Economica Laterza - La città dei bambini
Economica Laterza - La città dei bambini
Economica Laterza - La città dei bambini
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
<strong>Economica</strong> <strong><strong>La</strong>terza</strong><br />
353
Dello stesso autore<br />
in altre nostre collane:<br />
Guida al giornalino di classe<br />
«Universale <strong><strong>La</strong>terza</strong>»<br />
Se i <strong>bambini</strong> dicono: adesso basta!<br />
«i Robinson/Letture»
Francesco Tonucci<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
Un modo nuovo di pensare la <strong>città</strong><br />
Editori <strong><strong>La</strong>terza</strong>
© 1996, 1997, 2005,<br />
Gius. <strong><strong>La</strong>terza</strong> & Figli<br />
Nella «<strong>Economica</strong> <strong><strong>La</strong>terza</strong>»<br />
Prima edizione 2005<br />
Edizioni precedenti:<br />
Nei «Robinson»<br />
Prima edizione 1996<br />
Seconda edizione, con una Prefazione<br />
di Norberto Bobbio, 1997<br />
È vietata la riproduzione, anche<br />
parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,<br />
compresa la fotocopia, anche<br />
ad uso interno o didattico.<br />
Per la legge italiana la fotocopia è<br />
lecita solo per uso personale purché<br />
non danneggi l’autore. Quindi ogni<br />
fotocopia che eviti l’acquisto<br />
di un libro è illecita e minaccia<br />
la sopravvivenza di un modo<br />
di trasmettere la conoscenza.<br />
Chi fotocopia un libro, chi mette<br />
a disposizione i mezzi per fotocopiare,<br />
chi comunque favorisce questa pratica<br />
commette un furto e opera<br />
ai danni della cultura.<br />
Proprietà letteraria riservata<br />
Gius. <strong><strong>La</strong>terza</strong> & Figli Spa, Roma-Bari<br />
Finito di stampare nel gennaio 2005<br />
Poligrafico Dehoniano -<br />
Stabilimento di Bari<br />
per conto della<br />
Gius. <strong><strong>La</strong>terza</strong> & Figli Spa<br />
CL 20-7551-2<br />
ISBN 88-420-7551-5
A Federico, mio nipotino, e a tutti i nipoti<br />
perché sono loro il nostro futuro.<br />
A tutti noi nonni,<br />
perché sappiamo dedicare la parte più libera<br />
e disinteressata della nostra vita<br />
a costruire il futuro <strong>dei</strong> nostri nipoti
Presentazione<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> esce alla fine del 1996 presentando<br />
una nuova filosofia di governo della <strong>città</strong>, assumendo i<br />
<strong>bambini</strong> come parametro e portando come modello i primi<br />
sei anni dell’esperienza di Fano. Nei primi sei anni il libro<br />
ha avuto sette edizioni, è stato tradotto in spagnolo e<br />
catalano ed ha avuto un’edizione argentina. L’autore ha<br />
tenuto più di cento conferenze in <strong>città</strong> diverse in Italia,<br />
Spagna e Argentina. Hanno aderito al progetto decine di<br />
<strong>città</strong> italiane, spagnole e argentine. In queste <strong>città</strong> si sono<br />
avviate esperienze, si è data la parola ai <strong>bambini</strong>, si sono<br />
realizzati progetti elaborati da loro.<br />
Nel 2002 si è ritenuto doveroso dar conto delle nuove<br />
idee, delle nuove esperienze, e si è valutato che non fosse<br />
sufficiente una riedizione ampliata del primo libro. Esce<br />
così Se i <strong>bambini</strong> dicono: Adesso basta!. Questo secondo<br />
libro vuole essere il seguito e l’aggiornamento di <strong>La</strong><br />
<strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, ma invece di raccontare le varie esperienze<br />
delle diverse <strong>città</strong> preferisce dare la parola ai <strong>bambini</strong>.<br />
26 frasi, proposte o proteste di <strong>bambini</strong> diventano i<br />
26 capitoli del libro. In ogni capitolo l’autore risponde a<br />
due domande: Perché un bambino dice questo? Cosa si<br />
potrebbe fare ascoltando i <strong>bambini</strong>? Ne nasce così un’ampia<br />
analisi della condizione infantile di oggi e un vasto repertorio<br />
delle iniziative, attività ed esperienze realizzate<br />
dalle <strong>città</strong> in questi anni ed altre possibili per dare concrete<br />
risposte alle attese <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. L’esperienza nata nel<br />
IX
1991 a Fano diventa un’esperienza internazionale e nel<br />
2001 Roma aderisce e ne diventa la <strong>città</strong> capofila.<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, che ora arriva nella «<strong>Economica</strong><br />
<strong><strong>La</strong>terza</strong>», rimane il testo della proposta, dell’invito agli amministratori<br />
a rompere gli schemi che hanno provocato il<br />
degrado delle <strong>città</strong> e reso problematico il loro futuro; Se i<br />
<strong>bambini</strong> dicono: Adesso basta! è un libro che arricchisce<br />
le proposte e le esperienze ma che allarga anche il campo<br />
<strong>dei</strong> destinatari: è diretto agli amministratori e ai tecnici<br />
delle <strong>città</strong>, ai progettisti, agli insegnanti, agli studenti, ai<br />
genitori e anche ai <strong>bambini</strong>.<br />
settembre 2004<br />
X<br />
Francesco Tonucci
Prefazione<br />
Caro Frato,<br />
mi ha fatto molto piacere ricevere le bozze del tuo libro.<br />
Le ho lette subito perché tu scrivi in modo semplice,<br />
chiaro, scorrevole, da persona educata e gentile che ama<br />
i suoi lettori e li aiuta a capire senza sforzo il testo, con<br />
ragionamenti corretti, con parole piane del linguaggio comune,<br />
con esempi che tutti possono comprendere e i casi<br />
citati fanno parte delle esperienze di ognuno di noi. Mi<br />
ha subito attratto la bella trovata, che si legge all’inizio, dove<br />
la <strong>città</strong> di oggi diventa per i <strong>bambini</strong> il bosco delle favole.<br />
Una volta, non moltissimo tempo fa i <strong>bambini</strong> avevano<br />
paura del bosco, dove s’incontravano i lupi e le streghe<br />
cattive, mentre si sentivano al sicuro in <strong>città</strong>. Ora le<br />
parti si sono rovesciate, perché la <strong>città</strong> è diventata ostile:<br />
«grigia, aggressiva, pericolosa, mostruosa». Il libro è un<br />
continuo elogio della fantasia, della creatività, della libertà,<br />
dell’intelligenza, della spontaneità, della straordinaria ricchezza<br />
di idee e di sentimenti, del mondo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
Anche per me, non solo per i <strong>bambini</strong>, la <strong>città</strong> è un inferno.<br />
Ma io mi difendo uscendo sempre meno di casa.<br />
Ormai la mia vita può svolgersi tra le quattro pareti del<br />
mio studio senza troppi inconvenienti. Ma non ho dimenticato<br />
la mia vita di bambino. Anzi, riappare sempre più<br />
nitida alla mia memoria. I più bei ricordi della mia infanzia<br />
sono quelli delle vacanze in campagna, quando giocavamo<br />
senza alcun pericolo all’aperto e vagabondavamo<br />
XI
per le stradette <strong>dei</strong> campi, dove passava di tanto in tanto<br />
solo qualche carro trainato da buoi.<br />
Ma anche la mia <strong>città</strong> era completamente diversa. Abitavamo<br />
a Torino in un quartiere di recente costruzione, in<br />
una casa, come si diceva allora, «signorile», all’angolo di una<br />
strada morta, che finiva poco oltre il nostro portone. Si<br />
chiamava via Gasometro (oggi ha cambiato nome), perché<br />
il quartiere era stato costruito dove era il vecchio edificio,<br />
ormai distrutto, che dispensava calore e luce alla <strong>città</strong> (i fanali<br />
delle strade quando ero bambino erano ancora a gas).<br />
Bastava scendere le scale per raggiungere la nostra «sala<br />
giochi». Non c’era alcun pericolo. Scendevamo da soli.<br />
Non giocavamo sulla strada, perché era acciottolata. Giocavamo<br />
sul marciapiede. I nostri giochi erano giochi da<br />
«marciapiedi». Che ora, in <strong>città</strong>, sono scomparsi.<br />
Tra questi, la trottola, che i più bravi prendevano in mano,<br />
mentre girava, e scagliavano contro la trottola dell’avversario<br />
per abbatterla; le palline (o biglie) che si facevano<br />
correre spingendole con uno scatto del pollice e dell’indice;<br />
la «settimana», gioco più femminile, a dire il vero, che<br />
consisteva nel saltare con una gamba sola su una figura<br />
tracciata col gesso a forma di rettangolo, ove ogni casella<br />
rappresentava un giorno e vinceva chi arrivava alla domenica<br />
senza cadere; le «plance», come si chiamavano le figurine<br />
staccate dalle scatole di cerini che, ammucchiate l’una<br />
sull’altra fino a farne una torretta, venivano colpite a distanza<br />
con una pietra piatta e che si faceva scorrere sul<br />
marciapiede e vinceva chi ne abbatteva di più.<br />
Qualche anno più tardi, quando eravamo al liceo, tornando<br />
da scuola in cinque o sei che abitavamo tutti dalle<br />
stesse parti, percorrevamo una lunga via dritta e deserta<br />
(ora diventata quasi impercorribile, tante sono le macchine<br />
posteggiate da una parte e dall’altra, anche in doppia<br />
fila), così deserta che avanzavamo dando calci a una palla,<br />
come se fossimo degli attaccanti di una squadra di calcio<br />
sino al punto in cui ci scioglievamo e ognuno andava<br />
XII
a casa per la sua strada. A questo punto c’era il portone<br />
di una chiesa sempre chiusa che faceva da porta per i nostri<br />
ultimi tiri.<br />
Si giocava anche nei cortili. Passavo ore sul balcone della<br />
cucina a guardare i <strong>bambini</strong> <strong>dei</strong> caseggiati contigui, che<br />
giocavano a rimpiattino, a rincorrersi, ai quattro cantoni,<br />
ai ladri e carabinieri. Era un po’ come giocassi anch’io con<br />
loro: imparavo giochi nuovi, che rifacevo coi miei amici nel<br />
piccolo cortile di casa nostra, dove sovrano era il figlio della<br />
portinaia molto più bravo di me in tutti i giochi.<br />
Ora anche nei cortili lo spazio è sempre più ristretto.<br />
Ristretto da che cosa? Ancora una volta dalle automobili,<br />
che hanno indotto gli abitanti delle case a costruirsi, ciascuno<br />
il proprio garage. I miei figli non hanno mai giocato<br />
in cortile. E poi i «grandi» hanno cominciato a lamentarsi<br />
del chiasso che fanno i <strong>bambini</strong> coi loro schiamazzi e<br />
hanno loro proibito di giocare nelle ore post-meridiane<br />
quando tornano da scuola. Non si lamentano però del<br />
brontolio che fanno le macchine uscendo dalla rimessa al<br />
mattino e rientrandovi alla sera.<br />
È vero: i <strong>bambini</strong> sono scomparsi dalla <strong>città</strong>. Si incontrano<br />
soltanto nei giardinetti dove i loro giochi sono obbligati:<br />
lo scivolo e il girotondo. Io abito in una lunga strada<br />
con portici, dove i <strong>bambini</strong> potrebbero scendere per<br />
giocare senza pericolo. Ma si vede che si è persa l’abitudine.<br />
I portici sono stati progettati, non per far giocare i<br />
<strong>bambini</strong>, ma per favorire i negozianti. I portici sono, come<br />
le aree pedonali, uno spazio per i negozi e, se mai, per<br />
i grandi che possono passeggiare più liberamente, guardando<br />
le vetrine. Di queste interessano ai <strong>bambini</strong> solo<br />
quelle <strong>dei</strong> giocattoli o qualche raro negozio di animali da<br />
salotto, come ce n’è uno sotto casa mia, fermata obbligata<br />
<strong>dei</strong> miei nipotini, quando vengono a trovare il nonno.<br />
Non so perché ti ho raccontato queste cose. È stato un<br />
modo per esprimerti la mia simpatia per la tua <strong>città</strong> ideale.<br />
Norberto Bobbio<br />
XIII
Premessa<br />
I cittadini soffrono i mali della <strong>città</strong>, ma sembra non chiedano,<br />
almeno in forma esplicita, che la <strong>città</strong> cambi. Pensano<br />
che questo non sia più possibile, sono rassegnati.<br />
Chiedono allora che ci si possa almeno vivere un po’ meglio,<br />
che vengano alleviati i disagi. Chiedono così più servizi<br />
per sopportare meglio il malessere della <strong>città</strong>.<br />
Sanno che chi soffre di più sono i <strong>bambini</strong>, non sanno<br />
come aiutarli e allora, sempre più spesso, decidono di averne<br />
meno o di non averne più: «Come si fa ad avere<br />
<strong>bambini</strong> in queste condizioni?».<br />
Chi ha più consapevolezza, chi ha più mezzi, lascia invece<br />
la <strong>città</strong> e va a vivere nei piccoli centri o in campagna:<br />
«Si vive una sola volta!».<br />
Due modi di fuggire e di manifestare impotenza e disperazione.<br />
Atteggiamenti questi che lasciano la <strong>città</strong> più sola e più<br />
debole.<br />
Ma oggi nella <strong>città</strong> c’è una persona importante, il sindaco;<br />
importante perché i suoi concittadini, e non il suo<br />
partito, gli hanno consegnato il governo della <strong>città</strong>. Probabilmente<br />
i voti per essere rieletto un sindaco li può guadagnare<br />
anche dando migliori servizi, rendendo più sopportabile<br />
la <strong>città</strong>, in modo che alla fine del mandato i suoi<br />
elettori possano dire «Però oggi si sta meglio di quattro anni<br />
fa» e decidere di rieleggerlo. Ma se un sindaco più che<br />
alla sua rielezione pensa al futuro della sua <strong>città</strong>, ai figli e<br />
XV
ai nipoti <strong>dei</strong> suoi concittadini, allora deve mettere in moto<br />
la speranza. Deve partecipare ad un sogno: credere che<br />
la sua <strong>città</strong> domani possa tornare ad essere bella, sana, sicura;<br />
possa tornare ad avere i <strong>bambini</strong> che giocano per<br />
strada. Deve quindi iniziare a lavorare con la sua squadra,<br />
con il Consiglio, con tutti i suoi colleghi adulti, per fare in<br />
modo che presto valga di nuovo la pena di essere <strong>bambini</strong>.<br />
In questi ultimi anni molti sindaci italiani e stranieri, interpretando<br />
un bisogno <strong>dei</strong> loro concittadini e delle loro<br />
<strong>città</strong>, hanno manifestato interesse al progetto che presento<br />
in queste pagine. Nella accoglienza delle proposte,<br />
alcune di senso comune, altre ardite, altre provocatorie,<br />
ho sentito l’urgenza di una soluzione che le formule ragionevoli<br />
della politica e dell’economia sembra non possano<br />
dare.<br />
In risposta a questa urgenza il libro nasce in fretta. Dopo<br />
le tante conferenze pubbliche, i tanti seminari di Giunta,<br />
i tanti colloqui, mi è sembrato necessario uno strumento<br />
per continuare un dibattito sulle idee e un confronto<br />
sulle iniziative. Si perdoni quindi la forma diretta e<br />
colloquiale, le possibili ripetizioni o le eccessive sottolineature.<br />
È un materiale di lavoro che vuol crescere e migliorarsi<br />
grazie al contributo di tutti coloro che lo vorranno<br />
riconoscere ed utilizzare.<br />
XVI<br />
Francesco Tonucci
<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
1
AVVERTENZA E RINGRAZIAMENTI<br />
Le «Indicazioni bibliografiche», le interviste delle schede 20,<br />
21, 22 e 23 della parte terza e i dati della scheda 9 sono stati<br />
curati da Antonella Rissotto, collaboratrice dell’Istituto di Scienze<br />
e Tecnologie della Cognizione del CNR.<br />
Ringrazio i colleghi Vito Consoli e Antonella Rissotto per<br />
aver letto e corretto le varie versioni di questo libro.<br />
Ringrazio i sindaci di Fano e gli assessori che hanno voluto<br />
e difeso il <strong>La</strong>boratorio, Beatrice Della Santa e Gabriella Peroni<br />
che hanno dato forma e realtà alle idee elaborate insieme; Paola<br />
Stolfa, Giovanna Mancini e Ippolito <strong>La</strong>medica, che da architetti<br />
e urbanisti hanno fatto crescere le idee del <strong>La</strong>boratorio, animando<br />
i gruppi <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> progettisti; Alfredo Pacassoni che<br />
ha condiviso la nascita del progetto e i suoi primi passi.<br />
Ringrazio il sindaco e la Giunta di Palermo che credono in<br />
questo progetto e lo vogliono portare come sfida per il futuro<br />
della loro <strong>città</strong>.<br />
Ringrazio Fiorenzo Alfieri, Raymond Lorenzo, Dario Manuetti<br />
e Carlo Pagliarini per le interviste.<br />
Ringrazio infine tutti coloro che, volontariamente o involontariamente,<br />
hanno suggerito a me, incompetente in molti <strong>dei</strong> temi<br />
trattati, idee e proposte che, senza eccessivi scrupoli e senza<br />
poterli citare, ho copiato e utilizzato.<br />
2
Parte prima<br />
Il progetto<br />
3
Analisi di un malessere<br />
Antefatto: una volta avevamo paura del bosco<br />
Una volta avevamo paura del bosco. Era il bosco del lupo,<br />
dell’orco, del buio. Era il luogo dove ci si poteva perdere.<br />
Quando i nonni ci raccontavano le fiabe, il bosco era il luogo<br />
preferito per nascondere nemici, trappole, ansie. Da<br />
quando il personaggio entrava nel bosco noi cominciavamo<br />
ad avere paura, sapevamo che poteva succedere qualcosa,<br />
che sarebbe successo qualcosa. Il racconto si faceva<br />
più lento, la voce più grave, ci si stringeva gli uni con gli<br />
altri e si aspettava il peggio. Il bosco metteva paura, con<br />
le sue ombre, i suoi rumori sinistri, il canto lugubre del cuculo,<br />
i rami che ti acchiappavano all’improvviso.<br />
Ci si sentiva invece sicuri fra le case, in <strong>città</strong>, nel vicinato.<br />
Era questo il luogo dove ci si cercava fra compagni,<br />
ci si trovava per giocare insieme. Erano lì i nostri posti,<br />
quelli per nascondersi, quelli per organizzare la banda, per<br />
giocare a mamma, per sotterrare il tesoro. Erano i posti<br />
dove si costruivano i giocattoli, secondo modalità e abilità<br />
rubate agli adulti e approfittando delle risorse che l’ambiente<br />
offriva. Era il nostro mondo.<br />
Nel giro di pochi decenni è cambiato tutto. C’è stata<br />
una trasformazione tremenda, rapida, totale, come mai<br />
ne aveva viste la nostra società, almeno a memoria di storia<br />
documentata.<br />
5
Da una parte la <strong>città</strong> ha perso le sue caratteristiche, è<br />
diventata pericolosa e infida; dall’altra sono sorti i verdi,<br />
gli ambientalisti, gli animalisti a predicare il verde, il bosco.<br />
Il bosco è diventato bello, luminoso, oggetto di sogno<br />
e di desiderio; la <strong>città</strong> è diventata brutta, grigia, aggressiva,<br />
pericolosa, mostruosa.<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong><br />
Negli ultimi decenni e in modo clamoroso negli ultimi cinquanta<br />
anni, la <strong>città</strong>, nata come luogo di incontro e di<br />
scambio, ha scoperto il valore commerciale dello spazio e<br />
ha stravolto tutti i concetti di equilibrio, di benessere e di<br />
stare insieme, per seguire solo programmi di profitto, di<br />
interesse. Si è venduta. Fino a poche decine di anni fa i<br />
poveri e i ricchi vivevano gli uni vicini agli altri. Le loro case<br />
erano ovviamente diverse, le une da poveri e le altre da<br />
ricchi, ma sorgevano negli stessi quartieri. Poi si è dato un<br />
valore diverso al terreno a seconda della sua vicinanza al<br />
centro della <strong>città</strong> e questo ha stravolto tutto. I poveri non<br />
hanno potuto restaurare le loro casette malsane e senza<br />
servizi, hanno «preferito» venderle per potersi trasferire in<br />
periferia, in case tutte uguali e uguali a quelle presentate<br />
dalla televisione.<br />
I centri storici sono diventati uffici, banche, fast food,<br />
sedi di rappresentanza, alloggi ricchi e sofisticati. Col calar<br />
della sera il centro della <strong>città</strong> si svuota e diventa pericoloso,<br />
la gente ha paura di andarci da sola, ci sono i drogati,<br />
i ladri, i malfattori. I centri storici, così diversi e ricchi<br />
perché nati da secoli di storia e di cultura, dal piacere delle<br />
cose belle e non solo utili, hanno perso la cura, la preoccupazione<br />
<strong>dei</strong> residenti. I luoghi più belli del nostro paese<br />
6
sono negati al gioco e alla esperienza <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, al passeggio<br />
e al ricordo <strong>dei</strong> vecchi.<br />
Le periferie sono invece nate in pochi anni, senza piazze,<br />
senza verde, senza monumenti. Le periferie sono uguali<br />
in tutto il mondo, gli stessi casermoni, le stesse strade<br />
grandi e dritte, lo stesso abbandono, perché non sono<br />
nate dalla lenta e costante preoccupazione degli uomini di<br />
avere luoghi di vita adatti e confortevoli per sé e per i propri<br />
successori, ma solo grazie alla spinta prepotente della<br />
speculazione.<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> non ha più abitanti, non ha più persone che vivono<br />
le sue strade, i suoi spazi: il centro è luogo di lavoro,<br />
di compere, di rappresentanza non di vita; la periferia<br />
è il luogo dove non si vive, ma si dorme soltanto... <strong>La</strong> <strong>città</strong><br />
ha perso la sua vita.<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> è diventata come il bosco delle nostre fiabe.<br />
Il castello medioevale era grande, forte, ricco e poco<br />
abitato, circondato dalle casupole, dai tuguri del borgo,<br />
dove abitavano i contadini e gli artigiani che vivevano del<br />
lavoro e della protezione offerti dal signore del castello.<br />
Quando nascono le <strong>città</strong> si rompe questo rapporto gerarchico<br />
e i cittadini si incontrano in un territorio comune<br />
e, pur mantenendo ceti e condizioni diverse, condividono<br />
lo spazio. <strong>La</strong> piazza diventa il simbolo della <strong>città</strong> e sulla<br />
piazza si affacciano il palazzo del governo, la cattedrale,<br />
la caserma della guarnigione e il mercato. <strong>La</strong> <strong>città</strong> è il luogo<br />
in cui i cittadini si incontrano per vendere e comprare,<br />
per difendersi, per pregare, per amministrare la giustizia.<br />
Oggi sembra quasi che la <strong>città</strong> sia tornata al modello<br />
medioevale: il centro storico ricco e poco abitato, circondato<br />
da una periferia povera e a volte misera, che dipende,<br />
per la sua sopravvivenza, dal centro ricco.<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> ha rinunciato ad essere luogo di incontro e di<br />
scambio e ha scelto come nuovi criteri di sviluppo la se-<br />
7
parazione e la specializzazione. Separazione e specializzazione<br />
degli spazi e delle competenze: posti diversi per<br />
persone diverse, posti diversi per funzioni diverse. Il centro<br />
storico per le banche, i negozi di lusso, il divertimento;<br />
la periferia per dormire. Poi ci sono i luoghi <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>:<br />
l’asilo nido, il parco giochi, la ludoteca; i luoghi <strong>dei</strong><br />
vecchi: l’ospizio, il centro anziani; i luoghi della conoscenza:<br />
dalla scuola dell’infanzia all’Università; i luoghi<br />
specializzati per le compere: il supermercato, il centro<br />
commerciale. Poi c’è l’ospedale, il luogo della malattia.<br />
Un esempio: la famiglia, la casa<br />
Una volta andare all’ospedale era un evento del tutto eccezionale,<br />
legato a gravi malattie o a gravi traumi. <strong>La</strong> malattia<br />
era una esperienza domestica. Oggi si va in ospedale<br />
per qualsiasi esame, per una visita, per un controllo: si<br />
nasce, si vive la malattia e si muore quasi sempre fuori casa,<br />
in luoghi separati e specializzati. <strong>La</strong> famiglia ha perso<br />
la capacità di sopportare esperienze così ricche e così forti,<br />
che nella gioia e nel dolore la mettevano alla prova, le<br />
chiedevano continui adattamenti, la rinsaldavano. È noto<br />
che la nascita in ospedale ha significato la vita per tante<br />
donne e per tanti <strong>bambini</strong>, ma ora le condizioni economiche,<br />
igieniche e sociali, permetterebbero alla stragrande<br />
maggioranza delle famiglie di vivere nella propria casa<br />
l’esperienza straordinaria del parto. Questo cambiamento,<br />
che già sta avvenendo in molti paesi del nord Europa,<br />
garantirebbe un risparmio economico e darebbe la possibilità<br />
di nascere dentro la famiglia, fra le braccia del papà,<br />
vicino ai fratelli 1 . Lo stesso si può dire per la maggioran-<br />
1 Mumford (1945), che definisce gli ospedali «magazzini delle malattie», riferendosi<br />
alla situazione americana, parlava già allora della necessità di evitare il<br />
parto in ospedale (vedi Appendice 3).<br />
8
za degli stati di malattia e per la grande esperienza della<br />
morte. Che cosa rimane allora come esperienza familiare?<br />
Solo la routine, quello che si ripete senza emozioni e<br />
senza variazioni ogni giorno. Si parla molto di crisi della<br />
famiglia, bisognerebbe aiutarla a vivere esperienze importanti<br />
come queste per rimetterla in piedi, per darle forza.<br />
Certo ci vorrebbe una chiara volontà e disponibilità al cambiamento,<br />
ad andare avanti in un modo nuovo, tenendo<br />
presenti le nuove condizioni.<br />
E insieme alla famiglia si è trasformata anche la casa,<br />
rispondendo a queste nuove necessità. È una casa senza<br />
<strong>bambini</strong>, senza anziani. Si è sviluppata in altezza rispondendo<br />
alla speculazione sulle aree urbane e senza pensare<br />
a come potrà scendere a giocare con gli amici un bambino<br />
di quattro, cinque anni, né a come potrà viverci senza<br />
impazzire un vecchio che non può più vedere i suoi luoghi<br />
abituali, passeggiare, incontrare un amico. È una casa<br />
che non sa più prevedere e sopportare il chiasso <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong> che giocano, mentre si è adattata bene al rumore<br />
terribile delle sirene, a quello sgradevole <strong>dei</strong> clacson. Eppure<br />
da sempre le scale sono state un luogo privilegiato di<br />
gioco, così come lo sono stati gli androni e i cortili; così come<br />
da sempre gli adulti hanno saputo accettare e tollerare<br />
quel chiasso sano, seppur fastidioso, <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> che giocano.<br />
Per questi piccoli e vecchi prigionieri, hanno inventato<br />
i balconi, di nuovo spazi separati, lontani, fittizi.<br />
Un altro esempio: il centro commerciale<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> come ambiente unitario, come ecosistema, direbbe<br />
oggi un ambientalista, sta scomparendo e sta diventando<br />
sempre di più la somma di luoghi specializzati, autonomi<br />
ed autosufficienti, ciascuno con il proprio parcheggio,<br />
il proprio posto di ristoro, il bancomat, la guar-<br />
9
dia giurata... Insomma ogni luogo tende ad essere una piccola<br />
<strong>città</strong>. Una volta comprare significava compiere un<br />
percorso, entrare in posti diversi, incontrare varie persone,<br />
ogni giorno le stesse, tanto da poter riprendere da un<br />
giorno all’altro una confidenza, un racconto o scambiarsi<br />
l’ultima notizia. Oggi per comprare si effettua un trasferimento<br />
in un’altra zona della <strong>città</strong>, dove si può comprare<br />
tutto, magari una volta al mese. Un esempio tipico è quello<br />
del centro commerciale, che sta sorgendo ai margini<br />
della <strong>città</strong> proponendosi come <strong>città</strong> piccola, autonoma,<br />
efficiente e godibile. Città senza macchine, con strade e<br />
piazzette, sicura per i <strong>bambini</strong>, per i quali sono spesso<br />
pensati spazi dedicati e assistiti; dove si può mangiare, fare<br />
operazioni bancarie, andare dal parrucchiere e naturalmente<br />
comprare, comprare di tutto. Un bel posto, per<br />
molte famiglie, dove darsi un appuntamento per passare<br />
insieme il sabato. Il degrado rende la <strong>città</strong> invivibile e noi<br />
ci difendiamo costruendo luoghi sicuri, protetti, dove passare<br />
tranquilli il nostro tempo libero.<br />
Questa è una tendenza costante nella <strong>città</strong> di oggi, coerente<br />
con la logica della separazione e della specializzazione:<br />
creare servizi, strutture sempre più indipendenti e<br />
autosufficienti. Questo avviene per l’ospedale, per lo stadio,<br />
per i grandi musei, per il campus universitario.<br />
L’equivoco <strong>dei</strong> servizi<br />
<strong>La</strong> separazione produce certamente disagio, malessere,<br />
crea nelle persone lacerazioni con la propria storia, con i<br />
propri affetti, ostacola la comunicazione, l’incontro, la solidarietà.<br />
Gli amministratori della <strong>città</strong>, responsabili di questa<br />
perversa trasformazione delle caratteristiche della vita<br />
urbana, debbono in qualche modo recuperare il consenso<br />
10
<strong>dei</strong> loro cittadini e prima di tutto <strong>dei</strong> loro elettori, pena la<br />
perdita del loro potere. In alcuni casi, non rari, gli amministratori<br />
hanno preferito non farsi carico del disagio <strong>dei</strong><br />
cittadini e hanno catturato il loro consenso con forme<br />
ignobili di accordi clientelari, ma questi non interessano il<br />
nostro discorso. In altri casi gli amministratori si sono invece<br />
fatti carico del malessere <strong>dei</strong> concittadini e hanno sviluppato,<br />
a compensazione <strong>dei</strong> disagi e a garanzia del consenso,<br />
la politica <strong>dei</strong> servizi. I servizi pubblici sono diventati<br />
il simbolo e il vanto della buona amministrazione: «Sei<br />
costretto a vivere lontano dal centro urbano, lontano dagli<br />
uffici, dai luoghi di divertimento e di cultura? Non ti<br />
preoccupare, ti metto a disposizione mezzi di trasporto<br />
pubblico sempre più rapidi, sempre più efficienti» 2 ; «Non<br />
sai come fare con i tuoi <strong>bambini</strong>, non hai possibilità e tempo<br />
per poterli educare? Non ti preoccupare, ti apro nidi<br />
di infanzia, centri di incontro, ludoteche...»; «Non sai come<br />
assistere i tuoi vecchi, nel tuo piccolo appartamentino,<br />
al dodicesimo piano, con i tuoi orari di lavoro? Non ti<br />
preoccupare, ti offro centri anziani, viaggi, vacanze e ospizi<br />
per i vecchi».<br />
<strong>La</strong> specializzazione qualifica il servizio e compensa la<br />
separazione. Ai <strong>bambini</strong> e ai vecchi non si permette o si<br />
rende difficile vivere nella propria famiglia, nella propria<br />
casa, nella propria <strong>città</strong>, ma si offre loro il meglio che possono<br />
assicurare la moderna psicologia, pedagogia, pediatria,<br />
dietetica, geriatria. Meglio di come potrebbe fare la<br />
famiglia. L’importante è che il cittadino che vota sia soddisfatto<br />
e lo sia nel tempo breve del mandato elettorale. I<br />
tempi <strong>dei</strong> politici sono brevi, debbono superare gli esami<br />
2 Ho incontrato in aeroporto un signore che rientrava da un viaggio in Giappone,<br />
dove aveva partecipato ad una mostra commerciale. Lo avevano alloggiato<br />
in un albergo che distava 150 chilometri dal luogo della mostra e ogni mattina<br />
veniva «sparato» da un treno in appena mezz’ora dal suo albergo ai locali<br />
della mostra, lo stesso tempo che io impiego per percorrere a Roma la distanza<br />
da casa all’Istituto. Un servizio estremamente efficiente, che rende però naturale<br />
far risiedere una persona a 150 chilometri dalla <strong>città</strong> dove lavora!<br />
11
ogni quattro anni; i progetti a lunga scadenza non pagano,<br />
non portano voti.<br />
In tutta questa operazione, che può sembrare ragionevole<br />
e forse anche meritoria, c’è qualcosa di preoccupante,<br />
di diabolico: la perdita della speranza, la rassegnazione.<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> la si dà ormai per persa, i servizi, i migliori servizi,<br />
aiutano a sopportarla, senza sperare di cambiarla: «È<br />
il costo del progresso», «Indietro non si può tornare». Sembra<br />
che il progresso sia un pacchetto «tutto compreso»:<br />
l’automobile e la lavatrice, insieme ai vantaggi, portano<br />
necessariamente l’inquinamento, la droga, la violenza, la<br />
paura. Tutto insieme, prendere o lasciare.<br />
Un accordo fra adulti<br />
In questa situazione, difficile per tutti, il bambino soffre di<br />
più. Con lui la compensazione, la monetizzazione del danno,<br />
non funziona. I servizi, pensati per l’adulto, non sono<br />
buoni per il bambino. Se a lui togliamo il piccolo spazio per<br />
giocare sotto casa e glielo ridiamo magari cento volte più<br />
ricco e più grande a un chilometro di distanza, secondo la<br />
logica della separazione e della specializzazione, di fatto<br />
glielo abbiamo tolto e basta: nel parco lontano può andare<br />
solo se un adulto lo accompagna, quindi accettando gli<br />
orari dell’adulto; può andare solo se si cambia, altrimenti<br />
c’è da vergognarsi a portarlo fuori, ma se si cambia non si<br />
può sporcare e se non si può sporcare non può giocare;<br />
chi lo accompagna lo deve aspettare e mentre lo aspetta<br />
lo sorveglia e sotto sorveglianza non si può giocare.<br />
I parchi gioco sono un interessante esempio di come i<br />
servizi siano pensati dagli adulti per gli adulti e non per i<br />
<strong>bambini</strong>, anche se questi ne sono i destinatari dichiarati.<br />
Questi spazi per <strong>bambini</strong> sono tutti uguali, in tutto il mon-<br />
12
do, almeno in quello occidentale, rigorosamente livellati,<br />
spesso recintati e sempre dotati di scivoli, altalene e giostrine.<br />
Il primo strumento che entra in azione per la realizzazione<br />
di un giardinetto, di un parco per <strong>bambini</strong> è la ruspa.<br />
Sembra quasi che, secondo gli adulti, ai <strong>bambini</strong> piaccia<br />
giocare nel piano e invece lo spazio orizzontale impedisce<br />
loro di nascondersi che è certamente una parte importante<br />
del giocare e garantisce invece solo una facile<br />
sorveglianza. Il bambino deve giocare vigilato! Noi adulti<br />
abbiamo rapidamente dimenticato che il gioco è legato al<br />
piacere e il piacere si coniuga male con il controllo e la vigilanza<br />
(proviamo a pensare alle nostre esperienze di piacere<br />
da adulti!).<br />
Un secondo aspetto preoccupante è che sono gli adulti<br />
ad indicare quali giochi i <strong>bambini</strong> debbono fare in questi<br />
spazi. Le attrezzature sono pensate per attività ripetitive,<br />
banali, come dondolare, scivolare e girare, quasi che<br />
il bambino assomigli più ad un criceto 3 che ad un esploratore,<br />
ad un ricercatore, ad un inventore. Sono giocattoli<br />
per giochi specifici, che debbono essere usati così come<br />
gli adulti li hanno pensati e siccome rapidamente i <strong>bambini</strong><br />
si stancano, per farli diventare diversi e nuovi, cercano<br />
di utilizzarli in maniera non ortodossa e allora diventano<br />
anche pericolosi: saltare dalla giostrina in corsa, scendere<br />
giù dallo scivolo di testa, dondolare appesi ad una sola<br />
corda dell’altalena come i corsari all’arrembaggio o appesi<br />
alle due corde a testa in giù.<br />
I parchi gioco sono tutti uguali perché rappresentano<br />
uno stereotipo: la presenza di scivoli, altalene e giostrine<br />
garantiscono che l’adulto genitore si renda facilmente<br />
conto che l’adulto amministratore ha utilizzato il denaro<br />
3 Girare nella ruota, che tradizionalmente arreda la loro gabbietta, non piace<br />
neppure ai criceti, che nella loro vita in natura, in Medio Oriente, possono<br />
vivere esperienze certamente più interessanti e più avventurose.<br />
13
pubblico per realizzare un servizio per suo figlio. Che poi<br />
ai <strong>bambini</strong> non piacciano è cosa di poco conto.<br />
Anche gli altri servizi per l’infanzia sono pensati per gli<br />
adulti e non per i <strong>bambini</strong>. «Vogliamo i nidi per le madri<br />
lavoratrici», si diceva negli anni ’70. In <strong>città</strong> dove è alto<br />
l’impiego di manodopera femminile i nidi possono restare<br />
aperti anche 10-12 ore al giorno, perché questa è la<br />
domanda sociale <strong>dei</strong> lavoratori. Ma quale è la domanda<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>? Certamente quella di non restare da soli in<br />
casa, di avere occasioni di scambio con i loro piccoli amici,<br />
ma può un bambino di uno, due anni resistere 8-10 ore<br />
in un ambiente così grande, esposto ad una socializzazione<br />
forzata, al chiasso, a stimoli continui, senza possibilità<br />
di nascondersi, di scappare? Questo non ce lo siamo domandato,<br />
e sì che gli adulti, gli operatori del nido, per garantire<br />
il servizio cambiano tre turni, perché si ritiene che<br />
non possano sopportare un carico di lavoro maggiore delle<br />
quattro, cinque ore al giorno!<br />
Un altro esempio, più quotidiano, e per questo più inquietante.<br />
Quando si è aperto un conflitto fra gli orari di lavoro<br />
degli adulti e gli orari <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> – per esempio gli adulti<br />
debbono timbrare il cartellino alle otto e i <strong>bambini</strong><br />
debbono entrare a scuola alle otto e mezza – come abbiamo<br />
reagito? Senza alcuna esitazione, in tutte le <strong>città</strong>, abbiamo<br />
chiesto ai Comuni di creare un nuovo servizio, la<br />
«pre-scuola», che accogliesse i <strong>bambini</strong> dalle sette e mezzo:<br />
abbiamo caricato sulle spalle <strong>dei</strong> nostri figli un’ora in<br />
più di lavoro. Avremmo potuto pensare soluzioni diverse,<br />
avremmo dovuto comunque evitare che a pagare fossero<br />
i più piccoli. Avremmo potuto chiedere ai nostri sindacati<br />
di modificare i contratti di lavoro in modo che, se in una<br />
famiglia c’è un bambino che va a scuola, uno <strong>dei</strong> genitori<br />
possa rendere flessibile il suo orario di lavoro ed entrare<br />
dopo l’inizio della scuola. Non so se sarebbe possibile ottenere<br />
questo, ma mi preoccupa che non ci abbiamo provato<br />
e nemmeno pensato.<br />
14
E allora che fare?<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> è diventata ostile per i suoi stessi cittadini, priva di<br />
solidarietà e di accoglienza. Padrona della <strong>città</strong> è ormai<br />
l’automobile che produce pericolo, inquinamento acustico<br />
e dell’aria, vibrazioni, occupazione del suolo pubblico.<br />
Le strade sono pericolose, ma in questa <strong>città</strong> dobbiamo vivere<br />
e, specialmente chi ha figli, sente la necessità e l’urgenza<br />
di trovare una soluzione.<br />
<strong>La</strong> soluzione privata della difesa<br />
<strong>La</strong> soluzione che la nostra società fortemente sponsorizza<br />
attraverso i suoi mezzi di comunicazione, la produzione<br />
commerciale, i suoi tecnici (psicologi, educatori, consulenti<br />
familiari) è quella individualistica, privata. È quella che<br />
giustifica la situazione attuale come necessaria conseguenza<br />
e costo del progresso e che avanza raccomandazioni<br />
come: «I genitori debbono stare di più con i loro figli»;<br />
«Nessuno può stare con i <strong>bambini</strong> come il loro papà<br />
e la loro mamma»; «Bisogna giocare di più con il proprio<br />
figlio». Questi inviti creano naturalmente uno stridente<br />
contrasto con la vita di corsa, con le ore di spostamenti,<br />
con la voglia, quando si arriva a casa, di rilassarsi un po’.<br />
Sviluppano cocenti sensi di colpa. Mettono gli adulti nelle<br />
condizioni migliori per approfittare, con riconoscenza,<br />
15
<strong>dei</strong> tanti prodotti commerciali. Di qui il doppio consiglio<br />
che la nostra società oggi manda ai suoi cittadini: difendetevi<br />
e comprate.<br />
Innanzi tutto quindi la strada della difesa. <strong>La</strong> casa pensata<br />
come rifugio antiatomico: fuori il pericolo, i malvagi, il<br />
traffico, la droga, la violenza, il bosco oscuro e minaccioso;<br />
dentro la sicurezza, l’autonomia, la tranquillità, la casetta sicura<br />
<strong>dei</strong> tre porcellini, o, se si preferisce, il castello medioevale,<br />
cintato di mura e con il ponte levatoio sollevato.<br />
Le porte vengono blindate, con l’occhiolino per vedere senza<br />
essere visti; si mettono videocitofoni, sistemi di allarme;<br />
norme condominiali impediscono l’entrata agli estranei. Si<br />
insegna al bambino a non aprire a nessuno, a non fermarsi<br />
con nessuno, a non accettare niente da nessuno 1 .<br />
E poi comprare di più dato che per fortuna la produzione<br />
commerciale è sensibile alle necessità dell’uomo<br />
moderno. Dentro casa c’è tutto quello che serve a stare<br />
bene e tranquilli, da soli, anche per molto tempo: televisore,<br />
videoregistratore, videogame, e giocattoli, giocattoli<br />
a non finire.<br />
Nelle nostre case si percepisce una strana sensazione,<br />
una specie di orgoglio per averle rese capaci di resistere<br />
ad oltranza di fronte ad un imprecisato pericolo che potrebbe<br />
presentarsi: gli ambienti sono ordinati, confortevoli,<br />
rilassanti, per quanto l’esterno è caotico, stressante e<br />
angosciante; il congelatore è pieno di cibi che possono durare<br />
per mesi, la collezione di cassette video ci permette<br />
di avere i film a noi più cari in casa nostra. Nelle nostre<br />
case staremo bene qualsiasi cosa possa succedere là fuori!<br />
È l’esasperata chiusura nel privato.<br />
Una volta si investiva quasi tutto nella <strong>città</strong>, nel pubblico.<br />
<strong>La</strong> casa era modesta, serviva per lo stretto indispen-<br />
1 E poi a scuola, ma anche nelle famiglie democratiche, si pretende di educare<br />
i figli alla tolleranza, alla solidarietà, alla pace, alla multiculturalità, che dovrebbero<br />
voler dire aprirsi agli altri, credere negli altri ed essere convinti che gli<br />
altri hanno qualcosa di importante da darci!<br />
16
sabile. <strong>La</strong> vera «abitazione» era la <strong>città</strong> che doveva essere<br />
bella, accogliente, adatta per il passeggio, per l’incontro,<br />
per la spesa, per il gioco. Oggi si è invertita la tendenza,<br />
si investe tutto nel privato, nella casa, che diventa sempre<br />
più rifugio e fortezza.<br />
Difendersi, risolvere ciascuno i problemi da solo, chiudersi<br />
in casa, significa abbandonare la <strong>città</strong>. <strong>La</strong> <strong>città</strong> abbandonata<br />
si fa ancor più pericolosa, aggressiva, disumana.<br />
Allora occorre aumentare gli strumenti e gli atteggiamenti<br />
di difesa. Ma questi produrranno maggiore isolamento<br />
e abbandono e a loro volta determineranno un aumento<br />
del pericolo ambientale. Si sviluppa così una spirale<br />
perversa, senza futuro.<br />
Di questo processo abbiamo ormai vari segnali nella<br />
nostra e nelle altre società più «sviluppate». Negli ultimi anni<br />
nelle nostre <strong>città</strong> c’è stata una rapida e progressiva militarizzazione:<br />
si sono armati i vigili urbani, sono comparsi<br />
sempre più numerosi i vigilantes privati davanti alle banche,<br />
agli enti pubblici e privati. Sono anche aumentati i<br />
controlli personali, i metal detector, per entrare in aeroporto,<br />
in banca, ma ci sono controlli elettronici anche all’uscita<br />
di alcuni negozi, librerie, supermercati. Ci sono<br />
vetri blindati che proteggono le biglietterie delle stazioni,<br />
e per fare un biglietto dobbiamo parlare attraverso microfoni,<br />
proprio come nei parlatori delle carceri di massima<br />
sicurezza. Siamo arrivati all’assurdo: usano le sirene<br />
per il trasporto <strong>dei</strong> valori postali: continue paure, soprassalti,<br />
per <strong>dei</strong> soldi! E di tutto questo non ci stupiamo più,<br />
ci sembrano difese adeguate e legittime.<br />
Negli Stati Uniti, dopo aver blindato le porte, si sono<br />
armati i singoli cittadini e in uno <strong>dei</strong> suoi Stati si è permesso<br />
agli studenti di andare a scuola armati. Queste notizie<br />
per fortuna ci sembrano aberranti 2 , ci scandalizzano<br />
2 Oggi, in questo paese, sono otto milioni gli addetti alla difesa delle persone,<br />
più <strong>dei</strong> metalmeccanici!<br />
17
ancora, ma sono solo la coerente conseguenza della spirale<br />
perversa della difesa e della violenza.<br />
<strong>La</strong> soluzione sociale della partecipazione<br />
Esiste una seconda strada, una seconda soluzione, contraria<br />
alla difesa. È quella che rifiuta la rassegnazione e denuncia<br />
questo «progresso» voluto da pochi, in fretta, per<br />
interessi che nulla hanno a che vedere con il bene pubblico,<br />
la felicità <strong>dei</strong> cittadini, la qualità della vita. È quella che<br />
considera il problema non individuale e personale, ma sociale<br />
e politico. È la soluzione che chiede che la tendenza<br />
cambi, che la <strong>città</strong> cambi; che non vuole tornare indietro,<br />
ma che vuole andare avanti in un modo diverso, nuovo,<br />
adeguato alla complessità e alla ricchezza del mondo di<br />
oggi, ma senza rinunciare alla socialità, alla solidarietà, alla<br />
felicità.<br />
Il cittadino medio<br />
Finora e con una forte accentuazione negli ultimi decenni,<br />
la <strong>città</strong> è stata pensata, progettata e valutata assumendo<br />
come parametro un cittadino medio con le caratteristiche<br />
di adulto, maschio e lavoratore, e che corrisponde<br />
all’elettore forte. In questo modo la <strong>città</strong> si è persa i cittadini<br />
non adulti, non maschi e non lavoratori, cittadini di<br />
seconda categoria, con meno o senza diritti.<br />
Per prendere l’autobus o il treno bisogna essere in buona<br />
forma fisica, essere bene allenati, perché occorre superare<br />
un dislivello iniziale di quasi mezzo metro. Un bambino,<br />
una persona anziana o anche semplicemente una donna<br />
con la gonna stretta non riuscirebbero nell’impresa.<br />
I nuovi popolosi e brutti quartieri delle periferie vengo-<br />
18
no chiamati «quartieri dormitorio». Ma per chi sono «dormitorio»?<br />
Solo per gli adulti lavoratori che al mattino se ne<br />
vanno e tornano la sera. I loro <strong>bambini</strong>, i loro vecchi, spesso<br />
anche le loro mogli, ci vivono, per loro quei quartieri<br />
non sono «dormitorio» ma «residenziali». E allora non ha<br />
senso caratterizzarli con quel nome quasi a giustificare<br />
l’assenza di luoghi sociali, di incontro e di svago perché<br />
«tanto ci si dorme soltanto».<br />
Il bambino come parametro<br />
Di qui la proposta: sostituire il cittadino medio, adulto, maschio<br />
e lavoratore con il bambino.<br />
Non si tratta di realizzare iniziative, opportunità, strutture<br />
nuove per i <strong>bambini</strong>, di difendere i diritti di una componente<br />
sociale debole. Non si tratta quindi di modificare,<br />
aggiornare, migliorare i servizi per l’infanzia, che rimane<br />
naturalmente un dovere importante della pubblica amministrazione.<br />
Si tratta invece di abbassare l’ottica della amministrazione<br />
fino all’altezza del bambino, per non perdere nessuno.<br />
Si tratta di accettare la diversità che il bambino porta<br />
con sé a garanzia di tutte le diversità.<br />
L’obiezione quindi di chi nota che non ci sono solo i<br />
<strong>bambini</strong> non è pertinente, perché si tratta di assumere una<br />
ottica nuova, una filosofia nuova nel valutare, programmare,<br />
progettare e modificare la <strong>città</strong>. Chi è capace di tener<br />
conto <strong>dei</strong> bisogni e <strong>dei</strong> desideri <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> non avrà<br />
difficoltà a tener conto della necessità dell’anziano, dell’handicappato,<br />
dell’extracomunitario. Perché il problema<br />
fondamentale è imparare ad accettare la diversità, e il<br />
bambino è un diverso, anzi, probabilmente, un bambino è<br />
più diverso da suo padre di quanto un adulto bianco sia diverso<br />
da un adulto nero.<br />
19
Si presume che quando la <strong>città</strong> sarà più adatta ai <strong>bambini</strong>,<br />
sarà più adatta per tutti.<br />
È una proposta concreta, che nasce da una esperienza<br />
iniziata nel 1991 dal Comune di Fano e che oggi trova l’interesse<br />
e l’adesione di molte <strong>città</strong> italiane e straniere.<br />
È una proposta che ha nel sindaco il suo referente naturale<br />
e che il sindaco garantisce e mette alla base delle<br />
scelte della sua politica di amministrazione della <strong>città</strong> 3 . È<br />
una scelta che la Giunta condivide, considerandola una verifica<br />
continua e un impegno trasversale che «contamina»<br />
l’attività di tutti gli assessorati e di tutte le scelte amministrative,<br />
da quelle urbanistiche a quelle sanitarie, da quelle<br />
del tempo libero a quelle commerciali.<br />
3 <strong>La</strong> nuova legge elettorale italiana, che permette l’elezione diretta del sindaco<br />
da parte <strong>dei</strong> cittadini, in maniera abbastanza autonoma dalla sua collocazione<br />
partitica e che gli dà il potere di nominare una propria squadra di governo<br />
della <strong>città</strong>, con un proprio programma e la possibilità di durata per l’intera<br />
legislatura, ne fa il vero rappresentante democratico della <strong>città</strong>. In questi primi<br />
anni di esperienza e in un momento così difficile per la politica italiana, sembra<br />
che siano proprio i sindaci le persone che stanno proponendo un nuovo modo<br />
di fare politica in Italia.<br />
20
Perché proprio il bambino?<br />
Perché assumere il bambino come parametro? <strong>La</strong> scelta<br />
non vuol essere né provocatoria né paradossale, ha precise<br />
motivazioni psicologiche e sociologiche, importanti<br />
precedenti storici, un alto significato morale, e anche, mi<br />
sembra, un forte peso politico.<br />
L’infanzia nella storia dell’uomo:<br />
il primato del gioco<br />
Non è vero che il bambino non sa nulla, che è una lavagna<br />
pulita su cui tutto deve essere scritto e che saranno della<br />
scuola la responsabilità e il merito <strong>dei</strong> primi e fondamentali<br />
apprendimenti. È vero invece il contrario. Nella descrizione<br />
che dello sviluppo fa la ricerca scientifica è proprio<br />
nei primi giorni, nei primi mesi e nei primi anni che lo sviluppo<br />
è più rapido, è lì, subito alla nascita che avviene l’esplosione,<br />
non intorno ai sei anni con l’inizio della cosiddetta<br />
età della ragione. Prima che un bambino entri per la<br />
prima volta in una aula scolastica, le cose più importanti sono<br />
già successe: gli apprendimenti più importanti, quelli sui<br />
quali tutta la conoscenza successiva dovrà costruirsi o sono<br />
già acquisiti o difficilmente potranno essere recuperati.<br />
Ma come si può spiegare un fenomeno così sconcertante?<br />
Nei primi anni di vita non ci sono insegnanti, non si<br />
21
usano materiali didattici e non si fanno programmi, e allora<br />
a cosa possiamo attribuire il merito di una crescita così<br />
importante? Mi pare che non abbiamo alternativa dal doverlo<br />
attribuire alla più significativa attività di questi primi<br />
anni: il gioco. Perché questa attività infantile ha un potere<br />
così grande? Il bambino vive nel gioco una esperienza rara<br />
nella vita dell’uomo, quella di confrontarsi da solo con<br />
la complessità del mondo. Lui, con tutte le sue curiosità,<br />
con tutto quello che sa e che sa fare, e con tutto quello che<br />
non sa e che desidera sapere, di fronte al mondo con tutti<br />
i suoi stimoli, le sue novità, il suo fascino. E giocare significa<br />
ritagliarsi ogni volta un pezzetto di questo mondo: un<br />
pezzetto che comprenderà un amico, degli oggetti, delle<br />
regole, uno spazio da occupare, un tempo da amministrare,<br />
<strong>dei</strong> rischi da correre. Con una libertà totale, perché<br />
quello che non si può fare si può inventare. È proprio grazie<br />
a questa complessità che nei primi anni si realizzano gli<br />
apprendimenti di gran lunga più importanti di tutta la vita<br />
dell’uomo. E nessun adulto potrà prevedere o misurare la<br />
quantità di apprendimento di un bambino che gioca e questa<br />
sarà sempre superiore a quello che noi potremo immaginare.<br />
Nessuno potrà programmare o accelerare questo<br />
processo, pena impedirlo o impoverirlo. Forse sarebbe<br />
più utile per i <strong>bambini</strong> che queste conoscenze rimanessero<br />
nascoste perché, conoscendole, potrebbe venire in<br />
mente agli adulti di aiutarli, di sostenerli con opportuni insegnamenti<br />
e materiali didattici. Verrebbe a mancare così<br />
la condizione principale di questo prodigio e cioè che gli<br />
adulti «lascino fare», «lascino giocare» i <strong>bambini</strong>. Il giocare<br />
del bambino, prima e fuori della scuola, è «perdere tempo»,<br />
è perdersi nel tempo, è incontrarsi con il mondo in un rapporto<br />
eccitante, pieno di mistero, di rischio, di avventura.<br />
E il motore è il più potente che l’uomo conosca: il piacere.<br />
È per questo che un bambino per giocare può anche<br />
dimenticarsi di mangiare. Il gioco libero e spontaneo del<br />
bambino assomiglia alle esperienze più alte e straordinarie<br />
22
dell’adulto come quelle della ricerca scientifica, della esplorazione,<br />
dell’arte, della mistica; le esperienze appunto di<br />
quando l’uomo si trova di fronte alla complessità, di quando<br />
trova di nuovo la possibilità di lasciarsi trasportare dal<br />
grande motore del piacere.<br />
Le proposte educative, pure necessarie, si muovono invece<br />
ad un livello più basso, meno stimolante e per questo<br />
meno produttivo 1 . Nella proposta educativa l’allievo<br />
viene privato dell’eccitante incontro con la complessità e<br />
del brivido di ritagliarsene autonomamente una parte. È<br />
l’adulto che propone all’allievo una porzione di quel mondo<br />
complesso, tale che l’attività richiesta produca con sicurezza<br />
e nei tempi previsti gli apprendimenti voluti. Quel<br />
pezzo di mondo perde tutto il fascino e il mistero, diventa<br />
incomprensibile, così staccato da tutto il resto, e serve solo<br />
per imparare a scuola. Per essere più sicuri del risultato<br />
gli educatori spesso sostituiscono la complessità del<br />
mondo reale con quella più controllabile della proposta didattica,<br />
dell’esercizio, del libro di testo. Il controllo è così<br />
assoluto, ma in genere il risultato è povero, quasi sempre<br />
inferiore alle aspettative e contraddittorio: mentre impara<br />
l’allievo rifiuta quello che gli insegnano, non lo fa suo, non<br />
si modifica grazie a quello. Nasce un apprendimento parallelo,<br />
che serve solo a scuola, fino all’ultimo tema in classe,<br />
fino all’ultimo concorso e poi basta. A scuola per esempio<br />
tutti sappiamo che rispetto alla terra è il sole che<br />
sta fermo e la terra gira, ma nella vita quotidiana tutti continuiamo<br />
a dire, e probabilmente continuiamo a pensare,<br />
che il sole sorge e che tramonta, quindi si muove. Questo<br />
lo dice tutti i giorni anche la televisione!<br />
<strong>La</strong> scuola, con questa sua semplificazione, con la sicurezza<br />
della sua programmazione, ha perso completamen-<br />
1 «Che pedagoghi eravamo, quando non ci curavamo della pedagogia!» scrive<br />
Pennac (1992) riferendosi all’esperienza affascinante della lettura fatta con<br />
il bambino nei primi anni a confronto della imposizione della lettura che propone<br />
la scuola.<br />
23
te il rapporto con il piacere e deve ricorrere ad un motore<br />
molto meno potente ed efficace, quello del dovere.<br />
Le <strong>città</strong> si sono dimenticate <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
L’editoriale del primo numero della rivista italiana «Urbanistica»<br />
del 1945, scritto da Lewis Mumford 2 , esamina come<br />
la <strong>città</strong> si sia dimenticata <strong>dei</strong> suoi cittadini a partire dai<br />
<strong>bambini</strong>. E Mumford inizia questo saggio citando gli scritti<br />
di Joseph K. Hart che nel 1925 sosteneva gli stessi concetti.<br />
<strong>La</strong> tesi <strong>dei</strong> due autori, ben precedenti al disastro urbanistico<br />
avvenuto nel mondo occidentale con la grande<br />
speculazione edilizia degli anni ’60-’70, si fonda sulla considerazione<br />
che le <strong>città</strong>, nel loro recente sviluppo, si sono<br />
dimenticate della maggior parte <strong>dei</strong> cittadini, <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
appunto, ma anche delle donne, <strong>dei</strong> giovani e degli anziani.<br />
Sono state pensate solo per la categoria più forte<br />
<strong>dei</strong> cittadini, quella adulta e produttiva. Di qui la proposta<br />
di ripensare la <strong>città</strong> riflettendo sulle esigenze delle varie età<br />
della vita. Alcune delle soluzioni indicate da Mumford sono<br />
ingenue o, a volte, poco condivisibili, ma è interessante<br />
che decenni fa fosse presente nel mondo della architettura<br />
e della progettazione urbanistica una così chiara<br />
consapevolezza degli errori fatti ed una così avanzata e<br />
multidisciplinare sensibilità progettuale. Nel suo articolo<br />
Mumford fa una puntuale critica della separazione fra le<br />
generazioni e fra le funzioni che la <strong>città</strong> moderna ha provocato.<br />
Critica l’uso generalizzato dell’ospedale e auspica<br />
il ritorno al parto a domicilio o in piccole case-clinica di<br />
quartiere. Indica la necessità di creare luoghi di gioco per<br />
2 Si veda l’articolo <strong>La</strong> pianificazione per le diverse fasi della vita, riprodotto<br />
in Appendice 3.<br />
24
i <strong>bambini</strong>, non convenzionali e stereotipati, ma ricchi di<br />
varietà di elementi e di nascondigli. Propone l’impegno<br />
degli adolescenti in una forma di servizio civile per la manutenzione<br />
degli spazi comuni in risposta alle prevedibili<br />
difficoltà economiche degli enti locali per la cura di giardini<br />
e parchi. Denuncia il pericolo dell’isolazionismo della<br />
grande <strong>città</strong> e rivendica, di contro, il diritto alla solitudine<br />
e al raccoglimento. Suggerisce l’uso sociale delle scuole in<br />
orario extrascolastico. Raccomanda l’inserimento degli<br />
anziani nella vita sociale, evitando la separazione e l’istituzionalizzazione.<br />
<strong>La</strong> programmazione urbana deve insomma<br />
garantire il ritorno alla scala umana: «una combinazione<br />
costantemente variabile di una moltitudine di attività<br />
associative, variabili in intensità e durata ed in continuo<br />
sviluppo, attraverso il ciclo della vita, dalla nascita alla<br />
morte». Tutto questo nel 1945!<br />
È anche significativo che la rivista «Urbanistica», nel<br />
suo primo numero del 1945, appena terminata la guerra,<br />
abbia scelto di pubblicare questo scritto. Per uscire dalla<br />
miseria, dalle macerie, dalla distruzione morale e materiale<br />
del nostro paese, si parlava <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e non delle scelte<br />
economiche o della speculazione sulle aree urbane.<br />
Questo rende ancora più grave la responsabilità di chi, nei<br />
decenni successivi, non solo non ne ha tenuto conto, ma<br />
ha accentuato con il massimo impegno la negazione <strong>dei</strong><br />
diritti <strong>dei</strong> cittadini più deboli per perseguire in modo spregiudicato<br />
e colpevole il puro e spesso personale profitto.<br />
Il bambino è solo<br />
Questo secolo, insieme a tanti altri meriti e limitatamente<br />
all’occidente ricco, può a ben diritto essere considerato il<br />
secolo del bambino. Mai come oggi i diritti fondamentali<br />
25
del minore vengono riconosciuti e difesi. Il progresso della<br />
medicina ha ormai quasi annullato il rischio di morte e<br />
di gravi traumi neonatali: i pochi <strong>bambini</strong> che nascono<br />
hanno un’alta probabilità di diventare grandi.<br />
Nel recente passato molti <strong>bambini</strong> non sopravvivevano<br />
alla nascita, molti subivano traumi irreversibili a causa di<br />
pratiche ostetriche e neonatali inadeguate. Nelle classi sociali<br />
meno abbienti, e cioè nella stragrande maggioranza<br />
della popolazione, crescevano in famiglie numerose e nella<br />
più totale promiscuità. Non tutti iniziavano la scuola elementare<br />
e quasi tutti la abbandonavano dopo pochi anni,<br />
con varie bocciature e sostanzialmente analfabeti. Per la<br />
maggior parte di loro, prima <strong>dei</strong> dieci anni iniziava l’esperienza<br />
di lavoro, come garzoni, come aiutanti. Un lavoro<br />
pesante, un orario lungo che poco tempo lasciava ai giochi<br />
infantili, spesso senza retribuzione, in cambio dell’apprendistato.<br />
Il rapporto <strong>dei</strong> genitori con il bambino, specialmente<br />
del padre e del datore di lavoro, era duro, spesso<br />
violento. Una condizione quindi difficile, certo non privilegiata.<br />
Oggi viene affermato con forza il diritto del bambino<br />
