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18 Panorama Società Ricordando Guido Miglia, lucido ed esemplare maestro di comprensi L’amore per l’Istria nel rispetto de di Marino Vocci Di primo mattino, dopo essere salito sull’Eurostar, per un viaggio che da Trieste mi portava a Roma, ho aperto un quotidiano triestino e ho letto con grande commozione la notizia che Guido Miglia non era più tra noi. Ricordo che in quei momenti il treno stava attraversando la campagna della Bassa friulana, ancora immersa nel lungo sonno invernale: Eravamo appena fuori Torviscosa e avendo negli occhi l’immagine del campanile di quella cittadina, ho pensato che mi ricordava un pezzo, un dettaglio del nostro comune amore: la terra istriana e in particolare la cittadina di Arsia, costruita sui progetti di Pulitzer Finali. Solo pochi giorni giorni prima di quel venerdì, il 20 febbraio l’avevo cercato al telefono, ma dall’altra parte del fi lo non avevo sentito la sua voce familiare e un po’ rauca, né quella della moglie Ariella, bensì quella di un’assistente familiare, che mi aveva informato del suo ricovero all’Ospedale di Cattinara a Trieste. Dal tono della voce avevo capito che la situazione era delicata e non prometteva niente di buono. Dopo la telefonata ero stato bloccato a casa dall’infl uenza che mi aveva colpito durante il recente viaggio compiuto ad Auschwitz e questo non mi aveva permesso di fargli visita. Dedico quindi a Guido Miglia il viaggio effettuato con il “Treno della memoria” ad Auschwitz in compagnia di un migliaio di giovani, che era stata un’importante occasione per tornare a parlare di giovani appunto, di memoria e di radici, temi sempre molto cari a Guido, e ai quali ha dedicato la Sua vita. Volevo sentire Guido Miglia per salutarlo e per fare con lui due ciacole, perché, pur essendo malato e stanco, era sempre così attento a quello che succedeva a Trieste, in Istria così come era sempre acuto nei suoi giudizi. Volevo sentirlo, in particolare, per parlare del complice silenzio con cui a Trieste era stata accolta l’inaugurazione del Civico Museo della Cultura istriana, fi umana e dalmata. Un Museo che, per i contenuti, offende istriani come me e come Miglia, e soprattutto tanta gente che non crede che la nostra storia di istriani si possa esaurire rimanendo nel racconto di quel pur tremendo dramma che è stato l’Esodo. Una tragedia a lungo dimenticata dall’Italia e mirabilmente raccontata agli italiani proprio da Guido Miglia. Un Museo che dovrebbe quindi proporsi di raccontare anche l’Istria amata da Guido e la mia Istria. L’Istria della bellezza fatta dalle sue diversità, con le radici protese e affondate nella terra rossa della mia Caldania e l’Istria del mare azzurro della Sua Stoia, l’Istria plurale del Sì del Da e del Ja, l’Istria. E questo diventa ancora più importante al giorno d’oggi, in un momento in cui sembra prevalere la ricerca di un’identità che si direbbe spesso gonfi ata agli estrogeni, un’identità che elude l’altro e tende a chiudersi ed a isolarsi in un’egoistica autosuffi cienza. Un Museo che, come è stato ricordato da un caro amico istriano che si occupa da oltre quarant’anni di museologia, dovrebbe esaltare in primo luogo l’unicità e la specifi cità di questo nostro mondo e raccontare quindi l’Istria, Fiume e Dalmazia Guido Miglia (Pola 1919-Trieste 2009) con le sue culture e storie di maggior importanza. Per ricordare solo alcuni aspetti a mio parere irrinunciabili, raccontare quindi paesaggi di mare e di terra. Una terra che nei secoli e nei millenni alle nostre spalle è stata segnata e costellata da traumatiche fughe e da felici approdi, con le storie di tante donne e tanti uomini, di generazioni che sono sopravvissute grazie alla propria fatica, al proprio lavoro. L’Istria dei “grandi mestieri del mondo”: della pesca, della produzione del sale e delle costruzioni navali, del lavoro nei campi e della pastorizia E poi, particolare, l’Istria che fa fatto quell’uso sapiente della pietra. Un uso che affonda le proprie radici nella storia dell’umanità, e che, oltre a quella fatta di cavatori, di tagliapietre, di scalpellini, ci racconta anche la storia che va dalle prime sculture e iscrizioni alle tavole dei Dieci comandamenti; e poi la pietra, anzi le pietre, sono state fondamentali tanto nella costruzione delle dimesse abitazioni del mondo rurale che di palazzi storici e d’impresssionante aspetto architettonico. ma anche delle masiere, dei pastini e delle casite, delle macine per il grano e dei pozzi per l’acqua, dell’Arena di Pola e del tabor di Cristoglie. La pietra, ha scritto alcuni anni fa l’amico Ulderico Bernardi, meriterebbe un museo, proprio per-

