RE ARTù E LA RICERCA DEL SACRO GRAAL - Comune di Parma

Il Monsalvato sulla terra non è più;
Il Santo Calice se n’è andato
Chissà quando tornerà.
Dolci delizie non esistono più,
Il Monsalvato sulla terra non è più;
Quando avremo parole di salvezza
Direttamente dalla Santa Voce?
Eterna sventura alla vaga dama
Che la domanda proibita pose
Diventando causa di tanta disperazione,
Dove sarà ora il Monsalvato?
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RE ARTù E LA RICERCA DEL SANTO GRAAL
Prologo: Prologo: la la storia storia del del Graal.
Graal.
33 d.c. Gerusalemme. Uno dei dodici di quel Rabbì andò al
Sinedrio, spinto da una decisione improvvisa ed inaspettata,
unita da un’enorme dose di bramosia di potere, ed iniziò a dire,
rivolto direttamente al sommo sacerdote Caifa, dicendogli:
”Maestro, io posso consegnarvi chi voi odiate tanto perché
sobilla il popolo contro di voi, per il momento conviene a tutti
quanti restarcene calmi, ma al mio avvertimento dovrete correre
immediatamente al posto che vi sarà indicato e la persona che
io bacerò sulla guancia potrà essere arrestato dai vostri servi!”.
Ma durante quella sera fatale, il Rabbì fu molto chiaro svelando
agli amici le macchinazioni del traditore, dicendo: ”Chi
mangerà nel piatto con me mi tradirà questa stessa notte e guai
a lui l’essere nato, ma senza questa persona niente si potrebbe
compiere”
La sera del parasceve un uomo sui trentatrè anni, dall’aspetto
molto trasandato stava festeggiando la sacra festa assieme agli
amici in una stanza della città santa a poca distanza dall’orto
degli ulivi. Ad un certo punto quell’uomo prese il pane e, reso
grazie, lo spezzò distribuendolo tra i presenti e la stessa cosa
fece con una coppa di vino. Finito quel cerimoniale, il Rabbì si
fece portare una bacinella d’acqua di fonte e, toltasi la tunica e
cintosi i fianchi con una salvietta, si mise a lavare i piedi a tutti
quelli che erano a tavola con lui; arrivato da Pietro, questi
disse: ”Mio Signore non sia mai sia tu lavi i piedi a me che
sono il tuo servo”
”Se non faccio questa cosa tu non sarai mai completamente
mondo da tutti i tuoi peccati, che saranno lavati assieme ai tuoi
piedi in questa tinozza”. A questa risposta, Pietro disse: ”Mio
signore non solo i piedi ma tutto il corpo, per aver lavati il
maggior numero di peccati”
”Per essere completamente monda basta che io ti lavi i piedi e
tutto sarà aggiustato, anzi ognuno di voi segua quest’esempio,
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gli uni con gli altri, altrimenti non potrete entrare nel Regno dei
Cieli”, quindi tutti assieme cantarono il salmo di rito e si
diressero verso il Getsemani dove Gesù si fermò a pregare.
Poco prima di uscire, una donna chiamata Maria Maddalena,
s’inginocchiò ai piedi del rabbì e li bagnò con le proprie
lacrime e, subito dopo, si rialzò per ungergli la testa con un olio
profumato molto costoso quasi a ricordargli ufficialmente che
egli ebbe tra il popolo e che tra poche ore avrebbe subito la
condanna a morte, pronunciata sia dal governatore sia dal
Sinedrio.
Come furono arrivati all’orto degli ulivi, il rabbì ed i suoi
discepoli vi si sparpagliarono per meditare; quivi giunti, Giuda
il traditore prese da parte un ragazzino che era nelle immediate
vicinanze, dicendogli: ”Corri dal sommo sacerdote Caifa ed
avvertilo che è giunto il momento di arrestare una persona al
Getsemani, egli capirà subito e si comporterà di conseguenza,
ora va e vedi di fare presto!”, immediatamente un gruppo di
servi del Sinedrio si presentò ove indicato, comandati dal
sommo sacerdote Anna, il suocero di Caifa e, al segnale
convenuto, misero le mani su Gesù, trascinandolo
immediatamente a giudizio. In quegli stessi istanti un
rappresentante del Sinedrio, chiamato Giuseppe d’Arimatea,
scoprì il luogo ove il rabbì e gli altri discepoli si erano ritrovati
per festeggiare la Pasqua del Signore e ci andò per vedere se
poteva mettere al sicuro qualche reliquia; sulla tavola, non
ancora completamente sparecchiata, ritrovò il calice di legno
utilizzato per la libagione rituale e lo nascose, per non rischiare
che andasse perduto.
Questo personaggio apparentemente sospetto, era un discepolo
del rabbì tra i più accaniti e fidati; in ogni modo Giuseppe
ritornò velocemente al resto del Sinedrio appena in tempo per
assistere quasi impotente al processo vero e proprio; infatti,
com’ebbe preso posto, il Rabbì fu portato al cospetto di
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Detto questo, Lohengrin s’avvicinò al cigno e, presolo per il
dorso, lo spinse sott’acqua, una volta che lo riportò in
superficie dimostrò che si trattava dello scomparso fratello
d’Elsa, che corse subito dalla sorella. Subito Lohengrin si
rivolse alla sposa e disse: ”Mia cara sposa, purtroppo ti devo
lasciare per sempre, in quanto facesti la domanda proibita e
contravvenisti al divieto che ti feci quando venni proprio in
questo luogo a salvare la tua vita e l’onore che ti stavano per
portare via”. In quello stesso istante, Lohengrin alzò gli occhi
sulla folla che lo circondava e vide in lontananza Ortrud ed alzò
ulteriormente la voce, dicendo: ”Tu perfida donna, come mai ti
trovi ancora qui tra noi dopo quanto hai fatto e successe nelle
passate ore tra il mio arrivo dell’altra sera ed oggi? Ora,
vigliacca d’una donna vattene da queste terre, maledetta da tutti
per quanto facesti per rovinare la felicità di tanta gente timorosa
ed ispirata da Dio”
Finito che ebbe di parlare, Lohengrin s’imbarcò sulla barca su
cui era arrivato ed iniziò nuovamente a pregare, ma subito uno
splendido falco prese la cima che teneva la navicella,
andandosene per sempre dal mondo degli uomini e serrandosi
per sempre nel Monsalvato, contemporaneamente, vedendo
partire l’amato sposo, Elsa cadde a terra, morendo all’istante,
lasciando il ducato avvito al giovanissimo fratello. Da allora il
divino regno del Monsalvato sparì completamente dalla storia
del mondo, portandosi addietro anche il più gran tesoro del
mondo: il Santo Graal, il quale diventò il gran sogno di coloro
che l’avevano incontrato in precedenza, lasciando il racconto di
quell’esperienza ai propri discendenti, che invidiarono
enormemente quei racconti senza aver la speranza di poterlo
ritrovare, ma tutti quanti, da allora, iniziarono a cercarlo
ovunque sperando in un futuro miracolo.
In ricordo di quel reame così sacramete miracoloso vengono
tutt’ora recitate queste malinconiche parole:
Grave perdita ha l’umanità
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signore, chiediamo giustizia per conto di quest’uomo dato che
ha agito per amore della propria terra e del suo popolo,
tentando di sopprimere il misterioso dittatore infingardo, dalla
faccia della terra, ma fu ucciso da quest’ultimo”. Udendo quelle
parole, il re s’indignò ulteriormente e prese a dire: ”Se ve ne
sovvenite, costui fu bandito per mio ordine da tutte le terre
germaniche, perdendo ogni pretesa su qualsivoglia territorio e
diritto, quindi non posso accettare le vostre richieste, perché
illegali, ma ora qualcuno mi può dire che fine ha fatto il nostro
misterioso eroe che ci dovrebbe aiutare in questo frangente?”
In quello stesso momento arrivò al cospetto del re e
dell’intiera corte anche il misterioso cavaliere, accompagnato
da Elsa, ma subito tutti s’accorsero che qualcosa non andava
nel suo abbigliamento; infatti tutti videro che il paladino non
s’era armato per la battaglia. Vedendo la cosa, il re si stupì
grandemente, poi disse: ”Messere solo ieri, finita la cerimonia
nuziale, c’assicuraste che sareste sceso in campo con noi, ora
come mai, nel momento stabilito dell’adunata vi presentate al
mio cospetto senza nessuna arma od armatura?”. Il cavaliere
attese qualche attimo, dirigendosi sulla sponda del fiume e,
mettendosi a pregare, fece tornare il cigno con la navicella al
traino; come quel superbo uccello si fu posato sulla superficie
dell’acqua, il paladino si rivolse all’intiera corte e prese a dire:
”Miei signori,quando arrivai su questi lidi, due sere fa, chiesi
per prima cosa di mantenere l’anonimato sulla mia identità e la
patria da cui vengo, ma ora mi vedo costretto a rivelare tutto
quanto e, dopo di ciò, andarmene per sempre da questo mondo
e chiedere il divorzio da costei. Ora sappiate che il mio nome è
Lohengrin, figlio di Parsifal, signore del Monsalvato e custode
del Santo Graal; quest’ultimo m’impose questa piccola
clausola, quando m’assegnò la missione che sto portando a
termine, inoltre mi rivelò dove si nasconde il fratello di costei,
che voi tutti pensate morto”
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quell’augusto tribunale. Arrivato al centro del circolo, a Gesù
fu chiesto: ”Sei tu il re dei Giudei?”
”È quel che tu dici”
“Hai affermato di essere il Figlio di Dio. Lo confermi?”
”L’ho detto!”
”Hai affermato che distruggerai il tempio per ricostruirlo in
soli tre giorni? Bada bene perché sei stato udito da parecchie
persone, mentre lo dicevi”
”Così dissi”
“Il Figlio dell’Uomo, unto da Dio prima dei secoli, vi
annuncia che il giorno del Signore è il primo dopo il Sabato, e
la Torah è completamente da cambiare perché il popolo eletto
l’ha completamente travisata!”
Pilato era momentaneamente presente ed intervenne dicendo:
”Che fece costui per non rispettare il Sabato ed abolire la vostra
cosiddetta Torah?”
”La nostra legge vieta di curare di Sabato, ma costui ha
guarito ogni sorta di male in tal giorno, per di più con ogni tipo
di mala arte!”
”Quali sono queste male arti?”
”È un mago, scaccia i demoni in nome di Belzebù, il Re delle
Mosche!”
”La guarigione degli indemoniati non è opera di uno spirito
immondo, ma del nostro Esculapio!”, subito i giudei convinsero
Pilato che il Messia era da processare. Ma Pilato disse: ”Per ora
io non ho ravvisato in lui nessuna colpa, adesso io devo tornare
al mio lavoro che si sta accumulando sulla mia scrivania,
quando avrete finito di interrogarlo vedremo che posso fare
all’interno del vostro dibattito”
”Hai detto un’enorme quantità d’eresie, sai cosa comporta la
colpa della bestemmia?”
”Posso solo immaginarlo, ma voglio che me lo dica tu stesso,
Caifa”
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”Tale accusa comporta la morte per lapidazione, ma essendo
sotto una potenza straniera dobbiamo stare sotto le loro leggi”
”Se volevate arrestarmi e processarmi, avete avuto molte
occasioni in passato, quando predicavo in mezzo a voi nel
tempio, perché non lo avete fatto in quelle occasioni?”
”Potevamo farlo diverse volte, ma non abbiamo mai avuto il
pretesto giusto per metterti le mani addosso, ma ora c’è stato
concesso”. Presa una pausa molto teatrale, Caifa riprese a dire:
”È giunto il momento di portarlo davanti al governatore Pilato”,
così l’intero gruppo prese la strada per il palazzo senatorio con
molto strepito; finalmente, a metà mattinata, il prigioniero fu
portato alla torre Antonia. Come il gruppo arrivò davanti
all’entrata, una guardia stese inconsapevolmente il proprio
mantello davanti al Messia, dicendo: ”O Signore passa su di
questo mantello ed entra, perché il governatore ti chiama”. A
vedere quella scena ed udendo quelle parole, i giudei
s’indignarono e, una volta entrati, si rivolsero a Pilato dicendo:
”Come osa quella guardia onorare in quel modo una persona
che sta per essere processata e condannata a morte”
Pilato cedette immediatamente alle proteste dei giudei e
chiamata la guardia, gli disse: ”Che facesti, stolto, non sai che
costui è stato chiamato alla mia presenza per essere processato,
anche se non ci trovo nulla di sbagliato?”
La guardia prese il coraggio a due mani e controbatté a questo
rimprovero con le seguenti parole: ”Mio signore, devo
ricordarti che pochi giorni fa questi stessi giudei fecero entrare
quest’uomo in modo trionfale, per non dire regale, in
Gerusalemme, sventolando lungo la via diverse foglie di palma
e tappezzando le strade attraversate da costui con i loro
mantelli”
”Vedo che sei molto ben informato sugli ultimi avvenimenti
accaduti in città, ora torna immediatamente al tuo posto e stai
attento a quel che fai”, ma la guardia ignorando l’avvenimento
ripeté esattamente gli stessi gesti e le identiche parole di poco
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prima d’aver vibrato il mortale colpo, ma il misterioso cavaliere
riuscì a fermarli prima che questi potessero guadagnare la porta
e fuggire, infine disse, a quei traditori: ”Visto che avete tradito
me, la mia adorata sposa e la fiducia del vostro re, la
momentanea pena che v’infliggo è di prendervi cura di questo
cadavere e di presentarlo ad Enrico durante la grande adunata
che domani deve precedere la battaglia contro le orde barbare
che ci stanno invadendo”. Com’ebbe finito di parlare, il
cavaliere si voltò per continuare il proprio idillio con Elsa, ma
s’accorse solo in quel momento che la dolce sposa era nel
frattempo svenuta, e corse a soccorrerla, intanto i sicari se
n’andarono mestamente, portandosi addietro il corpo senza vita
di Friedrich; finalmente Elsa si riprese ed il cavaliere le disse:
”Mia cara sposa ora riposatevi che una volta che il sole sarà
levato, vi darò motivo di novelle sorprese, ma ora conviene che
andiamo entrambi a letto per dormire”.
Il mattino successivo, l’intiera zona alle foci della Schelda si
svegliò allo squillo delle trombe dell’esercito che richiamava
gli armati all’adunanza di fronte al re; una volta che furono tutti
radunati, Enrico li ringraziò calorosamente per il loro
intervento nelle difese del sacro suolo natio, ma ad un tratto
s’accorsero tutti che mancava il misterioso cavaliere, allora il re
disse: ”Come mai la spada mandata da Dio non s’è ancora
presentata al mio cospetto, nonostante i ripetuti appelli delle
mie trombe?”. Il re ebbe appena il tempo di pronunciare quelle
parole, che quattro brabantini si presentarono recando un corpo
coperto da un sudario; a quella vista il re volle sapere come
osassero presentarsi a lui con un simile corpo così corrotto,
allora uno di quegli uomini, senza dir nulla, prese un lembo del
lenzuolo e scoprì l’identità del defunto.
A quella vista tutti i presenti si scostarono con orrore,
riconoscendo nel cadavere Friedrich von Telramund, colui che
fu bandito solamente il giorno prima; allora uno dei brabantini
che l’avevano recato in quel loco, si fece sentire e disse: ”Mio
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per l’eternità, ora mi vedo costretto ad allontanarmi da te per
sempre. Ora consolati che almeno per questa notte giaceremo
assieme, secondo la più casta tradizione, ma domani,
all’adunata ordinata dal re per partire alla guerra, rivelerò
quanto mi fu chiesto, quindi sarò costretto a partire per
tornarmene da dove sono venuto, dopo di che dovrò far in
modo che non mi vediate mai più in questo mondo mortale e
peccatore”. A confermare quelle parole del cavaliere, subito,
dal vicino fiume, si sentì un uccello che s’avvicinava nuotando,
Elsa s’affacciò, nel sentire quel suono e si voltò
immediatamente, con moto di sorpresa ed iniziò a dire: ”Mio
signore, allora non c’è più speranza per la mia felicità e dovrete
lasciarci subito dopo aver rivelato tutto quello che era stato
giurato di celare, ma come potrò salvare il mio misero ducato,
se nessuno lo difende al mio fianco?”. Il cavaliere annuì con la
testa, poi disse: ”Purtroppo era la cosa che avevo giurato di
fare, se non fossi stato costretto a rivelare il mio nome, ma per
quanto riguarda il tuo ducato non ti devi preoccupare perché
ben presto rivelerò l’identità del novello difensore del tuo
casato e contemporaneamente ti scagionerò totalmente dalle
colpe di cui t’accusarono nei giorni scorsi”
Proprio in quegli stessi istanti, Elsa intravide nell’ombra
dell’ingresso a quelle stanze, cinque losche persone che
tentavano di non farsi vedere, immediatamente la duchessa
s’avventò sulla spada dello sposo e, sguainatala, gliela porse,
dicendo: ”Mio sposo e signore, difendete il vostro onore e la
vita d’entrambi da un così inetto e subdolo atto di codardia e
disonesta nei nostri confronti”, infatti, in quel preciso
momento, Friedrich entrò nel cerchio di luce creato dalle
candele, con uno stocco snudato, tentando d’uccidere il
misterioso cavaliere. Questo ultimo atto fu molto più veloce e,
presa la spada, uccise, con una sola stoccata, il Telramund,
mentre i suoi seguaci scapparono immediatamente, presi dal
panico estremo, perché si videro così misteriosamente scoperti
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prima; finalmente il Cristo fu fatto entrare nella sala del
pretorio.
Intanto la moglie del governatore lo avvicinò, dicendogli
sottovoce: ”Marito mio, non aver nulla a che fare con
quest’uomo, perché stanotte sofrii a cagione sua!”. Allora
Pilato si rivolse ai sacerdoti ed al popolo giudaico, dicendo:
”Sono spiacente per voi, ma quest’uomo è troppo potente
perché sia io a giudicarlo, prendetevi voi la responsabilità di
quest’atto!”
”Non ti abbiamo forse ricordato che questo presunto Messia è
un mago? Avrà mandato una visione ingannatrice a tua
moglie!”. Sentiti i capi d’imputazione dei sacerdoti, Pilato si
rivolse a Gesù, dicendo: ”Senti, quanto stanno dicendo nei tuoi
confronti? Che hai da dire per difenderti da queste gravissime
accuse?”. Allora Pilato si rivolse ai presenti, dicendo: ”Ora
voglio restare da solo con costui, vi prego di uscire tutti quanti
da questa sala”
Rimasti soli, Pilato chiese a Gesù: ”Che devo fare di te?”
”Quello che ti è stato stabilito dalla storia per te”
”Molto bene, ma cosa mi è stato assegnato?”
”Mosè ed i profeti hanno stabilito che io debba morire sulla
croce e resusciti”
”Hai sentito i capi d’imputazione su di te, cosa hai da dire a
tua discolpa?”, Gesù non rispose; Pilato continuò a pungolarlo
per strappargli altro, senza successo. Alla fine Pilato,
esasperato, sbottò: ”Ma non hai niente da dire?”
”Tutto quello che hai detto è vero, ma non sono il re di questo
mondo”. Detto questo Gesù tacque definitivamente. Intanto i
giudei stavano spiando quanto accadeva, udendo le risposte del
Cristo, rientrarono gridando: ”Costui è accusato di blasfemia,
deve morire!”
”Se quanto ha detto è bestemmiare, prendetelo pur voi e
condannatelo nelle vostre sinagoghe, ove potete giudicarlo
secondo la legge ebraica”
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”Chi bestemmia Dio è passabile per lapidazione!”
”In costui non ho trovato colpa, che devo farne?”
Dall’esterno il popolo, che era stato sobillato dagli uomini del
Sinedrio, iniziò a gridare: ”Crocifiggilo, crocifiggilo!”
”Ma non ci sono gli estremi per crocifiggerlo! Inoltre è
impossibile che tutta la popolazione sia d’accordo”
”Invece è così! Perché si è dichiarato figlio di Dio, quindi
blasfemo contro la legge mosaica, e re, quindi contro le leggi di
Roma”. Allora si alzò Nicodemo, uno del Sinedrio, e pieno di
collera disse: ”Possibile che questo sant’uomo sia stato per
tanto tempo tra noi, anche sferzandoci con le sue parabole e
risposte, e lo accusate solo ora? Secondo me avete tutti paura di
lui e del suo potere oratorio che vi sta facendo diminuire gli
accoliti e lo volete solo per continuare secondo i vostri comodi”
Allora si alzò in piedi Anna, che era uno dei due sommi
sacerdoti, e disse, in nome del Sinedrio: ”Sentite costui, che fa
parte del Sinedrio, eppure a me non interressa più cosa volete
fargli”
”Vogliamo che sia crocefisso”
”Difende quel blasfemo di un Nazzareno! Propongo di
crocifiggere anche Nicodemo!”, alla minaccia di far
crocefiggere anche Nicodemo, molti miracolati si fecero avanti
per testimoniare l’accaduto, ammettendo, però, tutti quanti il
particolare delle guarigioni di Sabato. Allora Pilato prese la
parola, dicendo: ”Perché volete spargere il sangue di un
innocente?”, ma nessuno seppe il vero motivo. Sentendo
questo, Pilato s’avvicinò ad un bacile che era nella sala e,
lavandosi le mani, disse: ”Dato che io non ho trovato colpe in
costui che mi avete portato, io me ne lavo le mani e vi lascio
l’intiera colpa di quanto potrà accadere in seguito”
Infine Pilato congedò tutti gli intervenuti, tranne Nicodemo ed
altri dodici discepoli del Messia, dicendo: ”Voglio che voi, qui
rimasti, mi diate consiglio su come comportarmi in questo
frangente!”
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immediatamente e rispose: ”Mio signore, voi m’avete arrecato
la salvezza, quindi devo respingere ogni dubbio che è stato
insinuato e combatterlo con l’amore che provo per voi qui
presente con me!”, detto questo, Elsa si strinse al petto del suo
sposo, mentre le campane e l’organo presero a suonare a festa,
quindi il cavaliere del cigno prese Elsa per mano, conducendola
alla testa del corteo nuziale assieme ad Enrico, mentre Ortrud,
da un lato della piazza alquanto nascosto, gli faceva un segno
quasi di vittoria. In quello stesso istante i due sposi entrarono
nella cattedrale accompagnati dal re e dall’intiero corteo.
Capitolo 69
Finiti i riti del matrimonio, i due sposi furono accompagnati
dall’intiera corte alle loro stanze, per far sì che potessero
compiere con la dovuta calma il loro dovere verso imene.
Finalmente i due innamorati si ritrovarono completamente soli
ed il misterioso cavaliere avvicinò a se Elsa, accompagnandola
nelle vicinanze d’una finestra, ivi giunti entrambi
s’abbracciarono teneramente, mentre attendevano che i canti
nuziali della corte si fossero definitivamente dispersi; sicuri che
furono che nessuno potesse tornare indietro a disturbarli, il
cavaliere aperse completamente le vicine finestre ed iniziarono
a baciarsi teneramente. Ad un tratto Elsa si discostò dall’amato
e disse: ”Mio signore, voi mi chiedeste di fidarmi di voi, ieri,
quando arrivaste alla presenza mia ed a quella del nostro
amatissimo re, ma l’insinuazione che i perfidi fecero questa
mattina, all’inizio della cerimonia, continua a farsi pressante
nel mio cuore, quindi vi scongiuro d’infrangere il giuramento e
rivelarmi quanto quegli abbietti vogliono, dopo di che sarò
completamente tranquilla della vostra parola”.
Il misterioso cavaliere si scostò meravigliato dalla moglie ma
alla fine, ripresosi da quell’inaspettata richiesta, la riprese tra le
proprie braccia ed iniziò a dire: ”Mia dolce e pura sposa, non
posso biasimarti per quel tarlo che altri ti hanno inculcato, ma
dovevi resistere a quella tentazione, se volevi avermi tuo sposo
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amata; parimenti Elsa aveva i propri sentimenti divisi tra la
fedeltà verso chi stava per sposare ed il dubbio insinuatogli
dalla coppia blasfema, tutti rimasero ammutoliti in quei
sentimenti finché il re e tutti gli uomini presenti non si rivolsero
al paladino dicendogli: ”Noi ci fidiamo ciecamente di voi, dato
che v’abbiamo eletto nostro eroe personale”. Subito tutti i
presenti si rimisero nel dovuto ordine per riprendere la marcia
verso la cattedrale, ma Friedrich prese da parte Elsa e, una volta
che furono sufficientemente lontani, le disse: ”Buon’Elsa, devi
fidarti di me, se vuoi conoscere la vera identità di colui che ti
hanno concesso come sposo, perché ho un mezzo che te ne darà
la totale certezza”, ma la buona damigella lo riconobbe e se ne
scostò spaventata, cacciandolo via in malo modo. Vedendosi
respinto in quel modo, Friedrich si fece ancor più vicino e le
disse: ”Lascia che gli faccia una piccola ferita in qualunque
parte del corpo, così potrai finalmente vedere di qual pasta sarà
quel fellone che vai a sposare, sappi inoltre che questa notte ti
sarò accanto così, quando avrai bisogno di chiamarmi senza
disturbare altra gente e fare, in questo modo, una cosa ben più
pulita”.
Elsa fu enormemente raccapricciata per quel terribile piano e
tentò ulteriormente di scacciare Friedrich, ma per sua fortuna,
in quel preciso istante s’avvicinò anche il diletto sposo pre
ricondurla in seno al corteo, ma, riconoscendo subito i due
conti reietti, li maledisse mandandoli via dalla propria vista, al
che Friedrich ed Ortrud s’allontanarono facendo un gesto di
doloroso furore. Immediatamente il nobile cavaliere si poté
dedicare completamente ad Elsa, infatti, afferrandola per mano,
le disse: ”Mia dolce sposa, ora puoi rialzarti tra le mie mani e
seguirmi fiduciosa tra coloro che ti vogliono bene, anche se
capisco che il dubbio ti sta ossessionando terribilmente; ti
comprendo talmente bene che mi viene dal cuore il chiederti se
vuoi farmi la fatidica domanda che sta passando nella mente di
tutti quanti?”. Sentendosi parlare in quel modo, Elsa si riebbe
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Nicodemo si alzò a sua volta, dicendo: ”Penso che sia una
buona cosa dare al nostro Rabbì a quella gente e stiamo a
vedere cosa succede”
Durante la festività della Pasqua ebraica, era tradizione
rilasciare un prigioniero. Forte di quella tradizione, Pilato
s’affacciò al loggiato del palazzo, dicendo: ”Secondo la
tradizione devo liberare un prigioniero, chi volete ancora tra
voi, Barabba o questo Gesù detto il Nazzareno?”
”Barabba, Barabba!”
”E del Nazzareno che devo farne?”
”Crocifiggilo, crocifiggilo!”, allora Pilato consegnò Gesù al
manipolo che era ivi presente. Arrivato nel cortile del pretorio,
Gesù fu denudato e legato ad una colonna ove fu fustigato a
sangue, quindi gli addossarono un mantello porporino e gli
misero in testa una corona di spine, subito fu nuovamente
percosso sulle guance, con tanto di sputi ed insulti. Alla fine gli
caricarono una croce sulle spalle ed iniziarono a condurlo nel
luogo del cranio per giustiziarlo tramite crocifissione; lungo il
percorso, il condannato cadde tre volte. L’ultima volta una pia
donna gli terse il sudore con un panno appena ritirato dal
tessitore. Una volta riposato, Gesù fu fatto ripartire con l’aiuto
di un passante. Quel passante era ancora una volta Giuseppe
d’Arimatea che accompagnò il condannato fino al luogo
dell’esecuzione.
Giunti al Golgota, Giuseppe fu fatto allontanare e Gesù fu
inchiodato alla croce, senza che egli prendesse la miscela
d’acqua e mirra come vuole la prassi per questo tipo
d’esecuzione, verso mezzogiorno il Messia guardò ai piedi
della croce e vide che c’erano la madre con l’apostolo
prediletto e disse: ”Madre, ricevi tuo figlio in casa. – poi rivolto
al discepolo che ama – ecco tua madre”, finito di parlare che
ebbe Gesù si fece tutto buio nel mondo allora conosciuto ed il
Messia lanciò un forte grido, spirando. Contemporaneamente ci
fu un forte terremoto ed il velo del tempio si squarciò, allora un
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centurione, che si chiamava Longino, vedendo come Gesù
morì, disse: ”Veramente costui era figlio di Dio” ed
immediatamente si mise a cercare i suoi seguaci, che lo
accettarono tra loro. Molti giudei vedendo tutti questi gesti,
iniziarono a battersi, gridando: ”Maledizione alle nostre colpe!
È sceso il giudizio su Gerusalemme”
Contemporaneamente l’Iscariota vide come stava andando a
finire il proprio tradimento, tornò al Sinedrio e disse: ”Sono
pentito di quanto ho fatto, è vero ho condannato un’innocente,
quindi vi restituisco i trenta denari che mi avete dato per il
tradimento”. Ma il Sinedrio lo scacciarono con disprezzo,
dicendogli: ”Non ti vogliamo tra i piedi, traditore, ormai quel
che è fatto è fatto e tu non ci puoi fare niente. Ora vattene con i
tuoi trenta denari e non farti più vedere!”
Sconvolto, Giuda andò al tempio e chiese la stessa cosa ai
sacerdoti ivi presenti, ma essi gli risposero: ”Vattene o
scellerato, con i tuoi denari abominevoli e non farti più vedere
da queste parti”, allora Giuda buttò a terra il denaro e corse via
disperato, verso la propria casa, con l’intenzione si suicidarsi
per l’abominio. Giunto a casa, Giuda trovò una corda e, fattogli
un cappio, trovò un albero dove impiccarsi, dannandosi per
l’eternità come traditore e suicida.
Quando il Messia morì, Pilato e sua moglie si guardarono con
dolore, allora si parlarono tra loro per un attimo e poi il
governatore disse ai presenti: ”Siamo molto rattristati da quanto
è successo, pensiamo di rendere omaggio a quel Gesù con
l’intiera giornata di digiuno!”
Quando il sole riapparve, Giuseppe andò da Pilato e gli
consegnò il calice preso dalla sala dell’Ultima Cena e,
contemporaneamente, si avvicinò al governatore, dicendogli:
”Ormai l’uomo che hai giudicato è morto, concedimi la
possibilità di tirarlo giù dalla croce e tumularlo come si deve”
A questa richiesta, il governatore si mostrò molto sorpreso e
disse: ”Ti concedo questo favore, anche se non ti nascondo la
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cospetto sul fiume a bordo d’una barca trainata da un cigno
selvatico? Presentandosi in compagnia d’animali fatati, la sua
purezza può essere stimata estrema vanita; ora, se lo può,
pretendo che costui risponda esaudientemente a tutte queste
mie accuse, altrimenti mi vedranno costretto a dubitare di lui e
della sua purezza”. Nell’udire quelle cose, tutti i presenti si
volsero verso il misterioso cavaliere, nell’attesa d’una sua
risposta per difesa a quelle orrende accuse che gli erano state
mosse dal perfido Friedrich, ma subito il paladino si limitò a
guardare in modo compassionevole il reietto conte. Gli astanti
s’interrogarono su come il cavaliere avesse risposto a quelle
gravi accuse, al che, sentendosi così osservato, il paladino si
portò in mezzo alla folla ed infierì contro Friedrich, dicendogli:
”La mia risposta non sarà data ad una persona che ha perso il
proprio onore in un leale combattimento, inoltre accusandomi
d’essere impossessato dal maligno s’è messa in dubbio la mia
enorme purezza d’animo”. A questa risposta, Friedrich disse:
”Mio signore e re, mi rimetto a voi per aver giustizia per quanto
disse ora quel cavaliere fellone che vuol fare tanto il misterioso
nei confronti di tutti noi”, dicendo quelle parole, il perfido
sperava d’avere una rispettosa risposta almeno dal buon Enrico.
A quella perorazione così sentita, il cavaliere del cigno si fece
nuovamente udire, dicendo: ”Persino al re ed a tutti i principi
qui presenti devo tacere quanto da te richiesto, perfido, infatti
sappi che tra tutti i presenti v’è una sola persona che può
permettersi di rivolgermele, la mia adorata sposa Elsa….”. in
quell’istante il misterioso cavaliere si voltò verso la promessa
sposa e, vedendola, così fissa verso di lui, si bloccò
immediatamente e, avvicinandola, disse: ”Mia signora, come
mai state tremando in quel modo così tremendo che ci mette
tutti quanti in estrema agitazione?”. Ormai tutti avevano nel
proprio cuore quell’atroce dubbio che il misterioso cavaliere
fosse un rappresentante delle forze del male, mentre il paladino
temeva che il maligno avesse invaso il cuore della propria
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sua purezza, dovresti esserne molto preoccupata e tremarne
terribilmente”. In quel mentre i quattro trombettieri
ricomparvero dalla casa delle donne e, con uno squillo di
trombe, annunciarono l’immediata presenza del re, il quale
comparve immediatamente sulla balconata, dalla quale era
partito il corteo d’Elsa; assieme ad Enrico uscirono dalla casa
anche il misterioso cavaliere con l’intiera scorta di sassoni che
accompagnava il re. Subito Enrico s’accorse che stava
accadendo qualcosa, anche perché Elsa era andata ad
abbracciare fortemente il futuro sposo; la conferma dei sospetti
vi fu immediatamente per la subitanea comparsa di Friedrich
davanti alla cattedrale, mentre i due cortei vi si stavano
dirigendo.
Immediatamente Friedrich si rivolse a tutti i presenti e prese a
dire: ”Signori e mie ottime dame qui presenti sappiate che
costui che si proclama re dei sassoni e protettore dei brabantini
non è da considerarsi assolutamente degno di fiducia,
soprattutto perché da ascolto ad un misterioso cavaliere di cui
non si sa niente ed è tuttora qui presente tra di noi, anzi al quale
da anche la mano d’una duchessa brabantina qual è la nostra
beneamata Elsa”. Subitamente il Telramund fu assalito dalle
guardie del re che lo volevano arrestare in ottemperanza
all’editto, ma Friedrich, con supremo sforzo per farsi sentire, si
rivolse al misterioso cavaliere e prese a dire: ”Io t’accuso
d’incantesimo, nonostante il tuo fulgore presente, anzi farò di
più, pongo la domanda che tutti hanno evitato di fare per il
divieto miserabile d’uno sconosciuto. Orbene, davanti a tutta
quest’onorevole corte, misterioso cavaliere, ti domando il
nome, la condizione, il rango e la provenienza della tua
persona!”, a quelle parole la regia guardia si ritrasse sbalordita,
intenta ad ascoltare quanto il reietto aveva da dire, mentre tutti
gli altri che avevano udito, rimasero enormemente stupiti.
Vedendosi così al centro di tanta stupefatta attenzione, il
Telramund continuò dicendo: ”Costui non giunse al nostro
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sorpresa di quanto mi stai chiedendo, ma prima dovrò
richiedere ai soldati di verificare l’effettiva morte di
quell’uomo”, così Giuseppe ritornò al Golgota con una decuria
di soldati (tra cui Longino); una volta arrivati sul luogo,
Longino vibrò la propria lancia per verificare l’effettiva morte
del Messia, ma dal costato uscì solamente del sangue misto ad
acqua, ma per il resto non diede altri segni di vita. A questa
vista Giuseppe ordinò di deporre il corpo, secondo le
disposizioni del governatore, ma un gruppo di giudei
s’interpose con queste parole: ”Non possiamo permetterti di
rendere attuabile quest’ordine dei nostri occupanti, anche a
costo di ammazzarvi tutti quanti, perché se quanto ha promesso
costui, cioè di tornare in vita entro tre giorni, noi saremmo
costretti a rimetterlo a morte, la qual evenienza sarebbe troppo
il ripeterla anche per noi!”.
Allora Giuseppe tornò dal governatore a riferire quanto
accaduto, il quale rinforzò il contingente che doveva eseguire
tal ordine. Lungo la Strada Giuseppe si fermò da un fabbro che
conosceva e si fece prestare il necessario per la deposizione e
riprese, con tutti i soldati del seguito, la strada del Golgota.
Giuntivi, per la seconda volta le guardie giudaiche bloccarono
il passaggio, dicendo: ”Non possiamo permetterci che i seguaci
di costui ci possano gabbare in questo modo, anche se vi è
l’ordine perentorio del governatore degli odiati romani”
”È meglio che vi scansiate dal passaggio prima di provare voi
stessi la durezza delle leggi dell’impero e possiate averne
tardivo pentimento”, a queste parole, i giudei discesero da
Pilato per chiedere il giusto nei confronti di Giuseppe, ma
intanto quest’ultimo si era gia arrampicato sulla croce per porre
in atto l’agognata deposizione. Deposto che fu Gesù dalla
croce, lo lavarono completamente, raccogliendo il liquido
uscito dalle piaghe nel calice dell’ultima cena, lo trattarono in
modo da poterlo posare provvisoriamente in una tomba vuota
scavata lì vicino, perché si avvicinava il Sabato ed era
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dissacrante che un cadavere così rispettato da molti fosse
visibile in tal giorno. Non avendo avuto soddisfazione, i giudei
si misero di guardia alla tomba sia di giorno sia di notte per
timore dei seguaci lo trafugassero; nel frattempo Giuseppe fece
in tempo a tornare a casa.
Mentre il drappello dei giudei se ne stava di guardia alla
tomba, Gesù discese nella Geenna per portarsi addietro tutti i
giusti ivi giunti e risuscitando a tempo debito, come promesso e
dimostrando l’infondatezza dei sospetti dei giudei.
Il mattino successivo alla restituzione, le guardie alla tomba la
trovarono completamente aperta ed il corpo assolutamente
sparito, nonostante l’ininterrotta veglia lì davanti; allora,
spaventatissimi, andarono al Sinedrio a riferire il tutto. Finito il
rapporto, il Sinedrio fece in modo che la colpa della sparizione
fosse imputata a tutti i discepoli di Gesù in generale ed a
Giuseppe d’Arimatea in particolare, perché era l’unico, assieme
ad un certo Nicodemo, a conoscere esattamente il luogo di
sepoltura.
Purtroppo per i giudei, Nicodemo fu informato
preventivamente ed ebbe il tempo per fuggire; Giuseppe non fu
altrettanto fortunato, perché fu immediatamente arrestato ed
interrogato, ma egli disse: ”Di quel che mi accusate non vi so
dire nulla, tranne che lo seppellii nelle vicinanze del Golgota e
lo lasciai in custodia delle guardie giudaiche tre giorni fa. Da
allora non so più niente”. Ma i giudei risposero: ”Tu ci stai
prendendo in giro, sai benissimo dove hai nascosto il corpo del
cosiddetto Messia, sei un gran bugiardo ed un traditore della
nostra causa” ed iniziarono ad insultarlo; finiti gli insulti
Giuseppe fu fustigato e gettato nelle segrete di una torre e
muratovi dentro. Passò qualche tempo prima che Pilato si
accorgesse della scomparsa del buon Giuseppe; venutolo a
sapere se n’addolorò parecchio e disse: ”Di quest’affronto alla
legalità sia terrena sia divina i giudei dovranno pagarla molto
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gesticolare allegramente, per attirare su di loro l’attenzione
della folla presente sulla piazza, finalmente dissero: ”Create
due ali attorno ad Elsa, la nostra signora, che intende dirigersi
alla presenza di Nostro Signore nella cattedrale”
Detto questo i quattro ragazzi si collocarono in mezzo ai
nobili presenti, formando un vasto varco in direzione della
cattedrale, in modo da far passare un ricco corteo. Subito
uscirono dalle stesse portefinestre altri quattro paggi che si
disposero sulla balconata come per accompagnare un solenne
corteo muliebre, infatti il corteo di splendide dame,
meravigliosamente vestite, non si fece attendere e s’andarono a
disporre sui gradini della cattedrale, ultima tra le dame si fece
vedere Elsa, che raggiunse le compagne sulla gradinata della
cattedrale, mentre tutti i nobili presenti si tolsero
rispettosamente i cappelli e fecero ulteriormente spazio al
corteo, rimanendo abbagliati dalla bellezza di quelle altere
donne. Finalmente Elsa iniziò a salire i gradini davanti alla
cattedrale, quando dalle ultime file del suo corteo, si fece avanti
Ortrud, la quale s’era furtivamente intrufolata nonostante il
bando, e prese a dire: ”Giammai sarò una tua serva, Elsa, sappi
che non sopporterò oltre il fatto che tu m’abbia sopravanzato in
quest’occasione, anzi d’ora in avanti dovrai piegarti umilmente
anziché sia io a strisciare ai tuoi piedi come un verme schifoso;
ti dirò un’altra cosa, Elsa, voglio vendicare il mio dolore ed
avere quanto mi spetta dalla condizione sociale a cui
appartengo”
Fortunatamente i paggi reagirono immediatamente alla
sorpresa ed allontanarono da Elsa la perfida reietta; nello stesso
momento si fece avanti Elsa, che prese a dire: ”Perfida donna,
cosa vuoi insinuare in un così fausto giorno? Vuoi rivendicare
quanto la divina tenzone diede torto al tuo snaturato marito? Eri
tu questa mattina, poco prima dell’alba, che insinuasti il dubbio
sul santo cavaliere che Dio mi ha destinato come sposo, quindi
sappi che se non osi domandargli conferma del tuo dubbio sulla
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trombettieri si fecero sentire, allora l’araldo riprese la lettura
dell’editto, dicendo: ”Sappiate inoltre che la corona del
Brabante sarà conferita allo straniero mandato da Dio, su ordine
preciso d’Enrico, e che il nuovo signore non vuole essere
chiamato duca, ma protettore del Brabante ed andrà in isposo
alla bell’Elsa, che lo ha gia bramato come tale”.
Immediatamente, tra i presenti, si levarono gioiose
esclamazioni, ma i trombettieri si fecero udire nuovamente e
l’araldo prese a dire, per la terza volta: ”Sappiate tutti che il re
ha deciso di far celebrare nella giornata di oggi le ducali nozze,
perché è suo desiderio ricreare l’adunanza per la mattinata di
domani e partire contro il comune nemico sotto la sua spada”,
finito che ebbe di proclamare l’editto, l’araldo si ritirò assieme
ai trombettieri, mentre il popolo esultava enormemente per le
notizie veramente gaudiose.
In tutto quel tripudio, però, quattro nobiluomini non stavano
per niente godendo per quelle notizie appena ricevute, infatti
temevano di dover essere costretti a partecipare ad una guerra
che non sentivano propria, anzi non avevano assolutamente
gradito il così poco tempo datogli dal re per preparare i propri
reggimenti. In quel preciso istante, per loro fortuna, uscì dalla
cattedrale proprio Friedrich con il berretto profondamente
calato sulla fronte, facendosi riconoscere solamente quando fu
loro molto vicino, scoprendosi il capo e dicendo: ”Ben ascoltai
il bando che Enrico mi ha messo sulla testa, ma ho intenzione
d’accusarlo d’aver tratto in inganno Dio e discreditarlo agli
occhi di tutti i presenti per aver proclamato così presto una
guerra cosi ingiusta”, ma i quattro nobili dissidenti furono presi
dalla paura e spinsero il Telramund verso la cattedrale con la
speranza che non fosse visto. Nel frattempo uno di loro gli
disse: ”Che vai dicendo, Friedrich, se il popolo ti vede o ti sente
a dire quanto hai appena dichiarato, saresti completamente
perso per la nostra causa. Intanto dal balcone che dava sulle
stanze d’Elsa, fu invaso da quattro paggi che iniziarono a
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cara, ma per ora conviene starsene buoni, perché non so dove il
poveraccio sia stato portato da quelle serpi infide”
Nel frattempo, nel sotterraneo, Giuseppe ricevette una visita
molto inaspettata, infatti, Gesù apparve nella cella,
ricolmandolo di Spirito Santo, subito dopo Gesù iniziò a dire:
”Quanto mi hai visto subire doveva accadere per poter
annullare il peccato originale che Adamo ed Eva fecero nel
giardino dell’Eden”
”Ma siete proprio quel Gesù che vidi morire così
ignimiosamente pochi giorni fa sulla croce e di cui ho sentito
parlare come risorto?”
”Fui proprio io quella persona a cui fai riferimento, vedo che
sei alquanto perplesso a queste mie ultime parole, guarda le mie
mani ed i piedi, metti le tue dita nel costato e vedrai quanto sia
vero quanto tu stai vedendo, ora fedele Giuseppe t’impongo
d’inchinarti al mio cospetto perché ti devo consegnare una cosa
d’immenso valore”. Giuseppe ubbidì all’imposizione fattagli e,
quando alzò la testa da terra, si trovò nella cella il Sacro Calice,
allora il Risorto che lo vide stupito, gli disse: ”Questa reliquia
della mia ultima cena terrestre sarà custodita da te e dai tuoi
discenderti per sempre come oggetto veramente sacro; non
preoccuparti, Giuseppe, anche tu sarai ricordato in sempiterno
per diversi motivi, perché grazie a te fui deposto dalla croce e
per questo motivo avrai la benedizione delle generazioni future
dei miei discepoli. Inoltre ci sono alcune cose che dovranno
tenere conto da ora in avanti: I il lenzuolo con cui mi hai
coperto nella sepoltura sostituirà il pettorale del sacerdote
ebraico; II il Graal, che è la coppa consegnatati, sarà il calice
eucaristico. III la pietra che sigillò il mio sepolcro sarà la
patena eucaristica, in sostituzione del pane azzimo della Pasqua
ebraica”
A questo punto il Messia fece una pausa per dare il modo a
Giuseppe di assimilare quanto dettogli fino a quel momento,
quindi riprese a dire: ”Presti attenzione a tenere tutto quanto
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ene a mente, anche quanto sto per dirti, perché quanti
vedranno la Sacra Coppa saranno redenti e ti ricorderanno
come persona gradita a Dio, come del resto tutti quelli che
udranno quanto gli insegni tenendo tutto a mente; costoro,
inoltre non potranno subire conseguenze dalle azioni umane”.
Qui il Cristo fece un’altra pausa, poi continuò dicendo: ”Per
quanto riguarda lo avvicinarti al Graal, dovrai ricordarti delle
tre virtù cardinali, confida nella Santissima Vergine Madre e
mantieni libero il tuo orecchio alle disposizioni dello Spirito
Santo”, finito di dire ciò, l’Agnello di Dio prese congedo,
tornandosene alla propria dimora. Al che Giuseppe prese a dire
il seguente inno di ringraziamento:
Ti ringrazio, mio Signore, per il grande
Dono che Tu mi hai mandato con la grazia
Tu, Sommo Rappresentante del Padre
Tuo e Nostro su questa martoriata e trista terra.
Anche se pesante, accetto volentieri il dono
Che il mio Signore mi ha dato
Sottoforma di questo Santo Calice arrivato
Nelle mie mani in sogno.
Quanto è ricco questo Santo Calice,
Com’è chiamato questo dono,
Così sacro e prezioso che piace
In questo modo molto buono.
Negli stessi giorni, a Roma il figlio dell’imperatore si era
gravemente ammalato di lebbra; contemporaneamente un
pellegrino che aveva conosciuto il Messia e n’aveva visto i
miracoli, era ospite nella stessa città presso un amico e,
venutolo a sapere, si rivolse al suo anfitrione, dicendogli: ”Caro
amico, ho sentito che l’imperiale figlio è gravemente malato,
forse io posso fare in modo che egli possa essere guarito”
”Come puoi sperare di farlo guarire, se è affetto da lebbra e
nessun medico della capitale riesce nemmeno ad avvicinarsi
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giornata che si sta andando a creare, devi far in modo che chi ti
vuole in isposa, riveli a te la propria ignobile identità, assieme
alla sua vera provenienza, che sospetto veramente infamante”,
al che la povera Elsa fermò il proprio canto, pensando a
qualche scherzo della propria mente eccitata da quanto stava
per accadere in quella giornata.
Finite che furono quelle parole, Elsa non ci pensò nemmeno
due volte e rientrò nelle proprie stanze con la ferma intenzione
di seguire il consiglio di quella voce che non aveva ancora
riconosciuto; nel frattempo Ortrud ritornò dal marito, il quale le
disse: ”Mia cara moglie, non potevi trovare un espediente
migliore per convincere quella povera ingenua della nullità che
stava per fare a nostro danno e sfavore”. In quel preciso
momento il cielo iniziò a biancheggiare nel crepuscolo del
mattutino che precedeva l’alba, subito dalle torri s’iniziò a
suonare la sveglia per tutta città, allora Friedrich si rivolse alla
moglie dicendogli, sottovoce: ”Mia signora, è giunto il
momento di non rischiare più oltre e di rintanarci all’interno
della cattedrale alle nostre spalle, prima che qualcuno ci
riconosca e ci condanni come gli esseri più ignobili che questo
mondo possa aver concepito”, immediatamente i due coniugi si
ritirarono nella cattedrale, giusto in tempo perché le guardie
della torre più vicina comparvero nella piazza e n’aprirono le
porte per far entrare tutta la popolazione.
Negli stessi istanti, dal palazzo del re, ne uscì un araldo,
preceduto da quattro trombettieri, ed iniziò a dire, dopo che la
popolazione l’ebbe notato: ”Tutti quanti sappiano il volere del
nostro amatissimo re Enrico; Friedrich von Telramund e sua
moglie Ortrud sono banditi dal nostro cristianissimo regno, la
stessa fine faranno tutti coloro che in qualunque modo daranno
loro aiuto o ricetto, financo unirsi a quei due eretici sarà
passabile per l’esilio. Questo perché i signori von Telramund
sono rei d’aver tentato con slealtà il giudizio di Dio”. Subito
tutti i presenti maledirono la perfida coppia, finché i
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mostrasse alla svelta e cedesse immediatamente ai loro assalti
più nascosti. Ortrud e Friedrich s’erano appena accoccolati su
di uno dei gradini della cattedrale, che una finestra dl palazzo
delle donne, affacciata su di una gran balconata, s’aprì ed
apparì una figura femminile completamente vestita di bianco e
che sul momento non si riusciva a capire chi fosse. La
misteriosa apparizione femminile s’avanzò sulla terrazza ed
appoggiò il mento su d’una mano che aveva posato
negligentemente sul parapetto e si mise a contemplare
svogliatamente la notte che stava cedendo il posto ad una
pallida alba primereggia. A quella fugace visione, Ortrud e
Friedrich ebbero un sussulto perché avevano riconosciuto la
dama al chiarore della luna piena; infatti quella dolce
apparizione era Elsa di Brabante che stava pensando alla
giornata che stava per vivere, partendo dallo spuntar del sole,
durante l’attesa dell’alba, Elsa iniziò a cantare la seguente,
tristissima canzone d’amore:
Vedendo Elsa così pensosa, Friedrich la indicò alla moglie,
iniziando a dire: ”Ecco la vittima che si stava pensando ed oggi
è il momento giusto per insinuargli il dubbio fatale, dato che
non è mai successo che una persona sposasse alcuno senza che
ne conosca almeno l’identità ed il paese d’origine; passi invece
le rendite che possono avere, anche se questa voce potrebbe
essere altrettanto importante per un’imene d’alto rango come
dovrebbe essere quello d’oggi”. Fu così che Ortrud si fece sotto
il balcone dove stava Elsa e, dopo averci pensato alcuni minuti,
decise momentaneamente di non farsi vedere, ma volle far
sentire lo stesso la propria voce, dando l’impressione di
provenire dall’oltretomba. Subito Elsa sentì una misteriosa
voce che gli disse: ”Dolce dama, sii di conforto nei confronti di
due derelitti che stanno languendo ingiustamente per colpa d’un
misterioso cavaliere che ti vuole sposare seppur rifiutandosi
ostinarsi di rivelarti la propria identità e la provenienza della
propria famiglia. Ma se vuoi far felici i suddetti reietti, entro la
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tanto è ripugnante l’aspetto e lo olezzo e non si può
diagnosticare nessuna cura!”
”Devi sapere che durante i miei viaggi nel paese dei giudei, ho
incontrato una persona chiamata Gesù che riusciva a guarire
semplicemente guardando a distanza il sofferente che credeva
in lui, se vuoi puoi parlare con l’imperatore”, così il nobiluomo
si fece ricevere a palazzo e raccontò tutto nei minimi particolari
quanto aveva appena appreso. Al che l’imperatore disse:
”Quanto mi racconti è veramente incredibile, devo ascoltare di
persona quanto racconta costui, conducetemelo immantinente a
corte, cosicché possa raccontarmi tutto nei minimi particolari
egli stesso”. Finalmente il viaggiatore fu ricevuto
dall’imperatore in persona e gli raccontò tutto quello che
sapeva, compresi gli ultimi avvenimenti del giudizio di Pilato e
della crocifissione; finito che fu il racconto, l’imperatore,
visibilmente sorpreso, disse: ”Quanto mi hai appena raccontato
è veramente sbalorditivo e doloroso, soprattutto conoscendo il
governatore come persona retta e giusta, l’unica cosa che posso
fare in tal frangente è spedire in Giudea una commissione per
controllare il vero lavoro di Pilato, se effettivamente egli non
operò nei modi prescritti, rischia addirittura la morte per
decapitazione”
”Se vuoi una garanzia su quanto ho detto, trattienimi alla tua
presenza finché non si sia appurata la verità e se ho mentito
sono pronto a prendere il posto del governatore Pilato sul
patibolo” e con quest’offerta, l’imperatore mandò la
commissione senatoriale in giudea ad indagare. Nel frattempo
Vespasiano, il figlio dell’imperatore, venne a sapere quanto era
stato riferito al padre e se ne rallegrò con queste parole: ”Che
sia la volta buona che qualcuno riesca a guarirmi da questa
fastidiosa e terribile malattia della quale vorrei volentieri farne
a meno?” e nel dire questo, senza accorgersene, il giovane
principe ebbe un principio di guarigione.
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Poche ore dopo il miglioramento di Vespasiano, la
commissione s’imbarcò ad Ostia, diretti a Biblos, ove giunsero
in breve tempo, grazie anche ai venti favorevoli; come furono
sbarcati, mandarono un araldo a Pilato con il seguente
messaggio: ”L’augusto imperatore di Roma manda noi della
commissione senatoria ad indagare degli ultimi avvenimenti
che ti vedono direttamente coinvolto, Ponzio Pilato, come
governatore della Giudea, quindi ti si chiede di metterti a
disposizione per tutti i chiarimenti necessari per un equo
giudizio della commissione stessa, sappi in ogni caso che i
membri della commissione stessa sono assolutamente stupiti
delle gravi accuse di cui hanno sentito, le quali ci rendono
enormemente arrabbiati nei tuoi confronti”, ascoltato l’araldo,
Pilato organizzò immediatamente una scorta per condurlo
incontro alla commissione, raggiungendola ad Arimatea.
Incontrandosi nel foro locale, ove la commissione consegnò le
credenziali al governatore, raccontarono quanto si sapeva della
storia del Messia a Roma; finito il racconto dei senatori, Pilato
disse: ”Come prima cosa, vi accolgo col dovuto rispetto nelle
terre che amministro in nome di Roma e dell’imperatore.
Ammetto immediatamente quanto giunto alle orecchie dei miei
colleghi del senato e dell’imperatore”
L’ammissione di Pilato ammutolì la commissione, il cui capo
disse: ”Governatore, sai cosa significa la tua ammissione sulle
voci che ti vedono coinvolto?”. Pilato annuì lentamente e disse:
”Sono consapevole che la mia ammissione mi può esporre al
rischio di essere condannato a morte”
”Effettivamente quanto ci hai appena detto ci lascia veramente
sconvolti e dici giusto al rischio della tua decapitazione”.
Subito Pilato prese in mano la situazione e condusse la
delegazione in una stanza appartata, lasciando all’uscio due
guardie per garantire la segretezza dell’incontro; come furono
sicuri d’essere tranquilli, Pilato raccontò la propria versione dei
fatti, poi disse: ”Dopo che il Messia è spirato, autorizzai
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rimanermene incatenata in questo posto, in modo da poter
cambiare la nostra sventura in gioia e portare la più mesta
tristezza al cospetto dei nostri odiati nemici che in questo
preciso istante stanno godendo così grandemente in quel
maledetto palazzo illuminato la in fondo alla piazza”
Subito Friedrich gli si parò davanti e prese a dirgli: ”Moglie
crudele, non sai quanto male mi stia facendo questa tua apatia
nei confronti della situazione che stiamo subendo e che ci ha
bandito dalle posizioni che contano, dopo che al tramonto di
ieri fui battuto da quel misterioso cavaliere, che ha imposto a
tutti quanti di non domandargli nulla sul suo nome e delle
origini proprie, sarebbe quella la giustizia predicata da quella
religione fasulla chiamata cristianesimo?”. Ortrud lo guardò per
un attimo totalmente allibita per quella rivelazione che gli
aveva appena fatto; come si fu ripresa, si rivolse a Friedrich e
prese a dire: ”Per Wotan e Fricka e tutti gli antichi dei della
nostra ormai estinta religione, buon marito, mi hai appena dato
lo spunto per una meravigliosa vendetta nei confronti di tutti
coloro che odiamo, soprattutto rivolta a quel misterioso
cavaliere che c’è venuto a sovvertire tutti i piani per prendere il
potere in queste terre! Dobbiamo fare in modo d’insinuare in
quella giovane sgualdrina che è Elsa di Brabante che colui che
essa ama è frutto della più turpe e depravata magia nera, giunto
in questi luoghi per poterla rapire a suo piacimento, a meno che
quel cavaliere infingardo non voglia rivelare nome ed origine”
Friedrich sussultò momentaneamente per la lampante
semplicità di quel piano perfetto che non gli restò altro da fare
se non complimentarsi con sua moglie per averlo escogitato in
così poco tempo. Subito i due conti iniziarono ad aspettare con
pazienza il momento più opportuno per mettere in atto quanto
avevano progettato in quel preciso momento, fingendosi
mendicanti che tentavano di riposarsi all’ombra del sacro
edificio, ma in realtà stavano scrutando il palazzo delle donne,
dall’altro lato della piazza, con la speranza che Elsa si
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stava delirando dallo scorno, dicendo: ”L’Onnipotente mi ha
battuto ed a causa sua m’è stata privata la vittoria e dispero
nella salvezza, vedo perduti la mia terra e l’onore che avevo
fino ad ora”, ed immediatamente svenne tra le braccia della
moglie. Negli stessi istanti i soldati brabantini foderarono due
scudi dei propri mantelli e vi fecero salire Elsa ed il cavaliere,
portandoli in trionfo nella vicina fortezza d’Anversa, seguiti
immediatamente da Enrico e dal resto della corte e
dall’esercito, cantando la seguente canzone militare:
Onore al misterioso cavaliere
Che trainato dal cigno qui giunse;
Il perfido Telramund vinse
Dopo breve battaglia.
La bella Elena liberò,
Conquistando il cuore suo
Un solo pegno egli chiese:
Il suo nome rimanga ignoto.
Il perfido sconfitto rimane a terra
Mentre i due giovani al tempio giungono
Un Te Deum alzando di ringraziamento
Eterno amore nuziale giurando.
Capitolo 68
Quella stessa notte i conti di Telramund si ritrovarono sul
sagrato della cattedrale d’Anversa, che si trovava all’interno
della rocca e nelle immediate vicinanze del palazzo del re; dopo
qualche tempo che i due furono arrivati, Friedrich si sollevò
rapidamente dalla sua posizione vicino al portale e, scorgendo
la moglie sugli scalini, iniziò a dire: ”Avvicinati, mia
compagna di sventura, dato che è giunto il giorno e non
possiamo mostrarci in questi luoghi, quando il sole sarà
completamente alzato”, ma Ortrud non si mosse dalla sua
posizione rannicchiata presso gli scalini. Qualche istante dopo,
la perfida contessa alzò la testa e, senza cambiare oltre la
propria posizione, prese a dire: ”La vendetta m’impone di
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Giuseppe d’Arimatea a deporlo in un sepolcro, ma da allora
non so niente né del Cristo né di questo Giuseppe”. A queste
novità, la commissione iniziò ad agitarsi visibilmente e Pilato
riprese la parola e suggerì: ”Se volete avere nuove informazioni
su Giuseppe vi consiglio di chiedere in giro per la città se
qualcuno può essere utile. Intanto io agirò su due fronti: prima
informerò tutta la popolazione sul volere imperiale e poi vedrò
di scovare qualche reliquia del Nazzareno, anche se sarà molto
difficoltoso trovarne”
Quanto l’intiera popolazione giudica si era radunata nella città
ed iniziarono tutti quanti a testimoniare sull’accaduto,
descrivendo il governatore come un criminale, con colpe
discordanti, a tal punto da farlo passare nella giusta luce, anzi
una persona disse: ”Durante il calvario di quel Sant’Uomo fu
avvicinato da una donna nomata Veronica che gli deterse il
volto con un panno novissimo e candido, sul quale subito
rimase impresso il volto del Salvatore”, a queste parole, la
diretta interessata si fece avanti tutta tremante dalla paura che
gli facessero fare la stessa fine del suo Signore. Pilato,
accorgendosi del suo stato d’animo, gli si fece appresso e,
trattala educatamente da parte, gli disse: ”Non preoccuparti,
Veronica, questa gente non è qui per giudicarti e mandarti a
morte com’è successo al tuo Messia, ma sappi che stanno
cercando una Sua reliquia da portare a Roma, al capezzale del
figlio dell’imperatore, gravemente ammalato; sappiamo che tu
ne possiedi una molto preziosa!”
La Veronica trovò queste parole alquanto sospette e disse:
”Sono sicura della buona fede di questa gente, ma chi mi
garantisce che quanto sia stato detto sia stato tutto menzognero,
fin da chi ha ordinato questa faccenda alla capitale dell’impero?
Scusatemi, ma dopo quanto ho visto di recente in
Gerusalemme, mi vedo costretta a dubitare di quanto è detto da
chi è straniero della Giudea”. La commissione, a questi
ragionamenti, iniziò a guardarsi in modo interrogativo, finché il
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capo della missione si fece avanti e disse: ”Vedi, Veronica, io
stesso ho fatto visita al figlio dell’imperatore e ti assicuro che
non è uno spettacolo bello a guardarsi, inoltre il marciume
prodotto dalla malattia lo rende inavvicinabile dal gran puzzo; e
pensare che prima di tutto ciò era considerato un ragazzo di
splendido aspetto”
Veronica, sentendo questi discorsi, fu sinceramente
impietosita dello stato del giovane principe e, cambiando idea,
disse: ”Se è per un’opera di bene posso permettermi di andare a
casa a prenderla, in modo che tutti possano vederla e giudicare
se vi può essere utile al vostro nobile fine!”
”Non disturbarti più del dovuto, Veronica, siamo disposti a
sborsare qualunque cifra tu chieda per ottenere la reliquia in tuo
possesso, in modo che in seguito possiamo conservarla come si
deve”
Veronica, enormemente sdegnata, disse: ”La mia effigie non
ha prezzo ed in ogni caso non ho intenzione di venderla, quindi
se la Sacra Immagine va a Roma, ve la porto io, altrimenti resta
qui in Giudea”, allora la commissione vide la propria missione
giunta al termine col più gran successo in entrambe le questioni
perciò era stata creata; intanto Veronica fu accompagnata a casa
sua per prelevare quanto gli era stato richiesto. Ritornata che fu,
Veronica mostrò l’effigie e tutti i presenti si sentirono costretti
ad alzarsi, allora il capo della missione disse: ”Cara Veronica,
come riuscisti ad impossessarti di tale reliquia?”
”Il giorno che il mio Signore Gesù Cristo fu condotto a morte,
io ero appena andata da un tessitore in quelle vicinanze a
ritirare un sudario che gli avevo ordinato, quando Lo vidi
passare tutto sporco di sangue e sudato, cadere e rialzarsi
immediatamente, quindi mi avvicinai a ripulirgli il volto con
quel panno; solo a casa mi accorsi che vi era rimasta impressa
l’immagine del suo volto e da allora la venero assieme ai suoi
discepoli ed alla Santissima Vergine, Sua Madre, come
reliquia”. Finito il racconto della Veronica, i senatori si
16
come il re ebbe pronunciato quelle parole, le dame, assieme ad
Elsa, si spostarono sotto la vicina quercia, circondando il re,
mentre i soldati snudarono le spade e crearono un vasto circolo.
Subito sei testimoni si misero ben in vista, conficcando le
proprie lance nel terreno, in quel preciso istante s’udirono tre
grandiosi colpi, picchiati sugli scudi dei presenti ed il
combattimento ebbe inizio. Udito che fu il primo colpo,
Friedrich ed il cavaliere si presentarono sul campo lasciato
libero dai presenti, al secondo misero in posizione difensiva i
relativi scudi e sfoderarono le spade. Picchiato che fu il terzo
colpo, i due contendenti iniziarono a duellare ed il misterioso
cavaliere fu il primo a condurre il duello, vibrando un violento
colpo che stese a terra Friedrich, il quale tentò di rialzarsi, ma
fatti alcuni passi, crollò definitivamente a terra, a quel punto fu
dichiarato finito il duello a favore del misterioso cavaliere.
Immediatamente i soldati rifoderarono le proprie spade,
mentre i testimoni recuperavano le lance, quindi tutti quanti
iniziarono a festeggiare il vincitore, mentre Elsa, piena di gioia,
disse: ”Sommo vincitore per il mio onore, giorno mi desti
d’enorme gioia ed in tal dì posso chiamarmi tua sposa per la
vita, mantenendo la promessa che voi mi chiedeste di
mantenere segreta la vostra identità e provenienza” e presa
dalla gioia più estrema lo strinse al proprio petto. Il misterioso
cavaliere si riprese dalla fatica del seppur breve duello e,
scostando Elsa dalla propria persona, disse: ”Mia signora, se ho
vinto lo devo solamente alla vostra purezza, inoltre quanto
soffriste per quei due perfidi deve essere ampiamente
ripagato!”
In mezzo a tanto giubilo, ci fu anche chi non festeggiava,
infatti Ortrud fissò il proprio sguardo sul misterioso cavaliere e
prese a dire: ”Chi sarà mai costui che osò battere il più forte
cavaliere di queste contrade, nonché mio marito? Sarò io così
inerme e tremante a causa sua? Se reagissi così sarei veramente
perduta”. Subito la perfida andò a soccorrere il marito, il quale
353