alla sua infanzia, a giocare, a frequentare la scuola, a non<br />
essere utilizzato per il lavoro. Neppure il genitore può violare<br />
questi diritti, pena la perdita della patria potestà. Il<br />
bambino non può essere offeso, non può essere picchiato,<br />
non può essere discriminato. Anche il bambino diverso,<br />
di un’altra cultura, di un’altra religione o handicappato,<br />
gode <strong>dei</strong> diritti di tutti, entra nella scuola di tutti, deve<br />
essere adeguatamente inserito. Tutto questo solo mezzo<br />
secolo fa era impensabile.<br />
Da vari decenni la ricerca psicologica si occupa in modo<br />
quasi ossessivo del mondo del bambino, delle sue pulsioni,<br />
del suo pensiero, della sua logica, della sua lingua.<br />
Si raccolgono le sue prime frasi, si studiano le sue conoscenze<br />
spontanee, si analizzano i suoi scarabocchi. I ri-<br />
26
cercatori cercano nel bambino le radici, le spiegazioni dell’uomo.<br />
Vengono pubblicati libri composti di pensieri, di scritti,<br />
di disegni <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Vengono girati film che illustrano<br />
la vita del bambino, vengono messe in onda trasmissioni<br />
televisive che hanno come unici protagonisti i <strong>bambini</strong>,<br />
con le loro risposte spesso imprevedibili, alle difficili domande<br />
degli adulti.<br />
Vengono dedicati al bambino congressi nazionali e internazionali,<br />
nel 1989 è stata approvata dalle Nazioni<br />
Unite la Convenzione internazionale <strong>dei</strong> diritti del fanciullo<br />
e l’Unesco ha dedicato quell’anno al bambino.<br />
Ma proprio in questo periodo storico il bambino è colpito<br />
da una sofferenza nuova sconosciuta ai suoi piccoli<br />
predecessori: la solitudine.<br />
<strong>La</strong> solitudine possiamo considerarla come un dono del<br />
vertiginoso progresso e del crescente benessere o, se si<br />
preferisce, un costo sociale che compensa le comodità<br />
della nostra vita di occidentali ricchi.<br />
Il bambino è solo perché sempre più spesso è figlio unico.<br />
Essere figlio unico non solo priva il bambino della<br />
compagnia <strong>dei</strong> pari all’interno della famiglia, ma lo priva<br />
anche di modelli intermedi fra se stesso e gli adulti, modelli<br />
che rendono meno ansiosi i confronti e più facili gli<br />
apprendimenti. Essere figlio unico vuol dire far fronte da<br />
solo a tutte le aspettative di due adulti, senza sconti, senza<br />
aiuti; significa essere oggetto di un investimento eccessivo<br />
da parte <strong>dei</strong> genitori, che con maggiore difficoltà riconosceranno<br />
al proprio figlio la sua autonomia, il suo bisogno<br />
e diritto di andarsene, di separarsi da loro ogni giorno<br />
di più.<br />
Prigioniero nella sua casa-fortezza. <strong>La</strong> mancanza di<br />
compagnia in casa è resa più grave dalla impossibilità di<br />
andarsela a cercare all’esterno: fuori ci sono i pericoli, che<br />
27
spingono gli adulti, non senza ragione, a proteggere il<br />
bambino impedendogli di uscire. Allora si assume l’atteggiamento<br />
di difesa di cui si parlava sopra, si «arma» la casa<br />
e vi si chiude il figlio, insegnandogli la sfiducia e il sospetto<br />
verso tutto e verso tutti. Cosa significa nascere e diventare<br />
grandi in una casa-fortezza nella più totale sfiducia<br />
degli altri e nel terrore di quello che ci circonda?<br />
Affidato ad una moderna ed efficiente baby-sitter: la televisione.<br />
Questo moderno e sempre più perfetto elettrodomestico<br />
è un corollario della solitudine del bambino.<br />
È uno <strong>dei</strong> migliori collaboratori del genitore. Comincia a<br />
creare qualche problema più tardi, quando il bambino va<br />
a scuola, perché rischia di rubare tempo ai compiti, al «lavoro»,<br />
ma nei primi anni è un grande aiuto, una vera, economica<br />
ed efficiente baby-sitter. Ma cosa succede in questo<br />
rapporto così intimo che il bambino vive con la televisione<br />
lontano dal controllo del genitore?<br />
È difficile sapere esattamente quali meccanismi conoscitivi,<br />
affettivi, sociali e fisici la costante e prolungata visione<br />
di programmi televisivi produce nei <strong>bambini</strong>. Da una<br />
parte produce certamente conoscenza. <strong>La</strong> televisione è<br />
capace di offrire servizi, programmi, documentari sempre<br />
più belli, ricchi di informazione e di fascino. Certamente<br />
oggi i nostri <strong>bambini</strong> imparano più nozioni dalla televisione<br />
che dalla scuola. Sono sempre però nozioni e conoscenze<br />
udite e viste. Le mani servono sempre di meno, il<br />
bambino non impara a fare, è quindi solo nella sua immobilità.<br />
Insieme alle trasmissioni migliori il bambino assorbe<br />
però tanti programmi di basso livello, cartoni animati violenti,<br />
mal fatti, realizzati senza scrupoli come puri prodotti<br />
commerciali, costruiti in serie, usando in maniera povera<br />
sistemi informatizzati. E poi assiste a tutte le trasmissioni<br />
pensate per gli adulti con la violenza dello spettacolo<br />
e la crudeltà della informazione.<br />
28
Sono quasi sempre programmi a cui il bambino assiste<br />
da solo, senza possibilità di dialogo, di confronto di distrazione:<br />
il bambino solo con il televisore. Le paure entrano<br />
dentro, non possono essere esorcizzate e poi saltano fuori<br />
nel mezzo della notte, con un brutto sogno, un incubo...<br />
In questo dialogo intimo e intenso (si provi ad osservare<br />
lo sguardo rapito di un bambino davanti al televisore)<br />
avviene una manipolazione molto preoccupante <strong>dei</strong> nostri<br />
<strong>bambini</strong>, della quale anche l’ente televisivo di Stato si rende<br />
complice: negli spazi dedicati ai <strong>bambini</strong> vengono trasmessi<br />
spot pubblicitari direttamente indirizzati a loro perché<br />
essi si facciano persuasori di consumi presso i loro genitori.<br />
<strong>La</strong> manipolazione è grave perché suscita nel bambino<br />
bisogni inutili, che modificheranno negativamente la<br />
sua personalità, nella continua ricerca di cose nuove, perdendo<br />
progressivamente la capacità di apprezzarle e usarle<br />
ed entrando nella logica perversa dell’usa e getta. È grave<br />
poi perché il bambino viene trasformato in un potente<br />
postulante presso i genitori, potendo far leva sul loro senso<br />
di colpa per essere così poco presenti nella vita del figlio.<br />
I genitori comprano senza rendersi conto dell’origine<br />
di quella richiesta, che viene spesso interpretata come<br />
una spontanea idea del bambino, alla quale quindi non si<br />
può dire di no.<br />
Si stanno anche studiando i danni fisici che una prolungata<br />
esposizione ai programmi televisivi produce nel<br />
bambino: danni emotivi per le forti sensazioni, rischio di<br />
obesità per il continuo mangiucchiare, ecc.<br />
Il bambino minore<br />
Il bambino vive oggi una condizione molto delicata e<br />
preoccupante. Sempre più raro all’interno della famiglia,<br />
il bambino viene ipervalutato, vezzeggiato, protetto e per<br />
29
questo sempre più separato, emarginato dal mondo degli<br />
adulti. Il bambino viene comunemente chiamato «minore»,<br />
così è definito nelle leggi, nei discorsi <strong>dei</strong> tecnici e <strong>dei</strong> politici,<br />
nei programmi delle formazioni politiche. Noi tutti<br />
siamo minori o maggiori di qualcuno, dipende dal punto<br />
di vista o dal parametro preso in considerazione, ma il<br />
bambino è «minore» sempre, per definizione. Questo significa<br />
che non gli viene riconosciuto un diritto fondamentale,<br />
il diritto al presente, all’oggi. Il bambino vale per<br />
quello che sarà, per quello che diventerà, non per quello<br />
che è, ha diritto solo al futuro. È il futuro cittadino, non un<br />
cittadino. <strong>La</strong> carriera scolastica è una precisa conferma di<br />
questo atteggiamento: ogni livello scolastico è preparatorio<br />
di quello successivo, ogni insegnante è preoccupato<br />
che gli allievi siano preparati per le esigenze del livello che<br />
segue, che siano apprezzati dai colleghi che verranno. <strong>La</strong><br />
scuola prepara al domani, prepara alla scuola, nonostante<br />
le leggi, nonostante le teorie. Non prepara invece all’oggi,<br />
alla vita; non fa tesoro del passato.<br />
Se il bambino è un minore allora è sempre a rischio e<br />
per questo va protetto e difeso. Si sta sviluppando una pericolosa<br />
politica del soccorso ai <strong>bambini</strong>, <strong>dei</strong> telefoni colorati<br />
di aiuto. Una politica che si fonda sull’enfasi della cronaca<br />
nera, del pericolo, della probabilità della violenza. Dati<br />
sempre più allarmanti, spesso non correttamente elaborati<br />
o utilizzati, vengono confermati ed enfatizzati dai pochi,<br />
ma clamorosi casi di cui parlano giornali e televisione.<br />
Questa probabilità giustifica la paura, la vigilanza continua,<br />
la segregazione <strong>dei</strong> figli da parte <strong>dei</strong> genitori. Diminuisce<br />
le autonomie, impedisce lo sviluppo di autodifese.<br />
I <strong>bambini</strong> non vanno protetti, ma «armati». Dotati cioè<br />
di strumenti, di abilità, di autonomia.<br />
Con questo non si vuol proporre di rinunciare agli strumenti<br />
di difesa di fronte alla macroviolenza che purtroppo<br />
esiste, ma di renderli efficaci: decentrati nei Comuni e<br />
quindi capaci di intervento immediato. Si vuol proporre di<br />
30
non sostenere questi strumenti con propagande allarmistiche,<br />
perché la sicurezza <strong>dei</strong> nostri <strong>bambini</strong> sarà funzione<br />
della fiducia che gli adulti sapranno riconoscere ai loro<br />
figli e non della paura e della difesa. <strong>La</strong> violenza verso i<br />
minori è quasi sempre frutto della stessa logica della chiusura,<br />
della segregazione, della difesa. Avviene nel privato,<br />
dentro le case, nei luoghi della sicurezza. E se avviene fuori<br />
di casa approfitta dell’abbandono, del disinteresse.<br />
Proviamo a parlare meno di violenza, a favorire di più<br />
il benessere, la partecipazione, la condivisione e la violenza<br />
diminuirà.<br />
Impegnamoci tutti a non usare più questo brutto aggettivo<br />
«minori» e a chiamare i <strong>bambini</strong> «<strong>bambini</strong>».<br />
Il bambino è più forte<br />
Vale la pena scommettere sul bambino perché il bambino<br />
è invece paradossalmente più forte.<br />
<strong>La</strong> proposta che si sta illustrando in questo libro è molto<br />
vicina alla proposta ambientalista: si vuole promuovere<br />
una inversione di tendenza nelle scelte politiche e negli atteggiamenti<br />
individuali per fare in modo che le nostre <strong>città</strong><br />
siano più vivibili; per garantire un mondo migliore a chi<br />
verrà dopo di noi, uno sviluppo sostenibile. Il problema<br />
della proposta ambientalista è la sua difficoltà ad essere<br />
compresa. Non sono molti quelli che possono capire cosa<br />
significa «ambiente» riconoscendogli tutto il suo spessore<br />
multidisciplinare, interdisciplinare e la sua complessità.<br />
Se poi si banalizza il concetto di ambiente in quello di<br />
piante e animali, o lo si associa solo all’inquinamento e ai<br />
rifiuti, allora diventa poco credibile e di scarso effetto: la<br />
gente purtroppo non rinuncia a qualche comoda abitudine<br />
e non modifica comportamenti ormai consolidati per<br />
salvare le piante o per tenere pulita la <strong>città</strong>.<br />
31
Proporre invece di modificare i nostri atteggiamenti e<br />
le nostre abitudini per qualcosa di concreto, comprensibile,<br />
vicino e importante come i nostri figli, i nostri nipoti,<br />
credo abbia una forza maggiore. Non so se sarà sufficiente,<br />
ma penso che sia la carta più alta che abbiamo da giocare.<br />
Il bambino è il nostro passato, un passato spesso troppo<br />
rapidamente dimenticato, ma che ci aiuterà a vivere<br />
meglio con i nostri figli e a commettere meno errori se riusciremo<br />
a tenerlo vivo in noi. Il bambino è il nostro presente,<br />
perché a lui è finalizzata la maggior parte <strong>dei</strong> nostri<br />
sforzi e <strong>dei</strong> nostri sacrifici. Il bambino è il nostro futuro, la<br />
società di domani, quello che potrà continuare o tradire le<br />
nostre scelte e le nostre aspettative. Per queste ragioni il<br />
bambino è forte, anche se oggi nascono meno <strong>bambini</strong>,<br />
anche se sembra che di loro gli adulti abbiano timore, o<br />
forse anche per questo.<br />
<strong>La</strong> posizione dell’anziano è diversa e se anche gli anziani<br />
sono sempre di più abbiamo più difficoltà ad identificarci<br />
con loro. Nessuno è già stato anziano e probabilmente<br />
nessuno desidera diventarlo. Per questo, forse, anche<br />
gli interventi che nascono con le intenzioni migliori, a<br />
favore degli anziani, finiscono per risultare assistenziali ed<br />
emarginanti.<br />
Il bambino è più forte per un’ultima e importante ragione:<br />
non è facilmente corruttibile. E questo non perché<br />
non si possano manipolare facilmente i <strong>bambini</strong>, lo sappiamo<br />
bene noi genitori che da tanto tempo usiamo i giocattoli,<br />
i premi e i castighi per «convincere» i <strong>bambini</strong> a fare<br />
quello che crediamo giusto; lo sa bene la pubblicità che<br />
punta sui <strong>bambini</strong> per costringere noi adulti a comprare.<br />
Il bambino non è corruttibile sulle scelte della <strong>città</strong> perché<br />
lui non ha partecipato al suo degrado, perché le soluzioni<br />
finora adottate per adattarsi al malessere descritto all’inizio<br />
non hanno mai tenuto conto delle sue esigenze, sono<br />
sempre state, come abbiamo già visto, soluzioni di compromesso<br />
fra adulti e per adulti, e quindi lui, il bambino,<br />
32
non ne ha beneficiato. Se quindi sceglieremo il bambino<br />
come nuovo parametro del cambiamento dovremo affrontare<br />
un cammino completamente nuovo, per il quale<br />
i vecchi equilibri, i vecchi compromessi non varranno più.<br />
«Se non diventerete come i <strong>bambini</strong>...»<br />
Infine non possiamo dimenticare la frase, pronunciata<br />
duemila anni fa da Gesù di Nazaret, che rimane una delle<br />
espressioni più misteriose, più sconcertanti e più affascinanti<br />
del Vangelo: «Se non diventerete come i <strong>bambini</strong><br />
non entrerete nel regno <strong>dei</strong> cieli» (Matteo 18, 3).<br />
Dice Gesù che occorre diventare, non tornare ad essere,<br />
come <strong>bambini</strong>. Anche in questo caso quindi non un<br />
invito a tornare indietro, ma un progetto rivoluzionario<br />
per andare avanti. Occorre diventare <strong>bambini</strong> per essere<br />
degni del regno <strong>dei</strong> cieli. Occorre quindi diventare piccoli<br />
per ottenere il massimo, la promessa, l’obiettivo della venuta<br />
del Cristo. Questo invito ad assumere i piccoli come<br />
parametro viene rafforzato dall’indicazione <strong>dei</strong> poveri come<br />
modello: «Beati i poveri...». Due categorie senza potere,<br />
senza valore, presso la società ebraica, diventano parametro<br />
di salvezza. Non solo in senso escatologico, e cioè<br />
riferito ad una vita futura, ma parametro di santità, e quindi<br />
della scelta giusta oggi, la via storica verso la felicità. Essere<br />
<strong>bambini</strong> ed essere poveri significa sapersi accontentare,<br />
saper desiderare, essere liberi. Condizioni necessarie<br />
per la felicità umana.<br />
Ma qualcosa sta cambiando<br />
Fino a pochi anni fa, quando era massima la fiducia nelle<br />
soluzioni economiche e consumistiche, nelle indicazioni<br />
33
specialistiche e particolarmente in quelle tecnologiche,<br />
una affermazione come questa, che si potesse, che si dovesse<br />
ripartire dai <strong>bambini</strong>, avrebbe suscitato sorrisi di<br />
commiserazione e la patente di visionario o pazzo per chi<br />
la proponeva. Oggi proposte radicali come questa suscitano<br />
l’attenzione di molti cittadini, di non pochi sindaci e<br />
di tutti i <strong>bambini</strong>. Si comincia ad essere stanchi della prepotenza<br />
della <strong>città</strong>, si comincia a non credere più alle sole<br />
soluzioni «ragionevoli». Si comincia a non poterne più.<br />
Si deve anche notare che, pur in maniera incoerente e<br />
incostante, compaiono da un lato segnali di rifiuto <strong>dei</strong><br />
principi di sviluppo della società come la separazione e la<br />
specializzazione e dall’altro segnali di riconoscimento della<br />
necessità di sfide a livelli più alti, che trovano quasi sempre<br />
i <strong>bambini</strong> come testimoni e punti di riferimento.<br />
Da anni le forze produttive denunciano una formazione<br />
scolastica troppo settoriale, specializzata e quindi rigida<br />
di fronte ai frequenti cambiamenti delle tecnologie e<br />
delle procedure produttive, e chiedono una formazione<br />
più creativa, più aperta, più duttile.<br />
Anche nelle modalità della produzione industriale, quella<br />
produzione che in qualche modo inventò la specializzazione<br />
più esasperata fino alla catena di montaggio, stanno<br />
apparendo segnali di revisione critica. Una grande fabbrica<br />
motociclistica italiana sta sperimentando l’affidamento<br />
dell’intero ciclo di montaggio di un ciclomotore ad<br />
un solo operaio. Un operaio che quindi si sentirà autore<br />
del prodotto, in qualche modo artigiano, con un grande<br />
vantaggio delle motivazioni e della soddisfazione.<br />
Passando alle cose nuove, che riguardano direttamente<br />
i <strong>bambini</strong>, occorre ricordare che è allo studio del Parlamento<br />
una legge quadro per un Piano d’azione nazionale<br />
per l’infanzia, che prevede la costituzione di una Commissione<br />
parlamentare e di un Osservatorio nazionale e<br />
che presso il Ministero dell’Ambiente esiste una delega dal<br />
34
titolo «<strong>La</strong> <strong>città</strong> sostenibile a misura <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e delle<br />
bambine».<br />
Per terminare, l’Associazione italiana <strong>dei</strong> giudici minorili<br />
ha inviato nel 1996 una lettera ai sindaci per chiedere<br />
loro «Un governo delle <strong>città</strong> che, non solo a parole, sia<br />
pensato a misura delle bambine e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />
35
Parte seconda<br />
Le proposte<br />
37
Un laboratorio<br />
«la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»<br />
Per la realizzazione di questo progetto, di questa nuova filosofia<br />
di governo della <strong>città</strong>, si possono seguire strade diverse.<br />
Può essere il sindaco che direttamente informa di<br />
questo spirito il suo programma, possono essere invece i<br />
cittadini, attraverso movimenti o associazioni che dal basso<br />
lo propongono e lo sostengono. Qui si descrive e in<br />
qualche modo si privilegia la prima via, seguita a Fano sin<br />
dal 1991 1 e che oggi si ripropone nelle varie <strong>città</strong> che<br />
stanno aderendo a questo progetto: quella che vede il sindaco<br />
come referente privilegiato e che prevede l’apertura<br />
di un <strong>La</strong>boratorio dedicato alla elaborazione e allo sviluppo<br />
del progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>». Il Comune che apre<br />
un tale servizio, che gli dedica personale e risorse, apre di<br />
fatto al suo interno una contraddizione forte, ma appassionante.<br />
Il <strong>La</strong>boratorio dovrà assumere una funzione prioritaria<br />
di «grillo parlante», di coscienza del sindaco e della Giunta,<br />
contestandoli ogni volta che la promessa data verrà tradita;<br />
e siccome questo avverrà frequentemente, la presenza<br />
del <strong>La</strong>boratorio diventerà scomoda. Aprire il <strong>La</strong>boratorio<br />
vuol dire quindi accettare un conflitto permanente<br />
perché il contrasto fra il bambino e l’adulto non terminerà<br />
mai, si sposterà sempre un po’ più avanti.<br />
1 Si veda la scheda n° 1: «Fano: ‘<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>’».<br />
39
Un conflitto però appassionante, stimolo di grande ricchezza<br />
e di un dibattito politico di alto livello, perché reale,<br />
concreto, lontano dal politichese televisivo. Vuol dire<br />
considerare la <strong>città</strong> come un laboratorio, un luogo di ricerca,<br />
dove si è disposti a modificare profondamente l’ottica,<br />
le prospettive, gli obiettivi.<br />
Il <strong>La</strong>boratorio avrà una funzione «educativa» nei confronti<br />
degli amministratori e <strong>dei</strong> cittadini: dovrà mettere, o<br />
ri-mettere, il bambino nella loro testa. Dovrà cioè aiutare<br />
gli adulti a riconoscere i <strong>bambini</strong>, i loro bisogni, i loro diritti;<br />
ad ascoltarli e a capirli. Impresa tutt’altro che semplice,<br />
che ha bisogno di preparazione e di grande libertà<br />
intellettuale.<br />
Il <strong>La</strong>boratorio rappresenterà per l’amministrazione comunale<br />
anche un costo, ma un costo relativo. Dovrà avere<br />
un bilancio leggero, che gli permetta di operare, se possibile<br />
senza ricorso alle sponsorizzazioni, con una certa autonomia<br />
e indipendenza, con personale e in locali comunali;<br />
di garantire le sue attività con i <strong>bambini</strong>, di far conoscere<br />
le varie iniziative, di poter avere qualche consulenza,<br />
se necessaria. Per il resto, per gli interventi di cambiamento<br />
della <strong>città</strong>, non dovrà avere risorse proprie, ma dovrà<br />
«contagiare» i vari assessorati perché si spendano i fondi<br />
del bilancio ordinario in un modo diverso, non per cose<br />
nuove, ma per realizzare quelle già previste, con un’ottica<br />
nuova. Quindi non spendere di più, ma spendere meglio.<br />
Compito del <strong>La</strong>boratorio non è diventare una struttura<br />
che opera in forma autonoma, ma sviluppare dentro<br />
l’amministrazione e con l’amministrazione una nuova filosofia<br />
di governo della <strong>città</strong>.<br />
Il pericolo che corre questa proposta è di essere accolta<br />
con grande entusiasmo, ma dallo stesso entusiasmo essere<br />
emarginata e vanificata. Un segnale preoccupante in<br />
questo senso è il frequente voto unanime con cui i Consigli<br />
comunali approvano delibere che riguardano queste<br />
40
iniziative legate ai <strong>bambini</strong>. Se tutti sono d’accordo si può<br />
presumere che ritengano che non sia una scelta coraggiosa,<br />
che intende produrre cambiamenti radicali; che non<br />
si rendano conto che tutto quello che dovremo restituire<br />
ai <strong>bambini</strong> (agli anziani, agli handicappati) dovremo toglierlo<br />
a chi finora l’ha avuto come privilegio. Che non<br />
pensino che votare l’adesione al progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>» voglia dire rallentare il traffico, ridare spazio ai<br />
pedoni, alle biciclette, ridare le piazze alla gente. E allora<br />
il timore forte è che di fronte ad una proposta a favore <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong> non si possa dire di no, ma poi, concessa questa<br />
soddisfazione ai piccoli, si riprenda il discorso serio, quello<br />
economico, quello del mercato, della competizione,<br />
quello <strong>dei</strong> grandi, là dove lo si era lasciato.<br />
<strong>La</strong> parola ai <strong>bambini</strong><br />
<strong>La</strong> prima e più importante scelta da farsi è quella di dare<br />
ai <strong>bambini</strong> un ruolo da protagonisti, dare loro la parola,<br />
permettere loro di esprimere pareri e metterci, noi adulti,<br />
nell’atteggiamento di ascolto, di desiderio di capire e di volontà<br />
di tener conto di quello che i <strong>bambini</strong> dicono. Naturalmente<br />
quello che si propone per i <strong>bambini</strong> vale per tutti<br />
i cittadini, per gli anziani, per gli handicappati, per gli<br />
extracomunitari. Di nuovo il bambino «apripista» e garante<br />
per tutti.<br />
Nessuno può rappresentare i <strong>bambini</strong> senza preoccuparsi<br />
di consultarli, di coinvolgerli, di ascoltarli. Far parlare<br />
i <strong>bambini</strong> non significa chiedere loro di risolvere i problemi<br />
della <strong>città</strong>, creati da noi, significa invece imparare a<br />
tener conto delle loro idee e delle loro proposte. Non è facile<br />
dare la parola ai <strong>bambini</strong>, né comprendere quello che<br />
dicono. Gianni Rodari parlava di un orecchio acerbo che<br />
41
gli adulti dovrebbero avere per saper ascoltare i <strong>bambini</strong> 2 .<br />
Occorre molta curiosità, attenzione, sensibilità, semplicità.<br />
Occorre essere convinti che i <strong>bambini</strong> abbiano qualcosa<br />
da dirci e da darci, che questo qualcosa sia diverso da<br />
quello che sappiamo e sappiamo fare noi adulti e che<br />
quindi valga la pena metterli in condizione di esprimere<br />
quello che pensano davvero. Per fare questo bisogna aiutare<br />
i <strong>bambini</strong> a liberarsi dagli stereotipi, dalle risposte ovvie<br />
e banali che la televisione e il cattivo esempio degli<br />
adulti, a casa, a scuola, nella <strong>città</strong>, hanno stampato dentro<br />
i loro occhi coprendo i loro desideri, la loro creatività.<br />
Bisogna riportare i <strong>bambini</strong> ad osare, a desiderare, ad inventare<br />
e allora salteranno fuori le idee, le proposte, i contributi.<br />
Poi bisogna saper capire i <strong>bambini</strong>, andando oltre<br />
l’apparente semplicità delle loro proposte. Allora queste<br />
idee ci permetteranno non solo di tener conto delle esigenze<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, ma di rendere migliore la <strong>città</strong> di tutti 3 .<br />
Perché questo sia possibile il <strong>La</strong>boratorio dovrà formare<br />
nuovi operatori capaci di animare gruppi di <strong>bambini</strong><br />
e di ragazzi nelle varie forme di partecipazione democratica<br />
alla vita della <strong>città</strong>. A titolo di esempio qui citiamo<br />
due esperienze che verranno poi documentate nelle schede<br />
della parte terza di questo libro.<br />
2 Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo / vidi salire un uomo con un orecchio<br />
acerbo. / Non era tanto giovane, anzi, era maturato / tutto, tranne l’orecchio,<br />
che acerbo era restato. / Cambiai subito posto per essergli vicino / e<br />
potermi studiare il fenomeno per benino. / Signore, gli dissi dunque, lei ha una<br />
certa età, / di quell’orecchio verde che cosa se ne fa? / Rispose gentilmente:<br />
– Dica pure che sono vecchio, / di giovane m’è rimasto soltanto quest’orecchio.<br />
/ È un orecchio bambino, mi serve per capire / le voci che i grandi non stanno<br />
mai a sentire: / ascolto quello che dicono gli alberi, gli uccelli, / le nuvole<br />
che passano, i sassi, i ruscelli, / capisco anche i <strong>bambini</strong> quando dicono cose /<br />
che ad un orecchio maturo sembrano misteriose.../ Così disse il signore con un<br />
orecchio acerbo / quel giorno, sul diretto Capranica-Viterbo (Rodari, 1979).<br />
3 A Ginevra, negli anni Ottanta, si è realizzato un programma di ristrutturazione<br />
di spazi gioco per i <strong>bambini</strong> cercando di evitare le soluzioni stereotipe<br />
e di rispondere alle reali esigenze ludiche infantili. Si è osservato che tali spazi<br />
rispondevano anche alle esigenze <strong>dei</strong> cittadini adulti e in particolare degli anziani,<br />
che volentieri li utilizzavano (Guichard, Ader, 1991).<br />
42
Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
Il <strong>La</strong>boratorio chiama un gruppo di <strong>bambini</strong> a collaborare<br />
per garantirsi il punto di vista infantile. Non si tratta di offrire<br />
ai <strong>bambini</strong> il gioco di imitare i comportamenti degli<br />
adulti in un Consiglio comunale in miniatura 4 , o una seria<br />
proposta di educazione civica, che pure sono nobili obiettivi,<br />
ma quello di dare alla <strong>città</strong> la scioccante opportunità di<br />
confrontarsi con un punto di vista e con un pensiero «altro»,<br />
diverso, come quello infantile. Un Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
quindi per cambiare la <strong>città</strong> e non per far contenti i <strong>bambini</strong>.<br />
Gli operatori del <strong>La</strong>boratorio dovranno, da un lato garantire<br />
che i <strong>bambini</strong> possano esprimersi in forma libera e<br />
autentica e dall’altro trovare le forme adeguate per dare forza<br />
ai pensieri <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, in modo che sindaco e assessori<br />
debbano sempre di più ascoltarli e tenerne conto 5 .<br />
I <strong>bambini</strong> progettisti<br />
Un secondo modo di partecipazione alla vita della <strong>città</strong> è il<br />
contributo progettuale che i <strong>bambini</strong> possono dare offrendo<br />
le loro idee, le loro proposte alla soluzione <strong>dei</strong> diversi<br />
problemi urbanistici che via via si presentano. Tempo fa il<br />
presidente dell’ordine degli architetti di una provincia italiana<br />
contestò il ruolo di progettisti che il <strong>La</strong>boratorio di Fano<br />
affida ai <strong>bambini</strong>, considerandolo improprio. <strong>La</strong> polemica<br />
non era banale e rozza, ma mirata ad approfondire<br />
una novità che stupisce e forse lascia perplesso il tecnico<br />
4 L’imitazione <strong>dei</strong> comportamenti degli adulti è sempre stata una delle basi<br />
fondamentali del gioco infantile (dalla guerra al dottore, da mamma e papà al<br />
negoziante) e quindi sono sicuro che quei <strong>bambini</strong> che vivono l’esperienza del<br />
Consiglio comunale infantile vivono una bella esperienza. Dubito invece che incidano<br />
in maniera diretta e forte nella vita della <strong>città</strong>, nella attività degli amministratori<br />
adulti. Questa era ed è invece l’unico obiettivo del progetto di cui stiamo<br />
parlando e per questo, finora, si è preferita questa forma di partecipazione<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> alle scelte della <strong>città</strong>.<br />
5 Si veda la scheda n° 2: «Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />
43
che istituzionalmente è titolare della progettazione. Questo<br />
confronto fu anche per noi motivo di riflessione e di<br />
chiarimento.<br />
Invitare i <strong>bambini</strong> a progettare spazi e strutture vere<br />
della <strong>città</strong>, con la collaborazione di tecnici come urbanisti,<br />
architetti, psicologi, ecc., non significa delegare ai <strong>bambini</strong><br />
il compito della progettazione, che sarà sempre e comunque<br />
legato ad un titolo abilitante, che renderà un adulto<br />
autore e responsabile del lavoro realizzato (non potremo<br />
denunciare un bambino per non aver previsto il drenaggio<br />
nella progettazione di un giardinetto). Significa invece<br />
aprire anche ai <strong>bambini</strong> la possibilità del contributo<br />
e della partecipazione.<br />
Oggi è frequente l’esperienza della «architettura partecipata»<br />
e cioè della partecipazione degli utenti alla definizione<br />
delle caratteristiche dell’opera commissionata al tecnico.<br />
L’architetto incaricato di realizzare un nuovo insediamento<br />
abitativo può ricevere dal Comune, suo committente,<br />
l’indicazione di consultare i destinatari della sua<br />
opera, il Consiglio di quartiere, le associazioni della zona,<br />
per conoscere le loro esigenze ed eventuali loro idee e<br />
proposte. Queste consultazioni avvengono con incontri,<br />
dibattiti, questionari. Ma se volessimo allargare ai <strong>bambini</strong><br />
questa forma di partecipazione, come potremmo fare?<br />
Come si fa a conoscere i bisogni e le idee <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>?<br />
Certo non con questionari e con dibattiti, ma, per esempio,<br />
attraverso il disegno e l’attività pratica. Il progettare<br />
è una buona tecnica per conoscere quello che pensano i<br />
<strong>bambini</strong>.<br />
Attraverso il progetto, liberandosi dagli stereotipi, lasciando<br />
libera la creatività, i <strong>bambini</strong> mettono a confronto<br />
la realtà, i loro bisogni, i loro desideri e le possibili soluzioni.<br />
<strong>La</strong> progettazione, fino alla realizzazione concreta<br />
di un plastico, chiede ai <strong>bambini</strong>, oltre alle importanti fasi<br />
della discussione e della progettazione grafica, anche operazioni<br />
concrete come il manipolare, colorare, incollare,<br />
44
nelle quali tutti i <strong>bambini</strong> sono competenti. Questo significa<br />
che la progettazione riesce a non selezionare i <strong>bambini</strong><br />
«bravi» nella espressione verbale, scritta e grafica, come<br />
spesso succede per le attività scolastiche, e questo deve<br />
farla considerare una proposta particolarmente significativa.<br />
Anche il progetto più fantasioso può aiutare un<br />
adulto attento e interessato a conoscere il pensiero infantile<br />
e attraverso questo a trovare soluzioni nuove, più belle<br />
e più giuste.<br />
Per far questo dobbiamo formare nuovi operatori capaci<br />
di lavorare con i <strong>bambini</strong>. Potranno essere architetti,<br />
urbanisti, psicologi, pedagogisti, naturalisti, sociologi, o<br />
altro che, rinunciando ciascuno alle proprie specifiche<br />
competenze, diventino bravi a fare cose nuove: aiutare i<br />
<strong>bambini</strong> ad osservare dentro di loro le insoddisfazioni e i<br />
desideri, permettere loro di liberarsi dagli stereotipi, sollecitare<br />
una voglia nuova di osare di più, di chiedere di più,<br />
liberare la creatività, la fantasia in un dialogo sempre possibile,<br />
ma mai avvilente, con la realtà, con i costi, con le<br />
leggi.<br />
Alla fine conosceremo i bisogni e i desideri <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>,<br />
che probabilmente non potranno tradursi in pratica così<br />
come loro li hanno espressi, ma potranno essere delle<br />
preziose indicazioni da dare al progettista che sarà incaricato<br />
di realizzare il progetto. Possiamo star certi che se i<br />
<strong>bambini</strong> potranno partecipare alla progettazione della<br />
<strong>città</strong>, essi la sentiranno, sia oggi, da <strong>bambini</strong>, sia domani<br />
da adulti, come «loro», la <strong>città</strong> da curare e da difendere, come<br />
facciamo tutti con la nostra casa 6 .<br />
Aprire ai <strong>bambini</strong> l’esperienza della progettazione non<br />
significa solo garantirsi le loro idee e il loro contributo, significa<br />
anche compromettersi con scelte nuove, con modifiche<br />
anche profonde nelle abitudini di una amministrazione.<br />
Mi riferisco per esempio ai tempi della burocrazia,<br />
6 Si veda la scheda n° 4: «I <strong>bambini</strong> progettisti».<br />
45
che la consuetudine fa spesso considerare necessari ed<br />
oggettivi, ma che sono in genere frutto di inerzia e di cattiva<br />
organizzazione <strong>dei</strong> servizi. Se il progetto <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
viene approvato dovrebbe voler dire che questi possono<br />
vederlo realizzato mentre sono ancora <strong>bambini</strong>, non quindi<br />
dopo tre, quattro anni, ma dopo alcuni mesi. Se ci sono<br />
delle difficoltà occorre informare i <strong>bambini</strong>, aiutarli a<br />
capire e a seguire l’iter. Negli anni dell’infanzia il tempo<br />
conta molto, si cambia rapidamente, si modificano le aspettative,<br />
i bisogni, i gusti. Se passa troppo tempo i <strong>bambini</strong><br />
perdono interesse e si formano la convinzione che i<br />
grandi sono sempre gli stessi, disponibili e rapidi a promettere<br />
e lenti a mantenere.<br />
Questo si deve evitare perché altrimenti otteniamo il risultato<br />
opposto. Meglio allora non prendere impegni: se<br />
si pensa che non potrà cambiare nulla, nelle pratiche, nelle<br />
abitudini, nei tempi, allora si riconosca con onestà che<br />
la <strong>città</strong> non può diventare <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
Credo che sia chiaro che quanto qui si è detto per i<br />
<strong>bambini</strong>, vale né più né meno per tutti i cittadini. I cittadini<br />
perdono il senso della <strong>città</strong>, <strong>dei</strong> progetti, delle promesse<br />
nel complicato itinerario burocratico, nel continuo rinvio<br />
delle responsabilità, nel prolungarsi incomprensibile<br />
<strong>dei</strong> tempi.<br />
Il bambino nella testa degli adulti<br />
Perché il bambino possa essere veramente protagonista è<br />
importante aiutare gli adulti a sviluppare una nuova sensibilità:<br />
il sindaco, la Giunta, il Consiglio comunale, i dirigenti<br />
e i tecnici del Comune debbono essere aiutati a considerare<br />
la realtà <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, le loro richieste e le lacune<br />
della <strong>città</strong> rispetto alle loro esigenze. Vale la pena lavora-<br />
46
e con i vigili urbani, con gli anziani, con i medici dell’ospedale<br />
pediatrico, con i commercianti, con tutti quegli operatori,<br />
quelle categorie sociali che possono avere un<br />
ruolo importante per aiutare i <strong>bambini</strong> a ritrovare una loro<br />
autonomia. È importante lavorare con gli insegnanti<br />
perché la scuola diventi sempre più una scuola adatta ai<br />
<strong>bambini</strong>, che i <strong>bambini</strong> possano riconoscere e amare, di<br />
cui possano essere fieri. Tutti gli sforzi dovranno naturalmente<br />
mirare a fare in modo che si modifichi l’atteggiamento<br />
di tutti gli adulti e specialmente <strong>dei</strong> genitori, per rispettare<br />
le esigenze <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Questo sarà un compito<br />
importante del <strong>La</strong>boratorio, da realizzarsi non tanto attraverso<br />
conferenze, pubblicazioni, ma attraverso iniziative<br />
concrete, proposte, attività 7 .<br />
7 Si vedano le schede n° 6: «I seminari di Giunta» e n° 7: «Il vigile ‘amico <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>’».<br />
47
Che i <strong>bambini</strong><br />
possano uscire da soli di casa<br />
Torniamo alla proposta: assumere il bambino come parametro<br />
per la trasformazione delle nostre <strong>città</strong>. Volendo<br />
procedere da questa affermazione generale in senso operativo<br />
occorre fare una importante precisazione. <strong>La</strong> condizione<br />
dell’infanzia nel mondo è fortemente differenziata<br />
e oscilla fra due estremi. Da un lato la condizione <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
occidentali, ricchi, metropolitani o comunque cittadini,<br />
che è quella descritta sopra e che arriva alla situazione<br />
patologica della solitudine. Dall’altro la condizione di abbandono<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> delle società povere, del sud del<br />
mondo, delle grandi metropoli del Sudamerica. Una condizione<br />
che porta i <strong>bambini</strong> a vivere da soli, subendo violenze<br />
da parte degli adulti che vedono in loro un pericolo<br />
o anche solo un disturbo. Una situazione di debolezza e di<br />
impotenza che porta i <strong>bambini</strong> ad essere sfruttati per lavori<br />
inadatti, per manovalanza non punibile dalla delinquenza<br />
organizzata, per traffici sessuali e perfino per l’espianto<br />
di organi. Le due condizioni hanno in comune lo<br />
svantaggio del bambino nelle rispettive società e confermano<br />
la correttezza della proposta di ripartire proprio dal<br />
bambino per ricostruire società più giuste, più umane, più<br />
adatte per tutti. Ma certamente le due situazioni richiedono<br />
valutazioni e soluzioni radicalmente diverse.<br />
Non si azzardano in queste pagine possibili soluzioni<br />
applicabili nei paesi del sud del mondo, che richiedono co-<br />
49
noscenze e competenze sconosciute a chi scrive. Si spera<br />
che altri riprendano questo stimolo studiandone adeguate<br />
applicazioni a quelle condizioni 1 . Si prosegue invece descrivendo<br />
le concrete possibili applicazioni della proposta<br />
nelle nostre <strong>città</strong> del mondo occidentale, ricche e consumistiche.<br />
Va però detto che anche questa condizione privilegiata<br />
contiene una grande variabilità di condizioni che<br />
va dal paese e dalla piccola <strong>città</strong> dove gli effetti della paura<br />
sono ancora poco presenti, alla grande <strong>città</strong> dove la solitudine<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> è quasi totale, alle grandi periferie più<br />
degradate dove anche nel nostro occidente si trovano situazioni<br />
simili a quelle del terzo mondo, con <strong>bambini</strong> che<br />
vivono in strada in situazione di abbandono 2 .<br />
Quale verifica di una corretta applicazione di questa<br />
nuova filosofia del governo della <strong>città</strong> si indica un obiettivo<br />
concreto, apparentemente piccolo e semplice: che i<br />
<strong>bambini</strong> possano uscire da soli di casa.<br />
Perché è così importante uscire di casa?<br />
Per persone come chi scrive, che hanno avuto la possibilità,<br />
probabilmente la fortuna, di vivere la propria infanzia<br />
prevalentemente fuori casa, fra le macerie delle case bombardate<br />
dalla guerra, nei vicoli della <strong>città</strong>, nelle capanne<br />
1 In più occasioni, e in particolare durante la sessione del Tribunale internazionale<br />
<strong>dei</strong> popoli, tenuta a Napoli nel 1995, e in conferenze tenute negli ultimi<br />
anni in Sudamerica, ho avuto l’opportunità di verificare l’attenta accoglienza<br />
del progetto generale che qui si propone, e cioè di assumere il bambino<br />
come parametro di cambiamento, da parte di rappresentanti di paesi del sud<br />
del mondo, anche se occorre lavorare per trarre da quello applicazioni volta per<br />
volta adeguate alle specifiche necessità di ogni realtà sociale.<br />
2 In questo libro si è affrontato il tema, limitatamente alla realtà italiana e in<br />
particolare a quella <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> di strada del centro storico di Palermo. Si veda<br />
il paragrafo della parte seconda: «<strong>La</strong> strada, un luogo di tutti» e la scheda n° 19:<br />
«Un giardino di pietra».<br />
50
degli attrezzi agricoli <strong>dei</strong> nonni, è forte la tentazione di dire:<br />
«che i <strong>bambini</strong> possano di nuovo uscire da soli di casa».<br />
Siamo invece consapevoli di quanto questo atteggiamento<br />
nostalgico sia scorretto. Le condizioni in cui crescono<br />
oggi i nostri <strong>bambini</strong> sono assolutamente inedite,<br />
senza possibili confronti con quelle della nostra infanzia.<br />
E non sono nuove solo perché si è perso il senso di vicinato,<br />
la solidarietà, la sicurezza, ma principalmente perché<br />
le relazioni sociali sono diventate enormemente più<br />
complesse, le distanze più ampie. È difficile conoscersi, è<br />
difficile scendere dagli appartamenti <strong>dei</strong> piani più alti, è<br />
pericoloso attraversare le strade, ecc. <strong>La</strong> <strong>città</strong>, tuttavia, è<br />
diventata anche più ricca, più articolata e, se vogliamo,<br />
più affascinante.<br />
D’altra parte uscire di casa, percorrere le strade da solo,<br />
conoscere il suo ambiente è una esigenza importante<br />
nella crescita non solo sociale, ma anche cognitiva, del<br />
bambino. Andare a piedi, passeggiare è per noi adulti un<br />
piacere, un regalo che ogni tanto ci facciamo, ma per i<br />
<strong>bambini</strong> è una necessità. I nostri spostamenti sono sempre<br />
più spesso <strong>dei</strong> trasferimenti, passaggi da punto a punto,<br />
finalizzati ad un obiettivo, quindi proiettati al futuro, legati<br />
ad una funzione. Distratti da queste preoccupazioni<br />
cerchiamo di raggiungere nel tempo più breve possibile il<br />
luogo di destinazione 3 . I <strong>bambini</strong> si comportano in maniera<br />
completamente diversa. Essi vivono i loro spostamenti<br />
come una successione di momenti presenti, ciascuno<br />
importante di per sé, ciascuno degno di una sosta, di<br />
una meraviglia, di un contatto. E allora i tempi si allungano,<br />
le tasche <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> si riempiono di sassi, di foglie,<br />
di carte e la mente si riempie di immagini, di domande, di<br />
nuove scoperte. E tutto sta insieme, il bello, il nuovo, il ge-<br />
3 Un esempio efficace di questi spostamenti adulti è la metropolitana: un<br />
tubo nero fra due stazioni. Il tragitto, il percorso, è scomparso, rimangono solo<br />
un punto di partenza e un punto di arrivo. Il tempo di trasferimento è tempo<br />
perso e quindi deve essere il più breve possibile.<br />
51
nerale e il particolare. E questo è spesso causa di incomprensione<br />
con i grandi che raccomandano stupidamente:<br />
«Non ti fermare ogni momento!», «Non perdere tempo!»<br />
senza rendersi conto che è proprio nel tempo perso che<br />
si diventa grandi 4 .<br />
Il guaio è che la possibilità di uscire <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, la loro<br />
autonomia è inversamente proporzionale alla nostra: più<br />
noi adulti ci muoviamo in macchina, più allarghiamo il<br />
nostro raggio di movimento e più creiamo pericolo, intasiamo<br />
spazi, inquiniamo l’aria, aumentando le difficoltà di<br />
autonomia <strong>dei</strong> nostri figli. E quando i <strong>bambini</strong> si muovono,<br />
sempre più frequentemente si muovono con noi, dentro la<br />
nostra macchina, nel sedile posteriore. Questo significa che<br />
il bambino non riesce a vedere la <strong>città</strong>, non riesce a notare<br />
le sue caratteristiche, passa velocemente, non può rispondere<br />
ai continui bisogni di presente, di curiosità, di sosta. È<br />
trascinato da noi in un innaturale spostamento finalizzato<br />
ad una meta. In questo strano modo di muoversi non riesce<br />
a fissare niente, a organizzare il suo spazio, a costruirsi<br />
la sua <strong>città</strong>. Spesso i <strong>bambini</strong> di oggi crescono con problemi<br />
di organizzazione spaziale e con una bassissima conoscenza<br />
della loro <strong>città</strong>, del loro quartiere, della loro zona.<br />
Vivere esperienze proprie<br />
Già si è detto della importanza del gioco libero nello sviluppo<br />
dell’uomo. E gioco libero implica autonomia, ritro-<br />
4 In una bella esperienza sulla organizzazione spaziale <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> più piccoli,<br />
gli educatori di un nido di Reggio Emilia uscivano uno per volta, con un bambino<br />
per mano, e si facevano guidare a casa. Una educatrice mi raccontava che<br />
un bambino, arrivato ad un incrocio, aveva girato a sinistra e lei gli aveva chiesto<br />
di spiegarle come faceva a sapere che era ora di girare. Il bambino con un<br />
certo stupore e dopo averci pensato un po’ rispose indicando la strada: «Non vedi<br />
che c’è quel pezzo di carta?». Questo significa che il bambino sapeva dove girare,<br />
ma non aveva <strong>dei</strong> punti di riferimento, probabilmente utilizzava un insieme<br />
di informazioni che sommate dicevano: «È ora di girare». Di fronte alla domanda<br />
dell’adulto, non potendo spiegare tutto questo, ha preferito dare una risposta corrispondente<br />
all’attesa, utilizzando il primo indizio che gli capitava davanti.<br />
52
varsi da soli, liberi da controlli, con la possibilità di rischiare<br />
in proprio, per provare la soddisfazione <strong>dei</strong> problemi<br />
risolti, delle difficoltà superate.<br />
Una volta il tempo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> era diviso chiaramente<br />
fra quello formale, del dovere, che era quello della scuola,<br />
<strong>dei</strong> compiti, del catechismo; e quello informale, del piacere,<br />
che era quello del gioco: il «tempo libero». Questo tempo<br />
era amministrato in modo autonomo dal bambino e, se<br />
non violava alcune regole sociali, poteva allontanarsi da<br />
casa, incontrarsi con chi voleva, per fare i giochi che preferiva.<br />
Era il tempo delle esperienze personali, quelle che<br />
portavano le bambine e soprattutto i <strong>bambini</strong> ad esplorare<br />
l’ambiente circostante, a conoscerne i segreti, spiando<br />
la vita degli animali e delle piante, sperimentando i diversi<br />
climi, le caratteristiche <strong>dei</strong> diversi materiali naturali.<br />
Oggi il tempo libero <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> è scomparso. I pericoli<br />
in agguato fuori della porta di casa sconsigliano di lasciare<br />
che i <strong>bambini</strong> escano da soli e le migliori condizioni economiche<br />
permettono di regalare ai figli l’iscrizione alle tante<br />
scuole pomeridiane: la piscina, la chitarra, l’inglese, la<br />
danza, la palestra... «Dovresti essere riconoscente, oggi tu<br />
puoi conoscere tante cose che noi da piccoli non sognavamo<br />
nemmeno!» diciamo ai nostri figli. Naturalmente i<br />
genitori più aperti fanno scegliere ai figli quali scuole pomeridiane<br />
frequentare, così l’eventuale successiva stanchezza<br />
o volontà di smettere, possono essere contestate,<br />
oltre che dai motivi economici, anche dai nobili motivi dell’impegno<br />
e della coerenza: «L’hai scelto tu». Praticamente<br />
un ricatto. Se sommiamo i due rientri pomeridiani a<br />
scuola previsti dai moduli, la probabile lezione di catechismo,<br />
due o tre attività «volontarie» e i compiti, i pomeriggi<br />
del bambino sono tutti compromessi. Rimane una fascia di<br />
un’oretta prima di cena e questa di solito se la prende la televisione.<br />
Contemporaneamente le madri si sono trasformate in<br />
taxiste e passano il loro pomeriggio accompagnando i fi-<br />
53
gli e aspettandoli fuori della palestra, della piscina, della<br />
parrocchia. E nella <strong>città</strong> della incomunicabilità si formano<br />
i nuovi microgruppi sociali delle madri che aspettano; così<br />
come per i mariti si forma il gruppo di quelli che portano<br />
fuori il cane la mattina presto o la sera tardi.<br />
Una riflessione curiosa e preoccupante: se l’organizzazione<br />
del lavoro proseguirà con le tendenze attuali, gli orari<br />
di lavoro tenderanno a diminuire sempre di più. I nostri<br />
<strong>bambini</strong> di oggi saranno domani lavoratori con molto più<br />
tempo libero rispetto a quanto ne abbiamo noi oggi, ma<br />
saranno stati <strong>bambini</strong> senza tempo libero e quindi probabilmente<br />
incapaci di utilizzarlo, di approfittarne. Temo che<br />
questa potrà diventare una ennesima chance in mano alla<br />
produzione commerciale che offrirà idee, strumenti,<br />
manuali, animatori per il tempo libero, così come oggi ne<br />
offre per il gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> per i loro compleanni, per<br />
le vacanze della famiglia...<br />
<strong>La</strong> scuola, almeno così indicavano i buoni pedagogisti<br />
e i buoni maestri, doveva essere il luogo dove le esperienze<br />
personali degli allievi si confrontavano, si elaboravano<br />
fino a giungere insieme, allievi e insegnanti, a nuove conoscenze.<br />
Questo è il significato di esperienze didattiche<br />
importanti come il «testo libero» e il «testo collettivo» 5 .<br />
5 Ci si riferisce alla proposta del «testo libero» di Celestin Freinet portata in<br />
Italia dal Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) e del «testo collettivo».<br />
Per testo libero si intende la redazione assolutamente volontaria di un breve testo<br />
che documenti un evento, una esperienza che l’allievo ha vissuto fuori della<br />
scuola e che ritiene possa interessare i suoi compagni. Ogni giorno, in classe,<br />
si riserva un tempo per la lettura, la discussione e la elaborazione collettiva <strong>dei</strong><br />
testi liberi, i migliori <strong>dei</strong> quali entrano poi nel giornalino scolastico. Vale la pena<br />
notare la profonda differenza di questa proposta rispetto a quella, purtroppo<br />
non ancora scomparsa, <strong>dei</strong> «pensierini». In questo caso si chiede agli allievi<br />
di scrivere non importa cosa (per esempio dieci pensierini sulla primavera, sulla<br />
mamma o addirittura a piacere), per nessuno (sarebbe assurdo leggere in classe<br />
200-250 frasi banali), purché corretto; esattamente contro ogni principio<br />
della comunicazione. Per testo collettivo si intende la somma <strong>dei</strong> contributi personali<br />
per raggiungere collettivamente un risultato più alto e più complesso che<br />
non è più di qualcuno, ma di tutti. Così nasce Lettera a una professoressa<br />
54
Queste opinioni, assolutamente minoritarie ai tempi<br />
degli autori di queste proposte, sono state oggi quasi completamente<br />
assorbite dalla nostra scuola, almeno a livello<br />
ufficiale, essendo state inserite nei nuovi programmi. Ma<br />
se i <strong>bambini</strong> vivono solo esperienze collettive, organizzate<br />
e controllate da adulti, nelle tante scuole che frequentano<br />
e se il restante tempo viene assorbito dalla televisione,<br />
su quali esperienze può lavorare la scuola? A partire<br />
da quali conoscenze personali potrà muovere l’attività<br />
scolastica? Spesso la scuola, consapevole di questa deficienza,<br />
propone essa stessa delle esperienze, come visite<br />
esterne, attività pratiche, per poterci poi lavorare. Ma è<br />
forte il sospetto che si crei solo un circolo vizioso.<br />
Si sente dire spesso che i <strong>bambini</strong> di oggi non raccontano<br />
niente. Forse perché non hanno niente da raccontare,<br />
perché gli adulti che li accompagnano e li vigilano perennemente<br />
sanno già tutto! È importante allora che il<br />
bambino, fin dai primi anni, possa uscire da solo, assumendosi<br />
il rischio e il piacere di abbandonare le sicurezze<br />
domestiche; scendere in strada, cercare un compagno,<br />
giocare con lui accordandosi sul gioco e sulle regole, o<br />
sperimentando con lui la natura, gli oggetti, facendo i conti<br />
con i comportamenti <strong>dei</strong> grandi; correre insieme rischi<br />
proporzionati alle proprie forze, superando ostacoli, affrontando<br />
e risolvendo conflitti; tornare a casa stanchi,<br />
forse sporchi, eccitati, con una gran voglia di raccontare<br />
quello che i genitori non possono sapere. Questa esperienza,<br />
di cui non sfuggirà la complessità da tutti i punti di<br />
vista, che dovrebbe essere vissuta da tutti i nostri <strong>bambini</strong><br />
a partire dai tre, quattro anni, è oggi possibile, forse per<br />
un bambino dopo i dieci anni e per una bambina ancora<br />
più tardi, quando il periodo della grande crescita cogniti-<br />
(Scuola di Barbiana, 1967) e vari lavori all’interno del MCE, per esempio <strong>La</strong><br />
mongolfiera, romanzo scritto in due anni dalla classe di scuola elementare di<br />
Mario Lodi (1972).<br />
55
va e sociale è abbondantemente concluso. Che conseguenze<br />
porterà questo ritardo nel bambino?<br />
Gli incidenti domestici<br />
Un’altra drammatica contraddizione è quella degli incidenti.<br />
Noi chiudiamo i nostri figli in casa per difenderli, eppure<br />
la casa è il luogo di gran lunga più pericoloso per loro.<br />
Per incidenti domestici muoiono più persone che per<br />
incidenti stradali. E chi ne soffre di più sono gli anziani e<br />
i <strong>bambini</strong>. Eppure le case di oggi sono più sicure di quelle<br />
di ieri e ogni anno aumentano le garanzie, le norme di<br />
sicurezza, gli obblighi per i costruttori.<br />
Una volta i fili elettrici erano esterni, si bolliva l’acqua<br />
spesso e in grandi quantità, anche per lavare e lavarsi, i<br />
pavimenti erano spesso sconnessi, le scale ripide, ecc.<br />
Oggi questi pericoli non ci sono più, ma gli incidenti aumentano.<br />
Il fatto è che una volta si stava in casa lo stretto indispensabile,<br />
per mangiare, dormire, fare i compiti, a volte<br />
per dare una mano alla mamma e i rischi, semmai, li si andava<br />
a cercare fuori. Oggi si rimane troppo tempo a casa.<br />
Il bambino deve restarci anche quando non ha più nulla<br />
da fare, allora si annoia e un bambino annoiato è un<br />
bambino a rischio! Non c’è sicurezza che tenga di fronte<br />
al bisogno di scoprire, di fare, di giocare. Per ridare un po’<br />
di interesse alle solite stanze dove passa troppo tempo<br />
non potrà resistere alla tentazione di infilare due pezzetti<br />
di fil di ferro dentro i due affascinanti buchini della presa<br />
della corrente o di smontare la presa, o di mettere in moto<br />
il tritatutto o di aprire il rubinetto del gas. Se metteremo<br />
alcolici, detersivi e medicine fuori dalla portata <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>, come sempre ci raccomandano, e li metteremo<br />
ad esempio più in alto, otterremo due risultati negativi:<br />
56
primo che noi vivremo più scomodamente e secondo che<br />
il bambino dovrà sommare al pericolo <strong>dei</strong> prodotti quello<br />
dell’arrampicarsi su una seggiola messa sopra il tavolino;<br />
perché alle bottiglie ci arriverà comunque. E sono sempre<br />
pericoli subdoli, incontrollabili. D’altra parte il giorno che<br />
un bambino smetterà di cercare e di rischiare sarà per lui<br />
un gran brutto giorno!<br />
Oggi si stanno promuovendo, anche a livello internazionale,<br />
programmi di studio sulla sicurezza domestica. Mi<br />
dichiaro in assoluto contrasto con tali progetti, se servono<br />
a dare a noi adulti la tranquillità di poter lasciare i nostri<br />
<strong>bambini</strong> da soli in casa anche per tempi maggiori. E d’altra<br />
parte più la casa sarà sicura e più sarà pericolosa, perché<br />
il pericolo non sarà né previsto, né prevedibile e quindi<br />
non sarà controllabile. Se vogliamo veramente bene ai<br />
nostri figli dovremo cominciare a difenderli dalle case! Bisogna<br />
far in modo che i <strong>bambini</strong> non siano costretti a stare<br />
in casa più del necessario, che possano uscire, che possano<br />
rischiare per imparare a difendersi dai pericoli. Il rischio<br />
è una componente necessaria dello sviluppo: sbucciarsi<br />
un ginocchio, sfuggire ad un agguato degli amici,<br />
correre, saltare, arrampicarsi, ma anche fare attenzione<br />
ad un’auto che arriva imparando a valutare il rapporto fra<br />
velocità e distanza, sono rischi sani, che un bambino può<br />
controllare, che lo aiutano a crescere.<br />
Di fronte all’ossessiva protezione nei confronti del<br />
bambino, sorge un dubbio drammatico: che tutti i rischi di<br />
cui il bambino aveva via via bisogno e che non ha potuto<br />
correre, in qualche modo si sommino, fino a diventare una<br />
urgenza insopportabile, che esplode nell’adolescenza,<br />
quando il ragazzo può decidere da solo, e allora gioca con<br />
la morte. Potrebbe essere questa una interpretazione <strong>dei</strong><br />
giochi suicidi <strong>dei</strong> giovani, come la roulette russa, l’attraversamento<br />
degli incroci in velocità, lo stendersi di notte<br />
sulla linea di mezzeria delle strade...<br />
57
L’insolubile conflitto con la televisione<br />
Tutti sono convinti che troppa televisione faccia male e<br />
nessuno sa come fare in modo che i <strong>bambini</strong> non ne abusino.<br />
<strong>La</strong> strada più battuta è quella della regolamentazione<br />
rigida tipo: «Solo un’ora al giorno», «Solo un cartone e<br />
una trasmissione», «Se la vedi adesso dopo non puoi vedere<br />
la tua trasmissione preferita» e così via. Sono regole<br />
sagge, ma che i <strong>bambini</strong> non possono capire, perché<br />
spesso debbono spegnere la televisione per non fare nulla.<br />
Significa vivere un continuo conflitto con i propri figli<br />
e questo i genitori preferiscono evitarlo per non compromettere<br />
il poco tempo che passano con loro. Abbiamo<br />
un’altra soluzione, molto più semplice, molto meno conflittuale,<br />
che ci suggeriscono gli stessi <strong>bambini</strong>. Da tutte le<br />
ricerche anche recentissime sia straniere che italiane risulta<br />
che la stragrande maggioranza <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> pone al<br />
primo posto <strong>dei</strong> propri desideri il giocare con gli amici. <strong>La</strong><br />
televisione viene in genere al secondo posto, con grandissimo<br />
distacco 6 . Basta quindi accontentarli anche in<br />
questo caso, come facciamo tanto spesso per i loro capricci<br />
più sciocchi e diseducativi. È sufficiente fare in modo<br />
che i <strong>bambini</strong> possano uscire, incontrarsi e giocare insieme<br />
