

spiano, anziché i sentimenti, i loro effetti; vogliono capirli attraverso i<br />

loro segni. L’uomo interiore è qui trattato per la prima volta come un<br />

corpo sulla cui composizione non possono ragguagliare se non le<br />

reazioni a cui dà luogo. Il metodo induttivo si estende agli aspetti<br />

psicologici che finora eravamo abituati ad accogliere e a credere<br />

veri”. 226<br />

Cioè: “l’ipocrisia è inerente alla coscienza. Spingendo<br />

all’estremo l’idea di Freud, dirò che avere coscienza significa essere<br />

ipocriti”. 227<br />

Ma il “rivelatore” è soprattutto <strong>Proust</strong>, perlomeno nell’ambito<br />

letterario e per quel che riguarda lo stesso Rivière. Cominciando da<br />

Rivière (e a seguire): “Per quanto almeno mi riguarda, <strong>Proust</strong> sarà<br />

stato il più spaventoso rivelatore su me stesso che potessi<br />

incontrare”; 228 “Per primo <strong>Proust</strong> commette quella terribile empietà,<br />

Qui y parvient? Personne. Souvent, l’analyse échoue à perdre l’impatience sans<br />

sombrer dans la dépression” (Kristeva, op. cit., p. 368). “Le souffle enfin retrouvé<br />

comme temps, et ouvert à tous vents comme lui, dans cette association libre et<br />

interminable qu’est la Recherche et que la mort seule peut interrompre (ibidem, p.<br />

300).<br />

223<br />

Tr. it. Pratiche Editrice, Parma, 1985.<br />

224<br />

Ibidem, p. 28.<br />

225<br />

Ibidem, p. 43.<br />

226<br />

Ibidem, p. 161. “Tutto quello che gli scrittori si sono abituati a subire,<br />

all’improvviso semplicemente [<strong>Proust</strong> e Freud] lo guardano: per decifrarlo, si<br />

servono di tutte quelle tracce, di tutti quei segni che deposita sui visi o sulle parole,<br />

di tutti quei residui non sfruttati, e anziché riprodurli, li interpretano” (ibidem, p.<br />

115).<br />

227<br />

Ibidem, p. 34.<br />

228 Ibidem, p. 160.


216<br />

che mi rivolta e mi affascina ad un tempo, di affrontare se stesso con<br />

spirito positivo”. 229<br />

E continuando a citare: “Per vincere un’illusione così forte (è poi<br />

un’illusione?) e così necessaria alla continuazione della vita sulla<br />

terra, sarebbe occorsa una indipendenza di spirito che taluni<br />

troveranno forse diabolica, e che a volte mi appare così, ma a volte<br />

anche come il dono più straordinario che sia mai toccato in sorte ad<br />

essere umano, come una delle manifestazioni più belle, più potenti<br />

del genio dell’uomo”; 230 “L’intelligenza in lui non si concede tregua;<br />

non si fa affettata né rigida, ma con magnifica pigrizia, lenta come<br />

una rete che si tira su, riporta tranquillamente alla superficie l’enorme<br />

preda della sensibilità; la contraddice nei particolari; tra nelle sue<br />

maglie trattiene soltanto il vero. Non so proprio come descrivere<br />

questa operazione, debole, delicata e decisiva. Anch’essa è imposta<br />

forse, o permessa, si deve osarlo dire, da una certa mancanza di<br />

carattere in <strong>Proust</strong>, ma unita alla più rara intrepidezza<br />

intellettuale”. 231<br />

Qualcosa che sconvolge Rivière, nella lettura delle<br />

“Intermittenze del cuore” è la concezione proustiana della convivenza<br />

di “io” differenti: “Il nostro autore giunge così all’idea di mirabile<br />

audacia secondo la quale siamo composti di serie diverse e<br />

parallele, 232 la durata psichica si svolge su parecchi piani senza<br />

contatto fra loro, anche quando s’intersecano, solo l’unità del nostro<br />

corpo può darci l’impressione che siamo un unico essere, mentre in<br />

realtà ci sono parecchi io che vivono in simbiosi, come si dice in<br />

biologia, disponendo fra tutti di una sola coscienza, a cui, per<br />

conoscersi, devono attingere di volta in volta la luce. In altre parole,<br />

<strong>Proust</strong> ha introdotto lo sdoppiamento della personalità nella vita<br />

normale. [...]. Lo trovo sconvolgente”. 233<br />

229 Ibidem, p. 76.<br />

230 Ibidem, p. 96.<br />

231 Ibidem, pp. 159-160. Benjamin riprende quasi tale e quale questa immagine<br />

della preda nel 1929; in Per un ritratto di <strong>Proust</strong>, in Ombre corte. Scritti 1928-1929,<br />

Einaudi, Torino, 1993, p. 367<br />

232 “Ora, poiché quello che ero improvvisamente ridiventato non era più esistito<br />

dalla lontana prima sera in cui la nonna, al mio arrivo a Balbec, mi aveva aiutato a<br />

svestirmi, fu con assoluta naturalezza, non già dopo l’attuale giornata (che quell’io<br />

ignorava), bensì – come se ci fossero, nel tempo, delle serie distinte e parallele –<br />

immediatamente dopo quella sera, senza alcuna soluzione di continuità con essa,<br />

che aderii all’attimo in cui la nonna s’era chinata su di me” (SG, 917).<br />

233 Ibidem, 71


217<br />

In ogni caso, quanto al desiderio mimetico, vedi “altalena<br />

descritta da <strong>Proust</strong>”... 234<br />

9) <strong>Proust</strong> e Freud in Genette<br />

Solo un cenno ad uno scritto molto bello di Gérard Genette,<br />

<strong>Proust</strong> e il linguaggio indiretto. 235<br />

Genette recupera un’aggettivazione proustiana: “E alla cattiva<br />

abitudine di parlare di sé e dei propri difetti bisogna aggiungere<br />

l’altra, che fa blocco con la prima, di denunciare negli altri la<br />

presenza di difetti perfettamente analoghi ai nostri. Ora, è sempre di<br />

questi difetti che parliamo, quasi fosse un modo per parlare di noi,<br />

deviato (détournée) e tale da assommare il piacere di confessare a<br />

quello di assolverci” (OF, 743; 901): “manière de parler [...]<br />

détournée”.<br />

Nello scritto di Genette ritroviamo molti dei passaggi segnalati<br />

da noi. Ma Genette non richiama mai Gerard; solo da un certo punto<br />

in poi Freud; ad esempio parla di “negazione (négation)”, di pensiero<br />

“represso, compresso (réprimée, comprimée)”, di “espulsione<br />

(expulsion)”, di “ritorno del rimosso (retour du refoulé)”, di<br />

spostamento (déplacé) già prima di citare Freud (272, 274, 276; 203,<br />

205, 206).<br />

Ad un certo “il confronto s’impone tra queste allusioni<br />

involontarie e i lapsus studiati da Freud (209). Genette qui cita n<br />

passaggio che noi abbiamo già citato: “Era, quell’in fin dei conti me<br />

ne infischio, un esemplare fra mille dello straordinario linguaggio,<br />

così diverso da quello che parliamo abitualmente, in cui l’emozione fa<br />

deviare ciò che volevamo dire e fa sbocciare al suo posto (à sa<br />

place) una frase affatto differente, emersa da un lago ignoto<br />

(émergée d’un lac inconnu) in cui vivono le espressioni che non<br />

hanno rapporto col pensiero e per ciò stesso lo rivelano” (TR, 822;<br />

489). Qui Genette sceglie una posizione divertente: “applicheremo –<br />

afferma – questa formula di <strong>Proust</strong>, più rigorosa forse [di quella<br />

234 Ibidem, p. 109. A proposito del rapporto tra <strong>Proust</strong> e Freud (a parte il fatto che<br />

nessuno dei due ha letto l’altro ecc.), dopo aver ricordato il mio La<br />

rappresentazione dell’oggetto perduto che figura come Introduzione ricavata da<br />

Freud a Simbolizzazione come costruzione (Vallecchi, Firenze, 1981, pp. 5-27),<br />

segnalo il recente Le lac inconnu. Entre <strong>Proust</strong> et Freud, di Jean-Yves Tadié,<br />

Gallimard, Parigi, 2012. Un inedito Tadié psicoanalista.<br />

235 <strong>Proust</strong> et le langage indirect, in Figures II, Le Seuil, Paris, 1969; tr. it. <strong>Proust</strong> e il<br />

discorso indiretto in In Figure II, Einaudi, Torino, 1972.


218<br />

freudiana] nella stessa ambiguità”. E in nota: “Esiste una definizione<br />

più bella dell’inconscio?” (210).<br />

Ma da questo momento in poi il testo si infittisce di repressione<br />

(meno di ritorno del rimosso), di “transfert” (216), soprattutto di<br />

negazione: “La terza e ultima forma di confessione involontaria<br />

risponde anch’essa a un principio enunciato, qualche anno dopo, da<br />

Freud”: nel 1925; <strong>Proust</strong> è morto nel 1922. “Quest’intrusione del<br />

contenuto rimosso nel discorso, ma in forma negativa, che Freud<br />

chiama Verneinung e che in Francia dopo Lacan viene generalmente<br />

tradotta con dénégation, risponde alla forma retorica dell’antifrase”<br />

(214). Più avanti, facendo propria l’argomentazione di Freud, parla<br />

anche di “amalgama di denegazione e di proiezione” (215).<br />

Concludiamo questo veloce richiamo con una notazione che ci<br />

sembra centrale: “La sola realtà autentica, come sappiamo, è per<br />

<strong>Proust</strong> quella che si offre nell’esperienza della reminiscenza e si<br />

perpetua nell’esercizio della metafora – presenza d’una sensazione<br />

in un’altra, ‘balenìo’ del ricordo, profondità analogica e differenziale,<br />

trasparenza ambigua del testo, palinsesti della scrittura. Lungi dal<br />

riportarci a una qualsiasi immediatezza del percepito, il Temps<br />

retrouvé ci sprofonderà senza uscita in quello che James chiamava<br />

lo ‘splendore dell’indiretto’, nell’infinita mediazione del linguaggio”<br />

(223).<br />

10) La verità e l’arte<br />

Lo scopo del Narratore è di trovare la “verità”. Importantissimo:<br />

la verità si mostra solo attraverso gli interstizi: “Lo scrittore non si<br />

deve offendere se l’invertito dà alle sue eroine un volto maschile.<br />

Solo questa particolarità un po’ aberrante consente all’invertito di<br />

attribuire poi a quel che legge tutta la sua generalità. [...]. Allo stesso<br />

modo, se Charlus non avesse dato all’‘infedele’, su cui piange<br />

Musset nella Nuit d’octobre o nel Souvenir, il viso di Morel, non<br />

avrebbe né pianto, né capito, giacché solo per questa via angusta e<br />

traversa (puisque c’était par cette seule vie, étroite et détournée,<br />

que) egli aveva accesso alle verità dell’amore” (TR, 910-911; 596).<br />

Ma, forse più importante?, solo l’arte – quella di cui <strong>Proust</strong> ci dà<br />

un esempio –, può raggiungere questa verità: “Questo lavoro<br />

dell’artista – cercar di scorgere sotto la materia, sotto l’esperienza,<br />

sotto le parole, qualcosa di diverso – è esattamente l’inverso del<br />

lavoro (le travail inverse) che compiono incessantemente in noi,<br />

quando viviamo distolti da noi stessi, l’amor proprio, la passione,


219<br />

l’intelligenza, l’abitudine, ammassando sopra le nostre impressione<br />

vere (nos impressions vraies), per nascondercele completamente, le<br />

nomenclature, le finalità pratiche che chiamiamo erroneamente la<br />

vita. Insomma, quell’arte così complicata è precisamente la sola arte<br />

viva (le seul art vivant). Essa sola esprime per gli altri e fa vedere a<br />

noi stessi la nostra propria vita (notre propre vie), la vita che non può<br />

essere ‘osservata’, le cui apparenze, una volta osservate, hanno<br />

bisogno d’esser tradotte e, spesso, lette alla rovescia (souvent lues à<br />

rebours) e decifrate con fatica. È il lavoro fatto dal nostro amor<br />

proprio, dalla nostra passione, dal nostro spirito d’imitazione, dalla<br />

mostra intelligenza astratta, dalle nostre abitudini, quello che l’arte<br />

dovrà disfare; quello che l’arte ci farà compiere è il cammino in senso<br />

opposto (en sens contraire), il ritorno alla profondità dove ciò che è<br />

realmente esistito è sepolto, a noi conosciuto” (TR, 896; 578-579).<br />

9) La verità...<br />

In ogni caso, la verità non è né in quello che viene negato né in<br />

quello che viene affermato, né in quello che viene omesso...<br />

La verità è qualcosa di troppo complesso...<br />

Freud ha detto: sarebbe “comodo” se...<br />

<strong>Proust</strong>: “Ma quello scuotere la testa, così abitualmente<br />

associato a un avvenimento futuro, insinua proprio per questo un<br />

senso d’incertezza nella negazione (dénégation) di un avvenimento<br />

passato. Di più: evoca semplici ragioni di convenienza personale<br />

piuttosto che un atteggiamento di riprovazione o un’impossibilità<br />

morale. Vedendo Odette far segno che non era vero, Swann capì<br />

che forse lo era” (SW, 362; 437-438) + “‘Non voglio conoscerlo’ va<br />

tradotto con ‘non posso conoscerlo’. Questo è il senso intellettuale.<br />

Ma il senso passionale è realmente: ‘Non voglio conoscerlo’. Si sa<br />

che non è vero (on sait que cela n’est pas vrai), ma se lo si dice non<br />

è per semplice artificio, bensì (anche) perché lo si prova (mais on le<br />

dit parce qu’on épruove ainsi), e tanto basta alla soppressione della<br />

distanza, cioè alla felicità” (OF, 771; 935) + “Morel, nel suo desiderio<br />

di dare quella lezione, non era del tutto insincero (tout à fait<br />

insincère)” (SG, 1077; 362) + “Per metà, dunque, era sincera (elle<br />

était doc à demi sincère)” (SG, 885; 117) + “È possibile che il barone<br />

fosse sincero quando parlava di Morel come di un buon amico, e che<br />

dicesse la verità credendo di mentire (qu’il dît la vérité peut-être en<br />

croyant mentir) quando diceva: ‘Non so cosa faccia, non conosco la<br />

sua vita’” (P, 214; 618) + “D’altronde, sono tanti i diversi sentimenti


220<br />

che possono contribuire (d’ailleurs, tant de sentiments différents<br />

peuvent contribuer) a formarne uno solo (à en former un seul), che è<br />

difficile dire se non vi fosse (qu’on ne saurait pas dir s’il n’y avais), in<br />

questo suo interesse, qualcosa di affettuoso (quelque chose<br />

d’affectueux) per Swann” (AS, 578; 195) + “Quante volte un gran<br />

signore è derubato ogni anno da un amministratore che egli stesso<br />

ha allevato, di cui avrebbe giurato che era onesto, e forse lo era (et<br />

qui l’était peut-être)! Ora, questo sipario che nasconde i moventi<br />

altrui diventa più impenetrabile se di quella persona siamo<br />

innamorati” (AS, 618; 242) + “In quel caso, certo, bisogna lottare<br />

contro un’amicizia che porta diritto al tradimento. E proprio questo<br />

credo di aver sempre fatto. Ma per chi non ne ha la forza, non si può<br />

dire che l’amicizia che affettano per il detentore sia, in loro, una pura<br />

astuzia (une pure ruse); la provano sinceramente (ils l’éprouvent<br />

sincèrement), e per questo la manifestano con un ardore che, una<br />

volta consumato il tradimento, fa sì che il marito o l’amante ingannato<br />

possa dire con stupefatta indignazione: ‘Se aveste sentito che<br />

proteste d’affetto mi prodigava, quel miserabile! Che si derubi un<br />

uomo del suo tesoro, posso ancora capirlo. Ma che si senta il<br />

bisogno diabolico di giurargli (de l’assurer de), prima, la propria<br />

amicizia, è un’ignominia, una perversità d’un grado inimmaginabile’.<br />

Ebbene no, non c’è in questo nessun piacere perverso, e nemmeno<br />

una menzogna interamente consapevole (ni même mensonge tout à<br />

fait lucide). [...]. Ma la ragione ultima, che non faceva che elevare a<br />

una sorta di appassionato parossismo le prime due, lui stesso, forse<br />

(peut-être), la ignorava, e le altre due esistevano realmente<br />

(réellement), così come era realmente esistito in Albertine, quando<br />

aveva tanto desiderato andare da Madame Verdurin [...].<br />

Madamoiselle Vinteuil, aveva allora aumentato il mio tormento,<br />

rafforzato i miei sospetti, ma retrospettivamente mi provava che<br />

aveva tenuto ad essere sincera, e per una cosa innocente, anzi<br />

proprio, forse, perché (et peut-être justement parce que) era una<br />

cosa innocente” (AS, 621-622; 246-248) + “(e tutto ciò, sebbene lo<br />

scrivesse come una menzogna, era in fin dei conti vero)” (. TR, 340)<br />

+ “[...] giacché per far sembrare nuove le cose anche se sono<br />

vecchie, e persino se sono nuove (car pour quel le choses paraissent<br />

nouvelles si elles sont nanciennes, et même si elles sont nouvelles),<br />

occorrono – nell’arte come nella medicina o nella mondanità – dei<br />

nomi nuovi” (TR, 726; 372; il “même si trova nell’edizione curata da<br />

Tadié, 304) + “(Eppure, esse erano reali; quanto notavo di soggettivo<br />

nell’odio come nella stessa vista non impediva che l’oggetto potesse<br />

avere qualità o difetti reali, e non faceva affatto (nullement) svanire la


221<br />

realtà in un puro relativismo)” (TR, 913; 599) + “E forse era vero (et<br />

c’était peut-être vrai)” (TR, 1021; 729) con un bel po’ di<br />

considerazioni che procedono e seguono.<br />

La verità, quella complessa, si iscrive nel volto degli “esseri”...<br />

“Persino quando la sentiva suonare [la ‘piccola frase’], non era<br />

[Odette] obbligata all’espressione estatica che assumeva un tempo,<br />

giacché questa, nel frattempo, era diventata il suo volto (car celui-ci<br />

était devenù sa figure)” (SG, 906; 140) + “Molto spesso, infatti, per<br />

scoprire che siamo innamorati, fors’anche per diventarlo, bisogna<br />

che arrivi il giorno della separazione” (AS, 109).<br />

Ma sappiamo, proprio dal Tempo ritrovato, che gli uomini<br />

divengono...<br />

10) Desiderio mimetico, escalation = rappresaglia... Perdono<br />

Jupien aveva “in perfetta simmetria (en symétrie parfaite) col<br />

barone”... (SG, 604; 733).<br />

È, questo, uno dei pochi passi in cui <strong>Proust</strong> parla di vera e<br />

propria “simmetria”. Le parole più usate sono “differenza” e<br />

“indifferenza”; per farmi amare devo apparire indifferente e il<br />

reciproco... fino alle rappresaglie e oltre.<br />

A proposito della straordinaria storia d’amore di Swann: “Di tutti<br />

i modi di produzione dell’amore, di tutti gli agenti di disseminazione<br />

del male sacro, uno dei più efficaci è certo questo gran soffio d’ansia<br />

(souffle d’agitation) che passa a volte su di noi. La sorte è segnata<br />

allora: sarà lui, l’essere della cui compagnia godiamo in quell’istante,<br />

sarà lui che ameremo. Non c’è nemmeno bisogno che, prima, ci<br />

piacesse più di altri, e nemmeno altrettanto. Occorreva soltanto che<br />

la nostra inclinazione per lui diventasse esclusiva (exclusif). E tale<br />

condizione si realizza quando – nel momento in cui non ne<br />

disponiamo (à ce moment où il nous fait défaut) – alla ricerca dei<br />

piaceri prodigatici dalla sua grazia (à la recherche des plaisirs que<br />

son agrément nous donnait) si sostituisce bruscamente dentro di noi<br />

(s’est brusquement substitué en nous) il bisogno ansioso (un besoin<br />

ansieux) che ha per oggetto quell’essere medesimo, un bisogno<br />

assurdo, che le leggi di questo mondo rendono impossibile<br />

soddisfare e difficile da guarire – il bisogno insensato e doloroso di<br />

possederlo” (SW, 230-231; 280).<br />

L’indifferenza (indifférence) (SW, 230; 279), il disinteresse<br />

(désinteréssement) (SW, 229; 278) esibiti sono l’arma per far<br />

soffiare nell’altro l’ansia e il desiderio di possesso: “Proprio a


222<br />

quell’angoscia [a quell’ansia, a quell’agitazione], forse, egli era<br />

debitore dell’importanza che Odette aveva assunta per lui. Le<br />

persone, di solito, ci sono così indifferenti (indifférents) che, quando<br />

abbiamo collocato in una di loro delle simili possibilità, nei nostri<br />

confronti, di sofferenza e di gioia, essa appartiene quasi a un altro<br />

universo (à un autre univers), si circonda di un alone di poesia,<br />

trasforma la nostra vita in un’estensione emotiva dove si misura la<br />

sua maggior o minore vicinanza rispetto a noi” (SW, 235-236; 286).<br />

“[Swann] felice che [...] dopo aver così a lungo simulato con Odette<br />

una sorta di indifferenza (une sorte d’indifférence), non gli fosse ora<br />

accaduto di darle, mediante la gelosia, quella prova di troppo amore<br />

(cette preuve qu’il l’aimait trop) che, fra due amanti, esime per<br />

sempre (à tout jamais) colui che la riceve dall’amare l’altro a<br />

sufficienza” (SW, 275; 333-334).<br />

Avete notato che fa parte costitutiva dell’escalation il “trop” che<br />

caratterizza la negazione. È inevitabile che alla negazione si associ<br />

l’affermazione... perché si produca l’escalation... del desiderio<br />

(mimetico).<br />

Ma continuando: “Certo, dell’estensione del suo amore Swann<br />

non aveva immediata coscienza. [...]. ‘È un progresso davvero<br />

notevole, si diceva il giorno dopo; a voler essere obiettivi, ieri, a letto<br />

con lei, non ho provato nessun piacere: che strano, la trovavo<br />

addirittura brutta’. E certamente era sincero, ma il suo amore si<br />

estendeva ben oltre le regioni del desiderio fisico (mai son amour<br />

s’étendait bien au delà des régions du désir phisique). La persona<br />

stessa di Odette non vi occupava molto spazio. Quando il suo<br />

sguardo incontrava sul tavolo la fotografia di Odette, o quando lei<br />

veniva a trovarlo, faticava a identificare quel volto di carne o di<br />

cartoncino con il turbamento costante e doloroso che abitava in lui.<br />

Quasi con stupore si diceva: ‘È lei’, come se, all’improvviso (tout d’un<br />

coup), qualcuno ci mostrasse, esteriorizzata davanti a noi, una<br />

nostra malattia (une des nos maladies) e noi non vi riconoscessimo<br />

alcuna somiglianza con la nostra sofferenza. ‘Lei’, Swann cercava di<br />

chiedersi che cosa fosse; giacché una somiglianza fra amore e<br />

morte, piuttosto che quelle, così vaghe, di cui si suole parlare, è che<br />

l’uno e l’altra ci spingono a indagare più a fondo il mistero della<br />

personalità” (SW, 308; 373).<br />

Fino a qualcosa che rassomiglia molto al mors tua vita mea: “Il<br />

lavoro di causalità che finisce col produrre tutti gli effetti possibili e, di<br />

conseguenza, anche quelli che meno avevamo creduto tali, questo<br />

lavoro è talvolta lento, reso un poco più lento dal nostro desiderio – il<br />

quale, cercando di accelerarlo, lo intralcia –, dalla nostra stessa


223<br />

esistenza, e non giunge a compimento che quando abbiamo cessato<br />

di desiderare e, qualche volta, di vivere (n’abouti que quand nous<br />

avons cessé de désirer, et quelquefois de vivre). Swann non lo<br />

sapeva forse per esperienza propria, non era forse già, nella sua<br />

vita, – sorta di prefigurazione di quanto sarebbe avvenuto dopo la<br />

sua scomparsa –, una felicità post mortem il matrimonio di Odette<br />

che aveva appassionatamente amata – anche se non gli era piaciuta<br />

di primo acchito – e che aveva sposata quando non l’amava più,<br />

quando l’essere che, in Swann, aveva tanto sognato e tanto<br />

disperato di vivere tutta la vita accanto a Odette, quell’essere, ormai,<br />

era morto?” (OF, 471; 568).<br />

Swann, sposato, si innamora di un’altra donna: “Perché la<br />

gelosia di Swann rinascesse non era indispensabile che questa<br />

donna gli fosse infedele, bastava che per una qualunque ragione<br />

(pour une raison quelconque) si fosse trovata lontana da lui, a un<br />

ricevimento per esempio, e mostrasse d’essersi divertita. Bastava<br />

questo a risvegliare in lui l’antica angoscia (l’ancienne angoisse),<br />

lamentevole e contraddittoria escrescenza del suo amore che<br />

allontanava Swann da ciò che lei era come un bisogno di<br />

raggiungere qualcosa (il sentimento reale che la giovane donna<br />

nutriva per lui, il desiderio nascosto delle sue giornate, il segreto del<br />

suo cuore), perché fra Swann e colei ch’egli amava quell’angoscia<br />

frapponeva un ammasso refrattario di sospetti antecedenti, che<br />

avevano la loro causa in Odette o, forse, in un’altra ancora, venuta<br />

prima di Odette, e non permettevano più all’amante invecchiato di<br />

conoscere la sua attuale amante se non attraverso il fantasma<br />

remoto e collettivo della ‘donna che suscitava la sua gelosia’,<br />

fantasma in cui aveva arbitrariamente incarnato il suo nuovo amore”<br />

(OF, 524-525; 633-634).<br />

Qualcuno vedrebbe in questo passo un riferimento alle<br />

“imagines” parentali etc. A nostro parere, invece, le medesime<br />

imagines, lungi dall’essere produttrici del desiderio, sono esse stesse<br />

il prodotto del desiderio mimetico.<br />

Dalle rappresaglie alla rinuncia alla rappresaglie: “Ma, mentre in<br />

passato, egli aveva fatto il giuramento, se mai avesse smesso<br />

d’amare colei che non immaginava sarebbe diventata un giorno sua<br />

moglie, di manifestarle implacabilmente un’indifferenza finalmente<br />

sincera (son indifférence, enfin sincère) per vendicare il proprio<br />

orgoglio a lunga umiliato, tali rappresaglie (représailles), che gli<br />

erano ormai consentite senza alcun rischio [...], adesso, non<br />

significavano più nulla; insieme con l’amore era scomparso il<br />

desiderio di mostrare che in lui non c’era più amore. E lo stesso


224<br />

uomo che, quando soffriva per Odette, avrebbe tanto voluto farle<br />

vedere, un giorno, d’essere innamorato d’un’altra, ora che ne aveva<br />

la possibilità prendeva mille precauzioni perché la moglie non<br />

sospettasse il suo amore” (OF, 525; 634-635).<br />

A proposito dell’amore del Narratore per Gilberte:<br />

“Parallelamente, in amore, per quanti sforzi si facciano, le barriere<br />

non possono essere infrante dall’esterno ad opera di chi è condotto<br />

alla disperazione, ma quando questi non se ne preoccuperà più,<br />

allora, di colpo (tout à coup), per effetto d’un lavoro compiuto altrove<br />

(par l’effet du travail venu d’un autre côté), nell’animo di colei che non<br />

amava (accompli à l’interieur del celle qui n’aimait pas), le stesse<br />

barriere prima attaccate senza successo cadranno senza costrutto.<br />

Se fossi andato da Gilberte ad annunciarle la mia futura indifferenza<br />

[...]” (OF, 612-613; 740-741). 236<br />

Il Narratore capisce bene che l’unica soluzione è il perdono:<br />

“Non capiva che bisogna amare anche gli orgogliosi, e vincere il loro<br />

orgoglio con l’amore e non con un orgoglio più potente (elle ne<br />

comprenait pas qu’il fallait aimer même les orgueilleux et vaincre leur<br />

236 Ne il tempo ritrovato, un bell’esempio di desiderio mimetico: alta è negli uomini<br />

“la proporzione delle sofferenze provocate da donne ‘che non erano il loro tipo’.<br />

Questo, forse, ha più di una causa: prima di tutto, poiché non sono ‘il nostro tipo’,<br />

all’inizio ci lasciamo amare senza amare, e lasciamo così che attecchisca sulla<br />

nostra vita un’abitudine che non si sarebbe formata con una donna ‘del nostro tipo’,<br />

la quale, sentendosi desiderata, si sarebbe resa preziosa, non ci avrebbe<br />

accordato che rari appuntamenti, non si sarebbe installata in tutte le ore della<br />

nostra vita in quel modo che poi, se viene l’amore e lei ci viene a mancare per un<br />

litigio, per un viaggio durante il quale si lascia senza notizie, non strappa in noi un<br />

solo legame, ma mille. In secondo luogo, questa abitudine è sentimentale perché<br />

alla sua base non c’è un grande desiderio fisico, e se nasce l’amore il cervello<br />

lavora molto di più, c’è un romanzo al posto di un bisogno. Delle donne che non<br />

sono ‘il nostro tipo’ non diffidiamo, lasciamo che ci amino e, se poi le amiamo, le<br />

amiamo cento volte di più delle altre, e senza nemmeno avere, con loro, la<br />

soddisfazione del desiderio appagato. Per queste ragioni e parecchie altre (et bien<br />

d’autres), il fatto che proviamo i dolori più grandi con donne che non sono ‘il nostro<br />

tipo’ non dipende solo dall’irridente destino che realizza sempre la nostra felicità<br />

nella forma che meno ci piace. Una donna che sia ‘il nostro tipo’ è raramente<br />

pericolosa perché non vuol saperne di noi, ci accontenta, ci lascia presto, non si<br />

installa nella nostra vita, e ciò che è pericoloso e ci procura sofferenze in amore<br />

non è la donna stessa, è la sua presenza di tutti i giorni, è l’essere in ogni<br />

momento curiosi di quello che fa; non è la donna, è l’abitudine” (TR, 1021-1922;<br />

729-730). Odette, che è stata definta da Swann – alla fine di Un amore di Swann<br />

(una donna “che non era il mio tipo” (S, 382), definirà nel Tempo ritrovato Charlus<br />

all’opposto: “Pauvre Charles, il était si intelligent, si séduisant, exactement le genre<br />

d’hommes que j’aimais” (III, 1021). Il Narratore commenterà: “Et c’était peut-être<br />

vrai”.


225<br />

orgueil par l’amour et non pas par un plus puissant orgueil)” (AS,<br />

604; 226).<br />

Come abbiamo già visto, il Narratore perdona Albertine (AS,<br />

138). Abbiamo visto anche che il perdono permette di superare le<br />

vicissitudini atroci e interminabili del desiderio mimetico; ma permette<br />

anche di compiere l’opera. Dimostrazione chiara quant’altre mai che<br />

l’opera è la trasformazione della propria vita; la cui essenza si trova<br />

quando si approda alla verità, a quella verità ch’è possibile anche<br />

solo intravedere solo se ci si colloca fuori dal campo di battaglia del<br />

desiderio mimetico.<br />

Solo una volta <strong>Proust</strong> spezza una lancia a favore<br />

dell’amicizia 237 e confessa che qualcosa non gli è indifferente<br />

(riconosce, cioè, di stare in una relazione non all’insegna del<br />

desiderio mimetico); forse perché siamo già nell’après?: “Oggi sono<br />

quanto meno sicuro che esista il piacere, se non di vedere, almeno di<br />

aver visto (si non de voir, du moins d’avoir vu) una cosa bella<br />

assieme a una certa persona. Un’ora è arrivata per me in cui se<br />

ricordo il battistero, davanti ai flutti del Giordano dove san Giovanni<br />

immerge il Cristo mentre la gondola ci aspettava davanti alla<br />

Piazzetta, non mi è indifferente (il ne m’était pas indifférent) che<br />

accanto a me in quella fresca penombra ci fosse una donna<br />

drappeggiata nel suo lutto con il fervore rispettoso ed entusiasta<br />

della donna anziana che si vede a Venezia nella Sant’Orsola del<br />

Carpaccio [...]” (AS, 646; 276-277).<br />

Un passo, forse, anche più eccezionale ne La prigioniera: “È<br />

probabile che meglio sarebbe valsa la solitudine, più feconda, meno<br />

dolorosa [rispetto all’esperienza con Albertine]. Ma quanto alla vita<br />

del collezionista che Swann mi consigliava, che il signor di Charlus<br />

mi rimproverava di non conoscere quando con un misto di spirito, di<br />

insolenza e di compiacimento mi diceva: ‘Quant’è brutta la vostra<br />

casa!’, quali mai statue, quali quadri lungamente perseguiti e infine<br />

posseduti o, nel migliore dei casi, contemplati con disinteresse, mi<br />

avrebbero, quanto la piccola ferita che si cicatrizzava abbastanza in<br />

fretta, ma che l’incosciente sbadataggine di Albertine, degli estranei<br />

o dei miei stessi pensieri (ou de mes propres pensées) non tardava a<br />

riaprire, consentito l’accesso a quell’uscita fuori di se stessi (sur cette<br />

issue hors de soi-même), a quella via di comunicazione privata (ce<br />

chemin de communication privé), ma destinata a immettersi nella<br />

grande strada dove passa ciò che ci è dato conoscere solo quando<br />

237 “Purtroppo avrei dovuto lottare contro l’abitudine di mettersi al posto degli altri,<br />

che favorisce, è vero, la concezione di un’opera, ma ne ritarda l’esecuzione” (TR,<br />

p. 687).


226<br />

cominciamo a soffrire: la vita degli altri (la vie des autres)?” (P, 387;<br />

807-808).


227<br />

NOTA<br />

Desiderio mimetico e desiderio creativo.<br />

In un passo più vertiginoso di altri, <strong>Proust</strong> illustra le vicissitudini<br />

del desiderio (riecco i baci); il desiderio “crea” il suo oggetto.<br />

Intraprendendo anche una lotta con l’oggetto reale che cerca di<br />

imporsi qual è (ma è?) al desiderante costringendolo a delle<br />

correzioni (che sono, però, altre creazioni).<br />

Risulta evidente, in questo passo, che si tratta delle vicissitudini<br />

del desiderio mimetico.<br />

La “creazione”, esito straordinario, della memoria involontaria,<br />

appartiene ancora al desiderio mimetico.<br />

Solo il perdono consentirà un atto veramente “creativo”.<br />

“Questo stupore è indubbiamente dovuto, in parte, al fatto che<br />

la persona ci mostra allora, di sé, una nuova faccia (une nouvelle<br />

face de lui-même); ma tale è la molteplicità di ciascun essere, la<br />

ricchezza delle linee del suo viso e del suo corpo – linee di cui, non<br />

appena ce ne stacchiamo, ben poco sopravvive nell’arbitraria<br />

semplicità del nostro ricordo, giacché la memoria ha scelto una certa<br />

particolarità che ci ha colpiti, isolandola, esagerandola, facendo di<br />

una donna che ci è parsa alta uno studio in cui la sua altezza risulta<br />

smisurata, o di una donna che ci è parsa bionda e rosea una pura<br />

‘Armonia in rosa e oro’ –, che nel momento in cui la donna ci è di<br />

nuovo vicina (de nouveau [...] près de nous), tutte le altre qualità<br />

dimenticate, sorta di contrappeso rispetto a quella ricordata, ci<br />

assalgono nella loro confusa complessità, riducendo l’altezza,<br />

diluendo il rosa, e sostituendo all’unico oggetto della nostra ricerca<br />

altre particolarità che adesso, mentre ci chiediamo perplessi come<br />

mai ci aspettassimo così poco di rivederle, rammentiamo d’aver<br />

notate la prima volta (la première fois). Ricordavamo il pavone, gli<br />

andavamo incontro, e troviamo un ciuffolotto. E questo inevitabile<br />

sbalordimento (cet étonnement) non è il solo: accanto, ce n’è un<br />

altro, nato dalla differenza, non più fra le stilizzazioni del ricordo e la<br />

realtà, ma fra l’essere che abbiamo visto l’ultima volta e quello che ci<br />

appare oggi in un’altra visuale, rivelandoci un nuovo oggetto. Il volto<br />

umano è davvero come quello del Dio di una teogonia orientale, un<br />

grappolo (grappe) intero di volti giustapposti su piani diversi e che è<br />

impossibile vedere tutti insieme. Ma in gran parte, il nostro stupore<br />

deriva dal fatto che l’essere ci presenta anche una medesima faccia


228<br />

(l’être nous présente aussi une même fâce). Occorrerebbe un tale<br />

sforzo per ricreare (pour recréer) tutto quanto c’è stato fornito da ciò<br />

con cui non ci identifichiamo – fosse solo il sapore d’un frutto – che<br />

appena ricevuta l’impressione (qu’à peine l’impression reçue),<br />

scendiamo insensibilmente la china del ricordo, e senza rendercene<br />

conto (sans nous en rendre compte), in pochissimo tempo, siamo già<br />

lontanissimi (très loin) da quel che abbiamo provato (senti). Così,<br />

ogni nuovo incontro (chaque nouvelle entrevue) è una sorta di<br />

raddrizzamento (redressement) che ci riporta a ciò che avevamo pur<br />

(bien) visto. Non ce ne ricordavamo già più, perché il ‘ricordare’ un<br />

essere è, in realtà, un dimenticarlo (tant ce qu’on appelle se rappeler<br />

un être, c’est en realité l’oublier). Ma fin tanto che sappiamo ancora<br />

vedere (nous savons encore voir), quando un tratto dimenticato ci<br />

riappare lo riconosciamo, siamo costretti a rettificare la linea deviata,<br />

ed è per questo che la perenne, feconda sorpresa (la perpétuelle et<br />

féconde surprise) grazie alla quale trovavo così salutari, così<br />

distensivi gli appuntamenti quotidiani con le belle fanciulle della<br />

spiaggia, era fatta, non meno che di scoperte, di reminiscenze (tout<br />

autant que de découvertes, de réminiscences). Se a questo si<br />

aggiunge l’agitazione (l’agitation) provocata da ciò che le fanciulle<br />

rappresentavano per me, qualcosa che, non coincidendo mai<br />

esattamente con le mie supposizioni (qui n’était jamais tout à fait ce<br />

que j’avais cru), faceva sì che la speranza del prossimo<br />

appuntamento non fosse più simile alla precedente speranza, ma al<br />

ricordo ancora vibrante dell’ultimo incontro, si capirà come ogni<br />

(chaque) passeggiata desse un violento colpo di timone (un violent<br />

coup de barre) ai miei pensieri, e non proprio nel senso tracciato<br />

prima (et non pas du tout dans le sens que), a mente fresca [???],<br />

nella solitudine della mia camera. Tale direzione era dimenticata,<br />

abolita quando tornavo in albergo, ronzante come un alveare<br />

[comme une ruche = vedi la “grappe” di visi giustapposti] dei discorsi<br />

che mi avevano turbato e che risuonavano a lungo dentro di me.<br />

Ogni essere è distrutto appena smettiamo di vederlo; la sua<br />

apparizione successiva è una nuova creazione (création nouvelle),<br />

diversa da quella che l’ha immediatamente preceduta (différente de<br />

celle qui l’a immédiatement précédé), se non da tutte le altre (sinon<br />

de toutes). Il minimo grado di varietà che possa regnare in queste<br />

creazioni (créations) è, infatti, di due. Se ricordiamo un’occhiata<br />

energica, un atteggiamento ardito, la volta successiva sarà<br />

inevitabilmente da un profilo quasi languido, da una certa sognante<br />

dolcezza, che saremmo stupiti, vale a dire colpiti in modo pressoché<br />

esclusivo (presque uniquement frappés). Confrontando il nostro


229<br />

ricordo con la nuova realtà (réalité nouvelle), ciò che segnerà la<br />

nostra delusione, o la nostra sorpresa, ci apparirà come un ritocco<br />

della realtà stessa (comme la retouche de la réalité), avvertendoci<br />

che non avevamo ricordato bene (en nous avvertissant que nous<br />

nous étions mal rappelé). Ma l’aspetto del viso trascurato l’ultima<br />

volta, e proprio per questo, ora, più sorprendente, più reale, più<br />

innovatore, diventerà a sua volta [???] materia di fantasticheria, di<br />

ricordo (deviendra matière à rêverie), à souvenirs). Sarà un profilo<br />

languido e pastoso, un’espressione dolce, sognante che<br />

desidereremo rivedere. E allora, di nuovo (de nouveau), la volta<br />

successiva (la fois suivante). Quel che c’è di volitivo negli occhi<br />

penetranti, nel naso appuntito, nelle labbra serrate, verrà a<br />

correggere lo scarto (l’écart) fra il nostro desiderio e l’oggetto cui<br />

esso ha creduto di corrispondere (entre notre désir et l’objet auquel il<br />

a cru correspondre). Beninteso, questa fedeltà alle impressioni prime<br />

(cette fidélité aux impressions premières), e puramente fisiche,<br />

ritrovate ogni volta (chaque fois) accanto alle mie amiche, non<br />

riguardava soltanto i tratti del viso, giacché, come si è visto, ero<br />

sensibile anche alla loro voce, per me forse più conturbante ancora<br />

(nella misura in cui non si limita, come il viso, a offrire le medesime<br />

superfici singolari e sensuali, ma appartiene all‘abisso inaccessibile<br />

che dà la vertigine dei baci senza speranza [l’abîme inaccessible qui<br />

donne le vertige des baisers sans espoir]), la loro voce, simile al<br />

suono unico d’un piccolo strumento nel quale ciascuna si risolveva<br />

per intero e che era suo soltanto (et qui n’était qu’à elle). Tracciata da<br />

un’inflessione, una certa linea profonda d’una di quelle voci mi<br />

meravigliava quando, dopo averla dimenticata, la riconoscevo. E<br />

così, le correzioni che ogni nuovo incontro (les rectifications qu’à<br />

chaque rencontre) mi costringeva ad apportare, per un ritorno alla<br />

perfetta calibratura (pour un retour à la parfaite justesse), erano<br />

quelle d’un accordatore o d’un maestro di canto non meno che d’un<br />

disegnatore” (OF, 916-918; 1107-1109).


