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Economica Laterza - La città dei bambini

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<strong>Economica</strong> <strong><strong>La</strong>terza</strong><br />

353


Dello stesso autore<br />

in altre nostre collane:<br />

Guida al giornalino di classe<br />

«Universale <strong><strong>La</strong>terza</strong>»<br />

Se i <strong>bambini</strong> dicono: adesso basta!<br />

«i Robinson/Letture»


Francesco Tonucci<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

Un modo nuovo di pensare la <strong>città</strong><br />

Editori <strong><strong>La</strong>terza</strong>


© 1996, 1997, 2005,<br />

Gius. <strong><strong>La</strong>terza</strong> & Figli<br />

Nella «<strong>Economica</strong> <strong><strong>La</strong>terza</strong>»<br />

Prima edizione 2005<br />

Edizioni precedenti:<br />

Nei «Robinson»<br />

Prima edizione 1996<br />

Seconda edizione, con una Prefazione<br />

di Norberto Bobbio, 1997<br />

È vietata la riproduzione, anche<br />

parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,<br />

compresa la fotocopia, anche<br />

ad uso interno o didattico.<br />

Per la legge italiana la fotocopia è<br />

lecita solo per uso personale purché<br />

non danneggi l’autore. Quindi ogni<br />

fotocopia che eviti l’acquisto<br />

di un libro è illecita e minaccia<br />

la sopravvivenza di un modo<br />

di trasmettere la conoscenza.<br />

Chi fotocopia un libro, chi mette<br />

a disposizione i mezzi per fotocopiare,<br />

chi comunque favorisce questa pratica<br />

commette un furto e opera<br />

ai danni della cultura.<br />

Proprietà letteraria riservata<br />

Gius. <strong><strong>La</strong>terza</strong> & Figli Spa, Roma-Bari<br />

Finito di stampare nel gennaio 2005<br />

Poligrafico Dehoniano -<br />

Stabilimento di Bari<br />

per conto della<br />

Gius. <strong><strong>La</strong>terza</strong> & Figli Spa<br />

CL 20-7551-2<br />

ISBN 88-420-7551-5


A Federico, mio nipotino, e a tutti i nipoti<br />

perché sono loro il nostro futuro.<br />

A tutti noi nonni,<br />

perché sappiamo dedicare la parte più libera<br />

e disinteressata della nostra vita<br />

a costruire il futuro <strong>dei</strong> nostri nipoti


Presentazione<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> esce alla fine del 1996 presentando<br />

una nuova filosofia di governo della <strong>città</strong>, assumendo i<br />

<strong>bambini</strong> come parametro e portando come modello i primi<br />

sei anni dell’esperienza di Fano. Nei primi sei anni il libro<br />

ha avuto sette edizioni, è stato tradotto in spagnolo e<br />

catalano ed ha avuto un’edizione argentina. L’autore ha<br />

tenuto più di cento conferenze in <strong>città</strong> diverse in Italia,<br />

Spagna e Argentina. Hanno aderito al progetto decine di<br />

<strong>città</strong> italiane, spagnole e argentine. In queste <strong>città</strong> si sono<br />

avviate esperienze, si è data la parola ai <strong>bambini</strong>, si sono<br />

realizzati progetti elaborati da loro.<br />

Nel 2002 si è ritenuto doveroso dar conto delle nuove<br />

idee, delle nuove esperienze, e si è valutato che non fosse<br />

sufficiente una riedizione ampliata del primo libro. Esce<br />

così Se i <strong>bambini</strong> dicono: Adesso basta!. Questo secondo<br />

libro vuole essere il seguito e l’aggiornamento di <strong>La</strong><br />

<strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, ma invece di raccontare le varie esperienze<br />

delle diverse <strong>città</strong> preferisce dare la parola ai <strong>bambini</strong>.<br />

26 frasi, proposte o proteste di <strong>bambini</strong> diventano i<br />

26 capitoli del libro. In ogni capitolo l’autore risponde a<br />

due domande: Perché un bambino dice questo? Cosa si<br />

potrebbe fare ascoltando i <strong>bambini</strong>? Ne nasce così un’ampia<br />

analisi della condizione infantile di oggi e un vasto repertorio<br />

delle iniziative, attività ed esperienze realizzate<br />

dalle <strong>città</strong> in questi anni ed altre possibili per dare concrete<br />

risposte alle attese <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. L’esperienza nata nel<br />

IX


1991 a Fano diventa un’esperienza internazionale e nel<br />

2001 Roma aderisce e ne diventa la <strong>città</strong> capofila.<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, che ora arriva nella «<strong>Economica</strong><br />

<strong><strong>La</strong>terza</strong>», rimane il testo della proposta, dell’invito agli amministratori<br />

a rompere gli schemi che hanno provocato il<br />

degrado delle <strong>città</strong> e reso problematico il loro futuro; Se i<br />

<strong>bambini</strong> dicono: Adesso basta! è un libro che arricchisce<br />

le proposte e le esperienze ma che allarga anche il campo<br />

<strong>dei</strong> destinatari: è diretto agli amministratori e ai tecnici<br />

delle <strong>città</strong>, ai progettisti, agli insegnanti, agli studenti, ai<br />

genitori e anche ai <strong>bambini</strong>.<br />

settembre 2004<br />

X<br />

Francesco Tonucci


Prefazione<br />

Caro Frato,<br />

mi ha fatto molto piacere ricevere le bozze del tuo libro.<br />

Le ho lette subito perché tu scrivi in modo semplice,<br />

chiaro, scorrevole, da persona educata e gentile che ama<br />

i suoi lettori e li aiuta a capire senza sforzo il testo, con<br />

ragionamenti corretti, con parole piane del linguaggio comune,<br />

con esempi che tutti possono comprendere e i casi<br />

citati fanno parte delle esperienze di ognuno di noi. Mi<br />

ha subito attratto la bella trovata, che si legge all’inizio, dove<br />

la <strong>città</strong> di oggi diventa per i <strong>bambini</strong> il bosco delle favole.<br />

Una volta, non moltissimo tempo fa i <strong>bambini</strong> avevano<br />

paura del bosco, dove s’incontravano i lupi e le streghe<br />

cattive, mentre si sentivano al sicuro in <strong>città</strong>. Ora le<br />

parti si sono rovesciate, perché la <strong>città</strong> è diventata ostile:<br />

«grigia, aggressiva, pericolosa, mostruosa». Il libro è un<br />

continuo elogio della fantasia, della creatività, della libertà,<br />

dell’intelligenza, della spontaneità, della straordinaria ricchezza<br />

di idee e di sentimenti, del mondo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

Anche per me, non solo per i <strong>bambini</strong>, la <strong>città</strong> è un inferno.<br />

Ma io mi difendo uscendo sempre meno di casa.<br />

Ormai la mia vita può svolgersi tra le quattro pareti del<br />

mio studio senza troppi inconvenienti. Ma non ho dimenticato<br />

la mia vita di bambino. Anzi, riappare sempre più<br />

nitida alla mia memoria. I più bei ricordi della mia infanzia<br />

sono quelli delle vacanze in campagna, quando giocavamo<br />

senza alcun pericolo all’aperto e vagabondavamo<br />

XI


per le stradette <strong>dei</strong> campi, dove passava di tanto in tanto<br />

solo qualche carro trainato da buoi.<br />

Ma anche la mia <strong>città</strong> era completamente diversa. Abitavamo<br />

a Torino in un quartiere di recente costruzione, in<br />

una casa, come si diceva allora, «signorile», all’angolo di una<br />

strada morta, che finiva poco oltre il nostro portone. Si<br />

chiamava via Gasometro (oggi ha cambiato nome), perché<br />

il quartiere era stato costruito dove era il vecchio edificio,<br />

ormai distrutto, che dispensava calore e luce alla <strong>città</strong> (i fanali<br />

delle strade quando ero bambino erano ancora a gas).<br />

Bastava scendere le scale per raggiungere la nostra «sala<br />

giochi». Non c’era alcun pericolo. Scendevamo da soli.<br />

Non giocavamo sulla strada, perché era acciottolata. Giocavamo<br />

sul marciapiede. I nostri giochi erano giochi da<br />

«marciapiedi». Che ora, in <strong>città</strong>, sono scomparsi.<br />

Tra questi, la trottola, che i più bravi prendevano in mano,<br />

mentre girava, e scagliavano contro la trottola dell’avversario<br />

per abbatterla; le palline (o biglie) che si facevano<br />

correre spingendole con uno scatto del pollice e dell’indice;<br />

la «settimana», gioco più femminile, a dire il vero, che<br />

consisteva nel saltare con una gamba sola su una figura<br />

tracciata col gesso a forma di rettangolo, ove ogni casella<br />

rappresentava un giorno e vinceva chi arrivava alla domenica<br />

senza cadere; le «plance», come si chiamavano le figurine<br />

staccate dalle scatole di cerini che, ammucchiate l’una<br />

sull’altra fino a farne una torretta, venivano colpite a distanza<br />

con una pietra piatta e che si faceva scorrere sul<br />

marciapiede e vinceva chi ne abbatteva di più.<br />

Qualche anno più tardi, quando eravamo al liceo, tornando<br />

da scuola in cinque o sei che abitavamo tutti dalle<br />

stesse parti, percorrevamo una lunga via dritta e deserta<br />

(ora diventata quasi impercorribile, tante sono le macchine<br />

posteggiate da una parte e dall’altra, anche in doppia<br />

fila), così deserta che avanzavamo dando calci a una palla,<br />

come se fossimo degli attaccanti di una squadra di calcio<br />

sino al punto in cui ci scioglievamo e ognuno andava<br />

XII


a casa per la sua strada. A questo punto c’era il portone<br />

di una chiesa sempre chiusa che faceva da porta per i nostri<br />

ultimi tiri.<br />

Si giocava anche nei cortili. Passavo ore sul balcone della<br />

cucina a guardare i <strong>bambini</strong> <strong>dei</strong> caseggiati contigui, che<br />

giocavano a rimpiattino, a rincorrersi, ai quattro cantoni,<br />

ai ladri e carabinieri. Era un po’ come giocassi anch’io con<br />

loro: imparavo giochi nuovi, che rifacevo coi miei amici nel<br />

piccolo cortile di casa nostra, dove sovrano era il figlio della<br />

portinaia molto più bravo di me in tutti i giochi.<br />

Ora anche nei cortili lo spazio è sempre più ristretto.<br />

Ristretto da che cosa? Ancora una volta dalle automobili,<br />

che hanno indotto gli abitanti delle case a costruirsi, ciascuno<br />

il proprio garage. I miei figli non hanno mai giocato<br />

in cortile. E poi i «grandi» hanno cominciato a lamentarsi<br />

del chiasso che fanno i <strong>bambini</strong> coi loro schiamazzi e<br />

hanno loro proibito di giocare nelle ore post-meridiane<br />

quando tornano da scuola. Non si lamentano però del<br />

brontolio che fanno le macchine uscendo dalla rimessa al<br />

mattino e rientrandovi alla sera.<br />

È vero: i <strong>bambini</strong> sono scomparsi dalla <strong>città</strong>. Si incontrano<br />

soltanto nei giardinetti dove i loro giochi sono obbligati:<br />

lo scivolo e il girotondo. Io abito in una lunga strada<br />

con portici, dove i <strong>bambini</strong> potrebbero scendere per<br />

giocare senza pericolo. Ma si vede che si è persa l’abitudine.<br />

I portici sono stati progettati, non per far giocare i<br />

<strong>bambini</strong>, ma per favorire i negozianti. I portici sono, come<br />

le aree pedonali, uno spazio per i negozi e, se mai, per<br />

i grandi che possono passeggiare più liberamente, guardando<br />

le vetrine. Di queste interessano ai <strong>bambini</strong> solo<br />

quelle <strong>dei</strong> giocattoli o qualche raro negozio di animali da<br />

salotto, come ce n’è uno sotto casa mia, fermata obbligata<br />

<strong>dei</strong> miei nipotini, quando vengono a trovare il nonno.<br />

Non so perché ti ho raccontato queste cose. È stato un<br />

modo per esprimerti la mia simpatia per la tua <strong>città</strong> ideale.<br />

Norberto Bobbio<br />

XIII


Premessa<br />

I cittadini soffrono i mali della <strong>città</strong>, ma sembra non chiedano,<br />

almeno in forma esplicita, che la <strong>città</strong> cambi. Pensano<br />

che questo non sia più possibile, sono rassegnati.<br />

Chiedono allora che ci si possa almeno vivere un po’ meglio,<br />

che vengano alleviati i disagi. Chiedono così più servizi<br />

per sopportare meglio il malessere della <strong>città</strong>.<br />

Sanno che chi soffre di più sono i <strong>bambini</strong>, non sanno<br />

come aiutarli e allora, sempre più spesso, decidono di averne<br />

meno o di non averne più: «Come si fa ad avere<br />

<strong>bambini</strong> in queste condizioni?».<br />

Chi ha più consapevolezza, chi ha più mezzi, lascia invece<br />

la <strong>città</strong> e va a vivere nei piccoli centri o in campagna:<br />

«Si vive una sola volta!».<br />

Due modi di fuggire e di manifestare impotenza e disperazione.<br />

Atteggiamenti questi che lasciano la <strong>città</strong> più sola e più<br />

debole.<br />

Ma oggi nella <strong>città</strong> c’è una persona importante, il sindaco;<br />

importante perché i suoi concittadini, e non il suo<br />

partito, gli hanno consegnato il governo della <strong>città</strong>. Probabilmente<br />

i voti per essere rieletto un sindaco li può guadagnare<br />

anche dando migliori servizi, rendendo più sopportabile<br />

la <strong>città</strong>, in modo che alla fine del mandato i suoi<br />

elettori possano dire «Però oggi si sta meglio di quattro anni<br />

fa» e decidere di rieleggerlo. Ma se un sindaco più che<br />

alla sua rielezione pensa al futuro della sua <strong>città</strong>, ai figli e<br />

XV


ai nipoti <strong>dei</strong> suoi concittadini, allora deve mettere in moto<br />

la speranza. Deve partecipare ad un sogno: credere che<br />

la sua <strong>città</strong> domani possa tornare ad essere bella, sana, sicura;<br />

possa tornare ad avere i <strong>bambini</strong> che giocano per<br />

strada. Deve quindi iniziare a lavorare con la sua squadra,<br />

con il Consiglio, con tutti i suoi colleghi adulti, per fare in<br />

modo che presto valga di nuovo la pena di essere <strong>bambini</strong>.<br />

In questi ultimi anni molti sindaci italiani e stranieri, interpretando<br />

un bisogno <strong>dei</strong> loro concittadini e delle loro<br />

<strong>città</strong>, hanno manifestato interesse al progetto che presento<br />

in queste pagine. Nella accoglienza delle proposte,<br />

alcune di senso comune, altre ardite, altre provocatorie,<br />

ho sentito l’urgenza di una soluzione che le formule ragionevoli<br />

della politica e dell’economia sembra non possano<br />

dare.<br />

In risposta a questa urgenza il libro nasce in fretta. Dopo<br />

le tante conferenze pubbliche, i tanti seminari di Giunta,<br />

i tanti colloqui, mi è sembrato necessario uno strumento<br />

per continuare un dibattito sulle idee e un confronto<br />

sulle iniziative. Si perdoni quindi la forma diretta e<br />

colloquiale, le possibili ripetizioni o le eccessive sottolineature.<br />

È un materiale di lavoro che vuol crescere e migliorarsi<br />

grazie al contributo di tutti coloro che lo vorranno<br />

riconoscere ed utilizzare.<br />

XVI<br />

Francesco Tonucci


<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

1


AVVERTENZA E RINGRAZIAMENTI<br />

Le «Indicazioni bibliografiche», le interviste delle schede 20,<br />

21, 22 e 23 della parte terza e i dati della scheda 9 sono stati<br />

curati da Antonella Rissotto, collaboratrice dell’Istituto di Scienze<br />

e Tecnologie della Cognizione del CNR.<br />

Ringrazio i colleghi Vito Consoli e Antonella Rissotto per<br />

aver letto e corretto le varie versioni di questo libro.<br />

Ringrazio i sindaci di Fano e gli assessori che hanno voluto<br />

e difeso il <strong>La</strong>boratorio, Beatrice Della Santa e Gabriella Peroni<br />

che hanno dato forma e realtà alle idee elaborate insieme; Paola<br />

Stolfa, Giovanna Mancini e Ippolito <strong>La</strong>medica, che da architetti<br />

e urbanisti hanno fatto crescere le idee del <strong>La</strong>boratorio, animando<br />

i gruppi <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> progettisti; Alfredo Pacassoni che<br />

ha condiviso la nascita del progetto e i suoi primi passi.<br />

Ringrazio il sindaco e la Giunta di Palermo che credono in<br />

questo progetto e lo vogliono portare come sfida per il futuro<br />

della loro <strong>città</strong>.<br />

Ringrazio Fiorenzo Alfieri, Raymond Lorenzo, Dario Manuetti<br />

e Carlo Pagliarini per le interviste.<br />

Ringrazio infine tutti coloro che, volontariamente o involontariamente,<br />

hanno suggerito a me, incompetente in molti <strong>dei</strong> temi<br />

trattati, idee e proposte che, senza eccessivi scrupoli e senza<br />

poterli citare, ho copiato e utilizzato.<br />

2


Parte prima<br />

Il progetto<br />

3


Analisi di un malessere<br />

Antefatto: una volta avevamo paura del bosco<br />

Una volta avevamo paura del bosco. Era il bosco del lupo,<br />

dell’orco, del buio. Era il luogo dove ci si poteva perdere.<br />

Quando i nonni ci raccontavano le fiabe, il bosco era il luogo<br />

preferito per nascondere nemici, trappole, ansie. Da<br />

quando il personaggio entrava nel bosco noi cominciavamo<br />

ad avere paura, sapevamo che poteva succedere qualcosa,<br />

che sarebbe successo qualcosa. Il racconto si faceva<br />

più lento, la voce più grave, ci si stringeva gli uni con gli<br />

altri e si aspettava il peggio. Il bosco metteva paura, con<br />

le sue ombre, i suoi rumori sinistri, il canto lugubre del cuculo,<br />

i rami che ti acchiappavano all’improvviso.<br />

Ci si sentiva invece sicuri fra le case, in <strong>città</strong>, nel vicinato.<br />

Era questo il luogo dove ci si cercava fra compagni,<br />

ci si trovava per giocare insieme. Erano lì i nostri posti,<br />

quelli per nascondersi, quelli per organizzare la banda, per<br />

giocare a mamma, per sotterrare il tesoro. Erano i posti<br />

dove si costruivano i giocattoli, secondo modalità e abilità<br />

rubate agli adulti e approfittando delle risorse che l’ambiente<br />

offriva. Era il nostro mondo.<br />

Nel giro di pochi decenni è cambiato tutto. C’è stata<br />

una trasformazione tremenda, rapida, totale, come mai<br />

ne aveva viste la nostra società, almeno a memoria di storia<br />

documentata.<br />

5


Da una parte la <strong>città</strong> ha perso le sue caratteristiche, è<br />

diventata pericolosa e infida; dall’altra sono sorti i verdi,<br />

gli ambientalisti, gli animalisti a predicare il verde, il bosco.<br />

Il bosco è diventato bello, luminoso, oggetto di sogno<br />

e di desiderio; la <strong>città</strong> è diventata brutta, grigia, aggressiva,<br />

pericolosa, mostruosa.<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong><br />

Negli ultimi decenni e in modo clamoroso negli ultimi cinquanta<br />

anni, la <strong>città</strong>, nata come luogo di incontro e di<br />

scambio, ha scoperto il valore commerciale dello spazio e<br />

ha stravolto tutti i concetti di equilibrio, di benessere e di<br />

stare insieme, per seguire solo programmi di profitto, di<br />

interesse. Si è venduta. Fino a poche decine di anni fa i<br />

poveri e i ricchi vivevano gli uni vicini agli altri. Le loro case<br />

erano ovviamente diverse, le une da poveri e le altre da<br />

ricchi, ma sorgevano negli stessi quartieri. Poi si è dato un<br />

valore diverso al terreno a seconda della sua vicinanza al<br />

centro della <strong>città</strong> e questo ha stravolto tutto. I poveri non<br />

hanno potuto restaurare le loro casette malsane e senza<br />

servizi, hanno «preferito» venderle per potersi trasferire in<br />

periferia, in case tutte uguali e uguali a quelle presentate<br />

dalla televisione.<br />

I centri storici sono diventati uffici, banche, fast food,<br />

sedi di rappresentanza, alloggi ricchi e sofisticati. Col calar<br />

della sera il centro della <strong>città</strong> si svuota e diventa pericoloso,<br />

la gente ha paura di andarci da sola, ci sono i drogati,<br />

i ladri, i malfattori. I centri storici, così diversi e ricchi<br />

perché nati da secoli di storia e di cultura, dal piacere delle<br />

cose belle e non solo utili, hanno perso la cura, la preoccupazione<br />

<strong>dei</strong> residenti. I luoghi più belli del nostro paese<br />

6


sono negati al gioco e alla esperienza <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, al passeggio<br />

e al ricordo <strong>dei</strong> vecchi.<br />

Le periferie sono invece nate in pochi anni, senza piazze,<br />

senza verde, senza monumenti. Le periferie sono uguali<br />

in tutto il mondo, gli stessi casermoni, le stesse strade<br />

grandi e dritte, lo stesso abbandono, perché non sono<br />

nate dalla lenta e costante preoccupazione degli uomini di<br />

avere luoghi di vita adatti e confortevoli per sé e per i propri<br />

successori, ma solo grazie alla spinta prepotente della<br />

speculazione.<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> non ha più abitanti, non ha più persone che vivono<br />

le sue strade, i suoi spazi: il centro è luogo di lavoro,<br />

di compere, di rappresentanza non di vita; la periferia<br />

è il luogo dove non si vive, ma si dorme soltanto... <strong>La</strong> <strong>città</strong><br />

ha perso la sua vita.<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> è diventata come il bosco delle nostre fiabe.<br />

Il castello medioevale era grande, forte, ricco e poco<br />

abitato, circondato dalle casupole, dai tuguri del borgo,<br />

dove abitavano i contadini e gli artigiani che vivevano del<br />

lavoro e della protezione offerti dal signore del castello.<br />

Quando nascono le <strong>città</strong> si rompe questo rapporto gerarchico<br />

e i cittadini si incontrano in un territorio comune<br />

e, pur mantenendo ceti e condizioni diverse, condividono<br />

lo spazio. <strong>La</strong> piazza diventa il simbolo della <strong>città</strong> e sulla<br />

piazza si affacciano il palazzo del governo, la cattedrale,<br />

la caserma della guarnigione e il mercato. <strong>La</strong> <strong>città</strong> è il luogo<br />

in cui i cittadini si incontrano per vendere e comprare,<br />

per difendersi, per pregare, per amministrare la giustizia.<br />

Oggi sembra quasi che la <strong>città</strong> sia tornata al modello<br />

medioevale: il centro storico ricco e poco abitato, circondato<br />

da una periferia povera e a volte misera, che dipende,<br />

per la sua sopravvivenza, dal centro ricco.<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> ha rinunciato ad essere luogo di incontro e di<br />

scambio e ha scelto come nuovi criteri di sviluppo la se-<br />

7


parazione e la specializzazione. Separazione e specializzazione<br />

degli spazi e delle competenze: posti diversi per<br />

persone diverse, posti diversi per funzioni diverse. Il centro<br />

storico per le banche, i negozi di lusso, il divertimento;<br />

la periferia per dormire. Poi ci sono i luoghi <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>:<br />

l’asilo nido, il parco giochi, la ludoteca; i luoghi <strong>dei</strong><br />

vecchi: l’ospizio, il centro anziani; i luoghi della conoscenza:<br />

dalla scuola dell’infanzia all’Università; i luoghi<br />

specializzati per le compere: il supermercato, il centro<br />

commerciale. Poi c’è l’ospedale, il luogo della malattia.<br />

Un esempio: la famiglia, la casa<br />

Una volta andare all’ospedale era un evento del tutto eccezionale,<br />

legato a gravi malattie o a gravi traumi. <strong>La</strong> malattia<br />

era una esperienza domestica. Oggi si va in ospedale<br />

per qualsiasi esame, per una visita, per un controllo: si<br />

nasce, si vive la malattia e si muore quasi sempre fuori casa,<br />

in luoghi separati e specializzati. <strong>La</strong> famiglia ha perso<br />

la capacità di sopportare esperienze così ricche e così forti,<br />

che nella gioia e nel dolore la mettevano alla prova, le<br />

chiedevano continui adattamenti, la rinsaldavano. È noto<br />

che la nascita in ospedale ha significato la vita per tante<br />

donne e per tanti <strong>bambini</strong>, ma ora le condizioni economiche,<br />

igieniche e sociali, permetterebbero alla stragrande<br />

maggioranza delle famiglie di vivere nella propria casa<br />

l’esperienza straordinaria del parto. Questo cambiamento,<br />

che già sta avvenendo in molti paesi del nord Europa,<br />

garantirebbe un risparmio economico e darebbe la possibilità<br />

di nascere dentro la famiglia, fra le braccia del papà,<br />

vicino ai fratelli 1 . Lo stesso si può dire per la maggioran-<br />

1 Mumford (1945), che definisce gli ospedali «magazzini delle malattie», riferendosi<br />

alla situazione americana, parlava già allora della necessità di evitare il<br />

parto in ospedale (vedi Appendice 3).<br />

8


za degli stati di malattia e per la grande esperienza della<br />

morte. Che cosa rimane allora come esperienza familiare?<br />

Solo la routine, quello che si ripete senza emozioni e<br />

senza variazioni ogni giorno. Si parla molto di crisi della<br />

famiglia, bisognerebbe aiutarla a vivere esperienze importanti<br />

come queste per rimetterla in piedi, per darle forza.<br />

Certo ci vorrebbe una chiara volontà e disponibilità al cambiamento,<br />

ad andare avanti in un modo nuovo, tenendo<br />

presenti le nuove condizioni.<br />

E insieme alla famiglia si è trasformata anche la casa,<br />

rispondendo a queste nuove necessità. È una casa senza<br />

<strong>bambini</strong>, senza anziani. Si è sviluppata in altezza rispondendo<br />

alla speculazione sulle aree urbane e senza pensare<br />

a come potrà scendere a giocare con gli amici un bambino<br />

di quattro, cinque anni, né a come potrà viverci senza<br />

impazzire un vecchio che non può più vedere i suoi luoghi<br />

abituali, passeggiare, incontrare un amico. È una casa<br />

che non sa più prevedere e sopportare il chiasso <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong> che giocano, mentre si è adattata bene al rumore<br />

terribile delle sirene, a quello sgradevole <strong>dei</strong> clacson. Eppure<br />

da sempre le scale sono state un luogo privilegiato di<br />

gioco, così come lo sono stati gli androni e i cortili; così come<br />

da sempre gli adulti hanno saputo accettare e tollerare<br />

quel chiasso sano, seppur fastidioso, <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> che giocano.<br />

Per questi piccoli e vecchi prigionieri, hanno inventato<br />

i balconi, di nuovo spazi separati, lontani, fittizi.<br />

Un altro esempio: il centro commerciale<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> come ambiente unitario, come ecosistema, direbbe<br />

oggi un ambientalista, sta scomparendo e sta diventando<br />

sempre di più la somma di luoghi specializzati, autonomi<br />

ed autosufficienti, ciascuno con il proprio parcheggio,<br />

il proprio posto di ristoro, il bancomat, la guar-<br />

9


dia giurata... Insomma ogni luogo tende ad essere una piccola<br />

<strong>città</strong>. Una volta comprare significava compiere un<br />

percorso, entrare in posti diversi, incontrare varie persone,<br />

ogni giorno le stesse, tanto da poter riprendere da un<br />

giorno all’altro una confidenza, un racconto o scambiarsi<br />

l’ultima notizia. Oggi per comprare si effettua un trasferimento<br />

in un’altra zona della <strong>città</strong>, dove si può comprare<br />

tutto, magari una volta al mese. Un esempio tipico è quello<br />

del centro commerciale, che sta sorgendo ai margini<br />

della <strong>città</strong> proponendosi come <strong>città</strong> piccola, autonoma,<br />

efficiente e godibile. Città senza macchine, con strade e<br />

piazzette, sicura per i <strong>bambini</strong>, per i quali sono spesso<br />

pensati spazi dedicati e assistiti; dove si può mangiare, fare<br />

operazioni bancarie, andare dal parrucchiere e naturalmente<br />

comprare, comprare di tutto. Un bel posto, per<br />

molte famiglie, dove darsi un appuntamento per passare<br />

insieme il sabato. Il degrado rende la <strong>città</strong> invivibile e noi<br />

ci difendiamo costruendo luoghi sicuri, protetti, dove passare<br />

tranquilli il nostro tempo libero.<br />

Questa è una tendenza costante nella <strong>città</strong> di oggi, coerente<br />

con la logica della separazione e della specializzazione:<br />

creare servizi, strutture sempre più indipendenti e<br />

autosufficienti. Questo avviene per l’ospedale, per lo stadio,<br />

per i grandi musei, per il campus universitario.<br />

L’equivoco <strong>dei</strong> servizi<br />

<strong>La</strong> separazione produce certamente disagio, malessere,<br />

crea nelle persone lacerazioni con la propria storia, con i<br />

propri affetti, ostacola la comunicazione, l’incontro, la solidarietà.<br />

Gli amministratori della <strong>città</strong>, responsabili di questa<br />

perversa trasformazione delle caratteristiche della vita<br />

urbana, debbono in qualche modo recuperare il consenso<br />

10


<strong>dei</strong> loro cittadini e prima di tutto <strong>dei</strong> loro elettori, pena la<br />

perdita del loro potere. In alcuni casi, non rari, gli amministratori<br />

hanno preferito non farsi carico del disagio <strong>dei</strong><br />

cittadini e hanno catturato il loro consenso con forme<br />

ignobili di accordi clientelari, ma questi non interessano il<br />

nostro discorso. In altri casi gli amministratori si sono invece<br />

fatti carico del malessere <strong>dei</strong> concittadini e hanno sviluppato,<br />

a compensazione <strong>dei</strong> disagi e a garanzia del consenso,<br />

la politica <strong>dei</strong> servizi. I servizi pubblici sono diventati<br />

il simbolo e il vanto della buona amministrazione: «Sei<br />

costretto a vivere lontano dal centro urbano, lontano dagli<br />

uffici, dai luoghi di divertimento e di cultura? Non ti<br />

preoccupare, ti metto a disposizione mezzi di trasporto<br />

pubblico sempre più rapidi, sempre più efficienti» 2 ; «Non<br />

sai come fare con i tuoi <strong>bambini</strong>, non hai possibilità e tempo<br />

per poterli educare? Non ti preoccupare, ti apro nidi<br />

di infanzia, centri di incontro, ludoteche...»; «Non sai come<br />

assistere i tuoi vecchi, nel tuo piccolo appartamentino,<br />

al dodicesimo piano, con i tuoi orari di lavoro? Non ti<br />

preoccupare, ti offro centri anziani, viaggi, vacanze e ospizi<br />

per i vecchi».<br />

<strong>La</strong> specializzazione qualifica il servizio e compensa la<br />

separazione. Ai <strong>bambini</strong> e ai vecchi non si permette o si<br />

rende difficile vivere nella propria famiglia, nella propria<br />

casa, nella propria <strong>città</strong>, ma si offre loro il meglio che possono<br />

assicurare la moderna psicologia, pedagogia, pediatria,<br />

dietetica, geriatria. Meglio di come potrebbe fare la<br />

famiglia. L’importante è che il cittadino che vota sia soddisfatto<br />

e lo sia nel tempo breve del mandato elettorale. I<br />

tempi <strong>dei</strong> politici sono brevi, debbono superare gli esami<br />

2 Ho incontrato in aeroporto un signore che rientrava da un viaggio in Giappone,<br />

dove aveva partecipato ad una mostra commerciale. Lo avevano alloggiato<br />

in un albergo che distava 150 chilometri dal luogo della mostra e ogni mattina<br />

veniva «sparato» da un treno in appena mezz’ora dal suo albergo ai locali<br />

della mostra, lo stesso tempo che io impiego per percorrere a Roma la distanza<br />

da casa all’Istituto. Un servizio estremamente efficiente, che rende però naturale<br />

far risiedere una persona a 150 chilometri dalla <strong>città</strong> dove lavora!<br />

11


ogni quattro anni; i progetti a lunga scadenza non pagano,<br />

non portano voti.<br />

In tutta questa operazione, che può sembrare ragionevole<br />

e forse anche meritoria, c’è qualcosa di preoccupante,<br />

di diabolico: la perdita della speranza, la rassegnazione.<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> la si dà ormai per persa, i servizi, i migliori servizi,<br />

aiutano a sopportarla, senza sperare di cambiarla: «È<br />

il costo del progresso», «Indietro non si può tornare». Sembra<br />

che il progresso sia un pacchetto «tutto compreso»:<br />

l’automobile e la lavatrice, insieme ai vantaggi, portano<br />

necessariamente l’inquinamento, la droga, la violenza, la<br />

paura. Tutto insieme, prendere o lasciare.<br />

Un accordo fra adulti<br />

In questa situazione, difficile per tutti, il bambino soffre di<br />

più. Con lui la compensazione, la monetizzazione del danno,<br />

non funziona. I servizi, pensati per l’adulto, non sono<br />

buoni per il bambino. Se a lui togliamo il piccolo spazio per<br />

giocare sotto casa e glielo ridiamo magari cento volte più<br />

ricco e più grande a un chilometro di distanza, secondo la<br />

logica della separazione e della specializzazione, di fatto<br />

glielo abbiamo tolto e basta: nel parco lontano può andare<br />

solo se un adulto lo accompagna, quindi accettando gli<br />

orari dell’adulto; può andare solo se si cambia, altrimenti<br />

c’è da vergognarsi a portarlo fuori, ma se si cambia non si<br />

può sporcare e se non si può sporcare non può giocare;<br />

chi lo accompagna lo deve aspettare e mentre lo aspetta<br />

lo sorveglia e sotto sorveglianza non si può giocare.<br />

I parchi gioco sono un interessante esempio di come i<br />

servizi siano pensati dagli adulti per gli adulti e non per i<br />

<strong>bambini</strong>, anche se questi ne sono i destinatari dichiarati.<br />

Questi spazi per <strong>bambini</strong> sono tutti uguali, in tutto il mon-<br />

12


do, almeno in quello occidentale, rigorosamente livellati,<br />

spesso recintati e sempre dotati di scivoli, altalene e giostrine.<br />

Il primo strumento che entra in azione per la realizzazione<br />

di un giardinetto, di un parco per <strong>bambini</strong> è la ruspa.<br />

Sembra quasi che, secondo gli adulti, ai <strong>bambini</strong> piaccia<br />

giocare nel piano e invece lo spazio orizzontale impedisce<br />

loro di nascondersi che è certamente una parte importante<br />

del giocare e garantisce invece solo una facile<br />

sorveglianza. Il bambino deve giocare vigilato! Noi adulti<br />

abbiamo rapidamente dimenticato che il gioco è legato al<br />

piacere e il piacere si coniuga male con il controllo e la vigilanza<br />

(proviamo a pensare alle nostre esperienze di piacere<br />

da adulti!).<br />

Un secondo aspetto preoccupante è che sono gli adulti<br />

ad indicare quali giochi i <strong>bambini</strong> debbono fare in questi<br />

spazi. Le attrezzature sono pensate per attività ripetitive,<br />

banali, come dondolare, scivolare e girare, quasi che<br />

il bambino assomigli più ad un criceto 3 che ad un esploratore,<br />

ad un ricercatore, ad un inventore. Sono giocattoli<br />

per giochi specifici, che debbono essere usati così come<br />

gli adulti li hanno pensati e siccome rapidamente i <strong>bambini</strong><br />

si stancano, per farli diventare diversi e nuovi, cercano<br />

di utilizzarli in maniera non ortodossa e allora diventano<br />

anche pericolosi: saltare dalla giostrina in corsa, scendere<br />

giù dallo scivolo di testa, dondolare appesi ad una sola<br />

corda dell’altalena come i corsari all’arrembaggio o appesi<br />

alle due corde a testa in giù.<br />

I parchi gioco sono tutti uguali perché rappresentano<br />

uno stereotipo: la presenza di scivoli, altalene e giostrine<br />

garantiscono che l’adulto genitore si renda facilmente<br />

conto che l’adulto amministratore ha utilizzato il denaro<br />

3 Girare nella ruota, che tradizionalmente arreda la loro gabbietta, non piace<br />

neppure ai criceti, che nella loro vita in natura, in Medio Oriente, possono<br />

vivere esperienze certamente più interessanti e più avventurose.<br />

13


pubblico per realizzare un servizio per suo figlio. Che poi<br />

ai <strong>bambini</strong> non piacciano è cosa di poco conto.<br />

Anche gli altri servizi per l’infanzia sono pensati per gli<br />

adulti e non per i <strong>bambini</strong>. «Vogliamo i nidi per le madri<br />

lavoratrici», si diceva negli anni ’70. In <strong>città</strong> dove è alto<br />

l’impiego di manodopera femminile i nidi possono restare<br />

aperti anche 10-12 ore al giorno, perché questa è la<br />

domanda sociale <strong>dei</strong> lavoratori. Ma quale è la domanda<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>? Certamente quella di non restare da soli in<br />

casa, di avere occasioni di scambio con i loro piccoli amici,<br />

ma può un bambino di uno, due anni resistere 8-10 ore<br />

in un ambiente così grande, esposto ad una socializzazione<br />

forzata, al chiasso, a stimoli continui, senza possibilità<br />

di nascondersi, di scappare? Questo non ce lo siamo domandato,<br />

e sì che gli adulti, gli operatori del nido, per garantire<br />

il servizio cambiano tre turni, perché si ritiene che<br />

non possano sopportare un carico di lavoro maggiore delle<br />

quattro, cinque ore al giorno!<br />

Un altro esempio, più quotidiano, e per questo più inquietante.<br />

Quando si è aperto un conflitto fra gli orari di lavoro<br />

degli adulti e gli orari <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> – per esempio gli adulti<br />

debbono timbrare il cartellino alle otto e i <strong>bambini</strong><br />

debbono entrare a scuola alle otto e mezza – come abbiamo<br />

reagito? Senza alcuna esitazione, in tutte le <strong>città</strong>, abbiamo<br />

chiesto ai Comuni di creare un nuovo servizio, la<br />

«pre-scuola», che accogliesse i <strong>bambini</strong> dalle sette e mezzo:<br />

abbiamo caricato sulle spalle <strong>dei</strong> nostri figli un’ora in<br />

più di lavoro. Avremmo potuto pensare soluzioni diverse,<br />

avremmo dovuto comunque evitare che a pagare fossero<br />

i più piccoli. Avremmo potuto chiedere ai nostri sindacati<br />

di modificare i contratti di lavoro in modo che, se in una<br />

famiglia c’è un bambino che va a scuola, uno <strong>dei</strong> genitori<br />

possa rendere flessibile il suo orario di lavoro ed entrare<br />

dopo l’inizio della scuola. Non so se sarebbe possibile ottenere<br />

questo, ma mi preoccupa che non ci abbiamo provato<br />

e nemmeno pensato.<br />

14


E allora che fare?<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> è diventata ostile per i suoi stessi cittadini, priva di<br />

solidarietà e di accoglienza. Padrona della <strong>città</strong> è ormai<br />

l’automobile che produce pericolo, inquinamento acustico<br />

e dell’aria, vibrazioni, occupazione del suolo pubblico.<br />

Le strade sono pericolose, ma in questa <strong>città</strong> dobbiamo vivere<br />

e, specialmente chi ha figli, sente la necessità e l’urgenza<br />

di trovare una soluzione.<br />

<strong>La</strong> soluzione privata della difesa<br />

<strong>La</strong> soluzione che la nostra società fortemente sponsorizza<br />

attraverso i suoi mezzi di comunicazione, la produzione<br />

commerciale, i suoi tecnici (psicologi, educatori, consulenti<br />

familiari) è quella individualistica, privata. È quella che<br />

giustifica la situazione attuale come necessaria conseguenza<br />

e costo del progresso e che avanza raccomandazioni<br />

come: «I genitori debbono stare di più con i loro figli»;<br />

«Nessuno può stare con i <strong>bambini</strong> come il loro papà<br />

e la loro mamma»; «Bisogna giocare di più con il proprio<br />

figlio». Questi inviti creano naturalmente uno stridente<br />

contrasto con la vita di corsa, con le ore di spostamenti,<br />

con la voglia, quando si arriva a casa, di rilassarsi un po’.<br />

Sviluppano cocenti sensi di colpa. Mettono gli adulti nelle<br />

condizioni migliori per approfittare, con riconoscenza,<br />

15


<strong>dei</strong> tanti prodotti commerciali. Di qui il doppio consiglio<br />

che la nostra società oggi manda ai suoi cittadini: difendetevi<br />

e comprate.<br />

Innanzi tutto quindi la strada della difesa. <strong>La</strong> casa pensata<br />

come rifugio antiatomico: fuori il pericolo, i malvagi, il<br />

traffico, la droga, la violenza, il bosco oscuro e minaccioso;<br />

dentro la sicurezza, l’autonomia, la tranquillità, la casetta sicura<br />

<strong>dei</strong> tre porcellini, o, se si preferisce, il castello medioevale,<br />

cintato di mura e con il ponte levatoio sollevato.<br />

Le porte vengono blindate, con l’occhiolino per vedere senza<br />

essere visti; si mettono videocitofoni, sistemi di allarme;<br />

norme condominiali impediscono l’entrata agli estranei. Si<br />

insegna al bambino a non aprire a nessuno, a non fermarsi<br />

con nessuno, a non accettare niente da nessuno 1 .<br />

E poi comprare di più dato che per fortuna la produzione<br />

commerciale è sensibile alle necessità dell’uomo<br />

moderno. Dentro casa c’è tutto quello che serve a stare<br />

bene e tranquilli, da soli, anche per molto tempo: televisore,<br />

videoregistratore, videogame, e giocattoli, giocattoli<br />

a non finire.<br />

Nelle nostre case si percepisce una strana sensazione,<br />

una specie di orgoglio per averle rese capaci di resistere<br />

ad oltranza di fronte ad un imprecisato pericolo che potrebbe<br />

presentarsi: gli ambienti sono ordinati, confortevoli,<br />

rilassanti, per quanto l’esterno è caotico, stressante e<br />

angosciante; il congelatore è pieno di cibi che possono durare<br />

per mesi, la collezione di cassette video ci permette<br />

di avere i film a noi più cari in casa nostra. Nelle nostre<br />

case staremo bene qualsiasi cosa possa succedere là fuori!<br />

È l’esasperata chiusura nel privato.<br />

Una volta si investiva quasi tutto nella <strong>città</strong>, nel pubblico.<br />

<strong>La</strong> casa era modesta, serviva per lo stretto indispen-<br />

1 E poi a scuola, ma anche nelle famiglie democratiche, si pretende di educare<br />

i figli alla tolleranza, alla solidarietà, alla pace, alla multiculturalità, che dovrebbero<br />

voler dire aprirsi agli altri, credere negli altri ed essere convinti che gli<br />

altri hanno qualcosa di importante da darci!<br />

16


sabile. <strong>La</strong> vera «abitazione» era la <strong>città</strong> che doveva essere<br />

bella, accogliente, adatta per il passeggio, per l’incontro,<br />

per la spesa, per il gioco. Oggi si è invertita la tendenza,<br />

si investe tutto nel privato, nella casa, che diventa sempre<br />

più rifugio e fortezza.<br />

Difendersi, risolvere ciascuno i problemi da solo, chiudersi<br />

in casa, significa abbandonare la <strong>città</strong>. <strong>La</strong> <strong>città</strong> abbandonata<br />

si fa ancor più pericolosa, aggressiva, disumana.<br />

Allora occorre aumentare gli strumenti e gli atteggiamenti<br />

di difesa. Ma questi produrranno maggiore isolamento<br />

e abbandono e a loro volta determineranno un aumento<br />

del pericolo ambientale. Si sviluppa così una spirale<br />

perversa, senza futuro.<br />

Di questo processo abbiamo ormai vari segnali nella<br />

nostra e nelle altre società più «sviluppate». Negli ultimi anni<br />

nelle nostre <strong>città</strong> c’è stata una rapida e progressiva militarizzazione:<br />

si sono armati i vigili urbani, sono comparsi<br />

sempre più numerosi i vigilantes privati davanti alle banche,<br />

agli enti pubblici e privati. Sono anche aumentati i<br />

controlli personali, i metal detector, per entrare in aeroporto,<br />

in banca, ma ci sono controlli elettronici anche all’uscita<br />

di alcuni negozi, librerie, supermercati. Ci sono<br />

vetri blindati che proteggono le biglietterie delle stazioni,<br />

e per fare un biglietto dobbiamo parlare attraverso microfoni,<br />

proprio come nei parlatori delle carceri di massima<br />

sicurezza. Siamo arrivati all’assurdo: usano le sirene<br />

per il trasporto <strong>dei</strong> valori postali: continue paure, soprassalti,<br />

per <strong>dei</strong> soldi! E di tutto questo non ci stupiamo più,<br />

ci sembrano difese adeguate e legittime.<br />

Negli Stati Uniti, dopo aver blindato le porte, si sono<br />

armati i singoli cittadini e in uno <strong>dei</strong> suoi Stati si è permesso<br />

agli studenti di andare a scuola armati. Queste notizie<br />

per fortuna ci sembrano aberranti 2 , ci scandalizzano<br />

2 Oggi, in questo paese, sono otto milioni gli addetti alla difesa delle persone,<br />

più <strong>dei</strong> metalmeccanici!<br />

17


ancora, ma sono solo la coerente conseguenza della spirale<br />

perversa della difesa e della violenza.<br />

<strong>La</strong> soluzione sociale della partecipazione<br />

Esiste una seconda strada, una seconda soluzione, contraria<br />

alla difesa. È quella che rifiuta la rassegnazione e denuncia<br />

questo «progresso» voluto da pochi, in fretta, per<br />

interessi che nulla hanno a che vedere con il bene pubblico,<br />

la felicità <strong>dei</strong> cittadini, la qualità della vita. È quella che<br />

considera il problema non individuale e personale, ma sociale<br />

e politico. È la soluzione che chiede che la tendenza<br />

cambi, che la <strong>città</strong> cambi; che non vuole tornare indietro,<br />

ma che vuole andare avanti in un modo diverso, nuovo,<br />

adeguato alla complessità e alla ricchezza del mondo di<br />

oggi, ma senza rinunciare alla socialità, alla solidarietà, alla<br />

felicità.<br />

Il cittadino medio<br />

Finora e con una forte accentuazione negli ultimi decenni,<br />

la <strong>città</strong> è stata pensata, progettata e valutata assumendo<br />

come parametro un cittadino medio con le caratteristiche<br />

di adulto, maschio e lavoratore, e che corrisponde<br />

all’elettore forte. In questo modo la <strong>città</strong> si è persa i cittadini<br />

non adulti, non maschi e non lavoratori, cittadini di<br />

seconda categoria, con meno o senza diritti.<br />

Per prendere l’autobus o il treno bisogna essere in buona<br />

forma fisica, essere bene allenati, perché occorre superare<br />

un dislivello iniziale di quasi mezzo metro. Un bambino,<br />

una persona anziana o anche semplicemente una donna<br />

con la gonna stretta non riuscirebbero nell’impresa.<br />

I nuovi popolosi e brutti quartieri delle periferie vengo-<br />

18


no chiamati «quartieri dormitorio». Ma per chi sono «dormitorio»?<br />

Solo per gli adulti lavoratori che al mattino se ne<br />

vanno e tornano la sera. I loro <strong>bambini</strong>, i loro vecchi, spesso<br />

anche le loro mogli, ci vivono, per loro quei quartieri<br />

non sono «dormitorio» ma «residenziali». E allora non ha<br />

senso caratterizzarli con quel nome quasi a giustificare<br />

l’assenza di luoghi sociali, di incontro e di svago perché<br />

«tanto ci si dorme soltanto».<br />

Il bambino come parametro<br />

Di qui la proposta: sostituire il cittadino medio, adulto, maschio<br />

e lavoratore con il bambino.<br />

Non si tratta di realizzare iniziative, opportunità, strutture<br />

nuove per i <strong>bambini</strong>, di difendere i diritti di una componente<br />

sociale debole. Non si tratta quindi di modificare,<br />

aggiornare, migliorare i servizi per l’infanzia, che rimane<br />

naturalmente un dovere importante della pubblica amministrazione.<br />

Si tratta invece di abbassare l’ottica della amministrazione<br />

fino all’altezza del bambino, per non perdere nessuno.<br />

Si tratta di accettare la diversità che il bambino porta<br />

con sé a garanzia di tutte le diversità.<br />

L’obiezione quindi di chi nota che non ci sono solo i<br />

<strong>bambini</strong> non è pertinente, perché si tratta di assumere una<br />

ottica nuova, una filosofia nuova nel valutare, programmare,<br />

progettare e modificare la <strong>città</strong>. Chi è capace di tener<br />

conto <strong>dei</strong> bisogni e <strong>dei</strong> desideri <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> non avrà<br />

difficoltà a tener conto della necessità dell’anziano, dell’handicappato,<br />

dell’extracomunitario. Perché il problema<br />

fondamentale è imparare ad accettare la diversità, e il<br />

bambino è un diverso, anzi, probabilmente, un bambino è<br />

più diverso da suo padre di quanto un adulto bianco sia diverso<br />

da un adulto nero.<br />

19


Si presume che quando la <strong>città</strong> sarà più adatta ai <strong>bambini</strong>,<br />

sarà più adatta per tutti.<br />

È una proposta concreta, che nasce da una esperienza<br />

iniziata nel 1991 dal Comune di Fano e che oggi trova l’interesse<br />

e l’adesione di molte <strong>città</strong> italiane e straniere.<br />

È una proposta che ha nel sindaco il suo referente naturale<br />

e che il sindaco garantisce e mette alla base delle<br />

scelte della sua politica di amministrazione della <strong>città</strong> 3 . È<br />

una scelta che la Giunta condivide, considerandola una verifica<br />

continua e un impegno trasversale che «contamina»<br />

l’attività di tutti gli assessorati e di tutte le scelte amministrative,<br />

da quelle urbanistiche a quelle sanitarie, da quelle<br />

del tempo libero a quelle commerciali.<br />

3 <strong>La</strong> nuova legge elettorale italiana, che permette l’elezione diretta del sindaco<br />

da parte <strong>dei</strong> cittadini, in maniera abbastanza autonoma dalla sua collocazione<br />

partitica e che gli dà il potere di nominare una propria squadra di governo<br />

della <strong>città</strong>, con un proprio programma e la possibilità di durata per l’intera<br />

legislatura, ne fa il vero rappresentante democratico della <strong>città</strong>. In questi primi<br />

anni di esperienza e in un momento così difficile per la politica italiana, sembra<br />

che siano proprio i sindaci le persone che stanno proponendo un nuovo modo<br />

di fare politica in Italia.<br />

20


Perché proprio il bambino?<br />

Perché assumere il bambino come parametro? <strong>La</strong> scelta<br />

non vuol essere né provocatoria né paradossale, ha precise<br />

motivazioni psicologiche e sociologiche, importanti<br />

precedenti storici, un alto significato morale, e anche, mi<br />

sembra, un forte peso politico.<br />

L’infanzia nella storia dell’uomo:<br />

il primato del gioco<br />

Non è vero che il bambino non sa nulla, che è una lavagna<br />

pulita su cui tutto deve essere scritto e che saranno della<br />

scuola la responsabilità e il merito <strong>dei</strong> primi e fondamentali<br />

apprendimenti. È vero invece il contrario. Nella descrizione<br />

che dello sviluppo fa la ricerca scientifica è proprio<br />

nei primi giorni, nei primi mesi e nei primi anni che lo sviluppo<br />

è più rapido, è lì, subito alla nascita che avviene l’esplosione,<br />

non intorno ai sei anni con l’inizio della cosiddetta<br />

età della ragione. Prima che un bambino entri per la<br />

prima volta in una aula scolastica, le cose più importanti sono<br />

già successe: gli apprendimenti più importanti, quelli sui<br />

quali tutta la conoscenza successiva dovrà costruirsi o sono<br />

già acquisiti o difficilmente potranno essere recuperati.<br />

Ma come si può spiegare un fenomeno così sconcertante?<br />

Nei primi anni di vita non ci sono insegnanti, non si<br />

21


usano materiali didattici e non si fanno programmi, e allora<br />

a cosa possiamo attribuire il merito di una crescita così<br />

importante? Mi pare che non abbiamo alternativa dal doverlo<br />

attribuire alla più significativa attività di questi primi<br />

anni: il gioco. Perché questa attività infantile ha un potere<br />

così grande? Il bambino vive nel gioco una esperienza rara<br />

nella vita dell’uomo, quella di confrontarsi da solo con<br />

la complessità del mondo. Lui, con tutte le sue curiosità,<br />

con tutto quello che sa e che sa fare, e con tutto quello che<br />

non sa e che desidera sapere, di fronte al mondo con tutti<br />

i suoi stimoli, le sue novità, il suo fascino. E giocare significa<br />

ritagliarsi ogni volta un pezzetto di questo mondo: un<br />

pezzetto che comprenderà un amico, degli oggetti, delle<br />

regole, uno spazio da occupare, un tempo da amministrare,<br />

<strong>dei</strong> rischi da correre. Con una libertà totale, perché<br />

quello che non si può fare si può inventare. È proprio grazie<br />

a questa complessità che nei primi anni si realizzano gli<br />

apprendimenti di gran lunga più importanti di tutta la vita<br />

dell’uomo. E nessun adulto potrà prevedere o misurare la<br />

quantità di apprendimento di un bambino che gioca e questa<br />

sarà sempre superiore a quello che noi potremo immaginare.<br />

Nessuno potrà programmare o accelerare questo<br />

processo, pena impedirlo o impoverirlo. Forse sarebbe<br />

più utile per i <strong>bambini</strong> che queste conoscenze rimanessero<br />

nascoste perché, conoscendole, potrebbe venire in<br />

mente agli adulti di aiutarli, di sostenerli con opportuni insegnamenti<br />

e materiali didattici. Verrebbe a mancare così<br />

la condizione principale di questo prodigio e cioè che gli<br />

adulti «lascino fare», «lascino giocare» i <strong>bambini</strong>. Il giocare<br />

del bambino, prima e fuori della scuola, è «perdere tempo»,<br />

è perdersi nel tempo, è incontrarsi con il mondo in un rapporto<br />

eccitante, pieno di mistero, di rischio, di avventura.<br />

E il motore è il più potente che l’uomo conosca: il piacere.<br />

È per questo che un bambino per giocare può anche<br />

dimenticarsi di mangiare. Il gioco libero e spontaneo del<br />

bambino assomiglia alle esperienze più alte e straordinarie<br />

22


dell’adulto come quelle della ricerca scientifica, della esplorazione,<br />

dell’arte, della mistica; le esperienze appunto di<br />

quando l’uomo si trova di fronte alla complessità, di quando<br />

trova di nuovo la possibilità di lasciarsi trasportare dal<br />

grande motore del piacere.<br />

Le proposte educative, pure necessarie, si muovono invece<br />

ad un livello più basso, meno stimolante e per questo<br />

meno produttivo 1 . Nella proposta educativa l’allievo<br />

viene privato dell’eccitante incontro con la complessità e<br />

del brivido di ritagliarsene autonomamente una parte. È<br />

l’adulto che propone all’allievo una porzione di quel mondo<br />

complesso, tale che l’attività richiesta produca con sicurezza<br />

e nei tempi previsti gli apprendimenti voluti. Quel<br />

pezzo di mondo perde tutto il fascino e il mistero, diventa<br />

incomprensibile, così staccato da tutto il resto, e serve solo<br />

per imparare a scuola. Per essere più sicuri del risultato<br />

gli educatori spesso sostituiscono la complessità del<br />

mondo reale con quella più controllabile della proposta didattica,<br />

dell’esercizio, del libro di testo. Il controllo è così<br />

assoluto, ma in genere il risultato è povero, quasi sempre<br />

inferiore alle aspettative e contraddittorio: mentre impara<br />

l’allievo rifiuta quello che gli insegnano, non lo fa suo, non<br />

si modifica grazie a quello. Nasce un apprendimento parallelo,<br />

che serve solo a scuola, fino all’ultimo tema in classe,<br />

fino all’ultimo concorso e poi basta. A scuola per esempio<br />

tutti sappiamo che rispetto alla terra è il sole che<br />

sta fermo e la terra gira, ma nella vita quotidiana tutti continuiamo<br />

a dire, e probabilmente continuiamo a pensare,<br />

che il sole sorge e che tramonta, quindi si muove. Questo<br />

lo dice tutti i giorni anche la televisione!<br />

<strong>La</strong> scuola, con questa sua semplificazione, con la sicurezza<br />

della sua programmazione, ha perso completamen-<br />

1 «Che pedagoghi eravamo, quando non ci curavamo della pedagogia!» scrive<br />

Pennac (1992) riferendosi all’esperienza affascinante della lettura fatta con<br />

il bambino nei primi anni a confronto della imposizione della lettura che propone<br />

la scuola.<br />

23


te il rapporto con il piacere e deve ricorrere ad un motore<br />

molto meno potente ed efficace, quello del dovere.<br />

Le <strong>città</strong> si sono dimenticate <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

L’editoriale del primo numero della rivista italiana «Urbanistica»<br />

del 1945, scritto da Lewis Mumford 2 , esamina come<br />

la <strong>città</strong> si sia dimenticata <strong>dei</strong> suoi cittadini a partire dai<br />