e avremmo risolto anche questo grave problema<br />
educativo.<br />
Anche per la televisione, come per la casa, si fa un gran<br />
parlare di nuove soluzioni per una migliore programmazione<br />
per i <strong>bambini</strong>. Di nuovo e con forza confermo il mio<br />
dissenso. Non voglio una televisione migliore se questo<br />
potrà autorizzare i genitori a lasciare ancora più tempo i<br />
propri figli in braccio a questa comoda baby sitter, essendo<br />
sicuri che vedranno solo buoni programmi. Facciamo<br />
in modo invece che i <strong>bambini</strong> possano trascorrere il loro<br />
58<br />
6 Oliverio Ferraris (1995).
tempo libero giocando con i loro amici fuori di casa e allora<br />
sì che ci sarà concorrenza e varrà la pena lavorare per<br />
una buona televisione per ragazzi. Che possa succedere<br />
che fra amici che stanno giocando liberamente si dica:<br />
«Oggi è giovedì, sono le cinque, torniamo a casa a vedere<br />
quella trasmissione, perché ne vale la pena!».<br />
Bambine e <strong>bambini</strong><br />
Per ragioni assolutamente non di principio, ma semplicemente<br />
pratiche e di consolidata abitudine, quando scrivo<br />
non riesco ad utilizzare le due forme maschile e femminile,<br />
quindi bambina e bambino, oppure il terribile bambina/o.<br />
Ho sempre avuto la sensazione che sia estremamente<br />
scomodo leggere un testo così scritto, mentre lo<br />
trovo accettabile in documenti, manifesti, testi di legge.<br />
Spero non sia un’ultima resistenza maschilista. Ho anche<br />
pensato di ricorrere a forme neutre come infanzia o creatura,<br />
ma sono sempre tornato, senza grandi sensi di colpa,<br />
al termine «bambino» così concreto e familiare, rifiutando<br />
invece sempre il termine «fanciullo» che tanto piace,<br />
o per lo meno piaceva, al nostro Ministero della Pubblica<br />
Istruzione 7 .<br />
Detto questo non per scusarmi, ma almeno a titolo di<br />
chiarimento, debbo però riconoscere e mettere in eviden-<br />
7 Quando disegno (firmandomi come FRATO), se debbo inventare un marchio<br />
nel quale compaiano i miei personaggi e per ragioni di sintesi, di rappresentazione<br />
emblematica, non posso rappresentare un bambino e una bambina,<br />
spesso ho optato per una bambina. Una bambina figura per esempio nel marchio<br />
del Reparto di Psicopedagogia del CNR, una bambina nel marchio del <strong>La</strong>boratorio<br />
«Fano la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>», in quello di Palermo e in altri ancora. Questa<br />
libertà è consentita dal linguaggio grafico (mai nessuno mi ha chiesto «Come<br />
mai c’è solo una bambina e non un bambino?»), ma non dal linguaggio verbale<br />
e ancora meno da quello scritto. Se avessi intitolato il libro «<strong>La</strong> <strong>città</strong> delle<br />
bambine» tutti avrebbero pensato ad una proposta specifica per i <strong>bambini</strong> di sesso<br />
femminile e non per tutti.<br />
59
za che il problema esiste e non è di facile soluzione. Quando<br />
diciamo che i <strong>bambini</strong> debbono poter uscire da soli di<br />
casa dobbiamo essere ben consapevoli che intendiamo le<br />
bambine e i <strong>bambini</strong>, e che quando saremo riusciti a far<br />
passare il principio che è importante e giusto che i <strong>bambini</strong><br />
escano, non è ancora certo che questo sia accettato<br />
anche per le bambine. Occorre molta vigilanza, proposte<br />
adeguate e spesso creative. Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> del <strong>La</strong>boratorio<br />
di Fano, per esempio, è formato in maniera rigorosamente<br />
paritetica dovendo ogni scuola esprimere<br />
due rappresentanti, una bambina e un bambino.<br />
Ma evidentemente queste sono le cose più facili da ottenere,<br />
più difficile è garantire una effettiva uguale autonomia<br />
ai <strong>bambini</strong> <strong>dei</strong> due sessi. Fare in modo che un genitore<br />
possa nello stesso modo, e con la stessa fiducia,<br />
permettere alla figlia o al figlio di uscire di casa per incontrarsi<br />
con gli amici.<br />
Il bambino come indicatore ambientale<br />
Gli ambientalisti utilizzano gli indicatori ambientali, cioè<br />
quei fenomeni, quegli organismi, che ci aiutano a verificare<br />
la salute o il degrado del nostro ambiente. I licheni<br />
per esempio modificano le loro caratteristiche se l’ambiente<br />
si inquina, le lucciole non tornano, così pure le rondini,<br />
e così via. Per la <strong>città</strong> il bambino può essere considerato<br />
come un sensibile indicatore ambientale: se nella<br />
<strong>città</strong> si incontrano <strong>bambini</strong>, che giocano, che passeggiano,<br />
da soli, significa che la <strong>città</strong> è sana; se nella <strong>città</strong> non<br />
si incontrano <strong>bambini</strong> significa che la <strong>città</strong> è malata.<br />
Una <strong>città</strong> dove i <strong>bambini</strong> stanno per strada è una <strong>città</strong><br />
sicura, non solo per loro, ma anche per gli anziani, per gli<br />
handicappati e per tutti i cittadini. <strong>La</strong> loro presenza rap-<br />
60
presenta un incoraggiamento agli altri <strong>bambini</strong> a scendere<br />
e un deterrente per le macchine e per gli altri pericoli<br />
esterni. <strong>La</strong> strada deserta è invece pericolosa per il bambino<br />
che la attraversa, perché l’automobilista non se lo<br />
aspetta, non lo prevede; è pericolosa per tutti perché invita<br />
al crimine e lo rende sicuro.<br />
Ma perché sia possibile ai <strong>bambini</strong> uscire da soli di casa<br />
occorre cambiare la <strong>città</strong>, completamente, anche se<br />
gradualmente. <strong>La</strong> <strong>città</strong>, cresciuta adottando selvaggiamente<br />
la scelta della difesa, deve essere capace di fare<br />
scelte alternative, di apertura alla vita, di apertura al futuro.<br />
Occorre quindi operare su vari livelli e in varie direzioni.<br />
Rinegoziare<br />
il rapporto di potere fra l’auto e il cittadino<br />
In molti paesi del nord Europa e del nord America si stanno<br />
spendendo notevoli quantità di denaro in favore <strong>dei</strong> rospi.<br />
Sì, proprio <strong>dei</strong> rospi. Le autostrade sono delle barriere<br />
insormontabili che dividono fatalmente i loro territori.<br />
Così i poveri rospi non possono più passare dagli ambienti<br />
acquatici della riproduzione a quelli umidi della loro vita<br />
abituale, oppure, se le maglie delle reti di recinzione permettono<br />
di passare, sono costretti ad attraversare le autostrade<br />
con una percentuale bassissima di successo. Allora<br />
si è levato un grido di protesta e le società che costruivano<br />
o gestivano le autostrade sono state costrette ad aprire<br />
<strong>dei</strong> tunnel di collegamento fra i due lati dell’autostrada<br />
ogni tanti metri. Naturalmente questo ha un costo molto<br />
elevato, ma salva la vita a tanti rospi e permette loro di<br />
percorrere il territorio. Sono solidale con i rospi e sono totalmente<br />
d’accordo con questi interventi a loro tutela. Vor-<br />
61
ei solo che la stessa attenzione e la stessa sensibilità venissero<br />
dedicate anche ai <strong>bambini</strong>. Anche il loro territorio<br />
è tagliato da strade sulle quali i diritti delle automobili sono<br />
dominanti. Attraversarle è pericoloso, i genitori sono<br />
preoccupati e impediscono ai loro <strong>bambini</strong> di percorrerle<br />
da soli. Così i <strong>bambini</strong> non possono raggiungere i loro<br />
amici e insieme con loro i posti dove giocare: il cortile, il<br />
campetto, lo stradone.<br />
<strong>La</strong> barriera fisica diventa una barriera psicologica e cognitiva,<br />
limita il campo del bambino, ne limita lo sviluppo<br />
spaziale ed affettivo. È un po’ come se al bambino venisse<br />
tolta una metà <strong>dei</strong> suoi giocattoli, oscurata una metà del<br />
televisore, strappata una metà del libro di testo 8 .<br />
Nella <strong>città</strong> di oggi un percorso a piedi è una avventura:<br />
marciapiedi occupati da auto in sosta o da esercizi<br />
commerciali, traffico caotico, non rispetto della precedenza<br />
<strong>dei</strong> pedoni sulle strisce pedonali. Se per tutti è difficile<br />
lo è ancora di più per i cittadini più deboli come gli<br />
anziani, gli handicappati, i <strong>bambini</strong>. In queste condizioni<br />
l’uso della macchina, considerata un guscio di protezione,<br />
è quasi un atto di autodifesa, con le conseguenze note:<br />
congestione del traffico, trasformazione del suolo pubblico<br />
in spazio privato, inquinamento dell’aria, inquinamento<br />
acustico, vibrazioni che mettono in pericolo i monumenti.<br />
Consideriamo alcune macchine in sosta ai due lati di<br />
una strada e poniamo che la macchina A sia parcheggiata<br />
a sinistra in seconda fila, mentre la macchina B sia parcheggiata<br />
a destra, di traverso, salendo sul marciapiedi, fino<br />
a rendere difficile o impossibile il passaggio <strong>dei</strong> pedoni.<br />
Se arriva l’autogrù della polizia municipale la probabilità<br />
di gran lunga più alta è che si porti via la macchina A<br />
8 Interessante lo studio delle ricadute sullo sviluppo socio-cognitivo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
provocate dalle barriere urbanistiche costituite dagli attraversamenti pericolosi<br />
(Bonanomi, 1994).<br />
62
e non è escluso che la macchina B possa cavarsela senza<br />
neppure una multa. Cosa significa questo? Che si interviene<br />
con decisione e mano pesante se la sosta disturba<br />
il movimento delle auto, che si è tolleranti se ad essere<br />
danneggiati sono i pedoni, quindi i più deboli. Eppure una<br />
persona disabile che si muove in carrozzella o una mamma<br />
che spinge la carrozzina, potrebbero non poter proseguire<br />
il loro percorso; un bambino o un anziano potrebbero<br />
essere costretti a scendere dal marciapiedi correndo<br />
inutili pericoli.<br />
Le auto sono di fatto le nuove padrone della <strong>città</strong>, è per<br />
loro che si studiano rimedi e facilitazioni, in loro favore si<br />
effettuano gli interventi più radicali e più costosi. Si pensi<br />
ai piani di nuovi parcheggi nelle grandi <strong>città</strong>. È a loro che<br />
i vigili urbani dedicano la gran parte del loro tempo e delle<br />
loro energie. Le multe effettuate sono per la grande<br />
maggioranza multe per divieto di sosta, per un reato cioè<br />
che danneggia principalmente il movimento delle auto<br />
stesse e relativamente poco le persone. Le auto, in movimento<br />
o in sosta, occupano permanentemente una rilevante<br />
percentuale del suolo pubblico, trasformandolo in<br />
spazio privato: sono diventate parcheggi quasi tutte le<br />
strade e le piazze. Quando si propone di restituire ai cittadini<br />
uno spazio pubblico la risposta più frequente è: «Prima<br />
si risolva il problema del parcheggio e dopo pensiamo<br />
ad un uso sociale della piazza». Mi sembra un ragionamento<br />
scorretto. Avere spazio per «appoggiare» la propria<br />
auto è certamente una necessità ma non credo si possa<br />
considerare un diritto: quando un cittadino acquista una<br />
macchina il sindaco non si impegna con lui a riservargli<br />
un’area di spazio pubblico sulla quale farla muovere o parcheggiarla.<br />
Potersi muovere serenamente a piedi e utilizzare<br />
lo spazio pubblico è invece certamente un diritto di<br />
tutti i cittadini. Restituire a tutti la possibilità di muoversi<br />
liberamente a piedi è quindi un dovere prioritario dell’am-<br />
63
ministratore ed è un modo corretto e serio di preparare il<br />
futuro della <strong>città</strong>. Un futuro in cui il potere delle auto finisca<br />
là dove cominciano i diritti del pedone, un futuro in cui<br />
la <strong>città</strong> sia più pulita, meno «occupata», dove ci si possa<br />
muovere, dove ci si possa incontrare, dove insomma si<br />
possa vivere meglio, dove quindi sia possibile per un bambino<br />
uscire di casa da solo e giocare con i suoi amici. Quindi<br />
la piazza va subito restituita ai cittadini, poi si cercherà,<br />
per quanto possibile, di risolvere il problema del parcheggio<br />
delle auto.<br />
Fatte salve le isole pedonali, che dovranno essere potenziate,<br />
rispettate 9 e introdotte anche nelle zone residenziali<br />
periferiche, occorrerà distinguere e trattare in modo<br />
diverso, sia nella progettazione che nell’uso, le strade<br />
delle macchine (quelle di grande scorrimento, nelle quali i<br />
pedoni debbono accettare le condizioni delle macchine)<br />
dalle strade <strong>dei</strong> pedoni (alle quali le macchine possono accedere,<br />
ma alle condizioni <strong>dei</strong> pedoni). Questo ripensamento<br />
urbanistico, già in atto in molte <strong>città</strong> del centro e<br />
nord Europa, dovrà mirare non tanto a creare nuovi e più<br />
rigorosi divieti, ma a rendere impossibile la velocità e il pericolo.<br />
Il genitore infatti non vincerà la sua paura perché<br />
è stato abbassato il limite di velocità da 50 a 30 chilometri<br />
orari, perché potrà sempre e giustamente pensare alla<br />
possibile violazione delle norme e quindi rifiutarsi di riconoscere<br />
autonomia a suo figlio. Ma se la carreggiata della<br />
strada verrà ristretta e resa tortuosa o attraversata da ostacoli,<br />
allora la velocità sarà impossibile e gli adulti potranno<br />
essere più sereni e più permissivi.<br />
Un buon esempio di intervento strutturale a favore <strong>dei</strong><br />
pedoni è il «marciapiede che attraversa la strada»: un pas-<br />
9 Sarebbe auspicabile che anche gli amministratori, i vigili urbani, la polizia<br />
rispettassero l’isola pedonale (almeno nelle <strong>città</strong> piccole e medie), muovendosi<br />
a piedi o in bicicletta, inviando così un messaggio coerente agli altri cittadini.<br />
64
saggio pedonale che mantiene sia il livello che la pavimentazione<br />
del marciapiede. Mentre di solito è il pedone<br />
che «scende» dal marciapiede, abbandonando il suo territorio<br />
sicuro ed entra in quello pericoloso delle auto, in questo<br />
caso il pedone resta nel suo territorio ed è la macchina<br />
che, per mezzo di una rampa, «sale» sul passaggio pedonale,<br />
invadendo un’area non sua e quindi dovendosi<br />
preoccupare di eventuali passanti.<br />
Se la velocità è impedita la strada è più sicura, non solo<br />
perché diminuisce il pericolo del traffico ma perché diventa<br />
più difficile anche delinquere: è difficile scappare,<br />
c’è più gente in giro, c’è più controllo sociale.<br />
Aiutare gli adulti a capire<br />
che i <strong>bambini</strong> hanno bisogno di uscire<br />
Gli adulti hanno paura, hanno giustamente paura, ma, come<br />
si diceva sopra, la via della difesa è senza speranza e<br />
senza futuro. Chiudere i <strong>bambini</strong> in casa significa esporli<br />
al pericolo degli incidenti domestici, affidarli alla televisione<br />
e privarli di esperienze fondamentali. Ma superare la<br />
paura è difficile e non lo si fa solo ragionandoci sopra. Gli<br />
amministratori debbono farsene carico e aiutare i loro<br />
concittadini. Bisogna lavorare su diversi piani: innanzi tutto<br />
aiutare i genitori a capire che i <strong>bambini</strong> hanno bisogno<br />
di tempo libero, da amministrare da soli, rischiando in<br />
proprio, più che fare tante cose ed essere impegnati nelle<br />
tante scuole pomeridiane; aiutarli a recuperare fiducia<br />
nelle capacità <strong>dei</strong> propri figli che sono sicuramente maggiori<br />
di quelle che essi immaginano. Occorre aiutare i genitori<br />
ad uscire dall’ottica individualistica e difensiva, pensando<br />
che tutti i <strong>bambini</strong> debbano ritrovarsi insieme fuori<br />
di casa e che tutti gli adulti debbano essere un punto di ri-<br />
65
ferimento e di sicurezza per i <strong>bambini</strong>. È necessario comunque<br />
ridurre il pericolo ambientale rallentando il traffico,<br />
favorendo gli spostamenti pedonali e ciclabili, applicando<br />
con fermezza quelle norme che puniscono coloro<br />
che non rispettano i diritti <strong>dei</strong> pedoni.<br />
Occorre aiutare gli adulti a capire che un buon genitore<br />
non è quello che rinuncia ad una propria vita perché i<br />
figli possano avere tutto e possano essere accompagnati<br />
alle diverse scuole del mattino e del pomeriggio. <strong>La</strong> prima<br />
caratteristica di un «buon genitore» dovrebbe essere quella<br />
di diventare ogni giorno meno necessario al proprio figlio.<br />
Quando un bambino nasce, il momento forse più importante<br />
e significativo della profonda trasformazione che<br />
avviene nel giro di pochi minuti, è il taglio del cordone ombelicale.<br />
Da quel momento il bambino si separa dalla madre<br />
e può iniziare la sua relazione con lei e, attraverso lei,<br />
la sua relazione con il mondo: la grande avventura della<br />
autonomia. Ogni giorno la separazione può essere confermata<br />
e consolidata, oppure negata; possiamo diventare<br />
meno necessari ai nostri figli e quindi aiutarli ad allontanarsi<br />
da noi, o fare l’opposto e annodare nuovi cordoni<br />
ombelicali.<br />
Una seconda caratteristica del «buon genitore» credo<br />
sia quella di essere un buon modello di adulto, un adulto<br />
che faccia pensare al bambino che vale la pena di diventare<br />
grande per essere come lui o per incontrare persone<br />
come lui. Un adulto quindi sereno, impegnato, felice. Che<br />
cerca di realizzare le sue aspirazioni, di coltivare le sue passioni,<br />
di vivere bene la sua sessualità, di vivere con impegno,<br />
con forza e con coerenza la sua professione, i suoi<br />
ideali, le sue fedi. Questo non vale solo nel rapporto fra<br />
genitori e figli, ma anche fra insegnanti e allievi e in generale<br />
fra adulti e <strong>bambini</strong>. Mi sembra questa una prospettiva<br />
gratificante, che ci invita alla serenità e all’impegno,<br />
anche per avere <strong>bambini</strong> più felici.<br />
Un adulto sereno e realizzato saprà capire il bisogno<br />
66
di autonomia di suo figlio e sarà disposto a superare qualche<br />
difficoltà, qualche preoccupazione per potergliela garantire.<br />
Trovare nuovi alleati <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
Una volta, poche decine di anni fa, i <strong>bambini</strong> erano di tutti.<br />
Il vicinato fungeva da grande controllo sociale. Un bambino<br />
che giocava fuori di casa, quando aveva bisogno di<br />
qualche cosa, trovava nei vicini un occhio curioso, attento<br />
e preoccupato. Ricordo che se, giocando con gli amici,<br />
facevo qualcosa che non avrei dovuto fare (una lite, un<br />
danno, una caduta...), quando tornavo a casa trovavo il<br />
rimprovero o la punizione prima ancora di poter raccontare<br />
l’accaduto. Non avevamo il telefono, ma evidentemente<br />
la notizia era già stata «premurosamente» portata!<br />
Questo valeva nel piccolo paese dove tutti si conoscevano,<br />
ma valeva anche nella grande <strong>città</strong> dove il quartiere viveva<br />
una frequentazione quotidiana <strong>dei</strong> suoi abitanti, per<br />
lavoro, per la spesa, per la scuola, sempre vicini all’abitazione.<br />
Ma il criterio di assunzione di responsabilità sociale<br />
nei confronti del bambino era più largo ancora del conoscersi<br />
o dell’essere vicini di casa: un bambino fuori casa,<br />
specie se da solo, era controllato e protetto dagli adulti<br />
che incontrava. Più che vicini di casa si potrebbe dire vicini<br />
al bambino. E questo «vicinato» cresceva con l’età, si<br />
allargava man mano che si sviluppava l’autonomia del<br />
bambino e gli permetteva spedizioni più ardite in territori<br />
nuovi, inesplorati. Anche lì trovava adulti interessati e<br />
preoccupati. Questo naturalmente favoriva la crescita, la<br />
scoperta di spazi nuovi, la possibilità di avventure nuove<br />
che costruivano e consolidavano nuove conoscenze.<br />
Ora questa solidarietà sociale sembra perduta. <strong>La</strong> scel-<br />
67
ta della difesa ha inibito l’interesse verso gli altri, o per lo<br />
meno lo ha nascosto, mascherato. <strong>La</strong> tentazione immediata<br />
è quella di chiudersi in luoghi sicuri, la casa, la scuola,<br />
le varie scuole pomeridiane. E crescono le richieste di<br />
altri spazi, forse più liberi, ma sempre protetti e tutelati come<br />
ludoteche, laboratori, giardinetti con cancellate e ingressi<br />
vigilati 10 .<br />
<strong>La</strong> perdita dell’autonomia produce rassegnazione, ma<br />
anche scontentezza e malessere. Un desiderio e una disponibilità<br />
alla solidarietà sopravvivono, lo si vede dalle<br />
reazioni interessate a proposte come questa: occorre tirarle<br />
fuori, permettere loro di diventare esperienze. Non<br />
possiamo però aspettare che si ricostruisca questa diffusa<br />
solidarietà per avviare le esperienze di cui stiamo parlando:<br />
i <strong>bambini</strong> hanno fretta, sono <strong>bambini</strong> per pochi anni.<br />
Occorre quindi identificare e formare subito nuovi alleati<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
I vigili urbani<br />
Le <strong>città</strong> hanno un piccolo esercito che esaurisce le sue<br />
energie nell’essere quasi esclusivamente a servizio delle<br />
auto. Questo conferma il potere dell’auto nella nostra società<br />
e, nella attuale carenza di sensibilità sociale e di solidarietà,<br />
sembra uno spreco eccessivo e anche uno svilimento<br />
di una presenza che potrebbe essere molto più significativa<br />
e qualificata. Si propone che i vigili urbani diventino<br />
anche, forse prioritariamente, gli amici <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
Quando un bambino si trova in qualche situazione di<br />
necessità o di disagio, se vede un vigile, dovrebbe tranquillizzarsi<br />
perché sicuro che quel signore in divisa risolverà<br />
il suo problema. Quali necessità, quali disagi può in-<br />
10 A questo proposito è interessante l’analisi delle differenze fra gli spazi urbani<br />
«play ground» e «sandbox» (Bozzo, 1995).<br />
68
contrare un bambino? Può aver bisogno di fare pipì e vergognarsi<br />
di entrare in un bar per chiederlo, può avere sete,<br />
può aver fatto tardi e avere necessità di telefonare a casa<br />
e non avere denaro, può essere molestato da qualche<br />
adulto, può aver litigato con un amichetto, può essersi<br />
perso, può essersi sbucciato un ginocchio cadendo, può<br />
aver perso il biglietto dell’autobus per tornare a casa. Ognuna<br />
di queste situazioni rappresenta una sofferenza,<br />
una sofferenza grande come quasi sempre sono quelle <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>. Il vigile urbano dovrebbe avere come suo compito<br />
istituzionale quello di non lasciare mai un bambino in<br />
stato di disagio e di angoscia. Dovrà risolvere il suo problema,<br />
accompagnandolo in un bar perché possa bere, fare<br />
la pipì, telefonare, oppure offrendogli il biglietto dell’autobus.<br />
Sarebbe importante che questo ruolo sociale<br />
<strong>dei</strong> vigili venisse pubblicamente dichiarato e pubblicizzato<br />
in modo che lo conoscano tanto i <strong>bambini</strong> che i loro genitori.<br />
Se vogliamo veramente che le autonomie <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
aumentino dobbiamo far diminuire le paure <strong>dei</strong> loro<br />
genitori e di tutti gli adulti.<br />
Come ormai più volte si è detto, vigili amici <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
significa anche punti di riferimento per gli anziani, per<br />
gli handicappati, per la signora che torna carica di borse<br />
dalla spesa. Amici <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> significa insomma amici <strong>dei</strong><br />
cittadini. Per questa nuova e importante funzione sociale i<br />
vigili vanno preparati, aprendo momenti di formazione e<br />
di dibattito per definire nuovi obiettivi e comportamenti 11 .<br />
Si potrebbe pensare di allargare questa funzione sociale<br />
di «amici <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» a tutti coloro che indossano una<br />
divisa e che per questo diventano facilmente riconoscibili.<br />
Il sindaco potrebbe invitare poliziotti e carabinieri, vigilantes<br />
e vigili del fuoco, ma anche gli autisti <strong>dei</strong> mezzi pubblici<br />
o i netturbini, ad assumere questo nuovo ruolo per<br />
11 Su questo punto si veda la scheda n° 7: «Il vigile amico <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />
69
aiutare la <strong>città</strong> a diventare più adatta ai cittadini a partire<br />
dai <strong>bambini</strong>. Per questo dovranno essere organizzati momenti<br />
di sensibilizzazione e di formazione.<br />
Gli anziani<br />
Oggi la nostra società ricca sta invecchiando, ha pochi<br />
<strong>bambini</strong> e la vita si allunga, nasce così l’«allarme» anziani.<br />
Secondo le ultime statistiche ci sono tre nonni per ogni nipote,<br />
troppi pensionati rispetto al numero <strong>dei</strong> lavoratori,<br />
ci sono insomma troppi vecchi e non si sa dove metterli,<br />
cosa farne, come custodirli. In una società consumistica<br />
come la nostra ogni bisogno produce appositi prodotti.<br />
Nascono così i prodotti della terza età, reclamizzati negli<br />
spot televisivi, dai pannoloni alla pasta adesiva per la dentiera.<br />
In una <strong>città</strong> fondata sulla divisione e sulla specializzazione,<br />
ogni necessità, ogni disagio, suggerisce adeguati<br />
servizi. Nascono allora i centri anziani, le università della<br />
terza età, le gite organizzate, gli ospizi per vecchi.<br />
Di nuovo risposte pensate non per i loro destinatari naturali,<br />
ma per i cittadini adulti, per quelli che i vecchi debbono<br />
custodirli, per i cittadini forti. All’anziano non piace<br />
stare con gli anziani. L’anziano ha il suo patrimonio più<br />
importante nella sua storia, nel suo passato, nella sua memoria,<br />
ha quindi un grande desiderio di raccontare 12 . Non<br />
è invece interessato ad ascoltare e ad apprendere perché<br />
sa di non avere un futuro su cui investire. Mettere dieci anziani<br />
insieme è creare una situazione paradossale, contro<br />
natura: tutti vorrebbero raccontare, ma nessuno è interessato<br />
ad ascoltare. Un anziano ha senso in mezzo alle<br />
altre generazioni, fra i <strong>bambini</strong> e i giovani che hanno voglia<br />
di ascoltare e di imparare. Dieci anziani insieme pos-<br />
12 Un africano diceva: «Per noi i vecchi sono molto importanti, perché sono<br />
come biblioteche ambulanti».<br />
70
sono parlare solo della morte che si avvicina. Sono patetici<br />
quei viaggi turistici per soli vecchi, quei pullman che li<br />
scaricano d’inverno lungo spiagge deserte (dicono che ai<br />
vecchi fa bene l’aria di mare specialmente d’inverno!), fra<br />
alberghi sprangati, con i capelli bianchi al vento, scene felliniane<br />
senza senso, con dentro tanta tristezza.<br />
Esistono sindacati, associazioni sportive, culturali, ricreative,<br />
persino università per anziani. Non sono d’accordo,<br />
non credo sia giusto. Di nuovo la separazione e la<br />
specializzazione: l’anziano come realtà speciale, con suoi<br />
problemi che richiedono risposte specialistiche come le rivendicazioni<br />
pensionistiche, la ginnastica, il ballo, le conferenze,<br />
sempre per anziani. Un club di ciclisti della domenica<br />
dovrebbe essere aperto a uomini e donne, <strong>bambini</strong>,<br />
adulti e anziani. E quando l’anziano non se la sentirà<br />
più di pedalare con gli altri, potrà insegnare a curare la bicicletta,<br />
dare consigli ai più giovani, far sognare i <strong>bambini</strong><br />
raccontando le sue imprese. E non organizzare il club degli<br />
ex ciclisti che si piangono addosso o che fanno giretti in<br />
triciclo. L’importante è essere vecchi insieme a quelli che<br />
non lo sono, per avere ancora senso. Anche agli uomini<br />
piace stare con le donne e anche ai <strong>bambini</strong> con i grandi!<br />
Dobbiamo imparare a pensare che quello che consideriamo<br />
come «allarme» anziani, possa diventare la «risorsa»<br />
anziani.<br />
L’anziano vive un periodo molto particolare della vita:<br />
sono finite le aspettative, la voglia di emergere, il bisogno<br />
di competere. Un periodo che potrebbe essere sereno,<br />
disinteressato, libero, se non si costringesse l’anziano a<br />
specchiarsi tristemente negli altri anziani o a perdersi nel<br />
suo futuro di morte in solitudine. <strong>La</strong> serenità, la felicità dell’anziano<br />
è legata alla possibilità che la sua esperienza possa<br />
servire a qualcuno, che egli possa ancora essere utile a<br />
qualcosa, che tutto il tempo che ha possa essere importante<br />
come quello che è passato. Ecco quindi l’anziano, il<br />
nonno, come alleato privilegiato <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
71
Si obietterà che spesso gli anziani sono irascibili, non<br />
hanno nessuna voglia di star dietro ai <strong>bambini</strong>; è vero e<br />
ne hanno diritto, ma ne abbiamo talmente tanti che certamente<br />
ce ne saranno a sufficienza di buoni e di collaborativi.<br />
D’altra parte non credo si possa e si debba chiedere<br />
agli anziani di assumere ruoli o responsabilità particolari.<br />
Credo che si debba chiedere loro di rifiutare l’isolamento<br />
in casa, di uscire, di «esserci». Di essere presenti nei<br />
giardini, nei luoghi di ritrovo aperti, nelle strade, di vivere<br />
il quartiere, di condividerlo con gli altri cittadini e in particolare<br />
con i <strong>bambini</strong>, con gli handicappati, perché sia più<br />
vivibile e più sicuro per tutti. <strong>La</strong> loro presenza garantirà i<br />
<strong>bambini</strong>.<br />
Si tratta di scelte sociali di fondo, la casa, la strada, i<br />
giardini, il quartiere invece del centro anziani, dell’ospizio.<br />
Scelte che dovrebbero fare lo Stato, gli enti locali, le associazioni.<br />
Significa investire energie perché l’anziano<br />
possa rimanere nel suo ambiente, con i suoi familiari, con<br />
i suoi vicini, con i <strong>bambini</strong>, anziché investirle in costose<br />
strutture di custodia e di emarginazione. Se gli anziani si<br />
sentiranno accettati, utili, necessari, staranno meglio, saranno<br />
più autonomi, garantiranno la <strong>città</strong>. Sarà un grande<br />
risparmio economico e sarà una doverosa manifestazione<br />
di affetto e di riconoscenza verso chi è venuto prima<br />
di noi.<br />
I negozianti<br />
I commercianti, gli artigiani, i negozianti, non sono necessariamente<br />
buoni, pazienti e disponibili nei confronti<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Per ricevere la licenza non hanno dovuto dimostrare<br />
particolari qualità didattiche o educative, ma<br />
condividono una condizione molto particolare e importante<br />
per il nostro discorso: «stanno sulla strada». E men-<br />
72
tre il vigile urbano e l’anziano in certi momenti potrebbero<br />
non essere a portata di bambino, i negozi restano sempre<br />
lì e possono rappresentare una sicurezza. Rispetto a<br />
quanto si diceva sopra sulle nuove insicurezze e paure, i<br />
negozianti possono ricostruire una rete di riferimento e di<br />
sicurezza. Possono offrire una risposta semplice alla domanda<br />
preoccupata: «Ma se a mio figlio succede qualcosa,<br />
a chi può rivolgersi?». Se tutti i negozianti, gli artigiani,<br />
ma anche le sedi di banca o gli uffici postali, che si dichiarano<br />
disponibili a dare una mano per l’autonomia <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong> mettessero un apposito adesivo sulla loro vetrina,<br />
<strong>bambini</strong> e genitori potrebbero stare più tranquilli perché<br />
saprebbero che, in caso di necessità, ci sono <strong>dei</strong> punti di<br />
riferimento 13 . Il commerciante darà un’occhiata al bambino<br />
che passa. Al negoziante il bambino potrà chiedere di<br />
poter chiamare per telefono a casa senza pagare, di fare<br />
la pipì, di avere un bicchiere d’acqua, di essere consolato<br />
se gli è successo qualcosa.<br />
Si è accennato ad alcuni possibili alleati <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>,<br />
ma dobbiamo insegnare ai <strong>bambini</strong> che ogni adulto è un<br />
loro potenziale amico. Dovremmo smetterla con le raccomandazioni<br />
terroristiche: «Non ti fermare con nessuno»,<br />
«Non chiedere niente a nessuno» ed insegnare invece<br />
che quando hanno bisogno di qualcosa fermino un<br />
adulto e chiedano aiuto. Sarà un piccolo contributo per<br />
educare i <strong>bambini</strong> a stare nel mondo e cercare di starci bene,<br />
ma sarà anche un forte richiamo per gli adulti, intorpiditi<br />
ormai nel generale disinteresse ed egoismo.<br />
13 Su questo punto si veda la scheda n° 9: «A scuola ci andiamo da soli».<br />
73
Una <strong>città</strong> adatta ai <strong>bambini</strong><br />
Che i <strong>bambini</strong> possano uscire da soli di casa è un obiettivo<br />
importante, anche perché clamorosamente compromesso<br />
dallo sviluppo disordinato e irrispettoso della <strong>città</strong>,<br />
ma non esaurisce la necessità di cambiamento che oggi la<br />
<strong>città</strong> richiede. <strong>La</strong> <strong>città</strong>, cresciuta quasi contro i bisogni <strong>dei</strong><br />
suoi abitanti, specialmente di quelli più deboli, deve rivedere<br />
tutte le sue strutture e le sue articolazioni per diventare<br />
adatta per tutti. Per questo vale la pena proseguire<br />
nella sfida, nella provocazione di assumere il bambino come<br />
parametro, continuando a pensare che quando la <strong>città</strong><br />
sarà più adatta ai <strong>bambini</strong> sarà più adatta per tutti.<br />
Non potendo qui esaminare analiticamente tutte le<br />
sfaccettature di una <strong>città</strong>, si daranno solo degli esempi.<br />
Nella parte terza del libro, attraverso le schede, si cercherà<br />
di entrare più operativamente nelle proposte, nelle attività,<br />
nelle iniziative.<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> bella 1<br />
L’Italia è famosa nel mondo per le sue <strong>città</strong>. I nostri antenati<br />
hanno dedicato energie, risorse, ingegno e creatività<br />
per fare in modo che i luoghi della loro vita, del loro lavoro,<br />
dove allevavano i loro figli, si amavano, passavano<br />
1 L’architetto Cervellati mi perdonerà se prendo a prestito il titolo del suo<br />
libro.<br />
75
la loro vecchiaia, dove morivano, fossero belli 2 . Che siano<br />
tanto belle lo dice il fatto che il nostro paese possiede<br />
più del 60% delle opere d’arte di tutto il mondo e che si<br />
muovono dai paesi più lontani per visitarle, passeggiando<br />
nelle loro strade. È veramente sostenibile l’apparente sospetto<br />
contemporaneo che tutto questo sia avvenuto perché<br />
i nostri antenati non avevano niente di più importante<br />
da fare? O non è più credibile che noi stiamo perdendo<br />
il senso della vita? Noi corriamo, certamente facciamo<br />
più cose e più rapidamente <strong>dei</strong> nostri predecessori, ma poi<br />
abbiamo «diritto» (non solo bisogno) alle ferie, manteniamo<br />
un esercito di psicologi, consumiamo quantità spaventose<br />
di psicofarmaci.<br />
Le nostre <strong>città</strong> sono piene di chiese, di monumenti, di<br />
palazzi, di fontane, di edicole sacre, di pavimentazioni differenziate,<br />
di giochi di luce, di prospettive. Percorrendole<br />
si è sempre esposti alla sorpresa, alla meraviglia. Invitati alla<br />
sosta per ammirare, per pregare, per incontrare qualcuno.<br />
Insomma le <strong>città</strong> sono <strong>dei</strong> percorsi. È facilmente prevedibile<br />
che il bambino che percorre queste vie si arricchisca<br />
anche a livello cognitivo. Erano <strong>città</strong> pensate per essere<br />
percorse a piedi. Perché solo camminando si possono<br />
apprezzare quei particolari, quelle preziosità. E oggi, noi<br />
cittadini privilegiati di questi splendori, cosa facciamo?<br />
Se è possibile cerchiamo di passare sotto, sotto queste<br />
meraviglie: il sogno del cittadino contemporaneo è la metropolitana.<br />
Se non è possibile, allora cerchiamo di passare<br />
sopra a queste meraviglie o comunque passare veloci.<br />
Nascono così le sopraelevate, le tangenziali, le strade<br />
di percorrenza veloce. Se comunque anche queste soluzioni<br />
preferenziali non sono possibili perché la <strong>città</strong> resi-<br />
2 È utile riflettere sul senso del bello che avevano i nostri vecchi, certamente<br />
meno istruiti di noi e destinati ad una vita più dura della nostra. Tornivano,<br />
intagliavano e decoravano le impugnature <strong>dei</strong> loro strumenti di lavoro, dipingevano<br />
con fiori e scene esotiche i carri su cui avrebbero passato una vita di lavoro<br />
pesante.<br />
76
ste con le sue stupide stradine strette e tortuose e con i<br />
suoi anacronistici monumenti, allora cerchiamo di muoverci<br />
dentro una scatola a motore che ci impedisca di fermarci,<br />
di ammirare, di sorprenderci.<br />
Il fatto che l’automobile sia la nuova padrona della<br />
<strong>città</strong>, porta una serie di conseguenze, anche culturali, importanti.<br />
Andando in macchina le bellezze della <strong>città</strong> perdono<br />
di importanza, perché non si notano, non si vedono.<br />
Correndo a cinquanta chilometri all’ora e dovendo<br />
stare attenti al traffico non si possono notare gli scorci, le<br />
prospettive, i particolari che grandi artisti hanno realizzato<br />
anche per noi nei secoli passati. Ma non è solo questo.<br />
Le automobili hanno una loro «idea» di <strong>città</strong>, una loro<br />
estetica e la stanno imponendo. È una estetica profondamente<br />
diversa dalla nostra, è quella <strong>dei</strong> garage (individuali<br />
o collettivi, sotterranei o aerei, a silos, multipiani...), delle<br />
stazioni di servizio (sempre luminosissime, grandissime e<br />
tutte uguali); <strong>dei</strong> segnali stradali, <strong>dei</strong> cartelloni pubblicitari<br />
(semplici e grandi per essere visti in corsa); è quella dell’asfalto<br />
(meno rumoroso dell’acciottolato), del guardrail (più<br />
sicuro); è quella <strong>dei</strong> clacson e delle sirene antifurto (anche<br />
se svegliano i <strong>bambini</strong> e mettono paura); è quella <strong>dei</strong> depositi<br />
di carcasse di macchine, che stanno costruendo un<br />
ultimo anello cimiteriale intorno alle nostre belle <strong>città</strong> e alle<br />
nostre brutte periferie. Quando si è evidenziato un conflitto<br />
fra la sicurezza dell’automobilista e il diritto di continuare<br />
a vivere di alberi e viali anche di grande importanza<br />
estetica, paesaggistica e per la salute delle <strong>città</strong>, non si è<br />
avuto nessun dubbio, non si sono esplorate soluzioni alternative<br />
come la deviazione delle strade o il rallentamento della<br />
velocità, si sono semplicemente abbattuti gli alberi.<br />
E che l’estetica delle automobili sia in aperto conflitto<br />
con quella dell’uomo, almeno così come i nostri antenati<br />
l’hanno espressa, è dimostrato dal fatto che in questi ultimi<br />
cinquant’anni le automobili hanno danneggiato, con<br />
l’inquinamento e con le vibrazioni, i monumenti delle <strong>città</strong><br />
77
più di quanto fossero stati capaci di fare incendi, guerre e<br />
terremoti nei secoli e nei millenni precedenti. Per ultima<br />
va segnalata la prepotente voglia di protagonismo dell’automobile.<br />
È praticamente impossibile vedere o fotografare<br />
uno scorcio delle nostre <strong>città</strong> senza una macchina<br />
«in campo». Non c’è isola pedonale o ferragosto che tenga:<br />
un’automobile, magari quella <strong>dei</strong> vigili urbani o dell’onorevole<br />
o del diplomatico, impedirà di vedere una via o<br />
solo un monumento così come è stato pensato e realizzato<br />
dal suo progettista.<br />
Nessuno vuol rinunciare all’automobile. Credo saggio<br />
e doveroso però rinegoziare il suo e il nostro rapporto con<br />
la <strong>città</strong>. <strong>La</strong> <strong>città</strong> tornerà ad essere bella solo se sarà di nuovo<br />
possibile percorrerla a piedi. Oggi gli spostamenti sono<br />
<strong>dei</strong> trasferimenti da punto a punto, più in fretta possibile.<br />
Dobbiamo tornare a provare il piacere <strong>dei</strong> percorsi 3 .<br />
3 Nel 1995 si è tenuto a Firenze un convegno nazionale sulla lentezza intitolato:<br />
«Il mondo ha tempo da perdere» organizzato dalla COOP. Nel mio intervento<br />
Chi ha ancora voglia di perdere tempo con i <strong>bambini</strong>? esordivo con<br />
queste riflessioni: per andare da Roma a Firenze si può percorrere la Cassia.<br />
Questo non rappresenta solo un trasferimento, ma significa passare per paesi<br />
e cittadine, attraversare paesaggi diversi, vedere, incontrare. Significa fermarsi,<br />
rallentare e accelerare, stupirsi e arrabbiarsi. Questo richiede tempo, ma quel<br />
tempo non è perso. In quel viaggio c’è qualcosa di più dello spostarsi, c’è il piacere.<br />
Occorre rallentare nei paesi, raccoglierne le immagini, i rumori, le abitudini;<br />
fermarsi a mangiare i prodotti e i piatti tipici. È possibile mangiare la finocchiona,<br />
le pappardelle alla lepre, i fagioli bianchi, accompagnarli con il Rosso<br />
di Montalcino o con il vino Nobile di Montepulciano. Significa avvicinarsi e<br />
allontanarsi rispetto ad un paesaggio che cambia, seguendo gli strani ghirigori<br />
della strada, pensata più per far incontrare che per fare in fretta, salendo e scendendo<br />
seguendo le morbide rotondità delle colline toscane.<br />
Oppure, sempre per andare da Roma a Firenze, si può invece passare sull’autostrada<br />
del Sole e allora sarà una esperienza totalmente diversa. Scopo<br />
principale dell’autostrada è lo spostamento da punto a punto, da casello a casello,<br />
con il minor numero possibile di distrazioni e di impedimenti; abbattere i<br />
tempi, permettere la velocità. Le autostrade sono tutte uguali, le stazioni di servizio<br />
sono tutte uguali e tutte ugualmente efficienti e rapide; così come sono<br />
uguali i posti di ristoro: si può mangiare un panino fattoria in tutte le località<br />
italiane. Di fronte ad un ostacolo naturale l’autostrada preferisce passare sotto<br />
terra o per aria anziché seguire le «diversità» del terreno: non bisogna distrarsi,<br />
non bisogna ridurre la velocità, non bisogna perdere tempo. Effettivamente il<br />
tempo è ridotto, ma è tempo perso. Per quanto breve serve solo a spostarsi.<br />
Una sensazione simile la provo quando scelgo l’aereo invece del treno per<br />
78
Se noi adulti non abbiamo il tempo per queste frivolezze,<br />
peggio per noi, ma non priviamo di questo piacere, di<br />
questa necessità, i nostri <strong>bambini</strong>, i nostri vecchi e tutti<br />
quegli adulti stranieri che vengono a visitare le nostre<br />
<strong>città</strong>. Se si tornerà a percorrere la <strong>città</strong> allora i nostri urbanisti,<br />
i nostri architetti, i nostri artisti, dovranno di nuovo<br />
preoccuparsi di sorprendere, di gratificare, di accompagnare<br />
i concittadini per le strade. Allora sarà importante<br />
restituire spazio al passeggio, curare la pavimentazione<br />
<strong>dei</strong> marciapiedi, restringere le strade, creare aree di<br />
sosta, di incontro, restituire le piazze alla gente e al gioco<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Insomma ci sarà tanto da lavorare per rifare<br />
belle le <strong>città</strong>.<br />
C’è chi pensa che questi progetti sono lussi che non<br />
possiamo permetterci. Questo sarebbe vero se fossimo<br />
così cinici da rinunciare al nostro patrimonio artistico. Se<br />
così fosse effettivamente potremmo lasciare marcire i nostri<br />
monumenti e accogliere senza rimpianti la nuova <strong>città</strong><br />
delle auto, della velocità, del rumore, dello smog. Ma «purtroppo»<br />
non lo siamo, non siamo capaci di fare a meno<br />
delle nostre opere d’arte e allora investiamo capitali enormi<br />
nei sempre più frequenti, costosi e disperati interventi<br />
di restauro. Se cercassimo di eliminare le cause di questo<br />
degrado, faremmo una scelta non solo culturalmente doverosa,<br />
ma anche economicamente vantaggiosa.<br />
C’è poi il grande problema delle periferie, che belle non<br />
sono e che non possiamo abbattere. Ma se crescerà questa<br />
consapevolezza <strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> cittadini, a partire dai più<br />
piccoli e dai più deboli, se verrà riconosciuto il diritto di vivere<br />
la <strong>città</strong>, di percorrerla, di incontrarsi e divertirsi, si dovrà<br />
cominciare a pensare che anche le nostre periferie<br />
esempio sul percorso Roma-Milano. Il tempo di volo è ovviamente molto più<br />
breve, ma il viaggio complessivo varia di poco, dalle tre ore, tre ore e mezza per<br />
il viaggio in aereo alle quattro ore in treno. Ma le ore in aereo sono perse, spezzettate<br />
in tanti brevi percorsi diversi, in tante procedure; mentre le ore di treno<br />
sono tutte buone, per leggere, per scrivere, per disegnare.<br />
79
hanno il diritto di essere belle. È una bella sfida che gli amministratori<br />
debbono lanciare ai progettisti, agli urbanisti,<br />
partendo dalla consapevolezza che spesso le periferie hanno<br />
buone potenzialità per diventare adatte ai <strong>bambini</strong>, con<br />
i loro spazi irrisolti, con i loro pezzi di natura dimenticati<br />
dalla cieca urbanizzazione. Si dovranno utilizzare tutti gli<br />
spazi non ancora costruiti per restituirli all’uso sociale. Si<br />
dovranno creare aree pedonali periferiche; liberare le piazze,<br />
se ci sono, e restituirle ai cittadini; inventare piazze dove<br />
non sono state previste. Si potranno risanare le vecchie<br />
strutture di archeologia industriale (fabbriche, fornaci, magazzini)<br />
e renderle spazi di uso pubblico. Si dovrà pensare<br />
ai marciapiedi, ai monumenti, alle fontane. Avviare insomma<br />
un grande progetto di risanamento sociale ed estetico<br />
delle periferie. In questo grande progetto i <strong>bambini</strong><br />
hanno molto da dire e da dare, perché le scelte «ragionevoli»<br />
non bastano più, occorre osare, inventare, cercare<br />
idee nuove che ai <strong>bambini</strong> certo non mancano.<br />
Il Piano Regolatore Generale<br />
L’impegno di revisione e di trasformazione della <strong>città</strong> a<br />
partire dal bambino potrà toccare sia gli interventi su grande<br />
scala come il Piano Regolatore Generale (PRG) o il Piano<br />
Urbano del Traffico (PUT), sia piccoli progetti legati alle<br />
occasioni di gioco per i <strong>bambini</strong>, di passeggio, di incontro<br />
e di sosta per gli adulti intorno alle loro case. Assumendo<br />
l’ottica del bambino molti <strong>dei</strong> grandi problemi<br />
della <strong>città</strong> si vedono più chiaramente ed escono dalle ambiguità<br />
del dibattito adulto attualmente in corso.<br />
Naturalmente qui non si presume di trattare questi argomenti<br />
tecnici con la competenza dell’urbanista, del pianificatore.<br />
Si vuol solo proseguire coerentemente ad applicare<br />
questa ottica bambina nell’analisi della <strong>città</strong> e nella<br />
proposta del cambiamento. Preparare un nuovo PRG<br />
80
significa ridisegnare la <strong>città</strong>. Se la <strong>città</strong> riconosce il diritto<br />
di cittadinanza a tutti i suoi cittadini il PRG dovrà essere<br />
specchio di questa scelta 4 . Disegnare una <strong>città</strong> più adatta<br />
ai <strong>bambini</strong> significa disegnarla più bella, più vivibile e quindi<br />
più adatta per tutti.<br />
Una <strong>città</strong> a dimensione di <strong>bambini</strong><br />
Negli ultimi decenni le <strong>città</strong> hanno enormemente aumentato<br />
la loro grandezza, in tempi troppo rapidi e quindi senza<br />
uno sviluppo riflettuto e programmato, guidato da ragioni<br />
prevalentemente speculative e quindi senza preoccupazioni<br />
né estetiche né sociali. <strong>La</strong> <strong>città</strong> è diventata enorme<br />
e pericolosa senza riuscire a creare nuove identità,<br />
nuove appartenenze.<br />
Innanzi tutto occorre ridare al cittadino, a partire dai<br />
<strong>bambini</strong>, la possibilità di riconoscere la propria <strong>città</strong> e di<br />
riconoscersi in essa. Occorre ridare alle <strong>città</strong> una dimensione<br />
compatibile con le capacità di conoscenza e di controllo<br />
<strong>dei</strong> cittadini e soprattutto <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Da questo<br />
punto di vista diventa corretta e improrogabile l’adozione<br />
del progetto di Area Metropolitana che suddivide la metropoli<br />
in vari Comuni che non superino i cento, centocinquantamila<br />
abitanti, che potrebbero corrispondere alle<br />
attuali circoscrizioni. Ogni municipio dovrà avere le caratteristiche<br />
proprie di un ente locale.<br />
Autonomia. Un Comune, con un suo nome, una sua<br />
sede, un suo gonfalone, un suo sindaco, un suo Consiglio<br />
4 Quando incontrai per la prima volta il sindaco di Palermo, che mi chiedeva<br />
di assumere un incarico di consulenza per il progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»<br />
nella sua <strong>città</strong>, mi chiese di lavorare insieme all’architetto Cervellati, che sta preparando<br />
il nuovo PRG di Palermo, perché già dal PRG e dalle scelte ad esso connesse<br />
si potesse capire che la <strong>città</strong> aveva scelto i <strong>bambini</strong>. Mi sembra una bella<br />
sfida culturale e una grande scommessa sulle potenzialità di questa nuova filosofia<br />
di governo.<br />
81
comunale. Titolare di tutti i diritti che i Comuni attualmente<br />
hanno e, speriamo presto, di tutti quei trasferimenti fiscali<br />
e di poteri di governo che lo Stato passerà alle <strong>città</strong>,<br />
la sede più adeguata, almeno nella nostra cultura e rispetto<br />
alla nostra storia, di un autentico decentramento. Si dovrà<br />
poi inventare come amministrare la metropoli, associando<br />
i vari municipi per tutti gli interessi comuni o per<br />
tutti i progetti sovracomunali. Ci sono esperienze straniere<br />
da studiare e ci sono le nostre esperienze di gestione<br />
per esempio della viabilità, che passa da competenze comunali<br />
a quelle provinciali a quelle statali a seconda <strong>dei</strong><br />
territori e degli enti interessati.<br />
Riconoscibilità. In ognuno <strong>dei</strong> Comuni metropolitani si<br />
dovranno effettuare delle scelte urbanistiche ed architettoniche<br />
tali da favorire un senso di identità della popolazione:<br />
ricreare un centro cittadino, delle piazze, le sedi degli<br />
uffici pubblici, i monumenti; luoghi di incontro, di esposizione,<br />
di spettacolo. Naturalmente sarà importante che<br />
gli amministratori chiamati a queste operazioni tengano<br />
nella massima considerazione le tradizioni, le naturali aggregazioni<br />
<strong>dei</strong> luoghi e valorizzino i loro monumenti, da<br />
quelli più aulici e noti <strong>dei</strong> centri storici, alle aree di archeologia<br />
industriale delle periferie, legate alla storia sociale<br />
<strong>dei</strong> quartieri e della <strong>città</strong>. Vale la pena sottolineare ancora<br />
la difficoltà di sviluppo di una adeguata organizzazione<br />
spaziale nei <strong>bambini</strong> che sono cresciuti nelle periferie<br />
anonime e prive di forti indicatori ambientali, rispetto ai<br />
loro compagni cresciuti nei centri storici 5 . Questo significa<br />
che la <strong>città</strong> brutta provoca anche patologie cognitive<br />
(oltre che sociali) e che, se questo avviene nei <strong>bambini</strong>, le<br />