230<br />

Cap. 12<br />

LES PLAISIRS ET LES JOURS. COMME UN BAISER INCONNU<br />

1) Un duello<br />

Si sa che nel febbraio del ‘97 <strong>Proust</strong> sfidò a duello Jean Lorrain;<br />

questi aveva concluso una stroncatura de Les Plaisirs et les jours<br />

(usciti del 1896) con un’allusione all’amicizia non del tutto platonica<br />

che legava l’autore di quei languidi racconti a Lucien Daudet...<br />

Probabilmente vide a suo tempo giusto Kolb 238 quando propose<br />

che <strong>Proust</strong> non poteva rimanere insensibile alla derisione del suo<br />

modo di scrivere poiché le frecciate di Lorrain si sarebbero potute<br />

applicare anche al Jean Santeuil ch’egli stava scrivendo.<br />

La lettura delle prime pagini è, infatti, imbarazzante. Sono<br />

pagine stucchevoli. Ad un certo punto ci si imbatte in passi come il<br />

seguente: “Il suo snobismo [di madame Fremer] non era che<br />

immaginazione, ed era tutta la sua immaginazione. [...]. Portando<br />

sempre gli stessi riccioli, la sua acconciatura non mutava mai come,<br />

del resto, i suoi princìpi. I suoi occhi brillavano di stupidità. [...].<br />

Aveva, per fiducia in Dio, lo stesso agitato ottimismo sia la vigilia di<br />

un garden party che quella di una rivoluzione, con gesti rapidi che<br />

sembravano scongiurare il radicalismo o il cattivo tempo. [...]. Del<br />

resto non aveva dimenticato i vecchi amici più umili, e si ricordava<br />

soprattutto di loro quando erano ammalati o in lutto, circostanze<br />

toccanti in cui d’altronde non ci si può lamentare di non esser stati<br />

invitati, come in società” (PG, 122-123)...<br />

2) Je m’éveillai peu à peu au monde des rêves<br />

Inutile segnalare che già sono presenti anche parole e concetti<br />

che caratterizzeranno la Recherche: la mancanza di volontà (PG, 48,<br />

111-112 [5 vv.], 115), l’abitudine (112, 153), gli esseri di fuga delle<br />

jeune filles en fleurs incontrare sulle rive del mare... “Nulla resta,<br />

nulla vi passa [nel mare] se non sfuggendo [...]” (PG, 143; 170), il<br />

sonno/sogno: “Appena coricato mi riaddormentai. Dopo un po’ di<br />

tempo, difficile a precisare quanto lungo, mi risvegliai gradatamente,<br />

238 Le premier roman de <strong>Proust</strong>, in Saggi e ricerche di letteratura francese, vol. IV,<br />

Bottega d’Erasmo, Torino, 1963, pp. 215-277.


231<br />

o piuttosto mi svegliai gradatamente al mondo dei sogni (ou plutôt je<br />

m’éveillai peu à peu au monde des rêves), confuso all’inizio come il<br />

mondo reale per un risveglio normale, ma che poi diventò preciso.<br />

[...]” (PG, 128; 154-155); il valore strategico dell’indifferenza: “Se in<br />

un mese, col rischio di guastare con tanti artifici le gioie che ti<br />

ripromettevi all’inizio di quest’amore, disdegnerai quella che ami, se<br />

saprai mostrare malizia e fingere indifferenza (si tu sais pratiquer la<br />

coquetterie et affecter l’indifférence), se non andrai ai convegni e<br />

riuscirai a tener lontane le tue labbra dal seno che lei ti offrirà come<br />

un mazzo di rose, il vostro amore fedele e condiviso si alzerà per<br />

l’eternità sulla base incorruttibile della tua pazienza” (GP, 49; 71-<br />

72)... la “présence réelle” (PG, 134; 161)<br />

3) Se cacher dans une chambre<br />

Le dinamiche del desiderio mimetico vi sono già evidenziate.<br />

Vedi il sottocapitolo XVI, L’estraneo di Rimpianti e sogni, colore del<br />

tempo (PG, 152 sgg.). Ma, soprattutto, tutto intero La fine della<br />

gelosia.<br />

Una relazione che ricorda molto quella con Albertine... “A parte<br />

la signora Seaune, alla quale vi avranno certo presentato. Se ne<br />

avete voglia, pare sia facile. Personalmente, non m’interessa.[...]. A<br />

quanto pare, non è ben fatta. E lui [François di Gouvres] non ha<br />

voluto seguitare” (PG, 179)...<br />

Si tratta della sua donna!<br />

Il Nostro, che ha già bell’e individuato la “legge psicologica”<br />

dell’incostanza (PG, 177), avrà pane per i suoi denti...<br />

Nelle mille peripezie nelle quali il desiderio mimetico lo<br />

precipita, il Nostro arriva alle soglie della ripetizione della scena<br />

primaria (classicamente intesa). Come potrà non venirvi in mente la<br />

camera 43? “Pensava, approfittando del fatto che la sua relazione<br />

con lei non era conosciuta, di fare scommesse sulla sua virtù con<br />

altri uomini, lanciarli su di lei, vedere se era capace di cedere,<br />

cercare di scoprire qualcosa, di sapere, nascondersi in una camera<br />

(se cacher dans une chambre) (ricordava di averlo fatto per<br />

divertimento quando era più giovane) e vedere tutto” (PG, 153-154;<br />

182-183; vedi anche PG, 194).<br />

E ritorna la scena-madre... Il Nostro, a causa di un incidente, è<br />

sul letto di morte... Vuole che la sua donna sia felice: che gli uomini<br />

le diano la felicità... ma non il piacere! “Allora gli tornò in mente uno<br />

dei suoi desideri di bambino, del bambino che era quando aveva


232<br />

sette anni e andava a letto ogni sera alle otto. Quando la madre,<br />

invece di restare fino a mezzanotte nella camera che era accanto<br />

alla sua e poi coricarsi, doveva uscire verso le undici e si vestiva; egli<br />

la supplicava di vestirsi prima del pranzo e di uscire subito (non<br />

importava dove andasse) perché non sopportava l’idea che, mentre<br />

cercava di addormentarsi, lei si preparasse per una festa e quindi<br />

uscisse. Per fargli piacere e calmarlo, sua madre veniva a salutarlo<br />

alle otto in abito da sera e andava da un’amica ad aspettare l’ora del<br />

ballo. Solo così, in quelle sere così tristi per lui, durante le quali la<br />

madre andava al ballo, poteva, addolorato ma tranquillo,<br />

addormentarsi. Adesso gli veniva alle labbra la stessa preghiera che<br />

rivolgeva a sua madre, ma rivolta a Françoise. Avrebbe voluto<br />

chiederle di sposarsi subito, che si preparasse perché egli potesse<br />

infine addormentarsi per sempre, desolato ma calmo (désolé, mais<br />

calme), senza mostrarsi inquieto per quanto sarebbe accaduto dopo<br />

che si fosse addormentato” (PG, 161; 191-192).<br />

Uno dei meccanismi di difesa di Freud: il passaggio dal passivo<br />

all’attivo!<br />

Tutte queste mosse, e altre ancora, sono definite “precauzioni<br />

da bambini (précautions bonnes pour les enfants)” (PG, 162; 192).<br />

Come non ricordare la Précaution inutile 239 – chiaro il riferimento al<br />

sottotitolo di Le Barbier de Séville – il titolo della versione abbreviata<br />

de La Prisonnière pensata per Les Œuvres libres (e uscita nel<br />

novembre 1923, dopo La Prisonnière; quest’ultima uscita il 18<br />

novembre 1922). E come non ricordare che questo non è l’unico<br />

testo dato da <strong>Proust</strong> alla rivista dell’editore Fayard; nel novembre<br />

1921 vi è apparso un estratto di Sodome ed Gomorrhe II che ha<br />

preso il titolo di Jalousie.<br />

Ora il capitolo di Les Plaisirs et les jours che stiamo<br />

commentando si intitola La Fin de la jalousie; essa è la morte!<br />

4) Comme un baiser inconnu<br />

Qui di seguito ricordiamo, ricominciando dall’inizio di Les<br />

Plaisirs, alcuni passi relativi alla scena-madre.<br />

Bisogna imparare a vivere; superare, quindi, il bisogno dei baci:<br />

“Quando cominciò la mia adolescenza, mia madre, che non m’aveva<br />

lasciato e anche la notte restava accanto a me, ‘aprì la porta<br />

dell’arca’ e uscì. Poiché come la colomba ‘tornò la sera stessa’.<br />

239 Precauzione inutile, Passigli Editori, Firenze, 2009.


233<br />

Poiché guarii completamente, come la colomba ‘lei non tornò più’.<br />

Bisognò ricominciare a vivere, ad ascoltare parole più dure di quelle<br />

di una madre; oltre tutto, le sue, sempre così dolci fino ad allora, non<br />

erano più le stesse, ma impresse dalla severità della vita e del<br />

dovere che lei doveva insegnarmi” (PG, 6-7; 23).<br />

Qui il bacio che diventa amplesso (con un donna sconosciuta):<br />

“Ora, come in virtù di una tacita intesa e della quale non poteva<br />

determinare l’inizio, [il visconte di Sylvanie] le [ad “una giovane<br />

signora”] baciava (baisait) i polsi e le accarezzava il collo. La vedeva<br />

così felice che una sera osò di più: cominciò a baciarla (l’embrasser);<br />

poi l’accarezzò a lungo e di nuovo la baciò (l’embrassa) sugli occhi,<br />

sulle guance, sulle labbra, sul collo, sul naso” (PG, 15; 34).<br />

Qui non c’è l’approfondimento; il contrario; più avanti: “[...] si<br />

fermava all’esterno delle cose, e rifletteva su se stessa non per<br />

approfondirsi (non pour s’approfondir), ma per ammirarsi<br />

voluttuosamente e maliziosamente come in uno specchio” (PG, 37;<br />

58).<br />

Nel passo seguente, invece, il bacio “ritorna”; “dal fondo del<br />

passato”: “Le due sere che passava agli Oublis veniva [sua mare] a<br />

darmi la buonanotte a letto (me dire dire bonsoir dans mon lit), antica<br />

abitudine che aveva perduto perché vi trovavo troppo piacere e<br />

troppa pena, tanto che non mi addormentavo più a forza di<br />

richiamarla perché mi desse ancora la buonanotte; e non osavo più<br />

infine, pur avendone ancora l’appassionato bisogno, intentando<br />

sempre nuovi pretesti [...]. Baciai (j’embraissai) mia madre. Mai più<br />

son riuscita sentire la dolcezza di quel bacio (de ce baiser). [...]. Se<br />

allora saltavo con tutte le mie forze, baciavo (j’ambrassais) mille volte<br />

mia madre, correvo avanti come un giovane cane [...]. Mentre<br />

stavamo per metterci a tavola, vicino alla finestra (vers la fenêtre)<br />

accostai il viso a quel viso riposato dalle sofferenze passate e la<br />

baciai con passione (je l’embrassai avec passion). Mi ero sbagliata<br />

nel dire che non avevo più ritrovato la dolcezza del bacio dato agli<br />

Oublis. Il bacio di quella sera fu più dolce di qualunque altro. O<br />

meglio, fu il bacio degli Oublis che, evocato dal fascino di un uguale<br />

momento (d’une minute pareille), ritornò dolcemente dal fondo del<br />

passato e venne a posarsi fra le guance ancora un po’ pallide di mia<br />

madre e le mie labbra” (PG, 86-94; 108-117).<br />

Infine, un bacio dato in sogno: “[...]. Si avvicinò a me, mise<br />

all’altezza della mia guancia la sua testa rovesciata di cui potevo<br />

contemplare la grazia misteriosa, e spingendo la lingua fuori delle<br />

bocca fresca, sorridente (dardant sa langue hors de sa bouche<br />

fraîche, souriante), raccolse le mie lacrime all’orlo dei miei occhi. Poi


234<br />

le ingoiò con un rumore leggero delle labbra che mi sembrò come un<br />

bacio sconosciuto (comme un baiser inconnu), più intimamente<br />

inquietante che se mi avesse realmente toccato. Mi risvegliai<br />

all’improvviso, riconobbi la mia camera [...]. Il suo nome pronunciato<br />

in una conversazione mi fece trasalire, evocò l’immagine<br />

insignificante che l’avrebbe accompagnato senza quella notte (avant<br />

cette nuit), e nonostante mi fosse indifferente (et pendant qu’elle<br />

m’était indifférente) come qualsiasi altra banale donna della società<br />

elegante, mi attirò più irresistibilmente della più cara amante o del più<br />

affascinante destino. Non avrei fatto un passo per vedere lei, ma per<br />

quell’altra ‘lei’ avrei dato la vita. Ogni ora cancella un poco il ricordo<br />

del sogno, già alterato in questo racconto. [...]. Ahimè! L’amore è<br />

passato su di me come un sogno, con una potenza di trasfigurazione<br />

altrettanto misteriosa. E voi che conoscete la donna che amo, ma<br />

che non eravate nel mio sogno, non potete capirmi: non cercate<br />

quindi di consigliarmi” (PG, 129-130; 156-157).<br />

È qui evidente lo scardo – la differenza – tra sogno e realtà...<br />

Ma, infine, il perdono: “La persona che ci ha duramente<br />

provato e della cui essenza siamo saturi, non può più far passare su<br />

di noi l’ombra di una gioia o di un dolore. È più che morta per noi.<br />

Dopo averla ritenuta l’unica cosa preziosa di questo mondo, dopo<br />

averla maledetta, dopo averla disprezzata ci è impossibile giudicarla;<br />

il profilo del suo viso si delinea appena agli occhi del nostro ricordo<br />

stanchi di esser stati troppo a lungo fissi su di lui. Ma il giudizio sulla<br />

persona amata, giudizio che ha tanto variato spesso torturando con<br />

la sua chiarezza in nostro cuore cieco, spesso accecandoci per<br />

mettere fine al crudele disaccordo, deve compiere un’ultima<br />

oscillazione. Come qui paesaggi che si scoprono solamente dall’alto,<br />

dall’alto del perdono (de hauteurs du pardon), ci appare nel suo vero<br />

valore colei che era più morta per noi dopo essere stata tutta la<br />

nostra vita” (PG, 133; 160).


235<br />

Cap. 13<br />

IMPRESSIONS DE ROUTE EN AUTOMOBILE<br />

L’ANSIA E IL POTERE “CREATORE”<br />

Il 19 novembre 1907, per la prima volta vengono pubblicate, sul<br />

Figaro, le Impressions de route en automobile che costituiscono<br />

l’incipit di In memoria delle chiese assassinate.<br />

Chi guida l’automobile è Agostinelli. Quell’Agostinelli che sarà<br />

un decisivo ascendente di Albertine. 240<br />

Richiamo qui uno squarcio abbastanza lungo perché<br />

testimonia, in modo inequivocabile, la preesistenza, rispetto alla<br />

matinée, dell’esito della Recherche.<br />

Per contestualizzare il brano che citiamo, ricordiamo che <strong>Proust</strong><br />

non ha molto tempo da perdere se vuole “arrivare prima di notte dai<br />

propri genitori”.<br />

Il lettore, con la memoria rinfrescata sui numerosi ritorni della<br />

scena-madre, coglierà l’anticipazione di sviluppi insospettati.<br />

È precisato che si tratta di una questione di “indipendenza”.<br />

Dai genitori?<br />

No!<br />

Dal potere.<br />

Ma come viene definito questo potere?<br />

“Creatore”.<br />

E non abbiamo ancora detto l’essenziale: qui, chi aspetta,<br />

ansiosamente, sono i genitori. E sono loro che sentono, infine, il<br />

suono della “trompe”, come un suono “presque humain”, liberatorio.<br />

Infatti, all’angoscia che coglie, classicamente, <strong>Proust</strong>/Narratore<br />

all’approssimarsi della notte, corrisponde l’ansa dei genitori che<br />

aspettano il suo arrivo.<br />

Come dire: quest’ansia è inevitabile.<br />

Alla fine, l’“attesa”, come “attesa della felicità”, viene definita<br />

“prodigiosa”.<br />

Abbiamo la famosa “abdicazione”. Qui, ancora più chiaramente<br />

che agli inizi di Dalla parte di Swann, essa è abdicazione sia del<br />

240 “Quando scrivevo queste righe, non prevedevo che sette od otto anni dopo quel<br />

giovine mi avrebbe chiesto di copiare a macchina un mio libro, avrebbe imparato a<br />

volare sotto il nome di <strong>Marcel</strong> Swann, in cui aveva amichevolmente associato il mio<br />

nome di battesimo e quello di uno dei miei personaggi, e avrebbe trovato la morte,<br />

a ventisei anni, in un incidente aviatorio, al largo di Antibes” (PM, 122)


236<br />

padre che della madre: ma non di fronte a un bisogno “nervoso” del<br />

figlioletto.<br />

Infatti, l’abdicazione – che, non trascuriamolo, è abdicazione al<br />

potere creatore di cui sopra –, è “apparente e geniale”.<br />

Ci limitiamo a segnalare momenti a nostro avviso cruciali<br />

inserendo, tra parentesi, il testo originale.<br />

“Ma di quel viaggiatore ciò che l’automobile ci ha restituito di<br />

più prezioso è quella mirabile indipendenza (admirable<br />

indépendance) che gli permetteva di partire all’ora che voleva e di<br />

fermarsi dove più gli garbava. Mi comprenderanno tutti coloro cui il<br />

vento, passando, ha ispirato talora il desiderio irresistibile di fuggire<br />

con lui fino al mare a vedere, invece degli inerti ciottolati del villaggio<br />

invano sferzati dal fortunale, i flutti sollevati, in atto di rendergli colpo<br />

per colpo e rumore per rumore (coup pour coup et rumeur pour<br />

rumeur); tutti coloro, soprattutto, che sanno che cosa possa<br />

significare, certe sere, il timore di chiudersi con la propria pena<br />

l’intera notte; tutti coloro che conoscono quale allegrezza (allégresse)<br />

sia, dopo aver lottato a lungo contro la propria angoscia (angoisse), e<br />

quando si comincia a salire verso la propria camera soffocando i<br />

battiti del cuore, poter fermarsi e dirsi: ‘Ebbene, no, non salirò in<br />

camera (je ne monterai pas); mi farò invece sellare il cavallo, tirar<br />

fuori l’automobile’; e poi fuggire, tutta la notte, lasciando dietro di sé i<br />

villaggi dove la nostra angoscia ci avrebbe soffocati, dove la<br />

indoviniamo sotto ogni piccolo tetto addormentato, mentre passiamo,<br />

a tutta velocità, senza esserne riconosciuti, inafferrabili da lei. Ma<br />

l’automobile si era fermata all’angolo d’una strada infossata, davanti<br />

a una porta feltrata di giaggioli fioriti e di rose. Eravamo giunti alla<br />

casa dei miei genitori. Il meccanico suona la tromba (donne de la<br />

trompe), perché il giardiniere ci venga ad aprire: la tromba il cui<br />

suono ci è sgradito per il suo stridore, e la sua monotonia (cette<br />

trompe dont le son nous déplait par sa stridence et sa monotonie),<br />

ma che, come qualsiasi altra materia, può diventare gradevole se<br />

s’impregna di un sentimento. Esso è risonato nel cuore dei miei<br />

genitori come una parola insperata, gioiosamente (au cœur de mes<br />

parents il a retanti joyeusement)... – Mi sembra d’aver sentito... Non<br />

può essere che lui! – Essi si alzano, accendono una candela,<br />

proteggendola contro il vento della porta che hanno già aperta,<br />

impaziente, mentre in fondo al giardino la tromba, di cui non possono<br />

più fraintendere il suono divenuto gioioso, quasi umano (joyeux,<br />

presque humain), non cessa di lanciare il suo appello, sempre<br />

eguale, come l’idea fissa della gioia imminente, urgente e reiterato<br />

come la loro crescente ansietà (son appel uniforme comme l’idée fixe


237<br />

de leur joie prochaine, pressant et répété comme leur anxiété<br />

grandissante). E io pensavo intanto che, nel Tristano e Isolda (nel<br />

secondo atto, anzitutto, quando Isolda agita la sua sciarpa a mo’ di<br />

segnale; e poi nel terzo, all’arrivo della nave), è, nel primo caso, alla<br />

ripetizione stridente, indefinita e sempre più rapida (à la redite<br />

stridente, indéfinie et de plus en plus rapide) di due note, la<br />

successione viene talvolta prodotta dal caso nel mondo<br />

inorganizzato dei rumori; nel secondo caso, alla zampogna d’un<br />

povero pastore, e all’intensità crescente, all’insaziabile monotonia<br />

della sua gracile melodia (à l’intensité croissante, à l’insatiable<br />

monotonie de sa maigre chanson), che Wagner, con un’apparente e<br />

geniale abdicazione della sua potenza creatrice (par une apparente<br />

et géniale abdication de sa puissance créatrice), ha affidato<br />

l’espressione della più prodigiosa attesa di felicità (de la plus<br />

prodigieuse attente de félicité) che abbia mai riempito l’anima<br />

umana” (PM, 68-69; 123-124).


1) Vocabolario (e enciclopedia)<br />

238<br />

CAP. 14<br />

JEAN SANTEUIL<br />

L’APRÈS-COUP<br />

Il vocabolario (e l’enciclopedia) che servirà a raccontare la<br />

matinée è già tutto presente in questo testo preparatorio... Segnalo<br />

alcune ricorrenze (anche se senza nessuna velleità di completezza).<br />

Enciclopedia: “Un quadro, senza che noi ce ne accorgiamo, ci<br />

dice una cosa sola” (JS, 766) + “E [...] aveva baciato il suo faccino<br />

mentre [...] è assorto in quella gran cosa misteriosa che si chiama<br />

dormire. Perché i bambini e il cane [...] fanno con il loro corpicino<br />

gravi cose, come dormire, come morire” (JS, 734) + “Ainsi il sentait<br />

que par la porte poussée par un hasard il répudiait ce qui n’était pas<br />

encore la vie [...]” (JS, 837-842; 707-712) + “Esagerazione e falsità<br />

rese ancor più verosimili dall’eccessiva (trop grande) mobilità<br />

dell’occhio, dall’eccessiva (excessive) elasticità del corpo [...]” (JS,<br />

378; 213)...<br />

Vocabolario: indifférence (JS, 378; 212), fausse indifférence,<br />

748 + habitude (habitudes, douces aveugles), 410, 520, 559 737<br />

(les vieux gonds de l’habitude), 810, 823 + paresse, 232 (e vv.), 235,<br />

420, 428, 441, 523, 627, 703, 706, 866 + volonté, 222 (3 vv.), 232 +<br />

approfondir, 440, 620, 628, 633, 701 + extraire, 486, 632 + tout à<br />

coup; 241 scegliamo solo le pagine dedicate ad un prodromo del bacio,<br />

mancato, ad Albertine a Balbec; l’espressione in sei pagine ricorre 9<br />

volte! (vi fa la sua comparsa anche l’hasard (3 vv.) 242 + la généralitè<br />

241<br />

Tout à coup, tout d’un coup... sono il sigillo della memoria involontaria: “tout<br />

d’un coup sans le vouloir” (SG, 759).<br />

242<br />

Vedi un passo in cui al tout d’un coup si aggiunge il meccanismo dello<br />

squilibrio... “[...] ad un tratto (tout d’un coup) [...]. Tutt’a un tratto (tout d’un coup).<br />

[...]. Invece in quel momento di tanta felicità non temeremo di perderla [la vita] e di<br />

non lasciar traccia. Perché quel che ci rapisce nel piacere che proviamo è<br />

qualcosa che sentiamo nel profondo, qualcosa che non è di oggi, perché il<br />

sentimento di un passato nel quale abbiamo veduti eguali (pareils) meli fioriti è<br />

interno a quel piacere, e non è più soltanto del passato...” (JS, 279-280; 109-110).<br />

“In quel punto, l’odore muffito di un libro che qualcuno gli aveva passato, simile a


239<br />

des idèes, 453 + essence 295, 401, 490, 497, 519, 520, 522 (3 vv.),<br />

565, essence intime des choses, 521 (2 vv.), essence intime de<br />

nous-mêmes, 521 (2 vv.), essence merveilleuse, 326; essence<br />

divine, 361; essence heureuse, 300, essence précieuse, 741,<br />

essence mistérieuse, 832, essence commune, 400, 875 + journées<br />

pareilles d’autrefois, 297+ sensibilité involontaire, 222 + intelligence<br />

Jean n’avait plus confiance dans l’intelligence, dans le<br />

raisonnement), 485 + résurrection, 236, je ne voyait plus<br />

d’inconvéniente sérieux à mourir, 702-703 + vérité, 397, vérité des<br />

idées, 521-522, vie véritable, 395, 756, vie nouvelle et véritable, 840,<br />

vraie vie, 724, notre vraie nature, 401, 881, vie intèrieure 745 (3 vv.),<br />

755-756 + traduction 669 (4 vv.), 672-673 (4 vv): [...]. Traduction /<br />

[...]. traduciton / [...]. Traduction / ]...] Traduction (nella “vita<br />

mondana” di Jean)...<br />

2) Intorno al vecu (a proposito dell’après-coup)<br />

“Li stava guardando [i filari di vite] quando le foglie più alte gli<br />

parvero un po’ più chiare di quanto non gli fossero parse prima e di<br />

quanto non fossero effettivamente in quella stagione. Poco a poco<br />

parvero illuminarsi ancora, come fossero sul punto di dorarsi. Capì (il<br />

comprit) che, dietro lo schermo delle nubi, riappariva un filo di sole; le<br />

vigne erano ancora nell’ombra ma era un’ombra dove già le<br />

illuminava un po’ di pallido sole sommesso. <strong>Su</strong>bito Jean si rivide<br />

[aussitôt Jean se revit) sul sentiero di La Fort dove tanto spesso un<br />

pallido sole [...]. Quella somiglianza durò solo un attimo. [...]. Ma<br />

Jean ricordava la Bretagna (mais Jean se rappelait la Bretagne) [...].<br />

Oh, perché non posso essere là (y être) a vederle [le barche], l’una<br />

dopo l’altra [...]. Oh, è ora il momento – si diceva –. Bisognerebbe<br />

che ci potessi essere (je puisse y être) prima di cinque minuti [...]. E<br />

guardava disperatamente il prato steso ai suoi piedi e i campi lavorati<br />

che poco prima illuminati dal tramonto diventavano cupi e senza<br />

saper ricevere alcun riflesso [...]. Guardava disperatamente [...]” (JS,<br />

387-388; 222-223).<br />

Evidentemente Jean non sta cercando in se stesso. Sta<br />

cercando in un luogo esterno (“là”, nella Bretagna, eventualmente nel<br />

ricordo)... Si capisce la disperazione...<br />

Più avanti va già meglio. La “verità preziosa” che giace sulla<br />

sabbia di una certa spiaggia ci arriva “lungo le sole vie che possano<br />

(comme ceux) quello dei libri che egli trovava allora nella biblioteca del pievano,<br />

bastava ad inebriarlo” (JS, 300; 132).


240<br />

condurvi, quelle dell’immaginazione [...]” (JS, 397; 233)... “Forse la<br />

bellezza, la felicità sono, per il poeta, in quella invisibile sostanza che<br />

si può chiamare immaginazione, che non può applicarsi alla realtà<br />

presente, che non può applicarsi nemmeno alla realtà passata<br />

restituita dalla memoria e che fluttua (flotte) solo intorno alla realtà<br />

passata imprigionata in quella presente?” (JS, 399; 235). 243<br />

Ecco profilarsi la fluttuazione tra presente e passato.<br />

Insieme, un superamento dell’importanza dell’uno e dell’altro.<br />

Fondamentale, ormai lo sappiamo, è il disequilibrio tra l’uno e l’atro;<br />

disequilibrio che apre un interstizio attraverso il quale si dà un lampo<br />

di extra-temperale (di acategoriale).<br />

Quando una “sensazione” si fa avanti “nel presente come fosse<br />

stata quella di un passato, dall’accostamento (du rapprochement) 244<br />

sgorgava qualcosa di simile ad una sensazione collocata fuor del<br />

potere dei sensi, nel campo dell’immaginazione; la quale avendo ora<br />

innanzi a sé un oggetto eterno poteva conoscerlo, sì che, a un tratto,<br />

ecco una qualche realtà, sviluppatasi separatamente dalla mia vita, e<br />

che un tempo ho visto passare come un quadro, eccola apparire,<br />

conservata nella memoria. E invece della tristezza di chi possiede<br />

appena una collezione, invece di vivere senza vivere, ecco la<br />

coscienza di aver vissuto, o meglio di aver vissuto qualcosa che<br />

ancora vive e che sarà possibile vivere domani (je me sens vivre,<br />

avoir vécu, ou plutôt avoir vécu quelque chose qui vit encore et qu’on<br />

pourra vivre demain) (JS, 400; 237). 245<br />

243 “Metafore che ricompongono e ci restituiscono la menzogna della nostra prima<br />

impressione, di quando, passeggiando in un bosco o seguendo le rive di un fiume,<br />

abbiamo pensato in un primo momento, udendo rotolare qualche cosa, che si<br />

trattasse di un frutto, e non di un uccello, o di quando, sorpresi dallo scatto vivace<br />

sopra le acque di uno slancio improvviso, abbiamo creduto al volo di un uccello,<br />

prima di aver udito la trota ricadere nel fiume. Ma anche questi paragoni pieni di<br />

fascino e di vita, che sostituiscono alla constatazione di ciò che è la resurrezione di<br />

quel che abbiamo sentito (la sola realtà interessante), scompaiono accanto ad<br />

immagini veramente sublimi, degne delle più belle di Hugo” (1907, Le<br />

éblouissements, della contessa di Noailles, SA, 491-492).<br />

244 Di rapprochement si riparla (JS, 470). Se ne riparla nel Cahiers (C 58, 115):<br />

Quand un tel esprit [...] trouvait un telle vérité [...] il fallait le rapprochement de deux<br />

termes différents ayant une base commune c’est à dire une métaphore”. In<br />

Matinée chez la Princesse de Guermantes, Cahiers du Temps retrouvé. Édition<br />

critique étabile par Henri Bonnet en collaboration avec Bernard Brun, Gallimardi,<br />

Paris,1982.<br />

245 “Il piacere che vi dà la sua [di Chardin] raffigurazione pittorica dove si lavora di<br />

cucito, d’una dispensa, d’una cucina, d’una credenza, è, colto al suo passaggio,<br />

affrancato dall’istante (dégagé de l‘instant), approfondito (approfondi), eternato<br />

(éternisé), il piacere che gli dava la vista d’una credenza [...]” (1895, Chardin e<br />

Rembrabd, SA, 374; p. 314).


241<br />

Qui è evidente il valore del rapprochement 246 che, individuando<br />

qualcosa di comune a due sensazioni risalenti l’una al presente e<br />

l’altra al passato, schiude l’accesso all’extra-temporale. Ma è<br />

decisivo il bisogno di “aver vissuto”... Nel mezzo dell’esperienza, o<br />

après-coup rispetto ad essa, l’essenziale è ancora il vivere la vita.<br />

Non il superarla. 247<br />

Fondamentale è ancora il godere la vita: “Non sappiamo<br />

quando, cercando la bellezza d’una montagna o d’un cielo, la<br />

troveremo nel rumore di una ruota di gomma o nell’odore di una<br />

stoffa, in quelle cose che han navigato nella nostra vita (qui ont flotté<br />

sur notre vie) e dove il caso le riconduce a navigare (les ramène<br />

flotter), ma meglio armate questa volta perché noi si possa goderne<br />

(mais mieux armées cette fois-ci pour en jouir), distruggendo la loro<br />

immagine passata e la loro realtà presente, strappandoci alla<br />

schiavitù del presente, inondandoci con la coscienza di una vita<br />

durevole” (JS, 402; 239).<br />

“Durevole”! “Permanente”! Siamo ancora dentro lo spaziotempo.<br />

Comunque, anche se è intravisto il “processo” che all’extratemporale<br />

attraverso il superamento delle cadenze del tempo<br />

(presente/passato), si ha quasi la sensazione che l’immaginazione<br />

sia, per l’appunto, un “organo che serve l’eterno (l’organe qui sert<br />

l’éternel)” (JS, 401; 238); quasi che l’eterno fosse qualcosa che è là a<br />

disposizione per chi abbia l’organo adeguato alla sua degustazione...<br />

Come nel passo in cui è ricercato l’unisono con la natura (non<br />

l’essenza; e non in se stesso): “[...] tutto gli dava un piacere<br />

incompleto [...] e soprattutto, per quanto bello fosse l’oggetto, pareva<br />

non innalzar lui al proprio unisono (à son unisson) ma lasciar che la<br />

sua anima impotente e incompresa si colmasse di disagio e la sua<br />

intelligenza di disperazione. [...]. E ognuno dei sentimenti di Jean<br />

pareva rimaner anch’esso, senza sforzo, all’unisono con ogni cosa (à<br />

246 Identico valore la l’“urto (choc)” (“del presente e del passato”) (JS, 402; 238).<br />

247 Un passo molto interessante: “[...] i giorni vi appaiono come le piccole<br />

suddivisioni che segnano i minuti sul vostro orologio, quasi piccole caselle vuote<br />

dove si collocheranno questi o quegli avvenimenti e, più spesso, nessun<br />

avvenimento (et le plus souvent aucun événement du tout), ma che, a parte il loro<br />

contenuto, non differiscono affatto le une dalle altre” (JR, 249; 78). Poiché questo<br />

passo è nel Jean Santeuil, tendiamo ad interpretarlo nel senso che capita spesso<br />

di non vivere la propria vita pienamente = un avvenimento equivale a un nonavvenimento;<br />

in quanto non avvenuto per noi; se lo incontrassimo nella Recherche,<br />

lo interpreteremmo nel senso che ogni avvenimento, anche quello après-coup, è<br />

un non-avvenimento se non dà accesso all’extratemporale. L’unico avvenimento è<br />

l’avvento della verità e dello spirito.


242<br />

l’unisson de toutes choses), gustando la perfetta gioia che risulta<br />

dall’armonia” (JS, 492-493; 336). 248<br />

Facciamo il confronto con altre pagine, insuperate nel Santeuil,<br />

ricche di notazioni importanti (penso a quelle sull’identificazione con<br />

il criminale in un “atto di rivolta” 249 ) e nelle quali, non a caso, avviene<br />

un approfondimento (è la parola giusta) di notazioni già fatte (vedi la<br />

fine di Da Beg-Meil a Penmarch, in un giorno di tempesta, JS, 211<br />

sgg.), ma imprecise: penso a quelle sulla trasformazione di un<br />

paesaggio marino in un paesaggio montano (JS, 211). Le<br />

riprendiamo a spizzichi e bocconi: “[...] un immaginario più strano e<br />

sconcertante, quello che si riferisce a cose dove abbiamo lasciato<br />

una parte di noi stessi e che è situato non più nell’astratto, bensì in<br />

noi (mais en nous), in un punto che gode e trema [et qui tremble =<br />

Kafka!] quando lo si tocca [...]. Fisionomia che è tanto in loro quanto<br />

in noi (qui est en nous autant qu’en eux), ma che solo noi forse<br />

possiamo dare a quei luoghi [...]. Ci sono [i luoghi] più cari d’ogni<br />

cosa al mondo; perché nulla fuori di noi (rien en dehors de nous) può<br />

restituirci una impressione che abbiamo avuta. È un tesoro che può<br />

conservarsi in un solo scrigno: la memoria, e che può esser donato<br />

agli altri solo da una sorta di allusione: la poesia. [...]. Viventi [le idee]<br />

simultaneamente (à la fois) nel suo passato [di Jean], nel suo<br />

passato a Penmarch, e nel presente; e più profonde, collegando<br />

questo a quello, più reali, mostrando con ciò il valore dell’attimo<br />

passato e di quello presente, di qualcosa che esiste in sé veramente<br />

(de quelque chose qui, lui, existait vraiment) e che non sarebbe finito<br />

in quello stesso minuto. [...]. E infatti non divorava più la vita con<br />

l’angoscia di vederla sparire sotto il godimento (il ne dévorait plus la<br />

vie avec une sorte d’angoisse de la voir disparaître sous la<br />

jouissance), ma la gustava con fiducia, sapendo che un giorno o<br />

l’altro la realtà contenuta in quegli istanti, l’avrebbe ritrovata – a<br />

condizione di non cercarla (à condition de ne pas la chercher) – nel<br />

brusco richiamo di un colpo di vento, d’un odore di fuoco, d’un cielo<br />

basso [...]. Realtà [...] che, in quelle brusche svolte della memoria<br />

disinteressata, ci fa navigare (flotter) tra passato e presente, nella<br />

loro essenza comune (dans leur essence commune), che nel<br />

248 Vedi anche il passo in cui il desiderio è di essere all’unisono con Fontainbleau:<br />

“Tu vorresti vedere quella cosa unica che è una città o un luogo, che è quella e non<br />

altra, sulla quale non puoi nulla, cui tu non puoi togliere uno solo dei giorni ch’essa<br />

ha vissuto, farla più vecchia o più giovane; che è lei, saporoso residuo della sua<br />

esistenza passata, sulla quale non hai, eccetto quello di goderne, altro potere<br />

(aucun pouvoir que d’en jouir)” (JS, 571; 40).<br />

249 Riprese (JS, 454).


243<br />

presente ci ha richiamato il passato, essenza che ci turba perché è in<br />

noi stessi (essence qui nous trouble en ce qu’elle est en nous-même)<br />

[...]” (JS, 534-537; 380-383).<br />

Comunque, in Jean Santeuil ci si avvicina solo al ritrovamento:<br />

“Dieci anni più tardi [...] udì ad un tratto (d’abord) un suono di<br />

pianoforte [...]. Voleva ritrovare quelle ore (il voulait retrouver ces<br />

heures) [...]. Ma non vi ritrovò più (il n’y retrouva plus) quel vago<br />

desiderio d’amare [...]” (JS, 818-819; 686-688); “Jean sentì [...]<br />

qualcosa agitarsi improvvisamente (avait trassailli) in fondo all’animo<br />

suo. Certo era qualche melodia dimenticata nella quale c’era quel<br />

medesimo motivo (cette même phrase) [...] che [...] tentava di tornare<br />

alla vita [...]. Jean cercava di riudire la melodia che tutt’a un tratto<br />

(tout d’un coup) aveva colpito qualcosa dentro di lui [...]. Per caso<br />

(par hasard), accavallandosi un po’, le dita di Loisel han cavato da<br />

quel buon pianoforte un suono proprio altrettanto aspro quanto (un<br />

son juste aussi aigre que) quello del pianoforte del signor Sandré.<br />

Altrimenti Jean non vi avrebbe pensato mai più, perché da allora non<br />

ci aveva mai più pensato” (JS, 897-898; 772)...<br />

Blanchot giustamente afferma, a proposito dell’esperienza di<br />

memoria involontaria sopra-descritta: “E ciò è davvero<br />

impressionante. Quasi tutta l’esperienza del Temps perdu si ritrova<br />

qui: il fenomeno di reminiscenza, la metamorfosi annunciata<br />

(trasmutazione del passato in presente), la sensazione di trovarsi di<br />

fronte a una porta aperta sul campo proprio all’immaginazione, e<br />

infine la risoluzione di scrivere alla luce di quegli istanti per restituirli<br />

alla luce”. 250<br />

Invito il lettore a leggere questo scritto, peraltro breve, di<br />

Blanchot. In sintesi: come mai <strong>Proust</strong> che ha già la chiave dell’arte si<br />

limita a scrivere Jean Santeuil e non la sua opera?, e, “in questo<br />

senso, continua a non scrivere”?<br />

Tenendo ben presente che tutta la Recherche è la storia di una<br />

vocazione; dapprima mancata e solo alla fine intravista e colta...<br />

vocazione a scrivere.<br />

La risposta di Blanchot: il <strong>Proust</strong> del Jean Santeuil “sembra<br />

concepire un’arte più pura, concentrata sui soli istanti, senza<br />

riempitivi, senza ricorso ai ricordi volontari né alle verità d’ordine<br />

generale formate o riprese dall’intelligenza, alle quali più tardi<br />

crederà aver fatto largo posto nella sua opera; insomma un racconto<br />

‘puro’, che sarebbe fatto dei soli punti da cui trae origine, come un<br />

cielo dove, al di fuori delle stelle, non ci fosse che il vuoto”.<br />

250 L’esperienza di <strong>Proust</strong>, 1995, in Il libro a venire, Einaudi, Torino, 1969, p. 27).


244<br />

Blanchot richiama la seguente affermazione di <strong>Proust</strong> che non<br />

abbiamo citata quando parlavamo del rapprochement: “Perché il<br />

piacere ch’essa [la vita che sgorga dall’urto di un presente e di un<br />

passato identici etc.] ci dà è un segno della superiorità sua; e a<br />

questa superiorità io mi son fidato, per non aver voluto scrivere nulla<br />

di quel che vedevo, di quel che pensavo, di quel che ragionavo, di<br />

quel che ricordavo, per scrivere solo quando un passato risuscitava<br />

improvvisamente erompendo da un odore o da una visione mentre<br />

sopra di lui palpitava l’immaginazione, e quando quella gioia mi<br />

ispirava” (JS, 238).<br />

Blanchot vede in questo impegno a scrivere solo degli istanti di<br />

memoria involontaria qualcosa come una ricerca di scrittura<br />

automatica. Macchia descrive questi istanti come “vere e proprie<br />

allucinaz 251 ioni”. 252 Ma, anche considerando queste allucinazioni<br />

come resurrezioni, è difficile immaginare, tanto più praticare, una<br />

“allucinazione permanente”: “<strong>Proust</strong> scopre che gli istanti privilegiati<br />

non sono dei punti immobili, una sola volta reali, tali da dover essere<br />

raffigurati come un’unica fuggitiva evanescenza; ma che dalla<br />

superficie della sfera al suo centro passano e ripassano, volti, in<br />

modo incessante anche se intermittente, verso l’intimità della loro<br />

vera realizzazione, procedendo dalla irrealtà alla profondità<br />

nascosta, che raggiungono quando è raggiunto il centro immaginario<br />

e segreto della sfera: la quale, a partire da qui, sembra rigenerarsi<br />

nel momento che è compiuta”.<br />

Per <strong>Proust</strong>, maturato fino all’altezza della sua opera, “lo spazio<br />

dell’immaginario romanzesco è una sfera, generata, grazie ad un<br />

moto ritardato infinitamente, da istanti essenziali, anch’essi sempre<br />

in divenire, e la cui essenza non è d’essere puntuali, ma è la durata<br />

immaginaria che <strong>Proust</strong>, alla fine della sua impresa, scopre essere la<br />

sostanza stessa di quei misteriosi fenomeni di scintillazione”. 253<br />

251 NV, OF, 1397: “Mais le nez, le front, le pli des lèvres, donnait comme dans une<br />

hallucination la figure de sa mère, plus vraie qu’en sa mère même car fallait que<br />

l’imagination la repoussât et par là donnât plus de force, de consistance à la<br />

perception”.<br />

252 L’oblio, in Tutti gli scritti su <strong>Proust</strong>, Einaudi, Torino, 1997, p. 114. Vedi Kristeva,<br />

op. cit., pp. 263, 292, 310. <strong>Proust</strong> medesimo: “Quelquefois même cette heure<br />

prématurée sonnait deuz coups de plus que la dernière, il y en avait donc une que<br />

je n’avais pas entendue, quelque chose qui avait eu lieu n’avait pas eu lieu pour<br />

moi; l’ineterêt de la lecture, magique comme un profond sommeil avait donné le<br />

change à mes oreilles hallucinée et effacé la cloche d’or sur la surface azurée du<br />

silence (SW, 87-88)<br />

253 Ibidem, pp. 30-31.


245<br />

Insomma, anche “contro se stesso”, <strong>Proust</strong> “rimase docile alla<br />

verità della sua esperienza, che non solo lo svincola dal tempo<br />

ordinario, ma lo impegna in un tempo altro, il tempo ‘puro’ in cui la<br />

durata non può mai essere lineare e non si riduce ai soli<br />

avvenimenti”.<br />

La scelta di abbandonare Jean Santeuil, di non parlarne con<br />

nessuno, quasi fino quasi a dimenticarselo lui medesimo, dimostra la<br />

profondità della sua ispirazione e “la sua decisione di seguirla<br />

sostenendola nel suo moto infinito. Se Jean Santeuil fosse stato<br />

terminato e pubblicato, <strong>Proust</strong> si sarebbe perduto, la sua opera<br />

impossibile e il Tempo smarrito definitivamente”. 254<br />

Avevamo segnalato, nel Jean Santeuil, la tendenza a cogliere<br />

l’essenza in un luogo specifico; quasi ch’essa fosse una cosa<br />

specifica, un tesoro preesistente ad ogni sua ricerca... Una tendenza<br />

idolatrica... A recuperare il “vissuto”; l’après-coup essendo allora solo<br />

una ricerca del risarcimento per il non-vissuto-abbastanza...<br />

Blanchot ci aiuta precisando che il passaggio alla Recherche<br />

avviene attraverso l’abbandono del “poetico” inoltrandosi in un<br />

viaggio nel deserto. Un viaggio che simbolicamente dura<br />

quarant’anni... Basterebbero i quaranta giorni nel deserto del Cristo;<br />

peraltro sono essi che i quarant’anni preannunciavano... Nel corso di<br />

254 Ibidem, p. 32. Richiamo qui un passo fondamentale sempre a proposito del<br />

tempo in <strong>Proust</strong>: “Quale istante! [matinée, inciampamento, San Marco a Venezia<br />

etc.]. Un momento ‘liberato dall’ordine del tempo’ e che in me ricrea ‘un uomo<br />

liberato dall’ordine del tempo’. Ma subito, con una contraddizione di cui, tanto è<br />

necessaria e feconda, appena si avvede, <strong>Proust</strong>, quasi fosse una svista, dice che<br />

quel minuto fuori del tempo gli ha permesso di ‘ottenere, d’isolare, di immobilizzare<br />

– la durata di un lampo – ciò che non afferra mai: un po’ di tempo allo stato puro’.<br />

Perché questo rovesciamento? Perché quel che è fuori del tempo mette a sua<br />

disposizione il tempo puro? Perché, grazie alla simultaneità che ha realmente<br />

ricongiunto il passo di Venezia e il passo di Guermantes, l’allora del passato e il qui<br />

del presente, come due adesso chiamati a sovrapporsi, e grazie alla congiunzione<br />

di quei due presenti che aboliscono il tempo, <strong>Proust</strong> ha fatto inoltre l’esperienza<br />

incomparabile, unica, dell’estasi del tempo. Vivere l’abolizione del tempo, vivere<br />

questo moto rapido come il lampo per il quale due istanti infinitamente separati<br />

vengono (a poco a poco benché subito) uno incontro all’altro, unendosi come due<br />

persone che nella metamorfosi del desiderio sembrano identificarsi, significa<br />

percorre tutta la realtà del tempo, e percorrendola sperimentare il tempo come<br />

spazio e luogo vuoto, cioè libero dagli avvenimenti che lo riempiono sempre nella<br />

vita ordinaria. Tempo puro, senza avvenimenti, mobile vacanza, distanza agitata,<br />

spazio interiore in divenire, dove le estasi del tempo si dispongono in una<br />

simultaneità affascinate, che cos’è dunque tutto questo? È proprio il tempo del<br />

racconto, il tempo che non è fuori del tempo, ma come fuori è sperimentato, sotto<br />

forma di uno spazio, l’immaginario spazio in cui l’arte trova e dispone le sue<br />

risorse” (ibidem, p. 22).