<strong>bambini</strong>. E Mumford inizia questo saggio citando gli scritti<br />

di Joseph K. Hart che nel 1925 sosteneva gli stessi concetti.<br />

<strong>La</strong> tesi <strong>dei</strong> due autori, ben precedenti al disastro urbanistico<br />

avvenuto nel mondo occidentale con la grande<br />

speculazione edilizia degli anni ’60-’70, si fonda sulla considerazione<br />

che le <strong>città</strong>, nel loro recente sviluppo, si sono<br />

dimenticate della maggior parte <strong>dei</strong> cittadini, <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

appunto, ma anche delle donne, <strong>dei</strong> giovani e degli anziani.<br />

Sono state pensate solo per la categoria più forte<br />

<strong>dei</strong> cittadini, quella adulta e produttiva. Di qui la proposta<br />

di ripensare la <strong>città</strong> riflettendo sulle esigenze delle varie età<br />

della vita. Alcune delle soluzioni indicate da Mumford sono<br />

ingenue o, a volte, poco condivisibili, ma è interessante<br />

che decenni fa fosse presente nel mondo della architettura<br />

e della progettazione urbanistica una così chiara<br />

consapevolezza degli errori fatti ed una così avanzata e<br />

multidisciplinare sensibilità progettuale. Nel suo articolo<br />

Mumford fa una puntuale critica della separazione fra le<br />

generazioni e fra le funzioni che la <strong>città</strong> moderna ha provocato.<br />

Critica l’uso generalizzato dell’ospedale e auspica<br />

il ritorno al parto a domicilio o in piccole case-clinica di<br />

quartiere. Indica la necessità di creare luoghi di gioco per<br />

2 Si veda l’articolo <strong>La</strong> pianificazione per le diverse fasi della vita, riprodotto<br />

in Appendice 3.<br />

24


i <strong>bambini</strong>, non convenzionali e stereotipati, ma ricchi di<br />

varietà di elementi e di nascondigli. Propone l’impegno<br />

degli adolescenti in una forma di servizio civile per la manutenzione<br />

degli spazi comuni in risposta alle prevedibili<br />

difficoltà economiche degli enti locali per la cura di giardini<br />

e parchi. Denuncia il pericolo dell’isolazionismo della<br />

grande <strong>città</strong> e rivendica, di contro, il diritto alla solitudine<br />

e al raccoglimento. Suggerisce l’uso sociale delle scuole in<br />

orario extrascolastico. Raccomanda l’inserimento degli<br />

anziani nella vita sociale, evitando la separazione e l’istituzionalizzazione.<br />

<strong>La</strong> programmazione urbana deve insomma<br />

garantire il ritorno alla scala umana: «una combinazione<br />

costantemente variabile di una moltitudine di attività<br />

associative, variabili in intensità e durata ed in continuo<br />

sviluppo, attraverso il ciclo della vita, dalla nascita alla<br />

morte». Tutto questo nel 1945!<br />

È anche significativo che la rivista «Urbanistica», nel<br />

suo primo numero del 1945, appena terminata la guerra,<br />

abbia scelto di pubblicare questo scritto. Per uscire dalla<br />

miseria, dalle macerie, dalla distruzione morale e materiale<br />

del nostro paese, si parlava <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e non delle scelte<br />

economiche o della speculazione sulle aree urbane.<br />

Questo rende ancora più grave la responsabilità di chi, nei<br />

decenni successivi, non solo non ne ha tenuto conto, ma<br />

ha accentuato con il massimo impegno la negazione <strong>dei</strong><br />

diritti <strong>dei</strong> cittadini più deboli per perseguire in modo spregiudicato<br />

e colpevole il puro e spesso personale profitto.<br />

Il bambino è solo<br />

Questo secolo, insieme a tanti altri meriti e limitatamente<br />

all’occidente ricco, può a ben diritto essere considerato il<br />

secolo del bambino. Mai come oggi i diritti fondamentali<br />

25


del minore vengono riconosciuti e difesi. Il progresso della<br />

medicina ha ormai quasi annullato il rischio di morte e<br />

di gravi traumi neonatali: i pochi <strong>bambini</strong> che nascono<br />

hanno un’alta probabilità di diventare grandi.<br />

Nel recente passato molti <strong>bambini</strong> non sopravvivevano<br />

alla nascita, molti subivano traumi irreversibili a causa di<br />

pratiche ostetriche e neonatali inadeguate. Nelle classi sociali<br />

meno abbienti, e cioè nella stragrande maggioranza<br />

della popolazione, crescevano in famiglie numerose e nella<br />

più totale promiscuità. Non tutti iniziavano la scuola elementare<br />

e quasi tutti la abbandonavano dopo pochi anni,<br />

con varie bocciature e sostanzialmente analfabeti. Per la<br />

maggior parte di loro, prima <strong>dei</strong> dieci anni iniziava l’esperienza<br />

di lavoro, come garzoni, come aiutanti. Un lavoro<br />

pesante, un orario lungo che poco tempo lasciava ai giochi<br />

infantili, spesso senza retribuzione, in cambio dell’apprendistato.<br />

Il rapporto <strong>dei</strong> genitori con il bambino, specialmente<br />

del padre e del datore di lavoro, era duro, spesso<br />

violento. Una condizione quindi difficile, certo non privilegiata.<br />

Oggi viene affermato con forza il diritto del bambino<br />

alla sua infanzia, a giocare, a frequentare la scuola, a non<br />

essere utilizzato per il lavoro. Neppure il genitore può violare<br />

questi diritti, pena la perdita della patria potestà. Il<br />

bambino non può essere offeso, non può essere picchiato,<br />

non può essere discriminato. Anche il bambino diverso,<br />

di un’altra cultura, di un’altra religione o handicappato,<br />

gode <strong>dei</strong> diritti di tutti, entra nella scuola di tutti, deve<br />

essere adeguatamente inserito. Tutto questo solo mezzo<br />

secolo fa era impensabile.<br />

Da vari decenni la ricerca psicologica si occupa in modo<br />

quasi ossessivo del mondo del bambino, delle sue pulsioni,<br />

del suo pensiero, della sua logica, della sua lingua.<br />

Si raccolgono le sue prime frasi, si studiano le sue conoscenze<br />

spontanee, si analizzano i suoi scarabocchi. I ri-<br />

26


cercatori cercano nel bambino le radici, le spiegazioni dell’uomo.<br />

Vengono pubblicati libri composti di pensieri, di scritti,<br />

di disegni <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Vengono girati film che illustrano<br />

la vita del bambino, vengono messe in onda trasmissioni<br />

televisive che hanno come unici protagonisti i <strong>bambini</strong>,<br />

con le loro risposte spesso imprevedibili, alle difficili domande<br />

degli adulti.<br />

Vengono dedicati al bambino congressi nazionali e internazionali,<br />

nel 1989 è stata approvata dalle Nazioni<br />

Unite la Convenzione internazionale <strong>dei</strong> diritti del fanciullo<br />

e l’Unesco ha dedicato quell’anno al bambino.<br />

Ma proprio in questo periodo storico il bambino è colpito<br />

da una sofferenza nuova sconosciuta ai suoi piccoli<br />

predecessori: la solitudine.<br />

<strong>La</strong> solitudine possiamo considerarla come un dono del<br />

vertiginoso progresso e del crescente benessere o, se si<br />

preferisce, un costo sociale che compensa le comodità<br />

della nostra vita di occidentali ricchi.<br />

Il bambino è solo perché sempre più spesso è figlio unico.<br />

Essere figlio unico non solo priva il bambino della<br />

compagnia <strong>dei</strong> pari all’interno della famiglia, ma lo priva<br />

anche di modelli intermedi fra se stesso e gli adulti, modelli<br />

che rendono meno ansiosi i confronti e più facili gli<br />

apprendimenti. Essere figlio unico vuol dire far fronte da<br />

solo a tutte le aspettative di due adulti, senza sconti, senza<br />

aiuti; significa essere oggetto di un investimento eccessivo<br />

da parte <strong>dei</strong> genitori, che con maggiore difficoltà riconosceranno<br />

al proprio figlio la sua autonomia, il suo bisogno<br />

e diritto di andarsene, di separarsi da loro ogni giorno<br />

di più.<br />

Prigioniero nella sua casa-fortezza. <strong>La</strong> mancanza di<br />

compagnia in casa è resa più grave dalla impossibilità di<br />

andarsela a cercare all’esterno: fuori ci sono i pericoli, che<br />

27


spingono gli adulti, non senza ragione, a proteggere il<br />

bambino impedendogli di uscire. Allora si assume l’atteggiamento<br />

di difesa di cui si parlava sopra, si «arma» la casa<br />

e vi si chiude il figlio, insegnandogli la sfiducia e il sospetto<br />

verso tutto e verso tutti. Cosa significa nascere e diventare<br />

grandi in una casa-fortezza nella più totale sfiducia<br />

degli altri e nel terrore di quello che ci circonda?<br />

Affidato ad una moderna ed efficiente baby-sitter: la televisione.<br />

Questo moderno e sempre più perfetto elettrodomestico<br />

è un corollario della solitudine del bambino.<br />

È uno <strong>dei</strong> migliori collaboratori del genitore. Comincia a<br />

creare qualche problema più tardi, quando il bambino va<br />

a scuola, perché rischia di rubare tempo ai compiti, al «lavoro»,<br />

ma nei primi anni è un grande aiuto, una vera, economica<br />

ed efficiente baby-sitter. Ma cosa succede in questo<br />

rapporto così intimo che il bambino vive con la televisione<br />

lontano dal controllo del genitore?<br />

È difficile sapere esattamente quali meccanismi conoscitivi,<br />

affettivi, sociali e fisici la costante e prolungata visione<br />

di programmi televisivi produce nei <strong>bambini</strong>. Da una<br />

parte produce certamente conoscenza. <strong>La</strong> televisione è<br />

capace di offrire servizi, programmi, documentari sempre<br />

più belli, ricchi di informazione e di fascino. Certamente<br />

oggi i nostri <strong>bambini</strong> imparano più nozioni dalla televisione<br />

che dalla scuola. Sono sempre però nozioni e conoscenze<br />

udite e viste. Le mani servono sempre di meno, il<br />

bambino non impara a fare, è quindi solo nella sua immobilità.<br />

Insieme alle trasmissioni migliori il bambino assorbe<br />

però tanti programmi di basso livello, cartoni animati violenti,<br />

mal fatti, realizzati senza scrupoli come puri prodotti<br />

commerciali, costruiti in serie, usando in maniera povera<br />

sistemi informatizzati. E poi assiste a tutte le trasmissioni<br />

pensate per gli adulti con la violenza dello spettacolo<br />

e la crudeltà della informazione.<br />

28


Sono quasi sempre programmi a cui il bambino assiste<br />

da solo, senza possibilità di dialogo, di confronto di distrazione:<br />

il bambino solo con il televisore. Le paure entrano<br />

dentro, non possono essere esorcizzate e poi saltano fuori<br />

nel mezzo della notte, con un brutto sogno, un incubo...<br />

In questo dialogo intimo e intenso (si provi ad osservare<br />

lo sguardo rapito di un bambino davanti al televisore)<br />

avviene una manipolazione molto preoccupante <strong>dei</strong> nostri<br />

<strong>bambini</strong>, della quale anche l’ente televisivo di Stato si rende<br />

complice: negli spazi dedicati ai <strong>bambini</strong> vengono trasmessi<br />

spot pubblicitari direttamente indirizzati a loro perché<br />

essi si facciano persuasori di consumi presso i loro genitori.<br />

<strong>La</strong> manipolazione è grave perché suscita nel bambino<br />

bisogni inutili, che modificheranno negativamente la<br />

sua personalità, nella continua ricerca di cose nuove, perdendo<br />

progressivamente la capacità di apprezzarle e usarle<br />

ed entrando nella logica perversa dell’usa e getta. È grave<br />

poi perché il bambino viene trasformato in un potente<br />

postulante presso i genitori, potendo far leva sul loro senso<br />

di colpa per essere così poco presenti nella vita del figlio.<br />

I genitori comprano senza rendersi conto dell’origine<br />

di quella richiesta, che viene spesso interpretata come<br />

una spontanea idea del bambino, alla quale quindi non si<br />

può dire di no.<br />

Si stanno anche studiando i danni fisici che una prolungata<br />

esposizione ai programmi televisivi produce nel<br />

bambino: danni emotivi per le forti sensazioni, rischio di<br />

obesità per il continuo mangiucchiare, ecc.<br />

Il bambino minore<br />

Il bambino vive oggi una condizione molto delicata e<br />

preoccupante. Sempre più raro all’interno della famiglia,<br />

il bambino viene ipervalutato, vezzeggiato, protetto e per<br />

29


questo sempre più separato, emarginato dal mondo degli<br />

adulti. Il bambino viene comunemente chiamato «minore»,<br />

così è definito nelle leggi, nei discorsi <strong>dei</strong> tecnici e <strong>dei</strong> politici,<br />

nei programmi delle formazioni politiche. Noi tutti<br />

siamo minori o maggiori di qualcuno, dipende dal punto<br />

di vista o dal parametro preso in considerazione, ma il<br />

bambino è «minore» sempre, per definizione. Questo significa<br />

che non gli viene riconosciuto un diritto fondamentale,<br />

il diritto al presente, all’oggi. Il bambino vale per<br />

quello che sarà, per quello che diventerà, non per quello<br />

che è, ha diritto solo al futuro. È il futuro cittadino, non un<br />

cittadino. <strong>La</strong> carriera scolastica è una precisa conferma di<br />

questo atteggiamento: ogni livello scolastico è preparatorio<br />

di quello successivo, ogni insegnante è preoccupato<br />

che gli allievi siano preparati per le esigenze del livello che<br />

segue, che siano apprezzati dai colleghi che verranno. <strong>La</strong><br />

scuola prepara al domani, prepara alla scuola, nonostante<br />

le leggi, nonostante le teorie. Non prepara invece all’oggi,<br />

alla vita; non fa tesoro del passato.<br />

Se il bambino è un minore allora è sempre a rischio e<br />

per questo va protetto e difeso. Si sta sviluppando una pericolosa<br />

politica del soccorso ai <strong>bambini</strong>, <strong>dei</strong> telefoni colorati<br />

di aiuto. Una politica che si fonda sull’enfasi della cronaca<br />

nera, del pericolo, della probabilità della violenza. Dati<br />

sempre più allarmanti, spesso non correttamente elaborati<br />

o utilizzati, vengono confermati ed enfatizzati dai pochi,<br />

ma clamorosi casi di cui parlano giornali e televisione.<br />

Questa probabilità giustifica la paura, la vigilanza continua,<br />

la segregazione <strong>dei</strong> figli da parte <strong>dei</strong> genitori. Diminuisce<br />

le autonomie, impedisce lo sviluppo di autodifese.<br />

I <strong>bambini</strong> non vanno protetti, ma «armati». Dotati cioè<br />

di strumenti, di abilità, di autonomia.<br />

Con questo non si vuol proporre di rinunciare agli strumenti<br />

di difesa di fronte alla macroviolenza che purtroppo<br />

esiste, ma di renderli efficaci: decentrati nei Comuni e<br />

quindi capaci di intervento immediato. Si vuol proporre di<br />

30


non sostenere questi strumenti con propagande allarmistiche,<br />

perché la sicurezza <strong>dei</strong> nostri <strong>bambini</strong> sarà funzione<br />

della fiducia che gli adulti sapranno riconoscere ai loro<br />

figli e non della paura e della difesa. <strong>La</strong> violenza verso i<br />

minori è quasi sempre frutto della stessa logica della chiusura,<br />

della segregazione, della difesa. Avviene nel privato,<br />

dentro le case, nei luoghi della sicurezza. E se avviene fuori<br />

di casa approfitta dell’abbandono, del disinteresse.<br />

Proviamo a parlare meno di violenza, a favorire di più<br />

il benessere, la partecipazione, la condivisione e la violenza<br />

diminuirà.<br />

Impegnamoci tutti a non usare più questo brutto aggettivo<br />

«minori» e a chiamare i <strong>bambini</strong> «<strong>bambini</strong>».<br />

Il bambino è più forte<br />

Vale la pena scommettere sul bambino perché il bambino<br />

è invece paradossalmente più forte.<br />

<strong>La</strong> proposta che si sta illustrando in questo libro è molto<br />

vicina alla proposta ambientalista: si vuole promuovere<br />

una inversione di tendenza nelle scelte politiche e negli atteggiamenti<br />

individuali per fare in modo che le nostre <strong>città</strong><br />

siano più vivibili; per garantire un mondo migliore a chi<br />

verrà dopo di noi, uno sviluppo sostenibile. Il problema<br />

della proposta ambientalista è la sua difficoltà ad essere<br />

compresa. Non sono molti quelli che possono capire cosa<br />

significa «ambiente» riconoscendogli tutto il suo spessore<br />

multidisciplinare, interdisciplinare e la sua complessità.<br />

Se poi si banalizza il concetto di ambiente in quello di<br />

piante e animali, o lo si associa solo all’inquinamento e ai<br />

rifiuti, allora diventa poco credibile e di scarso effetto: la<br />

gente purtroppo non rinuncia a qualche comoda abitudine<br />

e non modifica comportamenti ormai consolidati per<br />

salvare le piante o per tenere pulita la <strong>città</strong>.<br />

31


Proporre invece di modificare i nostri atteggiamenti e<br />

le nostre abitudini per qualcosa di concreto, comprensibile,<br />

vicino e importante come i nostri figli, i nostri nipoti,<br />

credo abbia una forza maggiore. Non so se sarà sufficiente,<br />

ma penso che sia la carta più alta che abbiamo da giocare.<br />

Il bambino è il nostro passato, un passato spesso troppo<br />

rapidamente dimenticato, ma che ci aiuterà a vivere<br />

meglio con i nostri figli e a commettere meno errori se riusciremo<br />

a tenerlo vivo in noi. Il bambino è il nostro presente,<br />

perché a lui è finalizzata la maggior parte <strong>dei</strong> nostri<br />

sforzi e <strong>dei</strong> nostri sacrifici. Il bambino è il nostro futuro, la<br />

società di domani, quello che potrà continuare o tradire le<br />

nostre scelte e le nostre aspettative. Per queste ragioni il<br />

bambino è forte, anche se oggi nascono meno <strong>bambini</strong>,<br />

anche se sembra che di loro gli adulti abbiano timore, o<br />

forse anche per questo.<br />

<strong>La</strong> posizione dell’anziano è diversa e se anche gli anziani<br />

sono sempre di più abbiamo più difficoltà ad identificarci<br />

con loro. Nessuno è già stato anziano e probabilmente<br />

nessuno desidera diventarlo. Per questo, forse, anche<br />

gli interventi che nascono con le intenzioni migliori, a<br />

favore degli anziani, finiscono per risultare assistenziali ed<br />

emarginanti.<br />

Il bambino è più forte per un’ultima e importante ragione:<br />

non è facilmente corruttibile. E questo non perché<br />

non si possano manipolare facilmente i <strong>bambini</strong>, lo sappiamo<br />

bene noi genitori che da tanto tempo usiamo i giocattoli,<br />

i premi e i castighi per «convincere» i <strong>bambini</strong> a fare<br />

quello che crediamo giusto; lo sa bene la pubblicità che<br />

punta sui <strong>bambini</strong> per costringere noi adulti a comprare.<br />

Il bambino non è corruttibile sulle scelte della <strong>città</strong> perché<br />

lui non ha partecipato al suo degrado, perché le soluzioni<br />

finora adottate per adattarsi al malessere descritto all’inizio<br />

non hanno mai tenuto conto delle sue esigenze, sono<br />

sempre state, come abbiamo già visto, soluzioni di compromesso<br />

fra adulti e per adulti, e quindi lui, il bambino,<br />

32


non ne ha beneficiato. Se quindi sceglieremo il bambino<br />

come nuovo parametro del cambiamento dovremo affrontare<br />

un cammino completamente nuovo, per il quale<br />

i vecchi equilibri, i vecchi compromessi non varranno più.<br />

«Se non diventerete come i <strong>bambini</strong>...»<br />

Infine non possiamo dimenticare la frase, pronunciata<br />

duemila anni fa da Gesù di Nazaret, che rimane una delle<br />

espressioni più misteriose, più sconcertanti e più affascinanti<br />

del Vangelo: «Se non diventerete come i <strong>bambini</strong><br />

non entrerete nel regno <strong>dei</strong> cieli» (Matteo 18, 3).<br />

Dice Gesù che occorre diventare, non tornare ad essere,<br />

come <strong>bambini</strong>. Anche in questo caso quindi non un<br />

invito a tornare indietro, ma un progetto rivoluzionario<br />

per andare avanti. Occorre diventare <strong>bambini</strong> per essere<br />

degni del regno <strong>dei</strong> cieli. Occorre quindi diventare piccoli<br />

per ottenere il massimo, la promessa, l’obiettivo della venuta<br />

del Cristo. Questo invito ad assumere i piccoli come<br />

parametro viene rafforzato dall’indicazione <strong>dei</strong> poveri come<br />

modello: «Beati i poveri...». Due categorie senza potere,<br />

senza valore, presso la società ebraica, diventano parametro<br />

di salvezza. Non solo in senso escatologico, e cioè<br />

riferito ad una vita futura, ma parametro di santità, e quindi<br />

della scelta giusta oggi, la via storica verso la felicità. Essere<br />

<strong>bambini</strong> ed essere poveri significa sapersi accontentare,<br />

saper desiderare, essere liberi. Condizioni necessarie<br />

per la felicità umana.<br />

Ma qualcosa sta cambiando<br />

Fino a pochi anni fa, quando era massima la fiducia nelle<br />

soluzioni economiche e consumistiche, nelle indicazioni<br />

33


specialistiche e particolarmente in quelle tecnologiche,<br />

una affermazione come questa, che si potesse, che si dovesse<br />

ripartire dai <strong>bambini</strong>, avrebbe suscitato sorrisi di<br />

commiserazione e la patente di visionario o pazzo per chi<br />

la proponeva. Oggi proposte radicali come questa suscitano<br />

l’attenzione di molti cittadini, di non pochi sindaci e<br />

di tutti i <strong>bambini</strong>. Si comincia ad essere stanchi della prepotenza<br />

della <strong>città</strong>, si comincia a non credere più alle sole<br />

soluzioni «ragionevoli». Si comincia a non poterne più.<br />

Si deve anche notare che, pur in maniera incoerente e<br />

incostante, compaiono da un lato segnali di rifiuto <strong>dei</strong><br />

principi di sviluppo della società come la separazione e la<br />

specializzazione e dall’altro segnali di riconoscimento della<br />

necessità di sfide a livelli più alti, che trovano quasi sempre<br />

i <strong>bambini</strong> come testimoni e punti di riferimento.<br />

Da anni le forze produttive denunciano una formazione<br />

scolastica troppo settoriale, specializzata e quindi rigida<br />

di fronte ai frequenti cambiamenti delle tecnologie e<br />

delle procedure produttive, e chiedono una formazione<br />

più creativa, più aperta, più duttile.<br />

Anche nelle modalità della produzione industriale, quella<br />

produzione che in qualche modo inventò la specializzazione<br />

più esasperata fino alla catena di montaggio, stanno<br />

apparendo segnali di revisione critica. Una grande fabbrica<br />

motociclistica italiana sta sperimentando l’affidamento<br />

dell’intero ciclo di montaggio di un ciclomotore ad<br />

un solo operaio. Un operaio che quindi si sentirà autore<br />

del prodotto, in qualche modo artigiano, con un grande<br />

vantaggio delle motivazioni e della soddisfazione.<br />

Passando alle cose nuove, che riguardano direttamente<br />

i <strong>bambini</strong>, occorre ricordare che è allo studio del Parlamento<br />

una legge quadro per un Piano d’azione nazionale<br />

per l’infanzia, che prevede la costituzione di una Commissione<br />

parlamentare e di un Osservatorio nazionale e<br />

che presso il Ministero dell’Ambiente esiste una delega dal<br />

34


titolo «<strong>La</strong> <strong>città</strong> sostenibile a misura <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e delle<br />

bambine».<br />

Per terminare, l’Associazione italiana <strong>dei</strong> giudici minorili<br />

ha inviato nel 1996 una lettera ai sindaci per chiedere<br />

loro «Un governo delle <strong>città</strong> che, non solo a parole, sia<br />

pensato a misura delle bambine e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />

35


Parte seconda<br />

Le proposte<br />

37


Un laboratorio<br />

«la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»<br />

Per la realizzazione di questo progetto, di questa nuova filosofia<br />

di governo della <strong>città</strong>, si possono seguire strade diverse.<br />

Può essere il sindaco che direttamente informa di<br />

questo spirito il suo programma, possono essere invece i<br />

cittadini, attraverso movimenti o associazioni che dal basso<br />

lo propongono e lo sostengono. Qui si descrive e in<br />

qualche modo si privilegia la prima via, seguita a Fano sin<br />

dal 1991 1 e che oggi si ripropone nelle varie <strong>città</strong> che<br />

stanno aderendo a questo progetto: quella che vede il sindaco<br />

come referente privilegiato e che prevede l’apertura<br />

di un <strong>La</strong>boratorio dedicato alla elaborazione e allo sviluppo<br />

del progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>». Il Comune che apre<br />

un tale servizio, che gli dedica personale e risorse, apre di<br />

fatto al suo interno una contraddizione forte, ma appassionante.<br />

Il <strong>La</strong>boratorio dovrà assumere una funzione prioritaria<br />

di «grillo parlante», di coscienza del sindaco e della Giunta,<br />

contestandoli ogni volta che la promessa data verrà tradita;<br />

e siccome questo avverrà frequentemente, la presenza<br />

del <strong>La</strong>boratorio diventerà scomoda. Aprire il <strong>La</strong>boratorio<br />

vuol dire quindi accettare un conflitto permanente<br />

perché il contrasto fra il bambino e l’adulto non terminerà<br />

mai, si sposterà sempre un po’ più avanti.<br />

1 Si veda la scheda n° 1: «Fano: ‘<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>’».<br />

39


Un conflitto però appassionante, stimolo di grande ricchezza<br />

e di un dibattito politico di alto livello, perché reale,<br />

concreto, lontano dal politichese televisivo. Vuol dire<br />

considerare la <strong>città</strong> come un laboratorio, un luogo di ricerca,<br />

dove si è disposti a modificare profondamente l’ottica,<br />

le prospettive, gli obiettivi.<br />

Il <strong>La</strong>boratorio avrà una funzione «educativa» nei confronti<br />

degli amministratori e <strong>dei</strong> cittadini: dovrà mettere, o<br />

ri-mettere, il bambino nella loro testa. Dovrà cioè aiutare<br />

gli adulti a riconoscere i <strong>bambini</strong>, i loro bisogni, i loro diritti;<br />

ad ascoltarli e a capirli. Impresa tutt’altro che semplice,<br />

che ha bisogno di preparazione e di grande libertà<br />

intellettuale.<br />

Il <strong>La</strong>boratorio rappresenterà per l’amministrazione comunale<br />

anche un costo, ma un costo relativo. Dovrà avere<br />

un bilancio leggero, che gli permetta di operare, se possibile<br />

senza ricorso alle sponsorizzazioni, con una certa autonomia<br />

e indipendenza, con personale e in locali comunali;<br />

di garantire le sue attività con i <strong>bambini</strong>, di far conoscere<br />

le varie iniziative, di poter avere qualche consulenza,<br />

se necessaria. Per il resto, per gli interventi di cambiamento<br />

della <strong>città</strong>, non dovrà avere risorse proprie, ma dovrà<br />

«contagiare» i vari assessorati perché si spendano i fondi<br />

del bilancio ordinario in un modo diverso, non per cose<br />

nuove, ma per realizzare quelle già previste, con un’ottica<br />

nuova. Quindi non spendere di più, ma spendere meglio.<br />

Compito del <strong>La</strong>boratorio non è diventare una struttura<br />

che opera in forma autonoma, ma sviluppare dentro<br />

l’amministrazione e con l’amministrazione una nuova filosofia<br />

di governo della <strong>città</strong>.<br />

Il pericolo che corre questa proposta è di essere accolta<br />

con grande entusiasmo, ma dallo stesso entusiasmo essere<br />

emarginata e vanificata. Un segnale preoccupante in<br />

questo senso è il frequente voto unanime con cui i Consigli<br />

comunali approvano delibere che riguardano queste<br />

40


iniziative legate ai <strong>bambini</strong>. Se tutti sono d’accordo si può<br />

presumere che ritengano che non sia una scelta coraggiosa,<br />

che intende produrre cambiamenti radicali; che non<br />

si rendano conto che tutto quello che dovremo restituire<br />

ai <strong>bambini</strong> (agli anziani, agli handicappati) dovremo toglierlo<br />

a chi finora l’ha avuto come privilegio. Che non<br />

pensino che votare l’adesione al progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>» voglia dire rallentare il traffico, ridare spazio ai<br />

pedoni, alle biciclette, ridare le piazze alla gente. E allora<br />

il timore forte è che di fronte ad una proposta a favore <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong> non si possa dire di no, ma poi, concessa questa<br />

soddisfazione ai piccoli, si riprenda il discorso serio, quello<br />

economico, quello del mercato, della competizione,<br />

quello <strong>dei</strong> grandi, là dove lo si era lasciato.<br />

<strong>La</strong> parola ai <strong>bambini</strong><br />

<strong>La</strong> prima e più importante scelta da farsi è quella di dare<br />

ai <strong>bambini</strong> un ruolo da protagonisti, dare loro la parola,<br />

permettere loro di esprimere pareri e metterci, noi adulti,<br />

nell’atteggiamento di ascolto, di desiderio di capire e di volontà<br />

di tener conto di quello che i <strong>bambini</strong> dicono. Naturalmente<br />

quello che si propone per i <strong>bambini</strong> vale per tutti<br />

i cittadini, per gli anziani, per gli handicappati, per gli<br />

extracomunitari. Di nuovo il bambino «apripista» e garante<br />

per tutti.<br />

Nessuno può rappresentare i <strong>bambini</strong> senza preoccuparsi<br />

di consultarli, di coinvolgerli, di ascoltarli. Far parlare<br />

i <strong>bambini</strong> non significa chiedere loro di risolvere i problemi<br />

della <strong>città</strong>, creati da noi, significa invece imparare a<br />

tener conto delle loro idee e delle loro proposte. Non è facile<br />

dare la parola ai <strong>bambini</strong>, né comprendere quello che<br />

dicono. Gianni Rodari parlava di un orecchio acerbo che<br />

41


gli adulti dovrebbero avere per saper ascoltare i <strong>bambini</strong> 2 .<br />

Occorre molta curiosità, attenzione, sensibilità, semplicità.<br />

Occorre essere convinti che i <strong>bambini</strong> abbiano qualcosa<br />

da dirci e da darci, che questo qualcosa sia diverso da<br />

quello che sappiamo e sappiamo fare noi adulti e che<br />

quindi valga la pena metterli in condizione di esprimere<br />

quello che pensano davvero. Per fare questo bisogna aiutare<br />

i <strong>bambini</strong> a liberarsi dagli stereotipi, dalle risposte ovvie<br />

e banali che la televisione e il cattivo esempio degli<br />

adulti, a casa, a scuola, nella <strong>città</strong>, hanno stampato dentro<br />

i loro occhi coprendo i loro desideri, la loro creatività.<br />

Bisogna riportare i <strong>bambini</strong> ad osare, a desiderare, ad inventare<br />

e allora salteranno fuori le idee, le proposte, i contributi.<br />

Poi bisogna saper capire i <strong>bambini</strong>, andando oltre<br />

l’apparente semplicità delle loro proposte. Allora queste<br />

idee ci permetteranno non solo di tener conto delle esigenze<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, ma di rendere migliore la <strong>città</strong> di tutti 3 .<br />

Perché questo sia possibile il <strong>La</strong>boratorio dovrà formare<br />

nuovi operatori capaci di animare gruppi di <strong>bambini</strong><br />

e di ragazzi nelle varie forme di partecipazione democratica<br />

alla vita della <strong>città</strong>. A titolo di esempio qui citiamo<br />

due esperienze che verranno poi documentate nelle schede<br />

della parte terza di questo libro.<br />

2 Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo / vidi salire un uomo con un orecchio<br />

acerbo. / Non era tanto giovane, anzi, era maturato / tutto, tranne l’orecchio,<br />

che acerbo era restato. / Cambiai subito posto per essergli vicino / e<br />

potermi studiare il fenomeno per benino. / Signore, gli dissi dunque, lei ha una<br />

certa età, / di quell’orecchio verde che cosa se ne fa? / Rispose gentilmente:<br />

– Dica pure che sono vecchio, / di giovane m’è rimasto soltanto quest’orecchio.<br />

/ È un orecchio bambino, mi serve per capire / le voci che i grandi non stanno<br />

mai a sentire: / ascolto quello che dicono gli alberi, gli uccelli, / le nuvole<br />

che passano, i sassi, i ruscelli, / capisco anche i <strong>bambini</strong> quando dicono cose /<br />

che ad un orecchio maturo sembrano misteriose.../ Così disse il signore con un<br />

orecchio acerbo / quel giorno, sul diretto Capranica-Viterbo (Rodari, 1979).<br />

3 A Ginevra, negli anni Ottanta, si è realizzato un programma di ristrutturazione<br />

di spazi gioco per i <strong>bambini</strong> cercando di evitare le soluzioni stereotipe<br />

e di rispondere alle reali esigenze ludiche infantili. Si è osservato che tali spazi<br />

rispondevano anche alle esigenze <strong>dei</strong> cittadini adulti e in particolare degli anziani,<br />

che volentieri li utilizzavano (Guichard, Ader, 1991).<br />

42


Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

Il <strong>La</strong>boratorio chiama un gruppo di <strong>bambini</strong> a collaborare<br />

per garantirsi il punto di vista infantile. Non si tratta di offrire<br />

ai <strong>bambini</strong> il gioco di imitare i comportamenti degli<br />

adulti in un Consiglio comunale in miniatura 4 , o una seria<br />

proposta di educazione civica, che pure sono nobili obiettivi,<br />

ma quello di dare alla <strong>città</strong> la scioccante opportunità di<br />

confrontarsi con un punto di vista e con un pensiero «altro»,<br />

diverso, come quello infantile. Un Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

quindi per cambiare la <strong>città</strong> e non per far contenti i <strong>bambini</strong>.<br />

Gli operatori del <strong>La</strong>boratorio dovranno, da un lato garantire<br />

che i <strong>bambini</strong> possano esprimersi in forma libera e<br />

autentica e dall’altro trovare le forme adeguate per dare forza<br />

ai pensieri <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, in modo che sindaco e assessori<br />

debbano sempre di più ascoltarli e tenerne conto 5 .<br />

I <strong>bambini</strong> progettisti<br />

Un secondo modo di partecipazione alla vita della <strong>città</strong> è il<br />

contributo progettuale che i <strong>bambini</strong> possono dare offrendo<br />

le loro idee, le loro proposte alla soluzione <strong>dei</strong> diversi<br />

problemi urbanistici che via via si presentano. Tempo fa il<br />

presidente dell’ordine degli architetti di una provincia italiana<br />

contestò il ruolo di progettisti che il <strong>La</strong>boratorio di Fano<br />

affida ai <strong>bambini</strong>, considerandolo improprio. <strong>La</strong> polemica<br />

non era banale e rozza, ma mirata ad approfondire<br />

una novità che stupisce e forse lascia perplesso il tecnico<br />

4 L’imitazione <strong>dei</strong> comportamenti degli adulti è sempre stata una delle basi<br />

fondamentali del gioco infantile (dalla guerra al dottore, da mamma e papà al<br />

negoziante) e quindi sono sicuro che quei <strong>bambini</strong> che vivono l’esperienza del<br />

Consiglio comunale infantile vivono una bella esperienza. Dubito invece che incidano<br />

in maniera diretta e forte nella vita della <strong>città</strong>, nella attività degli amministratori<br />

adulti. Questa era ed è invece l’unico obiettivo del progetto di cui stiamo<br />

parlando e per questo, finora, si è preferita questa forma di partecipazione<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> alle scelte della <strong>città</strong>.<br />

5 Si veda la scheda n° 2: «Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />

43


che istituzionalmente è titolare della progettazione. Questo<br />

confronto fu anche per noi motivo di riflessione e di<br />

chiarimento.<br />

Invitare i <strong>bambini</strong> a progettare spazi e strutture vere<br />

della <strong>città</strong>, con la collaborazione di tecnici come urbanisti,<br />

architetti, psicologi, ecc., non significa delegare ai <strong>bambini</strong><br />

il compito della progettazione, che sarà sempre e comunque<br />

legato ad un titolo abilitante, che renderà un adulto<br />

autore e responsabile del lavoro realizzato (non potremo<br />

denunciare un bambino per non aver previsto il drenaggio<br />

nella progettazione di un giardinetto). Significa invece<br />

aprire anche ai <strong>bambini</strong> la possibilità del contributo<br />

e della partecipazione.<br />

Oggi è frequente l’esperienza della «architettura partecipata»<br />

e cioè della partecipazione degli utenti alla definizione<br />

delle caratteristiche dell’opera commissionata al tecnico.<br />

L’architetto incaricato di realizzare un nuovo insediamento<br />

abitativo può ricevere dal Comune, suo committente,<br />

l’indicazione di consultare i destinatari della sua<br />

opera, il Consiglio di quartiere, le associazioni della zona,<br />

per conoscere le loro esigenze ed eventuali loro idee e<br />

proposte. Queste consultazioni avvengono con incontri,<br />

dibattiti, questionari. Ma se volessimo allargare ai <strong>bambini</strong><br />

questa forma di partecipazione, come potremmo fare?<br />

Come si fa a conoscere i bisogni e le idee <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>?<br />

Certo non con questionari e con dibattiti, ma, per esempio,<br />

attraverso il disegno e l’attività pratica. Il progettare<br />

è una buona tecnica per conoscere quello che pensano i<br />

<strong>bambini</strong>.<br />

Attraverso il progetto, liberandosi dagli stereotipi, lasciando<br />

libera la creatività, i <strong>bambini</strong> mettono a confronto<br />

la realtà, i loro bisogni, i loro desideri e le possibili soluzioni.<br />

<strong>La</strong> progettazione, fino alla realizzazione concreta<br />

di un plastico, chiede ai <strong>bambini</strong>, oltre alle importanti fasi<br />

della discussione e della progettazione grafica, anche operazioni<br />

concrete come il manipolare, colorare, incollare,<br />

44


nelle quali tutti i <strong>bambini</strong> sono competenti. Questo significa<br />

che la progettazione riesce a non selezionare i <strong>bambini</strong><br />

«bravi» nella espressione verbale, scritta e grafica, come<br />

spesso succede per le attività scolastiche, e questo deve<br />

farla considerare una proposta particolarmente significativa.<br />

Anche il progetto più fantasioso può aiutare un<br />

adulto attento e interessato a conoscere il pensiero infantile<br />

e attraverso questo a trovare soluzioni nuove, più belle<br />

e più giuste.<br />

Per far questo dobbiamo formare nuovi operatori capaci<br />

di lavorare con i <strong>bambini</strong>. Potranno essere architetti,<br />

urbanisti, psicologi, pedagogisti, naturalisti, sociologi, o<br />

altro che, rinunciando ciascuno alle proprie specifiche<br />

competenze, diventino bravi a fare cose nuove: aiutare i<br />

<strong>bambini</strong> ad osservare dentro di loro le insoddisfazioni e i<br />

desideri, permettere loro di liberarsi dagli stereotipi, sollecitare<br />

una voglia nuova di osare di più, di chiedere di più,<br />

liberare la creatività, la fantasia in un dialogo sempre possibile,<br />

ma mai avvilente, con la realtà, con i costi, con le<br />

leggi.<br />

Alla fine conosceremo i bisogni e i desideri <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>,<br />

che probabilmente non potranno tradursi in pratica così<br />

come loro li hanno espressi, ma potranno essere delle<br />

preziose indicazioni da dare al progettista che sarà incaricato<br />

di realizzare il progetto. Possiamo star certi che se i<br />

<strong>bambini</strong> potranno partecipare alla progettazione della<br />

<strong>città</strong>, essi la sentiranno, sia oggi, da <strong>bambini</strong>, sia domani<br />

da adulti, come «loro», la <strong>città</strong> da curare e da difendere, come<br />

facciamo tutti con la nostra casa 6 .<br />

Aprire ai <strong>bambini</strong> l’esperienza della progettazione non<br />

significa solo garantirsi le loro idee e il loro contributo, significa<br />

anche compromettersi con scelte nuove, con modifiche<br />

anche profonde nelle abitudini di una amministrazione.<br />

Mi riferisco per esempio ai tempi della burocrazia,<br />

6 Si veda la scheda n° 4: «I <strong>bambini</strong> progettisti».<br />

45


che la consuetudine fa spesso considerare necessari ed<br />

oggettivi, ma che sono in genere frutto di inerzia e di cattiva<br />

organizzazione <strong>dei</strong> servizi. Se il progetto <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

viene approvato dovrebbe voler dire che questi possono<br />

vederlo realizzato mentre sono ancora <strong>bambini</strong>, non quindi<br />

dopo tre, quattro anni, ma dopo alcuni mesi. Se ci sono<br />

delle difficoltà occorre informare i <strong>bambini</strong>, aiutarli a<br />

capire e a seguire l’iter. Negli anni dell’infanzia il tempo<br />

conta molto, si cambia rapidamente, si modificano le aspettative,<br />

i bisogni, i gusti. Se passa troppo tempo i <strong>bambini</strong><br />

perdono interesse e si formano la convinzione che i<br />

grandi sono sempre gli stessi, disponibili e rapidi a promettere<br />

e lenti a mantenere.<br />

Questo si deve evitare perché altrimenti otteniamo il risultato<br />

opposto. Meglio allora non prendere impegni: se<br />

si pensa che non potrà cambiare nulla, nelle pratiche, nelle<br />

abitudini, nei tempi, allora si riconosca con onestà che<br />

la <strong>città</strong> non può diventare <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

Credo che sia chiaro che quanto qui si è detto per i<br />

<strong>bambini</strong>, vale né più né meno per tutti i cittadini. I cittadini<br />

perdono il senso della <strong>città</strong>, <strong>dei</strong> progetti, delle promesse<br />

nel complicato itinerario burocratico, nel continuo rinvio<br />

delle responsabilità, nel prolungarsi incomprensibile<br />

<strong>dei</strong> tempi.<br />

Il bambino nella testa degli adulti<br />

Perché il bambino possa essere veramente protagonista è<br />

importante aiutare gli adulti a sviluppare una nuova sensibilità:<br />

il sindaco, la Giunta, il Consiglio comunale, i dirigenti<br />

e i tecnici del Comune debbono essere aiutati a considerare<br />

la realtà <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, le loro richieste e le lacune<br />

della <strong>città</strong> rispetto alle loro esigenze. Vale la pena lavora-<br />

46


e con i vigili urbani, con gli anziani, con i medici dell’ospedale<br />

pediatrico, con i commercianti, con tutti quegli operatori,<br />

quelle categorie sociali che possono avere un<br />

ruolo importante per aiutare i <strong>bambini</strong> a ritrovare una loro<br />

autonomia. È importante lavorare con gli insegnanti<br />

perché la scuola diventi sempre più una scuola adatta ai<br />

<strong>bambini</strong>, che i <strong>bambini</strong> possano riconoscere e amare, di<br />

cui possano essere fieri. Tutti gli sforzi dovranno naturalmente<br />

mirare a fare in modo che si modifichi l’atteggiamento<br />

di tutti gli adulti e specialmente <strong>dei</strong> genitori, per rispettare<br />

le esigenze <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Questo sarà un compito<br />

importante del <strong>La</strong>boratorio, da realizzarsi non tanto attraverso<br />

conferenze, pubblicazioni, ma attraverso iniziative<br />

concrete, proposte, attività 7 .<br />

7 Si vedano le schede n° 6: «I seminari di Giunta» e n° 7: «Il vigile ‘amico <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>’».<br />

47


Che i <strong>bambini</strong><br />

possano uscire da soli di casa<br />

Torniamo alla proposta: assumere il bambino come parametro<br />

per la trasformazione delle nostre <strong>città</strong>. Volendo<br />

procedere da questa affermazione generale in senso operativo<br />

occorre fare una importante precisazione. <strong>La</strong> condizione<br />

dell’infanzia nel mondo è fortemente differenziata<br />

e oscilla fra due estremi. Da un lato la condizione <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

occidentali, ricchi, metropolitani o comunque cittadini,<br />

che è quella descritta sopra e che arriva alla situazione<br />

patologica della solitudine. Dall’altro la condizione di abbandono<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> delle società povere, del sud del<br />

mondo, delle grandi metropoli del Sudamerica. Una condizione<br />

che porta i <strong>bambini</strong> a vivere da soli, subendo violenze<br />

da parte degli adulti che vedono in loro un pericolo<br />

o anche solo un disturbo. Una situazione di debolezza e di<br />

impotenza che porta i <strong>bambini</strong> ad essere sfruttati per lavori<br />

inadatti, per manovalanza non punibile dalla delinquenza<br />

organizzata, per traffici sessuali e perfino per l’espianto<br />

di organi. Le due condizioni hanno in comune lo<br />

svantaggio del bambino nelle rispettive società e confermano<br />

la correttezza della proposta di ripartire proprio dal<br />

bambino per ricostruire società più giuste, più umane, più<br />

adatte per tutti. Ma certamente le due situazioni richiedono<br />

valutazioni e soluzioni radicalmente diverse.<br />

Non si azzardano in queste pagine possibili soluzioni<br />

applicabili nei paesi del sud del mondo, che richiedono co-<br />

49


noscenze e competenze sconosciute a chi scrive. Si spera<br />

che altri riprendano questo stimolo studiandone adeguate<br />

applicazioni a quelle condizioni 1 . Si prosegue invece descrivendo<br />

le concrete possibili applicazioni della proposta<br />

nelle nostre <strong>città</strong> del mondo occidentale, ricche e consumistiche.<br />

Va però detto che anche questa condizione privilegiata<br />

contiene una grande variabilità di condizioni che<br />

va dal paese e dalla piccola <strong>città</strong> dove gli effetti della paura<br />

sono ancora poco presenti, alla grande <strong>città</strong> dove la solitudine<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> è quasi totale, alle grandi periferie più<br />

degradate dove anche nel nostro occidente si trovano situazioni<br />

simili a quelle del terzo mondo, con <strong>bambini</strong> che<br />

vivono in strada in situazione di abbandono 2 .<br />

Quale verifica di una corretta applicazione di questa<br />

nuova filosofia del governo della <strong>città</strong> si indica un obiettivo<br />

concreto, apparentemente piccolo e semplice: che i<br />

<strong>bambini</strong> possano uscire da soli di casa.<br />

Perché è così importante uscire di casa?<br />

Per persone come chi scrive, che hanno avuto la possibilità,<br />

probabilmente la fortuna, di vivere la propria infanzia<br />

prevalentemente fuori casa, fra le macerie delle case bombardate<br />

dalla guerra, nei vicoli della <strong>città</strong>, nelle capanne<br />

1 In più occasioni, e in particolare durante la sessione del Tribunale internazionale<br />

<strong>dei</strong> popoli, tenuta a Napoli nel 1995, e in conferenze tenute negli ultimi<br />

anni in Sudamerica, ho avuto l’opportunità di verificare l’attenta accoglienza<br />

del progetto generale che qui si propone, e cioè di assumere il bambino<br />

come parametro di cambiamento, da parte di rappresentanti di paesi del sud<br />

del mondo, anche se occorre lavorare per trarre da quello applicazioni volta per<br />

volta adeguate alle specifiche necessità di ogni realtà sociale.<br />

2 In questo libro si è affrontato il tema, limitatamente alla realtà italiana e in<br />

particolare a quella <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> di strada del centro storico di Palermo. Si veda<br />

il paragrafo della parte seconda: «<strong>La</strong> strada, un luogo di tutti» e la scheda n° 19:<br />

«Un giardino di pietra».<br />

50


degli attrezzi agricoli <strong>dei</strong> nonni, è forte la tentazione di dire:<br />

«che i <strong>bambini</strong> possano di nuovo uscire da soli di casa».<br />

Siamo invece consapevoli di quanto questo atteggiamento<br />

nostalgico sia scorretto. Le condizioni in cui crescono<br />

oggi i nostri <strong>bambini</strong> sono assolutamente inedite,<br />

senza possibili confronti con quelle della nostra infanzia.<br />

E non sono nuove solo perché si è perso il senso di vicinato,<br />

la solidarietà, la sicurezza, ma principalmente perché<br />

le relazioni sociali sono diventate enormemente più<br />

complesse, le distanze più ampie. È difficile conoscersi, è<br />

difficile scendere dagli appartamenti <strong>dei</strong> piani più alti, è<br />

pericoloso attraversare le strade, ecc. <strong>La</strong> <strong>città</strong>, tuttavia, è<br />

diventata anche più ricca, più articolata e, se vogliamo,<br />

più affascinante.<br />

D’altra parte uscire di casa, percorrere le strade da solo,<br />

conoscere il suo ambiente è una esigenza importante<br />

nella crescita non solo sociale, ma anche cognitiva, del<br />

bambino. Andare a piedi, passeggiare è per noi adulti un<br />

piacere, un regalo che ogni tanto ci facciamo, ma per i<br />

<strong>bambini</strong> è una necessità. I nostri spostamenti sono sempre<br />

più spesso <strong>dei</strong> trasferimenti, passaggi da punto a punto,<br />

finalizzati ad un obiettivo, quindi proiettati al futuro, legati<br />

ad una funzione. Distratti da queste preoccupazioni<br />

cerchiamo di raggiungere nel tempo più breve possibile il<br />

luogo di destinazione 3 . I <strong>bambini</strong> si comportano in maniera<br />

completamente diversa. Essi vivono i loro spostamenti<br />

come una successione di momenti presenti, ciascuno<br />

importante di per sé, ciascuno degno di una sosta, di<br />

una meraviglia, di un contatto. E allora i tempi si allungano,<br />

le tasche <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> si riempiono di sassi, di foglie,<br />

di carte e la mente si riempie di immagini, di domande, di<br />

nuove scoperte. E tutto sta insieme, il bello, il nuovo, il ge-<br />

3 Un esempio efficace di questi spostamenti adulti è la metropolitana: un<br />

tubo nero fra due stazioni. Il tragitto, il percorso, è scomparso, rimangono solo<br />

un punto di partenza e un punto di arrivo. Il tempo di trasferimento è tempo<br />

perso e quindi deve essere il più breve possibile.<br />

51


nerale e il particolare. E questo è spesso causa di incomprensione<br />

con i grandi che raccomandano stupidamente:<br />

«Non ti fermare ogni momento!», «Non perdere tempo!»<br />

senza rendersi conto che è proprio nel tempo perso che<br />

si diventa grandi 4 .<br />

Il guaio è che la possibilità di uscire <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, la loro<br />

autonomia è inversamente proporzionale alla nostra: più<br />

noi adulti ci muoviamo in macchina, più allarghiamo il<br />

nostro raggio di movimento e più creiamo pericolo, intasiamo<br />

spazi, inquiniamo l’aria, aumentando le difficoltà di<br />

autonomia <strong>dei</strong> nostri figli. E quando i <strong>bambini</strong> si muovono,<br />

sempre più frequentemente si muovono con noi, dentro la<br />

nostra macchina, nel sedile posteriore. Questo significa che<br />

il bambino non riesce a vedere la <strong>città</strong>, non riesce a notare<br />

le sue caratteristiche, passa velocemente, non può rispondere<br />

ai continui bisogni di presente, di curiosità, di sosta. È<br />

trascinato da noi in un innaturale spostamento finalizzato<br />

ad una meta. In questo strano modo di muoversi non riesce<br />

a fissare niente, a organizzare il suo spazio, a costruirsi<br />

la sua <strong>città</strong>. Spesso i <strong>bambini</strong> di oggi crescono con problemi<br />

di organizzazione spaziale e con una bassissima conoscenza<br />

della loro <strong>città</strong>, del loro quartiere, della loro zona.<br />

Vivere esperienze proprie<br />

Già si è detto della importanza del gioco libero nello sviluppo<br />

dell’uomo. E gioco libero implica autonomia, ritro-<br />

4 In una bella esperienza sulla organizzazione spaziale <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> più piccoli,<br />

gli educatori di un nido di Reggio Emilia uscivano uno per volta, con un bambino<br />

per mano, e si facevano guidare a casa. Una educatrice mi raccontava che<br />

un bambino, arrivato ad un incrocio, aveva girato a sinistra e lei gli aveva chiesto<br />

di spiegarle come faceva a sapere che era ora di girare. Il bambino con un<br />

certo stupore e dopo averci pensato un po’ rispose indicando la strada: «Non vedi<br />

che c’è quel pezzo di carta?». Questo significa che il bambino sapeva dove girare,<br />

ma non aveva <strong>dei</strong> punti di riferimento, probabilmente utilizzava un insieme<br />

di informazioni che sommate dicevano: «È ora di girare». Di fronte alla domanda<br />

dell’adulto, non potendo spiegare tutto questo, ha preferito dare una risposta corrispondente<br />

all’attesa, utilizzando il primo indizio che gli capitava davanti.<br />

52


varsi da soli, liberi da controlli, con la possibilità di rischiare<br />

in proprio, per provare la soddisfazione <strong>dei</strong> problemi<br />

risolti, delle difficoltà superate.<br />

Una volta il tempo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> era diviso chiaramente<br />

fra quello formale, del dovere, che era quello della scuola,<br />

<strong>dei</strong> compiti, del catechismo; e quello informale, del piacere,<br />

che era quello del gioco: il «tempo libero». Questo tempo<br />

era amministrato in modo autonomo dal bambino e, se<br />

non violava alcune regole sociali, poteva allontanarsi da<br />

casa, incontrarsi con chi voleva, per fare i giochi che preferiva.<br />

Era il tempo delle esperienze personali, quelle che<br />

portavano le bambine e soprattutto i <strong>bambini</strong> ad esplorare<br />

l’ambiente circostante, a conoscerne i segreti, spiando<br />

la vita degli animali e delle piante, sperimentando i diversi<br />

climi, le caratteristiche <strong>dei</strong> diversi materiali naturali.<br />

Oggi il tempo libero <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> è scomparso. I pericoli<br />

in agguato fuori della porta di casa sconsigliano di lasciare<br />

che i <strong>bambini</strong> escano da soli e le migliori condizioni economiche<br />

permettono di regalare ai figli l’iscrizione alle tante<br />

scuole pomeridiane: la piscina, la chitarra, l’inglese, la<br />

danza, la palestra... «Dovresti essere riconoscente, oggi tu<br />

puoi conoscere tante cose che noi da piccoli non sognavamo<br />

nemmeno!» diciamo ai nostri figli. Naturalmente i<br />

genitori più aperti fanno scegliere ai figli quali scuole pomeridiane<br />

frequentare, così l’eventuale successiva stanchezza<br />

o volontà di smettere, possono essere contestate,<br />

oltre che dai motivi economici, anche dai nobili motivi dell’impegno<br />

e della coerenza: «L’hai scelto tu». Praticamente<br />

un ricatto. Se sommiamo i due rientri pomeridiani a<br />

scuola previsti dai moduli, la probabile lezione di catechismo,<br />

due o tre attività «volontarie» e i compiti, i pomeriggi<br />

del bambino sono tutti compromessi. Rimane una fascia di<br />

un’oretta prima di cena e questa di solito se la prende la televisione.<br />

Contemporaneamente le madri si sono trasformate in<br />

taxiste e passano il loro pomeriggio accompagnando i fi-<br />

53


gli e aspettandoli fuori della palestra, della piscina, della<br />

parrocchia. E nella <strong>città</strong> della incomunicabilità si formano<br />

i nuovi microgruppi sociali delle madri che aspettano; così<br />

come per i mariti si forma il gruppo di quelli che portano<br />

fuori il cane la mattina presto o la sera tardi.<br />

Una riflessione curiosa e preoccupante: se l’organizzazione<br />

del lavoro proseguirà con le tendenze attuali, gli orari<br />

di lavoro tenderanno a diminuire sempre di più. I nostri<br />

<strong>bambini</strong> di oggi saranno domani lavoratori con molto più<br />

tempo libero rispetto a quanto ne abbiamo noi oggi, ma<br />

saranno stati <strong>bambini</strong> senza tempo libero e quindi probabilmente<br />

incapaci di utilizzarlo, di approfittarne. Temo che<br />

questa potrà diventare una ennesima chance in mano alla<br />

produzione commerciale che offrirà idee, strumenti,<br />

manuali, animatori per il tempo libero, così come oggi ne<br />

offre per il gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> per i loro compleanni, per<br />

le vacanze della famiglia...<br />

<strong>La</strong> scuola, almeno così indicavano i buoni pedagogisti<br />

e i buoni maestri, doveva essere il luogo dove le esperienze<br />

personali degli allievi si confrontavano, si elaboravano<br />

fino a giungere insieme, allievi e insegnanti, a nuove conoscenze.<br />

Questo è il significato di esperienze didattiche<br />

importanti come il «testo libero» e il «testo collettivo» 5 .<br />

5 Ci si riferisce alla proposta del «testo libero» di Celestin Freinet portata in<br />

Italia dal Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) e del «testo collettivo».<br />

Per testo libero si intende la redazione assolutamente volontaria di un breve testo<br />

che documenti un evento, una esperienza che l’allievo ha vissuto fuori della<br />

scuola e che ritiene possa interessare i suoi compagni. Ogni giorno, in classe,<br />

si riserva un tempo per la lettura, la discussione e la elaborazione collettiva <strong>dei</strong><br />

testi liberi, i migliori <strong>dei</strong> quali entrano poi nel giornalino scolastico. Vale la pena<br />

notare la profonda differenza di questa proposta rispetto a quella, purtroppo<br />

non ancora scomparsa, <strong>dei</strong> «pensierini». In questo caso si chiede agli allievi<br />

di scrivere non importa cosa (per esempio dieci pensierini sulla primavera, sulla<br />

mamma o addirittura a piacere), per nessuno (sarebbe assurdo leggere in classe<br />