popolazioni delle periferie costruiranno di conseguenza il<br />
loro futuro anche su queste limitazioni, sommando difficoltà<br />
a difficoltà.<br />
82<br />
5 Lynch, 1960; Bonnes, Rullo, 1995.
Percorribilità. Va affermato un importante principio di<br />
democrazia: che tutti i cittadini possano raggiungere i luoghi<br />
di loro competenza e di loro interesse da soli. Questo<br />
rende il cittadino autonomo e libero. In particolare è importante<br />
garantire ai <strong>bambini</strong> una loro autonomia nell’uscire<br />
da casa, recarsi a giocare con gli amici e andare a<br />
scuola a piedi da soli; garantire ai portatori di handicap<br />
percorsi senza barriere e senza soluzione di continuità; garantire<br />
agli anziani passaggi pedonali e attraversamenti sicuri<br />
per incontrarsi fra loro, per andare a ritirare la pensione,<br />
a fare la spesa, al cinema, in chiesa, ecc. È importante<br />
assicurare a tutti i cittadini una reale possibilità di<br />
movimento, di andare a scuola, al lavoro, a divertirsi con<br />
mezzi diversi dall’auto privata e in primo luogo a piedi e<br />
in bicicletta.<br />
Un piano urbano della mobilità<br />
Se la <strong>città</strong> deve essere più percorribile allora non possiamo<br />
impegnarci in un PUT, perché in questo caso siamo<br />
già dentro un’automobile e tutti i problemi finiremo per<br />
leggerli e per affrontarli dal punto di vista dell’automobilista.<br />
Obiettivo dichiarato <strong>dei</strong> PUT è in genere la «fluidificazione»<br />
e la «velocizzazione» del traffico (anche la lingua delle<br />
macchine lascia a desiderare). Suoi strumenti abituali<br />
sono l’allargamento delle strade, il loro raddrizzamento,<br />
l’installazione di semafori intelligenti, l’adozione di sensi<br />
unici, ecc. Sono tutti interventi che di solito non ottengono<br />
il risultato desiderato, e che rendono più difficile la vita<br />
di tutti quelli che non usano la macchina propria.<br />
Non ottengono il risultato previsto perché nelle nostre<br />
<strong>città</strong> circola in media meno della metà delle macchine possedute<br />
dai cittadini. Una metà rimane nei garage, nei parcheggi,<br />
perché muoverle non vale la pena: traffico troppo<br />
83
lento, pochi parcheggi, rischio di multe. Nelle <strong>città</strong> esiste<br />
quindi un «esercito di riserva» che attende che le condizioni<br />
diventino più favorevoli per potersi mettere in movimento.<br />
Se quindi si procede rendendo più fluido il movimento<br />
delle auto, più facile il parcheggio, anche se a pagamento,<br />
l’esercito di riserva si muoverà. Dopo le modifiche<br />
si avranno alcuni giorni di miglioramento del traffico<br />
e poi l’aumento delle auto in movimento vanificherà i benefici.<br />
Avremo di nuovo un collasso della circolazione, ma<br />
con una percentuale di auto molto più alta e allora le soluzioni<br />
diventeranno più difficili e forse impossibili. E in<br />
tutta questa operazione la condizione <strong>dei</strong> pedoni e <strong>dei</strong> ciclisti,<br />
che non è mai stata presa in considerazione, subirà<br />
un grave peggioramento. Questa non è la previsione catastrofica<br />
di un pessimista, è la verifica effettuata in molti<br />
paesi che hanno poi abbandonato queste politiche suicide.<br />
Dovremo invece pensare ad un piano urbano della mobilità,<br />
partendo dal diritto che tutti i cittadini hanno di muoversi<br />
liberamente e senza pericoli nel loro spazio urbano<br />
che è il suolo pubblico. <strong>La</strong> <strong>città</strong> va restituita ai cittadini, anche<br />
quelli che, come i <strong>bambini</strong>, gli anziani, gli handicappati<br />
e molte casalinghe, sono solo pedoni. A loro non servono<br />
leggi più severe, ma una <strong>città</strong> fatta in modo diverso, con<br />
marciapiedi in tutte le strade, rigorosamente liberi dalle<br />
macchine, dalle merci <strong>dei</strong> negozianti e dai segnali stradali,<br />
dai quali scendere senza gradini. Strade che si possano attraversare<br />
senza difficoltà e senza pericolo. Zone pedonali<br />
anche nei quartieri periferici.<br />
Se poi desideriamo veramente che le nostre <strong>città</strong> diventino<br />
più leggere, dovremo privilegiare sistemi di mobilità<br />
alternativa a quella a motore. Una cura particolare si<br />
dovrà dedicare agli spostamenti in bicicletta, almeno tutte<br />
le volte che le caratteristiche della <strong>città</strong> lo consentono.<br />
Le piste ciclabili non possono limitarsi a strisce di strada<br />
separate da righe gialle o cordoli dalla carreggiata delle<br />
macchine, perché non sono sicure, perché sono insa-<br />
84
lubri essendo esposte ai gas di scarico (non si rinuncerà<br />
mai alla macchina se questa è più sana e sicura della bicicletta).<br />
Né vanno pensate prioritariamente come occasione<br />
di attività sportiva, ma come vere alternative alle auto<br />
nella mobilità urbana per andare a scuola, al lavoro, a fare<br />
spesa. Va quindi disegnata una rete di piste ciclabili togliendo<br />
alcune strade alle macchine, passando nei parchi,<br />
sulle sponde <strong>dei</strong> fiumi, a ridosso delle ferrovie. Strade riservate,<br />
protette, sicure, brevi (i percorsi più lunghi alle auto<br />
che «faticano» meno) e il più possibile pulite.<br />
Se siamo veramente una società democratica il piano<br />
urbano della mobilità dovrà tener conto di una gerarchia<br />
di bisogni a partire da quelli <strong>dei</strong> più deboli, quindi prima i<br />
pedoni, poi i ciclisti, poi i mezzi di trasporto pubblico e infine<br />
i mezzi privati. Senza ostracismi, ma con una chiara<br />
scelta delle precedenze.<br />
Se la mobilità diventa l’obiettivo principale, gli strumenti<br />
per realizzarla dovranno essere quelli di seguito indicati:<br />
– Rallentare il traffico automobilistico tutte le volte che<br />
questo insiste su zone residenziali. Non sono sufficienti i<br />
limiti legali, occorre creare condizioni strutturali che impediscano<br />
una maggiore velocità come restringimento<br />
massimo delle carreggiate, lasciare il doppio senso di marcia,<br />
evitare rettilinei che inducono ad aumentare la velocità.<br />
– Privilegiare i percorsi pedonali. Quando sorgono<br />
conflitti e incompatibilità fra i diritti <strong>dei</strong> pedoni e quelli delle<br />
macchine si garantiscono sempre, prioritariamente,<br />
quelli <strong>dei</strong> pedoni. Strettamente connesso con questo punto<br />
è il progetto «A scuola andiamo da soli» che vuol essere<br />
un approccio educativo per una modalità diversa di<br />
pensare la mobilità nelle future generazioni.<br />
– Privilegiare i percorsi ciclabili destinando con coraggio<br />
alcune strade al solo traffico ciclistico. L’apparente<br />
danno alla circolazione delle auto sarà compensato dal mi-<br />
85
nor numero di auto circolanti se un numero sempre maggiore<br />
di cittadini si convertirà a questo tipo di trasporto. Il<br />
progetto «A scuola ci andiamo da soli» per la scuola media<br />
dovrebbe puntare principalmente proprio sull’uso della<br />
bicicletta.<br />
– Ridurre e decentrare i parcheggi. Se si vuole aumentare<br />
la qualità del centro storico, o comunque delle zone<br />
residenziali, occorre impedire il passaggio di auto. Perché<br />
questo obiettivo si riveli realizzabile occorre ripensare<br />
criticamente la collocazione <strong>dei</strong> parcheggi in centro perché<br />
la loro presenza attira le auto, e decentrarli educando<br />
la gente ad arrivare al centro solo con mezzi pubblici, in<br />
bicicletta o a piedi.<br />
– Rendere competitivi i mezzi pubblici. In questo nuovo<br />
scenario di <strong>città</strong> più leggera, più pulita e più silenziosa<br />
va ripensato il problema <strong>dei</strong> mezzi pubblici. Mezzi pubblici<br />
anch’essi adatti a tutti i cittadini e quindi di facile accesso,<br />
con entrate a livello del marciapiedi, silenziosi, ecologici,<br />
puntuali e con percorsi riservati. Dovrà insomma essere<br />
di gran lunga più veloce, comodo ed economico<br />
muoversi con mezzi alternativi all’auto privata. Il cittadino<br />
non è stupido e sceglie sempre seguendo criteri di economia.<br />
Se potrà muoversi facilmente con mezzi alternativi,<br />
lascerà volentieri la sua auto in garage.<br />
– Dare il buon esempio. Sarà infine importante che<br />
anche i vigili e la polizia impegnati in area urbana si muovano<br />
o a piedi o in bicicletta.<br />
I nostri amministratori sono oggi chiamati ad una scelta<br />
importante e coraggiosa. Debbono operare le loro scelte<br />
con la convinzione che favorendo la mobilità leggera,<br />
<strong>dei</strong> pedoni e delle biciclette, e quella pubblica, l’uso <strong>dei</strong><br />
mezzi privati tenderà lentamente ma regolarmente a diminuire.<br />
Questo significa non investire risorse per la «fluidificazione»<br />
del traffico, per l’allargamento delle carreggiate,<br />
per l’installazione <strong>dei</strong> semafori intelligenti. Significa<br />
86
invece investire in marciapiedi, in attraversamenti sicuri,<br />
in piste ciclabili, nel rallentamento del traffico. Questo<br />
stanno facendo da alcuni anni molti paesi del centro e del<br />
nord Europa ottenendo significativi risultati 6 .<br />
Ripopolare il centro storico<br />
Il centro storico delle <strong>città</strong> è un luogo dove i <strong>bambini</strong> potrebbero<br />
vivere bene, grazie alle zone pedonali, alle piazze<br />
e piazzette, ai giardini, ai monumenti, alle fontane e alla<br />
stessa struttura urbana che ben si presta allo spostamento<br />
pedonale e al gioco. D’altra parte è oggi difficile<br />
per le giovani coppie sposarsi e aver figli anche per la carenza<br />
di alloggi. Si potrebbe assumere un preciso impegno<br />
per recuperare il maggior numero di aree e fabbricati<br />
di proprietà pubblica del centro storico, degradati, inutilizzati<br />
o male utilizzati e destinarli alla edilizia popolare<br />
per assegnare gli appartamenti preferibilmente a giovani<br />
coppie. Riportare i <strong>bambini</strong> al centro delle <strong>città</strong> sarà una<br />
operazione di grande valore civico, vi riporterà la vita, il<br />
chiasso <strong>dei</strong> giochi. Un’altra categoria che potrebbe essere<br />
favorita da tale impegno è quella degli anziani che nel<br />
centro potrebbero ritrovare una propria autonomia, che<br />
nei quartieri periferici fatalmente perdono per la lontananza,<br />
l’altezza <strong>dei</strong> fabbricati e la mancanza di stimoli.<br />
Vecchi e <strong>bambini</strong> sono fatti apposta per stare insieme e il<br />
centro di una <strong>città</strong> è il posto migliore per il loro incontro,<br />
per la loro complicità.<br />
6 A Copenaghen si sta sperimentando il prestito gratuito di migliaia di biciclette<br />
in decine di stazioni di sosta. Il cittadino può prendersi una bicicletta in<br />
una stazione e, dopo averla usata, lasciarla in un’altra stazione, quella a lui più<br />
comoda.<br />
87
Rinunciare agli spazi gioco per <strong>bambini</strong><br />
Gli spazi gioco per <strong>bambini</strong>, separati e specializzati, sono<br />
rigorosamente uguali in tutte le nostre <strong>città</strong> e in tutto il<br />
mondo, e il loro obiettivo, come si diceva sopra, non è di<br />
soddisfare le esigenze di gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, ma di rispondere<br />
alle preoccupazioni degli adulti. Per fare questo il<br />
progettista non solo definisce l’area ma indica anche presuntuosamente<br />
i tipi e le modalità <strong>dei</strong> giochi che un bambino<br />
vi potrà fare. Se proviamo a ricordare quali erano i<br />
luoghi migliori per i nostri giochi da <strong>bambini</strong> 7 , noteremo<br />
con sorpresa che erano quelli che «non servivano» agli<br />
adulti. Penso alle scale, al sottoscala, al marciapiedi, alle<br />
case bombardate in <strong>città</strong>; alla capanna degli attrezzi, alla<br />
scarpata fra la strada e il campo in campagna. Erano anche,<br />
quasi sempre, luoghi proibiti, dove si andava a rischiare<br />
per divertirsi e per diventare grandi.<br />
Tutto questo vale anche oggi, così come dimostrano<br />
numerosi studi e ricerche: ai <strong>bambini</strong> non piacciono gli<br />
spazi rigidamente definiti, separati, dedicati. Preferiscono<br />
gli spazi duttili, utilizzabili in maniere diverse a seconda<br />
delle esigenze del gioco 8 . Spesso preferiscono condividere<br />
gli spazi degli adulti, inventandosi modalità e usi nuovi<br />
e creativi. Si pensi ad esempio come i <strong>bambini</strong> che hanno<br />
la fortuna di avere la loro cameretta fin dai primi anni<br />
(ancora uno spazio separato e specializzato), rifiutino sistematicamente<br />
di utilizzarla come spazio di gioco e preferiscano<br />
invece giocare nella cucina dove sfaccenda la<br />
mamma, magari inventandosi fantastici ambienti sotto il<br />
tavolo o intorno al lavello.<br />
7 Ho più volte ricordato che non è corretto riandare al passato perché l’esperienza<br />
che si offre ai nostri <strong>bambini</strong> è assolutamente nuova e richiede proposte<br />
e soluzioni nuove, ma se è vero che i <strong>bambini</strong> hanno oggi perduto molte<br />
delle loro possibilità di gioco allora, almeno per «ritrovare la strada», può essere<br />
utile esaminare le condizioni e le caratteristiche del gioco della nostra infanzia.<br />
8 Si vedano i riferimenti bibliografici su «Il gioco e l’ambiente urbano».<br />
88
Il problema vero è che noi adulti non siamo capaci di<br />
progettare spazi per il gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, e se veramente<br />
vogliamo rispondere ai loro bisogni, invece che dedicare,<br />
disegnare spazi per loro, dovremmo imparare a lasciare<br />
loro degli spazi. <strong>La</strong>sciare spazi non significa rinunciare a<br />
progettare, significa invece progettare diversamente, con<br />
più umiltà, con più generosità, con più creatività, pensando<br />
che, il come giocare, a che cosa e con cosa, lo sanno i<br />
<strong>bambini</strong>. <strong>La</strong>sciare spazi significa regalare. Questo vuol dire<br />
che nel disegno della <strong>città</strong> dovranno scomparire gli spazi<br />
dedicati ai <strong>bambini</strong>, ed essere invece previsti spazi ricchi,<br />
frequenti, vicini, originali, aperti a tutti, adatti ai <strong>bambini</strong> e<br />
agli anziani, a chi vuol leggere il giornale e agli innamorati.<br />
Spazi ricchi significa articolati, mossi, con ostacoli, cespugli,<br />
muretti, alberi, materiali diversi. Spazi dove ciascuno<br />
possa fare ciò che vuole, perché non sono mono-uso,<br />
non sono dedicati ma sono appunto spazi lasciati.<br />
Mi sembra questa una bella sfida per i progettisti, un invito<br />
a rinunciare al primato del disegno, al primato del<br />
punto di vista dell’autore, per dare spazio ad altre ottiche,<br />
ad altre prospettive. Scoprire che uno spazio può essere<br />
bello e funzionale anche se non sembra neppure progettato.<br />
E per fare questo il contributo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> potrà essere<br />
importante, forse indispensabile. Il progettista della<br />
nuova <strong>città</strong> sarà un professionista che avrà imparato a parlare<br />
con i <strong>bambini</strong>, ad ascoltarli, a capirli, a lavorare con<br />
loro e a progettare con loro. Chi saprà tener conto del punto<br />
di vista <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> troverà poi naturale preoccuparsi di<br />
quello degli anziani, degli handicappati, <strong>dei</strong> poveri.<br />
<strong>La</strong> strada, un luogo di tutti<br />
«Ragazzo di strada, donna di strada» o il più recente «<strong>bambini</strong><br />
di strada», sono espressioni che indicano riprovazione,<br />
condanna, rifiuto. <strong>La</strong> strada, simbolo di degrado eco-<br />
89
nomico e morale, è il luogo del massimo inquinamento atmosferico,<br />
del chiasso, del pericolo provocato dal traffico;<br />
è il luogo <strong>dei</strong> furti, degli scippi, dello spaccio; è il luogo <strong>dei</strong><br />
drogati, <strong>dei</strong> barboni, degli zingari, <strong>dei</strong> mendicanti. Di fronte<br />
a questo degrado la <strong>città</strong> risponde, come già si è detto,<br />
difendendosi. <strong>La</strong> strada è nemica e va tagliata fuori, isolata,<br />
abbandonata. Il cittadino per bene si chiude in casa,<br />
si garantisce nei confronti dell’esterno e percorre la strada<br />
solo al sicuro della sua auto e, se possiede un cane, la<br />
usa come luogo dove portarlo per soddisfare i suoi bisogni.<br />
In modo parallelo le persone che sono costrette a<br />
vivere nella strada vedono peggiorare le loro condizioni<br />
e si allontanano progressivamente da quelli che vivono<br />
chiusi in casa.<br />
Da un lato i <strong>bambini</strong> reclusi, soli e affidati alla televisione<br />
e dall’altro i <strong>bambini</strong> di strada, che giocano in mezzo<br />
alle immondizie, si inselvatichiscono, diventano aggressivi<br />
e pericolosi per garantirsi il necessario per vivere.<br />
I reclusi delle case cominciano a temere gli abitanti delle<br />
strade, li evitano, li denunciano, arrivano perfino a chiederne<br />
la soppressione, fino a pagare sicari, squadroni della<br />
morte. Non sto accennando ad una possibile trama di<br />
un romanzo di fantascienza, ma a quello che purtroppo<br />
sta avvenendo in parte in molte delle nostre <strong>città</strong> europee<br />
e fino alla terrificante ma coerente conclusione, nelle<br />
grandi metropoli sudamericane.<br />
Assumere il bambino come parametro di cambiamento<br />
significa anche, o forse prioritariamente, ridare alle nostre<br />
strade il ruolo sociale, di luogo pubblico, dell’incontro,<br />
del passeggio e del gioco che hanno avuto e che debbono<br />
recuperare. Le strade non diventeranno sicure quando<br />
saranno piantonate dalla polizia, dall’esercito o dalle ronde<br />
volontarie, ma quando verranno conquistate dai <strong>bambini</strong>,<br />
dagli anziani, dai cittadini. <strong>La</strong> strada frequentata tornerà<br />
ad essere pulita, ad avere i marciapiedi a disposizio-<br />
90
ne <strong>dei</strong> pedoni, tornerà ad essere bella, invitante per il passeggio,<br />
per la sosta.<br />
Il desiderio più o meno espresso degli amministratori,<br />
delle istituzioni, è di poter rimettere «dentro» i <strong>bambini</strong><br />
perduti, abbandonati, di strada. Per i casi più gravi si pensa<br />
anche alla reclusione in carcere o in istituto, ma più comunemente<br />
si pensa alla scuola. L’idea comune è che se<br />
si riuscirà a riportarli a scuola, nel luogo di sicurezza <strong>dei</strong><br />
nostri figli, saranno recuperati. Questo non è assolutamente<br />
vero, a meno che la scuola non si renda disponibile<br />
ad una profonda e radicale conversione. Nella scuola attuale,<br />
dove hanno successo gli allievi che sopportano pazientemente<br />
cinque ore di immobilità, che sanno leggere<br />
e scrivere bene, che sono disposti a studiare anche cose<br />
del tutto inutili o comunque difficilmente comprensibili,<br />
questi <strong>bambini</strong> entreranno sempre da perdenti, per essere<br />
presto sconfitti. Quando non reggeranno più l’umiliazione<br />
di non capire, di non riuscire, reagiranno, nasceranno<br />
conflitti insuperabili e torneranno nella strada.<br />
Che sia la scuola a rifiutarli o loro a rifiutare la scuola,<br />
non cambia nulla. <strong>La</strong> scuola avrà fallito e sarà responsabile<br />
di un danno maggiore: rimandarli nella strada umiliati<br />
e quindi nelle migliori condizioni per accettare il «riscatto»<br />
di chi vorrà credere in loro mettendo nelle loro mani<br />
una dose di droga o una pistola.<br />
Allora mi sembra più convincente e ricca di prospettiva<br />
una soluzione alternativa: riqualifichiamo la strada, liberiamola<br />
dalle immondizie, facciamo in modo che il territorio<br />
abituale e sicuro di questi <strong>bambini</strong>, più liberi e più<br />
svantaggiati, sia bello e sano. Lo sia tanto da invitare i nostri<br />
figli, quelli chiusi in casa, a scendere per giocare con<br />
loro approfittando delle loro sicurezze e delle loro abilità.<br />
Forse poi, tutti insieme, verrà loro voglia di andare anche<br />
da qualche parte, forse anche a scuola 9 .<br />
9 Si veda la scheda n° 19: «Un giardino di pietra».<br />
91
I <strong>bambini</strong> che aspettano<br />
Spesso i <strong>bambini</strong> aspettano, anche per tempi lunghi, mentre<br />
i loro genitori fanno la fila, aspettano il treno, visitano<br />
un museo. Gli adulti sanno aspettare, sanno perché aspettano,<br />
sanno come passare il tempo, o per lo meno sanno<br />
rassegnarsi a questa necessità, ma per i <strong>bambini</strong> è più difficile.<br />
Per loro non ha senso stare buoni, in fila, senza fare<br />
nulla. Allora manifestano il loro malessere diventando insopportabili,<br />
facendo capricci, rendendo così ancora più<br />
difficile la situazione <strong>dei</strong> loro genitori e degli altri adulti.<br />
Spesso si considerano cattivi i <strong>bambini</strong>, altre volte imprevidenti<br />
i loro genitori. <strong>La</strong> verità è che molto spesso i genitori<br />
non hanno alternative al portarsi dietro i figli e quando<br />
i <strong>bambini</strong> sono «cattivi» vuol dire che stanno vivendo<br />
male, che sono maltrattati. <strong>La</strong> <strong>città</strong> dovrebbe farsi carico di<br />
questo disagio <strong>dei</strong> più piccoli offrendo iniziative e strutture<br />
adeguate. Negli uffici pubblici come l’anagrafe, le circoscrizioni,<br />
le sedi USL, nei musei, nelle stazioni ferroviarie,<br />
negli aeroporti, insomma in tutti i luoghi dove le persone<br />
aspettano e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> potrebbero dover aspettare con<br />
loro, si dovrebbero aprire locali dove i <strong>bambini</strong> possano<br />
giocare tra loro, trovare <strong>dei</strong> giocattoli, leggere un libro, disegnare,<br />
ecc. In alcuni casi una persona li accoglierà, li aiuterà<br />
a passare bene il tempo, mentre i genitori faranno la<br />
loro coda. Con un po’ di ingegno le varie sedi potrebbero<br />
offrire, per il gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, attività pertinenti alle loro<br />
caratteristiche, diventando così una proposta significativa<br />
ed originale. L’ufficio postale per esempio potrebbe avere<br />
una piccola sala nella quale i <strong>bambini</strong> possano giocare all’ufficio<br />
postale, con timbri, bilancia, vecchi francobolli, lettere<br />
da scrivere, ecc.<br />
Sono iniziative che certamente hanno un loro costo,<br />
ma anche il malessere <strong>dei</strong> cittadini ha un suo costo. Oggi<br />
abbiamo meno <strong>bambini</strong> e quindi abbiamo docenti in esu-<br />
92
ero. Invece di inventare mille trucchi per aumentare gli<br />
insegnanti e ridurre gli alunni in ogni classe, una parte degli<br />
insegnanti potrebbe, se lo desiderano, assumere questi<br />
nuovi ruoli di animatori di attività per i <strong>bambini</strong> nella <strong>città</strong>.<br />
<strong>La</strong> proposta non è coerente con la denuncia più volte sottolineata<br />
<strong>dei</strong> luoghi separati e specializzati, ma, in attesa<br />
di una <strong>città</strong> più adatta ai <strong>bambini</strong>, sembra un necessario<br />
male minore. Questi sarebbero piccoli atti di affetto della<br />
<strong>città</strong> verso i cittadini più piccoli, particolarmente apprezzati<br />
dagli adulti.<br />
Il sindaco dovrebbe per primo affrontare questo problema<br />
nei luoghi di sua competenza come l’anagrafe, le<br />
circoscrizioni, gli uffici tributari, per affermare nella pratica<br />
la sua scelta nei confronti <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, per dare il buon<br />
esempio. Potrebbe poi invitare tutti gli enti pubblici e privati,<br />
perché anche loro pensino ai <strong>bambini</strong>, e mettere a<br />
loro disposizione la consulenza e l’aiuto del <strong>La</strong>boratorio<br />
«<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />
Le strutture alberghiere e di ristorazione<br />
Sempre più spesso capita che i <strong>bambini</strong> accompagnino i<br />
genitori in ristoranti ed alberghi. Dovrebbero essere per<br />
loro esperienze nuove, eccitanti, desiderate, così come lo<br />
sono in genere per gli adulti, e invece sono spesso esperienze<br />
stancanti e frustranti.<br />
In particolare i <strong>bambini</strong> mal sopportano i ritmi e i tempi<br />
degli adulti. Gli adulti prendono l’aperitivo e parlano,<br />
dopo mangiato prendono il caffè e parlano; i <strong>bambini</strong><br />
aspettano. Agli adulti piace passare molto tempo a tavola,<br />
perché è una buona occasione per stare insieme, per<br />
scambiare opinioni e informazioni. Il bambino è spesso<br />
solo, comunque escluso da questi discorsi, che toccano ar-<br />
93
gomenti che non conosce o non lo interessano, come le<br />
confidenze sui vari conoscenti o le discussioni sui temi della<br />
politica. Col bambino gli adulti risolvono il problema<br />
della sua presenza e del suo coinvolgimento chiedendo alcune<br />
informazioni sulla sua scuola: sembra che il mondo<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> cominci e finisca dentro l’aula scolastica.<br />
Poi c’è il problema del piatto pieno e la convinzione degli<br />
adulti che un bambino non sia in grado di valutare né la<br />
qualità, né la quantità del cibo. Per gli adulti mangiare è un<br />
piacere, per i <strong>bambini</strong> un dovere. Naturalmente questo tende<br />
a creare un rifiuto da parte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e quindi il quotidiano<br />
conflitto su quello che piace e quello che fa bene.<br />
Per l’albergo c’è infine il problema della libertà. Questo<br />
posto speciale, dove c’è qualcuno che pulisce, che rifà i letti<br />
e dove i grandi si sentono particolarmente liberi, per i<br />
<strong>bambini</strong> è spesso un luogo di maggiori difficoltà e limitazioni.<br />
I <strong>bambini</strong> sono consapevoli di tutto questo e hanno<br />
idee chiare nel formulare proposte, come si potrà vedere<br />
nella esperienza di Fano 10 . Sono proposte semplici, realizzabili,<br />
che forse avremmo potuto pensare anche noi<br />
adulti. I <strong>bambini</strong> chiedono di mangiare fra loro, di servirsi<br />
da soli, di avere più autonomia, di poter amministrare il<br />
loro tempo. Chiedono insomma per loro quello che noi<br />
adulti pretendiamo per noi.<br />
L’ospedale pediatrico<br />
Anche l’ospedale dovrebbe diventare adatto al bambino,<br />
riconoscendo i suoi diritti, le sue caratteristiche, i suoi bi-<br />
10 Si veda l’esperienza che si sta sviluppando a Fano riferita nella scheda n°<br />
14: «Un marchio di qualità <strong>bambini</strong> per alberghi e ristoranti».<br />
94
sogni; senza dimenticare mai che prima di essere un paziente<br />
è un bambino.<br />
Il bambino non dovrebbe mai andare in ospedale, se<br />
questo non è assolutamente indispensabile; dovrebbe essere<br />
l’ospedale ad andare da lui, con i suoi medici, con i<br />
suoi infermieri, se è necessario con unità mobili. Un tale<br />
funzionamento dell’ospedale dovrebbe essere più economico<br />
e meno traumatico per i piccoli pazienti, che potrebbero<br />
evitare il distacco dalle proprie case, dagli affetti,<br />
dalle sicurezze.<br />
Quando è necessario che vada in ospedale è importante<br />
che non ci dorma. Il momento del sonno è quello<br />
che crea più disagi affettivi al bambino. Anche a casa, d’altronde,<br />
è vissuto come un distacco e per questo si creano<br />
i complessi rituali dell’accompagnamento, della fiaba, del<br />
bacio della buona notte.<br />
Se deve dormire in ospedale, ci debbono essere due letti,<br />
uno per il bambino e uno per il genitore, in un ambiente<br />
accogliente e che possa essere personalizzato con i giocattoli,<br />
le cose a cui è legato affettivamente. Questo, che<br />
oggi potrebbe sembrare un lusso, in un ospedale che ricovera<br />
solo eccezionalmente, potrà diventare possibile.<br />
Il bambino ricoverato deve stare a letto il meno possibile,<br />
se questo è compatibile con le sue condizioni. Bisogna<br />
rompere questa strana abitudine ospedaliera che identifica<br />
il paziente con il suo letto, che lo priva di tutti i<br />
simboli della sua identità, perfino <strong>dei</strong> vestiti, impedendogli<br />
ogni via d’uscita, facendolo sentire in trappola.<br />
Naturalmente se il piccolo paziente può stare fuori dal<br />
letto, deve avere luoghi diversi in cui passare il tempo, in<br />
modo interessante e produttivo, insieme agli altri <strong>bambini</strong><br />
ricoverati e ai suoi amici che lo vengono a trovare. Luoghi<br />
di gioco, materiali per giocare, per dipingere, per manipolare,<br />
per costruire. Questi luoghi possono essere al<br />
chiuso e all’aperto. È opportuno che ci sia un luogo più<br />
raccolto dove leggere, studiare, scrivere, disegnare, dota-<br />
95
to di una buona biblioteca, del computer, <strong>dei</strong> vari materiali.<br />
Un luogo dove vedere la televisione, forse meglio a<br />
circuito chiuso e con una buona videoteca, piuttosto che<br />
non collegata ai programmi di rete che farebbero il bambino<br />
di nuovo schiavo <strong>dei</strong> cartoni di basso livello e della<br />
pubblicità.<br />
Naturalmente queste risorse saranno a disposizione anche<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> che non possono lasciare il letto, con adeguati<br />
supporti (tavolinetti, piani mobili, televisore nelle<br />
stanze, biblioteca mobile). Si dovranno anche studiare adeguate<br />
soluzioni per quando i <strong>bambini</strong> si trovano in particolari<br />
condizioni materiali (per esempio quando non possono<br />
utilizzare una mano per la flebo) o psicologiche (per<br />
esempio quando perdono i capelli per le terapie oncologiche).<br />
Una cura particolare si dovrà porre nella preparazione<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> agli interventi più traumatici, dalla iniezione<br />
all’intervento chirurgico. Per questo può essere importante<br />
avere angoli di gioco dove i <strong>bambini</strong> possano giocare<br />
al dottore, usando mascherine per l’anestesia, siringhe,<br />
bende, ecc. È molto bello che alcuni ospedali chiamino <strong>dei</strong><br />
clown per far compagnia ai piccoli pazienti. Anche in questo<br />
caso un bravo clown «dottore» (e in genere sono bravi)<br />
può fare molto per esorcizzare la paura <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
Compatibilmente con le sue condizioni di salute dovrà<br />
essere garantito il massimo collegamento del bambino<br />
con il mondo esterno e in particolare con i suoi amici, sia<br />
per il gioco che per la scuola. Bisogna stare attenti a non<br />
considerare la scuola come unico interesse del bambino e<br />
come unico aggancio al mondo esterno. Sarebbe opportuno<br />
che gli amici potessero venire nelle ore che desiderano,<br />
senza eccessive limitazioni. Se capiteranno durante<br />
la visita o le piccole medicazioni, potrà essere per loro una<br />
utile esperienza e potranno, con la loro presenza, incoraggiare<br />
i piccoli pazienti.<br />
Il bambino in ospedale non dovrebbe modificare i suoi<br />
orari abituali. Non è facile capire perché una persona che<br />
96
sta male, che deve lasciare il suo ambiente abituale, che<br />
deve prepararsi ad esperienze preoccupanti e spesso dolorose,<br />
debba anche modificare radicalmente le sue abitudini:<br />
essere svegliato all’alba per misurare la temperatura,<br />
pranzare a mezzogiorno e cenare alle sei, per poi affrontare<br />
lunghissime serate senza sapere come passare il tempo.<br />
<strong>La</strong> spiegazione che sempre mi è stata data è che questi<br />
orari sono funzionali ai turni del personale paramedico.<br />
Ma siamo matti? È possibile che un servizio così<br />
delicato venga offerto alle condizioni di chi lo fornisce e<br />
non di chi lo riceve? Le abitudini debbono quindi essere rispettate<br />
e allora, per esempio, la sveglia con la colazione<br />
sarà alle otto, il pranzo alle tredici e la cena alle venti. Tenendo<br />
conto di questi orari il personale deciderà in tutta<br />
libertà e autonomia come organizzare i turni.<br />
Dovranno essere attentamente evitate le immagini e le<br />
suggestioni paurose, le pareti rigorosamente bianche, i<br />
lettini «da ospedale», i camici bianchi, i ferri chirurgici bene<br />
in vista e tintinnanti nel carrello anche se si deve solo<br />
cambiare una fasciatura o misurare la temperatura.<br />
Sarebbe bene che i <strong>bambini</strong> che debbono trascorrere<br />
lunghi periodi in ospedale possano essere ascoltati, essere<br />
consultati. Potrebbe esserci un Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
che esprime i suoi pareri, che discute con i medici, che<br />
realizza suoi messaggi, suoi manifesti, in spazi riservati.<br />
Questa esperienza di partecipazione dovrebbe essere seguita<br />
da un adulto che possa garantirne la continuità. Potrebbe<br />
essere un medico o un infermiere, che abbiano desiderio<br />
e capacità di allargare il loro settore di intervento.<br />
Piccole cose che però farebbero sentire i piccoli malati<br />
meno estranei e più partecipi.<br />
Il reparto pediatrico dovrà scegliere e poi formare i suoi<br />
operatori, medici e paramedici, anche per la loro capacità<br />
di stare con i <strong>bambini</strong>. Si pensi che il Comune di Reggio<br />
Emilia per le sue scuole dell’infanzia ha assunto un burattinaio.<br />
Un ospedale pediatrico potrebbe a ben ragione<br />
97
avere un animatore, un clown, ecc. Alcune di queste figure<br />
saranno certamente reperibili fra il personale in servizio,<br />
altre potrebbero essere fornite da appositi accordi con<br />
il Provveditorato agli studi e con il Comune.<br />
Anche in questo caso credo si comprenda immediatamente<br />
l’uso «strumentale» <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Se l’ospedale pediatrico<br />
cambiasse si potrebbe poi chiedere all’ospedale<br />
per gli adulti di cambiare, perché tutto quello che si è detto<br />
sopra per i <strong>bambini</strong> credo possa valere esattamente anche<br />
per i grandi.<br />
Non scrivo questi appunti sull’ospedale solo per una<br />
coerente applicazione <strong>dei</strong> principi generali del progetto,<br />
ma perché ho vissuto vicino ad un bambino di sette anni<br />
gli ultimi suoi cinque mesi di vita. Questo bambino è stato<br />
per me un grande maestro. Era malato di tumore al cervello,<br />
era sereno, desideroso di giocare. È stato cinque<br />
mesi a letto, spesso senza reale necessità, tanto che alcuni<br />
suoi compagni di sventura facevano le terapie in day<br />
hospital. Per la maggior parte del tempo aveva un braccio<br />
immobilizzato dalle flebo. <strong>La</strong> mamma ha passato cinque<br />
mesi su una seggiola, potendo allungare una sdraia la notte,<br />
solo per la tolleranza del personale. Pur essendo curato<br />
con tutta l’attenzione necessaria e anche con molto affetto<br />
da tutto il personale, questo bambino ha passato gli<br />
ultimi cinque mesi di vita senza che nessuno, tranne la<br />
madre e noi suoi amici, si preoccupasse del suo bisogno<br />
di giocare. Ho vissuto questa esperienza, così dura e così<br />
ricca, come una grande ingiustizia. Non si può togliere ad<br />
un bambino la possibilità di giocare. Non possono passare<br />
così i suoi ultimi mesi di vita.<br />
Una scuola adatta ai <strong>bambini</strong><br />
Ho lavorato con la scuola e nella scuola, come ricercatore,<br />
per trenta anni. Ho partecipato attivamente a varie<br />
98
proposte di innovamento metodologico e pedagogico e<br />
continuo ad occuparmi di educazione scolastica ed extrascolastica.<br />
Ma fino a che non mi sono occupato della <strong>città</strong>,<br />
fino a che non mi è sembrato assurdo che i <strong>bambini</strong> non<br />
avessero nella <strong>città</strong> né voce né potere, pur essendo cittadini,<br />
fintanto che non abbiamo cominciato a realizzare<br />
forme concrete di partecipazione <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> alla modifica<br />
e alla progettazione della <strong>città</strong> (dal Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
ai <strong>bambini</strong> progettisti), fino ad allora non mi ero reso<br />
conto che nella scuola i <strong>bambini</strong> non contano niente. Nessuno<br />
si preoccupa di conoscere il loro parere. Gli organi<br />
collegiali riconoscono la rappresentanza studentesca solo<br />
nelle scuole medie superiori. È come se i <strong>bambini</strong> di tre,<br />
di otto, di dodici anni non avessero idee, opinioni, preferenze.<br />
D’altra parte non stupisce nessuno, né gli insegnanti,<br />
né i genitori e men che meno gli stessi <strong>bambini</strong>,<br />
che gli alunni non amino la loro scuola, che ci vadano malvolentieri,<br />
che desiderino l’arrivo dell’intervallo, della domenica,<br />
delle vacanze.<br />
Per la <strong>città</strong> cominciamo a pensare di non poter prescindere<br />
dal contributo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, eppure la <strong>città</strong> non è<br />
fatta solo per loro. Per la scuola continuiamo ad ignorarli<br />
pur essendo fatta solo e appositamente per loro. Per la<br />
<strong>città</strong> abbiamo creato un Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> 11 , chiedendo<br />
ad ogni scuola della <strong>città</strong> di inviare due rappresentanti,<br />
ma le scuole della <strong>città</strong> fino ad ora non hanno pensato<br />
di darsi anche loro, al loro interno e per il loro funzionamento,<br />
una organizzazione democratica.<br />
Una esperienza di democrazia<br />
<strong>La</strong> scuola di tutti i livelli dedica tempo alla educazione civica.<br />
Intende cioè insegnare le basi della democrazia, ma<br />
11 Si veda la scheda n° 2: «Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />
99
la democrazia non si può insegnare, occorre viverla. Questo<br />
potrebbe essere un primo e importante impegno che<br />
la scuola assume facendo propria la filosofia di questo progetto:<br />
creare occasioni di reale partecipazione democratica<br />
alla sua gestione da parte degli allievi di ogni livello.<br />
Questa proposta potrebbe realizzarsi dando il valore<br />
più alto all’assemblea di classe, che potrebbe esprimere<br />
due rappresentanti, un maschio e una femmina, per formare<br />
il Consiglio di scuola <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. I rappresentanti<br />
potrebbero incontrarsi periodicamente fra loro per discutere<br />
i problemi della scuola e le proposte da avanzare. Potrebbero<br />
incontrarsi da soli o insieme ad un insegnante delegato<br />
a seguire i lavori del Consiglio. Il dirigente scolastico<br />
potrebbe chiedere la convocazione del Consiglio per<br />
discutere con i rappresentanti degli allievi alcuni punti della<br />
organizzazione scolastica.<br />
Il Consiglio, in alcune occasioni particolari, potrebbe<br />
incontrarsi con il Consiglio di circolo o di istituto, o con il<br />
Collegio <strong>dei</strong> docenti, per comunicare proposte e proteste,<br />
esattamente come avviene fra il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e il<br />
Consiglio comunale nel Comune di Fano e come avverrà<br />
presto negli altri Comuni interessati al progetto.<br />
Sarebbe auspicabile che il Consiglio di scuola avesse<br />
uno spazio dove incontrarsi, da arredare liberamente. Potrebbe<br />
avere delle risorse economiche, magari raccolte<br />
con iniziative degli stessi studenti, da amministrare; uno<br />
spazio murale libero e riservato per la comunicazione con<br />
i compagni di scuola. Potrebbe avere un monte ore da usare<br />
secondo le proprie indicazioni. Gli studenti delle<br />
scuole superiori mandano da alcuni anni segnali precisi<br />
con le loro esperienze di autogestione. Sarebbe diverso se<br />
tutti gli studenti, a partire dai primi anni di scolarità, avessero<br />
spazi e tempi propri, per esprimersi, per protestare<br />
ma anche per proporre e per organizzare.<br />
Naturalmente questo non significa affermare che la<br />
scuola debba essere organizzata come vogliono gli allievi:<br />
100
vuol dire che non ha senso pensare, amministrare, organizzare<br />
la scuola, a prescindere da quello che gli allievi<br />
pensano. Vuol dire tenerne conto. Ma vuol dire anche<br />
porre in essere una esperienza di democrazia, a volte diretta,<br />
a volte delegata, che potrà valere certamente molto<br />
di più di tante lezioni di educazione civica.<br />
Quando la <strong>città</strong> organizza un suo <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong> <strong>città</strong><br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» e apre un Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> allora saranno<br />
i Consigli di scuola <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> che esprimeranno<br />
due loro delegati, sempre un maschio e una femmina, per<br />
rappresentare la scuola. I delegati non si sentiranno soli,<br />
avranno la possibilità di riferire attraverso il Consiglio di<br />
scuola e le assemblee di classe i risultati delle riunioni del<br />
Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> a tutti i compagni e di raccogliere le<br />
loro proposte per l’incontro successivo.<br />
Una esperienza di educazione ambientale:<br />
progettare la propria <strong>città</strong><br />
Oggi si parla molto di educazione ambientale e spesso la<br />
scuola si impegna in progetti di educazione ambientale,<br />
ma quasi sempre si tratta di argomenti naturalistici o di rifiuti<br />
solidi urbani. Si studiano il bosco, il fiume, l’inquinamento,<br />
il riciclaggio o la raccolta differenziata <strong>dei</strong> rifiuti.<br />
<strong>La</strong> prima preoccupazione dell’educazione ambientale dovrebbe<br />
essere invece quella di aiutare gli allievi a conoscere<br />
e a controllare l’ambiente dove vivono.<br />
Conoscere l’ambiente sperimentandolo, percorrendolo,<br />
vivendolo e poi studiarlo operativamente per comprenderne<br />
la storia, le caratteristiche, i limiti, le risorse, in<br />
vista di un intervento operativo, reale, in collaborazione o<br />
in conflitto con gli amministratori, per garantire alla propria<br />
<strong>città</strong> un futuro migliore, uno sviluppo sostenibile.<br />
<strong>La</strong> scuola diventerebbe così un laboratorio di studi am-<br />
101
ientali e di intervento territoriale, attraverso l’analisi <strong>dei</strong><br />
problemi e la progettazione partecipata di spazi urbani e<br />
di soluzioni ai problemi incontrati. Per fare questo cercherà<br />
la collaborazione degli uffici pubblici (dal catasto ai<br />
lavori pubblici, dai vigili urbani all’assessorato all’urbanistica)<br />
e di professionisti esperti nei settori indagati (architetti,<br />
urbanisti, sociologi, economisti, ecc.) 12 .<br />
<strong>La</strong> scuola potrebbe così diventare una istituzione capace<br />
di compromettersi, di portare il suo impegno fuori delle<br />
sue mura, confrontandosi con la realtà, con la gente,<br />
con le autorità, prendendo posizione, protestando. Insomma<br />
la scuola potrà scrivere sulla sua porta quella parola<br />
così impegnativa che don Milani scrisse sulla porta<br />
della sua scuola, nella canonica di Barbiana: «I care» 13 .<br />
Una esperienza di educazione stradale:<br />
percorrere la <strong>città</strong><br />
<strong>La</strong> scuola svolge programmi di educazione stradale e i Comuni<br />
mettono a disposizione delle scuole materiali come<br />
video, libretti, manifesti e spesso anche la disponibilità <strong>dei</strong><br />
vigili urbani che vanno nelle classi a trattare questo argomento.<br />
Questi materiali hanno costi notevoli e servono a<br />
ottenere risultati banali. Nella maggior parte <strong>dei</strong> casi si<br />
tratta di lezioni di educazione stradale, di presentazione<br />
<strong>dei</strong> segnali stradali o delle norme del codice. Si tratta ancora<br />
della scuola che i nostri <strong>bambini</strong> rifiutano e che quindi<br />
non riesce ad incidere su di loro. Se al maestro si sostituisce<br />
il vigile il risultato non migliora, perché questo signore<br />
cerca ugualmente di fare lezione e non ne è capa-<br />
12 Su questi argomenti si vedano le schede n° 11: «Io e la mia <strong>città</strong>» e n° 4:<br />
«I <strong>bambini</strong> progettisti».<br />
13 «I care», verbo inglese, significa mi interessa, mi preoccupa, mi faccio carico.<br />
È il contrario di «I don’t care» che traduce il «Me ne frego» fascista. <strong>La</strong> scritta<br />
è ancora visibile a Barbiana, sulla porta della scuola.<br />
102
ce. Quindi togliamo <strong>dei</strong> professionisti importanti dalle nostre<br />
piazze, dalle strade, e li mettiamo a far cose che non<br />
sanno fare. Le nozioni che si trasmettono non modificano<br />
in nulla il comportamento reale e non servono assolutamente<br />
a formare un cittadino più indipendente e consapevole<br />
<strong>dei</strong> suoi diritti e <strong>dei</strong> suoi doveri.<br />
<strong>La</strong> scuola potrebbe invece sostenere con le famiglie la<br />
necessità che i <strong>bambini</strong>, fin dalla prima elementare, vengano<br />
a scuola da soli, a piedi, mettendosi d’accordo con i<br />
compagni più grandi, ritrovando un minimo di autonomia<br />
e sperimentando praticamente i loro diritti e i loro doveri<br />
come pedoni. Su questa nuova esperienza si può discutere,<br />
si possono organizzare iniziative. Si possono effettuare<br />
sopralluoghi per verificare i vari percorsi, per identificare<br />
i passaggi di maggiore pericolo e studiare insieme le<br />
modalità migliori per evitare i pericoli. In questo caso il vigile<br />
può essere prezioso per confortare con la sua esperienza<br />
e conoscenza del codice della strada insegnanti e<br />
<strong>bambini</strong> 14 .<br />
Il progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» è destinato alla <strong>città</strong> e<br />
non alla scuola. Questa non è il luogo privilegiato per la<br />
sua realizzazione, ma è certamente un luogo molto importante<br />
per i <strong>bambini</strong>, che vi passano gran parte della loro<br />
infanzia, fanciullezza e gioventù. <strong>La</strong> scuola può quindi<br />
fare molto per l’affermazione di questa idea. Può aiutare<br />
le famiglie a capire, ad apprezzare il valore della proposta,<br />
e d’altra parte può ricevere molto facendo propria la<br />
filosofia del progetto, sostenendone le iniziative, partecipando<br />
alle sue attività e principalmente riconoscendo un<br />
ruolo di protagonisti agli allievi. Diventando insomma una<br />
scuola <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
14 Si vedano le schede n° 9: «A scuola ci andiamo da soli» e n° 10: «Una<br />
patente da pedone, da ciclista e da motorinista».<br />
103
I condomini: il diritto al gioco<br />
I regolamenti della maggior parte <strong>dei</strong> nostri condomini sono<br />
illegali, illegittimi, perché violano una legge dello Stato:<br />
la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo,<br />
approvata dalle Nazioni Unite nel 1989 e fatta propria<br />
dallo Stato italiano nel 1991 15 . In particolare l’articolo 31<br />
sancisce il diritto <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> al gioco. Nei regolamenti <strong>dei</strong><br />
condomini questo diritto è spesso ostacolato e non di rado<br />
è totalmente impedito.<br />
Quasi sempre è proibito giocare sulle scale, negli androni<br />
e perfino nei cortili in certe ore del giorno, in genere<br />
dopo pranzo, quando si presume che gli adulti possano<br />
aver voglia di riposare. Non ho trovato nel testo <strong>dei</strong> diritti<br />
dell’uomo un articolo che difende il diritto al riposino<br />
pomeridiano degli adulti, mentre è ben chiaro quello che<br />
difende il diritto di gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. D’altra parte le scale<br />
sono sempre state un luogo privilegiato di gioco, per la<br />
loro struttura articolata, che permette di nascondersi, di<br />
rincorrersi, ma anche di sedere e di chiacchierare o di disporre<br />
giocattoli e oggi, con gli ascensori, praticamente<br />
non servono più a nessuno. Si obbietta giustamente che i<br />
<strong>bambini</strong> fanno chiasso, disturbano. Ma non disturbano<br />
forse il traffico urbano, l’uso smodato <strong>dei</strong> clacson, l’uso ormai<br />
generalizzato delle sirene di allarme? Nessuno ha mai<br />
chiesto di proibire l’uso del clacson, delle sirene e l’arresto<br />
del traffico dalle 14 alle 16. E allora cosa sta succedendo<br />
a noi adulti? Ci stiamo adattando al rumore terribile<br />
delle sirene, a quello sgradevole <strong>dei</strong> clacson e a quello<br />
esasperante del traffico urbano e non sappiamo più sopportare<br />
il chiasso, certamente fastidioso, ma sano e necessario,<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> che giocano? Quale società stiamo<br />
preparando per i nostri figli, per i nostri nipoti? 16<br />
104<br />
15 Si veda il testo della Convenzione riportato nella Appendice 1.<br />
16 Il comandante <strong>dei</strong> vigili urbani di Torino notava che venti anni fa riceve-
Nella attuale situazione di pericolo ambientale, che rende<br />
difficile anche la più piccola libertà <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, il cortile<br />
condominiale potrebbe e dovrebbe essere il luogo ottimale<br />
per il gioco autonomo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> anche molto<br />
piccoli 17 . Noi adulti abbiamo invece ritenuto più comodo<br />
proibire questo spazio al gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> (oltre alle proibizioni<br />
orarie è quasi sempre proibito giocare con la palla)<br />
destinandolo al parcheggio delle nostre auto. In questo<br />
modo uno spazio comune e quindi pubblico si è privatizzato,<br />
diventando ingombro, brutto e sporco (anche l’igiene<br />
delle macchine lascia a desiderare).<br />
I sindaci sono i rappresentanti <strong>dei</strong> cittadini e dovrebbero<br />
esserlo in modo speciale per i cittadini più piccoli. Sarebbe<br />
giusto quindi che invitassero i consigli condominiali<br />
a rivedere i loro regolamenti per renderli rispettosi delle<br />
leggi dello Stato e quindi <strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>; a ripensare<br />
l’uso <strong>dei</strong> cortili condominiali e a comunicare al sindaco<br />
o al <strong>La</strong>boratorio le eventuali modifiche o ristrutturazioni.<br />
Sarebbe doveroso che i consigli condominiali discutessero<br />
la modifica <strong>dei</strong> loro regolamenti e un uso prioritariamente<br />
sociale <strong>dei</strong> loro cortili. Questi potranno diventare<br />
un luogo di incontro, di socializzazione e di svago per i<br />
<strong>bambini</strong>, per gli anziani, per tutti i condomini e per questo<br />
essere adeguatamente ristrutturati e arredati, risolvendo<br />
diversamente i problemi privati del parcheggio. Se sarà<br />
più facile per i <strong>bambini</strong> uscire di casa e scendere da soli in<br />
cortile anche gli adulti saranno più sereni e più liberi.<br />
Questo invito del sindaco, con un adeguato appoggio<br />
della stampa locale, potrebbe essere una importante oc-<br />
va ogni giorno molte richieste di intervento per fastidi provocati dai <strong>bambini</strong>.<br />
Oggi non ne riceve più.<br />
17 Si veda l’esperienza di Manfred Drum, che a Monaco ha realizzato una<br />
rete di spazi per la mobilità pedonale e il gioco collegando fra loro decine di cortili<br />
condominiali, all’interno di un lavoro di progettazione partecipata (Drum,<br />
1995).<br />
105
casione per aprire nella <strong>città</strong> un dibattito sui <strong>bambini</strong>, sulla<br />
loro difficile condizione di cittadini, sui loro bisogni, sui<br />
loro diritti.<br />
Il voto ai <strong>bambini</strong><br />
Qualche tempo fa un giornalista mi chiese un parere sull’abbassamento<br />
della età del voto proposto in Germania.<br />
Gli risposi che io invece avrei preferito che tutti i cittadini<br />
avessero diritto di voto, fin dalla nascita, in modo che tutti<br />
possano contare e pesare sulle scelte. Questo significherebbe<br />
che in una famiglia di padre, madre e tre <strong>bambini</strong><br />
arrivano cinque certificati elettorali. Naturalmente fintanto<br />
che il bambino non raggiunge la maggior età saranno<br />
i suoi tutori legali ad esercitare il diritto di voto. <strong>La</strong> prima<br />
obiezione è che con il voto non si scherza, che non lo<br />
si delega a nessuno, che i genitori userebbero il voto <strong>dei</strong><br />
figli per favorire i propri partiti. Di nuovo l’immagine truculenta<br />
dell’adulto «mangia-<strong>bambini</strong>»: l’automobilista che<br />
non vede l’ora di schiacciare il bambino che attraversa, il<br />
passante che userà quasi certamente violenza sul bambino<br />
non accompagnato, il genitore che ruba il voto del figlio.<br />
Eppure gli adulti siamo noi, siamo noi che andiamo<br />
in macchina, che incontriamo i <strong>bambini</strong> soli, che dovremmo<br />
utilizzare il loro voto. Ma a parte questo i genitori già<br />
scelgono per i loro figli in campi molto più delicati ed importanti<br />
di quanto non possa essere un voto elettorale e<br />
non potrebbero evitare di farlo. Scelgono se battezzare o<br />
non battezzare il bambino: qualsiasi sia la scelta compromette<br />
e condiziona fortemente il bambino. Scelgono se,<br />
quando e dove mandarlo a scuola, orientano le sue scelte<br />
future. Decidono se e in che misura concedere autonomia,<br />
con le conseguenze indicate nella parte prima di que-<br />
106
sto libro. Danno un riferimento culturale, ideologico, politico,<br />
morale, di solito molto chiaro, sperando che il bambino<br />
non tradisca questi loro ideali.<br />
Una seconda obiezione è che si rischia di scatenare<br />
campagne di propaganda più o meno esplicita per condizionare<br />
i <strong>bambini</strong> perché a loro volta condizionino le scelte<br />
politiche <strong>dei</strong> genitori. Ma non è esattamente quello che<br />
succede ogni giorno, a tutte le ore, specialmente nelle trasmissioni<br />
e nei giornaletti per i <strong>bambini</strong>, con la pubblicità<br />
<strong>dei</strong> prodotti? Ma chiaramente in una società ancora ideologica<br />
ma profondamente consumistica come la nostra tutto<br />
quello che è legato ai consumi ci sembra normale e quasi<br />
doveroso, non si può invece scherzare con la politica!<br />
Una tale proposta che può apparire solamente provocatoria<br />
e di cui sono evidenti le difficoltà applicative, non<br />
ultima una incompatibilità costituzionale con la legge italiana<br />
18 , mi sembra contenga alcuni interessanti aspetti positivi.<br />
Il bambino, attualmente irrilevante, quasi trasparente<br />
nella nostra società, acquisterebbe un peso e una rilevanza.<br />
I genitori, dovendo votare anche a nome <strong>dei</strong> figli, potrebbero<br />
cominciare a porsi il problema di quanto i loro<br />
partiti si stiano interessando <strong>dei</strong> problemi e <strong>dei</strong> bisogni <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>. D’altra parte i partiti si preoccuperanno rapidamente<br />
di inserire queste problematiche, attualmente quasi<br />
ignorate, nei loro programmi, per guadagnare il consenso<br />
<strong>dei</strong> genitori.<br />
Infine, man mano che i <strong>bambini</strong> cresceranno, cominceranno<br />
a chiedere ai loro genitori come intendono utilizzare<br />
il loro voto, a voler capire o discutere le scelte. Beh,<br />
mi sembra che sarebbe un bel modo di parlare di politica<br />
dentro le nostre case, invece che tifare con l’uno o con<br />
18 Sarebbe comunque interessante se un sindaco trovasse il modo per far<br />
esprimere i <strong>bambini</strong> della sua <strong>città</strong> anche con qualche forma di voto.<br />
107
l’altro <strong>dei</strong> politici partecipanti alla tribuna politica nel più<br />
totale disinteresse <strong>dei</strong> ragazzi. Forse i ragazzi odierebbero<br />
meno la politica, ci aiuterebbero a capirla meglio e aiuterebbero<br />
i politici a praticarla in modo più credibile.<br />
108
Ripensare la <strong>città</strong><br />
Ripensare la <strong>città</strong>, volerla in un modo diverso, adatta a tutti<br />
fino ai <strong>bambini</strong>, è una necessità urgente, non per tornare<br />
indietro, non per sperare in un ritorno al clima romantico<br />
del paesello o del vicinato di quaranta, cinquanta<br />
anni fa, ma per prepararsi ad un futuro diverso, non controllato<br />
esclusivamente dalla produzione commerciale,<br />
non dominato dalle automobili e neppure dominato da un<br />
inarrestabile sviluppo <strong>dei</strong> servizi.<br />
Si tratta di pensare ad una <strong>città</strong> più leggera, più semplice,<br />
nella quale tutti i cittadini contino di più.<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> di oggi è una <strong>città</strong> che si lascia travolgere dalle<br />
auto, dal loro rumore, dal loro fumo, dalle loro vibrazioni,<br />
che si consegna impotente nelle mani della microcriminalità<br />
e della criminalità organizzata, che hanno trasformato<br />
il suolo pubblico in terra bruciata, rendendolo impraticabile<br />
per i cittadini onesti. Questi si chiudono in casa, si<br />
muovono in macchina, sognano la <strong>città</strong> cablata, gli uffici<br />
virtuali. Non sarà più necessario uscire, spostarsi, potremo<br />
lavorare dalle nostre case, usando i nostri computer in<br />
reti telematiche. Allora, dicono alcuni che si presentano<br />
come esperti, il problema del traffico sarà risolto, affolleremo<br />
solo le autostrade informatiche. In tal caso però dovremo<br />
fare i conti con nuovi problemi che gli informatici<br />
non considerano, come la esasperata coabitazione fra i<br />
membri della famiglia, la definitiva separazione fisica dagli<br />
altri e dalla <strong>città</strong>.<br />
109
Sto utilizzando il computer, la posta elettronica, Internet,<br />
come strumenti importanti e appassionanti di lavoro<br />
e di comunicazione, ma vorrei continuare ad incontrarmi<br />
con gli amici e vorrei potermi muovere di più e meglio in<br />
una <strong>città</strong> che sappia essere una bella <strong>città</strong>.<br />
Se la <strong>città</strong> fosse un ecosistema naturale morirebbe in<br />
pochissimo tempo: ha trasformato la sua complessità nella<br />
semplificazione della separazione e della specializzazione;<br />
ha accettato la progressiva passivizzazione <strong>dei</strong> suoi cittadini<br />
offrendo loro continui rimedi, sussidi, assistenza sotto<br />
forma di servizi; il suo equilibrio, la sua sussistenza dipendono<br />
sempre meno dalle sue risorse e sempre più da<br />
fattori esterni che non controlla e che non può garantire.<br />
Ripensare la <strong>città</strong> significa avere un progetto di futuro,<br />
preparare, come dicono gli ambientalisti, uno sviluppo sostenibile.<br />
Uno sviluppo non assistito, non egoista, che trovi<br />
in se stesso la forza e l’energia sufficiente per garantire<br />
il futuro suo e delle prossime generazioni. Il bambino è il<br />
garante naturale dello sviluppo sostenibile: lui deve diventare<br />
grande, capace di risolvere problemi e non potrà mai<br />
farlo se non gli garantiremo autonomia, possibilità di rischio<br />
e di crescita, possibilità di relazioni spontanee e di<br />
gioco. Nello stesso modo i cittadini debbono ritrovare la<br />
capacità di risolvere i problemi attraverso l’accordo, la solidarietà,<br />
il contributo e non aspettando l’intervento dell’autorità<br />
delegata.<br />
Ripensare la <strong>città</strong> vuol dire preparare un futuro nel quale<br />
ci sia voglia e possibilità di pensare al benessere e alla<br />
qualità della vita. Un futuro nel quale i giovani sentano ancora<br />
il brivido, l’emozione, il desiderio di mettere al mondo<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
Nel ripensare la <strong>città</strong> dobbiamo però fare attenzione<br />
che il bambino non venga collocato in una specie di «riserva<br />
indiana», all’interno della quale tutto è permesso o<br />
addirittura auspicabile, ma nettamente separato dal mon-<br />
110
do vero, da quello degli adulti. In questa riserva si potrebbe<br />
concedere che i <strong>bambini</strong> si esprimano, che esprimano<br />
i loro bisogni, che realizzino anche loro forme di democrazia,<br />
che presentino loro progetti e che questi progetti<br />
possano essere realizzati. Ma un Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, un<br />
giardino o un monumento progettato dai <strong>bambini</strong>, non significa<br />
che la <strong>città</strong> si metta in discussione e voglia cambiare.<br />
Il rischio è che fuori della «riserva» la <strong>città</strong> proceda<br />
come sempre e che gli adulti, una volta accontentati i<br />
<strong>bambini</strong>, assolti dai loro complessi di colpa possano dire:<br />
«allora dove eravamo rimasti?» e proseguano nei loro discorsi<br />
seri di politica e di economia.<br />
Per questo sento il bisogno di confermare ancora, a costo<br />
di essere ripetitivo, che «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» non è un<br />
progetto per i <strong>bambini</strong>, ma per la <strong>città</strong>.<br />
E quello che il bambino può rappresentare per la <strong>città</strong>,<br />
le <strong>città</strong> possono rappresentare per il nostro paese: la politica,<br />
la buona amministrazione, la partecipazione e il<br />
controllo democratico cominciano dalle <strong>città</strong> così come<br />
dalle <strong>città</strong> comincia la accoglienza, la solidarietà. In un momento<br />
di così grande e grave degrado sociale e morale i<br />
<strong>bambini</strong> potranno salvare le nostre <strong>città</strong> e le nostre <strong>città</strong> il<br />
nostro paese. Mi si contesta spesso che questa è una utopia,<br />
una follia, sono d’accordo. Ma è molto più utopico e<br />
folle procedere nel cammino senza futuro che le nostre<br />
<strong>città</strong> hanno imboccato.<br />
Quella della <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> è una utopia concreta,<br />
una utopia sostenibile.<br />
Un progetto difficile da realizzare come tutte le utopie.<br />
A questo proposito ricordo la frase di una signora di Viareggio<br />
che mi ha molto colpito. Al termine della mia presentazione<br />
del progetto un signore aveva chiesto la parola<br />
dicendo che gli piaceva molto, lo considerava giusto e<br />
auspicabile ma che, secondo lui, non sarebbe stato mai<br />
111
ealizzato, tenendo conto delle lentezze amministrative,<br />
delle difficoltà burocratiche, degli interessi che metteva in<br />
discussione. <strong>La</strong> signora rispose: «Io non lo so se si potrà<br />
mai realizzare, però sono sicura che noi, comunque, ci<br />
stiamo già guadagnando».<br />
<strong>La</strong> signora diceva insomma che se nel nostro dibattito<br />
politico riusciamo ad inserire il bambino, se di <strong>bambini</strong> riusciamo<br />
a parlare con i sindaci, con i vigili urbani, con i ragionieri<br />
capi, con gli ingegneri capi <strong>dei</strong> Comuni, con i medici<br />
dell’ospedale, con i ristoratori, con gli insegnanti e i<br />
genitori, beh, ci stiamo già guadagnando! È certamente<br />
un risultato minimale, ma è un modo per cominciare a costruire<br />
il futuro.<br />
Alla fine di queste pagine mi si permetta una riflessione<br />
personale. Scrivendo questo libro, facendo un po’ di<br />
bilanci, mi sono reso conto che ho cominciato a lavorare<br />
al progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» dopo che sono diventato<br />
nonno. Non credo che questa coincidenza sia casuale.<br />
I genitori sono giovani, desiderosi di riuscire nella vita,<br />
hanno bisogno di affermazione e per questo finiscono per<br />
accettare tanti compromessi. Non penso ai compromessi<br />
morali, ma quegli accordi con l’amministrazione di cui si<br />
parlava all’inizio del libro: servizi, aiuti, assistenza per sopportare<br />
una <strong>città</strong> ostile, perché questa è la strada più breve,<br />
più sicura e quando si è giovani non c’è tempo da perdere,<br />
non si può rischiare troppo. Allora la ricerca di un<br />
posto al nido, magari cambiando la residenza 1 , la ricerca<br />
della scuola materna con l’orario più lungo, il tempo pieno,<br />
sono necessità che non possono tenere conto <strong>dei</strong> bisogni<br />
del bambino. I genitori hanno fretta, cercano le soluzioni<br />
più «funzionali». I nonni hanno invece il tempo di<br />
1 Ci sono persino giovani donne che non si sposano subito, per avere un<br />
punteggio più alto, come ragazze madri, per garantirsi un posto al nido per il<br />
loro bambino.<br />
112
chi non ha più una carriera da fare, ambizioni da realizzare.<br />
E allora possono permettersi di diventare radicali nelle<br />
scelte, non accettare più i compromessi e cercare prospettive<br />
nuove, un futuro possibile per i loro nipoti e per<br />
i <strong>bambini</strong> che verranno.<br />
113
114
Parte terza<br />
Le esperienze<br />
115
116
Le schede<br />
Questa parte terza presenta attività, iniziative, progetti,<br />
nati in gran parte nella esperienza del <strong>La</strong>boratorio di Fano<br />
e che non vanno considerati come una proposta organica,<br />
né come un percorso obbligato o anche solo suggerito.<br />
Vogliono essere una testimonianza modesta, ma<br />
ottimistica, sulla possibilità di realizzazione del progetto,<br />
presentato nella parte prima di questo libro.<br />
Si dice spesso che a Fano è troppo facile, difficile sarà<br />
proporlo nelle grandi <strong>città</strong>. Credo che ci sia del vero e del<br />
falso in tutte e due le affermazioni. È vero che esperienze<br />
radicali come queste nascono più facilmente in <strong>città</strong> piccole<br />
o medie. Penso alla esperienza <strong>dei</strong> servizi per l’infanzia<br />
comunali di Reggio Emilia o di Pistoia, penso alla<br />
esperienza educativa di Mario Lodi a Piadena, penso ovviamente<br />
alla esperienza di don Milani a Barbiana. Certamente<br />
la piccola <strong>città</strong> è più sana, ha saputo difendere meglio<br />
la sua identità e lì sono più facili i rapporti sociali, la<br />
partecipazione, la solidarietà. Ma è completamente errato<br />
pensare che questo renda facile la realizzazione di un<br />
progetto come questo. <strong>La</strong> piccola <strong>città</strong> partecipa ormai,<br />
anche grazie all’effetto globalizzante della televisione, a<br />
tutti i fenomeni sociali e culturali del paese, condividendo<br />
con le grandi <strong>città</strong> anche le esperienze peggiori, dalla droga<br />
al razzismo, dalla paura alla separazione, dal potere <strong>dei</strong><br />
partiti alla richiesta di assistenzialismo nei confronti dell’ente<br />
locale. Questo fa sì che ogni proposta di cambia-<br />
117
mento, specie se così radicale, incontra una ferma resistenza.<br />
L’esperienza di Fano è stata sempre e continua ad<br />
essere conflittuale. Ho sempre protestato, con i tre sindaci<br />
che si sono succeduti dall’apertura del <strong>La</strong>boratorio, per<br />
la loro tiepida adesione alle nostre proposte, per il poco<br />
coraggio ad osare di più. Ma questo non mi ha mai fatto<br />
dimenticare che gli amministratori di Fano il <strong>La</strong>boratorio<br />
«<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» l’hanno voluto e l’hanno difeso, pur<br />
sapendo che sarebbe stato per loro una spina nel fianco.<br />
Sono altrettanto convinto che nessuna <strong>città</strong> è tanto<br />
grande e devastata da aver perso ogni desiderio e disponibilità<br />
di pensare al suo futuro con speranza e voglia di<br />
cambiamento. Questo mi dicono le risposte di <strong>città</strong> come<br />
Roma e Palermo, o come Rosario in Argentina, che certo<br />
non possono essere considerate realtà piccole e facili,<br />
dove questo progetto sta trovando prime forme di accoglienza<br />
e di realizzazione.<br />
1. FANO «LA CITTÀ DEI BAMBINI»<br />
Un <strong>La</strong>boratorio comunale per lo studio, la progettazione<br />
e la sperimentazione di modifiche nella <strong>città</strong> assumendo<br />
il bambino come parametro<br />
Il Comune di Fano, già impegnato nello sviluppo di una<br />
politica di servizi per l’infanzia, nel 1991 ha aperto un <strong>La</strong>boratorio<br />
chiamato «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» 1 che da un lato<br />
vuol essere un punto di riferimento per i cittadini, per le<br />
associazioni, per i <strong>bambini</strong> e dall’altro un pungolo per il<br />
sindaco, per gli assessori, per i tecnici, perché non di-<br />
1 Per contatti o richieste di materiale: <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»,<br />
corso Matteotti, 66, 61032 Fano, tel. 0721-887374, fax 803273. Per il coordinamento<br />
nazionale vedi scheda n. 24 «Una rete nazionale e oltre».<br />
118
mentichino l’impegno preso di assumere il bambino come<br />
parametro per lo sviluppo della <strong>città</strong>.<br />
Il <strong>La</strong>boratorio è una scommessa, una sfida: una <strong>città</strong><br />
che è cresciuta secondo le esigenze, le richieste degli adulti,<br />
sceglie di cambiare ottica e quindi si espone ad una continua<br />
contraddizione.<br />
Fano non è la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. È però una <strong>città</strong> che ha<br />
accettato questa sfida e si è data una struttura interna che<br />
denuncia la contraddizione e propone il cambiamento.<br />
A onor del vero Fano ha fatto anche qualcosa che sempre<br />
più si sente e si vede e di cui va dato atto: ha inserito<br />
nella sua pianta organica il <strong>La</strong>boratorio come unità organizzativa,<br />
con una sua sede dotata di moderne strutture di<br />
elaborazione e comunicazione informatica, con personale<br />
dedicato a tempo pieno alle sue attività; ha chiesto allo<br />
scrivente di assumerne la direzione scientifica. Recentemente<br />
si è costituito un comitato tecnico interassessorile<br />
formato dai rappresentanti <strong>dei</strong> vari assessorati, per seguire<br />
le attività del <strong>La</strong>boratorio, garantendo la sua trasversalità.<br />
<strong>La</strong> delega per il <strong>La</strong>boratorio è attualmente assegnata<br />
all’assessore alle politiche educative. Oltre a questo il Comune<br />
di Fano ha riconosciuto e sostenuto le varie iniziative<br />
che il <strong>La</strong>boratorio ha lanciato in questi anni e che verranno<br />
presentate in queste schede. Per altri aspetti invece<br />
il Comune non riesce a tenere il passo del <strong>La</strong>boratorio<br />
e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>: è in ritardo sulle realizzazioni promesse,<br />
non sempre è coerente nelle iniziative, spesso resiste agli<br />
stimoli. Insomma è un rapporto di grande interesse, nel<br />
quale il conflitto rivela insieme adesione e difficoltà.<br />
Il <strong>La</strong>boratorio è stato riconosciuto dal Ministero dell’Ambiente<br />
come <strong>La</strong>boratorio Territoriale di Educazione<br />
Ambientale 2 e come tale è stato finanziato nell’ambito del<br />
Programma Triennale dell’Ambiente.<br />
2 Negli ultimi anni si sta realizzando un piano nazionale per l’educazione<br />
ambientale con il concorso <strong>dei</strong> Ministeri dell’Ambiente e della Pubblica Istruzio-<br />
119
Fin dall’inizio Fano si è data degli obiettivi di attività all’interno<br />
della <strong>città</strong> e degli obiettivi più ampi rispetto alla<br />
promozione del progetto presso altri Comuni italiani.<br />
È in rapporto con movimenti e associazioni nazionali e<br />
internazionali come «<strong>La</strong>s ciutades educadoras», Unicef,<br />
Comunità Europea, ANCI, Arciragazzi, CGD, <strong>La</strong> <strong>città</strong> possibile,<br />
Legambiente, INU, WWF 3 .<br />
ne, che hanno firmato un accordo di programma. Il piano nazionale prevede<br />
l’apertura di <strong>La</strong>boratori Territoriali, di norma fuori della scuola, aperti all’incontro,<br />
allo scambio e al sostegno di tutti coloro che, a qualsiasi titolo, si interessano<br />
di educazione ambientale. È anche convinzione di questo progetto che<br />
l’educazione ambientale non vada considerata solo o prevalentemente una<br />
preoccupazione naturalistica, ma che debba privilegiare un recupero della relazione<br />
del cittadino con il suo ambiente di vita in vista di uno sviluppo sostenibile.<br />
Per questo il <strong>La</strong>boratorio di Fano viene considerato a pieno titolo di educazione<br />
ambientale.<br />
3 ANCI: Associazione Nazionale Comuni Italiani; CGD: Coordinamento<br />
Genitori Democratici; INU: Istituto Nazionale di Urbanistica; WWF: World Wildlife<br />
Fund.<br />
120<br />
Fano, <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».