senti d’essere difesa da me senza alcuna pena?”. A quelle
parole, Elsa si riscosse dal torpore che l’aveva invasa all’arrivo
del cavaliere, quindi prese a dire, cadendogli ai piedi con
enorme amore: ”Mio signore e difensore, ora puoi portarmi via
con te, perché ti dono quanto ho di più prezioso abbia di mio”.
Subito il cavaliere l’alzò e, con enorme calore, prese a dire: ”Da
quel che mi stai dicendo, in caso di vittoria in questa tenzone, ti
consideri mia sposa?”
Elsa rimase momentaneamente senza parole, guardando negli
occhi il cavaliere, poi molto lentamente scosse il capo,
dichiarandosi, in tal modo, decisa a sposarlo in caso di vittoria.
Il cavaliere, allora, s’accostò ulteriormente a lei e disse: ”Se la
fortuna volesse che diventi tuo sposo, Elsa, devi giurarmi una
cosa, di fidarti sempre ciecamente di me e non chiedermi
assolutamente mai il nome che porto, altrimenti sarò costretto a
ripartire senza mostrarmi mai più ai tuoi occhi”, la poverina
non poté fare a meno di giurare, perché s’era perdutamente
innamorata del misterioso paladino. Durante quel dialogo,
Friedrich si fece avanti, in mezzo alla folla dei cortigiani, ed
iniziò a dire, con un sorriso molto fellone: ”Così voi, signore, vi
siete imbarcato in un lungo viaggio, solamente per andare a
caccia di pulzelle e farle vostre spose, dopo averle salvate da
qualche pericolo. Sappiate, messere, che sono pronto fin da ora
per iniziare la singolar tenzone per la colpevolezza di costei”
”Ebbene, conte, sappiate che sono pronto anch’io per battermi
con voi, per l’onore di quella damigella che sono venuto fin qui
a proteggere; quella fanciulla che voi e vostra moglie state
vituperando così gravemente davanti ad una corte enormemente
onorata con un’accusa così infamante”
Sentendo quelle parole, re Enrico s’avvicinò ai due
contendenti e, facendosi sentire da tutti i presenti, prese a dire:
"Visto che siete entrambi convinti a battervi, preparatevi,
perché dopo che avrò battuto per tre volte sul mio scudo,
inizierete a duellare, finché uno dei due si dichiarerà vinto”,
352
consultarono brevemente, quindi il loro capo si fece avanti,
dicendo: ”Molto bene Veronica, considera soddisfatte le tue
richieste, va a preparare le tue cose, che come sarai pronta si
partirà immediatamente per Roma, sperando di non arrivare
tardi a salvare il principe ereditario”
L’imperatore fu immediatamente informato sugli insospettati
risultati della missione e del ritorno della commissione in
patria; a queste notizie esclamò: ”Ormai non possiamo far altro
che aspettare l’attracco della nave e l’arrivo dei messi a Roma
con tutto quello che hanno raccolto e portato, anche se è
confermata la versione del pellegrino, il quale può essere
immediatamente scarcerato”. Arrivata che fu la commissione a
Roma, il capo della stessa prese la parola in senato dicendo:
”Le voci che udimmo qua a Roma sono tutte confermate, anche
se il governatore Pilato è totalmente innocente alla cosa, anzi il
grosso della colpa deve ricadere sul popolo ebraico”
”Per quanto riguarda la reliquia di quel Messia, avete trovato
qualcosa?”
”Effettivamente siamo riusciti a trovare una donna che
possiede una reliquia molto potente di cui abbiamo gia provato
l’autenticità, visto che ci siamo ritrovati tutti in piedi alla sua
presenza, anche contro la nostra volontà, questa donna risponde
al nome di Veronica e sta arrivando a Roma al nostro seguito”
A questi detti, l’imperatore si mise subito in viaggio verso
Ostia, per andare incontro a Veronica, come furono di fronte
l’uno all’altra, l’imperatore le disse: ”Sii la benvenuta,
Veronica, non immagini quanto io sia grato al tuo fervore, ora
ti chiedo umilmente di mostrarmi la reliquia in tuo possesso”, a
tale richiesta, la Veronica mostrò la Sacra Immagine, davanti
alla quale anche l’imperatore s’inchinò per ben tre volte.
Mentre s’inchinava, Vespasiano prese a dire:
Sia ringraziato Nostro Signore
Gesù Cristo per quanto mi fece
In quest’occasione facendo furore
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Contro il terribile male con l’immagine
Del Suo meraviglioso volto.
Sia lodata questa donna che mi fece
Conoscere questa Sacra Persona
Nominata Gesù Cristo, essa si fece
Chiamare Veronica, la quale portò
Alla nostra presenza la Sacra Immagine
A cui essa prestava fede.
Quanto m’è successo venga
Reso a tutti dal più ricco al misero,
Che il Signore Iddio è colui che decide
Il bene e il male, la malattia e la guarigione,
Grazie a lui fui guarito dall’orrido male.
Finito di rendere omaggio che ebbe l’immagine, l’imperatore
disse: ”Questa è veramente la più bell’immagine d’uomo che io
abbia mai visto, maggiore anche di quelle scolpite in oro ed
argento”. Così l’effigie fu immediatamente portata da
Vespasiano, il quale come la vide fu immediatamente guarito
dal suo male e liberato dall’orribile prigione in cui era
rinchiuso; subito il principe volle sapere l’intiera storia
dell’effigie e, come gli fu narrata, sbottò: ”Quella razza di
vipere chiamata ebrei sarà completamente sterminata per
quanto ha compiuto contro il Giusto, infatti, il Nazzareno
chiamato Gesù è veramente il Re dei Re anche in virtù del
miracolo che ha compiuto nei miei confronti. Ora padre diletto
autorizzatemi a formare un esercito abbastanza forte da
adempiere questa mia promessa che hai appena udito”
”Dopo quanto abbiamo saputo, parti pure con tutte le mie
benedizioni, mio caro Vespasiano, e forma pure tutto quanto
necessario per questa tua impresa, perché essa è anche la
volontà di Roma”, dopo qualche giorno, Vespasiano era pronto
per partire per la Palestina, portandosi appresso la Veronica con
la Santa Effigie.
18
tutti i presenti, tanto che non vedendo spuntare nulla da
quell’ansa, iniziarono a guardarsi in faccia, domandandosi che
razza di creatura poteva mai essere; intanto lo sciabordio
s’avvicinava ogni secondo di più, facendo preoccupare
enormemente tutti i presenti.
Finalmente da dietro l’ansa spuntò una piccolissima barchetta
trainata da uno splendido cigno bianco; su quel piccolo naviglio
videro, perfettamente ritto in piedi e completamente armato, un
cavaliere bellissimo che s’avvicinava solennemente, mentre dal
volto traspariva una pace ed una calma celestiali. Pochi istanti
dopo quella misteriosa apparizione così ieratica, approdò ai
piedi del re e scese a terra e, rivolgendosi al cigno, prese a dire:
”Ti ringrazio, mio buon cigno, d’avermi condotto indenne e
così velocemente sino a questo loco così pieno di contrasti nei
momenti che ci hanno appena preceduto. Ora puoi tornartene
donde sei venuto e venire nuovamente alla mia presenza
quando la felicità riempirà nuovamente queste contrade, nel
frattempo devo darti il mio più sentito addio, mio caro cigno”,
subito lo splendido uccello riprese la strada per cui era venuto,
portando il misterioso cavaliere. Contemporaneamente il
cavaliere avanzò verso il re, mentre l’intiera corte rimase
totalmente e favorevolmente colpita dalla presenza così calma
di quell’armato che passava in mezzo a loro. Finalmente il
cavaliere si fermò, inchinandosi, davanti al re e prese a dire:
”Salute a te, Enrico! Sappi che il tuo nome è grande sulla terra,
m’auguro che tale grandezza non sparisca mai dal mondo”
”Ti ringrazio, messere, per quanto hai detto, anche perché
riconosco in te la presenza divina che ti ha condotto al nostro
cospetto”. Subito il cavaliere s’alzò e, volgendosi in parte ad
Elsa, prese a dire: ”Nostro Signore mi ha inviato per scendere
in campo a favore d’una fanciulla qui presente che è stata
gravemente accusata ed ora io la vedo a buon diritto! – poi si
volse ulteriormente ad Elsa e continuò a dire – dico bene, Elsa
di Brabante, che sono stato chiamato da te per difenderti? Te la
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difendermi d’arrivare fino alla vostra regale presenza e battersi
per il mio onore così orribilmente macchiato”
Re Enrico la prese per le spalle e, alzatala, gli disse: ”Mia cara
duchessa, purtroppo ho dato la mia parola e se entro tre squilli
di tromba che caratterizzano l’appello nessuno si farà avanti, mi
vedrò costretto a dichiararti colpevole e condannarti a morte,
perché non ci sarà stato alcuno che avrà dimostrato il contrario
a tuo favore”. Finito che ebbe di parlare il re, si fece udire il
secondo squillo, ma anche in questo caso nessuno comparve al
fianco della povera Elsa, che ormai iniziava a temere
seriamente per la propria vita, allora si rivolse nuovamente al re
e riprese a dire: ”Mio signore, vi supplico d’aumentare il
numero d’appelli, per dare tempo al mio cavaliere d’arrivare,
dato che viene da una terra molto lontana e misteriosa, per
potermi difendere a spada tratta ed a buon diritto, visto che il
paladino è un cuore perfettamente puro”. Enrico ebbe
un’espressione molto addolorata per quella giovane dama, ma
disse: ”Vi ricordo ancora una volta, mia signora, che la mia
parola è legge, quindi al terzo squillo se nessuno si presenta
dovrò, mio malgrado, condannarvi alla decapitazione, così ho
detto, mi spiace tanto per voi, ma ormai non posso farci più
niente”, detto questo, il re fece allontanare dalla propria
presenza la povera duchessa che ormai disperava per l’arrivo
del suo difensore.
In quel preciso momento si fece sentire per la terza volta la
voce delle trombe, sentendo quello squillo, ormai Elsa era
rassegnata a dover morire senza poter essere difesa, ma
successe qualcosa di strano che attirò l’attenzione di tutti i
presenti, infatti, dietro un’ansa della Schelda, coperta da fitta
vegetazione, si sentì lo sciabordio d’una piccola imbarcazione
che stava avvicinandosi a quel regale consesso; la cosa più
strana, però, stava nel fatto che non s’udiva il suono dei remi,
anche se la barchetta si stava avvicinando ad una velocità
veramente enorme. Quello strano fenomeno incuriosì parecchio
350
Giunto che fu in Palestina, Vespasiano fece chiamare il
governatore Pilato, come questi fu al cospetto del principe,
Vespasiano gli disse: ”Mi è stato riferito come si comportarono
le popolazioni di queste terre nei confronti dell’Unico Giusto e
sono arrivato in questi lidi per poterlo vendicare!”
”Mio signore, permettetevi di consigliarvi un comportamento
molto migliore, almeno per il momento; per colpire solamente i
colpevoli del misfatto, perché così è, dovrei essere incarcerato
finché non si viene a sapere la verità, quindi colpire solo ove è
la colpa”
”Governatore, mi hai dato un saggio consiglio, però
perdonami subito la rudezza con cui ti devo trattare, ma
dobbiamo far credere che tutto sia serio, altrimenti non
otterremmo niente di quanto vogliamo; guardie arrestate
quest’uomo”
Finito l’apparente problema col governatore, Vespasiano fece
radunare tutto il popolo giudaico e disse: ”Ho saputo del
misfatto che fu attuato con la vostra responsabilità, ora voglio
immediatamente sapere da tutti voi chi è stato a sobillare
l’intiera popolazione giudaica nella Sua morte”
”Non abbiamo accettato che il presunto Messia si proclamasse
sopra l’imperatore romano ed al pari del nostro Dio, questo lo
consideriamo atto assolutamente blasfemo e quindi punibile
con la morte”
”Per questo ho ordinato di incarcerare il vostro governatore
Ponzio Pilato, in attesa di verificare quanto egli abbia omesso
di fare il proprio dovere in questo caso”. Fatta una pausa,
Vespasiano continuò dicendo: ”Ora da parte vostra pretendo
che mi diciate chi eleggeste per arrogarsi come giudice nella
faccenda e, tra loro, chi ebbe maggiore peso nel fustigare in tal
modo un’innocente”
I giudei gioirono a queste notizie ed iniziarono a raccontare
tutti i particolari dal loro punto di vista, finendo: ”Abbiamo
giurato sulla nostra testa e su quella dei nostri figli che ogni
19

punizione ci pioverà addosso e lo abbiamo crocefisso, ma ora ci
abbiamo ripensato e chiediamo di essere sciolti da tale
giuramento”. Vespasiano, udendo queste parole, ravvisò la
slealtà e la malizia di quella gente e disse: ”Il governatore
Pilato ha agito in perfetta buona fede, quindi non è perseguibile
secondo le nostre leggi imperiali, ora ordino che sia
scarcerato”. Arrivato che fu alla presenza di Vespasiano, Pilato
si sentì dire queste parole dal principe: ”Mi scuso con te Ponzio
Pilato per aver dubitato delle tue capacità di giudizio, ora non
resta che mettere in atto una vendetta esemplare, iniziamo
subito a giustiziare trenta di questi scellerati dalla lingua
biforcuta”
Finita l’esecuzione, Vespasiano si rivolse ai giudei rimanenti e
disse: ”Se non volete subire la stessa fine, dovrete recuperare e
consegnarmi il corpo del Messia”. I giudei si guardarono un
attimo in faccia e Caifa si fece avanti, dicendo: ”Dopo che
Giuseppe d’Arimatea ne ha più saputo nulla, anzi se ci
ucciderai tutti non saprai mai neanche dove lo abbiamo
segregato”
”Ebbene se proprio lo mettete in questo modo ve la siete
cercata; si organizzino dei giochi nel locale anfiteatro ove
faremo combattere questi reietti disarmati, contro tutte le belve
che riuscirete a trovare, ma tenetene alcuni per più avanti, se
sarà necessario sacrificare anche loro”
Vedendo questa reazione della famiglia imperiale, un giudeo
si fece avanti e disse: ”Io so dove è finito Giuseppe d’Arimatea,
ma prima di parlare desidero avere l’immunità per me e tutta la
mia famiglia”. Vespasiano ci pensò alcuni minuti e poi fece un
cenno d’assenso a quell’ebreo, allora egli continuò: ”Giuseppe
fu imprigionato nelle segrete di una torre costruita qui vicino,
subito dopo che egli depose il Messia dalla croce, ricordo
inoltre che prima dell’incarcerazione fu percosso pesantemente
e dubito che ora sia ancora vivo dopo tutto questo tempo,
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cavaliere nella giusta direzione per portare a termine
l’avventura che gli era appena stata affidata.
Negli stessi istanti, la popolazione della Fiandra stava finendo
di trattare con le popolazioni della Sassonia, nella persona del
loro re Enrico l’Uccellatore, ma tra le persone ivi intervenute
v’erano due conti brabantini che non erano molto soddisfatti
della cosa, anche perché significava che tutto il loro mondo
pagano si stava scontrando inevitabilmente con la realtà
cristiana che stava dilagando in quelle regioni; quei due signori
così riottosi alle novità erano noti come Friedrich ed Ortrud von
Telramund, che avevano iniziato gia da qualche tempo a
pianificare la loro eretica ribellione contro quelle novità che
non gradivano. Una volta che le corti coinvolte nel nuovo
trattato furono riunite di fronte al re, Friedrich iniziò a dire:
”Quella vigliacca della duchessa Elsa di Brabante non ha
voluto rivelare ad alcuno che fine abbia fatto il di lei fratello
Goffredo, che sparì gia da tempo dalle nostre corti e che io e
mia moglie avevamo in custodia; sospettiamo che la perfida
sorella possa averlo ucciso per potersi impadronire dell’intiera
eredità dei loro defunti genitori”. Subito re Enrico s’alzò dal
proprio seggio ed iniziò a dire: ”Mio signore, effettivamente
m’è sembrato riferito che il piccolo duca sparì gia da qualche
tempo, quindi dispongo che se entro il terzo squillo delle
trombe della mia scorta nessuno si presenta a difendere il suo
onore, mi vedo costretto a decretare la sua colpevolezza di
fratricidio e condannarla a morte per decapitazione”. Subito si
sentì echeggiare il primo degli squilli richiesti, ma nessuno osò
farsi avanti per paura che Elsa fosse veramente colpevole di
quell’abominevole delitto di cui i conti di Telramund la stavano
accusando, allora la poverina, presa da un momento di
disperazione, si prostrò ai piedi d’Enrico ed iniziò a dire: ”Vi
prego, mio signore, lo spazio di quei tre squilli delle vostre
trombe sono ben misera cosa per permettere a colui che dovrà
349

del Ricco Re Pescatore e la custodia del Santo Graal furono
occupati da suo figlio Lohengrin che continuò l’opera del padre
e facendo prosperare sempre più il già ricchissimo reame. Un
giorno Lohengrin fu convocato dal Graal alla sua presenza; una
volta che vi fu giunto, Lohengrin vi si prostrò davanti ed iniziò
a pregare intensamente, subito il Santo Graal si fece sentire
intensamente, con queste parole: ”Buon Lohengrin è ormai
passato molto tempo dall’ultima volta che un Ricco Re
Pescatore è uscito da questi territori per soccorrere il mondo
esterno; addirittura dalla terribile battaglia in cui morirono re
Artù ed i prodi cavalieri della Tavola Rotonda. Ebbene, sappi
che nelle ormai antiche terre dei galli belgi, ormai nomate col
nome di Fiandra, v’è una duchessa chiamata Elsa, che si trova
in enorme pericolo di vita ed io t’incarico d’arrivare in quelle
contade per salvarla da quell’infamia ingiusta. Durante questa
missione che ti sto affidando, però, devi mantenere il più
assoluto anonimato e non rivelar per nessun motivo il tuo nome
ed il luogo da dove vieni; ora puoi andare nei tuoi alloggi per
prepararti a partire, con la speranza d’ottenere quanto ci siamo
prefissati tutti quanti”. Immediatamente Lohengrin ubbidì ai
voleri del Graal e s’andò a preparare per quell’inaspettata
missione. Poco dopo si ritrovò sulle rive d’uno dei fiumi del
Monsalvato per seguirlo nella direzione delle Fiandre, quando
gli si presentò una barchetta trainata da uno splendido cigno
bianco, al che Lohengrin rimase perplesso per qualche istante,
ma poi si fece sentire la voce del Graal, il quale disse:
”Lohengrin la missione che t’affidai poco fa è molto urgente e
piena di pietà, quindi è d’uopo che tu salga su quella barca che
hai nei pressi, sul fiume, confidando d’arrivare a tempo per
salvare la povera Elsa; inoltre il cigno che la traina è simbolo di
carità e purezza, oltre ad esserti utile al momento opportuno”.
Finalmente Lohengrin si decise a salire sulla barca, la quale si
scostò immediatamente dalla riva del fiume, portando il puro
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perché la cosa successe diversi mesi fa e non ci siamo più
preoccuparti di soccorrerlo”
Subito Vespasiano individuò la torre in questione e fece aprire
la botola che il giudeo indicò; come l’apertura fu
sufficientemente grande, Vespasiano si sporse e disse, a gran
voce: Giuseppe, Giuseppe d’Arimatea, ci siete?” e tacque per
qualche minuto per sentire se ci fosse risposta, ma senza esito.
Dopo dieci minuti, Vespasiano si rivolse ad un soldato della
scorta e disse: ”Trovatemi qualsiasi cosa che mi sia utile per
calarmi in quelle segrete, che lo vado a cercare io di persona!”.
Pochi secondi dopo fu procurata una fune ed una torcia accesa e
Vespasiano fu calato nel cunicolo, in fondo al quale il principe
vide un bagliore, dirigendosi immediatamente in quella
direzione.
Una volta raggiunto il chiarore, Giuseppe riconobbe il
principe e lo salutò dicendo: ”Siate benvenuto nella mia umile
dimora, principe Vespasiano, io sono quel Giuseppe
d’Arimatea che v’intesi a chiamare poco fa dalla botola aperta”
”Vedo che sei veramente Giuseppe d’Arimatea, ma dimmi
come hai fatto a sapere il mio nome?”
”Lo venni a sapere da Colui che tutto sa”
”Devi sapere, Giuseppe, che io fui affetto da lebbra e durante
la quale puzzavo a tale punto che nessuno riusciva a starmi
vicino, finché non fui guarito da un’effigie, ora voglio sapere
da te, stiamo parlando della stessa persona?”
”Ti rivelerò la cosa se mi garantisci di convertirti”
”Ti garantisco che mi converto”
”Devi sapere, Vespasiano, che a rivelarmi tutto e guarirti dalla
tua tremenda malattia è stato lo Spirito Santo, con l’intervento
da questa terra della sua verginea madre Maria”, a queste
parole, Vespasiano credette e si convertì alla nuova religione di
Gesù Cristo. Tornato dalla sua scorta, Vespasiano fece
abbattere la torre fino alle fondamenta e liberò in quel modo
Giuseppe d’Arimatea; finito quel lavoro, tutti constatarono che
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Giuseppe stava veramente bene, allora Vespasiano, davanti ai
soldati romani ed ai rappresentanti dei giudei, chiese: ”E del
corpo di Gesù Cristo cosa n’è stato?”
”Quel Giuseppe lo ha trafugato di notte assieme al capo dei
suoi discepoli, chiedilo a loro”
A queste parole, i giudei s’indignarono grandemente, allora
Vespasiano ordinò: ”Che l’uomo che ci ha condotto da
Giuseppe sia portato sulla mia nave assieme alla sua famiglia;
tutti gli altri giudei siano venduti al prezzo di un denaro ogni
trenta prigionieri”
Immediatamente Giuseppe ricevette la visita di sua sorella
Enygeus e del suo marito, Bron, i quali lo tirarono da parte,
dicendogli: ”Fratello caro ti chiediamo misericordia per quanto
successo finora”
”Non dovete chiedere misericordia a me, diletti fratelli, ma
direttamente a Dio, inoltre bisogna convertire sinceramente tutti
i giudei che potete, i quali abbisognano di essere graziati per la
morte dell’Unico Giusto con tutto il cuore altrimenti la loro vita
sarà stata pagata in modo troppo elevata”. Detto questo,
Giuseppe pensò un attimo sul da farsi e poi, rivolgendosi a
Vespasiano, disse: ”Mio signore, chiedo grazia per tutti quelli
che vorranno seguirmi”
”Viste le tue sofferenze e la tua onestà, Giuseppe, concedo la
grazia a chi desidera seguirti”, così Giuseppe, la sua famiglia e
tutti i loro seguaci vissero in Palestina per qualche tempo in
piena letizia.
Venne poi un periodo di carestia, ove i giudei convertiti
patirono pene a non finire, al punto che si rivolsero a Bron,
dicendogli: ”Qui stiamo soffrendo tantissimo, chiedi a tuo
cognato Giuseppe di intercedere presso Dio per sapere il
motivo di tanto accanimento”
”Ultimamente Giuseppe ha un sacco di problemi, tenterò di
parlargli ed assieme guarderemo cosa fare”. Immediatamente
Bron andò dal cognato, riferendogli tutte le lamentele dovute
22
un luogo di delizia dal quale un giorno potrebbe tornare a
liberare la Britannia, quando questa sarà ancora in pericolo
mortale, il posto in questione è nomato Avalon, nome che tu
ora dovrai dimenticare immediatamente e tornare ai tuoi
impegni nel regno del Monsalvato, per regnarvi finché il Santo
Graal lo vorrà, dopo di che passerai il reame a tuo figlio
Lohengrin che lo porterà ad uno splendore maggiore di quanto
tu possa immaginare”. Immediatamente la navicella riprese a
scorrere, questa volta verso il fiume, lasciando Parsifal molto
esterrefatto mentre l’equipaggio dell’imbarcazione intonò la
seguente nenia:
Un prode re sta languendo,
Dopo crudele ed infausta battaglia;
Il suo nome è Artù
E dal nipote Mordred fu tradito.
Assieme a lui molti prodi caddero,
Due soli rimasero, a portare avanti la memoria;
Il bel Belvedere, valido coppiere
Ed il prode Parsifal, dal Monsalvato.
Il primo Excalibur nel lago
Riportò, ove la Dama ringraziò;
Il secondo al Santo Calice ritornò
Dopo il pietoso rito sul tristo campo.
Quando Parsifal si riprese sommariamente e fece quanto la
vecchia dama gli aveva detto regnando ancora per parecchi anni
sul Monsalvato e custodendo gelosamente il Santo Graal.
Parte Parte diciottesima: diciottesima: le le avventure avventure di di Lohengrin. Lohengrin.
Lohengrin.
Capitolo 67.
Dopo quella terribile battaglia in Cornovaglia, ove persero la
vita tutti i suoi compagni ed Artù, Parsifal si ritirò al
Monsalvato, facendolo prosperare in modo mirabile, dopo la
lunga decadenza dovuta alla malattia dello zio, giungendo in
quel modo all’estrema vecchiaia a tal punto che dovette essere
deposto per senilità della propria mente; a quel punto il seggio
347

me, ora, portare a compimento quanto è scritto nei nostri
destini”, subito Mordred alzò la propria spada e s’avventò sullo
zio che, vedendo il collo del nipote scoperto, gli infilò la
propria arma in profondità, uccidendolo sul colpo. Cadendo in
avanti, Mordred si riversò con tutto il proprio peso sul corpo
d’Artù e con la propria spada mozzò di netto la spalla destra
dello zio, ferendolo mortalmente.
Vedendo la morte del proprio capo carismatico, l’esercito di
Mordred, od almeno quanto ne rimaneva, si dileguò
immediatamente, mentre le armate d’Artù, capitanate da
Parsifal, lo inseguirono ed uccisero tutti i sopravvissuti. Vinta
che fu la battaglia, Parsifal tornò al capezzale del proprio
amatissimo re; riconoscendo il fidato cavaliere, Artù gli disse:
”Prendi la mia adorata Excalibur, che un giorno ormai
lontanissimo estrassi dalla roccia, e portala nel lago qui vicino,
una volta che l’avrai raggiunto, dovrai lanciare quella fida lama
verso il centro dell’invaso, perché è destino che debba essere
donata alla dama del lago che accudì Lancillotto, Lionello e
Bohor durante la loro infanzia, affinché sia ripagata dei suoi
sforzi passati, quindi tornerai qui da me per assistere all’ultimo
prodigio, che sono sicuro ci sarà molto presto”. Parsifal fece
come il buon Artù gli aveva detto e, dopo aver lanciato via la
spada, vide una mano che misteriosamente uscì dall’acqua e
l’afferrò saldamente tirandola poi verso il fondo, quindi Parsifal
tornò presso Artù, giusto in tempo per vedere arrivare una
misteriosa barca che solcava silenziosamente il fiume,
attraccando vicino al corpo d’Artù stesso. Subito scesero
quattro uomini incappucciati e vestiti di nero, che presero
immediatamente in consegna il corpo d’Artù e lo caricarono sul
piccolo bastimento, dal quale comparvero tre donne che
Parsifal riconobbe come la madre e le sorelle dell’amato re;
vedendosi osservata, Ygerne si rivolse a Parsifal e gli disse:
”Cavaliere puro e folle al contempo, non disperarti per la sorte
del tuo re, perché le donne che ha amato lo stanno portando in
346
alla situazione, allora Giuseppe andò alla presenza del Graal ed
iniziò a pregare, dicendo: ”Da qualche tempo in questa regione
vi è una tremenda carestia che ci sta facendo soffrire tutti
quanti, come mai quest’accanimento verso la Tua comunità
eletta?”
”Tu sei a posto, Giuseppe, quindi non ti devi preoccupare
della situazione attuale del tuo villaggio, adesso ascolta quello
che devi fare, perché tra noi ci sono dei peccatori che non
meritano la vostra compagnia; prima di tutto mostra a tutti
quanti il Graal, ricordandovi di Lui, quindi manda tuo cognato
Bron a pescarti un pesce, di qualunque tipo. Fatto questo
imbandisci una tavola ove poserai il pesce pescato ed il Graal.
Quando tutto è pronto, tu ti metterai nello stesso posto occupato
dal Messia e fa sedere alla tua destra Bron, il quale si sposterà
immediatamente di un posto, perché quella fu la posizione
occupata dal Traditore e dovrà rimanere vuota fino alla nascita
di chi sarà degno di occuparla. Quando tutto sarà pronto,
raduna tutti i tuoi seguaci e racconta tutto quello che ti ho
insegnato, quindi fa occupare i posti rimasti liberi attorno alla
tavola, allora saprai chi è degno di seguirti, perché troveranno
tutti posto, mentre gli altri, che rimarranno a debita distanza,
dovranno essere scacciati senza pietà”. Gli eletti goderono
subito dei benefici della situazione e scordando
immediatamente i peccatori, rimasti a debita distanza, come
previsto. Qualche minuto dopo un eletto di nome Petrus
s’avvide della presenza dei peccatori e domandò: ”Sentite
anche voi la dolcezza e la serenità che c’invade?”, ma gli
interpellati non riuscirono a capire quanto fu loro chiesto.
Allora Petrus capì la situazione e sbottò: ”Voi vi siete macchiati
di una gran colpa, quando avete imprigionato Giuseppe, non
meritate nessuna compassione e siete pregati di allontanarvi da
questo luogo santo!”
Immediatamente i peccatori s’allontanarono dagli eletti con
grande stridore di denti e pianto per la vergogna subita; una
23

volta che fu tutto tranquillo, l’assemblea degli eletti si sciolse
con la promessa di incontrarsi in quel luogo tutti i giorni per
rendere grazie a Dio e perpetuare memoria di quella cerimonia
così solenne. Poco dopo alcuni peccatori ritornarono e chiesero
agli eletti: ”Che cosa avete provato, mentre eravate tutti attorno
a quella tavola così ben imbandita?”
”L’unica cosa che posso dirvi con certezza è che abbiamo
provato tutti quanti una gran gioia, ma per il resto non so dirvi
altro”
”Prima di andarcene definitivamente, ti voglio fare una
domanda, quella coppa dagli strani poteri che abbiamo visto al
centro della tavola, come si chiama?”
”Essa si chiama Graal perché da gran gioia a chi è in contatto
con Lei”, avuta questa risposta, il gruppo dei peccatori prese la
strada dell’esilio. Tornata che fu la pace, Giuseppe prese la
parola dicendo: ”Bene a questo punto ci diamo appuntamento
tutti i giorni alle nove in questo posto per commemorare
degnamente l’avvenimento”
Purtroppo per gli eletti, i peccatori lasciarono indietro uno di
loro, noto per la sua parlantina; come gli eletti si accorsero
della sua presenza, questi iniziò a dire: ”Sono stato vittima di
un’ingiustizia dovuta al caso, vi prego di riammettermi tra voi”.
A questa richiesta gli eletti si guardarono negli occhi, sorpresi,
dopo un attimo di smarrimento, Bron andò da Giuseppe e gli
chiese: ”Sappiamo che persona è questo tipo, dobbiamo proprio
accontentarlo?”
”Sai benissimo che non sta a me decidere definitivamente
queste cose, chiederò al Signore di darmi il coraggio di
giudicare con giustizia di questo caso; se ha mentito, perderà
definitivamente la sua anima”. Subito Giuseppe si rivolse al
Graal e disse: ”Mio signore, hai sentito le richieste di
quell’uomo, come mi devo comportare?”
”Fa accomodare il richiedente alla tavola, nel posto che deve
restare vuoto fino al giorno stabilito; se è puro non dovrebbe
24
Nel frattempo i morti sulla spiaggia di Dover erano stati
sepolti tutti quanti e l’esercito di Mordred, sempre incalzato da
Artù con i suoi fidi cavalieri della Tavola Rotonda e dai
rispettivi soldati, si rifugiò nella fortezza di Winchester, arrivati
che furono i due schieramenti sotto quelle mura, vi fu una
seconda gran battaglia campale durante la quale l’esercito di
Mordred subì una cocente sconfitta. Vedendosi in così gran
difficoltà, Mordred decise arbitrariamente di ripiegare
ulteriormente, arrivando dopo poco tempo nei pressi di
Tintagel, sul fiume Camel, dove tanto tempo prima visse sua
madre Morgana e vi fu concepito su zio Artù. Su quelle ridenti
sponde vi fu la più crudele delle battaglie di quella guerra
civile, tanto è vero che molti dei cavalieri più valorosi d’ambo
le parti vi rimasero uccisi, primi tra tutti quelli della Tavola
Rotonda, con la sola esclusione di Parsifal che rimase ferito
seriamente durante lo scontro. Verso mezzodì, al centro del
campo di battaglia, Artù incontrò il nipote traditore, entrambi
completamente lordi di sangue dei rispettivi nemici; a quella
vista Artù perse ogni lume della ragione, trattenendo a stento la
rabbia di aver visto morire molti dei suoi più cari cavalieri,
prese a dire: ”Tu, nipote demente, cosa ti sei messo in mente di
rubarmi moglie, onore e regno solo per bramosia di potere,
forse non sapevi che potevi avere una buona parte del regno
assieme a tuo cugino Galvano che avrebbe regnato sul grosso
del reame?”
”Caro zio, voi siete troppo buono ed io ancor più ambizioso ed
ero stanco d’aspettare il tuo trapasso per avere la mia parte
d’eredità, che da quel che sento ora, risulta essere troppo
piccola per i miei desideri, quindi ho preso al volo la prima
occasione che mi si è presentata davanti per ottenere tutto il
potere che sognavo fin da piccolo e che mi compete per diritto;
difatti ti ho destituito poco tempo dopo la tua partenza per le
Gallie e quella tua assurda guerra contro gli eserciti di Roma,
ma da quel che vedo non è andata come speravo, quindi tocca a
345

Negli stessi momenti, Mordred s’accorse che qualcuno della
corte era sparito ed immaginò che fosse corso in Gallia per
informare lo zio degli ultimi accadimenti di Camelot, allora
chiamò al proprio cospetto un araldo e gli disse: ”Fido amico
devi andare in Germania, presso i popoli dell’Anglia e della
Sassonia, per chiedere da parte mia aiuto a quelle popolazioni,
in virtù della vicinanza dei nostri rispettivi popoli”, così,
intanto che Artù risaliva il territorio delle Gallie, Mordred
riuscì a portare sul territorio della Britannia un esercito forte
d’ottantamila unità e marciò con quelli verso la piana di Dover,
dove pensava che lo zio potesse sbarcare. Difatti pochi giorni
dopo, i due eserciti si scontrarono su quelle candide scogliere,
insanguinando visibilmente le abbaglianti spiagge, ma quella
prima battaglia non diede alcun esito perché le forze in campo
s’erano equivalse in modo tragico.
Vedendo la cosa, Mordred riunì il proprio stato maggiore e
disse: ”La situazione non sta volgendo come speravo, bisogna
che ripieghiamo il nostro esercito in postazioni più sicure e
difendibili, ma prima di far ciò dobbiamo chiedere una tregua
per poter seppellire i caduti d’entrambe le parti”.
Contemporaneamente Ginevra, che era rimasta a Camelot,
venne a sapere di come la situazione stesse degenerando e,
presa da gran rimorso per il tradimento che aveva protratto col
nipote, si rivolse alle ancelle e disse: ”Mie dilette compagne, le
azioni che ho compiuto in assenza del mio re e marito sono
state veramente riprovevoli ed adesso me ne sto rendendo
veramente conto, quindi ho intenzione d’espiare tutto quanto e
ritirarmi per il resto dei miei giorni in un convento qui vicino,
ove gia molto tempo fa vissero le regine madri di Lancillotto
del lago e di Lionello suo cugino”. Pochi mesi dopo aver
raggiunto quel venerato romitaggio, la regina Ginevra morì in
odore di santità e venne sepolta con ogni onore ai piedi
dell’altare maggiore.
344
capitargli assolutamente nulla”, subito Giuseppe diede
disposizione per mettere alla prova il presunto eletto, che si
chiamava Moisé, si andò a sedere nell’unico posto rimasto,
sprofondando immediatamente con un gran rumore, mentre il
disgraziato gridò in modo orribile, quando la terra si richiudeva
sulla sua testa.
A tal vista i presenti furono molto turbati e si rivolsero al
Graal e gli chiesero: ”Come mai è successo questo prodigio?”.
Il Graal si fece sentire con queste parole: ”Quanto avete
assistito è la punizione per chi si siede in quel posto senza
esserne degno, questa persona sarà proprio un pronipote di
Giuseppe qui presente; per quanto riguarda quel peccatore
sacrilego chiamato Moisé si è perduto nella sua superbia di
avermi sfidato in completa solitudine ed aveva tentato di
svergognarvi immensamente. Da ora in poi costui non sarà mai
più nominato finché il predestinato non si sarà rivelato”
Durante quella presenza, Bron e sua moglie ebbero dodici
figli, nipoti di Giuseppe. Una volta che quei ragazzi furono
sufficientemente grandi, Bron andò da Giuseppe e gli chiese:
”Che devo farne di tanti figli che mi sono stati dati?”
”Mio caro Bron, non è ancora arrivato il momento di sapere
cosa sarà di loro; ti garantisco che te n’accompagnerai al
momento giusto!”. Subito Giuseppe sentiva che non aveva
detto tutto quanto doveva, allora si rivolse al Graal dicendo:
”Mio Signore ho paura di aver detto troppo poco a mio
riguardo dei suoi numerosi figli, che devo fare a tal proposito?”
Allora un angelo si presentò a Giuseppe, dicendogli: ”Parla a
Bron, dicendogli quanto segue; tutti i suoi figli si devono
sposare credendo al loro Signore, chi di loro non lo farà, dovrà
essere servito a turno dalle sue cognate. L’unico scapolo tra i
tuoi nipoti dovrà servire il Graal, che è il mio rappresentante tra
voi”. Alla luce di quanto detto dal Graal, Giuseppe riferì il tutto
a Bron ed ai suoi figli, i quali dissero immediatamente: ”Siamo
tutti quanti pronti a procedere come vuole il Nostro Signore”,
25

alla fine della riunione familiare, e con la benedizione divina,
tutti i figli di Bron si sposarono tranne Alano, che non ne volle
sapere di trovare moglie. Così Alano fu eletto successore di
Giuseppe e rimase in casa dello zio per poter essere istruito sul
Graal e tutti i riti ad esso legati.
Giuseppe raccontò la storia del Cristo, giacché fu concepito
fino alla morte e resurrezione del Messia, finita l’istruzione
d’Alano, Dio si fece sentire con queste parole: ”Nella giornata
di domani lo Spirito Santo si farà vedere immerso in
un’abbagliante luce e vi consegnerà una mia lettera che rivelerà
come, quando e dove Alano dovrà morire”; finita la sua
istruzione, Alano fu presentato ufficialmente alla comunità
degli eletti.
Effettivamente il giorno dopo lo Spirito Santo si presentò alla
comunità di Giuseppe portando la lettera promessa e la
consegnò direttamente a Petrus, il quale fu mandato da Dio
verso nord ovest, nell’isola d’Avalon per portare in quel luogo
la lieta novella inoltre Bron sarà ricordato come il Ricco Re
Pescatore, perché quando pescò il primo pesce, tanto tempo
prima, iniziò ad avere una certa quantità di denari che diventò
veramente ingente al momento di trasferirsi verso i luoghi
destinataigli dalla Volontà di Dio.
Nel frattempo Pilato era stato richiamato a Roma per rendere
conto della questione al senato. Una volta giuntovi il pretore di
turno gli chiese: ”Ponzio Pilato hai commesso gravi crimini nel
tuo giudizio contro quel Gesù di Nazareth, perciò, finché non
sarà appurata la verità sei condannato ad essere incatenato”.
Una volta che gli auguri ebbero trovato il giorno giusto per
aprire il processo, Pilato fu condotto davanti all’imperatore,
questi gli disse: ”Ponzio Pilato ora siamo tutti qui riuniti per
giudicare il tuo lavoro in Giudea, sul processo a quel Gesù
Nazzareno che tu hai fatto crocifiggere. Ora sei autorizzato a
parlare”
26
dorata al centro della formazione per guidare gli sbandati ed
iniziarono a marciare sul nemico.
Finalmente i due schieramenti si scontrarono ferocemente e vi
fu grande spargimento di sangue; nel vedere quello scempio
delle proprie truppe, anche Artù decise d’entrare nella mischia
guidando personalmente la legione che s’era tenuto in
retroguardia, quella mossa così tempestiva e fulminea creò un
gran panico nelle schiere romane, che aumentò ulteriormente
quando anche le ultime truppe dei britanni entrarono in
battaglia, i quali risultarono decisivi nella vittoria della
battaglia stessa, nella quale Artù riuscì ad uccidere di propria
mano anche l’imperatore. Finita che fu la battaglia, i britanni
iniziarono a seppellire i cadaveri d’entrambe le formazioni, ma
quando ritrovarono il cadavere dell’imperatore Artù lo
riconobbe immediatamente e disse: ”Costui non seppellitelo
con le sue truppe, perché voglio mandarlo a Roma come
pagamento del nostro tributo”
Durante l’inverno Artù e le sue truppe conquistarono i territori
degli Allobrogi, facendo passare in quel modo la stagione
fredda; durante la successiva primavera i britanni si diressero
verso Roma, ma giunti che furono ai piedi delle Alpi, arrivò un
messaggero da Camelot e, arrivato alla presenza del re, disse:
”Sire, venni dalla vostra corte principale dove il peccato impera
incontrastato, infatti vostro nipote Mordred vi ha tradito,
inducendo la bella regina Ginevra alla lussuria più turpe con
lui, la cosa richiede il rientro della signoria vostra, al più presto,
per portare ordine alla corte”. Quelle notizie non piacquero per
niente al buon re, il quale radunò l’intiero esercito e disse:
”Azioni molto gravi della coppia reggente m’obbliga a rientrare
immediatamente a Camelot, ma su questo territorio voglio che
rimanga una legione gallica per mantenere l’ordine secondo le
mie direttive, tutti gli altri mi dovranno seguire per ristabilire
l’ordine in patria”
Capitolo 66
343

ese invana la liberazione dei prigionieri, che avevano fatto i
bretoni nella centuria di Petreio, allora Tiberio decise di ritirarsi
con le proprie truppe nella vicina città d’Autun, sperando che il
senato romano riuscisse a mandare, in suo aiuto, consistenti
rinforzi militari dalla città eterna, ma Artù lo venne a sapere e
spronò i propri uomini a tal punto che riuscirono a precederlo
lungo la strada e l’intercettarono lungo la vallata della Suesia e
quivi vi fu un’altra terribile battaglia.
Prima che quella avesse inizio, Artù divise in due tronconi il
proprio esercito e, con la propria legione, si portò alle spalle
dell’esercito romano e piantò su d’una collinetta il vessillo del
drago dorato che fu anche di suo padre, dicendo: ”Tutti i feriti
di questa battaglia prendano come riferimento questo vessillo,
in modo da potersi mettere in salvo e ricevere le dovute cure
quando l’avranno raggiunto, ma ora è venuto il momento che
ognuno di noi faccia il proprio dovere e si schieri per
contrastare il potere di chi vuole soverchiare le tradizioni e le
dure conquiste del nostro popolo. Ora è giunto il momento per
tutti d’andare all’attacco e, se necessario, versare il sangue per
la nostra libertà”. A quelle parole, i bretoni interruppero
immediatamente il discorso d’Artù attribuendogli una
grandiosa ovazione, iniziando a mostrare segni d’impazienza
per l’imminente battaglia.
Nello stesso momento, Tiberio venne a sapere della trappola
organizzatagli da Artù con le sue truppe ed iniziò a dire: ”Miei
cari soldati, qui barbari di britanni, che credono d’essere
migliori di voi solamente perché in maggior numero, vogliono
far sì che cadiamo in un’imboscata che ci hanno teso, ma non
sanno che noi li aggireremo silenziosamente per poterli
attaccare di sorpresa, anche se la cosa ci abbassa al loro livello;
ma ora è giunto il momento che ognuno di noi si metta in
formazione e sia preparato il cuneo di sfondamento per poterci,
in seguito, far strada tra le loro linee”, quindi mise l’aquila
342
”Il Sinedrio ebraico, la loro somma carica religiosa, si rivolse
a me con quell’uomo, con l’intenzione di ucciderlo perché gli
dava veramente fastidio, ma io non ho trovato in lui nessuna
colpa, anzi lo dichiarai assolutamente innocente, ma costoro,
giurando su se stessi ed i propri figli, mi obbligarono ad
emettere una sentenza di condanna, cosa che feci lavandomene
le mani! Tutto questo nonostante le chiare testimonianze della
benevolenza della folla verso i suoi gesti, il fatto fu possibile
anche grazie al tradimento di uno dei suoi che poi s’impiccò
per la vergogna”
”A dire il vero mi erano gia giunti all’orecchio i miracoli di
quell’uomo e ne fu fatto uno in questo stesso palazzo a nome
suo, quindi proclamo che Egli era veramente Gesù Cristo, Re
dei giudei” a queste parole tutti gli idoli di Roma andarono in
frantumi davanti all’intiera popolazione romana, senatori
compresi, suscitando enorme paura in tutti quanti. Finita che fu
quella risposta, l’imperatore riprese a parlare, dicendo: ”Per ora
abbiamo finito con te, ma ti voglio risentire domattina di
buonora, ma nel frattempo mi devi scusare se ti rifaccio
imprigionare, ma è per la tua sicurezza. Sia portato nei
sotterranei dell’anfiteatro”. Il mattino successivo
l’interrogatorio riprese e Pilato continuò il racconto, dicendo:
”Egli aveva un potere enorme su tutti, tanto da poter scacciare
sia i demoni sia si erano impossessati delle persone, che
addirittura la morte stessa, ma come dissi ieri fui costretto ad
agire nel modo che gli descrissi dalle pressioni di quel
maledetto popolo e dei suoi capi spirituali”
A quelle rivelazioni, l’imperatore riprese la parola, dicendo:
”Con questa tua testimonianza ti sei completamente scagionato,
Ponzio Pilato, puoi tornare libero; inoltre ordino che sia
costruito un esercito da spedire in Giudea a disperdere quel
popolo sedizioso e maledetto fino all’ultima persona”, fu così
che iniziò ufficialmente la guerra contro gli ebrei, nella quale
quell’area fu completamente purificata da quelle pericolose.
27