200-250 frasi banali), purché corretto; esattamente contro ogni principio<br />

della comunicazione. Per testo collettivo si intende la somma <strong>dei</strong> contributi personali<br />

per raggiungere collettivamente un risultato più alto e più complesso che<br />

non è più di qualcuno, ma di tutti. Così nasce Lettera a una professoressa<br />

54


Queste opinioni, assolutamente minoritarie ai tempi<br />

degli autori di queste proposte, sono state oggi quasi completamente<br />

assorbite dalla nostra scuola, almeno a livello<br />

ufficiale, essendo state inserite nei nuovi programmi. Ma<br />

se i <strong>bambini</strong> vivono solo esperienze collettive, organizzate<br />

e controllate da adulti, nelle tante scuole che frequentano<br />

e se il restante tempo viene assorbito dalla televisione,<br />

su quali esperienze può lavorare la scuola? A partire<br />

da quali conoscenze personali potrà muovere l’attività<br />

scolastica? Spesso la scuola, consapevole di questa deficienza,<br />

propone essa stessa delle esperienze, come visite<br />

esterne, attività pratiche, per poterci poi lavorare. Ma è<br />

forte il sospetto che si crei solo un circolo vizioso.<br />

Si sente dire spesso che i <strong>bambini</strong> di oggi non raccontano<br />

niente. Forse perché non hanno niente da raccontare,<br />

perché gli adulti che li accompagnano e li vigilano perennemente<br />

sanno già tutto! È importante allora che il<br />

bambino, fin dai primi anni, possa uscire da solo, assumendosi<br />

il rischio e il piacere di abbandonare le sicurezze<br />

domestiche; scendere in strada, cercare un compagno,<br />

giocare con lui accordandosi sul gioco e sulle regole, o<br />

sperimentando con lui la natura, gli oggetti, facendo i conti<br />

con i comportamenti <strong>dei</strong> grandi; correre insieme rischi<br />

proporzionati alle proprie forze, superando ostacoli, affrontando<br />

e risolvendo conflitti; tornare a casa stanchi,<br />

forse sporchi, eccitati, con una gran voglia di raccontare<br />

quello che i genitori non possono sapere. Questa esperienza,<br />

di cui non sfuggirà la complessità da tutti i punti di<br />

vista, che dovrebbe essere vissuta da tutti i nostri <strong>bambini</strong><br />

a partire dai tre, quattro anni, è oggi possibile, forse per<br />

un bambino dopo i dieci anni e per una bambina ancora<br />

più tardi, quando il periodo della grande crescita cogniti-<br />

(Scuola di Barbiana, 1967) e vari lavori all’interno del MCE, per esempio <strong>La</strong><br />

mongolfiera, romanzo scritto in due anni dalla classe di scuola elementare di<br />

Mario Lodi (1972).<br />

55


va e sociale è abbondantemente concluso. Che conseguenze<br />

porterà questo ritardo nel bambino?<br />

Gli incidenti domestici<br />

Un’altra drammatica contraddizione è quella degli incidenti.<br />

Noi chiudiamo i nostri figli in casa per difenderli, eppure<br />

la casa è il luogo di gran lunga più pericoloso per loro.<br />

Per incidenti domestici muoiono più persone che per<br />

incidenti stradali. E chi ne soffre di più sono gli anziani e<br />

i <strong>bambini</strong>. Eppure le case di oggi sono più sicure di quelle<br />

di ieri e ogni anno aumentano le garanzie, le norme di<br />

sicurezza, gli obblighi per i costruttori.<br />

Una volta i fili elettrici erano esterni, si bolliva l’acqua<br />

spesso e in grandi quantità, anche per lavare e lavarsi, i<br />

pavimenti erano spesso sconnessi, le scale ripide, ecc.<br />

Oggi questi pericoli non ci sono più, ma gli incidenti aumentano.<br />

Il fatto è che una volta si stava in casa lo stretto indispensabile,<br />

per mangiare, dormire, fare i compiti, a volte<br />

per dare una mano alla mamma e i rischi, semmai, li si andava<br />

a cercare fuori. Oggi si rimane troppo tempo a casa.<br />

Il bambino deve restarci anche quando non ha più nulla<br />

da fare, allora si annoia e un bambino annoiato è un<br />

bambino a rischio! Non c’è sicurezza che tenga di fronte<br />

al bisogno di scoprire, di fare, di giocare. Per ridare un po’<br />

di interesse alle solite stanze dove passa troppo tempo<br />

non potrà resistere alla tentazione di infilare due pezzetti<br />

di fil di ferro dentro i due affascinanti buchini della presa<br />

della corrente o di smontare la presa, o di mettere in moto<br />

il tritatutto o di aprire il rubinetto del gas. Se metteremo<br />

alcolici, detersivi e medicine fuori dalla portata <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>, come sempre ci raccomandano, e li metteremo<br />

ad esempio più in alto, otterremo due risultati negativi:<br />

56


primo che noi vivremo più scomodamente e secondo che<br />

il bambino dovrà sommare al pericolo <strong>dei</strong> prodotti quello<br />

dell’arrampicarsi su una seggiola messa sopra il tavolino;<br />

perché alle bottiglie ci arriverà comunque. E sono sempre<br />

pericoli subdoli, incontrollabili. D’altra parte il giorno che<br />

un bambino smetterà di cercare e di rischiare sarà per lui<br />

un gran brutto giorno!<br />

Oggi si stanno promuovendo, anche a livello internazionale,<br />

programmi di studio sulla sicurezza domestica. Mi<br />

dichiaro in assoluto contrasto con tali progetti, se servono<br />

a dare a noi adulti la tranquillità di poter lasciare i nostri<br />

<strong>bambini</strong> da soli in casa anche per tempi maggiori. E d’altra<br />

parte più la casa sarà sicura e più sarà pericolosa, perché<br />

il pericolo non sarà né previsto, né prevedibile e quindi<br />

non sarà controllabile. Se vogliamo veramente bene ai<br />

nostri figli dovremo cominciare a difenderli dalle case! Bisogna<br />

far in modo che i <strong>bambini</strong> non siano costretti a stare<br />

in casa più del necessario, che possano uscire, che possano<br />

rischiare per imparare a difendersi dai pericoli. Il rischio<br />

è una componente necessaria dello sviluppo: sbucciarsi<br />

un ginocchio, sfuggire ad un agguato degli amici,<br />

correre, saltare, arrampicarsi, ma anche fare attenzione<br />

ad un’auto che arriva imparando a valutare il rapporto fra<br />

velocità e distanza, sono rischi sani, che un bambino può<br />

controllare, che lo aiutano a crescere.<br />

Di fronte all’ossessiva protezione nei confronti del<br />

bambino, sorge un dubbio drammatico: che tutti i rischi di<br />

cui il bambino aveva via via bisogno e che non ha potuto<br />

correre, in qualche modo si sommino, fino a diventare una<br />

urgenza insopportabile, che esplode nell’adolescenza,<br />

quando il ragazzo può decidere da solo, e allora gioca con<br />

la morte. Potrebbe essere questa una interpretazione <strong>dei</strong><br />

giochi suicidi <strong>dei</strong> giovani, come la roulette russa, l’attraversamento<br />

degli incroci in velocità, lo stendersi di notte<br />

sulla linea di mezzeria delle strade...<br />

57


L’insolubile conflitto con la televisione<br />

Tutti sono convinti che troppa televisione faccia male e<br />

nessuno sa come fare in modo che i <strong>bambini</strong> non ne abusino.<br />

<strong>La</strong> strada più battuta è quella della regolamentazione<br />

rigida tipo: «Solo un’ora al giorno», «Solo un cartone e<br />

una trasmissione», «Se la vedi adesso dopo non puoi vedere<br />

la tua trasmissione preferita» e così via. Sono regole<br />

sagge, ma che i <strong>bambini</strong> non possono capire, perché<br />

spesso debbono spegnere la televisione per non fare nulla.<br />

Significa vivere un continuo conflitto con i propri figli<br />

e questo i genitori preferiscono evitarlo per non compromettere<br />

il poco tempo che passano con loro. Abbiamo<br />

un’altra soluzione, molto più semplice, molto meno conflittuale,<br />

che ci suggeriscono gli stessi <strong>bambini</strong>. Da tutte le<br />

ricerche anche recentissime sia straniere che italiane risulta<br />

che la stragrande maggioranza <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> pone al<br />

primo posto <strong>dei</strong> propri desideri il giocare con gli amici. <strong>La</strong><br />

televisione viene in genere al secondo posto, con grandissimo<br />

distacco 6 . Basta quindi accontentarli anche in<br />

questo caso, come facciamo tanto spesso per i loro capricci<br />

più sciocchi e diseducativi. È sufficiente fare in modo<br />

che i <strong>bambini</strong> possano uscire, incontrarsi e giocare insieme<br />

e avremmo risolto anche questo grave problema<br />

educativo.<br />

Anche per la televisione, come per la casa, si fa un gran<br />

parlare di nuove soluzioni per una migliore programmazione<br />

per i <strong>bambini</strong>. Di nuovo e con forza confermo il mio<br />

dissenso. Non voglio una televisione migliore se questo<br />

potrà autorizzare i genitori a lasciare ancora più tempo i<br />

propri figli in braccio a questa comoda baby sitter, essendo<br />

sicuri che vedranno solo buoni programmi. Facciamo<br />

in modo invece che i <strong>bambini</strong> possano trascorrere il loro<br />

58<br />

6 Oliverio Ferraris (1995).


tempo libero giocando con i loro amici fuori di casa e allora<br />

sì che ci sarà concorrenza e varrà la pena lavorare per<br />

una buona televisione per ragazzi. Che possa succedere<br />

che fra amici che stanno giocando liberamente si dica:<br />

«Oggi è giovedì, sono le cinque, torniamo a casa a vedere<br />

quella trasmissione, perché ne vale la pena!».<br />

Bambine e <strong>bambini</strong><br />

Per ragioni assolutamente non di principio, ma semplicemente<br />

pratiche e di consolidata abitudine, quando scrivo<br />

non riesco ad utilizzare le due forme maschile e femminile,<br />

quindi bambina e bambino, oppure il terribile bambina/o.<br />

Ho sempre avuto la sensazione che sia estremamente<br />

scomodo leggere un testo così scritto, mentre lo<br />

trovo accettabile in documenti, manifesti, testi di legge.<br />

Spero non sia un’ultima resistenza maschilista. Ho anche<br />

pensato di ricorrere a forme neutre come infanzia o creatura,<br />

ma sono sempre tornato, senza grandi sensi di colpa,<br />

al termine «bambino» così concreto e familiare, rifiutando<br />

invece sempre il termine «fanciullo» che tanto piace,<br />

o per lo meno piaceva, al nostro Ministero della Pubblica<br />

Istruzione 7 .<br />

Detto questo non per scusarmi, ma almeno a titolo di<br />

chiarimento, debbo però riconoscere e mettere in eviden-<br />

7 Quando disegno (firmandomi come FRATO), se debbo inventare un marchio<br />

nel quale compaiano i miei personaggi e per ragioni di sintesi, di rappresentazione<br />

emblematica, non posso rappresentare un bambino e una bambina,<br />

spesso ho optato per una bambina. Una bambina figura per esempio nel marchio<br />

del Reparto di Psicopedagogia del CNR, una bambina nel marchio del <strong>La</strong>boratorio<br />

«Fano la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>», in quello di Palermo e in altri ancora. Questa<br />

libertà è consentita dal linguaggio grafico (mai nessuno mi ha chiesto «Come<br />

mai c’è solo una bambina e non un bambino?»), ma non dal linguaggio verbale<br />

e ancora meno da quello scritto. Se avessi intitolato il libro «<strong>La</strong> <strong>città</strong> delle<br />

bambine» tutti avrebbero pensato ad una proposta specifica per i <strong>bambini</strong> di sesso<br />

femminile e non per tutti.<br />

59


za che il problema esiste e non è di facile soluzione. Quando<br />

diciamo che i <strong>bambini</strong> debbono poter uscire da soli di<br />

casa dobbiamo essere ben consapevoli che intendiamo le<br />

bambine e i <strong>bambini</strong>, e che quando saremo riusciti a far<br />

passare il principio che è importante e giusto che i <strong>bambini</strong><br />

escano, non è ancora certo che questo sia accettato<br />

anche per le bambine. Occorre molta vigilanza, proposte<br />

adeguate e spesso creative. Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> del <strong>La</strong>boratorio<br />

di Fano, per esempio, è formato in maniera rigorosamente<br />

paritetica dovendo ogni scuola esprimere<br />

due rappresentanti, una bambina e un bambino.<br />

Ma evidentemente queste sono le cose più facili da ottenere,<br />

più difficile è garantire una effettiva uguale autonomia<br />

ai <strong>bambini</strong> <strong>dei</strong> due sessi. Fare in modo che un genitore<br />

possa nello stesso modo, e con la stessa fiducia,<br />

permettere alla figlia o al figlio di uscire di casa per incontrarsi<br />

con gli amici.<br />

Il bambino come indicatore ambientale<br />

Gli ambientalisti utilizzano gli indicatori ambientali, cioè<br />

quei fenomeni, quegli organismi, che ci aiutano a verificare<br />

la salute o il degrado del nostro ambiente. I licheni<br />

per esempio modificano le loro caratteristiche se l’ambiente<br />

si inquina, le lucciole non tornano, così pure le rondini,<br />

e così via. Per la <strong>città</strong> il bambino può essere considerato<br />

come un sensibile indicatore ambientale: se nella<br />

<strong>città</strong> si incontrano <strong>bambini</strong>, che giocano, che passeggiano,<br />

da soli, significa che la <strong>città</strong> è sana; se nella <strong>città</strong> non<br />

si incontrano <strong>bambini</strong> significa che la <strong>città</strong> è malata.<br />

Una <strong>città</strong> dove i <strong>bambini</strong> stanno per strada è una <strong>città</strong><br />

sicura, non solo per loro, ma anche per gli anziani, per gli<br />

handicappati e per tutti i cittadini. <strong>La</strong> loro presenza rap-<br />

60


presenta un incoraggiamento agli altri <strong>bambini</strong> a scendere<br />

e un deterrente per le macchine e per gli altri pericoli<br />

esterni. <strong>La</strong> strada deserta è invece pericolosa per il bambino<br />

che la attraversa, perché l’automobilista non se lo<br />

aspetta, non lo prevede; è pericolosa per tutti perché invita<br />

al crimine e lo rende sicuro.<br />

Ma perché sia possibile ai <strong>bambini</strong> uscire da soli di casa<br />

occorre cambiare la <strong>città</strong>, completamente, anche se<br />

gradualmente. <strong>La</strong> <strong>città</strong>, cresciuta adottando selvaggiamente<br />

la scelta della difesa, deve essere capace di fare<br />

scelte alternative, di apertura alla vita, di apertura al futuro.<br />

Occorre quindi operare su vari livelli e in varie direzioni.<br />

Rinegoziare<br />

il rapporto di potere fra l’auto e il cittadino<br />

In molti paesi del nord Europa e del nord America si stanno<br />

spendendo notevoli quantità di denaro in favore <strong>dei</strong> rospi.<br />

Sì, proprio <strong>dei</strong> rospi. Le autostrade sono delle barriere<br />

insormontabili che dividono fatalmente i loro territori.<br />

Così i poveri rospi non possono più passare dagli ambienti<br />

acquatici della riproduzione a quelli umidi della loro vita<br />

abituale, oppure, se le maglie delle reti di recinzione permettono<br />

di passare, sono costretti ad attraversare le autostrade<br />

con una percentuale bassissima di successo. Allora<br />

si è levato un grido di protesta e le società che costruivano<br />

o gestivano le autostrade sono state costrette ad aprire<br />

<strong>dei</strong> tunnel di collegamento fra i due lati dell’autostrada<br />

ogni tanti metri. Naturalmente questo ha un costo molto<br />

elevato, ma salva la vita a tanti rospi e permette loro di<br />

percorrere il territorio. Sono solidale con i rospi e sono totalmente<br />

d’accordo con questi interventi a loro tutela. Vor-<br />

61


ei solo che la stessa attenzione e la stessa sensibilità venissero<br />

dedicate anche ai <strong>bambini</strong>. Anche il loro territorio<br />

è tagliato da strade sulle quali i diritti delle automobili sono<br />

dominanti. Attraversarle è pericoloso, i genitori sono<br />

preoccupati e impediscono ai loro <strong>bambini</strong> di percorrerle<br />

da soli. Così i <strong>bambini</strong> non possono raggiungere i loro<br />

amici e insieme con loro i posti dove giocare: il cortile, il<br />

campetto, lo stradone.<br />

<strong>La</strong> barriera fisica diventa una barriera psicologica e cognitiva,<br />

limita il campo del bambino, ne limita lo sviluppo<br />

spaziale ed affettivo. È un po’ come se al bambino venisse<br />

tolta una metà <strong>dei</strong> suoi giocattoli, oscurata una metà del<br />

televisore, strappata una metà del libro di testo 8 .<br />

Nella <strong>città</strong> di oggi un percorso a piedi è una avventura:<br />

marciapiedi occupati da auto in sosta o da esercizi<br />

commerciali, traffico caotico, non rispetto della precedenza<br />

<strong>dei</strong> pedoni sulle strisce pedonali. Se per tutti è difficile<br />

lo è ancora di più per i cittadini più deboli come gli<br />

anziani, gli handicappati, i <strong>bambini</strong>. In queste condizioni<br />

l’uso della macchina, considerata un guscio di protezione,<br />

è quasi un atto di autodifesa, con le conseguenze note:<br />

congestione del traffico, trasformazione del suolo pubblico<br />

in spazio privato, inquinamento dell’aria, inquinamento<br />

acustico, vibrazioni che mettono in pericolo i monumenti.<br />

Consideriamo alcune macchine in sosta ai due lati di<br />

una strada e poniamo che la macchina A sia parcheggiata<br />

a sinistra in seconda fila, mentre la macchina B sia parcheggiata<br />

a destra, di traverso, salendo sul marciapiedi, fino<br />

a rendere difficile o impossibile il passaggio <strong>dei</strong> pedoni.<br />

Se arriva l’autogrù della polizia municipale la probabilità<br />

di gran lunga più alta è che si porti via la macchina A<br />

8 Interessante lo studio delle ricadute sullo sviluppo socio-cognitivo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

provocate dalle barriere urbanistiche costituite dagli attraversamenti pericolosi<br />

(Bonanomi, 1994).<br />

62


e non è escluso che la macchina B possa cavarsela senza<br />

neppure una multa. Cosa significa questo? Che si interviene<br />

con decisione e mano pesante se la sosta disturba<br />

il movimento delle auto, che si è tolleranti se ad essere<br />

danneggiati sono i pedoni, quindi i più deboli. Eppure una<br />

persona disabile che si muove in carrozzella o una mamma<br />

che spinge la carrozzina, potrebbero non poter proseguire<br />

il loro percorso; un bambino o un anziano potrebbero<br />

essere costretti a scendere dal marciapiedi correndo<br />

inutili pericoli.<br />

Le auto sono di fatto le nuove padrone della <strong>città</strong>, è per<br />

loro che si studiano rimedi e facilitazioni, in loro favore si<br />

effettuano gli interventi più radicali e più costosi. Si pensi<br />

ai piani di nuovi parcheggi nelle grandi <strong>città</strong>. È a loro che<br />

i vigili urbani dedicano la gran parte del loro tempo e delle<br />

loro energie. Le multe effettuate sono per la grande<br />

maggioranza multe per divieto di sosta, per un reato cioè<br />

che danneggia principalmente il movimento delle auto<br />

stesse e relativamente poco le persone. Le auto, in movimento<br />

o in sosta, occupano permanentemente una rilevante<br />

percentuale del suolo pubblico, trasformandolo in<br />

spazio privato: sono diventate parcheggi quasi tutte le<br />

strade e le piazze. Quando si propone di restituire ai cittadini<br />

uno spazio pubblico la risposta più frequente è: «Prima<br />

si risolva il problema del parcheggio e dopo pensiamo<br />

ad un uso sociale della piazza». Mi sembra un ragionamento<br />

scorretto. Avere spazio per «appoggiare» la propria<br />

auto è certamente una necessità ma non credo si possa<br />

considerare un diritto: quando un cittadino acquista una<br />

macchina il sindaco non si impegna con lui a riservargli<br />

un’area di spazio pubblico sulla quale farla muovere o parcheggiarla.<br />

Potersi muovere serenamente a piedi e utilizzare<br />

lo spazio pubblico è invece certamente un diritto di<br />

tutti i cittadini. Restituire a tutti la possibilità di muoversi<br />

liberamente a piedi è quindi un dovere prioritario dell’am-<br />

63


ministratore ed è un modo corretto e serio di preparare il<br />

futuro della <strong>città</strong>. Un futuro in cui il potere delle auto finisca<br />

là dove cominciano i diritti del pedone, un futuro in cui<br />

la <strong>città</strong> sia più pulita, meno «occupata», dove ci si possa<br />

muovere, dove ci si possa incontrare, dove insomma si<br />

possa vivere meglio, dove quindi sia possibile per un bambino<br />

uscire di casa da solo e giocare con i suoi amici. Quindi<br />

la piazza va subito restituita ai cittadini, poi si cercherà,<br />

per quanto possibile, di risolvere il problema del parcheggio<br />

delle auto.<br />

Fatte salve le isole pedonali, che dovranno essere potenziate,<br />

rispettate 9 e introdotte anche nelle zone residenziali<br />

periferiche, occorrerà distinguere e trattare in modo<br />

diverso, sia nella progettazione che nell’uso, le strade<br />

delle macchine (quelle di grande scorrimento, nelle quali i<br />

pedoni debbono accettare le condizioni delle macchine)<br />

dalle strade <strong>dei</strong> pedoni (alle quali le macchine possono accedere,<br />

ma alle condizioni <strong>dei</strong> pedoni). Questo ripensamento<br />

urbanistico, già in atto in molte <strong>città</strong> del centro e<br />

nord Europa, dovrà mirare non tanto a creare nuovi e più<br />

rigorosi divieti, ma a rendere impossibile la velocità e il pericolo.<br />

Il genitore infatti non vincerà la sua paura perché<br />

è stato abbassato il limite di velocità da 50 a 30 chilometri<br />

orari, perché potrà sempre e giustamente pensare alla<br />

possibile violazione delle norme e quindi rifiutarsi di riconoscere<br />

autonomia a suo figlio. Ma se la carreggiata della<br />

strada verrà ristretta e resa tortuosa o attraversata da ostacoli,<br />

allora la velocità sarà impossibile e gli adulti potranno<br />

essere più sereni e più permissivi.<br />

Un buon esempio di intervento strutturale a favore <strong>dei</strong><br />

pedoni è il «marciapiede che attraversa la strada»: un pas-<br />

9 Sarebbe auspicabile che anche gli amministratori, i vigili urbani, la polizia<br />

rispettassero l’isola pedonale (almeno nelle <strong>città</strong> piccole e medie), muovendosi<br />

a piedi o in bicicletta, inviando così un messaggio coerente agli altri cittadini.<br />

64


saggio pedonale che mantiene sia il livello che la pavimentazione<br />

del marciapiede. Mentre di solito è il pedone<br />

che «scende» dal marciapiede, abbandonando il suo territorio<br />

sicuro ed entra in quello pericoloso delle auto, in questo<br />

caso il pedone resta nel suo territorio ed è la macchina<br />

che, per mezzo di una rampa, «sale» sul passaggio pedonale,<br />

invadendo un’area non sua e quindi dovendosi<br />

preoccupare di eventuali passanti.<br />

Se la velocità è impedita la strada è più sicura, non solo<br />

perché diminuisce il pericolo del traffico ma perché diventa<br />

più difficile anche delinquere: è difficile scappare,<br />

c’è più gente in giro, c’è più controllo sociale.<br />

Aiutare gli adulti a capire<br />

che i <strong>bambini</strong> hanno bisogno di uscire<br />

Gli adulti hanno paura, hanno giustamente paura, ma, come<br />

si diceva sopra, la via della difesa è senza speranza e<br />

senza futuro. Chiudere i <strong>bambini</strong> in casa significa esporli<br />

al pericolo degli incidenti domestici, affidarli alla televisione<br />

e privarli di esperienze fondamentali. Ma superare la<br />

paura è difficile e non lo si fa solo ragionandoci sopra. Gli<br />

amministratori debbono farsene carico e aiutare i loro<br />

concittadini. Bisogna lavorare su diversi piani: innanzi tutto<br />

aiutare i genitori a capire che i <strong>bambini</strong> hanno bisogno<br />

di tempo libero, da amministrare da soli, rischiando in<br />

proprio, più che fare tante cose ed essere impegnati nelle<br />

tante scuole pomeridiane; aiutarli a recuperare fiducia<br />

nelle capacità <strong>dei</strong> propri figli che sono sicuramente maggiori<br />

di quelle che essi immaginano. Occorre aiutare i genitori<br />

ad uscire dall’ottica individualistica e difensiva, pensando<br />

che tutti i <strong>bambini</strong> debbano ritrovarsi insieme fuori<br />

di casa e che tutti gli adulti debbano essere un punto di ri-<br />

65


ferimento e di sicurezza per i <strong>bambini</strong>. È necessario comunque<br />

ridurre il pericolo ambientale rallentando il traffico,<br />

favorendo gli spostamenti pedonali e ciclabili, applicando<br />

con fermezza quelle norme che puniscono coloro<br />

che non rispettano i diritti <strong>dei</strong> pedoni.<br />

Occorre aiutare gli adulti a capire che un buon genitore<br />

non è quello che rinuncia ad una propria vita perché i<br />

figli possano avere tutto e possano essere accompagnati<br />

alle diverse scuole del mattino e del pomeriggio. <strong>La</strong> prima<br />

caratteristica di un «buon genitore» dovrebbe essere quella<br />

di diventare ogni giorno meno necessario al proprio figlio.<br />

Quando un bambino nasce, il momento forse più importante<br />

e significativo della profonda trasformazione che<br />

avviene nel giro di pochi minuti, è il taglio del cordone ombelicale.<br />

Da quel momento il bambino si separa dalla madre<br />

e può iniziare la sua relazione con lei e, attraverso lei,<br />

la sua relazione con il mondo: la grande avventura della<br />

autonomia. Ogni giorno la separazione può essere confermata<br />

e consolidata, oppure negata; possiamo diventare<br />

meno necessari ai nostri figli e quindi aiutarli ad allontanarsi<br />

da noi, o fare l’opposto e annodare nuovi cordoni<br />

ombelicali.<br />

Una seconda caratteristica del «buon genitore» credo<br />

sia quella di essere un buon modello di adulto, un adulto<br />

che faccia pensare al bambino che vale la pena di diventare<br />

grande per essere come lui o per incontrare persone<br />

come lui. Un adulto quindi sereno, impegnato, felice. Che<br />

cerca di realizzare le sue aspirazioni, di coltivare le sue passioni,<br />

di vivere bene la sua sessualità, di vivere con impegno,<br />

con forza e con coerenza la sua professione, i suoi<br />

ideali, le sue fedi. Questo non vale solo nel rapporto fra<br />

genitori e figli, ma anche fra insegnanti e allievi e in generale<br />

fra adulti e <strong>bambini</strong>. Mi sembra questa una prospettiva<br />

gratificante, che ci invita alla serenità e all’impegno,<br />

anche per avere <strong>bambini</strong> più felici.<br />

Un adulto sereno e realizzato saprà capire il bisogno<br />

66


di autonomia di suo figlio e sarà disposto a superare qualche<br />

difficoltà, qualche preoccupazione per potergliela garantire.<br />

Trovare nuovi alleati <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

Una volta, poche decine di anni fa, i <strong>bambini</strong> erano di tutti.<br />

Il vicinato fungeva da grande controllo sociale. Un bambino<br />

che giocava fuori di casa, quando aveva bisogno di<br />

qualche cosa, trovava nei vicini un occhio curioso, attento<br />

e preoccupato. Ricordo che se, giocando con gli amici,<br />

facevo qualcosa che non avrei dovuto fare (una lite, un<br />

danno, una caduta...), quando tornavo a casa trovavo il<br />

rimprovero o la punizione prima ancora di poter raccontare<br />

l’accaduto. Non avevamo il telefono, ma evidentemente<br />

la notizia era già stata «premurosamente» portata!<br />

Questo valeva nel piccolo paese dove tutti si conoscevano,<br />

ma valeva anche nella grande <strong>città</strong> dove il quartiere viveva<br />

una frequentazione quotidiana <strong>dei</strong> suoi abitanti, per<br />

lavoro, per la spesa, per la scuola, sempre vicini all’abitazione.<br />

Ma il criterio di assunzione di responsabilità sociale<br />

nei confronti del bambino era più largo ancora del conoscersi<br />

o dell’essere vicini di casa: un bambino fuori casa,<br />

specie se da solo, era controllato e protetto dagli adulti<br />

che incontrava. Più che vicini di casa si potrebbe dire vicini<br />

al bambino. E questo «vicinato» cresceva con l’età, si<br />

allargava man mano che si sviluppava l’autonomia del<br />

bambino e gli permetteva spedizioni più ardite in territori<br />

nuovi, inesplorati. Anche lì trovava adulti interessati e<br />

preoccupati. Questo naturalmente favoriva la crescita, la<br />

scoperta di spazi nuovi, la possibilità di avventure nuove<br />

che costruivano e consolidavano nuove conoscenze.<br />

Ora questa solidarietà sociale sembra perduta. <strong>La</strong> scel-<br />

67


ta della difesa ha inibito l’interesse verso gli altri, o per lo<br />

meno lo ha nascosto, mascherato. <strong>La</strong> tentazione immediata<br />

è quella di chiudersi in luoghi sicuri, la casa, la scuola,<br />

le varie scuole pomeridiane. E crescono le richieste di<br />

altri spazi, forse più liberi, ma sempre protetti e tutelati come<br />

ludoteche, laboratori, giardinetti con cancellate e ingressi<br />

vigilati 10 .<br />

<strong>La</strong> perdita dell’autonomia produce rassegnazione, ma<br />

anche scontentezza e malessere. Un desiderio e una disponibilità<br />

alla solidarietà sopravvivono, lo si vede dalle<br />

reazioni interessate a proposte come questa: occorre tirarle<br />

fuori, permettere loro di diventare esperienze. Non<br />

possiamo però aspettare che si ricostruisca questa diffusa<br />

solidarietà per avviare le esperienze di cui stiamo parlando:<br />

i <strong>bambini</strong> hanno fretta, sono <strong>bambini</strong> per pochi anni.<br />

Occorre quindi identificare e formare subito nuovi alleati<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

I vigili urbani<br />

Le <strong>città</strong> hanno un piccolo esercito che esaurisce le sue<br />

energie nell’essere quasi esclusivamente a servizio delle<br />

auto. Questo conferma il potere dell’auto nella nostra società<br />

e, nella attuale carenza di sensibilità sociale e di solidarietà,<br />

sembra uno spreco eccessivo e anche uno svilimento<br />

di una presenza che potrebbe essere molto più significativa<br />

e qualificata. Si propone che i vigili urbani diventino<br />

anche, forse prioritariamente, gli amici <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

Quando un bambino si trova in qualche situazione di<br />

necessità o di disagio, se vede un vigile, dovrebbe tranquillizzarsi<br />

perché sicuro che quel signore in divisa risolverà<br />

il suo problema. Quali necessità, quali disagi può in-<br />

10 A questo proposito è interessante l’analisi delle differenze fra gli spazi urbani<br />

«play ground» e «sandbox» (Bozzo, 1995).<br />

68


contrare un bambino? Può aver bisogno di fare pipì e vergognarsi<br />

di entrare in un bar per chiederlo, può avere sete,<br />

può aver fatto tardi e avere necessità di telefonare a casa<br />

e non avere denaro, può essere molestato da qualche<br />

adulto, può aver litigato con un amichetto, può essersi<br />

perso, può essersi sbucciato un ginocchio cadendo, può<br />

aver perso il biglietto dell’autobus per tornare a casa. Ognuna<br />

di queste situazioni rappresenta una sofferenza,<br />

una sofferenza grande come quasi sempre sono quelle <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>. Il vigile urbano dovrebbe avere come suo compito<br />

istituzionale quello di non lasciare mai un bambino in<br />

stato di disagio e di angoscia. Dovrà risolvere il suo problema,<br />

accompagnandolo in un bar perché possa bere, fare<br />

la pipì, telefonare, oppure offrendogli il biglietto dell’autobus.<br />

Sarebbe importante che questo ruolo sociale<br />

<strong>dei</strong> vigili venisse pubblicamente dichiarato e pubblicizzato<br />

in modo che lo conoscano tanto i <strong>bambini</strong> che i loro genitori.<br />

Se vogliamo veramente che le autonomie <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

aumentino dobbiamo far diminuire le paure <strong>dei</strong> loro<br />

genitori e di tutti gli adulti.<br />

Come ormai più volte si è detto, vigili amici <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

significa anche punti di riferimento per gli anziani, per<br />

gli handicappati, per la signora che torna carica di borse<br />

dalla spesa. Amici <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> significa insomma amici <strong>dei</strong><br />

cittadini. Per questa nuova e importante funzione sociale i<br />

vigili vanno preparati, aprendo momenti di formazione e<br />

di dibattito per definire nuovi obiettivi e comportamenti 11 .<br />

Si potrebbe pensare di allargare questa funzione sociale<br />

di «amici <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» a tutti coloro che indossano una<br />

divisa e che per questo diventano facilmente riconoscibili.<br />

Il sindaco potrebbe invitare poliziotti e carabinieri, vigilantes<br />

e vigili del fuoco, ma anche gli autisti <strong>dei</strong> mezzi pubblici<br />

o i netturbini, ad assumere questo nuovo ruolo per<br />

11 Su questo punto si veda la scheda n° 7: «Il vigile amico <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />

69


aiutare la <strong>città</strong> a diventare più adatta ai cittadini a partire<br />

dai <strong>bambini</strong>. Per questo dovranno essere organizzati momenti<br />

di sensibilizzazione e di formazione.<br />

Gli anziani<br />

Oggi la nostra società ricca sta invecchiando, ha pochi<br />

<strong>bambini</strong> e la vita si allunga, nasce così l’«allarme» anziani.<br />

Secondo le ultime statistiche ci sono tre nonni per ogni nipote,<br />

troppi pensionati rispetto al numero <strong>dei</strong> lavoratori,<br />

ci sono insomma troppi vecchi e non si sa dove metterli,<br />

cosa farne, come custodirli. In una società consumistica<br />

come la nostra ogni bisogno produce appositi prodotti.<br />

Nascono così i prodotti della terza età, reclamizzati negli<br />

spot televisivi, dai pannoloni alla pasta adesiva per la dentiera.<br />

In una <strong>città</strong> fondata sulla divisione e sulla specializzazione,<br />

ogni necessità, ogni disagio, suggerisce adeguati<br />

servizi. Nascono allora i centri anziani, le università della<br />

terza età, le gite organizzate, gli ospizi per vecchi.<br />

Di nuovo risposte pensate non per i loro destinatari naturali,<br />

ma per i cittadini adulti, per quelli che i vecchi debbono<br />

custodirli, per i cittadini forti. All’anziano non piace<br />

stare con gli anziani. L’anziano ha il suo patrimonio più<br />

importante nella sua storia, nel suo passato, nella sua memoria,<br />

ha quindi un grande desiderio di raccontare 12 . Non<br />

è invece interessato ad ascoltare e ad apprendere perché<br />

sa di non avere un futuro su cui investire. Mettere dieci anziani<br />

insieme è creare una situazione paradossale, contro<br />

natura: tutti vorrebbero raccontare, ma nessuno è interessato<br />

ad ascoltare. Un anziano ha senso in mezzo alle<br />

altre generazioni, fra i <strong>bambini</strong> e i giovani che hanno voglia<br />

di ascoltare e di imparare. Dieci anziani insieme pos-<br />

12 Un africano diceva: «Per noi i vecchi sono molto importanti, perché sono<br />

come biblioteche ambulanti».<br />

70


sono parlare solo della morte che si avvicina. Sono patetici<br />

quei viaggi turistici per soli vecchi, quei pullman che li<br />

scaricano d’inverno lungo spiagge deserte (dicono che ai<br />

vecchi fa bene l’aria di mare specialmente d’inverno!), fra<br />

alberghi sprangati, con i capelli bianchi al vento, scene felliniane<br />

senza senso, con dentro tanta tristezza.<br />

Esistono sindacati, associazioni sportive, culturali, ricreative,<br />

persino università per anziani. Non sono d’accordo,<br />

non credo sia giusto. Di nuovo la separazione e la<br />

specializzazione: l’anziano come realtà speciale, con suoi<br />

problemi che richiedono risposte specialistiche come le rivendicazioni<br />

pensionistiche, la ginnastica, il ballo, le conferenze,<br />

sempre per anziani. Un club di ciclisti della domenica<br />

dovrebbe essere aperto a uomini e donne, <strong>bambini</strong>,<br />

adulti e anziani. E quando l’anziano non se la sentirà<br />

più di pedalare con gli altri, potrà insegnare a curare la bicicletta,<br />

dare consigli ai più giovani, far sognare i <strong>bambini</strong><br />

raccontando le sue imprese. E non organizzare il club degli<br />

ex ciclisti che si piangono addosso o che fanno giretti in<br />

triciclo. L’importante è essere vecchi insieme a quelli che<br />

non lo sono, per avere ancora senso. Anche agli uomini<br />

piace stare con le donne e anche ai <strong>bambini</strong> con i grandi!<br />

Dobbiamo imparare a pensare che quello che consideriamo<br />

come «allarme» anziani, possa diventare la «risorsa»<br />

anziani.<br />

L’anziano vive un periodo molto particolare della vita:<br />

sono finite le aspettative, la voglia di emergere, il bisogno<br />

di competere. Un periodo che potrebbe essere sereno,<br />

disinteressato, libero, se non si costringesse l’anziano a<br />

specchiarsi tristemente negli altri anziani o a perdersi nel<br />

suo futuro di morte in solitudine. <strong>La</strong> serenità, la felicità dell’anziano<br />

è legata alla possibilità che la sua esperienza possa<br />

servire a qualcuno, che egli possa ancora essere utile a<br />

qualcosa, che tutto il tempo che ha possa essere importante<br />

come quello che è passato. Ecco quindi l’anziano, il<br />

nonno, come alleato privilegiato <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

71


Si obietterà che spesso gli anziani sono irascibili, non<br />

hanno nessuna voglia di star dietro ai <strong>bambini</strong>; è vero e<br />

ne hanno diritto, ma ne abbiamo talmente tanti che certamente<br />

ce ne saranno a sufficienza di buoni e di collaborativi.<br />

D’altra parte non credo si possa e si debba chiedere<br />

agli anziani di assumere ruoli o responsabilità particolari.<br />

Credo che si debba chiedere loro di rifiutare l’isolamento<br />

in casa, di uscire, di «esserci». Di essere presenti nei<br />

giardini, nei luoghi di ritrovo aperti, nelle strade, di vivere<br />

il quartiere, di condividerlo con gli altri cittadini e in particolare<br />

con i <strong>bambini</strong>, con gli handicappati, perché sia più<br />

vivibile e più sicuro per tutti. <strong>La</strong> loro presenza garantirà i<br />

<strong>bambini</strong>.<br />

Si tratta di scelte sociali di fondo, la casa, la strada, i<br />

giardini, il quartiere invece del centro anziani, dell’ospizio.<br />

Scelte che dovrebbero fare lo Stato, gli enti locali, le associazioni.<br />

Significa investire energie perché l’anziano<br />

possa rimanere nel suo ambiente, con i suoi familiari, con<br />

i suoi vicini, con i <strong>bambini</strong>, anziché investirle in costose<br />

strutture di custodia e di emarginazione. Se gli anziani si<br />

sentiranno accettati, utili, necessari, staranno meglio, saranno<br />

più autonomi, garantiranno la <strong>città</strong>. Sarà un grande<br />

risparmio economico e sarà una doverosa manifestazione<br />

di affetto e di riconoscenza verso chi è venuto prima<br />

di noi.<br />

I negozianti<br />

I commercianti, gli artigiani, i negozianti, non sono necessariamente<br />

buoni, pazienti e disponibili nei confronti<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Per ricevere la licenza non hanno dovuto dimostrare<br />

particolari qualità didattiche o educative, ma<br />

condividono una condizione molto particolare e importante<br />

per il nostro discorso: «stanno sulla strada». E men-<br />

72


tre il vigile urbano e l’anziano in certi momenti potrebbero<br />

non essere a portata di bambino, i negozi restano sempre<br />

lì e possono rappresentare una sicurezza. Rispetto a<br />

quanto si diceva sopra sulle nuove insicurezze e paure, i<br />

negozianti possono ricostruire una rete di riferimento e di<br />

sicurezza. Possono offrire una risposta semplice alla domanda<br />

preoccupata: «Ma se a mio figlio succede qualcosa,<br />

a chi può rivolgersi?». Se tutti i negozianti, gli artigiani,<br />

ma anche le sedi di banca o gli uffici postali, che si dichiarano<br />

disponibili a dare una mano per l’autonomia <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong> mettessero un apposito adesivo sulla loro vetrina,<br />

<strong>bambini</strong> e genitori potrebbero stare più tranquilli perché<br />

saprebbero che, in caso di necessità, ci sono <strong>dei</strong> punti di<br />

riferimento 13 . Il commerciante darà un’occhiata al bambino<br />

che passa. Al negoziante il bambino potrà chiedere di<br />

poter chiamare per telefono a casa senza pagare, di fare<br />

la pipì, di avere un bicchiere d’acqua, di essere consolato<br />

se gli è successo qualcosa.<br />

Si è accennato ad alcuni possibili alleati <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>,<br />

ma dobbiamo insegnare ai <strong>bambini</strong> che ogni adulto è un<br />

loro potenziale amico. Dovremmo smetterla con le raccomandazioni<br />

terroristiche: «Non ti fermare con nessuno»,<br />

«Non chiedere niente a nessuno» ed insegnare invece<br />

che quando hanno bisogno di qualcosa fermino un<br />

adulto e chiedano aiuto. Sarà un piccolo contributo per<br />

educare i <strong>bambini</strong> a stare nel mondo e cercare di starci bene,<br />

ma sarà anche un forte richiamo per gli adulti, intorpiditi<br />

ormai nel generale disinteresse ed egoismo.<br />

13 Su questo punto si veda la scheda n° 9: «A scuola ci andiamo da soli».<br />

73


Una <strong>città</strong> adatta ai <strong>bambini</strong><br />

Che i <strong>bambini</strong> possano uscire da soli di casa è un obiettivo<br />

importante, anche perché clamorosamente compromesso<br />

dallo sviluppo disordinato e irrispettoso della <strong>città</strong>,<br />

ma non esaurisce la necessità di cambiamento che oggi la<br />

<strong>città</strong> richiede. <strong>La</strong> <strong>città</strong>, cresciuta quasi contro i bisogni <strong>dei</strong><br />

suoi abitanti, specialmente di quelli più deboli, deve rivedere<br />

tutte le sue strutture e le sue articolazioni per diventare<br />

adatta per tutti. Per questo vale la pena proseguire<br />

nella sfida, nella provocazione di assumere il bambino come<br />

parametro, continuando a pensare che quando la <strong>città</strong><br />

sarà più adatta ai <strong>bambini</strong> sarà più adatta per tutti.<br />

Non potendo qui esaminare analiticamente tutte le<br />

sfaccettature di una <strong>città</strong>, si daranno solo degli esempi.<br />

Nella parte terza del libro, attraverso le schede, si cercherà<br />

di entrare più operativamente nelle proposte, nelle attività,<br />

nelle iniziative.<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> bella 1<br />

L’Italia è famosa nel mondo per le sue <strong>città</strong>. I nostri antenati<br />

hanno dedicato energie, risorse, ingegno e creatività<br />

per fare in modo che i luoghi della loro vita, del loro lavoro,<br />

dove allevavano i loro figli, si amavano, passavano<br />

1 L’architetto Cervellati mi perdonerà se prendo a prestito il titolo del suo<br />

libro.<br />

75


la loro vecchiaia, dove morivano, fossero belli 2 . Che siano<br />

tanto belle lo dice il fatto che il nostro paese possiede<br />

più del 60% delle opere d’arte di tutto il mondo e che si<br />

muovono dai paesi più lontani per visitarle, passeggiando<br />

nelle loro strade. È veramente sostenibile l’apparente sospetto<br />

contemporaneo che tutto questo sia avvenuto perché<br />

i nostri antenati non avevano niente di più importante<br />

da fare? O non è più credibile che noi stiamo perdendo<br />

il senso della vita? Noi corriamo, certamente facciamo<br />

più cose e più rapidamente <strong>dei</strong> nostri predecessori, ma poi<br />

abbiamo «diritto» (non solo bisogno) alle ferie, manteniamo<br />

un esercito di psicologi, consumiamo quantità spaventose<br />

di psicofarmaci.<br />

Le nostre <strong>città</strong> sono piene di chiese, di monumenti, di<br />

palazzi, di fontane, di edicole sacre, di pavimentazioni differenziate,<br />

di giochi di luce, di prospettive. Percorrendole<br />

si è sempre esposti alla sorpresa, alla meraviglia. Invitati alla<br />

sosta per ammirare, per pregare, per incontrare qualcuno.<br />

Insomma le <strong>città</strong> sono <strong>dei</strong> percorsi. È facilmente prevedibile<br />

che il bambino che percorre queste vie si arricchisca<br />

anche a livello cognitivo. Erano <strong>città</strong> pensate per essere<br />

percorse a piedi. Perché solo camminando si possono<br />

apprezzare quei particolari, quelle preziosità. E oggi, noi<br />

cittadini privilegiati di questi splendori, cosa facciamo?<br />

Se è possibile cerchiamo di passare sotto, sotto queste<br />

meraviglie: il sogno del cittadino contemporaneo è la metropolitana.<br />

Se non è possibile, allora cerchiamo di passare<br />

sopra a queste meraviglie o comunque passare veloci.<br />

Nascono così le sopraelevate, le tangenziali, le strade<br />

di percorrenza veloce. Se comunque anche queste soluzioni<br />

preferenziali non sono possibili perché la <strong>città</strong> resi-<br />

2 È utile riflettere sul senso del bello che avevano i nostri vecchi, certamente<br />

meno istruiti di noi e destinati ad una vita più dura della nostra. Tornivano,<br />

intagliavano e decoravano le impugnature <strong>dei</strong> loro strumenti di lavoro, dipingevano<br />

con fiori e scene esotiche i carri su cui avrebbero passato una vita di lavoro<br />

pesante.<br />

76


ste con le sue stupide stradine strette e tortuose e con i<br />

suoi anacronistici monumenti, allora cerchiamo di muoverci<br />

dentro una scatola a motore che ci impedisca di fermarci,<br />

di ammirare, di sorprenderci.<br />

Il fatto che l’automobile sia la nuova padrona della<br />

<strong>città</strong>, porta una serie di conseguenze, anche culturali, importanti.<br />

Andando in macchina le bellezze della <strong>città</strong> perdono<br />

di importanza, perché non si notano, non si vedono.<br />

Correndo a cinquanta chilometri all’ora e dovendo<br />

stare attenti al traffico non si possono notare gli scorci, le<br />

prospettive, i particolari che grandi artisti hanno realizzato<br />

anche per noi nei secoli passati. Ma non è solo questo.<br />

Le automobili hanno una loro «idea» di <strong>città</strong>, una loro<br />

estetica e la stanno imponendo. È una estetica profondamente<br />

diversa dalla nostra, è quella <strong>dei</strong> garage (individuali<br />

o collettivi, sotterranei o aerei, a silos, multipiani...), delle<br />

stazioni di servizio (sempre luminosissime, grandissime e<br />

tutte uguali); <strong>dei</strong> segnali stradali, <strong>dei</strong> cartelloni pubblicitari<br />

(semplici e grandi per essere visti in corsa); è quella dell’asfalto<br />

(meno rumoroso dell’acciottolato), del guardrail (più<br />

sicuro); è quella <strong>dei</strong> clacson e delle sirene antifurto (anche<br />

se svegliano i <strong>bambini</strong> e mettono paura); è quella <strong>dei</strong> depositi<br />

di carcasse di macchine, che stanno costruendo un<br />

ultimo anello cimiteriale intorno alle nostre belle <strong>città</strong> e alle<br />

nostre brutte periferie. Quando si è evidenziato un conflitto<br />

fra la sicurezza dell’automobilista e il diritto di continuare<br />

a vivere di alberi e viali anche di grande importanza<br />

estetica, paesaggistica e per la salute delle <strong>città</strong>, non si è<br />

avuto nessun dubbio, non si sono esplorate soluzioni alternative<br />

come la deviazione delle strade o il rallentamento della<br />

velocità, si sono semplicemente abbattuti gli alberi.<br />

E che l’estetica delle automobili sia in aperto conflitto<br />

con quella dell’uomo, almeno così come i nostri antenati<br />

l’hanno espressa, è dimostrato dal fatto che in questi ultimi<br />

cinquant’anni le automobili hanno danneggiato, con<br />

l’inquinamento e con le vibrazioni, i monumenti delle <strong>città</strong><br />

77


più di quanto fossero stati capaci di fare incendi, guerre e<br />

terremoti nei secoli e nei millenni precedenti. Per ultima<br />

va segnalata la prepotente voglia di protagonismo dell’automobile.<br />

È praticamente impossibile vedere o fotografare<br />

uno scorcio delle nostre <strong>città</strong> senza una macchina<br />

«in campo». Non c’è isola pedonale o ferragosto che tenga:<br />

un’automobile, magari quella <strong>dei</strong> vigili urbani o dell’onorevole<br />

o del diplomatico, impedirà di vedere una via o<br />

solo un monumento così come è stato pensato e realizzato<br />

dal suo progettista.<br />

Nessuno vuol rinunciare all’automobile. Credo saggio<br />

e doveroso però rinegoziare il suo e il nostro rapporto con<br />

la <strong>città</strong>. <strong>La</strong> <strong>città</strong> tornerà ad essere bella solo se sarà di nuovo<br />

possibile percorrerla a piedi. Oggi gli spostamenti sono<br />

<strong>dei</strong> trasferimenti da punto a punto, più in fretta possibile.<br />

Dobbiamo tornare a provare il piacere <strong>dei</strong> percorsi 3 .<br />

3 Nel 1995 si è tenuto a Firenze un convegno nazionale sulla lentezza intitolato:<br />

«Il mondo ha tempo da perdere» organizzato dalla COOP. Nel mio intervento<br />

Chi ha ancora voglia di perdere tempo con i <strong>bambini</strong>? esordivo con<br />

queste riflessioni: per andare da Roma a Firenze si può percorrere la Cassia.<br />

Questo non rappresenta solo un trasferimento, ma significa passare per paesi<br />

e cittadine, attraversare paesaggi diversi, vedere, incontrare. Significa fermarsi,<br />

rallentare e accelerare, stupirsi e arrabbiarsi. Questo richiede tempo, ma quel<br />

tempo non è perso. In quel viaggio c’è qualcosa di più dello spostarsi, c’è il piacere.<br />

Occorre rallentare nei paesi, raccoglierne le immagini, i rumori, le abitudini;<br />

fermarsi a mangiare i prodotti e i piatti tipici. È possibile mangiare la finocchiona,<br />

le pappardelle alla lepre, i fagioli bianchi, accompagnarli con il Rosso<br />

di Montalcino o con il vino Nobile di Montepulciano. Significa avvicinarsi e<br />

allontanarsi rispetto ad un paesaggio che cambia, seguendo gli strani ghirigori<br />

della strada, pensata più per far incontrare che per fare in fretta, salendo e scendendo<br />

seguendo le morbide rotondità delle colline toscane.<br />

Oppure, sempre per andare da Roma a Firenze, si può invece passare sull’autostrada<br />

del Sole e allora sarà una esperienza totalmente diversa. Scopo<br />

principale dell’autostrada è lo spostamento da punto a punto, da casello a casello,<br />

con il minor numero possibile di distrazioni e di impedimenti; abbattere i<br />

tempi, permettere la velocità. Le autostrade sono tutte uguali, le stazioni di servizio<br />

sono tutte uguali e tutte ugualmente efficienti e rapide; così come sono<br />

uguali i posti di ristoro: si può mangiare un panino fattoria in tutte le località<br />

italiane. Di fronte ad un ostacolo naturale l’autostrada preferisce passare sotto<br />

terra o per aria anziché seguire le «diversità» del terreno: non bisogna distrarsi,<br />

non bisogna ridurre la velocità, non bisogna perdere tempo. Effettivamente il<br />

tempo è ridotto, ma è tempo perso. Per quanto breve serve solo a spostarsi.<br />