2. IL CONSIGLIO DEI BAMBINI<br />
<strong>La</strong> garanzia del punto di vista infantile<br />
Nella esperienza di Fano, fin dal primo anno si è pensato<br />
che i <strong>bambini</strong> dovevano essere protagonisti del progetto e<br />
che quindi si dovevano dare loro adeguate opportunità per<br />
esprimersi e per proporre. Si è aperto un Consiglio <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>, sentito come una necessità di presenza infantile<br />
in questa piccola-grande rivoluzione che si proponeva agli<br />
amministratori. Non si è, almeno finora, presa in considerazione<br />
l’idea di dare a questo Consiglio le funzioni di un<br />
Consiglio comunale <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, con i partiti, la campagna<br />
elettorale, il piccolo sindaco, gli assessori, ecc., idea che<br />
peraltro ha una lunga tradizione in Francia e da alcuni anni<br />
è presente anche in Italia. Certamente per i <strong>bambini</strong> che<br />
partecipano a tali iniziative è una bella e utile esperienza,<br />
ma spesso la loro attività si limita ad elaborare progetti<br />
propri e a seguirli fino alla realizzazione, chiedendo agli adulti<br />
nuove disponibilità e aperture, ma non necessariamente<br />
di modificare il loro progetto di governo della <strong>città</strong>.<br />
Nel caso fanese l’obiettivo è invece, come più volte ricordato,<br />
esattamente questo: cambiare la <strong>città</strong>, cambiare la<br />
cultura degli adulti a partire dal pensiero infantile. Lo scopo<br />
del Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> quindi è quello di organo consultivo<br />
del <strong>La</strong>boratorio, quello che garantisce agli operatori<br />
adulti il punto di vista <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, non tanto o non solo<br />
sui problemi di stretto interesse infantile, ma su tutti i temi<br />
della <strong>città</strong> che il <strong>La</strong>boratorio via via affronta.<br />
Struttura e funzionamento<br />
Il Consiglio è formato da un bambino e da una bambina<br />
per ognuna delle scuole elementari per un totale di una<br />
trentina di consiglieri. Finora non si sono date norme pre-<br />
121
cise per la scelta <strong>dei</strong> consiglieri e ogni scuola si comporta<br />
in modi differenti: autocandidatura da parte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>,<br />
elezione diretta e forse altri.<br />
I <strong>bambini</strong> ricevono un incarico biennale e si suggerisce<br />
che inizino il loro mandato in quarta elementare per terminare<br />
con la quinta. Essendo un consigliere di quarta e<br />
uno di quinta per ogni scuola, ogni anno il Consiglio viene<br />
rinnovato per metà <strong>dei</strong> suoi membri, garantendo così<br />
una continuità nel funzionamento e il passaggio di competenze<br />
da bambino a bambino. Il biennio ci sembra necessario<br />
perché i <strong>bambini</strong> possano entrare nel ruolo di<br />
rappresentanti e interpretarlo in maniera consapevole. <strong>La</strong><br />
rappresentatività si impara e in genere i <strong>bambini</strong> più piccoli<br />
o all’inizio del mandato intervengono prevalentemente<br />
per comunicare il loro pensiero personale, difficilmente<br />
si sentono «rappresentanti» <strong>dei</strong> loro compagni, raramente<br />
prendono appunti per riferire correttamente o insistono<br />
con gli insegnanti per avere tempo e possibilità di<br />
confrontarsi con gli altri della classe e delle altre classi. Noi<br />
rispettiamo questa gradualità, senza eccessive sollecitazioni.<br />
In pochi mesi i piccoli consiglieri entrano nel ruolo e<br />
alla fine ne sono convinti sostenitori, sufficientemente agguerriti<br />
e convinti da arrabbiarsi con gli insegnanti che non<br />
concedono loro il tempo necessario, da contestare a volte<br />
la mia conduzione del Consiglio, da scrivere lettere al<br />
sindaco o ai giornali, anche assumendo posizioni non<br />
condivise da noi adulti. Ricordo a titolo di esempio quello<br />
che diceva un bambino consigliere: «<strong>La</strong> maestra non ci fa<br />
fare l’assemblea per discutere con i compagni delle altre<br />
classi e preparare il Consiglio perché dice che non c’è<br />
tempo, e poi però facciamo educazione civica!».<br />
Si è suggerito di iniziare con la quarta perché i <strong>bambini</strong><br />
hanno già un buon controllo degli strumenti di comunicazione<br />
e perché così possono concludere il mandato<br />
con il termine della scuola elementare. In genere i <strong>bambini</strong><br />
vivono questa esperienza con grande interesse e parte-<br />
122
cipazione, è raro che qualcuno abbandoni prima del termine<br />
e spesso gli ex ci chiedono di poter continuare con<br />
qualche analoga iniziativa 1 .<br />
Il Consiglio si riunisce una volta al mese nella sede del<br />
<strong>La</strong>boratorio, viene condotto dal direttore scientifico e viene<br />
redatto un verbale della discussione. I <strong>bambini</strong> vengono<br />
di solito accompagnati dai genitori, ma gli adulti non<br />
possono partecipare se non in casi particolari. Oltre agli<br />
operatori del <strong>La</strong>boratorio possono assistere al Consiglio<br />
gli amministratori o occasionali visitatori che lo chiedano,<br />
ma ciò accade raramente e, di solito, solo per ascoltare.<br />
Il Consiglio viene convocato con lettera personale contenente<br />
l’ordine del giorno. Affronta i vari problemi di cui<br />
si sta occupando il <strong>La</strong>boratorio, come il traffico, l’ospedale<br />
pediatrico, gli spazi di gioco, il rapporto con gli anziani,<br />
l’andare a scuola da soli, la ristrutturazione di ristoranti<br />
e alberghi, oppure gli argomenti proposti dagli stessi<br />
<strong>bambini</strong>.<br />
Quando vari temi sono all’esame del Consiglio si formano<br />
gruppi di lavoro che vengono convocati anche con<br />
frequenza quindicinale.<br />
Una volta all’anno, i membri del Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
partecipano ad una seduta straordinaria del Consiglio comunale,<br />
con diritto di parola, in rappresentanza di tutti i<br />
<strong>bambini</strong> fanesi.<br />
3.<br />
IL CONSIGLIO COMUNALE APERTO AI<br />
BAMBINI<br />
Fin dal 1991 il sindaco di Fano ha aderito all’iniziativa dell’Unicef<br />
Italia «Il sindaco difensore dell’infanzia» che prevede<br />
di dedicare ogni anno una seduta straordinaria del<br />
1 Si veda la scheda n° 16: «Il Club CdB».<br />
123
Consiglio comunale ai <strong>bambini</strong>. Dopo una prima esperienza<br />
nel ’91, in cui una seduta è stata dedicata alle problematiche<br />
dell’infanzia, con l’invito di esperti, si è scelto<br />
di aprire il Consiglio ai <strong>bambini</strong> e di dare loro la parola. I<br />
<strong>bambini</strong> del Consiglio discutono per alcune settimane,<br />
nelle rispettive scuole, <strong>dei</strong> problemi che incontrano nella<br />
<strong>città</strong>, delle cose che non funzionano e preparano delle<br />
proposte. Queste vengono discusse insieme in una sessione<br />
del Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e sono presentate da alcuni<br />
piccoli consiglieri durante il Consiglio comunale. Si<br />
preferisce che non siano più di sette, otto, quelli che riferiscono,<br />
perché possano spiegare adeguatamente i punti<br />
posti in discussione e rispondere alle eventuali richieste di<br />
chiarimento degli adulti. Alla seduta assistono anche alcune<br />
classi, fino al completamento della tribuna del pubblico<br />
della sala del Consiglio comunale.<br />
Le proposte<br />
Quelle che seguono sono alcune delle proposte che in<br />
questi anni sono state avanzate dai <strong>bambini</strong> e che in qualche<br />
modo sono state recepite dal Consiglio:<br />
«Quando decidete qualcosa sulla <strong>città</strong> ci dovrebbe<br />
essere anche qualcuno che conosce i <strong>bambini</strong>» (1992).<br />
<strong>La</strong> Giunta deliberò che tutti i progetti di modifica della<br />
<strong>città</strong> venissero inviati al <strong>La</strong>boratorio che avrebbe potuto<br />
esprimere un parere che riflettesse il punto di vista <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>.<br />
«Le macchine occupano troppo posto e ce lo levano<br />
per giocare» (1993).<br />
L’assessore al Traffico promise di chiudere per un giorno,<br />
ogni anno, tutta la <strong>città</strong> alle macchine perché i bam-<br />
124
ini potessero giocare nelle strade. Sono tre anni che questa<br />
tradizione si ripete 1 .<br />
«Un giorno una guardia mi ha preso la palla perché<br />
giocavo in piazza».<br />
«Se uno vuole andare a giocare in un campo sportivo<br />
deve essere abbonato o sennò deve pagare il biglietto».<br />
«Noi vogliamo andare a scuola da soli ma le macchine<br />
non rispettano le strisce pedonali e vengono parcheggiate<br />
sui marciapiedi e così dobbiamo passare nella<br />
strada» (1996).<br />
Il Consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno<br />
per discutere e votare tre delibere, una sul diritto <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong> di giocare come vogliono in tutte le piazze della<br />
<strong>città</strong>; la seconda sulla revisione <strong>dei</strong> contratti di cessione<br />
delle aree alle associazioni sportive perché si garantisca<br />
una fascia oraria di uso libero e gratuito degli impianti e la<br />
terza di applicazione rigorosa di quelle norme che difendono<br />
e tutelano i pedoni e in particolare i <strong>bambini</strong>: la precedenza<br />
sulle strisce pedonali e la inviolabilità dello spazio<br />
<strong>dei</strong> marciapiedi. Per le varie delibere si è chiesto che abbiano<br />
una adeguata pubblicizzazione perché contribuiscano<br />
alla sensibilizzazione della popolazione.<br />
Gli adulti<br />
Per il primo Consiglio aperto ai <strong>bambini</strong>, quando ancora<br />
non esisteva il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, non si erano date<br />
particolari indicazioni e gli alunni avevano preparato le loro<br />
richieste nelle rispettive scuole. Con nostro grande stupore<br />
i <strong>bambini</strong> parlarono solo delle loro classi e delle loro<br />
scuole: della pericolosità, della rumorosità, dell’assenza di<br />
tende, della insufficiente manutenzione e pulizia. Ci stupì<br />
1 Si veda la scheda n° 13: «Una giornata senza auto».<br />
125
l’interessamento <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> per la loro scuola, ma poi si<br />
capì che le proteste e le proposte erano state suggerite<br />
dagli insegnanti.<br />
Da allora una lettera inviata alle scuole avverte che le<br />
proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> dovranno riguardare il rapporto del<br />
bambino con la <strong>città</strong>, le sue autonomie, le sue possibilità<br />
di giocare e non potranno riguardare la scuola che, se lo<br />
ritiene necessario, saprà trovare altre occasioni per esprimere<br />
le sue necessità. <strong>La</strong> preparazione del Consiglio comunale<br />
avviene all’interno del Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> dove<br />
si confrontano e si coordinano le proposte che emergono<br />
dalle discussioni che avvengono nelle classi.<br />
Se non è facile per gli insegnanti rispettare la libertà degli<br />
alunni, neanche per gli amministratori è facile trovare<br />
un comportamento adeguato di fronte alle richieste <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>. Una tentazione, evidente nelle prime edizioni del<br />
Consiglio aperto, era quella di utilizzare l’incontro per fare<br />
la paternale ai <strong>bambini</strong>. Questi protestavano, per esempio,<br />
per lo sporco nei giardini e gli amministratori rispondevano<br />
raccomandandosi che i <strong>bambini</strong> fossero i primi a<br />
non gettare cartacce e lattine in giro. Un’altra tentazione,<br />
ancora in parte presente, è quella difensiva, di dire sempre<br />
che le cose si stanno già facendo, senza cercare di capire<br />
esattamente cosa questi cittadini strani e diversi, che<br />
sono i <strong>bambini</strong>, stanno chiedendo. Ancora un segno di disagio<br />
degli adulti è la loro difficoltà a dialogare con i <strong>bambini</strong>,<br />
a chiedere loro di spiegare meglio, di approfondire.<br />
Questa difficoltà nasconde la sfiducia nelle reali capacità<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, pensati sempre più piccoli di quanto in realtà<br />
non siano.<br />
Va detto, a difesa degli adulti, che non è facile capire i<br />
<strong>bambini</strong>, occorre buona volontà, curiosità, ma anche<br />
competenza che deriva dallo studio e dalla esperienza. Un<br />
esempio. In uno <strong>dei</strong> primi Consigli comunali aperti ai<br />
<strong>bambini</strong> uno di loro, che abitava in una frazione, disse:<br />
«Vorrei venire in <strong>città</strong> in bicicletta, ma la mamma ha pau-<br />
126
a». <strong>La</strong> interpretazione più facile era: ci sta chiedendo una<br />
pista ciclabile e quindi mandiamo una squadra a disegnare<br />
una riga gialla che separi la pista delle biciclette da<br />
quella delle auto. L’assessore al Traffico avrebbe dimostrato<br />
buona volontà, ma non avrebbe dato una risposta<br />
al bambino. <strong>La</strong> madre infatti avrebbe continuato, giustamente,<br />
ad avere paura di eventuali autisti imprudenti o<br />
ubriachi che avrebbero potuto non rispettare la riga gialla<br />
e avrebbe continuato a non permettere l’uso della bicicletta.<br />
L’amministratore attento avrebbe invece dovuto<br />
chiamare un tecnico e dirgli: «Prepara un progetto di un<br />
percorso per biciclette tale che le mamme <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
non abbiano paura». Allora si poteva proporre una barriera<br />
invalicabile o, meglio, l’uso di altre strade di campagna<br />
quale percorso ciclabile. Se fossero stati consultati<br />
i <strong>bambini</strong> loro avrebbero sicuramente saputo come aiutare<br />
il tecnico.<br />
Aiutare gli adulti ad ascoltare e capire i <strong>bambini</strong> e saper<br />
dialogare con loro è forse il compito più importante<br />
del <strong>La</strong>boratorio, prima ancora della costruzione <strong>dei</strong> marciapiedi<br />
e della organizzazione e realizzazione delle varie<br />
iniziative.<br />
4. I BAMBINI PROGETTISTI<br />
Una forma nuova di architettura partecipata<br />
Dal 1992 a Fano si è aperta una esperienza di progettazione<br />
di spazi e di arredi urbani da parte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> della<br />
scuola dell’infanzia e della scuola dell’obbligo. L’esperienza<br />
coinvolge, con ruolo di esperti e di animatori, giovani<br />
architetti che lavorano con i gruppi di <strong>bambini</strong>. Il primo<br />
anno i nostri tecnici lavorarono come collaboratori di<br />
127
un animatore-architetto 1 di grande esperienza; dal secondo<br />
anno furono i responsabili di questo settore per la <strong>città</strong><br />
di Fano ed ora offrono la loro competenza anche ad altre<br />
<strong>città</strong> interessate al progetto.<br />
Il metodo<br />
I gruppi di progettazione lavorano spesso in orario e in locali<br />
scolastici e coincidono con le classi, ma queste condizioni<br />
possono modificarsi. Per esempio possono costituirsi<br />
gruppi eterogenei per livello di età; lavorare anche<br />
in orari pomeridiani e riunirsi anche in locali diversi da<br />
quelli scolastici. Nella nostra esperienza abbiamo osservato<br />
che quando questi cambiamenti si rendono possibili la<br />
partecipazione è più alta e motivata.<br />
Nei quattro anni di attività si sono proposti vari temi alla<br />
progettazione <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, seguendo la programmazione<br />
del progetto «Io e la mia <strong>città</strong>» 2 . Sono comunque spazi<br />
veri, liberi, per i quali una ristrutturazione, una proposta<br />
è legittima, possibile, anche se non ci sono garanzie<br />
che i progetti vengano accettati e realizzati.<br />
Questo crea una condizione nuova nel rapporto fra allievi,<br />
scuola e <strong>città</strong>, perché gli studenti vengono invitati ad<br />
intervenire su spazi reali con proposte concrete, che saranno<br />
poi presentate non ai genitori o al direttore, ma al<br />
sindaco e agli assessori competenti. Ma qual è l’obiettivo?<br />
Quello di far conoscere agli amministratori i punti di vista,<br />
le esigenze e le proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, perché quando que-<br />
1 Sulla attività di Raymond Lorenzo, l’architetto che ha realizzato questa prima<br />
esperienza a Fano, si veda la scheda n° 20: «Altre esperienze: la progettazione<br />
partecipata ai <strong>bambini</strong>».<br />
2 Si veda la scheda n° 11: «Io e la mia <strong>città</strong>».<br />
128
gli spazi da loro progettati saranno affidati ad un professionista<br />
per la progettazione e realizzazione, questi debba<br />
tenerne conto. Se poi questo tecnico sarà capace di coinvolgere,<br />
anche in fase di progetto esecutivo e di realizzazione,<br />
i <strong>bambini</strong> che hanno lavorato al progetto, darà un<br />
importante contributo alla formazione di nuovi cittadini interessati<br />
e partecipativi.<br />
Il problema più delicato nel lavoro progettuale con i<br />
<strong>bambini</strong> è di riuscire a farli esprimere con la loro autentica<br />
creatività e fantasia, senza far dire loro quello che noi<br />
desideriamo che dicano. Da un lato quindi i <strong>bambini</strong> vanno<br />
aiutati a liberarsi degli stereotipi, dall’altro rispettati<br />
nelle loro idee.<br />
Se chiediamo ad un gruppo di <strong>bambini</strong> di dirci come<br />
vorrebbero attrezzare un loro spazio giochi è probabile<br />
che rispondano riproponendo gli stessi stereotipi varie<br />
volte denunciati in queste pagine: con scivoli, altalene e<br />
giostrine.<br />
Per permettere ai <strong>bambini</strong> di esprimersi più liberamente<br />
ci sono diverse strade. Una è l’analisi <strong>dei</strong> giochi che<br />
preferiscono, <strong>dei</strong> luoghi per loro più suggestivi e, a partire<br />
da questi, scoprirne le caratteristiche e cercare di ricrearle<br />
nello spazio da progettare. Un’altra è l’esame di<br />
proposte avanzate da altri <strong>bambini</strong> in altre <strong>città</strong> e in altri<br />
paesi. Si tratta comunque di portare i <strong>bambini</strong> alla consapevolezza<br />
che «si può osare di più», che non ci sono limiti<br />
alla fantasia, anche se poi si dovrà fare i conti con la<br />
realtà, coi materiali, con le leggi della fisica, con i costi.<br />
Dopo la fase di studio e di ideazione è importante arrivare<br />
alla realizzazione di un progetto e, se possibile, di<br />
un plastico. Ai <strong>bambini</strong>, ai ragazzi, piace «vedere», «toccare»<br />
le loro idee. Il loro plastico diventa il loro quaderno,<br />
il loro libro, con il quale comunicano e difendono le loro<br />
idee.<br />
129
Le proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
Dopo quattro anni e varie decine di progetti che cosa possiamo<br />
osservare nelle proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>? Abbiamo impegnato<br />
i <strong>bambini</strong> su temi diversi come piazze e monumenti,<br />
recupero degli spazi abbandonati, rapporto con le<br />
automobili.<br />
Riguardo al gioco i <strong>bambini</strong> manifestano un chiaro antagonismo<br />
rispetto alle proposte tradizionali: a loro piace<br />
nascondersi, entrare sotto o arrampicarsi sopra; avere a<br />
disposizione l’acqua, la terra, l’erba, le piante; poter utilizzare<br />
materiali vari per fare quello che sul momento si<br />
avrà voglia di fare. Nei loro giardini ci sono quindi frequenti<br />
dislivelli, grotte, torri; capanne, fortini; laghetti, stagni,<br />
fontane, canaletti; legni, sassi, sabbia. Insomma è come<br />
se ci dicessero, voi grandi dateci uno spazio ricco, articolato,<br />
non banale, non strutturato e poi sapremo noi<br />
come utilizzarlo.<br />
Rispetto alle piazze e ai monumenti c’è un chiarissimo<br />
rifiuto della presenza delle automobili in questi spazi «pubblici»:<br />
le piazze debbono tornare ai cittadini, per incontrarsi,<br />
per sedersi, per giocare. I <strong>bambini</strong> le difendono con<br />
barriere, con muretti, con canaletti d’acqua e le dotano di<br />
panchine, di chioschi, di alberi. Per i monumenti viene dai<br />
<strong>bambini</strong> una proposta interessante e molto vicina alle proposte<br />
più moderne: un monumento da usare, da praticare,<br />
da giocare. In quegli stessi anni a Barcellona sorgevano<br />
<strong>dei</strong> monumenti fra i quali quelli che raffigurano la scatola<br />
di fiammiferi o le lettere dell’alfabeto, che sono anche<br />
<strong>dei</strong> grandi giocattoli.<br />
Rispetto al rapporto strada-automobili e al desiderio di<br />
muoversi da soli, la proposta <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> è duplice: da un<br />
lato i percorsi debbono essere protetti, dall’altro interessanti<br />
e belli. I <strong>bambini</strong> immaginano percorsi riservati per i<br />
pedoni, separati dalla strada delle macchine da muri o paletti,<br />
a volte addirittura chiusi in tunnel trasparenti di plexi-<br />
130
glas. Le strade vengono attraversate grazie a ponti o sottopassaggi<br />
per evitare ogni pericoloso incontro con il nemico-automobile.<br />
Su questa prima proposta, anche se è una importante<br />
denuncia nei confronti dello strapotere delle automobili, e<br />
limitatamente a come emerge dai progetti, non sono per<br />
niente d’accordo con i <strong>bambini</strong>. Come più volte ho detto<br />
la scommessa del <strong>La</strong>boratorio è che il bambino scenda in<br />
strada per salvarla. Il bambino, con la sua presenza, con<br />
la tacita esibizione <strong>dei</strong> diritti suoi e di tutti i pedoni, costringerà<br />
le macchine ad essere più rispettose e meno numerose,<br />
a ritirarsi in spazi più adeguati e meno invasivi.<br />
D’altra parte quella che propongono i <strong>bambini</strong> è di nuovo<br />
la via della separazione e della difesa, e si è visto che non<br />
è efficace 3 . Valga per tutti proprio l’esempio <strong>dei</strong> cavalcavia<br />
pedonali o <strong>dei</strong> sottopassaggi, apparentemente le soluzioni<br />
più sicure per l’attraversamento di strade pericolose.<br />
Di fatto, e specialmente da parte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, questi passaggi<br />
non vengono utilizzati, perché il sottopassaggio è in<br />
genere preoccupante e maleodorante, il cavalcavia rappresenta<br />
invece un percorso lungo e faticoso. Allora si<br />
preferisce attraversare la strada e si creano le situazioni di<br />
maggiore pericolo: l’automobilista che vede il cavalcavia<br />
andrà tranquillo, pensando che chi vuole attraversare lo<br />
utilizzi, senza quindi prepararsi all’eventuale passante che<br />
attraversa. Meglio allora un semaforo a chiamata. Meglio<br />
non separare, ma far incontrare e convivere, chiedendo<br />
reciproco rispetto.<br />
Sulla seconda proposta, sul fatto cioè che i percorsi<br />
debbano essere interessanti, curati, belli, sento invece una<br />
forte sintonia con i <strong>bambini</strong>. I <strong>bambini</strong>, che sono neces-<br />
3 Non è neppure corretto pensare che questa idea di timore, fino all’estrema<br />
separazione, corrisponda al pensiero infantile. È per esempio in contrasto<br />
con i risultati <strong>dei</strong> questionari dell’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli», nei<br />
quali i <strong>bambini</strong> si mostrano meno timorosi, verso i pericoli del traffico, rispetto<br />
ai genitori. E in questo caso si tratta di una esperienza realmente vissuta! (si veda<br />
la scheda n° 9: «A scuola ci andiamo da soli»).<br />
131
sariamente pedoni, interpretano bene il desiderio del cittadino<br />
pedone: vorrebbero le strade con grandi marciapiedi,<br />
con aree di sosta, luoghi di gioco, alberi, arredi nuovi<br />
e originali.<br />
Progetto <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> di quinta elementare della scuola Montessori di Fano<br />
presentato nel 1993, approvato dalla Giunta e finanziato nel 1995<br />
per la sua realizzazione. L’architetto che sta attualmente realizzando il<br />
progetto definitivo ha ripreso i contatti con i ragazzi che avevano realizzato<br />
il primo progetto, che potranno così seguirne la realizzazione.<br />
132
5. LE PICCOLE GUIDE<br />
Un altro modo per conoscere e amare la <strong>città</strong><br />
Proseguendo nell’obiettivo di dare ai <strong>bambini</strong> un ruolo attivo<br />
e di protagonisti nella vita della <strong>città</strong>, perché siano (e<br />
non «diventino») cittadini consapevoli, abbiamo invitato i<br />
cittadini adulti e anziani, che conoscono bene e amano la<br />
<strong>città</strong> di Fano, a regalare un po’ del loro tempo ai <strong>bambini</strong>.<br />
Abbiamo chiesto loro di «prendere per mano» un gruppo<br />
di <strong>bambini</strong> e di accompagnarli a osservare e toccare la<br />
<strong>città</strong>, perché possano conoscerla in modo non scolastico,<br />
ma diretto e vivo, per poterla poi raccontare e spiegare ai<br />
loro compagni. Ognuno di questi «maestri di strada» ha<br />
proposto un percorso e ha vissuto con i suoi allievi di scuola<br />
elementare e media una esperienza di una decina di incontri<br />
itineranti. Di ogni gruppo faceva parte anche un insegnante<br />
o un operatore del <strong>La</strong>boratorio. Alcuni hanno<br />
proposto la <strong>città</strong> romana, altri quella medioevale e rinascimentale,<br />
altri quella popolare <strong>dei</strong> vicoli, altri una lettura<br />
urbanistica.<br />
Obiettivo della iniziativa era formare delle piccole guide<br />
capaci di accompagnare alla conoscenza della <strong>città</strong> i<br />
<strong>bambini</strong> che ogni anno vengono a Fano in primavera a<br />
conclusione della campagna «Io e la mia <strong>città</strong>» e gli adulti<br />
che il <strong>La</strong>boratorio invita per le varie iniziative. <strong>La</strong> Azienda<br />
di Promozione Turistica ha valorizzato questa iniziativa invitando<br />
in varie occasioni le piccole guide ad accompagnare<br />
gruppi di adulti in visita alla <strong>città</strong>. Una esperienza<br />
vera, vissuta dai <strong>bambini</strong> con grande impegno e competenza.<br />
Anche questa è una esperienza semplice, che costa<br />
quasi niente e che offre ai <strong>bambini</strong> l’opportunità di conoscere<br />
ed amare la propria <strong>città</strong>.<br />
133
<strong>La</strong> difficoltà che abbiamo incontrato è la scarsa disponibilità<br />
degli adulti, <strong>dei</strong> pensionati colti, a regalare un po’<br />
del loro tempo ai <strong>bambini</strong>. Per questo siamo riusciti a realizzare<br />
solo due volte questa esperienza: il lavoro del <strong>La</strong>boratorio<br />
per mettere il bambino nella testa degli adulti è<br />
ancora lungo. Dovremo riuscire a far capire ai nostri concittadini<br />
che quello che chiediamo loro non è un piacere,<br />
non è un regalo, ma è un dovere. Chi ha avuto la fortuna<br />
di conoscere, di studiare, di amare la sua <strong>città</strong> ha il dovere<br />
di consegnare questa ricchezza ai <strong>bambini</strong> perché sappiano<br />
essere a loro volta cittadini curiosi, interessati e affettuosi<br />
verso la loro <strong>città</strong>.<br />
6. I SEMINARI DI GIUNTA<br />
Il bambino nella testa degli adulti<br />
Se la <strong>città</strong> vuole scegliere il bambino come parametro, se<br />
vuol accettare questa sfida rivoluzionaria, i suoi amministratori<br />
debbono mettersi nell’atteggiamento di chi non sa<br />
e vuol entrare nel mondo sconosciuto dell’infanzia. Se<br />
manca questo atteggiamento, l’adesione al progetto è solo<br />
apparente e strumentale.<br />
Nella esperienza fanese ogni anno si tiene un seminario<br />
di Giunta a cui partecipano il sindaco, gli assessori e i<br />
dirigenti comunali. Il seminario, organizzato e coordinato<br />
dal <strong>La</strong>boratorio, prevede momenti di studio e di approfondimento<br />
sulle tematiche infantili e momenti di programmazione<br />
delle attività per l’anno che sta iniziando. Si<br />
svolge presso un convento fuori <strong>città</strong> e dura una intera<br />
giornata. Si vuole così evitare il disturbo del telefono e garantire<br />
un periodo sufficiente di lavoro utile. Specialmen-<br />
134
te nei primi anni si aveva il timore della reazione <strong>dei</strong> politici<br />
e specialmente <strong>dei</strong> dirigenti comunali che avrebbero<br />
potuto considerare questa iniziativa una perdita di tempo,<br />
ma questo non è mai successo e c’è invece stata sempre<br />
la richiesta di ripetere il seminario più frequentemente.<br />
Durante l’anno poi il <strong>La</strong>boratorio è più volte chiamato<br />
ad incontri di Giunta e ha più volte richiesto e ottenuto delle<br />
conferenze di servizio per affrontare e risolvere problemi<br />
organizzativi sulle singole iniziative con la partecipazione<br />
di tutti gli assessorati e uffici interessati.<br />
<strong>La</strong> necessità di tanti contatti con l’amministrazione, oltre<br />
alla collaborazione costante con l’assessore che ha la<br />
delega per il <strong>La</strong>boratorio, conferma la complessità e la difficoltà<br />
del progetto. <strong>La</strong> normativa e più ancora la tradizione<br />
amministrativa non sono favorevoli ai <strong>bambini</strong>. L’attuale<br />
tendenza degli adulti è quella di proteggere i <strong>bambini</strong><br />
più che quella di favorire la loro autonomia e per questo<br />
occorre molta buona volontà e un po’ di creatività per<br />
muoversi dentro leggi, circolari e regolamenti, che certo<br />
non sono pensati per loro.<br />
7. «IL VIGILE AMICO DEI BAMBINI»<br />
Negli ultimi due anni l’Assessorato al Traffico ha aperto<br />
un corso di aggiornamento e formazione per tutti i vigili<br />
urbani del Comune di Fano, tenuto dal <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong><br />
<strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» e intitolato «Il vigile amico <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />
Durante gli incontri si è esaminato innanzi tutto il ruolo<br />
che attualmente il vigile esercita, sostanzialmente finalizzato<br />
al controllo del traffico e della sosta delle auto. Il vigile<br />
vede svilita la sua funzione e non ama essere consi-<br />
135
derato con ostilità dai suoi concittadini. Si è quindi esaminata<br />
la possibilità che il vigile urbano possa assumere un<br />
ruolo di garante, in una nuova ottica di maggiore mobilità<br />
urbana, da parte <strong>dei</strong> pedoni e <strong>dei</strong> ciclisti, a partire dai <strong>bambini</strong>.<br />
<strong>La</strong> proposta ha riscosso interesse e si stanno valutando<br />
nuovi compiti e nuove modalità di presenza e di intervento.<br />
Per esempio l’iniziativa «A scuola ci andiamo da<br />
soli» suggerisce che il vigile non debba più presidiare e<br />
controllare l’ingresso delle scuole, liberato dall’assedio e<br />
dal pericolo delle macchine <strong>dei</strong> genitori che accompagnano<br />
i figli. Dovrebbe essere presente invece nel quartiere,<br />
girando nelle strade per stimolare gli automobilisti a tener<br />
conto <strong>dei</strong> diritti di mobilità <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> anche punendoli<br />
se non rispettano la precedenza sulle strisce pedonali o<br />
parcheggiano sui marciapiedi riducendo l’autonomia <strong>dei</strong><br />
pedoni. Dopo il primo anno dell’iniziativa «A scuola ci andiamo<br />
da soli», in uno <strong>dei</strong> due quartieri coinvolti i cittadini<br />
hanno chiesto il vigile di quartiere, quale intervento di tutela<br />
dell’autonomia <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Questa richiesta è stata<br />
accolta dall’amministrazione ed è attualmente in fase di<br />
sperimentazione.<br />
Nei prossimi incontri si dovrà proseguire nella elaborazione<br />
di questo nuovo ruolo e <strong>dei</strong> nuovi atteggiamenti<br />
che i vigili potranno assumere, per favorire le autonomie<br />
<strong>dei</strong> cittadini e partecipare così da protagonisti alla realizzazione<br />
della nuova <strong>città</strong> che si sta progettando.<br />
8. LA MULTA DEI BAMBINI<br />
I <strong>bambini</strong> del Consiglio e, attraverso loro, tutti i loro compagni<br />
di scuola possono utilizzare la multa «morale» qui ri-<br />
136
prodotta in dimensioni ridotte. I <strong>bambini</strong> sanno che debbono<br />
usarla non per rilevare una infrazione qualsiasi del<br />
codice della strada, perché questo è compito <strong>dei</strong> vigili, ma<br />
solo quando il comportamento dell’automobilista crea difficoltà<br />
alla libertà e autonomia del pedone. In particolare<br />
viene utilizzata nei casi in cui le macchine vengono parcheggiate<br />
sul marciapiedi costringendo così i <strong>bambini</strong> all’inutile<br />
pericolo di passare nella strada. <strong>La</strong> «multa» è stata<br />
realizzata in collaborazione con l’Assessorato al Traffico<br />
e sembra che abbia una certa efficacia. I <strong>bambini</strong> dicono<br />
che gli adulti si vergognano quando trovano questo<br />
rimprovero infantile sul parabrezza delle loro auto e di solito<br />
non ripetono questa infrazione.<br />
Se si vuol far usare questa multa ai propri figli o ai propri alunni, la si può<br />
fotocopiare, ripulire del nome ed età col bianchetto, ingrandire e farne<br />
tante copie. Si può consigliare ai <strong>bambini</strong> di colorare la scritta grande.<br />
137
Al di là della efficacia mi sembra importante consegnare<br />
ai <strong>bambini</strong> «armi» civili con le quali manifestare il proprio<br />
dissenso e rivendicare i propri diritti. L’uso della multa<br />
credo valga più di tante lezioni di educazione stradale.<br />
9. «A SCUOLA CI ANDIAMO DA SOLI»<br />
Una prima, piccola esperienza di autonomia<br />
Il laboratorio «Fano la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» ha avviato nell’anno<br />
scolastico 1994-95 una esperienza chiamata «A<br />
scuola ci andiamo da soli». Si tratta di permettere ai <strong>bambini</strong><br />
della scuola elementare di andare a scuola e di tornare<br />
a casa da soli, a piedi. È una esperienza piccola rispetto<br />
all’obiettivo generale di dare ai <strong>bambini</strong> la possibilità<br />
di uscire da soli di casa, ma è un modo per aprire un<br />
varco nel protezionismo esasperato delle famiglie e nella<br />
sfiducia sociale purtroppo ormai generalizzata. È una<br />
esperienza possibile perché prevede un percorso definito,<br />
sempre uguale, per un tempo limitato e con la contemporanea<br />
partecipazione di molti <strong>bambini</strong> delle diverse<br />
età.<br />
Pur essendo Fano una piccola <strong>città</strong> si è lavorato per vari<br />
mesi, prima di poter dare il via a questa proposta. Il problema<br />
principale è la sfiducia che i genitori hanno nei confronti<br />
<strong>dei</strong> loro colleghi adulti e <strong>dei</strong> loro <strong>bambini</strong>. Per aiutarli<br />
a superare la loro paura occorreva limitare l’invadenza<br />
e la prepotenza delle macchine e ricucire una rete di accoglienza<br />
e di solidarietà sociale che rendesse questa esperienza<br />
possibile, coinvolgendo i diversi protagonisti della<br />
vita del quartiere.<br />
138
I <strong>bambini</strong>. Pensiamo che questa iniziativa possa produrre<br />
vari effetti positivi: offrire ai <strong>bambini</strong> una piccola occasione<br />
di autonomia affrontando da soli i problemi del<br />
percorso e qualche rischio da loro facilmente controllabile;<br />
suggerire loro comportamenti di cooperazione e solidarietà<br />
passando a prendere i compagni più piccoli, handicappati<br />
o isolati, rompendo la rigida esperienza fra coetanei<br />
proposta dalla scuola. Sapevamo di poter contare<br />
sull’interesse e l’entusiasmo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, già verificato nel<br />
Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
Gli insegnanti. Si è discusso a lungo con direttori e insegnanti,<br />
sicuri che la scuola potesse fare molto per appoggiare<br />
e valorizzare l’iniziativa, anche se non interferisce<br />
con le sue competenze e non compromette le sue responsabilità.<br />
Questo sia per la significativa possibilità che<br />
offre agli alunni, sia per gli interessanti risvolti educativi.<br />
È una proposta semplice e corretta di educazione ambientale,<br />
perché invita i <strong>bambini</strong> a conoscere in modo diretto<br />
il proprio quartiere, percorrendolo ogni giorno, nelle<br />
varie stagioni, fino a conoscerne i dettagli, le attività, i<br />
cambiamenti, le persone. Piccole esperienze personali<br />
che, portate a scuola e sommate, possono costituire una<br />
base interessante per lavori di apprendimento e di progettazione.<br />
Costituisce inoltre una concreta e seria esperienza di<br />
educazione stradale, partendo anche in questo caso dalle<br />
quotidiane esperienze individuali, per studiare insieme i<br />
percorsi migliori e i comportamenti più corretti sia <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong> che degli automobilisti 1 .<br />
Abbiamo chiesto agli insegnanti di valutare la possibilità<br />
di diminuire il peso dello zaino studiando modali-<br />
1 Si veda la scheda n° 10: «Una patente da pedone, da ciclista e da motorinista».<br />
139
tà diverse per lo studio in classe e per i compiti a casa,<br />
per esempio facendo lasciare alcuni libri a scuola, altri a<br />
casa.<br />
I genitori. Ci sembra importante dare ai genitori la possibilità<br />
di scoprire le capacità di autocontrollo e di responsabilità<br />
<strong>dei</strong> propri figli, certamente maggiore di quella<br />
che loro stessi immaginano e recuperare essi stessi una<br />
maggiore autonomia, più tempo, meno vincoli, liberandosi<br />
dall’obbligo dell’accompagnamento quotidiano. Con<br />
loro si è avuto naturalmente il confronto più difficile, rispetto<br />
a quello che consideravano un grave pericolo per i<br />
loro figli. Si è convenuto però che il pericolo più grande è<br />
rappresentato proprio dalle loro auto, che, in quelle ore,<br />
sono responsabili della stragrande maggioranza del traffico<br />
intorno alle scuole. Si è ragionato insieme sulla necessità<br />
che i <strong>bambini</strong> ritrovino forme di solidarietà (cercarsi,<br />
passarsi a prendere, accompagnarsi) e una maggiore autonomia.<br />
Che possano sperimentare le diverse stagioni<br />
dell’anno senza paura per la pioggia o per la neve (sempre<br />
considerati eventi piacevoli nella nostra infanzia). Si è<br />
infine concordato, naturalmente senza poterlo rendere<br />
obbligatorio, che i <strong>bambini</strong> venissero lasciati andare a<br />
scuola e tornare a casa da soli entro un’area definita 2 , in<br />
modo che chi abitava lontano li accompagnasse fino a<br />
questo limite e non fino a scuola.<br />
Molti genitori chiedevano che prima di iniziare l’esperienza<br />
venissero effettuati alcuni interventi urbanistici che<br />
rendessero più sicuri i punti più critici <strong>dei</strong> due quartieri, ma<br />
abbiamo convenuto che in questo l’avvio dell’esperienza<br />
avrebbe richiesto un tempo eccessivamente lungo e a-<br />
2 Questa area corrisponde al bacino di utenza della scuola o almeno alla sua<br />
parte più rilevante e non supera i 500-700 metri di raggio, e quindi di distanza<br />
massima dalla scuola per ciascun allievo.<br />
140
vremmo invece avuto più forza nei confronti della amministrazione<br />
se avessimo chiesto gli interventi a esperienza<br />
avviata, con i <strong>bambini</strong> nelle strade e dopo aver verificato<br />
le reali esigenze e priorità. Naturalmente non tutti si convinsero.<br />
Gli anziani. Abbiamo incontrato le associazioni degli<br />
anziani, non per chiedere di assumere ruoli particolari di<br />
vigilanza o di assistenza, ma, come si diceva sopra, per<br />
chiedere loro di «esserci», di uscire in quelle fasce orarie,<br />
di passeggiare, di andarsi a leggere il giornale in una panchina,<br />
di andare a fare la spesa, insomma di dare un’occhiata<br />
e di essere i nonni di tutti i <strong>bambini</strong>.<br />
I commercianti. Questa categoria ha una caratteristica<br />
che la rende preziosa per questa esperienza: il commerciante<br />
sta sulla strada, per questo può dare un’occhiata ai<br />
<strong>bambini</strong> ed è sempre lì e può costituire un punto di riferimento.<br />
Abbiamo chiesto ai negozianti <strong>dei</strong> due quartieri<br />
di partecipare alll’iniziativa e quelli che hanno aderito<br />
(quasi tutti) hanno esposto sulle loro vetrine un adesivo<br />
del <strong>La</strong>boratorio. I <strong>bambini</strong> conoscono il simbolo e sanno<br />
che, dove appare, loro possono entrare e chiedere: di telefonare<br />
a casa senza pagare la chiamata, bere, fare la<br />
pipì, ricomporre una lite.<br />
Questa risorsa è stata utilizzata pochissimo sia perché<br />
effettivamente il percorso non presentava difficoltà, sia<br />
perché i <strong>bambini</strong> ci tengono a dimostrare la loro autonomia.<br />
Quando ne hanno avuto bisogno l’hanno utilizzata<br />
con piena soddisfazione loro e degli stessi negozianti.<br />
Gli adolescenti. Abbiamo poi incontrato gli studenti delle<br />
scuole superiori vicine alle scuole elementari. I genitori<br />
avevano manifestato timori per i motorini degli studenti e<br />
141
per le eventuali molestie che da questi sarebbero potute<br />
venire. Abbiamo invece trovato molta attenzione e disponibilità<br />
a collaborare per favorire questa piccola, ma importante<br />
impresa, <strong>dei</strong> loro compagni più piccoli.<br />
L’Assessorato al Traffico. L’iniziativa è stata avviata in<br />
collaborazione con l’Assessorato al traffico, che ha fatto<br />
realizzare <strong>dei</strong> cartelli stradali sperimentali, per avvisare gli<br />
automobilisti che nella zona i <strong>bambini</strong> vanno a scuola da<br />
soli. L’Assessorato al Traffico ha anche promosso un corso<br />
di aggiornamento per i vigili urbani intitolato «Il vigile<br />
amico <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />
Gli automobilisti. Attraverso l’apposita segnaletica<br />
stradale si sono informati gli automobilisti dell’iniziativa,<br />
offrendo loro una bella opportunità di educazione al rispetto<br />
<strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> pedoni.<br />
Il quartiere. L’iniziativa, oltre ad offrire ai <strong>bambini</strong> una<br />
occasione di autonomia, vuole restituire al quartiere l’esperienza<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> per strada. Una esperienza che non<br />
intende sollecitare romantici ricordi, ma preparare un futuro<br />
sostenibile, con meno smog, meno rumore, con più<br />
sicurezza e più gente per strada.<br />
Alcuni dati<br />
L’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli» è stata preceduta<br />
o si è associata ad attività di ricerca che avevano l’obiettivo<br />
di raccogliere informazioni o di valutare i primi risultati<br />
dell’esperienza. A Fano l’indagine è stata condotta<br />
142
Cartello stradale realizzato dall’Assessorato al Traffico per delimitare le<br />
zone sperimentali.<br />
alla fine del primo anno di avvio della iniziativa, mentre a<br />
Palermo e a Roma ne precede l’inizio.<br />
Fano<br />
Prima della fine dell’anno scolastico, dopo quattro mesi<br />
dall’avvio dell’iniziativa, è stato proposto un questionario<br />
agli alunni e ai genitori delle due scuole coinvolte, per conoscere<br />
se era cambiato il modo di recarsi a scuola, se erano<br />
soddisfatti dell’esperienza e quali difficoltà e proposte<br />
potevano segnalare.<br />
Hanno risposto 385 alunni (intervistati a scuola) e 316<br />
genitori. Le loro risposte sono sostanzialmente omogenee<br />
143
per cui si riferisce una media fra le due, volendo qui solo<br />
dare elementi di valutazione dell’attività.<br />
Prima dell’iniziativa andavano a scuola accompagnati<br />
in auto il 68% degli alunni, accompagnati a piedi da<br />
adulti il 12% e da soli a piedi il 20%. Naturalmente queste<br />
percentuali variano nei diversi livelli scolastici, arrivando<br />
in quinta elementare al 50% di alunni che andavano a<br />
scuola da soli.<br />
Dopo l’avvio dell’iniziativa continuano ad andare a<br />
scuola in macchina solo il 20% degli alunni, mentre il 76%<br />
vanno a scuola da soli.<br />
Naturalmente le condizioni climatiche incidono notevolmente<br />
sull’autonomia <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e solo il 33% di loro<br />
va a scuola da solo anche quando piove.<br />
<strong>La</strong> grande maggioranza degli intervistati, il 95% <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong> e l’87% <strong>dei</strong> genitori, dà una valutazione positiva<br />
della esperienza. Le motivazioni prevalenti di questa soddisfazione<br />
sono nell’ordine: l’aumento di autonomia, la<br />
possibilità di conoscere, il piacere di incontrarsi con gli<br />
amici (citata specialmente dai <strong>bambini</strong>). Le motivazioni più<br />
citate a giustificare le risposte negative sono: la pericolosità,<br />
la scomodità (citata dai <strong>bambini</strong>), il peso degli zaini.<br />
Le proposte per una maggiore sicurezza del percorso<br />
casa-scuola sono nell’ordine: maggiore sorveglianza da<br />
parte <strong>dei</strong> vigili, maggiori garanzie (separazione dalle macchine)<br />
sui percorsi pedonali e ciclabili. Queste proposte di<br />
maggiore difesa e separazione sono più frequenti nei genitori,<br />
mentre i <strong>bambini</strong> sono più interessati ad un maggiore<br />
rispetto <strong>dei</strong> loro diritti da parte degli adulti e in particolare<br />
degli automobilisti.<br />
Palermo<br />
A Palermo l’indagine si è svolta nei due quartieri scelti per<br />
l’avvio della iniziativa, uno di periferia e uno di centro, e<br />
144
ha coinvolto 3.550 genitori e 3.550 studenti della scuola<br />
elementare e della scuola media. I questionari intendevano<br />
conoscere le modalità in cui viene effettuato il percorso<br />
casa-scuola, la valutazione della proposta di andare a<br />
piedi da soli e le eventuali difficoltà e proposte.<br />
I questionari sono stati distribuiti a scuola e compilati a<br />
casa, sia da parte <strong>dei</strong> genitori che degli allievi, con una<br />
percentuale di restituzione di circa il 50% (la bassa percentuale<br />
dipende sia dalle modalità di distribuzione del<br />
questionario sia dalla assenza di qualsiasi forma di precedente<br />
sensibilizzazione all’iniziativa).<br />
Vanno a scuola accompagnati in auto il 40% degli studenti;<br />
la percentuale sale al 58% nei giorni di pioggia.<br />
Vengono accompagnati a piedi il 16%.<br />
Vanno a scuola a piedi, da soli il 37% e in autobus il<br />
7% degli allievi.<br />
Nella scuola elementare le percentuali si modificano.<br />
Vanno a scuola accompagnati in auto il 44% e a piedi<br />
da adulti il 40% <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
Vanno a scuola a piedi, da soli il 16%.<br />
Il 66% <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e il 54% <strong>dei</strong> genitori si dichiarano<br />
favorevoli alla iniziativa e citano come motivazione prevalente<br />
la necessità di una maggiore autonomia.<br />
Il 34% <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e il 46% <strong>dei</strong> genitori si dichiarano<br />
invece contrari citando come motivazioni prevalenti la pericolosità<br />
del traffico e i rischi sociali, la lontananza della<br />
scuola e il peso degli zaini.<br />
Roma<br />
A Roma il progetto è stato raccolto dalla V Circoscrizione<br />
e applicato in alcuni suoi quartieri con il nome «Il quartiere<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>». <strong>La</strong> ricerca è stata condotta in due quar-<br />
145
tieri nei quali si vorrebbe avviare l’iniziativa «Alla scuola ci<br />
andiamo da soli».<br />
Rispetto alle altre <strong>città</strong> l’indagine di Roma è stata condotta<br />
con un forte impianto scientifico e utilizzando un<br />
questionario complesso e articolato somministrato con la<br />
formula dell’intervista da parte di una équipe di ricerca 3 .<br />
Le interviste hanno interessato un campione sperimentale<br />
di 400 <strong>bambini</strong> delle ultime classi della scuola elementare<br />
e della scuola media. Le domande contenute nel questionario<br />
riguardavano diversi temi fra i quali la mobilità<br />
infantile per il percorso casa-scuola. I dati raccolti indicano<br />
che:<br />
– il 68% degli allievi va a scuola accompagnato in auto<br />
o a piedi dagli adulti;<br />
– il 13% <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> va sempre a scuola da solo;<br />
– il 18% ha avuto solo occasionalmente l’opportunità<br />
di fare il percorso senza essere accompagnato.<br />
I <strong>bambini</strong> ritengono di essere accompagnati perché i<br />
genitori hanno paura (67,2%) e in misura minore perché<br />
sono piccoli (18,8%).<br />
<strong>La</strong> maggioranza <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> che sono accompagnati si<br />
dichiara disponibile ad andare a scuola da solo (76,2%).<br />
<strong>La</strong> maggiore difficoltà che i <strong>bambini</strong> citano rispetto a<br />
questa loro esperienza di autonomia è la loro paura delle<br />
«persone pericolose», che identificano con le frange di emarginazione<br />
sociale: barboni, zingari, drogati, ladri, rapitori.<br />
Meno preoccupanti per loro i pericoli derivanti dal<br />
traffico, che invece considerano come paura prevalente<br />
<strong>dei</strong> genitori.<br />
3 <strong>La</strong> ricerca romana è stata condotta dalla dottoressa Vittoria Giuliani, ricercatrice<br />
dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR, esperta<br />
di psicologia ambientale.<br />
146
Conclusioni<br />
Come dimostrano i dati di Palermo e Roma, la maggioranza<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> desidera una maggiore autonomia, si<br />
considera capace di affrontare la prova dell’andare a scuola<br />
senza l’accompagnamento degli adulti. È interessante e<br />
preoccupante la forte presenza di paure legate ai pericoli<br />
sociali dell’ambiente, certamente condizionate dalle raccomandazioni<br />
degli adulti e dalle informazioni <strong>dei</strong> mezzi di<br />
comunicazione, ma che in parte rispecchiano anche la situazione<br />
di degrado delle periferie. Meno preoccupati sono<br />
i <strong>bambini</strong> <strong>dei</strong> pericoli di traffico. Di fronte a questa situazione<br />
sembra ancora più urgente l’avvio di una tale iniziativa,<br />
che aiuterà <strong>bambini</strong> e genitori a costruirsi un quadro<br />
del quartiere più sereno e a dare un contributo perché<br />
la pericolosità, che comunque può esistere, si riduca a livelli<br />
controllati e accettabili.<br />
L’esperienza di Fano, che dal marzo 1995 continua<br />
con una sostanziale risposta positiva da parte delle famiglie<br />
e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, dimostra che le paure si possono esorcizzare<br />
solo con l’esperienza. Anche a Fano i genitori avevano<br />
paura sia <strong>dei</strong> pericoli del traffico che di quelli sociali,<br />
ma una volta avviata l’iniziativa la quasi totalità di adulti<br />
e <strong>bambini</strong> si dichiara contenta.<br />
I <strong>bambini</strong> in particolare dichiarano di andare a scuola<br />
più volentieri e, secondo la testimonianza di uno <strong>dei</strong> due<br />
direttori didattici, quando vengono a scuola da soli sono<br />
più puntuali. Due effetti che non sembrano marginali.<br />
Va invece sottolineata la fragilità di esperienze come<br />
questa che richiedono modifiche non indifferenti nelle abitudini<br />
delle famiglie. Il Comune che chiede ai <strong>bambini</strong> di<br />
andare a scuola da soli, chiede ai genitori non solo di avere<br />
fiducia nei loro figli, ma anche nel comportamento degli<br />
altri adulti automobilisti, passanti, negozianti. Naturalmente<br />
se un Comune chiede questo deve comprometter-<br />
147
si e fare tutto quello che è in suo potere per garantire la<br />
maggiore sicurezza <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Le famiglie contano su<br />
questa disponibilità e chiedono interventi che aumentino<br />
le sicurezze. Se questi interventi non vengono realizzati,<br />
specie se già promessi, la fiducia verso l’amministrazione<br />
viene meno e i figli tornano a scuola in auto.<br />
Questo in qualche modo sta succedendo a Fano con<br />
una diminuzione della partecipazione a questa iniziativa,<br />
nel secondo anno, proprio per i ritardi nella realizzazione<br />
delle opere richieste dai cittadini e promesse dall’amministrazione.<br />
Di nuovo il problema <strong>dei</strong> tempi, di nuovo la necessità<br />
di considerare il progetto come una trasformazione<br />
profonda non solo nelle cose da fare ma anche nelle<br />
sensibilità che si riflettono nelle procedure.<br />
10.<br />
UNA PATENTE DA PEDONE,<br />
DA CICLISTA E DA MOTORINISTA<br />
Una proposta di educazione stradale<br />
I Comuni hanno competenze sull’educazione stradale e<br />
destinano fondi all’acquisto di materiali come libretti, manifesti,<br />
video. Materiali che permettono agli insegnanti di<br />
fare le solite lezioni magari con qualche immagine in più,<br />
ma resta inalterato lo scopo di questo sforzo economico e<br />
organizzativo: portare il più precocemente possibile gli<br />
alunni a conoscere i segnali stradali e i principali articoli<br />
del codice della strada. Per rendere più credibile e più efficace<br />
questa operazione sempre più spesso si invitano i<br />
vigili urbani dentro le classi, in modo che siano loro ad insegnare<br />
segnaletica e codice, anche se non hanno nessuna<br />
esperienza di <strong>bambini</strong> e di didattica. Queste attività sono<br />
destinate ad un sostanziale insuccesso per varie ragioni:<br />
innanzi tutto è privo di ragionevolezza insegnare a<br />
148
ambini di otto, dieci anni, che ancora per molti anni non<br />
guideranno una macchina, i segnali stradali e il codice, poi<br />
non è assolutamente vero che l’aumento di informazioni<br />
e di conoscenze garantisca il cambiamento <strong>dei</strong> comportamenti<br />
(i giovani ad esempio continuano a fumare anche<br />
se conoscono tutte le statistiche del rischio che stanno<br />
correndo). A scuola quindi si studia come ci si dovrebbe<br />
comportare in strada mentre in strada gli adulti si comportano<br />
come se non fossero mai andati a scuola e i <strong>bambini</strong><br />
continuano a muoversi dentro le auto condotte da<br />
questi adulti analfabeti.<br />
Di qui la proposta del <strong>La</strong>boratorio di una vera esperienza<br />
di educazione stradale, vissuta dai <strong>bambini</strong> nelle<br />
strade della <strong>città</strong> e legata alla soddisfazione, anche se parziale,<br />
di una loro esigenza di autonomia: l’iniziativa «A<br />
scuola ci andiamo da soli».<br />
A sostegno di questa esperienza si propone alle scuole<br />
l’istituzione di corsi di patente per «Pedoni» nella scuola<br />
elementare, per «Ciclisti» nella scuola media inferiore e<br />
per «Motorinisti» nella scuola superiore. L’idea è semplicemente<br />
quella di rafforzare l’attenzione e l’impegno <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong> e <strong>dei</strong> ragazzi e di coinvolgere sempre di più la <strong>città</strong><br />
in questa operazione di risanamento <strong>dei</strong> comportamenti e<br />
delle abitudini.<br />
<strong>La</strong> patente da pedoni<br />
Nella scuola elementare si potrebbero attivare <strong>dei</strong> veri corsi<br />