Poco tempo dopo, Ponzio Pilato fu trovato in casa propria
morto, trafitto dalla propria spada.
Parte Parte Parte PPrima:
P rima: La La nascita nascita ed ed infanzia infanzia di di di Merlino Merlino l’incantatore,
l’incantatore,
infanzia infanzia d’Uterpendragon.
d’Uterpendragon.
d’Uterpendragon.
Capitolo 1
Un tempo, quando le Britannia era sotto la dominazione
romana, vi viveva una splendida ragazza orfana d’entrambi i
genitori che si confidava quotidianamente col suo confessore;
ma il demonio era in agguato, il quale ebbe l’astuta idea di
mandarvi come dama di compagnia una vecchia.
Quella megera, dopo poco tempo, iniziò a dire: ”È un vero
peccato che una fanciulla così bella come sei tu non sia attratta
dagli uomini. Con quei due splendidi occhi azzurrissimi che ti
ritrovi e quelle trecce talmente bionde da fare invidia alle
mature spighe di grano, potresti avere ai tuoi piedi l’intiero
mondo maschile, anzi, incontrare quelle brave persone è
veramente stupendo sotto ogni aspetto, per poi non parlare di
quando ci si corica assieme nel talamo nuziale, allora lì sì che
danno il meglio di se stessi!”, cosicché come la poverina si fu
ritirata nella propria stanza, iniziò a pensarci seriamente. Nel
buio della notte ebbe questi pensieri: ”Se quella brutta
vecchiaccia che si professa mia amica avesse ragione, e la dolce
compagnia degli uomini fosse veramente un’esperienza unica?
Ma per ora non pensiamoci più che è ora di addormentarsi; ne
parlerò domattina col mio confessore”, difatti il mattino dopo la
ragazza andò a confessarsi dicendo tutto al suo confessore.
Finito che ebbe di parlare la poverina, il padre gli disse: ”Sappi
che in quelle parole ci vedo lo zampino del diavolo, che un
rivale veramente insidioso, ma per tenerlo alla larga esiste un
rimedio veramente infallibile, quando vai a dormire devi tenere
acceso sul tuo comodino un lume e vedrai che non succede
assolutamente niente”. A queste parole il demonio s’impensierì
veramente molto, a tal punto da dire: ”Se veramente quella
28
nello stesso istante, dal campo d’Artù, videro che per Galvano
ed i suoi compagni le cose non stavano andando per niente
bene e le guardie avvertirono Artù in persona. Subito fu
mandato fuori un contingente di britanni in rinforzo agli
ambasciatori e riuscirono in quel modo a battere abbastanza
sonoramente la guarnigione romana, che però continuava a dare
fastidio al manipolo bretone.
Ad un certo punto i due eserciti rivali si ritrovarono in una
vasta radura ed a quel punto Galvano condusse i suoi uomini in
una battaglia campale, durante la quale sconfissero
definitivamente la legione che era stata mandata contro di loro
ed a catturare il capo di quella squadra, nomato Petreio, e tutti i
soldati superstiti di quella sortita, conducendoli, poi al campo
bretone per poterli interrogare con tutta tranquillità. Arrivati
che furono tutti quanti al sicuro, dentro il campo d’Artù,
Galvano raccontò com’erano andate le cose, quindi Artù stesso
iniziò a dire: ”Caro nipote, mi congratulo con te, in questo
frangente, anche perché, data la malalingua di quel romano,
non potevi fare altrimenti; ma ora conviene che rispediamo
quei romani a Lutezia, dopo averli doverosamente interrogati
per vedere quanto possano sapere sulle intenzioni del loro
imperatore, è ovvio che durante il tragitto dovremmo fornirgli
anche un’adeguata scorta armata, per ogni evenienza. Sappiate,
inoltre, che ognuno dei partecipanti a questa sortita percepirà
un’adeguata ricompensa appena avremo un buon bottino, per
poterli ripagare doverosamente”
Finalmente la scorta fu organizzata ed il resto dell’esercito
bretone poté riprendere la propria marcia ma, lungo la strada,
s’imbatterono in una legione romana che era venuta a sapere il
tragitto degli insorti, ma l’esercito d’Artù riuscì a
temporeggiare con quei soldati per un po' di tempo, in modo
che furono raggiunti da alcuni squadroni di rinforzo, i quali
risultarono decisivi nella feroce battaglia che ne seguì
immediatamente. Quella cocente disfatta dell’esercito romano
341

crollare con un tonfo tremendo. Dopo qualche minuto, Artù si
riprese dal combattimento e, rivolgendosi a Bedevere, disse:
”Mio buon coppiere, è giunto il momento che voi spicchiate la
testa dal corpo di questo fellone”, una volta che il capo del
gigante fu staccato, i tre compagni tornarono
all’accampamento, aspettando che il loro esercito si riunisse
completamente.
Una volta che l’intiero esercito si fu radunato, iniziò la marcia
verso sud, in direzione d’Autun; raggiunta che fu quella ridente
località, l’esercito d’Artù vi trovò un’enorme formazione
armata mandata direttamente da Roma e, sul fiume Aube, si
decise l’erezione dell’accampamento, mentre Artù mandò a
chiamare suo nipote, dicendogli: ”Vai con la bandiera bianca ed
assieme ad altri due dei nostri consoli, alla presenza
dell’imperatore Tiberio. Una volta che sarai alla sua presenza
dovrai annunciargli che si deve ritirare dalle Gallie, altrimenti
ci sarà un grande spargimento di sangue da ambo le parti”. Una
volta che furono giunti davanti all’imperatore, Galvano ed i
suoi compagni riferirono l’ultimatum di re Artù ma Tiberio
replicò immediatamente dicendo: ”Torna dal tuo re e digli che
la Gallia è provincia romana ed è mia intenzione, come
imperatore di Roma, continuare a governarla per mezzo dei
miei governatori”. Subito il nipote dell’imperatore si fece
avanti e disse, con sommo disprezzo: ”Mio signore, vi ricordo
che i britanni hanno la pessima abitudine di vantarsi invano, per
non combattere grazie alla loro cronica codardia”, ma il giovine
non poté vivere oltre perché Galvano prese mano alla propria
spada e spiccò la testa del dissennato ragazzo, il quale cadde
morto all’istante. Subito Galvano ed i suoi compagni corsero ai
rispettivi cavalli, andandosene di gran carriera, uccidendo tutti i
soldati che gli si paravano davanti, dimostrando in quel modo
quanto il giovane principe parlava a vuoto. Nonostante quella
dimostrazione di forza da parte dei britanni, alcuni soldati
romani continuarono l’inseguimento della delegazione d’Artù;
340
splendida bionda segue il consiglio di quel cornacchione
intonacato, io sono completamente spacciato”
Bisogna sapere che la bella bionda aveva una sorella minore
che aveva gia conosciuto carnalmente gli uomini. Un sabato
sera, la minore, come suo solito, rincasò scortata da diversi
uomini, a quella vista, la maggiore disse: ”Come osate voialtri
libertini profanare la vigilia di un giorno santo in quel modo,
ora dovete andarvene, altrimenti vi dovrò scacciare con la
scopa come si fa con i cani randagi e rognosi”, ma quelli
iniziarono a batterla crudelmente, a tal punto che la poverina,
gridando all’inverosimile dalle percosse, dovette rifugiarsi in
camera propria dove pianse amaramente fino a addormentarsi.
Purtroppo per lei, addormentandosi, si scordò di accendere il
lume come gli era stato suggerito; a quella vista il Diavolo
prese l’occasione al volo e, sollevatale la gonna, la penetrò a tal
punto da renderla incinta.
La poverina se n’accorse e, svegliandosi, iniziò a guardarsi
attorno per capire se avesse sentita veramente la penetrazione,
ma non vide nessuno e trovando tutto perfettamente chiuso, si
disse: ”Se non ho sognato, e ne dubito, allora sono stata
violentata nel sonno dal demonio” e riprese a piangere. Fattosi
il mattino, la poverina corse subito a confessarsi,
raccontandogli tutto quanto, come lei ebbe finito di raccontare
l’accaduto, il confessore disse: ”Quanto mi hai appena detto è
veramente incredibile, sinceramente se non ti conoscessi, potrei
dire che stai dissacrando il confessionale”
A queste accuse, la poverina iniziò a piangere disperatamente,
allora il chierico disse: ”Quelle lagrime sono sincere, devo
dedurre che è tutto vero, le uniche cose che puoi fare in questo
caso, sono di astenerti dalla lussuria e di venerdì mangia una
sola volta durante l’intiera giornata”
”Vi prometto che farò quanto mi hai suggerito di fare”
”Stai attenta a tutto quanto, ora ti devo dare la dovuta
penitenza e ti devo congedare”
29

Il diavolo sentendo tutto questo dialogo, si disse: ”Questo non
ci voleva, ora devo ricominciare tutto quanto da capo e trovare
una nuova vittima da stuprare” e se n’andò gonfio d’ira per
l’accaduto. Arrivò il momento in cui la casta fanciulla non poté
più nascondere la propria vergognosa gravidanza, allora le
amiche gli fecero attorno chiedendosi: ”Ma chi è stato che gli
ha fatto questo, proprio a lei che è sempre stata così casta e
pura ed aborre la presenza maschile, se non quella del clero?”
Intanto la poverina continuava a schernirsi, perché si
vergognava a rivelare la verità su quanto gli era successo. Le
amiche, gelose, si rivolsero al prefetto del luogo, dicendogli:
”La nostra amica, che noi credevamo così virtuosa, è rimasta
incinta da un uomo ignoto ed essa non voleva rivelare di chi si
trattasse”. Finito il racconto delle ragazze, la giovine fu
condannata ad essere murata viva in una torre, assistita da due
fidatissime, ed altrettanto brutte, balie finché finalmente non si
compirono i giorni del parto per la poveretta, si deve sapere che
quella stanza aveva un solo pertugio comunicante con l’esterno
da cui facevano passare il sostentamento delle tre recluse.
Alla nascita, il pargolo era veramente peloso, al che la madre,
nel timore che vi fosse una maledizione in corso, disse:
”Qualcosa del corpo di questo piccolo non mi convince se si
potesse, vorrei farlo battezzare all’istante, il suo nome voglio
che sia Merlino, come il mio defunto padre”. Il rito fu
effettivamente eseguito ed al bambino fu imposto il nome di
Merlino, come richiesto dalla madre; finito tutto quanto il
bimbo fu fatto attaccare al seno della madre per essere allattato,
rimanendo tutti quanti segregati fino allo svezzamento.
Un giorno che era sovrapensiero durante l’allattamento, la
madre disse a Merlino: ”Ora che sei abbastanza cresciuto, mio
caro figlio, dovrò morire a causa tua”
”Madre cara, quanto tu stai dicendo non potrà mai avverarsi,
finché io sarò in vita e vivrai per molti anni ancora”, al che la
poverina fu talmente sorpresa da far cadere il figlio a terra.
30
Una volta che i due interpellati furono alla presenza del loro
signore, Artù prese a dire: ”Avete sentito anche voi due cosa è
successo qui vicino nei giorni immediatamente precedenti al
nostro arrivo, ebbene sappiate che ho deciso di dare la caccia a
quel malefico gigante e, una volta che l’avrò trovato, di
ucciderlo riportando al padre colei che egli ha rapito in modo
così ignominioso”, a quelle parole Keu e Bedevere accettarono
immediatamente di partire con il loro re per quell’avventura che
aveva il mero sapore di diversivo.
Arrivati che furono a destinazione, i compagni videro brillare
due fuochi su altrettante vette vicine, allora Artù s’avvicinò a
Bedevere e gli disse: ”Mio buon coppiere, va avanti in
avanscoperta e sappimi dire quale dei due lumi che vediamo è
quello giusto”, così Bedevere s’avviò alla cima più vicina, ivi
giunto che fu incontrò una vecchia che piangeva su d’un
tumulo. Allora avvicinatosi, Bedevere le chiese: ”Buona dama,
come mai siete così disperata e lacrimante su questa tomba?”.
La povera donna, senza smettere di piangere, si volse verso
Bedevere e disse: ”Povera la mia piccola Elena,se non fosse
stato per quel perfido gigante che la ha uccisa senza alcun
motivo, inoltre non contento, il malvagio mi anche stuprato e,
per questo motivo vi supplico d’uccidermi perché non reggo a
questo disonore, ma voi è meglio che torniate sui vostri passi se
volete fuggire da morte sicura”. Bedevere non se lo fece dire
un’altra volta e, ringraziata la vecchia, ridiscese verso il luogo
ove aveva lasciato Artù e Keu, raccontando le ultime novità
sulla loro avventura, finito che fu il racconto del coppiere, Artù
ne rimase molto addolorato, ma anche molto più determinato ad
uccidere il perfido gigante; finalmente riuscirono a trovarlo
sulla vetta principale del promontorio e tutti e tre iniziarono ad
affrontarlo ferocemente, perché indignati per quanto aveva fatto
alla povera fanciulla ed all’onorata dama.
Finalmente, dopo grande battagliare, Artù riuscì ad uccidere il
gigante, infilandogli la propria spada nel cervello, facendolo
339

farceli restituire incondizionatamente, inoltre v’è imposto di
presentarvi al cospetto di quell’onorevole assemblea per portare
le debite scuse e ricevere la giusta punizione per quanto avete
fatto in questi ultimi anni”. Artù fu molto sorpreso per quelle
accuse, quindi radunò il proprio consiglio per decidere cosa era
giusto fare; la cosa andò avanti per qualche ora, visto che
nessuno dei partecipanti, alla fine di quelle interminabili
discussioni, aveva dato un giusto suggerimento, Galvano prese
la parola ed iniziò a dire: ”Non resta che armare un forte e
grande esercito, per poi partire verso sud ed attaccare in massa
la città eterna, che si sta dimostrando alquanto ingerente nei
confronti della nostra sovrana autonomia” la proposta fu
accettata da tutti quanti e la decisione fu comunicata
all’ambasciata. Subito la delegazione ripartì e riferì la risposta
negativa d’Artù al senato del popolo romano, il quale rispose
con la creazione di una sua legione per contrastare l’avanzata
del buon re. Negli stessi giorni, Artù decise la reggenza del
proprio regno e, presa la decisione, fece chiamare Ginevra ed il
nipote Mordred, l’infame, e davanti all’intiera corte, prese a
dire: ”Ormai la mia campagna di guerra è pronta per mettersi in
moto, infatti domattina mi metterò in marcia col mio esercito;
durante la mia assenza ho deciso d’affidare il governo del mio
ormai glorioso e vasto regno alle cure congiunte della mia
adorata moglie Ginevra e di mio nipote Mordred, che
provvederanno a tutti i fabbisogni durante tutto il periodo”.
Passarono così pochi giorni ed Artù, con tutto il suo esercito,
dalla Britannia si ritrovò sulle acque del mare per giungere
nelle Gallie ove attraccò in pochissimo tempo in una località
nomata Barfleur per attendere gli altri eserciti alleati.
Durante l’attesa, giunse al campo d’Artù, anche la notizia che
una dolce fanciulla nomata Elena, figlia del duca Hoel, era stata
rapita da un perfido gigante e l’aveva condotta nel proprio
rifugio sul promontorio di Mont – Saint – Michael; subito Artù
convocò Keu il siniscalco e il buon Bedevere, suo coppiere.
338
Sentendo il trambusto, le due levatrici accorsero
immediatamente alle quali la poverina raccontò l’accaduto;
come lei ebbe finito, una delle due levatrici disse: ”Mia
splendida signora, quanto mi state dicendo è veramente
impossibile che accada, ci state prendendo per il naso”. Allora
Merlino intervenne dicendo: ”Mie care balie quanto dice
l’adorata madre è assolutamente vero, non dovete dubitare di
chi non mentì mai come costei”, a queste parole le due
vecchiacce si sorpresero e corsero al pertugio per gridare
all’esterno la propria sorpresa, attirando così anche l’attenzione
dei locali pretori.
Subito la poverina fu condotta nuovamente in giudizio, ove il
pretore emise la seguente sentenza: ”Visto che è diventata
ragazza madre, senza rivelare il nome del padre, la
condanniamo alla morte sul rogo, secondo le vigenti leggi
imperiali e locali”. Sentendo quella sentenza, il piccolo Merlino
prese la parola, dicendo: ”Se costei è talmente colpevole da
essere arsa viva, la stragrande maggioranza dei presenti
dovrebbe subire la stessa sorte”
”Piccolino vedi di provare quanto hai detto, altrimenti rischi di
seguire la stessa condanna di tua madre”
”Allora fa chiamare tua madre, pretore”. Arrivata che fu la
madre del pretore, Merlino continuò dicendo: ”Tu pretore sei il
peccaminoso frutto dell’amore tra costei ed un sacerdote di
Gesù Cristo”
A sentirsi così scoperta, alla povera donna non restò che dire:
”Non ti volli mai dire niente, mio caro figlio, perché stata una
cosa veramente obbrobriosa e di cui mi vergogno
enormemente”
Il pretore restò sorpreso da queste rivelazioni e, rivolgendosi a
Merlino, gli chiese: ”Allora di chi sei figlio, da conoscere anche
le cose più nascoste?”
”Mia madre fu ingannata dal demonio, da cui ebbi il dono
della conoscenza del passato, ma mia madre è sempre stata
31

talmente virtuosa da trovare grazia presso Dio che mi diede la
conoscenza verso il futuro ed adesso ti dico che la madre
peccaminosa è andata ad avvertire l’antico amante che la loro
tresca è stata scoperta. Quindi il peccatore si andrà ad uccidere,
annegandosi in un fiume lì vicino in preda al rimorso”. Tutto
quello che Merlino predisse si avverò all’istante ed i due furono
rilasciati e la povera ragazza si ritirò in un convento, immersa
in un alone di santità e Merlino restò con lei fino ai sette anni,
quando le suore compagne della madre lo mandarono altrove a
studiare.
Capitolo 2
Negli stessi anni, a Londra, il re Costante passò a miglior vita,
lasciando il trono ai due figli ancora troppo piccoli, che si
chiamavano Moine ed Uterpendragon, affidandoli alle cure del
siniscalco Vortigen. Purtroppo Vortigen era un essere infido ed
invidioso del potere dei due bambini, a tal punto che contattò
un sicario, dandogli queste precise istruzioni: ”Prendi di
sorpresa i due principini, mentre dormono nei loro letti ed
uccidili tagliandogli la gola ad entrambi, in modo da non farti
sentire da alcuno”, ma il piccolo Uterpendragon si svegliò in
tempo per fuggire in Gallia.
Venutolo a sapere, Vortigen ordinò: ”Fate costruire una torre
che mi avverta per tempo se quel piccolo moccioso ritorno in
patria”, ma la torre crollava sempre, anche dopo diverse volte
che costruita sempre più robusta. Nel frattempo il traditore si
era fatto incoronare dal popolo britannico e vi regnava da vero
tiranno, venuto a sapere del ripetersi del problema, Vortigen
fece chiamare gli astrologi di corte e li informò dell’accaduto,
dopo essersi consultanti, questi dissero: ”Bisogna impastare del
cemento col sangue di un bambino nato sette anni fa senza
padre”
Dopo tale profezia, Vortigen mandò molti emissari per cercare
il bambino giusto, finché due di loro non s’imbatterono in
Merlino, questi come li vide, gli rivolse la parola, dicendo
32
accolti con enorme gioia e rispetto; finalmente i festeggiamenti
iniziali terminarono ed Erèc, Enide e Ghivrèt poterono, così
ristorarsi per qualche ora, finché Artù non li mandò a chiamare
davanti a tutta la corte e si fece raccontare tutte le ultime
avventure che avevano avuto nel frattempo, infine i tre
compagni accontentarono il desiderio d’Artù e rimasero a corte.
Un brutto giorno, però, re Lac, padre d’Erèc, morì e quando il
buon cavaliere lo venne a sapere fece in modo di offrire le
dovute donazioni, con annesse orazioni e messe per ricordare
l’adorato padre; fatto quanto poteva per ricordare il padre, Erèc
andò da re Artù e disse: ”Mio signore è giunto il momento di
rimettere tutti i miei possedimenti nelle vostre mani, in modo
che possiate farne quanto vi sembra giusto in questo frangente”
”Buon Erèc la cosa migliore che posso fare per voi è quella di
restituirvi quanto v’appartiene e d’incoronarvi re al posto di
vostro padre, con la preghiera di continuare a risiedere presso di
me, una volta che abbiate sistemato tutto quanto nel vostro
reame, che in questo momento verserà in un caos veramente
orrendo. Ora non devo far altro che decidere quanto ci avverrà
e la cosa migliore da fare è di fare il tutto a Nantes per le
imminenti feste natalizie”. Il giorno fissato per il grande
avvenimento, a Nantes v’era una gran folla di baroni, cavalieri
e regnanti giunti su invito d’Artù stesso, sia per rendere
omaggio alla nuova dignità d’Erèc. Una volta che furono tutti
ai propri posti, si diede inizio alla cerimonia con l’investitura di
quattromila cavalieri, i quali ricevettero da Artù in persona
ricchissimi regali, infine Erèc ed Enide furono incoronati con
enorme sfarzo davanti a tutti gli intervenuti.
Parte Parte diciassettesima: diciassettesima: la la fine fine della della Ta Tavola Ta vola Rotonda.
Rotonda.
Capitolo 65
Passò il tempo ed un giorno re Artù ricevette un’ambasceria di
Roma, la quale, arrivata alla sua presenza, iniziò a dire: ”Sire,
siete colpevole agli occhi del Senato di Roma d’avergli
sottratto vasti territori dal suo impero; c’è stato ordinato di
337

ambina ed adesso la cosa mi pesa alquanto”, finito che ebbe di
raccontare la propria storia, la sventurata tacque, dando così
modo ad Enide di raccontare la propria storia sino a quel
momento. Intanto il resto del corteo iniziò a domandarsi come
mai le due dame avevano tante cose da dirsi, finché uno dei
cavalieri più vicini, che aveva udito entrambe le storie, iniziò a
dire: ”Quelle due splendide damigelle, in realtà, sono cugine
germane e si sono ritrovate in questo frangente dopo ben dodici
anni, durante i quali nessuna delle due sapeva nulla dell’altra”.
A quella notizia tutti quanti ne furono ancora più felici, ma
quelli che giubilarono maggiormente furono Erèc e Maboagràin
che si ritrovarono improvvisamente cugini in virtù delle
rispettive dame.
Infine il festoso corteo arrivò gaiamente nel cortile del
castello, accompagnato da due ali giubilanti di folla; come
furono tutti entrati, iniziò una grandiosa festa che durò per ben
tre giorni, in mezzo a canti, danze e giochi vari, interrotti
solamente da banchetti luculliani. Al mattino del quarto giorno,
Erèc si presentò ad Evràin e prese a dire: ”Messere, vi ringrazio
anche a nome dei miei compagni per l’ospitalità che ci avete
dato, ma ormai è giunto il momento per noi di riprendere la
strada per arrivare alla nostra corte d’appartenenza, chiedendo a
voi ed alla vostra corte il debito e cortese congedo per
allontanarci dalla vostra cortese presenza”
”Buon Erèc mi spiace che voi ed i vostri compagni ci dobbiate
lasciare in un frangente così lieto, ma comprendo anche molto
bene i doveri che avete nei confronti del signore a cui avete
giurato fedeltà, quindi, seppur a malincuore, vi concedo il
congedo e raggiungerlo ovunque sia la sua corte in questo
momento”, detto questo Erèc ed Evràin s’abbracciarono, così
fecero tutti i presenti tra di loro, augurandosi vicendevolmente
ogni buona sorte; infine Erèc, Enide e Ghivrèt partirono per
giungere in breve tempo alla corte di re Artù. I tre compagni
furono ben presto avvistati e, com’entrarono a corte, furono
336
profeticamente: ”Voi state cercando un bambino che, come me,
abbia sette anni e non abbia conosciuto suo padre per ucciderlo
ed usarne il sangue in modo blasfemo, ora vi chiedo di portarmi
davanti a quel nefando re che vi diede l’ordine di cercarmi", i
due emissari si guardarono in faccia per qualche secondo, poi
pensarono che non c’era niente di male ad assecondare i
desideri del fanciullo e lo condussero al cospetto di Vortigen.
Una volta che Merlino fu davanti al re, gli disse: ”Sire, o
presunto tale perché non hai diritto a sedere su quel trono, sappi
che la torre che stai tentando di costruire, crolla sempre perché
le fondamenta poggiano sui dorsi di due draghi che ne sentono
il peso e la distruggono muovendosi furiosamente; coloro che ti
dissero di usare il sangue di un bambino nato sette anni fa per
impastare il cemento ti fanno mentito clamorosamente”
Udite queste parole, Vortigen disse: ”Si faccia scavare più in
profondità le fondamenta della torre e vediamo se questo
ragazzino ha detto il giusto”, alla fine lo scavo risultò molto
profondo, ma ne saltarono effettivamente fuori due draghi che
iniziarono ad affondarsi furiosamente. Uno dei due era bianco e
lo altro era rosso, durante il combattimento tra i due draghi
provocò enormi devastazioni nel territorio, finché il maestoso
bianco sconfisse il rosso, bruciandolo con le sue vampate.
Morto che fu il rosso, Merlino si voltò nuovamente verso
Vortigen, dicendogli: “Il drago bianco, vittorioso, è
Uterpendragon che tornerà a sconfiggerti col fuoco, infatti, tu
sei quel maestoso e perfido rosso che hai visto morire tra le
fiamme”. Infatti, pochi mesi dopo, Uterpendragon sbarcò a
Dover dove radunò un forte esercito e si diresse verso Londra;
a Canterbury il buon principe ai scontrò con l’usurpatore che
iniziò subito a perdere terreno, barricandosi subito dopo nel
locale castello.
Subito Uterpendragon cinse d’assedio il castello in modo tale
da non poter dar scampo agli occupanti e posizionò le catapulte
in modo da mirare ai tetti di legno e paglia all’interno del
33

medesimo. Quando tutto fu pronto, Uter si rivolse agli
assedianti dicendo: ”Ora non avete più scampo, se volete avere
salva la vita vi conviene arrendervi all’istante, altrimenti darò
l'ordine di sparare pallottole incendiarie sui vostri tetti,
facendovi morire tra i più atroci tormenti in mezzo alle
fiamme”
Dall’interno delle fortificazioni so fece sentire la voce di
Vortigen, che rispose: ”Giammai ci arrenderemo ad un
fanciullo moccoloso quale tu sei, che tra lo altro scappasti al
primo accenno di difficoltà, nascondendoti dietro le spalle di
quei lestofanti di galli al di la del mare”. Uterpendragon non si
fece intimorire da quel ribaldo traditore e rispose: ”Molto bene,
tiranno dei miei stivali, te la sei presa con dei bambini e con gli
inermi, ma ora hai davanti a te una persona che ha imparato
molte cose in Gallia, compresa l’arte della guerra, quindi bada a
te, Vortigen, che questa è l’ultima volta che parlerai ad una
persona libera” quindi Uterpendragon si rivolse ai propri
soldati, dicendo: ”Fate partire tutti i proiettili infuocati, e badate
bene che se qualcuno di quegli infingardi tenta di fuggire
uscendo, sia sgozzato”, partiti che furono i primi proiettili
infuocati, le strutture di legno del castello presero fuoco, il
quale si propagò con incredibile velocità in tutti i locali del
castello, facendo un’unica immensa pira degli occupanti che
morirono dal primo all’ultimo tra enormi sofferenze e gridando
orribilmente dal dolore. Alla fine della giornata sulle rovine
bruciacchiate aleggiava un acre e nauseabondo odore di carne
bruciata che fece sì di lasciare lontana qualsiasi creatura appena
un po'’ sensibile per parecchi mesi.
Una volta che furono riusciti a sgomberare il maniero di
Canterbury, Uterpendagron fu incoronato re della Britannia in
una solenne celebrazione sacra, nel più sacro dei luoghi del
regno: la costruzione di Stonehenge, poco più ad ovest di
Londra. Tornati che furono tutti alla capitale, un ciambellano si
avvicinò al nuovo re, dicendogli: ”Signore mio, sappiate che
34
copriva una splendida giovine, la quale attirò immediatamente
l’attenzione del buon cavaliere.
Erèc non fece in tempo ad avvicinarsi alla fanciulla, che subito
un cavaliere vermiglio, di straordinaria altezza, si parò di fronte
ad Erèc stesso, dicendogli: ”Messere se volete aver salva la vita
e godere della compagnia di costei, dovete battervi a duello con
me”, dopo un lungo battagliare in cui i due contendenti si
ferirono ad oltranza, Erèc riuscì a vincere la sfida. Vedendosi
così miseramente sconfitto, il cavaliere vermiglio si prostrò ad
Erèc, iniziando a dire: ”Sappiate, messere, che il mio nome è
Maboagràin e sono nipote d’Evràin, signore di questo loco,
inoltre sappiate che vi conosco molto bene, sir Erèc perché
frequentai per lungo tempo la vostra corte. Quando
m’innamorai di questa superba damigella, m’impose di
dimorare in questo giardino finché qualcuno non fosse riuscito
a battermi, ora a buon diritto potete suonare il corno che sta
laggiù, su quel palo, e fare di me quanto più v’aggrada”, così
Erèc corse immediatamente a dare fiato allo strumento, che fu
sentito da tutta la popolazione, la quale diede inizio, così, al
vero Giubilo della Corte, mentre Erèc era disarmato al centro
del prato su cui s’era duellato.
Mentre Erèc era abbigliato con il debito onore, iniziarono a
moltiplicarsi le canzoni di giubilo; contemporaneamente alcune
dame iniziarono a comporre un poemetto che cantava le gesta
del vincitore, nel frattempo tutti quanti si diressero a corte.
Durante il tragitto Enide s’accorse che la damigella era infelice,
immediatamente le s’avvicinò e prese a dire: ”Mia cara amica,
come mai quella mestizia in un giorno così bello e sereno?”
”Cara Enide, non stupirti se ti conosco, ma sappi che siamo
cugine, dato che i nostri padri sono fratelli tra loro, ma non è
questo che mi ha gettato nella mestizia più nera, ma il fatto che
me n’andai da Laluth una dozzina d’anni fa con il compagno
che mi sono scelta e battuto oggi dal tuo cavaliere, senza il
consenso dei miei genitori, tuoi zii, quando ancora ero una
335

”Vi do pienamente ragione, messere, sappiate quindi che io
sono nomato Erèc, figlio di re Lac, ed assieme a me stanno
viaggiando mia moglie Enide ed il fido re Ghivrèt, ma sappiate
che quanto m’avete appena detto non mi ha per niente smosso
dal mio intento nell’affrontare il Giubilo della Corte”
”Messer Erèc mi spiace tantissimo che voi siate così deciso ad
affrontare una prova così dura, addirittura mortale per chi ci
prova, ma ad un certo punto non posso far altro che desistere,
visto che non ho altra scelta”, detto questo, Evràin fece
sparecchiare le tavole ed andarono tutti quanti a dormire.
Capitolo 64
Il mattino successivo, presa la messa dell’alba, Erèc iniziò a
prepararsi per la nuova avventura, indossando l’armatura che
gli aveva prestato Evràin, infine scese nel cortile, ove trovò gia
pronto anche il proprio cavallo; finalmente Erèc s’apprestò al
Giubilo della Corte, mentre tutti i cittadini ivi presenti si
dolevano della cosa, ma Erèc, pur sentendo quelle
lamentazioni, le ignorò deliberatamente. Immediatamente Erèc
fu portato in un giardino perennemente in dolce stato di
primavera, ove i frutti ed i fiori erano perennemente presenti.
Una volta che Erèc fu entrato nel giardino, vide una lunga serie
di pali ove erano infissi altrettanti teschi, tranne che per il più
lontano, a cui era appeso uno splendido corno da caccia. A
quella vista, Erèc si volse verso Evràin, dicendogli: ”Messere,
come mai quel palo laggiù porta quel corno da caccia anziché il
teschio decapitato come tutti gli altri pali ivi presenti?”
”Devi sapere, o prode, che quel corno sarà suonato solamente
da chi porterà a termine il Giubilo della Corte, altrimenti sarà
sostituito con la relativa testa”. Finalmente Erèc si portò in
mezzo al campo fiorito, dopo aver baciato doverosamente
l’adorata moglie. Esplorando il loco, Erèc trovò un letto
completamente in argento, posto sotto di un fico; tale giaciglio
era coperto da uno splendido lenzuolo dorato, col quale si
334
tutto quello che accadde negli ultimi tempi, fu predetto da un
giovane mago chiamato Merlino, che vive selvatico nei boschi
dei dintorni”. Uter ne fu molto incuriosito di questa notizia e
chiese a quel ciambellano: ”Sai per caso come si può fare per
rintracciarlo?”
”Signore se me lo permettete mando fuori delle staffette a
cercarlo per portarlo qui da voi”
”Sia fatto quanto tu mi hai appena suggerito”, subito diverse
staffette partirono in altrettante direzioni per vedere di
rintracciare il giovane mago, ma nessuno riuscì a trovarlo.
Ritornati che furono tutti quanti, riferirono le loro scorribande
dicendo: ”Sire non abbiamo trovato colui che cercate, come
dobbiamo fare?”. Il giovane re ci pensò su un attimo e disse:
”Inizierò io a cercarlo, perché voglio proprio conoscere questa
persona che è riuscita ad eludere addirittura i migliori tra i miei
battitori”, partirono subito in allegra compagnia attraversando
numerose foreste pericolose per diversi giorni. Finalmente,
dopo tanto cavalcare, il regale gruppetto si vide sbarrare il
passo da un vecchietto che attraversava con esasperante
lentezza il sentiero, questi fermatosi, guardò un attimo il re e
disse: ”Sire è da tempo che vi attendo, vi devo accompagnare
da chi state cercando”; detto questo, il vecchio scomparve
improvvisamente senza che né Uter né la sua scorta potesse
capire che fine avesse fatto.
Qualche minuto dopo, il gruppetto si ritrovò davanti ad un
giovinetto della stessa età del re che li guardava con un sorriso
come se li stesse prendendo in giro ed iniziò a dire: ”Sire è
veramente da molto tempo che vi attendo, io sono colui che
state cercando, so cosa mi volte chiedere, ma sappiate che non
mi avrete mai alla vostra corte, nonostante ciò mi avrete sempre
come vostro consigliere: io sono Merlino”, da allora i due
divennero fraterni amici, anche se Merlino mantenne la
promessa di non frequentare la corte del re.
35

Parte Parte Parte seconda: seconda: seconda: Inizia Inizia Inizia ll’avventura
ll
’avventura ’avventura del del del Monsalvato Monsalvato Monsalvato e e e nascita nascita
d’Artù. d’Artù.
d’Artù.
Capitolo 3.
Tempo dopo la fuga di Giuseppe d’Arimatea dalla terra santa,
un suo discendente si era stabilito nella piccola Bretagna,
presso dei piccoli rilievi dell’interno di quell’antica penisola,
questi si chiamava Titurel; ad un certo momento della sua vita,
il buon uomo decise di abdicare presso la confraternita che si
era venuta a creare in quel luogo perché ormai si riteneva
troppo anziano ed era stanco dell’avventurosa vita che tale
carica richiedeva, così nominò suo figlio Friumel gran cavaliere
della confraternita che era stata nominata del Monsalvato o del
Santo Graal, perché effettivamente erano loro a custodire quella
preziosissima reliquia dell’ultima cena, questo misterioso
oggetto, che era visto solo dal gran sacerdote della congrega,
era detto anche Lapisit Exillis perché aveva la virtù di non fare
ammalare o morire nessuno di coloro che stavano alla sua
presenza, anzi molti di loro erano notevolmente rinvigoriti nella
forza, facendo anche fermare il tempo, come da suo potere.
Inoltre era il Graal a decidere autonomamente chi era
meritevole di diventare suo cavaliere; i predestinati erano
mandati al Monsalvato fin dalla più tenera età, inoltre ogni
anno, proprio il giorno del Venerdì Santo, una colomba
compariva e posava sul sacro oggetto una piccola ostia bianca,
in virtù della quale il santo Graal dava il meglio di se.
Alla morte di Friumel, Amfortas lo sostituì come gran
capitano della congregazione, soprattutto perché il più anziano
tra i suoi fratelli. Al momento di trovare colei che doveva
sposarlo, Amfortas scelse male il proprio amore e lei rubò la
sacra lancia assieme al Santo Graal. Amfortas la inseguì,
continuando a gridare: ”Mio caro amore che cosa hai fatto a me
ed a tutta la mia congregazione, rubandoci quelle sacre
suppellettili?”, ma lei continuò a farsi inseguire finché
Amfortas non fu fermato dal perfido Klingsor.
36
infatti ora devo chiedere cos’è che c’è di tanto pericoloso in
quel posto tanto meraviglioso”
”Sappi, allora, che in quel castello vi risiede il Giubilo della
Corte che per un cavaliere non sufficientemente forte ed
onorato, risulta sovente mortale”
”Ottima notizia mi desti con le tue ultime parole, buon
Ghivrèt, sappi che accetto immediatamente la sfida e non
voglio essere ospitato da altri che da questo re Evràin, per
questa notte” detto questo, Erèc partì al galoppo, seguito subito
addietro dalla moglie e da Ghivrèt. Finalmente il piccolo corteo
entrò nel cortile del castello, suscitando l’ammirazione del
popolo e la commiserazione delle ragazze che vedevano in Erèc
uno splendido cavaliere ed un ottimo partito da sposare, il
quale, però, restò completamente imperturbabile e salutava in
continuazione chiunque fosse sulla propria strada.
Nel frattempo Evràin venne a sapere della comitiva ed
immaginò che si trattasse di un re ed andò a riceverli con ogni
onore possibile, rimanendo, contemporaneamente, sorpreso e
contento per la presenza nella compagnia d’Enide, la quale
ricevette particolari attenzioni; come Erèc ed i suoi compagni
furono davanti ad Evràin, questi prese a dire: ”Siate i
benvenuti, ottimi signori, spero d’avere il piacere d’intrattenere
l’intiera compagnia in un banchetto che ho intenzione
d’allestire in vostro onore alla mia corte per questa sera stessa”
”Ottimo sire, siamo ben felici tutti quanti d’ottemperare al
vostro gentile invito per il banchetto in nostro onore; ma
sappiate che venni in questa corte per tentare la Perigliosa
Impresa, perché sono sicuro di poterla svolgere senza alcun
problema” e così, in breve tempo, fu allestito uno splendido
banchetto. Terminata che fu la festa, Evràin si rivolse ad Erèc,
chiedendogli: ”Signore, sarebbe un gran peccato se finiste
ucciso durante quell’orrenda impresa, soprattutto visto che non
conosco neanche il nome vostro né quello dei vostri compagni
di viaggio”
333

trasferimento ci penseremo nella mattinata, dopo che ci saremo
rinfrancati”; detto questo fu creato un formidabile
accampamento e tutti si coricarono per riposarsi. Il mattino
successivo, l’intiero esercito di Ghivrèt si mise di scorta ad
Erèc ed Enide, dirigendosi finalmente a Painturie, ove
arrivarono ben prima dell’ora terza. Entrati che furono tutti nel
castello, vennero accolti tutti quanti dalle sorelle di Ghivrèt;
finiti che furono i festeggiamenti per l’inaspettato arrivo,
Ghivrèt ospitò Erèc nella stanza migliore che vi fosse nel
castello. Quivi adagiato che fu Erèc, le sorelle di Ghivrèt lo
presero in consegna, curandolo convenientemente per quindici
giorni, finché il cavaliere non fu completamente guarito. Una
volta che Erèc fu in piena forma, andò dal suo ospite, dicendo:
”Buon Ghivrèt è ormai giunto il momento che io mi metta in
viaggio per ritornare alla corte di re Artù, ovunque essa sia in
quest’istante; se voi siete d’accordo, pensavo di fissare il
momento della partenza per la prima mattinata di domani,
ovviamente dopo aver ascoltato la prima messa del mattino”.
”Mio signore, se avete deciso di ripartire domattina, la cosa mi
rallegra perché segno della vostra totale guarigione, ma devo
chiedervi la cortesia d’accompagnarvi dal buon re, per rendergli
il dovuto omaggio”, Erèc fu ben lieto di quell’inaspettata
compagnia quindi l’accettò ben volentieri. Il mattino successivo
Erèc, Enide e Ghivrèt si misero in marcia di buonora e
cavalcarono tanto ed a lungo da arrivare ad un meraviglioso
castello, nomato Bradigànt; vedendo tanta meraviglia, Erèc
disse: ”Quel maniero così bello è ben degno d’ospitare tutti e
tre, per questa notte”. Ghivrèt ben riconobbe il castello, infatti
disse: ”Mio signore so che quanto sto per dire potrebbe
interessarvi parecchio, ma sappiate che quel castello è sotto la
tutela di re Evràin e tutta la costruzione, col suo possessore,
risulta essere un luogo veramente pericoloso”
”Ben dicesti, buon Ghivrèt, quando mi rivelasti che chiedere
ospitalità in quel castello poteva stuzzicare la mia curiosità,
332
Durante un micidiale duello tra i due, lo sleale Klingsor usò la
sacra lancia per ferire orribilmente ai genitali Amfortas, dopo
averne immersa la punta in un potente veleno di cui era l’unico
a conoscerne l’esistenza, in modo tale che da allora Amfortas
non guarì mai più; ad un certo momento la terribile ferita iniziò
a supurare e da lì l’ordine del Graal degenerò sempre più.
Unica speranza di guarigione era in una profezia dello stesso
Graal che recitava queste parole: Viene un uomo e se questi
chiederà, avrà fine il nostro affanno, ma se uomo, bimbo o
vergine suggerisce a lui di chiedere, la domanda sarà inutile ed il
dolore uguale a prima e l’angoscia più profonda. A leggere tale
profezia i cavalieri si rianimarono ed iniziarono a dire:
”Quell’eroe che arriverà al Monsalvato e porrà la domanda
senza che gli sia suggerita, questi otterrà il trono della
congrega”, nel frattempo continuarono ad alleviargli il dolore
nel modo migliore possibile.
Capitolo 4.
Uterpendragon regnava su tutta l’Inghilterra se non era che il
ducato della Cornovaglia era fuori del suo controllo; a
rivaleggiare il re nel controllo vi era il duca Gorlois, uomo
molto coraggioso e potente: tra i due vi erano aspre e
lunghissime dispute. Gorlois aveva una splendida moglie
famosissima anche per la sua saggezza e chiamata Ygerne. Un
giorno, Uterpendragon era stato ricevuto dal duca ribelle,
quando vide la splendida moglie di lui e se ne innamorò e tentò
di conquistarla, dicendogli: ”Bellissima Ygerne come puoi
accontentarti d’essere duchessa di un lembo di terra così
piccolo e chiuso su tre lati dal mare, quando io posso darti metà
della Bretagna, che è sotto il mio potere?”, ma era tutto inutile,
perché la bella lo ignorava totalmente. Dopo tanto insistere,
Uterpendragon prese nuovamente Ygerne da parte e sbottò
dicendo: ”Ygerne cara, io ti voglio sposare, lascia quello
zoticone ribelle del duca Gorlois e vieni via con me, vedrai che
non te ne pentirai”. Ygerne, di controparte, gli disse: ”Sire,
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sono molto lusingata del vostro interessamento alla mia
persona, ma vi ricordo che quello zoticone ribelle, come lo
chiamate voi, è sempre mio marito a cui ho giurato eterno
amore e fedeltà in sempiterno, quindi deponete ogni proposito
nei miei confronti”, quella sera, Ygerne rivelò le insistenze del
re al marito. Gorlois, dopo averci pensato alquanto, disse: ”Mia
adorata Ygerne, ormai non abbiamo altro da fare che andarcene
da questo posto, perché Uterpendragon non se n’andrà mai
finché tu gli resisterai in questo modo”, così i due coniugi
radunarono tutte le loro cose e partirono passando da una
portierla momentaneamente incustodita.
Quando Uterpendragon venne a sapere della fuga, s’irritò in
modo terribile e prese ad urlare: ”Quei due vigliacchi pensano
di farmela sfuggendo alla mia ira più tremenda e ad un amore
cieco, ma non sanno con chi hanno a che fare; s’inizi ad
abbattere tutti i loro castelli, finché non saranno costretti alla
resa”. Nello stesso tempo Gorlois armò ed affidò alla moglie il
castello di Tintagel, mentre per se stesso preparò Terrabil, due
potentissimi castelli della loro casata, quindi iniziano ad
attendere Uterpendragon, il quale non tarda ad assediare
entrambi i manieri.
Durante il lungo assedio, Uterpendragon cadde sempre più
visibilmente in prostrazione per l’amore che provava nei
confronti di Ygerne, alla fine fece chiamare Merlino,
chiedendogli: ”Mio buon consigliere sai quale pena mi
abbranca, ora, come posso fare per liberarmene
definitivamente, sapendo che se non m’impossesso di Ygerne
non avrò mai pace e felicità?”. Merlino si fece meditabondo per
alcuni istanti, poi disse: ”Esiste un solo modo per dissipare
questo tuo malaugurato amore per quella splendida duchessa,
che tra lo altro è gia sposata, ma è molto rischioso, te la senti di
provare lo esperimento?”
”Attua tutto quello che è in tuo potere per far sì che io metta
termine alle pene del mio cuore ed a questa guerra insensata e
38
armati per andargli in soccorso, dato chi il posto non era molto
lontano dal suo castello.
Capitolo 63.
Verso mezzanotte Erèc e Ghivrèt s’incontrarono, pur non
riconoscendosi nella tenebra e, vedendo tale esercito, Enide fu
allontanata dal luogo per evitare altre brutte sorprese; allora i
due cavalieri iniziarono ad affrontarsi in modo crudele, finché
Enide non riapparve e prese a dire: ”Razza di villani che siete
entrambi, per caso è da cavalieri battersi nel bel mezzo della
notte? Il vostro attuale comportamento più che altro è da vili
sicari e la cosa vale per entrambi, quindi vi conviene abbassare
le armi ed aspettare almeno l’alba se non volete rischiare
d’essere disonorati da quest’insano atto”. A quell’invettiva
della moglie, Erèc non poté far altro che dargli ragione, anche
se aveva ancora riconosciuto il buon servitore, ma Ghivrèt li
aveva riconosciuti entrambi, soprattutto dopo l’intervento della
buona dama, ed iniziò a dire: ”Mio buon signore, abbiate pietà
del vostro umile amico che stava venendovi incontro per
potervi aiutare in un momento di bisogno come lo è in
quest’istante”.
In quello stesso istante anche Erèc riconobbe l’amico e
quest’ultimo iniziò a raccontargli tutti gli ultimi avvenimenti
fino a quell’ultimo istante in cui si scontrarono; finito che fu il
racconto, Ghivrèt disse: ”Mio signore, non potete continuare le
vostre avventure così ferito, piuttosto fermatevi nel mio
castello, che è qui vicino, e permettete alle mie sorelle chi ivi
alloggiano, di curarvi come si deve, ma in ogni modo sarà
meglio che ci mettiamo in marcia appena ci sarà abbastanza
chiaro da evitare qualsiasi pericolo”. Erèc affettivamente si
sentiva alquanto provato, quindi prese a dire: ”Buon Ghivrèt,
sappiate che accetto immediatamente la vostra offerta, perché la
trovai veramente ottima per la mia persona e l’onore della mia
devota moglie, ma ora conviene che ci prepariamo per riposarci
per quanto rimane della notte, agli ultimi particolari del nostro
331

il loro dissenso nei suoi confronti. Sentendosi così circondato
da mormorii che lo incolpavano, il conte si rivolse contro la
propria corte, dicendo: ”Voi, carogne che osate chiamarvi miei
cortigiani, ora pensate d’avere la giusta moralità per potermi
giudicare? Ricordatevi ciò che disse Nostro Signore Gesù
Cristo, quando volevano lapidare la Maddalena e vedete se
siete anche voi al pari di quelle serpi velenose”, sentendosi
tirati in causa in quel modo, i cortigiani si zittirono, ritirandosi
contemporaneamente in altre stanze del castello.
Intanto che succedevano quelle cose, Erèc si risvegliò dal
proprio torpore e, sentendo la moglie in difficoltà per le pretese
del perfido conte che non rispettava alcun periodo di lutto per
alcuno, ritrovò la propria spada e s’avvicinò al luogo dove si
stava discutendo in quel modo; quando tutti i cortigiani si
furono allontanati, Erèc si mostrò al conte con la spada snudata
e gli disse: ”Messere, cosa volete fare con colei che è ancora
mia moglie, dato che non sono morto come voi credevate?
Sappiate che per il vostro infamante atto, siate passibile per la
pena capitale, dato che volevate farmi passare per cadavere e
sposarvi, così, impunemente la mia dolce moglie e presunta
vedova”. Quello strepito fece accorrere nuovamente i baroni
nella stanza, appena in tempo per vedere il presunto morto
alzare la propria spada e spaccare con un sol fendente la testa
del conte; a quella vista, tutti i presenti furono presi
costernazione e, pensando che quella vista fosse una diavoleria,
scapparono all’impazzata, prima di rimanere anche loro vittime
del maligno. Immediatamente Erèc ed Enide colsero
l’occasione di non essere più sorvegliati, per andarsene da quel
nefando castello, senza alcuna preoccupazione od
impedimento. Nel frattempo la notizia del tentativo del conte si
sparse in ogni dove, arrivando anche alle orecchie, del buon
Ghivrèt, che capì dal comportamento del cavaliere d’aver avuto
notizie nefaste sul conto del proprio signore e radunò mille
330
fratricida”, allora Merlino iniziò a recitare un complicato
incantesimo, facendo sì che alla fine del medesimo
Uterpendragon e Gorlois fossero la stessa persona, ed entrasse
immediatamente a Tintagel. Vedendosi davanti il falso marito,
Ygerne ne fu veramente sorpresa e prese a dire: ”Mio caro
sposo, non dovresti stare qui ove io sto proteggendo bene il
nostro maniero, ma a Terrabil per dar manforte ai nostri
guerrieri asserragliati la dentro?”
Uterpendragon, che aveva assunto anche la voce del duca,
tanto l’incantesimo era venuto bene, disse: ”Mia cara Ygerne, a
Terrabil è momentaneamente tutto tranquillo, a tal punto che io
ho preferito assentarmi per questa notte, per poterti raggiungere
ancora una volta, in una serata di godimento com’è da molto
che non abbiamo avuto”, fu così che Ygerne rimase ingannata e
si denudò completamente, giacendo in quella stessa stanza con
un uomo egualmente vestito, che lei credeva suo marito,
gemendo e gridando entrambi per il grande amplesso che
n’avevano. Contemporaneamente la figlia primogenita di
Ygerne, Morgana, si accostò alla porta dove la madre era
inconsapevolmente stuprata e, osservando la scena, capì tutto
ed iniziò ad odiare in cuor suo il fratello che era concepito in
quel momento.
Finito che fu l’atto, Ygerne sentì che qualcosa al suo interno
non andava, ma al momento non riusciva a capire di cosa si
trattava, mentre il falso Gorlois si rivestiva dell’armatura e se
n’andava prima che spuntasse l’aurora.
Il mattino successivo, Uterpendragon rivelò a Tintagel
l’inganno che aveva perpetrato ai danni degli occupanti,
dicendo: ”Chi giacque stanotte con la bella Ygerne non fu il
legittimo marito, che vedete ora qui in mano mia impalato, ma
fui io stesso che la penetrai e feci in modo che restasse incinta
di un mio discendente, per far sì che l’Inghilterra avesse un
discendente degno di me”, a questa terribile notizia, la
splendida duchessa svenne dal dolore e per l’onta subita, quindi
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stabilì un lungo periodo di lutto per onorare il marito defunto.
Deposto che ebbe il velo funebre, era ormai verso il termine
della gravidanza, decise di onorare il crudele re accettando di
sposarlo nell’immediato.
Arrivato che fu il momento del parto, nacque uno splendido
bambino che chiamarono Artù, subito si fece avanti Merlino
che disse: ”Miei cari ed ottimi sposi, ormai la parte più difficile
e dura è fatta, per voi due, ma ora vi devo chiedere un sacrificio
veramente enorme, ma che sarà la salvezza del regno e della
vostra dinastia. Questo bambino è destinato a grandi cose, ma è
necessario che viva, quindi lo devo prendere con me per
portarlo in un posto sicuro per farlo crescere come si dice ad un
buon re”, detto questo, il saggio prese in consegna il neonato e
lo portò presso un fidato cavaliere di nome Ettore che lo prese
nella propria in modo che il suo figlio unigenito Key potesse
avere un compagno di giochi. I due ragazzi crebbero assieme in
perfetta armonia per molti anni, finché Key non ebbe l’età
giusta per poter diventare scudiero.
Due anni dopo la nascita dell’unico figlio maschio,
Uterpendragon morì misteriosamente, lasciando sola Ygerne
con due figlie, la più piccola, che tra lo altro era appena nata, si
chiamava Anna; come la notizia del lutto si diffuse, scoppiò
una guerra civile, perché nessuno era a conoscenza di
discendenti maschili dell’amatissimo re.
Capitolo 5.
In un’altra landa della stessa Cornovaglia, precisamente a
Liones, si festeggiava per un lieto evento, infatti, re Meliodas e
la bell’Elisabeth, sua moglie, ebbero la gioia di un figlio
maschio, che chiamarono Tristano, per l’occasione il bardo di
corte compose una canzone di tripudio, che aveva queste
parole:
Quale gioia per la regina Elisabetta
Ed il suo consorte Meliodas,
Oggi ebbero in dono da Nostro Signore
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Giusto in quel momento arrivò il conte della contada di Linòrs
che, vedendo la situazione alquanto grave, s’accostò alla coppia
e prese a dire: ”Mia buona dama, non ho potuto fare a meno di
vedervi in gravi difficoltà per le ferite del vostro ottimo
cavaliere, quindi permettetemi d’offrirvi il mio modesto
castello per potervi rifocillare quanto basta per rimarginare
quelle orrende ferite, altrimenti il vostro compagno non potrà
vivere più a lungo”
”So che accetterei la vostra offerta, il mio sposo non me lo
permetterebbe mai, ma d’altronde se non lo facessi rischierei,
come m’avete appena fatto notare, oserei pensare di non poterlo
mai più riavere. Vedendo queste considerazioni, mi vedo
propensa ad accettare la vostra cortese offerta”. Fu così che
Erèc ed Enide furono accompagnati al castello di Linòrs; quivi
giunti, il conte fece visitare il corpo d’Erèc, ma il pallore e le
ferite dimostrarono al medico di corte che il buon cavaliere era
morto. Venuto a sapere di questa sentenza, il conte si rivolse ad
Enide, dicendogli: ”Madama, il vostro cavaliere è morto, quindi
permettetemi d’offrire la mia mano in vostra difesa e di
concedervi in mia sposa, dato che m’innamorai di voi dal primo
momento che vi vidi la fuori nella foresta”
Enide si fece sempre più triste, dopo la notizia che non si
poteva più far nulla per l’amato sposo e, quando si sentì fare
l’orrenda proposta disse: ”Signor conte anche se sono rimasta
vedova del mio ottimo signore, sappiate che non accetterò
assolutamente mai le vostre proposte di matrimonio, perché
voglio rimanere eternamente fedele alla sua memoria”. La
decisione della buona Enide fece arrabbiare enormemente il
conte, che sperava di potersi annettere i possedimenti dei due,
ovunque essi fossero, quindi prese a dire: ”Sgualdrina che non
sei altro, ora che non hai chi ti difenda osi pararti dietro un
paravento di verginità celestiale, sappi che t’avrò ad ogni
costo”, quella reazione spropositata del loro signore, riempì di
sdegno i baroni presenti nella sala e che iniziarono a mormorare
329