Una sensazione simile la provo quando scelgo l’aereo invece del treno per<br />

78


Se noi adulti non abbiamo il tempo per queste frivolezze,<br />

peggio per noi, ma non priviamo di questo piacere, di<br />

questa necessità, i nostri <strong>bambini</strong>, i nostri vecchi e tutti<br />

quegli adulti stranieri che vengono a visitare le nostre<br />

<strong>città</strong>. Se si tornerà a percorrere la <strong>città</strong> allora i nostri urbanisti,<br />

i nostri architetti, i nostri artisti, dovranno di nuovo<br />

preoccuparsi di sorprendere, di gratificare, di accompagnare<br />

i concittadini per le strade. Allora sarà importante<br />

restituire spazio al passeggio, curare la pavimentazione<br />

<strong>dei</strong> marciapiedi, restringere le strade, creare aree di<br />

sosta, di incontro, restituire le piazze alla gente e al gioco<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Insomma ci sarà tanto da lavorare per rifare<br />

belle le <strong>città</strong>.<br />

C’è chi pensa che questi progetti sono lussi che non<br />

possiamo permetterci. Questo sarebbe vero se fossimo<br />

così cinici da rinunciare al nostro patrimonio artistico. Se<br />

così fosse effettivamente potremmo lasciare marcire i nostri<br />

monumenti e accogliere senza rimpianti la nuova <strong>città</strong><br />

delle auto, della velocità, del rumore, dello smog. Ma «purtroppo»<br />

non lo siamo, non siamo capaci di fare a meno<br />

delle nostre opere d’arte e allora investiamo capitali enormi<br />

nei sempre più frequenti, costosi e disperati interventi<br />

di restauro. Se cercassimo di eliminare le cause di questo<br />

degrado, faremmo una scelta non solo culturalmente doverosa,<br />

ma anche economicamente vantaggiosa.<br />

C’è poi il grande problema delle periferie, che belle non<br />

sono e che non possiamo abbattere. Ma se crescerà questa<br />

consapevolezza <strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> cittadini, a partire dai più<br />

piccoli e dai più deboli, se verrà riconosciuto il diritto di vivere<br />

la <strong>città</strong>, di percorrerla, di incontrarsi e divertirsi, si dovrà<br />

cominciare a pensare che anche le nostre periferie<br />

esempio sul percorso Roma-Milano. Il tempo di volo è ovviamente molto più<br />

breve, ma il viaggio complessivo varia di poco, dalle tre ore, tre ore e mezza per<br />

il viaggio in aereo alle quattro ore in treno. Ma le ore in aereo sono perse, spezzettate<br />

in tanti brevi percorsi diversi, in tante procedure; mentre le ore di treno<br />

sono tutte buone, per leggere, per scrivere, per disegnare.<br />

79


hanno il diritto di essere belle. È una bella sfida che gli amministratori<br />

debbono lanciare ai progettisti, agli urbanisti,<br />

partendo dalla consapevolezza che spesso le periferie hanno<br />

buone potenzialità per diventare adatte ai <strong>bambini</strong>, con<br />

i loro spazi irrisolti, con i loro pezzi di natura dimenticati<br />

dalla cieca urbanizzazione. Si dovranno utilizzare tutti gli<br />

spazi non ancora costruiti per restituirli all’uso sociale. Si<br />

dovranno creare aree pedonali periferiche; liberare le piazze,<br />

se ci sono, e restituirle ai cittadini; inventare piazze dove<br />

non sono state previste. Si potranno risanare le vecchie<br />

strutture di archeologia industriale (fabbriche, fornaci, magazzini)<br />

e renderle spazi di uso pubblico. Si dovrà pensare<br />

ai marciapiedi, ai monumenti, alle fontane. Avviare insomma<br />

un grande progetto di risanamento sociale ed estetico<br />

delle periferie. In questo grande progetto i <strong>bambini</strong><br />

hanno molto da dire e da dare, perché le scelte «ragionevoli»<br />

non bastano più, occorre osare, inventare, cercare<br />

idee nuove che ai <strong>bambini</strong> certo non mancano.<br />

Il Piano Regolatore Generale<br />

L’impegno di revisione e di trasformazione della <strong>città</strong> a<br />

partire dal bambino potrà toccare sia gli interventi su grande<br />

scala come il Piano Regolatore Generale (PRG) o il Piano<br />

Urbano del Traffico (PUT), sia piccoli progetti legati alle<br />

occasioni di gioco per i <strong>bambini</strong>, di passeggio, di incontro<br />

e di sosta per gli adulti intorno alle loro case. Assumendo<br />

l’ottica del bambino molti <strong>dei</strong> grandi problemi<br />

della <strong>città</strong> si vedono più chiaramente ed escono dalle ambiguità<br />

del dibattito adulto attualmente in corso.<br />

Naturalmente qui non si presume di trattare questi argomenti<br />

tecnici con la competenza dell’urbanista, del pianificatore.<br />

Si vuol solo proseguire coerentemente ad applicare<br />

questa ottica bambina nell’analisi della <strong>città</strong> e nella<br />

proposta del cambiamento. Preparare un nuovo PRG<br />

80


significa ridisegnare la <strong>città</strong>. Se la <strong>città</strong> riconosce il diritto<br />

di cittadinanza a tutti i suoi cittadini il PRG dovrà essere<br />

specchio di questa scelta 4 . Disegnare una <strong>città</strong> più adatta<br />

ai <strong>bambini</strong> significa disegnarla più bella, più vivibile e quindi<br />

più adatta per tutti.<br />

Una <strong>città</strong> a dimensione di <strong>bambini</strong><br />

Negli ultimi decenni le <strong>città</strong> hanno enormemente aumentato<br />

la loro grandezza, in tempi troppo rapidi e quindi senza<br />

uno sviluppo riflettuto e programmato, guidato da ragioni<br />

prevalentemente speculative e quindi senza preoccupazioni<br />

né estetiche né sociali. <strong>La</strong> <strong>città</strong> è diventata enorme<br />

e pericolosa senza riuscire a creare nuove identità,<br />

nuove appartenenze.<br />

Innanzi tutto occorre ridare al cittadino, a partire dai<br />

<strong>bambini</strong>, la possibilità di riconoscere la propria <strong>città</strong> e di<br />

riconoscersi in essa. Occorre ridare alle <strong>città</strong> una dimensione<br />

compatibile con le capacità di conoscenza e di controllo<br />

<strong>dei</strong> cittadini e soprattutto <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Da questo<br />

punto di vista diventa corretta e improrogabile l’adozione<br />

del progetto di Area Metropolitana che suddivide la metropoli<br />

in vari Comuni che non superino i cento, centocinquantamila<br />

abitanti, che potrebbero corrispondere alle<br />

attuali circoscrizioni. Ogni municipio dovrà avere le caratteristiche<br />

proprie di un ente locale.<br />

Autonomia. Un Comune, con un suo nome, una sua<br />

sede, un suo gonfalone, un suo sindaco, un suo Consiglio<br />

4 Quando incontrai per la prima volta il sindaco di Palermo, che mi chiedeva<br />

di assumere un incarico di consulenza per il progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»<br />

nella sua <strong>città</strong>, mi chiese di lavorare insieme all’architetto Cervellati, che sta preparando<br />

il nuovo PRG di Palermo, perché già dal PRG e dalle scelte ad esso connesse<br />

si potesse capire che la <strong>città</strong> aveva scelto i <strong>bambini</strong>. Mi sembra una bella<br />

sfida culturale e una grande scommessa sulle potenzialità di questa nuova filosofia<br />

di governo.<br />

81


comunale. Titolare di tutti i diritti che i Comuni attualmente<br />

hanno e, speriamo presto, di tutti quei trasferimenti fiscali<br />

e di poteri di governo che lo Stato passerà alle <strong>città</strong>,<br />

la sede più adeguata, almeno nella nostra cultura e rispetto<br />

alla nostra storia, di un autentico decentramento. Si dovrà<br />

poi inventare come amministrare la metropoli, associando<br />

i vari municipi per tutti gli interessi comuni o per<br />

tutti i progetti sovracomunali. Ci sono esperienze straniere<br />

da studiare e ci sono le nostre esperienze di gestione<br />

per esempio della viabilità, che passa da competenze comunali<br />

a quelle provinciali a quelle statali a seconda <strong>dei</strong><br />

territori e degli enti interessati.<br />

Riconoscibilità. In ognuno <strong>dei</strong> Comuni metropolitani si<br />

dovranno effettuare delle scelte urbanistiche ed architettoniche<br />

tali da favorire un senso di identità della popolazione:<br />

ricreare un centro cittadino, delle piazze, le sedi degli<br />

uffici pubblici, i monumenti; luoghi di incontro, di esposizione,<br />

di spettacolo. Naturalmente sarà importante che<br />

gli amministratori chiamati a queste operazioni tengano<br />

nella massima considerazione le tradizioni, le naturali aggregazioni<br />

<strong>dei</strong> luoghi e valorizzino i loro monumenti, da<br />

quelli più aulici e noti <strong>dei</strong> centri storici, alle aree di archeologia<br />

industriale delle periferie, legate alla storia sociale<br />

<strong>dei</strong> quartieri e della <strong>città</strong>. Vale la pena sottolineare ancora<br />

la difficoltà di sviluppo di una adeguata organizzazione<br />

spaziale nei <strong>bambini</strong> che sono cresciuti nelle periferie<br />

anonime e prive di forti indicatori ambientali, rispetto ai<br />

loro compagni cresciuti nei centri storici 5 . Questo significa<br />

che la <strong>città</strong> brutta provoca anche patologie cognitive<br />

(oltre che sociali) e che, se questo avviene nei <strong>bambini</strong>, le<br />

popolazioni delle periferie costruiranno di conseguenza il<br />

loro futuro anche su queste limitazioni, sommando difficoltà<br />

a difficoltà.<br />

82<br />

5 Lynch, 1960; Bonnes, Rullo, 1995.


Percorribilità. Va affermato un importante principio di<br />

democrazia: che tutti i cittadini possano raggiungere i luoghi<br />

di loro competenza e di loro interesse da soli. Questo<br />

rende il cittadino autonomo e libero. In particolare è importante<br />

garantire ai <strong>bambini</strong> una loro autonomia nell’uscire<br />

da casa, recarsi a giocare con gli amici e andare a<br />

scuola a piedi da soli; garantire ai portatori di handicap<br />

percorsi senza barriere e senza soluzione di continuità; garantire<br />

agli anziani passaggi pedonali e attraversamenti sicuri<br />

per incontrarsi fra loro, per andare a ritirare la pensione,<br />

a fare la spesa, al cinema, in chiesa, ecc. È importante<br />

assicurare a tutti i cittadini una reale possibilità di<br />

movimento, di andare a scuola, al lavoro, a divertirsi con<br />

mezzi diversi dall’auto privata e in primo luogo a piedi e<br />

in bicicletta.<br />

Un piano urbano della mobilità<br />

Se la <strong>città</strong> deve essere più percorribile allora non possiamo<br />

impegnarci in un PUT, perché in questo caso siamo<br />

già dentro un’automobile e tutti i problemi finiremo per<br />

leggerli e per affrontarli dal punto di vista dell’automobilista.<br />

Obiettivo dichiarato <strong>dei</strong> PUT è in genere la «fluidificazione»<br />

e la «velocizzazione» del traffico (anche la lingua delle<br />

macchine lascia a desiderare). Suoi strumenti abituali<br />

sono l’allargamento delle strade, il loro raddrizzamento,<br />

l’installazione di semafori intelligenti, l’adozione di sensi<br />

unici, ecc. Sono tutti interventi che di solito non ottengono<br />

il risultato desiderato, e che rendono più difficile la vita<br />

di tutti quelli che non usano la macchina propria.<br />

Non ottengono il risultato previsto perché nelle nostre<br />

<strong>città</strong> circola in media meno della metà delle macchine possedute<br />

dai cittadini. Una metà rimane nei garage, nei parcheggi,<br />

perché muoverle non vale la pena: traffico troppo<br />

83


lento, pochi parcheggi, rischio di multe. Nelle <strong>città</strong> esiste<br />

quindi un «esercito di riserva» che attende che le condizioni<br />

diventino più favorevoli per potersi mettere in movimento.<br />

Se quindi si procede rendendo più fluido il movimento<br />

delle auto, più facile il parcheggio, anche se a pagamento,<br />

l’esercito di riserva si muoverà. Dopo le modifiche<br />

si avranno alcuni giorni di miglioramento del traffico<br />

e poi l’aumento delle auto in movimento vanificherà i benefici.<br />

Avremo di nuovo un collasso della circolazione, ma<br />

con una percentuale di auto molto più alta e allora le soluzioni<br />

diventeranno più difficili e forse impossibili. E in<br />

tutta questa operazione la condizione <strong>dei</strong> pedoni e <strong>dei</strong> ciclisti,<br />

che non è mai stata presa in considerazione, subirà<br />

un grave peggioramento. Questa non è la previsione catastrofica<br />

di un pessimista, è la verifica effettuata in molti<br />

paesi che hanno poi abbandonato queste politiche suicide.<br />

Dovremo invece pensare ad un piano urbano della mobilità,<br />

partendo dal diritto che tutti i cittadini hanno di muoversi<br />

liberamente e senza pericoli nel loro spazio urbano<br />

che è il suolo pubblico. <strong>La</strong> <strong>città</strong> va restituita ai cittadini, anche<br />

quelli che, come i <strong>bambini</strong>, gli anziani, gli handicappati<br />

e molte casalinghe, sono solo pedoni. A loro non servono<br />

leggi più severe, ma una <strong>città</strong> fatta in modo diverso, con<br />

marciapiedi in tutte le strade, rigorosamente liberi dalle<br />

macchine, dalle merci <strong>dei</strong> negozianti e dai segnali stradali,<br />

dai quali scendere senza gradini. Strade che si possano attraversare<br />

senza difficoltà e senza pericolo. Zone pedonali<br />

anche nei quartieri periferici.<br />

Se poi desideriamo veramente che le nostre <strong>città</strong> diventino<br />

più leggere, dovremo privilegiare sistemi di mobilità<br />

alternativa a quella a motore. Una cura particolare si<br />

dovrà dedicare agli spostamenti in bicicletta, almeno tutte<br />

le volte che le caratteristiche della <strong>città</strong> lo consentono.<br />

Le piste ciclabili non possono limitarsi a strisce di strada<br />

separate da righe gialle o cordoli dalla carreggiata delle<br />

macchine, perché non sono sicure, perché sono insa-<br />

84


lubri essendo esposte ai gas di scarico (non si rinuncerà<br />

mai alla macchina se questa è più sana e sicura della bicicletta).<br />

Né vanno pensate prioritariamente come occasione<br />

di attività sportiva, ma come vere alternative alle auto<br />

nella mobilità urbana per andare a scuola, al lavoro, a fare<br />

spesa. Va quindi disegnata una rete di piste ciclabili togliendo<br />

alcune strade alle macchine, passando nei parchi,<br />

sulle sponde <strong>dei</strong> fiumi, a ridosso delle ferrovie. Strade riservate,<br />

protette, sicure, brevi (i percorsi più lunghi alle auto<br />

che «faticano» meno) e il più possibile pulite.<br />

Se siamo veramente una società democratica il piano<br />

urbano della mobilità dovrà tener conto di una gerarchia<br />

di bisogni a partire da quelli <strong>dei</strong> più deboli, quindi prima i<br />

pedoni, poi i ciclisti, poi i mezzi di trasporto pubblico e infine<br />

i mezzi privati. Senza ostracismi, ma con una chiara<br />

scelta delle precedenze.<br />

Se la mobilità diventa l’obiettivo principale, gli strumenti<br />

per realizzarla dovranno essere quelli di seguito indicati:<br />

– Rallentare il traffico automobilistico tutte le volte che<br />

questo insiste su zone residenziali. Non sono sufficienti i<br />

limiti legali, occorre creare condizioni strutturali che impediscano<br />

una maggiore velocità come restringimento<br />

massimo delle carreggiate, lasciare il doppio senso di marcia,<br />

evitare rettilinei che inducono ad aumentare la velocità.<br />

– Privilegiare i percorsi pedonali. Quando sorgono<br />

conflitti e incompatibilità fra i diritti <strong>dei</strong> pedoni e quelli delle<br />

macchine si garantiscono sempre, prioritariamente,<br />

quelli <strong>dei</strong> pedoni. Strettamente connesso con questo punto<br />

è il progetto «A scuola andiamo da soli» che vuol essere<br />

un approccio educativo per una modalità diversa di<br />

pensare la mobilità nelle future generazioni.<br />

– Privilegiare i percorsi ciclabili destinando con coraggio<br />

alcune strade al solo traffico ciclistico. L’apparente<br />

danno alla circolazione delle auto sarà compensato dal mi-<br />

85


nor numero di auto circolanti se un numero sempre maggiore<br />

di cittadini si convertirà a questo tipo di trasporto. Il<br />

progetto «A scuola ci andiamo da soli» per la scuola media<br />

dovrebbe puntare principalmente proprio sull’uso della<br />

bicicletta.<br />

– Ridurre e decentrare i parcheggi. Se si vuole aumentare<br />

la qualità del centro storico, o comunque delle zone<br />

residenziali, occorre impedire il passaggio di auto. Perché<br />

questo obiettivo si riveli realizzabile occorre ripensare<br />

criticamente la collocazione <strong>dei</strong> parcheggi in centro perché<br />

la loro presenza attira le auto, e decentrarli educando<br />

la gente ad arrivare al centro solo con mezzi pubblici, in<br />

bicicletta o a piedi.<br />

– Rendere competitivi i mezzi pubblici. In questo nuovo<br />

scenario di <strong>città</strong> più leggera, più pulita e più silenziosa<br />

va ripensato il problema <strong>dei</strong> mezzi pubblici. Mezzi pubblici<br />

anch’essi adatti a tutti i cittadini e quindi di facile accesso,<br />

con entrate a livello del marciapiedi, silenziosi, ecologici,<br />

puntuali e con percorsi riservati. Dovrà insomma essere<br />

di gran lunga più veloce, comodo ed economico<br />

muoversi con mezzi alternativi all’auto privata. Il cittadino<br />

non è stupido e sceglie sempre seguendo criteri di economia.<br />

Se potrà muoversi facilmente con mezzi alternativi,<br />

lascerà volentieri la sua auto in garage.<br />

– Dare il buon esempio. Sarà infine importante che<br />

anche i vigili e la polizia impegnati in area urbana si muovano<br />

o a piedi o in bicicletta.<br />

I nostri amministratori sono oggi chiamati ad una scelta<br />

importante e coraggiosa. Debbono operare le loro scelte<br />

con la convinzione che favorendo la mobilità leggera,<br />

<strong>dei</strong> pedoni e delle biciclette, e quella pubblica, l’uso <strong>dei</strong><br />

mezzi privati tenderà lentamente ma regolarmente a diminuire.<br />

Questo significa non investire risorse per la «fluidificazione»<br />

del traffico, per l’allargamento delle carreggiate,<br />

per l’installazione <strong>dei</strong> semafori intelligenti. Significa<br />

86


invece investire in marciapiedi, in attraversamenti sicuri,<br />

in piste ciclabili, nel rallentamento del traffico. Questo<br />

stanno facendo da alcuni anni molti paesi del centro e del<br />

nord Europa ottenendo significativi risultati 6 .<br />

Ripopolare il centro storico<br />

Il centro storico delle <strong>città</strong> è un luogo dove i <strong>bambini</strong> potrebbero<br />

vivere bene, grazie alle zone pedonali, alle piazze<br />

e piazzette, ai giardini, ai monumenti, alle fontane e alla<br />

stessa struttura urbana che ben si presta allo spostamento<br />

pedonale e al gioco. D’altra parte è oggi difficile<br />

per le giovani coppie sposarsi e aver figli anche per la carenza<br />

di alloggi. Si potrebbe assumere un preciso impegno<br />

per recuperare il maggior numero di aree e fabbricati<br />

di proprietà pubblica del centro storico, degradati, inutilizzati<br />

o male utilizzati e destinarli alla edilizia popolare<br />

per assegnare gli appartamenti preferibilmente a giovani<br />

coppie. Riportare i <strong>bambini</strong> al centro delle <strong>città</strong> sarà una<br />

operazione di grande valore civico, vi riporterà la vita, il<br />

chiasso <strong>dei</strong> giochi. Un’altra categoria che potrebbe essere<br />

favorita da tale impegno è quella degli anziani che nel<br />

centro potrebbero ritrovare una propria autonomia, che<br />

nei quartieri periferici fatalmente perdono per la lontananza,<br />

l’altezza <strong>dei</strong> fabbricati e la mancanza di stimoli.<br />

Vecchi e <strong>bambini</strong> sono fatti apposta per stare insieme e il<br />

centro di una <strong>città</strong> è il posto migliore per il loro incontro,<br />

per la loro complicità.<br />

6 A Copenaghen si sta sperimentando il prestito gratuito di migliaia di biciclette<br />

in decine di stazioni di sosta. Il cittadino può prendersi una bicicletta in<br />

una stazione e, dopo averla usata, lasciarla in un’altra stazione, quella a lui più<br />

comoda.<br />

87


Rinunciare agli spazi gioco per <strong>bambini</strong><br />

Gli spazi gioco per <strong>bambini</strong>, separati e specializzati, sono<br />

rigorosamente uguali in tutte le nostre <strong>città</strong> e in tutto il<br />

mondo, e il loro obiettivo, come si diceva sopra, non è di<br />

soddisfare le esigenze di gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, ma di rispondere<br />

alle preoccupazioni degli adulti. Per fare questo il<br />

progettista non solo definisce l’area ma indica anche presuntuosamente<br />

i tipi e le modalità <strong>dei</strong> giochi che un bambino<br />

vi potrà fare. Se proviamo a ricordare quali erano i<br />

luoghi migliori per i nostri giochi da <strong>bambini</strong> 7 , noteremo<br />

con sorpresa che erano quelli che «non servivano» agli<br />

adulti. Penso alle scale, al sottoscala, al marciapiedi, alle<br />

case bombardate in <strong>città</strong>; alla capanna degli attrezzi, alla<br />

scarpata fra la strada e il campo in campagna. Erano anche,<br />

quasi sempre, luoghi proibiti, dove si andava a rischiare<br />

per divertirsi e per diventare grandi.<br />

Tutto questo vale anche oggi, così come dimostrano<br />

numerosi studi e ricerche: ai <strong>bambini</strong> non piacciono gli<br />

spazi rigidamente definiti, separati, dedicati. Preferiscono<br />

gli spazi duttili, utilizzabili in maniere diverse a seconda<br />

delle esigenze del gioco 8 . Spesso preferiscono condividere<br />

gli spazi degli adulti, inventandosi modalità e usi nuovi<br />

e creativi. Si pensi ad esempio come i <strong>bambini</strong> che hanno<br />

la fortuna di avere la loro cameretta fin dai primi anni<br />

(ancora uno spazio separato e specializzato), rifiutino sistematicamente<br />

di utilizzarla come spazio di gioco e preferiscano<br />

invece giocare nella cucina dove sfaccenda la<br />

mamma, magari inventandosi fantastici ambienti sotto il<br />

tavolo o intorno al lavello.<br />

7 Ho più volte ricordato che non è corretto riandare al passato perché l’esperienza<br />

che si offre ai nostri <strong>bambini</strong> è assolutamente nuova e richiede proposte<br />

e soluzioni nuove, ma se è vero che i <strong>bambini</strong> hanno oggi perduto molte<br />

delle loro possibilità di gioco allora, almeno per «ritrovare la strada», può essere<br />

utile esaminare le condizioni e le caratteristiche del gioco della nostra infanzia.<br />

8 Si vedano i riferimenti bibliografici su «Il gioco e l’ambiente urbano».<br />

88


Il problema vero è che noi adulti non siamo capaci di<br />

progettare spazi per il gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, e se veramente<br />

vogliamo rispondere ai loro bisogni, invece che dedicare,<br />

disegnare spazi per loro, dovremmo imparare a lasciare<br />

loro degli spazi. <strong>La</strong>sciare spazi non significa rinunciare a<br />

progettare, significa invece progettare diversamente, con<br />

più umiltà, con più generosità, con più creatività, pensando<br />

che, il come giocare, a che cosa e con cosa, lo sanno i<br />

<strong>bambini</strong>. <strong>La</strong>sciare spazi significa regalare. Questo vuol dire<br />

che nel disegno della <strong>città</strong> dovranno scomparire gli spazi<br />

dedicati ai <strong>bambini</strong>, ed essere invece previsti spazi ricchi,<br />

frequenti, vicini, originali, aperti a tutti, adatti ai <strong>bambini</strong> e<br />

agli anziani, a chi vuol leggere il giornale e agli innamorati.<br />

Spazi ricchi significa articolati, mossi, con ostacoli, cespugli,<br />

muretti, alberi, materiali diversi. Spazi dove ciascuno<br />

possa fare ciò che vuole, perché non sono mono-uso,<br />

non sono dedicati ma sono appunto spazi lasciati.<br />

Mi sembra questa una bella sfida per i progettisti, un invito<br />

a rinunciare al primato del disegno, al primato del<br />

punto di vista dell’autore, per dare spazio ad altre ottiche,<br />

ad altre prospettive. Scoprire che uno spazio può essere<br />

bello e funzionale anche se non sembra neppure progettato.<br />

E per fare questo il contributo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> potrà essere<br />

importante, forse indispensabile. Il progettista della<br />

nuova <strong>città</strong> sarà un professionista che avrà imparato a parlare<br />

con i <strong>bambini</strong>, ad ascoltarli, a capirli, a lavorare con<br />

loro e a progettare con loro. Chi saprà tener conto del punto<br />

di vista <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> troverà poi naturale preoccuparsi di<br />

quello degli anziani, degli handicappati, <strong>dei</strong> poveri.<br />

<strong>La</strong> strada, un luogo di tutti<br />

«Ragazzo di strada, donna di strada» o il più recente «<strong>bambini</strong><br />

di strada», sono espressioni che indicano riprovazione,<br />

condanna, rifiuto. <strong>La</strong> strada, simbolo di degrado eco-<br />

89


nomico e morale, è il luogo del massimo inquinamento atmosferico,<br />

del chiasso, del pericolo provocato dal traffico;<br />

è il luogo <strong>dei</strong> furti, degli scippi, dello spaccio; è il luogo <strong>dei</strong><br />

drogati, <strong>dei</strong> barboni, degli zingari, <strong>dei</strong> mendicanti. Di fronte<br />

a questo degrado la <strong>città</strong> risponde, come già si è detto,<br />

difendendosi. <strong>La</strong> strada è nemica e va tagliata fuori, isolata,<br />

abbandonata. Il cittadino per bene si chiude in casa,<br />

si garantisce nei confronti dell’esterno e percorre la strada<br />

solo al sicuro della sua auto e, se possiede un cane, la<br />

usa come luogo dove portarlo per soddisfare i suoi bisogni.<br />

In modo parallelo le persone che sono costrette a<br />

vivere nella strada vedono peggiorare le loro condizioni<br />

e si allontanano progressivamente da quelli che vivono<br />

chiusi in casa.<br />

Da un lato i <strong>bambini</strong> reclusi, soli e affidati alla televisione<br />

e dall’altro i <strong>bambini</strong> di strada, che giocano in mezzo<br />

alle immondizie, si inselvatichiscono, diventano aggressivi<br />

e pericolosi per garantirsi il necessario per vivere.<br />

I reclusi delle case cominciano a temere gli abitanti delle<br />

strade, li evitano, li denunciano, arrivano perfino a chiederne<br />

la soppressione, fino a pagare sicari, squadroni della<br />

morte. Non sto accennando ad una possibile trama di<br />

un romanzo di fantascienza, ma a quello che purtroppo<br />

sta avvenendo in parte in molte delle nostre <strong>città</strong> europee<br />

e fino alla terrificante ma coerente conclusione, nelle<br />

grandi metropoli sudamericane.<br />

Assumere il bambino come parametro di cambiamento<br />

significa anche, o forse prioritariamente, ridare alle nostre<br />

strade il ruolo sociale, di luogo pubblico, dell’incontro,<br />

del passeggio e del gioco che hanno avuto e che debbono<br />

recuperare. Le strade non diventeranno sicure quando<br />

saranno piantonate dalla polizia, dall’esercito o dalle ronde<br />

volontarie, ma quando verranno conquistate dai <strong>bambini</strong>,<br />

dagli anziani, dai cittadini. <strong>La</strong> strada frequentata tornerà<br />

ad essere pulita, ad avere i marciapiedi a disposizio-<br />

90


ne <strong>dei</strong> pedoni, tornerà ad essere bella, invitante per il passeggio,<br />

per la sosta.<br />

Il desiderio più o meno espresso degli amministratori,<br />

delle istituzioni, è di poter rimettere «dentro» i <strong>bambini</strong><br />

perduti, abbandonati, di strada. Per i casi più gravi si pensa<br />

anche alla reclusione in carcere o in istituto, ma più comunemente<br />

si pensa alla scuola. L’idea comune è che se<br />

si riuscirà a riportarli a scuola, nel luogo di sicurezza <strong>dei</strong><br />

nostri figli, saranno recuperati. Questo non è assolutamente<br />

vero, a meno che la scuola non si renda disponibile<br />

ad una profonda e radicale conversione. Nella scuola attuale,<br />

dove hanno successo gli allievi che sopportano pazientemente<br />

cinque ore di immobilità, che sanno leggere<br />

e scrivere bene, che sono disposti a studiare anche cose<br />

del tutto inutili o comunque difficilmente comprensibili,<br />

questi <strong>bambini</strong> entreranno sempre da perdenti, per essere<br />

presto sconfitti. Quando non reggeranno più l’umiliazione<br />

di non capire, di non riuscire, reagiranno, nasceranno<br />

conflitti insuperabili e torneranno nella strada.<br />

Che sia la scuola a rifiutarli o loro a rifiutare la scuola,<br />

non cambia nulla. <strong>La</strong> scuola avrà fallito e sarà responsabile<br />

di un danno maggiore: rimandarli nella strada umiliati<br />

e quindi nelle migliori condizioni per accettare il «riscatto»<br />

di chi vorrà credere in loro mettendo nelle loro mani<br />

una dose di droga o una pistola.<br />

Allora mi sembra più convincente e ricca di prospettiva<br />

una soluzione alternativa: riqualifichiamo la strada, liberiamola<br />

dalle immondizie, facciamo in modo che il territorio<br />

abituale e sicuro di questi <strong>bambini</strong>, più liberi e più<br />

svantaggiati, sia bello e sano. Lo sia tanto da invitare i nostri<br />

figli, quelli chiusi in casa, a scendere per giocare con<br />

loro approfittando delle loro sicurezze e delle loro abilità.<br />

Forse poi, tutti insieme, verrà loro voglia di andare anche<br />

da qualche parte, forse anche a scuola 9 .<br />

9 Si veda la scheda n° 19: «Un giardino di pietra».<br />

91


I <strong>bambini</strong> che aspettano<br />

Spesso i <strong>bambini</strong> aspettano, anche per tempi lunghi, mentre<br />

i loro genitori fanno la fila, aspettano il treno, visitano<br />

un museo. Gli adulti sanno aspettare, sanno perché aspettano,<br />

sanno come passare il tempo, o per lo meno sanno<br />

rassegnarsi a questa necessità, ma per i <strong>bambini</strong> è più difficile.<br />

Per loro non ha senso stare buoni, in fila, senza fare<br />

nulla. Allora manifestano il loro malessere diventando insopportabili,<br />

facendo capricci, rendendo così ancora più<br />

difficile la situazione <strong>dei</strong> loro genitori e degli altri adulti.<br />

Spesso si considerano cattivi i <strong>bambini</strong>, altre volte imprevidenti<br />

i loro genitori. <strong>La</strong> verità è che molto spesso i genitori<br />

non hanno alternative al portarsi dietro i figli e quando<br />

i <strong>bambini</strong> sono «cattivi» vuol dire che stanno vivendo<br />

male, che sono maltrattati. <strong>La</strong> <strong>città</strong> dovrebbe farsi carico di<br />

questo disagio <strong>dei</strong> più piccoli offrendo iniziative e strutture<br />

adeguate. Negli uffici pubblici come l’anagrafe, le circoscrizioni,<br />

le sedi USL, nei musei, nelle stazioni ferroviarie,<br />

negli aeroporti, insomma in tutti i luoghi dove le persone<br />

aspettano e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> potrebbero dover aspettare con<br />

loro, si dovrebbero aprire locali dove i <strong>bambini</strong> possano<br />

giocare tra loro, trovare <strong>dei</strong> giocattoli, leggere un libro, disegnare,<br />

ecc. In alcuni casi una persona li accoglierà, li aiuterà<br />

a passare bene il tempo, mentre i genitori faranno la<br />

loro coda. Con un po’ di ingegno le varie sedi potrebbero<br />

offrire, per il gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, attività pertinenti alle loro<br />

caratteristiche, diventando così una proposta significativa<br />

ed originale. L’ufficio postale per esempio potrebbe avere<br />

una piccola sala nella quale i <strong>bambini</strong> possano giocare all’ufficio<br />

postale, con timbri, bilancia, vecchi francobolli, lettere<br />

da scrivere, ecc.<br />

Sono iniziative che certamente hanno un loro costo,<br />

ma anche il malessere <strong>dei</strong> cittadini ha un suo costo. Oggi<br />

abbiamo meno <strong>bambini</strong> e quindi abbiamo docenti in esu-<br />

92


ero. Invece di inventare mille trucchi per aumentare gli<br />

insegnanti e ridurre gli alunni in ogni classe, una parte degli<br />

insegnanti potrebbe, se lo desiderano, assumere questi<br />

nuovi ruoli di animatori di attività per i <strong>bambini</strong> nella <strong>città</strong>.<br />

<strong>La</strong> proposta non è coerente con la denuncia più volte sottolineata<br />

<strong>dei</strong> luoghi separati e specializzati, ma, in attesa<br />

di una <strong>città</strong> più adatta ai <strong>bambini</strong>, sembra un necessario<br />

male minore. Questi sarebbero piccoli atti di affetto della<br />

<strong>città</strong> verso i cittadini più piccoli, particolarmente apprezzati<br />

dagli adulti.<br />

Il sindaco dovrebbe per primo affrontare questo problema<br />

nei luoghi di sua competenza come l’anagrafe, le<br />

circoscrizioni, gli uffici tributari, per affermare nella pratica<br />

la sua scelta nei confronti <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, per dare il buon<br />

esempio. Potrebbe poi invitare tutti gli enti pubblici e privati,<br />

perché anche loro pensino ai <strong>bambini</strong>, e mettere a<br />

loro disposizione la consulenza e l’aiuto del <strong>La</strong>boratorio<br />

«<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />

Le strutture alberghiere e di ristorazione<br />

Sempre più spesso capita che i <strong>bambini</strong> accompagnino i<br />

genitori in ristoranti ed alberghi. Dovrebbero essere per<br />

loro esperienze nuove, eccitanti, desiderate, così come lo<br />

sono in genere per gli adulti, e invece sono spesso esperienze<br />

stancanti e frustranti.<br />

In particolare i <strong>bambini</strong> mal sopportano i ritmi e i tempi<br />

degli adulti. Gli adulti prendono l’aperitivo e parlano,<br />

dopo mangiato prendono il caffè e parlano; i <strong>bambini</strong><br />

aspettano. Agli adulti piace passare molto tempo a tavola,<br />

perché è una buona occasione per stare insieme, per<br />

scambiare opinioni e informazioni. Il bambino è spesso<br />

solo, comunque escluso da questi discorsi, che toccano ar-<br />

93


gomenti che non conosce o non lo interessano, come le<br />

confidenze sui vari conoscenti o le discussioni sui temi della<br />

politica. Col bambino gli adulti risolvono il problema<br />

della sua presenza e del suo coinvolgimento chiedendo alcune<br />

informazioni sulla sua scuola: sembra che il mondo<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> cominci e finisca dentro l’aula scolastica.<br />

Poi c’è il problema del piatto pieno e la convinzione degli<br />

adulti che un bambino non sia in grado di valutare né la<br />

qualità, né la quantità del cibo. Per gli adulti mangiare è un<br />

piacere, per i <strong>bambini</strong> un dovere. Naturalmente questo tende<br />

a creare un rifiuto da parte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e quindi il quotidiano<br />

conflitto su quello che piace e quello che fa bene.<br />

Per l’albergo c’è infine il problema della libertà. Questo<br />

posto speciale, dove c’è qualcuno che pulisce, che rifà i letti<br />

e dove i grandi si sentono particolarmente liberi, per i<br />

<strong>bambini</strong> è spesso un luogo di maggiori difficoltà e limitazioni.<br />

I <strong>bambini</strong> sono consapevoli di tutto questo e hanno<br />

idee chiare nel formulare proposte, come si potrà vedere<br />

nella esperienza di Fano 10 . Sono proposte semplici, realizzabili,<br />

che forse avremmo potuto pensare anche noi<br />

adulti. I <strong>bambini</strong> chiedono di mangiare fra loro, di servirsi<br />

da soli, di avere più autonomia, di poter amministrare il<br />

loro tempo. Chiedono insomma per loro quello che noi<br />

adulti pretendiamo per noi.<br />

L’ospedale pediatrico<br />

Anche l’ospedale dovrebbe diventare adatto al bambino,<br />

riconoscendo i suoi diritti, le sue caratteristiche, i suoi bi-<br />

10 Si veda l’esperienza che si sta sviluppando a Fano riferita nella scheda n°<br />

14: «Un marchio di qualità <strong>bambini</strong> per alberghi e ristoranti».<br />

94


sogni; senza dimenticare mai che prima di essere un paziente<br />

è un bambino.<br />

Il bambino non dovrebbe mai andare in ospedale, se<br />

questo non è assolutamente indispensabile; dovrebbe essere<br />

l’ospedale ad andare da lui, con i suoi medici, con i<br />

suoi infermieri, se è necessario con unità mobili. Un tale<br />

funzionamento dell’ospedale dovrebbe essere più economico<br />

e meno traumatico per i piccoli pazienti, che potrebbero<br />

evitare il distacco dalle proprie case, dagli affetti,<br />

dalle sicurezze.<br />

Quando è necessario che vada in ospedale è importante<br />

che non ci dorma. Il momento del sonno è quello<br />

che crea più disagi affettivi al bambino. Anche a casa, d’altronde,<br />

è vissuto come un distacco e per questo si creano<br />

i complessi rituali dell’accompagnamento, della fiaba, del<br />

bacio della buona notte.<br />

Se deve dormire in ospedale, ci debbono essere due letti,<br />

uno per il bambino e uno per il genitore, in un ambiente<br />

accogliente e che possa essere personalizzato con i giocattoli,<br />

le cose a cui è legato affettivamente. Questo, che<br />

oggi potrebbe sembrare un lusso, in un ospedale che ricovera<br />

solo eccezionalmente, potrà diventare possibile.<br />

Il bambino ricoverato deve stare a letto il meno possibile,<br />

se questo è compatibile con le sue condizioni. Bisogna<br />

rompere questa strana abitudine ospedaliera che identifica<br />

il paziente con il suo letto, che lo priva di tutti i<br />

simboli della sua identità, perfino <strong>dei</strong> vestiti, impedendogli<br />

ogni via d’uscita, facendolo sentire in trappola.<br />

Naturalmente se il piccolo paziente può stare fuori dal<br />

letto, deve avere luoghi diversi in cui passare il tempo, in<br />

modo interessante e produttivo, insieme agli altri <strong>bambini</strong><br />

ricoverati e ai suoi amici che lo vengono a trovare. Luoghi<br />

di gioco, materiali per giocare, per dipingere, per manipolare,<br />

per costruire. Questi luoghi possono essere al<br />

chiuso e all’aperto. È opportuno che ci sia un luogo più<br />

raccolto dove leggere, studiare, scrivere, disegnare, dota-<br />

95


to di una buona biblioteca, del computer, <strong>dei</strong> vari materiali.<br />

Un luogo dove vedere la televisione, forse meglio a<br />

circuito chiuso e con una buona videoteca, piuttosto che<br />

non collegata ai programmi di rete che farebbero il bambino<br />

di nuovo schiavo <strong>dei</strong> cartoni di basso livello e della<br />

pubblicità.<br />

Naturalmente queste risorse saranno a disposizione anche<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> che non possono lasciare il letto, con adeguati<br />

supporti (tavolinetti, piani mobili, televisore nelle<br />

stanze, biblioteca mobile). Si dovranno anche studiare adeguate<br />

soluzioni per quando i <strong>bambini</strong> si trovano in particolari<br />

condizioni materiali (per esempio quando non possono<br />

utilizzare una mano per la flebo) o psicologiche (per<br />

esempio quando perdono i capelli per le terapie oncologiche).<br />

Una cura particolare si dovrà porre nella preparazione<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> agli interventi più traumatici, dalla iniezione<br />

all’intervento chirurgico. Per questo può essere importante<br />

avere angoli di gioco dove i <strong>bambini</strong> possano giocare<br />

al dottore, usando mascherine per l’anestesia, siringhe,<br />

bende, ecc. È molto bello che alcuni ospedali chiamino <strong>dei</strong><br />

clown per far compagnia ai piccoli pazienti. Anche in questo<br />

caso un bravo clown «dottore» (e in genere sono bravi)<br />

può fare molto per esorcizzare la paura <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

Compatibilmente con le sue condizioni di salute dovrà<br />

essere garantito il massimo collegamento del bambino<br />

con il mondo esterno e in particolare con i suoi amici, sia<br />

per il gioco che per la scuola. Bisogna stare attenti a non<br />

considerare la scuola come unico interesse del bambino e<br />

come unico aggancio al mondo esterno. Sarebbe opportuno<br />

che gli amici potessero venire nelle ore che desiderano,<br />

senza eccessive limitazioni. Se capiteranno durante<br />

la visita o le piccole medicazioni, potrà essere per loro una<br />

utile esperienza e potranno, con la loro presenza, incoraggiare<br />

i piccoli pazienti.<br />

Il bambino in ospedale non dovrebbe modificare i suoi<br />

orari abituali. Non è facile capire perché una persona che<br />

96


sta male, che deve lasciare il suo ambiente abituale, che<br />

deve prepararsi ad esperienze preoccupanti e spesso dolorose,<br />

debba anche modificare radicalmente le sue abitudini:<br />

essere svegliato all’alba per misurare la temperatura,<br />

pranzare a mezzogiorno e cenare alle sei, per poi affrontare<br />

lunghissime serate senza sapere come passare il tempo.<br />

<strong>La</strong> spiegazione che sempre mi è stata data è che questi<br />

orari sono funzionali ai turni del personale paramedico.<br />

Ma siamo matti? È possibile che un servizio così<br />

delicato venga offerto alle condizioni di chi lo fornisce e<br />

non di chi lo riceve? Le abitudini debbono quindi essere rispettate<br />

e allora, per esempio, la sveglia con la colazione<br />

sarà alle otto, il pranzo alle tredici e la cena alle venti. Tenendo<br />

conto di questi orari il personale deciderà in tutta<br />

libertà e autonomia come organizzare i turni.<br />

Dovranno essere attentamente evitate le immagini e le<br />

suggestioni paurose, le pareti rigorosamente bianche, i<br />

lettini «da ospedale», i camici bianchi, i ferri chirurgici bene<br />

in vista e tintinnanti nel carrello anche se si deve solo<br />

cambiare una fasciatura o misurare la temperatura.<br />

Sarebbe bene che i <strong>bambini</strong> che debbono trascorrere<br />

lunghi periodi in ospedale possano essere ascoltati, essere<br />

consultati. Potrebbe esserci un Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

che esprime i suoi pareri, che discute con i medici, che<br />

realizza suoi messaggi, suoi manifesti, in spazi riservati.<br />

Questa esperienza di partecipazione dovrebbe essere seguita<br />

da un adulto che possa garantirne la continuità. Potrebbe<br />

essere un medico o un infermiere, che abbiano desiderio<br />

e capacità di allargare il loro settore di intervento.<br />

Piccole cose che però farebbero sentire i piccoli malati<br />

meno estranei e più partecipi.<br />

Il reparto pediatrico dovrà scegliere e poi formare i suoi<br />

operatori, medici e paramedici, anche per la loro capacità<br />

di stare con i <strong>bambini</strong>. Si pensi che il Comune di Reggio<br />

Emilia per le sue scuole dell’infanzia ha assunto un burattinaio.<br />

Un ospedale pediatrico potrebbe a ben ragione<br />

97


avere un animatore, un clown, ecc. Alcune di queste figure<br />

saranno certamente reperibili fra il personale in servizio,<br />

altre potrebbero essere fornite da appositi accordi con<br />

il Provveditorato agli studi e con il Comune.<br />

Anche in questo caso credo si comprenda immediatamente<br />

l’uso «strumentale» <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Se l’ospedale pediatrico<br />

cambiasse si potrebbe poi chiedere all’ospedale<br />

per gli adulti di cambiare, perché tutto quello che si è detto<br />

sopra per i <strong>bambini</strong> credo possa valere esattamente anche<br />

per i grandi.<br />

Non scrivo questi appunti sull’ospedale solo per una<br />

coerente applicazione <strong>dei</strong> principi generali del progetto,<br />

ma perché ho vissuto vicino ad un bambino di sette anni<br />

gli ultimi suoi cinque mesi di vita. Questo bambino è stato<br />

per me un grande maestro. Era malato di tumore al cervello,<br />

era sereno, desideroso di giocare. È stato cinque<br />

mesi a letto, spesso senza reale necessità, tanto che alcuni<br />

suoi compagni di sventura facevano le terapie in day<br />

hospital. Per la maggior parte del tempo aveva un braccio<br />

immobilizzato dalle flebo. <strong>La</strong> mamma ha passato cinque<br />

mesi su una seggiola, potendo allungare una sdraia la notte,<br />

solo per la tolleranza del personale. Pur essendo curato<br />

con tutta l’attenzione necessaria e anche con molto affetto<br />

da tutto il personale, questo bambino ha passato gli<br />

ultimi cinque mesi di vita senza che nessuno, tranne la<br />

madre e noi suoi amici, si preoccupasse del suo bisogno<br />

di giocare. Ho vissuto questa esperienza, così dura e così<br />

ricca, come una grande ingiustizia. Non si può togliere ad<br />

un bambino la possibilità di giocare. Non possono passare<br />

così i suoi ultimi mesi di vita.<br />

Una scuola adatta ai <strong>bambini</strong><br />

Ho lavorato con la scuola e nella scuola, come ricercatore,<br />

per trenta anni. Ho partecipato attivamente a varie<br />

98


proposte di innovamento metodologico e pedagogico e<br />

continuo ad occuparmi di educazione scolastica ed extrascolastica.<br />

Ma fino a che non mi sono occupato della <strong>città</strong>,<br />

fino a che non mi è sembrato assurdo che i <strong>bambini</strong> non<br />

avessero nella <strong>città</strong> né voce né potere, pur essendo cittadini,<br />

fintanto che non abbiamo cominciato a realizzare<br />

forme concrete di partecipazione <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> alla modifica<br />

e alla progettazione della <strong>città</strong> (dal Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

ai <strong>bambini</strong> progettisti), fino ad allora non mi ero reso<br />

conto che nella scuola i <strong>bambini</strong> non contano niente. Nessuno<br />

si preoccupa di conoscere il loro parere. Gli organi<br />

collegiali riconoscono la rappresentanza studentesca solo<br />

nelle scuole medie superiori. È come se i <strong>bambini</strong> di tre,<br />

di otto, di dodici anni non avessero idee, opinioni, preferenze.<br />

D’altra parte non stupisce nessuno, né gli insegnanti,<br />

né i genitori e men che meno gli stessi <strong>bambini</strong>,<br />

che gli alunni non amino la loro scuola, che ci vadano malvolentieri,<br />

che desiderino l’arrivo dell’intervallo, della domenica,<br />

delle vacanze.<br />

Per la <strong>città</strong> cominciamo a pensare di non poter prescindere<br />

dal contributo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, eppure la <strong>città</strong> non è<br />

fatta solo per loro. Per la scuola continuiamo ad ignorarli<br />

pur essendo fatta solo e appositamente per loro. Per la<br />

<strong>città</strong> abbiamo creato un Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> 11 , chiedendo<br />

ad ogni scuola della <strong>città</strong> di inviare due rappresentanti,<br />

ma le scuole della <strong>città</strong> fino ad ora non hanno pensato<br />

di darsi anche loro, al loro interno e per il loro funzionamento,<br />

una organizzazione democratica.<br />

Una esperienza di democrazia<br />

<strong>La</strong> scuola di tutti i livelli dedica tempo alla educazione civica.<br />

Intende cioè insegnare le basi della democrazia, ma<br />

11 Si veda la scheda n° 2: «Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />

99


la democrazia non si può insegnare, occorre viverla. Questo<br />

potrebbe essere un primo e importante impegno che<br />

la scuola assume facendo propria la filosofia di questo progetto:<br />

creare occasioni di reale partecipazione democratica<br />

alla sua gestione da parte degli allievi di ogni livello.<br />

Questa proposta potrebbe realizzarsi dando il valore<br />

più alto all’assemblea di classe, che potrebbe esprimere<br />

due rappresentanti, un maschio e una femmina, per formare<br />

il Consiglio di scuola <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. I rappresentanti<br />

potrebbero incontrarsi periodicamente fra loro per discutere<br />

i problemi della scuola e le proposte da avanzare. Potrebbero<br />

incontrarsi da soli o insieme ad un insegnante delegato<br />

a seguire i lavori del Consiglio. Il dirigente scolastico<br />

potrebbe chiedere la convocazione del Consiglio per<br />

discutere con i rappresentanti degli allievi alcuni punti della<br />

organizzazione scolastica.<br />

Il Consiglio, in alcune occasioni particolari, potrebbe<br />

incontrarsi con il Consiglio di circolo o di istituto, o con il<br />

Collegio <strong>dei</strong> docenti, per comunicare proposte e proteste,<br />

esattamente come avviene fra il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e il<br />

Consiglio comunale nel Comune di Fano e come avverrà<br />

presto negli altri Comuni interessati al progetto.<br />

Sarebbe auspicabile che il Consiglio di scuola avesse<br />

uno spazio dove incontrarsi, da arredare liberamente. Potrebbe<br />

avere delle risorse economiche, magari raccolte<br />

con iniziative degli stessi studenti, da amministrare; uno<br />

spazio murale libero e riservato per la comunicazione con<br />

i compagni di scuola. Potrebbe avere un monte ore da usare<br />

secondo le proprie indicazioni. Gli studenti delle<br />

scuole superiori mandano da alcuni anni segnali precisi<br />

con le loro esperienze di autogestione. Sarebbe diverso se<br />

tutti gli studenti, a partire dai primi anni di scolarità, avessero<br />

spazi e tempi propri, per esprimersi, per protestare<br />

ma anche per proporre e per organizzare.<br />

Naturalmente questo non significa affermare che la<br />

scuola debba essere organizzata come vogliono gli allievi:<br />

100


vuol dire che non ha senso pensare, amministrare, organizzare<br />

la scuola, a prescindere da quello che gli allievi<br />

pensano. Vuol dire tenerne conto. Ma vuol dire anche<br />

porre in essere una esperienza di democrazia, a volte diretta,<br />

a volte delegata, che potrà valere certamente molto<br />

di più di tante lezioni di educazione civica.<br />

Quando la <strong>città</strong> organizza un suo <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong> <strong>città</strong><br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» e apre un Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> allora saranno<br />

i Consigli di scuola <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> che esprimeranno<br />

due loro delegati, sempre un maschio e una femmina, per<br />

rappresentare la scuola. I delegati non si sentiranno soli,<br />

avranno la possibilità di riferire attraverso il Consiglio di<br />

scuola e le assemblee di classe i risultati delle riunioni del<br />

Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> a tutti i compagni e di raccogliere le<br />

loro proposte per l’incontro successivo.<br />

Una esperienza di educazione ambientale:<br />

progettare la propria <strong>città</strong><br />

Oggi si parla molto di educazione ambientale e spesso la<br />

scuola si impegna in progetti di educazione ambientale,<br />

ma quasi sempre si tratta di argomenti naturalistici o di rifiuti<br />

solidi urbani. Si studiano il bosco, il fiume, l’inquinamento,<br />

il riciclaggio o la raccolta differenziata <strong>dei</strong> rifiuti.<br />

<strong>La</strong> prima preoccupazione dell’educazione ambientale dovrebbe<br />

essere invece quella di aiutare gli allievi a conoscere<br />

e a controllare l’ambiente dove vivono.<br />

Conoscere l’ambiente sperimentandolo, percorrendolo,<br />

vivendolo e poi studiarlo operativamente per comprenderne<br />

la storia, le caratteristiche, i limiti, le risorse, in<br />

vista di un intervento operativo, reale, in collaborazione o<br />

in conflitto con gli amministratori, per garantire alla propria<br />

<strong>città</strong> un futuro migliore, uno sviluppo sostenibile.<br />

<strong>La</strong> scuola diventerebbe così un laboratorio di studi am-<br />

101


ientali e di intervento territoriale, attraverso l’analisi <strong>dei</strong><br />

problemi e la progettazione partecipata di spazi urbani e<br />

di soluzioni ai problemi incontrati. Per fare questo cercherà<br />

la collaborazione degli uffici pubblici (dal catasto ai<br />

lavori pubblici, dai vigili urbani all’assessorato all’urbanistica)<br />

e di professionisti esperti nei settori indagati (architetti,<br />

urbanisti, sociologi, economisti, ecc.) 12 .<br />

<strong>La</strong> scuola potrebbe così diventare una istituzione capace<br />

di compromettersi, di portare il suo impegno fuori delle<br />

sue mura, confrontandosi con la realtà, con la gente,<br />

con le autorità, prendendo posizione, protestando. Insomma<br />

la scuola potrà scrivere sulla sua porta quella parola<br />

così impegnativa che don Milani scrisse sulla porta<br />

della sua scuola, nella canonica di Barbiana: «I care» 13 .<br />

Una esperienza di educazione stradale:<br />

percorrere la <strong>città</strong><br />

<strong>La</strong> scuola svolge programmi di educazione stradale e i Comuni<br />

mettono a disposizione delle scuole materiali come<br />

video, libretti, manifesti e spesso anche la disponibilità <strong>dei</strong><br />

vigili urbani che vanno nelle classi a trattare questo argomento.<br />

Questi materiali hanno costi notevoli e servono a<br />

ottenere risultati banali. Nella maggior parte <strong>dei</strong> casi si<br />

tratta di lezioni di educazione stradale, di presentazione<br />

<strong>dei</strong> segnali stradali o delle norme del codice. Si tratta ancora<br />

della scuola che i nostri <strong>bambini</strong> rifiutano e che quindi<br />

non riesce ad incidere su di loro. Se al maestro si sostituisce<br />

il vigile il risultato non migliora, perché questo signore<br />

cerca ugualmente di fare lezione e non ne è capa-<br />

12 Su questi argomenti si vedano le schede n° 11: «Io e la mia <strong>città</strong>» e n° 4:<br />

«I <strong>bambini</strong> progettisti».<br />

13 «I care», verbo inglese, significa mi interessa, mi preoccupa, mi faccio carico.<br />

È il contrario di «I don’t care» che traduce il «Me ne frego» fascista. <strong>La</strong> scritta<br />

è ancora visibile a Barbiana, sulla porta della scuola.<br />

102


ce. Quindi togliamo <strong>dei</strong> professionisti importanti dalle nostre<br />

piazze, dalle strade, e li mettiamo a far cose che non<br />

sanno fare. Le nozioni che si trasmettono non modificano<br />

in nulla il comportamento reale e non servono assolutamente<br />

a formare un cittadino più indipendente e consapevole<br />

<strong>dei</strong> suoi diritti e <strong>dei</strong> suoi doveri.<br />

<strong>La</strong> scuola potrebbe invece sostenere con le famiglie la<br />

necessità che i <strong>bambini</strong>, fin dalla prima elementare, vengano<br />

a scuola da soli, a piedi, mettendosi d’accordo con i<br />

compagni più grandi, ritrovando un minimo di autonomia<br />

e sperimentando praticamente i loro diritti e i loro doveri<br />

come pedoni. Su questa nuova esperienza si può discutere,<br />

si possono organizzare iniziative. Si possono effettuare<br />

sopralluoghi per verificare i vari percorsi, per identificare<br />

i passaggi di maggiore pericolo e studiare insieme le<br />

modalità migliori per evitare i pericoli. In questo caso il vigile<br />

può essere prezioso per confortare con la sua esperienza<br />

e conoscenza del codice della strada insegnanti e<br />

<strong>bambini</strong> 14 .<br />

Il progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» è destinato alla <strong>città</strong> e<br />

non alla scuola. Questa non è il luogo privilegiato per la<br />

sua realizzazione, ma è certamente un luogo molto importante<br />

per i <strong>bambini</strong>, che vi passano gran parte della loro<br />

infanzia, fanciullezza e gioventù. <strong>La</strong> scuola può quindi<br />

fare molto per l’affermazione di questa idea. Può aiutare<br />

le famiglie a capire, ad apprezzare il valore della proposta,<br />

e d’altra parte può ricevere molto facendo propria la<br />

filosofia del progetto, sostenendone le iniziative, partecipando<br />

alle sue attività e principalmente riconoscendo un<br />

ruolo di protagonisti agli allievi. Diventando insomma una<br />

scuola <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

14 Si vedano le schede n° 9: «A scuola ci andiamo da soli» e n° 10: «Una<br />

patente da pedone, da ciclista e da motorinista».<br />

103


I condomini: il diritto al gioco<br />

I regolamenti della maggior parte <strong>dei</strong> nostri condomini sono<br />

illegali, illegittimi, perché violano una legge dello Stato:<br />

la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo,<br />

approvata dalle Nazioni Unite nel 1989 e fatta propria<br />

dallo Stato italiano nel 1991 15 . In particolare l’articolo 31<br />

sancisce il diritto <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> al gioco. Nei regolamenti <strong>dei</strong><br />

condomini questo diritto è spesso ostacolato e non di rado<br />

è totalmente impedito.<br />

Quasi sempre è proibito giocare sulle scale, negli androni<br />

e perfino nei cortili in certe ore del giorno, in genere<br />

dopo pranzo, quando si presume che gli adulti possano<br />

aver voglia di riposare. Non ho trovato nel testo <strong>dei</strong> diritti<br />

dell’uomo un articolo che difende il diritto al riposino<br />

pomeridiano degli adulti, mentre è ben chiaro quello che<br />

difende il diritto di gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. D’altra parte le scale<br />

sono sempre state un luogo privilegiato di gioco, per la<br />

loro struttura articolata, che permette di nascondersi, di<br />

rincorrersi, ma anche di sedere e di chiacchierare o di disporre<br />

giocattoli e oggi, con gli ascensori, praticamente<br />

non servono più a nessuno. Si obbietta giustamente che i<br />

<strong>bambini</strong> fanno chiasso, disturbano. Ma non disturbano<br />

forse il traffico urbano, l’uso smodato <strong>dei</strong> clacson, l’uso ormai<br />

generalizzato delle sirene di allarme? Nessuno ha mai<br />

chiesto di proibire l’uso del clacson, delle sirene e l’arresto<br />

del traffico dalle 14 alle 16. E allora cosa sta succedendo<br />

a noi adulti? Ci stiamo adattando al rumore terribile<br />

delle sirene, a quello sgradevole <strong>dei</strong> clacson e a quello<br />

esasperante del traffico urbano e non sappiamo più sopportare<br />

il chiasso, certamente fastidioso, ma sano e necessario,<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> che giocano? Quale società stiamo<br />

preparando per i nostri figli, per i nostri nipoti? 16<br />

104<br />

15 Si veda il testo della Convenzione riportato nella Appendice 1.<br />

16 Il comandante <strong>dei</strong> vigili urbani di Torino notava che venti anni fa riceve-


Nella attuale situazione di pericolo ambientale, che rende<br />

difficile anche la più piccola libertà <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, il cortile<br />

condominiale potrebbe e dovrebbe essere il luogo ottimale<br />

per il gioco autonomo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> anche molto<br />

piccoli 17 . Noi adulti abbiamo invece ritenuto più comodo<br />

proibire questo spazio al gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> (oltre alle proibizioni<br />

orarie è quasi sempre proibito giocare con la palla)<br />

destinandolo al parcheggio delle nostre auto. In questo<br />

modo uno spazio comune e quindi pubblico si è privatizzato,<br />

diventando ingombro, brutto e sporco (anche l’igiene<br />

delle macchine lascia a desiderare).<br />

I sindaci sono i rappresentanti <strong>dei</strong> cittadini e dovrebbero<br />

esserlo in modo speciale per i cittadini più piccoli. Sarebbe<br />

giusto quindi che invitassero i consigli condominiali<br />

a rivedere i loro regolamenti per renderli rispettosi delle<br />

leggi dello Stato e quindi <strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>; a ripensare<br />

l’uso <strong>dei</strong> cortili condominiali e a comunicare al sindaco<br />

o al <strong>La</strong>boratorio le eventuali modifiche o ristrutturazioni.<br />

Sarebbe doveroso che i consigli condominiali discutessero<br />

la modifica <strong>dei</strong> loro regolamenti e un uso prioritariamente<br />

sociale <strong>dei</strong> loro cortili. Questi potranno diventare<br />

un luogo di incontro, di socializzazione e di svago per i<br />

<strong>bambini</strong>, per gli anziani, per tutti i condomini e per questo<br />

essere adeguatamente ristrutturati e arredati, risolvendo<br />

diversamente i problemi privati del parcheggio. Se sarà<br />

più facile per i <strong>bambini</strong> uscire di casa e scendere da soli in<br />

cortile anche gli adulti saranno più sereni e più liberi.<br />

Questo invito del sindaco, con un adeguato appoggio<br />

della stampa locale, potrebbe essere una importante oc-<br />

va ogni giorno molte richieste di intervento per fastidi provocati dai <strong>bambini</strong>.<br />