di patente da pedoni che prevedano lo studio <strong>dei</strong> percorsi<br />
da casa a scuola con sopralluoghi; l’esame delle migliori<br />
soluzioni in rapporto al tempo e alla sicurezza; l’osservazione<br />
del comportamento degli automobilisti riguardo<br />
alla velocità, al rispetto delle strisce pedonali, al parcheggio<br />
sui marciapiedi; l’identificazione <strong>dei</strong> punti di mag-<br />
149
giore rischio. Dopo questi rilievi, che potranno essere effettuati<br />
dai <strong>bambini</strong> anche nel pomeriggio, si dovranno<br />
elaborare strategie di proposta e, se necessario, di protesta,<br />
attraverso l’uso delle «multe» morali 1 e la richiesta al<br />
Comune di interventi punitivi o strutturali come modifiche<br />
di attraversamenti, installazione di semafori a chiamata,<br />
ecc.<br />
Si possono approfondire la conoscenza della attività di<br />
deambulazione, la migliore postura, le caratteristiche delle<br />
scarpe. Si esamineranno le caratteristiche delle diverse<br />
stagioni e le modalità migliori per proteggersi dalla pioggia,<br />
dal caldo, dalla neve, potendosi muovere con libertà.<br />
I <strong>bambini</strong> possono assumere a turno il ruolo di «vigile<br />
urbano» per verificare il comportamento <strong>dei</strong> compagni e<br />
degli adulti all’esterno della scuola, prendendo nota <strong>dei</strong><br />
comportamenti non adeguati. Di questi si parlerà in classe<br />
e in caso di rilievi gravi nei confronti degli automobilisti<br />
si potrà anche decidere di fare segnalazioni al comando<br />
<strong>dei</strong> vigili urbani. Naturalmente l’obiettivo non è quello<br />
di riproporre una sorta di capoclasse, ma di offrire un punto<br />
di vista diverso, che permetta ai <strong>bambini</strong> di leggere la<br />
loro esigenza di autonomia correlata con il rispetto delle<br />
norme. <strong>La</strong> turnazione sistematica e non meritocratica, in<br />
questo gioco <strong>dei</strong> ruoli, sarà quindi necessaria.<br />
Alla fine del corso si potrebbe fare una grande festa, un<br />
percorso ad ostacoli nella piazza del quartiere e far consegnare<br />
dall’assessore al Traffico le patenti da pedoni<br />
con foto, bolli e marche. Poi sarà importante che l’amministrazione<br />
organizzi iniziative per i piccoli patentati, per<br />
esempio passeggiate il sabato o la domenica per raggiungere<br />
località interessanti da un punto di vista naturalistico<br />
o artistico e fare insieme una merenda. Durante le vacanze<br />
si potranno anche organizzare lunghi viaggi a piedi su<br />
percorsi interessanti, secondo le modalità del trekking.<br />
150<br />
1 Si veda la scheda n° 8: «<strong>La</strong> multa <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».
<strong>La</strong> patente da ciclisti<br />
Nelle <strong>città</strong> dove l’uso della bicicletta è possibile, in tutte le<br />
scuole medie si potrebbe aprire un «laboratorio della bicicletta»<br />
(questa proposta in alcune situazioni ambientali favorevoli<br />
potrebbe interessare anche le ultime classi della<br />
scuola elementare). Un luogo dove si possa smontarla, pulirla,<br />
aggiustarla, studiarla, conoscerla bene. È importante<br />
che la scuola solleciti negli allievi la passione per la bicicletta,<br />
perché le nostre <strong>città</strong> hanno bisogno di formare cittadini<br />
che scelgano di lasciare a casa la macchina e si muovano<br />
senza rumore e senza occupare molto posto, senza<br />
consumare inutilmente risorse non rinnovabili come il<br />
carburante, senza inquinare l’aria e danneggiare le opere<br />
d’arte. Per il resto il corso di patente da ciclisti dovrebbe<br />
procedere come quello da pedoni, con lo studio del territorio,<br />
<strong>dei</strong> percorsi, con richieste di maggiori attenzioni da<br />
parte della amministrazione, come più volte accennato<br />
nelle altre parti del libro. Dopo la festa della consegna delle<br />
patenti, per i patentati l’Assessorato al Traffico e l’Assessorato<br />
allo Sport potranno organizzare gite, gare di regolarità,<br />
visite a località interessanti del territorio circostante<br />
e, nelle vacanze, anche veri lunghi viaggi in bicicletta<br />
a tappe.<br />
<strong>La</strong> patente da motorinisti<br />
Il motorino è certamente uno <strong>dei</strong> miti <strong>dei</strong> nostri adolescenti,<br />
è la ragione di grandi lotte con i genitori, è la causa<br />
di difficoltà non irrilevanti nella circolazione stradale urbana,<br />
è responsabile di forte aumento dell’inquinamento<br />
acustico ed è purtroppo la causa di tanti, troppi traumi cerebrali<br />
che ogni giorno uccidono o lasciano paralizzati adolescenti<br />
e giovani. Questo sia per la prepotenza degli au-<br />
151
tomobilisti sia per le cattive abitudini <strong>dei</strong> giovani stessi che,<br />
oltre a guidare in maniera spericolata, usano spesso in due<br />
il motorino o circolano senza il casco. Queste cattive e pericolose<br />
abitudini sono in modo incomprensibile e colpevole<br />
tollerate dalle autorità di tutela del traffico. Se però il<br />
motorino fosse usato in modo corretto si avrebbero notevoli<br />
benefici per la <strong>città</strong>, dato che lo spazio che occupa è<br />
cinque o sei volte inferiore a quello che richiede una automobile.<br />
Si propone l’apertura di un laboratorio del motorino<br />
in tutte le scuole superiori (mi piace pensare un tale laboratorio<br />
nei nostri licei classici). Sarebbe un luogo dove finalmente<br />
si troverebbero a loro agio gli studenti che hanno<br />
più problemi in greco e in algebra, ma sarebbe anche<br />
il laboratorio dove si potrebbe fare tecnologia, fisica, chimica,<br />
ecc. Si dovrebbe studiare la viabilità della <strong>città</strong>, proporre<br />
soluzioni soddisfacenti per percorsi sicuri e la realizzazione<br />
di appositi parcheggi. Si dovrebbero studiare i<br />
rischi e i pericoli per giungere insieme al riconoscimento<br />
della necessità di una guida corretta, dell’uso del casco e<br />
alla impossibilità di viaggiare in due su un motorino. E via<br />
di questo passo fino alla patente e alle successive iniziative<br />
sociali che potranno diventare luoghi di amicizie e occasioni<br />
di rafforzamento di corretti comportamenti sulla<br />
strada.<br />
Sarebbe importante che i giovani capissero che quando<br />
sono in motorino debbono rispettare i diritti <strong>dei</strong> più deboli,<br />
e quindi <strong>dei</strong> ciclisti e <strong>dei</strong> pedoni, così come si chiede<br />
che gli automobilisti facciano con loro.<br />
Questa scheda è stata scritta in gran parte al condizionale<br />
perché la proposta è ancora allo studio delle scuole e<br />
si attende una loro decisione per partire con la partecipazione,<br />
insieme al <strong>La</strong>boratorio, degli Assessorati al Traffico,<br />
allo Sport, all’Educazione e delle associazioni sportive<br />
e ambientalistiche.<br />
152
11. «IO E LA MIA CITTÀ»<br />
Una proposta di educazione ambientale<br />
Nel 1993 il <strong>La</strong>boratorio di Fano «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» ha<br />
lanciato a tutte le scuole italiane la proposta di dedicare la<br />
loro attenzione al rapporto sempre più difficile fra il bambino<br />
e la <strong>città</strong>, con il progetto «Io e la mia <strong>città</strong>».<br />
Il piano pluriennale invita ogni anno gli studenti italiani<br />
delle scuole di ogni livello ad analizzare un aspetto, un<br />
pezzo della loro <strong>città</strong> e su questo ad incontrarsi a Fano per<br />
conoscersi e confrontare il lavoro svolto. Nel 2000 si prevede<br />
un grande convegno internazionale nel quale, ricomposti<br />
i pezzi esaminati nei vari anni, si ponga in discussione<br />
la <strong>città</strong> secondo le ottiche, le aspettative e le proposte<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e <strong>dei</strong> ragazzi.<br />
È nostra opinione che questa iniziativa sia un buon programma<br />
di educazione ambientale, specie per la sua parte<br />
di conoscenza del territorio, di progettazione e di prospettiva<br />
verso il futuro. D’altra parte è la <strong>città</strong> il luogo del<br />
massimo degrado, del più urgente intervento. È lì che si<br />
realizzano gli attentati più grandi all’ambiente, è da lì che<br />
una «rinascita» ambientale può iniziare. Per questo il Ministero<br />
dell’Ambiente ha riconosciuto il <strong>La</strong>boratorio di Fano<br />
come <strong>La</strong>boratorio Territoriale di Educazione Ambientale e<br />
per questo il Ministero della Pubblica Istruzione, fin dal primo<br />
anno, ha fatto suo e ha divulgato nelle scuole con sua<br />
circolare il progetto «Io e la mia <strong>città</strong>».<br />
In questo e in simili casi c’è un valore in più da tenere in<br />
conto. I <strong>bambini</strong> progettano spazi veri della <strong>città</strong>, li propongono<br />
agli adulti e gli adulti dovranno sempre più tenerne<br />
conto, modificando i tradizionali parametri di progettazione<br />
delle <strong>città</strong> basati solo su criteri economici e comunque<br />
di interesse e rilevanza per i soli adulti. Queste propo-<br />
153
ste diventano quindi, attraverso i <strong>bambini</strong>, anche efficaci<br />
iniziative di sensibilizzazione ambientale per gli adulti.<br />
I temi<br />
Il tema proposto nell’anno scolastico 1993-94 era «Le<br />
piazze e i monumenti». Gli allievi erano invitati a rispondere<br />
alle domande «A cosa serve una piazza?», «Come dovrebbe<br />
essere fatta, attrezzata, arredata una piazza?», «Dove<br />
si potrebbe realizzare una piazza come quella desiderata?»,<br />
«Cosa significa un monumento?», «A chi lo fareste e<br />
come?».<br />
Il tema del 1994-95 era «Fuori il verde». L’invito era<br />
quello di cercare quei ritagli di <strong>città</strong>, quei prati incolti di cui<br />
sono ricche le periferie, che non si sa di chi sono e che<br />
spesso diventano piccole discariche; per conoscerli e restituirli<br />
ad un uso pubblico attraverso una adeguata progettazione.<br />
Il tema del 1995-96 era «Le strade e le macchine: a<br />
scuola ci andiamo da soli» per studiare le difficoltà della mobilità<br />
urbana per i cittadini più deboli e le possibili soluzioni<br />
per aumentare la loro autonomia e contrastare lo strapotere<br />
delle automobili. «I rifiuti» è l’argomento di lavoro<br />
per l’anno 1996-97 e temi <strong>dei</strong> prossimi anni potranno essere:<br />
«<strong>La</strong> scuola come piace a noi»; «Il restauro e il riuso urbano»;<br />
«I cortili»; «Il tempo libero» o altri.<br />
Il metodo<br />
Le scuole interessate al progetto inviano una scheda di<br />
adesione al <strong>La</strong>boratorio di Fano. Questo risponde alle<br />
classi con un documento metodologico, preparato appo-<br />
154
sitamente ogni anno, che suggerisce alcune attività sul tema<br />
proposto.<br />
Si ritiene che le scuole debbano sviluppare l’argomento,<br />
nella piena libertà, delle forme e <strong>dei</strong> linguaggi espressivi.<br />
Si propone di iniziare il lavoro con esperienze concrete,<br />
reali: l’individuazione di uno spazio del quartiere,<br />
oppure l’identificazione di un problema da superare. Di<br />
qui si parte per raccogliere informazioni, conoscere la<br />
proprietà dell’area, formulare delle ipotesi di trasformazione.<br />
Nella elaborazione di un progetto si suggerisce di<br />
utilizzare la consulenza e la collaborazione di tecnici esterni<br />
alla scuola che aiutino gli allievi a tener conto delle norme,<br />
delle caratteristiche <strong>dei</strong> materiali, delle soluzioni possibili.<br />
Potranno essere i tecnici del Comune o architetti,<br />
urbanisti, naturalisti, ecc.<br />
Sarà importante, sia per gli aspetti educativi, sia per la<br />
maggiore realizzabilità dell’opera, che la classe studi anche<br />
i materiali necessari, i costi necessari e valuti quale<br />
contributo operativo possono dare gli allievi stessi, i genitori,<br />
i nonni, tanto per la realizzazione che per la manutenzione.<br />
Il lavoro svolto terminerà con la preparazione di<br />
un progetto concreto e se possibile con un modellino o un<br />
plastico che verrà presentato agli assessori competenti 1 .<br />
<strong>La</strong> settimana di Fano<br />
Durante il mese di aprile si tiene a Fano una settimana di<br />
chiusura della iniziativa «Io e la mia <strong>città</strong>», dedicata ai <strong>bambini</strong>,<br />
durante la quale le classi o i gruppi (per esempio di<br />
associazioni) che hanno aderito inviano o portano i loro<br />
progetti.<br />
L’evento principale è la grande mostra <strong>dei</strong> progetti, <strong>dei</strong><br />
1 Si veda anche la scheda n° 4: «I <strong>bambini</strong> progettisti».<br />
155
modelli, <strong>dei</strong> plastici, prodotti dai <strong>bambini</strong> delle varie <strong>città</strong><br />
sul tema dell’anno. Una seconda mostra è quella <strong>dei</strong> migliori<br />
manifesti realizzati dai <strong>bambini</strong> di Fano per il concorso<br />
per il manifesto dell’anno 2 . A queste si uniscono altre<br />
mostre curate dal <strong>La</strong>boratorio, da associazioni nazionali<br />
o locali o dagli anziani della <strong>città</strong>. Nei sei anni della manifestazione,<br />
fra le altre, sono state presentate a Fano la<br />
mostra delle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia «I cento<br />
linguaggi <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» e la mostra curata da Mario Lodi sul<br />
disegno infantile.<br />
Tutti i giorni della settimana gruppi teatrali per <strong>bambini</strong><br />
o di <strong>bambini</strong>, locali o di altre <strong>città</strong>, realizzano spettacoli,<br />
di mattina nelle scuole e di pomeriggio nelle piazze,<br />
piazzette e teatri della <strong>città</strong>.<br />
Durante la settimana si tengono anche alcuni incontriconvegno.<br />
Uno, forse il più rappresentativo, è quello <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong> progettisti, durante il quale gli autori illustrano ai<br />
compagni delle varie <strong>città</strong> e agli adulti il loro lavoro esposto<br />
nella mostra. Questo incontro viene coordinato e diretto<br />
dai <strong>bambini</strong> del Consiglio di Fano con un rispetto <strong>dei</strong><br />
tempi previsti che stupisce sempre gli adulti. Si sta comunque<br />
pensando di modificare in futuro questa presentazione<br />
che rischia di scimmiottare troppo i convegni degli<br />
adulti e di incontrare poco interesse da parte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
che assistono, specie di quelli che ancora debbono intervenire,<br />
realizzando la mostra <strong>dei</strong> progetti in uno spazio<br />
molto più grande e invitando i gruppi di lavoro ad illustrare<br />
in alcune ore del giorno il loro lavoro.<br />
Un secondo convegno che si è sempre tenuto è quello<br />
degli amministratori, sul tema dell’anno, le sue implicazioni<br />
educative ed urbanistiche. Quello con gli amministratori<br />
è un appuntamento importante che permette uno<br />
scambio di esperienze fra le <strong>città</strong> interessate o già impe-<br />
156<br />
2 Si veda la scheda n° 12: «Io e la mia <strong>città</strong>»: il manifesto.
gnate in questo progetto. Negli ultimi anni all’incontro di<br />
aprile si è aggiunto un incontro-seminario di approfondimento<br />
a dicembre.<br />
Si sono anche tenuti incontri con gli insegnanti sui temi<br />
più vicini alla metodologia della proposta (dalla educazione<br />
ambientale alla collaborazione con tecnici esterni alla<br />
scuola) e con gli architetti sui vari aspetti della architettura<br />
partecipata ai <strong>bambini</strong>.<br />
Per una settimana molti spazi importanti e prestigiosi<br />
della <strong>città</strong> vengono «lasciati» ai <strong>bambini</strong>, ai loro incontri, ai<br />
loro spettacoli, alle loro mostre. I negozi espongono i loro<br />
manifesti, la radio e la stampa locale si occupano di loro.<br />
Per una settimana la <strong>città</strong> diventa un po’ di più una<br />
<strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
<strong>La</strong> domenica la <strong>città</strong>, chiusa al traffico 3 , si offre ai <strong>bambini</strong><br />
come «Una <strong>città</strong> da giocare». Nei vari anni si sono proposti<br />
ai <strong>bambini</strong> i vari spazi urbani come occasioni di gioco:<br />
le piazzette e i vicoli del centro come sorprendenti ambientazioni<br />
di spettacoli teatrali; la sabbia dell’arenile come<br />
materiale per i tanti giochi, dal vulcano al castello, dal<br />
trabocchetto alla pista per le bilie; i ciottoli della spiaggia<br />
sassosa come materiali per originali composizioni o pitture<br />
o per ricerche del sasso più rotondo; le mura o i bastioni<br />
della <strong>città</strong> come grandi giocattoli. Negli ultimi anni,<br />
dopo che i <strong>bambini</strong> hanno ottenuto la chiusura della <strong>città</strong><br />
alle macchine, il luogo del gioco è diventato la strada, simbolo<br />
dell’impegno di riappropriazione della <strong>città</strong> da parte<br />
di tutti i cittadini a partire dai <strong>bambini</strong>.<br />
Alcuni dati<br />
<strong>La</strong> partecipazione alla settimana è stata variabile, fortemente<br />
condizionata dai tempi in cui la circolare ministe-<br />
3 Si veda la scheda n° 13: «Una giornata senza auto».<br />
157
iale è arrivata alle scuole e dalla coincidenza della settimana<br />
di aprile con le elezioni politiche o amministrative<br />
(purtroppo una costante negli ultimi tre anni). Nonostante<br />
queste difficoltà hanno inviato progetti a Fano una cinquantina<br />
di scuole (in media) e varie amministrazioni comunali<br />
hanno inviato i loro rappresentanti. Erano sempre<br />
rappresentate più di dieci regioni italiane e alcune delegazioni<br />
straniere.<br />
È costantemente aumentato il numero <strong>dei</strong> plastici inviati<br />
a Fano, rispetto ai cartelloni tradizionali, che costituivano<br />
il materiale prevalente <strong>dei</strong> primi anni. Questo significa<br />
che le scuole stanno accettando le indicazioni di lavoro<br />
proposte dalla circolare ministeriale e il documento<br />
metodologico inviato dal <strong>La</strong>boratorio di Fano: intervento<br />
operativo sul territorio, collaborazione con tecnici esterni<br />
alla scuola, uso di nuove tecnologie, come appunto la realizzazione<br />
di plastici.<br />
L’alta partecipazione di progetti, <strong>bambini</strong>, insegnanti e<br />
amministratori, nonostante che l’onere finanziario fosse a<br />
carico <strong>dei</strong> partecipanti e le citate difficoltà «politiche» degli<br />
ultimi anni, dimostra il riconoscimento dell’importanza<br />
non solo per la proposta metodologica, ma anche per<br />
l’occasione d’incontro reale di <strong>bambini</strong> e di adulti sia intorno<br />
ai lavori esposti sia per «giocare» insieme la <strong>città</strong>.<br />
12 . «IO E LA MIA CITTÀ»: IL MANIFESTO<br />
Da tre anni il manifesto della iniziativa nazionale «Io e la<br />
mia <strong>città</strong>» nasce da un concorso bandito fra i <strong>bambini</strong> e i<br />
ragazzi delle scuole di Fano. Il <strong>La</strong>boratorio distribuisce nelle<br />
scuole un manifesto bianco di 100 x 70 cm, con il solo<br />
simbolo grafico della iniziativa e i titoli. I <strong>bambini</strong> dipingono<br />
in tutta libertà il manifesto, per rappresentare il te-<br />
158
Manifesto scelto come simbolo dell’iniziativa per l’anno 1996, realizzato<br />
da Michela, 3 anni, dell’asilo nido Arcobaleno di Fano.<br />
159
ma dell’anno, scegliendo la tecnica che preferiscono, lavorando<br />
a scuola o a casa, individualmente o in gruppo.<br />
Tutti i manifesti preparati, sempre più di cento, vengono<br />
esaminati da una commissione, formata da professori dell’Istituto<br />
d’Arte e del Liceo Pedagogico, da un grafico e dal<br />
direttore scientifico del <strong>La</strong>boratorio, che seleziona quelli<br />
che verranno esposti in una mostra durante la settimana<br />
di aprile e sceglie quello che le sembra il più adatto a rappresentare<br />
il tema dell’anno. Questo viene stampato e diventa<br />
il simbolo della manifestazione: è il premio per il piccolo<br />
autore. Tutti i manifesti non utilizzati per la mostra<br />
vengono esposti nelle vetrine <strong>dei</strong> negozi.<br />
13 . UNA GIORNATA SENZA AUTO<br />
Come si è ricordato nella scheda «Il Consiglio comunale<br />
aperto ai <strong>bambini</strong>» durante il Consiglio straordinario del<br />
1993 i <strong>bambini</strong> avevano chiesto che le macchine fossero<br />
meno prepotenti, togliessero meno spazio al gioco <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>, e l’assessore al Traffico, in uno slancio di generosità,<br />
promise che per un giorno avrebbe chiuso tutta la<br />
<strong>città</strong> alle auto. Le difficoltà le incontrò successivamente,<br />
perché non si trattava di chiudere una strada o una piazza,<br />
ma una <strong>città</strong> attraversata da strade importanti e trafficate<br />
come l’Adriatica e la Flaminia. Ormai però la promessa<br />
era fatta e il <strong>La</strong>boratorio fu fermo nel chiedere che<br />
venisse rispettata. <strong>La</strong> promessa fu mantenuta, fu richiesta<br />
l’autorizzazione alla Prefettura, furono predisposte le necessarie<br />
deviazioni e le strade furono regalate ai <strong>bambini</strong><br />
per giocare.<br />
Nel Consiglio straordinario del 1994 i <strong>bambini</strong> hanno<br />
chiesto di aumentare le giornate di chiusura alle macchine.<br />
L’assessore questa volta non ha fatto rischiose pro-<br />
160
messe, ma non ha neppure potuto recedere rispetto all’impegno<br />
dell’anno precedente e così la giornata di chiusura<br />
è stata confermata negli ultimi tre anni e costituisce<br />
ormai una bella consuetudine.<br />
Da allora, la domenica di chiusura della iniziativa «Io e<br />
la mia <strong>città</strong>» 1 , i <strong>bambini</strong>, ma anche gli adulti, si riappropriano<br />
delle strade che, da luoghi proibiti e pericolosi, diventano<br />
spazi privilegiati di gioco. È inusuale, ma carico<br />
di significato, osservare <strong>bambini</strong> e adulti camminare in fila<br />
lungo la linea di mezzeria della carreggiata, alla scoperta<br />
di una libertà nuova.<br />
<strong>La</strong> strada diventa il luogo <strong>dei</strong> vari giochi tradizionali, del<br />
teatro, <strong>dei</strong> trampoli. Gruppi di animatori e di studentesse<br />
del Liceo Pedagogico aiutano i <strong>bambini</strong> a «scoprire» vecchi<br />
giochi di strada o propongono nuove attività. <strong>La</strong> strada<br />
diventa una grande lavagna, lunga come una <strong>città</strong>, dove<br />
disegnare percorsi, spazi di gioco o dipingere come i<br />
«madonnari».<br />
Gli automobilisti che hanno la «fortuna» di transitare in<br />
questo giorno a Fano, quando incontrano la strada interrotta<br />
e vengono obbligati ad una certamente poco gradita<br />
deviazione, trovano un cartello che dice: «OGGI LE<br />
STRADE DI FANO SONO CHIUSE ALLE MACCHINE<br />
PERCHÉ SONO STATE REGALATE AI BAMBINI PER<br />
GIOCARE».<br />
<strong>La</strong> nostra speranza è che questi automobilisti, insieme<br />
alla legittima rabbia per l’allungamento del viaggio, possano<br />
portarsi dietro, quali stimoli alla riflessione, pensieri del<br />
tipo: «Però che strani questi fanesi, giocare nelle strade...<br />
però anch’io da piccolo... e perché no anche per mio figlio?...».<br />
Chiudere le strade per un giorno è certamente solo un<br />
simbolo, un segnale, ma anche i segnali sono importanti<br />
1 Si veda la scheda n° 11: «Io e la mia <strong>città</strong>».<br />
161
perché aiutano a credere alle cose nuove. Sono piccole<br />
carezze che aiutano a sperare. Aiutano i <strong>bambini</strong> a crescere<br />
con questi desideri, aiutano gli adulti a rompere le<br />
abitudini che spesso si confondono con necessità.<br />
14.<br />
UN MARCHIO DI QUALITÀ BAMBINI<br />
PER ALBERGHI E RISTORANTI<br />
Ristoranti ed alberghi a misura anche <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
Il progetto, come più volte ricordato, interessa trasversalmente<br />
la <strong>città</strong>, tutti i suoi aspetti, tutte le sue strutture, da<br />
sottomettere ad una revisione critica, a partire dalle esigenze<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
Fano è una <strong>città</strong> di turismo balneare frequentata specialmente<br />
dalle famiglie. Per questo l’Azienda di Promozione<br />
Turistica (APT) ha visto fin dall’inizio con interesse<br />
il sorgere del <strong>La</strong>boratorio, lo ha appoggiato e ha manifestato<br />
curiosità e disponibilità di fronte all’idea di proporre<br />
agli esercenti di ristoranti, alberghi e camping una serie di<br />
suggerimenti per rendere le loro strutture più adatte ai<br />
<strong>bambini</strong>. Dopo alcune riunioni con sindaco, assessori<br />
competenti, APT ed esercenti, la proposta ha preso forma<br />
in alcune riunioni del Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
Le proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
Le proposte che seguono sono emerse direttamente e<br />
senza interventi degli adulti in una seduta del Consiglio <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong> del <strong>La</strong>boratorio dopo che i consiglieri avevano<br />
raccolto le idee nelle rispettive scuole.<br />
162
Perché un ristorante sia adatto ai <strong>bambini</strong><br />
Lucia: Vetri mobili che d’estate si tolgono e d’inverno si<br />
mettono, con il self-service in modo che i <strong>bambini</strong> si possono<br />
servire.<br />
Beatrice: 30 <strong>bambini</strong> su 90 vorrebbero cibi buoni che<br />
piacciono a loro, 14 parco e sala giochi, 13 giardino, 12<br />
tavoli bassi e larghi, 10 divieto di fumo, 6 un servizio rapido,<br />
personale gentile e con i bagni puliti.<br />
M. Vittoria: Vicino al ristorante una stanzetta per i <strong>bambini</strong><br />
così non devono stare a tavola e aspettare i grandi ed<br />
annoiarsi; vestirsi in maniera non seria; le pareti dipinte<br />
con murales.<br />
Massimo: Preparare il menù e cucinare; decidere la quantità<br />
di cibo che si vuole.<br />
Nicola: Sala da pranzo solo per i <strong>bambini</strong> con panche fissate<br />
al muro e al pavimento per evitare le cadute.<br />
Francesca: Piatti di plastica dura e lavabile con disegni <strong>dei</strong><br />
cartoni animati.<br />
Chiara: Sala per i fumatori perché a noi <strong>bambini</strong> il fumo<br />
dà molto fastidio e fa male; dopo il pranzo una sala tutta<br />
per noi per poter giocare e dolci gratis ai <strong>bambini</strong>.<br />
Dennis: Servitori gentili con battute divertenti, piccola palestra<br />
con porte piccole da calcio.<br />
Perché un albergo sia adatto ai <strong>bambini</strong><br />
Lucia: Struttura a forma di giocattolo con dentro tanti giocattoli.<br />
Elena: Vorrei più controllo nel giardino, sale adibite a televisione,<br />
giochi gratis, self-service, mini biblioteca. Baby<br />
sitter perché i genitori che vogliono andare in qualche posto<br />
e i <strong>bambini</strong> non sanno dove metterli, allora ci potrebbe<br />
essere una baby sitter.<br />
163
Giorgia: Vorremmo <strong>dei</strong> parchi con giochi tipo altalene e<br />
altri generi, piscine e sale giochi, poi cartelloni da poter<br />
disegnare.<br />
Beatrice: <strong>La</strong> televisione in camera con cartoni per i <strong>bambini</strong>,<br />
con mobili non infiammabili e soprammobili infrangibili.<br />
M. Vittoria: Camere grandi e colorate e con giocattoli non<br />
pericolosi e tenere anche le cose un po’ in disordine. Letti<br />
resistenti dove si può anche saltare. Costi più bassi di<br />
quelli attuali perché ci si andrebbe di più. Club per i <strong>bambini</strong><br />
con passatempi come ballare e andare in spiaggia.<br />
Massimo: Orari non rigidi. Scegliere attività silenziose invece<br />
di riposare, come leggere disegnare travestirsi truccarsi<br />
preparare il menù e cucinare. Chiavi ad uso personale.<br />
Maniglie, docce, interruttori, specchi ad altezza di<br />
bambino. Sala film, computer creativi con immagini tridimensionali,<br />
poter far musica con strumenti, momenti di<br />
lettura a voce alta.<br />
Nicola: Spazi gioco con tavoli e sedie senza spigoli, grande<br />
schermo televisivo, computer, pareti lavabili, con pennelli<br />
per dipingere. Letti con protezione per eventuali cadute,<br />
mensole con giochi e pareti con isolamento acustico<br />
(per strillare). Bagni «igienizzati». Giardino con giochi,<br />
capannine e uno spazio per i più piccoli. Tappeti, ascensori<br />
per handicappati.<br />
Margherita: Ci potrebbe essere un piccolo cinema con<br />
ogni due ore un cartone e una sala con giornalini.<br />
Francesca: Guardaroba di vestiti per feste, gite guidate<br />
per i <strong>bambini</strong> a piedi e con pulmino. Plastico con i monumenti<br />
più belli della <strong>città</strong>.<br />
Manila: Strutture per animali <strong>dei</strong> clienti.<br />
Dennis: Giardino con persone che pensano a noi.<br />
Giacomo: Albergo di lusso con dietro un bosco e un piccolo<br />
zoo, un piccolo bar, parco giochi.<br />
164
Proposte del <strong>La</strong>boratorio<br />
A partire dalle proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, che evidenziano le<br />
modifiche principali che possono trasformare questi servizi<br />
in luoghi piacevoli anche per loro, il <strong>La</strong>boratorio ha<br />
formulato agli operatori turistici e all’APT di Fano una serie<br />
di proposte perché si possano discutere e arricchire insieme<br />
1 . Se si riuscirà a compilare un elenco di condizioni<br />
alle quali debbano rispondere un ristorante e un albergo<br />
per essere adatti ai <strong>bambini</strong>, si potrà proporre un Marchio<br />
di Qualità Bambini del quale possano fregiarsi i locali che<br />
lo meritano. Il marchio potrà essere assegnato da una<br />
commissione composta da rappresentanti dell’APT, del<br />
<strong>La</strong>boratorio e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> del Consiglio. Se l’iniziativa potrà<br />
concretizzarsi sperimentalmente a Fano si potrà poi<br />
valutare se proporla a livello regionale o più ampio.<br />
<strong>La</strong> richiesta che emerge con più chiarezza dalle proposte<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> è di maggiore autonomia: nell’uso <strong>dei</strong><br />
servizi, nello svago e rispetto agli adulti.<br />
Ristorante<br />
I <strong>bambini</strong> conoscono meglio il ristorante che l’albergo e<br />
per questo le proposte risultano più complete e soddisfacenti.<br />
Una sala da pranzo separata, o un angolo autonomo<br />
nella comune sala da pranzo con tavoli bassi, di misura<br />
adeguata ai <strong>bambini</strong> e larghi (forse per stare in tanti intorno).<br />
Naturalmente nella sala <strong>bambini</strong> o nel loro settore<br />
sarà rigorosamente vietato fumare 2 .<br />
1 Le proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> meriterebbero un’analisi ben più approfondita,<br />
distinguendo quelle banali da alcune fortemente innovative. Qui ci si è limitati<br />
ad ordinarle per renderle una proposta credibile e accettabile dagli esercenti.<br />
2 <strong>La</strong> disponibilità di uno spazio separato non deve essere letta come un obbligo<br />
o un suggerimento a non mangiare insieme adulti e <strong>bambini</strong>, ma solo co-<br />
165
Servizio self-service in modo che possano servirsi da<br />
soli, decidendo la qualità e quantità di cibo. Si potrebbe<br />
pensare ad un tavolo di presentazione <strong>dei</strong> cibi, a buffet, in<br />
modo che i <strong>bambini</strong> possano vedere, scegliere e servirsi.<br />
Cibi adatti ai <strong>bambini</strong>, ma buoni, preparati nelle maniere<br />
a loro più gradite. I <strong>bambini</strong>, per esempio, spesso rifiutano<br />
la fettina di carne o la bistecca, ma gradiscono le<br />
polpette o l’hamburger. Un tale modo di presentare i cibi<br />
potrebbe migliorare la qualità, escludendo bevande e cibi<br />
poco adatti: dalle bibite gassate ai cibi troppo piccanti.<br />
Potrebbe essere proposto un prezzo forfetario in modo<br />
che <strong>bambini</strong> e genitori non debbano preoccuparsi di<br />
questo aspetto.<br />
Personale gentile, con battute divertenti. Questo significa<br />
che vorrebbero qualcuno, fra il personale, che sappia<br />
stare con loro: personale allegro, capace di scherzare, tollerante.<br />
Un locale di svago dove aspettare i grandi che continuano<br />
a chiacchierare, senza annoiarsi. Il locale potrà essere<br />
all’aperto nella stagione estiva e al coperto nella stagione<br />
invernale.<br />
Potersi vestire in maniera non seria, quindi non formale,<br />
non troppo curata.<br />
Arredi vivaci e piacevoli, in modo che i <strong>bambini</strong> si sentano<br />
a loro agio. Si potrebbero usare disegni e sculture <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>, forniti agli esercenti dalle scuole infantili, in cambio<br />
di materiali didattici.<br />
Servizi igienici, attaccapanni, maniglie, ecc. a misura<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
Albergo<br />
Sala della televisione riservata, con videocassette che piacciono<br />
ai <strong>bambini</strong>. Ci sembra importante che il televisore<br />
me risorsa in più. Quando abbiamo piacere di stare insieme con i figli e loro con<br />
noi, facciamo bene a starci, quando dobbiamo parlare con i nostri amici trascurando<br />
i <strong>bambini</strong>, è meglio che questi stiano bene con i loro coetanei.<br />
166
non sia abilitato alle reti televisive, ma funzioni solo con<br />
videocassette. Si eviterebbero così spettacoli non adatti o<br />
semplicemente brutti e la esposizione agli spot pubblicitari.<br />
I piccoli utenti potranno così scegliere autonomamente.<br />
Il televisore potrebbe essere disponibile per alcuni spazi<br />
orari in modo da evitare un eccesso di fruizione.<br />
Sala giochi e biblioteca. Un angolo della sala può ospitare<br />
una piccola biblioteca. I libri dovranno essere preferibilmente<br />
di letteratura infantile (dai libri solo illustrati per i<br />
più piccoli ai primi veri romanzi) che i <strong>bambini</strong> possano<br />
leggere da soli o farsi leggere dagli adulti. I libri potranno<br />
essere consultati o presi in prestito, con il minimo di formalità<br />
possibile (per esempio con la compilazione di una<br />
semplice schedina). <strong>La</strong> sala giochi e la biblioteca possono<br />
anche condividere lo stesso spazio della TV, approfittando<br />
di orari diversi o di diversi angoli.<br />
Orari non rigidi. L’albergo, che per gli adulti è il luogo<br />
delle libertà, spesso non modifica invece le abitudini <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong> o le rende ancora più rigide: per esempio l’obbligo<br />
del riposino pomeridiano. <strong>La</strong> possibilità di usare propri<br />
spazi potrebbe rendere più liberi gli orari e le abitudini<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
Rispetto alle stanze si propone che tengano conto delle<br />
caratteristiche e <strong>dei</strong> bisogni <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>: maniglie, interruttori,<br />
docce, specchi ad altezza di bambino; lampada<br />
vicino al letto; letti resistenti per poterci anche saltare.<br />
L’albergo dovrebbe curare il suo arredo interno in modo<br />
che i <strong>bambini</strong> si sentano accettati, previsti, un poco a<br />
casa loro. Insieme ai quadri, agli elementi decorativi scelti<br />
pensando al pubblico adulto si pensi anche ad arredi vicini<br />
al mondo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> (come già detto per il ristorante).<br />
Prevedere un servizio di baby sitter in modo che i genitori<br />
possano essere liberi di uscire la sera. Un servizio di<br />
assistenza <strong>bambini</strong> potrebbe essere organizzato anche collettivamente,<br />
utilizzando gli spazi comuni.<br />
Potranno essere pensati e organizzati, in collaborazio-<br />
167
ne con il <strong>La</strong>boratorio, animazioni e spettacoli itineranti fra<br />
i vari alberghi (burattini, animazioni, teatro, visite guidate<br />
in <strong>città</strong>, ecc.).<br />
In collaborazione fra Assessorati al Turismo e all’Educazione,<br />
l’APT, i gestori degli alberghi e il <strong>La</strong>boratorio si<br />
dovrebbero organizzare alcune aree balneari di gioco e attività<br />
per i <strong>bambini</strong>, in alternativa e appoggio alle attività<br />
di spiaggia 3 .<br />
15. UNA SPIAGGIA PER I BAMBINI<br />
Il bambino in spiaggia spesso si annoia. Vorrebbe andare<br />
continuamente in acqua, ma gli adulti non lo permettono,<br />
si stanca della sabbia, si stanca del sole, non sa cosa fare.<br />
Chiede suggerimenti e aiuti ai genitori interessati invece a<br />
prendersi tutto il sole possibile o a proseguire le chiacchiere<br />
e i giochi fra adulti sotto l’ombrellone.<br />
Sarebbe importante che gli stabilimenti balneari dedicassero<br />
attenzione ai bisogni <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, rispetterebbero<br />
così il diritto di gioco e di divertimento <strong>dei</strong> piccoli e aumenterebbero<br />
il benessere <strong>dei</strong> grandi.<br />
In particolare, il <strong>La</strong>boratorio di Fano sta avanzando da<br />
alcuni anni, agli esercenti, all’APT e all’Assessorato al Turismo,<br />
le proposte che seguono e che mirano a fare della<br />
spiaggia un luogo adatto ai <strong>bambini</strong>. I servizi che seguono<br />