qualche membra, avete la carità d’aiutarmi in questo
frangente?”
”Cara damigella, quanto m’avete appena raccontato è
veramente orribile, quindi vi giuro che se non riesco a
riportarvi a casa il vostro amato cavaliere ne condividerò ben
volentieri la sorte”, quindi Erèc partì immediatamente per
l’inseguimento, mentre la fanciulla lo riempì d’enorme
gratitudine. Finalmente, dopo una breve cavalcata, Erèc
raggiunse i due giganti ed il cavaliere loro prigioniero e,
vedendo le miserevoli condizioni del prigioniero e la fellonia
dei due colossi, s’accostò ulteriormente, prendendo a dire:
”Messeri non è assolutamente giusto trattare in quel modo un
prigioniero, quindi mi vedo costretto a dovervi sfidare entrambi
in un duello all’ultimo sangue”, detto questo, Erèc diede
appena il tempo ai due esseri di prepararsi che partì all’attacco
ed in brevissimo tempo li sconfisse entrambi uccidendoli sul
colpo e liberando il povero cavaliere prigioniero. A vedere
quell’estrema prova di coraggio, audacia e forza, il cavaliere si
prostrò ai piedi d’Erèc e disse: ”Vi sarò grato per tutta la vita,
per quanto avete appena compiuto, sperando che per
riconoscenza mi prendiate per vostro vassallo, sappiate anche il
mio nome, infatti sono nomato Cadòc principe di Cabruèl per
servirvi umilmente”
”Sir Cadòc, non c’è bisogno che siate mio vassallo per
riconoscenza ad un gesto che rientra nei miei doveri, piuttosto
andate alla corte di re Artù e raccontate quanto fece per voi un
cavaliere nomato Erèc e che viene proprio da quell’onorata
corte, ora andate di corsa e fate quanto vi ho appena detto”.
Subito Cadòc fece quanto Erèc gli aveva ordinato e riferì tutto
quanto davanti a re Artù in persona e a tutta la corte; intanto
Erèc tornò a briglia sciolta da Enide, giungendovi esanime,
perché le ferite che aveva si erano riaperte in quello stesso
duello, a tal vista Enide n’ebbe una gran pena.
328
Un degno erede al loro regale trono.
Bello nacque il principino
E forte nell’aspetto ancor di più,
Potente ha la voce nel chiamare
Ognuno al proprio cospetto.
Ognuno ammirò il frutto
Di tanto amore ed affetto
Che questi due splendidi sovrani
Hanno donato al regno un simile principe.
Una volta che Tristano ebbe compiuto sette anni, sulla sua
famiglia piombò un grave lutto, infatti, la sua adorata madre
Elisabeth morì improvvisamente; dopo il doveroso periodo di
lutto, Meliodas prese una grossa decisione, infatti, radunò
l’intiera corte e fece chiamare il figlio, quindi annunciò: ”Non è
bene che il regno resti senza la sua regina e che mio figlio non
abbia una madre, quindi ho deciso di risposarmi in tempi
ragionevolmente brevi”, trovò immediatamente la compagna
ideale che gli diede altri figli.
Purtroppo dopo poco la matrigna iniziò a prendere male la
presenza di Tristano perché destinato ad ereditare tutte le
proprietà del padre, senza che i figli di lei avessero alcunché.
Infatti, la perfida tentò di avvelenarlo per ben due volte; ma alla
seconda volta un valletto si accorse di uno strano odore di
mandorle ed andò dal re e gli disse: ”Mio signore, poco fa
portai da mangiare a vostro figlio Tristano, ma dai piatti di
portata si alzò uno strano odore che sa di veleno e mi ha
insospettito, cosa si può fare a tal proposito?”
”Hai fatto bene mio buon valletto, ad avvisarmi, ora farò sì
che possiamo sapere chi sia il colpevole del tentato
avvelenamento”, fu così che alla fine delle indagini saltò fuori
che era saltò fuori che era stato uno dei sicari della regina, la
quale fu immediatamente arrestata. Alla fine dell’istruttoria,
molto breve, invero tanto da durare una sola mattinata, il buon
re Meliodas emise la sentenza, dicendo: ”Mia perversa ed
41

adorata sposa, mi vedo costretto dalle vigenti leggi in queste
contrade a condannarti alla pena capitale tramite morte sul
rogo”
A sentire questa sentenza, Tristano non riuscì a trattenersi ed
alzatosi, disse: ”Diletto padre, anche se costei ha tentato
d’uccidermi per due volte col veleno, vi chiedo umilmente il
perdono per la fedifraga; se necessario sono disposto ad
allontanarmi dal paese per tutto il tempo che sarà necessario per
ristabilire l’ordine costituito in queste lande”
”Se così vuoi, figlio mio, sarà fatto, ti devo dare solo
un’indicazione sulla destinazione, che ti sarà utile anche come
formazione personale; vai in Gallia, ove potrai imparare la
lingua locale, unitamente alle arti figurative e alla guerra che vi
ha importato il glorioso impero di Roma. Inoltre t’impongo la
presenza costante durante il viaggio, di un mio fido cortigiano
nomato Gouvermail”, fu così che il buon Tristano passò in
esilio volontario ben sette anni, durante i quali fu sempre in
compagnia del cortigiano che gli aveva dato il padre, inoltre
imparò veramente tutto quello che c’era ad imparare in quelle
lande veramente evolute rispetto al suo piccolo regno. Passati
che furono sette anni, quelle vicende erano gia dimenticate
lungamente e Tristano era diventato un modello di cortigiano
perfetto ed era pronto a tornare in patria con tutta sicurezza. In
breve tempo, dopo il suo ritorno, era gia il perfetto punto di
riferimento di tutta la corte e dei genitori.
Proprio in quei giorni si venne a sapere che re Marke, fratello
della defunta madre di Tristano aveva contratto forti debiti con
il re dell’Irlanda, il quale ora lo stava minacciando perché
moroso verso alcune scadenze degli stessi. Vistosi a malpartito
con i debiti, Marke radunò i suoi cavalieri e disse: ”Miei prodi,
mi vedo minacciato dai reali irlandesi per non aver ottemperato
ad alcuni impegni finanziari che avevo con loro, ora mi rivolgo
a voi per avere giustizia sul loro campione”, ma nessuno dei
prodi di quella corte si sentiva abbastanza forte ed onorato per
42
Immediatamente Artù si rivolse a Keu, dicendogli: ”Corri
subito alla mia tenda e prendi il barattolo con l’unguento
preparato da mia sorella Morgana e torna velocemente alla mia
presenza con quello”. Come l’unguento fu nelle mani d’Artù,
questi l’utilizzò per curare le ferite d’Erèc, con la segreta
speranza che il cavaliere restasse a corte almeno per i
successivi quindici giorni, purtroppo Erèc deluse
immediatamente le attese del re, dicendo: ”Sire vi ringrazio per
le cure che m’avete dato nell’immediato, ma ho fatto un voto e
per mantenerlo posso accettare la vostra ospitalità solo per
stanotte e domani, all’alba, mi vedrò costretto a ripartire con la
sola compagnia di mia moglie”
”Se queste sono le tue volontà e desiderii, Erèc, ebbene così
sia, ma sappi che la cosa mi delude alquanto. Adesso non mi
rimane altro da fare che una cosa per onorare la tua presenza e
quella d’Enide: questa sera sia preparato un sontuoso banchetto
a cui parteciperà l’intiera corte” e così fu fatto; finito che fu il
pasto luculliano, tutti i partecipanti si ritirarono per andare a
dormire.
Capitolo 62
Il mattino successivo Erèc ed Enide partirono, nonostante che
l’intiera corte di re Artù, ed il re stesso, li pregassero
insistentemente, ma tutti ne rimasero assolutamente delusi e
rattristati. Dopo qualche tempo, i due coniugi sentirono in
lontananza la voce d’una ragazza che chiedeva aiuto; al che
Erèc spronò il proprio cavallo, per andare a vedere cosa stesse
succedendo, così trovò una pulzella che si stava disperando
enormemente. Arrivato che fu alla presenza della pulzella, Erèc
gli chiese cosa stesse succedendo, al che la poverina prese a
dire: ”Messer cavaliere mi deve assolutamente aiutare; sappiate
che due giganti mi hanno rapito ignominiosamente il mio
amato paladino e sono assolutamente sicura che troveranno il
modo per rendermelo cadavere ed orrendamente mutilato di
327

e partì all’attacco, ma al primo scontro Keu fu immediatamente
battuto. Subito Erèc lo derise, dicendogli: ”Messere, andate dal
buon re Artù a raccontargli tutto quel che avete appena fatto,
senza vergognarvi di niente, per le vostre azioni”, infatti Keu si
precipitò da Artù e raccontò tutto quanto. Finito che fu il
racconto di Keu, Artù si rivolse al nipote prediletto e gli disse:
”Raggiungi il cavaliere che ha battuto Keu e tenta di
convincerlo a rimanere qui con noi almeno per qualche giorno”.
Subito Galvano s’avviò nella direzione che gli era stata data e,
senza riconoscere il compagno, gli recapitò la missiva che gli
aveva dato lo zio ma Erèc sorrise e gli disse: ”Messere vi
ringrazio per la proposta che m’avete appena fatto e ringrazio
parimenti anche il vostro buon re, ma ho intenzione di
proseguire per la mia strada completamente da solo, con la mia
dolce moglie”
Udite che ebbe quelle parole, Galvano chiamò uno dei suoi
scudieri e gli disse: ”Vai subito da re Artù e chiedigli da parte
mia di spostare immediatamente la nostra corte un po' più in la
rispetto a dove ci troviamo ora, in modo tale che il cavaliere sia
costretto ad entrarvi ed accettare, in questo modo, la nostra
ospitalità”, subito il giovine corse all’accampamento e passò ad
Artù la richiesta del nipote. Immediatamente Artù fece spostare
la propria corte come gli era stato richiesto da Galvano, mentre
lo stesso cavaliere s’intratteneva ulteriormente con Erèc,
intanto che l’accampamento era rimontato dove aveva richiesto
Galvano stesso; vedendo l’astuzia del compagno, Erèc si tolse
l’elmo e disse: ”Siete riuscito a convincermi ad accettare
l’ospitalità, messer Galvano, ebbene riconoscete in me il vostro
caro amico Erèc”. La rivelazione gettò Galvano in un’enorme
gioia, che mandò a riferire anche all’intiera corte che stava
aspettando la soluzione della chiacchierata del prode cavaliere.
Avuta che ebbero la notizia, Artù e Ginevra esultarono ed
andarono incontro alla giovane coppia; ma come videro le ferite
d’Erèc, i due sovrani ne rimasero estremamente mortificati.
326
fronteggiare una simile situazione. Solo Tristano, che in quei
giorni era a corte dallo zio, si fece avanti e prese a dire: ”Ma
che bella schiatta di cavalieri vedo qui presenti, stanno
tremando tutti al solo pensiero di un volgare duello con uno
zoticone per niente istruito sull’uso delle armi ed all’arte della
guerra, se fossi io un paladino di questa corte sarei il primo a
farmi avanti alla difesa del re mio zio” e fu così che re Marke
fece cavaliere il nipote per difendere il proprio onore e quello
dell’intiera famiglia.
Tristano così si preparò, in modo veramente formidabile, a
battere il campione degli irlandesi; il giorno stabilito il giovine
si ritrovò un gigantesco guerriero di nome Merhaus, che tra lo
altro era anche il cognato del re della Irlanda. Subito il bestione
iniziò a dire: ”Quelli della Cornovaglia sono veramente messi
male, se il loro campione più forte è questo soldo di cacio”
”Non fidarti delle apparenze, zoticone che non sei altro,
perché presto potresti pentirtene”, detto ciò, Tristano si slanciò
verso Marhaus, ma quest’ultimo si scansò senza troppo sforzo
ed iniziò a ridergli in faccia. Finito che ebbe di ridere, Marhaus
iniziò a dire: ”Guardate questo soldo di cacio non riesce
neanche a stare in piedi tanto è maldestro” e sfoderò in tutta
tranquillità la propria spada, sulla cui lama era stato sparso un
funesto veleno di cui solo gli irlandesi avevano il rimedio;
Tristano s’arrabbiò notevolmente per quanto gli aveva detto il
rivale, ritornò indietro e riprese la carica contro il perfido che
sollevò tranquillamente la propria spada, ferendo gravemente
Tristano alla spalla, Tristano s’arrabbiò ulteriormente e puntò al
petto del bove irlandese, riuscendo a passare da parte a parte il
suo cuore, uccidendolo sul colpo; il compagno di Marhaus, a
questa vista, disse: ”Stolto di un cavaliere, sappi che il mio
defunto campione ti ha avvelenato il sangue e l’unico ad averne
l’antidoto è il nostro amatissimo re, in Irlanda”, dopo
quest’ennesimo svilimento, Tristano fu recuperato dalla scorta
che lo accompagnava e riportato alla corte del re suo zio.
43

Resosi conto della gravità della situazione, re Marke domandò
al nipote cosa si poteva fare per rimediare alla ferita, Tristano
disse: ”L’unica cosa che possiamo fare è mandarmi in Irlanda
sotto falso nome per potermi fare curare come si deve con le
loro stesse armi”
Fu così che Tristano fu mandato dallo zio, re Marke, in
Irlanda, facendo in modo che, come d’accordo, non potesse
svelare a nessuno la propria identità. Una volta giunto alla corte
d’Irlanda, Tristano fu curato come si deve, soprattutto grazie
alle amorevoli cure della locale principessa, chiamata Isotta.
Dopo alcuni giorni, nei quali si frequentavano, i due giovani si
scoprirono reciprocamente innamorati, senza che la principessa
sapesse di amare un terribile nemico della propria terra.
Purtroppo, però, Tristano aveva anche un rivale al cuore della
bellissima Isotta, si trattava di sir Palomides, un signore moro
di religione pagana; come questo straniero venne a sapere di
non essere il preferito e seppe chi era il rivale, aspettò che
Tristano si fosse ristabilito, si fece ricevere, dicendo: ”Signore,
sappiate che io sono vostro rivale per il cuore della splendida
Isotta ed intendo conquistarla definitivamente sfidandovi a
duello”. Tristano, che era ancora indisposto per la brutta ferita,
disse: ”Mio signore, vi propongo, invece, un torneo
cavalleresco per vedere chi sia effettivamente il migliore, tra i
nostri pari”, la proposta fece felice Palomides che l’accettò
all’istante.
Il giorno stabilito, Palomides scese in campo immediatamente,
battendo tutti gli intervenuti senza troppi complimenti ed in
brevissimo tempo, tanto è vero che a metà giornata non
rimaneva che Tristano che si preparò immediatamente. Una
volta che furono di fronte, Palomides iniziò a dire: ”Signore,
spero che non siate di così bassa lega da essere battuto al primo
assalto”
”Mi spiace deluderti, mollaccione, ma avrai da faticare solo
per scalfirmi l’armatura”, detto questo, Tristano partì
44
dire: ”Messere, riconosco la vostra superiore forza ed
esperienza con la spada, quindi mi rimetto alla vostra volontà;
ora vorrete sapere il mio nome, ebbene sono stato battezzato
con la nomea di Ghivrèt il piccolo e sono il sommo sovrano
degli irlandesi di stanza in queste terre, ma ora di grazia vorrei
sapere da chi ho avuto l’onore d’essere battuto in duello”.
”Messere, conosco per fama il vostro onore e la bravura del
vostro braccio con la spada, quindi meritate di conoscere la mia
identità, io sono Erèc figlio di re Lac e cavaliere della Tavola
Rotonda, per servirvi come meglio potrò”. A sentire contro chi
s’era battuto, Ghivrèt ebbe un sussulto di sorpresa e prese a
dire: ”Mio signore, è stato un onore per me essere stato battuto
da un cavaliere della vostra fama e valore, quindi vi chiedo
d’accettare la mia offerta di farvi medicare presso il mio misero
castello e di rimanerci finché non sarete completamente guarito
e rinfrancato”
”Vi ringrazio per l’offerta che avete fatto a me e mia moglie,
ma le ferite che m’avete procurato non sono così gravi da
giustificare un’ospitalità prolungata, inoltre le nostre avventure
richiedono altrimenti. Vi chiedo solo una cosa, Ghivrèt: di
venirmi in aiuto tutte le volte che la cosa sarà necessaria”
”Così sarà fatto e ve lo posso garantire anche a nome di tutti i
miei uomini, vi chiedo solamente una cosa, adesso, che mi
diate la possibilità di darvi le prime cure prima che riprendiate
la vostra strada”, fu così che i due contendenti si curarono a
vicenda, dopo di che Erèc ed Enide ripresero il proprio
peregrinare in cerca di nuove avventure da affrontare.
Dopo aver alquanto vagato, Erèc ed Enide arrivarono in una
radura ricca di selvaggina, ove intravidero l’intiera corte di re
Artù e decisero di rimanerne discosti, ma furono ricettati da
Keu il siniscalco, il quale prese a dire: ”Mio caro compagno,
sei assente da corte da così tanto tempo che voglio sfidarti a
duello per provare la tua abilita con le armi, quindi preparati ed
inizia a batterti”, quindi montò in sella allo stallone di Galvano
325

moglie e diede disposizione ai servitori affidatigli per poter
partire al più presto.
Erèc ed Enide erano appena ripartiti, che un centinaio di
soldati del conte andarono nelle stanze degli sposi, con l’intento
d’uccidere il cavaliere, ma rimasero molto sorpresi per non
avercelo trovato, ripresisi tutti dallo stupore, il conte ed i suoi
cavalieri trovarono le orme dei cavalli dei due coniugi ed
iniziarono a seguirle, raggiungendoli in brevissimo tempo.
Vedendosi un pericolo, Erèc si mise in guardia e partì
all’attacco degli inseguitori; nel turbinio della situazione, il
siniscalco fu ucciso, mentre il conte ebbe una grave ferita al
petto, mentre Erèc ed Enide riuscirono a rifugiarsi in un vicino
bosco. Vedendosi sconfitto così clamorosamente, il conte si
rivolse ai cavalieri della propria scorta che erano sopravvissuti
e disse: ”È giunto il momento che torniamo al nostro castello,
perché messer Erèc s’è mostrato ben più forte di quanto
avessimo pensato e mi sto pentendo amaramente di questo
sbaglio nella valutazione di quel paladino”.
Capitolo 61
Erèc ed Enide andarono a spron battuto finché non arrivarono
ad una torre, ivi arrivati, Erèc si fece avanti e disse: ”Signori
del fortino, abbiate pietà d’una coppia fuggiasca che chiede
umilmente la possibilità d’essere ospitata per la notte ed è
seguita da dei perfidi sicari che li vogliono morti ad ogni
costo”. A tutta risposta per quell’invocazione di soccorso, uno
dei cavalieri di stanza uscì dal torrione e prese a dire: ”Se
sperate d’essere entrambi ospitati in questo loco, dovete
battervi valorosamente contro di me e riuscire a vincer lo
scontro, altrimenti ci sarà un’orribile morte per tutti e due”,
quindi si precipitò improvvisamente contro Erèc; dopo lungo e
duro scontro, Erèc riuscì ad avere la meglio sul misterioso
cavaliere ed a batterlo. Vedendosi così miseramente battuto, il
misterioso cavaliere s’inchinò alla maggiore forza d’Erèc e,
toltosi l’elmo ed allontanata da se stesso ogni arma, prese a
324
immediatamente alla carica e disarcionò immediatamente
Palomides; come si riebbe, il moro si alzò barcollando
enormemente. Tristano alzò la visiera del proprio elmo e disse:
”Ti ho battuto con enorme facilità e come vincitore ti dovrei
uccidere, ma voglio che tu viva, ma al patto che non indossi più
n’armatura n’armi per il prossimo anno”, dopo questa prova
magistrale e tanta magnanimità, la corte riconobbe Tristano
come cavaliere ben accetto a stare con loro, festeggiandolo in
modo sfarzoso; durante i festeggiamenti il bardo di corte si fece
avanti e presentò una nuova canzone che aveva composto per
l’occasione, che suonava in questo modo:
Grande onore e fortuna
A colui che ebbe la vittoria
Sul moro infedele, gran pretendente
Della nostra regal principessa.
Grande onore e fortuna
A colui che la bell’Isotta
Elesse come suo campione
Nelle gare e nel cuore.
Grande onore e fortuna
A colui che sconfisse il perfido
Palomides e conquistò il cuore
D’Isotta chiedendo la sua mano.
Purtroppo non tutti a corte accettarono Tristano come valente
cavaliere quale era, infatti, la regina madre, sorella di Marhaus,
riconobbe l’assassino anche in base ad una tacca che s’era
creata nella spada dell’eroe durante la stessa disfida; infatti, la
perfida regina era in possesso del pezzo mancante. La
bell’Isotta venne a sapere della scoperta della madre e,
mettendosi le mani tra i capelli, disse: ”Sciagurato e sfortunato
cavaliere, non sai che cosa ti potrà capitare, visto che la mia
crudele madre ha scoperto quanto sei stato bravo ad uccidere il
mio amato zio”.
45

La regina, intanto che Tristano si preparava per un bagno
ristoratore, andò a recuperare la scheggia di cui era in possesso
e la incastrò perfettamente nella tacca della spada di Tristano. A
questa conferma, la regina iniziò a pensare: ”Ho visto bene,
quando sostenni che costui aveva ucciso il mio adorato fratello
in quel fatale duello di pochi mesi fa, ora non mi resta che
vendicare la sua morte uccidendo questo farabutto”, ma un
cortigiano sentì tutto e la bloccò all’istante, minacciando di
andare a rivelare il tutto al re suo consorte.
A quella minaccia, la regina disse: ”Allora mi vedo costretta
ad andarci io a conferire col mio regale marito e vedremo a chi
crederà”. Il re d’Irlanda riconobbe che il giovane cavaliere era
veramente in pericolo alla sua corte, quindi radunò tutti i suoi
baroni ed iniziò a dire: ”Bisogna che quel paladino torni al suo
paese, prima che mia moglie si vendichi in modo terribilmente
atroce”
Venendo a sapere della decisione reale, Tristano andò da
Isotta, dicendo: ”Mia amata, questa corte è diventata troppo
pericolosa per me, ma voglio che tu sappia una cosa sola, che io
sarò sempre il tuo cavalier servente”
Alla notizia della dipartita dell’amato, Isotta disse: ”Mi
mancherai enormemente, mio amato, questa corte non sarà più
la stessa in tua assenza”. Fu così che Tristano tornò in
Cornovaglia completamente guarito, ma suo zio non lo accolse
come ci si aspettava, infatti re Marke si era ingelosito dei
continui successi del nipote su tutti i fronti, arrivando persino a
tentare di farlo uccidere. A tale accoglienza, Tristano iniziò a
dirsi: ”Se i miei parenti più intimi mi accolgono in questo
modo, è meglio che mi trovi un’altra corte da servire come si
deve”, così Tristano decise di dirigersi alla corte di re Artù.
Una volta che Tristano fu alla corte di Camelot, venne a
sapere che il re d’Irlanda era stato vilipeso da un cavaliere della
stessa Tavola Rotonda perché si pensava che avesse tradito un
giuramento di lealtà richiesto da re Artù per entrare nella nobile
46
dal conte, ma, vedendo la bellezza d’Enide, si rivolse al marito,
dicendo: ”Messere, vorrei parlare in privato con questa
splendida dama, m’è concessa la cosa?”
”Fate pure, mio signore, visto che la cosa non mi da
assolutamente fastidio, anche se si tratta di mia moglie”. Una
volta che il conte ed Enide si furono seduti, il perfido iniziò a
dire: ”Mia signora siete talmente bella che è un vero peccato
che vi siate impegnata, sposandolo, con quel cavaliere così
vanaglorioso, che non vi merita per niente”
”Conte, vi faccio presente che sono felicemente sposata con
quell’uomo che voi state vituperando in quel modo così
orrendo, se continuate con quei discorsi mi vedrete costretta ad
allontanarmi dalla vostra presenza”. A quelle parole, il conte
ebbe un moto d’ira e disse, trattenendo la voce: ”Madama se
non vi concedete ai miei voleri, vi renderò vedova in
brevissimo tempo”. Enide non si fece intimidire da quella
minaccia e prese a dire: ”Sire attendete, per favore, fino a
domani, quando mio marito potrà difendersi, inoltre in quel
momento potrete mandare delle guardie per venirmi a prelevare
senza che egli possa sospettare di nulla”, dando ad intendere in
questo modo che, finita la faccenda, di potersi concedere a lui.
Il poverino, però, non s’immaginava che Enide gli stesse
preparando un orribile trabocchetto. Finalmente, a tarda sera, il
conte fece rientrare Erèc nelle proprie stanze. Dicendogli:
”Messere avete proprio scelto una splendida moglie che, tra le
altre cose, ho notato essere molto più intelligente di quanto
voglia far pensare”, detto questo se n’andò nelle proprie stanze,
subito dopo i due coniugi si coricarono per dormire.
Il mattino successivo, Enide si rivolse al marito dicendogli:
”Caro Erèc sappi che questa mattina il nostro ospite ha
intenzione d’arrestarti, per potermi sequestrare e farmi, così sua
moglie, quindi sta attento, per favore, a tutto quello che ti
succede intorno”, a quella rivelazione, Erèc capì la lealtà della
323

quanto devo fare abbisogna solamente della presenza di mia
moglie Enide. Vi chiedo solo una cosa, a voi e a tutta la corte:
se dovessi rimanere in qualche modo ucciso ed Enide tornasse
indietro a questo castello, deve essere trattata con lo stesso
amore che riservate tutti quanti a me”, detto questo i due
coniugi partirono in mezzo alla costernazione ed alle
lamentazioni di tutti quanti.
Appena che furono partiti, i due sposi furono immediatamente
fermati da tre briganti, il cui capo iniziò a dire: ”Se amate la
vita dovete darci tutti i preziosi che avete indosso, altrimenti
saremo costretti ad ammazzarvi”, ma Erèc non si lasciò
intimidire e, snudata la propria spada li mutilò tutti quanti in
brevissimo tempo. Fatte che ebbero pochissime leghe, Erèc ed
Enide furono nuovamente fermati da altri briganti che tentarono
anch’essi di rapinarli, ma anche in questo caso Erèc sistemò la
cosa con la punta della propria spada, ferendoli tutti quanti in
modo veramente grave, quindi ripresero la propria strada e sino
a sera non subirono altri attentati alla loro sicurezza; giunta che
fu la notte, i due sposi ne furono sorpresi lontano da qualsiasi
centro abitato e si dovettero accampare in una radura lì vicino.
Il mattino successivo Erèc ed Enide si svegliarono all’alba e
proseguirono la loro strada, arrivando ad incrociare un gruppo
di paggi nel tardo pomeriggio di quella stessa giornata; arrivati
che furono a portata d’orecchio, uno dei paggi iniziò a dire:
”Messeri, sta arrivando la notte ed il nostro maniero è
abbastanza vicino, quindi vi prego di prestarmi un cavallo per
avvertire il nostro signore”, detto questo, il paggio prese il
cavallo d’Erèc e ripartì immediatamente alla volta del proprio
maniero ed avvertire il conte, suo signore. Subito il conte, come
ne fu informato, disse: ”Ragazzo mio, hai fatto molto bene ad
informarmi, di quest’imprevisto arrivo, ma ora è buona cosa
che gli andiamo incontro per rendergli il dovuto rispetto”
facendo seguire immediatamente i fatti alle parole. Arrivati che
furono al castello, i due coniugi furono salutati cortesemente
322
congrega, allora Tristano decise di aiutare l’antico nemico e si
schierò contro il cavaliere, battendolo fin dal primo assalto, alla
presenza stessa dei due nobilissimi re. Ottenuta che ebbe la
vittoria, Tristano fu riportato in Irlanda al seguito del re,
ottenendone tutti gli onori possibili, perché preceduti dalla
splendida notizia della vittoria. Passò qualche tempo in Irlanda,
Tristano andò dal padre d’Isotta e gli disse: ”Sire, mio zio è
ancora scapolo, vi chiedi la sua mano per donarla al parente,
facendo così spero di placcare la sua gelosia”
”Potrebbe essere un’ottima idea per allacciare dei rapporti di
tutti i tipi con quel reame, quindi ti concedo la mano d’Isotta
per portarla a tuo zio”, subito Tristano si preparò per ritornare
in patria con la futura sposa dello zio, nonostante che i due si
amassero enormemente. Al momento della partenza, Tristano
ed Isotta presero assieme a loro due consiglieri reali, i quali
iniziarono a creare i legami d’amicizia con re Marke, inoltre
dovevano custodire un’ampolla con un elisir per destare
l’amore del vecchio sovrano.
Durante il viaggio, i due giovani iniziarono a provare
un’enorme sete, guardando in tutta la nave e trovarono la
famosa ampolla e ne bevvero, al che il loro amore aumentò
notevolmente, a tal punto che all’arrivo alla corte di re Marke
non potevano fare più a meno lo uno della altra. Infatti, re
Marke, avendone gia avuta notizia, convocò i due giovani e
l’intiera corte ed emise la seguente sentenza: ”Questi due
amanti in modo così ignominioso siano condannati all’istante e
davanti a tutti all’esilio perpetuo; se per loro volontà osano
ritornare in questo regno, siano condannati immediatamente al
rogo”
Allora Tristano prese la parola per difendersi, dicendo: ”Mio
adorato zio, anche se ammetto di amarla, vi ho condotto costei
per farvene dono come sposa, ma ora che voi ci condannate
all’esilio od al rogo, preferisco morire con lei sotto i vostri
occhi, pur di non lasciarvi mai più”, così furono approntati i
47

oghi ove i due giovani amanti arsero vivi. Al momento
estremo, in preda al più grande sdegno, Isotta gridò: ”Sia tu
maledetto, re Marke, perché condanni due innocenti; sappi che
il tuo regno avrà vita breve ed entro tre lune sarà conquistato
senza colpo ferire dal gran re Artù di Camelot”, la profezia
della povera ragazza si avverò nei tempi e nei modi da lei
pronosticati con grande sgomento del povero re che mori di
crepacuore alla perdita del regno.
Capitolo 6.
La guerra civile in Inghilterra imperversava da molto tempo,
finché sotto natale, l’arcivescovo di Londra convocò tutti i
signori del regno, dicendo: ”Signori, è giunto il momento che ci
mettiamo d’accordo per risolvere questa guerra, ma sappiamo
tutti che in mancanza d’eredi maschi conosciuti da parte del
compianto re, la soluzione non è per niente facile, inoltre sento
che per la giornata di natale accadrà qualcosa di portentoso”
Il giorno di natale furono celebrate tutte le messe previste per
quella giornata, ci fu veramente un avvenimento fuori della
normalità; infatti, davanti all’altare maggiore, comparve
un’incudine di 30 cm. In cui era conficcata una spada, sulla
quale erano incise queste parole in caratteri d’oro: chi chi chi riuscirà riuscirà riuscirà ad
ad
estrarre estrarre questa questa spada spada dall’incudine dall’incudine e e dalla dalla pietra pietra sarà sarà sicuramente sicuramente legittimo legittimo re re delle
delle
terre terre d’Inghilterra d’Inghilterra, d’Inghilterra ovviamente tutti i fedeli maschi ci tentarono,
ma nessuno riuscì a smuoverla neanche di un millimetro; a
questo spettacolo, l’arcivescovo richiamò tutti all’ordine,
dicendo: ”Se l’assunzione al trono di un nuovo re inglese è così
difficile, propongo di organizzare un torneo cavalleresco per il
giorno di capodanno, il vincitore risulterà il legittimo
successore d’Uterpendragon, nel frattempo è meglio lasciare di
guardia a questa miracolosa incudine tre dei cavalieri più fidati
tra i presenti perché nulla sia manomesso”. Il giorno stabilito
per il torneo vi erano presenti anche sir Ettore, con suo figlio
Key ed il giovane Artù che faceva da scudiero al presunto
fratello; poco prima di scendere in campo, Key si accorse
48
avventure. Con ciò non si vuole escludere che la ragazza non
sia bella, anzi lo è davvero moltissimo, ma il loro
comportamento c’indispone alquanto tutti quanti”, sentendo
quelle lamentele, re Lac decise di non farne parola col figlio ed
alla nuora per paura di doverli dividere per motivi
cavallereschi, ma ciò non tolse che Enide ne venne a
conoscenza, la quale ne rimase parecchio dispiaciuta, ma si
trovò d’accordo col suocero di non turbare la gioia del marito.
Una mattina che erano a letto assieme, Enide si ritrovò
completamente sveglia prima del mattino e, vedendo il marito
ancora addormentato, iniziò a piangere amaramente, dicendo:
”Perché, mio dolce sposo, disdegni in questo modo i tuoi
compagni per stare quasi tutto il tempo con me che ti sto
tediando col mio comportamento così tranquillo e calmo e non
ti do la possibilità di far valere le tue enormi capacità di
cavaliere?”; purtroppo per lei, che era convinta del sonno
profondo del marito, Erèc era solamente in dormiveglia e sentì
tutto quanto lo sfogo della moglie. Svegliatosi completamente
ed all’improvviso, Erèc si rivolse ad Enide dicendogli: ”Cara
moglie, prepariamoci immediatamente e, senza prendere
congedo dalla corte di mio padre, dirigiamoci verso il più
vicino torneo di cui s’abbia conoscenza”; quella repentina
notizia mandò in ulteriore costernazione Enide, perché non
conosceva le reali intenzioni del marito in quel frangente.
Contemporaneamente anche re Lac venne a sapere quanto
aveva intenzione di fare il figlio ed andò a raggiungerlo nelle
sue stanze e gli disse: ”Caro Erèc, non posso trattenerti oltre,
contro la tua volontà presso la mia presenza, ma ti supplico, se
sei così deciso a partire, almeno prenditi un minimo di scorta
per ogni evenienza, perché sai che i regni vicini non vedono
l’ora di potersi inglobare nei loro territori il nostro amatissimo
reame”.
”Mio buon padre, non vi dovete assolutamente preoccupare
della sicurezza mia e di quella dell’adorata moglie, sappiate che
321

mantenuto, assieme alla mia sposa, la promessa di presentarmi
sotto queste venerate mura per i giochi in mio onore, vi chiedo
la grazia di congedarmi con lei per poter andare a trovare la mia
famiglia nell’avito castello, portando la bell’Enide a conoscere
meglio la mia famiglia che vive lassù”. Artù non poté far niente
per deludere il fidato cavaliere, infatti gli disse: ”Ottimo Erèc e
buona Enide vi concedo l’autorizzazione a fare l’agognato
viaggio,ma sappiate che lo state ottenendo con mio dispiacere,
in ogni caso spero grandemente d’avervi nuovamente alla mia
presenza in tempi molto rapidi, senza offendere la regale
famiglia d’Erèc”
Avuto che ebbe il permesso da Artù per partire, Erèc andò da
Enide, dicendo: ”Mia cara moglie, il nostro amatissimo re mi
ha accordato il permesso per allontanarci da corte per andare a
trovare i cari genitori che non vedo dall’ormai lontano giorno
del matrimonio; ora non ci resta altro da fare che tu vada dalla
regina Ginevra per avere anche il congedo da colei”. Enide
andò a sua volta a chiedere il debito congedo dalla sua
presenza, sentendo quella richiesta, la regina disse: ”Mia cara e
giovane dama, vi concedo volentieri quanto m’avete chiesto
perché lodo tantissimo l’intento di vostro marito di trascorrere
qualche giorno solo con voi e con i suoi amatissimi ed anziani
genitori”. Finalmente i due coniugi partirono per Carnànt,
assieme a sessanta cavalieri di scorta ed a settantotto servitori
per accudirli a dovere.
Dopo quattro giorni di viaggio, la piccola carovana arrivò
finalmente alla corte di re Lac, il quale li vide da lontano e li
andò a riceverli calorosamente e con immensa gioia, assieme a
tutta la popolazione del regno; passarono i giorni ed Erèc non
ebbe occhi se non per Enide, trascurando i baroni ed i cavalieri
di suo padre, i quali iniziarono a lamentarsene col buon re,
iniziando a dire: ”Signore, vostro figlio disdegna i tornei e la
nostra compagnia, distaccandosi ben poco da quella
giovanissima moglie che s’è trovato chissà dove durante le sue
320
d’essersi scordato la spada, allora si rivolse al fratello,
dicendogli: ”Ormai è tardi per andare a prendere la mia spada
nella locanda, anche perché non troveresti nessuno, dato che
saranno tutti qui ad assistere alla singolar tenzone in questa
piazza, guarda se riesci a trovarne una sana ed inutilizzata, ma
vedi di fare presto perché fra poco sarà il mio turno a scendere
in lizza”, allora Artù si guardò un attimo attorno e vedendo la
spada infissa nell’incudine completamente incustodita, corse a
brandirla.
Arrivato all’incudine, Artù prese l’elsa della spada con due
mani e la estrasse senza fatica ed esitazione, portandola
immediatamente a Key, il quale guardandola, disse: ”Ma questa
spada dove l’hai presa? Sembra la spada infissa nell’incudine”
”Effettivamente l’ho sfilata da quell’incudine incustodita
laggiù”
”Allora questa è effettivamente la spada nella roccia! Miei
signori, sospendete il torneo perché qualcuno ha liberato la
spada dall’incudine e questa persona deve diventare il nostro re,
secondo quanto dice la scritta incisa sulla spada stessa”. Alcuni
dei partecipanti circondarono subito Key ed Artù per verificare
quanto detto dal giovane cavaliere, visto che Key aveva
affermato la verità, qualcuno nella folla disse: ”Se la spada è
stata estratta, risulterà molto più facile farlo anche agli altri”,
ma come qualche giorno prima, nessuno riuscì ad estrarla. A
questo spettacolo degradante si fece avanti Ettore e disse: ”È
stato mio figlio ad estrarla, quindi è giusto che sia anche lui a
tentare la prova”, tutti si ritrovarono d’accordo ed Artù si
riavvicinò all’incudine e, impugnata di nuovo l’elsa della
spada, estrasse nuovamente l’arma senza alcuna fatica e questo
per diverse volte, finché tutti non furono convinti di quello che
stavano vedendo. Immediatamente i bardi di corte composero
una canzone sull’impresa a cui avevano assistito, con le
seguenti parole:
Onore al giovane scudiero,
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Il quale estrasse la magica spada
Dalla dura roccia in cui era intrappolata,
Maggiore gloria a lui, che riuscì
Ove altri fallirono.
Onore al giovane principe,
Il quale diventa re
Per grazia della magica spada,
Misteriosamente comparsa
Per farlo divenire nostro signore.
Onore a re Artù,
Signore di Britannia,
Divenuto saggio in giovane età,
Sotto la guida del sommo mago:
Merlino dal sommo potere.
Onore al saggio re,
La cui valentia riuscì
A far valere il proprio diritto
Su coloro che non cedettero
All’atto in cui molti fallirono.
Il giorno dell’Epifania Artù fu ufficialmente riconosciuto da
tutti i signori del regno ed incoronato re di tutta l’Inghilterra,
purtroppo alcuni baroni non erano ancora del tutto convinti e si
ribellarono ad Artù. La guerra contro i ribelli fu molto breve,
ma anche molto sanguinosa, finalmente costoro cedettero,
dicendo: ”Costui ha proprio la mentalità combattiva del nostro
defunto re, Uterpendragon, ora che n’abbiamo tutte le prove
non possiamo far altro che riconoscerlo effettivamente come
nostro supremo sovrano”
Dopo questo riconoscimento così totale, Artù fece chiamare il
fido Merlino, facendogli dire: ”Ottimo consigliere e mago, ho
bisogno del tuo consiglio per poter creare un gruppo di
cavalieri d’elite su cui possa fare affidamento”, ma il mago si
materializzò in quel preciso momento davanti al giovane re.
Riavutosi dalla sorpresa, Artù fu veramente contento di vedere
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automaticamente, senza rendersi conto di quanto stava facendo.
Una volta che Ivano fu nuovamente in piedi, Lunetta si rivolse
nuovamente alla padrona e gli disse: ”Sappiate, buona Laudina,
che costui che avete davanti e che mi salvò dal rogo, è anche il
marito che vi ama e che voi avete scacciato perché aveva fecero
in modo che si scordasse di voi“ alla rivelazione della
compagna, Laudina s’arrabbiò parecchio perché aveva giurato
che Ivano non potesse più presentarsi al suo cospetto per il
resto dei suoi giorni. Vedendola ancora irata nei suoi confronti,
Ivano le prese le mani, dicendole: ”Mia cara e splendida
Laudina, non vi ho mai scordata, in tutto questo tempo, e voglio
che sappiate quanto vi ho pensato nel frattempo, senza mai
scordarmi di voi e vi chiedo umilmente la riconciliazione per
una colpa che non ho mai commesso con intenzione, ma ne fui
indotto da altra persona che pensava di fare il mio bene”
A quelle parole, Laudina iniziò a piangere dalla commozione,
poi, ripresasi, disse: ”Mio buon Ivano, vedo nel vostro cuore
che siete sincero per quanto m’avete appena detto, quindi non
posso far altro che perdonarvi per tutte le offese che m’avete
fatto senza alcun intendimento e vi riammetto alla mia corte per
difendere questo castello e la magica fonte a lui collegata”,
sentendo quelle parole di perdono, l’intiera corte non poté far
altro che gioire con i due sposi riconciliati, festeggiando per un
lungo periodo di tempo.
Capitolo 60
Venne anche il giorno convenuto da Artù perché tutti i suoi
cavalieri si radunassero sotto le mura d’Edimburgo, infatti nel
campo allestito per l’occasione era tutto un colore ed uno
schiamazzo, con grida e nitriti ovunque; una volta che furono
arrivati tutti quanti si diedero inizio ai primi scontri, ove si
mostrarono immediatamente Erèc e Galvano da una parte,
mentre Ivano e Sagramor si fecero vedere nell’altro campo con
innumerevoli prodezze da parte di tutti. Finito che fu il torneo,
Erèc s’inchinò ad Artù, dicendo: ”Mio sire, dato che ho
319

I due compagni arrivarono ben presto alla magica fontana,
scatenando immediatamente un gran putiferio degli elementi
della natura che fecero tremare enormemente gli occupanti del
castello di Laudina; in quell’stante di terrore, Lunetta riuscì a
prendere quel tanto di coraggio che gli servì per rivolgersi alla
padrona, dicendogli: ”Mia signora, c’è un cavaliere che
continua a vagare disperato nei dintorni con la recondita
speranza di potervi avvicinare e riconciliarsi in questo modo
con voi”. Laudina fu veramente incuriosita e di buon cuore per
quell’inaspettata richiesta in quel momento di così alto terrore,
che prese a dire: ”Mia cara Lunetta, la tua richiesta mi ha preso
il cuore, quindi giuro sul momento, e davanti a tutti i presenti,
che mi riconcilierò immediatamente con lui, a maggior ragione
se si tratta del Cavaliere del Leone che gia ti salvò una volta.
Ora vallo immediatamente a cercare che lo voglio conoscere di
persona e digli quanto abbia apprezzato il suo gesto nei tuoi
confronti”, fu così che la bella Lunetta, con la gioia nel cuore,
andò alla ricerca d’Ivano. Fatta che ebbe pochissima strada,
Lunetta trovò Ivano, ancor prima di quanto pensasse,
supponendo che fosse stato lui a scatenare quell’orribile
tempesta di poco prima, subito lei gli rivolse la parola,
dicendogli: ”Messer Ivano, siate il bentornato alla nostra umile
corte; sappiate che la mia padrona Laudina mi mandò a cercarvi
per condurvi da lei, in quanto vi ha perdonato da tutto quel che
faceste per scordarla ormai tanto tempo fa, ma vi avverto che
non vi ha ancora collegato al cavaliere del leone che mi salvò
dal rogo poco tempo fa”. Finalmente ripresero tutti e tre il
cammino, arrivando in serata al castello senza che venisse
proferita parola con alcuno.
Arrivati che furono al cospetto di Laudina, Ivano le cadde ai
piedi, mentre Lunetta gli si rivolse, dicendo: ”Mia signora, ben
vedo che siete stupita per questo gesto del cavaliere che ben mi
servì, salvandomi dal rogo, ma ora vi prego di rialzarlo con le
vostre stesse mani”, al che la meravigliatissima Laudina fece
318
il buon mago, allora Merlino prese a dire: ”Giovanotto, ho solo
una soluzione per il tuo problema; si tratta di radunare un
gruppo di cavalieri e radunarli attorno ad una tavolata dalla
forma molto particolare, infatti deve essere rotonda. Inoltre i
cavalieri che devi scegliere devono essere in numero di
centocinquanta, ma attento che il posto alla tua immediata
destra deve restare libero fino all’arrivo dell’unico eletto a quel
seggio, inoltre è conveniente che come re tu ti debba sposare e
la regina ideale per te si chiama Ginevra, figlia di re
Leadegrance, che tra lo altro è molto bella a cui fu affidata la
tavola che ti abbisogna nell’immediato, la Tavola Rotonda, che
tuo padre affidò a quel re”
Fu così che Artù prese per moglie la splendida Ginevra, come
suggerito dal fido Merlino, alla presenza di tutti i vari cavalieri
che nel frattempo si erano radunati alla corte del giovane re.
Tra loro vi era anche un nobile cavaliere francese nomato
Lancillotto, che appena ebbe vista la futura regina se ne
innamorò immediatamente, ricambiato dalla splendida dama fin
da quella giornata, all’insaputa del buon re. Durante i
festeggiamenti che ne seguirono, il bardo di corte cantò la
seguente canzone, in onore dei due sposi:
Beati i novelli sposi
Che oggi riempiono di gioia
L’aere del loro regno,
Il loro amore sia sempiterno.
Beato Artù, novello sposo,
Quale tesoro trovò nell’incontrare
La dolce sposa nelle proprie imprese
Lungo il proprio regno riottoso.
Beata Ginevra, splendida sposa,
La quale fece sussultare i cuori
Con la propria innocente bellezza,
Ancor di più portando gran dono.
Beati i regali sposi,
51