Oggi non ne riceve più.<br />

17 Si veda l’esperienza di Manfred Drum, che a Monaco ha realizzato una<br />

rete di spazi per la mobilità pedonale e il gioco collegando fra loro decine di cortili<br />

condominiali, all’interno di un lavoro di progettazione partecipata (Drum,<br />

1995).<br />

105


casione per aprire nella <strong>città</strong> un dibattito sui <strong>bambini</strong>, sulla<br />

loro difficile condizione di cittadini, sui loro bisogni, sui<br />

loro diritti.<br />

Il voto ai <strong>bambini</strong><br />

Qualche tempo fa un giornalista mi chiese un parere sull’abbassamento<br />

della età del voto proposto in Germania.<br />

Gli risposi che io invece avrei preferito che tutti i cittadini<br />

avessero diritto di voto, fin dalla nascita, in modo che tutti<br />

possano contare e pesare sulle scelte. Questo significherebbe<br />

che in una famiglia di padre, madre e tre <strong>bambini</strong><br />

arrivano cinque certificati elettorali. Naturalmente fintanto<br />

che il bambino non raggiunge la maggior età saranno<br />

i suoi tutori legali ad esercitare il diritto di voto. <strong>La</strong> prima<br />

obiezione è che con il voto non si scherza, che non lo<br />

si delega a nessuno, che i genitori userebbero il voto <strong>dei</strong><br />

figli per favorire i propri partiti. Di nuovo l’immagine truculenta<br />

dell’adulto «mangia-<strong>bambini</strong>»: l’automobilista che<br />

non vede l’ora di schiacciare il bambino che attraversa, il<br />

passante che userà quasi certamente violenza sul bambino<br />

non accompagnato, il genitore che ruba il voto del figlio.<br />

Eppure gli adulti siamo noi, siamo noi che andiamo<br />

in macchina, che incontriamo i <strong>bambini</strong> soli, che dovremmo<br />

utilizzare il loro voto. Ma a parte questo i genitori già<br />

scelgono per i loro figli in campi molto più delicati ed importanti<br />

di quanto non possa essere un voto elettorale e<br />

non potrebbero evitare di farlo. Scelgono se battezzare o<br />

non battezzare il bambino: qualsiasi sia la scelta compromette<br />

e condiziona fortemente il bambino. Scelgono se,<br />

quando e dove mandarlo a scuola, orientano le sue scelte<br />

future. Decidono se e in che misura concedere autonomia,<br />

con le conseguenze indicate nella parte prima di que-<br />

106


sto libro. Danno un riferimento culturale, ideologico, politico,<br />

morale, di solito molto chiaro, sperando che il bambino<br />

non tradisca questi loro ideali.<br />

Una seconda obiezione è che si rischia di scatenare<br />

campagne di propaganda più o meno esplicita per condizionare<br />

i <strong>bambini</strong> perché a loro volta condizionino le scelte<br />

politiche <strong>dei</strong> genitori. Ma non è esattamente quello che<br />

succede ogni giorno, a tutte le ore, specialmente nelle trasmissioni<br />

e nei giornaletti per i <strong>bambini</strong>, con la pubblicità<br />

<strong>dei</strong> prodotti? Ma chiaramente in una società ancora ideologica<br />

ma profondamente consumistica come la nostra tutto<br />

quello che è legato ai consumi ci sembra normale e quasi<br />

doveroso, non si può invece scherzare con la politica!<br />

Una tale proposta che può apparire solamente provocatoria<br />

e di cui sono evidenti le difficoltà applicative, non<br />

ultima una incompatibilità costituzionale con la legge italiana<br />

18 , mi sembra contenga alcuni interessanti aspetti positivi.<br />

Il bambino, attualmente irrilevante, quasi trasparente<br />

nella nostra società, acquisterebbe un peso e una rilevanza.<br />

I genitori, dovendo votare anche a nome <strong>dei</strong> figli, potrebbero<br />

cominciare a porsi il problema di quanto i loro<br />

partiti si stiano interessando <strong>dei</strong> problemi e <strong>dei</strong> bisogni <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>. D’altra parte i partiti si preoccuperanno rapidamente<br />

di inserire queste problematiche, attualmente quasi<br />

ignorate, nei loro programmi, per guadagnare il consenso<br />

<strong>dei</strong> genitori.<br />

Infine, man mano che i <strong>bambini</strong> cresceranno, cominceranno<br />

a chiedere ai loro genitori come intendono utilizzare<br />

il loro voto, a voler capire o discutere le scelte. Beh,<br />

mi sembra che sarebbe un bel modo di parlare di politica<br />

dentro le nostre case, invece che tifare con l’uno o con<br />

18 Sarebbe comunque interessante se un sindaco trovasse il modo per far<br />

esprimere i <strong>bambini</strong> della sua <strong>città</strong> anche con qualche forma di voto.<br />

107


l’altro <strong>dei</strong> politici partecipanti alla tribuna politica nel più<br />

totale disinteresse <strong>dei</strong> ragazzi. Forse i ragazzi odierebbero<br />

meno la politica, ci aiuterebbero a capirla meglio e aiuterebbero<br />

i politici a praticarla in modo più credibile.<br />

108


Ripensare la <strong>città</strong><br />

Ripensare la <strong>città</strong>, volerla in un modo diverso, adatta a tutti<br />

fino ai <strong>bambini</strong>, è una necessità urgente, non per tornare<br />

indietro, non per sperare in un ritorno al clima romantico<br />

del paesello o del vicinato di quaranta, cinquanta<br />

anni fa, ma per prepararsi ad un futuro diverso, non controllato<br />

esclusivamente dalla produzione commerciale,<br />

non dominato dalle automobili e neppure dominato da un<br />

inarrestabile sviluppo <strong>dei</strong> servizi.<br />

Si tratta di pensare ad una <strong>città</strong> più leggera, più semplice,<br />

nella quale tutti i cittadini contino di più.<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> di oggi è una <strong>città</strong> che si lascia travolgere dalle<br />

auto, dal loro rumore, dal loro fumo, dalle loro vibrazioni,<br />

che si consegna impotente nelle mani della microcriminalità<br />

e della criminalità organizzata, che hanno trasformato<br />

il suolo pubblico in terra bruciata, rendendolo impraticabile<br />

per i cittadini onesti. Questi si chiudono in casa, si<br />

muovono in macchina, sognano la <strong>città</strong> cablata, gli uffici<br />

virtuali. Non sarà più necessario uscire, spostarsi, potremo<br />

lavorare dalle nostre case, usando i nostri computer in<br />

reti telematiche. Allora, dicono alcuni che si presentano<br />

come esperti, il problema del traffico sarà risolto, affolleremo<br />

solo le autostrade informatiche. In tal caso però dovremo<br />

fare i conti con nuovi problemi che gli informatici<br />

non considerano, come la esasperata coabitazione fra i<br />

membri della famiglia, la definitiva separazione fisica dagli<br />

altri e dalla <strong>città</strong>.<br />

109


Sto utilizzando il computer, la posta elettronica, Internet,<br />

come strumenti importanti e appassionanti di lavoro<br />

e di comunicazione, ma vorrei continuare ad incontrarmi<br />

con gli amici e vorrei potermi muovere di più e meglio in<br />

una <strong>città</strong> che sappia essere una bella <strong>città</strong>.<br />

Se la <strong>città</strong> fosse un ecosistema naturale morirebbe in<br />

pochissimo tempo: ha trasformato la sua complessità nella<br />

semplificazione della separazione e della specializzazione;<br />

ha accettato la progressiva passivizzazione <strong>dei</strong> suoi cittadini<br />

offrendo loro continui rimedi, sussidi, assistenza sotto<br />

forma di servizi; il suo equilibrio, la sua sussistenza dipendono<br />

sempre meno dalle sue risorse e sempre più da<br />

fattori esterni che non controlla e che non può garantire.<br />

Ripensare la <strong>città</strong> significa avere un progetto di futuro,<br />

preparare, come dicono gli ambientalisti, uno sviluppo sostenibile.<br />

Uno sviluppo non assistito, non egoista, che trovi<br />

in se stesso la forza e l’energia sufficiente per garantire<br />

il futuro suo e delle prossime generazioni. Il bambino è il<br />

garante naturale dello sviluppo sostenibile: lui deve diventare<br />

grande, capace di risolvere problemi e non potrà mai<br />

farlo se non gli garantiremo autonomia, possibilità di rischio<br />

e di crescita, possibilità di relazioni spontanee e di<br />

gioco. Nello stesso modo i cittadini debbono ritrovare la<br />

capacità di risolvere i problemi attraverso l’accordo, la solidarietà,<br />

il contributo e non aspettando l’intervento dell’autorità<br />

delegata.<br />

Ripensare la <strong>città</strong> vuol dire preparare un futuro nel quale<br />

ci sia voglia e possibilità di pensare al benessere e alla<br />

qualità della vita. Un futuro nel quale i giovani sentano ancora<br />

il brivido, l’emozione, il desiderio di mettere al mondo<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

Nel ripensare la <strong>città</strong> dobbiamo però fare attenzione<br />

che il bambino non venga collocato in una specie di «riserva<br />

indiana», all’interno della quale tutto è permesso o<br />

addirittura auspicabile, ma nettamente separato dal mon-<br />

110


do vero, da quello degli adulti. In questa riserva si potrebbe<br />

concedere che i <strong>bambini</strong> si esprimano, che esprimano<br />

i loro bisogni, che realizzino anche loro forme di democrazia,<br />

che presentino loro progetti e che questi progetti<br />

possano essere realizzati. Ma un Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, un<br />

giardino o un monumento progettato dai <strong>bambini</strong>, non significa<br />

che la <strong>città</strong> si metta in discussione e voglia cambiare.<br />

Il rischio è che fuori della «riserva» la <strong>città</strong> proceda<br />

come sempre e che gli adulti, una volta accontentati i<br />

<strong>bambini</strong>, assolti dai loro complessi di colpa possano dire:<br />

«allora dove eravamo rimasti?» e proseguano nei loro discorsi<br />

seri di politica e di economia.<br />

Per questo sento il bisogno di confermare ancora, a costo<br />

di essere ripetitivo, che «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» non è un<br />

progetto per i <strong>bambini</strong>, ma per la <strong>città</strong>.<br />

E quello che il bambino può rappresentare per la <strong>città</strong>,<br />

le <strong>città</strong> possono rappresentare per il nostro paese: la politica,<br />

la buona amministrazione, la partecipazione e il<br />

controllo democratico cominciano dalle <strong>città</strong> così come<br />

dalle <strong>città</strong> comincia la accoglienza, la solidarietà. In un momento<br />

di così grande e grave degrado sociale e morale i<br />

<strong>bambini</strong> potranno salvare le nostre <strong>città</strong> e le nostre <strong>città</strong> il<br />

nostro paese. Mi si contesta spesso che questa è una utopia,<br />

una follia, sono d’accordo. Ma è molto più utopico e<br />

folle procedere nel cammino senza futuro che le nostre<br />

<strong>città</strong> hanno imboccato.<br />

Quella della <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> è una utopia concreta,<br />

una utopia sostenibile.<br />

Un progetto difficile da realizzare come tutte le utopie.<br />

A questo proposito ricordo la frase di una signora di Viareggio<br />

che mi ha molto colpito. Al termine della mia presentazione<br />

del progetto un signore aveva chiesto la parola<br />

dicendo che gli piaceva molto, lo considerava giusto e<br />

auspicabile ma che, secondo lui, non sarebbe stato mai<br />

111


ealizzato, tenendo conto delle lentezze amministrative,<br />

delle difficoltà burocratiche, degli interessi che metteva in<br />

discussione. <strong>La</strong> signora rispose: «Io non lo so se si potrà<br />

mai realizzare, però sono sicura che noi, comunque, ci<br />

stiamo già guadagnando».<br />

<strong>La</strong> signora diceva insomma che se nel nostro dibattito<br />

politico riusciamo ad inserire il bambino, se di <strong>bambini</strong> riusciamo<br />

a parlare con i sindaci, con i vigili urbani, con i ragionieri<br />

capi, con gli ingegneri capi <strong>dei</strong> Comuni, con i medici<br />

dell’ospedale, con i ristoratori, con gli insegnanti e i<br />

genitori, beh, ci stiamo già guadagnando! È certamente<br />

un risultato minimale, ma è un modo per cominciare a costruire<br />

il futuro.<br />

Alla fine di queste pagine mi si permetta una riflessione<br />

personale. Scrivendo questo libro, facendo un po’ di<br />

bilanci, mi sono reso conto che ho cominciato a lavorare<br />

al progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» dopo che sono diventato<br />

nonno. Non credo che questa coincidenza sia casuale.<br />

I genitori sono giovani, desiderosi di riuscire nella vita,<br />

hanno bisogno di affermazione e per questo finiscono per<br />

accettare tanti compromessi. Non penso ai compromessi<br />

morali, ma quegli accordi con l’amministrazione di cui si<br />

parlava all’inizio del libro: servizi, aiuti, assistenza per sopportare<br />

una <strong>città</strong> ostile, perché questa è la strada più breve,<br />

più sicura e quando si è giovani non c’è tempo da perdere,<br />

non si può rischiare troppo. Allora la ricerca di un<br />

posto al nido, magari cambiando la residenza 1 , la ricerca<br />

della scuola materna con l’orario più lungo, il tempo pieno,<br />

sono necessità che non possono tenere conto <strong>dei</strong> bisogni<br />

del bambino. I genitori hanno fretta, cercano le soluzioni<br />

più «funzionali». I nonni hanno invece il tempo di<br />

1 Ci sono persino giovani donne che non si sposano subito, per avere un<br />

punteggio più alto, come ragazze madri, per garantirsi un posto al nido per il<br />

loro bambino.<br />

112


chi non ha più una carriera da fare, ambizioni da realizzare.<br />

E allora possono permettersi di diventare radicali nelle<br />

scelte, non accettare più i compromessi e cercare prospettive<br />

nuove, un futuro possibile per i loro nipoti e per<br />

i <strong>bambini</strong> che verranno.<br />

113


114


Parte terza<br />

Le esperienze<br />

115


116


Le schede<br />

Questa parte terza presenta attività, iniziative, progetti,<br />

nati in gran parte nella esperienza del <strong>La</strong>boratorio di Fano<br />

e che non vanno considerati come una proposta organica,<br />

né come un percorso obbligato o anche solo suggerito.<br />

Vogliono essere una testimonianza modesta, ma<br />

ottimistica, sulla possibilità di realizzazione del progetto,<br />

presentato nella parte prima di questo libro.<br />

Si dice spesso che a Fano è troppo facile, difficile sarà<br />

proporlo nelle grandi <strong>città</strong>. Credo che ci sia del vero e del<br />

falso in tutte e due le affermazioni. È vero che esperienze<br />

radicali come queste nascono più facilmente in <strong>città</strong> piccole<br />

o medie. Penso alla esperienza <strong>dei</strong> servizi per l’infanzia<br />

comunali di Reggio Emilia o di Pistoia, penso alla<br />

esperienza educativa di Mario Lodi a Piadena, penso ovviamente<br />

alla esperienza di don Milani a Barbiana. Certamente<br />

la piccola <strong>città</strong> è più sana, ha saputo difendere meglio<br />

la sua identità e lì sono più facili i rapporti sociali, la<br />

partecipazione, la solidarietà. Ma è completamente errato<br />

pensare che questo renda facile la realizzazione di un<br />

progetto come questo. <strong>La</strong> piccola <strong>città</strong> partecipa ormai,<br />

anche grazie all’effetto globalizzante della televisione, a<br />

tutti i fenomeni sociali e culturali del paese, condividendo<br />

con le grandi <strong>città</strong> anche le esperienze peggiori, dalla droga<br />

al razzismo, dalla paura alla separazione, dal potere <strong>dei</strong><br />

partiti alla richiesta di assistenzialismo nei confronti dell’ente<br />

locale. Questo fa sì che ogni proposta di cambia-<br />

117


mento, specie se così radicale, incontra una ferma resistenza.<br />

L’esperienza di Fano è stata sempre e continua ad<br />

essere conflittuale. Ho sempre protestato, con i tre sindaci<br />

che si sono succeduti dall’apertura del <strong>La</strong>boratorio, per<br />

la loro tiepida adesione alle nostre proposte, per il poco<br />

coraggio ad osare di più. Ma questo non mi ha mai fatto<br />

dimenticare che gli amministratori di Fano il <strong>La</strong>boratorio<br />

«<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» l’hanno voluto e l’hanno difeso, pur<br />

sapendo che sarebbe stato per loro una spina nel fianco.<br />

Sono altrettanto convinto che nessuna <strong>città</strong> è tanto<br />

grande e devastata da aver perso ogni desiderio e disponibilità<br />

di pensare al suo futuro con speranza e voglia di<br />

cambiamento. Questo mi dicono le risposte di <strong>città</strong> come<br />

Roma e Palermo, o come Rosario in Argentina, che certo<br />

non possono essere considerate realtà piccole e facili,<br />

dove questo progetto sta trovando prime forme di accoglienza<br />

e di realizzazione.<br />

1. FANO «LA CITTÀ DEI BAMBINI»<br />

Un <strong>La</strong>boratorio comunale per lo studio, la progettazione<br />

e la sperimentazione di modifiche nella <strong>città</strong> assumendo<br />

il bambino come parametro<br />

Il Comune di Fano, già impegnato nello sviluppo di una<br />

politica di servizi per l’infanzia, nel 1991 ha aperto un <strong>La</strong>boratorio<br />

chiamato «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» 1 che da un lato<br />

vuol essere un punto di riferimento per i cittadini, per le<br />

associazioni, per i <strong>bambini</strong> e dall’altro un pungolo per il<br />

sindaco, per gli assessori, per i tecnici, perché non di-<br />

1 Per contatti o richieste di materiale: <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»,<br />

corso Matteotti, 66, 61032 Fano, tel. 0721-887374, fax 803273. Per il coordinamento<br />

nazionale vedi scheda n. 24 «Una rete nazionale e oltre».<br />

118


mentichino l’impegno preso di assumere il bambino come<br />

parametro per lo sviluppo della <strong>città</strong>.<br />

Il <strong>La</strong>boratorio è una scommessa, una sfida: una <strong>città</strong><br />

che è cresciuta secondo le esigenze, le richieste degli adulti,<br />

sceglie di cambiare ottica e quindi si espone ad una continua<br />

contraddizione.<br />

Fano non è la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. È però una <strong>città</strong> che ha<br />

accettato questa sfida e si è data una struttura interna che<br />

denuncia la contraddizione e propone il cambiamento.<br />

A onor del vero Fano ha fatto anche qualcosa che sempre<br />

più si sente e si vede e di cui va dato atto: ha inserito<br />

nella sua pianta organica il <strong>La</strong>boratorio come unità organizzativa,<br />

con una sua sede dotata di moderne strutture di<br />

elaborazione e comunicazione informatica, con personale<br />

dedicato a tempo pieno alle sue attività; ha chiesto allo<br />

scrivente di assumerne la direzione scientifica. Recentemente<br />

si è costituito un comitato tecnico interassessorile<br />

formato dai rappresentanti <strong>dei</strong> vari assessorati, per seguire<br />

le attività del <strong>La</strong>boratorio, garantendo la sua trasversalità.<br />

<strong>La</strong> delega per il <strong>La</strong>boratorio è attualmente assegnata<br />

all’assessore alle politiche educative. Oltre a questo il Comune<br />

di Fano ha riconosciuto e sostenuto le varie iniziative<br />

che il <strong>La</strong>boratorio ha lanciato in questi anni e che verranno<br />

presentate in queste schede. Per altri aspetti invece<br />

il Comune non riesce a tenere il passo del <strong>La</strong>boratorio<br />

e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>: è in ritardo sulle realizzazioni promesse,<br />

non sempre è coerente nelle iniziative, spesso resiste agli<br />

stimoli. Insomma è un rapporto di grande interesse, nel<br />

quale il conflitto rivela insieme adesione e difficoltà.<br />

Il <strong>La</strong>boratorio è stato riconosciuto dal Ministero dell’Ambiente<br />

come <strong>La</strong>boratorio Territoriale di Educazione<br />

Ambientale 2 e come tale è stato finanziato nell’ambito del<br />

Programma Triennale dell’Ambiente.<br />

2 Negli ultimi anni si sta realizzando un piano nazionale per l’educazione<br />

ambientale con il concorso <strong>dei</strong> Ministeri dell’Ambiente e della Pubblica Istruzio-<br />

119


Fin dall’inizio Fano si è data degli obiettivi di attività all’interno<br />

della <strong>città</strong> e degli obiettivi più ampi rispetto alla<br />

promozione del progetto presso altri Comuni italiani.<br />

È in rapporto con movimenti e associazioni nazionali e<br />

internazionali come «<strong>La</strong>s ciutades educadoras», Unicef,<br />

Comunità Europea, ANCI, Arciragazzi, CGD, <strong>La</strong> <strong>città</strong> possibile,<br />

Legambiente, INU, WWF 3 .<br />

ne, che hanno firmato un accordo di programma. Il piano nazionale prevede<br />

l’apertura di <strong>La</strong>boratori Territoriali, di norma fuori della scuola, aperti all’incontro,<br />

allo scambio e al sostegno di tutti coloro che, a qualsiasi titolo, si interessano<br />

di educazione ambientale. È anche convinzione di questo progetto che<br />

l’educazione ambientale non vada considerata solo o prevalentemente una<br />

preoccupazione naturalistica, ma che debba privilegiare un recupero della relazione<br />

del cittadino con il suo ambiente di vita in vista di uno sviluppo sostenibile.<br />

Per questo il <strong>La</strong>boratorio di Fano viene considerato a pieno titolo di educazione<br />

ambientale.<br />

3 ANCI: Associazione Nazionale Comuni Italiani; CGD: Coordinamento<br />

Genitori Democratici; INU: Istituto Nazionale di Urbanistica; WWF: World Wildlife<br />

Fund.<br />

120<br />

Fano, <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».


2. IL CONSIGLIO DEI BAMBINI<br />

<strong>La</strong> garanzia del punto di vista infantile<br />

Nella esperienza di Fano, fin dal primo anno si è pensato<br />

che i <strong>bambini</strong> dovevano essere protagonisti del progetto e<br />

che quindi si dovevano dare loro adeguate opportunità per<br />

esprimersi e per proporre. Si è aperto un Consiglio <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>, sentito come una necessità di presenza infantile<br />

in questa piccola-grande rivoluzione che si proponeva agli<br />

amministratori. Non si è, almeno finora, presa in considerazione<br />

l’idea di dare a questo Consiglio le funzioni di un<br />

Consiglio comunale <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, con i partiti, la campagna<br />

elettorale, il piccolo sindaco, gli assessori, ecc., idea che<br />

peraltro ha una lunga tradizione in Francia e da alcuni anni<br />

è presente anche in Italia. Certamente per i <strong>bambini</strong> che<br />

partecipano a tali iniziative è una bella e utile esperienza,<br />

ma spesso la loro attività si limita ad elaborare progetti<br />

propri e a seguirli fino alla realizzazione, chiedendo agli adulti<br />

nuove disponibilità e aperture, ma non necessariamente<br />

di modificare il loro progetto di governo della <strong>città</strong>.<br />

Nel caso fanese l’obiettivo è invece, come più volte ricordato,<br />

esattamente questo: cambiare la <strong>città</strong>, cambiare la<br />

cultura degli adulti a partire dal pensiero infantile. Lo scopo<br />

del Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> quindi è quello di organo consultivo<br />

del <strong>La</strong>boratorio, quello che garantisce agli operatori<br />

adulti il punto di vista <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, non tanto o non solo<br />

sui problemi di stretto interesse infantile, ma su tutti i temi<br />

della <strong>città</strong> che il <strong>La</strong>boratorio via via affronta.<br />

Struttura e funzionamento<br />

Il Consiglio è formato da un bambino e da una bambina<br />

per ognuna delle scuole elementari per un totale di una<br />

trentina di consiglieri. Finora non si sono date norme pre-<br />

121


cise per la scelta <strong>dei</strong> consiglieri e ogni scuola si comporta<br />

in modi differenti: autocandidatura da parte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>,<br />

elezione diretta e forse altri.<br />

I <strong>bambini</strong> ricevono un incarico biennale e si suggerisce<br />

che inizino il loro mandato in quarta elementare per terminare<br />

con la quinta. Essendo un consigliere di quarta e<br />

uno di quinta per ogni scuola, ogni anno il Consiglio viene<br />

rinnovato per metà <strong>dei</strong> suoi membri, garantendo così<br />

una continuità nel funzionamento e il passaggio di competenze<br />

da bambino a bambino. Il biennio ci sembra necessario<br />

perché i <strong>bambini</strong> possano entrare nel ruolo di<br />

rappresentanti e interpretarlo in maniera consapevole. <strong>La</strong><br />

rappresentatività si impara e in genere i <strong>bambini</strong> più piccoli<br />

o all’inizio del mandato intervengono prevalentemente<br />

per comunicare il loro pensiero personale, difficilmente<br />

si sentono «rappresentanti» <strong>dei</strong> loro compagni, raramente<br />

prendono appunti per riferire correttamente o insistono<br />

con gli insegnanti per avere tempo e possibilità di<br />

confrontarsi con gli altri della classe e delle altre classi. Noi<br />

rispettiamo questa gradualità, senza eccessive sollecitazioni.<br />

In pochi mesi i piccoli consiglieri entrano nel ruolo e<br />

alla fine ne sono convinti sostenitori, sufficientemente agguerriti<br />

e convinti da arrabbiarsi con gli insegnanti che non<br />

concedono loro il tempo necessario, da contestare a volte<br />

la mia conduzione del Consiglio, da scrivere lettere al<br />

sindaco o ai giornali, anche assumendo posizioni non<br />

condivise da noi adulti. Ricordo a titolo di esempio quello<br />

che diceva un bambino consigliere: «<strong>La</strong> maestra non ci fa<br />

fare l’assemblea per discutere con i compagni delle altre<br />

classi e preparare il Consiglio perché dice che non c’è<br />

tempo, e poi però facciamo educazione civica!».<br />

Si è suggerito di iniziare con la quarta perché i <strong>bambini</strong><br />

hanno già un buon controllo degli strumenti di comunicazione<br />

e perché così possono concludere il mandato<br />

con il termine della scuola elementare. In genere i <strong>bambini</strong><br />

vivono questa esperienza con grande interesse e parte-<br />

122


cipazione, è raro che qualcuno abbandoni prima del termine<br />

e spesso gli ex ci chiedono di poter continuare con<br />

qualche analoga iniziativa 1 .<br />

Il Consiglio si riunisce una volta al mese nella sede del<br />

<strong>La</strong>boratorio, viene condotto dal direttore scientifico e viene<br />

redatto un verbale della discussione. I <strong>bambini</strong> vengono<br />

di solito accompagnati dai genitori, ma gli adulti non<br />

possono partecipare se non in casi particolari. Oltre agli<br />

operatori del <strong>La</strong>boratorio possono assistere al Consiglio<br />

gli amministratori o occasionali visitatori che lo chiedano,<br />

ma ciò accade raramente e, di solito, solo per ascoltare.<br />

Il Consiglio viene convocato con lettera personale contenente<br />

l’ordine del giorno. Affronta i vari problemi di cui<br />

si sta occupando il <strong>La</strong>boratorio, come il traffico, l’ospedale<br />

pediatrico, gli spazi di gioco, il rapporto con gli anziani,<br />

l’andare a scuola da soli, la ristrutturazione di ristoranti<br />

e alberghi, oppure gli argomenti proposti dagli stessi<br />

<strong>bambini</strong>.<br />

Quando vari temi sono all’esame del Consiglio si formano<br />

gruppi di lavoro che vengono convocati anche con<br />

frequenza quindicinale.<br />

Una volta all’anno, i membri del Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

partecipano ad una seduta straordinaria del Consiglio comunale,<br />

con diritto di parola, in rappresentanza di tutti i<br />

<strong>bambini</strong> fanesi.<br />

3.<br />

IL CONSIGLIO COMUNALE APERTO AI<br />

BAMBINI<br />

Fin dal 1991 il sindaco di Fano ha aderito all’iniziativa dell’Unicef<br />

Italia «Il sindaco difensore dell’infanzia» che prevede<br />

di dedicare ogni anno una seduta straordinaria del<br />

1 Si veda la scheda n° 16: «Il Club CdB».<br />

123


Consiglio comunale ai <strong>bambini</strong>. Dopo una prima esperienza<br />

nel ’91, in cui una seduta è stata dedicata alle problematiche<br />

dell’infanzia, con l’invito di esperti, si è scelto<br />

di aprire il Consiglio ai <strong>bambini</strong> e di dare loro la parola. I<br />

<strong>bambini</strong> del Consiglio discutono per alcune settimane,<br />

nelle rispettive scuole, <strong>dei</strong> problemi che incontrano nella<br />

<strong>città</strong>, delle cose che non funzionano e preparano delle<br />

proposte. Queste vengono discusse insieme in una sessione<br />

del Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e sono presentate da alcuni<br />

piccoli consiglieri durante il Consiglio comunale. Si<br />

preferisce che non siano più di sette, otto, quelli che riferiscono,<br />

perché possano spiegare adeguatamente i punti<br />

posti in discussione e rispondere alle eventuali richieste di<br />

chiarimento degli adulti. Alla seduta assistono anche alcune<br />

classi, fino al completamento della tribuna del pubblico<br />

della sala del Consiglio comunale.<br />

Le proposte<br />

Quelle che seguono sono alcune delle proposte che in<br />

questi anni sono state avanzate dai <strong>bambini</strong> e che in qualche<br />

modo sono state recepite dal Consiglio:<br />

«Quando decidete qualcosa sulla <strong>città</strong> ci dovrebbe<br />

essere anche qualcuno che conosce i <strong>bambini</strong>» (1992).<br />

<strong>La</strong> Giunta deliberò che tutti i progetti di modifica della<br />

<strong>città</strong> venissero inviati al <strong>La</strong>boratorio che avrebbe potuto<br />

esprimere un parere che riflettesse il punto di vista <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>.<br />

«Le macchine occupano troppo posto e ce lo levano<br />

per giocare» (1993).<br />

L’assessore al Traffico promise di chiudere per un giorno,<br />

ogni anno, tutta la <strong>città</strong> alle macchine perché i bam-<br />

124


ini potessero giocare nelle strade. Sono tre anni che questa<br />

tradizione si ripete 1 .<br />

«Un giorno una guardia mi ha preso la palla perché<br />

giocavo in piazza».<br />

«Se uno vuole andare a giocare in un campo sportivo<br />

deve essere abbonato o sennò deve pagare il biglietto».<br />

«Noi vogliamo andare a scuola da soli ma le macchine<br />

non rispettano le strisce pedonali e vengono parcheggiate<br />

sui marciapiedi e così dobbiamo passare nella<br />

strada» (1996).<br />

Il Consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno<br />

per discutere e votare tre delibere, una sul diritto <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong> di giocare come vogliono in tutte le piazze della<br />

<strong>città</strong>; la seconda sulla revisione <strong>dei</strong> contratti di cessione<br />

delle aree alle associazioni sportive perché si garantisca<br />

una fascia oraria di uso libero e gratuito degli impianti e la<br />

terza di applicazione rigorosa di quelle norme che difendono<br />

e tutelano i pedoni e in particolare i <strong>bambini</strong>: la precedenza<br />

sulle strisce pedonali e la inviolabilità dello spazio<br />

<strong>dei</strong> marciapiedi. Per le varie delibere si è chiesto che abbiano<br />

una adeguata pubblicizzazione perché contribuiscano<br />

alla sensibilizzazione della popolazione.<br />

Gli adulti<br />

Per il primo Consiglio aperto ai <strong>bambini</strong>, quando ancora<br />

non esisteva il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, non si erano date<br />

particolari indicazioni e gli alunni avevano preparato le loro<br />

richieste nelle rispettive scuole. Con nostro grande stupore<br />

i <strong>bambini</strong> parlarono solo delle loro classi e delle loro<br />

scuole: della pericolosità, della rumorosità, dell’assenza di<br />

tende, della insufficiente manutenzione e pulizia. Ci stupì<br />

1 Si veda la scheda n° 13: «Una giornata senza auto».<br />

125


l’interessamento <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> per la loro scuola, ma poi si<br />

capì che le proteste e le proposte erano state suggerite<br />

dagli insegnanti.<br />

Da allora una lettera inviata alle scuole avverte che le<br />

proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> dovranno riguardare il rapporto del<br />

bambino con la <strong>città</strong>, le sue autonomie, le sue possibilità<br />

di giocare e non potranno riguardare la scuola che, se lo<br />

ritiene necessario, saprà trovare altre occasioni per esprimere<br />

le sue necessità. <strong>La</strong> preparazione del Consiglio comunale<br />

avviene all’interno del Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> dove<br />

si confrontano e si coordinano le proposte che emergono<br />

dalle discussioni che avvengono nelle classi.<br />

Se non è facile per gli insegnanti rispettare la libertà degli<br />

alunni, neanche per gli amministratori è facile trovare<br />

un comportamento adeguato di fronte alle richieste <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>. Una tentazione, evidente nelle prime edizioni del<br />

Consiglio aperto, era quella di utilizzare l’incontro per fare<br />

la paternale ai <strong>bambini</strong>. Questi protestavano, per esempio,<br />

per lo sporco nei giardini e gli amministratori rispondevano<br />

raccomandandosi che i <strong>bambini</strong> fossero i primi a<br />

non gettare cartacce e lattine in giro. Un’altra tentazione,<br />

ancora in parte presente, è quella difensiva, di dire sempre<br />

che le cose si stanno già facendo, senza cercare di capire<br />

esattamente cosa questi cittadini strani e diversi, che<br />

sono i <strong>bambini</strong>, stanno chiedendo. Ancora un segno di disagio<br />

degli adulti è la loro difficoltà a dialogare con i <strong>bambini</strong>,<br />

a chiedere loro di spiegare meglio, di approfondire.<br />

Questa difficoltà nasconde la sfiducia nelle reali capacità<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, pensati sempre più piccoli di quanto in realtà<br />

non siano.<br />

Va detto, a difesa degli adulti, che non è facile capire i<br />

<strong>bambini</strong>, occorre buona volontà, curiosità, ma anche<br />

competenza che deriva dallo studio e dalla esperienza. Un<br />

esempio. In uno <strong>dei</strong> primi Consigli comunali aperti ai<br />

<strong>bambini</strong> uno di loro, che abitava in una frazione, disse:<br />

«Vorrei venire in <strong>città</strong> in bicicletta, ma la mamma ha pau-<br />

126


a». <strong>La</strong> interpretazione più facile era: ci sta chiedendo una<br />

pista ciclabile e quindi mandiamo una squadra a disegnare<br />

una riga gialla che separi la pista delle biciclette da<br />

quella delle auto. L’assessore al Traffico avrebbe dimostrato<br />

buona volontà, ma non avrebbe dato una risposta<br />

al bambino. <strong>La</strong> madre infatti avrebbe continuato, giustamente,<br />

ad avere paura di eventuali autisti imprudenti o<br />

ubriachi che avrebbero potuto non rispettare la riga gialla<br />

e avrebbe continuato a non permettere l’uso della bicicletta.<br />

L’amministratore attento avrebbe invece dovuto<br />

chiamare un tecnico e dirgli: «Prepara un progetto di un<br />

percorso per biciclette tale che le mamme <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

non abbiano paura». Allora si poteva proporre una barriera<br />

invalicabile o, meglio, l’uso di altre strade di campagna<br />

quale percorso ciclabile. Se fossero stati consultati<br />

i <strong>bambini</strong> loro avrebbero sicuramente saputo come aiutare<br />

il tecnico.<br />

Aiutare gli adulti ad ascoltare e capire i <strong>bambini</strong> e saper<br />

dialogare con loro è forse il compito più importante<br />

del <strong>La</strong>boratorio, prima ancora della costruzione <strong>dei</strong> marciapiedi<br />

e della organizzazione e realizzazione delle varie<br />

iniziative.<br />

4. I BAMBINI PROGETTISTI<br />

Una forma nuova di architettura partecipata<br />

Dal 1992 a Fano si è aperta una esperienza di progettazione<br />

di spazi e di arredi urbani da parte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> della<br />

scuola dell’infanzia e della scuola dell’obbligo. L’esperienza<br />

coinvolge, con ruolo di esperti e di animatori, giovani<br />

architetti che lavorano con i gruppi di <strong>bambini</strong>. Il primo<br />

anno i nostri tecnici lavorarono come collaboratori di<br />

127


un animatore-architetto 1 di grande esperienza; dal secondo<br />

anno furono i responsabili di questo settore per la <strong>città</strong><br />

di Fano ed ora offrono la loro competenza anche ad altre<br />

<strong>città</strong> interessate al progetto.<br />

Il metodo<br />

I gruppi di progettazione lavorano spesso in orario e in locali<br />

scolastici e coincidono con le classi, ma queste condizioni<br />

possono modificarsi. Per esempio possono costituirsi<br />

gruppi eterogenei per livello di età; lavorare anche<br />

in orari pomeridiani e riunirsi anche in locali diversi da<br />

quelli scolastici. Nella nostra esperienza abbiamo osservato<br />

che quando questi cambiamenti si rendono possibili la<br />

partecipazione è più alta e motivata.<br />

Nei quattro anni di attività si sono proposti vari temi alla<br />

progettazione <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, seguendo la programmazione<br />

del progetto «Io e la mia <strong>città</strong>» 2 . Sono comunque spazi<br />

veri, liberi, per i quali una ristrutturazione, una proposta<br />

è legittima, possibile, anche se non ci sono garanzie<br />

che i progetti vengano accettati e realizzati.<br />

Questo crea una condizione nuova nel rapporto fra allievi,<br />

scuola e <strong>città</strong>, perché gli studenti vengono invitati ad<br />

intervenire su spazi reali con proposte concrete, che saranno<br />

poi presentate non ai genitori o al direttore, ma al<br />

sindaco e agli assessori competenti. Ma qual è l’obiettivo?<br />

Quello di far conoscere agli amministratori i punti di vista,<br />

le esigenze e le proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, perché quando que-<br />

1 Sulla attività di Raymond Lorenzo, l’architetto che ha realizzato questa prima<br />

esperienza a Fano, si veda la scheda n° 20: «Altre esperienze: la progettazione<br />

partecipata ai <strong>bambini</strong>».<br />

2 Si veda la scheda n° 11: «Io e la mia <strong>città</strong>».<br />

128


gli spazi da loro progettati saranno affidati ad un professionista<br />

per la progettazione e realizzazione, questi debba<br />

tenerne conto. Se poi questo tecnico sarà capace di coinvolgere,<br />

anche in fase di progetto esecutivo e di realizzazione,<br />

i <strong>bambini</strong> che hanno lavorato al progetto, darà un<br />

importante contributo alla formazione di nuovi cittadini interessati<br />

e partecipativi.<br />

Il problema più delicato nel lavoro progettuale con i<br />

<strong>bambini</strong> è di riuscire a farli esprimere con la loro autentica<br />

creatività e fantasia, senza far dire loro quello che noi<br />

desideriamo che dicano. Da un lato quindi i <strong>bambini</strong> vanno<br />

aiutati a liberarsi degli stereotipi, dall’altro rispettati<br />

nelle loro idee.<br />

Se chiediamo ad un gruppo di <strong>bambini</strong> di dirci come<br />

vorrebbero attrezzare un loro spazio giochi è probabile<br />

che rispondano riproponendo gli stessi stereotipi varie<br />

volte denunciati in queste pagine: con scivoli, altalene e<br />

giostrine.<br />

Per permettere ai <strong>bambini</strong> di esprimersi più liberamente<br />

ci sono diverse strade. Una è l’analisi <strong>dei</strong> giochi che<br />

preferiscono, <strong>dei</strong> luoghi per loro più suggestivi e, a partire<br />

da questi, scoprirne le caratteristiche e cercare di ricrearle<br />

nello spazio da progettare. Un’altra è l’esame di<br />

proposte avanzate da altri <strong>bambini</strong> in altre <strong>città</strong> e in altri<br />

paesi. Si tratta comunque di portare i <strong>bambini</strong> alla consapevolezza<br />

che «si può osare di più», che non ci sono limiti<br />

alla fantasia, anche se poi si dovrà fare i conti con la<br />

realtà, coi materiali, con le leggi della fisica, con i costi.<br />

Dopo la fase di studio e di ideazione è importante arrivare<br />

alla realizzazione di un progetto e, se possibile, di<br />

un plastico. Ai <strong>bambini</strong>, ai ragazzi, piace «vedere», «toccare»<br />

le loro idee. Il loro plastico diventa il loro quaderno,<br />

il loro libro, con il quale comunicano e difendono le loro<br />

idee.<br />

129


Le proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

Dopo quattro anni e varie decine di progetti che cosa possiamo<br />

osservare nelle proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>? Abbiamo impegnato<br />

i <strong>bambini</strong> su temi diversi come piazze e monumenti,<br />

recupero degli spazi abbandonati, rapporto con le<br />

automobili.<br />

Riguardo al gioco i <strong>bambini</strong> manifestano un chiaro antagonismo<br />

rispetto alle proposte tradizionali: a loro piace<br />

nascondersi, entrare sotto o arrampicarsi sopra; avere a<br />

disposizione l’acqua, la terra, l’erba, le piante; poter utilizzare<br />

materiali vari per fare quello che sul momento si<br />

avrà voglia di fare. Nei loro giardini ci sono quindi frequenti<br />

dislivelli, grotte, torri; capanne, fortini; laghetti, stagni,<br />

fontane, canaletti; legni, sassi, sabbia. Insomma è come<br />

se ci dicessero, voi grandi dateci uno spazio ricco, articolato,<br />

non banale, non strutturato e poi sapremo noi<br />

come utilizzarlo.<br />

Rispetto alle piazze e ai monumenti c’è un chiarissimo<br />

rifiuto della presenza delle automobili in questi spazi «pubblici»:<br />

le piazze debbono tornare ai cittadini, per incontrarsi,<br />

per sedersi, per giocare. I <strong>bambini</strong> le difendono con<br />

barriere, con muretti, con canaletti d’acqua e le dotano di<br />

panchine, di chioschi, di alberi. Per i monumenti viene dai<br />

<strong>bambini</strong> una proposta interessante e molto vicina alle proposte<br />

più moderne: un monumento da usare, da praticare,<br />

da giocare. In quegli stessi anni a Barcellona sorgevano<br />

<strong>dei</strong> monumenti fra i quali quelli che raffigurano la scatola<br />

di fiammiferi o le lettere dell’alfabeto, che sono anche<br />

<strong>dei</strong> grandi giocattoli.<br />

Rispetto al rapporto strada-automobili e al desiderio di<br />

muoversi da soli, la proposta <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> è duplice: da un<br />

lato i percorsi debbono essere protetti, dall’altro interessanti<br />

e belli. I <strong>bambini</strong> immaginano percorsi riservati per i<br />

pedoni, separati dalla strada delle macchine da muri o paletti,<br />

a volte addirittura chiusi in tunnel trasparenti di plexi-<br />

130


glas. Le strade vengono attraversate grazie a ponti o sottopassaggi<br />

per evitare ogni pericoloso incontro con il nemico-automobile.<br />

Su questa prima proposta, anche se è una importante<br />

denuncia nei confronti dello strapotere delle automobili, e<br />

limitatamente a come emerge dai progetti, non sono per<br />

niente d’accordo con i <strong>bambini</strong>. Come più volte ho detto<br />

la scommessa del <strong>La</strong>boratorio è che il bambino scenda in<br />

strada per salvarla. Il bambino, con la sua presenza, con<br />

la tacita esibizione <strong>dei</strong> diritti suoi e di tutti i pedoni, costringerà<br />

le macchine ad essere più rispettose e meno numerose,<br />

a ritirarsi in spazi più adeguati e meno invasivi.<br />

D’altra parte quella che propongono i <strong>bambini</strong> è di nuovo<br />

la via della separazione e della difesa, e si è visto che non<br />

è efficace 3 . Valga per tutti proprio l’esempio <strong>dei</strong> cavalcavia<br />

pedonali o <strong>dei</strong> sottopassaggi, apparentemente le soluzioni<br />

più sicure per l’attraversamento di strade pericolose.<br />

Di fatto, e specialmente da parte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, questi passaggi<br />

non vengono utilizzati, perché il sottopassaggio è in<br />

genere preoccupante e maleodorante, il cavalcavia rappresenta<br />

invece un percorso lungo e faticoso. Allora si<br />

preferisce attraversare la strada e si creano le situazioni di<br />

maggiore pericolo: l’automobilista che vede il cavalcavia<br />

andrà tranquillo, pensando che chi vuole attraversare lo<br />

utilizzi, senza quindi prepararsi all’eventuale passante che<br />

attraversa. Meglio allora un semaforo a chiamata. Meglio<br />

non separare, ma far incontrare e convivere, chiedendo<br />

reciproco rispetto.<br />

Sulla seconda proposta, sul fatto cioè che i percorsi<br />

debbano essere interessanti, curati, belli, sento invece una<br />

forte sintonia con i <strong>bambini</strong>. I <strong>bambini</strong>, che sono neces-<br />

3 Non è neppure corretto pensare che questa idea di timore, fino all’estrema<br />

separazione, corrisponda al pensiero infantile. È per esempio in contrasto<br />

con i risultati <strong>dei</strong> questionari dell’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli», nei<br />

quali i <strong>bambini</strong> si mostrano meno timorosi, verso i pericoli del traffico, rispetto<br />

ai genitori. E in questo caso si tratta di una esperienza realmente vissuta! (si veda<br />

la scheda n° 9: «A scuola ci andiamo da soli»).<br />

131


sariamente pedoni, interpretano bene il desiderio del cittadino<br />

pedone: vorrebbero le strade con grandi marciapiedi,<br />

con aree di sosta, luoghi di gioco, alberi, arredi nuovi<br />

e originali.<br />

Progetto <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> di quinta elementare della scuola Montessori di Fano<br />

presentato nel 1993, approvato dalla Giunta e finanziato nel 1995<br />

per la sua realizzazione. L’architetto che sta attualmente realizzando il<br />

progetto definitivo ha ripreso i contatti con i ragazzi che avevano realizzato<br />

il primo progetto, che potranno così seguirne la realizzazione.<br />

132


5. LE PICCOLE GUIDE<br />

Un altro modo per conoscere e amare la <strong>città</strong><br />

Proseguendo nell’obiettivo di dare ai <strong>bambini</strong> un ruolo attivo<br />

e di protagonisti nella vita della <strong>città</strong>, perché siano (e<br />

non «diventino») cittadini consapevoli, abbiamo invitato i<br />

cittadini adulti e anziani, che conoscono bene e amano la<br />

<strong>città</strong> di Fano, a regalare un po’ del loro tempo ai <strong>bambini</strong>.<br />

Abbiamo chiesto loro di «prendere per mano» un gruppo<br />

di <strong>bambini</strong> e di accompagnarli a osservare e toccare la<br />

<strong>città</strong>, perché possano conoscerla in modo non scolastico,<br />

ma diretto e vivo, per poterla poi raccontare e spiegare ai<br />

loro compagni. Ognuno di questi «maestri di strada» ha<br />

proposto un percorso e ha vissuto con i suoi allievi di scuola<br />

elementare e media una esperienza di una decina di incontri<br />

itineranti. Di ogni gruppo faceva parte anche un insegnante<br />

o un operatore del <strong>La</strong>boratorio. Alcuni hanno<br />

proposto la <strong>città</strong> romana, altri quella medioevale e rinascimentale,<br />

altri quella popolare <strong>dei</strong> vicoli, altri una lettura<br />

urbanistica.<br />

Obiettivo della iniziativa era formare delle piccole guide<br />

capaci di accompagnare alla conoscenza della <strong>città</strong> i<br />

<strong>bambini</strong> che ogni anno vengono a Fano in primavera a<br />

conclusione della campagna «Io e la mia <strong>città</strong>» e gli adulti<br />

che il <strong>La</strong>boratorio invita per le varie iniziative. <strong>La</strong> Azienda<br />

di Promozione Turistica ha valorizzato questa iniziativa invitando<br />

in varie occasioni le piccole guide ad accompagnare<br />

gruppi di adulti in visita alla <strong>città</strong>. Una esperienza<br />

vera, vissuta dai <strong>bambini</strong> con grande impegno e competenza.<br />

Anche questa è una esperienza semplice, che costa<br />

quasi niente e che offre ai <strong>bambini</strong> l’opportunità di conoscere<br />

ed amare la propria <strong>città</strong>.<br />

133


<strong>La</strong> difficoltà che abbiamo incontrato è la scarsa disponibilità<br />

degli adulti, <strong>dei</strong> pensionati colti, a regalare un po’<br />

del loro tempo ai <strong>bambini</strong>. Per questo siamo riusciti a realizzare<br />

solo due volte questa esperienza: il lavoro del <strong>La</strong>boratorio<br />

per mettere il bambino nella testa degli adulti è<br />

ancora lungo. Dovremo riuscire a far capire ai nostri concittadini<br />

che quello che chiediamo loro non è un piacere,<br />

non è un regalo, ma è un dovere. Chi ha avuto la fortuna<br />

di conoscere, di studiare, di amare la sua <strong>città</strong> ha il dovere<br />

di consegnare questa ricchezza ai <strong>bambini</strong> perché sappiano<br />

essere a loro volta cittadini curiosi, interessati e affettuosi<br />

verso la loro <strong>città</strong>.<br />

6. I SEMINARI DI GIUNTA<br />

Il bambino nella testa degli adulti<br />

Se la <strong>città</strong> vuole scegliere il bambino come parametro, se<br />

vuol accettare questa sfida rivoluzionaria, i suoi amministratori<br />

debbono mettersi nell’atteggiamento di chi non sa<br />

e vuol entrare nel mondo sconosciuto dell’infanzia. Se<br />

manca questo atteggiamento, l’adesione al progetto è solo<br />

apparente e strumentale.<br />

Nella esperienza fanese ogni anno si tiene un seminario<br />

di Giunta a cui partecipano il sindaco, gli assessori e i<br />

dirigenti comunali. Il seminario, organizzato e coordinato<br />

dal <strong>La</strong>boratorio, prevede momenti di studio e di approfondimento<br />

sulle tematiche infantili e momenti di programmazione<br />

delle attività per l’anno che sta iniziando. Si<br />

svolge presso un convento fuori <strong>città</strong> e dura una intera<br />

giornata. Si vuole così evitare il disturbo del telefono e garantire<br />

un periodo sufficiente di lavoro utile. Specialmen-<br />

134


te nei primi anni si aveva il timore della reazione <strong>dei</strong> politici<br />

e specialmente <strong>dei</strong> dirigenti comunali che avrebbero<br />

potuto considerare questa iniziativa una perdita di tempo,<br />

ma questo non è mai successo e c’è invece stata sempre<br />

la richiesta di ripetere il seminario più frequentemente.<br />

Durante l’anno poi il <strong>La</strong>boratorio è più volte chiamato<br />

ad incontri di Giunta e ha più volte richiesto e ottenuto delle<br />

conferenze di servizio per affrontare e risolvere problemi<br />

organizzativi sulle singole iniziative con la partecipazione<br />

di tutti gli assessorati e uffici interessati.<br />

<strong>La</strong> necessità di tanti contatti con l’amministrazione, oltre<br />

alla collaborazione costante con l’assessore che ha la<br />

delega per il <strong>La</strong>boratorio, conferma la complessità e la difficoltà<br />

del progetto. <strong>La</strong> normativa e più ancora la tradizione<br />

amministrativa non sono favorevoli ai <strong>bambini</strong>. L’attuale<br />

tendenza degli adulti è quella di proteggere i <strong>bambini</strong><br />

più che quella di favorire la loro autonomia e per questo<br />

occorre molta buona volontà e un po’ di creatività per<br />

muoversi dentro leggi, circolari e regolamenti, che certo<br />

non sono pensati per loro.<br />

7. «IL VIGILE AMICO DEI BAMBINI»<br />

Negli ultimi due anni l’Assessorato al Traffico ha aperto<br />

un corso di aggiornamento e formazione per tutti i vigili<br />

urbani del Comune di Fano, tenuto dal <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong><br />

<strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» e intitolato «Il vigile amico <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />

Durante gli incontri si è esaminato innanzi tutto il ruolo<br />

che attualmente il vigile esercita, sostanzialmente finalizzato<br />

al controllo del traffico e della sosta delle auto. Il vigile<br />

vede svilita la sua funzione e non ama essere consi-<br />

135


derato con ostilità dai suoi concittadini. Si è quindi esaminata<br />

la possibilità che il vigile urbano possa assumere un<br />

ruolo di garante, in una nuova ottica di maggiore mobilità<br />

urbana, da parte <strong>dei</strong> pedoni e <strong>dei</strong> ciclisti, a partire dai <strong>bambini</strong>.<br />

<strong>La</strong> proposta ha riscosso interesse e si stanno valutando<br />

nuovi compiti e nuove modalità di presenza e di intervento.<br />

Per esempio l’iniziativa «A scuola ci andiamo da<br />

soli» suggerisce che il vigile non debba più presidiare e<br />

controllare l’ingresso delle scuole, liberato dall’assedio e<br />

dal pericolo delle macchine <strong>dei</strong> genitori che accompagnano<br />

i figli. Dovrebbe essere presente invece nel quartiere,<br />

girando nelle strade per stimolare gli automobilisti a tener<br />

conto <strong>dei</strong> diritti di mobilità <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> anche punendoli<br />

se non rispettano la precedenza sulle strisce pedonali o<br />

parcheggiano sui marciapiedi riducendo l’autonomia <strong>dei</strong><br />

pedoni. Dopo il primo anno dell’iniziativa «A scuola ci andiamo<br />

da soli», in uno <strong>dei</strong> due quartieri coinvolti i cittadini<br />

hanno chiesto il vigile di quartiere, quale intervento di tutela<br />

dell’autonomia <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Questa richiesta è stata<br />

accolta dall’amministrazione ed è attualmente in fase di<br />

sperimentazione.<br />

Nei prossimi incontri si dovrà proseguire nella elaborazione<br />

di questo nuovo ruolo e <strong>dei</strong> nuovi atteggiamenti<br />

che i vigili potranno assumere, per favorire le autonomie<br />

<strong>dei</strong> cittadini e partecipare così da protagonisti alla realizzazione<br />

della nuova <strong>città</strong> che si sta progettando.<br />

8. LA MULTA DEI BAMBINI<br />

I <strong>bambini</strong> del Consiglio e, attraverso loro, tutti i loro compagni<br />

di scuola possono utilizzare la multa «morale» qui ri-<br />

136


prodotta in dimensioni ridotte. I <strong>bambini</strong> sanno che debbono<br />

usarla non per rilevare una infrazione qualsiasi del<br />

codice della strada, perché questo è compito <strong>dei</strong> vigili, ma<br />

solo quando il comportamento dell’automobilista crea difficoltà<br />

alla libertà e autonomia del pedone. In particolare<br />

viene utilizzata nei casi in cui le macchine vengono parcheggiate<br />

sul marciapiedi costringendo così i <strong>bambini</strong> all’inutile<br />

pericolo di passare nella strada. <strong>La</strong> «multa» è stata<br />

realizzata in collaborazione con l’Assessorato al Traffico<br />

e sembra che abbia una certa efficacia. I <strong>bambini</strong> dicono<br />

che gli adulti si vergognano quando trovano questo<br />

rimprovero infantile sul parabrezza delle loro auto e di solito<br />

non ripetono questa infrazione.<br />

Se si vuol far usare questa multa ai propri figli o ai propri alunni, la si può<br />

fotocopiare, ripulire del nome ed età col bianchetto, ingrandire e farne<br />

tante copie. Si può consigliare ai <strong>bambini</strong> di colorare la scritta grande.<br />

137


Al di là della efficacia mi sembra importante consegnare<br />

ai <strong>bambini</strong> «armi» civili con le quali manifestare il proprio<br />

dissenso e rivendicare i propri diritti. L’uso della multa<br />

credo valga più di tante lezioni di educazione stradale.<br />

9. «A SCUOLA CI ANDIAMO DA SOLI»<br />

Una prima, piccola esperienza di autonomia<br />

Il laboratorio «Fano la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» ha avviato nell’anno<br />

scolastico 1994-95 una esperienza chiamata «A<br />

scuola ci andiamo da soli». Si tratta di permettere ai <strong>bambini</strong><br />

della scuola elementare di andare a scuola e di tornare<br />

a casa da soli, a piedi. È una esperienza piccola rispetto<br />

all’obiettivo generale di dare ai <strong>bambini</strong> la possibilità<br />

di uscire da soli di casa, ma è un modo per aprire un<br />

varco nel protezionismo esasperato delle famiglie e nella<br />

sfiducia sociale purtroppo ormai generalizzata. È una<br />

esperienza possibile perché prevede un percorso definito,<br />

sempre uguale, per un tempo limitato e con la contemporanea<br />

partecipazione di molti <strong>bambini</strong> delle diverse<br />

età.<br />

Pur essendo Fano una piccola <strong>città</strong> si è lavorato per vari<br />

mesi, prima di poter dare il via a questa proposta. Il problema<br />

principale è la sfiducia che i genitori hanno nei confronti<br />

<strong>dei</strong> loro colleghi adulti e <strong>dei</strong> loro <strong>bambini</strong>. Per aiutarli<br />

a superare la loro paura occorreva limitare l’invadenza<br />

e la prepotenza delle macchine e ricucire una rete di accoglienza<br />

e di solidarietà sociale che rendesse questa esperienza<br />

possibile, coinvolgendo i diversi protagonisti della<br />

vita del quartiere.<br />

138


I <strong>bambini</strong>. Pensiamo che questa iniziativa possa produrre<br />

vari effetti positivi: offrire ai <strong>bambini</strong> una piccola occasione<br />

di autonomia affrontando da soli i problemi del<br />

percorso e qualche rischio da loro facilmente controllabile;<br />

suggerire loro comportamenti di cooperazione e solidarietà<br />

passando a prendere i compagni più piccoli, handicappati<br />

o isolati, rompendo la rigida esperienza fra coetanei<br />

proposta dalla scuola. Sapevamo di poter contare<br />

sull’interesse e l’entusiasmo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, già verificato nel<br />

Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

Gli insegnanti. Si è discusso a lungo con direttori e insegnanti,<br />

sicuri che la scuola potesse fare molto per appoggiare<br />

e valorizzare l’iniziativa, anche se non interferisce<br />

con le sue competenze e non compromette le sue responsabilità.<br />

Questo sia per la significativa possibilità che<br />

offre agli alunni, sia per gli interessanti risvolti educativi.<br />

È una proposta semplice e corretta di educazione ambientale,<br />

perché invita i <strong>bambini</strong> a conoscere in modo diretto<br />

il proprio quartiere, percorrendolo ogni giorno, nelle<br />

varie stagioni, fino a conoscerne i dettagli, le attività, i<br />

cambiamenti, le persone. Piccole esperienze personali<br />

che, portate a scuola e sommate, possono costituire una<br />

base interessante per lavori di apprendimento e di progettazione.<br />

Costituisce inoltre una concreta e seria esperienza di<br />

educazione stradale, partendo anche in questo caso dalle<br />

quotidiane esperienze individuali, per studiare insieme i<br />

percorsi migliori e i comportamenti più corretti sia <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong> che degli automobilisti 1 .<br />

Abbiamo chiesto agli insegnanti di valutare la possibilità<br />

di diminuire il peso dello zaino studiando modali-<br />

1 Si veda la scheda n° 10: «Una patente da pedone, da ciclista e da motorinista».<br />

139


tà diverse per lo studio in classe e per i compiti a casa,<br />

per esempio facendo lasciare alcuni libri a scuola, altri a<br />

casa.<br />

I genitori. Ci sembra importante dare ai genitori la possibilità<br />

di scoprire le capacità di autocontrollo e di responsabilità<br />

<strong>dei</strong> propri figli, certamente maggiore di quella<br />

che loro stessi immaginano e recuperare essi stessi una<br />

maggiore autonomia, più tempo, meno vincoli, liberandosi<br />

dall’obbligo dell’accompagnamento quotidiano. Con<br />

loro si è avuto naturalmente il confronto più difficile, rispetto<br />

a quello che consideravano un grave pericolo per i<br />

loro figli. Si è convenuto però che il pericolo più grande è<br />

rappresentato proprio dalle loro auto, che, in quelle ore,<br />

sono responsabili della stragrande maggioranza del traffico<br />

intorno alle scuole. Si è ragionato insieme sulla necessità<br />

che i <strong>bambini</strong> ritrovino forme di solidarietà (cercarsi,<br />

passarsi a prendere, accompagnarsi) e una maggiore autonomia.<br />

Che possano sperimentare le diverse stagioni<br />

dell’anno senza paura per la pioggia o per la neve (sempre<br />

considerati eventi piacevoli nella nostra infanzia). Si è<br />

infine concordato, naturalmente senza poterlo rendere<br />

obbligatorio, che i <strong>bambini</strong> venissero lasciati andare a<br />

scuola e tornare a casa da soli entro un’area definita 2 , in<br />

modo che chi abitava lontano li accompagnasse fino a<br />

questo limite e non fino a scuola.<br />

Molti genitori chiedevano che prima di iniziare l’esperienza<br />

venissero effettuati alcuni interventi urbanistici che<br />

rendessero più sicuri i punti più critici <strong>dei</strong> due quartieri, ma<br />

abbiamo convenuto che in questo l’avvio dell’esperienza<br />

avrebbe richiesto un tempo eccessivamente lungo e a-<br />

2 Questa area corrisponde al bacino di utenza della scuola o almeno alla sua<br />

parte più rilevante e non supera i 500-700 metri di raggio, e quindi di distanza<br />

massima dalla scuola per ciascun allievo.<br />

140


vremmo invece avuto più forza nei confronti della amministrazione<br />

se avessimo chiesto gli interventi a esperienza<br />

avviata, con i <strong>bambini</strong> nelle strade e dopo aver verificato<br />

le reali esigenze e priorità. Naturalmente non tutti si convinsero.<br />

Gli anziani. Abbiamo incontrato le associazioni degli<br />

anziani, non per chiedere di assumere ruoli particolari di<br />

vigilanza o di assistenza, ma, come si diceva sopra, per<br />

chiedere loro di «esserci», di uscire in quelle fasce orarie,<br />

di passeggiare, di andarsi a leggere il giornale in una panchina,<br />

di andare a fare la spesa, insomma di dare un’occhiata<br />

e di essere i nonni di tutti i <strong>bambini</strong>.<br />

I commercianti. Questa categoria ha una caratteristica<br />

che la rende preziosa per questa esperienza: il commerciante<br />

sta sulla strada, per questo può dare un’occhiata ai<br />

<strong>bambini</strong> ed è sempre lì e può costituire un punto di riferimento.<br />

Abbiamo chiesto ai negozianti <strong>dei</strong> due quartieri<br />

di partecipare alll’iniziativa e quelli che hanno aderito<br />

(quasi tutti) hanno esposto sulle loro vetrine un adesivo<br />

del <strong>La</strong>boratorio. I <strong>bambini</strong> conoscono il simbolo e sanno<br />

che, dove appare, loro possono entrare e chiedere: di telefonare<br />

a casa senza pagare la chiamata, bere, fare la<br />

pipì, ricomporre una lite.<br />

Questa risorsa è stata utilizzata pochissimo sia perché<br />

effettivamente il percorso non presentava difficoltà, sia<br />

perché i <strong>bambini</strong> ci tengono a dimostrare la loro autonomia.<br />

Quando ne hanno avuto bisogno l’hanno utilizzata<br />

con piena soddisfazione loro e degli stessi negozianti.<br />

Gli adolescenti. Abbiamo poi incontrato gli studenti delle<br />

scuole superiori vicine alle scuole elementari. I genitori<br />

avevano manifestato timori per i motorini degli studenti e<br />

141


per le eventuali molestie che da questi sarebbero potute<br />

venire. Abbiamo invece trovato molta attenzione e disponibilità<br />

a collaborare per favorire questa piccola, ma importante<br />

impresa, <strong>dei</strong> loro compagni più piccoli.<br />

L’Assessorato al Traffico. L’iniziativa è stata avviata in<br />

collaborazione con l’Assessorato al traffico, che ha fatto<br />

realizzare <strong>dei</strong> cartelli stradali sperimentali, per avvisare gli<br />

automobilisti che nella zona i <strong>bambini</strong> vanno a scuola da<br />

soli. L’Assessorato al Traffico ha anche promosso un corso<br />

di aggiornamento per i vigili urbani intitolato «Il vigile<br />

amico <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />

Gli automobilisti. Attraverso l’apposita segnaletica<br />

stradale si sono informati gli automobilisti dell’iniziativa,<br />

offrendo loro una bella opportunità di educazione al rispetto<br />

<strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> pedoni.<br />

Il quartiere. L’iniziativa, oltre ad offrire ai <strong>bambini</strong> una<br />

occasione di autonomia, vuole restituire al quartiere l’esperienza<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> per strada. Una esperienza che non<br />

intende sollecitare romantici ricordi, ma preparare un futuro<br />

sostenibile, con meno smog, meno rumore, con più<br />

sicurezza e più gente per strada.<br />

Alcuni dati<br />

L’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli» è stata preceduta<br />

o si è associata ad attività di ricerca che avevano l’obiettivo<br />

di raccogliere informazioni o di valutare i primi risultati<br />

dell’esperienza. A Fano l’indagine è stata condotta<br />

142


Cartello stradale realizzato dall’Assessorato al Traffico per delimitare le<br />

zone sperimentali.<br />

alla fine del primo anno di avvio della iniziativa, mentre a<br />

Palermo e a Roma ne precede l’inizio.<br />

Fano<br />

Prima della fine dell’anno scolastico, dopo quattro mesi<br />

dall’avvio dell’iniziativa, è stato proposto un questionario<br />

agli alunni e ai genitori delle due scuole coinvolte, per conoscere<br />

se era cambiato il modo di recarsi a scuola, se erano<br />

soddisfatti dell’esperienza e quali difficoltà e proposte<br />

potevano segnalare.<br />

Hanno risposto 385 alunni (intervistati a scuola) e 316<br />

genitori. Le loro risposte sono sostanzialmente omogenee<br />

143


per cui si riferisce una media fra le due, volendo qui solo<br />

dare elementi di valutazione dell’attività.<br />

Prima dell’iniziativa andavano a scuola accompagnati<br />

in auto il 68% degli alunni, accompagnati a piedi da<br />

adulti il 12% e da soli a piedi il 20%. Naturalmente queste<br />

percentuali variano nei diversi livelli scolastici, arrivando<br />

in quinta elementare al 50% di alunni che andavano a<br />

scuola da soli.<br />

Dopo l’avvio dell’iniziativa continuano ad andare a<br />

scuola in macchina solo il 20% degli alunni, mentre il 76%<br />

vanno a scuola da soli.<br />

Naturalmente le condizioni climatiche incidono notevolmente<br />

sull’autonomia <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e solo il 33% di loro<br />

va a scuola da solo anche quando piove.<br />

<strong>La</strong> grande maggioranza degli intervistati, il 95% <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong> e l’87% <strong>dei</strong> genitori, dà una valutazione positiva<br />

della esperienza. Le motivazioni prevalenti di questa soddisfazione<br />

sono nell’ordine: l’aumento di autonomia, la<br />

possibilità di conoscere, il piacere di incontrarsi con gli<br />

amici (citata specialmente dai <strong>bambini</strong>). Le motivazioni più<br />

citate a giustificare le risposte negative sono: la pericolosità,<br />

la scomodità (citata dai <strong>bambini</strong>), il peso degli zaini.<br />

Le proposte per una maggiore sicurezza del percorso<br />

casa-scuola sono nell’ordine: maggiore sorveglianza da<br />

parte <strong>dei</strong> vigili, maggiori garanzie (separazione dalle macchine)<br />

sui percorsi pedonali e ciclabili. Queste proposte di<br />

maggiore difesa e separazione sono più frequenti nei genitori,<br />

mentre i <strong>bambini</strong> sono più interessati ad un maggiore<br />

rispetto <strong>dei</strong> loro diritti da parte degli adulti e in particolare<br />

degli automobilisti.<br />

Palermo<br />

A Palermo l’indagine si è svolta nei due quartieri scelti per<br />

l’avvio della iniziativa, uno di periferia e uno di centro, e<br />

144


ha coinvolto 3.550 genitori e 3.550 studenti della scuola<br />

elementare e della scuola media. I questionari intendevano<br />

conoscere le modalità in cui viene effettuato il percorso<br />

casa-scuola, la valutazione della proposta di andare a<br />

piedi da soli e le eventuali difficoltà e proposte.<br />

I questionari sono stati distribuiti a scuola e compilati a<br />

casa, sia da parte <strong>dei</strong> genitori che degli allievi, con una<br />

percentuale di restituzione di circa il 50% (la bassa percentuale<br />

dipende sia dalle modalità di distribuzione del<br />

questionario sia dalla assenza di qualsiasi forma di precedente<br />

sensibilizzazione all’iniziativa).<br />

Vanno a scuola accompagnati in auto il 40% degli studenti;<br />

la percentuale sale al 58% nei giorni di pioggia.<br />

Vengono accompagnati a piedi il 16%.<br />

Vanno a scuola a piedi, da soli il 37% e in autobus il<br />

7% degli allievi.<br />

Nella scuola elementare le percentuali si modificano.<br />

Vanno a scuola accompagnati in auto il 44% e a piedi<br />

da adulti il 40% <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

Vanno a scuola a piedi, da soli il 16%.<br />

Il 66% <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e il 54% <strong>dei</strong> genitori si dichiarano<br />

favorevoli alla iniziativa e citano come motivazione prevalente<br />

la necessità di una maggiore autonomia.<br />

Il 34% <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e il 46% <strong>dei</strong> genitori si dichiarano<br />

invece contrari citando come motivazioni prevalenti la pericolosità<br />

del traffico e i rischi sociali, la lontananza della<br />

scuola e il peso degli zaini.<br />

Roma<br />

A Roma il progetto è stato raccolto dalla V Circoscrizione<br />

e applicato in alcuni suoi quartieri con il nome «Il quartiere<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>». <strong>La</strong> ricerca è stata condotta in due quar-<br />

145


tieri nei quali si vorrebbe avviare l’iniziativa «Alla scuola ci<br />

andiamo da soli».<br />

Rispetto alle altre <strong>città</strong> l’indagine di Roma è stata condotta<br />

con un forte impianto scientifico e utilizzando un<br />

questionario complesso e articolato somministrato con la<br />

formula dell’intervista da parte di una équipe di ricerca 3 .<br />

Le interviste hanno interessato un campione sperimentale<br />

di 400 <strong>bambini</strong> delle ultime classi della scuola elementare<br />

e della scuola media. Le domande contenute nel questionario<br />

riguardavano diversi temi fra i quali la mobilità<br />

infantile per il percorso casa-scuola. I dati raccolti indicano<br />

che:<br />

– il 68% degli allievi va a scuola accompagnato in auto<br />

o a piedi dagli adulti;<br />

– il 13% <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> va sempre a scuola da solo;<br />

– il 18% ha avuto solo occasionalmente l’opportunità<br />

di fare il percorso senza essere accompagnato.<br />

I <strong>bambini</strong> ritengono di essere accompagnati perché i<br />

genitori hanno paura (67,2%) e in misura minore perché<br />

sono piccoli (18,8%).<br />

<strong>La</strong> maggioranza <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> che sono accompagnati si<br />

dichiara disponibile ad andare a scuola da solo (76,2%).<br />

<strong>La</strong> maggiore difficoltà che i <strong>bambini</strong> citano rispetto a<br />

questa loro esperienza di autonomia è la loro paura delle<br />

«persone pericolose», che identificano con le frange di emarginazione<br />

sociale: barboni, zingari, drogati, ladri, rapitori.<br />

Meno preoccupanti per loro i pericoli derivanti dal<br />

traffico, che invece considerano come paura prevalente<br />

<strong>dei</strong> genitori.<br />

3 <strong>La</strong> ricerca romana è stata condotta dalla dottoressa Vittoria Giuliani, ricercatrice<br />

dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR, esperta<br />

di psicologia ambientale.<br />

146


Conclusioni<br />

Come dimostrano i dati di Palermo e Roma, la maggioranza<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> desidera una maggiore autonomia, si<br />

considera capace di affrontare la prova dell’andare a scuola<br />

senza l’accompagnamento degli adulti. È interessante e<br />

preoccupante la forte presenza di paure legate ai pericoli<br />

sociali dell’ambiente, certamente condizionate dalle raccomandazioni<br />

degli adulti e dalle informazioni <strong>dei</strong> mezzi di<br />

comunicazione, ma che in parte rispecchiano anche la situazione<br />

di degrado delle periferie. Meno preoccupati sono<br />

i <strong>bambini</strong> <strong>dei</strong> pericoli di traffico. Di fronte a questa situazione<br />

sembra ancora più urgente l’avvio di una tale iniziativa,<br />

che aiuterà <strong>bambini</strong> e genitori a costruirsi un quadro<br />

del quartiere più sereno e a dare un contributo perché<br />

la pericolosità, che comunque può esistere, si riduca a livelli<br />

controllati e accettabili.<br />

L’esperienza di Fano, che dal marzo 1995 continua<br />

con una sostanziale risposta positiva da parte delle famiglie<br />

e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, dimostra che le paure si possono esorcizzare<br />

solo con l’esperienza. Anche a Fano i genitori avevano<br />

paura sia <strong>dei</strong> pericoli del traffico che di quelli sociali,<br />

ma una volta avviata l’iniziativa la quasi totalità di adulti<br />

e <strong>bambini</strong> si dichiara contenta.<br />

I <strong>bambini</strong> in particolare dichiarano di andare a scuola<br />

più volentieri e, secondo la testimonianza di uno <strong>dei</strong> due<br />

direttori didattici, quando vengono a scuola da soli sono<br />

più puntuali. Due effetti che non sembrano marginali.<br />

Va invece sottolineata la fragilità di esperienze come<br />

questa che richiedono modifiche non indifferenti nelle abitudini<br />

delle famiglie. Il Comune che chiede ai <strong>bambini</strong> di<br />

andare a scuola da soli, chiede ai genitori non solo di avere<br />

fiducia nei loro figli, ma anche nel comportamento degli<br />

altri adulti automobilisti, passanti, negozianti. Naturalmente<br />

se un Comune chiede questo deve comprometter-<br />

147


si e fare tutto quello che è in suo potere per garantire la<br />

maggiore sicurezza <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Le famiglie contano su<br />

questa disponibilità e chiedono interventi che aumentino<br />

le sicurezze. Se questi interventi non vengono realizzati,<br />

specie se già promessi, la fiducia verso l’amministrazione<br />

viene meno e i figli tornano a scuola in auto.<br />

Questo in qualche modo sta succedendo a Fano con<br />

una diminuzione della partecipazione a questa iniziativa,<br />

nel secondo anno, proprio per i ritardi nella realizzazione<br />

delle opere richieste dai cittadini e promesse dall’amministrazione.<br />

Di nuovo il problema <strong>dei</strong> tempi, di nuovo la necessità<br />

di considerare il progetto come una trasformazione<br />

profonda non solo nelle cose da fare ma anche nelle<br />

sensibilità che si riflettono nelle procedure.<br />

10.<br />

UNA PATENTE DA PEDONE,<br />

DA CICLISTA E DA MOTORINISTA<br />

Una proposta di educazione stradale<br />

I Comuni hanno competenze sull’educazione stradale e<br />

destinano fondi all’acquisto di materiali come libretti, manifesti,<br />

video. Materiali che permettono agli insegnanti di<br />

fare le solite lezioni magari con qualche immagine in più,<br />

ma resta inalterato lo scopo di questo sforzo economico e<br />

organizzativo: portare il più precocemente possibile gli<br />

alunni a conoscere i segnali stradali e i principali articoli<br />

del codice della strada. Per rendere più credibile e più efficace<br />

questa operazione sempre più spesso si invitano i<br />

vigili urbani dentro le classi, in modo che siano loro ad insegnare<br />

segnaletica e codice, anche se non hanno nessuna<br />

esperienza di <strong>bambini</strong> e di didattica. Queste attività sono<br />

destinate ad un sostanziale insuccesso per varie ragioni:<br />

innanzi tutto è privo di ragionevolezza insegnare a<br />

148


ambini di otto, dieci anni, che ancora per molti anni non<br />

guideranno una macchina, i segnali stradali e il codice, poi<br />

non è assolutamente vero che l’aumento di informazioni<br />

e di conoscenze garantisca il cambiamento <strong>dei</strong> comportamenti<br />

(i giovani ad esempio continuano a fumare anche<br />

se conoscono tutte le statistiche del rischio che stanno<br />

correndo). A scuola quindi si studia come ci si dovrebbe<br />

comportare in strada mentre in strada gli adulti si comportano<br />

come se non fossero mai andati a scuola e i <strong>bambini</strong><br />

continuano a muoversi dentro le auto condotte da<br />

questi adulti analfabeti.<br />

Di qui la proposta del <strong>La</strong>boratorio di una vera esperienza<br />

di educazione stradale, vissuta dai <strong>bambini</strong> nelle<br />

strade della <strong>città</strong> e legata alla soddisfazione, anche se parziale,<br />

di una loro esigenza di autonomia: l’iniziativa «A<br />

scuola ci andiamo da soli».<br />

A sostegno di questa esperienza si propone alle scuole<br />

l’istituzione di corsi di patente per «Pedoni» nella scuola<br />

elementare, per «Ciclisti» nella scuola media inferiore e<br />

per «Motorinisti» nella scuola superiore. L’idea è semplicemente<br />

quella di rafforzare l’attenzione e l’impegno <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong> e <strong>dei</strong> ragazzi e di coinvolgere sempre di più la <strong>città</strong><br />

in questa operazione di risanamento <strong>dei</strong> comportamenti e<br />

delle abitudini.<br />

<strong>La</strong> patente da pedoni<br />

Nella scuola elementare si potrebbero attivare <strong>dei</strong> veri corsi<br />

di patente da pedoni che prevedano lo studio <strong>dei</strong> percorsi<br />

da casa a scuola con sopralluoghi; l’esame delle migliori<br />

soluzioni in rapporto al tempo e alla sicurezza; l’osservazione<br />

del comportamento degli automobilisti riguardo<br />

alla velocità, al rispetto delle strisce pedonali, al parcheggio<br />

sui marciapiedi; l’identificazione <strong>dei</strong> punti di mag-<br />

149


giore rischio. Dopo questi rilievi, che potranno essere effettuati<br />

dai <strong>bambini</strong> anche nel pomeriggio, si dovranno<br />

elaborare strategie di proposta e, se necessario, di protesta,<br />

attraverso l’uso delle «multe» morali 1 e la richiesta al<br />

Comune di interventi punitivi o strutturali come modifiche<br />

di attraversamenti, installazione di semafori a chiamata,<br />

ecc.<br />

Si possono approfondire la conoscenza della attività di<br />

deambulazione, la migliore postura, le caratteristiche delle<br />

scarpe. Si esamineranno le caratteristiche delle diverse<br />

stagioni e le modalità migliori per proteggersi dalla pioggia,<br />

dal caldo, dalla neve, potendosi muovere con libertà.<br />

I <strong>bambini</strong> possono assumere a turno il ruolo di «vigile<br />

urbano» per verificare il comportamento <strong>dei</strong> compagni e<br />

degli adulti all’esterno della scuola, prendendo nota <strong>dei</strong><br />

comportamenti non adeguati. Di questi si parlerà in classe<br />

e in caso di rilievi gravi nei confronti degli automobilisti<br />

si potrà anche decidere di fare segnalazioni al comando<br />

<strong>dei</strong> vigili urbani. Naturalmente l’obiettivo non è quello<br />

di riproporre una sorta di capoclasse, ma di offrire un punto<br />

di vista diverso, che permetta ai <strong>bambini</strong> di leggere la<br />

loro esigenza di autonomia correlata con il rispetto delle<br />

norme. <strong>La</strong> turnazione sistematica e non meritocratica, in<br />

questo gioco <strong>dei</strong> ruoli, sarà quindi necessaria.<br />

Alla fine del corso si potrebbe fare una grande festa, un<br />

percorso ad ostacoli nella piazza del quartiere e far consegnare<br />

dall’assessore al Traffico le patenti da pedoni<br />

con foto, bolli e marche. Poi sarà importante che l’amministrazione<br />

organizzi iniziative per i piccoli patentati, per<br />

esempio passeggiate il sabato o la domenica per raggiungere<br />

località interessanti da un punto di vista naturalistico<br />

o artistico e fare insieme una merenda. Durante le vacanze<br />

si potranno anche organizzare lunghi viaggi a piedi su<br />

percorsi interessanti, secondo le modalità del trekking.<br />

150<br />

1 Si veda la scheda n° 8: «<strong>La</strong> multa <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».


<strong>La</strong> patente da ciclisti<br />

Nelle <strong>città</strong> dove l’uso della bicicletta è possibile, in tutte le<br />

scuole medie si potrebbe aprire un «laboratorio della bicicletta»<br />

(questa proposta in alcune situazioni ambientali favorevoli<br />

potrebbe interessare anche le ultime classi della<br />

scuola elementare). Un luogo dove si possa smontarla, pulirla,<br />

aggiustarla, studiarla, conoscerla bene. È importante<br />

che la scuola solleciti negli allievi la passione per la bicicletta,<br />

perché le nostre <strong>città</strong> hanno bisogno di formare cittadini<br />

che scelgano di lasciare a casa la macchina e si muovano<br />

senza rumore e senza occupare molto posto, senza<br />

consumare inutilmente risorse non rinnovabili come il<br />

carburante, senza inquinare l’aria e danneggiare le opere<br />

d’arte. Per il resto il corso di patente da ciclisti dovrebbe<br />

procedere come quello da pedoni, con lo studio del territorio,<br />

<strong>dei</strong> percorsi, con richieste di maggiori attenzioni da<br />

parte della amministrazione, come più volte accennato<br />

nelle altre parti del libro. Dopo la festa della consegna delle<br />

patenti, per i patentati l’Assessorato al Traffico e l’Assessorato<br />

allo Sport potranno organizzare gite, gare di regolarità,<br />

visite a località interessanti del territorio circostante<br />

e, nelle vacanze, anche veri lunghi viaggi in bicicletta<br />

a tappe.<br />

<strong>La</strong> patente da motorinisti<br />

Il motorino è certamente uno <strong>dei</strong> miti <strong>dei</strong> nostri adolescenti,<br />

è la ragione di grandi lotte con i genitori, è la causa<br />

di difficoltà non irrilevanti nella circolazione stradale urbana,<br />

è responsabile di forte aumento dell’inquinamento<br />

acustico ed è purtroppo la causa di tanti, troppi traumi cerebrali<br />

che ogni giorno uccidono o lasciano paralizzati adolescenti<br />

e giovani. Questo sia per la prepotenza degli au-<br />

151


tomobilisti sia per le cattive abitudini <strong>dei</strong> giovani stessi che,<br />

oltre a guidare in maniera spericolata, usano spesso in due<br />

il motorino o circolano senza il casco. Queste cattive e pericolose<br />

abitudini sono in modo incomprensibile e colpevole<br />

tollerate dalle autorità di tutela del traffico. Se però il<br />

motorino fosse usato in modo corretto si avrebbero notevoli<br />

benefici per la <strong>città</strong>, dato che lo spazio che occupa è<br />

cinque o sei volte inferiore a quello che richiede una automobile.<br />

Si propone l’apertura di un laboratorio del motorino<br />

in tutte le scuole superiori (mi piace pensare un tale laboratorio<br />

nei nostri licei classici). Sarebbe un luogo dove finalmente<br />

si troverebbero a loro agio gli studenti che hanno<br />

più problemi in greco e in algebra, ma sarebbe anche<br />

il laboratorio dove si potrebbe fare tecnologia, fisica, chimica,<br />

ecc. Si dovrebbe studiare la viabilità della <strong>città</strong>, proporre<br />

soluzioni soddisfacenti per percorsi sicuri e la realizzazione<br />

di appositi parcheggi. Si dovrebbero studiare i<br />

rischi e i pericoli per giungere insieme al riconoscimento<br />

della necessità di una guida corretta, dell’uso del casco e<br />

alla impossibilità di viaggiare in due su un motorino. E via<br />

di questo passo fino alla patente e alle successive iniziative<br />

sociali che potranno diventare luoghi di amicizie e occasioni<br />

di rafforzamento di corretti comportamenti sulla<br />

strada.<br />

Sarebbe importante che i giovani capissero che quando<br />

sono in motorino debbono rispettare i diritti <strong>dei</strong> più deboli,<br />

e quindi <strong>dei</strong> ciclisti e <strong>dei</strong> pedoni, così come si chiede<br />

che gli automobilisti facciano con loro.<br />

Questa scheda è stata scritta in gran parte al condizionale<br />

perché la proposta è ancora allo studio delle scuole e<br />

si attende una loro decisione per partire con la partecipazione,<br />

insieme al <strong>La</strong>boratorio, degli Assessorati al Traffico,<br />

allo Sport, all’Educazione e delle associazioni sportive<br />

e ambientalistiche.<br />

152


11. «IO E LA MIA CITTÀ»<br />

Una proposta di educazione ambientale<br />

Nel 1993 il <strong>La</strong>boratorio di Fano «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» ha<br />

lanciato a tutte le scuole italiane la proposta di dedicare la<br />

loro attenzione al rapporto sempre più difficile fra il bambino<br />

e la <strong>città</strong>, con il progetto «Io e la mia <strong>città</strong>».<br />

Il piano pluriennale invita ogni anno gli studenti italiani<br />

delle scuole di ogni livello ad analizzare un aspetto, un<br />

pezzo della loro <strong>città</strong> e su questo ad incontrarsi a Fano per<br />

conoscersi e confrontare il lavoro svolto. Nel 2000 si prevede<br />

un grande convegno internazionale nel quale, ricomposti<br />

i pezzi esaminati nei vari anni, si ponga in discussione<br />

la <strong>città</strong> secondo le ottiche, le aspettative e le proposte<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e <strong>dei</strong> ragazzi.<br />

È nostra opinione che questa iniziativa sia un buon programma<br />

di educazione ambientale, specie per la sua parte<br />

di conoscenza del territorio, di progettazione e di prospettiva<br />

verso il futuro. D’altra parte è la <strong>città</strong> il luogo del<br />

massimo degrado, del più urgente intervento. È lì che si<br />

realizzano gli attentati più grandi all’ambiente, è da lì che<br />

una «rinascita» ambientale può iniziare. Per questo il Ministero<br />

dell’Ambiente ha riconosciuto il <strong>La</strong>boratorio di Fano<br />

come <strong>La</strong>boratorio Territoriale di Educazione Ambientale e<br />

per questo il Ministero della Pubblica Istruzione, fin dal primo<br />

anno, ha fatto suo e ha divulgato nelle scuole con sua<br />

circolare il progetto «Io e la mia <strong>città</strong>».<br />

In questo e in simili casi c’è un valore in più da tenere in<br />

conto. I <strong>bambini</strong> progettano spazi veri della <strong>città</strong>, li propongono<br />

agli adulti e gli adulti dovranno sempre più tenerne<br />

conto, modificando i tradizionali parametri di progettazione<br />

delle <strong>città</strong> basati solo su criteri economici e comunque<br />

di interesse e rilevanza per i soli adulti. Queste propo-<br />

153


ste diventano quindi, attraverso i <strong>bambini</strong>, anche efficaci<br />

iniziative di sensibilizzazione ambientale per gli adulti.<br />

I temi<br />

Il tema proposto nell’anno scolastico 1993-94 era «Le<br />

piazze e i monumenti». Gli allievi erano invitati a rispondere<br />

alle domande «A cosa serve una piazza?», «Come dovrebbe<br />

essere fatta, attrezzata, arredata una piazza?», «Dove<br />

si potrebbe realizzare una piazza come quella desiderata?»,<br />

«Cosa significa un monumento?», «A chi lo fareste e<br />

come?».<br />

Il tema del 1994-95 era «Fuori il verde». L’invito era<br />

quello di cercare quei ritagli di <strong>città</strong>, quei prati incolti di cui<br />

sono ricche le periferie, che non si sa di chi sono e che<br />

spesso diventano piccole discariche; per conoscerli e restituirli<br />

ad un uso pubblico attraverso una adeguata progettazione.<br />

Il tema del 1995-96 era «Le strade e le macchine: a<br />

scuola ci andiamo da soli» per studiare le difficoltà della mobilità<br />

urbana per i cittadini più deboli e le possibili soluzioni<br />

per aumentare la loro autonomia e contrastare lo strapotere<br />

delle automobili. «I rifiuti» è l’argomento di lavoro<br />

per l’anno 1996-97 e temi <strong>dei</strong> prossimi anni potranno essere:<br />

«<strong>La</strong> scuola come piace a noi»; «Il restauro e il riuso urbano»;<br />

«I cortili»; «Il tempo libero» o altri.<br />

Il metodo<br />

Le scuole interessate al progetto inviano una scheda di<br />

adesione al <strong>La</strong>boratorio di Fano. Questo risponde alle<br />

classi con un documento metodologico, preparato appo-<br />

154


sitamente ogni anno, che suggerisce alcune attività sul tema<br />

proposto.<br />

Si ritiene che le scuole debbano sviluppare l’argomento,<br />

nella piena libertà, delle forme e <strong>dei</strong> linguaggi espressivi.<br />

Si propone di iniziare il lavoro con esperienze concrete,<br />

reali: l’individuazione di uno spazio del quartiere,<br />

oppure l’identificazione di un problema da superare. Di<br />

qui si parte per raccogliere informazioni, conoscere la<br />

proprietà dell’area, formulare delle ipotesi di trasformazione.<br />

Nella elaborazione di un progetto si suggerisce di<br />

utilizzare la consulenza e la collaborazione di tecnici esterni<br />

alla scuola che aiutino gli allievi a tener conto delle norme,<br />

delle caratteristiche <strong>dei</strong> materiali, delle soluzioni possibili.<br />

Potranno essere i tecnici del Comune o architetti,<br />

urbanisti, naturalisti, ecc.<br />

Sarà importante, sia per gli aspetti educativi, sia per la<br />

maggiore realizzabilità dell’opera, che la classe studi anche<br />

i materiali necessari, i costi necessari e valuti quale<br />

contributo operativo possono dare gli allievi stessi, i genitori,<br />

i nonni, tanto per la realizzazione che per la manutenzione.<br />

Il lavoro svolto terminerà con la preparazione di<br />

un progetto concreto e se possibile con un modellino o un<br />

plastico che verrà presentato agli assessori competenti 1 .<br />

<strong>La</strong> settimana di Fano<br />

Durante il mese di aprile si tiene a Fano una settimana di<br />

chiusura della iniziativa «Io e la mia <strong>città</strong>», dedicata ai <strong>bambini</strong>,<br />

durante la quale le classi o i gruppi (per esempio di<br />

associazioni) che hanno aderito inviano o portano i loro<br />

progetti.<br />

L’evento principale è la grande mostra <strong>dei</strong> progetti, <strong>dei</strong><br />

1 Si veda anche la scheda n° 4: «I <strong>bambini</strong> progettisti».<br />

155


modelli, <strong>dei</strong> plastici, prodotti dai <strong>bambini</strong> delle varie <strong>città</strong><br />

sul tema dell’anno. Una seconda mostra è quella <strong>dei</strong> migliori<br />

manifesti realizzati dai <strong>bambini</strong> di Fano per il concorso<br />

per il manifesto dell’anno 2 . A queste si uniscono altre<br />

mostre curate dal <strong>La</strong>boratorio, da associazioni nazionali<br />

o locali o dagli anziani della <strong>città</strong>. Nei sei anni della manifestazione,<br />

fra le altre, sono state presentate a Fano la<br />

mostra delle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia «I cento<br />

linguaggi <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» e la mostra curata da Mario Lodi sul<br />

disegno infantile.<br />

Tutti i giorni della settimana gruppi teatrali per <strong>bambini</strong><br />

o di <strong>bambini</strong>, locali o di altre <strong>città</strong>, realizzano spettacoli,<br />

di mattina nelle scuole e di pomeriggio nelle piazze,<br />

piazzette e teatri della <strong>città</strong>.<br />

Durante la settimana si tengono anche alcuni incontriconvegno.<br />

Uno, forse il più rappresentativo, è quello <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong> progettisti, durante il quale gli autori illustrano ai<br />

compagni delle varie <strong>città</strong> e agli adulti il loro lavoro esposto<br />

nella mostra. Questo incontro viene coordinato e diretto<br />

dai <strong>bambini</strong> del Consiglio di Fano con un rispetto <strong>dei</strong><br />

tempi previsti che stupisce sempre gli adulti. Si sta comunque<br />

pensando di modificare in futuro questa presentazione<br />

che rischia di scimmiottare troppo i convegni degli<br />

adulti e di incontrare poco interesse da parte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

che assistono, specie di quelli che ancora debbono intervenire,<br />

realizzando la mostra <strong>dei</strong> progetti in uno spazio<br />

molto più grande e invitando i gruppi di lavoro ad illustrare<br />

in alcune ore del giorno il loro lavoro.<br />

Un secondo convegno che si è sempre tenuto è quello<br />

degli amministratori, sul tema dell’anno, le sue implicazioni<br />

educative ed urbanistiche. Quello con gli amministratori<br />

è un appuntamento importante che permette uno<br />

scambio di esperienze fra le <strong>città</strong> interessate o già impe-<br />

156<br />

2 Si veda la scheda n° 12: «Io e la mia <strong>città</strong>»: il manifesto.


gnate in questo progetto. Negli ultimi anni all’incontro di<br />

aprile si è aggiunto un incontro-seminario di approfondimento<br />

a dicembre.<br />

Si sono anche tenuti incontri con gli insegnanti sui temi<br />

più vicini alla metodologia della proposta (dalla educazione<br />

ambientale alla collaborazione con tecnici esterni alla<br />

scuola) e con gli architetti sui vari aspetti della architettura<br />

partecipata ai <strong>bambini</strong>.<br />

Per una settimana molti spazi importanti e prestigiosi<br />

della <strong>città</strong> vengono «lasciati» ai <strong>bambini</strong>, ai loro incontri, ai<br />

loro spettacoli, alle loro mostre. I negozi espongono i loro<br />

manifesti, la radio e la stampa locale si occupano di loro.<br />

Per una settimana la <strong>città</strong> diventa un po’ di più una<br />

<strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

<strong>La</strong> domenica la <strong>città</strong>, chiusa al traffico 3 , si offre ai <strong>bambini</strong><br />

come «Una <strong>città</strong> da giocare». Nei vari anni si sono proposti<br />

ai <strong>bambini</strong> i vari spazi urbani come occasioni di gioco:<br />

le piazzette e i vicoli del centro come sorprendenti ambientazioni<br />

di spettacoli teatrali; la sabbia dell’arenile come<br />

materiale per i tanti giochi, dal vulcano al castello, dal<br />

trabocchetto alla pista per le bilie; i ciottoli della spiaggia<br />

sassosa come materiali per originali composizioni o pitture<br />

o per ricerche del sasso più rotondo; le mura o i bastioni<br />

della <strong>città</strong> come grandi giocattoli. Negli ultimi anni,<br />

dopo che i <strong>bambini</strong> hanno ottenuto la chiusura della <strong>città</strong><br />

alle macchine, il luogo del gioco è diventato la strada, simbolo<br />

dell’impegno di riappropriazione della <strong>città</strong> da parte<br />

di tutti i cittadini a partire dai <strong>bambini</strong>.<br />

Alcuni dati<br />

<strong>La</strong> partecipazione alla settimana è stata variabile, fortemente<br />

condizionata dai tempi in cui la circolare ministe-<br />

3 Si veda la scheda n° 13: «Una giornata senza auto».<br />

157


iale è arrivata alle scuole e dalla coincidenza della settimana<br />

di aprile con le elezioni politiche o amministrative<br />

(purtroppo una costante negli ultimi tre anni). Nonostante<br />

queste difficoltà hanno inviato progetti a Fano una cinquantina<br />

di scuole (in media) e varie amministrazioni comunali<br />

hanno inviato i loro rappresentanti. Erano sempre<br />

rappresentate più di dieci regioni italiane e alcune delegazioni<br />

straniere.<br />

È costantemente aumentato il numero <strong>dei</strong> plastici inviati<br />

a Fano, rispetto ai cartelloni tradizionali, che costituivano<br />

il materiale prevalente <strong>dei</strong> primi anni. Questo significa<br />

che le scuole stanno accettando le indicazioni di lavoro<br />

proposte dalla circolare ministeriale e il documento<br />

metodologico inviato dal <strong>La</strong>boratorio di Fano: intervento<br />

operativo sul territorio, collaborazione con tecnici esterni<br />

alla scuola, uso di nuove tecnologie, come appunto la realizzazione<br />

di plastici.<br />

L’alta partecipazione di progetti, <strong>bambini</strong>, insegnanti e<br />

amministratori, nonostante che l’onere finanziario fosse a<br />

carico <strong>dei</strong> partecipanti e le citate difficoltà «politiche» degli<br />

ultimi anni, dimostra il riconoscimento dell’importanza<br />

non solo per la proposta metodologica, ma anche per<br />

l’occasione d’incontro reale di <strong>bambini</strong> e di adulti sia intorno<br />

ai lavori esposti sia per «giocare» insieme la <strong>città</strong>.<br />

12 . «IO E LA MIA CITTÀ»: IL MANIFESTO<br />

Da tre anni il manifesto della iniziativa nazionale «Io e la<br />

mia <strong>città</strong>» nasce da un concorso bandito fra i <strong>bambini</strong> e i<br />

ragazzi delle scuole di Fano. Il <strong>La</strong>boratorio distribuisce nelle<br />

scuole un manifesto bianco di 100 x 70 cm, con il solo<br />

simbolo grafico della iniziativa e i titoli. I <strong>bambini</strong> dipingono<br />

in tutta libertà il manifesto, per rappresentare il te-<br />

158


Manifesto scelto come simbolo dell’iniziativa per l’anno 1996, realizzato<br />

da Michela, 3 anni, dell’asilo nido Arcobaleno di Fano.<br />

159


ma dell’anno, scegliendo la tecnica che preferiscono, lavorando<br />

a scuola o a casa, individualmente o in gruppo.<br />

Tutti i manifesti preparati, sempre più di cento, vengono<br />

esaminati da una commissione, formata da professori dell’Istituto<br />

d’Arte e del Liceo Pedagogico, da un grafico e dal<br />

direttore scientifico del <strong>La</strong>boratorio, che seleziona quelli<br />

che verranno esposti in una mostra durante la settimana<br />

di aprile e sceglie quello che le sembra il più adatto a rappresentare<br />

il tema dell’anno. Questo viene stampato e diventa<br />

il simbolo della manifestazione: è il premio per il piccolo<br />

autore. Tutti i manifesti non utilizzati per la mostra<br />

vengono esposti nelle vetrine <strong>dei</strong> negozi.<br />

13 . UNA GIORNATA SENZA AUTO<br />

Come si è ricordato nella scheda «Il Consiglio comunale<br />

aperto ai <strong>bambini</strong>» durante il Consiglio straordinario del<br />

1993 i <strong>bambini</strong> avevano chiesto che le macchine fossero<br />

meno prepotenti, togliessero meno spazio al gioco <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>, e l’assessore al Traffico, in uno slancio di generosità,<br />

promise che per un giorno avrebbe chiuso tutta la<br />

<strong>città</strong> alle auto. Le difficoltà le incontrò successivamente,<br />

perché non si trattava di chiudere una strada o una piazza,<br />

ma una <strong>città</strong> attraversata da strade importanti e trafficate<br />

come l’Adriatica e la Flaminia. Ormai però la promessa<br />

era fatta e il <strong>La</strong>boratorio fu fermo nel chiedere che<br />

venisse rispettata. <strong>La</strong> promessa fu mantenuta, fu richiesta<br />

l’autorizzazione alla Prefettura, furono predisposte le necessarie<br />

deviazioni e le strade furono regalate ai <strong>bambini</strong><br />

per giocare.<br />

Nel Consiglio straordinario del 1994 i <strong>bambini</strong> hanno<br />

chiesto di aumentare le giornate di chiusura alle macchine.<br />

L’assessore questa volta non ha fatto rischiose pro-<br />

160


messe, ma non ha neppure potuto recedere rispetto all’impegno<br />

dell’anno precedente e così la giornata di chiusura<br />

è stata confermata negli ultimi tre anni e costituisce<br />

ormai una bella consuetudine.<br />

Da allora, la domenica di chiusura della iniziativa «Io e<br />

la mia <strong>città</strong>» 1 , i <strong>bambini</strong>, ma anche gli adulti, si riappropriano<br />

delle strade che, da luoghi proibiti e pericolosi, diventano<br />

spazi privilegiati di gioco. È inusuale, ma carico<br />

di significato, osservare <strong>bambini</strong> e adulti camminare in fila<br />

lungo la linea di mezzeria della carreggiata, alla scoperta<br />

di una libertà nuova.<br />

<strong>La</strong> strada diventa il luogo <strong>dei</strong> vari giochi tradizionali, del<br />

teatro, <strong>dei</strong> trampoli. Gruppi di animatori e di studentesse<br />

del Liceo Pedagogico aiutano i <strong>bambini</strong> a «scoprire» vecchi<br />

giochi di strada o propongono nuove attività. <strong>La</strong> strada<br />

diventa una grande lavagna, lunga come una <strong>città</strong>, dove<br />

disegnare percorsi, spazi di gioco o dipingere come i<br />

«madonnari».<br />

Gli automobilisti che hanno la «fortuna» di transitare in<br />

questo giorno a Fano, quando incontrano la strada interrotta<br />

e vengono obbligati ad una certamente poco gradita<br />

deviazione, trovano un cartello che dice: «OGGI LE<br />

STRADE DI FANO SONO CHIUSE ALLE MACCHINE<br />

PERCHÉ SONO STATE REGALATE AI BAMBINI PER<br />

GIOCARE».<br />

<strong>La</strong> nostra speranza è che questi automobilisti, insieme<br />

alla legittima rabbia per l’allungamento del viaggio, possano<br />

portarsi dietro, quali stimoli alla riflessione, pensieri del<br />

tipo: «Però che strani questi fanesi, giocare nelle strade...<br />

però anch’io da piccolo... e perché no anche per mio figlio?...».<br />

Chiudere le strade per un giorno è certamente solo un<br />

simbolo, un segnale, ma anche i segnali sono importanti<br />

1 Si veda la scheda n° 11: «Io e la mia <strong>città</strong>».<br />

161


perché aiutano a credere alle cose nuove. Sono piccole<br />

carezze che aiutano a sperare. Aiutano i <strong>bambini</strong> a crescere<br />

con questi desideri, aiutano gli adulti a rompere le<br />

abitudini che spesso si confondono con necessità.<br />

14.<br />

UN MARCHIO DI QUALITÀ BAMBINI<br />

PER ALBERGHI E RISTORANTI<br />

Ristoranti ed alberghi a misura anche <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

Il progetto, come più volte ricordato, interessa trasversalmente<br />

la <strong>città</strong>, tutti i suoi aspetti, tutte le sue strutture, da<br />

sottomettere ad una revisione critica, a partire dalle esigenze<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

Fano è una <strong>città</strong> di turismo balneare frequentata specialmente<br />

dalle famiglie. Per questo l’Azienda di Promozione<br />

Turistica (APT) ha visto fin dall’inizio con interesse<br />

il sorgere del <strong>La</strong>boratorio, lo ha appoggiato e ha manifestato<br />

curiosità e disponibilità di fronte all’idea di proporre<br />

agli esercenti di ristoranti, alberghi e camping una serie di<br />

suggerimenti per rendere le loro strutture più adatte ai<br />

<strong>bambini</strong>. Dopo alcune riunioni con sindaco, assessori<br />

competenti, APT ed esercenti, la proposta ha preso forma<br />

in alcune riunioni del Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

Le proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

Le proposte che seguono sono emerse direttamente e<br />

senza interventi degli adulti in una seduta del Consiglio <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong> del <strong>La</strong>boratorio dopo che i consiglieri avevano<br />

raccolto le idee nelle rispettive scuole.<br />

162


Perché un ristorante sia adatto ai <strong>bambini</strong><br />

Lucia: Vetri mobili che d’estate si tolgono e d’inverno si<br />

mettono, con il self-service in modo che i <strong>bambini</strong> si possono<br />

servire.<br />

Beatrice: 30 <strong>bambini</strong> su 90 vorrebbero cibi buoni che<br />

piacciono a loro, 14 parco e sala giochi, 13 giardino, 12<br />

tavoli bassi e larghi, 10 divieto di fumo, 6 un servizio rapido,<br />

personale gentile e con i bagni puliti.<br />

M. Vittoria: Vicino al ristorante una stanzetta per i <strong>bambini</strong><br />

così non devono stare a tavola e aspettare i grandi ed<br />

annoiarsi; vestirsi in maniera non seria; le pareti dipinte<br />

con murales.<br />

Massimo: Preparare il menù e cucinare; decidere la quantità<br />

di cibo che si vuole.<br />

Nicola: Sala da pranzo solo per i <strong>bambini</strong> con panche fissate<br />

al muro e al pavimento per evitare le cadute.<br />

Francesca: Piatti di plastica dura e lavabile con disegni <strong>dei</strong><br />

cartoni animati.<br />

Chiara: Sala per i fumatori perché a noi <strong>bambini</strong> il fumo<br />

dà molto fastidio e fa male; dopo il pranzo una sala tutta<br />

per noi per poter giocare e dolci gratis ai <strong>bambini</strong>.<br />

Dennis: Servitori gentili con battute divertenti, piccola palestra<br />

con porte piccole da calcio.<br />

Perché un albergo sia adatto ai <strong>bambini</strong><br />

Lucia: Struttura a forma di giocattolo con dentro tanti giocattoli.<br />

Elena: Vorrei più controllo nel giardino, sale adibite a televisione,<br />

giochi gratis, self-service, mini biblioteca. Baby<br />

sitter perché i genitori che vogliono andare in qualche posto<br />

e i <strong>bambini</strong> non sanno dove metterli, allora ci potrebbe<br />

essere una baby sitter.<br />

163


Giorgia: Vorremmo <strong>dei</strong> parchi con giochi tipo altalene e<br />

altri generi, piscine e sale giochi, poi cartelloni da poter<br />

disegnare.<br />

Beatrice: <strong>La</strong> televisione in camera con cartoni per i <strong>bambini</strong>,<br />

con mobili non infiammabili e soprammobili infrangibili.<br />

M. Vittoria: Camere grandi e colorate e con giocattoli non<br />

pericolosi e tenere anche le cose un po’ in disordine. Letti<br />

resistenti dove si può anche saltare. Costi più bassi di<br />

quelli attuali perché ci si andrebbe di più. Club per i <strong>bambini</strong><br />

con passatempi come ballare e andare in spiaggia.<br />

Massimo: Orari non rigidi. Scegliere attività silenziose invece<br />

di riposare, come leggere disegnare travestirsi truccarsi<br />

preparare il menù e cucinare. Chiavi ad uso personale.<br />

Maniglie, docce, interruttori, specchi ad altezza di<br />

bambino. Sala film, computer creativi con immagini tridimensionali,<br />

poter far musica con strumenti, momenti di<br />

lettura a voce alta.<br />

Nicola: Spazi gioco con tavoli e sedie senza spigoli, grande<br />

schermo televisivo, computer, pareti lavabili, con pennelli<br />

per dipingere. Letti con protezione per eventuali cadute,<br />

mensole con giochi e pareti con isolamento acustico<br />

(per strillare). Bagni «igienizzati». Giardino con giochi,<br />

capannine e uno spazio per i più piccoli. Tappeti, ascensori<br />

per handicappati.<br />

Margherita: Ci potrebbe essere un piccolo cinema con<br />

ogni due ore un cartone e una sala con giornalini.<br />

Francesca: Guardaroba di vestiti per feste, gite guidate<br />

per i <strong>bambini</strong> a piedi e con pulmino. Plastico con i monumenti<br />

più belli della <strong>città</strong>.<br />

Manila: Strutture per animali <strong>dei</strong> clienti.<br />

Dennis: Giardino con persone che pensano a noi.<br />

Giacomo: Albergo di lusso con dietro un bosco e un piccolo<br />

zoo, un piccolo bar, parco giochi.<br />

164


Proposte del <strong>La</strong>boratorio<br />

A partire dalle proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, che evidenziano le<br />

modifiche principali che possono trasformare questi servizi<br />

in luoghi piacevoli anche per loro, il <strong>La</strong>boratorio ha<br />

formulato agli operatori turistici e all’APT di Fano una serie<br />

di proposte perché si possano discutere e arricchire insieme<br />

1 . Se si riuscirà a compilare un elenco di condizioni<br />

alle quali debbano rispondere un ristorante e un albergo<br />

per essere adatti ai <strong>bambini</strong>, si potrà proporre un Marchio<br />

di Qualità Bambini del quale possano fregiarsi i locali che<br />

lo meritano. Il marchio potrà essere assegnato da una<br />

commissione composta da rappresentanti dell’APT, del<br />

<strong>La</strong>boratorio e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> del Consiglio. Se l’iniziativa potrà<br />

concretizzarsi sperimentalmente a Fano si potrà poi<br />

valutare se proporla a livello regionale o più ampio.<br />

<strong>La</strong> richiesta che emerge con più chiarezza dalle proposte<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> è di maggiore autonomia: nell’uso <strong>dei</strong><br />

servizi, nello svago e rispetto agli adulti.<br />

Ristorante<br />

I <strong>bambini</strong> conoscono meglio il ristorante che l’albergo e<br />

per questo le proposte risultano più complete e soddisfacenti.<br />

Una sala da pranzo separata, o un angolo autonomo<br />

nella comune sala da pranzo con tavoli bassi, di misura<br />

adeguata ai <strong>bambini</strong> e larghi (forse per stare in tanti intorno).<br />

Naturalmente nella sala <strong>bambini</strong> o nel loro settore<br />

sarà rigorosamente vietato fumare 2 .<br />

1 Le proposte <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> meriterebbero un’analisi ben più approfondita,<br />

distinguendo quelle banali da alcune fortemente innovative. Qui ci si è limitati<br />

ad ordinarle per renderle una proposta credibile e accettabile dagli esercenti.<br />

2 <strong>La</strong> disponibilità di uno spazio separato non deve essere letta come un obbligo<br />

o un suggerimento a non mangiare insieme adulti e <strong>bambini</strong>, ma solo co-<br />

165


Servizio self-service in modo che possano servirsi da<br />

soli, decidendo la qualità e quantità di cibo. Si potrebbe<br />

pensare ad un tavolo di presentazione <strong>dei</strong> cibi, a buffet, in<br />

modo che i <strong>bambini</strong> possano vedere, scegliere e servirsi.<br />

Cibi adatti ai <strong>bambini</strong>, ma buoni, preparati nelle maniere<br />

a loro più gradite. I <strong>bambini</strong>, per esempio, spesso rifiutano<br />

la fettina di carne o la bistecca, ma gradiscono le<br />

polpette o l’hamburger. Un tale modo di presentare i cibi<br />

potrebbe migliorare la qualità, escludendo bevande e cibi<br />

poco adatti: dalle bibite gassate ai cibi troppo piccanti.<br />

Potrebbe essere proposto un prezzo forfetario in modo<br />

che <strong>bambini</strong> e genitori non debbano preoccuparsi di<br />

questo aspetto.<br />

Personale gentile, con battute divertenti. Questo significa<br />

che vorrebbero qualcuno, fra il personale, che sappia<br />

stare con loro: personale allegro, capace di scherzare, tollerante.<br />

Un locale di svago dove aspettare i grandi che continuano<br />

a chiacchierare, senza annoiarsi. Il locale potrà essere<br />

all’aperto nella stagione estiva e al coperto nella stagione<br />

invernale.<br />

Potersi vestire in maniera non seria, quindi non formale,<br />

non troppo curata.<br />

Arredi vivaci e piacevoli, in modo che i <strong>bambini</strong> si sentano<br />

a loro agio. Si potrebbero usare disegni e sculture <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>, forniti agli esercenti dalle scuole infantili, in cambio<br />

di materiali didattici.<br />

Servizi igienici, attaccapanni, maniglie, ecc. a misura<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

Albergo<br />

Sala della televisione riservata, con videocassette che piacciono<br />

ai <strong>bambini</strong>. Ci sembra importante che il televisore<br />

me risorsa in più. Quando abbiamo piacere di stare insieme con i figli e loro con<br />

noi, facciamo bene a starci, quando dobbiamo parlare con i nostri amici trascurando<br />

i <strong>bambini</strong>, è meglio che questi stiano bene con i loro coetanei.<br />

166


non sia abilitato alle reti televisive, ma funzioni solo con<br />

videocassette. Si eviterebbero così spettacoli non adatti o<br />

semplicemente brutti e la esposizione agli spot pubblicitari.<br />

I piccoli utenti potranno così scegliere autonomamente.<br />

Il televisore potrebbe essere disponibile per alcuni spazi<br />

orari in modo da evitare un eccesso di fruizione.<br />

Sala giochi e biblioteca. Un angolo della sala può ospitare<br />

una piccola biblioteca. I libri dovranno essere preferibilmente<br />

di letteratura infantile (dai libri solo illustrati per i<br />

più piccoli ai primi veri romanzi) che i <strong>bambini</strong> possano<br />

leggere da soli o farsi leggere dagli adulti. I libri potranno<br />

essere consultati o presi in prestito, con il minimo di formalità<br />

possibile (per esempio con la compilazione di una<br />

semplice schedina). <strong>La</strong> sala giochi e la biblioteca possono<br />

anche condividere lo stesso spazio della TV, approfittando<br />

di orari diversi o di diversi angoli.<br />

Orari non rigidi. L’albergo, che per gli adulti è il luogo<br />

delle libertà, spesso non modifica invece le abitudini <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong> o le rende ancora più rigide: per esempio l’obbligo<br />

del riposino pomeridiano. <strong>La</strong> possibilità di usare propri<br />

spazi potrebbe rendere più liberi gli orari e le abitudini<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

Rispetto alle stanze si propone che tengano conto delle<br />

caratteristiche e <strong>dei</strong> bisogni <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>: maniglie, interruttori,<br />

docce, specchi ad altezza di bambino; lampada<br />

vicino al letto; letti resistenti per poterci anche saltare.<br />

L’albergo dovrebbe curare il suo arredo interno in modo<br />

che i <strong>bambini</strong> si sentano accettati, previsti, un poco a<br />

casa loro. Insieme ai quadri, agli elementi decorativi scelti<br />

pensando al pubblico adulto si pensi anche ad arredi vicini<br />

al mondo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> (come già detto per il ristorante).<br />