dovrebbero essere previsti come obbligatori nei contratti<br />
di concessione degli arenili. Il loro numero dovrà essere<br />
stabilito in relazione alle cabine o ai bagnanti.<br />
Cabina neonati. Dovrebbero essere messe a disposizione<br />
delle famiglie delle cabine per neonati, dotate di vasca<br />
168<br />
3 Si veda la scheda n° 15: «Una spiaggia per i <strong>bambini</strong>».
per il bagnetto, di fasciatoio, di pannolini, di scalda biberon<br />
e di frigorifero.<br />
Cabina giochi. Cabine che ospitano giornalini, libri,<br />
materiali da disegno e giocattoli, da consegnare in prestito<br />
ai <strong>bambini</strong> in spiaggia. Le dotazioni di queste cabine potrebbero<br />
essere studiate in collaborazione con l’Assessorato<br />
alle Politiche educative.<br />
Cabine e bagni handicap. Cabine e bagni con porte di<br />
grandi dimensioni e maniglie per facilitare il movimento<br />
alle persone in carrozzina, per rendere agevole il cambio<br />
e l’uso <strong>dei</strong> servizi.<br />
Discesa a mare per carrozzine. Almeno per ogni arenile<br />
dovrebbe essere costruita una pedana che permetta<br />
la discesa a mare <strong>dei</strong> portatori di handicap con apposita<br />
carrozzina e con la necessaria assistenza.<br />
Aree attrezzate per <strong>bambini</strong>. Oltre a questi servizi direttamente<br />
gestiti dai bagnini abbiamo proposto di dotare<br />
la spiaggia (ogni spiaggia) di un’area attrezzata per <strong>bambini</strong>.<br />
Si tratta di zone, organizzate e controllate da animatori,<br />
che permettono ai <strong>bambini</strong> di liberarsi dal sole, dalla<br />
sabbia e dagli adulti per il tempo che desiderano, dedicandosi<br />
liberamente a varie attività. L’area potrà ospitare<br />
un settore biblioteca, un angolo giochi, attività espressive<br />
di pittura e manipolazione, spazi liberi per piccoli spettacoli<br />
teatrali e di burattini che periodicamente potranno essere<br />
offerti ai piccoli bagnanti. Potrebbero anche essere<br />
ospitate esperienze di artigianato tipiche della <strong>città</strong>. Nel<br />
caso di Fano si possono per esempio proporre: attività<br />
della carta pesta e della maschera guidata dai «maestri carristi»<br />
della locale Società Carnevalesca; tessitura di reti sotto<br />
la guida <strong>dei</strong> vecchi marinai; costruzione di cesti di canna,<br />
di ceramiche tipiche, ecc.<br />
169
I <strong>bambini</strong> hanno elaborato, per due di queste aree, progetti<br />
che aspettano l’approvazione e la realizzazione dell’Ufficio<br />
tecnico del Comune. Sono progetti creativi, che<br />
utilizzano bene lo spazio disponibile adattandone l’uso alle<br />
caratteristiche ambientali.<br />
16. IL CLUB CDB<br />
In questi anni la <strong>città</strong> di Fano si è arricchita di un numero<br />
crescente di <strong>bambini</strong> e di ex <strong>bambini</strong>, che, avendo partecipato<br />
attivamente alle iniziative de «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»,<br />
hanno sviluppato uno speciale rapporto con la <strong>città</strong><br />
e una buona consapevolezza <strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> cittadini, anche<br />
se piccoli. È il caso degli ex consiglieri, degli ex progettisti,<br />
delle ex piccole guide. Si tratta di qualche centinaio di<br />
ragazzi che stanno frequentando le scuole medie inferiori<br />
e superiori e che rischiano di perdere l’interesse e l’entusiasmo<br />
che avevano acquisito. Riteniamo che questo sia<br />
un lusso che una <strong>città</strong> non si possa permettere, perché<br />
questi ragazzi saranno presto genitori e potrebbero essere<br />
i futuri amministratori. Se perdiamo i contatti con loro<br />
sarà facile ritrovarceli come genitori ansiosi e dimentichi<br />
delle necessità <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> o amministratori disattenti.<br />
Spesso questi ragazzi tornano al <strong>La</strong>boratorio per sapere<br />
se stiamo organizzando qualcosa per loro o se possono<br />
aiutare a fare qualcosa. Abbiamo allora pensato di<br />
aprire un Club CdB (Città <strong>dei</strong> Bambini) che abbia una sua<br />
organizzazione e una sua sede autonoma e fra le sue finalità<br />
quella di fornire al <strong>La</strong>boratorio una collaborazione e<br />
un sostegno volontario. Gli aderenti al Club potrebbero<br />
essere una task force di appoggio per le nostre battaglie,<br />
170
che opera dentro le scuole medie inferiori e superiori; i nostri<br />
supporter nell’organizzazione della settimana di aprile<br />
e <strong>dei</strong> convegni <strong>dei</strong> sindaci; gli alleati privilegiati <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
più piccoli nelle varie esperienze di autonomia dall’andare<br />
a scuola da soli al gioco libero pomeridiano.<br />
Il CdB potrebbe anche amministrare la vendita di prodotti<br />
legati a «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» (magliette, quaderni,<br />
manifesti, adesivi), per sostenere le iniziative e ottenere un<br />
piccolo fondo da amministrare autonomamente.<br />
Avere una sede dove incontrarsi e sufficiente autonomia<br />
per organizzarsi, coordinati da un adulto ma senza<br />
controlli e condizionamenti, credo siano le condizioni necessarie<br />
perché i nostri giovani possano sentirsi ancora<br />
cittadini e protagonisti delle nostre <strong>città</strong>.<br />
Questo progetto è attualmente allo studio del <strong>La</strong>boratorio<br />
e dell’Assessorato alle Politiche sociali.<br />
17. CASA ARCHILEI<br />
Un orto restituito alla <strong>città</strong><br />
<strong>La</strong> storia economica e culturale di Fano è legata al porto<br />
e agli orti. Mentre il porto ha continuato ad avere una certa<br />
importanza ed ora è in fase di rilancio, gli orti, per la loro<br />
sfortunata collocazione a ridosso della <strong>città</strong>, sono diventati<br />
appetibili lotti di terreni fabbricabili e stanno gradualmente<br />
scomparendo. Casa Archilei era appunto uno<br />
di questi orti, di un ettaro, rimasto inutilizzato e circondato<br />
dalla urbanizzazione. Di proprietà comunale era stato<br />
destinato nel Piano Regolatore ad area di edilizia civile.<br />
171
Poteva essere quindi una interessante fonte di reddito per<br />
l’ente locale.<br />
Quando nacque il <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»<br />
Casa Archilei era stata assegnata ad alcune associazioni<br />
naturalistiche perché lo utilizzassero come sede di attività<br />
didattiche in attesa della sua vendita come area edificabile.<br />
Le associazioni e il <strong>La</strong>boratorio fecero pressione sulla<br />
amministrazione perché l’orto venisse salvato dalla urbanizzazione<br />
e venisse destinato ai <strong>bambini</strong> e all’educazione.<br />
Dopo lunghe discussioni e varie battaglie nel Consiglio<br />
comunale, si ottenne la variazione di destinazione d’uso<br />
da terreno edificabile a verde pubblico. Un risultato importante,<br />
in totale controtendenza: l’ente locale ha saputo<br />
rinunciare ad un sicuro interesse economico per dare<br />
alla <strong>città</strong> una risorsa educativa. <strong>La</strong> scelta indica anche una<br />
linea di sviluppo che dovrebbero adottare tutte le <strong>città</strong>: tutti<br />
gli spazi dimenticati dalla selvaggia urbanizzazione degli<br />
ultimi decenni dovrebbero essere vincolati e destinati ad<br />
usi sociali come piazze e giardini, con opportune revisioni<br />
<strong>dei</strong> Piani Regolatori Generali.<br />
Oggi Casa Archilei è un centro di educazione naturalistica<br />
e ambientale a disposizione <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Sono stati<br />
ricostruiti vari ecosistemi naturali come lo stagno, il prato,<br />
il bosco (con alberi piantati e curati dai <strong>bambini</strong>), la vegetazione<br />
delle diverse zone della regione e un’area coltivata<br />
ad orto. L’antica casa colonica ospita locali per il lavoro<br />
con le classi, per l’attività degli educatori e un piccolo<br />
museo contadino.<br />
A Casa Archilei lavorano operatori volontari delle associazioni<br />
ambientalistiche e alcuni giovani in servizio sostitutivo<br />
civile (obiettori di coscienza). Il Centro offre visite<br />
guidate e giornate di lavoro scientifico e naturalistico alle<br />
classi delle scuole <strong>dei</strong> vari livelli, di Fano e della Regione<br />
Marche. Viene frequentato da più di mille studenti ogni<br />
anno.<br />
172
18.<br />
UN POMERIGGIO LIBERO<br />
PER I BAMBINI<br />
Come più volte si è detto l’obiettivo operativo del progetto<br />
«<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» è che i <strong>bambini</strong> possano uscire da<br />
soli di casa. <strong>La</strong> proposta di andare a scuola da soli è un<br />
primo passo, quello più controllabile e più facile per aprire<br />
una falla nel guscio coriaceo della paura, della sfiducia,<br />
che producono egoismo e isolamento.<br />
Mentre dobbiamo premere perché si generalizzi rapidamente<br />
l’esperienza di andare a scuola da soli, occorre<br />
avanzare proposte per il tempo libero <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, per<br />
ampliarlo e renderlo veramente «libero». Un modo per avviare<br />
e sperimentare questo più importante fronte può essere<br />
quello di regalare un pomeriggio ogni settimana ai<br />
<strong>bambini</strong>, in modo che possano utilizzarlo in completa autonomia.<br />
Perché questo sia possibile si deve realizzare una<br />
specie di patto sociale fra gli adulti.<br />
Se per esempio il pomeriggio scelto fosse il mercoledì,<br />
per quel pomeriggio le famiglie non dovranno iscrivere i figli<br />
ai vari corsi, le scuole non dare compiti, le parrocchie<br />
non avere corsi di catechismo. Naturalmente anche il <strong>La</strong>boratorio<br />
si dovrà astenere da ogni attività organizzata, di<br />
animazione o di gioco, perché altrimenti torneremmo a<br />
trasformare il tempo «libero» in tempo «organizzato». Si dovrà<br />
invece chiedere alla <strong>città</strong> di essere disponibile e accogliente<br />
nei confronti <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, accettandoli nei suoi spazi<br />
pubblici e dando loro «un’occhiata». Dovrebbero quindi<br />
valere quelle attenzioni degli anziani, <strong>dei</strong> ragazzi più grandi,<br />
<strong>dei</strong> vigili urbani e <strong>dei</strong> negozianti così come sono state<br />
concordate per l’esperienza «A scuola ci andiamo da soli».<br />
In questo pomeriggio, almeno a livello sperimentale, si<br />
potrebbero dare passaggi gratuiti o scontati ai <strong>bambini</strong> sui<br />
mezzi pubblici, per favorirne l’uso e per sollecitare la conoscenza<br />
delle varie parti della <strong>città</strong>.<br />
173
Sarà interessante verificare se, in questo pomeriggio, i<br />
<strong>bambini</strong> approfitteranno della proposta abbandonando il<br />
televisore. Se così sarà, i <strong>bambini</strong> ci confermeranno, senza<br />
più ombra di dubbio, quale può essere l’arma efficace<br />
e corretta contro lo strapotere di questo invadente elettrodomestico.<br />
19. UN GIARDINO DI PIETRA<br />
Anche senza verde<br />
Mi è successo spesso di ascoltare preoccupazioni del tipo:<br />
«Il problema per il bambino non è solo quello di uscire di<br />
casa, ma anche quello di dove andare a giocare: il giardino<br />
o il prato più vicino è a più di mezz’ora di strada e non<br />
ci può andare da solo». Non so se per effetto delle giuste<br />
battaglie ecologiche o di nuovo per lo strano effetto del<br />
precoce oblio con cui gli adulti dimenticano le esperienze<br />
infantili si è affermata questa strana idea che per giocare<br />
occorra l’erba. Ma i <strong>bambini</strong> non sono caprette e sanno<br />
giocare in qualsiasi ambiente purché si lasci loro un po’ di<br />
libertà, un po’ di tempo e un po’ di spazio. A cosa giocare,<br />
con cosa e come, lo sanno loro, non deve essere<br />
preoccupazione degli adulti. Si gioca bene in strada, nelle<br />
piazze, intorno ai monumenti, così come si gioca nei giardini<br />
e nei parchi. Si gioca dovunque, ovviamente in modi<br />
diversi.<br />
Ricordo spesso di avere avuto la fortuna di essere stato<br />
bambino nell’immediato dopoguerra e di aver avuto,<br />
come luoghi privilegiati di gioco, proprio le case bombardate.<br />
Le rovine sono luoghi abbandonati dai grandi e per<br />
questo diventano luoghi magici per il gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
174
Sono luoghi che perdono le loro caratteristiche iniziali e<br />
possono diventare per la fantasia infantile fortini, foreste,<br />
case... Sono luoghi «lasciati».<br />
Palermo è una <strong>città</strong> che ha «saputo» conservare le rovine<br />
della guerra fino ad oggi nel suo centro storico. Certo<br />
non è stata una scelta degli adulti a favore <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>,<br />
né la <strong>città</strong> intende mantenere questa preoccupante eredità.<br />
Ma nel mio recente ruolo di consulente del sindaco<br />
di questa affascinante <strong>città</strong>, per il progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>», ho proposto di regalare ai <strong>bambini</strong> del centro<br />
una o alcune di queste rovine, facendole diventare <strong>dei</strong><br />
«giardini di pietra» e insieme un ricordo di una tragedia che<br />
è importante non dimenticare.<br />
Si tratta di portare le mura diroccate ad una altezza<br />
compatibile con la sicurezza, di risanarle rendendole praticabili,<br />
di creare insomma una specie di labirinto di mura,<br />
porte, finestre, dove inventare ambienti, scenari, giochi.<br />
Fra le mura possono alternarsi pavimentazioni, gradini,<br />
zone erbose, panchine, piante.<br />
Un luogo degradato potrà essere reso degno e restituito<br />
al gioco creativo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, alla sosta tranquilla degli<br />
anziani, all’incontro degli innamorati.<br />
Palermo: <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />
175
È questo oggi il regno incontrastato <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> di strada,<br />
potrebbe restare il terreno della loro libertà, ma diventare<br />
anche il luogo dell’incontro con gli altri <strong>bambini</strong>,<br />
quelli che oggi vivono reclusi nei loro appartamenti borghesi.<br />
Come si diceva nella parte seconda, dovremmo tentare,<br />
prima di cercare di portare i <strong>bambini</strong> di strada a scuola<br />
o in altre strutture istituzionali per loro estranee e spesso<br />
ostili, di risanare il loro ambiente abituale, favorire in<br />
quello l’incontro con gli altri <strong>bambini</strong>, perché poi, partendo<br />
da una situazione di sicurezza e di privilegio per i più<br />
problematici, si abbia voglia di andare insieme anche in<br />
ambienti organizzati per vivere anche esperienze educative<br />
e scolastiche.<br />
20.<br />
ALTRE ESPERIENZE: LA PROGETTAZIO-<br />
NE PARTECIPATA AI BAMBINI<br />
Intervista a Raymond Lorenzo 1<br />
Come nasce l’idea di coinvolgere i cittadini, in particolare<br />
i <strong>bambini</strong>, nella elaborazione di progetti per la<br />
<strong>città</strong>?<br />
Prima di iniziare il nostro discorso è utile precisare che io<br />
conosco soprattutto la situazione statunitense ed è a questa<br />
che mi riferirò prevalentemente. Negli Stati Uniti le<br />
prime esperienze di progettazione partecipata risalgono<br />
agli anni Sessanta ed erano realizzate da movimenti di cittadini,<br />
coordinati e supportati da docenti universitari delle<br />
1 City planner, coordinatore tecnico della campagna del WWF «Riconquistiamo<br />
la <strong>città</strong>», consulente dell’Istituto degli Innocenti per il progetto «Il bambino<br />
urbano», associated member del Children’s Environment Research Group<br />
di New York.<br />
176
facoltà di architettura e di urbanistica. In genere nascevano<br />
nei quartieri degradati, in risposta a piani di intervento<br />
sulla <strong>città</strong> proposti dal governo centrale e non prevedevano<br />
la partecipazione <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. In molti casi i tecnici<br />
e i cittadini si sono organizzati in comitati o in cooperative<br />
di autosviluppo, e grazie a finanziamenti del governo<br />
centrale sono sorte delle strutture permanenti, le<br />
Comunity Desiner Centers, che ancora oggi svolgono<br />
questo tipo di attività.<br />
Parallelamente, diverse ricerche riguardanti l’infanzia e<br />
l’ambiente urbano avevano come obiettivo lo studio delle<br />
esigenze <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> nelle <strong>città</strong> e la comunicazione <strong>dei</strong> risultati<br />
di queste ricerche agli urbanisti e agli amministratori.<br />
Quando compare l’idea del coinvolgimento <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />
nelle attività di progettazione dell’ambiente urbano?<br />
Bisogna aspettare l’inizio degli anni Settanta, quando in<br />
Inghilterra e negli Stati Uniti compaiono i Parchi Robinson,<br />
degli spazi auto-costruiti, progettati insieme ai <strong>bambini</strong><br />
e ai ragazzi. Robin Moore 2 , ed altre persone, cercavano<br />
di riportare in questi parchi l’avventura, la natura e<br />
il gioco attivo che mancavano o non potevano più essere<br />
realizzati nell’ambiente urbano.<br />
Nello stesso periodo insieme a Florence <strong>La</strong>dd 3 e a<br />
Mark Francis 4 ho partecipato all’apertura di laboratori,<br />
nelle zone più povere della <strong>città</strong> di Boston, dove sperimentavamo<br />
metodologie che permettessero ai <strong>bambini</strong> di<br />
studiare l’ambiente urbano e di partecipare all’elaborazione<br />
di progetti.<br />
2 Robin Moore è docente di Architettura del paesaggio e presidente dell’IPA<br />
(International Player Association).<br />
3 Florence <strong>La</strong>dd si occupa di psicologia dell’ambiente.<br />
4 Mark Francis è docente di Architettura del paesaggio alla Davis University<br />
dello Stato della California.<br />
177
Si possono individuare degli eventi particolarmente significativi<br />
per l’affermarsi della progettazione partecipata?<br />
Il convegno «Children Nature and the Urban Environment»,<br />
che risale al 1975, in cui si sono incontrate quasi tutte le<br />
persone che svolgevano attività di ricerca in questo campo,<br />
rappresenta sicuramente un momento molto importante.<br />
Roger Hart 5 , uno degli organizzatori, mi ha chiesto di coordinare,<br />
insieme a Mark Francis e Simon Nicholson 6 , la partecipazione<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> al convegno e questo era un evento<br />
rivoluzionario. I <strong>bambini</strong> hanno studiato la <strong>città</strong> e noi abbiamo<br />
preparato un rapporto sulla loro concezione dell’ambiente<br />
urbano per presentarlo al convegno. Nello stesso<br />
tempo abbiamo aperto un laboratorio dove lavoravano<br />
i <strong>bambini</strong> per garantire uno scambio fra questi e i ricercatori.<br />
Dal convegno è uscito un segnale molto forte sull’importanza<br />
del coinvolgimento <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> per la stesura di<br />
progetti di trasformazione della <strong>città</strong>.<br />
Nel 1976, durante la prima Conferenza dell’Habitat, è<br />
emerso un orientamento governativo che riconosceva<br />
l’importanza del coinvolgimento <strong>dei</strong> cittadini nella progettazione<br />
e pianificazione della <strong>città</strong>. Il valore del contributo<br />
offerto dai <strong>bambini</strong> non riuscì ad affermarsi, però negli anni<br />
successivi sono state realizzate una serie di esperienze,<br />
che rivelavano la consapevolezza della necessità di coinvolgere<br />
i <strong>bambini</strong> nella progettazione.<br />
In quali nazioni si è affermato maggiormente l’approccio<br />
della progettazione partecipata?<br />
Diversi paesi come l’Inghilterra, l’Austria e la Francia sono<br />
impegnati in questo tipo di attività. Manfred Drum, a<br />
Monaco, con l’associazione Urbanes Wohnen, ha realiz-<br />
5 Roger Hart, editor della rivista «Childrens’ Environment».<br />
6 Simon Nicholson, scomparso nel 1990, era docente di tecnologia presso<br />
la Open University di Oxford. Le sue pubblicazioni How not to Cheat Children:<br />
The Theory of Loose Parts e Children as Planners rappresentano ancora oggi<br />
un importante riferimento teorico per le attività di progettazione partecipata.<br />
178
zato il numero più elevato di interventi nati da progetti di<br />
architettura e urbanistica partecipata di tutta l’Europa.<br />
Negli Stati Uniti ci sono <strong>dei</strong> laboratori molto pragmatici<br />
che, in collaborazione con l’università, e coinvolgendo a<br />
volte anche i <strong>bambini</strong>, elaborano proposte per la trasformazione<br />
di specifici spazi urbani.<br />
Cosa può dirmi della situazione italiana?<br />
Anche in Italia si realizzano delle esperienze interessanti.<br />
A febbraio ho partecipato ad una conferenza dell’Unicef<br />
e ho presentato alcune iniziative italiane. Ho capito che<br />
l’Italia è considerata all’avanguardia per la diffusione culturale<br />
e politica della progettazione partecipata. Molti Comuni,<br />
come Fano, sono coinvolti in esperienze di questo<br />
tipo, diverse associazioni tra cui il WWF, la Legambiente<br />
e l’Arciragazzi sono impegnate in diversi progetti che producono<br />
la diffusione dell’idea della partecipazione.<br />
Rispetto al contesto internazionale però, c’è un ritardo<br />
nella trasformazione delle proposte in interventi concreti.<br />
Oggi in Italia come nasce un’esperienza di progettazione<br />
partecipata?<br />
Ci sono modalità diverse. C’è un approccio diciamo più di<br />
tipo culturale che è quello del WWF, Legambiente, Arciragazzi,<br />
che partendo da una posizione quasi di antagonisti<br />
prima elaborano <strong>dei</strong> progetti con i <strong>bambini</strong>, coinvolgendo<br />
la cittadinanza e poi cercano le vie per realizzarli. In altri<br />
casi, come quello de «<strong>La</strong> <strong>città</strong> possibile», di Ecopolis o del<br />
progetto «Il bambino urbano», sono le amministrazioni che<br />
adottano l’idea della progettazione partecipata e chiedono<br />
l’intervento di specifiche professionalità.<br />
Quanto incide la realizzazione <strong>dei</strong> progetti sulle attività<br />
che coinvolgono i <strong>bambini</strong>?<br />
Indubbiamente la realizzazione delle proposte è un elemento<br />
importante, ma credo che per i <strong>bambini</strong> l’esperienza<br />
della partecipazione sia valida comunque. <strong>La</strong> par-<br />
179
tecipazione offre <strong>dei</strong> contributi allo sviluppo individuale<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> perché gli permette di sentirsi protagonisti, di<br />
dialogare con gli altri cittadini, di acquisire una conoscenza<br />
più duratura della loro <strong>città</strong> e tutto questo è indipendente<br />
dalla concretizzazione <strong>dei</strong> progetti.<br />
Con i <strong>bambini</strong> si parla anche della fattibilità delle loro<br />
proposte e in questo modo diventano consapevoli delle<br />
difficoltà della realizzazione. I progetti elaborati inoltre sono<br />
sempre stati comunicati agli amministratori e ai tecnici<br />
della <strong>città</strong> per consentire loro di capire quali sono le esigenze<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
<strong>La</strong> progettazione partecipata ha delle ricadute positive<br />
anche per altri soggetti?<br />
I <strong>bambini</strong> possono insegnare molte cose agli adulti sulla<br />
gestione dell’ambiente, soprattutto nell’ottica dello sviluppo<br />
sostenibile. I loro progetti propongono interventi che<br />
non richiedono grandi finanziamenti, gli elementi naturali<br />
hanno un notevole rilievo, prevedono il recupero di<br />
strutture già esistenti, e tra i materiali prediligono quelli naturali.<br />
Tutti questi elementi che sono i principi di base della<br />
progettazione ecologica sono presenti anche nei lavori<br />
<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> grazie sia alla loro visione dell’ambiente sia al<br />
nostro approccio metodologico.<br />
Quali elementi rappresentano un ostacolo per le attività<br />
di progettazione partecipata?<br />
Una delle difficoltà è la partecipazione <strong>dei</strong> genitori. Il loro<br />
timore per il coinvolgimento <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> nell’elaborazione<br />
di proposte che poi non verranno realizzate è in parte<br />
motivato. <strong>La</strong> caduta di una Giunta comunale, per esempio,<br />
può mettere in pericolo l’attuazione di un progetto<br />
approvato. Oggi, però, la sfiducia <strong>dei</strong> cittadini verso l’amministrazione<br />
mi sembra eccessiva. Un altro ostacolo è il<br />
tempo richiesto per la realizzazione <strong>dei</strong> progetti perché è<br />
decisamente troppo lungo. <strong>La</strong> proposta approvata, inoltre,<br />
può essere modificata quando viene definito il progetto<br />
esecutivo e di conseguenza l’intervento realizzato<br />
180
può riflettere solo in parte le indicazioni <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Un<br />
altro punto critico è quello delle professionalità. In Italia,<br />
diversamente dagli Stati Uniti, dove le Comunity Desiner<br />
Centers da circa venti anni svolgono anche attività di formazione,<br />
mancano le professionalità di tipo interdisciplinare<br />
necessarie alla elaborazione, ma anche quelle artigianali<br />
indispensabili alla realizzazione degli interventi.<br />
Possiamo concludere il nostro discorso cercando di individuare<br />
quali prospettive ci sono per questo tipo di<br />
esperienze?<br />
Le prospettive sono sicuramente positive. <strong>La</strong> progettazione<br />
partecipata non è più l’approccio tipico ed esclusivo<br />
degli esperti dell’infanzia. Gli amministratori mostrano interesse<br />
per le proposte elaborate dai <strong>bambini</strong>, l’Istituto<br />
Nazionale di Urbanistica si sta muovendo nella stessa direzione.<br />
Lentamente si sta diffondendo l’idea che per trasformare<br />
l’ambiente urbano sono necessarie altre figure<br />
oltre agli architetti e agli urbanisti.<br />
21. ALTRE ESPERIENZE: I DIRITTI DEI PEDONI<br />
Intervista a Dario Manuetti 1<br />
Una politica di gestione della <strong>città</strong> che tenga conto <strong>dei</strong><br />
diritti <strong>dei</strong> pedoni può contribuire al processo di trasformazione<br />
dell’ambiente urbano?<br />
1 Dario Manuetti si dedica da vent’anni ai problemi dell’organizzazione della<br />
cultura, dell’educazione permanente, della formazione degli operatori culturali<br />
ed educativi, in qualità di militante associativo, amministratore comunale e<br />
di enti pubblici, consulente presso Comuni e Regioni. Fa parte del direttivo dell’Associazione<br />
europea per il progresso sociale e culturale ed è membro del<br />
Consiglio regionale sui Problemi <strong>dei</strong> minori. Svolge la sua attività professionale<br />
presso la Regione Piemonte, dove si occupa di orientamento e inserimento sociale<br />
e professionale.<br />
181
<strong>La</strong> politica della mobilità oggi si può dire che coincida con<br />
la politica della <strong>città</strong>. Un tempo, invece, le preoccupazioni<br />
di chi disegnava le <strong>città</strong> tenevano conto principalmente<br />
delle funzioni residenziale e produttiva. <strong>La</strong> moderazione<br />
della circolazione offre delle soluzioni concrete ai problemi<br />
della mobilità nel tempo della motorizzazione di<br />
massa. Il principio fondamentale è quello della «democratizzazione»<br />
dello spazio pubblico, quello delle vie e delle<br />
piazze, della coesistenza pacifica tra automobili e pedoni.<br />
Quale tipo di interventi sono previsti dalla moderazione<br />
della circolazione?<br />
I pareri di esperti a livello europeo, ma anche il numero<br />
elevato di incidenti, indicano che il condizionamento psicologico<br />
e l’azione educativa sui comportamenti degli automobilisti<br />
non sono sufficienti per garantire la sicurezza e<br />
la mobilità di tutti gli utenti dello spazio pubblico. Occorre<br />
creare le condizioni fisiche perché le automobili si spostino<br />
a velocità compatibili con le caratteristiche dell’ambiente<br />
urbano.<br />
L’applicazione più visibile della moderazione della circolazione<br />
è quello di abbattere tutte le barriere architettoniche<br />
per i pedoni e di crearle invece per le automobili.<br />
Nelle vie dove la funzione abitativa prevale, si suggerisce<br />
di restringere la carreggiata per ampliare lo spazio del<br />
marciapiede, di rendere tortuosi i percorsi delle automobili,<br />
mettendo degli ostacoli su entrambi i lati della strada.<br />
Un altro elemento importante è «lo sganciamento verticale»:<br />
far salire e discendere le automobili sugli attraversamenti<br />
pedonali, mentre i pedoni si muovono sempre sullo<br />
stesso livello. Questo è ottenuto, per esempio, mediante<br />
la realizzazione di attraversamenti pedonali sopraelevati<br />
di alcuni centimetri rispetto al fondo stradale.<br />
Nelle strade residenziali, dove sono applicate tutte le<br />
norme della moderazione, le caratteristiche dell’arredo urbano<br />
e della pavimentazione, aumenta la gradevolezza del-<br />
182
l’ambiente, ma si modificano anche i comportamenti degli<br />
automobilisti. <strong>La</strong> strada diventa uno spazio diverso, dove<br />
è prevista non solo la presenza degli automobilisti, ma<br />
anche quella <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, degli anziani, <strong>dei</strong> portatori di<br />
handicap.<br />
Come nasce l’idea della moderazione della circolazione?<br />
<strong>La</strong> moderazione della circolazione ha un’origine storica riconosciuta<br />
nella <strong>città</strong> di Delft in Olanda. Negli anni Settanta<br />
un movimento di cittadini appoggiato da un Ufficio<br />
tecnico che aveva una reale disponibilità a ricercare soluzioni<br />
innovative ai problemi connessi alla mobilità e alla sicurezza<br />
<strong>dei</strong> pedoni ha realizzato un’esperienza estremamente<br />
interessante. Invece di disseminare la <strong>città</strong> di semafori,<br />
cartelli stradali e vigili urbani, di chiedere interventi<br />
repressivi più attenti e diffusi, si introdussero cambiamenti<br />
fino ad allora impensabili nella struttura fisica della strada<br />
e si stimolarono anche <strong>dei</strong> cambiamenti nella cultura e<br />
negli atteggiamenti degli automobilisti. Questi genitori,<br />
cittadini e responsabili degli Uffici tecnici, andando al di là<br />
delle norme del codice all’epoca in vigore in Olanda, attuarono<br />
una serie di interventi che oggi rappresentano i<br />
principi fondamentali della filosofia della moderazione della<br />
circolazione. Nel 1976 il codice della strada olandese<br />
ha fatto sue le regole fondamentali della moderazione della<br />
circolazione.<br />
Quali paesi europei sono impegnati in questo tipo di interventi?<br />
Dopo l’Olanda, la seconda nazione che ha affrontato il<br />
problema della mobilità e quindi <strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> pedoni in<br />
modo abbastanza diffuso e rapido è la Germania. Altri<br />
paesi europei come la Danimarca, l’Austria, la Francia e<br />
la Svizzera sono coinvolti nella realizzazione di esperienze<br />
molto interessanti.<br />
183
Come si colloca l’Italia nel panorama europeo?<br />
Il nostro paese, rispetto al contesto europeo, ha un ritardo<br />
di circa venticinque anni e questo, in parte, è causato<br />
anche da una ritardata motorizzazione di massa. In Olanda,<br />
Francia, Germania una motorizzazione molto diffusa<br />
si è realizzata negli anni Cinquanta, quindi hanno avuto il<br />
tempo di metabolizzare la novità dell’automobile. In questi<br />
paesi si è sviluppata una politica di ricerca e, grazie anche<br />
a <strong>dei</strong> finanziamenti di società di assicurazioni, sono<br />
stati realizzati degli studi molto interessanti sul rapporto<br />
tra il bambino e l’automobile, sulle possibili relazioni tra<br />
comportamenti aggressivi e opportunistici e l’uso dell’automobile<br />
o sul rapporto tra il bambino e la strada. In Italia,<br />
siamo agli inizi, alle prime denunce dell’intollerabilità<br />
della situazione e solo negli ultimi anni cominciamo a porci<br />
il problema di usare l’automobile in un modo «intelligente».<br />
Oltre a «<strong>La</strong> <strong>città</strong> possibile» che propone una serie di<br />
azioni ad ampio raggio, quali associazioni affrontano il<br />
problema della mobilità?<br />
Diverse associazioni ambientaliste, al di là delle loro capacità<br />
di approfondimento e della continuità delle loro azioni,<br />
sono impegnate in progetti che riguardano i temi della<br />
moderazione. Si tratta di esperienze che hanno una certa<br />
diffusione, come esempi si possono ricordare il programma<br />
«<strong>La</strong>vori in corso» della Legambiente e il progetto «<strong>La</strong> riconquista<br />
della <strong>città</strong>» del WWF.<br />
Altre associazioni, invece, lavorano su singoli temi della<br />
mobilità o della tutela del pedone come l’Associazione<br />
<strong>dei</strong> genitori <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> incidentati, l’Assopedone o Strada<br />
amica, che ormai è una federazione di quattro o cinque<br />
organizzazioni a livello nazionale e lavora principalmente<br />
sul problema degli incidenti stradali. Un altro aspetto<br />
che caratterizza attualmente il versante delle associazioni<br />
è l’esigenza di raccordarsi in una rete comune, dove<br />
184
collocare la propria esperienza e avere la possibilità di<br />
confrontarsi in ambito nazionale e internazionale. «<strong>La</strong><br />
<strong>città</strong> possibile» sta lavorando proprio in questa direzione.<br />
Quali elementi ostacolano la diffusione delle tecniche<br />
della moderazione?<br />
<strong>La</strong> principale difficoltà è la mancanza di formazione. Per<br />
cambiare la <strong>città</strong> non basta informare e attivare la domanda<br />
di qualità urbana <strong>dei</strong> cittadini, bisogna anche aumentare<br />
la capacità di risposta degli amministratori e <strong>dei</strong><br />
tecnici. In Italia c’è un ritardo considerevole rispetto agli<br />
altri paesi europei perché le università non formano professionisti<br />
alle tecniche della moderazione, e gli ordini professionali,<br />
a loro volta, non hanno sviluppato una prassi<br />
di aggiornamento diffuso <strong>dei</strong> tecnici.<br />
Un altro ostacolo è rappresentato dal comportamento<br />
degli automobilisti. Oggi le automobili consentono velocità<br />
sempre più alte e che possono essere raggiunte in<br />
tempi brevi, quindi anche nel tessuto urbano.<br />
22.<br />
ALTRE ESPERIENZE: LA DEMOCRAZIA<br />
IN ERBA<br />
Intervista a Carlo Pagliarini 1<br />
Come nascono in Italia i Consigli comunali <strong>dei</strong> ragazzi?<br />
Le prime esperienze risalgono al dopoguerra e avevano<br />
l’obiettivo di consentire l’organizzazione democratica delle<br />
colonie di vacanza.<br />
1 Carlo Pagliarini, fondatore ed ex presidente dell’Arciragazzi, fondatore<br />
dell’associazione «Democrazia in erba», ci ha lasciati nel 1997. Anche a lui, che<br />
tanto ha fatto per i <strong>bambini</strong>, è dedicato questo libro.<br />
185
Negli anni Sessanta in molti Comuni sono stati istituiti<br />
<strong>dei</strong> Consigli <strong>dei</strong> ragazzi ma queste iniziative fallirono regolarmente.<br />
<strong>La</strong> maggior parte delle esperienze dell’attuale periodo<br />
storico sono correlate all’iniziativa dell’Unicef Italia «Il sindaco<br />
difensore <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»; alcuni degli amministratori<br />
che hanno aderito hanno avviato <strong>dei</strong> Consigli comunali<br />
<strong>dei</strong> ragazzi. Molti di questi sono totalmente privi di riferimenti<br />
culturali e quindi riproducono il solo modello che<br />
conoscono cioè quello adulto, altri invece rappresentano<br />
esperienze di elevata qualità. In entrambi i casi, tuttavia, i<br />
ragazzi esprimono le loro potenzialità e le loro competenze.<br />
Dove è stato istituito il primo Consiglio <strong>dei</strong> ragazzi?<br />
A Morrovalle e opera ancora oggi. Però, secondo me, è<br />
un’iniziativa che si è realizzata solo a metà. <strong>La</strong> convinzione<br />
che ho maturato anche sulla base dell’esperienza francese,<br />
è che il Consiglio comunale <strong>dei</strong> ragazzi deve nascere<br />
nella scuola, in rapporto anche ai programmi didattici,<br />
come elemento di consapevolizzazione forte di un ruolo di<br />
cittadinanza attiva, poi però deve esercitare la sua attività<br />
nel Comune attraverso delle negoziazioni con gli adulti. A<br />
Morrovalle il Consiglio è rimasto dentro la scuola.<br />
Quali sono le esperienze più significative?<br />
In genere la presenza e l’efficacia <strong>dei</strong> Consigli è legata alla<br />
natura delle amministrazioni. Quando le Giunte sono<br />
formate da persone che non vengono direttamente dal<br />
mondo della politica c’è un’apertura mentale straordinaria<br />
verso queste iniziative.<br />
Secondo lei, il nuovo ruolo del sindaco ha prodotto un<br />
incremento nella costituzione <strong>dei</strong> Consigli comunali<br />
<strong>dei</strong> ragazzi?<br />
Finora non abbiamo registrazioni di questo fenomeno per-<br />
186
ché è troppo recente, però penso di sì. Alcuni sindaci, per<br />
esempio, nel loro programma elettorale hanno previsto<br />
l’istituzione di un Consiglio <strong>dei</strong> ragazzi.<br />
Quali sono le esperienze più significative nel panorama<br />
internazionale?<br />
<strong>La</strong> Francia è il paese europeo in cui si è diffusa maggiormente<br />
l’esperienza <strong>dei</strong> Consigli comunali <strong>dei</strong> ragazzi. Il fenomeno<br />
è nato e si è sviluppato in una fase di amministrazione<br />
di sinistra ed è continuato anche quando la gestione<br />
<strong>dei</strong> Comuni è passata a coalizioni di destra. Questo<br />
dimostra la validità dell’esperienza che è in crescita continua:<br />
erano ottocento un anno fa, oggi sono ottocentosessanta.<br />
I Consigli comunali <strong>dei</strong> ragazzi francesi sono comparsi<br />
una decina di anni fa per iniziativa di alcuni sindaci adulti.<br />
Dopo questa prima esperienza spontanea, alcune organizzazioni<br />
educative e un gruppo di amministratori di piccole<br />
e grandi <strong>città</strong> hanno costituito un’associazione, l’Anacej<br />
(Association Nationale des Conseils d’Enfants et de<br />
Jeunes) che oggi è supportata da diversi ministeri e istituzioni.<br />
Inizialmente sono stati istituiti soprattutto i Consigli <strong>dei</strong><br />
ragazzi, formati cioè da <strong>bambini</strong>, di recente si stanno organizzando<br />
<strong>dei</strong> Consigli <strong>dei</strong> giovani a cui partecipano gli<br />
adolescenti. Queste esperienze, inoltre, nascono preferibilmente<br />
in piccoli Comuni dove i ragazzi sono facilmente<br />
visibili e a loro volta possono individuare facilmente il<br />
territorio. Solo una grande <strong>città</strong> della Francia ha un Consiglio<br />
comunale <strong>dei</strong> ragazzi.<br />
Pensando alle grandi <strong>città</strong>, quale estensione dovrebbe<br />
avere il territorio su cui opera un Consiglio <strong>dei</strong> ragazzi?<br />
<strong>La</strong> dimensione ideale, secondo me, corrisponde al bacino<br />
di utenza di un gruppo di due o tre scuole. Deve essere<br />
187
un’area che i ragazzi conoscono e su cui possono intervenire<br />
con forme di progettazione e rivendicazione del loro<br />
ruolo. Solo in questo caso il Consiglio comunale è valido<br />
altrimenti è una forma di partecipazione passiva, simbolica,<br />
pensata per gli adulti non per i ragazzi.<br />
Quali peculiarità ha la vostra proposta, quella di «Democrazia<br />
in erba»? Cosa la distingue per esempio da<br />
quella francese?<br />
Prima di tutto devo ricordare la sproporzione enorme nel<br />
numero <strong>dei</strong> Consigli e nelle tradizioni, perché in Francia<br />
c’è un tessuto laico educativo straordinario che noi non<br />
abbiamo. In Italia poi manca del tutto un livello nazionale<br />
e istituzionale di supporto che invece caratterizza la situazione<br />
francese.<br />
Noi siamo partiti controcorrente, e siamo stati in qualche<br />
misura costretti ad avere un’applicazione più immaginifica.<br />
Se devo individuare delle differenze tra i due modelli,<br />
forse quelle principali sono l’importanza che noi attribuiamo<br />
al momento ludico e l’organizzazione di assemblee comuni,<br />
dove adulti e ragazzi discutono insieme su un tema<br />
specifico.<br />
Si possono definire delle regole che possano garantire<br />
l’efficacia di un Consiglio <strong>dei</strong> ragazzi?<br />
Non si possono dare delle indicazioni restrittive perché l’istituzione<br />
<strong>dei</strong> Consigli è un fenomeno recente, però si<br />
possono precisare alcuni aspetti. <strong>La</strong> nascita di queste<br />
esperienze dovrebbe essere preceduta da due atti formali:<br />
l’adozione della Convenzione <strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e<br />
una delibera del Consiglio comunale dove si afferma che<br />
i <strong>bambini</strong> sono cittadini come gli altri e quindi gli si conferisce<br />
del potere.<br />
I Consigli <strong>dei</strong> ragazzi devono disporre di un budget, per<br />
misurarsi con forme di disponibilità di potere. Le risorse<br />
188
saranno utilizzate in parte per il funzionamento del Consiglio,<br />
per esempio per viaggiare, conoscere altre esperienze<br />
o acquisire competenze, in parte per la realizzazione<br />
di piccoli interventi scelti dai ragazzi stessi.<br />
«Democrazia in erba» prevede anche la formazione di<br />
un comitato di pilotaggio che, come avviene in Francia,<br />
promuova la nascita del Consiglio e ne faciliti le attività?<br />
Certo. Secondo «Democrazia in erba» nel comitato di pilotaggio<br />
ci devono essere almeno tre figure, un insegnante,<br />
che sia rappresentativo della scuola o delle scuole di<br />
quel territorio, un anziano, che possibilmente abbia un’esperienza<br />
di gestione comunale e che faccia da mediatore<br />
tra i <strong>bambini</strong> e il Consiglio e un animatore.<br />
Si possono ipotizzare delle situazioni in cui Consigli <strong>dei</strong><br />
ragazzi riescono ad operare sul territorio realizzando<br />
degli interventi molto circoscritti ma in realtà non hanno<br />
la possibilità di incidere sul processo di trasformazione<br />
della <strong>città</strong>?<br />
Questo si verifica ma va bene così. L’esperienza <strong>dei</strong> Consigli<br />
ci suggerisce che è necessaria un’idea utopistica,<br />
straordinaria, ma per realizzarla bisogna compiere <strong>dei</strong><br />
passi piccolissimi, ognuno <strong>dei</strong> quali deve essere un successo<br />
e le proposte <strong>dei</strong> ragazzi, in genere, sono accolte<br />
perché sono puntuali, precise, concrete, applicabili. I piccoli<br />
passi muovono verso un traguardo lontanissimo. I<br />
due piani, l’intervento localizzato e un progetto molto più<br />
ampio di riferimento, sono conciliabili e ugualmente importanti.<br />
Il piccolo intervento locale dimostra ai ragazzi<br />
che si può avanzare una proposta, gestirla con l’aiuto<br />
pubblico, con il suo contributo e quello <strong>dei</strong> suoi genitori.<br />
In questo modo i ragazzi acquisiscono un esercizio di cittadinanza<br />
che gli dà la possibilità di pensare che le idee<br />
più grandi si possono realizzare.<br />
189
Secondo lei quali sono le ricadute più significative di<br />
queste esperienze?<br />
Se escludiamo i ragazzi, una delle ricadute più importanti<br />
riguarda l’immaginario degli adulti. Genitori, amministratori,<br />
tecnici, insegnanti, con grande stupore, scoprono<br />
che i ragazzi sono totalmente diversi rispetto agli stereotipi<br />
della cultura egemone che li considera deboli, incapaci,<br />
pericolosi e da tutelare. L’esperienza <strong>dei</strong> Consigli mette in<br />
discussione questa cultura.<br />
Credo che un altro aspetto particolarmente significativo<br />
sia la speranza di un rapporto nuovo tra le generazioni,<br />
che si ricostruisce in termini di futuro, e questo è particolarmente<br />
importante perché nell’epoca del massimo di denatalità<br />
si è affermata l’idea che gli adulti siano eterni.<br />
23.<br />
ALTRE ESPERIENZE:<br />
LE CITTÀ EDUCATIVE<br />
Intervista a Fiorenzo Alfieri 1<br />
Da quali esperienze e con quali obiettivi nasce il progetto<br />
«Le <strong>città</strong> educative»?<br />
Il primo congresso internazionale delle «Città educative» fu<br />
organizzato dalla <strong>città</strong> di Barcellona nel novembre del<br />
1990. Questo evento venne preparato per oltre un anno<br />
da un comitato scientifico di cui facevo parte. <strong>La</strong> mia presenza<br />
era motivata dal fatto che la filosofia su cui si fondava<br />
il congresso era molto simile a quella che a Torino,<br />
la mia <strong>città</strong>, avevamo pionieristicamente cercato di impostare<br />
dal 1975 in poi. Si tratta di un modo di pensare che<br />
si fonda sulla convinzione che vi sia oggi un grande biso-<br />
190<br />
1 Assessore al sistema educativo del Comune di Torino.
gno di educazione e che questo non possa essere soddisfatto<br />
soltanto mediante i servizi scolastici. Nel primo periodo<br />
di attività amministrativa della Giunta comunale di<br />
Torino tra il 1975 e il 1980, cercammo di mettere a disposizione<br />
delle scuole una grande quantità di risorse educative<br />
reperite nel contesto urbano. <strong>La</strong> <strong>città</strong> deve costruirsi<br />
una relazione educativa diretta che, per altro, non riguardi<br />
solo i <strong>bambini</strong>, ma i cittadini di ogni età.<br />
Da questa convinzione siamo partiti per la costruzione<br />
di una pratica più ampia e diversificata che riguardi tutto<br />
il sistema educativo e non solo la scuola. Il sistema educativo<br />
comprende anche la famiglia, il territorio urbano,<br />
i mezzi di informazione, i gruppi formali e informali, le<br />
strutture produttive, le forze politiche, le amministrazioni.<br />
Tutte queste diverse componenti possono contribuire allo<br />
sviluppo integrato di un’ampia azione educativa che ricada<br />
positivamente su ognuna di esse.<br />
Ovviamente il pensare e l’operare in questo modo è più<br />
difficile e impegnativo che il solo mettere a disposizione<br />
della scuola risorse territoriali da utilizzare nei modi ritenuti<br />
più opportuni. Per questo motivo sono numerosissime<br />
le esperienze di rapporto tra scuola e territorio mentre<br />
sono più rare e qualche volta più sfuggenti le esperienze<br />
concrete che siano in grado di dimostrare la capacità<br />
di una <strong>città</strong> di occuparsi concretamente della crescita<br />
educativa <strong>dei</strong> suoi cittadini.<br />
Quali sono stati gli appuntamenti internazionali?<br />
Il convegno di Barcellona voleva lanciare a livello internazionale<br />
un appello alle grandi <strong>città</strong> affinché valutassero<br />
correttamente l’importanza strategica dell’educazione nel<br />
mondo di oggi, si mettessero in rete e si scambiassero le<br />
esperienze concrete sia in occasione <strong>dei</strong> congressi internazionali<br />
da tenere ogni due anni, sia attraverso la creazione<br />
di un’apposita banca dati. Si è detto fin dall’inizio,<br />
nel modo più chiaro, che una <strong>città</strong> educativa non è solo<br />
191
una <strong>città</strong> dotata di buoni servizi scolastici e che gli amministratori<br />
coinvolti non sono solo gli assessori all’istruzione.<br />
Il sindaco di Barcellona si spese in prima persona e le<br />
relazioni di apertura vennero affidate a urbanisti, economisti,<br />
imprenditori e ad un solo pedagogista (il sottoscritto).<br />
Anche il volume preparatorio del congresso dedicava<br />
lo spazio maggiore ad analisi di carattere filosofico, politico,<br />
sociologico ed economico.<br />
Il secondo congresso internazionale si tenne a Göteborg<br />
nel 1992 sul tema della formazione e del lavoro. Il<br />
terzo si celebrò a Bologna nel 1994 sul tema dell’interculturalità<br />
e il quarto si terrà a Chicago nel settembre di<br />
quest’anno su un tema molto bello: «Le arti e le attività<br />
umanistiche come agenti di cambio sociale nelle <strong>città</strong>». I<br />
diversi congressi costituiscono un percorso intorno al concetto<br />
generale di «Città educativa». Si tratta di un concetto<br />
complesso che è bene analizzare da diversi punti di vista<br />
senza però perdere il senso complessivo dell’intuizione<br />
originaria che mal sopporta, per sua natura, di essere<br />
vivisezionata oltre un certo limite.<br />
Quali attività specifiche caratterizzano le <strong>città</strong> aderenti?<br />
Le oltre trecento <strong>città</strong> che hanno firmato la «Carta delle<br />
<strong>città</strong> educative» si sono ufficialmente impegnate a seguirne<br />
i principi e più concretamente a considerare in modo<br />
esplicito, in occasione di ogni decisione e di ogni iniziativa,<br />
la possibile ricaduta sui modi di capire, di pensare, di<br />
agire e di convivere <strong>dei</strong> cittadini. Credo che al fondo di<br />
questa esperienza non ci debba stare tanto un certo numero<br />
di specifici atti amministrativi quanto un modo particolare<br />
di guardare alla <strong>città</strong> e alla vita <strong>dei</strong> cittadini. È probabilmente<br />
molto più produttivo quel certo modo di guardare<br />
piuttosto che una serie di investimenti anche consistenti<br />
ma operati senza prospettiva e senza anima.<br />
Le <strong>città</strong> firmatarie della «Carta» si dovrebbero sforzare<br />
192
innanzi tutto di raccontare a tutte le altre in che modo hanno<br />
declinato il paradigma della «Città educativa». Gli obiettivi<br />
in questo modo si costruiranno poco a poco in sintonia<br />
con le esperienze concrete. Si tratta di una specie di<br />
grande «cooperazione educativa» come la pensava Celestin<br />
Freinet. Egli era convinto che nessuno sappia davvero<br />
come si debba concretamente agire per fare bene scuola.<br />
Cominciamo allora a scambiarci regolarmente le esperienze,<br />
mettiamo a disposizione di tutti quel poco che ognuno<br />
riesce a fare e vedremo che un po’ per volta prenderà<br />
forma un modo di pensare e di operare sorprendentemente<br />
ricco e produttivo, frutto della ricerca comune.<br />
Quale è la risposta italiana al progetto?<br />
Per quanto riguarda l’Italia si sta cercando proprio in questi<br />
tempi di rilanciare e di dare maggiore significato alla<br />
adesione delle nostre <strong>città</strong> all’AICE (Associazione Internazionale<br />
delle Città Educative) che nel frattempo si è costituita<br />
a livello internazionale e che è sotto osservazione da<br />
parte dell’ONU e dell’UNESCO.<br />
Nel gennaio 1996 un folto gruppo di amministratori si<br />
è incontrato a Torino per riscoprire il senso della «Carta»,<br />
aumentare il numero delle <strong>città</strong> aderenti e organizzare la<br />
partecipazione a Chicago. In questo momento si sta affermando<br />
anche in seno dell’ANCI (Associazione Nazionale<br />
Comuni Italiani) l’idea di considerare il concetto di<br />
«Città educativa» come un punto di riferimento per le politiche<br />
socio-educativo-culturali delle <strong>città</strong> in riferimento all’infanzia,<br />
ai giovani, alla famiglia.<br />
In Italia il livello di sensibilità e di cultura su questi argomenti<br />
è molto diversificato. È difficile confrontarlo con<br />
quello di altri paesi. <strong>La</strong> sensazione è che in alcune nostre<br />
<strong>città</strong> si svolgano esperienze molto raffinate e avanzate che<br />
possono reggere il confronto con quelle di altri paesi europei.<br />
Mi pare anche di poter dire che stiamo attraver-<br />
193
sando un buon momento nelle amministrazioni locali per<br />
quanto riguarda queste tematiche. Anche nel Sud sono<br />
entrati in scena amministratori molto motivati e creativi.<br />
Sono numerosissimi gli incontri tra amministratori e non<br />
dovrebbe essere difficile la moltiplicazione delle esperienze<br />
più azzeccate e fattibili. Soprattutto mi pare si stia affermando<br />
la consapevolezza che questa tematica non abbia<br />
solo una valenza specificamente psicopedagogica ma<br />
che miri al cuore di un interesse primario della collettività.<br />
Quali prospettive si possono individuare per il futuro<br />
del progetto?<br />
Si sta avvertendo un bisogno straordinario, talvolta<br />
drammatico, di educazione. A prescindere dal fatto, per<br />
altro gravissimo, che il nostro paese si colloca all’ultimo<br />
posto in Europa per numero di diplomati e di laureati,<br />
non c’è aspetto della vita sociale per cui non si affermi<br />
che oltre a esigenze di carattere strutturale sono prioritari<br />
interventi di natura educativa. Si tratti di difesa dell’ambiente,<br />
di traffico, di consumi energetici, di occupazione,<br />
di sicurezza, di ordine pubblico, di solidarietà, di<br />
tossicodipendenza, di rapporti tra i sessi, di maternità e<br />
paternità... lo slogan è sempre lo stesso: non basta costruire<br />
manufatti e fornire servizi, bisogna agire sui modi<br />
di pensare. Bisogna educare.<br />
Ma chi ha questa responsabilità? E in quali modi metterla<br />
in atto con qualche probabilità di riuscita? Se non ci<br />
poniamo seriamente questi interrogativi il richiamo alla<br />
priorità educativa, che ormai caratterizza qualsiasi presa<br />
di posizione (<strong>dei</strong> politici come degli imprenditori, degli urbanisti<br />
come degli economisti), rischia di diventare una<br />
sorta di rumore di fondo senza alcuna ricaduta concreta.<br />
Il movimento delle «Città educative» dovrebbe diventare<br />
l’ambiente più attrezzato per rispondere a queste semplici<br />
terribili domande.<br />
194
24. UNA RETE NAZIONALE E OLTRE<br />
Il 17 dicembre 1994 i sindaci di venti <strong>città</strong> si sono incontrati<br />
a Fano per conoscere l’esperienza del <strong>La</strong>boratorio<br />
«<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>», e per valutare l’opportunità di portare<br />
questo progetto nei propri Comuni e di far nascere<br />
una rete nazionale che permetta di coordinare le varie<br />
esperienze in atto su questo argomento. Al termine della<br />
giornata è stato approvato il documento che segue:<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> ha rinunciato al suo ruolo storico di essere il luogo<br />
dell’incontro e dello scambio e ha perduto i suoi cittadini, avendo<br />
scelto, specialmente negli ultimi decenni, le strategie della<br />
separazione e della specializzazione, motivate quasi esclusivamente<br />
da interessi economici. I cittadini sono stati allontanati<br />
dal centro della <strong>città</strong>, si sono creati posti diversi per funzioni e<br />
per categorie diverse: per dormire, per divertirsi, per comprare,<br />
per curarsi, per studiare; per anziani, per <strong>bambini</strong>, per handicappati,<br />
ecc.<br />
Il danno così provocato nei cittadini è stato compensato dai<br />
servizi: trasporti, servizi per l’infanzia, ipermercati, giardini pubblici,<br />
ecc. per sopportare una vita sempre più alienata.<br />
Questo accordo è stato tacitamente stabilito fra gli amministratori<br />
e gli elettori forti: la <strong>città</strong> è stata progettata e verificata<br />
assumendo come parametro il cittadino medio che in genere<br />
ha le caratteristiche di adulto, maschio e lavoratore. In questo<br />
modo la <strong>città</strong> si è persa i cittadini non adulti, non maschi e non<br />
lavoratori.<br />
I sindaci propongono:<br />
di spostare la propria attenzione dal cittadino medio al bambino:<br />
di abbassare l’ottica della amministrazione fino all’altezza<br />
del bambino, per non perdere nessuno <strong>dei</strong> cittadini che rappresenta;<br />
di imparare ad ascoltare e a capire le bambine e i <strong>bambini</strong>,<br />
nella loro diversità, per essere capaci di capire e rappresentare<br />
tutti i diversi.<br />
195
Non si tratta di difendere i diritti di una componente sociale<br />
debole fra le altre. Non si tratta di realizzare iniziative, opportunità,<br />
strutture nuove per i <strong>bambini</strong>, non si tratta di modificare,<br />
aggiornare, migliorare i servizi per l’infanzia (che pure rimane<br />
un impegno delle amministrazioni comunali). Si tratta invece di<br />
assumere una filosofia nuova nel valutare, programmare, progettare<br />
e modificare la <strong>città</strong>. Una filosofia della quale il sindaco<br />
si fa garante e che diventa anima del programma della Giunta.<br />
In particolare intendono sottoporre alle rispettive amministrazioni<br />
apposito atto deliberativo che le impegni a:<br />
1. aprire nella propria <strong>città</strong> un <strong>La</strong>boratorio su «<strong>La</strong> <strong>città</strong> delle<br />
bambine e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» che costituisca un punto di elaborazione<br />
e di collegamento fra i vari assessorati e con le altre <strong>città</strong> impegnate;<br />
2. trovare le forme adeguate per coinvolgere direttamente le<br />
bambine e i <strong>bambini</strong> in questa operazione, sia chiedendo loro<br />
un contributo di idee, sia offrendo loro spazi per esprimere agli<br />
amministratori le loro richieste e proposte;<br />
3. avviare una rete di collegamento e di confronto fra le <strong>città</strong><br />
aderenti al progetto (...);<br />
4. invitare tutti i loro colleghi sindaci eletti, ad aderire a questo<br />
progetto a difesa non tanto <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> ma <strong>dei</strong> cittadini tutti<br />
e delle stesse <strong>città</strong>.<br />
Questo documento istitutivo, firmato dai rappresentanti di<br />
ventiquattro <strong>città</strong> e sottoscritto dalle maggiori associazioni nazionali.<br />
Dal 1994 altri Comuni hanno conosciuto il progetto,<br />
hanno aderito o stanno valutando questa possibilità.<br />
Negli ultimi anni il progetto è stato presentato anche in<br />
Spagna e in Argentina con notevole interesse da parte di<br />
educatori e di amministratori. In Argentina si sta valutando<br />
la opportunità di organizzare un coordinamento nazionale<br />
per i Municipi interessati, ad opera dell’Unicef Argentina<br />
e della Facoltà <strong>La</strong>tino-americana di Scienze Sociali<br />
(Flacso).<br />
Per dare risposta all’interesse crescente dimostrato da<br />
196
diverse <strong>città</strong>, nel 1996, presso l’Istituto di Scienze e Tecnologie<br />
della Cognizione del CNR di Roma, si è costituito un<br />
gruppo di ricerca per lo sviluppo del progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>» che si occuperà in particolare:<br />
– di approfondire e sviluppare il progetto attraverso la<br />
ricerca e la verifica delle esperienze in corso;<br />
– di diffondere il progetto presso le amministrazioni comunali;<br />
– di dare ai Comuni che lo vorranno un supporto per<br />
l’avvio e lo sviluppo del progetto, mirando alla crescita di<br />
competenze locali;<br />
– di documentare e far conoscere le esperienze in corso.<br />
Alcune di queste funzioni potranno essere assorbite<br />
dalle iniziative istituzionali previste dai Ministeri dell’Ambiente<br />
e della Solidarietà Sociale.<br />
Il gruppo di ricerca può essere contattato al seguente<br />
indirizzo:<br />
Progetto internazionale «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»<br />
Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR<br />
via U. Aldrovandi, 18, 00197 Roma<br />
tel. 06 - 3221198; Fax 06 - 3217090<br />
E-mail laboratorio@lacitta<strong>dei</strong><strong>bambini</strong>.org<br />
www.lacitta<strong>dei</strong><strong>bambini</strong>.org<br />
25. PER COMINCIARE<br />
Quelli che seguono sono consigli, possibili proposte di<br />
lavoro. Ciascuna <strong>città</strong> interessata al progetto può pensare<br />
ad una strada propria e indipendente. Qui si indicano<br />
alcuni passaggi verificati nella esperienza di Fano.<br />
1. Verifica da parte del sindaco e della sua Giunta che<br />
questo progetto possa e debba diventare una nuova filosofia<br />
della politica del governo della <strong>città</strong> tenendo conto che:<br />
197
– attualmente i cittadini, che pure soffrono i mali della<br />
<strong>città</strong>, non chiedono, almeno in forma esplicita, una tale<br />
riforma radicale e quindi un progetto come questo non costituisce<br />
un obbligo per gli amministratori, ma solo una<br />
scelta;<br />
– è difficile cambiare una <strong>città</strong> rispondendo alle necessità<br />
e alle aspettative <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> perché bisogna scontentare<br />
i grandi e chiedere loro di rinunciare a privilegi che<br />
sembrano ormai <strong>dei</strong> diritti;<br />
– una volta aderito al progetto non lo si può tradire perché<br />
è un impegno preso con i <strong>bambini</strong> e ai <strong>bambini</strong> non<br />
si può mentire, non si debbono ingannare;<br />
– è una grande scelta per il futuro della <strong>città</strong>, che risponde<br />
ad un bisogno profondo della gente, anche se non<br />
espresso, di una speranza di futuro che oggi le <strong>città</strong> stanno<br />
perdendo.<br />
2. Rendere pubblica la scelta con una delibera del Consiglio,<br />
aderendo alla rete nazionale che si è creata a Roma<br />
presso il CNR, sensibilizzando le forze attive della <strong>città</strong><br />
(associazioni, scuole, ecc.) e comunicandola alla popolazione<br />
con le iniziative che si valuteranno opportune.<br />
3. Aprire un <strong>La</strong>boratorio comunale de «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong><br />
<strong>bambini</strong>», dotandolo del personale, <strong>dei</strong> locali e della strumentazione<br />
necessaria in modo che:<br />
– costituisca lo stimolo continuo verso i governanti della<br />
<strong>città</strong> per una sempre più coerente attuazione del progetto;<br />
– diventi un punto di riferimento per <strong>bambini</strong> e adulti<br />
della <strong>città</strong> sul rapporto <strong>città</strong>-<strong>bambini</strong>;<br />
– elabori un programma delle iniziative da realizzare;<br />
– tenga i contatti con il gruppo di lavoro di Roma, fornendo<br />
i materiali che documentano le decisioni e le attività<br />
progettate e realizzate.<br />
4. Se il progetto si applica in una grande <strong>città</strong> occorre<br />
identificare un quartiere nel quale si possano avviare le<br />
attività concrete. È importante che anche la dimensio-<br />
198
ne dell’area di attuazione del progetto sia «a misura di<br />
bambino». Nell’area scelta dovrà essere identificata una<br />
sede, che per gli abitanti diventi un punto di riferimento,<br />
e un gruppo di lavoro locale che attui il programma. Il <strong>La</strong>boratorio<br />
comunale dovrà rendere possibile il lavoro decentrato<br />
e garantirne la documentazione in modo che<br />
possa, appena possibile, essere applicato a zone più ampie<br />
della <strong>città</strong>.<br />
5. Attivazione di iniziative che mirano a «dare la parola<br />
ai <strong>bambini</strong>», a permettere loro di contribuire direttamente<br />
al rinnovamento della <strong>città</strong> sia esprimendo proprie opinioni,<br />
sia sviluppando negli adulti atteggiamenti di attenzione<br />
e di ascolto. Alcune possibili attività possono essere:<br />
a. Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>: i rappresentanti (maschio e<br />
femmina) delle scuole elementari della <strong>città</strong> o del quartiere<br />
si riuniscono periodicamente nei locali del <strong>La</strong>boratorio<br />
per discutere con gli operatori le varie proposte di modifica<br />
della <strong>città</strong>, garantendo il punto di vista <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />
b. I <strong>bambini</strong> progettisti: gruppi di <strong>bambini</strong> e di ragazzi,<br />
che, dentro o fuori della scuola, lavorano insieme a tecnici<br />
della <strong>città</strong> (architetti, urbanisti, sociologi, psicologi, educatori)<br />
per la progettazione di spazi e servizi urbani.<br />
6. Convocazione di almeno un Consiglio comunale all’anno<br />
aperto ai <strong>bambini</strong>, durante il quale i <strong>bambini</strong> (possono<br />
essere i consiglieri di cui al punto 5a) abbiano diritto<br />
di parola per esprimere proposte e proteste e gli adulti abbiano<br />
il dovere di ascoltare, capire e dare risposte. Sarebbe<br />
opportuno dedicare ogni anno un secondo Consiglio<br />
alla valutazione del progetto e alle sue prospettive future.<br />
7. Le <strong>città</strong> che aderiscono alla iniziativa possono partecipare<br />
agli incontri nazionali e internazionali che si organizzano<br />
e di cui riceveranno adeguata informazione.<br />
Possono anche aderire alle campagne nazionali e internazionali,<br />
per esempio la proposta «Io e la mia <strong>città</strong>» che<br />
da alcuni anni viene promossa dalla <strong>città</strong> di Fano.<br />
199
200
Appendice<br />
201
202
1. Convenzione internazionale<br />
sui diritti del fanciullo 1<br />
ART. 1<br />
Questa convenzione si occupa <strong>dei</strong> diritti di tutti coloro che<br />
ancora non hanno compiuto 18 anni.<br />
ART. 2<br />
Tutti gli stati devono rispettare i diritti del bambino, senza<br />
distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione,<br />
di opinione politica del bambino o della sua famiglia.<br />
ART. 3<br />
Gli interessi del bambino devono essere considerati per<br />
primi in tutte le decisioni che lo riguardano. Il bambino ha<br />
il diritto di ricevere la protezione e le cure necessarie al suo<br />
benessere.<br />
ART. 5<br />
Sono i genitori o chi li sostituisce a doversi prendere cura<br />
del bambino.<br />
ART. 6<br />
1. Il bambino ha il diritto alla vita.<br />
1 Promulgata dalle Nazioni Unite a New York nel 1989 e ratificata dal Parlamento<br />
italiano con la legge n. 176 del 1991. <strong>La</strong> versione qui pubblicata è stata<br />
riscritta per i <strong>bambini</strong>, in forma semplificata e ridotta, da P. Benevene, F. Ippolito<br />
e F. Tonucci per la Fondazione Basso.<br />
203
2. Il bambino ha il diritto di sviluppare in modo completo<br />
la propria personalità.<br />
ART. 9<br />
Il bambino ha il diritto di mantenere i contatti con i suoi<br />
genitori, anche se questi sono separati o divorziati.<br />
ART. 10<br />
Il bambino ha il diritto di riunirsi ai suoi genitori o di restare<br />
in contatto con loro se questi vivono all’estero.<br />
ART. 11<br />
I <strong>bambini</strong> non devono essere portati via dal loro paese in<br />
modo illegale.<br />
ART. 12<br />
Il bambino ha diritto ad esprimere la sua opinione e ad essere<br />
ascoltato ogni volta che si prendono decisioni che lo<br />
riguardano.<br />
ART. 13<br />
Il bambino ha il diritto di poter dire ciò che pensa, con i<br />
mezzi che preferisce.<br />
ART. 14<br />
1. Il bambino ha il diritto di libertà di pensiero, di coscienza,<br />
di religione.<br />
2. I genitori hanno il diritto e il dovere di guidare i figli e<br />
in tale compito devono essere lasciati liberi di seguire le<br />
idee in cui credono.<br />
ART. 15<br />
Il bambino ha il diritto di stare assieme agli altri.<br />
ART. 17<br />
I giornali, i programmi radiofonici e televisivi sono importanti<br />
per il bambino; per questo motivo è importante<br />
che ce ne siano di adatti a lui.<br />
204
ART. 18<br />
Se un bambino non ha i genitori, ci deve essere qualcuno<br />
che si occupa di lui.<br />
Se i genitori di un bambino lavorano, qualcuno deve prendersi<br />
cura del bambino mentre loro sono al lavoro.<br />
ART. 19<br />
Nessuno può trascurare, abbandonare, maltrattare, sfruttare<br />
un bambino o fare violenza su di lui.<br />
ART. 20<br />
Se un bambino non può rimanere con la sua famiglia, deve<br />
andare a vivere con qualcuno che si occupi di lui.<br />
ART. 21<br />
Il bambino ha il diritto di essere adottato, se la sua famiglia<br />
non si può occupare di lui. Non si può fare commercio<br />
con le adozioni.<br />
ART. 22<br />
1. Il bambino rifugiato ha il diritto di essere protetto.<br />
2. Il bambino rifugiato deve essere aiutato a riunirsi alla<br />
sua famiglia.<br />
ART. 23<br />
1. Il bambino che ha problemi mentali o fisici ha diritto di<br />
vivere come gli altri <strong>bambini</strong> e assieme a loro.<br />
2. Il bambino che ha problemi mentali o fisici ha il diritto<br />
di essere curato.<br />
3. Il bambino che ha problemi fisici o mentali ha il diritto<br />
di andare a scuola, di prepararsi per il lavoro, di divertirsi.<br />
ART. 24<br />
Il bambino ha il diritto di raggiungere il massimo livello di<br />
salute fisica e mentale e di essere curato bene quando ne<br />
ha bisogno.<br />
205
ART. 27<br />
Il bambino ha il diritto di crescere bene fisicamente, mentalmente,<br />
spiritualmente e socialmente.<br />
ART. 28<br />
Il bambino ha il diritto all’istruzione. <strong>La</strong> scuola deve essere<br />
obbligatoria e gratuita per tutti.<br />
ART. 29<br />
Il bambino ha il diritto di ricevere un’educazione che sviluppa<br />
le sue capacità e che gli insegni la pace, l’amicizia,<br />
l’uguaglianza e il rispetto per l’ambiente naturale.<br />
ART. 30<br />
Il bambino che appartiene ad una minoranza ha il diritto<br />
di usare la sua lingua e di vivere secondo la sua cultura e<br />
la sua religione.<br />
ART. 31<br />
Il bambino ha il diritto al gioco, al riposo, al divertimento<br />
e di dedicarsi alle attività che più gli piacciono.<br />
ART. 32<br />
Nessun bambino deve essere sfruttato. Nessun bambino<br />
deve fare lavori che possano essere pericolosi o che gli impediscano<br />
di crescere bene o di studiare.<br />
ART. 33<br />
Il bambino deve essere protetto dalla droga.<br />
ART. 34<br />
Nessun bambino deve subire violenza sessuale o essere<br />
sfruttato sessualmente.<br />
ART. 35<br />
Nessun bambino deve essere rapito, comprato o venduto.<br />
206
ART. 37<br />
Nessun bambino può essere torturato o condannato a<br />
morte o all’ergastolo. Nessun bambino può essere privato<br />
della sua libertà in modo illegale o arbitrario.<br />
ART. 38<br />
Nessun bambino al di sotto <strong>dei</strong> 15 anni deve essere arruolato<br />
in un esercito, né combattere in una guerra.<br />
ART. 39<br />
Il bambino che è stato trascurato, sfruttato e maltrattato<br />
ha il diritto di essere aiutato a recuperare la sua salute e la<br />
sua serenità.<br />
ART. 40<br />
Il bambino che è accusato di un reato deve essere ritenuto<br />
innocente fino a quando non sia riconosciuto colpevole,<br />
dopo un processo giusto. Comunque, anche quando è<br />
riconosciuto colpevole, ha il diritto di ricevere un trattamento<br />
adatto alla sua età, che lo aiuti a tornare a vivere<br />
con gli altri.<br />
ART. 41<br />
A questi diritti ogni stato può aggiungerne degli altri, che<br />
migliorino la situazione del bambino.<br />
ART. 42<br />
Bisogna far conoscere a tutti, adulti e <strong>bambini</strong>, quello che<br />
dice questa Convenzione.<br />
207
2. Invito alla collaborazione:<br />
lettera aperta ai cittadini fanesi<br />
Il Comune di Fano ha istituito «Fano la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»,<br />
un <strong>La</strong>boratorio regionale per la progettazione e la sperimentazione<br />
di proposte che migliorino il difficile rapporto<br />
che oggi esiste fra <strong>città</strong> e bambino.<br />
I <strong>bambini</strong> vivono spesso da soli, non possono incontrarsi<br />
spontaneamente per giocare, non hanno spazi loro,<br />
non hanno tempi loro, le strade sono occupate dalle macchine,<br />
la <strong>città</strong> è pericolosa.<br />
<strong>La</strong>vorare perché la <strong>città</strong> diventi adatta ai <strong>bambini</strong> significa<br />
lavorare perché la <strong>città</strong> sia più adatta a tutti.<br />
Pensiamo di invitare a Fano amministratori di altre <strong>città</strong><br />
per confrontarsi tra loro e con noi su questi problemi, pensiamo<br />
di invitare a Fano i <strong>bambini</strong> delle altre <strong>città</strong> per offrire<br />
loro la nostra amicizia, le nostre idee. Ci piacerebbe<br />
che Fano diventasse un punto di riferimento su questo tema<br />
delicato.<br />
Ma se la <strong>città</strong> deve cambiare questo non può essere affidato,<br />
delegato alla sola amministrazione. <strong>La</strong> delega generalizzata<br />
e l’atteggiamento assistenziale che ne deriva<br />
sono state probabilmente cause del degrado delle nostre<br />
<strong>città</strong>. Se la <strong>città</strong> deve cambiare tutti possono e debbono<br />
fare qualcosa.<br />
Questa lettera è un invito personale perché tutti quelli<br />
che hanno un ruolo attivo nei diversi settori produttivi, di<br />
servizio o culturali della nostra <strong>città</strong> si pongano la doman-<br />
208
da: «Io che cosa posso fare per i <strong>bambini</strong> della mia<br />
<strong>città</strong>?», «Cosa posso inventare per far sì che il bambino<br />
possa approfittare delle mie competenze?», «Quali occasioni<br />
posso proporre, suggerire?».<br />
C’è posto per la creatività, anzi, siamo convinti che solo<br />
inventando cose nuove possiamo sperare di ottenere<br />
qualcosa di buono. Una fabbrica, un museo, un ufficio,<br />
una bottega artigianale, un esercizio commerciale, una caserma,<br />
una barca... nascondono certamente qualcosa,<br />
qualche iniziativa, qualche itinerario che può interessare<br />
ad un bambino o può migliorare la sua vita di piccolo cittadino.<br />
Se ognuno farà qualcosa, magari solo pensandoci un<br />
po’, anche non riuscendo a farsi venire in mente niente,<br />
Fano già comincerà a cambiare.<br />
Potrete rivolgervi alla sede del <strong>La</strong>boratorio per proporre,<br />
offrire, chiedere chiarimenti o collaborazione.<br />
A nome <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e del gruppo di lavoro vi ringraziamo<br />
per l’attenzione sperando di rivedervi presso il <strong>La</strong>boratorio.<br />
Fano, dicembre 1991<br />
Il direttore del <strong>La</strong>boratorio Il sindaco di Fano<br />
Francesco Tonucci Francesco Baldarelli<br />
209
3. Lewis Mumford,<br />
«<strong>La</strong> pianificazione<br />
per le diverse fasi della vita» 1<br />
Circa una generazione fa, in un numero di «Survey<br />
Graphic» (maggio 1925) il Dr. Joseph K. Hart puntualizzava<br />
il fatto che la pianificazione urbana fosse essenzialmente<br />
concepita nei termini di una singola fase della vita:<br />
quella degli adulti privi di responsabilità familiari. E rilevava<br />
il significato dell’antico detto che la folla <strong>dei</strong> boulevard<br />