Signori della Tavola Rotonda
Segno d’uguaglianza tra i superbi
Eroi a cui essa è destinata.
Beati i potenti sposi,
Signori di splendida corte,
Si piena d’incliti cavalieri.
Tanto ovunque riveriti.
Risolti tutti i problemi familiari ed interni all’Inghilterra, Artù
pensò di garantirsi la tranquillità nei confini più esterni del suo
regno, infatti, l’estate successiva al suo matrimonio, il buon re
armò un forte esercito ed in breve tempo si acquisì diversi
territori, anche molto lontani come l’Islanda, ma anche
l’estremo nord della regione d’Alba come le isole Orcadi e la
regione del Gotland. Finito che ebbe quello sforzo bellico così
breve, Artù radunò l’esercito iniziando a dire: ”Ho fatto in
modo che i nostri nemici bob ci diano mai più fastidio,
annettendomi tutti i loro territori, ma non garantisco che la cosa
possa essere per sempre” e detto ciò Artù ritornò in Britannia
con i fidi cavalieri, rimanendo in patria per i successivi dodici
anni, in cui il regno crebbe in prosperità e venne creato un
superbo poema sul giusto re, che suonava in questo modo:
Grande impresa del sommo re Artù
Al sommo limite occidentale,
Conquistando la gelida isola
Dai numerosi soffi diabolici.
Grande impresa del sommo re Artù
Al grande limite settentrionale,
Conquistando le nefande isole,
Degno ingresso del pauroso regno.
Grande impresa del sommo re Artù
Nella piatta penisola orientale,
Calmando gli animi dei perfidi
Minacciosi invasori stranieri.
Grande impresa del sommo re Artù
52
in un chiostro a sua scelta, a questa decisione nessuno osi porrà
alcuna contestazione”. Risolta la questione, i due amici furono
aiutati a disarmarsi, quindi s’abbracciarono nuovamente,
mentre i due cavalieri erano serrati nell’abbraccio, arrivò anche
il leone che aveva accompagnato sino a quel momento Ivano,
alla ricerca del proprio padrone, seminando il terrore tra quelli
che l’incrociavano. A quella vista, Ivano si sciolse
dall’abbraccio ed iniziò a dire: ”Miei cari amici e compagni,
non dovete aver timore di questo benevolo felino che tanto
m’aiutò nelle ultime avventure che ho affrontato, iniziando ad
un perfido gigante preso la corte di certi parenti di messer
Galvano qui presente”
”Mio buon Ivano, vi ringrazio vivamente anche a nome loro
per averli liberati tutti quanti da quella perfida presenza, ma
devo ammettere che quando mi hanno parlato del Cavaliere del
Leone non avevo assolutamente pensato a te, anche se m’era
giunta notizia della vostra strana alleanza”. Finiti che furono
tutti i festeggiamenti, alcuni giorni dopo, i due cavalieri furono
curati dal migliore cerusico della corte, così in breve tempo
furono guariti.
Capitolo 59
Guariti che furono entrambi i cavalieri, Ivano andò da Artù e
gli disse: ”Mio buon sire è giunto il momento che io mi mostri
alla mia bella Laudina per chiederle il dovuto perdono, anche a
costo di scatenare sulla pietra della fontana magica il peggior
uragano che questo mondo ricordi, mi concedete il dovuto
congedo per tentare quell’impresa, che a me sta tanto a cuore?”.
Artù annuì a sua volta e prese a dire: ”Se ci tieni tanto a
riconquistare il suo cuore, fai pure, mio buon Ivano, tenendo
anche conto che così facendo la leghi alla nostra alleanza
cristiana contro eventuali infedeli che possono capitarci in
zona, fatto sta che hai il mio congedo incondizionato” fu così
che Ivano prese la via verso la fontana miracolosa ed il castello
di Laudina nuovamente assieme al fido leone.
317

ma ormai per quanto mi riguarda è fatta e vi chiedo umilmente
ammenda per i colpi che vi ho inferto in questo lungo duello”.
Galvano rispose di rimando, dicendo: ”Caro amico io vi
perdono con piacere quanto mi faceste subire in questo duello,
ma anche i vostri colpi sono stati veramente notevoli e di
rimando chiedo anch’io perdono per quanto vi ho fatto soffrire
per mano mia”, fu così che anche Ivano perdonò quanto penò
per mano del compagno, finalmente scesero di cavallo e
corsero ad abbracciarsi facendosi reciprocamente festa,
destando immensa sorpresa tra i presenti che non avevano
ancora inteso nulla di quanto i due amici s’erano detti in
campo. Subito Artù diede voce alla propria autorità e disse:
”Messeri come mai ora v’abbracciate così amorevolmente se
poc’anzi vi stavate massacrando di buona lena nei vostri
rispettivi colpi?”
”Caro zio sono tanto cambiato in così poco tempo da non
essere riconosciuto dal mio stesso sangue? Sappiate in ogni
caso che il cavaliere contro cui combattei fino ad ora è il caro
compagno Ivano, che ritrovai proprio di fronte a me con le armi
in pugno; sappiate in ogni modo che per quanto mi riguarda, la
vittoria va tutta a questo valoroso che mi ha tenuto testa per
così tanto tempo”
”Buon Galvano, a parer mio, invece, spetta solamente a voi, in
quanto siete il più valoroso dei cavalieri della Tavola Rotonda,
io non sono degno di potervi battere in ogni caso”. Paventando
che la cosa andasse per le lunghe, Artù prese la parola, dicendo:
”Fate venire alla mia presenza le due sorelle che furono causa
di questa discordia, in quanto la questione è stata decisa in
modo molto equo”. Una volta che le due ragazze furono
davanti all’intiera corte, Artù riprese a parlare, dicendo: ”Visto
com’è andato il combattimento, decreto che l’intiera eredità
vada in mano alla cadetta, a causa del suo comportamento poco
leale ed alle sue parole troppo pretenziose, inoltre decreto che
la maggiore viva in servitù della sorella o, in alternativa, si ritiri
316
Il quale fece la più grande delle imprese:
Rese sicuri i più lontani limiti
Di una terra perennemente minacciata.
Una sera Artù si trovava da solo nelle proprie stanze, quando
entrò sua moglie Ginevra. Dato che era gia da lungo tempo che
non utilizzavano il talamo, ci si ritrovarono immediatamente,
finché la regina non lanciò un alto grido di piacere, perché
aveva capito di essere rimasta incinta, così si rialzarono dal
letto e si ricomposero. Ad un certo punto Artù puntò gli occhi
su Ginevra e notò che stava visibilmente cambiando aspetto ed
in breve tempo si mutò nella perfida Morgana, la sorella del re.
Subito Artù capì d’essere stato vittima di un atto incestuoso e
se ne disperò enormemente, Morgana gli si avvicinò e disse:
”Caro fratello, finalmente sono riuscita a vendicare quanto fece
tuo padre alla bella Ygerne quella tragica notte in cui fosti
concepito, perché devi sapere che quella sera vidi tutto quanto
da dietro una porta. Per quanto riguarda il feto che sta gia
crescendo nel mio ventre, sappi che ho intenzione di non farlo
morire finché le mie sofferenze di quella sera non saranno
vendicate e sarà motivo di preoccupazione e morte per te”,
detto questo Morgana se n’andò con un piglio molto trionfante.
Parte Parte terza: terza: Infanzia Infanzia di di di Lancillotto Lancillotto del del del Lago.
Lago.
Capitolo 7
Nella Piccola Britannia, qualche tempo prima, vi fu un lieto
evento, infatti re Ban di Benoic e sua moglie, la bellissima
Elena, ebbero un figlio che chiamarono Gahalad , ma che tutti
ribattezzarono Lancillotto. Purtroppo per il buon Ban, questo re
aveva anche un terribile nemico chiamato re Claudas della
Terra Deserta. La rivalità tra i due era iniziata quando Ban si
era rifiutato d’aiutare re Artù durante la rivolta dei duchi della
Grande Britannia. Durante l’infanzia di Lancillotto, i territori
del padre furono tutti conquistati dal rivale, tranne il castello di
Trebe, creando grave pericolo per il buon re. A metà agosto re
Ban disse: ”Mi vedo costretto ad andare a Camelot da re Artù
53

per chiedergli aiuto, se vuoi, mia cara e bellissima sposa, puoi
seguirmi assieme a nostro figlio in quest’avventura, portandomi
addietro tutto il nostro tesoro, che utilizzeremo come dono a
quel magnanimo re. Non preoccuparti, mia cara, per questo
castello, perché è assolutamente inespugnabile”
Elena ci pensò alcuni minuti e disse: ”Caro sposo, la tua idea è
veramente ottima e ti appoggio totalmente, seguendoti in
quest’avventura assieme a nostro figlio”
”Visto che sei d’accordo con me, mia cara, ora per favore
lasciami solo a terminare i preparativi”. Quindi re Ban chiamò
il siniscalco, dicendo: ”Ti do la custodia del castello, unico
avanzo delle mie proprietà, mandami qui il più fidato tra i miei
valletti perché devo parlargli da solo”
Come il valletto prescelto fu alla presenza del re, questi gli
disse: ”Voglio che tu mi segua un viaggio disperato che farò
assieme a tutta la mia famiglia, non preoccuparti di come andrà
a finire, perché è la nostra unica speranza di vita”. Il mattino
successivo, poco prima dell’alba, la piccola comitiva uscì da
una piccola portierla laterale ed attraversarono velocemente le
due leghe di paludi che circondavano su tre lati il maniero.
Arrivata che fu la sera, re Ban e la sua famiglia si accamparono
presso il lago di Diana, come l’accampamento fu pronto, il
buon re si diresse sulla cima del colle che sovrastava il lago,
per dare un ultimo sguardo all’ambito maniero.
Nel frattempo il siniscalco s’incontrò con re Claudas per
parlamentare con lui, come furono soli, Claudas disse al
siniscalco: ”Che te ne fai di un castello così grosso e che non ti
da nessun introito? Non vedi che re Ban è ormai sconfitto in
modo irrimediabile? Cedilo e n’avrai ogni onore, come meriti,
il che significa l’intiero reame di Benoic”
Finiti tutti i giuramenti del caso, il perfido siniscalco, che
stava per andarsene, si voltò e disse: ”Sappi, Claudas, che re
Ban in questo momento è assente dal castello che è stato
affidato alle mie sapienti mani, ed io ti garantisco fin da ora che
54
impietositi: ”Sire non vedete che questi due cavalieri sono
talmente gagliardi che nessuno dei due ha avuto il sopravento
sull’altro? Ormai sappiamo come andrà a finire, quindi
chiediamo, anzi supplichiamo, che quest’inutile disfida abbia
immediatamente termine e la giovinetta abbia un quarto di
quanto spetti alla maggiore, così ognuna potrà avere la dote
necessaria per accasarsi in modo onorevole”. La sorella
maggiore s’indignò enormemente della proposta fatta dai
cortigiani ed iniziò a dire: ”La cosa che avete appena proposto,
scellerati, è veramente ignobile dato che mi danneggia e crea un
precedente per quanto riguarda l’assegnazione delle eredità in
mancanza delle disposizioni scritte del defunto”
”Madamigella, la proposta dei miei dignitari v’avrà anche
offeso nell’intimo ma data la situazione, al momento è la più
ragionevole di tutte quelle che sono state proposte in
precedenza sia da voi sia da altri”. All’udire quel dialogo
serrato, i due cavalieri, che nel frattempo s’erano fermati ad
ascoltare, ripresero a battersi con rinnovato vigore fino a tarda
notte, quando stremato dalla fatica Ivano disse: ”Messere,
ormai è calata da molto tempo la tenebra, quindi propongo di
fare una pausa abbastanza lunga da far sì che il sole sorga
nuovamente. Sappiate inoltre che avete dimostrato notevole
forza e coraggio per resistermi fino a questo punto senza battere
ciglio”.
”Sono d’accordo con voi, messere, sul fatto che sia giunto il
momento d’interrompere il duello sino al sorgere del sole, ma
anche la vostra forza e coraggio non sono indifferenti. Ora è
giusto che entrambi sappiamo con chi abbiamo a che fare,
quindi conosciate in me il caro nipote di re Artù: Galvano”. A
quella rivelazione, Ivano rimase un attimo alquanto sbigottito,
quindi levatosi l’elmo disse: ”Caro amico, riconoscete in me il
caro compagno Ivano. Sappiate, in ogni caso, mio caro amico,
che i colpi datimi dalla vostra spada sono stati veramente duri,
315

compagnia del solo cavaliere del leone, in un bosco che
costeggia la strada del castello”
Difatti i due erano soli, perché avevano lasciato il fido felino
nel loro alloggio per evitare d’essere scoperti. In quel preciso
momento Ivano e la figlia minore del defunto castellano
entrarono nella sala del trono, dove la maggiore ed Artù
stavano conversando; a tal vista, Artù si fece incontro ai nuovi
venuti, dicendo: ”Benvenuti, miei cari giovani, siete arrivati
proprio a tempo perché la vostra rivale stava fremendo dalla
voglia di mettere le proprie mani su tutti questi bei tesori” e la
stessa cosa confermarono tutte le persone presenti nella sala, al
che la perfida sussultò rabbuiandosi visibilmente. Arrivate che
furono le due sorelle davanti alla regale presenza d’Artù, la più
giovine prese a dire: ”Messere costei che pretende d’essere mia
sorella, sta facendomi un’ingiustizia molto grave, negandomi
apertamente la mia parte d’eredità, dopo la morte dell’amato
padre”
”Disgraziata donna che non sei altro, dovresti sapere gia di
partenza che come sorella cadetta non devi sperare a niente
dell’eredità di nostro padre; del resto non è colpa mia se sei
nata dopo di me e quindi rimanga senza niente di quanto nostro
padre ha accumulato nella propria vita”; nell’udire quelle
parole, la giovinetta n’ebbe gran dolore perché sperava
intimamente che i loro cavalieri non dovessero sfoderare le
proprie armi. Una volta che le due sorelle ebbero finito di
parlare, fu chiaro a tutti quanti che non c’erano assolutamente
speranze per ottenere una soluzione pacifica al loro litigio,
cosicché Ivano e Galvano, che non s’erano ancora riconosciuti,
andarono a prepararsi al combattimento, cingendosi delle
rispettive spade ed impugnando le loro lunghe lance.
Finalmente i due compagni iniziarono a duellare ferocemente,
scardinando rudemente le relative armature ed armi per molto
tempo, nel tardo pomeriggio, vedendo il gran valore
d’entrambi, alcuni cortigiani si rivolsero ad Artù, dicendo,
314
potrai conquistarlo molto facilmente col mio aiuto
dall’interno”. Al ritorno, il perfido siniscalco incontrò Banin, il
figlioccio del re, mentre montava la guardia, armato di tutto
punto, e gli disse: ”Siniscalco da donde vieni all’esterno del
castello, a questa ora della notte?”
”Ebbi un attacco d’euforia e mi decisi ad uscire per qualche
minuto per calmarla”, ma Banin non bevve del tutto tale scusa
ed iniziò a tenere d’occhio l’infido, infatti come il siniscalco fu
nuovamente tra le mura del castello, Banin salì sulla torretta di
guardia, appena in tempo per vedere i nemici avanzare molto
silenziosamente. Vedendo tale cosa, Banin s’attaccò
immediatamente alla campana dell’allarme, purtroppo troppo
tardi, mentre il perfido siniscalco iniziò a dire: ”Che cosa vuol
dire tutto questo scampanio, se vi fosse il nostro amatissimo re
tutte queste cose non accadrebbero di sicuro”. In quel momento
passò Banin e disse al perfido: ”Sta zitto, traditore che non sei
altro, è colpa tua se ci troviamo in questa situazione perversa e
pericolosa”, ma non ebbe finito queste parole che spiccò la testa
del siniscalco con la propria spada.
Immediatamente Banin ed altri tre sergenti ancora in vita si
rifugiarono in una poderosa torre del castello, rimanendovi
asserragliati per quattro giorni; al quinto la fame fu talmente
grande che gli assedianti iniziarono a mangiare quanto
trovarono sulle finestre del mastio, resistendo in questo modo
per alcuni altri giorni. Alla fine Banin e compagni furono
talmente disperati da dover attirare l’attenzione di Claudas e dei
suoi armigeri, dicendo: ”Siamo allo stremo della fame, ma
siamo anche determinati a continuare la difesa del luogo se non
accettate un unico ed estremo di resa. Fateci trovare quattro
cavalli all’ingresso del mastio e noi ce n’andremo”. Claudas ed
i suoi fidi si radunarono per alcuni istanti per decidere cosa
rispondere; alla fine il perfido re disse: ”Valoroso Banin
accettiamo il termine della vostra resa, purché ve n’andiate
55

immediatamente, lasciando i ruderi di questo castello in mano
nostra”
Nel momento stesso che iniziarono ad ardere i primi roghi a
Trebe, re Ban giunse in cima al colle e vide immediatamente
quanto stava accadendo e si rese subitamente conto che da quel
momento sarebbe vissuto in totale miseria se non fosse per
l’unico figlio ancora troppo piccolo; a questi pensieri Ban
cadde dal cavallo e, svenendo, picchiò la testa talmente
violentemente da perdere il sangue dalle orecchie, naso e bocca.
Rivenuto che fu, re Ban disse: ”Ti ringrazio, mio Signore di
avermi messo alla prova in questo modo, ma come farò ora
mantenere moglie e figlio che non so far altro che regnare ed
andare a caccia e tirar d’armi”, in quel mentre il cuore gli
cedette dalla disperazione e dal disonore, morendo sul colpo.
Negli stessi minuti, sulle sponde del lago di Diana, la regina
Elena stava coccolando il piccolo principe dicendo tra se: ”Sia
ringraziato il Nostro Signore Iddio di avermi dato un figlio così
bello e buono”, nello stesso istante che ella pronunziò quelle
parole, arrivò dalla cima del colle, e di gran carriera, il cavallo
del re disarcionato. A quella vista, Elena si rivolse al valletto
che aveva al seguito, dicendogli: ”Fa in modo che quel cavallo,
sicuramente appartenente a mio marito, il tuo padrone, fermi
nelle immediate vicinanze la sua corsa, poi torna sui suoi passi
a vedere che ne è del re tuo signore”. Arrivato che fu in cima al
colle, il valletto trovò il corpo morto del suo padrone e lanciò
un terribile urlo di dolore che si udì per tutta la zona; Elena
lasciò il figlio da solo in riva al lago e corse anche lei verso la
dorsale per vedere la causa di tanta disperazione. Vedendo il
valletto chino sul cadavere del marito, Elena svenne dal dolore;
come si fu ripresa, prese a gridare in modo ancor più straziante
del valletto, ferendosi il volto a tal punto che le guance
iniziarono a sanguinare, contemporaneamente prese a dire:
”Come faremo noi poveri mortali a vivere in quest’orribile
56
cadetta diseredata, scortata da Ivano e dal leone, si misero in
cammino, arrivano ben presto al castello ove risiedeva la
perfida sorella maggiore, la quale venendo a sapere dell’arrivo
della sorella, si preoccupò ben poco d’andarla a ricevere come
si deve ad una parente così stretta, perché era convinta che non
sarebbe mai riuscita a trovare un cavaliere degno di potersi
battere col suo bel Galvano. Sapendo queste cose, la minore
decise d’alloggiare con i propri fidi ed Ivano, in una casupola
diroccata fuori dalle mura del castello, per non farsi
riconoscere. Finalmente il mattino successivo, all’alba, la
fanciulla ed Ivano uscirono dal loro alloggio pronti per
l’avventura, rifugiandosi, però nel vicino bosco, finché il sole
non fosse stato alto, per paura d’essere riconosciuti anzitempo
dalla perfida sorella.
Intanto al castello la maggiore era molto arrabbiata ed aveva
preso a dire: ”Quella perfida sgualdrina di mia sorella non s’è
fatta ancora vedere nonostante che il giorno e l’ora fissati siano
gia scaduti da qualche tempo, la cosa fa sì che quella scellerata
possa essere dichiarata spergiura da tutti per non aver
mantenuto la promessa che era stata fatta alla sua partenza.
Quel comportamento dissennato, inoltre ha dimostrato il buon
diritto all’intiera eredità di mio padre su tutti i suoi contadi e
tesori, ed a maggior ragione perché così sono anche riuscita a
non impegnare il mio campione in una sanguinosa battaglia”, in
quello stesso momento si presentò alla sala del trono anche re
Artù, che era ospite del castello da una decina di giorni, ed
arrivato dalla sua ospite gli disse: ”Madamigella, so cosa sta
succedendo in questo posto, ed è vero che vostra sorella non s’è
ancora presentata a giudizio, ma vi ricordo che il termine
massimo per far decadere la questione non è ancora terminato,
quindi pazientate ancora un poco senza usare alcun tono
d’orgoglio o d’impazienza come avete fatto or ora e non mi
sembra d’aver pronunciato alcuna sentenza in merito al vostro
dissapore. Difatti la ho intravista poco lontana dal castello, in
313

ora vi supplico d’allontanarmi di dosso questa grossa belva,
prima che io faccia la fine la fine dell’altro, inoltre se mi si
concedete la vita mi ritirerei dai combattimenti, rimettendomi
alla vostra mercè”
”Messere, vi concedo la mia mercè, a patto che voi vi
dichiariate vinto in questo duello”, vedendosi così miseramente
sconfitto, il diavolo superstite non poté far altro che sottostare
alle richieste d’Ivano, scatenando immediatamente la gioia più
sfrenata nei presenti. Subito il castellano si presentò ad Ivano e
prese a dire, di nuovo: ”Messere, ora sono certo che siete
valoroso e degno di sposare la mia diletta figliola, che non
aspira ad altro che alla vostra mano”
”Messere, vi ringrazio nuovamente di tutto cuore per avermi
offerto la mano di vostra figlia, ma vi siete gia scordato che
sono fedelmente sposato ad altra dama? Oppure volete che sia
accusato d’infedeltà e bigamia? Ora bisogna, secondo il patto
che avete con quei due marrani, che lasciate andare le
damigelle quivi rinchiuse”. Al che il castellano si vide costretto
ad eseguire la richiesta, mentre tra se continuava a dire:
”Maledetto il cavaliere che riuscì a battere i due demoni
rifiutando, nel frattempo e con insistenza, la mano della mia
splendida figliola” ma ormai i tre compagni avevano preso la
propria strada in compagnia delle povere detenute, mentre
l’intiero popolo gridava la propria gioia al loro passaggio.
Capitolo 58
Finalmente i tre compagni uscirono dal contado, dopo essersi
assicurati che tutte le donzelle prigioniere furono tutte tornate a
casa propria, prendendo la strada che li portò in brevissimo
tempo al capezzale della povera diseredata. Subito la poveretta
venne a sapere del benaugurato arrivo e migliorò
immediatamente dal suo misterioso male, dalla gran gioia che
provò nel ricevere quella notizia. Appena che la piccola
spedizione entrò nel castello, iniziarono i festeggiamenti che
durarono l’intiera notte. Il mattino successivo la corte della
312
mondo senza alcuno che ci difenda ed ami, avendo io ancora un
figlio troppo piccolo perché possa sostituire il padre?”
All’improvviso, Elena si ricordò di aver lasciato
imprudentemente solo il piccolo Lancillotto e corse al lago per
cercarlo; arrivata ai piedi della collina, Elena trovò il figlio tra
le braccia di una splendida fanciulla dal gran seno totalmente
nudo che lo stava baciando tutto, a questa vista, Elena si rivolse
alla ragazza, dicendogli tristemente: ”Mia dolce amica, vi
ringrazio, ma questo bambino è in lutto perché a perduto or ora
il padre e tutti i vasti possedimenti che gli erano di retaggio”.
Elena tentò di avvicinarsi alla ragazza, ma com’ebbe fatto un
passo, la misteriosa fanciulla si alzò tuffandosi nel lago col
piccolo Lancillotto senza proferir parola. A questa vista, Elena
svenne, come si riprese e non vedendo più né la damigella né il
figlio, tentò di seguirli nel fondo del lago, ma fu fermata dal
valletto.
Contemporaneamente passava da quelle parti una badessa col
suo seguito e, sentendo lo strepito, si avvicinò per portare
conforto, ma subito vide la regina e le disse: ”Voi non siete la
mia amatissima regina? Come mai tanto strepito in un luogo
così remoto?”, a questa domanda, Elena raccontò le ultime
novità private. Alla fine la poveretta disse: ”Ora non mi rimane
che prendere il velo! Mi concedete di essere una delle vostre
consorelle?” e la badessa gli diede il permesso di prendere il
velo. Vedendo quella cerimonia, il valletto ne fu commosso ed
iniziò a dire: ”Vorrei seguire la mia padrona e diventare fratello
converso ed aiutarla in tutte le incombenze che le saranno
assegnate”
Finita la cerimonia dei voti, la regina Elena ed il valletto
decisero di usare il tesoro che si erano portati addietro per
costruire un monastero sul luogo ove morì re Ban, completato
che fu il convento, Elena fece venire delle monache, due
cappellani ed altri due fratelli conversi. Come tutto fu pronto,
Elena diede le seguenti disposizioni: ”Tutti i giorni, bisogna
57

cantare un requiem in onore del mio defunto ed amatissimo
marito, tutto il resto della giornata dobbiamo piangerlo di cuore
come si conviene ad un ottimo re defunto”
Dopo due giorni dalla morte di re Ban, anche suo fratello
Bohor passò a miglior vita, lasciando orfani due figli, il più
grande dei quali si chiamava Lionello, mentre il secondogenito
era nomato Bohor come il padre, ma essendo i due principini
troppo piccoli per reagire, re Claudas colse l’occasione per
ammettersi anche i loro territori avviti. La regina vedova tentò
di fuggire assieme ai due bambini, ma si rese conto che la cosa
non poteva essere attuata, così iniziò a dire: ”L’unica cosa che
posso fare è di affidare a qualche persona di fiducia e mi ritiri
assieme a mia cognata nel convento da lei fondato, ma per ora
non so a chi affidarli” così si ritirò assieme alla regina Elena,
mentre i due bambini furono affidati ad un fido cavaliere di
nome Farien.
Bisogna sapere che Farien aveva una stupenda e saggia
moglie, un giorno i due coniugi ebbero l’onore di una visita da
parte del re Claudas, come egli vide la splendida donna se ne
innamorò immediatamente. Per poter usufruire i favori di
costei, Claudas fece chiamare Farien, dicendogli: ”Voglio
elevarti al rango di siniscalco del regno di Gondes, garantendoti
enormi rendite”, alle prospettive di tali ricchezze, Farien
accettò immediatamente.
Una notte, dopo essere tornato a casa dai suoi affari prima del
solito Farien scoprì il motivo di tanta fortuna, infatti, trovò la
moglie che era a letto con Claudas, il quale riuscì a scappare
prima che fosse riconosciuto dal marito tradito; il giorno dopo,
Farien si fece ricevere dal re, dicendogli: ”Mio signore, stanotte
ho trovato mia moglie in compagnia di un ganzo che se la stava
scopando, ma purtroppo per me, mi è scappato prima che
potessi guardalo in faccia e riconoscerlo”. Allora Claudas si
sentì talmente al sicuro di queste parole da osare a dire: ”Mio
caro Farien, probabilmente eri talmente stanco da aver avuto le
58
indisturbato assieme alla mia adorata figlia”. Durante
quell’animata discussione erano entrati anche i due diabolici
fratelli e, vedendoli ben armati, il leone fremette dalla voglia di
combatterli, battendo energicamente la coda per terra; a vedere
quell’atteggiamento così bellicoso da parte del felino, i due
demoni si guardarono in faccia, terrorizzati, poi si rivolsero ad
Ivano, dicendogli: ”Messere dovete tenere quella bestia lontano
da noi, altrimenti sarete costretto a dichiararvi vinto alla nostra
mercè, quindi morire”
”Non sia mai che io mi batta senza l’aiuto del mio fidato
leone, che mi ha gia aiutato in diverse situazioni penosissime”
”Messere, le condizioni che voi avete dato non le possiamo
sostenere, perché in questo duello dobbiamo essere per forza
due contro uno altrimenti ci vedete costretti ad uccidervi senza
colpo ferire da parte vostra”, a quelle parole Ivano si decise a
rinchiudere il fidato leone in uno sgabuzzino lì vicino,
dopodichè chiese l’aiuto d’alcuni servi per potersi armare di
tutto punto. Una volta che Ivano fu pronto, il duello iniziò in
modo molto cruento, a tal punto che Ivano stesso si ritrovò in
grave difficoltà, nonostante che riuscisse a parare tutti i colpi
dei due perfidi fratelli.
Intanto nello sgabuzzino, il leone era alquanto afflitto per non
poter aiutare il proprio padrone ed amico, da non potersi dare
pace; ad un certo punto, il felino vide che la base della porta era
marcia, quindi, scavando in quel punto, riuscì a fare un foro
abbastanza grosso da poter uscire agevolmente. Intanto Ivano
era sempre più in difficoltà, allora il leone ne gettò a terra un
primo, vedendo il fratello in difficoltà, il secondo corse a
soccorrerlo, ma fu gettato a terra a sua volta e decapitato da
Ivano stesso; subito dopo il cavaliere corse ad aiutare il fido
felino, mentre l’intiera corte prese a levare grida di giubilo per
la vittoria del cavaliere. Il demone superstite, che nel frattempo
era stato gravemente ferito, iniziò a supplicare Ivano dicendo:
”Cavaliere avete vinto il duello contro di me e mio fratello, ma
311

sfarzosamente, sdraiato su d’un gomito, il quale poggiava su
d’una coltre di seta, mentre una ragazza, che non mostrava più
di sedici anni, era intenta a leggere un romanzo ad alta voce,
sotto lo sguardo compiaciuto dei presenti. In ogni caso la
fanciulla era talmente bella da far innamorare chiunque la
notasse ed anche Ivano non fu da meno; come fu notato, Ivano
fu ricevuto con ogni onore e benedizione. Una volta che Ivano
fu lavato e vestito a dovere, andarono tutti quanti a cena,
durante la quale ci furono talmente tante portate che nessuno
dei commensali riuscì ad arrivare al termine; finito che fu il
luculliano pasto, andarono tutti quanti a dormire, con ogni
onore per Ivano stesso, il quale era, come sempre, protetto dal
suo fidato leone.
Il giorno dopo, finita la prima messa del mattino, Ivano andò
dal castellano, dicendo: ”Messere se v’aggrada, è giunto il
momento per me di prendere il congedo per continuare le mie
avventure assieme al fido leone, quindi vi chiedo cortesemente
di lasciarci partire senza troppi esitamenti”. Il castellano, a
quelle parole, s’arrabbiò parecchio e prese a dire: ”Messere,
purtroppo la situazione m’impone di trattenervi presso di me
finché non sarete riuscito a battere i due figli del diavolo e
m’abbiate promesso di sposare la mia splendida e dolcissima
figliola che, m’accorsi gia dal vostro arrivo ieri sera, vi ha
conquistato irrimediabilmente il cuore”
”Purtroppo la situazione delle mie cerche e speranze non mi
acconsentono d’accettare la richiesta che m’avete appena fatto,
soprattutto per quanto riguarda vostra figlia, dato che sono gia
felicemente sposato con un’altra dama di gran classe e
bellezza”
”Messere, purtroppo per voi, dopo che avete varcato la soglia
di questo castello, ogni altra priorità di chi qui entra decade
immediatamente ai voleri dei due demoni chi ivi abitano e
spadroneggiano, l’unica vostra speranza è quella di batterli il
più velocemente possibile, in modo da poter andarvene
310
allucinazioni notturne, se non addirittura si tratta di un
fantasima che voleva prendersi gioco di te”. Farien però non si
fidò completamente di quanto gli aveva detto il re e, tornando a
casa, fece rinchiudere la moglie in una torre, dicendo: ”Da
questo momento l’unica persona che è autorizzata ad entrarci
sarà una vecchia che dovrà rifornirle i cibi e le bevande di cui
abbisogna”
A dispetto del marito, però, la dama riuscì a far sì che Claudas
avesse il seguente messaggio: ”Mio amato signore, sappi che
non sei riuscito a convincere completamente mio marito,
quando si è venuto a lamentare con te, tanto è vero che ora mi
ritrovo rinchiusa in una torre del nostro castello e solo una
megera mi viene a trovare, quando è il momento di
consegnarmi i pasti”. A questa notizia, Claudas mandò a dire al
suo fidato siniscalco: ”Domani sera vengo a cena al tuo
castello, Farien, ci terrei che tua moglie venga a farci
compagnia”. Al che Farien, andò dalla consorte dicendogli:
”Mia infame moglie, sappi che domani sera abbiamo il nostro
beneamato re ospite a cena, a chiesto espressamente la tua
presenza alla sua regale tavola, assieme a me, ma sappi che sarà
solo per quel pasto, grazie alla richiesta esplicita del nostro
sovrano”
Durante il pasto, Farien fece sedere la moglie alla propria
sinistra, di fronte a Claudas; ad un certo punto la dama disse:
”Mio signore non ha fatto avvertire i legittimi principi del
reame di Gonnes, che abbiamo ospiti in questo castello?”. Re
Claudas, sentendo questa domanda, disse: ”Caro Farien, se è
vero quanto ha detto tua moglie, affidatemeli perché li educhi
come si deve, ti garantisco che quando sarà l’età giusta li
investirò cavalieri, restituendogli sia Gonnes sia il Benoic”,
come Claudas ebbe i due fanciulli tra le mani, pensò bene di
rinchiuderli in una torre del castello di Trebe, lasciandoli in
compagnia di Farien e del nipote di quest’ultimo, Lambeque.
Capitolo 8
59

La damigella che rapì il piccolo Lancillotto sulle rive del lago
di Diana, fuggendo dalle preoccupazioni della regina Elena, si
chiamava Viviana ed era una fata allieva di Merlino, il gran
profeta degli inglesi e consigliere dei primi anni di regno di re
Artù di Camelot. In realtà anche il lago di Diana era un
incantesimo di Merlino per proteggere la splendida dimora, col
relativo contado, della bella Viviana, presso la quale Lancillotto
cresceva in sapienza e bellezza, coccolato e vezzeggiato da tutti
a corte, pur senza sapere il proprio vero nome. Tutto quello che
Lancillotto doveva sapere era imparato con estrema facilità;
inoltre era un ragazzo talmente bello da meritare una
descrizione particolare: carnagione bruno chiaro, bocca piccola
e racchiusa da labbra rosse ben disegnate che racchiudono denti
bianchi e fitti. Il mento ben fatto con una fossetta, il naso era
leggermente aquilino e gli occhi azzurri cangianti, solitamente
ridenti, che diventavano pericolosi quando era arrabbiato. La
sua voce era uno squillo di tromba; la fronte era alta, le
sopraciglia erano sottili e folte, mentre i biondi capelli erano
portati lunghi, le larghe spalle erano portate alte, mentre le
braccia e le dita erano lunghe, il resto del corpo era parimenti
ben proporzionato sennonché il torace era troppo ampio. Anche
se non cantava spesso, Lancillotto aveva una splendida voce;
caratterialmente era molto generoso, anche se era in grado di
diventare veramente fellone, se riteneva di aver subito un torto,
tale bellezza mascolina avrebbe fatto veramente innamorare la
regina Ginevra. Durante una battuta di caccia al capriolo, il
campione fu ovviamente Lancillotto; al ritorno incontrò un
valletto appiedato e sconsolato, al che Lancillotto disse: ”Come
mai tutta questa mestizia, buon valletto?”
”Sono stato disonorato e sto andando alla corte di re Claudas
per avere giustizia del torto subito ma appiedato come sono,
impiegherò troppo tempo e non so se vi arriverò a tempo”.
Sentendo questa storia, Lancillotto gli disse: ”Prendi pure il
mio cavallo così arriverai a tempo col tuo appuntamento con
60
ora voi tre dovrete pagare l’affronto che mi state facendo subire
per la vostra scortesia”
”Messere, come mai è permesso un affronto di tal fatta,
rendendo in schiavitù tante belle e savie pulzelle?”, ma a quella
domanda Ivano non ottenne risposta dal portiere villano.
Vedendo quel comportamento così poco cavalleresco, Ivano si
rivolse alla gabbia ripetendo la domanda che aveva gia fatto al
bifolco, in quel mentre il prode cavaliere s’accorse che le
damigelle stavano piangendo. Subito una di loro gli rivolse la
parola, dicendo: ”Tempo fa v’era un reame denominato delle
Ragazze e che si trovava su di un’isola; il re di quella contrada
si mise in viaggio, desideroso di conoscere tutte le novità che
poteva offrirgli il mondo, arrivando ben presto ospite in questo
castello, il quale era retto da due fratelli, figli del diavolo e che
lo batterono in duello, ma colui barattò la propria sconfitta con
la prigionia e la schiavitù mia e delle mie compagne che vedete
qui con me. Questa situazione durerà finché non arriverà il
cavaliere che sarà capace di batterli entrambi
contemporaneamente, liberandoci in quel modo dalla
sofferenza e dal disonore. Sappi un’altra cosa, cavaliere: non
riusciamo a lavorare abbastanza da procurarci abiti e cibo
sufficienti; inoltre se non lavoriamo giorno e notte veniamo
bastonate a sangue dal nostro padrone, mentre lui si sta
arricchendo sempre più sulle nostre sofferenze”. La povera
damigella fece una pausa, riflettendo su cosa dire, poi riprese il
discorso tra le lacrime, aggiungendo: ”C’è un’ultima cosa che
dovete sapere, cavaliere; chiunque desideri essere ospitato in
questo maniero, deve prima riuscire a battere i due diavoli, ma
sempre più spesso i poveracci che li affrontano rimangono
invariabilmente uccisi”
Sentendo quelle parole, Ivano iniziò a sperare che la cosa non
accadesse, ma se non poteva farne a meno, sperava di poter
vincere per il bene delle pulzelle ivi rinchiuse. Subito dopo si
diresse verso un verziere, ove incontrò un uomo vestito
309

tempo e sono partiti da poco in quella direzione, se sforzate un
po’ l’andatura del vostro destriero potete raggiungerlo lungo
quel sentiero laggiù”. Finalmente la damigella raggiunse Ivano
e gli raccontò tutto l’accaduto, alla fine chiese:”messere potete
fare qualcosa per trarre da questa difficoltà la mia adorata
signora?”
”Madamigella, è indubbio che la vostra padroncina versi in
gravi difficoltà, quindi non posso esimermi dal soccorrerla in
tal frangente. Ora conducetemi da lei e vediamo d’affrontare
quest’ennesima difficoltà”
Capitolo 57.
Intanto che i due stavano chiacchierando in quel modo,
arrivarono nei pressi del Castello della Pessima Avventura;
mentre gli s’avvicinarono, un cavaliere li intercettò e, rivolta la
parola ad Ivano, disse: ”Miei signori, se non volete che
sventura vi colga, passate oltre questo maniero”, ma i tre
compagni l’ignorarono, ritrovandosi ben presto alla porta del
maniero soprattutto perché ormai era troppo tardi per cercare un
altro luogo ove chiedere ospitalità. Subito il portiere del
maniero iniziò a trattarli in modo veramente villano, ma
quest’ultimo fu messo da parte ed ignorato. Entrati che furono
nella sala d’ingresso, i tre compagni si ritrovarono davanti ad
un’immensa gabbia ove trovarono trecento damigelle intente a
tessere, al meglio, dei preziosi tessuti in seta ed oro. La cosa
che impietosì maggiormente Ivano era il loro miserevole
aspetto, tanto erano malvestite e gracili, dimagrite dalla fame e
dalla mancanza di sonno. Una di loro s’accorse della presenza
dei nuovi venuti ed alzati gli occhi su Ivano chiese con essi il
loro aiuto; vedendo quello spettacolo così miserevole, Ivano
stava gia per andarsene, ma fu bloccato nuovamente dal
portiere, il quale prese a dire: ”Villano d’un cavaliere, come vi
permettete d’entrare in questo loco senza esserne invitato? Che
ne sarà di me quando la cosa sarà resa nota ai miei signori? Ma
308
l’onore” e dicendo questo, gli porse le briglie, trattenendo per
se solamente la selvaggina. Poco dopo Lancillotto incontrò un
valvassore che se ne tornava a casa estremamente sconsolato,
allora gli chiese: ”Mio signore che cosa ti è successo?”
”Mio giovane ragazzo, sono molto deluso perché oggi si sposa
mia figlia e non sono riuscito a portare a casa nulla per
preparare il banchetto nuziale ma pre caso tu sei il figlio del
nostro defunto re Ban ed erede del Benoic, a cui somigli
tantissimo?”. Lancillotto si turbò parecchio per quelle parole,
poi disse: ”Non te lo so dire, valvassore, ma talvolta mi
chiamano figlio di re”. Allora il valvassore lo guardò meglio e
disse: ”Devi sapere, giovanotto, che tutti questi territori erano
di re Ban, ma sono stati completamente conquistati da
quell’usurpatore di re Claudas”
”Mio signore, per quanto riguarda il pranzo nuziale, posso
aiutarti dandoti questo capriolo, che ho cacciato io stesso,
inoltre augurandoti buona fortuna nella caccia, ti dono anche
questi splendidi levrieri, ottimi in quell’attività in cui sei stato
veramente sfortunato, oggi”, in questo modo i due si lasciarono
con ottimi rapporti. Fatti pochi metri, Lancillotto incontrò il
proprio precettore, assieme a tre dei suoi compagni di studio
che lo cercavano, vedendolo appiedato e senza la selvaggina, il
precettore prese a dire: ”Disgraziato di un ragazzo, che fine
hanno fatto la tua preda e quell’ottimo cavallo che ti era stato
per la partita di caccia?” e dicendo questo, l’insegnante iniziò a
battere crudelmente il generoso giovine ed anche più
rabbiosamente per il bel levriero che Lancillotto aveva ricevuto
in dono. Lancillotto perse immediatamente la pazienza
rompendo un arco in testa al fellone, causandogli una
lacerazione della cute.
Subito dopo, Lancillotto si rivolse ai propri compagni,
dicendogli: ”Andatevene anche voi tre, disgraziati, prima che vi
batta come quel bacchettone che si spacciava per nostro
precettore, dato che lo avete aiutato a cercarmi”, come i tre se
61

ne furono andati, Lancillotto prese uno dei cavalli rimasti sul
luogo e se n’andò al castello del lago di Diana. Lungo la strada,
Lancillotto s’imbatté in un branco di cerve, ma non poté
cacciarle perché aveva rotto la sua unica arma sulla testa
dell’insegnante bacchettone, rimanendone ulteriormente stizzito
con questo ultimo, ormai lontano. Ormai, però, Lancillotto non
aveva nient’altro da fare che proseguire il proprio cammino
verso casa.
Giunto che fu a corte, Lancillotto scoprì che il precettore,
sanguinante, lo aveva preceduto; come lo vide, Viviana si
rivolse al giovine, dicendogli: ”Mio buon Lancillotto, come
puoi scusare quel tuo comportamento?”
”Mia amata signora, dovete sapere che quel precettore che mi
avete dato non vale assolutamente niente, inoltre ha battuto
prima me, poi si accanì anche più crudelmente quello splendido
levriero che mi fu donato oggi stesso e per poco non lo uccide.
Inoltre visti i doni che ho fatto oggi, non mi sento in dovere di
dare spiegazioni a costui”
”Come vuoi, Lancillotto, signor precettore è sollevato dal
vostro incarico d’istruire il ragazzo. Lancillotto d’ora in poi
sarai tu il tuo precettore”. Detto questo lo baciò teneramente
prima sulla bocca, poi sugli occhi. Qualche mese dopo quegli
accadimenti appena descritti, Viviana mandò una delle sue
pulzelle più belle e sagge e cortesi, nomata Seraide, a Gonnes
alla corte di re Claudas. In quei giorni, eravamo sotto santa
Maddalena, re Claudas teneva corte con tanto di banchetto.
Appunto durante quel festino entrò a corte Seraide, portando
due levrieri portati con catene d’oro alla moda di guinzagli.
Giunta che fu al centro della sala, Seraide si rivolse a re
Claudas con questi accenti, in modo da farsi sentire dall’intiera
corte: ”Re Claudas, che ti salvi Iddio! Ti saluto da parte della
migliore tra le dame, la quale fino ad ora ti reputava un re
assennato, ma ultimamente alcune voci riducono della metà la
stima che si ha di te”
62
modo eccellente poco tempo fa, uccidendo un orrido gigante
che sequestrò i miei adorati figli; a conferma di quanto vi ho
detto, domattina potrete vedere il cadavere nella spianata
davanti alle mura del castello, ma ora non so dirvi esattamente
dove sia andato, dato che subito dopo i festeggiamenti s’avviò
verso la leggendaria fontana miracolosa. Ripartita che sarete,
potrete dirigervi in quella direzione, sperando d’ottenerne
nuove informazioni lungo la strada”, a quella notizia, la
damigella sussultò di gioia, ma a quel punto era arrivato il
momento in cui tutti andassero a dormire.
Il mattino successivo, all’alba, la damigella fu portata al
sentiero che portava alla fontana magica, ivi giunta essa
incontrò alcune persone, che dissero: ”Effettivamente in questi
giorni, proprio qui, vedemmo ben quattro cavalieri, ma non
sapremmo dirvi nulla al loro riguardo”. In quel momento la
messa nella vicina cappella finì e Lunetta uscì all’aperto, a
quella vista, una delle persone disse: ”Forse madamigella
Lunetta, che si sta dirigendo verso di noi, potrà dirvi qualcosa
di più a tal proposito, dato che accompagnò il vincitore d’una
recente sfida per la propria strada assieme ad un grosso leone
dalla coda mozza”. Saputo che ebbe quanto la damigella
cercava, Lunetta gli disse: ”Mia cara ragazza, siete veramente
fortunata, visto che accompagnai proprio il cavaliere che state
cercando nella giusta direzione per completare le sue avventure,
assieme al suo compagno felino”, così dicendo, Lunetta
condusse la damigella lungo il sentiero che aveva fatto con i
due compagni fino al punto in cui li lasciò, indicandogli, però
la direzione presa da Ivano e dal leone.
Passato che fu metà del pomeriggio, la damigella arrivò nei
pressi d’un maniero ove sicuramente Ivano si fermò per essere
curato; infatti il castellano le disse: ”Buona fanciulla pensate
bene, che quel cavaliere rimase presso di noi alcuni giorni
assieme ad un grosso leone, entrambi orrendamente feriti, ma le
nostre cure li hanno guariti completamente in pochissimo
307

accontò tutto quanto quello che accadde fino a quel momento,
quindi il famiglio disse: ”Da come stanno le cose, affermerei
che bisogna trovare una persona di fiducia, che vi sostituisca in
questa cerca così pressante, mentre voi vi curate come si deve,
ora non preoccupatevi, che manderò una delle vostre compagne
avanti, in modo tale che il tutto si risolva alla svelta”. Così il
buon servitore si rivolse ad una fidatissima damigella del
seguito, dandogli tutte le istruzioni che aveva avuto
dall’adorata padroncina, infine l’ambasciatrice montò in sella
ed iniziò a galoppare a tal punto che venne notte e si ritrovò
lontana da ogni abitazione, in un buio bosco, al che la poverina
si mise in apprensione per la nuova situazione in cui si era
messa. In quel mentre la poverina sentì mugghiare un corno che
l’accompagnò giustamente nei pressi d’una croce, da dove notò
un ponte di pietra che portava ad un castello rotondo e ben
difeso; a quella vista la giovinetta ci si diresse con la speranza
nel cuore di poter ottenere amichevole ospitalità. Arrivata che
fu al ponte, una guardia la vide e gli disse: ”Madamigella, siete
stata ben fortunata ad arrivare in questo maniero a quest’ora,
fatevi coraggio ed accomodatevi all’interno, prima che la notte
sia completamente giunta”
Finita che fu la cena, attesero l’ora d’andare a letto, nel
frattempo, il castellano prese a chiedere alla damigella:
”Madamigella, è chiaro che voi state cercando qualcuno o
qualcosa, quindi se posso esservi d’aiuto dandovi le dovute
indicazioni? Domandate pure senza rischio d’offendere”. La
damigella titubò alquanto, poi disse: ”La mia adorata padrona
era alla ricerca d’un cavaliere che la difendesse in una contesa
contro sua sorella, ma appena partita nella cerca, cadde
ammalata dalla disperazione; il paladino che sperava di trovare
è noto anche come il Cavaliere del Leone, mi sapete dire
qualcosa di costui?”
”Madamigella, siete veramente fortunata, infatti il cavaliere
che state cercando per conto della vostra padrona mi servì in
306
”Mia bella e savia pulzella, io ti saluto ben volentieri, ma non
merito tanta reputazione presso la tua padrona, anche se non la
conosco, ma dimmi ora il motivo dei tuoi accenti e della tua
visita presso la mia umile corte in questo festoso giorno”
”Non è forse vero che tieni prigionieri i figli del defunto re
Bohor che prelevasti con la scusa d’educarli, anche se non ti
hanno fatto niente di male?”
”Mi sento costretto ad ammettere questa verità, cioè
veramente in custodia preventiva i due giovani eredi di re
Bohor, ma a giudicare dal tuo sguardo vuoi che li liberi
immediatamente e così sarà all’istante, fate venire alla mia
presenza gli eredi del signore di questo paese”
La sera precendente, intanto, i due fanciulli stavano
mangiando, come loro solito, dalla stessa scodella ed il loro
precettore Farien, guardandoli, si mise a piangere; vedendo
quella reazione, Lionello gli chiese: ”Che hai mio amato ajo?”
”Non vale la pena che tu la sappia, bel giovanotto, perché te
ne rattristeresti”
Lionello, che era noto per il suo forte appetito, disse: ”Caro
precettore, se non me lo dici, io smetto di mangiare finché non
parli!”
”Mi duole della disgrazia del casato di Gonnes, perché al
posto tuo e del fratello amato, regna quell’usurpatore di
Claudas”; si deve sapere che Lionello ebbe il suo nome ad una
voglia vermiglia sul petto a forma di leone, mentre corse nella
stanza più alta dell’alloggio e si sedette sul davanzale della
finestra, Lionello non fece in tempo ad accomodarsi, che fu
raggiunto da Farien ed iniziò a dire: ”Ti supplico, buon
Lionello, di tornare a mangiare, perché altrimenti deperirai a tal
punto da non sperare più nella successione al regno che ti
spetta”
”Non toccherò più cibo finché non avrò portato a compimento
il progetto che ho in mente, è inutile che cerchi di sapere di
63

cosa si tratti, precettore, perché non ho intenzione di rivelarlo a
nessuno”
”Mio adorato principe, vi garantisco che se non mi rivelate il
vostro intento, io chiedo ufficialmente di essere sollevato da
ogni incarico presso di voi”
”E sia, mio fidato Farien, vi dico tutto; domattina ho
intenzione di chiedere udienza a quel traditore di Claudas per
poterlo uccidere”
”Mio signore, non pensate che il progetto sia alquanto
avventato? Il popolo che dirà se lo venisse a sapere?”
”Mio fidato precettore non devi preoccuparti per il popolo,
perché sono sicure che di averlo dallo mia parte visto che
Claudas è veramente tiranno nei confronti della mia gente”
”Mio signore vi consiglio di pazientare ancora qualche tempo,
perché siete ancora troppo debole perché affronti un tale rivale,
inoltre vi conviene non incontrare quel ribaldo finché non sarà
il momento opportuno”. Mentre Farien gli dava questi consigli,
Lionello pensava tra se queste cose: ”Darò ragione a costui che
comunque è molto saggio, ma niente e nessuno mi farà deviare
dall’intento di continuare il digiuno che mi sono ripromesso”
Contemporaneamente, nella sala da pranzo, Bohor riprese a
mangiare di malavoglia, perché Lambeque gli aveva detto:
”Mio dolce discepolo, come potete pretendere di divenire forte
a tal punto di aspirare eventualmente al trono di vostro fratello
se non mangiate adeguatamente, anche se la fortuna non vi
arriderà e rimarrete debole, il trono non potrà avere nessun
vantaggio da voi, vedete che comunque vi conviene mangiare
come si deve?”
La sera successiva a questi problemi ed intenti, Claudas arrivò
da Farien, e lo mandò dai due principini con gran pompa a
riferirgli: ”Re Claudas desidera che i principi Lionello e Bohor
si presentino alla sua mensa che questa sera è imbandita presso
la corte di Farien sotto il vostro stesso tetto”
64
”Madamigella, non so cosa sia preso alla vostra germana, ma
non v’è dubbio che la ragione è tutta dalla vostra parte, quindi
in considerazione della vostra richiesta nei miei confronti,
accetto di difendervi in questa disgraziata vertenza d’eredità”,
in quello stesso momento arrivò anche la minore, ma venne a
sapere immediatamente che sir Galvano era gia andato in aiuto
alla maggiore. Al che la poverina si rivolse ad Artù in persona,
dicendo: ”Sire, il padre è morto e la sorella maggiore pretende
di tenere per se tutta l’eredità ed arrivò alla vostra corte prima
di me, ottenendo l’aiuto del vostro migliore cavaliere. Infatti
vostro nipote Galvano ha accettato d’aiutarla a mio discapito,
ora a chi può rivolgersi la qui presente meschina? Se almeno il
cavaliere del leone fosse da queste parti, almeno lui potrebbe
contrastare messer Galvano”
”Sentii gia nominare quel misterioso cavaliere, ma non ho
idea di chi possa essere, anche se ho sentito assicurare che è
veramente forte, degno di stare alla mia corte, ma vi prometto
una cosa, damigella, di trovarlo a qualunque costo, anche se
sono sicuro che ci vorrà molto tempo per poterlo trovare”
”Alla luce di questi fatti non mi resta altro da fare che
chiedervi umilmente congedo, ringraziandovi per quanto avete
fatto, sire, anche se il vostro aiuto per ora non ha portato alcun
frutto alla mia causa. Ora conviene che mi ci metta io alla
ricerca del mio cavaliere ideale”, detto questo la damigella
riprese la propria strada, sperando di trovare Ivano in breve
tempo, ma con un gran dolore nel cuore per i risultati nefandi di
quel viaggio a Caradigan.
Arrivata ad una locanda a pochi giorni dalla corte di Camelot,
la damigella era talmente addolorata che cadde malata; in quel
mentre, dal suo paese, arrivò un famiglio di fiducia che,
accortosi della malattia della padroncina, disse: ”Mia dolce
signorina, è evidente che voi non siete in grado di proseguire
nel vostro intento, quindi ditemi pure cosa vi turba perché
possa risolvere la cosa nel modo migliore”. La damigella
305

compagni abbiano il tempo d’esserne informati ed organizzarsi
per il viaggio ed arrivare a corte presso Caradigan, così sia
detto e sarà”. Il giorno stabilito parteciparono al lieto evento
veramente tutti, perché nessuno aveva il coraggio di contraddire
gli ordini del buon re, facendo sì che l’intiera festa durasse per
quindici giorni di seguito nei quali vi furono numerosi balli e
carole, storie di menestrelli, i quali raccontarono ampliamente
le gesta degli eroi presenti, compresa quella di Parsifal col
santo Graal, giochi dei giullari e degli acrobati. Tra un
intrattenimento e l’altro, i due novelli sposi si conobbero come
si doveva, prendendo l’occasione dell’oscurità della notte.
All’inizio della terza settimana, di festeggiamenti, re Artù
s’alzò dalla sua tavolata e disse: ”Messeri, non ci rimane che
organizzare un gran torneo cavalleresco; stabilisco di correrlo
fra un mese da oggi nella nobile città d’Edimburgo, sperando
che i cavalieri ed i nobili quivi presenti si facciano avanti anche
in quell’occasione, magari portando, intanto, la notizia a tutte le
contrade più lontane e che non hanno potuto essere qui tra di
noi in questi festeggiamenti”
Parte sedicesima: ultime avventure d’Ivano d’Ivano e d’Erèc ed ed Enide.
Enide.
Capitolo 56.
Negli stessi giorni, il Signore della Nera Spina passò a miglior
vita, trovandosi con enormi ricchezze, le due figlie arrivarono
ad un contenzioso veramente spiacevole per i loro villici; non
vedendo alcuna via d’uscita, la minore si rivolse alla maggiore,
dicendo: ”Se vuoi la guerra, così sia, ma sappi che ho
intenzione di presentarmi alla corte di re Artù, a Camelot, per
averne tutte le mie buone ragioni”. A quelle parole, la maggiore
si preoccupò alquanto, tanto da partire immediatamente, senza
dire niente ad alcuno, cosicché giunse per tempo a Caradigan e
si fece ricevere da Galvano in persona, dicendogli: ”Messere mi
vedo costretta a rivolgermi a voi, dopo che il mio caro padre
morì poco tempo fa, perché la sorella minore pretende d’avere
anche solo in parte, l’eredità che mi spetta di diritto”
304
”Mio caro precettore, signori qui presenti, vi chiedo a tutti
quanti la licenza d’andarmi a preparare come si deve a
presentarmi degnamente ad un tale invito regale”, come poté
tornarsene nella propria stanza a prepararsi, Lionello tentò di
nascondere un coltello sotto il corsetto che indossava per
l’occasione. In quel mentre si presentò sulla soglia Farien per
controllare se fosse tutto a posto e notò immediatamente l’arma
male nascosta e gli disse: ”Mio signore vi state visibilmente
compromettendo, vi prego di darmi quella lama che state
tentando d’occultare”
”Farien, se mi sequestrate quest’arma vi garantisco che non
muoverò passo al di fuori di queste stanze”
”Buon Lionello vedete che se occulto quella lama sulla mia
persona, desterà molto meno sospetti, anche perché la
nasconderò in modo migliore. Inoltre potrò proteggervi in
modo migliore, visto che conosco molto meglio di voi l’antica
ed onorevole arte della guerra e nell’uso delle armi”, così
Lionello e Bohor montarono in sella con i loro maestri e furono
condotti alla sala dei banchetti tra due ali di folla che pregava
per loro. Giunta che fu davanti alle porte del corpo principale
del castello, la piccola comitiva fu accolta nel modo migliore
possibile dalla servitù del palazzo, quindi i due principini
furono fatti entrare nella sala dei banchetti; subito Lionello
riconobbe Claudas dalle sue insegne regali, oltre ad un viso che
mostrava la sua fellonia e crudeltà.
Arrivati che furono in mezzo alla sala i due fratelli, Claudas si
rivolse a Lionello, dicendogli: ”Buon Lionello, permettimi di
levare un brindisi in tuo onore, ma prima che io inizi dovresti
munirti di un adeguato calice, come si deve al tuo rango”, ma il
giovine non aveva occhi che per la splendida spada
dell’usurpatore, cosicché il silenzio e l’immobilità si
protrassero per diversi minuti. Passato che fu diverso tempo,
Seraide si rivolse a Lionello dicendogli: ”Mio principe,
rianimatevi, per favore, ed accettate il brindisi con cui vi onora
65

e Claudas”, allora Lionello si riebbe e, presa la coppa che gli
era offerta, tentennò per qualche istante, poi, presso dal furore,
la scagliò addosso a Claudas, colpendolo alla fronte; al colpo il
re stramazzò per terra privo di sensi, perdendo la corona che
rotolò ai piedi di Lionello stesso. Questi iniziò a calpestarla con
tale furore che parecchie pietre preziose uscirono dalla loro
sede.
A tale atto l’intiera corte andò in totale scompiglio, ma
Lionello, che lo aveva raggiunto brandendo la spada, e Bohor
che aveva sottratto lo scettro incastonato di gemme, riuscirono
a guadagnare l’uscita dopo molto battagliare, guidati da
Seraide. Poco prima che i tre fuggiaschi riuscissero a fuggire,
Darin, il figlio del re, gli si parò davanti rimanendo ucciso da
un fendente di Lionello stesso. Contemporaneamente Claudas
riuscì ad alzarsi tutto sanguinante e, vedendo morire in quel
modo il figlio, s’avventò contro i due principini con l’intento di
ucciderli, ma ferì sulla guancia Seraide stessa; vistasi così
deturpata, la pulzella rampognò Claudas in questo modo: ”Ah!
Claudas ho pagato assai cara la visita alla tua corte! Mi avete
ferita e per poco non avete ucciso i miei levrieri che sono sì
belli!” infatti, durante la confusione, la giovane messaggera
aveva fatto un sortilegio in modo che Claudas scambiasse i due
splendidi cani per i principini, i quali però si erano gia messi al
sicuro all’esterno del maniero. Al momento di vibrare un
secondo colpo, Claudas perse l’equilibrio facendo cadere la
spada, la quale andò in mille pezzi.
Finito che fu il parapiglia, Claudas era ancora sotto l’effetto
dell’incantesimo, assieme all’intiera corte, e disse: ”Riportate
quei due disgraziati mocciosi nelle loro stanze e non fateli mai
più uscire finché la morte non li raggiunga”. Come l’ordine fu
eseguito, Claudas si chinò sul corpo del figlio ed iniziò a dire:
”Mio adorato figliolo perché doveva succederti questa disgrazia
davanti ai miei occhi? Non potevo essere io a cadere sotto i
violenti colpi di quei due imbelli giovani che ora teniamo
66
quello splendido abito. Vedendo l’effetto finale di
quell’abbigliamento, Ginevra prese fuori da uno dei suoi bauli
uno splendido gruppo di gioielli, facendo indossare anche
quelli ad Enide, disse: ”Madamigella, ora sì che potrete ferire
più d’un cuore, se non v’avessi abbigliata io, quasi quasi sarei
gelosa di voi, ora andiamo che voglio vedere se effettivamente
farete innamorare l’intiera corte ancor di più di quanto abbiate
gia fatto al vostro arrivo”, così dicendo, tornarono entrambe
nella sala del trono a farsi ammirare come si deve. Giunte che
furono presso tutti gli altri, Ginevra disse: ”Messer Erèc ora vi
consegno la futura sposa abbigliata come meriterebbe una
bellezza qual è costei, mi raccomando a voi di trattarla con la
dovuta reverenza e cortesia, come se state di fronte alla mia
presenza”, tale apparizione così bella fece innamorare parecchi
dei presenti, mentre Enide arrossì notevolmente, aumentando,
in questo modo, la sua gia notevole bellezza.
Finalmente, finita la cerimonia per l’ingresso a corte d’Enide,
Erèc allestì una piccola carovana di cinque muli con la relativa
scorta da spedire ai suoceri, sui quali vi mise ogni cosa preziosa
che poteva loro servire per risollevare le loro finanze,
immediatamente dopo Erèc preparò una missiva che consegnò
ad un corriere da spedire a re Lac, suo padre, per informarlo di
tutto quanto e ricevendone ben presto un consenso
incondizionato anche per il dono che aveva promesso ai futuri
suoceri, avendone anche ogni più gran lode per il generoso
gesto. Avuta la benedizione del padre, Erèc si presentò al
proprio re, dicendogli: ”Sire, la mia nobile famiglia mi ha dato
la sua benedizione alle nozze, come mi furono gia date alla
nostra partenza da quella di lei ed all’arrivo da voi e dalla
regina Ginevra, ora, se siete ancora d’accordo, voglio stabilire
la data delle nozze”. Il buon re annuì gravemente e, sorridendo,
prese a dire: ”Le vostre nozze, buon Erèc, devono essere
veramente sfarzose, quindi si stabilisca che siano celebrate fra
due settimane da oggi, in modo tale che tutti i vostri parenti e
303

improvvisamente davanti re Artù con tutta la corte, che li
festeggiò grandemente, perché Idièr aveva detto proprio il vero
nei confronti della bell’Enide. Finiti i primi festeggiamenti,
tutta la popolazione s’avviò alla vicina Stonhenge, ove Erèc si
chinò al suo sovrano, dicendo: ”Mio signore affrontai
d’impulso quest’avventura inaspettata per difendere l’onore
mio e della vostra amatissima e rispettabilissima sposa, ma mai
avrei immaginato di poter trovare la regina del mio cuore in
questa splendida damigella che risponde al bellissimo nome
d’Enide, se voi lo concedete, vorrei sposarla al più presto,
avendone gia avuto il consenso dell’intiera sua famiglia”. Artù
e Ginevra scesero dai loro troni e, abbracciati i due giovani,
dissero: ”Mai unione fu più voluta di questa, avete la nostra
totale ed incondizionata benedizione all’unione, ora decidete la
più vicina data possibile per le nozze e fate arrivare tutti i vostri
beneamati parenti”. Subito, però, Ginevra s’accorse che la
povera Enide portava dei vestiti alquanto laceri, infatti prese a
dire: ”Madamigella non potete girare per la nostra corte con
quella veste così logora, venite con me che guardiamo nel mio
guardaroba se riusciamo a trovare quanto di meglio ci sia per
voi”. Le due donne si congedarono immediatamente, col
beneplacito sia d’Artù sia d’Erèc, che ardevano dalla voglia di
vedere quale splendido vestito avesse scelto la buona regina per
la bell’Enide. Una volta che furono sole, le due donne
iniziarono a guardare nel guardaroba della regina, infine venne
fuori uno splendido vestito tutto foderato d’ermellino e con
ricami d’oro e pietre preziose, che fece molto piacere ad Enide,
la quale disse, piena di commozione: ”Mia signora non merito
un vestito così bello, quasi mi vergogno d’indossarlo solo
perché me l’avete regalato voi”.
”Cara ragazza, dovete avere quanto c’è di meglio come vestiti
per far risaltare la vostra enorme bellezza, quindi non sentitevi
incolpa se vi dono questo misero vestito per farvi abbagliare
l’intiera corte”, finalmente Enide si decise ad abbigliarsi con
302
prigionieri nella torre più alta del castello?”.
Contemporaneamente anche Farien e Lambeque stavano
piangendo la perdita dei due presunti principi, con queste
accorate parole: ”Come potremo guardare negli occhi quella
povera madre che ci affidò i suoi figli e che ora languono reietti
in una prigione di questo tetro palazzo?” e così dicendo non si
erano ancora accorti del felice scambio creato dalla splendida
messaggera.
Intanto Seraide arrivò nel bosco, ove la attendevano i suoi
scudieri, assieme ai due principini ancora tramutati in levrieri;
una volta che furono tutti in sella, partirono a forte andatura e si
fermarono solamente a notte fonda. Creato che fu
l’accampamento, Seraide prese i due cani e disse: ”Ora, miei
cari principi potete riprendere il vostro originale aspetto e
mostrare a tutti che bei ragazzi che siete”, vedendo i due
principini, il resto della comitiva ebbe un moto d’immenso e
meravigliato stupore per la loro effettiva bellezza. Subito gli
scudieri si rivolsero a Seraide, dicendogli: ”Nostra bella e
buona signora, hai fatto un gesto nobile e generoso a salvare
questi due splendidi giovinetti dalle terribili mani di quel
perfido re che è Claudas” ed iniziarono a vezzeggiarli fino l’ora
di andare a letto, nonostante che non ne conoscevano la vera
identità.
Il mattino successivo si rimisero in marcia di gran carriera,
arrivando al castello di Viviana nella serata, la quale prese
subito i due giovani sotto la propria protezione, dicendogli:
”Figli di Bohor, siete arrivati nel luogo che vi proteggerà fino
alla maggiore età dandovi tutta l’istruzione e cura di cui avete
bisogno; sappiate inoltre che in questo stesso luogo vive vostro
cugino Lancillotto, figlio di vostro zio Ban, che morì poche ore
prima di vostro padre”. Infine si misero tutti a tavola, mentre il
menestrello di corte prese a cantare la seguente canzone, in
onore dei due re scomparsi:
Sommo lutto per il prode re Ban
67