246<br />

questo viaggio <strong>Proust</strong> si fa carico di ogni esperienza; non solo delle<br />

minuzie, ma di tutto; ed, eventualmente, di tutte le minuzie. Non si<br />

risparmia nulla. Da qui il respiro infinito della Recherche; respiro che<br />

alita in ogni sua più piccola frase. La lettura dei Cahiers ci aiuta a<br />

capire l’enormità del lavoro che <strong>Proust</strong> ha fatto per preparare le varie<br />

parti del romanzo...<br />

Come dire: ha rinunciato a fermare l’istante perché bello. Ha<br />

reso bello tutto il deserto in cui qualche istante appare... e ne basta<br />

uno solo per renderlo terra promessa.<br />

Come non ricordare la Lettera a Antoine Bibesco del 15 ottobre<br />

1912? “Prendi per esempio il pezzo sulla chiesa [L’Église de village]:<br />

se scrivessi come si usa oggigiorno, da una sola delle impressioni<br />

che lo compongono – se ne avessi raccontato come cosa importante<br />

la storia – avrei potuto ricavare un articolo, e quindi da tutto il pezzo<br />

una decina di articoli. Se per esempio, anche senza andare al fondo<br />

dell’impressione che ho tratto dalle pietre tombali, avessi assunto<br />

delle pose, fatto gesti stravaganti, avrei fatto colpo, i lettori vi<br />

avrebbero scritto qualcosa di originale. Invece la mia impressione<br />

approfondita, illuminata, intima (approfondie, éclaircie, possedée) io<br />

la celo fra molte altre (je la cache à côté) sotto uno stile piano, dove<br />

occhi acuti sono sicuro che la scopriranno prima o poi. Dei momenti<br />

di esaltazione rimangono soltanto, e pacati, una frase, talvolta un<br />

epiteto (il ne reste qu’un phrase, parfois qu’une épithète, et calmes)”<br />

(CORR, XI, 235-236; LG, 998-999).<br />

3) Capitalissime issime, issime<br />

Ricordate? “Oh, è ora il momento – si diceva –. Bisognerebbe<br />

che ci potessi essere (je puisse y être) prima di cinque minuti [...]. E<br />

guardava disperatamente il prato steso ai suoi piedi”...<br />

Nei Cahiers si ritrova lo stesso approccio. Mi riferisco alle<br />

vicissitudini che portano <strong>Marcel</strong> alla ricerca di una sconosciuta. Tutto<br />

parte da un flôrer questa volta molto più audace di quello ipotizzato<br />

per Albertine (P, 887): “Elle ecrasa ses seins sur moi comme pur<br />

m’en révéler, seul condifence qu’elle put me faire, la consistance de<br />

la forme” (C 36, ES SG, 961)... Vista... scomparsa... “Du moins en<br />

rentrant comme les heures d’exaltation de Combray, je sentis en moi<br />

une vie plus grande que la mort” (ibidem). Nei Cahiers 49 e 24 la<br />

ricerca della sconosciuta. Chi è la fille aux roses rouges che la<br />

“sfiorato”? Mlle Vigognac, Mlle Tronchin, la femme de chambre della<br />

baronessa Picpus? <strong>Marcel</strong> passa da una delusione all’altra: “Que le


247<br />

nom de Vigognac mainenant me paraissait indifférent et laid, quelle<br />

forme biscornue de jeune fielle mièvre et desséchée il prenait” (C49,<br />

ES VIII, SG, 998). Ma rimane il fatto che <strong>Marcel</strong> cerca in una<br />

persona, fuori di sé... quel che sembra tanto prezioso da inaugurare<br />

una vita “più grande della morte”.<br />

Cito ora dal Cahier 57 che, insieme col Cahier 58, contiene le<br />

sole vestigia della prima versione di À la recherche du Temps<br />

perdu. 255<br />

“Capitalissime issime, issime de peut-être le plus de t te l’œuvre:<br />

quand je parle du plaisir éternel de la cuiller, tasse de thè etc. = art:<br />

Était-ce cela ce bonheur proposé par la petite phrase de la Sonate à<br />

Swann qui s’était trompé en l’assimilant au plaisir de l’amour et<br />

n’avait pas su où le trouver (dans l’art); ce bonheur que m’avait défini<br />

comme plus supraterrestre encore que n’avait fait la petite phrase de<br />

la Sonate, l’appel mysterieux, le cocorico du Sextuor que Swann<br />

n’avait pu connaître car cet évangile là n’avait été divulgué qu’un peu<br />

plus tard et Swann était mort comme tant d’autres avant la révélation<br />

[...]” (C 57, 331).<br />

Capitalissimo. Il “plaisir éternel” non è in una frase. Neppure in<br />

quella che Swann è morto senza capire...<br />

A proposito del Quatuor de Vinteuil (scritto su tutta la pagina<br />

incluso il margine, normalmente riservato alle correzioni, alle<br />

aggiunte): “Je pourrai sans doute quand j’ai compris ce qu’il y a de<br />

réel dans l’essence commune du souvenir et que c’est cela que je<br />

voudrais conserver (mais ne sachant pas encore que cela se peut<br />

par l’art, sachant seulement que cela ne se peut ni par le voyage, ni<br />

par l’amour, ni par l’intelligence) dire que j’endends à travers la porte<br />

le quator de Vinteuil (aux œuvres de qui la matinée sera consacrée)”<br />

(C 56, 292-293).<br />

Riecco la “porta”. La frase di Venteuil può essere, è, la porta;<br />

ma per accedere a che cosa?<br />

“Et je dirai à peu près ceci: comme jadis à Combray quand<br />

ayant épuisé les joies que me donnait l’aubépine et ne voulant pas<br />

en demander à une autre fleur, je vis dans le chemin montant de<br />

Tassonville, un centre de nouvelles joies naître pour moi d’un<br />

buisson d’épine rose, ainsi n’ayant plus de joie nouvelle à épouser<br />

dans la sonate de Vinteuil, je sentis tout d’un coup en entendant<br />

commencer le quatuor que j’éprouvais de nouveau cette joie, la<br />

même et pourtant intacte encore, envéloppant et dévoilant à mes<br />

yeux un autre univers, semblable mais inconnu; et la ressemblance<br />

255 Cahiers 57 [Notes pour Le temps retouvé], in Matinée chez la Princesse de<br />

Guermantes, op. cit. (C 57).


248<br />

s’achevait de ce que le début si différent de tout ce que je<br />

connaissais dans ce quatuor s’irradiait, flambait, de joyeuses lueurs<br />

écarlates; c’était un morceau incarnadin [carnicino, color rosa], c’était<br />

la sonate en rose”.<br />

Il classico tout d’un coup... E la sottolineatura che la porta si<br />

apre, non su qualcosa che ci è sfuggito e finalmente cogliamo, ma su<br />

qualcosa che per la prima volta ci appare. Continuando: “La sonate<br />

de Vinteuil m’avait paru tout un monde, mais un monde que je<br />

connaisais entièrement et voici que le Dieu qui l’avait créée n’y avait<br />

pas épuisé son pouvoir en en faisant une seconde, c’est à dire une<br />

tout autre, aussi originale qu’était la sonate de sorte que la sonate<br />

qui m’avait semblé une totalité n’était plus qu’une unité, que je<br />

dépassais maintenant la notion de l’un et comprenais ce qu’était le<br />

multiple grâce à la richesse de ce genie qui me prouvait que la<br />

beauté dont il avait manifesté l’essence dans la sonate avait encore<br />

bien d’autres secrets à dire, bien d’autres paradis à ouvrir”. 256<br />

4) L’après-coup “impossibile à expliquer ici”<br />

A proposito di après-coup come tentativo riuscito di cogliere il<br />

“vissuto” anche se con qualche ritardo, può essere utile leggere la<br />

lettera di <strong>Proust</strong> alla principessa Bibesco del 24 aprile 1912 e il<br />

commento, veramente immiserente, della stessa principessa nel libro<br />

di memorie dedicato a <strong>Proust</strong>, Au bal avec <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>.<br />

Ecco la lettera (il testo italiano lo riprendo da Al ballo...<br />

tradotto; 257 ad esso segue il commento della Bibesco): “Ho appena<br />

ricevuto con molta gioia, nella sua rilegatura da formulario, da<br />

agenda, da guida o promemoria (e nel senso originale di queste<br />

parole decadute non è esso tutto questo, e anche l’agenda perché le<br />

vostre parole devono essere ‘agite’?) un piccolo libro – un grande<br />

libro – che ha poi suscitato in me molta ammirazione e molta<br />

tristezza (beaucoup d’admiration et de tristesse). Ma la gioia è il<br />

riceverlo e in un momento in cui è particolarmente benvenuto. Avevo<br />

ricevuto due giorni prima un invito per la serata dell’Intransigeant,<br />

256 E così iterando: “Je ne concevais pas que se genre de beautés qu’elle contenait<br />

ne fût pas entièrement épuisé et consommé en elle [...]. Et voici que cette phrase<br />

rose, aussi merveilleuse que m’avait paru la première fois celle de la sonate, mais<br />

tout autre [...] venait naître, comme à côté d’une jeune fille, une sœur toute<br />

différente” (C 57, 293-294).<br />

257 Al ballo con <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Sellerio Editore, Palermo, 1978, pp. 74-77; tr. it. Au<br />

bal avec <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, Gallimard,1928, Parigi, 1956, pp. 83-86.


249<br />

dove non andrò (où jen n’iraias d’allieurs). Proprio la stessa serata e<br />

nello stesso luogo in cui vi ho visto l’anno scorso così bella, così<br />

eloquente, ma così ostile tanto che non potrei attribuire la cosa se<br />

non alle circostanze imperfette dell’incontro e anche<br />

all’interpretazione errata che forse avete dato in quel momento a<br />

cose che non vi riguardano, ma che voi giudicate, che avete troppo<br />

dimenticato in seguito perché io tenti anche soltanto l’impresa<br />

impossibile di farvele ricordare. Vi avevo poi spesso ripensato,<br />

avvolto in quell’ombra che si proietta ora anche sui vostri Paradisi [la<br />

principessa aveva pubblicato Les Huit Paradis], e il biglietto che<br />

annunciava la serata del Carlton mi aveva restituito esattamente<br />

quella mia impressione di allora (m’avait rendu si exactement mon<br />

impression). Cosicché il vostro Alessandro Asiatico [un libro della<br />

principessa su Alessandro Magno] è veramente venuto con un ‘volto<br />

di sole’. Purtroppo proprio il libro mi ha dimostrato che il nostro<br />

dissenso è più profondo e riguarda le idee (notre dissentiment était<br />

plus profonde et touchait aux idées). Non che io non abbia una<br />

grande ammirazione per quelle parole che sono come gioielli con<br />

una montatura di silenzio, per quell’arte così audacemente, così<br />

abilmente reticente. Quello che voi dite non è che una piccola parte<br />

di ciò che avete pensato. Proferendo quello che avete taciuto (e però<br />

definito come una circonferenza di cui si sia misurato il diametro e<br />

che si tralascia di tracciare), un commentatore potrà scrivere<br />

un’opera più lunga. E questo silenzio è anche un piedistallo e indica<br />

l’altezza a cui bisogna istallarsi per leggervi; è anche una<br />

convenienza e permette l’accordo del vostro pensiero moderno o<br />

futuro con le immagini lontane, e fa fiorire quelle sentenze profonde<br />

come un prato su un tappeto (del verde tappeto che fioriva sotto<br />

l’esercito di Keïthoun, etc.) o come il chiacchiericcio di un uccello. Ma,<br />

a meno che il libro non sia tutto in funzione della fine (e perché<br />

questo non potrebbe essere vero?) niente mi è più estraneo del<br />

cercare la presenza della felicità nella sensazione immediata, e a<br />

maggior ragione nella realizzazione materiale (rien ne m’est plus<br />

étranger que de chercher dans la sensation immédiate, à plus forte<br />

raison dans sa réalisation matérielle, la présence du bonheur). Una<br />

sensazione, per quanto sia disinteressata, un profumo, una luce, se<br />

sono presenti sono ancora troppo in mio potere per rendermi felice<br />

(s’ils sont présents sont encore trop en mon pouvoir pour me rendre<br />

hereux). È quando me ne ricordano un altro, quando li gusto tra il<br />

presente e il passato (entre le présent et le passé) (e non nel<br />

passato, impossibile spiegare qui [et non pas dans le passé,<br />

impossibile à expliquer ici]) che essi mi rendono felice. Alessandro


250<br />

ha ragione di dire che cessar di sperare è la disperazione stessa. Ma<br />

se non smetto di desiderare, io non spero mai. E forse anche la<br />

grande sobrietà della mia vita sociale, senza luce, è una circostanza<br />

contingente che alimenta in me la perennità del desiderio. E quando<br />

non si pensa al proprio piacere (et quand on pense pas à son propre<br />

plaisir), se ne trova anche a constatare le leggi per le quali ci viene<br />

strappato quello che pensavamo di potere conservare, compresi i<br />

cuori. E l’interesse delle leggi per le quali, viceversa, ci sono infine<br />

date le cose su cui non avremmo mai creduto di poter contare (nous<br />

sont finalement apportées le choses sur lesquelles nous n’aurions<br />

jamais cru pouvoir compter), quest’interesse è in grado di<br />

compensare per noi la delusione di possedere ciò che ci sembrava<br />

bello quando lo desideravamo. Mi accorgo che dopo avervi detto che<br />

non pensavo mai a me, non vi parlo che di me e di una gioia in cui<br />

però penso tanto a voi. Ma mi accorgo anche che è come esegeta di<br />

voi che parlo di me. Perché le ultime parole si accorderebbero in<br />

modo singolare con quelle di Alessandro: si cessa più radicalmente<br />

di sperare ciò che si possiede che non quello che non si avrà. La<br />

morte che preconizzate non somiglia alla vita che conduco (la morte<br />

que vous préconisez ne ressemble-t-il pas à la vie que je mène)? Ma<br />

a quest’ultima mancherà sempre la grazia deliziosa e veramente<br />

perfetta delle vostre parole quando dite che la ‘storia della sua vita si<br />

conclude sul discorso di un uccello’. È la perfezione stessa, l’arte<br />

suprema che rifiuta le ricchezze inutili e che, anche in questo senso,<br />

è omissione (et qui, en se sens-là encore, est omission). Conserverò<br />

sempre vicino a me il promemoria blu (sembra di questo colore alla<br />

luce elettrica) in cui c’è tutto quel che è importante ricordare, il<br />

formulario in cui forse troverò dei rimedi e in ogni caso dei veleni. E<br />

cercherò di comprendere meglio Alessandro e la principessa Bibesco<br />

dei quali una parte mi sfugge. Degnatevi di accettare, Principessa, la<br />

mia ammirazione e il mio riconoscente rispetto” (CORR, XI, 108-111).<br />

Il testo della principessa: “La parte che gli sfuggiva di me era<br />

quella che dedicavo al movimento, alla deliziosa spontaneità del<br />

vivere. Mentre egli alimentava in sé il desiderio con la rinuncia. Io mi<br />

disincantavo in altro modo. Il mio eroe vinceva tutte le battaglie,<br />

prendeva tutte le città, non rinunciava a nulla, otteneva tutto, e<br />

moriva a trentadue anni, completamente disperato. Ci voleva<br />

soltanto una bella salute. <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> mi confessava di aver<br />

giocato la sua vita a chi-perde-vince al contrario di Alessandro, che,<br />

pur vincendo sempre, aveva perso. Questa lettera straordinaria mi<br />

dava la soluzione dell’enigma proustiano, molto tempo prima della<br />

rivelazione del Temps retrouvé; essa situava la felicità ‘tra il presente


251<br />

e il passato’, e non nel presente; essa creava quella regione<br />

intermedia, quello spazio sentimentale nuovo in cui <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> ha<br />

vissuto e gustato i suoi piaceri. Ecco la sua invenzione che<br />

contraddice il vecchio Carpe diem di Orazio; egli non ha goduto del<br />

momento, ed è così che raggiunse quella regione felice dove riusciva<br />

a alimentare ‘la perennità del desiderio’ Cosa c’è di più mistico,<br />

oserei dire i più cristiano di questa assenza davanti alla presenza<br />

reale della felicità?” 258<br />

258 Ibidem, pp. 86-87; pp. 77-78.


252<br />

CAP. 15<br />

JEAN SANTEUIL<br />

LA SCENA PRIMARIA<br />

In Jean Santeuil, nel frammento che comincia con annotazioni<br />

circa l’Amour di Stendhal, troviamo condensate in un’unica vicenda<br />

due avvenimenti della vita amorosa e gelosa (e conoscitiva) di<br />

Swann: l’ansiosa ricerca di Odette che ha detto di sé ch’è andata a<br />

prendere una cioccolata da Prévost (SW, 277 sgg.); l’incontro fallito<br />

con Odette (che forse era in camera con un’amante a cui fa da<br />

seguito l’attività di spionaggio a proposito della lettera di Odette a<br />

Forchenville) (SW, 336 sgg.).<br />

Preferiamo commentare la visita di Jean alla sua amata signora<br />

S. Si tratta di diverse pagine (JS, 750 sgg.; 613 sgg.) delle quali<br />

riprendiamo alcuni elementi anche trasgredendo le cadenze<br />

temporali...<br />

Jean va ad una festa; ad una cert’ora ha concordato con la<br />

signora S. (d’ora in poi la chiameremo semplicemente S.) che andrà<br />

a “dirle buonanotte ancora una volta (lui redire encore un fois<br />

bonsoir)”. Ci va. Il giorno dopo, la sera, fa un’improvvisata. Trova la<br />

finestra illuminata.<br />

La scena primaria: Jean cerca di guardare attraverso le<br />

imposte... Non vede niente, ma sente i rumori. Ode “il brusìo di una<br />

conversazione (le bruit d’une conversation)”; certo odia “quel brusìo<br />

di voci (ce bruit de voix)” che gli ha rivelato la presenza di un atro; la<br />

“coppia nemica”. Ma “ora possedeva almeno un vantaggio su di loro,<br />

li aveva lì, e, se avesse bussato per farsi aprire la finestra (se faire<br />

ouvrir la fenêtre), sarebbe stato lui in quel momento il vincitore,<br />

perché essa sarebbe rimasta in trappola, confusa, piena di vergogna<br />

[...]. E poi, aveva la conoscenza di un fatto (la connaissence d’un<br />

fait), in quel mistero che lo turbava così dolorosamente. Si diceva:<br />

almeno ho imparato questo, almeno lo so (j’ai appris cela, je sais<br />

cela). Benché la vita di lei fosse qualcosa ch’egli non conosceva, che<br />

sfuggiva al suo possesso, ecco che un caso (un hasard), 259 come un<br />

gran colpo di rete, gliene portava una parte”...<br />

259 Si tratta di una parola-chiave nel lessico del giovane <strong>Proust</strong>. Vedi la sua lettera<br />

del luglio 1893 in Une nouvelle Croix de Berny, il romanzo epistolare fallito: in<br />

Écrits de jeneusse, 1887-1895, Institut <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> International, Combray, p.<br />

248.


253<br />

La mente va a Noè che mostra le pudenda ai figli...<br />

Un’altra scena-primaria...<br />

La vergogna di lei... ma anche la sua: “Aveva un po’ vergogna a<br />

bussare, a far vedere che era tornato; ma non poteva però resistere<br />

al desiderio di far conoscere che era lì, che aveva saputo tutto (qu’il<br />

avait tout su). E poi, tutte quelle cose che, a distanza, quando<br />

pensava che ciò potesse accadere a sua insaputa (à son insu),<br />

senza che ne si volesse saperne di lui, quasi contro di lui, lo<br />

turbavano, pareva che vedendole, penetrandole, qualunque<br />

vergogna egli avesse dovuto averne, qualunque pena a tornarsene<br />

indietro, almeno il loro mistero sarebbe stato spezzato. Era sul punto<br />

di bussare alla persiana (il alla frapper au volet) e il suo cuore gli<br />

batteva forte nel petto come quando sta per avvenire un grande<br />

mutamento in noi (un grand changement en nous)”...<br />

Un grande cambiamento... 260<br />

Dunque: questa volta il Narratore non guarda dalla finestra della<br />

sua camera, ma, attraverso la finestra, dentro la camera di S.<br />

Non vede niente.<br />

Ma sente...<br />

“Allora ciò che per noi è l’ignoto e intorno al quale s’aggira<br />

abbaiando il nostro pensiero (alors l’inconnu pour nous, ce devant<br />

quoi rôde et aboie notre pensée)”...<br />

Come non pensare alle Indagini di un cane?<br />

Che vede il cane?<br />

Niente.<br />

Sente e immagina.<br />

Jean si consola col fatto che “ha imparato questo, sa questo”...<br />

Anche se il contenuto della rivelazione è doloroso (vedi Les Plaisirs<br />

et le jours)...<br />

Ma che cosa sa?<br />

Intanto un particolare ci colpisce. L’ingresso su questa scena<br />

(primaria) del “caso”.<br />

Sappiamo che il “caso” è elemento costitutivo, anzi augurale,<br />

della memoria involontaria...<br />

Domanda (perdonate il salto pindarico): la memoria involontaria<br />

non è una via di accesso alla scena primaria?<br />

Probabilmente.<br />

La scena primaria può allora essere definita come il non<br />

categorizzato; addirittura in non categorizzabile.<br />

È questo l’extra-temprale?<br />

260 Di grande cambiamento si riparlerà (JS, 811; 679).


254<br />

Ma continuiamo... Jean sente un “rumore di voci (bruit de voix)”<br />

che sale dalla “finestra aperta (la fenêtre ouverte)”: sicuramente S. si<br />

sta spogliando; “luci e voci [...] conservavano per lui la medesima<br />

punta dolorosa di quando lo avevano colpito, perché volevano dire in<br />

realtà: ‘Aspettava proprio qualcuno, c’è qualcuno, ora che ti crede<br />

andato via’. Ma l’amore che pone tanta passione nella persona che<br />

amiamo e che, quando vediamo che non è tutta (toute) nostra, che è<br />

forse tutta (toute) d’altri, pone con la gelosia, che è quasi il suo<br />

inverso (qui est comme son envers), una curiosità così appassionata<br />

nel sapere tutto (à savoir tout) quel che fa l’essere amato, faceva sì<br />

che quel lembo di vita segreta, quella introvabile pagina di realtà<br />

(cette page introuvable de réalité) che la luce della finestra gli<br />

preannunciava, gli si presentasse come qualcosa di immensamente<br />

interessante (d’un interêt immense) capace di dare alla sua<br />

intelligenza, malgrado il suo contenuto doloroso, una specie di<br />

soddisfazione”...<br />

Una realtà, un lembo di realtà è stata “trovato”...<br />

La ricerca del tempo perduto!<br />

Jean vuole “tutto”; il bisogno della totalità accomuna la ricerca<br />

dell’innamorato e quella del geloso...<br />

Ma almeno coglie un lembo, un morceau di realtà...<br />

Scoperta: Jean ha sbagliato finestra: “La persiana si aprì<br />

completamente, comparve un vecchio signore, e un altro che gli<br />

stava vicino. [...]. Capì (il comprit)”.<br />

A parte la notazione che questo categorico, definitivo “il<br />

comprit” denuncia la scoperta = il ritrovamento (che avviene sempre<br />

tout d’un coup), cosa capì Jean?<br />

Forse capì che la scena primaria, il rapporto, cioè, con<br />

l’acategoriale deve rimanere acategoriale...<br />

Il bisogno di trasformarlo in savoir, come sapere di ogni cosa<br />

(tout), lo vanifica...<br />

O la scena primaria è la scena vuota?<br />

La possiamo percorrere in una direzione o nell’altra: ciascuna è<br />

l’invers dell’altra...<br />

Perché contemplare la scena primaria significa contemplare<br />

l’extra-temporale (l’extra-categoriale).<br />

Un pomeriggio Jean va da S: “suonò (sonna), udì il rumore<br />

(entendit du bruit); ma, per quanto suonasse, nessuno venne ad<br />

aprire. Si disse che c’era forse qualcuno, volle disturbarli, volle<br />

battere ai vetri (frapper au carreau), ma nessuno aprì”...<br />

Quando ripassa, S. gli apre: dormiva etc...: “Era curioso di<br />

sentirla parlare, forse mentire, sentendo che tutte (toutes) le cose


255<br />

che gli piacevano, che avrebbe voluto sapere, che non poteva<br />

sapere (qu’il eut voulu et ne pouvait savoir), erano là, davanti a lui,<br />

svolgendosi maldestramente sotto la pressione della sua triste<br />

curiosità”...<br />

Di nuovo il bisogno di sapere tutto...<br />

Ma questo paragrafo è chiuso in modo stupefacente: “Perché<br />

nell’ignoto di eventi che ci sono celati, è molto difficile che tutto ciò<br />

che è falso desti i nostri sospetti e che la verità sia quel che ci<br />

immaginiamo. Perché non è determinata dalle le possibilità che ci<br />

fingiamo, bensì da una realtà anteriore a noi sconosciuta”... 261<br />

S. quasi sicuramente mente; ma non è detto...<br />

La realtà antérieure è quella perduta e l’oggetto della ricerca.<br />

Jean torna a casa... Cerca di leggere una lettera che S. gli ha<br />

chiesto di imbucare... “avrebbe preferito leggere tutta (toute) la<br />

lettera”... Quanto la legge tutta, ad un tratto, tout d’un coup, legge<br />

“Ho fatto bene ad aprire, era mio padre” (in SW sarà lo zio).<br />

La scoperta.<br />

Egli capì.<br />

D’un tratto...<br />

Si affaccia al segreto di S.: “Rimaneva lì, perduto, desolato, ma<br />

tuttavia tenendo la verità in mano, tenendo per caso (par hasard)<br />

attraverso il vetro trasparente (à travers le vitrage trasparent)<br />

[un’altra finestra] di una busta che [...] lasciava scorgere un po’ della<br />

vita segreta della sua amica, una parte di una vita celata alla sua<br />

conoscenza”.<br />

Ecco che l’ignoto intorno al quale rôde et aboie il ricercatore, gli<br />

si rivela: per caso...<br />

Che cosa gli si rivela?<br />

Intanto, che cosa vorrebbe più precisamente che gli si riveli?<br />

“Quel che è (ce qui est), quel che oggi è stato (ce qui a été<br />

aujourd’hui), non secondo i suoi [di S.] racconti, ma in sé (mais en<br />

soi), quale era per l’altro (tel quel c’était pour l’autre), per Dio; (pour<br />

Dieu, le fait), ecco quel che il nostro pensiero non può<br />

raggiungere”. 262<br />

Ma vorrebbe raggiungere.<br />

261 Qualcosa di simile più avanti: “È vero che nemmeno il ragionamento contrario<br />

[...] è corretto, perché nessun ragionamento si applica alle contingenze della<br />

realtà”.<br />

262 “[...] mi sembrava di far piangere l’anima di mia madre, l’anima del mio angelo<br />

custode, l’anima di Dio” (PJ, 118). “È un dio [amore] che si nasconde e ride quando<br />

non lo vediamo più. Giuoca, e i suoi giuochi son crudeli perché non depone mai le<br />

sue frecce” (JS, 696).


256<br />

La conoscenza di Dio! O, meglio ancora, la conoscenza che ha<br />

Dio...<br />

Proseguendo: “Ecco una parte (un peu) di quanto gli portava un<br />

settore aperto nell’ignoto, quella lettera, e di quanto gli metteva sotto<br />

gli occhi: un po’ (un peu) di quella vita vera (vie véritable), il segreto<br />

di un avvenimento che probabilmente non avrebbe mai conosciuto,<br />

che essa non gli avrebbe mai raccontato, parte di quell’ignoto che<br />

non sapeva come raggiungere e che il caso (le hasard), un mezzo<br />

sicuro, gli illuminavano bruscamente (brusquement) e gli facevano<br />

apparire. Traendolo dall’oscurità della camera dalle imposte<br />

[chiuse]”.<br />

Di nuovo il caso. E di nuovo la vita vera... Di nuovo il<br />

ritrovamento... Attraverso una parte, un po’, un’occhiata sulla scena<br />

primaria, par la fenêtre...<br />

Qualche pagina più avanti: “[...] rimpiangiamo di non essere più<br />

in rapporto con quella strana forza naturale (cette force singulière de<br />

la nature) che poteva farci soffrire ma che almeno schiudeva la<br />

nostra vita su un moto così reale, così strano, così impossibile (sur<br />

un courant si réel, si curieux, si impossible). E se allora un nome letto<br />

per caso (par hasard) [...]”...


1) Le categorie = une échelle<br />

257<br />

Cap. 16<br />

JEAN SANTEUIL<br />

Non categoriale e categoriale...<br />

“Il portello (la petite porte) del giardino si richiuse lentamente su<br />

Jean. Per la terza volta era tornato a dire buonanotte (bonsoir) a sua<br />

madre ed era stato accolto piuttosto male. [...]. Presto la finestra (la<br />

fenêtre) si aprì, una minuscola figura bionda comparve su di una<br />

candida camicia da notte, e disse a bassa voce: – Mammina, ho<br />

bisogno di te un minuto [...]. Per Jean il momento di andare a letto<br />

era sempre un momento veramente tragico, reso tanto crudele da un<br />

vago sentimento di orrore. Fin da quando scendeva la sera (déjà<br />

quand le jour tombait), prima che fosse portata la lampada, il mondo<br />

intero poteva abbandonarlo, avrebbe voluto aggrapparsi alla luce,<br />

impedirle di morire, di trascinarlo con sé nella morte. [...]. Ma fino a<br />

quella sera, quando Jean aveva finito di spogliarsi, chiamava sua<br />

madre perché venisse a dargli un bacio mentre entrava a letto. Quel<br />

bacio era un dolce viatico (ce baiser-à, c’était le viatique) [...]; 263 era<br />

la cara offerta (la douce offrande) di focacce che i greci appendevano<br />

al collo della sposa o dell’amico defunti, mentre li deponevano nella<br />

tomba, perché compissero senza terrore il viaggio sotterraneo e<br />

attraversassero sazi i regni bui. Così Jean assaporava lungamente le<br />

tenere guance di sua madre; poi sulla sua fronte febbrile essa<br />

posava un bacio fresco come una benda umida (comme une<br />

compresse), che attraverso la pelle ardente e sottile, insinuandosi tra<br />

la frangia bionda, recava a quella piccola anima la calma (venait<br />

calmer sa petite âme). Allora si addormentava. Quella buonanotte<br />

nel suo letto era il dono atteso con febbrile pazienza il cui potere<br />

meraviglioso calmava come un esorcismo (comme un<br />

enchantement), come l’olio sul mare, quel suo cuore agitato. Il gesto<br />

di sua madre che si abbassava a baciarlo (qui si bassait pour<br />

l’embrasser), sterminava subito l’inquietudine e l’insonnia. Era questo<br />

che gli stava mancando e che da allora in poi gli sarebbe mancato<br />

tutte le sere. [...]. Questo era il solo punto sul quale [la madre] fosse<br />

263 “[...] la signora Servan riceveva il suo bacio senza restituirlo, come una reliquia<br />

(comme une relique) dipinta a colori vivaci” (JS, 341; 174).


258<br />

severa con lui. E lui, ancora troppo giovane (trop jeune encore) per<br />

sapere distinguere il morale e il fisico, la libertà e la necessità, si<br />

sentiva oscuramente responsabile della propria agitazione, della<br />

propria tristezza e delle lacrime, senza tuttavia aver la forza di<br />

dominarle. Jean udì nel corridoio il passo di Augustin [...]. Si alzò,<br />

andò alla finestra (près de la fenêtre), scorse la madre, il padre e il<br />

dottore vicini, quali la luce della luna, come una lampada troppo<br />

debole, illuminava senza permettergli di distinguerli, mostrandoli e<br />

nascondendoli a un tempo. [...]. Ma la mamma venne e al calore del<br />

suo bacio tutta la sua agitazione si sciolse in dolcezza, in lacrime.<br />

[...]. Per fortuna – aggiunse ridendo [il dottore] –, le pene di quell’età<br />

sono senza importanza. 264 È lecito credere che Jean, prendendole<br />

sul serio, si sbagliasse meno dell’ironico dottore. Quelle ore infantili<br />

suonavano (sonnaient) contro il vivo metallo del suo cuore e il suono<br />

(le son) che esse avevano allora poté diventare più profondo (plus<br />

grave) quando il suo cuore si fu fatto più duro, diventar più rauco (se<br />

fêler) o approfondirsi; ma quel suono (ce son) rimase il suo. [...].<br />

L’abitudine, la sola delle antiche potenze di questo mondo che sia più<br />

forte della sofferenza, poté vincere poco a poco in Jean la crudele<br />

angoscia che abbiamo visto tormentarlo e che, per tutti quegli anni<br />

d’infanzia lo fece soffrire ogni sera. Ma nella sua giovinezza e<br />

persino nella sua maturità, ogni qual volta (chaque fois) una<br />

circostanza qualsiasi sopravvenisse a sospendere gli effetti<br />

anestetici dell’abitudine, ogni volta (chaque fois) [...] egli sentì in<br />

fondo alla propria anima, vaga come una figura nota e perduta di<br />

vista, ridestarsi una inquietudine vecchia come lui stesso. [...]. Quel<br />

nuovissimo senso di irresponsabilità che, di fronte ad Augustin, sua<br />

madre aveva allora riconosciuto pubblicamente come si riconosce un<br />

nuovo governo (comme on reconnaît un gouvernement nouveau), 265<br />

264 “‘D’altronde, non ha la minima (aucune espèce) importanza’. Frase equivalente<br />

a un riflesso (analogue à un réflex), identica, nelle più gravi come nelle più<br />

trascurabili circostanze; e rivelatrice (dénonçant), come in questo caso,<br />

dell’effettiva importanza attribuita alla cosa in questione da chi, a parole, gliela<br />

nega (en celui qui la déclare sans importance). Frase tragica, a volte, che sfugge<br />

prima d’ogni altra – e così carica, allora, di sconforto – a ogni uomo che, appena<br />

un po’ orgoglioso, abbia perduto l’ultima speranza cui s’aggrappava perché<br />

qualcuno gli ha rifiutato un favore: ‘Ah, bene, non ha la minima importanza, mi<br />

arrangerò diversamente’, quando il diverso arrangiarsi verso il quale non ha la<br />

minima importanza vedersi respinti è, in qualche caso, il suicidio” (OF, 740; 898).<br />

265 “Jean [...] al primo rumore s’era asciugati gli occhi, glorioso del suo potere<br />

(glorieux de son pouvoir) su sua madre [...] sorrideva a Augustin con la gioia del<br />

trionfo (avec la joie du trionphe) [...]” (JS, 208; 34). Una lettera alla madre del 6<br />

dicembre 1902 ci dice dei risvolti di complicità e reciproco ricatto che l’alterazione<br />

nervosa, l’abdicazione etc. avevano prodotto: “La verità è che quando vado bene,


259<br />

lo informava sui suoi diritti, gli garantiva l’esistenza, ne assicurava<br />

l’avvenire. [...]. Certo la sua volontà, allora, era già abbastanza<br />

debole (sa volonté était déjà bien faible alors). Solo poco a poco, in<br />

seguito a sforzi continui (Ce n’est que peu à peu, à la longue de ces<br />

efforts constants) [...]. E finalmente abbiamo un ultimo motivo di aver<br />

preso sul serio, come Jean medesimo, quelle pene infantili: ed è che,<br />

malgrado il sorriso del dottore, o di suo padre, forse mai egli ebbe a<br />

provarne di più strazianti (il n’en éprouva peut-être jamais de plus<br />

cruels). Più tardi, infatti, quand’era triste, gli interessi, le occupazioni,<br />

le idee, i ricordi gli porgevano una scala (une échelle), 266 grazie alla<br />

siccome la vita che mi fa andare bene ti esaspera, tu distruggi tutto fino a farmi<br />

andare male di nuovo. [...]. È triste però non potere avere insieme affetto e salute.<br />

Se avessi l’uno e l’altra in questo momento [...]” (LG, 493; CORR, III, 191). Sempre<br />

alla madre, data incerta, probabile maggio 1903: “Car j’aime mieux avoir des<br />

crises et te plaire que te déplaire et n’en pas avoir” (CORR, III, 328). Vedi nella<br />

lettera a Jaques Bizet del 14 giugno 1888 il riconoscimento del ruolo svolto dalla<br />

“malattia” nelle tenzoni familiari: “[...] peut-être parce qu’elle redoute pour moi cette<br />

affection un peu eccessive, n’est pas? Et qui peut dégénérer (elle le croit peut-être)<br />

en... affection sensuelle...”. La madre ha proibito a <strong>Marcel</strong> di incontrare Jacques:<br />

“<strong>Su</strong>r mon refus énergique elle m’a du moins défendu d’aller chez toi ou de te voir<br />

chez moi. Scène furieuse, désespoir lent, menaces, mauvaise santé [...]” (CORR,<br />

_________, 554-555).<br />

266 Di fronte ad un attacco di panico come quello provocato dall’improvvisa<br />

partenza di Albertine, l’unica risorsa è il “concatenare”: “Aussi, si ma réflexion<br />

s’attachait à une de ces séries, si je commençais à penser à la musique, à la<br />

maladie, à Bergotte, aux Guermantes, les idées s’enchaînaient les unes les autres<br />

comme elles le faisaient autrefois; oui, comme elles le faisaient autrefois j’en sus<br />

sur car si tout d’un coup j’aperçevais l’idée qu’Albertine était partie, il me semble<br />

que je me suis livré pendant me réflexions à quelque chose d’aussi absurde qu’un<br />

rêve que la réalité dément et qu’one secoue au réveil” (C 71; ES I, AS, 631). Nel<br />

Tempo ritrovato troveremo un altro modo di concatenare: “Ciò che chiamiamo<br />

realtà è un certo rapporto fra le sensazioni e i ricordi che ci circondano<br />

simultaneamente [...] unico rapporto che lo scrittore deve trovare per incatenare<br />

per sempre l’uno all’altro, nella sua frase (por en enchaîner à jamais dans sa<br />

phrase), i due diversi termini. Si possono elencare di seguito quanto si vuole, in<br />

una descrizione, gli oggetti che figuravano nel luogo descritto: la verità (la vérité)<br />

comincerà solo nel momento in cui lo scrittore prenderà due oggetti diversi, ne<br />

porrà il rapporto, analogo nel mondo dell’arte a quello che è il rapporto esclusivo di<br />

causa ed effetto nel mondo della scienza, e li fisserà con gli indispensabili anelli<br />

(anneaux) dello stile. Anzi, quando, come la vita, avvicinando una qualità comune<br />

alle due sensazioni, egli ricaverà la loro essenza comune, riunendole entrambe,<br />

per sottrarle alle contingenze del tempo, in una metafora” (TR, 889; 570). Questo<br />

passo, su cui abbiamo già a lungo meditato, riconosce il concatenamento causaeffetto<br />

che colloca ogni evento nello spazio e nel tempo; ma lo distingue da quello<br />

che, invece, colloca l’essenza fuori dello spazio e del tempo. I due eventi<br />

simultanei e diversi che la memoria involontaria produce, non devono essere<br />

concatenati come si suole fare quando si coordina il passato e il presente... ma<br />

come si deve se si vuole attingere l’extratemporale, l’essenza.