non invecchia mai, che il boulevard cioè, a cagione della<br />
sua funzione e della sua conformazione, attira a sé sempre<br />
lo stesso gruppo di età, che è mosso dagli stessi interessi<br />
e persegue gli stessi fini.<br />
Malgrado tale avvertimento, l’urbanista non è ancora<br />
giunto a realizzare per intero la natura del suo compito,<br />
che è quello di provvedere un ambiente adatto ad ogni fase<br />
della vita, dall’infanzia alla senilità.<br />
L’attività urbanistica finora è stata quasi esclusivamente<br />
concentrata intorno alla vita degli adulti e per di più intorno<br />
a certi aspetti soltanto della vita degli adulti, quali gli<br />
affari, l’industria, l’amministrazione, il traffico, i trasporti.<br />
Anche occupandosi degli adulti l’urbanistica omette<br />
importanti sfere di attività.<br />
Scopo del presente studio è di esplorare brevemente il<br />
campo aperto dal Dr. Hart. Tenendo presenti le diverse<br />
fasi della vita l’urbanistica potrà modificare il suo atteg-<br />
210<br />
1 Tratto dalla rivista «Urbanistica», 1 (1945).
giamento sia nei riguardi del metodo che in quello degli<br />
scopi della pianificazione e magari esser condotto a riesaminare<br />
i progetti di certi complessi, quali ad esempio i<br />
campi da gioco, dove la comodità amministrativa ha prodotto<br />
la ripetizione di determinati schemi il cui ordine<br />
esterno riflette una interiore sterilità. Se la coscienza del<br />
ciclo della vita umana non servisse ad altro, potrebbe almeno<br />
essere utile come lista di controllo delle necessità,<br />
per scoprire i punti deboli in un piano apparentemente<br />
ammirevole.<br />
<strong>La</strong> prima fase: l’infanzia<br />
Si tratta di vedere quel che fa la pianificazione per il bambino<br />
dalla nascita fino all’età di entrare a scuola. Innanzi<br />
tutto vi è la questione delle abitazioni: mentre infatti in<br />
ogni paese durante l’ultima generazione vi è stato un deciso<br />
orientamento verso le nascite in ospedale, ora si incomincia<br />
a sospettare che non sia questa la condizione migliore<br />
per un parto normale e per i primi giorni di vita del<br />
neonato. Dalle esperienze di numerosi centri sanitari, pare<br />
che i vantaggi siano maggiori, e dal lato psicologico decisamente<br />
preponderanti, in caso di puerperio a domicilio:<br />
pure, anche là dove le condizioni di abitazione sono le<br />
più adatte, il parto porta scompiglio nell’andamento normale<br />
della casa e causa temporaneo affollamento.<br />
Qui l’urbanista dovrebbe trovare una soluzione intermedia,<br />
fra l’ospedale costoso, ma provvisto di tutta l’installazione<br />
necessaria nei casi di emergenza, e la casa che<br />
non offre lo spazio necessario alla nascita del bambino. <strong>La</strong><br />
soluzione potrebbe essere una piccola casa di cura, che<br />
fosse parte integrante di una unità di circa 250-500 famiglie<br />
e magari dipendente da una clinica locale, in modo da<br />
211
poter disporre delle possibilità di questa. In tal modo la<br />
madre potrebbe essere vicina agli altri <strong>bambini</strong>, visitata facilmente<br />
dal marito e assistita dai familiari: tale soluzione<br />
ristabilirebbe l’elemento umano, che si va perdendo in<br />
quelli che sono stati definiti «magazzini delle malattie».<br />
Per quanto riguarda l’infanzia, la pianificazione deve<br />
porre la maggior cura al fatto che la madre possa aver pace<br />
e riposo dalla pressione quotidiana <strong>dei</strong> doveri di casa;<br />
l’assenza di tensione è infatti la condizione migliore perché<br />
i rapporti tra madre e <strong>bambini</strong> siano sereni e affettuosi.<br />
Ma d’altra parte il ménage non dovrà in nessun caso<br />
essere una unità rinchiusa in se stessa; si ha bisogno <strong>dei</strong><br />
vicini non solo nei casi di emergenza, ma anche nella routine<br />
quotidiana.<br />
Anche nelle zone di abitazione più estensive, dove vi<br />
sono trenta famiglie per ettaro, anzi proprio in queste,<br />
manca sovente un luogo di ritrovo per le madri con i lori<br />
piccoli, dove esse possano lavorare chiacchierando e sorvegliare<br />
i giochi <strong>dei</strong> bimbi. Forse la parte migliore del piano<br />
di Charles Reilly per villaggi giardino era quella che prevedeva<br />
tali attività, come i progettisti di Sunnyside, Stein e<br />
Wright, hanno fatto sin dal 1924.<br />
In questo ordine d’idee la pianificazione deve trovare<br />
qualcosa di intimo, caldo e protettivo. I piccoli, fino all’età<br />
di dieci anni circa, hanno bisogno di spazi limitati, di nascondigli:<br />
muri e cespugli, se non grotte e buche, assolvono<br />
a questo compito.<br />
I piccoli al disotto <strong>dei</strong> sei anni devono sentire il contatto<br />
col loro ambiente, devono avere sabbia, ciottoli, pietre,<br />
assi e rami per i loro giochi, e, per impedir loro di diventare<br />
<strong>dei</strong> piccoli vandali, il tipo più elementare di campo da<br />
gioco dovrebbe essere sistemato in una depressione sabbiosa,<br />
ben asciutta, circondata da un sentiero lastricato,<br />
intorno al quale le madri possano sedere e sorvegliare:<br />
quest’area dovrebbe essere isolata dal resto del recinto<br />
212
con un muro e un cancello, che non possano essere superati<br />
dai piccoli, e nel centro vi dovrebbe essere una grossa<br />
pietra, o meglio ancora grotte e nascondigli.<br />
Chi ama i giardini tende in generale a privare i <strong>bambini</strong><br />
della libertà di cui hanno bisogno per scavare e fare le<br />
loro costruzioni: trovando invece il modo di rendere collettivi<br />
i giochi <strong>dei</strong> piccoli e di riunire le madri si darebbe<br />
maggior libertà ai <strong>bambini</strong> e si avvierebbero le madri verso<br />
altre forme di cooperazione.<br />
Seconda fase: lo scolaro<br />
Il trapasso dalla casa alla scuola è un momento critico per<br />
il bambino, e sovente si minimizza con disinvoltura lo choc<br />
e il trauma psichico che deriva non solo dal fatto di lasciare<br />
la sorveglianza protettiva della madre, ma anche dalla diversità<br />
di scala e di proporzioni, col passaggio dall’abitazione<br />
singola a ciò che sovente è per il bimbo un complesso<br />
gigantesco di costruzioni, spaventoso nella sua immensità<br />
impersonale. In talune <strong>città</strong> anche grandi, come<br />
San Francisco, la scuola elementare è mantenuta relativamente<br />
piccola, e nelle scuole più recenti la classe ha un’area<br />
di gioco propria e non è assorbita dall’intera struttura<br />
dell’edificio.<br />
Forse il modo migliore di effettuare la transizione è per<br />
mezzo di un giardino d’infanzia nell’unità della neighborhood.<br />
In esse per la sorveglianza si potrebbe rinunciare a<br />
personale di professione specializzato, in favore dell’assistenza<br />
fornita da madri addestrate a questo compito. Benché<br />
la pianificazione non possa anticipare nuove sistemazioni<br />
sociali, può però, secondo l’occasione, suggerirle ed<br />
indicare la sistemazione appropriata. A Zurigo, pare che<br />
213
si sia giunti a questa collaborazione da parte delle madri in<br />
alcuni giardini d’infanzia.<br />
<strong>La</strong> passeggiata del bambino da casa a scuola deve essere<br />
resa divertente ed educativa a sua insaputa.<br />
A volte il bambino sa trarre tesori insospettati da un<br />
mucchio di detriti e una pozzanghera può diventare un lago;<br />
ma dove la zonizzazione è estremamente rigida e la<br />
zona residenziale suburbana è spietatamente ordinata e<br />
pulita non c’è più sfogo per la sua immaginazione.<br />
Perché un bambino abbia veramente il senso del mondo<br />
nel quale vive, sarebbe necessario che la passeggiata<br />
quotidiana lo mettesse a contatto diretto con la natura, come<br />
nelle zone rurali, o con il lavoro dell’uomo nelle officine<br />
o nei mercati. Le attività che servono una neighborhood<br />
non dovrebbero essere segregate troppo severamente<br />
ed il bambino potrebbe avere fra le sue attività le<br />
piccole commissioni e acquisti. Questa necessità è meno<br />
sentita in Europa che in America, dove i canoni di rispettabilità<br />
delle classi medie e l’uso dell’automobile hanno<br />
creato una separazione estrema fra le zone commerciali e<br />
quelle residenziali.<br />
Nel nostro sforzo per provvedere lo spazio necessario<br />
ai giochi <strong>dei</strong> ragazzi, abbiamo spesso dimenticato, specialmente<br />
nelle nuove comunità, il fascino che ha il gioco<br />
spontaneo nella loro vita. Sui campi asfaltati la fantasia del<br />
ragazzo si spegne, mentre per esempio nelle zone bombardate<br />
di Londra sono sorte per loro possibilità meravigliose.<br />
L’autore ricorda nella propria giovinezza i lotti aperti,<br />
alla periferia di New York, con superfici rocciose dove<br />
si arrostivano mele e patate. Si potrebbero usare cespugli<br />
e parapetti per nascondere alla vista questi luoghi<br />
che devono rimanere piuttosto disordinati, devono essere<br />
l’equivalente urbano di quei posti selvaggi che tanto piacciono<br />
ai ragazzi. Il miglior contributo a queste zone sarebbe<br />
di costruirle piuttosto in profondità, in modo da creare<br />
artificialmente le possibilità di avventura.<br />
214
Terza fase: l’adolescenza<br />
Con l’adolescenza la neighborhood non è più il solo centro<br />
di attività del giovane. Alla scuola secondaria s’incontrano<br />
ragazzi di altre comunità, si fanno giochi organizzati,<br />
né ci si muove più solo per andare e venire dalla <strong>città</strong>,<br />
ma si fanno gite nei dintorni.<br />
Ad un certo momento della nostra civilizzazione, l’idea<br />
che è andata maturando nel cervello di filosofi ed educatori,<br />
da Fourier a Goethe da Schreber a William James, l’idea<br />
dell’esercito del lavoro, finirà per trovar posto nel nostro<br />
sistema educativo. Non sarà facile farla accettare, ma<br />
il sistema migliore sarà la pratica e come si ottengono genitori<br />
che hanno il senso della responsabilità della famiglia<br />
solo affidando loro i figli, così si creeranno buoni cittadini<br />
affidando ai giovani alcuni compiti nella comunità.<br />
Ora, il miglior modo per cominciare il compito costruttivo<br />
dell’esercito del lavoro sarà la cura e la manutenzione<br />
<strong>dei</strong> beni comuni.<br />
Se potremo permetterci i parchi, le zone alberate ed i<br />
giardini, che prevediamo nel nuovo tipo di pianificazione<br />
aperta, troveremo proibitivo il costo della loro manutenzione,<br />
a meno che ne facciamo un servizio civile: volontario<br />
se possibile, obbligatorio se necessario. <strong>La</strong> manutenzione<br />
delle zone aperte, la cura delle piante e <strong>dei</strong> fiori potrebbero<br />
essere il compito delle future generazioni di adolescenti:<br />
uno <strong>dei</strong> molti equivalenti morali di una guerra, che<br />
una generazione pacifista deve affrontare.<br />
In un certo qual modo sarebbe questo un compito preparatorio,<br />
poiché i beneficiari ne sarebbero i giovani stessi<br />
nella fase seguente della loro vita: quella delle prime relazioni<br />
amorose. Il periodo della tarda adolescenza, quando<br />
le energie sessuali sono prepotenti e gli sbocchi relativamente<br />
pochi, è un momento difficile e pericoloso per ragazzi<br />
e ragazze; è sovente un momento di sconvolgimen-<br />
215
to interno, il cui tumulto dovrebbe essere equilibrato dalla<br />
contemplazione della bellezza circostante. Se il prolungare<br />
l’infanzia è stato il primo segno dell’ascesa dell’uomo, il<br />
prolungare il periodo sentimentale con le sue sensibili conseguenze<br />
in arte, musica, letteratura e religione, rappresenta<br />
uno stadio ancor più avanzato. Questa elaborazione<br />
dell’impulso erotico lo intensifica, ma dando significato<br />
e colore emotivo alle manifestazioni puramente istintive.<br />
Nell’aperta campagna le coppie non hanno difficoltà nel<br />
trovare i luoghi solitari adatti al loro stato d’animo, ma nelle<br />
nostre <strong>città</strong> il corteggiamento diventa troppo breve o furtivo,<br />
oppresso e ostacolato fino all’esasperazione.<br />
Il <strong>La</strong>birinto, tema favorito dagli urbanisti barocchi, serviva<br />
certo allo scopo e F. <strong>La</strong>w Olmsted, progettando il<br />
Central Park a New York, ha costruito il Ramble (il giro)<br />
che con la sua topografia irregolare è un posto dove ci si<br />
può perdere, col risultato ammirevole che questo è forse<br />
l’unico posto in New York adatto per fare all’amore.<br />
Se gli urbanisti tenessero presenti le diverse fasi della<br />
vita, non sarebbero così insensibili alla necessità della tarda<br />
adolescenza, che vuole luoghi di solitaria bellezza che<br />
accentuino ed espandano, pur temperandoli, i loro impulsi<br />
amorosi e li arricchiscano con immagini visuali, che<br />
diano nutrimento al loro felice stato d’animo.<br />
Maturità: la fase di lavoro<br />
Di pari passo con la crescente divisione della mano d’opera<br />
si verifica nei tempi moderni un altro processo: l’intensificazione<br />
e la segregazione del lavoro. Sia il contadino<br />
che l’artigiano, nei tempi passati, lavoravano per un<br />
numero di ore assai maggiore <strong>dei</strong> lavoratori moderni, ma<br />
il loro lavoro si svolgeva in un ambiente che aveva altri<br />
216
aspetti ed usi: esso si svolgeva nell’ambito familiare e spesso<br />
con la cooperazione di parte o di tutti i suoi membri.<br />
Non esistevano muri, visuali o funzionali, fra il lavoro,<br />
l’ambiente domestico e l’educazione. L’era della specializzazione,<br />
concentrandosi unicamente sulla efficienza meccanica,<br />
ha privato la vita del lavoro di alcune sue dimensioni<br />
estetiche e umane. Anche in questo campo, nelle<br />
<strong>città</strong> moderne, si dovrà tentare di ricollegare questi diversi<br />
aspetti della vita che separati creano, quasi automaticamente,<br />
divisioni e disarmonie nella personalità.<br />
Anche qui però non si potrà tornare alle forme primitive,<br />
ma bisognerà trovare nuove forme altrettanto lontane<br />
dal laboratorio artigiano, quanto dalle truci fabbriche<br />
vittoriane.<br />
Gli scrittori di «Communitas» suggeriscono che case e<br />
fabbriche siano riunite attorno a piazze urbane. Secondo<br />
la descrizione di Philip e Percival Goodman, pare che si<br />
formi così volontariamente un modello arcaico di stretta<br />
associazione, mentre invece si tratta di trovarne uno moderno<br />
equivalente.<br />
Personalmente l’autore suggerisce di introdurre nelle<br />
zone industriali, sia in quelle che si rinnovano, che in quelle<br />
di nuova creazione, le funzioni sociali e domestiche appropriate<br />
ai giorni lavorativi: per esempio campi di gioco<br />
accessibili nelle ore <strong>dei</strong> pasti o in altri intervalli, diverse sale<br />
da pranzo, invece del refettorio; sale di ritrovo e di riunione<br />
per comitati, a disposizione non solo di una zona,<br />
ma dell’intera unità, per svolgere le relazioni politiche <strong>dei</strong><br />
direttivi e <strong>dei</strong> lavoratori; edifici scolastici e musei.<br />
Vi sono singoli impianti industriali, dove tali funzioni<br />
sono state incorporate nella struttura industriale: è necessario<br />
ora organizzare interi quartieri industriali sugli stessi<br />
principi, con concezioni funzionali e spaziali anche più<br />
progredite.<br />
Lo stesso principio vale per i quartieri degli affari.<br />
Mentre in America il primo segno di «progresso» in una<br />
217
<strong>città</strong> è l’abbattere gli alberi nella strada principale, a Parigi<br />
il grande contributo di Haussmann ai nuovi boulevard fu di<br />
rendere in essi possibile la funzione degli affari, della ricreazione<br />
e <strong>dei</strong> trattenimenti sociali; in nessun altro luogo<br />
forse, come nel cuore di Parigi, le funzioni dell’adulto sono<br />
state mantenute così strettamente raggruppate. <strong>La</strong> segregazione<br />
delle funzioni, praticata nel solo interesse dell’efficienza<br />
meccanica, non produce una vita sociale interessante<br />
né una personalità pienamente animata.<br />
Maturità: la fase domestica<br />
Quando una giovane coppia di sposi ha una casa con un<br />
giardinetto situata fra migliaia di altre case simili, la società<br />
pensa che si sia fatto il massimo per la vita di famiglia, e<br />
in realtà è già molto. Quando si può avere una casa simile<br />
senza assorbire troppo dell’entrata annua, si fa un gran<br />
passo verso la riabilitazione della vita familiare. A questo<br />
proposito si potrebbero fare considerazioni sulla vita familiare<br />
delle classi medie nel periodo vittoriano, quando<br />
tutti i comfort che si potevano avere nell’intimità familiare<br />
facevano sì che i membri della famiglia non avessero alcun<br />
desiderio di trascorrere fuori casa le ore non strettamente<br />
necessarie al lavoro. Ma nemmeno questa intimità<br />
familiare sarebbe sufficiente, perché la famiglia tenderebbe<br />
a diventare isolazionista, assorbita in se stessa, ostile allo<br />
sviluppo ulteriore <strong>dei</strong> suoi membri. Qualcosa di più è<br />
perciò necessario al successo della vita familiare: la socievolezza<br />
e gli interessi al di fuori della casa, prima da parte<br />
<strong>dei</strong> coniugi, poi, nei limiti delle loro possibilità, anche da<br />
parte <strong>dei</strong> più giovani membri della famiglia. Qui l’inventiva<br />
dell’urbanista deve esercitarsi a trovare il modo di raggiungere<br />
sul piano della vita sociale ed economica ciò che<br />
218
in privato contornava la vita familiare borghese di tre generazioni<br />
fa.<br />
Il Peckham Health Center ha al suo attivo, tra l’altro, il<br />
vantaggio di offrire alle famiglie della propria zona la possibilità<br />
di luoghi di ritrovo al di fuori <strong>dei</strong> confini domestici,<br />
dove i vari gruppi di età, ora separati dalla diversità e intensità<br />
degli interessi individuali, possano di nuovo divenire<br />
uniti o almeno frequentare lavoro e divertimenti, senza<br />
essere persi di vista dagli altri membri della famiglia.<br />
Proprio il fatto di «non esser persi di vista» è uno degli<br />
attributi che tendono a unire le comunità e che troppo sovente<br />
sono stati trascurati nella pianificazione moderna.<br />
Forse la definizione più elementare di una comunità è questa:<br />
un raggruppamento di persone che vivono senza perdersi<br />
di vista. Anche in una zona sperduta, il fatto di poter<br />
vedere una luce nella capanna del vicino dà un senso<br />
di sicurezza e di socievolezza. Non è affatto consigliabile<br />
che i genitori siano i compagni costanti <strong>dei</strong> loro figli, ma<br />
le relazioni risulteranno migliori se ciascuno avrà un’idea<br />
di ciò che stanno facendo gli altri, invece di avere le rispettive<br />
attività così lontane da vivere in mondi diversi.<br />
Per reazione contro le tremende condizioni di affollamento<br />
di disorganizzazione spaziale, i pianificatori moderni<br />
sono portati ad una uniformità di dispersione, che<br />
può minare il senso sociale tanto quanto la congestione<br />
brutale. A questo proposito si può dire di un centro di negozi<br />
compatto che a somiglianza delle piazze del mercato<br />
medioevali ed in contrapposto alle interminabili strade disseminate<br />
di negozi, esso concentra e moltiplica le occasioni<br />
di incontri, di scambi e di saluti e cioè di quelle minime<br />
attività sociali che tendono a rinnovare i buoni rapporti<br />
di vicinanza e di amicizia.<br />
Meglio rischiare un po’ di affollamento in una zona ristretta<br />
che il progettare il centro così spazioso da poter<br />
agevolmente contenere il massimo carico concepibile, col<br />
219
isultato di renderlo socialmente gelido nelle occasioni normali<br />
e poco pratico per la conseguente perdita di tempo.<br />
Le Settlement House, i Centri di Comunità ed i Centri<br />
sanitari sono ragguardevoli tentativi di creare punti focali<br />
per speciali attività esterne all’ambiente domestico.<br />
In America vi è ora la tendenza a situare i luoghi di riunione<br />
per le attività extra-domestiche nelle stesse scuole<br />
delle neighborhoods perché la maggior parte di queste attività<br />
degli adulti si svolge in quelle ore nelle quali la scuola<br />
non è in funzione, e così auditori, piscine, laboratori,<br />
ecc. non rimangono inviolabili e ad esclusivo uso scolastico,<br />
purché essi siano rimessi nell’ordine primitivo quando<br />
i ragazzi devono usarli.<br />
Ma alla vita degli adulti occorre una forma anche più<br />
semplice di luogo di ritrovo: un locale capace di contenere<br />
una cinquantina di persone sedute, dove possano aver<br />
luogo le discussioni e le eventuali feste per le quali la casa<br />
privata sia troppo ristretta. Una delle idee più felici nel<br />
rapporto di Patrik Geddes su Dunfermline è quella di riservare<br />
una bella casa storica da poter lasciare temporaneamente<br />
in affitto a quelle famiglie che volessero farne<br />
uso per ricevimenti e grandi riunioni. In una comunità di<br />
cinquemila persone occorrerebbero almeno cinque sale<br />
con cucina e servizi.<br />
Maturità: la base <strong>dei</strong> rapporti sociali<br />
Questa fase dovrebbe propriamente essere denominata<br />
quella civica, intendendo con questo termine l’attitudine a<br />
vivere insieme in una <strong>città</strong>.<br />
Una <strong>città</strong> che svolga pienamente la sua funzione rappresenta<br />
la vita del mondo intero e com’esso contiene una<br />
varietà di prodotti, persone, organizzazioni, associazioni e<br />
220
credenze che non si trovano ordinariamente in altre comunità<br />
di carattere specializzato. Mentre nel villaggio si<br />
accentuano le somiglianze e le affinità (e la stessa cosa avviene<br />
nelle neighborhoods della <strong>città</strong>), la <strong>città</strong> deve accentuare<br />
e riconciliare le varietà, le differenze e anche gli<br />
antagonismi. Una buona pianificazione moltiplicherà le<br />
occasioni dirette ad amalgamare e fondere le diverse tendenze.<br />
Oggigiorno due forze frenano l’attrazione reciproca <strong>dei</strong><br />
cittadini come tali: una è costituita dai mezzi di trasporto<br />
veloci, dalla radio e dalle altre invenzioni meccaniche, che<br />
tendono a disperdere i membri della comunità su zone<br />
sempre più vaste. L’altra è la tendenza alla segregazione<br />
specialmente sentita nei grandi aggregati urbani ed accentuata<br />
dalla progressiva zonizzazione, funzione che, almeno<br />
negli Stati Uniti, sovente separa le classi e i gruppi<br />
secondo le rispettive entrate e le diverse razze in quartieri<br />
notoriamente identificabili, in modo che non vi siano rapporti<br />
fra «strati superiori» e «inferiori». In tal modo ogni<br />
gruppo, o classe o caste, vive in un mondo tale da negare<br />
nella sistemazione architettonica sociale la cooperazione<br />
multipla di tutte le comunità umane. Negli Stati Uniti<br />
la espansione suburbana tende verso una tale vastità di<br />
proporzioni che, malgrado il brulicare di veicoli, il vivere<br />
in comune è reso sempre più difficile, col risultato di un<br />
isolazionismo sociale che aumenta in proporzione dell’area<br />
e della popolazione.<br />
Pianificazione per le diverse fasi della vita<br />
Dal punto di vista <strong>dei</strong> rapporti tra cittadini il compito della<br />
pianificazione deve essere quello di incrementare al<br />
massimo gli strumenti di cooperazione positiva e negati-<br />
221
va. Un buon piano moltiplicherà le occasioni di carattere<br />
accidentale ed imprevisto, quali si verificano in un mercato<br />
o in luoghi di ristoro pubblici. Il magazzino di Welwyn<br />
City ad esempio è ormai su di una scala sproporzionata<br />
con la comunità, ma con la sua grande sala da pranzo fornisce<br />
un indispensabile punto focale per la vita della comunità.<br />
Secondo questi concetti il pianificatore moltiplicherà<br />
gli spazi interni della <strong>città</strong>, dove il pubblico possa incontrarsi<br />
per diversi scopi.<br />
Un piano che non abbia il fine di spingere sempre più<br />
oltre una quotidiana fusione di persone, di classi, di attività,<br />
lavora contro i migliori interessi della età matura.<br />
Maturità: la fase individuale<br />
Con questa analisi si dimostra la necessità di sviluppare in<br />
forma pubblica certe attività che sono già state attuate privatamente<br />
da persone oculate e possidenti: si vuole cioè<br />
distribuire tali attività in tutta la comunità. Già Emerson<br />
aveva posto il problema della trasformazione pubblica di<br />
certe prerogative personali, quando dichiarava di avere bisogno<br />
<strong>dei</strong> libri, ma di non voler diventare un libraio e di<br />
amare i quadri senza voler diventare un conservatore di<br />
museo. <strong>La</strong> regola vale tanto per le funzioni che devono essere<br />
socializzate quanto per quelle che devono essere desocializzate:<br />
per esempio la solitudine. Uno <strong>dei</strong> segni della<br />
maturità è il bisogno di solitudine e la <strong>città</strong> non deve solo<br />
riunire gli uomini, ma deve anche permettere a ognuno<br />
di avere a portata di mano facilmente accessibili i luoghi<br />
necessari all’isolamento e alla pace. <strong>La</strong> funzione del ritiro<br />
spirituale non è più quella che richiedeva il chiostro<br />
medioevale, ma deve essere considerata una necessità<br />
quotidiana. Il fascino del quartiere di Westminster sta nel<br />
222
suo labirinto di stradine dove il passeggiatore solitario può<br />
perdersi a breve distanza dal centro più affollato. Nelle<br />
nuove comunità, su scala minore e con minor densità, si<br />
dovrà avere l’arte di raggiungere gli stessi risultati. Nei parchi<br />
che collegano le neighborhoods, per esempio, si potranno<br />
lasciare viali più vasti all’esterno, mentre la zona<br />
interna sarà solcata da sentieri, cosicché non sia necessario<br />
dover varcare i confini della comunità per trovare <strong>dei</strong><br />
luoghi solitari dove passare qualche minuto o qualche ora.<br />
Troppa parte del nostro pensiero in architettura e in urbanistica<br />
è stata finora rivolta alle attività esteriori, il che è<br />
ottimo per i rapporti sociali e pubblici, ma distruttivo per<br />
i momenti di raccoglimento, di intimità spirituale e di solitudine<br />
che devono essere secondati dall’ambiente e per i<br />
quali devono essere predisposti spazi ed occasioni nel progetto<br />
di un piano collettivo di <strong>città</strong>.<br />
Fase finale: la senilità<br />
Forse nessuna fase della vita è stata tanto negletta dalla<br />
nostra civiltà e anche dall’urbanistica, quanto la vecchiaia.<br />
Nel corso di mezzo secolo, nel mondo occidentale, la<br />
famiglia a tre generazioni è stata ridotta a due. Segno di<br />
questa evoluzione è l’aumento del numero di ménages separati,<br />
anche quando la proporzione delle nascite sia decisamente<br />
in regresso. Ma, mentre il numero <strong>dei</strong> vecchi<br />
aumenta in ogni paese progredito grazie ai miglioramenti<br />
dell’igiene e delle cure mediche, non si vede alcuno sforzo<br />
notevole per la loro sistemazione. Le pensioni non sono<br />
un compenso sufficiente per la loro destituzione sociale<br />
sempre crescente. Nelle piccole case private la loro presenza<br />
è indesiderabile anche nei casi migliori, cosicché il<br />
prolungarsi della loro esistenza diventa una amara ironia,<br />
223
perché progressivamente si trova ad essere ridotta e priva<br />
di significato.<br />
Nella ricostruzione armonica della vita familiare che è<br />
uno degli scopi della pianificazione urbanistica, uno degli<br />
scopi principali sarà quello di ridare agli anziani una posizione<br />
dignitosa e fruttuosa.<br />
Se non sarà possibile ripristinare la famiglia di tre generazioni<br />
si dovrà però provvedere a formare una comunità<br />
di tre generazioni: la mescolanza <strong>dei</strong> gruppi di età<br />
è essenziale ad una vita equilibrata quanto la mescolanza<br />
delle classi sociali ed economiche.<br />
Vi sono molte importanti funzioni sociali che gli anziani<br />
possono compiere fintanto che le loro attività mentali<br />
non siano minorate; le donne possono partecipare al governo<br />
della casa, i vecchi, benché sovente troppo lenti nel<br />
loro ritmo per guadagnarsi il salario di una intera giornata<br />
di lavoro, possono pur sempre essere degli ottimi giardinieri,<br />
fare riparazioni, custodia e sorveglianza.<br />
<strong>La</strong> comunità non dovrebbe considerarsi ben progettata<br />
se non provvede a una particolare sistemazione <strong>dei</strong> vecchi,<br />
proprio per la grande utilità che da essi può derivare.<br />
Una piccola unità di abitazioni ad un solo piano, non segregata<br />
dal resto delle abitazioni e che possa comprendere<br />
una decina di coppie o una ventina di individui, sarà un<br />
ottimo provvedimento per gli anziani finché non abbisognano<br />
delle cure e sorveglianza continue di una casa di ricovero.<br />
Tali unità dovrebbero essere situate in prossimità di<br />
scuole o mercati o campi di gioco, perché i vecchi hanno<br />
bisogno della sensazione rassicurante della vita in azione<br />
per superare la loro solitudine e il crescente senso di alienazione<br />
e umiliazione che l’età porta con sé.<br />
Le abitazioni per gli anziani dovrebbero sempre essere<br />
a pianterreno, non dovrebbero guardare su cortili interni,<br />
bensì avere la visuale di ciò che avviene all’esterno per dar<br />
loro interesse alla vita. I vari gruppi di anziani dovrebbero<br />
224
esser sistemati abbastanza vicino alle loro famiglie per<br />
mantenere contatti e poter dare il loro aiuto nella sorveglianza<br />
e assistenza, partecipando, senza avere la sensazione<br />
di essere un inutile fardello, alla vita <strong>dei</strong> loro figli o<br />
<strong>dei</strong> loro vicini.<br />
Il solo progetto ammissibile nella sistemazione <strong>dei</strong> vecchi<br />
sarà quello che eviterà loro la segregazione e l’istituzionalizzazione:<br />
anche qui il principio di essere «a portata<br />
di mano» o «sott’occhio» sarà il più importante per ristabilire<br />
le basi di quelle piccole intimità, avventure, stimoli che<br />
anche i più splendidi quartieri di abitazione, se troppo segregati<br />
o di proporzioni troppo grandiose, non possono<br />
procurare.<br />
Una organica concezione di pianificazione urbana, che<br />
abbracci tutte le fasi della vita tanto quanto tutte le funzioni<br />
della comunità, deve suggerire soluzioni finora ignorate da<br />
un punto di vista più tecnicista e più specializzato.<br />
Nel ripristinare l’equilibrio all’interno della comunità<br />
cittadina, si deve pensare a ristabilire l’equilibrio nel tempo<br />
per mezzo di relazioni reciproche fra le diverse fasi della<br />
vita; perché ogni gradino della nostra esistenza ha le sue<br />
esigenze particolari che possono essere soddisfatte solo<br />
quando le necessità coordinate di altri gruppi di età siano<br />
prese in considerazione.<br />
Ciò che forse è più necessario nel formulare un canone<br />
per un progetto su queste basi è il ritorno alla scala<br />
umana: alle unità di dimensione più maneggevole, ad un<br />
ordine visibile ad occhio nudo, ad una concezione della comunità,<br />
che non sia un labirinto di grandi organizzazioni<br />
collettive, ma una combinazione costantemente variabile<br />
di una moltitudine di attività associative, variabili in intensità<br />
e durata, ed in continuo sviluppo attraverso il ciclo della<br />
vita, dalla nascita alla morte.<br />
225
226
Indicazioni bibliografiche<br />
227
228
LA VIVIBILITÀ DELL’AMBIENTE URBANO<br />
F. Ascher (1991), The future of cities, «Architecture & Comportement»,<br />
7 (4), pp. 323-339.<br />
P. L. Cervellati (1991), <strong>La</strong> <strong>città</strong> bella, Il Mulino, Bologna.<br />
B. Gandino, D. Manuetti (1990), <strong>La</strong> <strong>città</strong> possibile: Manuale<br />
per rendere più vivibile e accogliente l’ambiente urbano,<br />
Red Edizioni, Como.<br />
J. Gehl (1991), Vita in <strong>città</strong>, Maggioli, Rimini.<br />
L. Kroll (1991), L’urbanisme fragmenté, «Architecture &<br />
Comportement», 7 (2), pp. 193-197.<br />
M. Mead (1996), Neighborhoods and Human Need, «Ekistics»,<br />
February.<br />
E. Piroddi, P. Colarossi (1991), Le projet urbain: De la fragmentation<br />
à la recomposition, «Architecture & Comportement»,<br />
7 (4), pp. 357-367.<br />
D. Rebois (1991), Fragmentations et articulations urbaines,<br />
«Architecture & Comportement», 7 (4), pp. 305-306.<br />
F. Weber, J. Weber (1989), <strong>La</strong> ville de demain, «Architecture<br />
& Comportement», 5 (1), pp. 68-70.<br />
IL BAMBINO E L’AMBIENTE URBANO<br />
AA.VV. (1992a), I confini della <strong>città</strong>, Centro di Documentazione<br />
Michelucci, n. 1, Firenze.<br />
AA.VV. (1992b), Bambini e bambine: Qualità dell’ambiente<br />
urbano, «Albero ad elica», n. 3, Cosenza.<br />
AA.VV. (1994), <strong>La</strong> condizione <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> nella metropoli<br />
229
diffusa, «LiBeR», n. 22, Regione Toscana, Comune Campo<br />
di Bisenzio.<br />
C. Alexander et al. (1977), A pattern language, Oxford University<br />
Press, New York.<br />
I. Altmann, J. F. Wohlwill (a cura di) (1978), Human behavior<br />
and environment, 3, Children and the environment, Plenum<br />
Press, New York.<br />
G. Amendola (1995), Il bambino invisibile e la <strong>città</strong> immaginaria,<br />
«Paesaggio urbano», 2, pp. 11-16.<br />
P. Baldeschi (1995), <strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> è la <strong>città</strong> di tutti,<br />
«Paesaggio urbano», 2, pp. 5-10.<br />
M. Bassand (1995), L’enfant et la dynamique urbain: approche<br />
sociologique, «Architecture & Comportement», 11 (1),<br />
pp. 43-54.<br />
L. Chawla (1995), Revisioning childhood, nature, and city,<br />
«Architecture & Comportement», 11 (1), pp. 11-18.<br />
M.J. Chombart de <strong>La</strong>uwe (1980), L’ambiente urbano fonte di<br />
difficoltà per il bambino?, in AA.VV., Il bambino e la <strong>città</strong>,<br />
Franco Angeli, Milano, pp. 113-128.<br />
M.I. Cohen (1979), The urban adolescent’s interfaces with<br />
his environment: Health and meaningful survival, in W.<br />
Michelson, S.V. Levine, E. Michelson (a cura di), The child<br />
in the city: Today and tomorrow, University of Toronto<br />
Press, Toronto, pp. 193-205.<br />
A. Coulomb (1995), L’enfant, la ville, quel quotidien?, «Architecture<br />
& Comportement», 11 (1), pp. 72-77.<br />
D. Germanos (1995), <strong>La</strong> relation de l’enfant a l’espace urbain:<br />
perspectives educatives et culturelles, «Architecture<br />
& Comportement», 11 (1), pp. 54-63.<br />
S. Grussu, C. Pagliarini (1987), Ragazzi di <strong>città</strong>, Giunti & Lisciani<br />
Editori, Teramo.<br />
B. Krantz, B. Rasmusson (1995), Changing perspectives and<br />
approaches: Swedish research on children and the urban<br />
environment, «Architecture & Comportement», 11 (1), pp.<br />
27-34.<br />
R. Lorenzo (1993), A scuola, in strada, in <strong>città</strong>: il bambino<br />
urbano in <strong>città</strong>, «Edilizia scolastica», n. 2, Firenze.<br />
K. Lynch (1979), Growing up in cities, testo di un intervento<br />
a Montreal, 11/02/1979, Mit Archives, coll. pp. 89-115,<br />
b.1.<br />
L. Mumford (1945), <strong>La</strong> pianificazione per le diverse fasi della<br />
vita, «Urbanistica», 1, pp. 7-11.<br />
230
M. Nordstrom (1995), Childhood Environmental Memories.<br />
What are they and to what use do we put them?, «Architecture<br />
& Comportement», 11 (1), pp. 19-26.<br />
K. Noschis (1992), L’enfant intérieur et la ville, «Architecture<br />
& Comportement», 8 (1), pp. 49-59.<br />
K. Noschis (1994), The urban child, «Architecture & Comportement»,<br />
10 (4), pp. 351-360.<br />
C.K. Passov (1980), Aspetti positivi e negativi dell’influenza<br />
della <strong>città</strong> sui <strong>bambini</strong>, in AA.VV., Il bambino e la <strong>città</strong>,<br />
Franco Angeli, Milano, pp. 196-216.<br />
A.E. Parr (1967), The child in the city: Urbanity and urban<br />
scene, «<strong>La</strong>ndscape», Spring.<br />
P.J. Pennartz, M.J. Elsinga (1990), Adults, adolescents, and<br />
architects. Differences in perception of the urban environment,<br />
«Environment and Behavior», 22 (5), pp. 675-<br />
714.<br />
L. Saita, G. Suffini et al. (1993), Modena: la <strong>città</strong> delle bambine<br />
e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, Comune di Modena, Modena.<br />
C. Spencer (1995), The child’s environment: A challenge for<br />
psychologist and planner alike, in D. Canter (a cura di),<br />
The child’s environment, Harcourt Brace & Company Publisher,<br />
London.<br />
F. Tonucci (1995), <strong>La</strong> solitudine del bambino, <strong>La</strong> Nuova Italia,<br />
Firenze.<br />
C. Ward (1976), The child in the city,Architecture Press, London.<br />
C. Ward (1980), I <strong>bambini</strong> e l’ambiente urbano di <strong>città</strong>, in<br />
AA.VV., Il bambino e la <strong>città</strong>, Franco Angeli, Milano, pp.<br />
243-251.<br />
GLI ASPETTI PERCETTIVI E COGNITIVI DELL’AMBIENTE<br />
URBANO<br />
G. Axia (1986), <strong>La</strong> mente ecologica, conoscenza dell’ambiente<br />
nel bambino, Giunti Barbera, Firenze.<br />
M. Bonnes, G. Rullo (1995), Percezioni, immagini, mappe<br />
mentali della <strong>città</strong> nei <strong>bambini</strong>, «Paesaggio urbano», 2, pp.<br />
26-29.<br />
L. Chawla (1992), Childhood place attachment, human behavior<br />
and environment, in I. Altman, S.M. Low (a cura di),<br />
Human behavior and environment. Advances in theory<br />
and research, Plenum Press, New York, pp. 63-96.<br />
231
S. Gaster (1995), Rethinking the children’s home-range concept,<br />
«Architecture & Comportement», 11 (1), pp. 34-41.<br />
R. Hart (1979), Children’s experience of place, Irvington,<br />
New York.<br />
L.S. Liben (1991), Environmental cognition through direct<br />
and representional experiences: A life span perspective,<br />
in G. Garling, G.W. Evans (a cura di), Environment, cognition,<br />
and action: An integrate approach, Oxford University<br />
Press, New York, pp. 245-276.<br />
K. Lynch (1960), L’immagine della <strong>città</strong>, Marsilio Editori, Venezia.<br />
K. Lynch (1979), The spatial world of the child, in W. Michelson,<br />
S.V. Levine, E. Michelson (a cura di), The child in<br />
the city: Today and tomorrow, University of Toronto Press,<br />
Toronto.<br />
E.M. Peron, S. Falchero (1994), Ambienti e conoscenza:<br />
aspetti cognitivi della psicologia ambientale, <strong>La</strong> Nuova<br />
Italia Scientifica, Roma.<br />
H.M. Proshansky, A.K. Fabian (1987), The development of<br />
place identity in the city, in C.S. Weinstein,T.G. David (a<br />
cura di), Space for children: The built environment and<br />
child development, Plenum Press, New York, pp. 21-39.<br />
A. Skantze (1995), Experiencing and interpreting city architecture,<br />
«Architecture & Comportement», 11 (1), pp. 5-10.<br />
C. Spencer (1991), Life-span changes in activites and consequent<br />
changes in the cognition and assessment of the environment,<br />
in T. Garling, G.W. Evans (a cura di), Environment,<br />
cognition and action: An integrate approach,<br />
Oxford University Press, New York, pp. 295-309.<br />
K. Tsoukala (1995), <strong>La</strong> ville en tant qu’environment d’expériences<br />
pour l’enfant, «Architecture & Comportement», 11<br />
(1), pp. 63-68.<br />
IL GIOCO NELL’AMBIENTE URBANO<br />
J. Ader, H. Jouve (1991), Jeu et contexte urbain, «Architecture<br />
& Comportement», 7 (2), pp. 115-119.<br />
L. Bozzo (1995), Il gioco e la <strong>città</strong>, «Paesaggio urbano», 2, pp.<br />
30-33.<br />
V. Carbonara-Moscati (1985), Barriers to play activities in the<br />
city environment: A study of children’s perception, in T.<br />
Garling, J. Valsiner (a cura di), Children within environ-<br />
232
ment: Toward a psychology of accident prevention, Plenum<br />
Press, New York, pp. 119-126.<br />
G. Brougère (1991), Espace de jeu et espace public, «Architecture<br />
& Comportement», 7 (2), pp. 165-177.<br />
A. Danacher (1991), Contraintes de l’espace ludique aménagé,<br />
«Architecture & Comportement», 7 (2), pp. 153-165.<br />
S. Goltsman et al. (1992), Play for all: Planning, design, and<br />
management of outdoor play settings for all children,<br />
MIG Comunication, Berkeley.<br />
S. Guichard, J. Ader (1991), <strong>La</strong> ville à jouer, «Architecture &<br />
Comportement», 7 (2), pp. 123-137.<br />
L. Kroll (1991), Vers la rue-jeu, par une reconquête des espaces<br />
publics, «Architecture & Comportement», 7 (2), pp.<br />
177-192.<br />
F.C. <strong>La</strong>dd (1977), City kids in the absence of legitimate adventure,<br />
testo di un intervento a Upper Darby, Pennsylvania.<br />
M. Leccese (1995), Per una nuova definizione del concetto di<br />
gioco, «Paesaggio urbano», 2, pp. 51-53.<br />
J. Marillaud (1991), Jeu et securité dans l’espace public, «Architecture<br />
& Comportement», 7 (2), pp. 137-145.<br />
LA MOBILITÀ DEL BAMBINO NELL’AMBIENTE URBANO<br />
H.F. Andrews (1973), Home range and urban knowledge of<br />
school age children, «Environment & Behavior», 5, pp. 73-<br />
84.<br />
P. Bertolini, R. Cardarello (1989), Da casa a scuola: gli indicatori<br />
soggettivi della qualità della vita infantile, <strong>La</strong> Nuova<br />
Italia Scientifica, Firenze.<br />
P. Bjorklid (1985), Children’s outdoor environment from the<br />
perspective of environmental and developmental psychology,<br />
in T. Garling, J. Valsiner (a cura di), Children<br />
within environment: Toward a psychology of accident<br />
prevention, Plenum Press, New York, pp. 91-105.<br />
P. Bjorklid (1994), Children – traffic – environment, «Architecture<br />
& Comportement», 10 (4), pp. 361-369.<br />
L. Bonanomi (1994), L’enfant et la traversée de la chaussée,<br />
«Architecture & Comportement», 10 (4), pp. 399-406.<br />
T. Garling, A. Svensson-Garling, J. Valsiner (1984), Parental<br />
concern about children’s traffic safety in residential neigh-<br />
233
orhoods, «Journal of Environmental Psychology», 4, pp.<br />
235-352.<br />
T. Garling, A. Svensson-Garling, E. Mauritzon-Sandberg, U.<br />
Bjornsting (1989), Children safety in the home: mother’s<br />
perception of dangers to young child, «Architecture &<br />
Comportement», 5 (4), pp. 239-305.<br />
S. Gaster (1991), Urban children’s access to neighborhood,<br />
«Environment & Behavior», 23 (1), pp. 70-85.<br />
M. Hillman (1993), Children trasport and quality of life, «Policy<br />
Studies Institute», London.<br />
M. Hillman, J. Adamans, J. Whiteleggi (1990), One false<br />
move: A study of children’s indipendent mobility, «Policy<br />
Studies Institute», London.<br />
T. Lee, N. Rowe (1994), Parent’s and children’s perceived<br />
risk of the journey to school, «Architecture & Comportement»,<br />
10 (4), pp. 379-389.<br />
E.A. Parr (1967), The child in the city: Urbanity and the urban<br />
scene, «<strong>La</strong>ndscape», Spring.<br />
C.K. Poag, J.A. Goodnight, R. Cohen (1985), The environment<br />
of children, from home to school, in R. Cohen (a cura<br />
di), The development of spatial cognition, <strong>La</strong>wrence Erlbaum,<br />
Hillsdale, New Jersey, pp. 71-113.<br />
S. Sandels (1975), Children in traffic, Elek Books, London.<br />
G. Torrel, A. Biel (1985), Parental restriction and children’s<br />
acquisition of neighborhood knowledge, in T. Garling, J.<br />
Valsiner (a cura di), Children within environment: Toward<br />
of psychology of accident prevention, Plenum Press, New<br />
York, pp. 107-117.<br />
I BAMBINI E LA PROGETTAZIONE PARTECIPATA<br />
J. Bishop (1995), Bambini disegnatori e progettisti, «Paesaggio<br />
urbano», 2, pp. 54-59.<br />
M. Drum (1994), Abitare urbano, testo dell’intervento al Seminario<br />
«<strong>La</strong> <strong>città</strong> in tasca: Dalla progettazione partecipata alla<br />
qualità degli spazi urbani», dicembre, Caserta.<br />
M. Drum (1995), Monaco: l’esperienza di Urbanes Wohnen<br />
per la riqualificazione degli spazi urbani, «Paesaggio urbano»,<br />
2, pp. 64-77.<br />
234
M. Francis (1993), Negotiating between child and adult<br />
design values, «Design Studies», 9 (2), pp. 67-75.<br />
M. Francis (1995), Il luogo per un’infanzia naturalistica,<br />
«Paesaggio urbano», 2, pp. 44-50.<br />
R. Hart (1987), Children’s partecipation in planning and design:<br />
Theory, research and practice, in C.S. Weisten, T.G.<br />
David (a cura di), Space for children: The built environment<br />
and child development, Plenum Press, New York.<br />
R. Hart (1991), Developmental perspectives on decision<br />
making and action in environments, in G. Garling, G.W.<br />
Evans (a cura di), Environment, cognition, and action: An<br />
integrate approach, Oxford University Press, New York,<br />
pp. 277-294.<br />
R. Hart (1992), Children’s partecipation from tokenism to<br />
citizenship, Innocenti Essay, n. 4 (UNICEF, Florence).<br />
S. Hiltus, R. Hart (1994), Partecipatory planning and design<br />
of recreational spaces with children, «Architecture & Comportement»,<br />
10 (4), pp. 361-370.<br />
L. Horelli (1994), Children as urban planner, «Architecture &<br />
Comportement», 10 (4), pp. 371-377.<br />
R. Lorenzo (1995a), <strong>La</strong> <strong>città</strong> immaginata dai ragazzi, «Paesaggio<br />
rubano», 2, pp. 34-37.<br />
R. Lorenzo (1995b), <strong>La</strong> <strong>città</strong> dell’infanzia: parole, programmi,<br />
partecipazione, ricerche e speriamo progetti concreti,<br />
«Paesaggio urbano», 2, pp. 16-21.<br />
R. Moore (1978), Playground at the crossroad?, in I. Altmann,<br />
E.H. Zube (a cura di), Human behavior and environment,<br />
10, Public places and space, Plenum Press, New York, pp.<br />
83-127.<br />
N. Nagy, J.C. Baird (1978), Children as environmental planners,<br />
in I. Altmann, J.F. Wholwill (a cura di), Human behavior<br />
and environment, 3, Children and environment,<br />
Plenum Press, New York, pp. 259-295.<br />
S. Nicholson (1973), Community participation in city decision<br />
making, The Open University Press, New York.<br />
S. Nicholson (1975), Children as planners, BEE, London.<br />
PUBBLICAZIONI DELLE ASSOCIAZIONI ITALIANE<br />
V. Consoli, F. Tonucci (1993), Ridateci la nostra <strong>città</strong>, Quaderno<br />
di educazione ambientale n. 40, WWF Italia, Milano.<br />
235
A. Di Giulio, A.M. Quadrelli, A. Bossi, F. Comana (1994), Tutta<br />
la mia <strong>città</strong>, Quaderno di educazione ambientale n. 27,<br />
WWF Italia, Milano.<br />
A. Di Giulio, A.M.M. Quadrelli (1995a), Circondario, Quaderno<br />
di educazione ambientale ragazzi n. 30, WWF Italia, Milano.<br />
A. Di Giulio, A.M.M. Quadrelli (1995b), Circondario, Quaderno<br />
di educazione ambientale insegnanti n. 31, WWF Italia,<br />
Milano.<br />
M. Fratoddi, R. Trabona (1996), 100 Strade per giocare,<br />
Cuen, Napoli.<br />
R. Lorenzo (1988), Scopriamo l’ambiente urbano, Quaderno<br />
di educazione ambientale n. 1, WWF Italia, Milano.<br />
R. Lorenzo (1993), Come riconquistare le nostre <strong>città</strong>, WWF<br />
Italia, Milano.<br />
R. Lorenzo, L. Lepore (1990), Immaginiamo il futuro, Quaderno<br />
di educazione ambientale n. 11, WWF Italia, Milano.<br />
C. Pagliarini (1996), Manuale <strong>dei</strong> consigli comunali <strong>dei</strong> ragazzi,<br />
Democrazia in Erba, Roma.<br />
ALTRE OPERE CITATE<br />
M. Lodi (1972), <strong>La</strong> mongolfiera, Einaudi, Milano.<br />
A. Oliverio Ferraris (1995), Tv per un figlio, <strong><strong>La</strong>terza</strong>, Roma-<br />
Bari.<br />
D. Pennac (1992), Come un romanzo, Feltrinelli, Milano.<br />
G. Rodari (1979), Parole per giocare, Manzuoli, Firenze.<br />
Scuola di Barbiana (1967), Lettera ad una professoressa, LEF,<br />
Firenze.<br />
236
Indice<br />
237
238
IX Presentazione<br />
XI Prefazione di Norberto Bobbio<br />
XV Premessa<br />
Parte prima Il progetto<br />
5 Analisi di un malessere<br />
Antefatto: una volta avevamo paura del bosco, p. 5<br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong>, p. 6<br />
Un esempio: la famiglia, la casa, p. 8 - Un altro esempio:<br />
il centro commerciale, p. 9<br />
L’equivoco <strong>dei</strong> servizi, p. 10<br />
Un accordo fra adulti, p. 12<br />
15 E allora che fare?<br />
<strong>La</strong> soluzione privata della difesa, p. 15<br />
<strong>La</strong> soluzione sociale della partecipazione, p. 18<br />
Il cittadino medio, p. 18 - Il bambino come parametro,<br />
p. 19<br />
21 Perché proprio il bambino?<br />
L’infanzia nella storia dell’uomo: il primato del gioco,<br />
p. 21<br />
Le <strong>città</strong> si sono dimenticate <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, p. 24<br />
239
Il bambino è solo, p. 25<br />
Il bambino minore, p. 29<br />
Il bambino è più forte, p. 31<br />
«Se non diventerete come i <strong>bambini</strong>...», p. 33<br />
Ma qualcosa sta cambiando, p. 33<br />
Parte seconda Le proposte<br />
39 Un laboratorio «la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»<br />
<strong>La</strong> parola ai <strong>bambini</strong>, p. 41<br />
Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, p. 42 - I <strong>bambini</strong> progettisti, p. 43<br />
Il bambino nella testa degli adulti, p. 46<br />
49 Che i <strong>bambini</strong> possano uscire da soli di casa<br />
Perché è così importante uscire di casa?, p. 50<br />
Vivere esperienze proprie, p. 52 - Gli incidenti domestici,<br />
p. 56 - L’insolubile conflitto con la televisione, p. 58 - Bambine<br />
e <strong>bambini</strong>, p. 590<br />
Il bambino come indicatore ambientale, p. 60<br />
Rinegoziare il rapporto di potere fra l’auto e il cittadino,<br />
p. 61<br />
Aiutare gli adulti a capire che i <strong>bambini</strong> hanno bisogno<br />
di uscire, p. 65<br />
Trovare nuovi alleati <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, p. 67<br />
I vigili urbani, p. 68 - Gli anziani, p. 70 - I negozianti,<br />
p. 72<br />
75 Una <strong>città</strong> adatta ai <strong>bambini</strong><br />
<strong>La</strong> <strong>città</strong> bella, p. 75<br />
Il Piano Regolatore Generale, p. 80<br />
Una <strong>città</strong> a dimensione di <strong>bambini</strong>, p. 81 - Un piano<br />
urbano della mobilità, p. 83 - Ripopolare il centro storico,<br />
p. 87 - Rinunciare agli spazi gioco per <strong>bambini</strong>, p. 88<br />
<strong>La</strong> strada, un luogo di tutti, p. 89<br />
240
I <strong>bambini</strong> che aspettano, p. 92<br />
Le strutture alberghiere e di ristorazione, p. 93<br />
L’ospedale pediatrico, p. 94<br />
Una scuola adatta ai <strong>bambini</strong>, p. 98<br />
Una esperienza di democrazia, p. 99 - Una esperienza di educazione<br />
ambientale: progettare la propria <strong>città</strong>, p. 101 - Una<br />
esperienza di educazione stradale: percorrere la <strong>città</strong>, p. 102<br />
I condomini: il diritto al gioco, p. 104<br />
Il voto ai <strong>bambini</strong>, p. 106<br />
109 Ripensare la <strong>città</strong><br />
Parte terza Le esperienze<br />
117 Le schede<br />
1. Fano «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>», p. 118<br />
2. Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, p. 121<br />
3. Il Consiglio comunale aperto ai <strong>bambini</strong>, p. 123<br />
4. I <strong>bambini</strong> progettisti, p. 127<br />
5. Le piccole guide, p. 133<br />
6. I seminari di Giunta, p. 134<br />
7. «Il vigile amico <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>», p. 135<br />
8. <strong>La</strong> multa <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, p. 136<br />
9. «A scuola ci andiamo da soli», p. 138<br />
10. Una patente da pedone, da ciclista e da motorini<br />
sta, p. 148<br />
11. «Io e la mia <strong>città</strong>», p. 153<br />
12. «Io e la mia <strong>città</strong>»: il manifesto, p. 158<br />
13. Una giornata senza auto, p. 160<br />
14. Un marchio di qualità <strong>bambini</strong> per alberghi e risto<br />
ranti, p. 162<br />
15. Una spiaggia per i <strong>bambini</strong>, p. 168<br />
241
16. Il Club CdB, p. 170<br />
17. Casa Archilei, p. 171<br />
18. Un pomeriggio libero per i <strong>bambini</strong>, p. 173<br />
19. Un giardino di pietra, p. 174<br />
20. Altre esperienze: la progettazione partecipata ai<br />
<strong>bambini</strong>, p. 176<br />
21. Altre esperienze: i diritti <strong>dei</strong> pedoni, p. 181<br />
22. Altre esperienze: la democrazia in erba, p. 185<br />
23. Altre esperienze: le <strong>città</strong> educative, p. 190<br />
24. Una rete nazionale e oltre, p. 195<br />
25. Per cominciare, p. 197<br />
Appendice<br />
1. <strong>La</strong> Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo,<br />
p. 203<br />
2. Invito alla collaborazione: lettera aperta ai cittadini<br />
fanesi, p. 208<br />
3. Lewis Mumford, «<strong>La</strong> pianificazione per le diverse fasi<br />
della vita», p. 210<br />
227 Indicazioni bibliografiche<br />
242