Ucciso a tradimento dall’oscuro siniscalco
Per dare i possedimenti all’infido Claudas
Rendendo orfano il principe infante
Sia di padre che di regno.
Enorme condoglianza per il piccolo
Lancillotto, inconsapevole vittima
Di tanto dolore ed orgoglio fedifrago.
Povera Elena, involontaria vittima
Enorme crudeltà di Claudas,
Il quale la priva del regno.
Poveri eredi di Gonnes, resi orfani
Del padre Bohor
Dalla tracotanza del perfido Claudas,
Rendendo Lionello e Bohor
Prigionieri della propria reggia.
Disonore a Claudas, che mandò
Nella disperazione due famiglie
Ed i ricchi territori di Benoic e Gonnes,
Che i legittimi eredi possano riaverli,
Il giorno fausto della ribellione.
Capitolo 9
Intanto a Gonnes, per vendetta, Farien e Lambeque
chiamarono alcuni fidati valletti al loro servizio, dicendogli:
”Cari ragazzi, correte immediatamente da tutti i signori di
queste contrade e dite loro che Farien e Lambeque devono
comunicare loro delle notizie molto importanti; anzi fatelo
sapere anche a tutta la gente comune che riuscite ad incontrare
lungo il vostro tragitto”. Una volta che tutta la gente fu avvisata
del desiderio dei due stimatissimi cavalieri, Farien prese a dire:
”Miei signori, prima di tutto vi ringrazio di essere accorsi al
mio appello. Ora dovete sapere che il nostro benamato re Ban,
padre di Lancillotto, fu tradito da un suo siniscalco, il quale
vendette l’incolumità del castello di Trebe a quel traditore di re
Claudas, il quale venne a sapere che pochi giorni dopo venne a
68
”Buona cugina, se le vostre garanzie sono giuste, apprezzo
vivamente l’offerta che mi state facendo, ma ora conviene che
continuiamo ad onorare questo splendido banchetto alla faccia
di quel lestofante d’Idièr”. Finito che fu il banchetto, Erèc non
si seppe più trattenere e volle scendere nel cortile a vedere il
dono che la cugina aveva fatto e constatò quanto quello che gli
era stato asserito corrispondesse alla verità, così si rivolse alla
padrona di casa e prese a dire: ”Madamigella, non avete
assolutamente mentito sulle qualità di questo splendido animale
e l’accetto con enorme gratitudine, ma ora bisogna che lo
prepariamo per il viaggio di ritorno alla mia corte e poi si vada
tutti quanti a dormire”, così tutto quello che era necessario al
seppur breve viaggio, fu approntato in brevissimo tempo. Prima
che Erèc se n’andasse a dormire, il conte gli si fece vicino e gli
disse: ”Buon cavaliere, vi do gia da adesso il mio congedo per
la partenza assieme alla mia adorata nipote, ma prima che voi
ve n’andiate, domattina, vi chiedo di passare da me per un
ultimo saluto”
”Mio signore, avete la mia parola d’onore di cavaliere che
domattina la prima cosa che farete nel vostro governo di questa
contrada sarà quella di salutarci nella nostra gioiosa partenza
per la corte di re Artù, che dovrebbe ancora essere a Caradigan,
a quest’ora”, finalmente andarono tutti quanti a dormire perché
oramai s’era fatto estremamente tardi.
Il mattino successivo tutti si prepararono per la partenza dei
due promessi sposi e li accompagnarono per un lungo tratto;
alla fine il conte ed il valvassore, con le relative scorte,
dovettero lasciare Erèc ed Enide, coprendoli di baci ed
abbracci. I due giovani continuarono solinghi il loro viaggio,
continuando a guardarsi ed a sospirare, languendo
miserabilmente e non s’accorsero che sul fare del mezzogiorno
di quello stesso giorno, giunsero a Caradigan. Se n’accorsero,
invece, le vedette, che avvisarono con sufficiente anticipo
l’intiera corte, cosicché i due giovani si ritrovarono
301

femminine compagnie, ma sappiate che quella splendida
fanciulla è anche mia nipote, quindi se volete nuovamente
accettare il mio invito a fermarvi a dormire presso la mia casa,
siate il benvenuto”
”Mi spiace, messere, ricusare ancora una volta la vostra
offerta, ma preferisco rimanere nelle stanze che mi furono date
in precedenza, quindi per favore non abbiatene a male di
quest’ennesimo rifiuto da parte mia, ma così ho deciso”. Allora
il conte non poté far altro che dire: ”Messere, se proprio non
volete essere mio nipote, almeno accettate la mia offerta di far
preparare un grandioso banchetto in vostro onore, al quale,
ovviamente, parteciperanno anche mia nipote Enide con tutta la
sua famiglia” ed il sontuoso festeggiamento fu approntato come
si deve. Durante i festeggiamenti, Erèc si presentò all’intiera
famiglia d’Enide, dicendo: ”Miei signori, m’innamorai della
bella fanciulla fin dal primo momento che la vidi, ieri sera al
mio arrivo, quindi vi chiedo umilmente di concedermela in
isposa per il resto dei nostri giorni; come diritto alla richiesta
che ho ora fatto concedo al padre di lei, da questo momento, il
possesso dei castelli di Roadàn e Montrevel”. A sentire queste
cose, la cugina d’Enide gli si rivolse dicendo: ”Mia cara, quei
vestiti che stai portando non vanno bene per presentarti ad una
corte così importante come quella d’Artù di Camelot, se vieni
nelle mie stanze vedremo cosa ti potrà andare a puntino per
esaltare questa tua nuova condizione”
”Madama, apprezzo il vostro gesto, ma reputo che la vostra
bella cugina vada bene com’è vestita ora, ma se alla mia regina
non andranno bene, ci penserà lei a donarle qualche cosa”.
”Se proprio non volete che essa sia la meglio vestita, almeno
che sia accettato lo splendido pezzato che ho fatto preparare per
voi, messer Erèc, nel cortile del nostro castello, non
preoccuparti per il suo carattere, è un animale veramente docile
e v’obbedirà in qualunque momento”
300
mancare anche il suo amatissimo fratello Bohor, il quale lasciò
due figli altrettanto piccolissimi quanto il povero Lancillotto, in
balia di se stessi. Accertata la notizia, il perfido si annetté anche
il Benoic, retaggio dei due orfanelli e per di più
imprigionandoli, mentre Lancillotto non si sa tuttora dove sia
sparito dopo la morte del padre, anche se talvolta qualcuno lo
vede nei dintorni del lago di Diana, affermando che è diventato
uno splendido giovane, degno di suo padre”. Sentendo queste
novità tutti i presenti corsero a casa per prendere tutto quello
che poteva essere utile come arma e, guidati da Farien e
Lambeque, marciarono ferocemente verso il castello di
Claudas.
Nel frattempo, all’interno del castello, Claudas continuava a
piangere il deceduto figlio, lamentandosi miseramente in questo
modo: ”Quali colpe avrò mai avuto da meritarmi una punizione
così grande come la morte del figlio prima del padre, ma
l’onore mi vieta oltremodo di uccidermi, altrimenti sarò
perennemente dannato, ed ora che farò visto che non ho una
discendenza d’alcun tipo? Dovrò restituire tutti i regni che ho
defraudato per la grandezza del figlio che stringo ora tra le mie
braccia, morto?”
Ma queste lamentazioni non davano al povero demente nessun
conforto, subito Claudas si riebbe, quando sentì il rumoreggiare
fuori dal castello, allora chiamò un suo fidato valletto,
chiedendogli: ”Se mi sei fedele, devi dirmi cosa è tutto quel
mormorare all’esterno delle mie finestre”. A questa richiesta,
così diretta, dal demente, questi rispose sinceramente dicendo:
”Mio signore sono la gente del Gonnes e gli aristocratici del
Benoic che, guidati da Farien e Lambeque, si stanno rivoltando
contro la tua volontà e nessuno dei tuoi fidi sa cosa fare”
”Fa radunare i pochi fidi che mi sono portato dietro in questa
regione ed approntatemi la mia armatura, in modo che
possiamo uscire in massa ad affrontare questa rivolta”. Come
furono tutti pronti, Claudas ordinò di partire alla carica degli
69

insorti, finché il re si trovò di fronte Farien, al quale chiese:
”Che mai vi salta in mente di fare con costoro, scellerato di un
cavaliere?”
”Vogliamo che sia restituito il diritto dei nostri signori,
regnanti nel Benoic e nel Gonnes, come ci giuraste qualche
tempo fa, ma Claudas, in tutta risposta, diede inizio ad una
furiosa battaglia, nella quale dovette affrontare immediatamente
Lambeque che lo ferì alla spalla gia al primo assalto. Claudas
ebbe una reazione altrettanto repentina uccidendo il cavallo che
Lambeque stava montando, cadendo, però sulle ginocchia per il
contraccolpo del fendente.
A quella vista, Lambeque disse: ”Non meriti altro di essere
ucciso, fellone che non sei altro; quindi preparati a morire,
Claudas!”. In quel mentre si avvicinò anche Farien e, fermando
il nipote, disse: ”Cosa ti passa per la mente, vuoi per caso
uccidere uno dei migliori cavalieri del mondo?”
”Ma zio, non vi ricordate cosa fece questo scellerato per
disonorare i principi di Gonnes e noi stessi mentre eravamo in
cattività nelle sue celle?”
”Non ti ricordi che ci siamo messi al suo servizio, nonostante
il disonore di costui e l’onore che abbiamo nella memoria
dell’antico e defunto signore?”
Claudas sentì l’intera discussione e, inginocchiatosi, disse:
”Fedelissimi servitori voi siete, e lo state dimostrando con
queste parole che vi state scambiando, io mi rimetto alla vostra
mercede; ma ora consentitemi di liberare i due principini per
rendergli il loro reame” come queste parole furono pronunciate,
la battaglia smise all’istante, permettendo all’usurpatore di
ritirarsi nel castello dove svenne. Subito gli uomini di Claudas
sopravissuti gli furono attorno per disarmarlo e farlo rinvenire
con l’aiuto dei Sali, mentre i cerusici iniziano a curare le
parecchie ferite del re ormai detronizzato. Intanto scese la notte,
il momento che un posto sicuro e ben lontano, Bohor e Lionello
ripresero le loro sembianze per mano di Seraide, e Farien si
70
malconcio; inoltre sappiate che entro domani il nostro fido
cavaliere si presenterà a corte con una fanciulla veramente
bella”. Artù, dopo aver ascoltato attentamente quanto aveva da
dirgli la moglie, rispose: ”Mia cara signora, m’avete appena
portato delle splendide notizie e ne sono veramente felice,
soprattutto perché il nostro buon Erèc potrebbe aver trovato
proprio la sua dama del cuore”
”Mio signore, che ne dobbiamo fare d’Idièr, colui che mi rapì?
Sappiate che è stato lui a portarci quelle splendide notizie sul
nostro beneamato Erèc, solo per questo meriterebbe
l’affrancatura per quanto fece alla mia persona ed al vostro
onore?”
”Per ora fallo disarmare, poi da ordine che sia portato alla mia
regale presenza, soltanto allora renderò palese la mia decisione
nei suoi confronti”, subito quell’ordine fu eseguito, infine Idièr
fu portato alla presenza del re. Giunto che fu alla presenza
d’Artù, il pusillanime s’inginocchiò ed il re gli disse: ”Messere,
nonostante il vostro biasimevole comportamento nei confronti
di mia moglie, vi concedo la grazia totale; anzi faccio anche di
più, da oggi sederete assieme a tutti noi alla Tavola Rotonda,
perché sopravvivere ad uno dei miei cavalieri significa essere
veramente valorosi”
Capitolo 55
Intanto Erèc fu festeggiato lungamente sul campo dello
scontro ed il conte gli si rivolse dicendo: ”Messer Erèc, dato
che siete il figlio d’un gran re e cavaliere di uno che è ancora
più importante, abbiate la compiacenza d’essere ospitato presso
la mia umile dimora”. Erèc si sentì veramente contento di tante
attenzioni, ma infine rispose: ”Messer conte, vi ringrazio per la
vostra offerta, ma se mi allontanassi dal mio attuale ospite,
come potrei avere tanta bellissima compagnia com’è la sua
adorata figliola?”
”Messer Erèc, ci chiedo scusa dell’intempestiva proposta e
non posso far altro che lodare il vostro buon gusto in fatto di
299

ferite, poi sentiremo cos’è successo, prima di segregarli
definitivamente nelle nostre segrete, sempre che questa volta se
lo meritino”. Galvano annuì gravemente, poi disse: ”Mia
signora e zia, sia fatta la vostra volontà, ma vi devo ricordare
che quell’infingardo d’un cavaliere è capace di rivoltare
qualsiasi situazione che per lui sia negativa, in un fatto che gli
porta grandissimo vantaggio”, sentendo quell’obbiezione, tutti i
presenti la confermarono senza esitazione, conoscendo a
codardia di quel cavaliere.
Nel contempo Idièr entrò nel maniero, così Galvano e Ginevra
dovettero scendere dagli spalti per andarlo a ricevere come si
deve. Vedendola, Idièr riconobbe immediatamente la regina che
rapì qualche tempo addietro e, inchinandosi alla sua presenza,
prese a dire: ”Mia signora sappiate che sono stato battuto da
uno dei vostri cavalieri, nomato Erèc che mi obbligò, assieme
ai miei compagni, a presentarmi presso questa corte per
consegnare nelle vostre stesse mani la mia amata damigella e
quel perfido nano che vi fece tanto dispiacere l’altro giorno,
ferendo nell’orgoglio il suddetto cavaliere e la vostra
beneamata damigella” così dicendo spinse avanti i due
compagni, che furono presi in custodia da alcune guardie. Una
volta che i due perfidi furono allontanati, Idièr riprese a dire:
”Sappiate inoltre che l’ottimo Erèc sarà presso questa corte
entro la giornata di domani, accompagnato dalla più bella
damigella che si possa incontrare in tutto il regno”
”Messer Idièr, solo per quanto mi faceste tempo addietro,
meritereste le segrete a vita ma, vista anche la splendida notizia
che ci avete portato, vi devo dare solamente una settimana di
consegna ad acqua e pane, intanto che si possa decidere
assieme al mio signore, re e marito, cosa fare di te”.
Immediatamente Ginevra andò dall’adorato marito e gli disse:
”Mio caro sposo e signore, abbiamo appena avuto delle
splendide notizie sul nostro buon Erèc, che riuscì a catturare il
perfido che mi rapì tempo fa e consegnarcelo alquanto
298
sorprese, quando si ritrovò davanti ai propri occhi dei splendidi
levrieri al posto dei principini e, preso dall’angoscia prese a
dire, in direzione dell’usurpatore: ”Claudas, vi richiesi i figli di
re Bohor e voi mi consegnate due levrieri?”
”Questi sono i cani che condusse la damigella, ora capisco che
essa operò un prodigio per portarli via! Per mostrarvi la mia
buona volontà, mi rimetto nelle vostre mani come ostaggio,
finché non avrete notizie credibili su Lionello e Bohor, vi
chiedo solo una grazia: di essermi garante sino allora”, Farien
iniziò a tentennare alquanto da questa proposta inaspettata. In
preda alla più grande indecisione, Farien decise di chiamare
tutti i baroni di Benoic e Gonnes, nonostante l’ora tarda, e
perorò la questione in questi termini: ”Valorosi cavalieri,
sostegni dei due troni qui rappresentati, sappiate che il perfido
Claudas vuole offrirsi come ostaggio finché non si saprà
qualcosa di certo sulla sorte dei nostri beneamati principi
ereditari. Cosa dobbiamo fare?”
Immediatamente Lambeque richiese la parola, dicendo: ”Mio
signore e zio, siamo sicuri che costui stia dicendo la verità? Vi
ricordo, a voi ed a tutti quanti, cosa disse e fece in tempi anche
relativamente recenti, quindi prima di prendere in
considerazione la sua offerta propongo di pensarci veramente
bene tutti quanti, me compreso”
”Caro nipote, è vero quel che dici sul conto di questo
miserabile, ma non vedi com’è contrita la sua faccia nel
chiedere perdono dei misfatti che ha compiuto?”
”Zio, con tutto rispetto, vi devo ricordare che quel manigoldo
usò la stessa faccia e l’identico comportamento per portarci
sotto il suo controllo quando seppe che c’erano stati affidati i
due principini?”
”Ma allora era nel pieno del suo potere su questa terra e non
come oggi totalmente sconfitto, quindi mi sembra doveroso
giurare di mantenere quanto ci ha richiesto così umilmente”
71

”Se la mettiamo sotto quest’aspetto, mi vedo costretto ad
allontanarmi da questa sala prima che sia proferita nuova
parola, perché io mi rifiuto di prestare giuramento che
considero iniquo e pericoloso!”, quindi il giovane Lambeque si
alzò e guadagnò l’uscita, mentre gli altri membri
dell’assemblea prestavano giuramento a favore del perfido
Claudas. Sciolta che fu l’assemblea dei baroni, Lambeque
incontrò nella corte d’armi lo zio con Claudas che s’avviavano
verso la torre che aveva ospitato i due principini fino a poche
ore prima; allora Lambeque cercò immediatamente un’arma e,
trovandosi vicino ad uno spiedo, colpì gravemente Claudas
stesso che cadde al suolo per il colpo subito. Farien, vedendo il
comportamento poco cavalleresco del nipote, estrasse la propria
spada e ferì al cuore Lambeque, dicendogli: ”Nipote, con
quest’atto hai disonorato te stesso, la tua famiglia, che io
rappresento in quest’istante, e tutto l’ordine della cavalleria,
d’ora in avanti ti considero un traditore e cercherò solamente di
ucciderti” e dicendo questo sollevò nuovamente la spada per
vibrare il colpo finale.
In quel mentre passò dallo stesso luogo la moglie di Farien,
colei che lo tradì con Claudas, quando era al culmine del
potere, e capendo cosa stava succedendo, si parò davanti al
marito, dicendogli: ”Mio sposo e signore, abbi pietà di tuo
nipote, sangue del nostro sangue ed unico erede delle nostre
fortune; permettimi di riportarlo nelle sue stanze per farlo
curare come si deve”. A quest’accorata richiesta della moglie,
Farien rivolse lo sguardo a Claudas, quasi a chiedergli cosa
doveva fare, allora quest’ultimo, che nel frattempo si era
rialzato, disse: ”Buon Farien, ti sei mostrato generoso con me,
tuo nemico mortale, ora dovresti mostrarti anche più clemente
all’unico parente che hai in vita per portare avanti la tua
schiatta, per me è salvo”, allora Farien cedette alla volontà della
moglie che prese in custodia il nipote finché non fu
completamente ristabilito.
72
personalmente le vostre scuse a colei che avete offeso in
maniera così obbrobriosa. Messere, prima di partire vi chiedo
un’ultima cosa: il vostro nome, di grazia”
”Il vostro nome mi ha aperto gli occhi su uno dei più validi
cavalieri della corte di Camelot, messer Erèc, ebbene sappiate
che io sono Idièr, figlio di Nut e vi garantisco sul mio onore che
farò il più presto possibile quanto m’avete richiesto, ma ora è
troppo buio perché possa partire, quindi sarà meglio rimandare
il tutto a domattina prima dell’alba”. La notizia, ovviamente,
fece contenti parecchi dei presenti, ma ci furono anche alcuni
che assaporavano gia la vittoria d’Idièr che furono molto delusi
di com’erano andate le cose, anche se ammisero l’enorme
superiorità del buon Erèc.
Capitolo 54
Il mattino successivo il perfido Idièr partì all’alba,
accompagnato dalla damigella e dal nanerottolo malefico e, in
breve tempo, i tre arrivarono a Caradigan. In quel momento a
fare la guardi sulle mura del castello v’erano Keu il siniscalco
ed il prode Galvano, che riconobbero immediatamente il
gruppetto e, guardandosi negli occhi, Galvano si rivolse ad una
guardia lì vicina e gli disse: ”Vai dalla nostra amatissima regina
ed accompagnala alla mia presenza, perché penso di conoscere
quel cavaliere, ma richiedo anche il suo parere, perché se è
colui di cui sospetto, la rapì non molto tempo fa con effetti
molto disastrosi sull’umore del buon re mio zio”. Keu, che
aveva sentito tutte le istruzioni, fu ben lesto a sparire e correre
dalla propria signora, ottenendo immantinente le sue lodi e la
seguì dall’adorato nipote per confermare il sospetto. Arrivata
che fu al parapetto ove stazionava Galvano, Ginevra guardò nel
punto in cui il nipote le indicava e disse: ”Ha subito una disfatta
bella grossa, a giudicare dalle ferite, ma non v’è dubbio che
quel fetente che sta arrivando sia proprio Idièr di Nut con i suoi
degni compagni di malefatte. Ora è meglio che si facciano
aprire le porte per farli entrare, così curiamo quelle orrende
297

ocche tacquero perché iniziarono a cantare le spade.
Immediatamente il duello si rivelò molto crudele, a tal punto
che le due damigelle che accompagnavano gli sfidanti
iniziarono a piangere nel vedere tanta ferocia. Passò l’intiera
giornata prima che i due contendenti iniziassero a dare segni di
stanchezza; verso sera Erèc alzò una mano e prese a dire:
”Messere è da lungo tempo che ci stiamo battendo senza
risolvere nulla, propongo di fare una pausa in modo tale che
entrambi possiamo recuperare, almeno parte, le energie per
continuare questa disfida che da quel che ho capitosi protrarrà
ancora per parecchio tempo”, il cavaliere fu d’accordo, anche
perché la fatica si stava facendo veramente sentire; poco dopo
si sentirono entrambi veramente ritemprati e ripresero
immediatamente a battersi.
Durante il primo assalto, lo sguardo d’Erèc incrociò quello
della propria pulzella e si ricordò dell’affronto subito la
mattina precedente dalla propria amata regina ed il vigore gli si
raddoppiò immediatamente ed i due andarono ulteriormente
avanti, finché il cavaliere non riuscì a ferire ad una gamba Erèc,
il quale cadendo riuscì a menomare in modo orribile la spada
destra del bifolco paladino. Vistosi indisposto a continuare lo
scontro, il cavaliere disse: ”Messere non riesco più a tenere la
spada in mano per la ferita che m’avete procurato, quindi mi
vedo costretto a considerarmi battuto dalla vostra bravura e mi
devo rimettere alla vostra mercè, con la speranza che siate
clemente nei miei confronti”
”Il mio nome è Erèc, figlio di re Lac e sono uno dei cavalieri
della Tavola Rotonda, ma ora rialzatevi che vi concedo la vita,
ora v’impongo di ricordarvi perennemente l’affronto che
faceste alla mia regina, la bella e virtuosa Ginevra, questa
mattina nella radura, facendo percuotere prima la sua damigella
e poi me medesimo con lo staffile che porta in mano il vostro
sgorbietto. Se volete cancellare quell’affronto, v’impongo
d’andare al più presto alla corte di Caradigan e porgere
296
Capitolo 10
Intanto nel lago di Diana, Lionello e Bohor iniziarono a
deperire in modo vistoso, perché sentivano la mancanza dei
rispettivi precettori, ma avevano stabilito di non dire nulla a
Viviana, però quest’ultima si accorse che qualcosa non andava
nei due principini e, chiamato Lancillotto, gli disse: ”Mio
carissimo re, ho notato che i due nuovi arrivati deperiscono
sempre più, ma non vogliono dire niente di quanto li preoccupa,
potresti vedere tu cosa c’è che non va in modo che si possa
rimediare? Te ne sarò grata in eterno!”.
Dopo qualche ora, Lancillotto tornò dalla buona dama
dicendogli: ”Mia adorata signora, i due ragazzi deperiscono
perché sentono la mancanza dei loro adorati precettori, rimasti
presso la corte di Claudas a Trebe di Benoic”. Allora Viviana
fece chiamare un’altra sua damigella, dicendogli: ”Ti devo
mandare al castello di Trebe a convincere Farien e Lambeque
del Benoic a seguirti per il bene dei loro protetti, per evitare le
loro resistenze, ti conviene procurarti le cinture dei due
principini in modo tale che possano avere conferma di quanto
stai dicendo”; la damigella, accompagnata da due valletti,
cavalcò molto in fretta, tanto è vero che giunse a Benoic nella
stessa serata.
Giunta che fu a destinazione, la damigella chiese di Claudas e,
come lo ebbe davanti, disse: ”Sire, sono arrivata velocemente
in questo loco in nome della mia padrona per poter parlare con
due cavalieri presenti alla vostra corte. Prima di rivelarvi i loro
nomi vi chiedo umilmente l’autorizzazione a farli chiamare”.
”Dolce damigella, io non ho più nessun potere in queste
contrade, dato che sono stato giustamente detronizzato dal
prode Farien e da suo nipote Lambeque, che penso essere i
destinatari della tua visita. Se così è non hai necessità a
chiedermi l’autorizzazione a farlo, dato che sono loro a
comandare qui, ora”, a quelle parole, la damigella rimase
alquanto sorpresa, ma subito si trovò al cospetto dei due buoni
73

cavalieri. Raggiunti che li ebbe, la damigella disse: ”Miei
signori, mi è appena giunta la notizia della vostra impresa, ma
ora ho da comunicarvi una novella che vi darà enorme gioia; i
principi Lionello e Bohor di Gonnes sono vivi ed al sicuro
presso la dama del lago, che è nomata Viviana, la quale vive
assieme a tutta la sua corte sotto la splendida superficie del lago
di Diana, a conferma di quanto vi ho appena detto, ecco le
cinture dei due principini, che stanno languendo per la
mancanza della vostra presenza”. Farien riconobbe
immediatamente la cintura del protetto e sbottò a dire: ”Mia
signora ci avete comunicato la notizia più bella che potessimo
sperare, ora devo deliberare un’ultima cosa, poi nella prima
mattinata di domani possiamo prendere la strada per il lago di
Diana”. Subito si fece chiamare Claudas, come quest’ultimo fu
arrivato, Farien gli disse: ”Claudas, abbiamo ora appurato che i
due principini sono al sicuro, conosciuto da questa damigella
che sta davanti a te; ora noi dobbiamo essere condotti da loro,
quindi ti ridiamo momentaneamente il trono del Benoic e del
Gonnes, come reggente per entrambi i regni, finquando i
legittimi eredi saranno in grado di reggere un tal peso”, il
mattino successivo la piccola comitiva era gia in viaggio prima
dello spuntar dell’alba.
Finalmente, a sera, giunsero ai margini della foresta di
Brocellandia, ma nessuno si fermò finquando, quella notte
stessa, l’intera comitiva s’immerse nelle nere acque del lago di
Diana; a quella vista i due precettori si guardarono negli occhi,
meravigliati, ma non fecero in tempo a seguire nell’acqua la
pulzella che si ritrovarono davanti al portone del castello, alla
qual vista, Farien sbottò a dire: ”Questo è il più gran prodigio a
cui ho assistito in vita mia, pochi secondi fa sembrava che
dovessi immergermi completamente nel bagnato ed invece mi
trovo davanti al più bel castello che mi sia capitato di vedere”,
in quell’istante uscirono fuori delle mura Lionello e Bohor che
avevano visto arrivare i due precettori da molto lontano e gli
74
pronto, si rivolse al servitore del valvassore e gli disse: ”Buon
uomo, prepara nel modo più dignitoso possibile un palafreno
per la tua padroncina, in modo che possa accompagnarmi al
torneo nelle modalità più appropriate al rango d’entrambi”
Una volta che entrambi i giovani furono pronti, partirono
senza indugiare oltre ed arrivarono molto presto al luogo della
tenzone, mentre lungo la via, tutti quelli che li vedevano ne
furono molto invidiosi, domandandosi oltremodo, le seguenti
cose: ”Chi saranno mai quei due giovani che si stanno
dirigendo verso la giostra dello sparviero? – non vedete che la
damigella è la bella figliola del valvassore decaduto? – che cosa
andranno a fare in quel posto dato che si sa gia chi sarà il
vincitore della giostra?” ed altre mille domande simili, ma
nessuno ottenne alcuna risposta. Arrivati che furono allo
spiazzo della giostra, ai due giovani non restò altro da fare che
aspettare l’arrivo del cavaliere fellone, per dare inizio alla
prova; il perfido non si fece attendere molto, infatti di lì a poco
arrivò in compagnia della sua compagna e dell’orribile
nanerottolo. Trovandosi davanti ad uno sfidante, il cavaliere
bifolco iniziò a dire: ”Messere che cosa venite a fare in questo
loco, ora che la vittoria è praticamente mia? Per caso avete
intenzione di sfidare la vostra buona stella e morire per mia
mano in questo loco?”
”Per quanto riguarda la prima domanda, sono qui per onorare
questa giostra, oltre che a lavare un’onta che voi faceste alla
mia regina per mano del vostro ignobile compagno, che è
oltremodo troppo basso perché sia definito uomo. A rispondere
alla seconda domanda che m’avete posto ci penseranno le armi,
se la cosa non vi dispiace”
”Messer incosciente, non crediate che mi dispiaccia incrociare
la mia spada con qualcun altro, ma secondo me voi peccate di
presunzione se pensate di potermi battere in qualunque modo,
ma ora bando alle ciance e preparatevi a morire se riuscite a
resistere così tanto”, terminati che furono quegli accenti, le
295

tentennò alquanto, ma rimase nel pieno dubbio soprattutto
nell’affidargli l’adorata figlia, infine disse: ”Messere mi state
chiedendo una cosa veramente enorme, nel domandarmi
d’affidarvi la mia carissima erede, tantopiù che vi ho visto per
la prima volta proprio stasera, ma se volete che v’accontenti,
almeno ditemi chi siete e da donde venite, anche se da quel che
vedo siete veramente un gran cavaliere”
”Ebbene, messere, avete ragione a sostenere che sono un gran
cavaliere, sappiate allora che vengo dalla corte di re Artù di
Camelot e faccio parte della tavola rotonda, infatti il mio nome
è Erèc”. A quella rivelazione il cuore del buon valvassore
cedette un attimo, per l’emozione, ma ripresosi che fu, disse:
”Messere siete proprio d’altissimo lignaggio, dato che
appartenete ad una congregazione così importante e meritate
d’avere la compagnia della mia adorata figliola, ma ora non
conviene perdere più tempo in chiacchiere, dato che il sole è
gia tramontato da lungo tempo, ed andiamo velocemente a
dormire, visto che domani sarà una giornata veramente piena di
grandi emozioni”
Il mattino dopo Erèc ed il valvassore s’alzarono all’alba,
recandosi entrambi in chiesa per pregare e, vedendo un eremita
che passava nei pressi dell’altare maggiore, Erèc lo chiamò,
dicendogli: ”Buon uomo, vorremmo che cantasse messa per le
anime mia e del mio compagno che è qui con me, se potete
farlo”, detto questo il cavaliere fece cadere un sostanzioso
obolo nella cassetta delle elemosine, così il sant’ufficio fu
cantato in modo solenne. Finita che fu la cerimonia, Erèc ed il
valvassore tornarono a casa, facendo si che il cavaliere si
potesse preparare per il torneo e sopisse in quel modo la smania
che aveva indosso. Nelle stanze interne della misera casetta del
valvassore, Erèc trovò la bella figlia del signorotto che lo aiutò
ad indossare tutte le armi necessarie, quindi, come il cavaliere
montò in sella, s’offrì a passargli scudo e lancia per
permettergli di partire al più presto; una volta che Erèc fu
294
saltarono addosso dalla gran gioia a cui seguirono alcune
poesie composte dai due ragazzi durante l’attesa; una in
particolare faceva:
Somma gloria ai due congiunti,
Difensori dei splendidi eredi di Gonnes;
Somma gloria a Farien, che educò Lionello,
Somma gloria a Lambeque che educò Bohor.
Mentre tutti quei festeggiamenti erano in corso, Lancillotto
tornò alla magione dopo aver trascorso tutta la giornata nella
foresta ed andò a rendere omaggio a Viviana, Seraide ed
all’intiera corte ivi riunita. Immediatamente Viviana si rivolse
ad una guardia, dicendo: ”Fate rientrare i due principi con i loro
precettori e date ordine alle cucine di preparare un banchetto
regale, degno dei nuovi venuti”. Finito che ebbe di dare queste
istruzioni, Viviana s’accorse che i quattro erano effettivamente
gia rientrati assieme al suo prediletto, quindi disse: ”Mio diletto
Lancillotto, questi due valenti cavalieri sono i precettori privati
dei due ragazzini giunti di recente e per cui si stavano
consumando di tristezza, vedi di alloggiarli come si conviene a
due messeri della loro levatura”, finito il banchetto serale,
ognuno si ritirò nelle proprie stanze, in modo da potersi
riposare convenientemente.
L’indomani mattina uscirono tutti per una partita di caccia,
durante la quale Farien si avvicinò a Viviana, dicendogli: ”Mia
dolce signora, voglio che lei abbia la conferma dell’identità dei
miei protetti, infatti sono entrambi i figli del defunto re Bohor
di Gonnes e ne sono i legittimi eredi”, la cosa fece scoppiare in
lagrime Lionello che ascoltava nelle immediate vicinanze.
Vedendo la scena un po’ più discosto, Lancillotto s’avvicinò e,
rivolgendosi a Viviana, chiese: ”Mia signora, perché il
piccoletto frigna in quel modo?”
”Perché il poverino ha sentito il suo precettore che mi
ricordava di chi fossero figli questi due meschini, sappi che
siamo di fronte ai due eredi del regno di Gonnes, e per questo
75

che il giovane Lionello sta piangendo il quel modo”. Saputa la
novità, Lancillotto s’avvicinò a Lionello dicendogli: ”Non
temere, cugino, che conquisterete parecchie terre, se mostrerete
il valore che penso voi abbiate”, ma quelle parole così
spontanee meravigliarono quanti le avevano udite. Intanto che
la comitiva ritornava dalla caccia, Viviana si avvicinò a sua
volta a Farien e Lambeque, dicendogli: ”Intanto che sarete miei
ospiti vi prego di non cercare di aver informazioni sul mio
conto, per nessun motivo”. Poi la bella dama s’avvicinò a
Lancillotto chiedendogli: ”Come mai stamattina, rivolgendoti a
Lionello, lo hai chiamato col nome di cugino, se vi conoscete
appena?”
”Mia signora, quell’appellativo mi scaturì dal petto come se ci
conoscessimo da una vita, ma non so dire razionalmente il
perché di quel che dissi stamattina al giovane Lionello”, in quel
momento varcarono tutti quanti i cancelli del castello di
Viviana. Rimasta che fu sola, quella sera, Viviana iniziò a
rimpiangere la futura partenza dei tre giovinetti, una volta che
avrebbero raggiunto l’età per diventare cavalieri.
Passarono gli anni e venne il momento in cui Lionello lasciò
Viviana, perché doveva essere investito cavaliere, infatti, prima
di partire, prese a dire: ”Bisogna che trovi un gran re che mi dia
una vera investitura in modo tale che possa diventare un valente
cavaliere come mi è stato insegnato”. Subito Viviana ebbe una
grande idea, infatti disse: ”Mio caro Lionello, perché non ti
rivolgi direttamente al più grande dei re della Bretagna, Artù?”,
Lionello accettò immediatamente l’idea e partì all’istante per la
corte di Camelot. Durante gli anni successivi, Lancillotto
continuò a fare la sua vita dissoluta ed andando a caccia tutti i
giorni; un giorno, poco prima di pentecoste, Lancillotto uccise
un cervo particolarmente grosso e lo inviò immediatamente a
Viviana, portato a spalla da due valletti della sua scorta,
raggiungendo la corte verso sera; giunto che fu al maniero il
giovane andò immediatamente da Viviana e la trovò intenta a
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mai la vostra splendida figliola, e con lei tutti voi, versa in
condizioni di così grave indigenza?”. A quella domanda, il
buon valvassore fu molto lieto d’avere qualcuno a cui
raccontare le proprie disgrazie, infatti prese a dire: ”Dovete
sapere, messere, che provengo da una nobile e ricchissima
famiglia, ma la mia stella mi fu sempre abbietta, tanto è vero
che me ne stetti lontano da casa a causa delle continue guerre in
cui era coinvolto il mio signore; il disinteressarmi dei miei
affari mi ridusse in questo stato, anche se tutti gli altri miei
parenti nuotano nell’oro a tal punto da non saperne cosa fare
ma a me non danno neanche il becco di un soldo, così la mia
unica speranza di riprendermi nelle finanze è quella di far
prendere un ottimo partito alla mia adorata figliola”
Erèc si dispiacque moltissimo di quella situazione, ma al
momento preferì chiedere: ”Messere mi può dire come mai c’è
tanta confusione stamani, in città? Inoltre che è quel cavaliere
tutto ornato d’azzurro ed oro che è giunto nel pomeriggio, poco
prima di me?”
”Dovete sapere, messere, che ogni anno, in questa città è
organizzata una grande disfida, il cui gran premio è un
bellissimo sparviero che sarà aggiudicato al terzo anno
consecutivo di vittoria, ma chi vuole accingersi nello scontro,
deve essere accompagnato da una dama bella, distinta e fine.
Per quanto riguarda il cavaliere che vi ha preceduto di pochi
passi, è il vincitore delle ultime due giostre, in quanto unico ad
avere i requisiti dettati da quello strano torneo e, se oggi
vincesse, si porterebbe definitivamente a casa l’uccello”. Erèc
si rabbuiò per quell’ingiusto torneo, poi, avendoci alquanto
riflettuto, si rivolse al valvassore dicendo: ”Messere, forse io
sarò in grado di battere quel fellone, ma vi devo chiedere due
prestiti: il primo favore che vi chiedo è un’armatura completa,
perché inseguii quel perfido senza alcun’arma, e la seconda
richiesta vuole che la vostra splendida figlia m’accompagni
come mia dama a quel torneo stesso”. Il buon valvassore
293

quella storia, uno dei cavalieri più giovani corse ad avvertire
dell’accaduto re Artù che, informato di tutti i particolari,
interruppe la riunione, e disse: ”Miei incliti signori, questa
grossa novità fa scivolare in secondo piano la faccenda di chi
dovrò baciare, in quanto campione della caccia, perché il buon
Erèc potrebbe trovarsi in gravissimo pericolo, quindi propongo
di lasciar passare i prossimi tre giorni, in modo tale da poter
avere maggiori notizie su questa nuova avventura così
inaspettata” al che furono tutti d’accordo ed il banchetto riprese
con molta più mestizia perché nessuno sapeva cosa potesse
avvenire al loro caro compagno assente.
Capitolo 53.
Intanto che a Caradigan succedevano quelle cose, Erèc era
sempre alle calcagna del cavaliere e del nano malevoli,
arrivando, infine, ad un castello ben posizionato e meglio
costruito, ove i malvagi furono festeggiati lungamente, mentre
Erèc passò completamente inosservato. Vedendo che ormai
stava scendendo la notte, Erèc iniziò a cercare alloggio, per
arrivare al mattino successivo e capire meglio cosa stesse
succedendo, finalmente trovò ospitalità presso un vecchio e
povero valvassore, che gli disse: ”Messere, siete il benvenuto
presso la mia umile casa, ma non abbiate molte esigenze, dato
che non potrò offrirvi molto, rispetto a quanto presumo siate
abituato alla vostra corte. Ora se permettete farò portare il
vostro cavallo nello stallo dalla mia adorata figliola”, a quelle
parole Erèc smontò di sella, consegnando le redini alla bella
fanciulla che era ivi presente. Sistemato che fu il cavallo, il
valvassore si rivolse alla moglie, dicendogli: ”Mia cara sposa,
volete aver la compiacenza di vedere cosa c’è in dispensa che
possa sfamare il nostro ospite di stasera?”, così la buona donna
si diede da fare e riuscì a mettere in tavola in vero e proprio
banchetto, aiutata dal solo servitore che quei poveracci
riuscivano ancora a mantenere alle loro dipendenze. Finito il
pasto, Erèc si rivolse al valvassore e gli chiese: ”Messere come
292
piangere, anziché baciarlo come al solito, e scappò nelle proprie
stanze. Allora Lancillotto la seguì per sapere cosa succedeva,
arrivati che furono alle stanze di Viviana, Lancillotto le chiese:
”Mia adorata signora, come mai usate un tale comportamento
con me? Venite tra le mie braccia che vi bacio sulla bocca,
sicché vi possa consolare”.
”Mio adorato Lancillotto, devi andartene dalla mia presenza,
perché altrimenti ne morirei di dolore, tenendo conto che entro
pochissimo tempo dovrai seguire l’esempio di Lionello e farti
investire cavaliere, ma prevedo che farai una brutta fine”, allora
Lancillotto, molto triste nel cuore, se n’andò nella propria
stanza per prepararsi al viaggio per trovare un re che lo facesse
cavaliere. Una volta che Lancillotto fu pronto, Viviana lo fermò
e disse: ”Hai gia qualche idea presso quale corte andare per
farti investire cavaliere?”
”La mia idea è quella di seguire le orme di mio cugino
Lionello e rivolgermi alla corte di re Artù, sperando che mi
prenda al suo servizio”
”Allora ti prego di fermarti ancora qualche tempo presso di
me, in modo che ti possa approntare un’armatura degna di
quella persona che tu sei”. Fu così che Lancillotto restò al lago
di Diana fino sotto le feste di San Giovanni, quando una
splendida armatura bianca ed argento gli fu consegnata come
viatico della buona dama del lago, alla quale Lancillotto ed i
suoi cugini furono sempre grati.
Parte Parte quarta: quarta: alla alla alla corte corte di di re re Artù.
Artù.
Capitolo 11
Ad un certo punto della sua vita, re Artù non riuscì più a
tenere corte, nemmeno nelle feste comandate e, poco alla volta
molti cavalieri e re l’abbandonarono, a tal punto che ad un
tratto non vi rimasero altro che venticinque persone, vedendo
questa vergognosa situazione, re Artù prese a dire: ”Ormai non
posso neanche definire questo luogo una corte, tanta poca gente
la frequenta, mi sto domandando come mai è potuto accadere
77

tutto ciò!”. La regina Ginevra restò meditabonda per alcuni
momenti e poi, come presa da una divina illuminazione, iniziò
a dire: ”Ho idea che c’entri qualcosa che hai fatto senza volere,
forse hai offeso senza saperlo Nostro Signore o qualcuno dei
Suoi Santi, solo il tempo lo potrà dire”.
Durante la festa dell’Ascensione, i due re sedevano mogi e
solitari sui loro troni, quando Ginevra si rivolse al marito
dicendogli: ”Amato marito, se mi permetti un consiglio,
dovresti avventurarti nella Foresta Bianca e cercare la cappella
di Sant’Agostino in cui potrai ritrovare l’antica generosità e,
così, anche la festosità della nostra corte; ma ti supplico di una
cosa, il viaggio è notoriamente pericoloso, quindi ti prego di
prenderti uno scudiero come compagno d’avventura. So cosa
mi vuoi dire: è vero che nei pressi della cappella stessa vive un
eremita santo e pio, ma ciò non toglie che l’intiera zona sia
molto pericolosa, quindi ti scongiuro sull’accompagnamento
che ti ho suggerito”.
”Mi hai dato un buon consiglio, cara Ginevra, a
quest’avventura verso la cappella di Sant’Agostino ci stavo gia
pensando da molto tempo e come compagno di viaggio scelgo
quel buon scudiero nomato Cahus che anche t u conosci molto
bene!”. Sentendo questo ragionamento, Ginevra ne fu
veramente contenta, soprattutto per la scelta del compagno di
viaggio, così fu fatto chiamare lo scudiero, al quale Artù disse:
”Mio fido scudiero, domani dovremo affrontare assieme un
rischiosissimo viaggio, per il quale dovremmo portarci addietro
alcuni indumenti per la notte, qualche scorta di cibo per i pasti,
e soprattutto le armi per entrambi ed essere in grado, in caso di
necessità d’affrontare qualsiasi nemico”, infine andarono tutti a
letto a riposarsi.
Durante la notte, Cahus ebbe un sogno in questi termini: si
trovava in una cappella ove era disteso un morto su di un
catafalco d’oro zecchino ai cui quattro angoli vi erano
altrettanti candelabri ancor più preziosi, perché oltre all’oro vi
78
all’inseguimento di quel demente e vi prometto d’ottenere
soddisfazione dell’affronto appena subito, sperando che durante
quest’impresa riesca a trovare delle armi adatte alla mia
persona, se mi concedete d’allontanarmi, vi raccomando alla
grazia di Dio nostro Signore”. Ginevra, che aveva visto tutto,
disse: ”Buon Erèc, ben mi hai chiesto d’ottenere soddisfazione
per quest’affronto che avete avuto sia te, sia la mia amata
damigella, quindi ti concedo l’autorizzazione ad inseguire quei
felloni ed ottenere giustizia per tutti quanti nella grazia di Dio”.
Finalmente Erèc si lanciò all’inseguimento, mentre
contemporaneamente Artù tornò dalla battuta di caccia come
vincitore. Subito dopo che furono tutti nuovamente radunati,
Artù e la corte di Camelot rientrarono molto allegramente a
Caradigan per preparare il banchetto serale, dato che la
selvaggina cacciata era veramente abbondante. Quella sera,
durante il banchetto, l’allegria era veramente alle stelle, finché
non giunse il momento per Artù di mantenere la promessa di
baciare la più bella della corte, infatti ne nacque una gran
disputa per stabilire chi fosse la più bella, come aveva predetto
Galvano. Vedendo tutti quei litigi per colpa sua, Artù s’alzò e,
presa la parola, disse: ”Se la consuetudine ci ha fatto arrivare a
queste scene d’isteria collettiva, non resta altro da fare che
ritirarmi con tutti i baroni più fidati quivi presenti e decidere
chi sarà la fortunata che dovrà essere baciata da me, senza che
nessun altro cortigiano possa intervenire su questa decisione”.
In quel modo quelle tediose discussioni terminarono a tavola,
mentre Artù ed i baroni di più alto grado si ritirarono per
deliberare sulla questione, ma anche in quel caso non si riuscì a
trovare una soluzione in tempi brevi, come aveva sperato il
buon re. Nel frattempo i cavalieri rimasti a tavola s’accorsero
dell’assenza del buon Erèc e si voltarono, senza dir nulla, verso
la regina Ginevra che in quel momento stava placidamente
bevendo. Vedendosi così osservata, Ginevra intuì la domanda
non espressa e decise di raccontare tutto l’accaduto. Udendo
291

da una damigella parimenti d’ottimo aspetto, ma anche da un
laido nano armato di staffile. Vedendo quel trio, Ginevra si
rivolse alla sua damigella e gli disse: ”Mia cara, apprestati a
quello splendido cavaliere ed informati sulla loro identità e
delle intenzioni che hanno da queste parti” immediatamente la
pulzella partì per accontentare la richiesta della propria regina.
A metà strada, la damigella fu bloccata dal malefico nano che
gli disse: ”Damigella non avvicinatevi oltre al mio padrone,
anche se avete buone ragioni, perché altrimenti n’andrebbe
della vostra vita e quella dei vostri amici che sono laggiù”. La
damigella stava per rispondere ma, aperta che ebbe la bocca, il
laido nanerottolo fece partire il proprio staffile che ferì la mano
della poverina, la quale tornò indietro piangendo
disperatamente dal dolore e per l’umiliazione appena subita.
Subito la regina si rivolse ad Erèc, dicendogli: ”Messere,
quanto abbiamo entrambi visto si può considerare un affronto
al nostro amatissimo re, quindi vi chiedo d’andare dal cavaliere
a render conto del comportamento avuto da un compagno così
bifolco”
Erèc partì all’istante per supplire all’ordine della propria
regina, ma anche lui fu bloccato dal malefico nano insolente,
irritante e molesto, il quale prese a dire: ”Messere, il mio
signore non può essere disturbato da alcuno, anche se si
trattasse dell’imperatore di Roma, quindi vi devo chiedere
d’allontanarvi dalla sua persona”. Erèc fu veramente infastidito
da quell’intromissione e scansò, senza alcun riguardo, il
nanerottolo che sentendosi offeso nell’orgoglio raggiunse Erèc
e lo colpì al collo ed alla faccia col proprio staffile; Erèc
d’istinto si rivoltò verso il nano, ma con la coda dell’occhio,
notò che il misterioso cavaliere dava tracce di follia, perché
aveva messo mano alla spada, contro una persona disarmata, se
solamente Erèc avesse fatto qualunque cosa allo sgorbietto.
Mettendosi così le cose, Erèc si ritirò in buon ordine presso la
propria signora e gli disse: ”Mia regina permettetemi d’andare
290
erano incastonate diverse pietre pregiatissime e ne prese
immediatamente uno portandoselo con se. Una volta che fu
uscito dal luogo sacro, Cahus si scontrò con un misterioso
cavaliere che lo fermò dicendogli: ”Scudiero, sei un sacrilego,
avendo prelevato senza autorizzazione un preziosissimo
candelabro d’oro puro”. Al che Cahus ribatté: ”Il candelabro il
presi come risarcimento a questo viaggio non preventivato,
oltre al fatto che la dentro non vi era nessuno a cui chiedere
l’autorizzazione per potermelo prendere su”.
A questa risposta il misterioso cavaliere caricò
immediatamente e ferì in modo orribile il povero scudiero
all’inguine; quello iniziò a gridare come un forsennato. In
quell’istante le grida del poveraccio si sentirono in tutta
Camelot, svegliando l’intera corte con queste parole:
”Soccorrete un ferito chiamando un medico per curarlo da una
grave ferita”, in quel mentre si guardò la parte che gli doleva in
modo sì orrendo e si ritrovò veramente un pugnale avvelenato
conficcato nella gamba, inoltre si trovò in possesso del
candelabro che aveva prelevato in sogno.
Il tempo di rendersi presentabile nella propria dignità davanti
alla corte ed anche Artù si presentò al cospetto del fido
scudiero, chiedendogli: ”Fidato Cahus, che hai da gridare in
quel modo così straziante ed orribile nel mezzo della notte?”,
allora lo scudiero iniziò a raccontare agli astanti tutto quello
che aveva sognato, mostrando come prova il pugnale ed il
candelabro. Alla fine terminò dicendo: ”Sento che è giunta la
mia ultima ora, prima di andarmene definitivamente, facendomi
estrarre la lama maledetta, chiedo umilmente la presenza di un
prelato per la confessione e l’estrema unzione”, arrivato che fu
il cappellano di corte che gli approntò quanto richiesto, Cahus
autorizzò il cerusico di corte ad estrargli la lama dalla coscia;
come questa fu estratta Cahus lanciò un tremendo grido e morì
sul colpo.
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Giunto che fu il mattino, Artù decise di mettersi comunque in
viaggio da solo ed armato di tutto punto, galoppando in
un’orribile foresta irta di pericoli, finché verso sera arrivò nei
pressi di una cappella con annesso eremo; entrato che fu, Artù
iniziò a disarmarsi fino a mettersi a proprio agio in morbide
vesti. Quando fu pronto ad esplorare il luogo, notò che vi erano
sia dell’orzo sia dell’avena, facendo sì di impastoiare
immediatamente il proprio destriero, chiudendo subitamente la
porta d’ingresso. Subito Artù sentì delle voci impegnate in una
vivacissima discussione proveniente dalla chiesa annessa,
dirigendovisi immediatamente per vedere se vi fosse qualcuno
a cui chiedere ufficialmente ospitalità. Entrato che fu nel
tempio, Artù lo trovò totalmente deserto, tranne che per un
venerabile uomo agonizzante, disteso in una bara scoperchiata;
a tale vista Artù pensò: ”Non è giusto che questo verecondo
vecchio muoia nella più totale solitudine, resterò io a vegliarlo
finché non sarà giunta la sua ora definitiva”. In quello stesso
istante si fece udire una misteriosa voce che ordinò: ”Re Artù
di Camelot, devi andartene da questo sacro luogo, perché sei
indegno di assistere all’alto processo che ivi si sta celebrando”,
a questo ordine così perentorio, il buon re ritornò nell’eremo
senza profferire parola, anzi meravigliato di essere scacciato in
quel modo, sentendosi chiamare per di più per nome, e stabilire
da dove veniva. Una volta rientrato nell’eremo, Artù s’andò ad
assidere sullo scranno che appartenne al sant’eremita e, in
quello stesso momento, capì che le due parti in lotta erano i
rappresentanti del Maligno e di Nostro Signore che si
contendevano l’anima dell’agonizzante. Pochi minuti dopo
essersi accomodato, Artù sentì un orribile grido di disperazione
venire dal santuario ed andò nuovamente a sbirciare,
incuriosito: si sentiva un pacifico profumo di rose e campanule,
segno evidente che i malefici emissari erano stati battuti, anche
per l’intervento della Divina Madre che aveva scacciato i
80
che non potrò mettere a posto neanche io, nonostante il mio
potere, e che ti porterà ad una morte apparente”.
Parte Parte Parte quindicesima: quindicesima: alla alla corte corte corte di di di re re Artù. Artù. Iniziano Iniziano le le le avventure
avventure
d’Erèc d’Erèc ed ed ed Enide
Enide
Capitolo 52
Dopo i lieti eventi sotto il castello delle meraviglie, Artù fissò
la propria corte a Caradigan, ove aveva intenzione di
festeggiarvi la solennità della Pasqua, arrivata a destinazione
l’intiera corte, Artù richiamò l’attenzione di tutti quanti, poi
disse: ”Miei signori e cavalieri, subito dopo il gran banchetto di
Pasqua penso che sia venuto il momento d’iniziare la festosa
caccia al cervo bianco, a questo proposito suggerisco a tutti
quanti d’andarvi a preparare per il lieto evento. Alla fine della
caccia, il vincitore dovrà baciare la più bella della mia corte”.
Udendo quelle parole, Galvano s’alzò e prese a dire: ”Mio sire
e zio, vista la sacra giornata non mi sembra la cosa più logica
da fare, l’andare a caccia, visto che dobbiamo religiosamente
rispettare il Suo sacrificio non portando armi di nessun tipo,
inoltre immaginate che confusione salterebbe fuori nello
stabilire chi sia la più bella tra le dame di questa corte, dato che
sono tutte alquanto splendide”. Artù annuì gravemente, ma
disse: ”Caro nipote, il tuo appunto alla mia idea è giusto, vista
la giornata, ma ormai la gran caccia è stata proclamata davanti
a tutti, quindi puoi ben capire che a questo punto non posso
rimangiarmi la parola, quindi ribadisco che dobbiamo andarci
tutti a preparare per l’evento”
Finalmente la caccia partì senza altri problemi e trovarono ben
presto la cacciagione che desideravano; durante l’inseguimento,
la regina Ginevra restò indietro in compagnia d’una damigella
d’alto rango e d’un giovine cavaliere fidato e valoroso, nomato
Erèc, che tra l’altro era uno dei migliori paladini della Tavola
Rotonda. Mentre i tre stavano attraversando una radura
veramente splendida, incontrarono un bellissimo cavaliere che
portava corazza, scudo e lancia, oltremodo era accompagnato
289