one e convivenza lla diversità ché “il fascino di tanti paesi, cittadine e villaggi dell’Istria viene dal candore della sua pietra…”. Ho conosciuto e incontrato Guido Miglia per la prima volta verso la metà degli anni Sessanta, con le prime assemblee studentesche e il Sessantotto a Trieste: Tra lui, bravo, serio e apprezzato insegnante di Lettere all’Istituto Tecnico Alessandro Volta di Trieste, e me, protagonista del movimento studentesco nonché presidente dell’Assemblea degli studenti medi di Trieste, nacque un’intesa immediata e naturale. Una condivisione di valori e di speranze e un’amicizia che dal 1966 a oggi, per oltre quarant’anni, nonostante la differenza di età, è rimasta intatta, anzi direi che si è consolidata. È stato Miglia a parlarmi di Fulvio Tomizza e a farmelo incontrare per la prima volta. Erano i giorni in cui Palach a Praga e Zacchigna al Giardino pubblico di Trieste mettevano in atto la loro terribile protesta, e di quell’incontro svoltosi al caffè San Marco, non lontano quindi dalla casa di Fulvio e dalla sede dell’Istituto Volta, ho ancora un ricordo nitidissimo. Come ricordo con gratitudine e riconoscenza l’articolo che Miglia scrisse, usando quasi le stesse parole e motivazioni che Pier Paolo Pasolini aveva usato per gli scontri tra studenti e poliziotti a Valle Giulia a Roma, per difendermi dagli attacchi di certi signorini di una sinistra salottiera e parolaia. E poi c’è il ricordo del lungo cammino fatto insieme: a partire dagli inizi degli anni Ottanta con il Circolo di Cultura istro-veneta Istria, poi le tante trasmissioni alla RAI (“Voci e volti dell’Istria” fu una sua splendida invenzione), e i nostri emozionati interventi e soprattutto la sua commozione e la grande gioia vissuta insieme in una giornata tiepida di febbraio agli inizi degli anni Novanta a Verudella al primo incontro della Dieta De- Stoia mocratica Istriana. A metà degli anni Novanta i viaggi in Istria compiuti spesso con amici carissimi per la presentazione del suo libro “L’Istria una quercia” e poi la solitudine e la fuga nella riservatezza. Guido Miglia è stato certamente un protagonista, mi viene da dire un “gigante”, per il modo in cui ha affrontato i temi della convivenza in queste nostre terre. Un uomo spesso Assieme a Fulvio Tomizza in una trasmissione radiofonica sofferente e tormentato, che sovente si faceva carico del male provocato da altri, come ad esempio delle colpe del fascismo e quindi dell’Italia in queste nostre terre plurali. Un uomo schivo, leale e mite, ma allo stesso tempo un uomo che seppe fare scelte decise e precise. Ricordo ancora una sua frase che nel corso degli anni mi è stata più volte ripetuta: “Dove (partiti, associazioni…) sono protagonisti gli stupidi, non possono starci gli intelligenti”. Uomo tutto di un pezzo potremmo dire, con grandi passioni e profondamente antifascista che ha dedicato la sua vita ad abbattere i Società muri delle divisioni, delle separatezze e delle reciproche ignoranze e ha cercato attraverso le reciproche conoscenze di costruire ponti per recuperare la reciproca fi ducia. Guido è stato per me un punto di riferimento irrinunciabile, perché se da una parte Fulvio Tomizza mi ha regalato l’orgoglio e la dignità di essere istriano, Miglia mi ha trasmesso l’amore per questa terra. In questi anni sono andato ripetute volte a rileggermi alcune sue rifl essioni contenute nei volumi “Bozzetti istriani” del 1959, “Istria, sentieri della memoria”, “Istria una quercia”. Mi ha insegnato ad essere sempre serio e mai superfi - ciale, e soprattutto a svolgere con dedizione e serietà il mio lavoro. Ricordo che quando gli presentavo per la prima volta una persona, spesso con quel suo modo di fare un po’ burbero, mi chiedeva a bruciapelo: che mestier el ga o el fa per viver? Infi ne due ricordi personali legati a mondi di cui anch’io sono innamorato, l’Istria e il Sud Tirolo-Alto Adige. Ricordi che risalgono a molti anni fa, quali i brevi incontri a Moso nel piccolo albergo “Kinigerhof”, che egli usualmente frequentava d’estate, gustando un eccellente kaisersmarren e bevendo un succo di sambuco o a Borosia dove si sorseggiava il caffè guardando il faro di Salvore, ospiti di una bella famiglia istriana, i Macovaz. Grazie per tutto quello che hai fatto per noi e per me caro professore, e scusa per quello che non sono riuscito a fare per Te. Mi mancherai, Guido. Ti sia lieve la terra. ● Panorama 19