Prevedere un servizio di baby sitter in modo che i genitori<br />

possano essere liberi di uscire la sera. Un servizio di<br />

assistenza <strong>bambini</strong> potrebbe essere organizzato anche collettivamente,<br />

utilizzando gli spazi comuni.<br />

Potranno essere pensati e organizzati, in collaborazio-<br />

167


ne con il <strong>La</strong>boratorio, animazioni e spettacoli itineranti fra<br />

i vari alberghi (burattini, animazioni, teatro, visite guidate<br />

in <strong>città</strong>, ecc.).<br />

In collaborazione fra Assessorati al Turismo e all’Educazione,<br />

l’APT, i gestori degli alberghi e il <strong>La</strong>boratorio si<br />

dovrebbero organizzare alcune aree balneari di gioco e attività<br />

per i <strong>bambini</strong>, in alternativa e appoggio alle attività<br />

di spiaggia 3 .<br />

15. UNA SPIAGGIA PER I BAMBINI<br />

Il bambino in spiaggia spesso si annoia. Vorrebbe andare<br />

continuamente in acqua, ma gli adulti non lo permettono,<br />

si stanca della sabbia, si stanca del sole, non sa cosa fare.<br />

Chiede suggerimenti e aiuti ai genitori interessati invece a<br />

prendersi tutto il sole possibile o a proseguire le chiacchiere<br />

e i giochi fra adulti sotto l’ombrellone.<br />

Sarebbe importante che gli stabilimenti balneari dedicassero<br />

attenzione ai bisogni <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, rispetterebbero<br />

così il diritto di gioco e di divertimento <strong>dei</strong> piccoli e aumenterebbero<br />

il benessere <strong>dei</strong> grandi.<br />

In particolare, il <strong>La</strong>boratorio di Fano sta avanzando da<br />

alcuni anni, agli esercenti, all’APT e all’Assessorato al Turismo,<br />

le proposte che seguono e che mirano a fare della<br />

spiaggia un luogo adatto ai <strong>bambini</strong>. I servizi che seguono<br />

dovrebbero essere previsti come obbligatori nei contratti<br />

di concessione degli arenili. Il loro numero dovrà essere<br />

stabilito in relazione alle cabine o ai bagnanti.<br />

Cabina neonati. Dovrebbero essere messe a disposizione<br />

delle famiglie delle cabine per neonati, dotate di vasca<br />

168<br />

3 Si veda la scheda n° 15: «Una spiaggia per i <strong>bambini</strong>».


per il bagnetto, di fasciatoio, di pannolini, di scalda biberon<br />

e di frigorifero.<br />

Cabina giochi. Cabine che ospitano giornalini, libri,<br />

materiali da disegno e giocattoli, da consegnare in prestito<br />

ai <strong>bambini</strong> in spiaggia. Le dotazioni di queste cabine potrebbero<br />

essere studiate in collaborazione con l’Assessorato<br />

alle Politiche educative.<br />

Cabine e bagni handicap. Cabine e bagni con porte di<br />

grandi dimensioni e maniglie per facilitare il movimento<br />

alle persone in carrozzina, per rendere agevole il cambio<br />

e l’uso <strong>dei</strong> servizi.<br />

Discesa a mare per carrozzine. Almeno per ogni arenile<br />

dovrebbe essere costruita una pedana che permetta<br />

la discesa a mare <strong>dei</strong> portatori di handicap con apposita<br />

carrozzina e con la necessaria assistenza.<br />

Aree attrezzate per <strong>bambini</strong>. Oltre a questi servizi direttamente<br />

gestiti dai bagnini abbiamo proposto di dotare<br />

la spiaggia (ogni spiaggia) di un’area attrezzata per <strong>bambini</strong>.<br />

Si tratta di zone, organizzate e controllate da animatori,<br />

che permettono ai <strong>bambini</strong> di liberarsi dal sole, dalla<br />

sabbia e dagli adulti per il tempo che desiderano, dedicandosi<br />

liberamente a varie attività. L’area potrà ospitare<br />

un settore biblioteca, un angolo giochi, attività espressive<br />

di pittura e manipolazione, spazi liberi per piccoli spettacoli<br />

teatrali e di burattini che periodicamente potranno essere<br />

offerti ai piccoli bagnanti. Potrebbero anche essere<br />

ospitate esperienze di artigianato tipiche della <strong>città</strong>. Nel<br />

caso di Fano si possono per esempio proporre: attività<br />

della carta pesta e della maschera guidata dai «maestri carristi»<br />

della locale Società Carnevalesca; tessitura di reti sotto<br />

la guida <strong>dei</strong> vecchi marinai; costruzione di cesti di canna,<br />

di ceramiche tipiche, ecc.<br />

169


I <strong>bambini</strong> hanno elaborato, per due di queste aree, progetti<br />

che aspettano l’approvazione e la realizzazione dell’Ufficio<br />

tecnico del Comune. Sono progetti creativi, che<br />

utilizzano bene lo spazio disponibile adattandone l’uso alle<br />

caratteristiche ambientali.<br />

16. IL CLUB CDB<br />

In questi anni la <strong>città</strong> di Fano si è arricchita di un numero<br />

crescente di <strong>bambini</strong> e di ex <strong>bambini</strong>, che, avendo partecipato<br />

attivamente alle iniziative de «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»,<br />

hanno sviluppato uno speciale rapporto con la <strong>città</strong><br />

e una buona consapevolezza <strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> cittadini, anche<br />

se piccoli. È il caso degli ex consiglieri, degli ex progettisti,<br />

delle ex piccole guide. Si tratta di qualche centinaio di<br />

ragazzi che stanno frequentando le scuole medie inferiori<br />

e superiori e che rischiano di perdere l’interesse e l’entusiasmo<br />

che avevano acquisito. Riteniamo che questo sia<br />

un lusso che una <strong>città</strong> non si possa permettere, perché<br />

questi ragazzi saranno presto genitori e potrebbero essere<br />

i futuri amministratori. Se perdiamo i contatti con loro<br />

sarà facile ritrovarceli come genitori ansiosi e dimentichi<br />

delle necessità <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> o amministratori disattenti.<br />

Spesso questi ragazzi tornano al <strong>La</strong>boratorio per sapere<br />

se stiamo organizzando qualcosa per loro o se possono<br />

aiutare a fare qualcosa. Abbiamo allora pensato di<br />

aprire un Club CdB (Città <strong>dei</strong> Bambini) che abbia una sua<br />

organizzazione e una sua sede autonoma e fra le sue finalità<br />

quella di fornire al <strong>La</strong>boratorio una collaborazione e<br />

un sostegno volontario. Gli aderenti al Club potrebbero<br />

essere una task force di appoggio per le nostre battaglie,<br />

170


che opera dentro le scuole medie inferiori e superiori; i nostri<br />

supporter nell’organizzazione della settimana di aprile<br />

e <strong>dei</strong> convegni <strong>dei</strong> sindaci; gli alleati privilegiati <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

più piccoli nelle varie esperienze di autonomia dall’andare<br />

a scuola da soli al gioco libero pomeridiano.<br />

Il CdB potrebbe anche amministrare la vendita di prodotti<br />

legati a «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» (magliette, quaderni,<br />

manifesti, adesivi), per sostenere le iniziative e ottenere un<br />

piccolo fondo da amministrare autonomamente.<br />

Avere una sede dove incontrarsi e sufficiente autonomia<br />

per organizzarsi, coordinati da un adulto ma senza<br />

controlli e condizionamenti, credo siano le condizioni necessarie<br />

perché i nostri giovani possano sentirsi ancora<br />

cittadini e protagonisti delle nostre <strong>città</strong>.<br />

Questo progetto è attualmente allo studio del <strong>La</strong>boratorio<br />

e dell’Assessorato alle Politiche sociali.<br />

17. CASA ARCHILEI<br />

Un orto restituito alla <strong>città</strong><br />

<strong>La</strong> storia economica e culturale di Fano è legata al porto<br />

e agli orti. Mentre il porto ha continuato ad avere una certa<br />

importanza ed ora è in fase di rilancio, gli orti, per la loro<br />

sfortunata collocazione a ridosso della <strong>città</strong>, sono diventati<br />

appetibili lotti di terreni fabbricabili e stanno gradualmente<br />

scomparendo. Casa Archilei era appunto uno<br />

di questi orti, di un ettaro, rimasto inutilizzato e circondato<br />

dalla urbanizzazione. Di proprietà comunale era stato<br />

destinato nel Piano Regolatore ad area di edilizia civile.<br />

171


Poteva essere quindi una interessante fonte di reddito per<br />

l’ente locale.<br />

Quando nacque il <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»<br />

Casa Archilei era stata assegnata ad alcune associazioni<br />

naturalistiche perché lo utilizzassero come sede di attività<br />

didattiche in attesa della sua vendita come area edificabile.<br />

Le associazioni e il <strong>La</strong>boratorio fecero pressione sulla<br />

amministrazione perché l’orto venisse salvato dalla urbanizzazione<br />

e venisse destinato ai <strong>bambini</strong> e all’educazione.<br />

Dopo lunghe discussioni e varie battaglie nel Consiglio<br />

comunale, si ottenne la variazione di destinazione d’uso<br />

da terreno edificabile a verde pubblico. Un risultato importante,<br />

in totale controtendenza: l’ente locale ha saputo<br />

rinunciare ad un sicuro interesse economico per dare<br />

alla <strong>città</strong> una risorsa educativa. <strong>La</strong> scelta indica anche una<br />

linea di sviluppo che dovrebbero adottare tutte le <strong>città</strong>: tutti<br />

gli spazi dimenticati dalla selvaggia urbanizzazione degli<br />

ultimi decenni dovrebbero essere vincolati e destinati ad<br />

usi sociali come piazze e giardini, con opportune revisioni<br />

<strong>dei</strong> Piani Regolatori Generali.<br />

Oggi Casa Archilei è un centro di educazione naturalistica<br />

e ambientale a disposizione <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Sono stati<br />

ricostruiti vari ecosistemi naturali come lo stagno, il prato,<br />

il bosco (con alberi piantati e curati dai <strong>bambini</strong>), la vegetazione<br />

delle diverse zone della regione e un’area coltivata<br />

ad orto. L’antica casa colonica ospita locali per il lavoro<br />

con le classi, per l’attività degli educatori e un piccolo<br />

museo contadino.<br />

A Casa Archilei lavorano operatori volontari delle associazioni<br />

ambientalistiche e alcuni giovani in servizio sostitutivo<br />

civile (obiettori di coscienza). Il Centro offre visite<br />

guidate e giornate di lavoro scientifico e naturalistico alle<br />

classi delle scuole <strong>dei</strong> vari livelli, di Fano e della Regione<br />

Marche. Viene frequentato da più di mille studenti ogni<br />

anno.<br />

172


18.<br />

UN POMERIGGIO LIBERO<br />

PER I BAMBINI<br />

Come più volte si è detto l’obiettivo operativo del progetto<br />

«<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» è che i <strong>bambini</strong> possano uscire da<br />

soli di casa. <strong>La</strong> proposta di andare a scuola da soli è un<br />

primo passo, quello più controllabile e più facile per aprire<br />

una falla nel guscio coriaceo della paura, della sfiducia,<br />

che producono egoismo e isolamento.<br />

Mentre dobbiamo premere perché si generalizzi rapidamente<br />

l’esperienza di andare a scuola da soli, occorre<br />

avanzare proposte per il tempo libero <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, per<br />

ampliarlo e renderlo veramente «libero». Un modo per avviare<br />

e sperimentare questo più importante fronte può essere<br />

quello di regalare un pomeriggio ogni settimana ai<br />

<strong>bambini</strong>, in modo che possano utilizzarlo in completa autonomia.<br />

Perché questo sia possibile si deve realizzare una<br />

specie di patto sociale fra gli adulti.<br />

Se per esempio il pomeriggio scelto fosse il mercoledì,<br />

per quel pomeriggio le famiglie non dovranno iscrivere i figli<br />

ai vari corsi, le scuole non dare compiti, le parrocchie<br />

non avere corsi di catechismo. Naturalmente anche il <strong>La</strong>boratorio<br />

si dovrà astenere da ogni attività organizzata, di<br />

animazione o di gioco, perché altrimenti torneremmo a<br />

trasformare il tempo «libero» in tempo «organizzato». Si dovrà<br />

invece chiedere alla <strong>città</strong> di essere disponibile e accogliente<br />

nei confronti <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, accettandoli nei suoi spazi<br />

pubblici e dando loro «un’occhiata». Dovrebbero quindi<br />

valere quelle attenzioni degli anziani, <strong>dei</strong> ragazzi più grandi,<br />

<strong>dei</strong> vigili urbani e <strong>dei</strong> negozianti così come sono state<br />

concordate per l’esperienza «A scuola ci andiamo da soli».<br />

In questo pomeriggio, almeno a livello sperimentale, si<br />

potrebbero dare passaggi gratuiti o scontati ai <strong>bambini</strong> sui<br />

mezzi pubblici, per favorirne l’uso e per sollecitare la conoscenza<br />

delle varie parti della <strong>città</strong>.<br />

173


Sarà interessante verificare se, in questo pomeriggio, i<br />

<strong>bambini</strong> approfitteranno della proposta abbandonando il<br />

televisore. Se così sarà, i <strong>bambini</strong> ci confermeranno, senza<br />

più ombra di dubbio, quale può essere l’arma efficace<br />

e corretta contro lo strapotere di questo invadente elettrodomestico.<br />

19. UN GIARDINO DI PIETRA<br />

Anche senza verde<br />

Mi è successo spesso di ascoltare preoccupazioni del tipo:<br />

«Il problema per il bambino non è solo quello di uscire di<br />

casa, ma anche quello di dove andare a giocare: il giardino<br />

o il prato più vicino è a più di mezz’ora di strada e non<br />

ci può andare da solo». Non so se per effetto delle giuste<br />

battaglie ecologiche o di nuovo per lo strano effetto del<br />

precoce oblio con cui gli adulti dimenticano le esperienze<br />

infantili si è affermata questa strana idea che per giocare<br />

occorra l’erba. Ma i <strong>bambini</strong> non sono caprette e sanno<br />

giocare in qualsiasi ambiente purché si lasci loro un po’ di<br />

libertà, un po’ di tempo e un po’ di spazio. A cosa giocare,<br />

con cosa e come, lo sanno loro, non deve essere<br />

preoccupazione degli adulti. Si gioca bene in strada, nelle<br />

piazze, intorno ai monumenti, così come si gioca nei giardini<br />

e nei parchi. Si gioca dovunque, ovviamente in modi<br />

diversi.<br />

Ricordo spesso di avere avuto la fortuna di essere stato<br />

bambino nell’immediato dopoguerra e di aver avuto,<br />

come luoghi privilegiati di gioco, proprio le case bombardate.<br />

Le rovine sono luoghi abbandonati dai grandi e per<br />

questo diventano luoghi magici per il gioco <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

174


Sono luoghi che perdono le loro caratteristiche iniziali e<br />

possono diventare per la fantasia infantile fortini, foreste,<br />

case... Sono luoghi «lasciati».<br />

Palermo è una <strong>città</strong> che ha «saputo» conservare le rovine<br />

della guerra fino ad oggi nel suo centro storico. Certo<br />

non è stata una scelta degli adulti a favore <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>,<br />

né la <strong>città</strong> intende mantenere questa preoccupante eredità.<br />

Ma nel mio recente ruolo di consulente del sindaco<br />

di questa affascinante <strong>città</strong>, per il progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>», ho proposto di regalare ai <strong>bambini</strong> del centro<br />

una o alcune di queste rovine, facendole diventare <strong>dei</strong><br />

«giardini di pietra» e insieme un ricordo di una tragedia che<br />

è importante non dimenticare.<br />

Si tratta di portare le mura diroccate ad una altezza<br />

compatibile con la sicurezza, di risanarle rendendole praticabili,<br />

di creare insomma una specie di labirinto di mura,<br />

porte, finestre, dove inventare ambienti, scenari, giochi.<br />

Fra le mura possono alternarsi pavimentazioni, gradini,<br />

zone erbose, panchine, piante.<br />

Un luogo degradato potrà essere reso degno e restituito<br />

al gioco creativo <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, alla sosta tranquilla degli<br />

anziani, all’incontro degli innamorati.<br />

Palermo: <strong>La</strong>boratorio «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>».<br />

175


È questo oggi il regno incontrastato <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> di strada,<br />

potrebbe restare il terreno della loro libertà, ma diventare<br />

anche il luogo dell’incontro con gli altri <strong>bambini</strong>,<br />

quelli che oggi vivono reclusi nei loro appartamenti borghesi.<br />

Come si diceva nella parte seconda, dovremmo tentare,<br />

prima di cercare di portare i <strong>bambini</strong> di strada a scuola<br />

o in altre strutture istituzionali per loro estranee e spesso<br />

ostili, di risanare il loro ambiente abituale, favorire in<br />

quello l’incontro con gli altri <strong>bambini</strong>, perché poi, partendo<br />

da una situazione di sicurezza e di privilegio per i più<br />

problematici, si abbia voglia di andare insieme anche in<br />

ambienti organizzati per vivere anche esperienze educative<br />

e scolastiche.<br />

20.<br />

ALTRE ESPERIENZE: LA PROGETTAZIO-<br />

NE PARTECIPATA AI BAMBINI<br />

Intervista a Raymond Lorenzo 1<br />

Come nasce l’idea di coinvolgere i cittadini, in particolare<br />

i <strong>bambini</strong>, nella elaborazione di progetti per la<br />

<strong>città</strong>?<br />

Prima di iniziare il nostro discorso è utile precisare che io<br />

conosco soprattutto la situazione statunitense ed è a questa<br />

che mi riferirò prevalentemente. Negli Stati Uniti le<br />

prime esperienze di progettazione partecipata risalgono<br />

agli anni Sessanta ed erano realizzate da movimenti di cittadini,<br />

coordinati e supportati da docenti universitari delle<br />

1 City planner, coordinatore tecnico della campagna del WWF «Riconquistiamo<br />

la <strong>città</strong>», consulente dell’Istituto degli Innocenti per il progetto «Il bambino<br />

urbano», associated member del Children’s Environment Research Group<br />

di New York.<br />

176


facoltà di architettura e di urbanistica. In genere nascevano<br />

nei quartieri degradati, in risposta a piani di intervento<br />

sulla <strong>città</strong> proposti dal governo centrale e non prevedevano<br />

la partecipazione <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. In molti casi i tecnici<br />

e i cittadini si sono organizzati in comitati o in cooperative<br />

di autosviluppo, e grazie a finanziamenti del governo<br />

centrale sono sorte delle strutture permanenti, le<br />

Comunity Desiner Centers, che ancora oggi svolgono<br />

questo tipo di attività.<br />

Parallelamente, diverse ricerche riguardanti l’infanzia e<br />

l’ambiente urbano avevano come obiettivo lo studio delle<br />

esigenze <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> nelle <strong>città</strong> e la comunicazione <strong>dei</strong> risultati<br />

di queste ricerche agli urbanisti e agli amministratori.<br />

Quando compare l’idea del coinvolgimento <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong><br />

nelle attività di progettazione dell’ambiente urbano?<br />

Bisogna aspettare l’inizio degli anni Settanta, quando in<br />

Inghilterra e negli Stati Uniti compaiono i Parchi Robinson,<br />

degli spazi auto-costruiti, progettati insieme ai <strong>bambini</strong><br />

e ai ragazzi. Robin Moore 2 , ed altre persone, cercavano<br />

di riportare in questi parchi l’avventura, la natura e<br />

il gioco attivo che mancavano o non potevano più essere<br />

realizzati nell’ambiente urbano.<br />

Nello stesso periodo insieme a Florence <strong>La</strong>dd 3 e a<br />

Mark Francis 4 ho partecipato all’apertura di laboratori,<br />

nelle zone più povere della <strong>città</strong> di Boston, dove sperimentavamo<br />

metodologie che permettessero ai <strong>bambini</strong> di<br />

studiare l’ambiente urbano e di partecipare all’elaborazione<br />

di progetti.<br />

2 Robin Moore è docente di Architettura del paesaggio e presidente dell’IPA<br />

(International Player Association).<br />

3 Florence <strong>La</strong>dd si occupa di psicologia dell’ambiente.<br />

4 Mark Francis è docente di Architettura del paesaggio alla Davis University<br />

dello Stato della California.<br />

177


Si possono individuare degli eventi particolarmente significativi<br />

per l’affermarsi della progettazione partecipata?<br />

Il convegno «Children Nature and the Urban Environment»,<br />

che risale al 1975, in cui si sono incontrate quasi tutte le<br />

persone che svolgevano attività di ricerca in questo campo,<br />

rappresenta sicuramente un momento molto importante.<br />

Roger Hart 5 , uno degli organizzatori, mi ha chiesto di coordinare,<br />

insieme a Mark Francis e Simon Nicholson 6 , la partecipazione<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> al convegno e questo era un evento<br />

rivoluzionario. I <strong>bambini</strong> hanno studiato la <strong>città</strong> e noi abbiamo<br />

preparato un rapporto sulla loro concezione dell’ambiente<br />

urbano per presentarlo al convegno. Nello stesso<br />

tempo abbiamo aperto un laboratorio dove lavoravano<br />

i <strong>bambini</strong> per garantire uno scambio fra questi e i ricercatori.<br />

Dal convegno è uscito un segnale molto forte sull’importanza<br />

del coinvolgimento <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> per la stesura di<br />

progetti di trasformazione della <strong>città</strong>.<br />

Nel 1976, durante la prima Conferenza dell’Habitat, è<br />

emerso un orientamento governativo che riconosceva<br />

l’importanza del coinvolgimento <strong>dei</strong> cittadini nella progettazione<br />

e pianificazione della <strong>città</strong>. Il valore del contributo<br />

offerto dai <strong>bambini</strong> non riuscì ad affermarsi, però negli anni<br />

successivi sono state realizzate una serie di esperienze,<br />

che rivelavano la consapevolezza della necessità di coinvolgere<br />

i <strong>bambini</strong> nella progettazione.<br />

In quali nazioni si è affermato maggiormente l’approccio<br />

della progettazione partecipata?<br />

Diversi paesi come l’Inghilterra, l’Austria e la Francia sono<br />

impegnati in questo tipo di attività. Manfred Drum, a<br />

Monaco, con l’associazione Urbanes Wohnen, ha realiz-<br />

5 Roger Hart, editor della rivista «Childrens’ Environment».<br />

6 Simon Nicholson, scomparso nel 1990, era docente di tecnologia presso<br />

la Open University di Oxford. Le sue pubblicazioni How not to Cheat Children:<br />

The Theory of Loose Parts e Children as Planners rappresentano ancora oggi<br />

un importante riferimento teorico per le attività di progettazione partecipata.<br />

178


zato il numero più elevato di interventi nati da progetti di<br />

architettura e urbanistica partecipata di tutta l’Europa.<br />

Negli Stati Uniti ci sono <strong>dei</strong> laboratori molto pragmatici<br />

che, in collaborazione con l’università, e coinvolgendo a<br />

volte anche i <strong>bambini</strong>, elaborano proposte per la trasformazione<br />

di specifici spazi urbani.<br />

Cosa può dirmi della situazione italiana?<br />

Anche in Italia si realizzano delle esperienze interessanti.<br />

A febbraio ho partecipato ad una conferenza dell’Unicef<br />

e ho presentato alcune iniziative italiane. Ho capito che<br />

l’Italia è considerata all’avanguardia per la diffusione culturale<br />

e politica della progettazione partecipata. Molti Comuni,<br />

come Fano, sono coinvolti in esperienze di questo<br />

tipo, diverse associazioni tra cui il WWF, la Legambiente<br />

e l’Arciragazzi sono impegnate in diversi progetti che producono<br />

la diffusione dell’idea della partecipazione.<br />

Rispetto al contesto internazionale però, c’è un ritardo<br />

nella trasformazione delle proposte in interventi concreti.<br />

Oggi in Italia come nasce un’esperienza di progettazione<br />

partecipata?<br />

Ci sono modalità diverse. C’è un approccio diciamo più di<br />

tipo culturale che è quello del WWF, Legambiente, Arciragazzi,<br />

che partendo da una posizione quasi di antagonisti<br />

prima elaborano <strong>dei</strong> progetti con i <strong>bambini</strong>, coinvolgendo<br />

la cittadinanza e poi cercano le vie per realizzarli. In altri<br />

casi, come quello de «<strong>La</strong> <strong>città</strong> possibile», di Ecopolis o del<br />

progetto «Il bambino urbano», sono le amministrazioni che<br />

adottano l’idea della progettazione partecipata e chiedono<br />

l’intervento di specifiche professionalità.<br />

Quanto incide la realizzazione <strong>dei</strong> progetti sulle attività<br />

che coinvolgono i <strong>bambini</strong>?<br />

Indubbiamente la realizzazione delle proposte è un elemento<br />

importante, ma credo che per i <strong>bambini</strong> l’esperienza<br />

della partecipazione sia valida comunque. <strong>La</strong> par-<br />

179


tecipazione offre <strong>dei</strong> contributi allo sviluppo individuale<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> perché gli permette di sentirsi protagonisti, di<br />

dialogare con gli altri cittadini, di acquisire una conoscenza<br />

più duratura della loro <strong>città</strong> e tutto questo è indipendente<br />

dalla concretizzazione <strong>dei</strong> progetti.<br />

Con i <strong>bambini</strong> si parla anche della fattibilità delle loro<br />

proposte e in questo modo diventano consapevoli delle<br />

difficoltà della realizzazione. I progetti elaborati inoltre sono<br />

sempre stati comunicati agli amministratori e ai tecnici<br />

della <strong>città</strong> per consentire loro di capire quali sono le esigenze<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

<strong>La</strong> progettazione partecipata ha delle ricadute positive<br />

anche per altri soggetti?<br />

I <strong>bambini</strong> possono insegnare molte cose agli adulti sulla<br />

gestione dell’ambiente, soprattutto nell’ottica dello sviluppo<br />

sostenibile. I loro progetti propongono interventi che<br />

non richiedono grandi finanziamenti, gli elementi naturali<br />

hanno un notevole rilievo, prevedono il recupero di<br />

strutture già esistenti, e tra i materiali prediligono quelli naturali.<br />

Tutti questi elementi che sono i principi di base della<br />

progettazione ecologica sono presenti anche nei lavori<br />

<strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> grazie sia alla loro visione dell’ambiente sia al<br />

nostro approccio metodologico.<br />

Quali elementi rappresentano un ostacolo per le attività<br />

di progettazione partecipata?<br />

Una delle difficoltà è la partecipazione <strong>dei</strong> genitori. Il loro<br />

timore per il coinvolgimento <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> nell’elaborazione<br />

di proposte che poi non verranno realizzate è in parte<br />

motivato. <strong>La</strong> caduta di una Giunta comunale, per esempio,<br />

può mettere in pericolo l’attuazione di un progetto<br />

approvato. Oggi, però, la sfiducia <strong>dei</strong> cittadini verso l’amministrazione<br />

mi sembra eccessiva. Un altro ostacolo è il<br />

tempo richiesto per la realizzazione <strong>dei</strong> progetti perché è<br />

decisamente troppo lungo. <strong>La</strong> proposta approvata, inoltre,<br />

può essere modificata quando viene definito il progetto<br />

esecutivo e di conseguenza l’intervento realizzato<br />

180


può riflettere solo in parte le indicazioni <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>. Un<br />

altro punto critico è quello delle professionalità. In Italia,<br />

diversamente dagli Stati Uniti, dove le Comunity Desiner<br />

Centers da circa venti anni svolgono anche attività di formazione,<br />

mancano le professionalità di tipo interdisciplinare<br />

necessarie alla elaborazione, ma anche quelle artigianali<br />

indispensabili alla realizzazione degli interventi.<br />

Possiamo concludere il nostro discorso cercando di individuare<br />

quali prospettive ci sono per questo tipo di<br />

esperienze?<br />

Le prospettive sono sicuramente positive. <strong>La</strong> progettazione<br />

partecipata non è più l’approccio tipico ed esclusivo<br />

degli esperti dell’infanzia. Gli amministratori mostrano interesse<br />

per le proposte elaborate dai <strong>bambini</strong>, l’Istituto<br />

Nazionale di Urbanistica si sta muovendo nella stessa direzione.<br />

Lentamente si sta diffondendo l’idea che per trasformare<br />

l’ambiente urbano sono necessarie altre figure<br />

oltre agli architetti e agli urbanisti.<br />

21. ALTRE ESPERIENZE: I DIRITTI DEI PEDONI<br />

Intervista a Dario Manuetti 1<br />

Una politica di gestione della <strong>città</strong> che tenga conto <strong>dei</strong><br />

diritti <strong>dei</strong> pedoni può contribuire al processo di trasformazione<br />

dell’ambiente urbano?<br />

1 Dario Manuetti si dedica da vent’anni ai problemi dell’organizzazione della<br />

cultura, dell’educazione permanente, della formazione degli operatori culturali<br />

ed educativi, in qualità di militante associativo, amministratore comunale e<br />

di enti pubblici, consulente presso Comuni e Regioni. Fa parte del direttivo dell’Associazione<br />

europea per il progresso sociale e culturale ed è membro del<br />

Consiglio regionale sui Problemi <strong>dei</strong> minori. Svolge la sua attività professionale<br />

presso la Regione Piemonte, dove si occupa di orientamento e inserimento sociale<br />

e professionale.<br />

181


<strong>La</strong> politica della mobilità oggi si può dire che coincida con<br />

la politica della <strong>città</strong>. Un tempo, invece, le preoccupazioni<br />

di chi disegnava le <strong>città</strong> tenevano conto principalmente<br />

delle funzioni residenziale e produttiva. <strong>La</strong> moderazione<br />

della circolazione offre delle soluzioni concrete ai problemi<br />

della mobilità nel tempo della motorizzazione di<br />

massa. Il principio fondamentale è quello della «democratizzazione»<br />

dello spazio pubblico, quello delle vie e delle<br />

piazze, della coesistenza pacifica tra automobili e pedoni.<br />

Quale tipo di interventi sono previsti dalla moderazione<br />

della circolazione?<br />

I pareri di esperti a livello europeo, ma anche il numero<br />

elevato di incidenti, indicano che il condizionamento psicologico<br />

e l’azione educativa sui comportamenti degli automobilisti<br />

non sono sufficienti per garantire la sicurezza e<br />

la mobilità di tutti gli utenti dello spazio pubblico. Occorre<br />

creare le condizioni fisiche perché le automobili si spostino<br />

a velocità compatibili con le caratteristiche dell’ambiente<br />

urbano.<br />

L’applicazione più visibile della moderazione della circolazione<br />

è quello di abbattere tutte le barriere architettoniche<br />

per i pedoni e di crearle invece per le automobili.<br />

Nelle vie dove la funzione abitativa prevale, si suggerisce<br />

di restringere la carreggiata per ampliare lo spazio del<br />

marciapiede, di rendere tortuosi i percorsi delle automobili,<br />

mettendo degli ostacoli su entrambi i lati della strada.<br />

Un altro elemento importante è «lo sganciamento verticale»:<br />

far salire e discendere le automobili sugli attraversamenti<br />

pedonali, mentre i pedoni si muovono sempre sullo<br />

stesso livello. Questo è ottenuto, per esempio, mediante<br />

la realizzazione di attraversamenti pedonali sopraelevati<br />

di alcuni centimetri rispetto al fondo stradale.<br />

Nelle strade residenziali, dove sono applicate tutte le<br />

norme della moderazione, le caratteristiche dell’arredo urbano<br />

e della pavimentazione, aumenta la gradevolezza del-<br />

182


l’ambiente, ma si modificano anche i comportamenti degli<br />

automobilisti. <strong>La</strong> strada diventa uno spazio diverso, dove<br />

è prevista non solo la presenza degli automobilisti, ma<br />

anche quella <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, degli anziani, <strong>dei</strong> portatori di<br />

handicap.<br />

Come nasce l’idea della moderazione della circolazione?<br />

<strong>La</strong> moderazione della circolazione ha un’origine storica riconosciuta<br />

nella <strong>città</strong> di Delft in Olanda. Negli anni Settanta<br />

un movimento di cittadini appoggiato da un Ufficio<br />

tecnico che aveva una reale disponibilità a ricercare soluzioni<br />

innovative ai problemi connessi alla mobilità e alla sicurezza<br />

<strong>dei</strong> pedoni ha realizzato un’esperienza estremamente<br />

interessante. Invece di disseminare la <strong>città</strong> di semafori,<br />

cartelli stradali e vigili urbani, di chiedere interventi<br />

repressivi più attenti e diffusi, si introdussero cambiamenti<br />

fino ad allora impensabili nella struttura fisica della strada<br />

e si stimolarono anche <strong>dei</strong> cambiamenti nella cultura e<br />

negli atteggiamenti degli automobilisti. Questi genitori,<br />

cittadini e responsabili degli Uffici tecnici, andando al di là<br />

delle norme del codice all’epoca in vigore in Olanda, attuarono<br />

una serie di interventi che oggi rappresentano i<br />

principi fondamentali della filosofia della moderazione della<br />

circolazione. Nel 1976 il codice della strada olandese<br />

ha fatto sue le regole fondamentali della moderazione della<br />

circolazione.<br />

Quali paesi europei sono impegnati in questo tipo di interventi?<br />

Dopo l’Olanda, la seconda nazione che ha affrontato il<br />

problema della mobilità e quindi <strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> pedoni in<br />

modo abbastanza diffuso e rapido è la Germania. Altri<br />

paesi europei come la Danimarca, l’Austria, la Francia e<br />

la Svizzera sono coinvolti nella realizzazione di esperienze<br />

molto interessanti.<br />

183


Come si colloca l’Italia nel panorama europeo?<br />

Il nostro paese, rispetto al contesto europeo, ha un ritardo<br />

di circa venticinque anni e questo, in parte, è causato<br />

anche da una ritardata motorizzazione di massa. In Olanda,<br />

Francia, Germania una motorizzazione molto diffusa<br />

si è realizzata negli anni Cinquanta, quindi hanno avuto il<br />

tempo di metabolizzare la novità dell’automobile. In questi<br />

paesi si è sviluppata una politica di ricerca e, grazie anche<br />

a <strong>dei</strong> finanziamenti di società di assicurazioni, sono<br />

stati realizzati degli studi molto interessanti sul rapporto<br />

tra il bambino e l’automobile, sulle possibili relazioni tra<br />

comportamenti aggressivi e opportunistici e l’uso dell’automobile<br />

o sul rapporto tra il bambino e la strada. In Italia,<br />

siamo agli inizi, alle prime denunce dell’intollerabilità<br />

della situazione e solo negli ultimi anni cominciamo a porci<br />

il problema di usare l’automobile in un modo «intelligente».<br />

Oltre a «<strong>La</strong> <strong>città</strong> possibile» che propone una serie di<br />

azioni ad ampio raggio, quali associazioni affrontano il<br />

problema della mobilità?<br />

Diverse associazioni ambientaliste, al di là delle loro capacità<br />

di approfondimento e della continuità delle loro azioni,<br />

sono impegnate in progetti che riguardano i temi della<br />

moderazione. Si tratta di esperienze che hanno una certa<br />

diffusione, come esempi si possono ricordare il programma<br />

«<strong>La</strong>vori in corso» della Legambiente e il progetto «<strong>La</strong> riconquista<br />

della <strong>città</strong>» del WWF.<br />

Altre associazioni, invece, lavorano su singoli temi della<br />

mobilità o della tutela del pedone come l’Associazione<br />

<strong>dei</strong> genitori <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> incidentati, l’Assopedone o Strada<br />

amica, che ormai è una federazione di quattro o cinque<br />

organizzazioni a livello nazionale e lavora principalmente<br />

sul problema degli incidenti stradali. Un altro aspetto<br />

che caratterizza attualmente il versante delle associazioni<br />

è l’esigenza di raccordarsi in una rete comune, dove<br />

184


collocare la propria esperienza e avere la possibilità di<br />

confrontarsi in ambito nazionale e internazionale. «<strong>La</strong><br />

<strong>città</strong> possibile» sta lavorando proprio in questa direzione.<br />

Quali elementi ostacolano la diffusione delle tecniche<br />

della moderazione?<br />

<strong>La</strong> principale difficoltà è la mancanza di formazione. Per<br />

cambiare la <strong>città</strong> non basta informare e attivare la domanda<br />

di qualità urbana <strong>dei</strong> cittadini, bisogna anche aumentare<br />

la capacità di risposta degli amministratori e <strong>dei</strong><br />

tecnici. In Italia c’è un ritardo considerevole rispetto agli<br />

altri paesi europei perché le università non formano professionisti<br />

alle tecniche della moderazione, e gli ordini professionali,<br />

a loro volta, non hanno sviluppato una prassi<br />

di aggiornamento diffuso <strong>dei</strong> tecnici.<br />

Un altro ostacolo è rappresentato dal comportamento<br />

degli automobilisti. Oggi le automobili consentono velocità<br />

sempre più alte e che possono essere raggiunte in<br />

tempi brevi, quindi anche nel tessuto urbano.<br />

22.<br />

ALTRE ESPERIENZE: LA DEMOCRAZIA<br />

IN ERBA<br />

Intervista a Carlo Pagliarini 1<br />

Come nascono in Italia i Consigli comunali <strong>dei</strong> ragazzi?<br />

Le prime esperienze risalgono al dopoguerra e avevano<br />

l’obiettivo di consentire l’organizzazione democratica delle<br />

colonie di vacanza.<br />

1 Carlo Pagliarini, fondatore ed ex presidente dell’Arciragazzi, fondatore<br />

dell’associazione «Democrazia in erba», ci ha lasciati nel 1997. Anche a lui, che<br />

tanto ha fatto per i <strong>bambini</strong>, è dedicato questo libro.<br />

185


Negli anni Sessanta in molti Comuni sono stati istituiti<br />

<strong>dei</strong> Consigli <strong>dei</strong> ragazzi ma queste iniziative fallirono regolarmente.<br />

<strong>La</strong> maggior parte delle esperienze dell’attuale periodo<br />

storico sono correlate all’iniziativa dell’Unicef Italia «Il sindaco<br />

difensore <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»; alcuni degli amministratori<br />

che hanno aderito hanno avviato <strong>dei</strong> Consigli comunali<br />

<strong>dei</strong> ragazzi. Molti di questi sono totalmente privi di riferimenti<br />

culturali e quindi riproducono il solo modello che<br />

conoscono cioè quello adulto, altri invece rappresentano<br />

esperienze di elevata qualità. In entrambi i casi, tuttavia, i<br />

ragazzi esprimono le loro potenzialità e le loro competenze.<br />

Dove è stato istituito il primo Consiglio <strong>dei</strong> ragazzi?<br />

A Morrovalle e opera ancora oggi. Però, secondo me, è<br />

un’iniziativa che si è realizzata solo a metà. <strong>La</strong> convinzione<br />

che ho maturato anche sulla base dell’esperienza francese,<br />

è che il Consiglio comunale <strong>dei</strong> ragazzi deve nascere<br />

nella scuola, in rapporto anche ai programmi didattici,<br />

come elemento di consapevolizzazione forte di un ruolo di<br />

cittadinanza attiva, poi però deve esercitare la sua attività<br />

nel Comune attraverso delle negoziazioni con gli adulti. A<br />

Morrovalle il Consiglio è rimasto dentro la scuola.<br />

Quali sono le esperienze più significative?<br />

In genere la presenza e l’efficacia <strong>dei</strong> Consigli è legata alla<br />

natura delle amministrazioni. Quando le Giunte sono<br />

formate da persone che non vengono direttamente dal<br />

mondo della politica c’è un’apertura mentale straordinaria<br />

verso queste iniziative.<br />

Secondo lei, il nuovo ruolo del sindaco ha prodotto un<br />

incremento nella costituzione <strong>dei</strong> Consigli comunali<br />

<strong>dei</strong> ragazzi?<br />

Finora non abbiamo registrazioni di questo fenomeno per-<br />

186


ché è troppo recente, però penso di sì. Alcuni sindaci, per<br />

esempio, nel loro programma elettorale hanno previsto<br />

l’istituzione di un Consiglio <strong>dei</strong> ragazzi.<br />

Quali sono le esperienze più significative nel panorama<br />

internazionale?<br />

<strong>La</strong> Francia è il paese europeo in cui si è diffusa maggiormente<br />

l’esperienza <strong>dei</strong> Consigli comunali <strong>dei</strong> ragazzi. Il fenomeno<br />

è nato e si è sviluppato in una fase di amministrazione<br />

di sinistra ed è continuato anche quando la gestione<br />

<strong>dei</strong> Comuni è passata a coalizioni di destra. Questo<br />

dimostra la validità dell’esperienza che è in crescita continua:<br />

erano ottocento un anno fa, oggi sono ottocentosessanta.<br />

I Consigli comunali <strong>dei</strong> ragazzi francesi sono comparsi<br />

una decina di anni fa per iniziativa di alcuni sindaci adulti.<br />

Dopo questa prima esperienza spontanea, alcune organizzazioni<br />

educative e un gruppo di amministratori di piccole<br />

e grandi <strong>città</strong> hanno costituito un’associazione, l’Anacej<br />

(Association Nationale des Conseils d’Enfants et de<br />

Jeunes) che oggi è supportata da diversi ministeri e istituzioni.<br />

Inizialmente sono stati istituiti soprattutto i Consigli <strong>dei</strong><br />

ragazzi, formati cioè da <strong>bambini</strong>, di recente si stanno organizzando<br />

<strong>dei</strong> Consigli <strong>dei</strong> giovani a cui partecipano gli<br />

adolescenti. Queste esperienze, inoltre, nascono preferibilmente<br />

in piccoli Comuni dove i ragazzi sono facilmente<br />

visibili e a loro volta possono individuare facilmente il<br />

territorio. Solo una grande <strong>città</strong> della Francia ha un Consiglio<br />

comunale <strong>dei</strong> ragazzi.<br />

Pensando alle grandi <strong>città</strong>, quale estensione dovrebbe<br />

avere il territorio su cui opera un Consiglio <strong>dei</strong> ragazzi?<br />

<strong>La</strong> dimensione ideale, secondo me, corrisponde al bacino<br />

di utenza di un gruppo di due o tre scuole. Deve essere<br />

187


un’area che i ragazzi conoscono e su cui possono intervenire<br />

con forme di progettazione e rivendicazione del loro<br />

ruolo. Solo in questo caso il Consiglio comunale è valido<br />

altrimenti è una forma di partecipazione passiva, simbolica,<br />

pensata per gli adulti non per i ragazzi.<br />

Quali peculiarità ha la vostra proposta, quella di «Democrazia<br />

in erba»? Cosa la distingue per esempio da<br />

quella francese?<br />

Prima di tutto devo ricordare la sproporzione enorme nel<br />

numero <strong>dei</strong> Consigli e nelle tradizioni, perché in Francia<br />

c’è un tessuto laico educativo straordinario che noi non<br />

abbiamo. In Italia poi manca del tutto un livello nazionale<br />

e istituzionale di supporto che invece caratterizza la situazione<br />

francese.<br />

Noi siamo partiti controcorrente, e siamo stati in qualche<br />

misura costretti ad avere un’applicazione più immaginifica.<br />

Se devo individuare delle differenze tra i due modelli,<br />

forse quelle principali sono l’importanza che noi attribuiamo<br />

al momento ludico e l’organizzazione di assemblee comuni,<br />

dove adulti e ragazzi discutono insieme su un tema<br />

specifico.<br />

Si possono definire delle regole che possano garantire<br />

l’efficacia di un Consiglio <strong>dei</strong> ragazzi?<br />

Non si possono dare delle indicazioni restrittive perché l’istituzione<br />

<strong>dei</strong> Consigli è un fenomeno recente, però si<br />

possono precisare alcuni aspetti. <strong>La</strong> nascita di queste<br />

esperienze dovrebbe essere preceduta da due atti formali:<br />

l’adozione della Convenzione <strong>dei</strong> diritti <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e<br />

una delibera del Consiglio comunale dove si afferma che<br />

i <strong>bambini</strong> sono cittadini come gli altri e quindi gli si conferisce<br />

del potere.<br />

I Consigli <strong>dei</strong> ragazzi devono disporre di un budget, per<br />

misurarsi con forme di disponibilità di potere. Le risorse<br />

188


saranno utilizzate in parte per il funzionamento del Consiglio,<br />

per esempio per viaggiare, conoscere altre esperienze<br />

o acquisire competenze, in parte per la realizzazione<br />

di piccoli interventi scelti dai ragazzi stessi.<br />

«Democrazia in erba» prevede anche la formazione di<br />

un comitato di pilotaggio che, come avviene in Francia,<br />

promuova la nascita del Consiglio e ne faciliti le attività?<br />

Certo. Secondo «Democrazia in erba» nel comitato di pilotaggio<br />

ci devono essere almeno tre figure, un insegnante,<br />

che sia rappresentativo della scuola o delle scuole di<br />

quel territorio, un anziano, che possibilmente abbia un’esperienza<br />

di gestione comunale e che faccia da mediatore<br />

tra i <strong>bambini</strong> e il Consiglio e un animatore.<br />

Si possono ipotizzare delle situazioni in cui Consigli <strong>dei</strong><br />

ragazzi riescono ad operare sul territorio realizzando<br />

degli interventi molto circoscritti ma in realtà non hanno<br />

la possibilità di incidere sul processo di trasformazione<br />

della <strong>città</strong>?<br />

Questo si verifica ma va bene così. L’esperienza <strong>dei</strong> Consigli<br />

ci suggerisce che è necessaria un’idea utopistica,<br />

straordinaria, ma per realizzarla bisogna compiere <strong>dei</strong><br />

passi piccolissimi, ognuno <strong>dei</strong> quali deve essere un successo<br />

e le proposte <strong>dei</strong> ragazzi, in genere, sono accolte<br />

perché sono puntuali, precise, concrete, applicabili. I piccoli<br />

passi muovono verso un traguardo lontanissimo. I<br />

due piani, l’intervento localizzato e un progetto molto più<br />

ampio di riferimento, sono conciliabili e ugualmente importanti.<br />

Il piccolo intervento locale dimostra ai ragazzi<br />

che si può avanzare una proposta, gestirla con l’aiuto<br />

pubblico, con il suo contributo e quello <strong>dei</strong> suoi genitori.<br />

In questo modo i ragazzi acquisiscono un esercizio di cittadinanza<br />

che gli dà la possibilità di pensare che le idee<br />

più grandi si possono realizzare.<br />

189


Secondo lei quali sono le ricadute più significative di<br />

queste esperienze?<br />

Se escludiamo i ragazzi, una delle ricadute più importanti<br />

riguarda l’immaginario degli adulti. Genitori, amministratori,<br />

tecnici, insegnanti, con grande stupore, scoprono<br />

che i ragazzi sono totalmente diversi rispetto agli stereotipi<br />

della cultura egemone che li considera deboli, incapaci,<br />

pericolosi e da tutelare. L’esperienza <strong>dei</strong> Consigli mette in<br />

discussione questa cultura.<br />

Credo che un altro aspetto particolarmente significativo<br />

sia la speranza di un rapporto nuovo tra le generazioni,<br />

che si ricostruisce in termini di futuro, e questo è particolarmente<br />

importante perché nell’epoca del massimo di denatalità<br />

si è affermata l’idea che gli adulti siano eterni.<br />

23.<br />

ALTRE ESPERIENZE:<br />

LE CITTÀ EDUCATIVE<br />

Intervista a Fiorenzo Alfieri 1<br />

Da quali esperienze e con quali obiettivi nasce il progetto<br />

«Le <strong>città</strong> educative»?<br />

Il primo congresso internazionale delle «Città educative» fu<br />

organizzato dalla <strong>città</strong> di Barcellona nel novembre del<br />

1990. Questo evento venne preparato per oltre un anno<br />

da un comitato scientifico di cui facevo parte. <strong>La</strong> mia presenza<br />

era motivata dal fatto che la filosofia su cui si fondava<br />

il congresso era molto simile a quella che a Torino,<br />

la mia <strong>città</strong>, avevamo pionieristicamente cercato di impostare<br />

dal 1975 in poi. Si tratta di un modo di pensare che<br />

si fonda sulla convinzione che vi sia oggi un grande biso-<br />

190<br />

1 Assessore al sistema educativo del Comune di Torino.


gno di educazione e che questo non possa essere soddisfatto<br />

soltanto mediante i servizi scolastici. Nel primo periodo<br />

di attività amministrativa della Giunta comunale di<br />

Torino tra il 1975 e il 1980, cercammo di mettere a disposizione<br />

delle scuole una grande quantità di risorse educative<br />

reperite nel contesto urbano. <strong>La</strong> <strong>città</strong> deve costruirsi<br />

una relazione educativa diretta che, per altro, non riguardi<br />

solo i <strong>bambini</strong>, ma i cittadini di ogni età.<br />

Da questa convinzione siamo partiti per la costruzione<br />

di una pratica più ampia e diversificata che riguardi tutto<br />

il sistema educativo e non solo la scuola. Il sistema educativo<br />

comprende anche la famiglia, il territorio urbano,<br />

i mezzi di informazione, i gruppi formali e informali, le<br />

strutture produttive, le forze politiche, le amministrazioni.<br />

Tutte queste diverse componenti possono contribuire allo<br />

sviluppo integrato di un’ampia azione educativa che ricada<br />

positivamente su ognuna di esse.<br />

Ovviamente il pensare e l’operare in questo modo è più<br />

difficile e impegnativo che il solo mettere a disposizione<br />

della scuola risorse territoriali da utilizzare nei modi ritenuti<br />

più opportuni. Per questo motivo sono numerosissime<br />

le esperienze di rapporto tra scuola e territorio mentre<br />

sono più rare e qualche volta più sfuggenti le esperienze<br />

concrete che siano in grado di dimostrare la capacità<br />

di una <strong>città</strong> di occuparsi concretamente della crescita<br />

educativa <strong>dei</strong> suoi cittadini.<br />

Quali sono stati gli appuntamenti internazionali?<br />

Il convegno di Barcellona voleva lanciare a livello internazionale<br />

un appello alle grandi <strong>città</strong> affinché valutassero<br />

correttamente l’importanza strategica dell’educazione nel<br />

mondo di oggi, si mettessero in rete e si scambiassero le<br />

esperienze concrete sia in occasione <strong>dei</strong> congressi internazionali<br />

da tenere ogni due anni, sia attraverso la creazione<br />

di un’apposita banca dati. Si è detto fin dall’inizio,<br />

nel modo più chiaro, che una <strong>città</strong> educativa non è solo<br />

191


una <strong>città</strong> dotata di buoni servizi scolastici e che gli amministratori<br />

coinvolti non sono solo gli assessori all’istruzione.<br />

Il sindaco di Barcellona si spese in prima persona e le<br />

relazioni di apertura vennero affidate a urbanisti, economisti,<br />

imprenditori e ad un solo pedagogista (il sottoscritto).<br />

Anche il volume preparatorio del congresso dedicava<br />

lo spazio maggiore ad analisi di carattere filosofico, politico,<br />

sociologico ed economico.<br />

Il secondo congresso internazionale si tenne a Göteborg<br />

nel 1992 sul tema della formazione e del lavoro. Il<br />

terzo si celebrò a Bologna nel 1994 sul tema dell’interculturalità<br />

e il quarto si terrà a Chicago nel settembre di<br />

quest’anno su un tema molto bello: «Le arti e le attività<br />

umanistiche come agenti di cambio sociale nelle <strong>città</strong>». I<br />

diversi congressi costituiscono un percorso intorno al concetto<br />

generale di «Città educativa». Si tratta di un concetto<br />

complesso che è bene analizzare da diversi punti di vista<br />

senza però perdere il senso complessivo dell’intuizione<br />

originaria che mal sopporta, per sua natura, di essere<br />

vivisezionata oltre un certo limite.<br />

Quali attività specifiche caratterizzano le <strong>città</strong> aderenti?<br />

Le oltre trecento <strong>città</strong> che hanno firmato la «Carta delle<br />

<strong>città</strong> educative» si sono ufficialmente impegnate a seguirne<br />

i principi e più concretamente a considerare in modo<br />

esplicito, in occasione di ogni decisione e di ogni iniziativa,<br />

la possibile ricaduta sui modi di capire, di pensare, di<br />

agire e di convivere <strong>dei</strong> cittadini. Credo che al fondo di<br />

questa esperienza non ci debba stare tanto un certo numero<br />

di specifici atti amministrativi quanto un modo particolare<br />

di guardare alla <strong>città</strong> e alla vita <strong>dei</strong> cittadini. È probabilmente<br />

molto più produttivo quel certo modo di guardare<br />

piuttosto che una serie di investimenti anche consistenti<br />

ma operati senza prospettiva e senza anima.<br />

Le <strong>città</strong> firmatarie della «Carta» si dovrebbero sforzare<br />

192


innanzi tutto di raccontare a tutte le altre in che modo hanno<br />

declinato il paradigma della «Città educativa». Gli obiettivi<br />

in questo modo si costruiranno poco a poco in sintonia<br />

con le esperienze concrete. Si tratta di una specie di<br />

grande «cooperazione educativa» come la pensava Celestin<br />

Freinet. Egli era convinto che nessuno sappia davvero<br />

come si debba concretamente agire per fare bene scuola.<br />

Cominciamo allora a scambiarci regolarmente le esperienze,<br />

mettiamo a disposizione di tutti quel poco che ognuno<br />

riesce a fare e vedremo che un po’ per volta prenderà<br />

forma un modo di pensare e di operare sorprendentemente<br />

ricco e produttivo, frutto della ricerca comune.<br />

Quale è la risposta italiana al progetto?<br />

Per quanto riguarda l’Italia si sta cercando proprio in questi<br />

tempi di rilanciare e di dare maggiore significato alla<br />

adesione delle nostre <strong>città</strong> all’AICE (Associazione Internazionale<br />

delle Città Educative) che nel frattempo si è costituita<br />

a livello internazionale e che è sotto osservazione da<br />

parte dell’ONU e dell’UNESCO.<br />

Nel gennaio 1996 un folto gruppo di amministratori si<br />

è incontrato a Torino per riscoprire il senso della «Carta»,<br />

aumentare il numero delle <strong>città</strong> aderenti e organizzare la<br />

partecipazione a Chicago. In questo momento si sta affermando<br />

anche in seno dell’ANCI (Associazione Nazionale<br />

Comuni Italiani) l’idea di considerare il concetto di<br />

«Città educativa» come un punto di riferimento per le politiche<br />

socio-educativo-culturali delle <strong>città</strong> in riferimento all’infanzia,<br />

ai giovani, alla famiglia.<br />

In Italia il livello di sensibilità e di cultura su questi argomenti<br />

è molto diversificato. È difficile confrontarlo con<br />

quello di altri paesi. <strong>La</strong> sensazione è che in alcune nostre<br />

<strong>città</strong> si svolgano esperienze molto raffinate e avanzate che<br />

possono reggere il confronto con quelle di altri paesi europei.<br />

Mi pare anche di poter dire che stiamo attraver-<br />

193


sando un buon momento nelle amministrazioni locali per<br />

quanto riguarda queste tematiche. Anche nel Sud sono<br />

entrati in scena amministratori molto motivati e creativi.<br />

Sono numerosissimi gli incontri tra amministratori e non<br />

dovrebbe essere difficile la moltiplicazione delle esperienze<br />

più azzeccate e fattibili. Soprattutto mi pare si stia affermando<br />

la consapevolezza che questa tematica non abbia<br />

solo una valenza specificamente psicopedagogica ma<br />

che miri al cuore di un interesse primario della collettività.<br />

Quali prospettive si possono individuare per il futuro<br />

del progetto?<br />

Si sta avvertendo un bisogno straordinario, talvolta<br />

drammatico, di educazione. A prescindere dal fatto, per<br />

altro gravissimo, che il nostro paese si colloca all’ultimo<br />

posto in Europa per numero di diplomati e di laureati,<br />

non c’è aspetto della vita sociale per cui non si affermi<br />

che oltre a esigenze di carattere strutturale sono prioritari<br />

interventi di natura educativa. Si tratti di difesa dell’ambiente,<br />

di traffico, di consumi energetici, di occupazione,<br />

di sicurezza, di ordine pubblico, di solidarietà, di<br />

tossicodipendenza, di rapporti tra i sessi, di maternità e<br />

paternità... lo slogan è sempre lo stesso: non basta costruire<br />

manufatti e fornire servizi, bisogna agire sui modi<br />

di pensare. Bisogna educare.<br />

Ma chi ha questa responsabilità? E in quali modi metterla<br />

in atto con qualche probabilità di riuscita? Se non ci<br />

poniamo seriamente questi interrogativi il richiamo alla<br />

priorità educativa, che ormai caratterizza qualsiasi presa<br />

di posizione (<strong>dei</strong> politici come degli imprenditori, degli urbanisti<br />

come degli economisti), rischia di diventare una<br />

sorta di rumore di fondo senza alcuna ricaduta concreta.<br />

Il movimento delle «Città educative» dovrebbe diventare<br />

l’ambiente più attrezzato per rispondere a queste semplici<br />

terribili domande.<br />

194


24. UNA RETE NAZIONALE E OLTRE<br />

Il 17 dicembre 1994 i sindaci di venti <strong>città</strong> si sono incontrati<br />

a Fano per conoscere l’esperienza del <strong>La</strong>boratorio<br />

«<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>», e per valutare l’opportunità di portare<br />

questo progetto nei propri Comuni e di far nascere<br />

una rete nazionale che permetta di coordinare le varie<br />

esperienze in atto su questo argomento. Al termine della<br />

giornata è stato approvato il documento che segue:<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> ha rinunciato al suo ruolo storico di essere il luogo<br />

dell’incontro e dello scambio e ha perduto i suoi cittadini, avendo<br />

scelto, specialmente negli ultimi decenni, le strategie della<br />

separazione e della specializzazione, motivate quasi esclusivamente<br />

da interessi economici. I cittadini sono stati allontanati<br />

dal centro della <strong>città</strong>, si sono creati posti diversi per funzioni e<br />

per categorie diverse: per dormire, per divertirsi, per comprare,<br />

per curarsi, per studiare; per anziani, per <strong>bambini</strong>, per handicappati,<br />

ecc.<br />

Il danno così provocato nei cittadini è stato compensato dai<br />

servizi: trasporti, servizi per l’infanzia, ipermercati, giardini pubblici,<br />

ecc. per sopportare una vita sempre più alienata.<br />

Questo accordo è stato tacitamente stabilito fra gli amministratori<br />

e gli elettori forti: la <strong>città</strong> è stata progettata e verificata<br />

assumendo come parametro il cittadino medio che in genere<br />

ha le caratteristiche di adulto, maschio e lavoratore. In questo<br />

modo la <strong>città</strong> si è persa i cittadini non adulti, non maschi e non<br />

lavoratori.<br />

I sindaci propongono:<br />

di spostare la propria attenzione dal cittadino medio al bambino:<br />

di abbassare l’ottica della amministrazione fino all’altezza<br />

del bambino, per non perdere nessuno <strong>dei</strong> cittadini che rappresenta;<br />

di imparare ad ascoltare e a capire le bambine e i <strong>bambini</strong>,<br />

nella loro diversità, per essere capaci di capire e rappresentare<br />

tutti i diversi.<br />

195


Non si tratta di difendere i diritti di una componente sociale<br />

debole fra le altre. Non si tratta di realizzare iniziative, opportunità,<br />

strutture nuove per i <strong>bambini</strong>, non si tratta di modificare,<br />

aggiornare, migliorare i servizi per l’infanzia (che pure rimane<br />

un impegno delle amministrazioni comunali). Si tratta invece di<br />

assumere una filosofia nuova nel valutare, programmare, progettare<br />

e modificare la <strong>città</strong>. Una filosofia della quale il sindaco<br />

si fa garante e che diventa anima del programma della Giunta.<br />

In particolare intendono sottoporre alle rispettive amministrazioni<br />

apposito atto deliberativo che le impegni a:<br />

1. aprire nella propria <strong>città</strong> un <strong>La</strong>boratorio su «<strong>La</strong> <strong>città</strong> delle<br />

bambine e <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>» che costituisca un punto di elaborazione<br />

e di collegamento fra i vari assessorati e con le altre <strong>città</strong> impegnate;<br />