260<br />

quale (par où), se aveva la forza di afferrarla (s’il avait la force de la<br />

saisir), poteva evadere di riflessione in riflessione o di creatura in<br />

creatura, in quel campo aperto della speranza e dei secoli, dove lo<br />

spirito può correre come un puledro lasciato libero. Ma la sua<br />

infanzia si agitò miseramente in fondo a un pozzo di tristezza 267<br />

donde nulla poteva ancora aiutarlo ad uscire, non ancora illuminata<br />

neppure dall’idea della causa delle sue pene. E d’altronde, della sua<br />

tristezza, egli non conobbe più tardi se non le cause seconde (il ne<br />

connut guère plus tard que les causes secondes), perché la causa<br />

prima gli parve sempre tanto inseparabile da sé medesimo che non<br />

poté mai rinunciare ad essa senza rinunciare a se stesso” (JS, 202-<br />

211; 27-37).<br />

L’incipit – “il portello del giardino si richiuse lentamente su Jean”<br />

– è un po’ spiazzante. Ma, dopo poco, ci ritroviamo. A parte una<br />

serie di motivi diventati tipici: forza dell’abitudine, mancanza di<br />

volontà... qui, ancora più forse che in SW, viene equiparata la paura<br />

della notte alla paura della morte; e, questa paura, viene definita<br />

come “importante” (non “senza importanza”)... Jean è “ancora troppo<br />

giovane”... ma ha capito che il riposo del sonno equivale al riposo<br />

della morte. Solo col progredire dell’età riuscirà a costruire una<br />

“scala”; fondamentalmente quella che collega una causa col suo<br />

effetto; le categorie famose: anche se le cause categoriali sono<br />

sempre “causes secondes”... La causa prima... Ma, se andiamo alla<br />

ricerca della causa “prima”, ci inoltriamo nel “privo di prima e dopo”...<br />

Ci inoltriamo nell’acategoriale.<br />

Nell’irresponsabilità...<br />

La morte ci offre l’acategoriale in una forma che spaventa,<br />

almeno apparentemente; la nascita, in una forma che, almeno<br />

apparentemente, rallegra. Forse Hereafter potrebbe insegnarci<br />

qualcosa. A capire che l’acategoriale spaventa, ma non è<br />

spaventoso.<br />

2) Ancora sull’acategoriale<br />

“La porta era aperta. Jean sentì che Réveillon aveva udito e,<br />

vedendo ormai pronta la sua valigia, posò in fretta le labbra<br />

indifferenti sulle guance di sua madre, sgradevolmente infiammate<br />

dalla fretta e dal malumore [...]. Salita la scala [quattro ore dopo,<br />

approdato all’albergo], arrivando ad un pianerottolo sconosciuto, si<br />

267 Questo “fond d’un puits de tristesse” richiama il “lac inconnu” del Tempo<br />

ritrovato.


261<br />

sentì a un tratto (brusquement) lontano da sua madre. E nel fondo<br />

del petto si destò una palpitazione debole ma immensa, come in<br />

lontananza, il palpito continuo del mare. Erano forse pensieri,<br />

desideri, paure, inquietudini, slanci fino allora cresciuti sotto l’ala di<br />

sua madre e ora recati così lontano da lei, i quali, a un tratto (tout<br />

d’un coup) accorgendosi d’essere abbandonati, balzavano in lui<br />

come per slanciarsi fuori, spaventati, disperati, folli della loro<br />

impotenza [...]” (JS, 356 sgg.; 190 sgg.).<br />

Dall’albergo la cui camera è una “prigione” e il cui letto una<br />

“tomba”, Jean telefona alla madre... “Ma commovente, limpido, ecco<br />

il campanello che trilla e pare balzare qua e là (voici le timbre qui<br />

sonne, resonne, semble courir çà et là). [...]. Poi, d’un tratto (tout d’un<br />

coup) – ed è come se tutti se ne fossero andati dalla camera ed egli<br />

cadesse fra le braccia di sua madre – viene proprio contro di lui, così<br />

dolce, così fragile, così delicata, così chiara, così fusa, come un<br />

piccolo frammento di ghiaccio spezzato, la voce di sua madre. – Sei<br />

tu, caro? – È come se gli parlasse per la prima volta (pour la<br />

première fois). Come se la ritrovasse, dopo la morte, in paradiso.<br />

Perché per la prima volta (pour la première fois), egli ode la voce di<br />

sua madre. [...]. Il campanello suona (il sonne). È finito (est fini)”.<br />

La collocazione nel tempo del suono della voce della madre – la<br />

“prima volta” (2 vv.) – è fatta da chi, risbattuto nell’acategoriale, si riaffaccia<br />

al categoriale... Grazie al telefono...<br />

3) La madre da ritrovare<br />

Lite di Jean con i genitori. Fuga in camera. Ricerca,<br />

nell’armadio, di qualcosa per coprirsi perché ha freddo... La sua<br />

mano “tanto eccitata e quasi folle” trova un mantello di velluto nero<br />

orlato di frange, foderato di satin rosso e di ermellino: “come ferito<br />

dalla violenza del colpo, esso entrò nella camera stretto nel pugno di<br />

Jean come una fanciulla che un guerriero abbia afferrata per le<br />

chiome”.<br />

È il mantello della madre: “Turbato guardò il mantello, che nei<br />

suoi colori ancora freschi, nel suo velluto ancora dolce, somigliava a<br />

quegli anni che non servivano più a nulla, senza rapporto con la vita<br />

ma non appassiti, intatti nel suo ricordo. L’avvicinò al naso, sentì il<br />

velluto scivolare ancora sotto la palma della mano e credette di stare<br />

abbracciando sua madre, quella sera, quando, accompagnata dal<br />

signor Sandré che era ancora valido, ancora giovane, bella, senza<br />

aver conosciuto il dolore o la malattia, essa usciva [...] posandogli


262<br />

sulla guancia prima di salire in carrozza, con le sue labbra belle e<br />

fresche, un bacio limpido (un baiser limpide) come la sua fiducia e<br />

come al sua felicità. Provò la voglia irresistibile di abbracciare sua<br />

madre, ancora una volta, in quel modo. [...]. Ma sua madre non era<br />

più lei. La morte di suo padre, la pigrizia di Jean [...] l’avevano<br />

mutata. [...]. egli non l’avrebbe più ritrovata. E fra qualche anno non<br />

l’avrebbe neppur ritrovata quale era adesso. [...]. Avrebbe voluto<br />

baciare sulle guance della madre quanto restava della sua<br />

giovinezza e della sua felicità, trattenere con i suoi baci per ore intere<br />

gli attimi che passavano, la vita che scorreva, la bellezza che<br />

appassiva, le speranze che fuggivano, l’esistenza insomma della<br />

persona in rapporto alla quale egli concepiva ogni cosa e che un<br />

giorno sarebbe stata completamente annientata, senza ch’egli<br />

potesse mai più ritrovarla (sans qu’il pût jamais la retrouver), senza<br />

che nulla di lei sopravvivesse come non fosse mai esistita” (JS, 419<br />

sgg.; 257 segg.).<br />

Ecco quel che bisogna ritrovare. La madre? Sì, ma la madre<br />

degli anni rimasti, in noi, “non appassiti, intatti (pas fanées,<br />

intactes)”... E quali sono? Quelli in cui non si è ancora costruita la<br />

“scala”... Non si sono ancora imparate le categorie...<br />

4) Essere madre alla madre e a se stesso<br />

“Di sera in sera, risalì fino a quella quando aveva pianto tanto a<br />

lungo, col viso contro il cuscino, dopo tante prove dell’indifferenza<br />

(indifférence) di Marie Kossichef [...]. E siccome il lenzuolo era<br />

abbondantemente ripiegato poté farne una specie di dolce cuscino<br />

sopra le spalle. Anche la sua bocca scomparve e, come quando era<br />

piccolo (comme quand il était petit), ebbe bisogno di farle riprender<br />

aria; ‘un giorno soffocherai’, diceva la governante. Sorrise, con una<br />

delle sue mani afferrò l’altra e la baciò (il sourit, prit une des ses<br />

mains ave l’autre et l’embrassa). [...]. Andò a prendere un piccolo<br />

scialle di sua madre con quale, quando era piccolo (pendant son<br />

enfance), essa, se li aveva freddi, era solita fasciargli i piedi. Nelle<br />

sue maglie quello scialle conservava gran parte di quella calda<br />

tenerezza e di quel passato freddoloso. E così se lo posò intorno al<br />

collo con grande dolcezza, come fossero state le braccia di sua<br />

madre (commme les bras mêmes de sa mère qui le passa autour de<br />

son cou). Si figurò di appoggiare la testa sul seno di lei, come<br />

quando era malato o triste; e, ripiegata sulla persona l’ala bianca del<br />

lenzuolo, si addormentò” (JS, 829-830; 698-699).


263<br />

Jean è diventato capace di essere madre a se stesso. 268<br />

E fa da madre alla madre (diventata infante): “Jean socchiuse la<br />

porta della camera da letto di sua madre, e scorse il suo bel profilo<br />

severo, i capelli sciolti, gli occhi chiusi, il naso, la bocca placata e<br />

chiusa come ogni bocca infantile (comme une buche d’enfant),<br />

dormente sul cuscino. Si tolse le scarpe per non svegliarla, camminò<br />

in punta di piedi fino al letto, posò un bacio sul sottile lenzuolo che<br />

la copriva fino al mento, gonfiato dalle sue braccia, e poi, vedendo<br />

che non si svegliava, sui suoi capelli. [...]. Jean non era più triste e<br />

non aveva più paura di dormire. Sentiva che durante il sonno<br />

avrebbe avuto vicino sua madre. [...]. E infatti, come questa fu dolce<br />

(Qu’elle fut douce, en effet)!” <strong>Su</strong>a madre [...] non appena, svegliato,<br />

egli suonò il campanello (il sonna), apparve tutta preparata, pettinata,<br />

col volto fresco su un abito da mattino. [...]. Ogni tanto la faceva<br />

alzare dalla sedia per abbracciarla” (JS, 854-856; 726-727). 269<br />

Se si tiene presente che questa scena avviene in assenza del<br />

padre (fuori Parigi per lavoro), essa acquista una possibile<br />

connotazione incestuosa. Vedi Evelyne Bloch-Dano, a proposito<br />

della lettura da parte della mamma al Narratore settenne di François<br />

de Campi: “l’histoire – ô génie de <strong>Proust</strong>! – d’un amour incestueux<br />

entre enfant ed sa mère adoptive...” 270<br />

268 Un gesto molto simile lo ritroviamo nei Cahiers. La “sonnette de la porte” ha<br />

avvertito il Narratore che Swann se n’è andato, egli apre la finestra, vede e sente<br />

le manovre dei genitori preparatorie dell’andare a letto: “J’étais dans une<br />

disposition si joyeuse que ces paroles insignifiantes qui montaient du jardin<br />

m’enchantaient je me répétais fort < Zut, xut, [mot illisible] > avec le même accent<br />

enivré que si ces mots avaient signifié quelque vérité délicieuse, je sautais seul<br />

dans ma chambre, je m’addressai un sourire dans ma glace, et ne sachant sur<br />

quoi fair tomber ma tendresse et ma joie, je saisis mon propre bras avec transport<br />

et j’y déposai un baiser. Hélas cette joie dura peu” (C 8, ES XII, SW, 690-691).<br />

269 In uno dei Cahiers, il famoso “drame du coucher” si conclude, prima che con<br />

l’addormentarsi del Narratore, con l’addormentarsi della madre: “Je la priai de se<br />

coucher, elle referma le volume à la couverture cerise, et fu convenu que nous en<br />

continuerions un outre jour la lecture. Elle s’endormit. J’ai quelquefois – bien<br />

rarement – dans mon enfance connu le sentiment du repos complet, du repos<br />

sans tristesse, du calme parfait. Je ne l’ai jamais connnu comme cette nuit-là.<br />

J’étais si hereux que je n’osais pas m’endormir. Je ne sais pas quando je<br />

m’endormis” (C 6, ES X, SW, 676).<br />

270 Op. cit., Grasset, Paris, 2004, p. 112. Anche se, dal Narratore, sappiamo che la<br />

mamma “saltava tutte le scene d’amore” (SW, 52).


1) Onomatopee<br />

264<br />

Cap. 17<br />

UN’ALTRA SCENA MADRE<br />

Ho letto con grandi attesa, e grande delusione, la<br />

monumentale biografia di <strong>Proust</strong> scritta da Jean-Yves Tadié<br />

(benemerito curatore dell’ultima edizione riveduta della Recherche<br />

con annesse moltissime Esquisses e variantes), <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. 271<br />

Mi ha, invece, subito incuriosito la sua definizione del<br />

“téléphone avec sa mère” 272 come “scène presque aussi capitale que<br />

celles du baiser du soir”...<br />

Mi sono messo subito al lavoro dopo aver pensato<br />

– che non è forse il caso di parlare al plurale della scena del<br />

bacio (o del “drame di coucher”) e al singolare del “téléphone<br />

avec la mère”; perché in entrambi i casi abbiamo attiva una<br />

“seriazione”;<br />

– che Tadié ha forse trascurato un altro “coup de télépnone”,<br />

quello di Albertine (in Sodoma e Gomorra [SG, 127 sgg; 885<br />

sgg.])... Albertine non è la madre... Ma ormai sappiamo che<br />

l’angoscia, di volta in volta, “si specializza” e si orienta sulla<br />

madre, sulla sorella, sull’amante... Unificando tutte queste<br />

figure, seriandole.<br />

Tadié individua uno svolgimento della seriazione che dura 23<br />

anni; a partire dal 20 ottobre 1896 quando <strong>Proust</strong> scrive su se stesso<br />

come Jean Santeuil (JS, 360 sgg.; 190 sgg.), passando per Giornate<br />

di lettura del 1907 (CSB, 527 sgg.; 476 sgg.), per arrivare a Dalla<br />

parte dei Guermantes del 1920 (G, 131 sgg.; 157 sgg.).<br />

Riandiamo questa seriazione ricordando che, come il Narratore<br />

nel bel mezzo del “drame”, lo stesso Swann aveva sofferto. Di che<br />

cosa? Del fatto che Odette era in “un luogo di piacere” dov’egli non<br />

era... 273 (Come lo era stata la madre del Narratore insieme a tutti gli<br />

altri, compreso Swann)...<br />

271 Gallimard, Paris, 1996, pp. 328-329.<br />

272 Il titolo del Jean Santeuil è Jean à Beg-Mail. I. Le téléphonage à sa mère.<br />

273 Swann, se avesse letto la lettera scritta dal Narratore e mandata, con<br />

l’intermediazione di Françoise, alla madre, se ne sarebbe beffato! “Invece, come<br />

ho appreso in seguito, un’angoscia simile fu per lunghi anni il tormento della sua<br />

vita, e nessuno, forse, avrebbe potuto capirmi meglio di lui; a lui, quell’angoscia


265<br />

Ora, la differenza che salterà agli occhi tra “drame du coucher”<br />

e “drame du téléphone” è che il telefono sembra proprio abolire la<br />

distanza. Siamo nello stesso luogo...<br />

Vedremo meglio.<br />

Per orientarci è utile tener presenti le seguenti scadenze: morte<br />

della nonna (materna) il 29 gennaio 1890; scrittura del pezzo sul<br />

coup de téléphone il 1896; lettera (di cui qui sotto) a Bibesco, 4<br />

dicembre 1902 (la madre ha perso recentemente i suoi genitori);<br />

morte della madre il 26 settembre 1905. Tenere presente che, sotto<br />

la penna dello scrittore, la nonna sta spesso per la madre; in ipotesi<br />

questo non implica “equivalenza” ma “seriazione”.<br />

Allora, il 4 dicembre 1902 <strong>Proust</strong> scrive ad Antoine Binesco, a<br />

cui è recentemente morta la madre... e, ad un certo punto, ricorda la<br />

voce della propria madre sentita al telefono a Fontainebleau di cui<br />

<strong>Proust</strong> ha scritto già nel Jean Santeuil: “ho visto la tua grafia<br />

stravolta, quasi irriconoscibile, con i caratteri rimpiccioliti e contratti<br />

(avec ses lettres diminuées, retrectés), come occhi diventati piccoli<br />

(devenus tout petits) a forza di piangere, è stato per me un altro<br />

colpo come se per la prima volta (comme si pour la première fois)<br />

avessi la sensazione netta della tua infelicità. Ricordo che quando<br />

Mamma perse i suoi genitori – provandone un dolore al quale ancora<br />

mi chiedo come abbia potuto sopravvivere – la vedevo ogni giorno,<br />

ogni momento. Ma una volta ero andato a Fontainebleau e le ho<br />

telefonato. Nella cornetta d’un tratto (tout d’un coup) mi giunse la sua<br />

povera voce rotta, torturata, incrinata, uccisa per sempre (sa pauvre<br />

voix brisé, meurtrie à jamais), diversa da quella che avevo sempre<br />

conosciuto, piena di incrinature e di fenditure (pleine de fêlures et de<br />

fissures); ed è accogliendo nel ricevitore quei brandelli sanguinanti e<br />

distrutti (les morceuax saignants et brisés) ch’ebbi per la prima<br />

volta (pour la première fois) l’atroce percezione di ciò che era<br />

spezzato in lei (à jamais brisé en elle). <strong>Su</strong>ccede lo stesso con la tua<br />

lettera, nella quale si avverte l’infinita fatica di scrivere, tanto di<br />

parlare del tuo dolore che di non parlarne. La tua lettera m’ha fatto<br />

piacere se posso dire così, ma mi ha reso molto infelice. [...]” (LG,<br />

486; CORR, III, 182).<br />

Sigliamo: ses lettres diminuées, retrectés // devenus tout petits<br />

// sa pauvre voix brisé, meurtrie à jamais // pleine de fêlures et de<br />

fissures // les morceuax saignants et brisés // à jamais brisé en elle.<br />

che si prova sentendo l’essere al quale si vuol bene in un luogo di piacere (dans un<br />

lieu de plaisir) dove noi non siamo, dove non possiamo raggiungerlo, è l’amore che<br />

l’ha fatta conoscere, l’amore cui è in qualche modo predestinata, da cui sarà<br />

accaparrata, specializzata (spécialisée) [...]” (SW,30; 38).


266<br />

Sembra un’omotopeia: tutto si incrina, si rompe... Si disfa,<br />

anche, e sanguina e muore. Ma, a livello sonoro, sovrasta<br />

l’incrinatura e la rottura: diminuées / retrectés / brisé / fêlures /<br />

fissures / morceuax / brisés / brisé...<br />

<strong>Proust</strong> scrive subito la pagina del Jean Santeuil e la manda alla<br />

madre perché la conservi...<br />

Il 21 ottobre 1896 (mercredi matin, 9 heurs ½) scrive alla<br />

madre: “Je ne peux pas te dire l’heure épouvantable que j’ai passée<br />

hier de 4 heures à 6 heures (moment que j’ai rétroplacé avant le<br />

téléphon dans le petit récit que je t’ai envoyé et que je te prie de<br />

garder et en sachant où tu le gardes car il sera dans mon roman).<br />

Jamais je crois aucune de mes angoisses d’aucun genre n’a atteint à<br />

ce degré” (CORR, II, 137).<br />

Kolb situa la telefonata il pomeriggio del martedì precedente<br />

(CORR, II, 139).<br />

Nella carte-lettre che la mamma gli spedisce il 20 ottobre (1) lei<br />

medesima gli parla di “demoiselles du téléphon”; (2) fa risuonare<br />

un’onomatopeia gioiosa: nessuno è contento tranne le porte e i<br />

campanelli che hanno intonato degli alleluia chiassosi: “[...] malgré<br />

toutes mes offres aux demoiselles de versement extra – (demoiselles<br />

du téléphon) elles m’ont renvoyée à la cabine. Tu a donc dû avoir<br />

une longue station! Je bouillais pour toi. Il n’y a de content de ton<br />

départ que les portes et sonnettes qui ont entonné de bruyants<br />

halleluias. [...]” (CORR II, 134).<br />

Siglando: demoiselles du téléphon / content / départ / portes /<br />

sonnettes / entonné / bruyants halleluias.<br />

Sempre il 21 ottobre (mercredi 2 heures) la madre definisce le<br />

pagine appena lette “bien douces mais bien tristes, mon pauvre loup”<br />

(CORR, II, 141). La sua carte-lettre ha come anticipato le<br />

“demoiselles” ed ha come preventivamente bilanciato, con<br />

l’onomatopea gioiosa, quella triste (ma dolce). (Mme <strong>Proust</strong> invita<br />

anche il figlio a perdonare al telefono “tes blasphèmes passés. Quel<br />

remords d’avoir méprisé, dédaigné, éloigné un tel bienfaiteur”...<br />

Il telefono è un “benefattore”? Nella misura in cui riesce a<br />

togliere la distanza, a ricreare la “présence réelle”?<br />

Che ora vedremo.<br />

Teniamo presente che la reazione di Mme <strong>Proust</strong> è al testo che<br />

comparirà in Jean Santeuil. In ogni caso l’onomatopea gioiosa è<br />

quasi sarcastica: nessuno è contento tranne le porte e i campanelli...<br />

Perché essi non sono più sottoposti alla regolamentazione severa di<br />

<strong>Marcel</strong>... Ma non è proprio la sua assenza da casa che dovrebbe<br />

rattristare la casa medesima?


2) Jean Santeuil<br />

267<br />

“[...] si sentì a un tratto lontano da sua madre (il se sentit<br />

brusquement loin de sa mère)”...<br />

Tutto parte da questa lontananza.<br />

Poco prima, al momento della partenza – adesso è arrivato<br />

(all’albergo delle Rocce Nere di Trouville) – ha “posato in fretta le<br />

labbra indifferenti sulle guance di sua madre, sgradevolmente<br />

infiammate dalla fretta e dal malincuore.<br />

Ma che cos’è la madre? “[...] si sentì a un tratto lontano da sua<br />

madre. E nel fondo del petto si destò una palpitazione debole ma<br />

immensa (une palpitation faible mais immense), come, in lontananza,<br />

il palpito continuo del mare (l’incessante palpitation de la mer). Erano<br />

pensieri, desideri, paure, inquietudini, slanci fino allora cresciuti sotto<br />

l’ala di sua madre (qui avaient grandi jusqu’là sous l’aile de sa mère)<br />

e ora recati così lontano da lei (si loin d’elle), i quali, a un tratto (tout<br />

à coup) accorgendosi d’essere abbandonati, balzavano in lui come<br />

per slanciarsi fuori, spaventati, disperati, folli nella loro impotenza,<br />

torma tumultuosa e debole, infantile e tenera come una nidiata di<br />

piccoli albatri che vengano gettati in mare quando la riva è ormai<br />

lontana e che gridino, spezzando il loro slancio con l’impotenza delle<br />

ali, e chiamino la madre che non può udirli e sentano il loro cuore<br />

balzare fino a lei senza che possano, veloci come lei,<br />

raggiungerla?” 274<br />

L’angoscia che scoppia è cresciuta sotto l’ala materna! L’ala<br />

materna non ha impedito tale crescita. L’ha soltanto custodita.<br />

Anticipando: ha offerto un luogo – la sua ala – in cui il piccolo ha<br />

potuto costruire le sue “abitudini”; le abitudini che lo rendono<br />

insensibile alla realtà (cieco).<br />

Comunque qui è la madre al centro... Il figlio, arrivato in un<br />

albergo lontano da casa (dalla madre), entra nella “sua camera” che<br />

non sente per niente “sua” perché non è della madre... La camera<br />

desiderata è qui descritta come la camera visitata dalla madre:<br />

“quando sua madre seduta in una poltrona gli sorrideva senza<br />

parlare”...<br />

274 comme por s’élancer dehors, effrayée, désespérée, folle de n’en avoir pas la<br />

force, foule tumultueuse et faible, enfantine et tendre, comme une couvée de petits<br />

goélands qu’on jette à la mer quand le bord est perdu de vue et qui poussent des<br />

cris, brisent leur élan à l’impuissance de leurs ailes, appellent leur mére qui ne peut<br />

pas le entendre et sentent leur cœur sauter jusq’à elle sans qu’allant aussi vite que<br />

lui puissent la rejoindre?


268<br />

“[...] quando Jean entrava in quell’anima diffusa che era la sua<br />

camera, per così dire egli non faceva che rientrare in se stesso<br />

(rentrer en lui-même), o meglio, era la camera che entrava in lui (ou<br />

plutôt c’était sa chambre qui entrait en lui) con tutta la vivacità della<br />

simpatia e la dolcezza dell’abitudine (avec toute la vivacité de la<br />

sympathie et la douceur de l’habitude). Egli si sentiva, pur solo<br />

com’era, con cuore ricco, più disteso, più vasto”.<br />

Entrare nella propria camera = entrare in se stesso... No!, =<br />

entrare della camera in lui...<br />

Questo è stato il procedimento fondamentale: in contrasto con<br />

l’entrare nel nuovo (rappresentato dal mondo ma anche da “sé<br />

medesimi), fare entrare il nuovo... Cioè, invece di affrontarlo,<br />

addomesticarlo.<br />

Comunque, l’essenziale è che la manovra (dell’ingresso nella<br />

camera sua o della sua camera in lui etc.) avvenga sotto il segno<br />

dell’“abitudine”.<br />

Ascoltate la colonna sonora stridula dei tentativi di “entrare”<br />

nella camera ignota = nell’ignoto: “egli si sentì suo malgrado<br />

diminuito, indurito, smussato (diminué, durci, éponité), incapace di<br />

penetrare in quelle cose estranee che la simpatia non riusciva a<br />

schiudergli, a rompere il fascio (briser le faisceau) di quelle forze che<br />

parevano nemiche, ad aprirsi a una strada in quel mondo compatto,<br />

duro e glaciale (dans ce monde compact, dur et glacé). [...]. In quello<br />

specchio invece doveva cercare, con grandi sforzi dolorosi, di aprirsi<br />

una fessura (tâcher de se faire une fissure), di entrare. E il minuscolo<br />

palpito del cuore che balzava verso sua madre, cresceva, batteva<br />

ora proprio sotto la pelle”.<br />

Siglando: diminué, durci, épointé / briser le faisceau / compact,<br />

dur et glacé / une fissure..<br />

Sembra di risentire <strong>Proust</strong> nella lettera a Bibesco...<br />

Evidente: la durezza dell’ignoto richiede una eguale durezza da<br />

parte del suo investigatore. Jean è incapace di questa durezza.<br />

Si vede in quel letto, incapace di dormire, “col pensiero a sua<br />

madre, mantenuto lontano da lei (gardé loin d’elle) da quelle coperte<br />

mute e troppo ricamate, sentendo il palpito infinito del suo cuore<br />

crescere nel silenzio della notte, e l’irrevocabilità dell’assenza<br />

(l’irrévocable de l’absence), l’immobilità del riposo, l’angoscia della<br />

solitudine e dell’insonnia. La camera era una prigione; ma quel letto<br />

era la sua tomba”.<br />

Come nel “drame du coucher” qui a far problema è l’assenza;<br />

l’assenza della madre. Ad essa corrisponde la morte.


269<br />

Ricordate che anche in Dalla parte di Swann il Narratore sente<br />

che dovrà andare a seppellirsi: “scavarmi da me la mia tomba<br />

sistemando le coperte, indossare il sudario della camicia da notte”<br />

(SW, 35)...<br />

Che fa il nostro eroe? “Si slanciò fuori della stanza [...]”... Pronto<br />

a partire per rientrare a casa (della madre = “sua”)...<br />

Riecco però la minaccia: “Riparto, fra tre ore sarò felice, ah, la<br />

mamma... No, la mamma sarà seccata, forse si arrabbierà, è<br />

impossibile, domani sarò più calmo. Domani? Allora dovrò passare la<br />

notte qui? No! Parto”.<br />

Anche qui Shakesperare è richiamato in filigrana: dormire,<br />

sognare = domani; domani?<br />

Ma ecco il soccorso del telefono. Il nostro eroe deve fare<br />

“qualcosa che lo ponga [ponesse] immediatamente in comunicazione<br />

(en immediate communication) con la mamma”...<br />

Ci sono, però, degli ostacoli.<br />

Il tempo passa.<br />

“Ma commovente, limpido, ecco il campanello che trilla e pare<br />

balzare qua e là (mais, commotionant, clair, voici le timbre qui sonne,<br />

resonne, semble courir çà et là)...<br />

Altre difficoltà: la “voce forte e dura (forte et dure)” di un<br />

ragazzo; poi un’“altra voce forte e dura (forte et dure)...<br />

“Poi tutt’a un tratto (tout d’un coup) – ed è come se tutti se ne<br />

fossero andati dalla camera ed egli cadesse fra le braccia di sua<br />

madre – viene proprio contro di lui (vient là tout contre lui), così<br />

dolce, così fragile, così delicata, così chiara, così fusa (si douce, si<br />

fragile, si délicate, si claire, si fondue), come un piccolo frammento di<br />

ghiaccio spezzato (un petit morceau de glace brisée), la voce di sua<br />

madre. – Sei tu, caro? –”<br />

Sigliamo<br />

– il suono del campanello: commotionant, clair, voici le timbre qui<br />

sonne, resonne, semble courir çà et là;<br />

– delle voci dei ragazzi: forte et dure / forte et dure...<br />

– della voce della madre: si douce, si fragile, si délicate, si claire,<br />

si fondue, un petit morceau de glace brisée.<br />

Sembra evidente, soprattutto nella ricchissima aggettivazione<br />

della voce della madre, la compresenza del dolce e dello stridulo. Lo<br />

stridulo richiama lo stridulo del suono del campanello (che potrebbe,<br />

invece, essere qualificato “clamore”); ma il petit morceau de glace<br />

brisée richiama lo stridulo della lettera a Bibesco...<br />

Eppure esso abita la voce “ritrovata”!<br />

Ma ritrovata come?


270<br />

Il nostro eroe cade; tra le braccia della madre; la quale viene<br />

“contro di lui (contre lui)”; ma dolce etc.; anche se come un piccolo<br />

frammento di ghiaccio spezzato = la dolcezza comporta una<br />

incrinatura?<br />

È come se [elle lui] parlasse per la prima volta (pour la<br />

première fois), come se la ritrovasse, dopo la morte, in paradiso<br />

(comme s’il la retrouvait après sa mort dans le paradis), perché per<br />

la prima volta (pour la première fois) egli ode la voce di sua madre.<br />

Ascolta sempre quel che gli dice, ma la sua voce non l’aveva mai<br />

notata, non più della propria voce, d’altronde. Allora, ricevendola così<br />

tutt’a un tratto (tout d’un coup), proprio quando la desidera di più e<br />

meno l’aspetta (au moment où il le désire le plus et s’y attends le<br />

moins), quando è preparato ad udire ancora la voce di un ragazzo, è<br />

stupefatto per l’abisso che c’è tra quelle dure voci (ces dures voix) e<br />

quel piccolissimo frammento di ghiaccio spezzato (et ce tout petit<br />

morceau de glace brisée) su cui paiono colare lacrime, mentre tutte<br />

le pene sofferte da anni continuano a circolare in quella voce,<br />

singhiozzi o gemiti ch’essa non ha mai lasciato sfuggire per non<br />

addolorare i suoi e che [sono] nascosti là, vicinissimi, come i ricordi<br />

dei morti sono nell’aspetto consueto della sua camera (dans l’aspect<br />

coutumier de sa chambre), a un palmo di mano da lei (à un doigt<br />

d’elle), nei cassetti. Ma soprattutto quel che lo colpisce e lo stupisce<br />

dopo quelle voci maschili, è trovare in quella voce che pare cento<br />

miglia lontana dalle loro, trovare quella cosa che gli pare di non aver<br />

mai vista e di scoprire lì per la prima volta (pour la première fois): la<br />

dolcezza – la dolcezza, la piccola essenza divina che ha spesso<br />

sognata, non immaginandola affatto com’era, soave, magnifica<br />

(suave, magnifique): e che ora egli ha lì, nel suo orecchio,<br />

vicinissima, come i minuscoli frammenti offerti di un cuore spezzato<br />

(comme les petits morceaux offerts d’un cœur brisé), una piccola<br />

scheggia di ghiaccio che fonde (un petit morceau de glace qui fond).<br />

Tutto appare nuovo (vedi l’iterato “per la prima volta”); quindi si<br />

rivela l’ignoto; infatti, il ritrovamento della madre avviene come negli<br />

inferi... Già presenti gli accenni autoironici del Tempo Ritrovato: nel<br />

TR il Narratore legge il proprio invecchiamento in quello dei cadaveri<br />

ambulanti della matinée; qui scopre la propria voce in quella della<br />

madre... après sa mort. Non conosce nessuna delle due... Le sente<br />

per la prima volta... E accede alla rivelazione: nel TR la porta, infine,<br />

non spinta, si apre; qui è la voce della madre che – au moment où il<br />

le désire le plus et s’y attends le moins – gli si rivela.<br />

Diversa da quella dura e forte del ragazzo (dei ragazzi)...<br />

La rivelazione?


271<br />

L’“abisso” = la dimensione del Tempo...<br />

Il Tempo che ha portato via, con la sua falce, i genitori della<br />

madre (i suoi nonni)... La madre ha conservato i segni dei morti nei<br />

cassetti; ma ha conservato un aspetto “consueto” alla sua camera...<br />

Ha cercato di non incrinare l’abitudine...<br />

Ma “soprattutto” egli “trova” quel che non ha mai visto: la<br />

dolcezza. Non l’ha mai immaginata così: insieme “soave, magnifica”<br />

e “vicinissima come i minuscoli frammenti offerti di un cuore spezzato<br />

(comme les petits morceaux offerts d’un cœur brisé), una piccola<br />

scheggia di ghiaccio che fonde (un petit morceau de glace qui fond).<br />

Siglando: petits morceaux offerts d’un cœur brisé / petit<br />

morceau de glace qui fond. Sembra che la durezza, lo stridulo,<br />

dell’aggettivazione complessiva sia smussata dal “petit” iterato... e<br />

dal “fond”. Il “fond”, se da una parte addolcisce il “morceau”, dall’altra<br />

suggerisce una possibilità di elevarsi verso l’alto...<br />

Cioè: la scoperta (la rivelazione) è della coesistenza possibile<br />

dei diversi aspetti della realtà; del noto e dell’ignoto; della vita e della<br />

morte...<br />

Non rimane che l’esaltazione di questa voce in cui coesiste la<br />

presenza e l’assenza: “Come sente allora tutto quel che egli è per<br />

sua madre. [...]. In quel frammento di voce spezzata (dans ce petit<br />

morceau de voix brisée) si sente tutta la sua vita per lui, l’unica<br />

tenerezza che sia tutta per lui (toute à lui) senza nemmeno una<br />

particella trattenuta per sé, la voce pura come una scheggia di<br />

ghiaccio (pure comme un petit morceau de glace) dove non c’è voce,<br />

né forza, non la voce e non la forza dell’orgoglio, dell’egoismo, dei<br />

desideri, dell’interesse, ma solo la voce della dolcezza, della<br />

sovrannaturale dolcezza che era vicino a lui senza che egli lo<br />

sapesse, che non aveva nulla di straordinario, in apparenza, e che,<br />

sorpresa così, tutt’a un tratto (tout à coup), fra [quelle] altre voci, si fa<br />

sentire come se fosse a cento miglia da quelle; la voce della<br />

dolcezza che si rompe e si fonde (qui se brise et fond) tanto cara<br />

all’orecchio del cuore.<br />

Siglando: ce petit morceau de voix brisée / pure comme un<br />

petit morceau de glace / qui se brise et fond.<br />

Di nuovo la coesistenza.<br />

“Ma egli è ben presto riafferrato dalla vita; che cosa deve dirle?<br />

Si parlano ed egli non ode [più] la sua voce, come, vivendo con lei,<br />

non conosce la sua persona. Essa è là. Pur continuando a parlare,<br />

come di questioni pratiche, si dice; – Mamma, mamma, sei là,<br />

avvicinati, voglio darti un bacio (je veut t’embrasser), oh, passerà<br />

molto tempo prima che ti possa dare un bacio (je ne t’embrasserai


272<br />

pas d’ici longtemps), mamma, mammina, mamma! – S’accorge che<br />

sua madre si stanca, non comprende più distintamente quel ch’essa<br />

gli sta dicendo... Il campanello suona. È finito (Il sonne. C’est fini)”.<br />

Il sonne. C’est fini.<br />

Ricordate la sottrazione all’ultimo momento del bacio da parte<br />

di Albertine? “Stavo per conoscere l’odore, il sapore di quell’ignoto<br />

frutto rosa. Sentii il suono precipitoso, prolungato e stridulo<br />

(j’entendis un son précipité, prolongé et criard). Albertine, con tutte le<br />

sue forze, aveva suonato (Albertine avait sonné de toutes ses<br />

forces)” (OF, 934; 1128)...<br />

Che cosa finisce qui? Non il bacio della madre, della sorella,<br />

dell’amante etc... Ma il bacio della madre etc. vivente e morta;<br />

presente-assente. Finisce qui la rivelazione della compresenza della<br />

presenza e dell’assenza e della capacità di viverle insieme che si è<br />

data in un’estasi.<br />

Non a caso, come sappiamo dalla medesima lettera – 20<br />

octobre, mardi soir 7 heures – in cui <strong>Proust</strong> ha parlato alla madre<br />

dell’“heure épuovantable”, egli ha riorganizzato la disposizione dei<br />

mobili della stanza, l’ha piegata, il più possibile, ai suoi bisogniabitudini:<br />