per altro ritengo inutile, quindi vi chiedo di riporre
immediatamente e per sempre le armi tra voi e stringere una
forte alleanza d’amicizia e di mutuo soccorso tra i due regni qui
valorosamente rappresentati”. Sentendo quei disperati accenti, i
due contendenti non poterono far altro che smettere di
combattere e stringersi le mani in segno di perenne amicizia.
Subito dopo re Artù ordinò ai propri valletti di preparare il più
sontuoso banchetto che si poteva fare per festeggiare
l’avvenimento.
Mentre la corte si stava preparando per ripartire, Artù chiamò
un valletto e gli disse: "Vai a chiamare mia sorella Morgana e,
visto il ricongiungimento con nostra madre e nostra sorella, ho
deciso di fare pace con lei, ma non dirle queste cose”.
Il valletto non fece in tempo a partire che immediatamente
Morgana comparve all’improvviso e disse: "Ho sentito quanto
hai detto su di me e accetto il tuo perdono; anzi per ringraziarti
ti dono quest’unguento miracoloso che ho fatto con le mie mani
e che può guarire ogni ferita che ti si presenta davanti, fratello
adorato”.
"Ti ringrazio per questo prezioso dono cara sorella, ma ora
conviene che ci mettiamo in marcia”.
Durante il viaggio Morgana s’avvicinò a Mordred e gli disse:
"Caro ed amato figlio, ben presto tuo zio e padre si dovrà
assentare per un lungo periodo, quello sarà il momento giusto
per irretire Ginevra tua zia e prendere il potere assieme a lei”
Contemporaneamente merlino, accorgendosi del losco
dialogo, s’avvicinò ad Artù e disse: "Quei due stanno tramando
contro di te e pensano di coinvolgere tua anche tua moglie nei
loro piani, stai attento Artù!”
"Non preoccuparti, quando sarà il momento mi occuperò di
loro”.
"E la cosa significherà la morte tua e di Mordred, tuo nipote e
figlio, ma Morgana sarà tra coloro che verranno a prenderti al
momento opportuno per portarti al sicuro e risanarti dalle ferite
288
demoni con la sua sola presenza, quindi Artù s’addormentò con
una pace interiore mai sentita prima.
Il mattino successivo, Artù si diresse in chiesa per le preghiere
del mattutino, aspettandosi di vedere ancora la bara
scoperchiata, ma con suo enorme stupore, la trovò
completamente deserta, infatti al posto del sarcofago vi era
murata una lapide decorata con una croce vermiglia e tutta
profumata d’incensi estremamente intensi; finite che ebbe le
proprie orazioni, Artù si rimise in viaggio, arrivando a
destinazione sul fare del mezzogiorno stesso. Nelle immediate
vicinanze dell’eremo, però, Artù incontrò una damigella che gli
disse: ”Mio signore, siete arrivato in uno splendido posto,
invero, ma attenzione che quell’area sacra è tutta circondata da
pericoli che neanche io so immaginare; non abbiate timore per
me, perché in ogni caso io vi aspetterò in questo stesso posto
finché voi torniate sano e salvo”. Artù s’inchinò galantemente
alla presenza della giovane e rispose: ”Vi ringrazio
madamigella, per le vostre premure e ve ne sarò grato in
sempiterno, ma ora perdonatemi se vi lascio qua sola, dovete
capire che il dovere mi chiama in quel sacro posto se voglio
ritrovare il mio onore perduto”, fu così che a metà della
giornata, Artù entrò nella proprietà dell’eremo di
Sant’Agostino, smontando immediatamente da cavallo come fu
dentro il perimetro stesso.
Capitolo 12
Giunto che fu davanti alla chiesa dell’eremo, Artù si accorse
che stava per essere celebrata la messa, cosicché scese
lestamente di sella e legò immediatamente il cavallo ad una
staccionata lì vicino. Finiti questi preparativi, Artù tentò di
entrare in chiesa ma, nonostante che c’era il portale aperto,
l’ingresso gli fu negato, ma la cosa più sorprendente era che la
soglia risultava completamente deserta, cosicché Artù fu
costretto ad assistere alla celebrazione dall’esterno,
81

inginocchiandosi sulla soglia del tempio. Ad un certo punto
della celebrazione, Artù assistette ad uno strano miracolo,
infatti alla destra del celebrante vide un bambino incoronato e,
alla sinistra, una donna veramente bella; come quella bellezza
si fu seduta ed ebbe preso in spalla l’infante, prese a
dirgli:”Padre, Figlio e Sposo” nello stesso momento, destando
enorme meraviglia nel sovrano. Una volta che la donna tacque
un raggio di sole filtrò attraverso la finestra, colpendo l’altare
maggiore; come l’eremita ebbe finito le sacre letture, la dama
offrì il bambino al celebrante, che lo depose sull’altare ed iniziò
a consacrarlo come se fosse stato il Pane ed il Vino, al che Artù
si prostrò a terra e prese a pregare. Finita che ebbe la preghiera,
il sovrano si rialzò e vide accanto all’altare un uomo incoronato
di spine e con le stimmate come Nostro Signore, che però
scomparve all’istante. Il fenomeno rese Artù pieno di pietà a tal
punto da distogliere lo sguardo dalla cappella; come si
ricompose, il sovrano riprese ad osservare l’altare e, con
somma sorpresa, al posto dell’uomo c’era nuovamente il
bambino. Finito che fu il sacramento e tutti i fedeli furono
usciti, l’eremita si accorse della presenza d’Artù e gli disse:
”Mio buon sovrano ora puoi entrare senza timore alcuno in
questo luogo sacro”. A quest’invito così esplicito, Artù entrò
senza alcun problema e s’inchinò alla presenza del sant’uomo,
subito l’eremita rimise in piedi il sovrano e prese a dirgli: ”So
perché sei qui; la tua angustia più grande sta nella mancanza di
cavalieri alla tua corte anche durante le feste comandate. Sappi
che ciò accade perché sei montato in superbia per avere attorno
a te la migliore cavalleria del mondo e la cosa ti ha condotto
alla perdizione; hai un’unica cosa da fare: devi convertirti
immediatamente!”
”Mio santo padre, ti apro immediatamente il mio cuore
convertendomi all’istante alla Sacra Volontà di Nostro Signore
Gesù Cristo, come tu mi hai richiesto”
82
combattimento”, quindi i due cavalieri montarono a cavallo e
galopparono contro il nemico, raggiungendoli appena al di la
del corso d’acqua che costeggiava il castello di Ygerne. Nel
momento stesso che Galvano e Guiromelan furono uno di
fronte all’altro, il secondo prese a dire: ”Fellone che non siete
altro, vedo con enorme piacere che avete mantenuto la parola,
facendovi trovare in questo campo al momento stabilito e con
l’intiera corte di Camelot ad assistere all’avvenimento, quindi
se ora siete d’accordo, possiamo iniziare a duellare secondo le
regole”.
”Messer codardo, voi in questo stesso istante state spezzando
il cuore della bella Clarissan, che oltremodo è anche mia
sorella, quindi accetto ben volentieri di battermi contro di voi
per dimostrarvi chi può essere tra noi due accusato di fellonia”.
Subito i due contendenti misero mano alle rispettive armi ed
iniziarono a tempestarsi di colpi in modo crudele, senza che
nessuno potesse sorpassare l’altro in abilità e coraggio facendo
passare in questo modo diverse ore; al tramonto i due duellanti
erano completamente coperti di sangue e feriti, ma nessuno dei
due voleva cedere al cospetto dell’altro davanti alle proprie
corti, così Clarissan andò da re Artù, suo zio, e disse: ”Mio sire
e caro zio, vi prego per l’affetto e l’amore che provo per
entrambi i contendenti di far terminare queste atrocità che mi
feriscono intimamente, in modo totalmente incondizionato”. A
quella preghiera, Artù gli s’avvicinò dicendo: ”Ben vedo che
voi, madamigella, siete mia degna nipote, figlia della mia cara
sorella Anna, e che siete veramente innamorata d’entrambi,
quindi vi concedo l’autorità di far cessare definitivamente i
combattimenti, anche perché fra breve la luce sarà
completamente insufficiente per continuare quest’inutile
massacro di virilità”. Subito Clarissan si rivolse ai due adorati
contendenti e, con voce molto bella e sonora, disse: ”Miei
adorati signori, da quanto ho visto in questa giornata di duello,
non potremmo aver nessun vincitore per la disputa in corso, che
287

vostra per l’avermi ritrovato in piena salute, ma ora vi devo
comunicare una notizia che farà sussultare ancor di più dalla
gioia; la regina Ygerne, madre vostra, mio amatissimo sire, la
carissima signora di Svezia sono ancora vive in quel castello,
nel quale sono venuto anche a sapere d’avere una splendida
sorella che dono al qui presente re Artù come sua novella
nipote”, a quella notizia effettivamente furono tutti colmi di
gioia e di stupore, perché soprattutto Ygerne doveva essere
molto anziana. Subito Galvano richiese nuovamente la calma,
poi disse: ”Purtroppo ho anche una pessima notizia da dare a
tutti quanti; domattina devo presentarmi armato di tutto punto
al Guado Periglioso per un duello all’ultimo sangue ed è stata
richiesta la presenza di quest’augusta corte per una qualsiasi
vertenza durante lo scontro”. Contemporaneamente, al castello,
Ygerne fece i dovuti preparativi per ospitare degnamente, e con
il dovuto onore, il regale figlio; come tutto fu pronto,
cinquecento cavalieri, con le relative dame, si mossero incontro
alla corte di Camelot, portando in trionfo Artù e la sua intiera
corte, accomodatisi tutti quanti, iniziarono i debiti
festeggiamenti che durarono fino a tarda sera.
Il mattino successivo, prima dell’alba, Galvano prese la messa
del mattino e s’andò a preparare per lo scontro che doveva
esserci quella giornata al Guado Periglioso, come tutto fu
pronto, furono avvistati in lontananza Guiromelan con il
proprio esercito, allora Artù fece venire Galvano ed un altro
fidato cavaliere, chiamato Giflès, e disse: ”Messeri, l’esercito
nemico si sta avvicinando sempre di più, chiedo a voi due
d’andare in avanscoperta per raggiungerli il più presto possibile
ed aprire in questo modo le ostilità contro quei bifolchi”.
Galvano ed il suo nuovo compagno d’avventure si guardarono
per un po' in viso, poi Galvano stesso si fece avanti e,
inchinandosi allo zio, disse: ”Mio signore se è questa la vostra
volontà non posso esimermi a discuterla, perché poi ero
preoccupato che qualcuno mi guardasse le spalle durante il
286
”Devo però anche dirti un’altra cosa, cioè un misterioso
cavaliere si è presentato al Ricco Re Pescatore ma, pur avendo
veduto la sofferenza del gran re ed il Santo Graal, non si è
assolutamente preoccupato di fare la fatidica domanda, come
vuole la profezia, mandando in malora quel ricco e fiorente
reame”, fu così che re Artù lasciò il saggio eremita
enormemente sollevato da come si erano messe le cose in quel
pacifico posto. Artù non ebbe fatta molta strada dall’eremo, che
subito fu fermato da un misterioso cavaliere nero, il quale
l’accusò dicendo: ”Messere voi mi avete fatto un gran torto,
sottraendo dal cospetto del mio defunto parente un prezioso
candelabro d’oro massiccio, vi chiedo di riparare al misfatto
restituendomelo”
”Sire non so di che cosa state parlando, dato che lascio or ora
l’eremo di Sant’Agostino, senza portarmi appresso nulla
proveniente da quel santo luogo a parte i consigli e
l’assoluzione di quel venerando eremita ivi ospitato”, per tutta
risposta, il cavaliere nero partì con la lancia in resta alla carica
d’Artù, in ogni caso il primo assalto non diede particolari
effetti, perché entrambi restarono in sella, indenni. Al secondo
assalto il cavaliere nero estrasse dal fodero una spada
infiammata, che spense nel braccio a manca d’Artù, il quale
montò in collera tremenda ed iniziò a dire: ”Messere, voi non vi
siete comportato come un cavaliere d’onore, dovreste
conoscere le regole per il duello cavalleresco, ora mi vedo
costretto a rispondervi come solo io so fare, cioè con la più alta
giustizia di questo mondo”, finito che ebbe di parlare, Artù
lasciò andare il proprio scudo, partendo alla carica con la sola
lancia a protezione ma mirò veramente bene perché fece
penetrare l’arma di ½ auna 1 nel petto del cavaliere villano, il
quale stramazzò al suolo con un tonfo orrendo,
immediatamente Artù estrasse la lancia dal corpo del temerario
e si ritrasse oltre il perimetro dell’eremo. Una volta che Artù fu
1 Auna è un’antica unità di misura corrispondente a 120 cm.
83

uscito al recinto dell’eremo, si presentarono sul luogo della
sfida venti cavalieri che smembrarono il cavaliere nero e se lo
portarono via in quel macabro modo. Nello stesso istante Artù
raggiunse stremato la misteriosa fanciulla di quel mattino, che
lo attendeva piena di trepidazione per la sua salute; come lo
ebbe visto, gli disse: ”Sire, le vostre ferite sono particolarmente
gravi per via del tipo d’arma usata, ma perché tu guarisca mi
devi portare al più presto la testa recisa del tuo aggressore ed al
più presto”. A questa richiesta Artù non si poté rifiutare, così si
rimise in marcia e trovò quasi subito colui che stava cercando,
quindi gli si rivolse con queste parole: ”Messere, il Cielo vi
abbia in salute, ma vi devo chiedere una cosa che è in vostro
possesso, mi potete donare quella testa mozzata che portate in
grembo, cosicché mi aiuti a guarire come si deve?”
”Visto che siete stato così cortese da domandarmi una cosa
che mi appartiene di diritto, ve la cedo ben volentieri, ma in
cambio vi chiedo io la cortesia di dirmi chi voi siate”
”Per ora ti basti sapere che sono un potente re che si deve
curare con gli efluvi sanguigni di questa testa, nel corso del
tempo, poi, potrai sapere altro di me, per ora vivi felice il resto
della tua vita”, così Artù s’allontanò col suo bottino, mentre il
cavaliere richiamò i suoi compagni. Una volta che i terribili
cavalieri furono tutti radunati, quello avvicinato da Artù prese a
dire: ”Cari amici, ho appena avuto una strana avventura, dovete
sapere che un re molto gentile, mi ha chiesto di consegnargli in
modo molto affabile la parte del corpo del nostro compagno
toccatami in sorte, dopodichè si è congedato con tutti gli
onori”. Subito gli altri cavalieri capirono di chi stava parlando
il loro compagno, allora il capo gli disse: ”Stolto che non sei
stato, hai consegnato la testa del cavaliere nero ad Artù, il più
grande e potente nemico che possiamo avere, perciò ti
condanno a subire lo stesso disonore toccato al nostro
compagno” e subito tutti gli saltarono addosso ammazzandolo
di percosse, quindi lo smembrarono dividendosi tutte le parti tra
84
ebbene ora vi chiedo con molte suppliche di svelarmi il vostro
nome perché temo moltissimo per voi”. Galvano comprese la
paura dell’anziana regina e disse: ”Mia signora sappiate che io
sono vostro nipote Galvano, figlio d’Urien di Svezia ed ora al
servizio del vostro amatissimo figlio re Artù di Camelot, del
quale vedete laggiù il vasto accampamento, perché sono tutti
arrivati fin qui in mio soccorso”. A quelle notizie, la bella
Clarissan corse nelle proprie stanze, ove svenne diverse volte
tra le lagrime perché suo fratello era l’acerrimo nemico del suo
grande amore e conosceva tutto quanto dei segreti che aveva
nel cuore, mentre le due regine esultarono grandemente per
quegli accenti si lieti anche se inaspettati. Subito Galvano si
districò dai festeggiamenti del castello e, facendo sellare il
proprio cavallo, raggiunse l’accampamento di re Artù per
andare a trovare il suo signore e zio, ma fece a malapena in
tempo a scendere di sella, che immediatamente l’intiera corte il
prese in consegna per festeggiarlo con enorme gioia ed onore;
vedendo tanto entusiasmo tra i suoi compagni, Galvano chiese
che si calmassero, poi disse: ”Miei signori ed amici, vedo con
gratitudine la vostra gioia nell’avermi ritrovato sano e salvo,
ma preparatevi a riceverne una anche maggiore dopo che avrò
doverosamente parlato col nostro onoratissimo signore ed
amatissimo zio Artù”. Immediatamente l’intiera corte seguì
Galvano al cospetto di re Artù per apprendere le nuove
meravigliose notizie che il loro amico aveva promesso, mentre
in fondo alla folla, Keu continuava a dire: ”Che cosa avrà di
tanto speciale quel vigliacco d’un cavaliere che, come unica
qualità, può solamente vantare d’essere parente stretto d’un re
infingardo che ho il dovere di servire e riverire come suo
maggiordomo di corte e mandare giù dei rimproveri tali da far
accapponare chiunque!”
Giunti che furono tutti quanti alla presenza di re Artù,
Galvano gli rese i dovuti onori come suo signore e zio, poi
prese a dire: ”Mio sire, si vede bene la gioia dell’intiera corte e
285

eal mensa, ove riconobbe immediatamente il buon re Artù,
circondato da tutti i suoi baroni, ma l’intiera corte era
veramente triste perché ognuno di loro sentiva la mancanza
della presenza del buon Galvano. Subito il giovine s’inchinò a
tutti quanti, poi si rivolse ad Artù, dicendo: ”Messere, vostro
nipote Galvano mi ha mandato a voi con la preghiera di
soccorrerlo alla rocca di Canguin, perché una grave minaccia lo
trattiene in quel luogo, che non è molto lontano da qui, infatti
dobbiamo essere tutti quanti presenti in quella spianata entro
cinque giorni da ora”. Sentendo quelle liete notizie, l’intiera
corte esultò e gioì enormemente: ma proprio tutti furono lieti
della novità su Galvano? Effettivamente non tutti, visto che il
siniscalco Keu, pieno di gelosia nei confronti del compagno,
prese a dire: ”Era ora che si venisse a sapere qualcosa di quel
vigliacco d’un infingardo che osa chiamarsi cavaliere e che
infanga il nome del nostro buon re, osando nomarsi suo nipote”
a quel punto il siniscalco dalla lingua biforcuta tacque perché si
rese conto che nessuno gli dava retta in quanto tutti impegnati a
fare preparativi per la partenza di quell’avventura così
inaspettata. Finalmente venne il momento della partenza e la
scorta del buon re Artù comprendeva ben tremila cavalieri con
la compagnia di quindicimila tra dame, damigelle e ragazze,
vista la gran moltitudine di persone, non ci si stupì che il
viaggio fosse durato ben tre giorni intieri, in ogni caso tutti
arrivarono nei tempi richiesti da Galvano stesso.
All’arrivo della corte d’Artù a Canguin, la regina Ygerne si
trovava sugli spalti del castello e, vedendo la moltitudine, si
sentì male perché pensava d’essere attaccata da quel vasto
esercito, come si fu ripresa fece chiamare Galvano e gli chiese:
”Messere, finora non ho avuto la possibilità di conoscere il
vostro nome ed il vostro lignaggio a cui appartenete, che
suppongo molto alto per il coraggio ed il portamento che avete,
ma ora si prospetta un pericolo enorme sottoforma di quel
grandioso esercito che ci sta per assediare e vi vedo in pericolo;
284
loro. Negli stessi istanti, Artù raggiunse nuovamente la
fanciulla, consegnandogli la testa che gli era stata richiesta,
allora la ragazza fece colare del sangue dal collo mozzato e lo
impastò con della terra presa dalla base di un nocciolo che si
trovava lì vicino; con l’impacco così creato medicò le ferite del
re. Una volta che la fanciulla ebbe finito di curare Artù, essa gli
disse: ”Sappi mio buon re che questa testa ora mi serve per due
scopi; il primo è la riconquista di un castello avvito che mi è
stato sottratto con l’inganno, il secondo è l’unico modo che ho
per rintracciare un cavaliere che sto cercando disperatamente,
nomato Parsifal, figlio di Gahumert delle valli di Camaalot”
”Chi è questo misterioso cavaliere che mi sembra gia nomato
in mia presenza e, soprattutto come mai quello strano nome che
significa Puro Folle?”. Allora la damigella si mise comoda
dicendogli: ”Fai la stessa cosa anche tu perché la storia che ti
sto per raccontare è molto lunga e parte da tanti anni fa, ma
soprattutto è veramente incredibile quanto ha cambiato questo
giovanissimo cavaliere veramente puro ed ancor più folle di
quanto tu possa immaginare” e così Artù si sedette anche lui
appoggiato ad una pianta lì vicina e si mise ad ascoltare quanto
la damigella aveva da raccontargli.
Parte Parte quinta: quinta: La La storia storia storia di di Parsifal
Parsifal
Capitolo 13
Alcuni decenni fa, Gahmuret stava viaggiando in terra mora,
quando tra quelle lande incontrò una splendida giovine di quei
luoghi, chiamata Belatane, della quale s’innamorò
perdutamente, fino a sposarla; da quell’unione nacque un figlio
che i due decisero di nomare Feirefiz, il quale, però, aveva una
strana colorazione della pelle: infatti era a macchie bianche e
nere. Poco tempo dopo, Gahmuret ripudiò la splendida amata,
dicendole: ”Purtroppo la nostra differente religione non ci
permette di vivere felicemente sotto lo stesso tetto, mi spiace
cara, ma devo lasciarti per sempre in queste lande desolate ad
accudire da sola il frutto del nostro amore, però la cosa
85

cambierebbe se tu decidi di abiurare il tuo credo per
abbracciare il cristianesimo”
Belatane si fece estremamente seria e prese a dire: ”Mio caro
sposo, sono anch’io spiacente di questa cosa, ma purtroppo per
te non me la sento di abiurare la fede in Allah per abbracciare il
tuo credo”, fu così che i due si dovettero definitivamente
lasciare e Gahmuret riprese la strada per il proprio paese natio.
Tornato che fu in patria, Gahmuret ebbe numerose avventure
che si concludevano spesso con sanguinosi duelli, vinti dal
nostro impavido eroe, durante uno di questi scontri, Gahmuret
ebbe una strana sensazione, quindi si rivolse alla regina del
duello e disse: ”Mia signora, ho paura che il mio adorato
fratello sia in grave pericolo, quindi chiedo umilmente
esonerato dal proseguire il destreggiare in quest’onorata gara”.
Ma in quel momento alzò gli occhi e vide una splendida
fanciulla di nome Herzeloyde e se ne innamorò
immediatamente. In quel preciso istante giunse un messaggero
dal reame di Camaalot e, rivolgendosi al palco del re locale,
prese a dire: ”Sire, vengo dal reame di Camaalot in cerca di un
cavaliere nomato Gahmuret perché devo portargli delle gravi
notizie da parte di suo fratello”. A quelle parole Gahmuret si
fece avanti ed iniziò a dire: ”Sono io colui che state cercando e
stavo chiedendo or ora a quest’augusta corte, il permesso di
allontanarmi da questa disputa per una trista sensazione che ho
appena avuto a riguardo di mio augusto fratello me ne dai
conferma?”
Il messaggero prese a dire: ”Sventurato giovine, purtroppo vi
vengo a portare una doppia notizia funerea, confermando anche
la tenebrosa sensazione, infatti vostro fratello Galoes è morto
assieme a vostra madre Schiette e la cosa impone il rientro
immediato dell’erede nelle sue proprietà avite. Ora, sir
Gahmuret, siete costretto dalle circostanze a venire con me a
reclamare quanto vi spetta”. Intenerita da quella tristissima
notizia, Herzeloyde si rivolse al re, signore della gara, e prese a
86
Fu così che Galvano tornò quella sera stessa al castello di
Canguin con la perfida dama e la fece rinchiudere assieme
all’Orgoglioso nelle segrete del maniero. Subito le due regine
andarono incontro all’adorato cavaliere e lo festeggiarono fino
a notte fonda con giochi, canti e carole alle quali lo stesso
Galvano s’unì molto volentieri.
A quel canto Galvano non riuscì più a trattenersi e prese a
dire: "Quel che ho appena ascoltato è veritiero fino all’ultima
parola, ve lo posso garantire di persona, in quanto fui coinvolto
in alcune di quelle avventure, mentre per le altre n’ebbi notizia
da persone ben degne di fiducia”. Tra un ballo ed un gioco,
Galvano trovò il tempo per prendere da parte la bella damigella
che Guiromelan gli aveva indicato e riferì quanto gli era stato
detto dal cortese cavaliere, anche se le due regine, nel
frattempo, avevano pensato di darla in sposa proprio al
valoroso cavaliere, dato che non l’avevano ancora riconosciuto,
allora la bella Clarissan fu molto contenta della notizia e disse a
Galvano: ”Messere, sappiate che anch’io amo enormemente
quel bel cavaliere dall’animo buono, appena potrete riferirgli
quanto vi ho appena detto”.
Finito che ebbe con Clarissan, Galvano prese da parte un
valletto e gli disse: ”Buon giovine, devi andare con tutta la
velocità presso la corte d’Ocarnie e dire a re Artù che suo
nipote Galvano ha bisogno di lui alla rocca di Canguin, entro
una settimana da oggi stesso, mi raccomando fa più
velocemente che puoi perché altrimenti lo zio potrebbe perdere
il più caro dei nipoti”. Subito il giovine corse alle scuderie e,
preso il migliore dei cavalli ivi presenti, partì per la propria
destinazione attraverso la strada più breve che conosceva. Nel
frattempo alla rocca si continuava a festeggiare durante i quali
investirono cinquecento nuovi cavalieri.
Capitolo 51
Contemporaneamente il giovane ambasciatore arrivò in
brevissimo tempo ad Ocarnie e s’avviò immediatamente alla
283

soggiornai alcuni giorni presso il Castello delle Meraviglie”. A
quelle parole Guiromelan ebbe un sussulto e poi disse:
”Messere è impossibile che voi siate stato al Castello delle
Meraviglie, perché nessuno n’è mai uscito, da quel posto
nefando”, allora Galvano raccontò come andarono le cose.
Finito che fu il racconto di Galvano, Guiromelan ne fu
gioiosamente meravigliato, finalmente il cavaliere disse:
”Dovete sapere che le due regine che incontraste in quel
magico castello, sono rispettivamente la regina Ygerne e sua
figlia Anna, moglie di re Urien, signore di Svezia ed il maniero
è noto anche come rocca di Canguin”. Colto di sorpresa dalla
rivelazione, Galvano disse: ”Sappiate allora, messere, che
quelle due regine sono rispettivamente mia nonna Ygerne e la
cara madre Anna ed il mio nome è Galvano, principe di Svezia
e nipote di re Artù di Camelot ed appartengo al venerato
sodalizio della Tavola Rotonda, in quanto cavaliere”. A quella
rivelazione Guiromelan rimase stupito, ma poi riavutosi, disse:
”Messer Galvano, da quanto m’avete rivelato mi sovviene che
tempo fa m’avete offeso e, dato che non scordo i torti subiti, vi
devo sfidare a duello da qui ad una settimana, alla presenza di
vostro zio Artù di Camelot e la sua adorata consorte Ginevra,
che da quanto ho saputo, si trovano con la loro corte ad
Ocarnie. Se non lo sapete, quella località si trova a sole due
giornate di cavallo da qui, ora se non tardate a partire riuscirete
a tornare in questo posto in tempo per la sfida che vi ho appena
lanciato”, detto questo, i due cavalieri si separarono uno per
tornarsene al proprio castello, mentre Galvano s’accinse a
riattraversare il Guado Periglioso. Una volta che Galvano
ritornò al cospetto d’Orgeluse, questa prese a dire: ”Messere,
m’avete dimostrato quanto siete valoroso e fedele, quindi mi
vedete pentita di quanto vi dissi dal giorno in cui ci siamo
conosciuti ed ora mi vedo costretta a rimettermi alla vostra
mercè, fate di me quel che ritenete meglio”.
282
supplicare dicendo: ”Sire, questo sfortunato cavaliere sì giovine
e bello, merita di vincere sul momento in virtù di quanto ha
appena appreso in modo così orribile, inoltre chiedo
supplichevolmente di ottenere la sua mano, dato che lo trovo
d’ottimo aspetto, oltre che valente con le armi, come ci ha oggi
stesso dimostrato”. Il re, anche lui mosso da compassione, per
il nobile cavaliere senza nessuno al mondo, iniziò a dire:
”Dolce Herzeloyde come si può darvi torto, dopo quanto
abbiamo ascoltato delle sue sventure? Avete altresì ragione a
sostenere che egli è valente, avendolo dimostrato, quindi voi,
mia cara e splendida damigella, potete prendere sì valido
cavaliere dall’ottimo aspetto e convolare con lui a giuste nozze”
Fu così che i due giovani si sposarono con tutti gli onori
possibili, dopo che Gahmuret ebbe finito un adeguato periodo
di lutto quelle sera stessa, ritiratisi nella camera nuziale, i
novelli sposi ebbero appena il tempo di spogliarsi dai loro abiti
regali, che subito erano coricati nel talamo ad inarcarsi dal
grande amplesso che li percorreva, al culmine lei emise un gran
grido di piacere, mentre Gahmuret la rendeva incinta del loro
legittimo erede senza accorgersene. Il mattino successivo, però,
Gahmuret provò un istinto fortissimo a cercare nuove avventure
e partì nuovamente senza dire niente a nessuno, non sapendo
che il ritorno non ci sarebbe mai stato, perché incontrò la morte
nelle lontane terre d’Arabia. Nello stesso momento il
menestrello di Herzeloyde prese a recitare:
Sommo lutto in tutto il regno:
Il nostro re prode cadde,
Rendendo vedove due dame,
Rendendo orfani due figli.
Sommo lutto in tutta la Britannia:
Un prode cavaliere è morto,
Rendendo vedove due dame
Rendendo orfani due figli.
Cordoglio per Belatane,
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Compianga il padre di suo figlio
Cordoglio per Herzeloyde,
Compianga il padre di suo figlio.
Tristezza per Feirefiz
Reso cavaliere senza padre
Tristezza per Parsifal
Cresciuto senza padre.
Alcuni mesi dopo la morte del marito, Herzeloyde ricevette la
visita di un compagno d’avventure del marito, che gli disse:
”Mia signora, sono venuto alla vostra volta per portarvi una
terribile notizia certissima, perché vi ho assistito io di persona,
ma prima devo chiedervi di sedervi in quanto è veramente
penosa e potrebbe farvi molto male”. Una volta che Herzeloyde
ebbe ubbidito, subito lo sconosciuto riprese e disse, con molto
rammarico: ”Il vostro beneamato marito è gloriosamente morto
in battaglia nelle desolate lande della Terra Santa l’estate
scorsa”.
Avuta che ebbe la funesta notizia, Herzeloyde cadde
effettivamente per un malore che, il suo stato di partoriente
ormai terminale, fece pensare al peggio agli astanti; una volta
che si fu ripresa, la bella dama prese una drastica decisione,
radunò l’intiera corte e disse: ”Le circostanze che mi sono state
appena comunicate mi hanno buttato in estrema prostrazione e
questo luogo mi ricorda il brevissimo tempo che passai al
fianco del vostro signore mio sposo, quindi ho deciso di
trasferirmi con coloro di voi che mi volesse seguire, nella
foresta di Soltana, ove vivrò il resto dei miei giorni”, in quel
luogo solingo ove si ritirò l’intiera corte, si compirono i giorni
per Herzeloyde e nacque uno splendido fanciullo che
battezzarono col nome di Parsifal. Il giovinetto crebbe selvatico
alla disciplina e nella povertà più cupa, nonostante che gli fosse
impartita un’istruzione degna del suo rango; una cosa sola
l’intiera corte evitò di insegnare a Parsifal: l’esistenza della
cavalleria, sopratutto quella cortese perché la povera madre
88
Orgeluse è rimasta di là dal fiume? Che fine ha fatto il cavaliere
che l’accompagnava quando è arrivata al castello?”
”Messere, quella perfida mi mandò avanti, affermando che
questa era una prova che dovevo affrontare da solo e se avessi
fallito sarei sicuramente morto. Il cavaliere che
l’accompagnava, invece, fu battuto e ferito in duello proprio da
me davanti al castello delle due regine e ivi mandato per curarlo
e poi incarcerarlo nelle loro segrete”. Il cavaliere ne fu
visibilmente compiaciuto e disse: ”Messere, siete stato proprio
molto abile e fortunato, perché il paladino che siete riuscito a
battere era veramente valoroso e forte, inoltre il passaggio che
avete appena superato è noto anche come il Guado Periglioso,
dato che ivi persero la vita parecchi ottimi cavalieri. Inoltre
sappiate che io stesso riuscii a conquistare il cuore di quella
perfida donna, nonostante le sue intemperanze nei miei
confronti ma, poco tempo dopo, incontrai una splendida
damigella nel Castello delle Meraviglie che si chiamava
Clarissan e me ne innamorai perdutamente, in seguito venni a
sapere che anche costei ricambiava il mio sentimento e con
l’andare del tempo ci scambiammo promesse di fedeltà, ma la
perfida Orgeluse lo scoprì e fece in modo che non potessimo
più vederci ed ora ne sono estremamente addolorato per la
preoccupazione”.
Il misterioso cavaliere riposò la voce e si sedette, invitando
Galvano a fare la stessa cosa, quindi riprese a dire: ”Dovete
sapere che la perfida Orgeluse è anche nota come Orgogliosa di
Norgres ed il suo attuale compagno, che voi avete appena
battuto, è nomato Orgoglioso del Passaggio della Via Stretta ed
era stato messo a guardia degli approdi di Galvoie, mentre
quella città che vedete laggiù oltre il frutteto è Orgueneselle di
cui io sono il principe e tutti mi conoscono sotto il nome di
Guiromelan, ma ora raccontatemi, messere, delle avventure che
vi hanno condotto presso il mio frutteto”. Galvano acconsentì e
prese a dire: ”Subito prima d’affrontare l’Orgoglioso,
281

ad Orgeluse e gli disse: ”Mia buona dama, vi chiedo umilmente
d’aspettare assieme a me il ritorno del fido barcaiolo per poi
seguire il tuo fidato paladino nelle carceri del castello”. La
perfida s’indignò enormemente e disse: ”Messer Galvano, non
posso accontentare la vostra richiesta, perché combatteste in
modo veramente sleale contro il mio fido, perché il mio
cavaliere era appena guarito da alcune terribili ferite che s’era
procurato in un precedente duello. Ora vi chiedo io una cosa:
seguitemi e vi farò riprendere il duello contro un altro cavaliere
fidato, molto più sano di quello che avete appena battuto, per
testimoniare il vostro valore che vantate tanto”. Galvano si
rabbuiò per quelle parole, ma poi si risollevò e disse: ”Perfida
Orgeluse, s’è questo che volete come prova da me, ebbene
accetto di sottopormi a quest’ennesima prova, solo per
mostrarvi completamente il mio innato valore”, subito i due si
misero in moto per andare ad affrontare nuove imprese, mentre
Galvano sperava in cuor suo di tornare prima di notte al
castello, in modo da potervi soggiornare a proprio agio.
Contemporaneamente al castello, le dame e damigelle videro
tutto quanto e, quando Galvano s’allontanò con la perfida,
rimasero prima stupite, poi disperarono, perché temevano
d’aver perduto per sempre un cavaliere così forte e d’alto
lignaggio.
Contemporaneamente Galvano ed Orgeluse arrivarono al
luogo della prova, ove il fiume scorreva a notevole profondità;
a quel punto la perfida si rivolse a Galvano e gli disse: ”Ora
messere, dovete guadare questo corso d’acqua in quel punto
preciso, se volete avere il debito onore ai miei occhi, ma badate
bene che è proibito fallire, pena la morte”. Galvano sorpassò
egregiamente la prova e, quando risalì la sponda opposta, si
ritrovò nei pressi d’un frutteto, nel mezzo del quale incontrò un
bellissimo cavaliere che stava passeggiando in compagnia di
due cagnolini da cacciagione. Una volta che i due furono a
portata di voce, il misterioso cavaliere chiese: ”Come mai dama
280
n’avrebbe grandissimo dolore se il figlio venisse a sapere
qualcosa sull’argomento.
Un giorno, mentre vagabondava nei boschi adorati, Parsifal
vide una lussuosa tomba; una volta che fu tornato a casa, andò
da sua madre e gli chiese: ”Mia signora, oggi nel bosco ho visto
una cosa molto strana, una pietra levigata con delle strane
incisioni sopra ed una parola che non ho mai sentito in vita
mia”
”Mi puoi dire di che parola si trattava?”
”Non ne sono sicuro, ma la parola in questione mi pare che
fosse cavaliere”
”Devi sapere, figliolo caro, che ben undici fratelli di tuo padre
furono investiti cavalieri, ma purtroppo non ebbero una vita
molto lunga”
”Madre mia, io voglio sapere cosa è un cavaliere, non quali
parenti lo furono”
Allora Herzeloyde, piena di sgomento, prese a dire: ”Caro
figliolo, se è questo che vuoi sapere, allora eccoti accontentato;
i cavalieri sono persone molto valorose ed avventurose, che per
proteggersi usano armature, spade e scudi”, detto questo, la
povera donna si accasciò dalla disperazione. Nello stesso
momento, Parsifal gioiva per la soddisfacente risposta che
aveva appena avuto; come la povera Herzeloyde si fu ripresa,
chiamò l’intiera corte e disse: ”Miei fidatissimi, mio figlio ha
piegato la mia volontà ed è venuto a sapere che cosa sono i
cavalieri, in questo posto non siamo assolutamente più sicuri,
quindi ho deciso che possiamo trasferirci ancora nel più
profondo del bosco per evitare che il giovane folle possa
prendere le armi della cavalleria e faccia la fine del padre e dei
suoi zii”. Così l’intiera corte abbandonò ogni territorio avvito, a
parte un castello nel cuore della foresta, a cui era annesso un
appezzamento di terreno da cui trassero il sostentamento dello
stesso.
Capitolo 14
89

Passarono ancora degli anni e Parsifal crebbe ulteriormente;
un giorno il giovinetto, che non conosceva nemmeno il proprio
nome, stava cacciando un cervo nel bosco vicino a casa,
quando vide due esseri coperti di ferro che si stavano
affrontando vicendevolmente. Il primo dei due aveva la
protezione vermiglia, mentre il suo avversario era coperto di
bianco, vedendo la scena, Parsifal prese uno dei giavellotti che
portava con se e lo scagliò nella mischia con estrema violenza
trapassando ed uccidendo l’essere vermiglio. A tal vista, la
visione bianca alzò la visiera che gli proteggeva il capo e,
rivolgendosi a Parsifal, gli disse: ”Giovine sprovveduto è
questo il modo di comportarsi con due cavalieri che si stanno
combattendo in leale tenzone? Non sapevi che dovevi restare da
parte a vedere come andava a finire tra noi? Ora ti toccherà fare
ammenda per quanto hai fatto al mio avversario”
”Sono spiacente, mio signore, non sapevo di fare un torto così
grave a due cavalieri, col mio comportamento, ma vi ho visto in
difficoltà e mi è parso opportuno intervenire, ma comunque il
vostro comportamento m’incuriosisce parecchio, posso seguirvi
per impararlo?”
”Visto che devi imparare parecchie cose sulle buone maniere
della cavalleria, ti prendo volentieri con me, ma devi seguirmi
ovunque io vado, perché d’ora in poi sarai il mio scudiero”, fu
così che Parsifal seguì il cavaliere bianco senza
alcun’esitazione. Alcuni mesi dopo aver lasciato il castello
avvito, Parsifal si ritrovò di fronte ad uno splendido padiglione,
meravigliosamente ricamato, in cui riposava una splendida
damigella dai capelli lunghi e dorati, nomata Ieschute; come la
ebbe vista, Parsifal si fece avanti e la baciò sulle dolci labbra
per svegliarla. Una volta che Ieschute fu completamente
sveglia, Parsifal disse: ”Mia dolce e bellissima signora, la
cavalleria mi ha imposto di usarti questo comportamento nello
svegliarti, ora ti chiedo, sempre per la stessa legge, di darmi in
pegno quel bell’anello che porti al dito” ma la fanciulla fece
90
stesso modo diversi eroi, uccidendoli in modo terrificante,
facendogli fare delle prove estremamente difficili, che
rasentavano l’impossibile”. Galvano si rivolse alle due regine e
prese a dire: ”Mie buone amiche non dovete preoccuparvi per
la mia sorte perché sono sicuro che non esiste nulla
d’impossibile per le mie capacità e quell’Essere ha proprio
l’aria d’essere un inetto che fuggirà appena avrà visto a dovere,
oppure dopo aver assaggiato i primi morsi della mia spada. Vi
prometto solo una cosa e ve ne chiedo un’altra: di tornare entro
stasera se mi sarà possibile e, soprattutto non chiedetemi la mia
identità per i prossimi sette giorni”. La regina madre, sentite
quelle richieste, prese Galvano per le mani e disse: ”Messere,
noi c’affidiamo a voi, fate ciò che reputate maggiormente utile
per la protezione di tutti quanti”, dopo questa velata
benedizione, Galvano rientrò nel castello per armarsi come si
deve e si fece traghettare sul gran fossato dal barcaiolo,
avviandosi contro il misterioso cavaliere e la perfida Orgeluse,
la quale lo riconobbe subito e, rivoltasi al proprio paladino,
disse: ”Mio caro servente, attaccate quel bifolco senza che ci
sia stata ne sfida ne minaccia, perché n’avete tutti i diritti, dato
che ci troviamo a Galvoie”
Intanto Galvano s’era avvicinato ai due e, rivolgendosi al
cavaliere, disse: ”Messere io sono pronto a battermi in duello
contro di voi, preparatevi ad usare le vostre armi per
difendervi”, subito i due si scontrarono in modo violento, a tal
punto che il paladino fu gravemente ferito ad un braccio ed al
relativo fianco. Il cavaliere tentò nuovamente di battersi contro
Galvano, ma il prode cavaliere lo disarmò completamente e gli
disse: ”Messere non vedete che ormai non riuscite più stare in
piedi dalle ferite che avete subito per mano mia? Ora vi
conviene cedere il vostro orgoglio e seguire quel fidato
barcaiolo che vi condurrà al castello oltre il fossato, prigioniero
delle due regine che quivi risiedono”, il cavaliere acconsentì e
seguì il buon uomo. Portato via il cavaliere, Galvano si rivolse
279

Galvano annuì con molta comprensione all’anziana regina, poi
disse: ”Mia signora, io appartengo alla nobile casa di re Artù di
Camelot, inoltre appartengo alla celebre Tavola Rotonda, pur
essendovi molti cavalieri molto migliori me, ma ve ne sono
anche di ben peggiori”. Anche l’anziana dama annuì
gravemente e disse: ”Signor cavaliere dato che appartenete alla
famiglia di re Artù e siete nell’ambita Tavola Rotonda, potete
darmi notizie anche di re Lot ed Urien con i loro figli?”
”Sir Galvano ed i suoi fratelli Agravain dalle due mani,
Gahriéhés e Gaheriés, oltre ai due Ivano (anche se uno di loro è
solo un povero bastardo) sono tutti membri della Tavola
Rotonda e cavalieri del benamato re e sono tutti quanti valenti,
cortesi e veramente leali”. Le due regine fecero un sussulto di
gioia, e di questo Galvano se n’accorse subito, quindi il
cavaliere disse: ”Dovete sapere che, oltre ad essere miei diletti
zii, Artù e la bellissima Ginevra sono anche due persone
veramente buone e generose oltre che molto ospitali”. Finita la
cordiale chiacchierata, le due regine accompagnarono cavaliere
alla loro ottima mensa; durante il pasto, la regina madre disse:
”Una volta che questo pranzo, con i relativi festeggiamenti,
caro Galvano, potrete allontanarvi quando e quanto vi pare” ma
le cibarie e le danze si prorogarono a tal punto che alla fine
dovettero tutti quanti andare a dormire, facendo sì che Galvano
fosse costretto a partire all’alba del giorno dopo.
Capitolo 50
Il mattino successivo, spuntata l’alba, Galvano si preparò per
partire, dopo l’abituale messa mattutina, e uscito che fu dal
ponte levatoio assieme alle due regine, notò in lontananza la
perfida Orgeluse in compagnia d’un terribile cavaliere, il quale
scorgendo Galvano, prese a dire: ”Messere vi sfido apertamente
a duello entro i prossimi sette giorni, se riuscirete a battermi,
m’allontanerò definitivamente da queste terre”. Le due regine
guardarono molto agitate Galvano, poi dissero: ”Cavaliere state
molto attento perché quel paladino esecrato ha sfidato nello
278
resistenza gridando dalla disperazione, al che Parsifal le tenne
ferma la mano finché l’anello non fu in possesso
dell’indomabile giovinetto. Soddisfatto che fu di quella duplice
azione, Parsifal si accorse di un tavolino imbandito nelle
immediate vicinanze del letto della damigella e vi si assise,
mangiando splendidamente il pasticcio di capriolo postovi
sopra e bevendo il vino che era posto in una botticella alla sua
destra, intanto ch’egli mangiava, la fanciulla gli gridò addietro:
”Una cosa Ieschute ti garantisce, che tu sarai maledetto in
eterno a vagare per questo mondo; hai una sola speranza, di
riscattare su di me l’onta che mi hai procurato”. Finito che ebbe
di pranzare, Parsifal se n’andò immediatamente per i fatti suoi.
Pochi istanti dopo arrivò anche il geloso cavaliere che era
stato promesso sposo ad Ieschute, che era stato battezzato col
nome d’Orilus, lei gli disse: ”Mio amato, m’è accaduta una
cosa molto strana e disonorevole; un ragazzetto, quasi
sicuramente scudiero, s’è introdotto nel seraglio e, dopo avermi
miserevolmente svegliata con un bacio, mi ha sottratto l’anello
di fidanzamento che tu mi donasti e per finire s’è mangiato
tutta la colazione ed ora sono qui totalmente disonorata ai tuoi
occhi”
”Visto quanto t’è successo, sgualdrina, non mi ì più concesso
fidarmi di te, quindi ti condanno alla miseria più nera finché
l’onore non sarà completamente appagato”
Alcuni giorni dopo quanto accaduto nel ricco padiglione,
Parsifal arrivò al castello di Grahaz ove il locale castellano,
chiamato Gurnemanz, lo prese a benvolere, quindi vedendo
quanto era inesperto nell’arte della giostra e nell’uso delle armi,
gli disse: ”Mio giovane ragazzo è giunto il momento che
colmiamo certe lacune, se vuoi diventare un perfetto cavaliere,
resterai con me, alla mia corte, finché non ti avrò insegnato
tutto quello che so”, fu così che Parsifal visse diversi mesi in
quello splendido castello, invaghendosi all’inverosimile della
91

figlia di Gurnemanz, chiamata Liaze, dai lunghissimi capelli
biondi e dagli occhi color del mare.
Dopo qualche tempo, durante il quale il giovane non
s’impegnava come al solito, Gurnemanz s’accorse che qualcosa
non andava. Allora s’avvicinò al protetto ed azzardò a dire:
”Mio caro ti sei innamorato della mia splendida figlia, guarda
che ho notato quanto è calato il tuo rendimento negli ultimi
tempi; sapendo quanto sei valente e leale, potrei anche pensare
di dartela in sposa, se vuoi”. Parsifal ci pensò alcuni minuti e
poi disse: ”Mio signore non credevo che quell’interesse verso
la vostra splendida figlia si chiamasse amore, ma il mio
maggiore interesse al momento sta nell’imparare come
diventare il cavaliere più perfetto possibile. Per ora non devo
pensare ad altro se mi svia dal mio scopo della vita”.
Pochi giorni dopo, infatti, Parsifal raccolse le proprie cose e,
preso congedo da Gurnemanz, andò in cerca d’avventure e
qualcuno che lo investisse cavaliere. Fatta che ebbe ben poca
strada, Parsifal s’imbatté in un castello sotto assedio,
immediatamente si rivolse ad un soldato che si trovava lì vicino
e gli chiese: ”Buon uomo mi saprebbe dire, per cortesia, che
diamine sta succedendo da queste parti?”
”Ingenuo che non sei altro, non sai quanto si dice in tutta la
regione? Dall’espressione che stai facendo direi proprio di no,
allora sappi che il prode Chamadieu pretende alla mano della
splendida Biancofiore, ma questa lo disprezza, allora il mio
signore ha cinto d’assedio il suo castello, nomato
Beaumespaire, dove la superba s’è arroccata, e tenta di piegarla
al proprio volere, altrimenti costei è destinata a morire di fame,
perché abbiamo reciso ogni possibilità di riferimento al
maniero”.
Sentendo quelle superbe parole, Parsifal prese
immediatamente la decisione di difendere tutti quelli che
stavano subendo un torto, quindi si fece aprire le porte
dell’avito castello, proponendosi come campione per la
92
splendidi possedimenti del castello che lo ospitava, in quel
mentre alcuni servi entrarono da Galvano, portandogli abiti ed
armi puliti da potersi rivestire come si deve, subito il buon
cavaliere prese l’occasione e chiese: ”Ottimi amici, vedendo
quelle meravigliose campagne e splendidi boschi, m’è venuta
voglia d’uscire per andare a fare una battuta di caccia, potete
fare in modo di farmi preparare il mio cavallo il più presto
possibile?”. Subito, quello che sembrava il capo di quel
gruppetto di servi, si rivolse a Galvano, dicendogli: ”Messere,
non ve lo hanno ancora detto? Da qui non potete assolutamente
uscire se non c’è necessità bellica, perché ora siete ostaggio
delle magie di questo castello stesso”. Il volto di Galvano si
corrucciò immediatamente e nel modo più terribile, poi disse:
”Se le cose stanno in questo modo, vi do un comando
perentorio; non presentatevi alla mia vista con del cibo finché
non riuscirete a darmi la notizia, per me lietissima, che potrò
andare e venire da questo castello a mio piacimento”.
Nello stesso castello vi risiedevano anche due regine che,
sentendo l’intendimento di Galvano, si preoccuparono e,
accompagnate da duecentocinquanta dame di compagnia ed
altrettanti valletti, andarono a far visita al prode cavaliere.
Arrivate che furono alla presenza di Galvano, le due regine
s’inchinarono, dando così il tempo al cavaliere d’osservarle
come si deve; infatti Galvano notò quale delle due regine era di
grado più elevato, dato che portava delle lunghe trecce bianche,
arrivanti ai fianchi, oltre ad una ricchissima veste bianca
ricamata da fiori d’oro. Rialzatasi dal profondo inchino, la
regina madre si rivolse a Galvano e gli chiese: ”Messere,
durante il duello contro il perfido Urians ho notato che vi siete
comportato in modo veramente egregio, ma quando siete
entrato nel castello non vi siete ancora dato la briga di dire ad
alcuno da dove venite, come vi chiamate e cosa facevate da
queste parti, spero, quindi, che concediate ora questo favore a
due nobili dame che ve lo chiedono col dovuto rispetto”.
277