18 <strong>Panorama</strong><br />

Società<br />

Ricordando Guido Miglia, lucido ed esemplare maestro di comprensi<br />

L’amore per l’Istria nel rispetto de<br />

di Marino Vocci<br />

Di primo mattino, dopo essere<br />

salito sull’Eurostar, per un<br />

viaggio che da Trieste mi portava<br />

a Roma, ho aperto un quotidiano<br />

triestino e ho letto con grande commozione<br />

la notizia che Guido Miglia<br />

non era più tra noi. Ricordo che in<br />

quei momenti il treno stava attraversando<br />

la campagna della Bassa friulana,<br />

ancora immersa nel lungo sonno<br />

invernale: Eravamo appena fuori<br />

Torviscosa e avendo negli occhi l’immagine<br />

del campanile di quella cittadina,<br />

ho pensato che mi ricordava un<br />

pezzo, un dettaglio del nostro comune<br />

amore: la terra istriana e in particolare<br />

la cittadina di Arsia, costruita<br />

sui progetti di Pulitzer Finali.<br />

Solo pochi giorni giorni prima di<br />

quel venerdì, il 20 febbraio l’avevo<br />

cercato al telefono, ma dall’altra<br />

parte del fi lo non avevo sentito<br />

la sua voce familiare e un po’ rauca,<br />

né quella della moglie Ariella, bensì<br />

quella di un’assistente familiare, che<br />

mi aveva informato del suo ricovero<br />

all’Ospedale di Cattinara a Trieste.<br />

Dal tono della voce avevo capito<br />

che la situazione era delicata e non<br />

prometteva niente di buono. Dopo la<br />

telefonata ero stato bloccato a casa<br />

dall’infl uenza che mi aveva colpito<br />

durante il recente viaggio compiuto<br />

ad Auschwitz e questo non mi aveva<br />

permesso di fargli visita. Dedico<br />

quindi a Guido Miglia il viaggio effettuato<br />

con il “Treno della memoria”<br />

ad Auschwitz in compagnia di<br />

un migliaio di giovani, che era stata<br />

un’importante occasione per tornare<br />

a parlare di giovani appunto, di memoria<br />

e di radici, temi sempre molto<br />

cari a Guido, e ai quali ha dedicato la<br />

Sua vita.<br />

Volevo sentire Guido Miglia per<br />

salutarlo e per fare con lui due ciacole,<br />

perché, pur essendo malato e stanco,<br />

era sempre così attento a quello<br />

che succedeva a Trieste, in Istria così<br />

come era sempre acuto nei suoi giudizi.<br />

Volevo sentirlo, in particolare,<br />

per parlare del complice silenzio con<br />

cui a Trieste era stata accolta l’inaugurazione<br />

del Civico Museo della<br />

Cultura istriana, fi umana e dalmata.<br />

Un Museo che, per i contenuti, offende<br />

istriani come me e come Miglia,<br />

e soprattutto tanta gente che non<br />

crede che la nostra storia di istriani<br />

si possa esaurire rimanendo nel racconto<br />

di quel pur tremendo dramma<br />