“Je viens de parler à la femme de chambre, elle va me<br />

mettre mon lit autrement, tête au mur (parce qu’on ne peut ôter les<br />

ciels de lit), mais le lit au milieu de la cambre. Je crois que ce sera<br />

plus commode pour moi” (CORR, II, 138).<br />

3) Giornate di lettura<br />

Qui il telefono viene evocato per la sua comodità fittizia, fittizia<br />

perché nasconde un mistero, qualcosa di “sacro”: “Prima [di metterci<br />

a leggere] facciamo molte telefonate. E poiché siamo bambini e<br />

giochiamo con le forze sacre senza tremare [sans frisone = Kafka]<br />

dinanzi al loro mistero, del telefono pensiamo soltanto che ‘è<br />

comodo’, anzi, dato che siamo bambini viziati, pensiamo che ‘non è<br />

abbastanza comodo’ [...]”.<br />

Il telefono è comodo perché rende presente l’assente; anche se<br />

– è qui il “vizio” dei bambini “viziati” – si chiede al telefono d’essere<br />

più rapido a togliere l’assenza: “[...] non troviamo ancora<br />

sufficientemente rapido nei suoi mutamenti l’ammirevole incantesimo<br />

nel quale, in effetti, trascorrono a volte alcuni minuti prima che<br />

compaia accanto a noi, invisibile ma presente, l’amica con la quale<br />

avevamo il desiderio di parlare, e che, pur restando al suo tavolino,<br />

nella città lontana dove abita, sotto un cielo diverso dal nostro, con


273<br />

un tempo diverso che noi ignoriamo e ch’essa sta per raccontarci, si<br />

trova d’un tratto (tout à coup) trasportata a cento miglia di distanza<br />

(lei, e tutto l’ambiente in cui rimane immersa), contro il nostro<br />

orecchio, nel momento in cui il nostro capriccio l’ha ordinato”.<br />

Il paradosso sta nel fatto che le “Vergini vigilanti” etc., rendono<br />

presente l’assente, ma, loro, rimangono invisibili: “Perché questo<br />

miracolo si rinnovi per noi, non dobbiamo far altro che accostare le<br />

labbra alla membrana magica e chiamare – a volte un po’ a lungo, lo<br />

ammetto – le Vergini vigilanti delle quali udiamo ogni giorno la voce<br />

senza mai conoscerne il volto (dont nous entendons chaque jour la<br />

voix sans jamais connaître leur visage) e che sono i nostri Angeli<br />

custodi delle tenebre vertiginose di cui sorvegliano le porte, le<br />

Onnipossenti per opera delle quali i volti assenti sorgono accanto a<br />

noi, senza che ci sia consentito di scorgerli (sans qu’il nous soit<br />

permis de les apercevoir) [...]”...<br />

Non solo queste Vergini... rimangono a noi invisibili, ma, quali<br />

Danaidi dell’Invisibile, Furie gelose, interrompono il nostro “contatto”<br />

con l’invisibile nostro interlocutore: “mentre mormoriamo una<br />

confidenza (tandis que nous murmurons une confidence) ci gridano<br />

ironicamente: ‘Vi ascolto’ proprio nel momento in cui speravamo che<br />

non ci udisse nessuno, le irate officianti del Mistero, le Divinità<br />

implacabili, le signorine del telefono!”<br />

Riecco les demoiselles du téléphone evocate dalla madre...<br />

“Ed appena il loro richiamo ha risuonato nella notte piena di<br />

apparizioni sulla quale le nostre orecchie sole si aprono, un rumore<br />

leggero, un rumore astratto (une bruit léger, un bruit abstract) –<br />

quello della distanza soppressa (celui de la distance supprimée) –,<br />

ed ecco che la voce della nostra amica si rivolge e noi”...<br />

Se le Furie gelose possono interrompere la nostra<br />

conversazione telefonica, restaurando così la distanza da poco<br />

abolita, è vero anche che suoni che importunano la voce<br />

dell’interlocutore finiscono col consolidare l’impressione che la<br />

distanza è stata realmente abolita, un ponte è stato gettato: non solo<br />

con l’interlocutore ma con il mondo a cui egli appartiene: “Se, in quel<br />

momento, entra dalla sua finestra (par sa fenêtre) e giunge a<br />

importunarla, mentre ci parla, la canzone di un passante, la tromba di<br />

un ciclista o la fanfara lontana di un reggimento in marcia, tutti questi<br />

suoni echeggiano non meno distintamente per noi (quasi a<br />

dimostrarci che è proprio lei che ci sta accanto, con tutto quel che la<br />

circonda in quel momento, quel che colpisce le sue orecchie e<br />

distrae la sua attenzione) – frammenti di verità, estranei<br />

all’argomento della conversazione, inutili in se stessi, ma tanto più


274<br />

necessari a rivelarci tutta l’evidenza del miracolo – tocchi sobri e<br />

fascinosi di colore locale, atti a descriverci la via e lo stradone di<br />

provincia su cui si affaccia casa sua, tocchi quali li sceglie un poeta<br />

quando vuole, dando vita ad un personaggio, evocare intorno a lui il<br />

suo ambiente”.<br />

In questo scritto <strong>Proust</strong> in modo meno drammatico, chiamando<br />

le signorine del telefono: Vergini vigilanti, Angeli custodi,<br />

Onnipossenti, Danaidi dell’Invisibile, Furie gelose, Divinità<br />

implacabili; dando cioè ad esse, per definizione “invisibili”, funzione<br />

protettrice (Angeli custodi) ma anche persecutrice (Furie gelose),<br />

sottolinea il fatto che la stessa “presenza” implica l’assenza. La<br />

“présence réelle” – quella del corpo e del sangue del Cristo che, per<br />

transustansazione, è passato nel pane e nel vino della Santa Cena,<br />

è anche e inevitabilmente assenza (morte; anche attraverso la<br />

crocefissione): “È lei. È la sua voce che ci parla, che è presente (qui<br />

est là). Eppure com’è lontana! Quante volte non l’ho potuta ascoltare<br />

senza angoscia, come se davanti a quell’impossibilità di vedere,<br />

senza lunghe ore di viaggio, colei la cui voce era così vicina al mio<br />

orecchio, avvertissi meglio quel che c’è di deludente nell’apparenza<br />

della più dolce vicinanza e a quale distanza possiamo essere alle<br />

cose amate nel momento stesso in cui pare che non avremmo che<br />

da tendere la mano per trattenerle. Presenza reale (présence réelle)<br />

– questa voce vicina – nell’effettiva separazione (dans la séparation<br />

effective). Ma anche anticipazione di una separazione eterna. Molto<br />

spesso, ascoltandola così, senza vedere colei che mi parlava da<br />

tanto lontano, mi è parso che quella voce gridasse dalle profondità<br />

da cui non c’è ritorno (que cette voix clamait des profondeurs 275 d’où<br />

l’on ne remonte pas), ed ho conosciuto l’ansia che mi avrebbe<br />

affettato un giorno, quando una voce sarebbe ritornata così, sola e<br />

non più legata ad un corpo che non avrei riveduto mai, per<br />

mormorarmi all’orecchio parole che avrei voluto poter baciare a volo<br />

su labbra ormai in polvere per sempre (que j’aurais voulu pouvoir<br />

embrasser au passage sur des lèvres à jamais en pussière)”.<br />

3) La parte dei Guermantes<br />

L’abbiamo capito: presenza reale è anche reale assenza e<br />

viceversa. Non se ne esce: se si è nel categoriale! Diversamente,<br />

più profondamente, il dilemma è tra essere dentro o fuori dal<br />

275 Vox clamans in deserto...


275<br />

categoriale; e tale problema si pone solo a chi è ormai dentro il<br />

categoriale. Per costui la scena madre, la scena primaria, è una<br />

finestra sull’acategoriale...<br />

L’impressione netta è che nel Jean Santeuil troviamo tutto; il<br />

problema e la sua soluzione; Dalla parte di Swann e il Tempo<br />

ritrovato. Le tappe successive servono a creare delle “cadenze”.<br />

In La parte dei Guermantes ritroviamo il pezzo di Giornate di<br />

lettura perfezionato.<br />

A perfezionare quello di Jean Santeuil.<br />

“Quel giorno a Doncières il miracolo, ahimè, non accadde (ce<br />

jour-là, à Doncières, le miracle n’eut pas lieu)”.<br />

E segue il gioco al massacro tra le comunicazioni possibili: il<br />

Narratore arriva all’ufficio postale, la nonna lo ha già chiamato; entra<br />

nella cabina: “la linea era occupata, a parlare era qualcuno il quale,<br />

evidentemente, ignorava che non ci fosse nessuno (qu’il n’y avait<br />

personne) a rispondergli giacché, quando portai all’orecchio il<br />

ricevitorie, quel pezzo di legno si mise a sbraitare come Pulcinella<br />

(ce morceau de bois se mit à parler comme Pulchinelle); io lo feci<br />

tacere (je le fis taire), come al teatro dei burattini, rimettendolo al suo<br />

posto, ma, proprio come Pulcinella, non appena tornavo a prenderlo<br />

ricominciava il suo sproloquio (il recommançait son bavardage).<br />

Come estrema, disperata risorsa finii, riagganciando definitivamente<br />

il ricevitore, col soffocare le convulsioni del troncone sonoro (par<br />

étouffer le convulsions de ce tronçon sonore), che blaterò (qui<br />

jacassa) fino all’ultimo secondo, e andai a cercare l’impiegato, il<br />

quale mi disse d’aspettare un momento; poi parlai, e dopo qualche<br />

istante di silenzio giunse al’improvviso (tout d’un coup) quella voce<br />

che a torto credevo di conoscere perfettamente (cette voix que je<br />

croyais à tort de connaître si bien) [...]”<br />

qu’il n’y avait personne / ce morceau de bois se mit à parler<br />

comme Pulchinelle / je le fis taire / recommançait son bavardage /<br />

par étouffer le convulsions de ce tronçon sonore / qui jacassa / tou<br />

d’un coup<br />

“Si bien?” Illusione.<br />

Dopo l’apertura sulle demoiselles, ripresa da Giornate di<br />

Lettura, la delusione, ripresa da Jean Santeuil. Qualche variante: il<br />

Narratore ha sempre seguito ciò che diceva sullo “spartito aperto del<br />

suo viso (la partition ouverte de son visage)” dove gli occhi avevano<br />

una parte importante: “mentre la sua voce in quanto tale, l’ascoltavo<br />

oggi per la prima volta (pour la première fois)”. Diventata “un tutto”<br />

indipendente dai ricordi, priva dell’“accompagnamento dei tratti del<br />

volto”, manifesta al


276<br />

Narratore la sua dolcezza: “scopersi quanto dolce fosse quella<br />

voce; né forse, d’altronde, lo era mai stata fino a quel punto (peutêtre<br />

d’ailleurs ne l’avait-elle jamais été à ce poit)”.<br />

Quindi, una totale novità.<br />

Una voce nuova, una nonna nuova.<br />

Raramente <strong>Proust</strong> che insiste sulla “creazione” o “ricreazione”<br />

ha segnalato una così radicale svolta; in questo caso: dalla nonna<br />

che conosceva a quest’altra.<br />

Peraltro, la nonna crede di potersi “abbandonare all’effusione di<br />

una tenerezza che di solito conteneva e celava per “principi<br />

educativi”...<br />

Ritorniamo al tema dei principi educativi del “drame du<br />

coucher”... Ma con un approfondimento: “Era dolce; ma com’era<br />

triste, anche, a causa innanzitutto della sua stessa dolcezza,<br />

decantata, quasi, più di quanto poche voci umane siano mai riuscite<br />

ad esserlo, d’ogni durezza, d’ogni egoismo, di qualsiasi elemento di<br />

resistenza agli altri! Fragile a forza di delicatezza. Sembrava di<br />

continuo sul punto di spezzarsi, di spirare in un puro fiotto di lacrime:<br />

e avendola tutta sola accanto a me, guardandola così senza<br />

maschera del volto, notavo per la prima volta (pour la première fois) i<br />

segni delle afflizioni che l’avevano incrinata nel corso della vita”.<br />

L’ultimo accordo richiama Dalla parte di Swann: “Certo, il bel<br />

viso di mia madre brillava ancora di giovinezza quella sera, mentre<br />

mi stringeva teneramente le mani e cercava di frenare le mie lacrime;<br />

ma mi sembrava, ecco, che fosse qualcosa che non avrebbe dovuto<br />

essere, e la sua collera sarebbe stata meno triste per me di quella<br />

dolcezza nuova che la mia infanzia non aveva mai conosciuta; mi<br />

sembrava di aver tracciato nella sua anima, con mano empia e<br />

segreta, una prima ruga, di averle fatto spuntare un primo capello<br />

bianco” (SW, 48).<br />

Siamo in pieno Jean Fanteuil... ma impreziosito. La tristezza<br />

proviene “innanzitutto” dalla dolcezza Ò sembra un ossimoro ed è è<br />

una condensazione ed una sineddoche... La nonna è dolce proprio<br />

perché è triste... // la dolcezza è decantata, quasi, più di quanto<br />

poche voci umane siano mai riuscite ad esserlo Ò un superlativo //<br />

fragile a forza di delicatezza Ò altra condensazione e sineddoche //<br />

sempre sul punto si spezzarsi...<br />

Siamo nel “primario”; nel “fuori maschera”; nell’a-categoriale...<br />

Di che cosa è onomatopea tutto questo? “Elle était douce, mais<br />

aussi comme elle était triste, d’abord à cause de sa douceur même,<br />

presque décantée. Plus que peu de voix humaines ont jamais dû


277<br />

l’être [...] fragile à force de délicatesse, elle semblait à tout moment<br />

prête à se briser, à expirer en un pur flot de larmes [...]”. 276<br />

Tutto cambia in virtù di un radicale “isolamento”: della nonna<br />

“per la prima volta separata da me (pour la première fois séparée de<br />

moi)”... “Gli ordini, i divieti [...] erano aboliti in quel momento e<br />

potevano esserlo anche per il futuro dal momento che la nonna non<br />

esigeva ch’io restassi accanto a lei, sottoposto alla sua legge<br />

(n’exigeat plus de m’avoir près d’elle sous sa loi)”.<br />

Abbiamo visto che l’indicazione “pour la première fois” nel Jean<br />

Santeuil ricorre tre volte; rieccola qui; essa indica il “primario” della<br />

“scena primaria”. È, infatti, per la prima volta che il Narratore si trova<br />

fuori dal categoriale (sa loi)... Ma, forse, più importante ancora: (pour<br />

la première fois) “séparée de moi”. Quasi che la separazione fosse<br />

una conquista... Quasi che il fare comunità, con la mamma, con la<br />

nonna... fosse accettare una “loi” come sempre “sa loi”, legge di un<br />

altro.<br />

Anche se la “libertà” acquisita (“la libertà che ormai mi<br />

lasciava”: di trattenermi a Doncières) che il Narratore non era mai<br />

riuscito ad immaginare... gli sembra “all’improvviso triste come la<br />

libertà che mi sarebbe toccata dopo la sua morte”.<br />

“Gridai: ‘Nonna, nonna’ [...]”.<br />

La comunicazione è caduta. Entrambi cercano di ristabilirla, ma<br />

invano.<br />

Angoscia: il Narratore ricorda quando, bambino, l’aveva perduta<br />

tra la folla: “angoscia, più che di non ritrovarla, di sapere che lei mi<br />

stava cercando e pensava ch’io la stessi cercando” Ò di nuovo<br />

condensazione e sineddoche mobile; “angoscia abbastanza simile a<br />

quella che avrei provata un giorno parlando a qualcuno che non può<br />

più rispondere e che si vorrebbe, almeno, potesse ascoltare tutto<br />

quanto non gli abbiamo mai detto (au moins tant faire entendre tout<br />

ce qu’on ne leur a pas dit), e sapere che non soffriamo” Ò tale e<br />

quale “né forse, d’altronde, lo era mai stata sino a quel punto”...<br />

Comunione delle anime; al di là di ogni dicibile... C’è qualcosa<br />

che non abbiamo mai detto; chissà, forse non riusciremo a dirlo mai;<br />

se solo riuscissimo a far sapere che non soffriamo più...<br />

5) Sodoma e Gomorra<br />

276 A proposito di onomatopeia vedi La phrase de <strong>Proust</strong>, in Julia Kristeva, op. cit.,<br />

pp. 341 sgg.


278<br />

Anche qui, ampi stralci soprattutto di Giornate di lettura. Ma<br />

tutto immerso nella tensione della gelosia...<br />

Una serie di manovre: il Narratore, nella speranza che Albertine<br />

gli telefoni, gira il commutatore e ristabilisce la comunicazione tra il<br />

centralino e la sua camera... Sarebbe stato più semplice avere un<br />

ricevitore nel piccolo corridoio su cui si affaccia la camera di<br />

Fançoise... Ma quest’ultima odia il progresso: citazione da Giornate<br />

di lettura a proposito del telefono come invenzione... Quindi, il<br />

telefono è stato installato nella camera del Narratore e, “per evitare<br />

che disturbasse i suoi [mie] genitori, la suoneria (sonnerie) era stata<br />

sostituita con una semplice raganella (bruit de tourniquet)”...<br />

Il Narratore è “torturato dall’incessante ritorno del desiderio [...]<br />

di udire il segnale della chiamata (bruit d’appel)”: “poi, al culmine di<br />

una tormentata ascensione nelle spirali della mia angoscia solitaria,<br />

dal fondo (du fond) d’una Parigi popolosa e notturna fattasi ad un<br />

tratto vicina (proche soudain de moi), affiancatasi alla mia libreria,<br />

sentii di colpo (tout d’un coup), meccanico e sublime (mécanique et<br />

sublime) come, nel Tristano, lo sventolìo della sciarpa o l’oboe del<br />

pastore, il ronzio di trottola del telefono (le bruit de toupie du<br />

téléphone). Mi precipitai, era Albertine”.<br />

Segue una telefonata tormentatissima. Passano messaggi<br />

contraddittori, tormentati dalla gelosia (del Narratore) e dalla<br />

(supposta) mendacità (di Albertine)...<br />

Una parte che abbiamo già incontrato in Giornate di lettura qui<br />

si carica d’altri significati: “Ma dov’era (mais où était-elle)? Alle sue<br />

parole si mischiavano altri suoni: la tromba d’un ciclista, la voce<br />

d’una donna che cantava, la fanfara lontana risuonavano<br />

(retentissaient) non meno distintamente della cara voce, come per<br />

mostrarmi che accanto a me (près de moi), in quel momento, c’era<br />

proprio Albertine nel suo ambiente attuale, come una zolla di terra<br />

assieme alla quale si fossero prelevate tutte le graminacee che la<br />

circondavano”.<br />

Evidentemente non basta! Quel che dovrebbe permettere una<br />

collocazione di Albertine (una risposta alla domanda angosciata: “Ma<br />

dov’era?”) testimonia solo il suo essere altrove.<br />

Leggete la lunga telefonata (alla fine della quale: “Françoise<br />

entrò ad annunciarmi: ‘C’è la signorina Albertine”)...<br />

Ad un certo punto un nesso col “drame du coucher”: quel che ci<br />

si aspettava: “[...] sentii come al desiderio di rivedere il viso vellutato<br />

che, già a Balbec orientava ciascuna delle mie giornate verso il<br />

momento in cui, davanti al mare violetto di settembre, sarei stato<br />

vicino a quel fiore roseo, tentasse dolorosamente d’unirsi un


279<br />

elemento ben diverso. Avevo imparato a riconoscerlo a Combray,<br />

quel terribile bisogno di un essere, in rapporto a mia madre, e tanto<br />

da voler morire se lei mi mandava a dire da Françoise che non<br />

sarebbe salita. Un simile sforzo dell’antico sentimento per<br />

combinarsi, così da fare tutt’uno, con l’altro, più recente, che aveva<br />

come unico voluttuoso oggetto la superficie colorata, il roseo<br />

incarnato d’un fiore di spiaggia, questo sforzo, spesso, finisce<br />

semplicemente col creare (nel senso chimico del termine) un corpo<br />

nuovo, destinato a durare solo pochi istanti. Almeno per quella sera,<br />

e per molto tempo ancora, i due elementi rimasero dissociati. Ma già<br />

sulla scorta di quelle ultime parole udite al telefono, cominciai a<br />

capire che la vita di Albertine era situata (non materialmente, certo) a<br />

una tale distanza da me, che mi sarebbero sempre occorse faticose<br />

esplorazioni per metterci sopra le mani [...]”.<br />

I due elementi sono il bisogno dell’essere-madre e quello<br />

dell’essere-amante...<br />

Abbiamo già dimostrato (?) che i due elementi convergono in<br />

uno. 277<br />

277 Tra quel che segue anche una qualificazione dell’amante (e, per<br />

intermediazione, della madre) come “puttana”; un classico! Albertine faceva parte<br />

di quella categoria di persone “cui la portinaia si impegna, con il fattorino, a<br />

consegnare la vostra lettera non appena rincaseranno – fino a quando, un bel<br />

giorno, scoprite che lei stessa, la persona incontrata altrove, e alla quale vi siete<br />

permessi di scrivere, è la portinaia. Abita veramente, insomma, all’indirizzo che vi<br />

ha dato, ma in portineria (e, d’altronde, l’indirizzo è quello di una piccola casa<br />

d’appuntamenti, di cui la persona in questione, oltre che portinaia, è anche<br />

tenutaria)”.


1) Tasse de thè e tasse<br />

280<br />

Cap. 18<br />

AD INFINITUM?<br />

Cercherò di presentare lo “schema” del ragionamento che, a<br />

proposito del “drame du coucher” e della “tasse de thé” e del nesso<br />

stretto e rivelatore che esiste tra i due episodi, svolge Julia Kristeva<br />

nel suo lavoro su <strong>Proust</strong> già citato – <strong>Proust</strong>. Le temps sensible<br />

(Gallimard, Paris, 1994) – che a noi sembra, almeno ad oggi, il<br />

migliore, il più originale, il più penetrante. (Verrebbe da dire:<br />

nonostante che Kristeva sia una psicoanalista).<br />

Ricordiamo in quali termini la madeleine emerge: “Elle [mia<br />

madre] envoya chercher un de ses gâteaux courts ed dodus appelés<br />

Petites Madeleines qui semblent avoir été moulés dans la valve<br />

rainurée dun coquille de Saint-Jacques” (SW, tadié, 44) = “Mandò a<br />

prendere uno di quei dolci corti e paffuti che chiamano petites<br />

madeleines e che sembrano modellati dentro la valva scanalata di<br />

una ‘cappasanta’” (SW, 55).<br />

Da dove vengono le madeleines? Sappiamo che all’inizio del<br />

Contro Saint-Beuve la madeleine è rappresentata da “pane<br />

abbrustolito (pain grillé)” (CSB, 211-212; 6-7). Se consideriamo,<br />

invece, la Recherche, dal pain grillé si passa alla madeleine; che<br />

però, prima si chiama biscotte... Nei folios 2 r°-10 r° del Cahier 25 si<br />

trova una nuova versione del testo sulla memoria involontaria, rifatta<br />

rispetto al Cahier 8, ed è qui che la biscotte si trasforma in petite<br />

madeleine... (vedi Introduzione a Du coté de chez Swann, ed. Tadiè,<br />

vol. I, p. 1068 e SW, ES XIV, 697-702).<br />

Kristeva parte dalle Maddalene del vangelo e privilegia Maria<br />

Maddalena la peccatrice (Luca 7, 37; Giovanni, 12, 1-8; 20, 15)<br />

Attraverso i secoli Maria Maddalena diventa la patrona dei<br />

profumieri, dei guantai e delle donne pentite. Nel XVII secolo il nome<br />

comune di “maddalena” viene dato ai frutti dell’epoca della Santa-<br />

Maddalena (pesche, prugne, mele, pere). Nel XIX secolo si<br />

designano con lo stesso nome dei dolci in omaggio ad una cuoca,<br />

Madeleine Paulmier. Il dolce è popolare a Illiers (Combray)...<br />

Peraltro Illiers è una tappa del pellegrinaggio medievale che va<br />

da Parigi al santuario di San Giacomo di Compostella in Ispagna. La<br />

chiesa di Illiers porta il nome di San Giacomo e il dolce ricava la sua


281<br />

forma dalla conchiglia che i pellegrini attaccavano al cappello o al<br />

mantello = coquilles Saint-Jacques.<br />

Come e perché si passa dalla prosaica “biscotte” al nome di<br />

peccatrice, poi di santa, poi di banale “friandise”...<br />

François le Champi è un testo che contribuisce a strutturare la<br />

ricerca. 278 Esso, infatti, compare all’inizio della Recherche: la madre<br />

del Narratore lo legge la notte che passa con Narratore; e alla sua<br />

fine: nella biblioteca del principe di Guermantes il volume “campêtre”<br />

provoca il quarto ricordo involontario e la rivelazione dell’estetica<br />

dello scrittore....<br />

François le Champi narra la storia di un bambino ritrovato –<br />

“champi veut dire ‘enfant trouvé’ en potois berrichon” – che, accolto<br />

dalla mugnaia Madeleine Blanchet, è fatto oggetto d’un amore<br />

inconscio da parte di quest’ultima; poi diventa l’amante, quindi il<br />

marito della madre adottiva quando, adulto, ritrova Madeleine<br />

diventata, nel frattempo, vedova.<br />

L’atmosfera erotica sembra che abbia urtato i contemporanei<br />

soprattutto dopo la sua rappresentazione all’Odéon nel 1849: “On est<br />

donc fondé à penser que c’est précisément le thème incestueux,<br />

celui de la mère pécheresse, qui a retenu et maintenu l’attention de<br />

<strong>Proust</strong> sur François le Champi, par-delà ses réticences vis-à-vis du<br />

style de G. Sand. La meunière Madeleine Blanchet trasmettra ainsi,<br />

avec la blancheur de sa farine, le goût d’un amour interdit qui va<br />

s’insinuer dans le credo esthétique du narrateur, transformé en objet<br />

apparemment anodin: les pedites madaleines” (20).<br />

Kristeva segnala due fatti, “minori”, che, nel corso<br />

dell’evoluzione del testo, attraverso le sue varie esquisses, gettano<br />

una luce interessante sulla genesi della scrittura proustiana.<br />

1.<br />

Il nome di Madeleine Blancot appare in una variante di Du côté<br />

de chez Swann: “[...] je sentais que [...] elle [l’incontro con Madeleine<br />

Blanchet) aurait plus tard de l’importance dans la vie des<br />

personnages, que se c’était pas un scène détachée, mais un<br />

commencement qui tendait vers un avenir inconnu” (SW, VR, 1117);<br />

quindi scompare.<br />

Come mai?<br />

2.<br />

Il 1 marzo 1896 La vie contemporaine pubblica una novella di<br />

<strong>Proust</strong> L’Indifférent. Questa novella è stata scoperta e pubblicata da<br />

Philip Kolb nel 1978. In una lettera del 1910 a Robert de Fleurs<br />

278 Vedi la lettera a Lucie Daudet del settembre 1913 (CORR, XII, 259) + (SW, VA,<br />

1118-1122).


282<br />

(CORR, X, 196-197) <strong>Proust</strong> chiede all’amico se ha una copia di<br />

questa novella... Evidentemente l’ha perduta ma la vuole rileggere...<br />

Una donna, che si chiama Madeleine de Gouvres, vi si<br />

innamora di un giovane, Lepré, che le è “indifferente”... Egli ama le<br />

prostitute...<br />

Kristeva suggerisce un parallelo tra Madeleine/Indifferente e<br />

Odette/Swann; Odette sarebbe un amalgama delle prostitute amate<br />

dall’Indifferente e la nobile donna che si chiama Maddalena; un<br />

ponte possibile: l’amore comune per le cattleye... (“mot fétiche” di<br />

Odette e di Swannn... “faire cattleya”...).<br />

Kristeva: l’incesto alla Sand, dal giovane <strong>Proust</strong> (che scrive<br />

L’Indifferente), è capovolto, camuffato, reso ancora più vizioso: la<br />

sua Maddalena è intoccabile ma essa ama; Lepré ama, ma delle<br />

“donne ignobili”. “De la farine de George Sand émergent les cattleyas<br />

d’une passion noble et froide qui côtoie l’gnoble” (23)<br />

Ponte ancora più convincente: <strong>Proust</strong>, mentre scrive di Swann,<br />

ha bisogno de L’Indifferente e lo chiede al suo amico... proprio<br />

perché Swann e Odette gli richiamano Lepré e Madeleine de<br />

Gouvres...<br />

In buona sostanza Kristeva propone che la “tazza di tè” sia<br />

carica di un’ambivalenza fortissima.<br />

È la madre che gliela offre...<br />

Quando la memoria involontaria da essa fa sorgere Combray, il<br />

Narratore si ricorda di quando era la zia Léonie a offrirgliela.<br />

La madre, quindi,<br />

(1) è la madre di cui il Narratore ha bisogno e che gli si concede =<br />

incesto (Madeleine Blanchet),<br />

(2) è la madre a cui il Narratore si rifiuta (Madeleine de Gouvres) =<br />

degradazione...<br />

La peccatrice Maria Maddalena sarà santificata in un modo del<br />

tutto diverso da quello narrato dai Vangeli: “la parte excitante de la<br />

femme, de la mère, gèle en femme intouchable dans l’Indifférent”<br />

(26). La madeleine avrà, quindi, un sapore puro e dolce; del<br />

rapporto con la madre conserverà solo la tenerezza. Ma...<br />

Kristeva segnala altre Maddalene... Il Narratore associa ad un<br />

Tempio, questa volta orientale, i dolci che accompagnano il tè dagli<br />

Swann (SW, 497; 611)...<br />

Ma torniamo all’ambivalenza: la madeleine offerta al Narratore<br />

dalla madre diventa, attraverso la memoria involontaria, quella<br />

offertagli dalla zia: Kristeva vi vede uno “spostamento”: l’esperienza<br />

presente – “la madeleine maman” – sarebbe d’un’intensità distruttiva<br />

(32); per questo si sposta sull’esperienza passata, sulla “madeleine


283<br />

zia”... Abbozzata a distanza, la zia Léonie “suggère une version<br />

dérisoire de l’image maternelle que le narrateur n’aura aucun mal à<br />

désacraliser” (32). Darà a un bordello il “canapé” della zia, quello<br />

stesso sul quale ha conosciuto i primi piaceri: con una cuginetta (di<br />

nuovo l’incesto) (OF, 568; 698)... “[...] on comprend [...] que tante<br />

Léonie assume le rôle de cette mère sur laquelle le narrateur doit se<br />

venger pour enfin s’en séparer et qu’adviennent le plaisir sexuel ainsi<br />

que l’écriture” (33). 279 La madaleine della zia aveva permesso “à la<br />

saveur vertigineuse” provocata dalla maddalena della madre, “de<br />

trouver son sens et ses mots”. All’altro capo del percorso iniziatico<br />

dell’adolescente, il giovane uomo gode introducendo nell’orgia del<br />

bordello l’innocenza degli idilli amorosi e incestuosi con la cugina sul<br />

canapé della zia... “À deux reprises, donc, une gradation de la<br />

maternité rabaissée – d’abord, simplement distante; enfin<br />

explicitement profanée – assure le temps sensible du narrateur. Son<br />

style: dire la saveur de la madeleine. Et sono plaisir: jouir en se<br />

vengeant” (33).<br />

Kristeva, sostituendo al bordello di cui in All’ombra delle<br />

fanciulle in fiore quello degli uomini di Le Temps retrouvé, può<br />

affermare che l’oralità mobilizzata dalla madeleine “révèle son sens<br />

pervers. Têter le sein maternel devient fellation. Le liquide qui muille<br />

l’objet du désir excite la pulsion orale autant que la pulsion urétrale.<br />

Le thè ne rappelle-t-il pas davantage l’urine que le lait? L’érotisme<br />

homosexuel connaît le rituel du pain trempé dans l’urine. De quoi<br />

profaner non seulement maman et les madeleines, mais l’eucharistie<br />

elle-même. Toutes convoquées, adorées et avilies” (34)<br />

(Peraltro, nell’argot, tasse sta per orinatoio pubblico).<br />

<strong>Su</strong>ggerisco di leggere questo libro. Kristeva sviluppa la sua<br />

ricerca, a partenza da questa interpretazione della tazza di tè come<br />

sbocco del dramma dell’andare a letto; attraverso l’esperienza con<br />

Albertine: “On ne sait pas assez que c’est surtout par les seins que<br />

les femmes l’éprouvent [la jouissance]. Et, voyez, les leurs se<br />

touchent complètement” (SG, 191)... per finire col barone di Charlus<br />

nel bordello maschile...<br />

279 Kristeva segnala che, sia nell’episodio della “tazza di tè”, sia in quello del<br />

“canapé” della zia, è questione di migrazione di anime morte: “Ma non appena li<br />

trovai [i mobili] là, dove quelle donne se ne servivano, tutte le virtù che respiravano<br />

nella camera di mia zia a Combray mi apparvero davanti, suppliziate dal contatto<br />

crudele cui, indifese, le avevo abbandonate. Non avrei sofferto di più se avessi<br />

consentito che violassero una morta. Non tornai più dalla mezzana, perché mi<br />

sembrava che i mobili fossero vivi e mi suppliziassero, come gli oggetti<br />

apparentemente inanimati che, in un racconto persiano, racchiudono anime che<br />

subiscono un martirio e implorano d’essere liberate”.


284<br />

La proposta fondamentale è che il sadomasochismo sia un<br />

mezzo di identificazione... che la poiesis trasforma in scrittura<br />

(nell’analista: in interpretazione). 280<br />

2) Il pavé...<br />

Nella Morte della cattedrali (1918) <strong>Proust</strong>, a proposito della<br />

celebrazione del sabato santo, cita Émile Mâle: Gesù Cristo è “la<br />

pierre angulaire du monde” (CSB, 144).<br />

Kristeva fa molte osservazioni utili. “Ce passage s’avérera<br />

capital” (137). Il simbolo della “pierre angulaire”, trasferito da Amiens<br />

a Venezia, poi a Parigi sotto l’aspetto banale di una “dalle”, sarà, per<br />

<strong>Proust</strong>, la sorgente della felicità (del “flot de lumière” estatico)...<br />

Kristeva segue le peripezie bibliche, dall’Antico al Nuovo<br />

Testamento, per descrivere la pietra che prima funziona come “pietra<br />

d’intoppo/sasso d’inciampo”, poi diventa “capo del cantone” (1 Pietro,<br />

2, 6-7) = Cristo...<br />

“Heurter la pierre, achopper – comme le fait si souvent le<br />

narrateur – serait ainsi une manière de se fier au sacré. Car celui-ci<br />

est pierre” (137)...<br />

L’oggetto è un oggetto dove si nasconde qualche ora della<br />

nostra vita: “L’oggetto in cui si nasconde – o, meglio, la sensazione,<br />

perché a noi ogni oggetto è sensazione –, può darsi benissimo che<br />

non l’incontriamo mai” (CSM, 211; 5).<br />

Secondo Kristeva <strong>Proust</strong> ci dà due esempi.<br />

1.<br />

La “fetta di pane abbrustolito (tranche de pain grillé”) (CSB,<br />

211; 5) – che è anche “pane inzuppato (pain trempé)” e “pane<br />

abbrustolito (biscotte)” (CSB, 212; 6) –, diventerà “madeleine” e...<br />

“pavé”, a Venezia.<br />

2.<br />

280 “[...] il serait important réfléchir sur la parte sadomasochiste de la performance<br />

esthétique qui se dissimule dans l’interpretation analytique en générale, mais<br />

davantage encore face à la psychose ou à l’autisme. Plaisir sadomasochiste<br />

inconsciet de s’identifier avec une âme enchainée, avec cette sensation palpitante<br />

et mytique qui m’ignore come autre tout en m’incluant dans son toucher, sa salive,<br />

sa respiration, son regard plat, fuyant ou percutant. Plaisir violent, aussi, de ce mot<br />

que je n’entends ni ne vois, mais je génère. J’observe par un trou de ma<br />

conscience, provisoirement ouverte en chair, une psyché entravée. Je<br />

l’ensemence de ma fusion, mais je sais qu’elle a besoin de ma distance. Ainsi,<br />

cette autre chair pourra, peut-être, de mon plaisir nommé, devenir réellement<br />

quelqu’un d’autre, un sujet” (op. cit., pp. 204-355; il corsivo è dell’autore).


285<br />

Incontriamo, nel Carnet de 1908, l’“inegalité des dalles du<br />

baptistère de St. Marc” (C, 1908, 60); nel Contre Sainte-Beuve i<br />

“pavés inégaux et brillantes (le lastre di pietra mal livellate e<br />

scintillanti)” (CSB, 212; 6); il “pavé inégal et brillant (lastre ineguali e<br />

scintillanti)” (CSB, 213; 7): “Tout à coup, un flot de lumière m’inonda.<br />

C’était une même sensation du pied 281 que j’avais éprouvée sur le<br />

pavage un peu inégal et lisse du baptistère de Saint-Marc” (CSB,<br />

213): “[...] le pied heurte un obstacle. Équivalent du corps et de sa<br />

partie la plus sensible qui est le sexe, le pied est ici en contact avec<br />

une différenze inattandue: ‘pavés inégaux et brillants’” (139).<br />

Nella versione finale si tratterà di “pavés mal équarris” (TR,<br />

445). Gli epiteti “inégaux” e “mal équarris” ricordano le “pietre conce<br />

a scarpello” (Esodo 20, 25) con le quali “non” doveva essere<br />

costruito il Tempio secondo il comandamento divino...<br />

L’ostacolo provoca un “trouble”: “[...] un oggetto più importante<br />

mi tratteneva, non sapevo ancora quale, ma sentivo trasalire nel<br />

profondo di me (au fond de moi-même tressailir = di nuovo Kafka) un<br />

passato che non riconoscevo. Sentivo una felicità invadermi, e<br />

intuivo che stavo per essere arricchito da quella pura sostanza di noi<br />

stessi che è un’impressione (impression) passata, un po’ di vita pura<br />

conservata pura [...]” (CSB, 213; 6-7).<br />

Gli stessi termini evocavano “le plaisir oral du contact de la<br />

bouche avevc les petites madeleines” (139)...<br />

“Moins infantile que celle de la madeleine, plus nettement<br />

différenciée – le pavé est une géométrie en acte” (139)...<br />

Comunque: la pietra angolare, la pietra di inciampo, la pietra del<br />

cantone di Gesù subisce qui una nuova metamorfosi: il narratore vi<br />

urta, “mais du même pas, et en s’y fiant, il manifeste à la fois sa faute<br />

et le dépassenet de celle-ci” (139)...<br />

3) Madre = Venezia = madre = ?<br />

Nell’esquisse XV.2 (Cahier 3; Contre Sainte-Beuve), il Narratore<br />

e la madre sono in viaggio verso Venezia: “Avant d’arriver à Venise<br />

et tandis que le train avait déjàs dépassé Mestre, maman me lisait<br />

les descriptions éblouissantes que Ruskin en donna, la comparant<br />

tour à tour aux rochers de corail de la mer des Indes et à une<br />

opale”...<br />

Di nuovo la madre legge... Non più Sand ma Ruskin...<br />

281 In italiano si traduce solo di “sensazione”!


286<br />

Un altro indicatore della struttura della ricerca e del boucler la<br />

boucle che avviene tra baiser-madeleine-Sand e Ruskin-pavé...<br />

Più tardi la madre aspetta il figlio leggendo.<br />

Kristeva: “La ville a absorbé la mère; elle absorbe en<br />

conséquence le fils” (147).<br />

Rileggiamo due sequenze di Albertine scomparsa.<br />

1.<br />

“Non che si fosse costretti, a Venezia come a Combray quando<br />

il sole picchiava forte, ad abbassare, lungo il canale, delle tende; ma<br />

erano tese fra i quadrilobi e i viticci d’una finestra gotica. Lo stesso<br />

posso dire di quella del nostro albergo alla cui balaustra mia madre<br />

m’aspettava guardando il canale con una pazienza (avec une<br />

patience) che forse non avrebbe mostrata ai tempi di Combray,<br />

quando – riponendo in me delle speranze che poi non si sarebbero<br />

realizzate – non voleva lasciarmi vedere quanto bene mi volesse<br />

(elle ne voulait pas me laisser voir combien elle m’aimait). Sentiva,<br />

adesso, che la sua freddezza apparente non avrebbe più cambiato<br />

nulla, e la tenerezza che mi prodigava era come quegli alimenti<br />

proibiti che non si rifiutano più ai malati quando si è ben certi che non<br />

potranno guarire. Certo, gli umili particolari che rendevano individuale<br />

la finestra della camera della zia Léonie su rue de l’Oiseau, la sua<br />

asimmetria provocata dall’ineguale distanza fra le due finestre vicine,<br />

l’altezza eccessiva del suo davanzale di legno, e il ferro a gomito che<br />

serviva ad aprire le imposte, i due lembi di raso azzurro e inamidato<br />

che una fascia divideva e teneva scostati, di tutto ciò esisteva<br />

l’equivalente (l’équivalent) in quell’albergo di Venezia dove sentivo<br />

anche quelle parole così particolari, così eloquenti, grazie alle quali<br />

riconosciamo da lontano la dimora (demeure) in cui rientriamo per la<br />

colazione e che restano più tardi nel nostro ricordo come<br />

testimonianza che quella dimora fu per un certo tempo nostra (la<br />

nôtre); ma l’incarico di pronunciarle non era demandato, come a<br />

Combray e un po’ dappertutto (comme il l’était à Combray et comme<br />

il l’est en peu partout), alle cose più semplici, se non addirittura alle<br />

più brutte, ma all’ogiva ancora mezzo araba riprodotta in tutti musei<br />

di calchi e in tutti i libri d’arte illustrati come un capolavoro<br />

dell’architettura del Medioevo; da parecchio lontano, appena<br />

superato San Giorgio Maggiore, scorgevo quell’ogiva che m’aveva<br />

veduto, e lo slancio dei suoi archi spezzati aggiungeva al suo sorriso<br />

di benvenuto la distinzione d’uno sguardo più elevato e quasi<br />

incompreso. E poiché dietro quei balaustri di marmo di vari colori la<br />

mamma leggeva aspettandomi (maman lisait en m’attendant), il viso<br />

raccolto in una veletta di tulle d’un bianco non meno straziante di


287<br />

quello dei suoi capelli per me che sentivo come mia madre l’avesse,<br />

nascondendo le lacrime, aggiunta al suo cappello di paglia non tanto<br />

per apparire ‘elegante’ alle persone dell’albergo, quanto per<br />

sembrare a me meno in lutto, meno triste, quasi consolata della<br />

morte della nonna; poiché, non avendomi riconosciuto subito, non<br />

appena la chiamavo dalla gondola mandava verso di me, dal fondo<br />

del cuore, il suo amore che s’arrestava solo dove non c’era più<br />

materia per sorreggerlo (là où il n’y avais plus de matière pour la<br />

soutenir), alla superficie del suo sguardo appassionato che cercava<br />

di avvicinare il più possibile a me, di innalzare, sporgendo le labbra,<br />

in un sorriso che sembrava baciarmi (en un sourire qui semblait<br />

m’embrasser), entro la cornice e sotto il baldacchino del più discreto<br />

sorriso dell’ogiva illuminata dal sole di mezzogiorno: a causa di tutto<br />

ciò quella finestra (cette fenêtre) ha preso nella mia memoria la<br />

dolcezza delle cose che assieme a noi, contemporaneamente a noi,<br />

ebbero la loro parte in una certa ora, che suonava identica per noi e<br />

per loro (dans une certaine heure qui sonnait, la même pour nous et<br />

pour elles): e per quante e quanto splendide siano le forme racchiuse<br />

fra le due colonne, quella finestra (cette fenêtre) illustre conserva per<br />

me l’aspetto intimo d’un uomo di genio con il quale si sia trascorso<br />

un mese nello stesso luogo di villeggiatura e che abbia contratto per<br />

noi una qualche amicizia, e se da allora, ogni volta che vedo il calco<br />

di quella finestra (cette fenêtre) in un museo, sono costretto a<br />

trattenere le lacrime, è semplicemente perché essa mi dice la cosa<br />

che più d’ogni altra può commuovermi: ‘Me la ricordo molto bene,<br />

vostra madre’” (AS, 203-205; 250-252).<br />

Straordinario:<br />

– Venezia = Combray; Venezia è un “equivalente” di Combray; e<br />

sappiamo che le “idee” sono l’“equivalente” delle “essenze”;<br />

– un ruolo centrale è recitato sempre dalla finestra (vedi il<br />

voyeurismo);<br />

– differenza: il Narratore vede; ma è soprattutto veduto (dalla<br />

madre/ogiva);<br />

– differenza: a Venezia (ora) la madre non è impaziente; ha<br />

rinunciato a volere che il figlio voglia; 282<br />

– mostra (esibisce) quanto lo ami;<br />

282 In un’esquisse la reitroduzione della figura paterna (che qui viene abolita):<br />

“Mais aussitôt je pensais à une peine que je lui avais faite là-bas, le besoin d’être<br />

tendre pour elle m’envahissait, et comme elle n’y serait pas si j’y partais car elle ne<br />

voudrait pas quitter mon père, j’aurais cette angoisse sur laquelle toute la beauté<br />

de l’univers n’est pas un baume” (AS, CA 3, ES XV.1, 691).