2. trovare le forme adeguate per coinvolgere direttamente le<br />

bambine e i <strong>bambini</strong> in questa operazione, sia chiedendo loro<br />

un contributo di idee, sia offrendo loro spazi per esprimere agli<br />

amministratori le loro richieste e proposte;<br />

3. avviare una rete di collegamento e di confronto fra le <strong>città</strong><br />

aderenti al progetto (...);<br />

4. invitare tutti i loro colleghi sindaci eletti, ad aderire a questo<br />

progetto a difesa non tanto <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> ma <strong>dei</strong> cittadini tutti<br />

e delle stesse <strong>città</strong>.<br />

Questo documento istitutivo, firmato dai rappresentanti di<br />

ventiquattro <strong>città</strong> e sottoscritto dalle maggiori associazioni nazionali.<br />

Dal 1994 altri Comuni hanno conosciuto il progetto,<br />

hanno aderito o stanno valutando questa possibilità.<br />

Negli ultimi anni il progetto è stato presentato anche in<br />

Spagna e in Argentina con notevole interesse da parte di<br />

educatori e di amministratori. In Argentina si sta valutando<br />

la opportunità di organizzare un coordinamento nazionale<br />

per i Municipi interessati, ad opera dell’Unicef Argentina<br />

e della Facoltà <strong>La</strong>tino-americana di Scienze Sociali<br />

(Flacso).<br />

Per dare risposta all’interesse crescente dimostrato da<br />

196


diverse <strong>città</strong>, nel 1996, presso l’Istituto di Scienze e Tecnologie<br />

della Cognizione del CNR di Roma, si è costituito un<br />

gruppo di ricerca per lo sviluppo del progetto «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>» che si occuperà in particolare:<br />

– di approfondire e sviluppare il progetto attraverso la<br />

ricerca e la verifica delle esperienze in corso;<br />

– di diffondere il progetto presso le amministrazioni comunali;<br />

– di dare ai Comuni che lo vorranno un supporto per<br />

l’avvio e lo sviluppo del progetto, mirando alla crescita di<br />

competenze locali;<br />

– di documentare e far conoscere le esperienze in corso.<br />

Alcune di queste funzioni potranno essere assorbite<br />

dalle iniziative istituzionali previste dai Ministeri dell’Ambiente<br />

e della Solidarietà Sociale.<br />

Il gruppo di ricerca può essere contattato al seguente<br />

indirizzo:<br />

Progetto internazionale «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»<br />

Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR<br />

via U. Aldrovandi, 18, 00197 Roma<br />

tel. 06 - 3221198; Fax 06 - 3217090<br />

E-mail laboratorio@lacitta<strong>dei</strong><strong>bambini</strong>.org<br />

www.lacitta<strong>dei</strong><strong>bambini</strong>.org<br />

25. PER COMINCIARE<br />

Quelli che seguono sono consigli, possibili proposte di<br />

lavoro. Ciascuna <strong>città</strong> interessata al progetto può pensare<br />

ad una strada propria e indipendente. Qui si indicano<br />

alcuni passaggi verificati nella esperienza di Fano.<br />

1. Verifica da parte del sindaco e della sua Giunta che<br />

questo progetto possa e debba diventare una nuova filosofia<br />

della politica del governo della <strong>città</strong> tenendo conto che:<br />

197


– attualmente i cittadini, che pure soffrono i mali della<br />

<strong>città</strong>, non chiedono, almeno in forma esplicita, una tale<br />

riforma radicale e quindi un progetto come questo non costituisce<br />

un obbligo per gli amministratori, ma solo una<br />

scelta;<br />

– è difficile cambiare una <strong>città</strong> rispondendo alle necessità<br />

e alle aspettative <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> perché bisogna scontentare<br />

i grandi e chiedere loro di rinunciare a privilegi che<br />

sembrano ormai <strong>dei</strong> diritti;<br />

– una volta aderito al progetto non lo si può tradire perché<br />

è un impegno preso con i <strong>bambini</strong> e ai <strong>bambini</strong> non<br />

si può mentire, non si debbono ingannare;<br />

– è una grande scelta per il futuro della <strong>città</strong>, che risponde<br />

ad un bisogno profondo della gente, anche se non<br />

espresso, di una speranza di futuro che oggi le <strong>città</strong> stanno<br />

perdendo.<br />

2. Rendere pubblica la scelta con una delibera del Consiglio,<br />

aderendo alla rete nazionale che si è creata a Roma<br />

presso il CNR, sensibilizzando le forze attive della <strong>città</strong><br />

(associazioni, scuole, ecc.) e comunicandola alla popolazione<br />

con le iniziative che si valuteranno opportune.<br />

3. Aprire un <strong>La</strong>boratorio comunale de «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong><br />

<strong>bambini</strong>», dotandolo del personale, <strong>dei</strong> locali e della strumentazione<br />

necessaria in modo che:<br />

– costituisca lo stimolo continuo verso i governanti della<br />

<strong>città</strong> per una sempre più coerente attuazione del progetto;<br />

– diventi un punto di riferimento per <strong>bambini</strong> e adulti<br />

della <strong>città</strong> sul rapporto <strong>città</strong>-<strong>bambini</strong>;<br />

– elabori un programma delle iniziative da realizzare;<br />

– tenga i contatti con il gruppo di lavoro di Roma, fornendo<br />

i materiali che documentano le decisioni e le attività<br />

progettate e realizzate.<br />

4. Se il progetto si applica in una grande <strong>città</strong> occorre<br />

identificare un quartiere nel quale si possano avviare le<br />

attività concrete. È importante che anche la dimensio-<br />

198


ne dell’area di attuazione del progetto sia «a misura di<br />

bambino». Nell’area scelta dovrà essere identificata una<br />

sede, che per gli abitanti diventi un punto di riferimento,<br />

e un gruppo di lavoro locale che attui il programma. Il <strong>La</strong>boratorio<br />

comunale dovrà rendere possibile il lavoro decentrato<br />

e garantirne la documentazione in modo che<br />

possa, appena possibile, essere applicato a zone più ampie<br />

della <strong>città</strong>.<br />

5. Attivazione di iniziative che mirano a «dare la parola<br />

ai <strong>bambini</strong>», a permettere loro di contribuire direttamente<br />

al rinnovamento della <strong>città</strong> sia esprimendo proprie opinioni,<br />

sia sviluppando negli adulti atteggiamenti di attenzione<br />

e di ascolto. Alcune possibili attività possono essere:<br />

a. Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>: i rappresentanti (maschio e<br />

femmina) delle scuole elementari della <strong>città</strong> o del quartiere<br />

si riuniscono periodicamente nei locali del <strong>La</strong>boratorio<br />

per discutere con gli operatori le varie proposte di modifica<br />

della <strong>città</strong>, garantendo il punto di vista <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>.<br />

b. I <strong>bambini</strong> progettisti: gruppi di <strong>bambini</strong> e di ragazzi,<br />

che, dentro o fuori della scuola, lavorano insieme a tecnici<br />

della <strong>città</strong> (architetti, urbanisti, sociologi, psicologi, educatori)<br />

per la progettazione di spazi e servizi urbani.<br />

6. Convocazione di almeno un Consiglio comunale all’anno<br />

aperto ai <strong>bambini</strong>, durante il quale i <strong>bambini</strong> (possono<br />

essere i consiglieri di cui al punto 5a) abbiano diritto<br />

di parola per esprimere proposte e proteste e gli adulti abbiano<br />

il dovere di ascoltare, capire e dare risposte. Sarebbe<br />

opportuno dedicare ogni anno un secondo Consiglio<br />

alla valutazione del progetto e alle sue prospettive future.<br />

7. Le <strong>città</strong> che aderiscono alla iniziativa possono partecipare<br />

agli incontri nazionali e internazionali che si organizzano<br />

e di cui riceveranno adeguata informazione.<br />

Possono anche aderire alle campagne nazionali e internazionali,<br />

per esempio la proposta «Io e la mia <strong>città</strong>» che<br />

da alcuni anni viene promossa dalla <strong>città</strong> di Fano.<br />

199


200


Appendice<br />

201


202


1. Convenzione internazionale<br />

sui diritti del fanciullo 1<br />

ART. 1<br />

Questa convenzione si occupa <strong>dei</strong> diritti di tutti coloro che<br />

ancora non hanno compiuto 18 anni.<br />

ART. 2<br />

Tutti gli stati devono rispettare i diritti del bambino, senza<br />

distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione,<br />

di opinione politica del bambino o della sua famiglia.<br />

ART. 3<br />

Gli interessi del bambino devono essere considerati per<br />

primi in tutte le decisioni che lo riguardano. Il bambino ha<br />

il diritto di ricevere la protezione e le cure necessarie al suo<br />

benessere.<br />

ART. 5<br />

Sono i genitori o chi li sostituisce a doversi prendere cura<br />

del bambino.<br />

ART. 6<br />

1. Il bambino ha il diritto alla vita.<br />

1 Promulgata dalle Nazioni Unite a New York nel 1989 e ratificata dal Parlamento<br />

italiano con la legge n. 176 del 1991. <strong>La</strong> versione qui pubblicata è stata<br />

riscritta per i <strong>bambini</strong>, in forma semplificata e ridotta, da P. Benevene, F. Ippolito<br />

e F. Tonucci per la Fondazione Basso.<br />

203


2. Il bambino ha il diritto di sviluppare in modo completo<br />

la propria personalità.<br />

ART. 9<br />

Il bambino ha il diritto di mantenere i contatti con i suoi<br />

genitori, anche se questi sono separati o divorziati.<br />

ART. 10<br />

Il bambino ha il diritto di riunirsi ai suoi genitori o di restare<br />

in contatto con loro se questi vivono all’estero.<br />

ART. 11<br />

I <strong>bambini</strong> non devono essere portati via dal loro paese in<br />

modo illegale.<br />

ART. 12<br />

Il bambino ha diritto ad esprimere la sua opinione e ad essere<br />

ascoltato ogni volta che si prendono decisioni che lo<br />

riguardano.<br />

ART. 13<br />

Il bambino ha il diritto di poter dire ciò che pensa, con i<br />

mezzi che preferisce.<br />

ART. 14<br />

1. Il bambino ha il diritto di libertà di pensiero, di coscienza,<br />

di religione.<br />

2. I genitori hanno il diritto e il dovere di guidare i figli e<br />

in tale compito devono essere lasciati liberi di seguire le<br />

idee in cui credono.<br />

ART. 15<br />

Il bambino ha il diritto di stare assieme agli altri.<br />

ART. 17<br />

I giornali, i programmi radiofonici e televisivi sono importanti<br />

per il bambino; per questo motivo è importante<br />

che ce ne siano di adatti a lui.<br />

204


ART. 18<br />

Se un bambino non ha i genitori, ci deve essere qualcuno<br />

che si occupa di lui.<br />

Se i genitori di un bambino lavorano, qualcuno deve prendersi<br />

cura del bambino mentre loro sono al lavoro.<br />

ART. 19<br />

Nessuno può trascurare, abbandonare, maltrattare, sfruttare<br />

un bambino o fare violenza su di lui.<br />

ART. 20<br />

Se un bambino non può rimanere con la sua famiglia, deve<br />

andare a vivere con qualcuno che si occupi di lui.<br />

ART. 21<br />

Il bambino ha il diritto di essere adottato, se la sua famiglia<br />

non si può occupare di lui. Non si può fare commercio<br />

con le adozioni.<br />

ART. 22<br />

1. Il bambino rifugiato ha il diritto di essere protetto.<br />

2. Il bambino rifugiato deve essere aiutato a riunirsi alla<br />

sua famiglia.<br />

ART. 23<br />

1. Il bambino che ha problemi mentali o fisici ha diritto di<br />

vivere come gli altri <strong>bambini</strong> e assieme a loro.<br />

2. Il bambino che ha problemi mentali o fisici ha il diritto<br />

di essere curato.<br />

3. Il bambino che ha problemi fisici o mentali ha il diritto<br />

di andare a scuola, di prepararsi per il lavoro, di divertirsi.<br />

ART. 24<br />

Il bambino ha il diritto di raggiungere il massimo livello di<br />

salute fisica e mentale e di essere curato bene quando ne<br />

ha bisogno.<br />

205


ART. 27<br />

Il bambino ha il diritto di crescere bene fisicamente, mentalmente,<br />

spiritualmente e socialmente.<br />

ART. 28<br />

Il bambino ha il diritto all’istruzione. <strong>La</strong> scuola deve essere<br />

obbligatoria e gratuita per tutti.<br />

ART. 29<br />

Il bambino ha il diritto di ricevere un’educazione che sviluppa<br />

le sue capacità e che gli insegni la pace, l’amicizia,<br />

l’uguaglianza e il rispetto per l’ambiente naturale.<br />

ART. 30<br />

Il bambino che appartiene ad una minoranza ha il diritto<br />

di usare la sua lingua e di vivere secondo la sua cultura e<br />

la sua religione.<br />

ART. 31<br />

Il bambino ha il diritto al gioco, al riposo, al divertimento<br />

e di dedicarsi alle attività che più gli piacciono.<br />

ART. 32<br />

Nessun bambino deve essere sfruttato. Nessun bambino<br />

deve fare lavori che possano essere pericolosi o che gli impediscano<br />

di crescere bene o di studiare.<br />

ART. 33<br />

Il bambino deve essere protetto dalla droga.<br />

ART. 34<br />

Nessun bambino deve subire violenza sessuale o essere<br />

sfruttato sessualmente.<br />

ART. 35<br />

Nessun bambino deve essere rapito, comprato o venduto.<br />

206


ART. 37<br />

Nessun bambino può essere torturato o condannato a<br />

morte o all’ergastolo. Nessun bambino può essere privato<br />

della sua libertà in modo illegale o arbitrario.<br />

ART. 38<br />

Nessun bambino al di sotto <strong>dei</strong> 15 anni deve essere arruolato<br />

in un esercito, né combattere in una guerra.<br />

ART. 39<br />

Il bambino che è stato trascurato, sfruttato e maltrattato<br />

ha il diritto di essere aiutato a recuperare la sua salute e la<br />

sua serenità.<br />

ART. 40<br />

Il bambino che è accusato di un reato deve essere ritenuto<br />

innocente fino a quando non sia riconosciuto colpevole,<br />

dopo un processo giusto. Comunque, anche quando è<br />

riconosciuto colpevole, ha il diritto di ricevere un trattamento<br />

adatto alla sua età, che lo aiuti a tornare a vivere<br />

con gli altri.<br />

ART. 41<br />

A questi diritti ogni stato può aggiungerne degli altri, che<br />

migliorino la situazione del bambino.<br />

ART. 42<br />

Bisogna far conoscere a tutti, adulti e <strong>bambini</strong>, quello che<br />

dice questa Convenzione.<br />

207


2. Invito alla collaborazione:<br />

lettera aperta ai cittadini fanesi<br />

Il Comune di Fano ha istituito «Fano la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»,<br />

un <strong>La</strong>boratorio regionale per la progettazione e la sperimentazione<br />

di proposte che migliorino il difficile rapporto<br />

che oggi esiste fra <strong>città</strong> e bambino.<br />

I <strong>bambini</strong> vivono spesso da soli, non possono incontrarsi<br />

spontaneamente per giocare, non hanno spazi loro,<br />

non hanno tempi loro, le strade sono occupate dalle macchine,<br />

la <strong>città</strong> è pericolosa.<br />

<strong>La</strong>vorare perché la <strong>città</strong> diventi adatta ai <strong>bambini</strong> significa<br />

lavorare perché la <strong>città</strong> sia più adatta a tutti.<br />

Pensiamo di invitare a Fano amministratori di altre <strong>città</strong><br />

per confrontarsi tra loro e con noi su questi problemi, pensiamo<br />

di invitare a Fano i <strong>bambini</strong> delle altre <strong>città</strong> per offrire<br />

loro la nostra amicizia, le nostre idee. Ci piacerebbe<br />

che Fano diventasse un punto di riferimento su questo tema<br />

delicato.<br />

Ma se la <strong>città</strong> deve cambiare questo non può essere affidato,<br />

delegato alla sola amministrazione. <strong>La</strong> delega generalizzata<br />

e l’atteggiamento assistenziale che ne deriva<br />

sono state probabilmente cause del degrado delle nostre<br />

<strong>città</strong>. Se la <strong>città</strong> deve cambiare tutti possono e debbono<br />

fare qualcosa.<br />

Questa lettera è un invito personale perché tutti quelli<br />

che hanno un ruolo attivo nei diversi settori produttivi, di<br />

servizio o culturali della nostra <strong>città</strong> si pongano la doman-<br />

208


da: «Io che cosa posso fare per i <strong>bambini</strong> della mia<br />

<strong>città</strong>?», «Cosa posso inventare per far sì che il bambino<br />

possa approfittare delle mie competenze?», «Quali occasioni<br />

posso proporre, suggerire?».<br />

C’è posto per la creatività, anzi, siamo convinti che solo<br />

inventando cose nuove possiamo sperare di ottenere<br />

qualcosa di buono. Una fabbrica, un museo, un ufficio,<br />

una bottega artigianale, un esercizio commerciale, una caserma,<br />

una barca... nascondono certamente qualcosa,<br />

qualche iniziativa, qualche itinerario che può interessare<br />

ad un bambino o può migliorare la sua vita di piccolo cittadino.<br />

Se ognuno farà qualcosa, magari solo pensandoci un<br />

po’, anche non riuscendo a farsi venire in mente niente,<br />

Fano già comincerà a cambiare.<br />

Potrete rivolgervi alla sede del <strong>La</strong>boratorio per proporre,<br />

offrire, chiedere chiarimenti o collaborazione.<br />

A nome <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong> e del gruppo di lavoro vi ringraziamo<br />

per l’attenzione sperando di rivedervi presso il <strong>La</strong>boratorio.<br />

Fano, dicembre 1991<br />

Il direttore del <strong>La</strong>boratorio Il sindaco di Fano<br />

Francesco Tonucci Francesco Baldarelli<br />

209


3. Lewis Mumford,<br />

«<strong>La</strong> pianificazione<br />

per le diverse fasi della vita» 1<br />

Circa una generazione fa, in un numero di «Survey<br />

Graphic» (maggio 1925) il Dr. Joseph K. Hart puntualizzava<br />

il fatto che la pianificazione urbana fosse essenzialmente<br />

concepita nei termini di una singola fase della vita:<br />

quella degli adulti privi di responsabilità familiari. E rilevava<br />

il significato dell’antico detto che la folla <strong>dei</strong> boulevard<br />

non invecchia mai, che il boulevard cioè, a cagione della<br />

sua funzione e della sua conformazione, attira a sé sempre<br />

lo stesso gruppo di età, che è mosso dagli stessi interessi<br />

e persegue gli stessi fini.<br />

Malgrado tale avvertimento, l’urbanista non è ancora<br />

giunto a realizzare per intero la natura del suo compito,<br />

che è quello di provvedere un ambiente adatto ad ogni fase<br />

della vita, dall’infanzia alla senilità.<br />

L’attività urbanistica finora è stata quasi esclusivamente<br />

concentrata intorno alla vita degli adulti e per di più intorno<br />

a certi aspetti soltanto della vita degli adulti, quali gli<br />

affari, l’industria, l’amministrazione, il traffico, i trasporti.<br />

Anche occupandosi degli adulti l’urbanistica omette<br />

importanti sfere di attività.<br />

Scopo del presente studio è di esplorare brevemente il<br />

campo aperto dal Dr. Hart. Tenendo presenti le diverse<br />

fasi della vita l’urbanistica potrà modificare il suo atteg-<br />

210<br />

1 Tratto dalla rivista «Urbanistica», 1 (1945).


giamento sia nei riguardi del metodo che in quello degli<br />

scopi della pianificazione e magari esser condotto a riesaminare<br />

i progetti di certi complessi, quali ad esempio i<br />

campi da gioco, dove la comodità amministrativa ha prodotto<br />

la ripetizione di determinati schemi il cui ordine<br />

esterno riflette una interiore sterilità. Se la coscienza del<br />

ciclo della vita umana non servisse ad altro, potrebbe almeno<br />

essere utile come lista di controllo delle necessità,<br />

per scoprire i punti deboli in un piano apparentemente<br />

ammirevole.<br />

<strong>La</strong> prima fase: l’infanzia<br />

Si tratta di vedere quel che fa la pianificazione per il bambino<br />

dalla nascita fino all’età di entrare a scuola. Innanzi<br />

tutto vi è la questione delle abitazioni: mentre infatti in<br />

ogni paese durante l’ultima generazione vi è stato un deciso<br />

orientamento verso le nascite in ospedale, ora si incomincia<br />

a sospettare che non sia questa la condizione migliore<br />

per un parto normale e per i primi giorni di vita del<br />

neonato. Dalle esperienze di numerosi centri sanitari, pare<br />

che i vantaggi siano maggiori, e dal lato psicologico decisamente<br />

preponderanti, in caso di puerperio a domicilio:<br />

pure, anche là dove le condizioni di abitazione sono le<br />

più adatte, il parto porta scompiglio nell’andamento normale<br />

della casa e causa temporaneo affollamento.<br />

Qui l’urbanista dovrebbe trovare una soluzione intermedia,<br />

fra l’ospedale costoso, ma provvisto di tutta l’installazione<br />

necessaria nei casi di emergenza, e la casa che<br />

non offre lo spazio necessario alla nascita del bambino. <strong>La</strong><br />

soluzione potrebbe essere una piccola casa di cura, che<br />

fosse parte integrante di una unità di circa 250-500 famiglie<br />

e magari dipendente da una clinica locale, in modo da<br />

211


poter disporre delle possibilità di questa. In tal modo la<br />

madre potrebbe essere vicina agli altri <strong>bambini</strong>, visitata facilmente<br />

dal marito e assistita dai familiari: tale soluzione<br />

ristabilirebbe l’elemento umano, che si va perdendo in<br />

quelli che sono stati definiti «magazzini delle malattie».<br />

Per quanto riguarda l’infanzia, la pianificazione deve<br />

porre la maggior cura al fatto che la madre possa aver pace<br />

e riposo dalla pressione quotidiana <strong>dei</strong> doveri di casa;<br />

l’assenza di tensione è infatti la condizione migliore perché<br />

i rapporti tra madre e <strong>bambini</strong> siano sereni e affettuosi.<br />

Ma d’altra parte il ménage non dovrà in nessun caso<br />

essere una unità rinchiusa in se stessa; si ha bisogno <strong>dei</strong><br />

vicini non solo nei casi di emergenza, ma anche nella routine<br />

quotidiana.<br />

Anche nelle zone di abitazione più estensive, dove vi<br />

sono trenta famiglie per ettaro, anzi proprio in queste,<br />

manca sovente un luogo di ritrovo per le madri con i lori<br />

piccoli, dove esse possano lavorare chiacchierando e sorvegliare<br />

i giochi <strong>dei</strong> bimbi. Forse la parte migliore del piano<br />

di Charles Reilly per villaggi giardino era quella che prevedeva<br />

tali attività, come i progettisti di Sunnyside, Stein e<br />

Wright, hanno fatto sin dal 1924.<br />

In questo ordine d’idee la pianificazione deve trovare<br />

qualcosa di intimo, caldo e protettivo. I piccoli, fino all’età<br />

di dieci anni circa, hanno bisogno di spazi limitati, di nascondigli:<br />

muri e cespugli, se non grotte e buche, assolvono<br />

a questo compito.<br />

I piccoli al disotto <strong>dei</strong> sei anni devono sentire il contatto<br />

col loro ambiente, devono avere sabbia, ciottoli, pietre,<br />

assi e rami per i loro giochi, e, per impedir loro di diventare<br />

<strong>dei</strong> piccoli vandali, il tipo più elementare di campo da<br />

gioco dovrebbe essere sistemato in una depressione sabbiosa,<br />

ben asciutta, circondata da un sentiero lastricato,<br />

intorno al quale le madri possano sedere e sorvegliare:<br />

quest’area dovrebbe essere isolata dal resto del recinto<br />

212


con un muro e un cancello, che non possano essere superati<br />

dai piccoli, e nel centro vi dovrebbe essere una grossa<br />

pietra, o meglio ancora grotte e nascondigli.<br />

Chi ama i giardini tende in generale a privare i <strong>bambini</strong><br />

della libertà di cui hanno bisogno per scavare e fare le<br />

loro costruzioni: trovando invece il modo di rendere collettivi<br />

i giochi <strong>dei</strong> piccoli e di riunire le madri si darebbe<br />

maggior libertà ai <strong>bambini</strong> e si avvierebbero le madri verso<br />

altre forme di cooperazione.<br />

Seconda fase: lo scolaro<br />

Il trapasso dalla casa alla scuola è un momento critico per<br />

il bambino, e sovente si minimizza con disinvoltura lo choc<br />

e il trauma psichico che deriva non solo dal fatto di lasciare<br />

la sorveglianza protettiva della madre, ma anche dalla diversità<br />

di scala e di proporzioni, col passaggio dall’abitazione<br />

singola a ciò che sovente è per il bimbo un complesso<br />

gigantesco di costruzioni, spaventoso nella sua immensità<br />

impersonale. In talune <strong>città</strong> anche grandi, come<br />

San Francisco, la scuola elementare è mantenuta relativamente<br />

piccola, e nelle scuole più recenti la classe ha un’area<br />

di gioco propria e non è assorbita dall’intera struttura<br />

dell’edificio.<br />

Forse il modo migliore di effettuare la transizione è per<br />

mezzo di un giardino d’infanzia nell’unità della neighborhood.<br />

In esse per la sorveglianza si potrebbe rinunciare a<br />

personale di professione specializzato, in favore dell’assistenza<br />

fornita da madri addestrate a questo compito. Benché<br />

la pianificazione non possa anticipare nuove sistemazioni<br />

sociali, può però, secondo l’occasione, suggerirle ed<br />

indicare la sistemazione appropriata. A Zurigo, pare che<br />

213


si sia giunti a questa collaborazione da parte delle madri in<br />

alcuni giardini d’infanzia.<br />

<strong>La</strong> passeggiata del bambino da casa a scuola deve essere<br />

resa divertente ed educativa a sua insaputa.<br />

A volte il bambino sa trarre tesori insospettati da un<br />

mucchio di detriti e una pozzanghera può diventare un lago;<br />

ma dove la zonizzazione è estremamente rigida e la<br />

zona residenziale suburbana è spietatamente ordinata e<br />

pulita non c’è più sfogo per la sua immaginazione.<br />

Perché un bambino abbia veramente il senso del mondo<br />

nel quale vive, sarebbe necessario che la passeggiata<br />

quotidiana lo mettesse a contatto diretto con la natura, come<br />

nelle zone rurali, o con il lavoro dell’uomo nelle officine<br />

o nei mercati. Le attività che servono una neighborhood<br />

non dovrebbero essere segregate troppo severamente<br />

ed il bambino potrebbe avere fra le sue attività le<br />

piccole commissioni e acquisti. Questa necessità è meno<br />

sentita in Europa che in America, dove i canoni di rispettabilità<br />

delle classi medie e l’uso dell’automobile hanno<br />

creato una separazione estrema fra le zone commerciali e<br />

quelle residenziali.<br />

Nel nostro sforzo per provvedere lo spazio necessario<br />

ai giochi <strong>dei</strong> ragazzi, abbiamo spesso dimenticato, specialmente<br />

nelle nuove comunità, il fascino che ha il gioco<br />

spontaneo nella loro vita. Sui campi asfaltati la fantasia del<br />

ragazzo si spegne, mentre per esempio nelle zone bombardate<br />

di Londra sono sorte per loro possibilità meravigliose.<br />

L’autore ricorda nella propria giovinezza i lotti aperti,<br />

alla periferia di New York, con superfici rocciose dove<br />

si arrostivano mele e patate. Si potrebbero usare cespugli<br />

e parapetti per nascondere alla vista questi luoghi<br />

che devono rimanere piuttosto disordinati, devono essere<br />

l’equivalente urbano di quei posti selvaggi che tanto piacciono<br />

ai ragazzi. Il miglior contributo a queste zone sarebbe<br />

di costruirle piuttosto in profondità, in modo da creare<br />

artificialmente le possibilità di avventura.<br />

214


Terza fase: l’adolescenza<br />

Con l’adolescenza la neighborhood non è più il solo centro<br />

di attività del giovane. Alla scuola secondaria s’incontrano<br />

ragazzi di altre comunità, si fanno giochi organizzati,<br />

né ci si muove più solo per andare e venire dalla <strong>città</strong>,<br />

ma si fanno gite nei dintorni.<br />

Ad un certo momento della nostra civilizzazione, l’idea<br />

che è andata maturando nel cervello di filosofi ed educatori,<br />

da Fourier a Goethe da Schreber a William James, l’idea<br />

dell’esercito del lavoro, finirà per trovar posto nel nostro<br />

sistema educativo. Non sarà facile farla accettare, ma<br />

il sistema migliore sarà la pratica e come si ottengono genitori<br />

che hanno il senso della responsabilità della famiglia<br />

solo affidando loro i figli, così si creeranno buoni cittadini<br />

affidando ai giovani alcuni compiti nella comunità.<br />

Ora, il miglior modo per cominciare il compito costruttivo<br />

dell’esercito del lavoro sarà la cura e la manutenzione<br />

<strong>dei</strong> beni comuni.<br />

Se potremo permetterci i parchi, le zone alberate ed i<br />

giardini, che prevediamo nel nuovo tipo di pianificazione<br />

aperta, troveremo proibitivo il costo della loro manutenzione,<br />

a meno che ne facciamo un servizio civile: volontario<br />

se possibile, obbligatorio se necessario. <strong>La</strong> manutenzione<br />

delle zone aperte, la cura delle piante e <strong>dei</strong> fiori potrebbero<br />

essere il compito delle future generazioni di adolescenti:<br />

uno <strong>dei</strong> molti equivalenti morali di una guerra, che<br />

una generazione pacifista deve affrontare.<br />

In un certo qual modo sarebbe questo un compito preparatorio,<br />

poiché i beneficiari ne sarebbero i giovani stessi<br />

nella fase seguente della loro vita: quella delle prime relazioni<br />

amorose. Il periodo della tarda adolescenza, quando<br />

le energie sessuali sono prepotenti e gli sbocchi relativamente<br />

pochi, è un momento difficile e pericoloso per ragazzi<br />

e ragazze; è sovente un momento di sconvolgimen-<br />

215


to interno, il cui tumulto dovrebbe essere equilibrato dalla<br />

contemplazione della bellezza circostante. Se il prolungare<br />

l’infanzia è stato il primo segno dell’ascesa dell’uomo, il<br />

prolungare il periodo sentimentale con le sue sensibili conseguenze<br />

in arte, musica, letteratura e religione, rappresenta<br />

uno stadio ancor più avanzato. Questa elaborazione<br />

dell’impulso erotico lo intensifica, ma dando significato<br />

e colore emotivo alle manifestazioni puramente istintive.<br />

Nell’aperta campagna le coppie non hanno difficoltà nel<br />

trovare i luoghi solitari adatti al loro stato d’animo, ma nelle<br />

nostre <strong>città</strong> il corteggiamento diventa troppo breve o furtivo,<br />

oppresso e ostacolato fino all’esasperazione.<br />

Il <strong>La</strong>birinto, tema favorito dagli urbanisti barocchi, serviva<br />

certo allo scopo e F. <strong>La</strong>w Olmsted, progettando il<br />

Central Park a New York, ha costruito il Ramble (il giro)<br />

che con la sua topografia irregolare è un posto dove ci si<br />

può perdere, col risultato ammirevole che questo è forse<br />

l’unico posto in New York adatto per fare all’amore.<br />

Se gli urbanisti tenessero presenti le diverse fasi della<br />

vita, non sarebbero così insensibili alla necessità della tarda<br />

adolescenza, che vuole luoghi di solitaria bellezza che<br />

accentuino ed espandano, pur temperandoli, i loro impulsi<br />

amorosi e li arricchiscano con immagini visuali, che<br />

diano nutrimento al loro felice stato d’animo.<br />

Maturità: la fase di lavoro<br />

Di pari passo con la crescente divisione della mano d’opera<br />

si verifica nei tempi moderni un altro processo: l’intensificazione<br />

e la segregazione del lavoro. Sia il contadino<br />

che l’artigiano, nei tempi passati, lavoravano per un<br />

numero di ore assai maggiore <strong>dei</strong> lavoratori moderni, ma<br />

il loro lavoro si svolgeva in un ambiente che aveva altri<br />

216


aspetti ed usi: esso si svolgeva nell’ambito familiare e spesso<br />

con la cooperazione di parte o di tutti i suoi membri.<br />

Non esistevano muri, visuali o funzionali, fra il lavoro,<br />

l’ambiente domestico e l’educazione. L’era della specializzazione,<br />

concentrandosi unicamente sulla efficienza meccanica,<br />

ha privato la vita del lavoro di alcune sue dimensioni<br />

estetiche e umane. Anche in questo campo, nelle<br />

<strong>città</strong> moderne, si dovrà tentare di ricollegare questi diversi<br />

aspetti della vita che separati creano, quasi automaticamente,<br />

divisioni e disarmonie nella personalità.<br />

Anche qui però non si potrà tornare alle forme primitive,<br />

ma bisognerà trovare nuove forme altrettanto lontane<br />

dal laboratorio artigiano, quanto dalle truci fabbriche<br />

vittoriane.<br />

Gli scrittori di «Communitas» suggeriscono che case e<br />

fabbriche siano riunite attorno a piazze urbane. Secondo<br />

la descrizione di Philip e Percival Goodman, pare che si<br />

formi così volontariamente un modello arcaico di stretta<br />

associazione, mentre invece si tratta di trovarne uno moderno<br />

equivalente.<br />

Personalmente l’autore suggerisce di introdurre nelle<br />

zone industriali, sia in quelle che si rinnovano, che in quelle<br />

di nuova creazione, le funzioni sociali e domestiche appropriate<br />

ai giorni lavorativi: per esempio campi di gioco<br />

accessibili nelle ore <strong>dei</strong> pasti o in altri intervalli, diverse sale<br />

da pranzo, invece del refettorio; sale di ritrovo e di riunione<br />

per comitati, a disposizione non solo di una zona,<br />

ma dell’intera unità, per svolgere le relazioni politiche <strong>dei</strong><br />

direttivi e <strong>dei</strong> lavoratori; edifici scolastici e musei.<br />

Vi sono singoli impianti industriali, dove tali funzioni<br />

sono state incorporate nella struttura industriale: è necessario<br />

ora organizzare interi quartieri industriali sugli stessi<br />

principi, con concezioni funzionali e spaziali anche più<br />

progredite.<br />

Lo stesso principio vale per i quartieri degli affari.<br />

Mentre in America il primo segno di «progresso» in una<br />

217


<strong>città</strong> è l’abbattere gli alberi nella strada principale, a Parigi<br />

il grande contributo di Haussmann ai nuovi boulevard fu di<br />

rendere in essi possibile la funzione degli affari, della ricreazione<br />

e <strong>dei</strong> trattenimenti sociali; in nessun altro luogo<br />

forse, come nel cuore di Parigi, le funzioni dell’adulto sono<br />

state mantenute così strettamente raggruppate. <strong>La</strong> segregazione<br />

delle funzioni, praticata nel solo interesse dell’efficienza<br />

meccanica, non produce una vita sociale interessante<br />

né una personalità pienamente animata.<br />

Maturità: la fase domestica<br />

Quando una giovane coppia di sposi ha una casa con un<br />

giardinetto situata fra migliaia di altre case simili, la società<br />

pensa che si sia fatto il massimo per la vita di famiglia, e<br />

in realtà è già molto. Quando si può avere una casa simile<br />

senza assorbire troppo dell’entrata annua, si fa un gran<br />

passo verso la riabilitazione della vita familiare. A questo<br />

proposito si potrebbero fare considerazioni sulla vita familiare<br />

delle classi medie nel periodo vittoriano, quando<br />

tutti i comfort che si potevano avere nell’intimità familiare<br />

facevano sì che i membri della famiglia non avessero alcun<br />

desiderio di trascorrere fuori casa le ore non strettamente<br />

necessarie al lavoro. Ma nemmeno questa intimità<br />

familiare sarebbe sufficiente, perché la famiglia tenderebbe<br />

a diventare isolazionista, assorbita in se stessa, ostile allo<br />

sviluppo ulteriore <strong>dei</strong> suoi membri. Qualcosa di più è<br />

perciò necessario al successo della vita familiare: la socievolezza<br />

e gli interessi al di fuori della casa, prima da parte<br />

<strong>dei</strong> coniugi, poi, nei limiti delle loro possibilità, anche da<br />

parte <strong>dei</strong> più giovani membri della famiglia. Qui l’inventiva<br />

dell’urbanista deve esercitarsi a trovare il modo di raggiungere<br />

sul piano della vita sociale ed economica ciò che<br />

218


in privato contornava la vita familiare borghese di tre generazioni<br />

fa.<br />

Il Peckham Health Center ha al suo attivo, tra l’altro, il<br />

vantaggio di offrire alle famiglie della propria zona la possibilità<br />

di luoghi di ritrovo al di fuori <strong>dei</strong> confini domestici,<br />

dove i vari gruppi di età, ora separati dalla diversità e intensità<br />

degli interessi individuali, possano di nuovo divenire<br />

uniti o almeno frequentare lavoro e divertimenti, senza<br />

essere persi di vista dagli altri membri della famiglia.<br />

Proprio il fatto di «non esser persi di vista» è uno degli<br />

attributi che tendono a unire le comunità e che troppo sovente<br />

sono stati trascurati nella pianificazione moderna.<br />

Forse la definizione più elementare di una comunità è questa:<br />

un raggruppamento di persone che vivono senza perdersi<br />

di vista. Anche in una zona sperduta, il fatto di poter<br />

vedere una luce nella capanna del vicino dà un senso<br />

di sicurezza e di socievolezza. Non è affatto consigliabile<br />

che i genitori siano i compagni costanti <strong>dei</strong> loro figli, ma<br />

le relazioni risulteranno migliori se ciascuno avrà un’idea<br />

di ciò che stanno facendo gli altri, invece di avere le rispettive<br />

attività così lontane da vivere in mondi diversi.<br />

Per reazione contro le tremende condizioni di affollamento<br />

di disorganizzazione spaziale, i pianificatori moderni<br />

sono portati ad una uniformità di dispersione, che<br />

può minare il senso sociale tanto quanto la congestione<br />

brutale. A questo proposito si può dire di un centro di negozi<br />

compatto che a somiglianza delle piazze del mercato<br />

medioevali ed in contrapposto alle interminabili strade disseminate<br />

di negozi, esso concentra e moltiplica le occasioni<br />

di incontri, di scambi e di saluti e cioè di quelle minime<br />

attività sociali che tendono a rinnovare i buoni rapporti<br />

di vicinanza e di amicizia.<br />

Meglio rischiare un po’ di affollamento in una zona ristretta<br />

che il progettare il centro così spazioso da poter<br />

agevolmente contenere il massimo carico concepibile, col<br />

219


isultato di renderlo socialmente gelido nelle occasioni normali<br />

e poco pratico per la conseguente perdita di tempo.<br />

Le Settlement House, i Centri di Comunità ed i Centri<br />

sanitari sono ragguardevoli tentativi di creare punti focali<br />

per speciali attività esterne all’ambiente domestico.<br />

In America vi è ora la tendenza a situare i luoghi di riunione<br />

per le attività extra-domestiche nelle stesse scuole<br />

delle neighborhoods perché la maggior parte di queste attività<br />

degli adulti si svolge in quelle ore nelle quali la scuola<br />

non è in funzione, e così auditori, piscine, laboratori,<br />

ecc. non rimangono inviolabili e ad esclusivo uso scolastico,<br />

purché essi siano rimessi nell’ordine primitivo quando<br />

i ragazzi devono usarli.<br />

Ma alla vita degli adulti occorre una forma anche più<br />

semplice di luogo di ritrovo: un locale capace di contenere<br />

una cinquantina di persone sedute, dove possano aver<br />

luogo le discussioni e le eventuali feste per le quali la casa<br />

privata sia troppo ristretta. Una delle idee più felici nel<br />

rapporto di Patrik Geddes su Dunfermline è quella di riservare<br />

una bella casa storica da poter lasciare temporaneamente<br />

in affitto a quelle famiglie che volessero farne<br />

uso per ricevimenti e grandi riunioni. In una comunità di<br />

cinquemila persone occorrerebbero almeno cinque sale<br />

con cucina e servizi.<br />

Maturità: la base <strong>dei</strong> rapporti sociali<br />

Questa fase dovrebbe propriamente essere denominata<br />

quella civica, intendendo con questo termine l’attitudine a<br />

vivere insieme in una <strong>città</strong>.<br />

Una <strong>città</strong> che svolga pienamente la sua funzione rappresenta<br />

la vita del mondo intero e com’esso contiene una<br />

varietà di prodotti, persone, organizzazioni, associazioni e<br />

220


credenze che non si trovano ordinariamente in altre comunità<br />

di carattere specializzato. Mentre nel villaggio si<br />

accentuano le somiglianze e le affinità (e la stessa cosa avviene<br />

nelle neighborhoods della <strong>città</strong>), la <strong>città</strong> deve accentuare<br />

e riconciliare le varietà, le differenze e anche gli<br />

antagonismi. Una buona pianificazione moltiplicherà le<br />

occasioni dirette ad amalgamare e fondere le diverse tendenze.<br />

Oggigiorno due forze frenano l’attrazione reciproca <strong>dei</strong><br />

cittadini come tali: una è costituita dai mezzi di trasporto<br />

veloci, dalla radio e dalle altre invenzioni meccaniche, che<br />

tendono a disperdere i membri della comunità su zone<br />

sempre più vaste. L’altra è la tendenza alla segregazione<br />

specialmente sentita nei grandi aggregati urbani ed accentuata<br />

dalla progressiva zonizzazione, funzione che, almeno<br />

negli Stati Uniti, sovente separa le classi e i gruppi<br />

secondo le rispettive entrate e le diverse razze in quartieri<br />

notoriamente identificabili, in modo che non vi siano rapporti<br />

fra «strati superiori» e «inferiori». In tal modo ogni<br />

gruppo, o classe o caste, vive in un mondo tale da negare<br />

nella sistemazione architettonica sociale la cooperazione<br />

multipla di tutte le comunità umane. Negli Stati Uniti<br />

la espansione suburbana tende verso una tale vastità di<br />

proporzioni che, malgrado il brulicare di veicoli, il vivere<br />

in comune è reso sempre più difficile, col risultato di un<br />

isolazionismo sociale che aumenta in proporzione dell’area<br />

e della popolazione.<br />

Pianificazione per le diverse fasi della vita<br />

Dal punto di vista <strong>dei</strong> rapporti tra cittadini il compito della<br />

pianificazione deve essere quello di incrementare al<br />

massimo gli strumenti di cooperazione positiva e negati-<br />

221


va. Un buon piano moltiplicherà le occasioni di carattere<br />

accidentale ed imprevisto, quali si verificano in un mercato<br />

o in luoghi di ristoro pubblici. Il magazzino di Welwyn<br />

City ad esempio è ormai su di una scala sproporzionata<br />

con la comunità, ma con la sua grande sala da pranzo fornisce<br />

un indispensabile punto focale per la vita della comunità.<br />

Secondo questi concetti il pianificatore moltiplicherà<br />

gli spazi interni della <strong>città</strong>, dove il pubblico possa incontrarsi<br />

per diversi scopi.<br />

Un piano che non abbia il fine di spingere sempre più<br />

oltre una quotidiana fusione di persone, di classi, di attività,<br />

lavora contro i migliori interessi della età matura.<br />

Maturità: la fase individuale<br />

Con questa analisi si dimostra la necessità di sviluppare in<br />

forma pubblica certe attività che sono già state attuate privatamente<br />

da persone oculate e possidenti: si vuole cioè<br />

distribuire tali attività in tutta la comunità. Già Emerson<br />

aveva posto il problema della trasformazione pubblica di<br />

certe prerogative personali, quando dichiarava di avere bisogno<br />

<strong>dei</strong> libri, ma di non voler diventare un libraio e di<br />

amare i quadri senza voler diventare un conservatore di<br />

museo. <strong>La</strong> regola vale tanto per le funzioni che devono essere<br />

socializzate quanto per quelle che devono essere desocializzate:<br />

per esempio la solitudine. Uno <strong>dei</strong> segni della<br />

maturità è il bisogno di solitudine e la <strong>città</strong> non deve solo<br />

riunire gli uomini, ma deve anche permettere a ognuno<br />

di avere a portata di mano facilmente accessibili i luoghi<br />

necessari all’isolamento e alla pace. <strong>La</strong> funzione del ritiro<br />

spirituale non è più quella che richiedeva il chiostro<br />

medioevale, ma deve essere considerata una necessità<br />

quotidiana. Il fascino del quartiere di Westminster sta nel<br />

222


suo labirinto di stradine dove il passeggiatore solitario può<br />

perdersi a breve distanza dal centro più affollato. Nelle<br />

nuove comunità, su scala minore e con minor densità, si<br />

dovrà avere l’arte di raggiungere gli stessi risultati. Nei parchi<br />

che collegano le neighborhoods, per esempio, si potranno<br />

lasciare viali più vasti all’esterno, mentre la zona<br />

interna sarà solcata da sentieri, cosicché non sia necessario<br />

dover varcare i confini della comunità per trovare <strong>dei</strong><br />

luoghi solitari dove passare qualche minuto o qualche ora.<br />

Troppa parte del nostro pensiero in architettura e in urbanistica<br />

è stata finora rivolta alle attività esteriori, il che è<br />

ottimo per i rapporti sociali e pubblici, ma distruttivo per<br />

i momenti di raccoglimento, di intimità spirituale e di solitudine<br />

che devono essere secondati dall’ambiente e per i<br />

quali devono essere predisposti spazi ed occasioni nel progetto<br />

di un piano collettivo di <strong>città</strong>.<br />

Fase finale: la senilità<br />

Forse nessuna fase della vita è stata tanto negletta dalla<br />

nostra civiltà e anche dall’urbanistica, quanto la vecchiaia.<br />

Nel corso di mezzo secolo, nel mondo occidentale, la<br />

famiglia a tre generazioni è stata ridotta a due. Segno di<br />

questa evoluzione è l’aumento del numero di ménages separati,<br />

anche quando la proporzione delle nascite sia decisamente<br />

in regresso. Ma, mentre il numero <strong>dei</strong> vecchi<br />

aumenta in ogni paese progredito grazie ai miglioramenti<br />

dell’igiene e delle cure mediche, non si vede alcuno sforzo<br />

notevole per la loro sistemazione. Le pensioni non sono<br />

un compenso sufficiente per la loro destituzione sociale<br />

sempre crescente. Nelle piccole case private la loro presenza<br />

è indesiderabile anche nei casi migliori, cosicché il<br />

prolungarsi della loro esistenza diventa una amara ironia,<br />

223


perché progressivamente si trova ad essere ridotta e priva<br />

di significato.<br />

Nella ricostruzione armonica della vita familiare che è<br />

uno degli scopi della pianificazione urbanistica, uno degli<br />

scopi principali sarà quello di ridare agli anziani una posizione<br />

dignitosa e fruttuosa.<br />

Se non sarà possibile ripristinare la famiglia di tre generazioni<br />

si dovrà però provvedere a formare una comunità<br />

di tre generazioni: la mescolanza <strong>dei</strong> gruppi di età<br />

è essenziale ad una vita equilibrata quanto la mescolanza<br />

delle classi sociali ed economiche.<br />

Vi sono molte importanti funzioni sociali che gli anziani<br />

possono compiere fintanto che le loro attività mentali<br />

non siano minorate; le donne possono partecipare al governo<br />

della casa, i vecchi, benché sovente troppo lenti nel<br />

loro ritmo per guadagnarsi il salario di una intera giornata<br />

di lavoro, possono pur sempre essere degli ottimi giardinieri,<br />

fare riparazioni, custodia e sorveglianza.<br />

<strong>La</strong> comunità non dovrebbe considerarsi ben progettata<br />

se non provvede a una particolare sistemazione <strong>dei</strong> vecchi,<br />

proprio per la grande utilità che da essi può derivare.<br />

Una piccola unità di abitazioni ad un solo piano, non segregata<br />

dal resto delle abitazioni e che possa comprendere<br />

una decina di coppie o una ventina di individui, sarà un<br />

ottimo provvedimento per gli anziani finché non abbisognano<br />

delle cure e sorveglianza continue di una casa di ricovero.<br />

Tali unità dovrebbero essere situate in prossimità di<br />

scuole o mercati o campi di gioco, perché i vecchi hanno<br />

bisogno della sensazione rassicurante della vita in azione<br />

per superare la loro solitudine e il crescente senso di alienazione<br />

e umiliazione che l’età porta con sé.<br />

Le abitazioni per gli anziani dovrebbero sempre essere<br />

a pianterreno, non dovrebbero guardare su cortili interni,<br />

bensì avere la visuale di ciò che avviene all’esterno per dar<br />

loro interesse alla vita. I vari gruppi di anziani dovrebbero<br />

224


esser sistemati abbastanza vicino alle loro famiglie per<br />

mantenere contatti e poter dare il loro aiuto nella sorveglianza<br />

e assistenza, partecipando, senza avere la sensazione<br />

di essere un inutile fardello, alla vita <strong>dei</strong> loro figli o<br />

<strong>dei</strong> loro vicini.<br />

Il solo progetto ammissibile nella sistemazione <strong>dei</strong> vecchi<br />

sarà quello che eviterà loro la segregazione e l’istituzionalizzazione:<br />

anche qui il principio di essere «a portata<br />

di mano» o «sott’occhio» sarà il più importante per ristabilire<br />

le basi di quelle piccole intimità, avventure, stimoli che<br />

anche i più splendidi quartieri di abitazione, se troppo segregati<br />

o di proporzioni troppo grandiose, non possono<br />

procurare.<br />

Una organica concezione di pianificazione urbana, che<br />

abbracci tutte le fasi della vita tanto quanto tutte le funzioni<br />

della comunità, deve suggerire soluzioni finora ignorate da<br />

un punto di vista più tecnicista e più specializzato.<br />

Nel ripristinare l’equilibrio all’interno della comunità<br />

cittadina, si deve pensare a ristabilire l’equilibrio nel tempo<br />

per mezzo di relazioni reciproche fra le diverse fasi della<br />

vita; perché ogni gradino della nostra esistenza ha le sue<br />

esigenze particolari che possono essere soddisfatte solo<br />

quando le necessità coordinate di altri gruppi di età siano<br />

prese in considerazione.<br />

Ciò che forse è più necessario nel formulare un canone<br />

per un progetto su queste basi è il ritorno alla scala<br />

umana: alle unità di dimensione più maneggevole, ad un<br />

ordine visibile ad occhio nudo, ad una concezione della comunità,<br />

che non sia un labirinto di grandi organizzazioni<br />

collettive, ma una combinazione costantemente variabile<br />

di una moltitudine di attività associative, variabili in intensità<br />

e durata, ed in continuo sviluppo attraverso il ciclo della<br />

vita, dalla nascita alla morte.<br />

225


226


Indicazioni bibliografiche<br />

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236


Indice<br />

237


238


IX Presentazione<br />

XI Prefazione di Norberto Bobbio<br />

XV Premessa<br />

Parte prima Il progetto<br />

5 Analisi di un malessere<br />

Antefatto: una volta avevamo paura del bosco, p. 5<br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong>, p. 6<br />

Un esempio: la famiglia, la casa, p. 8 - Un altro esempio:<br />

il centro commerciale, p. 9<br />

L’equivoco <strong>dei</strong> servizi, p. 10<br />

Un accordo fra adulti, p. 12<br />

15 E allora che fare?<br />

<strong>La</strong> soluzione privata della difesa, p. 15<br />

<strong>La</strong> soluzione sociale della partecipazione, p. 18<br />

Il cittadino medio, p. 18 - Il bambino come parametro,<br />

p. 19<br />

21 Perché proprio il bambino?<br />

L’infanzia nella storia dell’uomo: il primato del gioco,<br />

p. 21<br />

Le <strong>città</strong> si sono dimenticate <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, p. 24<br />

239


Il bambino è solo, p. 25<br />

Il bambino minore, p. 29<br />

Il bambino è più forte, p. 31<br />

«Se non diventerete come i <strong>bambini</strong>...», p. 33<br />

Ma qualcosa sta cambiando, p. 33<br />

Parte seconda Le proposte<br />

39 Un laboratorio «la <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>»<br />

<strong>La</strong> parola ai <strong>bambini</strong>, p. 41<br />

Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, p. 42 - I <strong>bambini</strong> progettisti, p. 43<br />

Il bambino nella testa degli adulti, p. 46<br />

49 Che i <strong>bambini</strong> possano uscire da soli di casa<br />

Perché è così importante uscire di casa?, p. 50<br />

Vivere esperienze proprie, p. 52 - Gli incidenti domestici,<br />

p. 56 - L’insolubile conflitto con la televisione, p. 58 - Bambine<br />

e <strong>bambini</strong>, p. 590<br />

Il bambino come indicatore ambientale, p. 60<br />

Rinegoziare il rapporto di potere fra l’auto e il cittadino,<br />

p. 61<br />

Aiutare gli adulti a capire che i <strong>bambini</strong> hanno bisogno<br />

di uscire, p. 65<br />

Trovare nuovi alleati <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, p. 67<br />

I vigili urbani, p. 68 - Gli anziani, p. 70 - I negozianti,<br />

p. 72<br />

75 Una <strong>città</strong> adatta ai <strong>bambini</strong><br />

<strong>La</strong> <strong>città</strong> bella, p. 75<br />

Il Piano Regolatore Generale, p. 80<br />

Una <strong>città</strong> a dimensione di <strong>bambini</strong>, p. 81 - Un piano<br />

urbano della mobilità, p. 83 - Ripopolare il centro storico,<br />

p. 87 - Rinunciare agli spazi gioco per <strong>bambini</strong>, p. 88<br />

<strong>La</strong> strada, un luogo di tutti, p. 89<br />

240


I <strong>bambini</strong> che aspettano, p. 92<br />

Le strutture alberghiere e di ristorazione, p. 93<br />

L’ospedale pediatrico, p. 94<br />

Una scuola adatta ai <strong>bambini</strong>, p. 98<br />

Una esperienza di democrazia, p. 99 - Una esperienza di educazione<br />

ambientale: progettare la propria <strong>città</strong>, p. 101 - Una<br />

esperienza di educazione stradale: percorrere la <strong>città</strong>, p. 102<br />

I condomini: il diritto al gioco, p. 104<br />

Il voto ai <strong>bambini</strong>, p. 106<br />

109 Ripensare la <strong>città</strong><br />

Parte terza Le esperienze<br />

117 Le schede<br />

1. Fano «<strong>La</strong> <strong>città</strong> <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>», p. 118<br />

2. Il Consiglio <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, p. 121<br />

3. Il Consiglio comunale aperto ai <strong>bambini</strong>, p. 123<br />

4. I <strong>bambini</strong> progettisti, p. 127<br />

5. Le piccole guide, p. 133<br />

6. I seminari di Giunta, p. 134<br />

7. «Il vigile amico <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>», p. 135<br />

8. <strong>La</strong> multa <strong>dei</strong> <strong>bambini</strong>, p. 136<br />

9. «A scuola ci andiamo da soli», p. 138<br />

10. Una patente da pedone, da ciclista e da motorini<br />

sta, p. 148<br />

11. «Io e la mia <strong>città</strong>», p. 153<br />

12. «Io e la mia <strong>città</strong>»: il manifesto, p. 158<br />

13. Una giornata senza auto, p. 160<br />

14. Un marchio di qualità <strong>bambini</strong> per alberghi e risto<br />

ranti, p. 162<br />

15. Una spiaggia per i <strong>bambini</strong>, p. 168<br />

241


16. Il Club CdB, p. 170<br />

17. Casa Archilei, p. 171<br />

18. Un pomeriggio libero per i <strong>bambini</strong>, p. 173<br />

19. Un giardino di pietra, p. 174<br />

20. Altre esperienze: la progettazione partecipata ai<br />

<strong>bambini</strong>, p. 176<br />

21. Altre esperienze: i diritti <strong>dei</strong> pedoni, p. 181<br />

22. Altre esperienze: la democrazia in erba, p. 185<br />

23. Altre esperienze: le <strong>città</strong> educative, p. 190<br />

24. Una rete nazionale e oltre, p. 195<br />

25. Per cominciare, p. 197<br />

Appendice<br />

1. <strong>La</strong> Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo,<br />

p. 203<br />

2. Invito alla collaborazione: lettera aperta ai cittadini<br />

fanesi, p. 208<br />

3. Lewis Mumford, «<strong>La</strong> pianificazione per le diverse fasi<br />

della vita», p. 210<br />

227 Indicazioni bibliografiche<br />

242

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