che è stato l’Esodo. Una tragedia<br />

a lungo dimenticata dall’Italia e<br />

mirabilmente raccontata agli italiani<br />

proprio da Guido Miglia. Un Museo<br />

che dovrebbe quindi proporsi di raccontare<br />

anche l’Istria amata da Guido<br />

e la mia Istria. L’Istria della bellezza<br />

fatta dalle sue diversità, con le<br />

radici protese e affondate nella terra<br />

rossa della mia Caldania e l’Istria del<br />

mare azzurro della Sua Stoia, l’Istria<br />

plurale del Sì del Da e del Ja, l’Istria.<br />

E questo diventa ancora più importante<br />

al giorno d’oggi, in un momento<br />

in cui sembra prevalere la ricerca<br />

di un’identità che si direbbe spesso<br />

gonfi ata agli estrogeni, un’identità<br />

che elude l’altro e tende a chiudersi<br />

ed a isolarsi in un’egoistica autosuffi<br />

cienza. Un Museo che, come è stato<br />

ricordato da un caro amico istriano<br />

che si occupa da oltre quarant’anni<br />

di museologia, dovrebbe esaltare in<br />

primo luogo l’unicità e la specifi cità<br />

di questo nostro mondo e raccontare<br />

quindi l’Istria, Fiume e Dalmazia<br />

Guido Miglia (Pola 1919-Trieste 2009)<br />

con le sue culture e storie di maggior<br />

importanza. Per ricordare solo alcuni<br />

aspetti a mio parere irrinunciabili,<br />

raccontare quindi paesaggi di mare e<br />

di terra. Una terra che nei secoli e nei<br />

millenni alle nostre spalle è stata segnata<br />

e costellata da traumatiche fughe<br />

e da felici approdi, con le storie<br />

di tante donne e tanti uomini, di generazioni<br />

che sono sopravvissute grazie<br />

alla propria fatica, al proprio lavoro.<br />

L’Istria dei “grandi mestieri del mondo”:<br />

della pesca, della produzione del<br />

sale e delle costruzioni navali, del lavoro<br />

nei campi e della pastorizia<br />

E poi, particolare, l’Istria che fa<br />

fatto quell’uso sapiente della pietra.<br />

Un uso che affonda le proprie radici<br />

nella storia dell’umanità, e che, oltre<br />

a quella fatta di cavatori, di tagliapietre,<br />

di scalpellini, ci racconta anche<br />

la storia che va dalle prime sculture<br />

e iscrizioni alle tavole dei Dieci comandamenti;<br />

e poi la pietra, anzi le<br />

pietre, sono state fondamentali tanto<br />

nella costruzione delle dimesse abitazioni<br />

del mondo rurale che di palazzi<br />

storici e d’impresssionante aspetto<br />

architettonico. ma anche delle masiere,<br />

dei pastini e delle casite, delle macine<br />

per il grano e dei pozzi per l’acqua,<br />

dell’Arena di Pola e del tabor di<br />

Cristoglie. La pietra, ha scritto alcuni<br />

anni fa l’amico Ulderico Bernardi,<br />

meriterebbe un museo, proprio per-

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