288<br />

– la madre nasconde solo il dolore per la morte della nonna = il<br />

Narratore il dolore per la morte della madre...<br />

– Differenza: il luogo (una volta era la “camera”) lasciato, è<br />

ritrovato e sentito come proprio.<br />

– Differenza decisiva: l’ora “suona”, la medesima, per noi e per<br />

loro.<br />

2.<br />

La possibilità di incontrare la Baronessa Putbus... spinge il<br />

Narratore a chiedere alla madre di ritardare la partenza da Venezia.<br />

“L’impressione che lei non prendesse per un solo istante in<br />

considerazione e nemmeno sul serio la mia preghiera risvegliò nei<br />

miei nervi eccitati dalla primavera veneziana il mio vecchio desiderio<br />

di resistenza a un complotto immaginario tramato contro di me dai<br />

miei genitori (à un complot imaginaire tramé contre moi par mes<br />

parents) (persuasi di potermi costringere a obbedire), la stessa<br />

volontà di lotta (cette volonté de lutte), desiderio che mi spingeva un<br />

tempio a imporre bruscamente la mia volontà alle persone più amate,<br />

salvo conformarmi io alla loro dopo essere riuscito a farli cedere”<br />

(AS, 230; 283).<br />

E rieccoci a Combray... In tutti i particolari: complotto; rivolta;<br />

volontà ritardataria di cedere...<br />

Ma una differenza: questa volta a “ne pas bouger” non è la<br />

madre (che a Combray non aveva voluto salire a baciarlo, presa da<br />

Swann) ma il Narratore (che, preso dalla Baronessa etc., non vuole<br />

partire; raggiungere la madre alla stazione)...<br />

“Dissi a mia madre che non sarei partito [...]. E quando venne il<br />

momento (et quando fut venue l’heure) in cui mia madre, seguita da<br />

tutte le sue cose, si imbarcò per la stazione, io mi feci portare una<br />

consumazione sulla terrazza, davanti al Canale, e mi sistemai lì,<br />

guardando il sole che tramontava (regardant se coucher le soleil) su<br />

una barca ferma di fronte all’albergo un musicante cantava Sole mio.<br />

[...]. Presto sarebbe partita, sarei rimasto solo a Venezia, solo con la<br />

tristezza di saperla addolorata per causa mia, e senza la sua<br />

presenza a consolarmi. L’ora del treno si avvicinava (l’heure d’un<br />

train s’avançait). La mia solitudine irrevocabile era così imminente<br />

che mi sembrava già cominciata e totale. [...]. La città che avevo<br />

davanti aveva smesso d’essere Venezia. [...]. E tuttavia quel luogo<br />

qualunque era strano come un luogo dove si sia appena arrivati (où<br />

on vient d’arriver), che non ci conosca ancora, come un luogo da cui<br />

si sia appena partiti (d’où l’on est parti) e ci abbia già dimenticati. [...].<br />

Ma, nello stesso tempo, quel luogo mediocre mi sembrava lontano.<br />

[...] sentivo che quell’orizzonte così vicino, che avrei potuto


289<br />

raggiungere in un’ora (en une heure), era una curvatura della terra<br />

affatto diversa da quella dei mari della Francia, una curvatura lontana<br />

che l’artificio del viaggio aveva fatto ormeggiare accanto a me (près<br />

de moi); e così quel bacino al tempo stesso insignificante e lontano<br />

mi riempiva dello stesso miscuglio di disgusto e di spavento che<br />

avevo provato da bambino (tout enfant) la prima volta che avevo<br />

accompagnato mia madre ai Bagni Deligny; in effetti nel paesaggio<br />

fantastico composto da un’acqua cupa cui non sovrastavano il cielo e<br />

il sole e che circondato di cabine comunicava tuttavia, lo si sentiva,<br />

con invisibili profondità coperte di corpi umani in mutande, mi ero<br />

chiesto se tali profondità, nascoste ai mortali da baraccamenti che<br />

impedivano di sospettarne l’esistenza dalla strada, non fossero<br />

l’ingresso dei mari glaciali che lì avevano inizio, se i poli non vi<br />

fossero compresi, e se quello stretto spazio non fosse appunto il<br />

mare libero del polo; questa Venezia senza simpatia per me e in cui<br />

stavo per rimanere solo non mi sembrava meno isolata, meno<br />

irreale, ed era il mio sgomento che il canto di Sole mio, innalzato<br />

come una deplorazione della Venezia che avevo conosciuta,<br />

sembrava prendere a testimone” (AS, 230-232; 233-235).<br />

Quindi:<br />

– questa volta è il Narratore che abbandona la madre;<br />

– l’“heure” risuona per lo meno tre volte;<br />

– il Narratore si trova in un luogo più strano delle varie<br />

“chambres”... in un luogo où on vient d’arriver / d’où l’on est<br />

parti...<br />

– sembra si ripeta, capovolta, nel verso doloroso, la reciprocità<br />

per noi/per loro;<br />

– ed ecco riaffacciarsi una scena che risale all’infanzia e che<br />

appare, dilatata, già in Jean Santeuil (CSB, 305-306; 137-138).<br />

La scena di un accesso ad un luogo sconosciuto: al mondo!<br />

“Certo avrei dovuto (il aurait fallu) smettere di ascoltarlo per<br />

poter ancora raggiungere mia madre (si j’avais voulu pouvoir<br />

rejoindre encore ma mère) e prendere il treno con le, avrei dovuto<br />

decidere (il aurait fallu décider), senza perdere un solo secondo<br />

(sans perdre une seconde), di partire, ma era proprio ciò che non<br />

potevo fare; rimanevo immobilizzato, incapace non solo di alzarmi<br />

ma anche di decidere che dovevo alzarmi” (AS, 232; 233).<br />

Ricordate la grande “risoluzione” presa dal Narratore bambino?<br />

Qui, niente risoluzione...<br />

Impigliato nella romanza non riesce a prendere la “risoluzione”:<br />

“ciascuna delle frasi [della romanza], una volta passata, si<br />

trasformava in un ostacolo a prendere efficacemente tale risoluzione


290<br />

(résolution) o, meglio, mi costringeva alla risoluzione opposta, non<br />

partire, perché faceva sì che passasse l’ora (car elle me faisait<br />

passer l’heure)” (AS, 232; 233).<br />

Intanto l’ora passa.<br />

“[...] e, pur dicendomi: ‘In fin dei conti, non faccio altro che<br />

ascoltare un’altra frase’, sapevo che questo voleva dire: ‘Rimarrò<br />

solo a Venezia (je resterai seul à Venise)’”.<br />

Solo!<br />

La canzone ha “un incanto disperato ma fascinatore”... Il<br />

Narratore guarda – tramontare – il sole fermo dietro San Giorgio<br />

Maggiore, “così che quella luce crepuscolare (cette lumière<br />

crépusculaire) avrebbe fatto per sempre nella mia memoria con il<br />

brivido della mia emozione e la voce di bronzo del cantante una<br />

mescolanza equivoca, immutabile e straziante”.<br />

Sappiamo quanto il “crepuscolare” abbia colorato di sé la<br />

relazione tempestosa tra <strong>Proust</strong> e Agostinelli...<br />

“Rimanevo dunque immobile, con una volontà dissolta (avec<br />

une volonté dissoute), senza decisione apparente; in quei momenti<br />

essa è probabilmente già presa (sans doute à ces moments-là elle<br />

est déjà prise); spesso anche i nostri amici possono prevederla. Ma<br />

noi, noi non possiamo; tante sofferenze, altrimenti, ci sarebbero<br />

risparmiate. Ma infine, da antri più oscuri di quelli da cui si slancia la<br />

cometa che può essere predetta – grazie all’insospettabile potenza<br />

difensiva dell’abitudine inveterata, grazie alle riserve nascoste che<br />

con impulso improvviso essa getta all’ultimo momento nella mischia<br />

–, scaturì infine la mia azione: mi misi le gambe in spalla e arrivai,<br />

con gli sportelli già chiusi, ma in tempo per trovare mia madre che,<br />

rossa d’emozione, si sforzava di non piangere, perché credeva che<br />

non sarei più arrivato. Poi il treno partì, e vedemmo Padova e poi<br />

Verona venire incontro al treno, venire a dirci addio (nous dire adieu)<br />

quasi sino alla stazione e – quando ci fummo allontanati –<br />

riguadagnare, loro che non partivano e avrebbero ripreso la loro vita,<br />

una la sua pianura, l’altra la sua collina”.<br />

Chi dice “bonsoir” – “adieu” – sono due città. E dicono addio sia<br />

al Narratore che alla madre (sia alla madre che al Narratore).<br />

Che vuol dire?<br />

Forse che “entrambi” hanno imparato qualcosa; a farsi dire<br />

addio (bonsoir)...<br />

E a dire addio... Alla possibilità di prendere delle decisioni;<br />

perché queste prendono noi: se ne accorgono i nostri amici – delle<br />

decisioni già “prese” mentre cerchiamo di prenderle – secondo quella


291<br />

legge fondamentale per cui solo gli “altri” colgono le leggi cui<br />

sottostiamo (noi, a nostra volta, siamo l’“altro” per i nostri amici)...<br />

Anche in Freud – la Minuta H – sono gli altri che colgono il<br />

delirare dei nostri pensieri (deliranti)...<br />

La “risoluzione” scaturisce, sembra, da quegli stessi antri<br />

sotterranei di cui non si poteva sospettare l’esistenza (più sopra). Il<br />

sotterraneo che prima rappresentava l’ignoto, ora rappresenta<br />

l’abitudine.<br />

Sì, paradossalmente, è l’abitudine a sparigliare un gioco al<br />

rialzo massimo (vedi il procedere verso il basso-più basso, l’alto-più<br />

alto della romanza)...<br />

Ma non l’abitudine sic et simplicter: l’abitudine “invétérée”...<br />

Il destino?<br />

“Le ore passavano (le heures passaient). Mia madre non<br />

s’affrettò a leggere le lettere che aveva solo aperte (ma mère ne se<br />

pressa pas de lire les deux lettres qu’elle avait ouvertes)...<br />

Di nuovo qualcosa da leggere...<br />

Ma la lettura, qui, è rinviata...<br />

Infine, la madre legge “stupita”; quindi solleva la testa e i suoi<br />

occhi sembrano posarsi via via sui ricordi distinti, “incompatibili” e<br />

che lei non riesce a “mettere insieme”...<br />

Il Narratore, ad un certo punto, apre la sua busta: Gilberte gli<br />

annuncia il suo matrimonio don Robert de Saint-Loup. Gli dice di<br />

avergli telegrafato in proposito a Venezia... “Di colpo (tout d’un coup)<br />

sentii nel mio cervello un fatto, che vi si era installato allo stato di<br />

ricordo, lasciare il suo posto e cederlo a un altro” (AS, 234; 288).<br />

Il tout d’un coup è il classico clic della rivelazione (della<br />

memoria involontaria). Qui il Narratore scopre di aver fatto un lapsus<br />

di lettura. Ha letto Albertine dov’era scritto Gilberte nel telegramma in<br />

cui Gilberte – e non Albertine – gli diceva di essere “vivissima” e di<br />

voler “parlare di matrimonio”...<br />

“Quante lettere legge in una parola una persona distratta e<br />

soprattutto prevenuta, che parte dall’idea che quella lettera sia d’una<br />

certa persona? Quante parole nella frase? Leggendo si indovina, si<br />

crea (on crée); tutto parte da un errore iniziale; quelli che seguono (e<br />

non soltanto nella lettura delle lettere e dei telegrammi, non soltanto<br />

in ogni lettura) sono, per straordinari che possano apparire a chi non<br />

ha lo stesso punto di partenza, assolutamente naturali. Una buona<br />

parte di quello che crediamo, ed è così fino alle conclusioni ultime,<br />

con un’ostinazione pari alla buona fede, viene da un primo equivoco<br />

riguardo alle premesse”.


292<br />

Ricordate che Swann è stato anche lui vittima di un equivoco:<br />

“E dire che ho sciupato anni della mia vita, ho desiderato di morire,<br />

ho avuto il mio più grande amore, per una donna che non mi piaceva,<br />

che non era il mio tipo” (SW, 461).<br />

La madre, dopo aver letto, va di nuovo a ricordi “incompatibili”<br />

con ciò che ha letto (e a cose incompatibili tra loro)... Il figlio scopre<br />

che ha letto una cosa per un’altra...<br />

E si trattava di una questione di vita e di morte!<br />

Albertine è veramente morta!<br />

La “luce crepuscolare” è veramente – e rimane –<br />

“crepuscolare”...<br />

Le due sequenze – ulteriori versioni del “drame du coucher” –<br />

che abbiamo rilette sembrano dirci questo:<br />

1. il Narratore trova un’intima comunione con la madre (attraverso<br />

di lei con la nonna che è morta; con la morte dei propri cari);<br />

2. quindi capisce che sia lui che la madre sono esposti allo<br />

“stupore”; il mondo sotterraneo che in Jean Santeuil era abitato<br />

tranquillamente dalla madre e temuto dal figlio, incombe qui su<br />

entrambi.<br />

In un’esquisse la reitroduzione della figura paterna: “Mais aussitôt je pensais à une<br />

peine que je lui avais faite là-bas, le besoin d’être tendre pour elle m’envahissait, et<br />

comme elle n’y serait pas si j’y partais car elle ne voudrait pas quitter mon père,<br />

j’aurais cette angoisse sur laquelle toute la beauté de l’univers n’est pas un baume”<br />

(AS, CA 3, ES XV.1, 691).


293<br />

Cap. 19<br />

ODEURS, LUMIÈRE, BRUITS<br />

L’œuvre inachevée, inachebable, qu’il ne faut pas achever, ad<br />

uno dei suoi stadi, quello che va sotto il nome di Contre Sainte-<br />

Beuve, costruisce lo scenario seguente:<br />

“... Maman me quitte, mais je repense à mon article et tout d’un<br />

coup j’ai l’idée d’un prochaine Contre Sainte-Beuve. Dernièrement, je<br />

l’ai relu, j’ai pris contre mon habitude des quantités de petites notes<br />

que j’ai là dans un tiroir, et j’ai des choses importantes à dire làdessus.<br />

Je commence à bâtir l’article dans ma tête. À toute minute<br />

des idées nouvelles me viennent. Il n’y a pas un demi-heure de<br />

passé, et l’article tout entier est bâti dans ma tête. Je voudraus bien<br />

demander à maman ce q’elle en pense. J’appelle, aucun bruit ne<br />

répond. J’appelle de nouveau, j’entend des pas furtifs, une hésitation<br />

à ma porte qui grince” (CSB, 217).<br />

A metà dicembre 1908, in una lettera a Madame de Noailles,<br />

<strong>Proust</strong>, del suo lavoro, diceva quanto segue: “Je voudrais, quoique<br />

malade, écrire une étude sur Sainte-Beuve. La chose s’est bâti dans<br />

mon esprit de deux façons différentes entre lesquelles je dois choisir.<br />

Or je suis sans volonté et sans clairvoyance. La première est l’assai<br />

classique, l’Essai de Taine en mille fois moins bien (sauf le contenu<br />

que est je crois nouveau). La deuxième commence par un récit du<br />

matin, du réveil, Maman vient me voir près de mon lit, je lui dis que<br />

j’ai l’idée d’une étude sur Sainte-Beuve, je la lui soumets et la lui<br />

développe. [...]” (CORR, VIII, 320-321).<br />

Lo scenario, quindi, è quello di una conversazione con la madre<br />

nel corso di una matinée...<br />

<strong>Su</strong>ccede che, fin dall’inizio, la scena con la madre, la scenamadre<br />

è preceduta dal racconto dei vari “gradi” del risveglio; il<br />

risveglio è una sorta di resurrezione... Il Narratore esce da uno stato<br />

di depersonalizzazione... Brun: “Mais l’unité de temps, au fil des<br />

brouillions, devait vite éclater, par l’évocation de la nuit précédant la<br />

matinée, puis des nuits et des matinées passées” (qui sotto, p. 231).<br />

Ebbene, è nel punto di transizione tra sonno/sogno e veglia che<br />

si inseriscono i “rumori”.<br />

Conclusione provvisoria: l’importanza dei rumori è legata al<br />

fatto ch’essi richiamano alla consapevolezza; ma alla<br />

consapevolezza della tenebra del sogno.


294<br />

Bernard Brun, in Étude génétique de l’ouverture’ de La<br />

Prisonnière, 283 cita ampiamente i vari cahier che preludono a La<br />

Prisonnière (a partenza dal Contre Sainte-Beuve)...<br />

Inizialmente – Cahier 4, 1909 –, il nostro eroe, al risveglio,<br />

intuisce (o abduce) che tempo fa sulla base delle luci e degli odori.<br />

Ad esempio. “Qu’importait que je fusse couché, les rideaux fermés,<br />

je savais que l’heure existait / l’heure qu’un seule de ses<br />

particularités de lumière ou d’odeur suffi[sait] à une seule de se<br />

manifestations de lumière ou d’odeur je savais que l’eure ÉTAIT <<br />

non pas dans mon imagination mas dans la realité présente du<br />

temps, > [...]” + “Ce rayon chaud qui traverse ma chambre m’élance<br />

vers la vie qu’il m’ouvre, se glissant dans la serrure de la maison de<br />

Combray où la salle à manger est pleine de soleil, où on va partir<br />

pour l’église / sur la place si ma chambre est encore obscure parce<br />

que les rideaux sont fermés le petit couloir vitré < avec double porte<br />

> qui y conduit est d[éjà] a déjà, étendue par terre, une riante<br />

carpette de soleil [...]”...<br />

Anche se i suoni non sono assenti; poco oltre: “Quand<br />

j’entendis la cloche de l’église sonner deux he[ures] Parfois l’odeur <<br />

de pétrole > d’une automobile qui passait se pénétrait par la fenêtre,<br />

cette odeur que les délicats et le matérialistes croient nous gâter la<br />

hioie des champs [...]”...<br />

Nel cahier 3 (inizio del 1909) compaiono e acquistano forza i<br />

suoni. Ad esempio: “À la couleur plus ou moins claire de cette raie du<br />

jour au-dessus des rideaux je sais le temps qu’il fait. [...]. Mais je n’ai<br />

pas besoin d’elle de l’avoir vue. La tête < encore > tournée contre le<br />

mur, et même avant qu’elle ai par[u] / quelquefois avant d’avoir<br />

tourné les yeux vers les rideaux les premiers bruits de la rue<br />

morf[ondus] vibrants / j’ai entendu avec les bruits de la rue les<br />

premiers bruits de la rue me sont arrivés avec / le roulements du <<br />

premier > tranway m’ont apporté avec eux, < dans leurs sonorités,<br />

leur atmosphère, > l’abbatement / la tristesse l’ennui de la pluie où il<br />

se morfondent [...]” + “Les jours où l’air sous les timbres des<br />

véhicules qui passent l’air retentit tinte comme une clochette ou<br />

résonne comme un mirliton, où la rue invisible m’était périphérique<br />

par le bruit, un appel rare semble le faire vibrer sonner au milieu du<br />

vide, et un appel clair des jours d’été l’ensoleille et même le construit<br />

à neuf en beau quartier vide qui s’étende à peine construit vers la<br />

banlieu, les cimitières, l’air friable sur lequel les différents timbres<br />

incisent des traits de toutes couleurs l’air résistant du printemps du<br />

283 In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>. 14. Études proustiennes, VI, Gallimard, Parigi,1987,<br />

pp. 211-287.


295<br />

printemps léger mais comme consistant comme un habit flottant<br />

qu’arlequinise les timbres multicolores des véhicules qui”...<br />

Anche se ad un certo punto sembra che sia tutta una questione<br />

di nervi: “Mais les jours Et peut-être même ces le temps qu’il fait n’a<br />

même pas plus besoin que de la couleur du jour, de la sonorité des<br />

bruits de la rue pour se révéler à moi et m’emmener dans appeler<br />

vers la saison et le climat dont il semble détaché un envoyé. Les<br />

nerfs qui / Ce qui vit en moi de nerfs excités, apaisés / Le petit<br />

monde intérieur de nerfs, de souffles À sentir le calme et les<br />

mouvements / et l’apaisement et la lenteur < de communication et<br />

d’échanges > qui règne dans la petite salle cité intérieure < de nerfs<br />

et de vaisseaux > que je porte en moi [...]”.<br />

Saltiamo il cahier 50 (fine 19010)...<br />

Dall’Étude génétique cito adesso solo estesamente il Cahier 53<br />

(di esso una piccolissima parte nell’Esquisse II, P, 1099-1100).<br />

L’ampia citazione ubbidisce anche al desiderio i mostrare come<br />

scrive e riscrive <strong>Proust</strong>: “cinquante pages de brouillons successifs<br />

pour trois pages de La Prisonnière” (Brun p. 286) 284 ... <strong>Proust</strong>, oltre a<br />

correggere un tentativo, lo riscrive... Interessante, a parziale<br />

completamento, sempre a proposito de La Prisonniere, di Jean Milly,<br />

L’ouverture de La Prisonnière d’après le manuscrit ‘definitif’ et les<br />

dactylographies. 285<br />

Allo scopo di “mostrare”... (1) riportiamo tutto il cahier: in<br />

corsivo, le parti cancellate da <strong>Proust</strong>, nel soffietto < > le aggiunte (2)<br />

data la lunghezza del cahier (pp. 273- 283), talvolta saltiamo una<br />

parte e indichiamo questo salto con [...] in neretto.<br />

In sintesi:<br />

– contro ogni previsione, si ripete la felicità originaria: allora, a<br />

Combray, con la madre, adesso, a Parigi, con Albertine,<br />

– ma la gioia non è la stessa (sembra incombere, invece, la<br />

morte);<br />

– succede invece che il nostro eroe assapora i piaceri quando se<br />

ne sta solo nel suo letto lontano da Albertine!<br />

– Anzi, starsene a letto, starsene, cioè, inattivi (l’involontarietà),<br />

sembra favorire il godimento dei piaceri!<br />

– Chi se ne sta a letto – chi si affida all’involontario – accede a ciò<br />

che lo “scultore del blocco caotico, l’uomo dimenticato che<br />

284 “Chaque brouillon, chaque état du roman à une époque déterminée de la<br />

rédactiom est provisoirement definitif. Chaque avant-texte est écrit pour être un<br />

texte. C’est après coup, une fois réécrit, refait, une fois le roman publié qu’il devient<br />

avant-texte” (p. 212).<br />

285 Ibidem, pp. 288-337.


296<br />

fummo” libera dal fondo di noi stessi: “un’altra vita” (abbiamo<br />

visto che il “bloc obscure” è la notte, il sonno profondo, portato<br />

dal risveglio nello stato di veglia...<br />

– La rinuncia alla “matinée” godibile con i sensi fa accedere alla<br />

matineè “unica, eterna”.<br />

– Il nostro eroe preferisce essere presente a se stesso (al suo<br />

“moi” profondo) all’essere nella compresenza con Albertine.<br />

Sceglie, cioè, la solitudine.<br />

[...]. La vie nous réserve accorde quelquefois ce qui nous semblait<br />

puls insensé. Depuis le jour soir où ma mère était venue coucher<br />

dans ma chambre à Combray au moment où il ne me paraissait ni<br />

possible comme il me paraissait inévitable et mortel de passer la nuit<br />

sans l’embrasser avoir embrassée, ma mère était venu coucher dans<br />

ma chambre à Combray, jamais, comme [...]. Elle habitait avec nous,<br />

couchait sa chambre était au bout du couloir à deux chambres<br />

quelques pas de la mienne. Jamais depuis le soir où ma mère était<br />

venue coucher auprès de moi de Combray où maman, soudain<br />

apaisée par mon père, était venue coucher dans le grand lit à côté du<br />

mien, la vie ne m’avait au rebours de toutes le prévisions, accordé<br />

[...] non, il me faut remonter jusqu’au soir de Combray au moment<br />

quand je pense qu’Albertine vint habiter à Paris avec nous, qu’elle<br />

renonça à l’dée d’aller à Amsterdam [...] qu’elle eut sa chambre à<br />

vingt pas de la mienne < dans le cabinet à tapisseries de mon père,<br />

> au bout du couloir, il me faut remonter au soir de Combray où<br />

maman soudain apaisée par mon père, vint coucher dans le grand lit<br />

à côté du mien, si je veux où je ne pouvais me décider à passer la<br />

nuit sans avoir embrassé maman, quand < par miracle > mon père<br />

l’apaisa, elle vint coucher dans le grand lit à côté du mien il me faut<br />

remonter à ce soir où maman vint coucher dans mon petit grand lit à<br />

côté du mien je veux trouver un exemple comparable une autre<br />

circonstance où la vie m’ai fait remise, contre toute prévision, d’un<br />

malheur qui me semblait à la fois inévitable et mortel. À Combray<br />

elle m’avait accordé cette nuit Mais elle ne me donnait pas cette fois<br />

la joie que j’avais connue à Combray. La présence d’Albertine <<br />

auprès de moi, > ne faisait que m’épargner une souffrance [...]. Elle<br />

[la souffrance] perdait d’autant plus de sa force que je souffrais<br />

mo[ins] ma souffrance de ce soir là se guérissait peu à peu, comme<br />

l’idée de la mort s’affaiblit chez un malade au fur et à mesure qu’il<br />

s’éloigne de la crise qui a failli l’emporter > Apaisé le soir par un<br />

baiser d’Albertine, de la sentir ensuite, couchée < toute la nuit > dans<br />

une chambre voisine, je restais souvent couché le jour, faisant venir


297<br />

soit des chevaux, soit un[e] automobile pour qu’Albertine pût se<br />

promener ou se distraire et m’arrageant toujours à ce que quelque<br />

amie à elle en qui j’avais confiance, et de préférence Andrée vînt la<br />

chercher; le soir Sans doute cet apaisement me permettait de goûter<br />

grâce à cet apaisement je n’étais plus fermé à certains des joies,<br />

mais loin de les devoir à Albertine, je les goûtais surtout au contraire<br />

< pendant qu’elle n’était pas auprès de moi, > dans la solitude [...].<br />

Dès le matin, avan[t] la tête encore tournée contre le mur et avant<br />

d’avoir vu la couleur de la raie du jour par-dessus des grands rideaux<br />

des fenêtres, je savais déjà le temps qu’il faisait par les premiers<br />

bruits de la rue, selon qu’ils étaient arrivés amortis et déviés par<br />

l’humidité ou vibrant comme des flèches dans l’espace sonore et<br />

vide d’un matin froid et pur, par le roulement du premier tranway que<br />

je sentais morfondu dans la pluie ou en partance pour l’azur de<br />

quelle couleur était la raie du jour pard-dessus de grands rideaux des<br />

fenêtres, je savais déjà quel temps il faisait; les premiers bruits de la<br />

rue me l’avaient appris, selon qu’il m’étaient arrivés amortis et déviés<br />

par l’humidité ou vibrant comme des flèches dans l’espace sonore et<br />

vide d’un matin froid et pur [...]. Et peut-être < le bruits > eux-mêmes<br />

avaient-ils été devancés par l’odeur ou par quelque émanation plus<br />

rapide et plus pénétrante, qui traversait mon sommeil même et<br />

établissait entre mon être et la journée commençante une harmonie<br />

si immédiate, quelque émanation plus rapide et plus pénétrante –<br />

peut-être une odeur – qui à travers mon sommeil même mettait mon<br />

organisme en harmonie avec la journée, y répandait une tristesse à<br />

laquelle je pouvais conjecturer que viendrait au de hors s’associer la<br />

neige, ou y déchaînait mettait en branle tant de cris de joie de<br />

melodies / chans cantiques en l’honneur du soleil que ceux-ci<br />

finissaient par amener mon réveil, un réveil en musique, comme on<br />

dit au régiment. < Quand je sonnais (Esther q.q. part) Françoise<br />

m’appportait mon courier [...]. je regardais dans le Figaro si ne s’y<br />

trouvait pas un article que j’avais adressé à – seul travail ma seule<br />

œuvre depuis page écrite depuis tant d’années – que j’avais envoyé<br />

à ce journal et qui n’y paraissait pas. < Mettre ici le petit bonhomme<br />

barométrique qui est dans le Cahier brun puis voir au verso > après<br />

le petit bonhomme < au avant mais enfin dans la matinée. ><br />

J’entendais le pas d’Albertine dans le couloir, le bruit de sa jupe, tant<br />

sa chambre était près de la mienne. [...]. D’ailleurs quand elles<br />

allaient en automobile le chauffer était à ma dévotion. Ainsi calme je<br />

pouvais lui répondre [à Albertine] que ce serait pour une autre fois<br />

que ce jour là je resterais couché. < En effet le médecin m’avait<br />

prescrit ordonné de garder presque continuellement le lit > Elle me


298<br />

disait il fait si beau. Je le savais bien disait comme il serait agréable<br />

de faire une longue promenade par ce beau temps par ce beau<br />

temps une longue promenade, celle que je voudrais. Mais je la<br />

laissais partir, car tous les plaisirs de cette promenade seul, dans<br />

mon lit, je les goûtais, grâce au désir, à l’appétit que la journée<br />

commençante en avait éveillé en moi / Mais je la laissais partir, car je<br />

savais que seul, dans mon lit, le désir de cette promendade m’en<br />

ferait goûter tous les plaisirs. [...]. Car je savait bien que seul dans<br />

mon lit les désirs Resté dans mon lit, je ne prenais pas moins ma<br />

parte des plaisirs de la journée commençante; le désir purement<br />

arbitraire, la velléité capricieuse et purement individuelle de les<br />

goûter n’aurait pas suffit à les mettre à ma portée si le temps<br />

particulier qu’il faisait ne m’en avait plus qu’évoqué le souvenir bien<br />

plus qu’évoqué les images passées affirmé la réalité actuelle,<br />

accessibile immédiatement accessibile à tous les hommes qu’une<br />

circostance contingente et par conséquent négligeable, ne forçait<br />

pas à rester couchés. Certains beaux jours il faisait pourtant si froid<br />

qu’il semblait qu’on eût écart[è] on était en si libre large<br />

communication avec la rue, qu’il semblait qu’on eût écarté le<br />

jointures de la ma[ison] disjoint les murs de la maison et quand le<br />

tranway passait, son timbre comme eût fait < auprès de moi > un<br />

couteau d’argent, semblait frapper résonnait aussi, comme eût fait<br />

auprès de moi un couteau d’argent, frappant une maison de verre<br />

[...]. intercalant < das l’air de > ma chambre de Paris de véritables<br />

pleins de < belles > incrustations de ma vie d’autrefois, où je me<br />

réjoussais commme si j’allais sauter du lit pour aller retrouver St<br />

Loup et ses amis ou me promener du côté de Méseglise. Ainsi j’avais<br />

refusé d’aller prendre < Ces évocations où ne passent pas<br />

seulement devant vos yeux / Ces similitudes Cette similitude des<br />

journées avec de plus ansiennes qui ne nous montrent pas<br />

seulement l’apparence des choses < vue alors, > mais du fond de<br />

nous-même dégagent comme le sculpteur du bloc chaotique,<br />

l’homme oublié que nous fûmes quand nous les vivions, et qui ainsi<br />

jour par jour nous appelle à une autre vie, nous fait pénétrer dans<br />

une autre profondeur des choses, était celle qui convenait vraiment à<br />

ce que j’avais de plus profond en moi, qui me donnait les joies d’une<br />

mémoire profonde, intéresant à son mon souvenir le couches les<br />

plus souterraines de moi-même, les soulevant puissamment à la plus<br />

gde profondeur. C’était le trait particulier de ma nature, ces joies que<br />

j’éprouvais dans les promendades avec M e de Villeparisis quand je<br />

croyais reconnaître trois arbres. Mais même pour ceux qui ne sont<br />

pas ainsi faits, quand on a assez déjà un peu vécu, chaque br[uit]


299<br />

tintement de pluie, chaque bouffée de chaleur, chaque buée odeur<br />

de brume, de sa main invisible déroule devant nous un petit tableau,<br />

paysage que nous avons vu sous la pluie, au soleil, par un temps de<br />

brume. [...]. Pour avoir refusé de jouir < imparfaitement avec mes<br />

sens > de cette matinée, je joussais < pleinement, avec mon<br />

imagination, > de toutes les matinées pareilles, ou plutôt d’une<br />

matinée passées ou possibile, ou plutôt d’une matinée unique,<br />

éternelle, < comblant mon esprit de sa plénitude et > dont j’avais<br />

reconnu les signes toujours identiques et qui emplissait elles<br />

n’étaient que l’apparition intermittente. Elle comblait mon esprit de sa<br />

/ Sa plénitud com[blait] Elle comblait mon esprit de sa plénitude et lui<br />

communiquait une allégresse que mon état de maladie débilité ne<br />

diminuait pas. < Je l’avais vite reconnue; l’air vif avait de lui-même<br />

tourné la page où se trouvait l’Évangile du Jour et où je pourrais le<br />

suivre de mon lit comme faisait autrefois ma tante Octave. > Notre<br />

bien-être résulte bien moins < en effet > de notre bonne santé, de<br />

nos forces, que de l’excédent de forces que nous n’employons pas et<br />

qui le reste le même si nous que nous ne trasformons pas en<br />

activité. [...]. Celle dont je dérbordais et que je tenais immobile dans<br />

mon lit, me faisait tressauter, intérieur bondir, et chanter, comme une<br />

machine sous pression qu’on arrête. Alors, convalescent affamé qui<br />

jouit de touts les mets qu’on lui refuse encore je sentais que si<br />

j’épousais Albertine je me priverais à jamais des fruits de la solitude<br />

me demandais si en épousant Albertine je gâcherais ma vie tant en<br />

assumant la tâche trop lourde pour moi de me consacrer à un autre<br />

être, qu’en vivant absent de moi-même par cette présence<br />

continuelle et en me privant à jamais des fruits de la solitude. [...]. cet<br />

objet abstrait, contratictoire et inexistant, la Beauté. [...]. j’avai soif<br />

de guérir, de sortir, d’être et non pas avec Albertine, d’être libre, et<br />

parfois au moment où une femme inconnue passait dans la rue,<br />

tantôt à pied, tantôt de toute la vitesse de son automobile, je<br />

souffrais de ne pas pouvoir tomber sur elle comme une flèche tirée<br />

de l’embrasure de ma fenêtre par une arquebuse et immobliser la<br />

fuite du visage où m’attendait la possibilité des baisers que je ne<br />

goûterais pas > tandis qu’Albertine D’Albertine, elle, je n’avais plus<br />

rien à apprendre. [...]. Et puis parfois vers la fin de la matinée l’air<br />

froid s’adoucissait; le timbre du tramway qui y a un heure perçait de<br />

son fifre l’air transparent et blu comme avec une vrille, y chantait<br />

comme un violon, et au milieu [...].<br />

Conclude, quasi magistralmente, Brun: “Dans ce système,<br />

Albertine commence à gêner. [...]. Il n’y a pas une Beauté, mais des<br />

femmes belles, et c’est la femme inconnue que le héros appelle. Les


300<br />

bruit de la rue, comme Albertine, c’est l’appel de l’extérieur, du désir<br />

amoureux, qui est antinomique de l’appel de l’art. Le narrateur doit<br />

rester au lit, dans sa chambre. Il ne faut pas qu’il aille à la fenêtre,<br />

qu’il se promène, qu’il voyage” (pp. 286-287).<br />

Comunque l’incipit dell’ouverture:<br />

– il Narratore congettura il tempo che fa a partire non dalla<br />

“nuance” della “raie du jour” ma dal suono dei “premiers bruits”;<br />

– forse i rumori della strada sono stati anticipati da qualche<br />

emanazione “più rapida” proveniente dal sonno;<br />

– in ogni caso il risveglio è un “réveil en musique”.<br />

“Dès le matin, la tête encore tourné contre le mur et avant<br />

d’avoir vu, au-dessus des grands rideaux de la fenêtre, de quelle<br />

nuance était la raie du jour, je savais déjà le temps qu’il faisait. Les<br />

premiers bruits de la rue me l’avaient appris, selon qu’ils me<br />

parvenaient amortis et déviés par l’humidité ou vibrants comme des<br />

s dans l’aire résonnante et vide d’un matin spacieux, glaciale et pur:<br />

dès le roulement du premier tranway, j’avais entendu s’il était<br />

morfondu dans la pluie ou en partance pour l’azur. E peut-être ces<br />

bruits avaient-ils été devancés eux-mêmes par quelque émanation<br />

plus rapide et plus pénétrante qui, glissée au travers de mon<br />

sommeil, y répandait une tristesse annonciatrice de la neige, ou y<br />

faisait etonner, à certain petit personnage intemittent, de si nombreux<br />

cantiques à la gloire du soleil que ceux-ci finissaient par amener pour<br />

moi, qui encore endormi commençais à sourire et dont les paupières<br />

closes se préparaient à être éblouies, un étourdisssant réveil en<br />

musique” (P, 519).<br />

Che dire di un altro risveglio, da una notte di insonnia, in pieno<br />

martellare dei “cri” di Parigi... giù core, trompette, flûte... “l’ouïe, se<br />

sens délicieux”: “Le lendemain de cette soirée où Albertine m’avait dit<br />

qu’elle irait peut-être, quis qu’elle n’irait pas chez les Verdurin, je<br />

m’éveillai de bonne heure, et, encore à demi endormi, ma joie<br />

m’apprit qu’il y avait, interpolé dans l’hiver, un jour de printemps.<br />

Dehors, des thèmes populaires finement écrits pour des instruments<br />

variés, depuis la corne du raccommodeur de porcelaine, ou la<br />

trompette du rempailleur de chaises, jusqu’à la flûte du chevrier qui<br />

paraissait dans un beau jour être un pâtre de Sicilie, orchestraient<br />

légèrement l’air matinal, en une ‘ouverture pour un jour de fête’.<br />

L’ouïe, se sens délicieux [...]” (P, 623; 50’7 sgg.).<br />

Venendo a L’ouverture de La Prisonnière d’après le manuscrit<br />

‘definitif’ et le dactylographies di Jean Sally a cui abbiamo già<br />

rimandato per gli ulteriori stadi della scrittura dell’“ouverture”: “Ce qui<br />

se passe, c’est que les déplacements de séquences au cours de la


301<br />

genèse, les déstructurations suivies de restructurations elle-mêmes<br />

remises en jeu, le interférences de structures différentes tendent à<br />

faire de la construction du texte, au niveau local, un ‘puzzle sans<br />

modèle’ ou dont les modèles seraient, selon le cas, thématiques ou<br />

systématiques, les pièces s’assemblant tantôt selon leurs ‘coleurs’,<br />

tantôt selon leurs formes”. E più avanti: “Dans sa microstructure, la<br />

diversité de ses éléments, et les changements successifs des<br />

relations qui les unissent et dont rien n’assure qu’ils nauraient pas<br />

continué si <strong>Proust</strong> n’avait pas été définitivement interrompu,<br />

n’empêchent pas une grande cohérence thématique et une<br />

apparence de cohérence narrative”. 286<br />

286 Ibidem, pp. 335, 337.


302<br />

Cap. 20<br />

A MO’ DI CONCLUSIONE<br />

Leggete la lettera che <strong>Proust</strong> manda a Zadig, il cane che ha<br />

regalato a Reynold Hahn nel novembre 1911: “Ti voglio tanto bene<br />

perché tu hai molsto dischpiacere (beauscoup de schasgrin) e amore<br />

per la stessa persona che me, e non potevi trovare meglio nel mondo<br />

intero. Ma non sono geloso che lui stia più con te, perché è giusto e<br />

tu sei più infelice e innamorato. Ecco come lo so, genstile caniolino<br />

(gentstil chouen). Quando ero piccolo e avevo dispiacere perché<br />

dovevo staccarmi dalla mamma o per un viaggio o per andare a letto<br />

o per una ragazza che amavo ero più infelice di adesso (quando<br />

j’étais petit et que j’avais du chagrin pour quitter Maman, pour partir<br />

en voyage, ou pour me coucher, ou pour une jeune fille que j’aimais,<br />

j’étais puls malhereux qu’aujourd’hui), prima di tutto perché come te<br />

non ero libero di andare a distrarmi dal mio dispiacere e mi chiudevo<br />

con lui, ma poi anche perché ero prigioniero nella mia testa, nella<br />

quale non c’erano idee, ricordi di letture (où je n’avais aucune idée,<br />

aucun souvenir de lecture), progetti dove rifugiarmi. E tu sei così,<br />

Zadig, non ha mai fatto letture, non hai idee. E devi essere ben<br />

infelice quando sei triste. Ma sappi, caro Zadig, che quella specie di<br />

caniolino ch’io sono come te può dirti e dirti perché è stato uomo e tu<br />

no. Questa intelligenza che abbiamo ci serve solo a sostituire le<br />

impressioni che fanno amare e soffrire con delle false impressioni<br />

che fanno amare e soffrire meno (cette intelligence ne nous sert qu’à<br />

remplacer ces impressions qui te font aimer et souffrir par des facsimilés<br />

qui font moins de chagrin et donnent moins de tendresse).<br />

Nei rari momenti in cui ritrovo tutto il mio affetto, tutta la mia<br />

sofferenza, è perché le mie sensazioni non sono più basate su false<br />

idee ma su qualcos’altro che esiste, uguale, in e in me, caniolino mio<br />

(dans les rares moments où je retroove toute ma tendresse, toute ma<br />

souffrance, c’est que je n’ai plus senti d’après ces fausses idées,<br />

mais d’après quelque chose qui est semblable en toi et en moi mon<br />

petit chouen). E questo mi sembra così superiore al resto che è solo<br />

quando torno a essere cane, un povero Zadig come te, che mi metto<br />

a scrivere, e solo i libri scritti così sono quelli che mi piacciono (je me<br />

mets à écrire et il n’y a que les livres écrits ainsi que j’aime). Quello<br />

che porta il tuo nome [il protagonista dell’omonimo scritto di Voltaire],<br />

vecchio mio, non è per niente così. È un piccolo motivo di contrasto


303<br />

fra il tuo padrone, che è anche il mio, e me. Ma tu non litigherai con<br />

lui perché non pensi. Caro Zadig, siamo tutti e due vecchi e malati.<br />

Ma mi piacerebbe venirti a trovare, perché tu mi avvicini al tuo<br />

padrone invece che allontanarmene. Ti abbraccio con tutto il mio<br />

affetto e al tuo amico Reynaldo mando il tuo piccolo riscatto [il<br />

denaro per l’acquisto del cane regalato a Reynaldo Hahn]” (CORR,<br />

X, 372-373; LG, 975-976).<br />

Un mese prima <strong>Proust</strong>, in una lunga lettera a Maurice Barrès (1<br />

ottobre 1911) ha detto che sta scrivendo: “une espèce d’immense<br />

roman” (CORR, X, 553).<br />

L’essai è diventato una espèce de roman; il roman, comunque,<br />

un immense roman...<br />

<strong>Proust</strong> sta scrivendo quel che diventerà Le côté de chez<br />

Swann... Ma sta anche lavorando a costruire l’insieme della<br />

Recherche...<br />

Questa lettera mi è parsa straordinaria. In essa si affacciano,<br />

nel colloquio tenero con l’amico più tenero... 287 moyennat il suo (il<br />

loro) cane, quasi tutti i temi della Recherche...<br />

Ma la si può interpretare in vari modi.<br />

Un esempio, quello di Roger Duchêne: “Si la scène de la<br />

biscotte-madeleine et les autres exemples donnés dès le Sainte-<br />

Beuve ne racontent pas forcément des expériences biographiques, il<br />

traduisent, et c’est l’essentiel, une conviction qui doit être<br />

profondément ancrée chez <strong>Proust</strong> pour qu’il l’exprime avec une telle<br />

force dans une lettre à son ami le plus cher, celui auquel il ment le<br />

moins parce qu’il a le plus confidence en lui. On s’étonne que le plus<br />

intelligent de nos romanciers, celui dont les analyses sont les plus<br />

fines et les plus subtiles, à partir des situations les plus ténues et à<br />

propos des personnages les plus complexes, s’illusionne à ce point<br />

sur le principe même de son écriture. Si l’impulsion vient de son<br />

cœur, de son immense désir de retrouver les sentiments, heureux ou<br />

malheureux, de son passé, c’est bien évidemment avec son<br />

intelligence qu’il les décrit. Sentir comme le ‘chouen’ Zadig ne suffit<br />

pas si l’on n’a pas aussi, prour exprimer, l’esprit que Voltaire a donné<br />

à sono personnage” (Ibidem, pp. 634-635).<br />

Il pensiero va ad una lettera a Jacques Copeau (rappresentante<br />

di Gallimard) del 22 maggio 1913, in cui un ruolo decisivo, proprio<br />

287 “Adieu, on vieux genstil. Je ne peut pas dire que je pense souvent à toi, car tu<br />

es installé dans mon âme comme une de ses couches superposées et je ne peux<br />

pas regarder du dedans au dehors, ni recevoir une impression du dehors au<br />

dedans sans que cela ne traverse mon binchnibuls intérieur devenu translucide et<br />

poreu” (a Hahn, ____________).


304<br />

nel passaggio da inconscio a conscio, è affidato all’intelligenza: “[...].<br />

Mais j’ai craint que faisant allusion à des pages que vous avez lues<br />

de moi, [elle] ne contint un malentendu. Le souvenir auquel j’attache<br />

tant d’importance n’est nullement se qu’on appelle généralement<br />

ainsi. L’attitude d’un dilettante qui se contente de s’enchanter du<br />

souvenir des choses est le contraire de la mienne. Non que<br />

théoriquement, avec préméditation, j’aie constitué à cet égard un<br />

système. Rien de plus inconscient chez moi. Mais de même qu’en<br />

lisant Stendhal, Thomas Hardy, Balzac, j’ai revelé chez eux, avec<br />

mon intelligence, des traits profonds de leur instinct que j’aimerais<br />

dessiner car cela n’a jamais été fait si un peu de temps m’était<br />

encore concédé. Mais je peux dire que le souvenir de Dostoïewski,<br />

Tolstoï (vous comprenez bien que quand je cite de grands noms ce<br />

n’est pas pour m’égaler à eux! ni même en approcher de mille<br />

lieues!) le ‘il devait plus tard se rappeler toujours le moment où il<br />

avait remarqué cette porte’ est encor quelque chose d’extrêmement<br />

contingent et accidental relativement à ‘mon’ souvenir, où tous les<br />

elements matériels constitutifs de l’impression antérieure se trouvant<br />

modifiés le souvenir prend au point de vue de l’inconscient la même<br />

généralité, la même force de réalité superieure que la loi en<br />

physique, par la variation des circostances. C’est un acte et non une<br />

volupté passive. D’ailleurs la notion de plaisir n’existe pas pour moi.<br />

Non que ma vie soit dépourvue de plaisirs comme on croit mais c’est<br />

que je ne le cherche jamais, il accompagne seulement l’amour ardent<br />

que j’ai des choses et qui peut-être en effet est un peu surextité par<br />

la privation. [...]” (CORR, XIII, 179-180; il corsivo è dell’autore).<br />

Riprendiamo una lettera celebre, quella in risposta a Jacques<br />

Rivière, il segretario della NRF che, il 6 febbraio del 1914, gli ha<br />

espresso tutto il suo entusiasmo per Le côté de Chez Swann...<br />

Ma è chiaro che, se accettiamo la critica di <strong>Proust</strong> a Sainte-<br />

Beuve, non è importante quel che lo scrittore dice della sua opera ma<br />

la sua opera; in ballo ci sono due “io! diversi...<br />

“Finalmente un lettore che intuisce che il libro è un’opera<br />

dogmatica e strutturata (enfin je trouve un lecteur qui devine que<br />

mon livre est un ouvrage dogmatique et une construction). [...]. Come<br />

artista, ho trovato più onesto e delicato non rivelare, non proclamare<br />

che quel che mi prefiggevo era la ricerca della verità, e in che cosa<br />

essa consisteva per me. A tal punto detesto le opere ideologiche<br />

nelle quali la narrazione è un continuo tradimento delle intenzioni<br />

dell’autore, che ho preferito non dir nulla. È solo alla fine del libro,<br />

che dopo aver compreso le lezioni della vita, che il mio pensiero si<br />

paleserà. Quella che esprimo alla fine del primo volume, in quella


305<br />

parentesi sul Bois de Boulogne che ho messo lì come semplice<br />

paravento per terminare e chiudete un libro, che per motivi pratici<br />

non poteva superate le cinquecento pagine, è il contrario della<br />

conclusione. È una tappa, che si presenta come soggettiva e<br />

dilettantesca (esse est une étape, d’apparence subjective et<br />

dilettante), sulla via che porta a una conclusione del tutto oggettiva e<br />

convinta. [...]. In questo primo volume avete visto la sensazione<br />

piacevole che mi procura la madeleine inzuppata nel tè – come dico,<br />

smetto di sentirmi mortale etc. e non capisco perché. Lo spiegherò<br />

solo alla fine del terzo volume. Tutta l’opera è costruita in questa<br />

maniera (tout est ainsi construit). [...]. No, se non avessi convinzioni<br />

intellettuali, se cercassi soltanto di ricordare il passato e di duplicare<br />

con questi ricordi l’esperienza, non mi prenderei, malato come sono,<br />

la briga di scrivere (non, si jen n’avais pas de croyances<br />

intellectuelles, si je cherchais simplement à me souvenir et à faire<br />

double emploi par ces souvenirs avec les jours vécus, je ne<br />

prenderais pas, malade comme je suis, la peine d’écrire). Ma questa<br />

evoluzione del pensiero, non ho voluto analizzarla astrattamente<br />

bensì ricrearla, farla vivere. Sono costretto quindi a dipingere gli<br />

errori senza ritenermi in dovere di dire che li giudico tali: tanto peggio<br />

per me se il lettore crede che li considero verità. [...]” (CORR, XIII,<br />

98-100; LG, 1082-1083; il corsivo è dell’autore).


1) Lavori in corso<br />

306<br />

Cap. 21<br />

UBI UR-SZENE?<br />

Molto interessanti i materiali raccolti nei Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong><br />

7. Études proustiennes II. 288 A partire dall’intervento iniziale di Jean<br />

Ricardou sulla metafora, “Miracles” de l’analogie (pp. 11-3) che non<br />

citerò.<br />

Deleuze afferma che la Recherche “n’est pas une robe, [...] pas<br />

une cathédrale, mais une toile d’araignée en train de se tisser sous<br />

nons yeux” (Table ronde, ibidem, p. 91). Che, cioè, non è quel che<br />

<strong>Proust</strong> pensava che fosse: “je bâtirais mon livre, je n’ose dire<br />

ambitieusement comme une cathédrale, mais tout simplement<br />

comme une robe” (TR, 103).<br />

È une toine d’arignée?<br />

Alla medesima tavola rotonda (<strong>Proust</strong> et la nouvelle critique,<br />

New York University, 1972) Barthes paragona <strong>Proust</strong> al Beethoven<br />

delle variazioni su Diabelli: “on s’aperçoit que là on a affaire à trentetrois<br />

variations sans thème. Et il y a un thème qui est donné au<br />

début, qui est un thème très bête, mais qui est donné justement, un<br />

peu, à titre de dérision. Je dirais que ces variations de Beethoven<br />

fonctionnent un peu comme l’œuvre de <strong>Proust</strong>. Le thème se diffracte<br />

entièrement das les variations et il n’y a plus de traitement varié d’un<br />

thème. Se qui veut dire qu’en un sens sans la métaphore (car d’idée<br />

de variation est paradigmatique) est détruite. Ou, en tout cas,<br />

l’origine de la métaphore est détruite; c’est une métaphore, mais<br />

sans origine” (ibidem, p. 102).<br />

Dobbiamo, cioè, venire a patti con l’idea stessa di “origine”?<br />

Genette, alla medesima tavola rotonda: “Mais d’autre part, sa<br />

théorie littéraire est tout de même un peu plus subtile que la grande<br />

syntèse achevante et clôturante du Temps retrouvé” (ibidem, p.<br />

112)... E ancora: il testo di <strong>Proust</strong> “n’est plus aujourd’hui ce quil était,<br />

dison, en 1939” quando si conosceva solo la Recherche, più due o<br />

tre opere considerate minori: “À mon avis, l’événement capital dans<br />

la critique proustienne de ces dernières années, ce n’est pas ce que<br />

nous pouvons écrire ou avoir écrit sur <strong>Proust</strong>, c’est ce qu’il a<br />

288 Gallimard, Paris,1975.


307<br />

continué, si j’ose dire, d’écrire lui-même: c’est la mise au jour de<br />

cette masse d’avant-textes et para-textes qui font la Recherche plus<br />

ouverte aujourd’hui qu’elle ne l’était hier, lorsqu’on la lisait comme<br />

une œuvre isolée. Je veux dire que non seulement elle s’ouvre,<br />

comme on l’a toujours su, par la fin, en ce sens que sa circularité<br />

l’empêche de se clore en s’arrêtant; elle s’ouvre aussi par le début,<br />

en ce sens que non seulement elle ne finit pas, mais que d’une<br />

certaine manière elle n’a jamais commencé, parce que <strong>Proust</strong> a<br />

toujours déjà travaillé à cette œuvre. Et en un sens il y travaille<br />

encore: nous n’avons pas encore tout le texte proustien; tout ce que<br />

nous en disons aujourd’hui sera en partie périmé quand nous<br />

l’aurons dans son entier; mais heureusement, pour lui et pour nous,<br />

nous ne l’aurons jamais dans son entier” (Ibidem, pp. 112-113).<br />

Abbiamo a che fare con un cantiere con i lavori in corso?<br />

Con un accostamento alla non-finibilità insieme kafkiana e<br />

freudiana? 289<br />

L’acategoriale, anche se riversato nel categoriale, resta infinibile<br />

(in-effabile).<br />

In <strong>Su</strong>r deux versions anciennes des “côtés” di Combray,<br />

Quémar 290 sostiene una posizione paradossale ma, proprio per<br />

questo, molto interessante: “C’est évidemment de ‘brouillons’ qu’il<br />

s’agit. Ou mieux: d’‘avant-textes’, puisque loin d’être d’informes<br />

‘fourre-tout’ ou de simples ébauches isolés, ils appartiennent à une<br />

suite romanesque. ‘Avant-textes’ qu’il serai injuste de ne prendre en<br />

considération que relativement à l’œuvre definitive, en se contentant<br />

d’inventorier leurs imperfections et leurs manques; auxquels il<br />

convient au contraire de conferer le statut de ‘textes’, ayant une<br />

fonction dans un ensemble, répondant à une ou des intentions<br />

289 Come dire: il transfert chissà quando comincia se comincia e chissà quando<br />

finisce se finisce. Luborsky ha operazionalizzato il transfert; lo ha reso verificabile<br />

sperimentalmente, ne ha quindi dimostrato l’esistenza e la monitorabilità.<br />

Applicando il suo test (CCRT) a terapie non psicoanalitiche abbiamo dimostrato<br />

che il transfert è ubiquo. Abbiamo rilevato, oltre agli EERR (Episodi Relazionali<br />

relativi al paziente) anche gli EERRDD (Episodi Relazionali Didattici; relativi, cioè,<br />

allo psicoterapeuta); abbiamo dimostrato l’utilità della rilevazione degli EERR su<br />

entrambi i fronti (paziente e terapeuta); con ciò stesso verificato una vecchia<br />

ipotesi: che non esiste un transfert ma un co-transfert. Procedendo oltre, possiamo<br />

aggiungere che non esiste nulla che non sia l’approdo di un transfert (di un<br />

trasferimento)... Ma anche che l’approdo di ogni trasferimento è sempre solo<br />

provvisorio. Il transfert da Freud a Luborsky. La verifica luborskiana di una<br />

terapia sistemico-relazionale, Cesario/Serritella, Borla, Roma, 2001.<br />

290 In Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 7. Études proustiennes II, Gallimard, Paris, 1975, pp.<br />

117-118)


308<br />

precises du romancier par rapport à un projet global à un stade<br />

donné de sa genèse. Car ‘à chaque instant de la rédaction, il y a déjà<br />

pour celui qui rédige, œuvre et non pas préparation à l’œuvre’ (Jean<br />

Bekkemin-Noël, Le Texte et l’avant-texte, Larousse, 1971, p. 13).<br />

Mais on ne se privera pas pour autant de survellier, à l’intérieur de<br />

chacun des deux fragments, les hésitations, les modifications de<br />

structure et les glissements de sens, enfin les additions, qui<br />

accompagnent la cristallisation progressive des motifs, ni de<br />

comparer entre elles les deux versions et les rapprocher du texte de<br />

la Recherche, si l’on veut saisir l’avènement des ‘formes’ et de<br />

‘significations’, et de tenter de comprendre le fonctionnement du<br />

discours proustien” (pp. 223-224).<br />

Il paradosso consiste nel considerare testo anche l’avantesto.<br />

Quémar dimostra, ad esempio, come per tappe, a partenza da<br />

ricordi autobiografici, si siano formati i due côté, ciascuno avente al<br />

suo centro l’immagine di una donna, con annessa l’immagine di un<br />

fiore... e ciascuno avente una porta d’accesso diversa...<br />

Dimostra, quindi, un viaggio verso la perfezione. Ricostruisce,<br />

cioè, la genesi del testo...<br />

Ma incappiamo in elementi sorprendenti. Ad esempio, i due<br />

côté che, nel testo definitivo, appariranno prima incomunicabili, alla<br />

fine comunicabil, sono presentati – nei due frammenti IV e XII –<br />

subito sia incomunicabili che comunicabili: (1) “Car je sus alors que<br />

le côté de Méséglise et le côté de Garmantes n’étaient pas aussi<br />

inconciliables que je le croyais autrefois et qu’on pouvait partir du<br />

côté de Méséglise couper par Garmantes” (IV, 176); (2) “Mais aux<br />

années dont je parle unir le côté de Germantes et le côté de<br />

Meséglise me paraissait aussi impossible que de faire venir l’Orient<br />

près de l’Occident et de les ranger l’un à côté de l’autre. Alors je ne<br />

savais pas qu’il n’y avait pas tant de différence entre le côté de<br />

Garmantes et le côté de Meséglise” (ibidem).<br />

Ma, soprattutto, Quémar ci spiega che la scena-madre del<br />

“drame du coucher” forse è tardiva.<br />

La scena-madre?<br />

Tardiva?<br />

Il primum movens tardivo?<br />

Non è possibile, il primum movens coincide con i primordi, è i<br />

primordi.<br />

Forse no.<br />

Ricordate il Leitmotiv della reincarnazione? O, in tono minore,<br />

delle tappe evolutive? “Puis elle [croyance] commençait à me devenir<br />

intelligibile, comme après la métempsycose les pensées d’une


309<br />

existence antérieure” (S, 3) “j’avais seulement dans sa semplicité<br />

première, le sentiment de l’existence comme il peut frémir au fond<br />

d’un animal; j’étais plus denué que l’homme des cavernes” (S, 5)...<br />

Non esiste, quindi, un primum movens che fittizio; un semblant<br />

di esso. La scena-madre risale a oltre “le madri” di goethiana<br />

memoria; e la “robe” sarà, se mai lo sarà, attillata solo in un futuro<br />

stadio evolutivo (o di reincarnazione).<br />

Consideriamo il “drame” come lo si ritrova nei “morceaux”<br />

riportati da Quémar dei Cahier IV e XII che sono i più antichi sui<br />

“côté” (situabili, il primo a cavallo tra il 1908 e il<br />

1909_______________). 291<br />

2) Il drame du coucher<br />

Il “drame du coucher” sembra aver costituito inizialmente il<br />

legame tra il motivo delle passeggiate (almeno della masseggiata<br />

verso Villebon/Garmantes) e quello dei “dîners familiaux” con Swann:<br />

“Mais à partir de là, débordant peu à peu le cadre stricte de ces<br />

réceptions tant redoutées par le jeune garçon et perdant de vue le<br />

thème du coucher, le discours s’organise en une sorte de portraitroman<br />

de Swann [...]” (pp. 213-214)<br />

In ogni caso “le récit de ces soirées de Combray ne se referme<br />

pas sur lui-même, c’est-à-dire sur le thème de la chambre de l’enfant<br />

et du baiser maternel. On est encore loin de cette unité circulaire du<br />

‘coucher du soir à Combray’, qui, dans le roman, circonscrit ce qu’on<br />

est convenu d’appeler ‘Combray I’. L’entrée en scène de Swann<br />

entraîne l’écrivain dans un développement centré sur ce personnage,<br />

291 Kuémar a proposito del Cahier IV envers, f° s 71 V°-57 V° e CSB 61-73: si tratta<br />

di un “ensemble suivi assez complexe” perché <strong>Proust</strong> l’ha molto “remanié et<br />

augmenté”. Si tratta di una messa a punto a partire da esquisse diverse contenute<br />

nei primi cinque cahier e destinate al CSB narrativo. All’inizio questi “marceaux”<br />

erano stati redatti nella prospettiva di un prologo ad una versione narrativa del SB<br />

(alla quale verosimilmente <strong>Proust</strong> pensava quando cominciò a riempire i cahier, nel<br />

1908). All’inizio si trattava di evocare le ore vissute, prima e dopo lo spuntare del<br />

giorno, nell’attesa di una conversazione mattutina “avec Maman” su Sainte-Beuve.<br />

Poi si sono aggiunti dei frammenti su dei ricordi subentrati nel corso di insonnie, in<br />

un tempo anteriore a quello di questa matinée. Allora <strong>Proust</strong> sembra essere<br />

scivolato verso “une utilisation nouvelle de cette matinée” che “si sostituisce à<br />

l’utilisation qui lui avait d’abord été assignée” (Maurice Bardèche, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong><br />

romancier, Paris, 1971, I, p. 211): il Sainte-Beuve narrativo è abbandonato e quel<br />

che era destinato al suo prologo darà nascita all’“ouverture” di Swann.


310<br />

et le drame du coucher est ainsi complètement oublié” (Ibidem, p.<br />

214).<br />

“Mais ce qui distinguait pardessus tout pour moi Garmantes<br />

c’est que le jours où nous étions allés nous promener de ce ‘côté’,<br />

comme nous rentrions tard on nous envoyait coucher // presque //<br />

assitôt notre soupe prise et que Maman ces soirs là ne montait pas<br />

me dire bonsoir dans mon lit. Toute la journée pendant la promenade<br />

je pensais à la Comtesse de Garmantes, // ou // aux nymphéas<br />

comme si je n’avais pas eu cette appréhension pour le soir. Mais sur<br />

le retour quand le vent commençait à tomber, mon angoisse me<br />

prenait. Et c’est ainsi sur le côté de Garmantes que j’ai appris à<br />

distinguer en moi ces états distincts, presque opposés, qui se<br />

succèdent dans ma vie, dans chaque journée // même // où la<br />

tristesse revient à une certaine heure avec la régularité de la fièvre,<br />

et pendant lesquels ce qui fu désiré // redouté, // accompli, dans les<br />

états différents paraît presque incompréhensible. En rentrant de<br />

Garmantes je savais que je n’avais guère plus d’une demie heure<br />

avant l’instant où il faudrait dire bonsoir à Maman” (IV, 176-177). 292<br />

Quindi: (1) i côté sono “opposti” (IV, 162); nel romanzo lo<br />

rimarranno; diventeranno conciliabili sono alla fine: un esempio tra i<br />

molti della scrittura simultanea dell’inizio e della fine e della<br />

successiva distribuzione... (2) il “drame” è solo una questione di<br />

“ritardo” nel ritorno dal “côté de Garmantes”; (3) ma “tuote la journée”<br />

il Narratore pensa alla Comtesse de Garmantes (o alle “nymphéas”;<br />

(4) “comme si je n’avais pas eu cette appréhension pour le soir”:<br />

come se non ci fosse nessun presagio del “drame”; (5) che irrompe<br />

tempestoso; (6) solo ad un certo punto il Narratore scopre la<br />

“regolarità” del fenomeno. (7) Ma qual è il fenomeno? Citiamo un<br />

passaggio immediatamente precedente (e immediatamente<br />

susseguente a quello citato dianzi): “Mais aux années dont je parle<br />

unir le côté de Garmantes et le côté de Meséglise me paraissait<br />

aussi impossible que de faire venir l’Orient près de l’Occident et de<br />

les ranger l’un à côté de l’autre. Alors je ne savais pas qu’il n’y avait<br />

pas tant de différence entre le côté de Garmantes et le côté de<br />

Meséglise. Il y a encore quelques autres choses que je ne savais<br />

pas alors et que je sais aujourd’hui. Mais elles son sans valeur. Et<br />

alors je savais des choses précieuses que je ne saurai jamais,<br />

jamais plus. Mais le côté de Garmantes avait surtout quelque chose<br />

qui me le rendait différent de tout le reste mais à laquelle chose<br />

curieuse je ne commencais à penser qu’à 7 heures du soir. C’est sur<br />

292 “[...] Meséglise et Guermantes n’étaient pas aussi absolument opposés et<br />

inconciliables que je le croyais pendant toute non enfance [...]” (XII, 178).


311<br />

le côté de Meséglise petit chemin qui mène à la route de Garmantes<br />

et que j’ai appris depuis être du côté de conduire à Meséglise que j’ai<br />

appris que c’est assez pour faire naître l’amour qu’une femme fixe<br />

son regard sur nous et que nous sentions qu’elle pourrait nous<br />

appartenir. Mais c’est sur la route de Garmantes que j’ai appris que<br />

c’est assez pour faire naître l’amour q’une femme détourne son<br />

regard de nous et que nous sentions qu’elle ne pourrait pas nous<br />

appartenire. Mais ce qui distinguait... (IV, 176).<br />

Quindi: la differenza tra avere il bacio della sera o non averlo –<br />

simile alla differenza tra i due côté, tra l’oriente e l’occidente –,<br />

sappiamo che apparirà fasulla alla fine (ma è già apparsa fin<br />

dall’inizio)... Quindi: la “regolarità” è la regolarità tra il bene e il male,<br />

tra la presenza e l’assenza... Non si tratta di “episodi”, di “drammi”, di<br />

“scene”...<br />

Si tratta della pulsazione dell’universo... 293<br />

E questa pulsazione è governata, anche questa volta, dal<br />

“desiderio mimetico”? Per trovarsi immerso in una storia d’amore<br />

basta che una donna “détourne son renard de nous”!<br />

Vedremo più avanti...<br />

<strong>Su</strong>lla strada per Meséglise <strong>Marcel</strong> ha imparato l’amore<br />

corrisposto; sulla strada per Garmantes quello non corrisposto.<br />

Ma l’uno è l’altra faccia della medesima medaglia.<br />

Straordinario il passo che ri-citiamo in cui sembra quasi che le<br />

contraddizioni si impennino ma anche perdano il loro “valore”: “Il y a<br />

encore quelques autres choses que je ne savais pas alors et que je<br />

sais aujourd’hui. Mais elles son sans valeur. Et alors je savais des<br />

choses précieuses que je ne saurai jamais, jamais plus”.<br />

Ritorniamo al tema del “baiser”: “Tel était le côté de<br />

Guermantes [ et vous me mèneriez dans un pays où il y aurait<br />

d’aussi beaux, de plus beaux nymphéas, une // une plus jolie rivière,<br />

de plus belles routes, si ce n’est pas ce pays là et non un autre, cela<br />

ne me fera pas plus de plaisir que si ma mère avait envoyé me dire<br />

bonsoir au lieu d’elle une femme qui lui // aurait // ressemblé qui<br />

aurait été aussi belle et aussi intelligente, plus intelligente et plus<br />

belle. La petite irrégularité que Maman avait dans le menton me<br />

293 “[...] et qui allait jusqu’au village qu’on voyait au fond avec le gare un peu<br />

distante, et sur lequel passait aux 'heures’ le son de l’horologe de l’église dont<br />

nous nous arrêtions pour compter les coups, affaibli, horizontal, détaché dans sa<br />

forme nette du reste de l’air // qu’il traversait sans s’y mélanger // par sa densité<br />

qu’il semblait avoir emprunté aux cloches, et comme côtelé de nervures par la<br />

palpitation // successive // de toutes le lignes de sa trame, vibrant audessus des<br />

herbes comme l’élytre de gaze // et le métal // d’une libellule invisible” (XII, 181).


312<br />

rappelait que c’était bien elle m’était alors plus chère, qu’un menton<br />

plus parfait chez une autre. [...]. Ce que nous aimons dans un pays<br />

comme dans une personne ce n’est pas sa beauté que d’autres<br />

peuvent égaler, éclipser, c’est son individualité. Quand je voulais que<br />

Maman vienne me dire bonsoir dans ma chambre, vous m’auriez<br />

envoyé une mère plus belle, plus intelligente et qui n’aurait pas été<br />

elle, même plus belle même plus intelligente cela ne m’eut fait aucun<br />

plaisir. Le défaut la petite fente qu’elle avait dans le menton, en me<br />

montrant que c’était bien elle m’était beaucoup plus agréable que le<br />

menton parfait d’une autre. Une rivière plus belle que la Vivette //<br />

mais qui ne serait pas elle // , // avec // de nymphéas plus éclatantes,<br />

je ne tiens pas du tout à aller la voir. Que ne donnerais-je pas pur<br />

retourner à Combray, et avec quelle émoti plaisir j’y retrouverais ces<br />

particularités dépourvues de beauté peut’être mais qui disent c’est<br />

bien là, l’endroit. Où le chemin diverge, la ferme unique en face des<br />

deux fermes, l’allée d’arbres qui mène à l’ancien Calvaire, rien que le<br />

nom de la station qui précède Combray, et qui est émouvant pour<br />

moi comme le nom de la rue où habite une femme aimée. Et si l’on<br />

veut y penser, dans la différence d’un endroit aimé et d’une femme<br />

aimée, qui sans cela se ressemblent tant et qui est [que] le paysage<br />

est attaché éternellement à la même place, ou plutôt qu’il est la place<br />

même git tout le problème toujours mal posé du voyage” (XII, 204-<br />

206).<br />

3) L’escalation manca<br />

Qui, lo rileva Quémar, esiste una corrispondenza d’amorosi<br />

sensi; non vige ancora la regola della “differenza” che alimenta<br />

l’escalation...<br />

Qui la “differenza” non ostacola ma accudisce l’unione...<br />

Qui sono il paese, la strada (côté de Gueramntes), la madre<br />

che si ama... che vengono amati; un paese, un côté, una madre più<br />

regolari/perfetti – addirittura più belli (più intelligenti: qui si tratta della<br />

madre) – sarebbero meno amabili.<br />

Il Narratore pone il problema del viaggio... Sappiamo gli sviluppi<br />

che avrà... Qui il viaggio va da un côté all’altro, dalla madre alla<br />

madre...<br />

Ma sappiamo che l’amore passa da un coté all’altro...<br />

“Tel était le Côté de Guermantes. Le Côté de Méséglise, tout<br />

en champs élevés audessus de la ville et étendus à l’infini a fait // à<br />

jamais // pour moi, des bleuets des coquelicots, de la fleur du


313<br />

pommier, de l’aubépine, quelque chose de bien différent des fleurs<br />

qu’une femme du monde ou un dilettante prétendent aimer, // et //<br />

dont il caractérisent d’un mot heureux la couleur singulière ou le<br />

parfum” (XII, 206).<br />

Un côté non è da meno dell’altro...<br />

Di nuovo la differenza; tra l’amato e il non amato; differenza non<br />

c’è – c’è solo passaggio, pulsazione – tra un côté e l’altro, tra la<br />

madre che dà la buona notte e quella che la nega...<br />

Quindi, solo pulsazione, palpitazione...<br />

Nella versione definitiva le due figure femminili – M lle Swann e<br />

Mm e de Guarmantes – sono prima sognate dal Narratore che se ne<br />

fa inevitabilmente un’immagine arbitraria; una “songerie” che<br />

favorisce la cristallizazione amorosa prelude al “coup de foudre”<br />

dell’incontro e la prepara. “Rien de cela au stade de nos inédits. Au<br />

Cahier IV, M lle Swann et la comtesse de Garmantes sont l’une et<br />

l’autre mentionnées pour la première fois au moment même de leur<br />

rentrée en scène. Pas la moindre rêverie antérieur de la part du<br />

protagoniste. Et de la part du romancier, pas la moindre préparation<br />

plus haut dans le texte. Contrevenant au mode de présentation<br />

auquel il recourra ultérieurement pour les ‘personnages importants’<br />

dans toute l’œuvre, <strong>Proust</strong> introduit ici les deux femmes dans la<br />

trame romanesque ‘de plain-pied et comme à [Tadié, p. 68],<br />

précisément parce qu’il improvise” (p. 271).<br />

Solo a partire dal Cahier XII comincerà quella “rêverie” intorno a<br />

M ll e Swann che si svilupperà nel testo definitivo.<br />

Quanto alla contessa, nel Cahier VIII il curato di Cobray l’ha<br />

menzionata come dama altera che ha rifiutato di riceverlo; ma il<br />

Narratore “na pas commencé encore de l’immaginer. Ni au Cahier IV<br />

ni au Cahier XII son apparition [di M me de Guermantes] n’entraîne<br />

donc de déception, et pas davantage celle de M lle Swann. Bien au<br />

contraire. C’est là une différence fondamentale par rapport au texte<br />

finale. [...]. De fait, c’est, dans les deux cas, toute la rencontre dans<br />

son déroulement, ainsi que la signification s’attachant aux deux<br />

femmes, qui distinguent nos versions de la rédaction définitive. [...].<br />

<strong>Proust</strong> reprende au Cahier XII, en le développant, le récit di Cahier<br />

IV, avec le schéma qui s’était imposé à lui à ce stade originel.<br />

D’abord une rencontre gratificante, puis une rencontre frustrante,<br />

mortificante; schéma exactement inverse de celui qu’il a retenu dans<br />

le texte imprimé. [...]. “à la différence de ce qui se produira dans le<br />

texte definitif, le coup de foudre se réalise ici, dès le Cahier IV, sous


314<br />

le signe du bonheur, c’est-à-dire de la réciprocité. 294 [...]. L’amour<br />

s’instaure donc dans le roman sous le signe de la fusion des coeurs<br />

et des pensées. Car c’est bien de cela qu’il s’agit ici” (pp. 273-277).<br />

Citiamo due passaggi: (1) “Un jour que nous étions partis ‘du<br />

coté de Villebon elle était justement à la porte du parc dans une<br />

petite robe capote rose, je ne pouvais pas m’empêcher de la<br />

regarder, elle me regardait aussi [...]. elle s’arrêta, continua à<br />

regarder, puis enfin se décida à s’en aller, et je voyais au loin la<br />

petite capote voile // entre les arbres [...]” (IV, 167). 295 (2) “Et dans les<br />

amours plus vastes et plus exigeants qui ont pour dessein une fusion<br />

des pensées, des volontés, le fait d’apercevoir qu’une jeune fille ne<br />

veut que ce que nous voulons, que nous tenons une // grande //<br />

place dans sa pensée tout cela peut entraîner comme<br />

rétroactivement l’amour qui se sera proposé cela pour but. Qu’on<br />

sente qu’elle dise ‘nous’ et notre cœur avide d’un cêur dans ce<br />

heures solitaires de la jeunesse ne peut se détacher de celle qui l’a<br />

mis contre le sien” (XII. 189).<br />

In quest’ultimo passaggio del Cahier XII un incontro tacito d’un<br />

cuore con un altro cuore: “rencontre purement sentimentale, sans<br />

nuance érotique. [...]. rien d’elle [de Mlle Swann] n’es perçu en de<br />

294 “Tel était le côté de ‘Garmates’ et ce que j’aimais dans ces lieux c’était comme<br />

toujours quand on aime, non pas leurs beautés, mais eux-mêmes” (p. 170). “[...] le<br />

jour où // perdu // après une longue journée d’automobile dans un pays que je ne<br />

connaissais pas, mon chauffeur me dit qu’en prenant la première route à droite on<br />

arriverait [à] Garmantes, ce fu absolument comme s’il me disait qu’en prenant le<br />

premir chamin à gauche en tournant de deuxième à droite je tomberais droit sur<br />

ma jeneusse ou sur mon premier amour. Au reste n’en est-il pas un peu ainsi<br />

chaque fois que se présente le paradoxe d’un idéal réalisé, d’une chose qui n’a été<br />

connue que par l’imagination et qui par une volte face soudaine tombe sous les<br />

yeux, chaque fois qu’il faut se dire devant une ville c’est Venise, devant un<br />

Monsieur qui se promène c’est Victor Hugo, devant un lavoir, // ce sont les Sources<br />

du Loir” (IV, 172) = “[...] suivez la route pendant dix minutes, la seconde avenue de<br />

chênes à gauche vous tomberez sur Guermantes, c’a été comme s’il m’avait dit,<br />

continuez tout droit la première à gauche et vous avez à droite votre passé, votre<br />

jeunesse: vous allez toucher l’intangible, vous allez atteindre aux inaccessibles<br />

lointains dont on ne connaît jamais sur terre que la direction, ‘le côté’ (XII, p. 178).<br />

295 “M lle Swann vit mon oncle mon grand père, mais moi elle ne se contenta pas de<br />

me voir, elle me regarda. Ses cils se plissèrent légèrement comme sous l’effort<br />

d’une attention profonde et dissimulée les deux petites fleurs de myosotis<br />

semblèrent sortir légèrement des paupières, // me // toucher et entrer vite pour<br />

qu’on ne remarquat pas leur mouvement. Mais rentrées à leur place habituelle et<br />

ne semblant plus me voir que comme mon grand père, mon oncle et le chemin,<br />

elles restèrent fixés sur moi pendant tout le temps que nous montions en quelque<br />

sorte vers elle, quoique de l’autre côté de la haie, avec un persistance sans trêve,<br />

dans une immobilité qui me troublait infinement” (XII, 187).


315<br />

hors de sa figure: rien de son corps. [...]. Seul est vu le visage, donc,<br />

et dans ce visage, nulle allusion encore eu teint, à la carnation” (p.<br />

277).<br />

È solo nella seconda versione del Cahier XII che la visione<br />

dell’amata si tingerà di erotismo...<br />

Quémar parla di un “apax”; potremmo dire di un “inaudito” (o<br />

udito una sola volta): “Ce ne sera plus la pure extase sentimentale, la<br />

grave et mutielle effusion des deux versions précedentes, effusion<br />

d’autant plus remarquable qu’elle est quasiment un hapax dans le<br />

contexte de la Recherche” (p. 279).<br />

4) Il senso del souvenir<br />

Riprendiamo dai Cahier: “mais une réalité qui s’impose à moi<br />

avec tant de charme que la vue de la petite flamme de toile rouge<br />

d’un coquelicot // hissée en haut de son cordage vert et // claquant<br />

au vent // contre la bouée noire et graisseuse // sur un talus, me fait<br />

battre le cœur, avec tant de mystère ainsi que je cours encore //<br />

comme quand j’étais petit // si // je suis sur qu’on ne me voit pas<br />

quand j’aperçois un pommier en fleurs, et reste à dégager de ses<br />

beaux pétales que je reconnaîtrais entre tous ce qui peut en eux<br />

solliciter aver cette force mon amour et mon étude. <strong>Su</strong>r ces pétales il<br />

y a comme une petite épaisseur // invisible // impalpabile // et qui<br />

offre une douce résistance à mon regard avant qu’il arrive jusqu’à la<br />

blancheur charnue des pétales; // elle est probablement faite de tous<br />

les regards que j’ai fixés sur eux autrefois et que mon regard<br />

d’aujourd’hui est obligé de retraverser pour arriver jusqu’à la fleur;<br />

ces fleurs là ce n’est pas une fantasie esthétique qui me les fait<br />

aimer, elles s’imposent à moi de toute la puissance d’un passé que<br />

je ne suis pas libre de changer” (XII, 206-207)<br />

Si parlava prima di una pulsazione tra côté dell’universo;<br />

l’importanza dei côté deriva dalla loro storia (che precede e segue la<br />

vita del Narratore come quella di tutti).<br />

In Déguisements du moi et art fragmentaire, Leo Bersani<br />

sostiene che il ruolo cruciale dei ricordi involontari 296 è legato alla loro<br />

296 Claudine Quémar in <strong>Su</strong>r deux versions anciennes des “côtés” de Combray<br />

(Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 7. Études proustiennes II, Gallimard, Paris, 1975, pp. 217-<br />

118) a proposito di Cahier I envers, f° s 71 V°-57 V° e CSB 61-73: si tratta di un<br />

“ensemble suivi assez complexe” perché <strong>Proust</strong> l’ha molto “remanié et augmenté”.<br />

Si tratta di una messa a punto a partire da esquisse diverse contenute nei primi<br />

cinque cahier e destinate al CSB narrativo. All’inizio questi “marceaux” erano stati


316<br />

“signification estrêmement modeste” (31): “Or ces souvenirs ne<br />

créent rien; sans eux, la narrateur n’aurait sans doute jamais eu<br />

conscience de cette essence extra-temporelle que la mémoire<br />

involontarie dégage d’une sensation présente et d’une sensation<br />

passée, mais cette essence n’en est pas moins une verité qui<br />

concerne l’histoire des sensations de <strong>Marcel</strong> et ne contient en ellemême<br />

rien qui puisse inspirer un avenir. L’intérêt réel des essences<br />

liberées par les souvenirs involontaires est qu’elles rendent<br />

impossibile tuote formulation définitive du moi” (51)<br />

“Certes, la mémoire involontarie, dans la mesure où elle offre<br />

des preuves d’‘un moi individuel, identique et permanent’, apaise la<br />

crainte de la discontinuité psychologique chez <strong>Marcel</strong>. Mais elle fait<br />

plus; elle démolit toute tentative de fixer le moi dans une totalité<br />

stable en montrant combien toute définition de soi-même est<br />

instable” (52). “Donc, l’essence libérée par un souvenir involontarie<br />

est, d’abord, personnelle: elle n’est pas dans les choses, elle est<br />

dans les analogies ou les identités particulières que l’appareil<br />

sensoriel de <strong>Marcel</strong> établit entre sensations. Il ne s’agit pas non plus<br />

de l’essence de la personnalité; il est plutôt question d’une qualité de<br />

sensation commune à deux moments de sa vie. Enfin, les souvenirs<br />

involontarires de <strong>Marcel</strong> mettent en doute certaines façons<br />

habituelles de définir le passé; il suggèrent des nouvelles<br />

dispositions des divers éléments dans un épisode ou dans un cadre<br />

du passé. Ainsi ces souvenirs autorisent la notion d’une personnalité<br />

jamais ‘finie’, toujours ouverte – notion sous-jacente à une écriture<br />

constamment en train de recréer, d’improviser le moi” (53). “Être<br />

l’artiste de sa propre vie suppose la possibilité de vivre selon certains<br />

styles au lieu de certaines obsessions – c’est-à-dire la possibilité de<br />

se répéter dans une variété divertissante de paroles, de gestes,<br />

d’actions” (65).<br />

redatti nella prospettiva di un prologo ad una versione narrativa del SB (alla quale<br />

verosimilmente <strong>Proust</strong> pensava quando cominciò a riempire i cahier, nel 1908).<br />

All’inizio si trattava di evocare le ore vissute, prima e dopo lo spuntare del giorno,<br />

nell’attesa di una conversazione mattutina “avec Maman” su Sainte-Beuve. Poi si<br />

sono aggiunti dei frammenti su dei ricordi subentrati nel corso di insonnie, in un<br />

tempo anteriore a quello di questa matinée. Allora <strong>Proust</strong> sembra essere scivolato<br />

verso “une utilisation nouvelle de cette matinée” che “si sostituisce à l’utilisation qui<br />

lui avait d’abord été assignée” (Maurice Bardèche, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> romancier, Paris,<br />

1971, I, p. 211): il Sainte-Beuve narrativo è abbandonato e quel che era destinato<br />

al suo prologo darà nascita all’“ouverture” di Swann.


317<br />

5) Di nuovo il drame du coucher (e la non escalation e il<br />

souvenir)<br />

Torniamo al “drame”: “Elles continuent // dans le champs la<br />

minute qui est terminée dans ma vie. Elles sont en dehors de moi la<br />

seule chose qui soit à la même profondeur que le passé qui est dans<br />

mon cœur. // Par là elles n’ont pas seulement pour moi la beauté de<br />

la nature, elles en ont l’existence vraiment réelle. Indépendante de<br />

notre caprice d’aujourd’hui, à laquelle il faut nous plier et qui ne se<br />

plie pas à nous” (XII, 207).<br />

Il profondo del cuore e il dehors – il fuori di me – sono due<br />

côté...<br />

Da qui la portata non “estetica” del ricordo... Esso rappresenta il<br />

passaggio tra i due côté...<br />

“[...]. On me dannerait des pays immenses où il n’y aurait ni<br />

coquelicots, ni bleuets, ni pommiers, ni aubépines, // je n’en voudrais<br />

pas, // je ne me sentirais pas dans la nature. Le Côté de Guermates<br />

a fixé à jamais de traits différents mais aussi nécessaires une autre<br />

partie de ce qui est pour moi l’image du bonheur. // Si // Je ne peux<br />

plus concevoir la nature sans aubépines, je ne peux plus non plus la<br />

concevoir sans rivière. Une des // rares // plaisirs que j’espère encore<br />

goûter et qui fuyant toujours devant moi me redonnent pourtant par<br />

leurs signaux enchantés la force de continuer encore ma route, c’est<br />

de retourner un jour // dîner // à ce petit restaurant sur la Vivette. Ce<br />

n’est pas un restaurant sur une autre rivière que je voudrais, je<br />

voudrais partir à la même heure de la ville laborieuse, en cariole. Il<br />

me semble que c’est // seulement // en replicant exactement le<br />

présent sur le passé, en faisant passer // exactement // le lignes<br />

d’aujourd’hui par tous le points d’autrefois que je peux espérer une<br />

coïncidence parfaite et vraiment heureuse” (ibidem).<br />

Passato e presente = due côté di cui si è temuto che non<br />

comunicassero e invece comunicano...<br />

Il “viaggio” è viaggio da un côté all’altro...<br />

Saltiamo due pagine circa: “[...] Madame de Guermantes m’a<br />

vu, s’est informée de mon nom, elle s’est repentie de sa raillerie. Elle<br />

m’aimera, elle a voulu m’envoyer une dépêche, c’est elle qui passe<br />

en ce moment, elle sera à Combray avant nous, voici ce qu’elle me<br />

dira [...]” (XII, 209).<br />

Mentre M lle Gilbert lo ha fissato innamorata, M me de<br />

Guermantes ha allontanato lo sguardo da lui (ha gettato verso di lui<br />

“un regard dédaigneux”, XII, 203)...


318<br />

Il viaggio da un côté all’altro comporta il passaggio dallo<br />

sguardo “fixé” a quello “dédaigneux” e viceversa...<br />

Comporta la possibilità che, invece di arrivare noi in ritardo a<br />

casa e perdere, di conseguenza, il bacio di Maman, miracolo,<br />

miracolo!, sia M me de Guermant che ci preceda (“elle sera à Combray<br />

avant nous”)!<br />

5) Il punctum dolens<br />

È a questo punto che più di un anno fa ho interrotto la lettura di<br />

<strong>Proust</strong> (e la scrittura su <strong>Proust</strong>).<br />

Chissà, forse perché esausto: avevo letto in media una decina<br />

e più di ore al giorno.<br />

Ma, forse, perché Leo Bersani, nel suo Déguisements du moi et<br />

art fragmentaire, mi aveva colpito al cuore. Un veloce richiamo: il<br />

ruolo cruciale dei ricordi involontari 297 è legato alla loro “signification<br />

estrêmement modeste” (31): “Or ces souvenirs ne créent rien; sans<br />

eux, la narrateur n’aurait sans doute jamais eu conscience de cette<br />

essence extra-temporelle que la mémoire involontarie dégage d’une<br />

sensation présente et d’une sensation passée, mais cette essence<br />

n’en est pas moins une verité qui concerne l’histoire des sensations<br />

de <strong>Marcel</strong> et ne contient en elle-même rien qui puisse inspirer un<br />

avenir. L’intérêt réel des essences liberées par les souvenirs<br />

involontaires est qu’elles rendent impossibile tuote formulation<br />

définitive du moi” (51).<br />

E come potrebbe essere diversamente se all’accesso<br />

all’intemporel è accesso all’acategoriale?<br />

297 Claudine Quémar in <strong>Su</strong>r deux versions anciennes des “côtés” de Combray<br />

(Cahiers <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong>, 7. Études proustiennes II, Gallimard, Paris, 1975, pp. 217-<br />

118) a proposito di Cahier I envers, f° s 71 V°-57 V° e CSB 61-73: si tratta di un<br />

“ensemble suivi assez complexe” perché <strong>Proust</strong> l’ha molto “remanié et augmenté”.<br />

Si tratta di una messa a punto a partire da esquisse diverse contenute nei primi<br />

cinque cahier e destinate al CSB narrativo. All’inizio questi “marceaux” erano stati<br />

redatti nella prospettiva di un prologo ad una versione narrativa del SB (alla quale<br />

verosimilmente <strong>Proust</strong> pensava quando cominciò a riempire i cahier, nel 1908).<br />

All’inizio si trattava di evocare le ore vissute, prima e dopo lo spuntare del giorno,<br />

nell’attesa di una conversazione mattutina “avec Maman” su Sainte-Beuve. Poi si<br />

sono aggiunti dei frammenti su dei ricordi subentrati nel corso di insonnie, in un<br />

tempo anteriore a quello di questa matinée. Allora <strong>Proust</strong> sembra essere scivolato<br />

verso “une utilisation nouvelle de cette matinée” che “si sostituisce à l’utilisation qui<br />

lui avait d’abord été assignée” (Maurice Bardèche, <strong>Marcel</strong> <strong>Proust</strong> romancier, Paris,<br />

1971, I, p. 211): il Sainte-Beuve narrativo è abbandonato e quel che era destinato<br />

al suo prologo darà nascita all’“ouverture” di Swann.


319<br />

Di questo accesso si può – <strong>Proust</strong> può – descrivere la<br />

fenomenologia; ma, da un certo momento in poi, incomincia una terra<br />

incognita che incognita deve e non può non restare.<br />

Leggo nel bellissimo testo di Luc Fraisse (L’œuvre cathédrale,<br />

op. cit.) la parte dedicata ai “cloches” (pp. 154-188) e, in particolare,<br />

quella intitolata Le clochers et le temps retrouvé – Jouy-le-Vicompte<br />

vu du clocher.<br />

Fraisse considera il “clocher” di Combray “le principe<br />

ordonnateur du petit monde de l’enfance. Comme plus généralement<br />

l’église, le chocher sert au romancier de point d’ancrage” (168; il<br />

corsivo è dell’autore)...<br />

Ecco, in questione è l’esistenza di un principio ordinatore.<br />

Una possibilità è che questo principio ordinatore governi il<br />

percorso verso l’innefabile; e verso la pronuncia di questo ineffabile.<br />

E che qui si fermi, perché qui comincia, quasi fatiche di Sisifo, l’opera<br />

non derisoriamente ma novellamente, sempre novellamente ripresa.<br />

Qui, forse, lo splendido perché, della Recherche, siano stati<br />

composti contemporaneamente l’inizio e la fine.<br />

Sì, lo sappiamo, <strong>Proust</strong> difende la sua “costruzione”... Ed ha le<br />

sue buone ragioni per farlo. Ma la sua cosrruzione, quando approda,<br />

approda all’in-costruibile; il fari l’in-effabile (l’in-volonario) produce<br />

una fuoriuscita dall’in-effabile che solo al lettore si presenta come un<br />

fatum che schiude l’in-effabile. Secondo quel circuito che la lettura di<br />

Kafka ci ha insegnato. Kafka dice l’in-fanzia in modo<br />

straordinariamente categorizzato. Ma la lettura di Kafka, se non<br />

introduce nell’in-effabile, non ha senso... almeno per noi.<br />

Interessante che sia Kafka che <strong>Proust</strong> abbiano cercato di far<br />

bruciare almeno una parte della loro opera. In compenso <strong>Proust</strong><br />

sembra che sia stato attaccatissimo ai suoi manoscritti. Quasi nella<br />

speranza che una novella figlia pentita di Venteuil, in sede postuma,<br />

potesse interpretarli e dar loro la loro forma definitiva.<br />

Io penso che, soggiacente all’incessante riscrittura della sua<br />

opera, ci sia, acuto, in <strong>Proust</strong>, il sentimento della sua interminabilità.<br />

Interminabilità non come difetto = incapacità di approdare, ma come<br />

senso profondo = è proprio l’in-terminabile, il senza termine, che si<br />

può, forse, dire...<br />

E che <strong>Proust</strong> dice.<br />

Prendiamo Fraisse perché nel corso del suo tentativo di<br />

dimostrare il “compimento” dell’opera (della cattedrale) fino alla<br />

perfezione, si imbatte in materiale che suggerisce anche l’imperfezione<br />

come potenzialità in-effabile.


320<br />

Il “clocher” di Combray “s’offrira comme l’élelement fixe qui<br />

permet de rattacher l’univers nouveau de cette fin de roman à<br />

l’univers ancien de Swann” (p. 169).<br />

“Element fixe”!<br />

“Rattacher”!<br />

Qui Fraisse cita dal cahier 73 (1915): “Et, comme les carnets où<br />

un chimiste de génie aurait tracé des découvertes qui auraient pu<br />

rester à jamais ignorées, elle [la figlia di Venteuil] avait exhumé de<br />

ces papiers épars et illisibles la formule de cette flamme écarlate, de<br />

cette joie inconnue, de cette mystique espérance de l’ange du matin,<br />

et des frêles cahiers retrouvés, des indications elliptiques à demi<br />

effacées, elle avait fait surgir, solide comme l’airain des cloches de<br />

Combray et les pierres du clocher et de la place ruisselants de soleil<br />

comme je les apercevais de mon lit, la titubation de leurs volées et le<br />

débordement de leur joie” (C14, ES XIII, P, 1147).<br />

Sì, possiamo pensare che <strong>Proust</strong>, nonostante tutto, cercasse la<br />

“formula”. Ma il suo lascito è l’assenza di formule.<br />

Secondo Fraisse, invece, “le clocher de l’église Saint-Hilaire<br />

survient sous sa plume comme une chernière rattachant solidement<br />

au vieux fonds du roman les excroissances tardives” (169).<br />

Fraisse cita sia il carnet I: “Un clocher s’il est insaisissable<br />

pendant des jours a plus de valeur qu’une théorie complète du<br />

monde” (CI, NV 474, TR, 1268) e la lettera a Bibesco del 19 aprile<br />

1903: “comme en tout cas un clocher se suffit à soi-même” (CORR,<br />

III, 305); ma non ne conclude che l’inafferrabilità supera la<br />

completezza, tutt’altro; secondo Fraisse queste riflessioni le<br />

ritroviamo in Du côté de chez Swann, a proposito della chiesa Saint-<br />

Hilaire: “Et sans doute, toute une partie de l’église qu’on apercevait la<br />

distinguait de tout autre édifice, par une sorte de pensée qui lui était<br />

infuse, mais c’était dans son clocher qu’elle semblait prendre<br />

conscience d’elle-même. Affirmer une existence individuelle, et<br />

responsabile. C’était lui qui parlait pour elle” (SW, 64).<br />

Forse si può concludere: “le clocher semble donc livrer<br />

l’essence même de tout travail de la mémoire sur le temps” (Fraisse,<br />

172...) Ma il problema resta se l’essenza sia o no racchiudibile in una<br />

formulazione “fixe”!<br />

Ma veniamo a Jouy-le-Vicomte.<br />

Fraisse: “[...] il s’agit de reconnaître les symboles dans tous ces<br />

clochers qui ornent les paysages, tant citadins que champêtres, du<br />

roman proustien. En premier lieu chez <strong>Proust</strong>, le clocher semble<br />

devoir figurer surtout le regard particulier du créateur, le processus<br />

de la création rapporté au sens de la vue. C’est un écrivain au cœur


321<br />

de la modernité qui fait prononcer à son curé de village l’éloge des<br />

paysages fragmentés: ‘Mais ce qui est incontestablement le plus<br />

curieux dans notre église, c’est le point de vu qu’on a du clocher qui<br />

est grandiose [...]. <strong>Su</strong>rtout on embrasse à la fois des choses qu’on<br />

ne peut voir habituellement que l’une sans l’autre, comme le cours de<br />

la Vivonne et les fossés de Saint-Assise-lès-Combray dont elle est<br />

séparée par un rideau de grands arbres, ou encore comme les<br />

différents canaux de Jouy-le-Vicomte. [...]. Chaque fois que je suis<br />

allé à Jouy-le-Vicomte, j’ai bien vu un bout de canal, puis quand<br />

j’avais tourné une rue, j’en voyais un autre, mais alors je ne voyais<br />

plus le précédent. J’avais beau les mettre ensemble par la pensée,<br />

cela ne me faisait pas un grand effet. Du clocher de Saint-Hilaire<br />

c’est autre chose, c’est tout un réseau où la localité est prise.<br />

Seulement on ne distingue pas d’eau, on dirait de grandes fentes qui<br />

coupent si bien la ville en quartiers, qu’elle est comme une brioche<br />

dont les morceaux tiennent ensemble, mais son dèjà découpés. Il<br />

faudrait, pour bien faire, être à la fois dans le clocher de Saint-Hilaire<br />

et à Jouy-le-Vicomte’” (SW, 105-106).<br />

Ma come essere “à la fois” qui e là?<br />

Come avere l’ubiquità!<br />

Impossibile, lo sappiamo. E lo sa anche <strong>Proust</strong>: “on embrasse à<br />

la fois des choses qu’on ne peut voir habituellement que l’une sans<br />

l’autre”. E sappiamo la forza che ha, in <strong>Proust</strong>, l’Abitudine, con la<br />

lettera maiuscola.<br />

È chiaro, la memoria “in-volontaria”, vulnera l’abitudine. Ma, se<br />

va bene, non sostituire ad essa un’altra abitudine. La “toglie”<br />

hegelianamente, ma, non hegelianamente, “toglie in sposa” l’averla<br />

tolta.<br />

Fraisse, invece: “Le point de vue morcelé mais globale, que l’on<br />

a du clocher sur Jouy-le-Vicomte, est la réplique inversée des<br />

fragments de clocher que l’on aperçoit en parcourant le rues situées<br />

derrière l’abside. La ressamblance entre ces deux perceptions<br />

contraires est le découpage en moraceau; la différence est que vu<br />

des rue et d’en bas, le clocher n’apparaît que moraceau par<br />

moraceau, quand vu du clocher, le village de Jouy-le-Vicomte s’offre<br />

comme une totalisation de morceaux” (174-175).<br />

Fermiamoci un momento solo per sottolineare questa<br />

“totalisation de morceaux”. Ma <strong>Proust</strong> non ha appena segnalato:<br />

“seulement on ne distingue pas d’eau”? Non ha appena parlato di<br />

“grandes fentes”? Di una brioche “dont les morceaux tiennent<br />

ensemble, mais son dèjà découpés”?<br />

Da dove quella “totalisation”?


322<br />

“On retire, de ce point de vue panoramique et morcelé,<br />

l’impression que la fragmentation chez <strong>Proust</strong> garde une valeur<br />

positive et même créatrice; c’est pourquoi nous avons dégagé bien<br />

des significations esthetiques du thème de Jouy-le-Vicomte [...].<br />

Clocher morcelé dans les rues, clocher morcelant le village: ne<br />

serait-ce pas la figuration successive du temps perdu et du temps<br />

retrouvé, régis par la même loi, mais à une échelle simplement<br />

différente? Ainsi, la même vie du héros, la même église construite<br />

par le narrateur, serair le temps perdu, parcourue d’étape en étape,<br />

visitée chapelle après chapelle, puis le temps retrouvé, une fois<br />

aperçus tous les morceaux côté à côté, une fois dessiné le plan<br />

d’ensemble qui composent le temps perdu. Les parties composantes<br />

demeurent les mêmes, et pourtant apparaissent différemment, quand<br />

on en fait un parcours analytique, ou quand on en prend une vue<br />

syntétique. Celui qui aperçoit des fragments de clocher rue après<br />

rue, voilà le héros dans le temps perdu; celui qui réunit les<br />

moraceaux depuis le clocher, voilà le narrateur dans le temps<br />

retrouvé. Ainsi, le contrepoint de ces deux prises de vue, du clocher<br />

à partir des rues, du village à partir du clocher, juxtaposerait<br />

symboliquement et les étapes de la vocation et les voix narratives<br />

dans la Recherche” (p. 175).<br />

Teniamo conto che il finale del lavoro di Fraisse, che si<br />

concentra sulla “chiave di volta” – conclusione del capitolo “Voute” –,<br />

è al massimo aperto: “[...] la clé de voûte existe, c’est une pierre<br />

angulaire, fondation instable et suspendue dans les airs; c’est, à<br />

l’image d’Albertine, une insaisissable pierre de fuite” (op. cit., il<br />

corsivo è dell’autore).<br />

In ogni caso, Luc Fraisse è forse l’autore più convincente...<br />

Quasi convincente! 298<br />

298 Fraisse torna sull’episodio segnalando un divertente pendant – o contro-altare –<br />

in La fugitive nel soggiorno veneziano: “Ma gondole suivait les petits canaux;<br />

comme la main mystérieuse d’un génie qui m’aurait conduit dans les détours de<br />

cette ville d’Orient, ils semblaient, au fur et à mesure que j’avançais, me pratiquer<br />

un chemin creusé en plein cœur d’un quartier qu’ils divisaient en écartant à peine,<br />

d’un mince sillon arbitrairement tracé, les hautes maisons aux petites fenêtres<br />

mauresques. [...]. On sentait qu’entre les peuvres demeures que le petit canal<br />

venait de séparer, et qui eussent sans cela formé un tout compact, aucune place<br />

n’avait été réservée” (627). E commenta: “Le village vu des rues, c’est la vision<br />

fragmentaire et analytique du temps perdu; aperçu du clocher, c’est le panorma<br />

synthétique du temps retrouvé. Il n’est pas étonnant qu’à Venise, le héros ne<br />

reproduise que la première moitié de l’expérience à Jouy-le-Vicomte, puisque La<br />

fugitive appartient à l’étape centrale de la vocation, l’âge des mots, âge positif où<br />

les croyances sont révolues, en attente des révélations finales. Venise vue du<br />

clocher, ce sera le souvenir transfiguré de la cité des doges, durant la dernière


323<br />

In effetti, è proprio così: “Point d’irradiation des épisodes, point<br />

au contraire de convergence pour le héros, le clocher entre aussi,<br />

très tôt et de plus en plus, grâce à ce rythme ample de diastyoles et<br />

de systoles, en dialogue avec tout le roman; tout reflue du clocher, et<br />

tout afflue vers lui. En sorte que tout dans la Recherche – mais on le<br />

comprend très tard – porrait répondre à ce titre de comédie cité par<br />

<strong>Proust</strong> en 1917: Course au clocher” (Fraisse, 188, cita da una lettera<br />

a Lionel Hausser del 1 luglio 119117, CORR, XVI, 177).<br />

Incoraggiamo il lettore a meditare tutte le pagine su “cloches” e<br />

“clocher”.<br />

Ma ritorniamo al Carnet de 1908: “Ce qui se présente ainsi<br />

obscurément au fond de la conscience, avant de le réaliser en<br />

œuvre, avant de le faire sortir du de hors, il faut lui faire traverser une<br />

région intermédiaire entre notre moi obscure, et l’extérieur, notre<br />

intelligence, mais comment l’ammener jusqu’là, comment le saisir?<br />

On peut rester des heures à tacher de se répeter l’impression<br />

première, le signe insaisissable qui était sur elle et qui disait:<br />

approfondis-moi, sans s’en approcher, sans le faire venir à soi. Et<br />

pourtanti c’est tout l’art, c’est le seul art. Seul mérite d’être exprimé<br />

ce qui est appartenu dans les profondeurs et habituellement sauf<br />

dans l’illumimation d’un éclair, ou par des temps exceptionellement<br />

clairs, animants, ces profondeurs sont obscure. Cette profondeur,<br />

cette inaccessibilité pour nous-même est la seule marque de la<br />

valeur – ainsi peut-être qu’une certaine joie. Peu importe de quoi il<br />

sagit. Un clocher s’il est insaisissable pendant des jours a plus de<br />

valeur qu’une théorie complète du monde” (102).<br />

“Habituellement sauf dans l’illumimation d’un éclair”. Di nuovo<br />

l’abitudine. Che insegna (historia magistra vitae!) che l’illuminazione<br />

avviene in un “éclair”. Ci ritroviamo con la “tache non facile” di<br />

trascinare nel categoriale “le bloc obscur, non defini” (il non<br />

categoriale) del sonno.<br />

7) Heures conservées dans la mémoire, enserrées dans la<br />

mémoire en vue de ce beau sacrifice<br />

La lettura combinata di Girard e di Kafka mi ha condotto alla<br />

seguente conclusione: il sacrificio, nel caso dellʼe-ducazione, è<br />

sacrificio dellʼac-ategoriale a favore delle categorie. Nellʼattacco<br />

matinée du roman. Cette vision synthétique, les quartiers du vitrail sertis dans les<br />

plombs la préfiguraient secrètement, dès la première description de l’église à<br />

Combray” (op. cit., p. 524).


324<br />

psicotico, è sacrificio delle categorie in favore dellʼacategoriale.<br />

Problema: come compiere questi due sacrifici, che sono<br />

inevitabili, in modo che lʼeducazione non estirpi lʼin-fanzia<br />

(trasformandola in in-effabile/in-effato) e che la crisi psicotica non<br />

estirpi la parola (soprattutto, non la trasformi in delirio, in fatum<br />

delirante)?<br />

Sappiamo che il sacrificio è figura centrale in Girard. Lo è anche<br />

in Kafka. Ad ogni piè sospinto abbiamo incontrato lʼOpfer.<br />

Nel Cahier 57, del 1911, anche <strong>Proust</strong> ci parla, ripetutamente di<br />

questo sacrificio. In che cosa esso consiste?<br />

Citiamo due passi di un brano che riportiamo per intero in nota:<br />

“[...] heures conservées dans la mémoire, enserrées dans la<br />

mémoire en vue de ce beau sacrifice et dʼoù nous les tirerions [...]<br />

pour offrir à une idée la forme dʼ < une > épithète, entre les journées<br />

dʼautrefois qui sont restées particulièrement belles qui sont dans<br />

notre souvenir. Une fin dʼaprès-midi lumineuse dans une église de<br />

campagne devientrait un adjectif, une promenade lʼhiver en forêt en<br />

donnerait peut-être une autre, afin du sacrifice de tous ces beaux<br />

jours dʼautrefois de tirer une goutte de parfum. Quant à ces minutes<br />

de particulière”. 299<br />

Sembra evidente; dalla realtà categorizzata viene distillato un<br />

epiteto, un aggettivo che sostituiscono, nella celebrazione di un vero<br />

e proprio sacrificio, quella realtà. Ma lʼepiteto, lʼaggettivo, sono già<br />

una nuova realtà categorizzata. Sono lʼopera di <strong>Proust</strong>.<br />

Blanchot ci ha spesso spiegato perché e come la scrittura<br />

299 Cahier 57, Esquisse, XXIV, in Le temps retrouvé, a cura di Tadié, Gallimard, Parigi,<br />

1989, p. 827: “Cette vérité, de la plus poétique à celle qui nʼest que psychologique, il<br />

faudrait que ce qui lʼexprime – langage, personnage, action – fût en quelque sorte<br />

entièrement choisi et créé par elle, de façon à lui ressembler entièrement, à ce<br />

quʼaucune parole étrangère ne la dénaturât. Je nʼaurais voulu, si jʼavais été un écrivain,<br />

nʼy employer comme matière que ce qui dans ma vie mʼavait donné la sensation de la<br />

réalité et non du mensonge. Pour le vêtement des plus poétiques il serait fait comme<br />

les robes dʼaurore etc., comme entre les robes couleur du temps de la substance<br />

transperente des heures les plus belles, dont nous avons gardé le souvenir, de < telle ><br />

matinée dʼautomne, de telle fin dʼaprès-midi dʼété où une chose nous apparut, < où ><br />

nous vîmes tout dʼun coup engendrées par elles deux, une réalité poétique et complète,<br />

moment vraiment musicaux, heures conservées dans la mémoire, enserrées dans la<br />

mémoire en vue de ce beau sacrifice et dʼoù nous les tirerions pour fournir – parfois<br />

plusieurs seraient nécessaires – vérifier pou cela – pour offrir à une idée la forme dʼ <<br />

une > épithète, entre les journées dʼautrefois qui sont restées particulièrement belles<br />

qui sont dans notre souvenir. Une fin dʼaprès-midi lumineuse dans une église de<br />

campagne devientrait un adjectif, une promenade lʼhiver en forêt en donnerait peut-être<br />

une autre, afin du sacrifice de tous ces beaux jours dʼautrefois de tirer une goutte de<br />

parfum. Quant à ces minutes de particulière allégresse où nous sentîmes tout dʼun<br />

coup en une chose les qualités, lʼessence incarnée dʼune autre, elles nous fourniraient<br />

ce qui en est lʼéquivalent dans le langage, une métaphore”.


325<br />

uccida; anche se per far vivere... La cosa non è molto semplice. Si<br />

tratta, come pensiamo faccia Kafka, di rimanere sulla soglia, tra ca-<br />

categoriale e categoriale. E, in sortite avventurose, di a-categorizzare<br />

il già categorizzato, e categorizzare le deiecta membra<br />

“novellamente” (da “buona novella”)... e così di seguito...<br />

Lʼadjectif nel quale una chiesa perirà e risorgerà, sarà lʼepiteto<br />

“momentané”. In un passo del Cahier 28 <strong>Proust</strong> dà il seguente<br />

esempio pratico dʼimpressionismo letterario: “quand dans un tableau<br />

de Turner représentant un monument pour parler de lʼimportance de<br />

lʼeffet de lumière je dis que le monument apparaît momentané”. 300 290<br />

Così, lʼeroe osserva nella chiesa Saint-Hilaire “un sourire momentané<br />

de soleil”, o ancora, “des flocons [...] plutôt posés là momentanément<br />

par une lueur du dehors prête à sʼévanuir que par de coulers à<br />

jamais attachées à la pierre”: 301 il narratore, tout à coup, colloca il<br />

monumento di Combray nella luce provvisoria e cangevole dʼuna<br />

prospettiva impressionistica (e questa “sacrifica” la realtà del<br />

monumento).<br />

A proposito di “sacrificio” ricordiamo due passi di La parte dei<br />

Guermantes dedicate alla Berma, illusioni e delusioni e ri-illusioni: “E<br />

non fu senza malinconia che constatai in me tanta indifferenza per<br />

qualcosa cui, un tempo, avevo sacrificato la salute, il riposo (in<br />

francese: à ce que jadis j’avais préféré à la santé, au repos). Non<br />

che il mio desiderio di poter contemplare da vicino le preziose<br />

molecole di realtà intraviste con l’immaginazione fosse meno<br />

appassionato d’allora. Ma l’immaginazione non le situava più, ora,<br />

nello stile di una grande attrice; a partire dalle mie visite a Elstir, era<br />

su certi arazzi, su certi quadri moderni che avevo trasferito (reporté)<br />

la fede interiore nutrita un tempo per la recitazione, per l’arte tragica<br />

della Berma; dal momento che la mia fede, il mio desiderio non<br />

tributavano più alla dizione e ai gesti della Berma un culto incessante<br />

(un culte incessant), il ‘doppio’ di essi ch’io serbavo nel cuore era a<br />

poco a poco deperito (avait dépéri peu à peu), come quei ‘doppi’ dei<br />

trapassati (des trépassés) dell’antico Egitto che bisognava nutrire di<br />

continuo per mantenerli in vita. L’arte della Berma era diventata<br />

gracile e pietosa. Non era più abitata da un’anima profonda. [...]. la<br />

‘Scena della Dichiarazione’, la Brema vivevano allora, ai miei occhi,<br />

di una sorta d’esistenza assoluta (une sorte d’existence absolue).<br />

Avulse dal mondo dell’esperienza corrente, esistevano in sé e per<br />

sé, toccava a me avvicinarle per penetrarne quel che avessi potuto e<br />

300<br />

Cahier 28, Esquisse XXIV, in Le temps retrouvé, op. cit., p. 1407, nota a p. 818, p.<br />

1407.<br />

301<br />

Du côté de Chez Swann, Gallimard, Parigi, 1987, p. 60.


326<br />

certo, pur spalancando gli occhi e l’anima, non ne avrei assorbito che<br />

una minima parte. Ma come mi sembrava piacevole, la vita! Che poi<br />

quella ch’io stesso conducevo fosse insignificante, non aveva<br />

importanza, non più dei momenti in cui ci si veste, ci si prepara per<br />

uscire, perché al di là di essa esistevano in assoluto, avvicinabili solo<br />

con difficoltà, irriducibile a un possesso totale, quelle realtà più<br />

concrete; Phèdre, lo stile della Berma. [...]. C’era stato un momento<br />

in cui, malato, avrei avvertito la necessità di andare a sentire la<br />

Berma quand’anche avessi creduto di dover morire (même si j’avais<br />

cru en murir). [...]. Ne provavo [della perdita dell’assoluto] uno<br />

scoramento tanto più profondo in quanto, se l’oggetto del mio<br />

ostinato e attivo desiderio non esisteva più (n’existait plus).<br />

persistevano in compenso le medesime disposizioni a una qualche<br />

elaborazione fantastica che, pur mutando d’anno in anno, sfociava in<br />

un impulso violento e incurante del rischio (une pulsion brusque,<br />

insoucieuse du danger). Quella sera in cui, pur sentendomi male<br />

(malade), partivo per andare a vedere in un castello un quadro di<br />

Elstir o un arazzo gotico, assomigliava talmente al giorno in cui sarei<br />

dovuto partire per Venezia, o ero andato ad ascoltare la Berma, o ero<br />

partito per Balbec, da farmi presentire come l’oggetto attuale del mio<br />

sacrificio (l’objet présent de mon sacrifice) m’avrebbe lasciato, di lì a<br />

poco, indifferente, e come avrei potuto, allora, passargli vicinissimo<br />

senza degnare d’un’occhiata quel quadro o quell’arazzo per i quali<br />

avrei affrontato adesso tante notti insonni, tante crisi dolorose.<br />

Dall’instabilità del suo oggetto misuravo la vanità del mio sforzo (la<br />

vanité de mon effort) e, nello stesso tempo, la sia incredibile<br />

enormità, come quei nevrastenici la cui stanchezza raddoppia se gli<br />

si fa notare che soni stanchi. Nell’attesa, il mio fantasticare rendeva<br />

prestigioso tutto ciò che ad esso potesse ricollegarsi. E persino nei<br />

più carnali fra i miei desideri, sempre orientati in una certa direzione,<br />

concentrati attorno alla medesima fantasia (autour d’un même rêve),<br />

avrei potuto individuare il motore primo in un’idea, un’idea cui avrei<br />

sacrificato la vita (à laquelle j’aurai sacrifié ma vie) e al centro della<br />

quale, come nei sogni ad occhi aperti che facevo a Combray, in<br />

giardino, durante i miei pomeriggi di lettura, si collocava il concetto di<br />

perfezione (l’idée de perfection) (P, 36-37, 44-46; 38-39, 49-50).<br />

Per punti:<br />

– è evidente, insistito, il tema del sacrificio; che diventa addirittura<br />

“sacrifico della vita”.<br />

– Il “même si j’avais cru en murir” richiama “sino al punto di” in<br />

Jalousie: “terribile bisogno di un altro essere che, a Combray,<br />

avevo imparato a conoscere con mia madre, e sino al punto di


327<br />

voler morire (jusq’à vouloir mourir) se mi faceva dire da<br />

Françoise che non sarebbe potuta salire” (J, 193; 141). Qui si<br />

tratta di Albertine che ricorda la madre. Entrambe le esperienze<br />

di abbandono, a questo punto, si ripetono nella delusioneabbandono<br />

della Berma etc.<br />

– Infatti, il brano che abbiamo citato termina col ricordo dei “sogni<br />

ad occhi aperti che facevo a Combray”...<br />

– La pulsion brusque, insoucieuse du danger = l’objet présent de<br />

mon sacrifice... fanno capo a un desiderio che, ad un certo<br />

punto non esiste più: n’existait plus.<br />

– In questione è proprio il “concetto di perfezione”!<br />

– Perfezione in generale; perfezione dei rapporti con l’arte, con la<br />

madre... con tutto.<br />

– La nostra idea è che <strong>Proust</strong> abbia scoperto che questa<br />

perfezione non si dà come modello perseguibile (non a caso<br />

parlerà di “idolatria”: dell’arte, ma anche della madre, di<br />

Albertine...<br />

– Si dà solo come éclair.<br />

Come non ricordare, a questo punto, il “coup de sonnette”<br />

mancato che segna l’addio di Albertine insieme col viaggio per<br />

Venezia: “<strong>Su</strong>onai (je sonnai) per Françoise perché andasse a<br />

comprarmi una guida e un orario ferroviario, come avevo fatto da<br />

bambino (enfant) quando avevo voluto preparare, già allora, un<br />

viaggio a Venezia, attuazione d’un desiderio violento (réalisation d’un<br />

désir aussi violent) quanto quello che preparavo ora; dimenticavo<br />

che, dopo, ce n’era pur stato uno che avevo realizzato senza alcun<br />

piacere (sans aucun plaisir), quello di Balbec, e che Venezia,<br />

essendo anch’essa un fenomeno visibile, non avrebbe probabilmente<br />

potuto, non più di Balbec, realizzare un sogno ineffabile (un rêve<br />

ineffable) – il tempo gotico attualizzato in un mare primaverile (celui<br />

du temps gothique, actualisé d’un mer printanière) – che veniva<br />

istante dopo istante (d’instant en instant) a sfiorare la mia mente con<br />

un’immagine incantata, carezzevole, inafferrabile, misteriosa e<br />

confusa (d’une image enchantée, caressante, insaisissable,<br />

mystérieuse et confuse), Françoise, che aveva sentito la mia<br />

scampanellato (mon coup de sonnette), entrò [...]” P, 414; 837).<br />

Ecco come viene definito anche definito l’extra-temps: temps<br />

gothique.<br />

Nel suo L’œuvre cathédrale (op. cit. pp. 277 sgg.), Fraisse<br />

dimostra che il “gotico” è il soubassement à l’essor di tutta la<br />

ricerca... Il “gotico” è consustanziale alla creazione dell’universo di<br />

Combray etc. Nel Chaier 12 (del 1909) la parola “gotico” non è anora


328<br />

presente. Si parla della Maison des Archers “dont l’un [des lilas en<br />

fleurs] depassait le toit de sa flèche rose comme dun minaret peint,<br />

les autres entremêlaint en jouant au-dessus du pignon les joyeuses<br />

fusées de leurs fleurs mauves et blanches” (C 12, ESLIV, SW 814).<br />

Nel cahier 14 (del 1910) l’edificio del parco riappare inalterato: “Au<br />

milieu de ces lilas était un étroit pavillon de vieilles tuiles au pignon<br />

saillant qu’on appellait la maison des archers (C 14; ESLIX, SW 857).<br />

Insomma, freccia, minareto, fuso, saliente... tracciano un tempo<br />

– quello gotico, ancora prima che il gotico si instauri (a Combray) –<br />

ch’è perpendicolare e non verticale.<br />

Come l’Eclair”<br />

Il senso verticale del temps gothique, anche se venato d’una<br />

nostalgia che all’apparizione (all’epifania) associa ancora, ma<br />

volontariamente, il souvenir del passato, lo troviamo in una splendida<br />

pagina del Du côté de chez Swann: “Anche quando [a Combray] si<br />

andava a fare acquisti dietro la chiesa, da dove era impossibile<br />

vederlo (là où on ne la voyait pas), tutto sembrava regolato in<br />

rapporto al campanile (tout semblait ordonné par rapport au clocher)<br />

che spuntava ogni tanto tra le case (surgi ici ou là entre les maisons),<br />

ancor più commovente, forse, quando appariva così, solo, senza la<br />

chiesa (ainsi sans l’église). [...]. Non dimenticherò mai, in una curiosa<br />

città della Normandia non lontana da Balbec, due incantevoli palazzi<br />

del XVIII secolo, che mi sono per molti aspetti cari e venerabili e in<br />

mezzo ai quali, guardando dal bel giardino che dalle scalinate<br />

scende verso il fiume, la guglia gotica (la flèche gothique) d’una<br />

chiesa ch’essi nascondono (qu’ils cachent) si slancia quasi a<br />

completare, a sormontare le loro facciate (s’élance, ayant l’air de<br />

terminer, de surmonter leurs façades), ma in una maniera così<br />

diversa (mais d’une manière si différente), così preziosa e anellata,<br />

scintillante, rosea, che si vede benissimo che non appartiene a loro<br />

(qu’elle n’en fait pas plus partie) più di quanto la cuspide (flèche)<br />

cremata e porporina d’una conchiglia rastremata a torretta e candita<br />

di smalto non appartenga ai due sassi gemelli tra i quali, sulla<br />

spiaggia, si trova prigioniera. [...]. ecco che nessuna [delle piccole<br />

incisioni] tiene sotto il suo dominio una parte intera di quelle<br />

apparizioni (comme fait le souvenir) del campanile di Combray nelle<br />

stradine dietro la chiesa. Lo si vedesse alle cinque [...] rialzare<br />

bruscamente (surélevant brusquement) con la sua punta isolata<br />

(d’une cime isolée) la linea degli apici dei tetti; [...] o, stando in riva<br />

alla Vivonne, l’abside, muscolosamente raccolta e rialzata alla<br />

prospettiva, desse l’impressione di balzar fuori (semblât jaillir) dallo<br />

sforzo che faceva il campanile di lanciare la sua cuspide nel cuore


329<br />

del cielo (de l’effort que le clocher faisait pour lancer sa flèche au<br />

cœur du ciel); era sempre a lui che bisognava tornare, era sempre lui<br />

a dominare tutto, coronando le case con un pinnacolo inatteso (d’un<br />

pinacle inattandu) che s’elevava davanti ai miei occhi come il dito di<br />

Dio (le doigt de Dieu), nascosto col corpo dentro la folla degli umani<br />

che per questo io potessi confonderlo con loro. [...]. E anche oggi, se<br />

in una grande città di provincia o in un quartiere di Parigi che non<br />

conosco bene un passante che mi ha ‘messo sulla strada’ mi mostra<br />

là in fondo, come punto di riferimento, una torretta d’ospedale o un<br />

campanile di convento che fa capolino con la sommità del suo<br />

zucchetto ecclesiastico all’angolo della via in cui dovrò inoltrarmi,<br />

basta che la mia memoria riesca oscuramente a trovargli qualche<br />

tenue somiglianza con l’amata e scomparsa fisionomia perché il<br />

passante, se si volta per assicurarsi che non mi stia smarrendo,<br />

possa vedermi, con sua grande sorpresa, restare là per delle ore,<br />

immobile, davanti al campanile, dimentico della passeggiata<br />

intrapresa o della commissione da fare, cercando di ricordare,<br />

sentendo in fondo a me stesso rassodarsi, riassestarsi le terre<br />

riconquistate all’oblio; e allora, certo, e più ansiosamente di quando,<br />

poco fa, lo pregavo di indicarmela, io cerco la strada, svolto in una<br />

via... ma... soltanto nel mio cuore (mais... c’est dans mon cœur)”<br />

(SW, 65-67; 80-82).<br />

Tornando, infine, alla “rimozione originaria”, essa indica la<br />

rottura dello “scudo”... Equipollente ad essa è la “censura” nel “lavoro<br />

onirico”. Lʼ“elaborazione secondaria”, secondo Freud, è responsabile<br />

dellamodificazione sostanziale del significato del sogno. Il sogno<br />

“interpreta (deute)” 302 i bisogni del dormiente (ad esempio gli “stimoli”<br />

notturni); lʼinterpretazione (Deutung) del sogno è, dunque,<br />

unʼinterpretazione dellʼinterpretazione...<br />

Lʼaddormentarsi implica lʼingresso in un universo non governato<br />

dalle categorie (spazio-temporali). Il risvegliarsi è, invece, risvegliarsi<br />

alle categorie. Da qui la dimenticanza, la rimozione, la censura. Si<br />

tratta di due universi tra loro incompatibili.<br />

Il sonno (la notte) comporta, quindi, la distruzione dei “discorsi”<br />

del giorno; di essi, infatti, nel “racconto” del sogno non ci saranno<br />

altro che “resti”...<br />

8) “Il me semblait que jʼétais moi-mëme ce dont parlait<br />

lʼouvrage: une église” (SW, 3)<br />

302 Die Traumdeutung, 1900, in Gesammelte Werke, Fischer, Frankfurt, vol II/III, p. 227;<br />

tr. it. Lʼinterpretazione dei sogni, in Opere, Boringhieri, Torino, 1966, p. 208.


330<br />

Luc Fraisse, in Lʼœuvre cathédrale, lavora molto sulla figura<br />

della “chiesa”. 303 Da essa <strong>Proust</strong> parte (vedi la prima pagina di SW<br />

citata nel titolo di questo paragrafo); con essa termina nel TR.<br />

Secondo Fraisse la chiesa di Saint-Hilaire era, fin dallʼepoca di<br />

Combray, una prefigurazione completa dellʼultima matinée: “voilà<br />

pourquoi une église se reforme das lʼultime apparition des<br />

personnages, dans lʼultime scène du cicle romanesque”.<br />

Fraisse cita una lettera di <strong>Proust</strong> a Hubert del 1895 in cui dice di<br />

Mme Lemaire “me tenant ainsi depuis quatre ans sur les fonts<br />

baptismaus des lettres” (CORR, I, 455) e commenta: “Les fonts<br />

baptismaux se trouvent, comme on sait, généralement à lʼentrée de<br />

lʼéglise: la topographie du monument évoque donc déjà ici à<br />

lʼitineraire de la vocation. Arrêté sur le seuil de lʼéglise, le visitaur se<br />

voit entrer en leittérature”. 304<br />

Il problema è: “Che cosʼè la letteratura?”<br />

In ogni caso Swann parte dal sogno (“[...] il me semblait que<br />

jʼétais moi-même ce dont parlait lʼouvrage: une église”) e il Tempo<br />

ritrovato nel sogno finisce. Nellʼimmateriale, dove scocca “lampo”<br />

dellʼeterno, del tempo allo stato puro.<br />

Cahier 51, 1909, primo abbozzo del “Bal de tête”: “Mais il avait<br />

fait tout cela pendant que je nʼexistais pas encore”! Sì, tutta<br />

lʼesistenza è stata una non-esistenza. Lʼesistenza comincia con la<br />

scoperta della quarta dimensione, quella del tempo; e questa<br />

scoperta coincide con quella della propria morte.<br />

Dellʼimmateriale, extratemporale.<br />

Dal Cahier 51: “Tout commence à pâlir, à diminuer, un jour tout<br />

sʼéteindra. Certes jʼavais déjà vu les travaux visibles de lʼouvrier<br />

invisible et présent, toute la mâle œuvre de lʼEnchantuer quand je<br />

regardais le marbre boursouflé et les tapisseries fondues dans<br />

lʼéglise de Combray. Mais il avait fait tout cela pendant que je<br />

nʼexistais pas encore. Tandis que les fils blancs quʼil a mêlé das la<br />

barbiche noire de M. Froideaux, la poudre de clair de lune dont il a<br />

saupoudré la barbe de M. de Taines, lʼimperceptible petit rayonnage<br />

autour des sourcils devenus fournis das le coin des yeux comme<br />

ridés, dans le bas de la bouche devenue dʼun homme dont il a<br />

desséché la figure enfantine du petit Bétourné, tout cela, toute cette<br />

végétation féérique quʼil a fait pousser sure les hôtes irréel du palais<br />

de contes de fées, qui ont lʼair de sortir dʼun songe dony ils nʼont pas<br />

conscience, et dʼavoir travesti de quelque tissu immatériel et<br />

303 Vedi op. cit., pp. 208-272.<br />

304 Op. cit., p. 269.


331<br />

enchanté, quelque chose comme une étoffe de clair de lune ou<br />

dʼargent, tout cela me semble que cʼesy à mes dépences que cela<br />

sʼest fait, et que cʼest dans ma force et ma puissance de vie, que<br />

lʼEnchanteur est venu chercher ses poudres colorées et son fil. Et<br />

pourtant elle est bien jolie son œuvre; je nʼaurais jamais pu croire<br />

quʼon aurait pu ajouter la figure du petit Bétourné un charme de<br />

songe. Et pourtant il a lʼair dʼun chevalier de conte car ce sérieux,<br />

cette gravité, on sent quʼil les a rapportés dʼune chevauchée dans<br />

lʼimmatériel, dans le temps, pendant que lʼEnchanteur avait dʼautre<br />

jeux et cherchait à faire saillir une statue de Mme de Forcheville dans<br />

le corps de sa fille qui déforme tout son corps, le rend énorme. Et elle<br />

aussi ses cheveux comme les fils de la tapisserie, comme la filigrane<br />

du vitrail de Combray étincellent de lʼargent de leur assise, dʼun<br />

argent poétique aussi et naturel. Mon dieu voilà donc Mme de<br />

Villeparisis, je savais bien que la pauvre femme avait été à deux pas<br />

de la tombe, avait falli y tomber, mais je vois quʼelle nʼa pu se relever<br />

tout à fait, elle reste projetée en avant, cassée en deux, prête à<br />

tomber” (C 51, EX XLI, TR, 875-876).


332

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