Il mattino successivo, allo spuntar del sole, i cavalieri del
maniero andarono a trovare Galvano e, trovandolo con solo
lievi ferite, corsero per l’intiero castello a diffondere la notizia
tra gli abitanti del medesimo, a prescindere dalla condizione
sociale. Immediatamente tutti gli abitanti del castello,
accompagnati dal barcaiolo, arrivarono da Galvano,
festeggiandolo grandemente, soprattutto le dame e le damigelle,
che erano costrette a quel soggiorno in quanto profughe di
regioni molto lontane, mentre i cavalieri e gli scudieri erano
esiliati in quel luogo da reami più vicini. In questo modo passò
l’intiera giornata in festeggiamenti con banchetti e giostre di
vario genere, allestite nei vari cortili del maniero, durante uno
dei banchetti, venne cantata la seguente canzone:
Vi è, alla corte del prode Artù,
Un prode cavaliere nomato Galvano
Dalle numerose imprese spesso importunato;
Da molte donne è desiderato.
Ma di una prodezza si fece campione
Anche se non la portò a conclusione:
Alla ricerca del Santo Graal
Decise d’avere la passione.
Ma disprezzato ei fu,
Il Santo Calice un altro chiamò
E messer Galvano a corte ritornò
Ove ben presto in altre imprese s’infilò.
Valentemente la bella Ginevra liberò
Dal nefando cavaliere che la rapì
Il cui nome fu Idiér il vigliacco
Che ben presto fu umiliato.
nell’udire quei versi, Galvano si commosse, ma si schermì
negando momentaneamente di rivelare la propria identità,
facendo così passare la serata. Al nuovo sorger del sole,
Galvano s’affacciò sulla balconata della camera che gli
avevano assegnato, e contemplò, da quella posizione, gli
276
sventurata principessa. Entrato che fu nel castello, Parsifal si
rivolse al primo soldato che incontrò dicendogli: ”Armigero,
devo farmi ricevere dalla tua padrona per offrirgli i miei
servigi, mi ci puoi condurre?”. L’armato guardò Parsifal per
qualche istante come se avesse visto un fantasma oppure una
persona fuori di senno, poi gli rispose: ”Mio signore, avete ben
visto che la nostra situazione è ben critica, come potreste offrire
i vostri servigi alla bella Biancofiore in questo frangente, senza
armi di rinforzo?”
”Di questo non ti devi preoccupare, soldato, perché io da solo
basto per un intiero esercito, anche se non conosco per niente il
mio nome, lo so che ti sembrerà strano, ma è proprio così, dato
che mi hanno sempre chiamato il puro folle oppure ragazzo, ma
ti garantisco che la mia forza e l’abilità nelle armi che mi è
innata sono veramente enormi cosicché posso guerreggiare da
solo contro un intiero esercito, ora ti prego di portarmi dalla tua
padrona”, in quel mentre passava in quel punto proprio la bella
Biancofiore che sentì la discussione e s’avvicinò ulteriormente
ai due chiedendosi che cosa stesse succedendo.
Una volta che la bella castellana ebbe udito quanto gli bastava,
si rivolse a Parsifal, dicendogli: ”Prode giovine arrivate proprio
al momento opportuno, perché io attualmente mi trovo in gran
difficoltà a causa di quel perfido di Chamadieu che pretende di
prendermi come sua sposa contro la mia volontà, per questo ha
cinto d’assedio il mio splendido castello, facendo in modo che
neanche mio zio Gurnemanz possa intervenire in mio aiuto”
Parsifal, sentendo quella rivelazione, disse: ”Vengo proprio
dal castello di vostro zio, il quale mi ha insegnato tutto quello
che sapeva sull’arte della cavalleria e della guerra, ed ora sto
andando in cerca d’avventure e, a quanto pare, ne ho trovata
almeno una; rinnovo a voi, bellissima castellana, la mia offerta
di aiutarvi in questo frangente”.
Come si venne a sapere nel campo avversario chi fosse il
nuovo arrivato e da quale maestro avesse appreso l’arte delle
93

armi, molti armigeri se n’andarono velocemente con grande
scorno del cavaliere fellone. Alla fine della gran fuga degli
assedianti, il castello di Beaumepaire si ritenne definitivamente
in salvo e tutti poterono festeggiare degnamente l’avvenimento
con canti e giuochi pieni di spirito, con Parsifal, di cui nessuno
sapeva ancora il nome, come ospite d’onore del gran festino. Le
portate e l’ottimo vino si susseguono in modo veramente
serrato, a tal punto che alla fine, Parsifal non si ricordò cosa
avesse fatto quella notte o come fosse finito a letto;
Biancofiore, invece, se ne ricordò benissimo, anche perché,
finito che fu il festino, era giaciuta col misterioso ed aitante
ospite, facendosi impalmare in modo intenso, a tal punto che
non riuscì più a trattenere un grido di piacere, distraendosi della
propria verginità, rimanendo incinta.
Qualche tempo dopo, Biancofiore, che nel frattempo aveva
partorito il figlio concepito in quell’occasione, raggiunse
Parsifal alla corte di re Artù, dove restò per parecchio tempo
come dama di compagnia della regina Ginevra. Passarono così
diversi anni, durante i quali Parsifal tornava a corte, tra
un’avventura e la altra; durante quelle visite, ritornò a giacere
con la moglie, la quale rimase nuovamente incinta, dando la
luce, a tempo debito, un secondo maschietto che fu battezzato
col nome di Lohengrin.
Durante quelle stesse visite di cui godeva Parsifal, anche
Lancillotto si dava molto da fare, a corte, facendo sovente visita
e compagnia, in modo molto intimo, alla propria regina
Ginevra, dando motivo a più di un sospetto all’intiera corte, che
portò i propri timori all’orecchio d’Artù, che fece capire di non
curarsi assolutamente della questione e lasciando tranquilli i
due amanti.
Capitolo 15
Il mattino successivo alla festa, Parsifal riprese la propria
strada prima che fosse l’alba, ma prima di partire si congedò
dalla bellissima Biancofiore, con queste parole e richiesta:
94
mai quelle dame sono gia pronte alle finestre come se
dovessero aspettare qualunque grande avvenimento?” ma
quella non proferì parola. Immediatamente si presentò sulla
soglia anche il barcaiolo e Galvano ripeté la domanda anche al
suo ospite, il quale, pieno di ritrosia, prese a dire: ”Messere,
dovete sapere che quel castello è pieno di gioielli,
estremamente rari, in quantità, inoltre al centro v’è uno
splendido letto che se ci si corica bisogna lasciar andare la
speranza di tornarne vivi”. Galvano non si fece intimidire da
quella descrizione e, rivoltosi al barcaiolo, disse: ”Messere vi
chiedo d’accompagnarmi nel castello per poter smentire quanto
m’avete appena raccontato”. Il buon uomo acconsentì con
molto terrore, e partirono immediatamente, arrivando subito
alle porte del maniero, presso le quali il barcaiolo lasciò solo il
prode cavaliere. Immediatamente cinquecento cavalieri, con i
relativi scudieri, presero in consegna Galvano e
l’accompagnarono all’interno del castello, dove fu accudito da
cinquecento dame di gran classe, finché, giunta la notte,
Galvano fu fatto coricare su d’un meraviglioso letto dorato, al
quale erano applicate numerose campanelle d’oro fissate con
corde d’argento sedutosi sul letto per svestirsi, Galvano notò
che le lenzuola erano cosparse da numerosi cuscini, sui quali
erano cuciti enormi topazi che brillavano a tal punto da
offuscare i numerosi ed enormi ceri che erano sparsi nella
lussuosa stanza. Pronto che fu per la notte, Galvano finalmente
si coricò sul letto, tenendo a portata di mano le proprie armi, e
prese subito sonno, ma in quello stesso istante, settecento
quadrelli sibilarono per la stanza, ferendo solo lievemente il
prode cavaliere, che ebbe l’accortezza di ripararsi dietro il
proprio scudo. Terminati che furono i quadrelli, Galvano fu
assalito da un orrendo leone, che prese a graffiare lo stesso
scudo di Galvano, reagendo d’istinto, il cavaliere prese la
propria spada ed ammazzò la belva, che perse i propri artigli,
lasciandoli attaccati allo scudo stesso.
275

itrovò completamente sconfitto e dovette cedere cavallo e
strada al prode Galvano, che s’accinse a dirigersi verso il
castello. Galvano non fece in tempo a percorrere metà della
strada che da un fiume lì vicino si presentò al suo cospetto un
barcaiolo, che prese a dire: ”Tempo fa il cavaliere che avete
sconfitto, mi promise il cavallo del perdente, se gli avessi
concesso l’uso, a scopo di duello, del campo su cui vi siete
battuti or ora e che è di mia proprietà. Ora messere, chiedo a
voi il dovuto per quanto è successo”
”Quel farabutto che ho appena battuto per ben due volte, vi
promise questo, buon uomo? Lo sapete che tempo fa gli furono
tolti gli speroni e la spada, per essersi comportato contro ogni
legge della cavalleria nei confronti di una dama? Io, in ogni
modo non sono così ingrato come quel bifolco che ho battuto,
quindi ve lo concedo come vostro servitore, per ripagarvi del
danno subito dal vostro campo su cui ho duellato”
”Vedo, messer cavaliere, che siete molto più giusto di quel
tipo laggiù che, da quel che mi dite, s’era fregiato in modo
ignobile del titolo di paladino, senza averne il diritto. A dire il
vero, la sua presenza supera notevolmente i cinquecento
stalloni che mi ha dato finora, quindi penso d’essere
sufficientemente ricambiato, anche se v’ospito entrambi nella
mia dimora, per la cena e la notte, dato che ormai è inutile
qualsiasi guado, visto che sta visibilmente calando la notte”.
Quella sera Galvano ed Urians furono trattati con ogni onore
fino l’ora di cena, quando mangiarono divinamente tutto quello
che il barcaiolo e sua moglie prepararono per loro, quindi
andarono tutti quanti a dormire con enorme felicità nel cuore.
Il mattino successivo, Galvano si svegliò per primo, alquanto
per tempo rispetto al sorgere del sole, e come fu pronto, guardò
immediatamente verso il castello, trovandovi ancora le dame ai
posti nelle loro finestre. In quel momento Galvano si voltò
verso l’ingresso della casa del boscaiolo e vi vide la splendida
figlia, alla quale chiese: ”Bella madamina, potreste dirmi come
274
”Mia signora per me è stato un grande onore servirvi in questo
modo, ma ormai è giunto il momento di andarmene a farmi
investire ufficialmente cavaliere. A tal proposito vi devo
chiedere la grazia di indicarmi un buon re che può fare questa
cosa che a me sta molto a cuore”
”In questo momento esiste un solo re in tutta la Britannia che
può farti un favore del genere, questi è re Artù di Camelot, se
vuoi diventare veramente un cavaliere come si deve, è
necessario che tu ti rivolga a lui”
”Di grazia dove posso trovare, adesso, questo potentissimo
signore che può tanto in tutta la Britannia?”
”Ora come ora puoi trovarlo, secondo le mie fonti, nella sua
reggia principale a Camelot”
”Ti ringrazio, mia signora per tutte queste notizie, ma ora devo
proprio chiedere congedo a malincuore dalla tua presenza ed
andarmene alla volta di quel formidabile re così potente”, a
ragion del vero il povero Parsifal era veramente addolorato di
lasciare quella splendida creatura dai capelli dorati, sì
squisitamente acconciati che quasi ne svenne, pur di rimanere
in sua compagnia, ma l’onore gli impose di prendere
definitivamente la propria strada, con l’augurio di poterla
rincontrare, un giorno non troppo lontano.
Dopo due soli giorni a pieno galoppo, Parsifal arrivò alla corte
di re Artù; trovata che ebbe una guardia, gli disse: ”Buon
uomo, sono giunto fin qui dalle lontane terre di Camaalot per
essere preso tra le sue compagini come cavaliere”. Nell’udire
quelle parole, il soldato guardò il suo interlocutore in modo
alquanto stupito, poi scoppiò a ridere fino a piangerne; come si
fu ripreso, il soldato disse: ”Ma non ti sei visto, zoticone, come
sei vestito? Vattene via di qua prima che ti faccia sbattere nelle
segrete del castello”. Sentendosi così sbertucciato, Parsifal
s’indignò alquanto. Ripresosi dal colpo veramente in fretta,
rispose: ”Anche se l’aspetto ti ha tratto in inganno, signor
soldato, sappi che sono di nobili origini e mi è stato insegnato a
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destreggiarmi con qualunque tipo d’arma conosciuta in questo
mondo, quindi guidami dal tuo re perché m’investa cavaliere
come desidero”. Il soldato, sentendosi così aggredito, si calmò
subito e prese a dire: ”Se è questo che vuoi ti accontento subito,
seguimi dappresso, altrimenti rischi di perderti”
Pochi minuti dopo Parsifal fu al cospetto di re Artù, al quale
s’inchinò incondizionatamente. Vedendo tanto ossequio, Artù
sorrise amichevolmente e disse: ”Giovanotto ho sentito il
motivo per cui ti sei presentato a me, ma se non conosco nulla
di te, come posso farti cavaliere?”
”Sire, lungo la strada che mi ha condotto a voi, ho liberato il
castello di Beaumepaire da un crudele assedio in cui era cinto,
salvando così una splendida fanciulla da matrimonio nemmeno
combinato”
”Quanto hai fatto, giovinetto, è stato molto lodevole, ma
purtroppo non posso far altro che nominarti scudiero,
nell’attesa di saper altro su di te”. In quel mentre entrò nella
sala Keu, il siniscalco, per sentire quanto stava succedendo; una
damigella della corte, conoscendolo come infido e ciarliero, gli
si rivolse dicendo: ”Signor siniscalco, cosa siete venuto a fare
alla presenza del re, senza essere stato interpellato? Avete
intenzione di sparlare ai quattro venti ed alle spalle di quel
povero ragazzo che è venuto a chiedere di entrare a corte,
diventando scudiero reale?”, a quelle parole Keu si rivoltò
verso la ragazza e le diede un manrovescio sulla guancia tale da
farle sanguinare il naso e mandarla a terra piangente. La
poverina, come si fu ripresa, andò immediatamente ai piedi del
trono e, piangendo ancora, disse al re: ”Sire, avete visto cosa
fece il fellone sotto i vostri occhi e davanti all’intiera corte? Ora
chiedo giustizia di quanto successe”. Subito Parsifal, pensando
quanto fosse importante per se stesso il momento, disse: ”Sire,
chiedo d’esser io a difendere l’onore di questa poverina così
pesantemente disonorata davanti a tutti”, ma non ebbe finito di
parlare che il perfido siniscalco era sparito dalla circolazione,
96
ma ricordatevi anche che lo vidi battersi altre volte, rimanendo
sempre imbattuto sino ad ora”, quindi la dama, da vigliacca,
voltò il proprio destriero e scomparve dal campo di battaglia,
mentre Galvano, in quello stesso istante, si vide costretto a
duellare senza che ne provasse alcun desiderio. Capendo lo
stato d’animo di Galvano, il misterioso cavaliere alzò la celata
del proprio elmo, svelandosi immediatamente per
quell’infingardo d’Urians, al che Galvano montò in furia e
disse: ”Finalmente sono riuscito a raggiungervi, fellone che non
siete altro, preparatevi immediatamente a morire, per il solo
motivo d’avermi disonorato in modo così orribile portandomi
via in modo sì meschino il cavallo”. Urians si mise a ridere in
modo veramente smodato, dicendo: ”Pivellino che non siete
altro, messer Galvano, e voi dovrete un giorno regnare sul
nobile stato di Svezia? Ma se non riuscite a tenere a bada un
cavallo, figuriamoci un intiero stato; ma voglio essere buono
con voi, se riuscirete a battermi per ben due volte consecutive,
vi lascerò passare, oltre a restituirvi il cavallo che vi tolsi
proprio poche ore fa tra le radici del tiglio”, udendo quelle
parole, Galvano non ci vide più dalla rabbia e partì al gran
galoppo, puntando dritto al petto d’Urians, che parò
immediatamente il colpo, dando inizio, così, al primo scontro,
nel quale ben presto Urians rimase sconfitto molto duramente.
Riavutosi dalla botta, Urians prese immediatamente fiato, poi
disse: ”Messer Galvano vi siete comportato da vero vigliacco
per partire all’attacco così all’improvviso, senza darmi il tempo
di prepararmi a dovere, ma ad ogni caso devo darvi atto che
questo primo duello lo avete vinto egregiamente, ora
prendiamoci qualche minuto di riposo, poi vi chiedo
immediatamente di ripartire con la seconda serie d’attacchi”.
Finito il periodo di pausa che avevano pattuito, Galvano ed
Urians si rimisero in posizione ed iniziarono il secondo duello
che avrebbe dovuto sancire il vincitore della disfida; anche in
questo caso le cose finirono in breve tempo, perché Urians si
273

passai ben una luna intiera a mangiare assieme ai cani di re
Artù vostro zio, prima di riuscire ad essere riscattato da una
situazione cosi avvilente per il mio onore”. Galvano finalmente
si ricordò dell’accaduto e disse: ”Mi sovvengo della cosa, sir
Urians, ma vi faccio notare che, mentre mangiavate con i cani,
io vi difesi contro ogni ragione, ma mio zio vi fece interdire
anche dall’uso delle armi, cacciandovi da Camelot nel modo
più disonorevole possibile e vi dico un’altra cosa, venni a
sapere in seguito che voi violaste quell’interdizione, portando
fino ad ora l’armatura completa e tentaste, inoltre, d’abusare
vergognosamente d’una povera donna che non vi cedette il
passo”. Sentendosi così svergognato, Urians voltò il cavallo e
disparve velocemente, senza dire assolutamente nulla,
lasciando a piedi il prode Galvano. Tornata che fu la calma,
Galvano tentò di spiegare il tutto ad Orgeluse, la quale approvò
il comportamento di Galvano e di re Artù, infine disse: ”Messer
Galvano, v’avevo malgiudicato, ma è giunto il momento di
risolvere quella faccenda con le armi, infatti bisogna che ci
sbrighiamo a raggiungere quel manigoldo prima che spariscano
le sue tracce”, allora Orgeluse gli diede il ronzino di
Malcreature, quindi partirono tutti assieme all’inseguimento.
Capitolo 49
Dopo tanto cavalcare, i tre inseguitori arrivarono ad un bosco
molto esteso, ove Galvano decise di montare in sella, dopo aver
camminato sino ad allora, facendo penare alquanto il macilento
ronzino che gli avevano dato, cavalcando al piccolo passo.
Durante il tragitto, Galvano alzò un attimo lo sguardo dal
sentiero e si ritrovò davanti ad un grandioso e splendido
castello, guardandolo meglio, i tre compagni notarono che
numerosissime dame, forse addirittura quattrocento, s’erano
affacciate a delle finestre, ma subito Orgeluse s’avvide che dal
castello era uscito un cavaliere e gli s’avvicinò, dicendogli:
”Messere se siete venuto fuori da quelle mura per duellare,
sappiate che il mio cavaliere è pronto a battervi fin da subito,
272
quindi al giovine non rimase che rimandare al momento più
propizio la vendetta sull’affronto subito dalla ragazza.
Vedendo tutta quell’irruenza Artù ci ripensò e prese a dire:
”Giovinotto, ho visto quanto basta per convincermi ad investirti
cavaliere sul momento, se non fosse per alcune regole ferree a
cui non puoi assolutamente sottrarti”, cosicché quella notte
stessa Parsifal rimase in penitente meditazione nella cappella
palatina di Camelot, facendo sì che il mattino successivo re
Artù potesse investirlo convenientemente cavaliere.
Durante il successivo banchetto, alquanto imponente vista
l’occasione, si presentò a corte un cavaliere completamente
vermiglio che, prese a dire, con tono alquanto altezzoso: ”Re
Artù di Camelot, voi un tempo m’avete sottratto diversi beni
che m’appartengono, quindi vi richiedo l’immediata
restituzione davanti a quest’illustre corte che vi segue ovunque,
rispettandovi per quel che non vi meritate”, detto ciò sottrasse
dalla regale mensa alcuni calici molto pregiati ornati di
numerose pietre preziose, quindi s’allontanò da corte veramente
soddisfatto di quanto aveva fatto.
Immediatamente Parsifal brandì una lancia appoggiata alla
vicina parete ed inseguì velocemente l’inverecondo cavaliere,
raggiungendolo nei pressi di un bosco alla distanza di un’auna
dal castello. Raggiunto che ebbe il fellone, Parsifal gli bloccò il
passo, dicendo: ”Messere, doveste restituire tutto quanto avete
sottratto a torto dalla mensa del buon re, altrimenti mi
costringete a sfidarvi in duello in questo stesso posto”.
L’impavido si guardò nuovamente attorno per vedere se
qualcun altro avrebbe seguito Parsifal, poi disse: ”Se il duello
volete, siete immediatamente soddisfatto, giovinetto, perché
non ho intenzione di restituire quanto ho portato via dalla
mensa di quello sciagurato, quindi tienti pronto a tornartene
indietro disonorato, perché sicuramente ti batterò al primo
assalto” iniziando immediatamente il primo assalto, senza dare
il tempo a Parsifal di prepararsi adeguatamente. Resosi conto
97

del pericolo, Parsifal scansò il colpo del primo assalto ed iniziò
ad apostrofare il perfido in questo modo: ”Oltre che ladro siete
anche disonorato, dato che non date il tempo ai vostri avversari
di preparare l’assalto come si deve, ora tocca a voi difendervi
come potete”. Finito di parlare, Parsifal mise la propria lancia
in resta a parti a spron battuto, disarcionando il cavaliere
vermiglio e disarticolandogli la spalla in modo talmente brutto
da non potersi mai più riavere, cosicché Parsifal lo spogliò
dell’armatura che portava con tanto disonore tenendosela per se
quando tornò lestamente alla corte di Camelot, assieme a tutta
la refurtiva. Grazie a quell’impresa, Parsifal ebbe gran fama,
anche se tutti erano in grande imbarazzo perché non si
conosceva il suo nome, infatti il giovine si era presentato come
il Puro Folle, dato che era così che alla sua corte era chiamato.
A questo punto Artù interruppe il racconto della damigella e
disse: ”Dopo aver sentito le tue parole, splendida fanciulla, mi
sovvengo di tutto ciò che mi hai raccontato, ma successe gia
alcuni anni fa, non so che fine abbia fatto quel coraggioso
giovinetto”
”State buono, sire, che il mio racconto non è ancora
terminato”
Finiti che furono i festeggiamenti per la vittoria di Parsifal,
quest’ultimo chiese udienza a re Artù dicendo: ”Sire è ormai
molto tempo che manco da casa, e non so come stia mia madre
ed il resto della mia corte, chiedo a voi di potermi allontanare il
tempo necessario per andare a trovare il mio parentado”. Artù,
avendo visto quanto gli era stato utile il giovane cavaliere a
sconfiggere il cavaliere vermiglio, ci pensò alcuni minuti, poi
rispose: ”Cavaliere, la richiesta che mi avete fatto è più che
legittima, quindi vi concedo la possibilità d’andare alla ricerca
dei vostri parenti e vedere se sono ancora in vita ed in piena
salute, ora siete congedato dalla mia presenza”
Capitolo 16
98
si rivolse a Galvano dicendo: ”Messer Galvano, vi conviene
non servire in quel modo la mia signora, altrimenti rischiate
d’essere disonorato ed additato come stolto”, a quegli accenti,
Galvano il colpi sulla testa, gettandolo a terra, ma nel gesto
rimase ferito alla mano, tanto i capelli di Malcreature erano
ispidi. Vedendo la scalfittura, Galvano si tranquillizzò
immediatamente curandola, così poterono rimontare tutti quanti
in sella e riprendere il sentiero, giungendo ben presto dal
cavaliere ferito. Subito Galvano s’avvicinò al ferito e lo curò
con quanto aveva raccolto; nel frattempo il cavaliere riprese i
sensi e, accorgendosi della presenza d’Orgeluse, prese a dire:
”V’avverto, messere, che è colei che v’accompagna, la causa
dei miei problemi, quindi vi consiglio d’allontanarla al più
presto”. In quel mentre il cavaliere iniziò a sentirsi meglio,
quindi riprese a dire: ”Vi ringrazio, messere per le cure che mi
state prodigando, ma è giunto il momento, se non v’incomodo,
d’accompagnarmi presso un ospizio che ho visto qui vicino”, il
vigliacco non fece in tempo a finire di pronunciare quelle
parole, che s’impossessò con inaspettata velocità del cavallo di
Galvano e fuggi al gran galoppo, lasciando lo stesso Galvano a
bocca aperta.
A quella scena, Orgeluse si mise a ridere sguaiatamente, poi
disse: ”Messer cerusico, non siete stato in grado di riconoscere
un vile ladro di cavalli che si spacciava per cavaliere e sapere
che s’era procurato apposta quelle ferite per trarvi in inganno?”,
ma Galvano non gli stava dando ascolto, perché nello stesso
momento gli sovvenne d’aver gia visto da qualche parte le
fattezze di quel vile cavaliere, senza però ricordarsi né dove né
quando. Nel frattempo il perfido cavaliere era tornato indietro,
attratto da quanto stava dicendo Orgeluse e, vedendo la faccia
così interrogativa d’Ivano, ne indovinò l’interrogativo e prese a
dire: ”Messere, vedo che vi ricordate di me, anche se non
riuscite a dire dove e quando c’incontrammo, sappiate dunque
che io sono sir Urians, che fui battuto da voi stesso in duello e
271

col nome d’Orgeluse”, intanto Galvano proseguiva per la
propria strada arrivando velocemente al luogo indicatogli, nel
frattempo continuava a domandarsi il perché di quelle parole
disperate che gli rivolgevano in continuazione. Preso che ebbe
il cavallo, Galvano fu fermato da un vecchio cavaliere che
prese a dire: ”Maledico davanti a te, messere, quella perfida
donna che è Orgeluse, perché ha mandato a morte atroce e certa
moltissimi paladini e la stessa fine farete sicuramente anche
voi, se non ve n’andate immediatamente senza accontentare la
benché minima richiesta di colei che deve essere tenuta alla
larga per la sua infamia”. Galvano ignorò totalmente quelle
parole e, preso il cavallo alla briglia, ritornò sui suoi passi
senza batter ciglio. Ritornato che fu da Orgeluse, Galvano gli
consegnò il cavallo, ma questa prese a dire: ”Messer
Sottomesso come posso usarvi adesso, che m’avete dimostrato
la vostra fedeltà, procurandomi la mia cavalcatura preferita?
Per ora non importa, seguitemi dove io sto per andare e vedrò
sul momento cosa posso farvi fare”. Galvano s’offese parecchio
per quelle parole, tanto che prese a dire: ”Madamigella
Orgeluse, non vi sembra di calcare troppo la mano nella vostra
superbia nei miei confronti? Sappiate in ogni caso che v’amo
follemente e vi continuerò a servire finché non sarò ripagato del
vostro cuore”.
Durante il viaggio, Galvano si fermò diverse volte per cogliere
delle erbe e radici per poter curare meglio il cavaliere che
riposava sotto il tiglio, nel vedere quelle numerose fermate e
non capendone il motivo, Orgeluse, ancora veramente perfida,
prese a dire: ”Messere, siete veramente galante se raccogliete
tutti quegli aromi solamente per me, altrimenti mi scappa detto
che voi avete dei gusti mangerecci veramente caprini", ma
Galvano fece finta di niente, anche perché in quel momento il
paggio della crudele, che si chiamava Malcreature (degno
fratello, in fatto di bellezza, dell’orrida Kundry), si fece notare
in lontananza. Arrivato che fu a portata d’orecchio, Malcreature
270
Fu così che Parsifal prese la strada del ritorno verso casa,
verso vera il giovinetto giunse ad uno splendido castello,
circondato da un triplice fossato. Una volta che Parsifal fu
abbastanza vicino, un numeroso gruppo di paggi gli si fece
incontro, proveniente proprio dal castello medesimo, e gli
dissero: ”Signore siete stato lungamente atteso dal proprietario
di quel castello che vedete a breve distanza da noi”
”Di grazia posso sapere il nome di un re talmente potente da
permettersi un castello così grande e bello?”.
”Cavaliere curioso, non sai nemmeno il tuo nome e vuoi
sapere come gli altri vengono nomati? Per quanto riguarda il
tuo nome, non dovrai saperlo ancora per qualche tempo, invece,
per rispondere alla tua molesta domanda, sappi che in quel
castello vi abita il Ricco Re Pescatore, che desidera gia da
molto tempo incontrarti, perché egli sa chi tu sei”. A quella
risposta insolente, Parsifal non riuscì più rispondere nulla e
decise di entrare nel castello al seguito dei paggi senza proferire
parola finché non fosse ripartito il giorno successivo. Una volta
che il giovine fu sistemato a dovere presso il dolente re, un
giovine paggio entrò da una porta laterale, reggendo una lancia
insanguinata, immediatamente l’intiera corte iniziò a piangere
sommessamente, finché la funesta arma non fu uscita dalla
porta di fronte, ma Parsifal continuò a tacere.
Immediatamente si aprì una porta d’acciaio e ne uscirono sei
fanciulle: due portavano in mano dei candelabri d’oro, mentre
le rimanenti reggevano dei piedistalli d’avorio che posarono
davanti al Ricco Re Pescatore. Immediatamente entrarono altre
quattro fanciulle reggenti dei candelabri dorati, mentre un
gruppo d’altre quattro ragazze reggevano una lastra trasparente
di notevole valore che fu posato sui piedistalli e si misero in un
angolo con le precedenti compagne. In quell’istante entrarono
altre quattro fanciulle che posarono sul cristallo dei coltelli
preziosissimi, come tutto fu pronto entrò dalla stessa porta la
regina vergine Rapente de Schoye, accompagnata da altre sei
99

agazze, portando il sacro Graal coperto da un drappo verde
d’achmerdi, mentre le fanciulle che l’accompagnavano
tenevano in mano altrettanti candelabri in cui ardevano delle
fiale d’olio aromatizzato che furono posati sul cristallo davanti
al Ricco Re Pescatore. Immediatamente furono approntate
cento tavolate dalle candide tovaglie, alle quali davano servizio
quattro paggi per tavolata, due a tagliare le pietanze, mentre i
rimanenti le distribuivano ai commensali, assieme alle bevande.
Immediatamente entrarono nella sala quattro grossi carri carichi
di coppe che furono distribuite immediatamente ai commensali,
finita che fu la distribuzione di quanto era gia in sala, cento
paggi circondarono il Graal in preghiera; come i giovinetti si
furono rialzati, iniziarono a distribuire il pane che avevano
ricevuto in raccoglimento. Finalmente tutti i commensali
protesero le proprie mani ottenendo in cibo ed in bevande
quanto più gradito da mangiare e da bere in abbondanza; nel
frattempo Parsifal continuava a tacere ricordandosi alcuni degli
insegnamenti di Gurnemanz, mentre tutti mangiavano, si
sentirono alcuni cantori misteriosi cantare la seguente sacra
canzone:
Onorate questo Santo pasto,
Prodi eroi, cavalieri del Santo Calice.
Onorate il Signore del Santo Graal,
Voi che sete alla mia mensa.
Amfortas, onora il nipote
Venuto apposta per portare sollievo
Alla tormentata vita
Di un saggio e triste sire.
Il Puro Folle giunse
In queste mura per portare
A termine una missione,
Quando si farà avanti per compierla?
Il pasto santo giunge a termine
E la missione fallisce;
100
sono sicuro di poterlo battere con estrema facilità”. Finito che
ebbe la medicazione, Galvano disse: ”Messer cavaliere, non
siete ancora completamente guarito, ma vi prometto che come
v’avrò vendicato in quella superba città, ritornerò portandomi
addietro quanto di più utile potrò trovare per curarvi al meglio”,
quindi salutò la giovane e sfortunata coppia, prendendo la
strada che gli era stata indicata, giungendo ben presto alla città
di Logroys. Lungo la strada, Galvano incontrò una splendida
damigella e se ne innamorò al primo sguardo, avvicinatosi
ulteriormente, Galvano gli si rivolse e disse: ”Madamigella,
posso cedervi il mio braccio, assieme al cuore, che mi batte in
petto?”. La bella sconosciuta sorrise in modo impertinente, poi
disse: ”Lo accetterei volentieri, il vostro braccio, ma non vi ho
mai visto prima, in vita mia, quindi scusatemi, messere, se sono
così scontrosa nei vostri confronti, comunque sappiate che il
mio nome è Orgeluse ed abito nella città di Logroys che vedete
laggiù, ma ora parlatemi un po' di voi, così posso fidarmi della
vostra presenza”
”Se volete sapere chi avete di fronte, allora v’accontento
subito; il mio nome è Galvano, principe di Svezia, nipote di re
Artù di Camelot e cavaliere della Tavola Rotonda, pronto per
servirvi”. Orgeluse s’illuminò ulteriormente in viso e disse:
”Allora siete voi quell’infingardo di cui ho sentito tanto parlare,
molto bene, se volete essere il mio cavalier servente, vi do
immediatamente il primo compito per mostrarmi la vostra
fedeltà. Dovete entrare in città a piedi ed andarmi a prendere il
mio cavallo che legai presso un ulivo nella piazza principale di
Logroys. Vi vedo preoccupato inutilmente, se state pensando al
vostro cavallo, perché lo accudirò io personalmente in vostra
assenza”. A quelle parole, Galvano si rinfrancò alquanto e si
diresse di buon passo verso la porta cittadina che era poco
distante. Come fu entrato in città, Galvano sentiva tutta la gente
che incontrava, a dire: ”Povero cavaliere, farà una gran brutta
fine per colpa di quella perfida donna che si presenta agli ignari
269

ebbero moltissime avventure ed ancor più scontri armati, poi,
dopo molto vagare si separarono per seguire i propri destini.
Capitolo 48
Un giorno Galvano arrivò ad una radura, ove s’imbatté in uno
scudo orribilmente squarciato ed un cavallo con i finimenti
d’amazzone, entrambi legati al ramo d’un tiglio. Girato che
ebbe attorno al magnifico albero, Galvano s’imbatté in una
fanciulla seduta sul trifoglio del campo e che emanava tristezza
e dolore in modo infinito, allora Galvano s’avvicinò per vedere
se la bella presenza avesse bisogno d’aiuto. Subito, però,
s’accorse che quella giovinetta teneva tra le braccia un
cavaliere morente, al che Galvano si fece ancora più dappresso
e le disse, scendendo di sella: ”Salve a te cara damigella, vedo
che avete bisogno d’aiuto per poter salvare il vostro amato,
cosa posso fare per voi?”. La giovinetta lo guardò un attimo
con sorpresa, visto che non l’aveva udito arrivare, poi abbozzò
un sorriso molto triste e rispose: ”Messere può fare qualcosa
per aiutare il mio amato, qui presente, che è stato crudelmente
ferito?”. Galvano non disse nulla, perché aveva capito la gravità
del momento, e staccò un ramo dalla pianta che li sovrastava,
quindi lo scorticò, ricavandone, con la corteccia, una cannuccia
e, posatala sulle ferite del cavaliere, n’aspirò il sangue infetto,
salvandolo da morte certa. Ripresi che ebbe i sensi, il cavaliere
vide Galvano e, intuendo che era vivo grazie a lui, prese a dire:
”Messere non so assolutamente come ringraziarvi per avermi
salvato. Però vi devo avvertire di una cosa: il signore locale,
nomato Gwelljus, balivo della città di Logroys, è una persona
molto crudele, responsabile, inoltre, delle ferite che m’avete or
ora così sapientemente curato”
Intanto Galvano aveva iniziato a fasciare le ferite del
cavaliere, poi disse: ”Messere vi ringrazio per la segnalazione
di quest’avventura così interessante, ma non dovete
assolutamente preoccuparvi per la mia incolumità, anche se il
mio avversario è molto più crudele di quanto m’avete detto,
268
Il saggio sire è condannato
A trista vita, che fa il nipote?
La notte è fonda,
Il folle sia ospitato
Ma domani ignominiosamente
Sia discacciato.
Finito il pasto le tavole furono sparecchiate e portate via, nel
frattempo Amfortas si avvicinò a Parsifal, porgendogli una
splendida spada e gli disse: ”Giovinotto, vorrei che prendessi
questa spada in segno della mia ospitalità, ma ti prego fa sentire
la tua voce”, purtroppo non ottenne nessun suono dal fanciullo,
dopodichè andarono tutti a dormire.
Durante la notte Parsifal non riuscì a dormire come si doveva,
finalmente arrivò l’alba ed il giovine cavaliere si vestì ed armò
completamente da solo ed andò nella sala del trono per
prendere congedo dal Ricco Re Pescatore, da tutti conosciuto
anche come Amfortas, ma non incontrò nessuno nell’intiero
castello, allora Parsifal se ne stupì alquanto e si disse: ”Visto
che nessuno mi concede udienza per prendere debito congedo
da questa corte, mi converrà andarmene senza ottenerlo” e,
salendo in sella, se n’andò dal castello.
Una volta che Parsifal fu sul ponte levatoio, un paggio lo
richiamò e gli disse: ”Sii maledetto, cavaliere infingardo,
speravamo che tu fosti la persona giusta per alleviare il nostro
dolore. Non hai aperto bocca per tutta la serata, quindi adesso
sei scacciato con tutta l’onta e disonore che meriti”. Purtroppo
Parsifal non riuscì a comprendere quanto gli era stato detto,
difatti si voltò nuovamente verso il castello e chiese: ”Paggio,
che ho fatto per meritarmi questo trattamento e la maledizione
che mi hai lanciato?”, il paggio non disse più niente e rientrò
nel castello, lasciando Parsifal veramente perplesso, così cercò
le tracce di quegli strani cavalieri, perdendone immediatamente
le trecce, la qual cosa lo fece soffrire parecchio che però non si
101

perse d’animo e prese la decisione d’andare alla ricerca
d’avventure per annegare la sofferenza che aveva nel cuore.
Dopo diversi giorni di vagabondaggini, Parsifal incontrò una
fanciulla che piangeva sul cadavere di un cavaliere e, fermatosi,
le disse: ”Madamigella, chi siete e come mai piangete così
disperatamente sul corpo di quel giovine?”. La ragazza alzò lo
splendido viso, rigato dalle lagrime, sullo sconosciuto e disse:
”Cavaliere, finalmente siete arrivato a consolare la povera
Sigurne che piange la perdita del caro amante per mano di un
perfido cavaliere che lo uccise a tradimento”
A quelle parole, Parsifal sguainò la spada donatagli la sera
prima e disse: ”Se avete subìto entrambi un torto per colpa di
un fellone, visto che il vostro più alto amore ne ha perso
addirittura la vita, io sono pronto a fargli espiare l’orrenda
colpa”. La giovinetta cambiò immediatamente espressione e,
sorpresa, bloccò il braccio del giovane cavaliere che gli stava
davanti e disse: ”Voi, in verità, siete mio cugino Parsifal, vi
riconosco immediatamente perché state brandendo la spada del
Ricco Re Pescatore nostro amatissimo zio, ma devo anche
dedurre che pur essendo stato al suo cospetto, voi non avete
proferito parola nei suoi confronti né di nostro nonno Titurel,
dato che stanno entrambi languendo in atroci dolori dovuti ad
un’antica colpa”
”Cara cugina effettivamente vengo da uno strano luogo ovi vi
erano ospitati due vegliardi veramente sofferenti che
presiedevano ad un cerimoniale alquanto enigmatico alla vista”
”Devi sapere, caro cugino, che la spada donata alla tua
persona dal malandato zio, possiede enormi poteri che dovrai
scoprire da solo, sappi comunque che esiste una parola magica
da usarsi in caso che quest’arma sia infranta, ora chinati che
devo bisbigliartela all’orecchio, visto che nessuna altra creatura
vivente la deve conoscere”. Detta che ebbe la parola magica,
Sigurne riprese a parlare, dicendo: ”Cugino, spero che tu abbia
102
promessa, a chi posso rivolgermi per evitare l’onta che vi ho
appena rivelato?”. Immediatamente uno dei consiglieri si fece
avanti e disse: ”Sire, possiamo usare quel perfido cavaliere che
viene nomato Galvano e che è vostro rivale nella vostra stessa
corte e vedrete che non declinerà la vostra generosa offerta”.
Subito Wergulaht accettò la proposta, sperando fino in fondo
che Galvano accettasse e lo comunicò al cavaliere che alla
notizia fece finta di gioire enormemente all’idea di
ricongiungersi ai propri compagni, nascondendo la notizia che
la cerca del Graal era gia conclusa da qualche tempo, essendo
stato ritrovato da Parsifal ed i suoi compagni al Monsalvato.
Contemporaneamente a Galvano, gioirono anche la
bell’Antikonie e Kingrimursel il langravio. Ripresisi tutti dalla
notizia, Galvano si rivolse a Kingrimursel e gli disse: ”Visto
che m’avete aiutato durante l’assedio e devo ripartire per questa
nuova cerca, che ne dite di seguirmi nelle imprese che mi
spettano in questo periodo, sir Kingrimursel?”
”Accetto ben volentieri la vostra offerta d’avventure, ma
prima non credete che sia meglio la riconciliazione con me ed il
mio ormai antico signore?” Galvano ammise che ormai non si
ricordava assolutamente più della disfida in cui dovevano
affrontarsi, quindi si fecero ricevere da Wergulaht per avere il
permesso d’andarsene. Immediatamente Wergulaht li fece
entrare al proprio cospetto, al che Galvano prese a dire:
”Messere, io ed il vostro langravio siamo pronti per partire, ma
prima desidero riconciliarmi con voi e considerare dimenticato
il duello che abbiamo in sospeso, inoltre desidereremmo il
vostro congedo per la partenza alla nostra cerca”. Wergulaht
s’alzò dal suo seggio, dicendo: ”Messer Galvano considerate il
duello a cui v’avevo sfidato alla corte di vostro zio come
affrontato, quindi regna la pace tra di noi; ora potete essere
congedati e partire al mio posto per la cerca del Santo Graal”.
Una volta che i due compagni furono usciti, Galvano rivelò al
langravio l’atroce burla del compagno, quindi partirono ed
267

che in quel momento erano in enorme difficoltà. Vedendo che
il più forte rappresentante del loro villaggio si schierava
assieme a coloro che tentavano di linciare, i villani si dispersero
immediatamente, lasciando solo ed annichilito il re, che
abbassò immediatamente la spada, trovandosi all’improvviso
completamente solo ad affrontare quella situazione così
imbarazzante. Una volta che Wergulaht fu disarmato, Antikonie
e Kingrimursel gli s’avvicinarono, dicendo: ”Signore nostro,
col vostro atto avete infamato l’onore di questa casa e della
vostra famiglia, nonché di slealtà nei confronti della
consuetudine sull’ospitalità, quindi ci sentiamo in dovere di
portarvi in giudizio davanti ad una giuria di vostri pari”.
Wergulaht chinò il capo perché aveva capito l’errore che aveva
commesso, poi disse: ”Riconosco d’aver sbagliato nello
schierarmi con i rivoltosi, in quanto erano stati sobillati contro
un ospite, che presso di noi è sacro, ma ora non è il momento
di comparire davanti ai miei pari, perché quest’uomo in realtà è
messer Galvano principe di Svezia, a cui avevo giurato eterno
odio. Purtroppo per ora non posso far niente, ma desidero una
cosa nel frattempo: sir Kingrimursel ed il cavaliere con cui s’è
schierato siano controllati ed accuditi da te, mia buona sorella,
finché non sarà deciso il da farsi”, Antikonie s’inchinò a quel
nuovo ordine del fratello, quindi si dedicò al langravio ed a
Galvano con enorme amore.
Intanto Wergulaht riunì i suoi consiglieri più fidati ed iniziò a
dire: ”È arrivato presso il mio castello colui che feci sfidare in
duello perché tempo fa, quando ero ancora infante, uccise il
caro padre. Inoltre devo rivelare una cosa che fino adesso non
conosce ancora nessuno: alcuni giorni fa sfidai in duello sir
Parsifal, rimanendo battuto, alla fine mi fece giurare di trovare
entro l’anno il Santo Graal, in alternativa mi promise di
spedirmi a Pelripaire e di consegnarmi alla signora di quel
luogo, ma la cosa avrebbe voluto dire il mio disonore e
grand’onta per la mia famiglia. Ora però devo mantenere la
266
aperto bocca vedendo tanta sofferenza tra i tuoi parenti più
stretti”
”A dire il vero, cugina, mi è stato insegnato di non proferir
parola quando si vede un avvenimento che non si riesce a
comprendere, e questo era uno di quei casi, così ho preferito il
silenzio più assoluto”
A quelle parole, Sigurne s’indignò tremendamente ed iniziò a
dire: ”Maledetto che non sei altro, Parsifal di Camaalot, non ti
rendi conto che tacendo hai mandato totalmente in rovina uno
dei più floridi paesi del mondo?”. Vedendo che il cugino
chinava il capo sconsolato, Sigurne riprese a dire, in tono molto
minaccioso: ”Ora vattene dalla mia vita, non sei degno di
difendere l’onore d’alcuno se prima non riparerai quest’estremo
disastro”, creando in questo modo un enorme rimorso nel
povero Parsifal.
Capitolo 17
Alcuni giorni dopo l’incontro con la cugina, Parsifal incontrò
una sua vecchia conoscenza, infatti la sua strada s’incrociò con
la splendida Ieschute, completamente nuda, che,
riconoscendolo, gli disse: ”Scellerato che non sei altro, ti
ricordi di me e cosa facesti tempo fa? Vedi come sono stata
ridotta per colpa tua?”. Parsifal la contemplò per qualche
istante. Infine prese parola e disse: ”Mi spiace, madamigella,
ma non mi sovviene d’aver infranto nessun codice cavalleresco
od offeso alcuno quando v’incontrai l’altra volta, anzi feci tutto
quanto secondo tutti i codici d’onore tuttora vigenti”, a queste
parole Ieschute si mise a piangere dalla disperazione. Parsifal si
fece avanti per consolarla, ma si ritirò immediatamente
sorpreso, dicendo: ”Madamigella, voi siete completamente
nuda, cosa vi è successo dopo che vi ho lasciato? Nel frattempo
vorrei potervi rivestire” a quell’offerta Ieschute arrossì
visibilmente. Subito si riprese e disse: ”Cavaliere, nonostante
quanto voi faceste tempo fa, ora vi sono grata di quanto mi
avete offerto, ma è meglio che fuggiate perché il mio antico
103

promesso sposo Orilus mi ha imposto questa punizione per
odio nei confronti di noi due; anzi se vi trova ha giurato di
uccidervi sul momento, senza darvi il tempo di prepararvi
all’assalto”
”Se quel manigoldo vuole un duello, di che si faccia vivo
perché non vedo l’ora di poterlo battere e ristabilire il vostro
onore”, in quel momento uscì dal folto del bosco Orilus, il
quale iniziò a guardarsi intorno con un fare molto sospettoso.
Subito il perfido vide Parsifal e disse: ”Tu hai osato guardare e
parlare con costei che non dovrebbe vedere ne rivolgere verbo
con alcuno finché non avrà scontato la sua punizione oppure si
troverà chi la disonorò tempo fa”. Parsifal non ci vide più dalla
rabbia e disse: ”Sono io che incontrai la vostra splendida
damigella allora, ma non feci nulla per disonorarla, anzi agii
secondo tutti i codici cavallereschi, ma se proprio vuoi tentare
la sorte in duello, sono gia pronto a batterti”. Il perfido Orilus
non ci mise molto ad urlare: ”Mi cercavi per svergognarmi
ulteriormente, eccomi qua, ora preparati a batterti e perdere”
Detto questo, il perfido cavaliere partì all’assalto, sperando di
prendere Parsifal di sorpresa, ma quest’ultimo lo scansò con
una mossa repentina e gli assestò un violento colpo con la
lancia sul petto. Immediatamente Orilus riprese la carica e ferì
Parsifal ad una spalla, ma quest’ultimo lo ferì al braccio che
sosteneva lo scudo; nessuno dei due era ferito in modo
particolarmente grave, quindi presero mano alle spade ed
iniziarono a menare fendenti tremendi, finché Orilus non crollò
a terra dalla stanchezza e dalle numerosissime ferite subite.
Ripresosi che fu dalla terribile lotta, Orilus si rialzò a fatica, al
che Parsifal gli si fece vicino, dicendogli: ”Ora ti ho battuto a
tutti gli effetti, quindi t’impongo di riconciliarti con costei
immediatamente”. Nell’immediato, Orilus disse: ”Non otterrai
mai quanto mi hai appena richiesto”
Immediatamente Orilus fu assalito da un atroce dolore alle
ferite, allora disse: ”D’accordo, non posso fare altro che
104
guardò malamente e poi disse: ”Messere vi concedo il fatto
d’essere d’aspetto veramente invitante, ma finché non
conoscerò chi voi siate e quale sia il vostro retaggio, sarò
costretta a chiudervi il mio cuore agli assalti amorosi”
Galvano annuì gravemente, poi disse: ”Non posso darvi torto,
bella madamigella, dato che vi sono parecchi uomini che si
spacciano per cavalieri, pur non avendone nessun titolo in
merito; per quanto mi riguarda, avete ogni garanzia che il mio
lignaggio è veramente eccelso, dato che sono noto sotto il nome
di Galvano, principe di Svezia, cavaliere della Tavola Rotonda
e nipote di re Artù, signore del reame di Camelot”. Sentendo
che l’ospite era di tale lignaggio, Antikonie cedete
immediatamente alle lusinghe del bel cavaliere, cadendo subito
tra le sue braccia. Intanto che l’amore tra i due stava
sbocciando, un vecchio cavaliere li sorprese e riconobbe in
Galvano l’antico assassino del suo signore, padre della
bell’Antikonie, subito, senza farsi sentire, andò nel villaggio ai
piedi del castello e prese a dire: ”Miei carissimi amici e
compagni d’avventure, sappiate che per un crudele inganno, i
nostri buoni padroni stanno ospitando all’interno del nostro
onorato maniero colui che ammazzò vilmente il nostro buon re,
diversi anni fa. Finalmente c’è data la possibilità di vendicare
quell’antico ed orribile affronto, che ci sta orrendamente
portando nella più gran disperazione”, subito quanti sentirono
quelle parole corsero a casa e s’armarono con quanto riuscirono
a trovare e si diressero alla sala del trono nel tentativo di
linciare lo sfortunato Galvano. Sentendo il tumulto, i due
amanti riuscirono a scappare appena in tempo, con Galvano che
recuperò di corsa le proprie armi, e riuscirono a salvarsi in una
vicina torre che barricarono velocemente, riuscendo a resistere
sino all’arrivo del prode Wergulaht, il quale, vedendo la
situazione, si schierò vilmente assieme a coloro che stavano
assediando il torrione, mentre il locale langravio, Kingrimursel,
si fece largo tra la folla ed andò a dar manforte ai due giovani
265

che mi sono trattenuto presso le vostre auguste presenze per
troppo tempo, vedendo anche che in questa corte non v’è più
necessità dei miei servigi, quindi chiedo umilmente licenza di
continuare l’avventura che avevo precedentemente iniziato”.
Subito prese la parola Lyppaut in persona e disse: ”Messer
Galvano, dato che così vi chiamate, il mio cuore si dispera per
la vostra partenza, ma dato che non potete farne a meno, vi
devo concedere a malincuore la licenza di partire, augurandovi
a nome di tutta la mia corte buona fortuna per quest’avventura
che avete intrapreso quando siete capitato presso la mia umile
dimora” a quel congedo, Galvano salutò tutti quanti e, salito in
sella al proprio destriero, riprese la strada intrapresa
completamente solo.
Capitolo 47
Tempo dopo, Galvano giunse ad Ascalona, dove ad attenderlo
trovò re Wergulaht, il quale intuendo che si trattasse d’un gran
cavaliere, senza conoscerne l’identità, gli s’avvicinò e disse:
”Messere, siate il benvenuto nella mia città, purtroppo io devo
assentarmi per alcune dispute nei villaggi dei dintorni, ma
seguite pure il mio paggio che v’accompagnerà al cospetto di
mia sorella Antikonie che saprà fare egregiamente le mie veci
durante l’assenza forzata a cui sono costretto”. Galvano accettò
l’invito, anche perché era proprio il maniero in cui doveva
arrivare per ottemperare il duello a cui era stato sfidato davanti
al suo amatissimo re e zio, oltre che hai suoi cari compagni di
tante avventure, quindi seguì ben volentieri il paggetto.
Arrivato che fu al castello, col paggetto al seguito, Galvano fu
accolto da Antikonie con ogni onore e gli disse: ”Messer
cavaliere siete veramente il benvenuto nel mio umile maniero,
vedrete che in mia compagnia godrete d’un soggiorno
veramente come l’avete sempre sognato”, ma subito la bella
Antikonie s’accorse che Galvano la stava guardando con un
certo interesse, perché effettivamente era una ragazza
veramente splendida. Sentendosi così osservata, la damigella lo
264
accettare le tue condizioni, senza trattare, Ieschute ti perdono
quanto hai subito a causa della mia gelosia”. A quelle parole,
Parsifal si rivolse nuovamente ad Orilus e gli disse: ”Bene,
cavaliere bifolco, ora prendi le tue cose e la tua compagna –
come questi ebbe preso, Parsifal riprese a dire – ora andate a
Camelot, presso la corte di re Artù e consegnatevi a lui come
prigionieri a nome mio”
Due giorni dopo il duello, Orilus arrivò alla corte di re Artù,
ove ritrovò una piccola sorpresa, infatti incontrò sua sorella
Cunnewere, colei che era stata disonorata da Keu e difesa da
Parsifal stesso. Ritrovatasi che furono i due fratelli, lei raccontò
al congiunto quanto successe, alla fine del racconto, Orilus
disse: ”Chi tu stai descrivendomi ha mandato a questa corte
dopo avermi battuto a leale duello, quindi è da lodare due volte,
la prima perché mi ha fatto aprire gli occhi, la seconda perché
mi ha dato la possibilità di ritrovarti sana e salva, sorella mia”.
Finite che furono le fraterne effusioni, la bella Cunnewere andò
dal re e, prostratasi, gli disse: ”Signore vi chiedo l’onore di
organizzare un banchetto celebrativo, perché ritrovai dopo tanto
tempo l’amato fratello ed è il momento di festeggiare il lieto
evento”. Finalmente la corte si riunì il giorno di san Giovanni
con grande stupore dei regnanti della zona e gioia di tutti i
cavalieri della tavola rotonda; purtroppo non ci poterono essere
né Galvano, il nipote preferito del re, ma neppure Lancillotto,
perché entrambi lontani per giungervi per tempo, nonostante
queste due importanti assenze, al banchetto vi presero parte non
meno di cinquecento persone.
Prima che si fossero seduti tutti quanti, Merlino s’avvicinò al
re e, all’orecchio del re, gli disse: "State attento, mio signore,
che ben presto avremo una visita inaspettata”.
Al che Artù disse: "Non preoccuparti, mio saggio Merlino,
quando sarà il momento saprò bene che fare”, in quel momento
il banchetto ebbe inizio
105

Tra la prima e la seconda portata, il banchetto fu interrotto
dall’ingresso nella sala di tre damigelle: la prima delle tre
cavalcava una mula albina con un frontale d’oro, la sella
d’avorio tempestata di pietre preziose, mentre la fanciulla
portava vesti splendide, di seta, ed un copricapo tempestate di
gemme, il quale nascondeva la sua condizione di Dama Calva,
inoltre aveva preso l’abitudine di portare il braccio al collo,
sorretto da una stola d’oro e di poggiare il tutto su di un cuscino
ornato di campanellini dorati. La seconda era più giovane e
montava su di uno splendido cavallo come se fosse un ragazzo
e portava dietro di se una cassetta, sopra alla quale era posato
un cagnolino ed al collo era stato messo uno scudo dalle bande
argento ed azzurro, con una croce vermiglia ed un ambone
d’oro, infine veniva la terza damigella, la più bella in assoluto
delle tre, che andava a piedi, accudendo alle due cavalcature.
Una volta che tutte e tre furono notate a dovere, la Dama
Calva si avvicinò alla mensa reale ed iniziò a dire: ”Ho bisogno
di parlare col proprietario di questo splendido maniero,
qualcuno sarebbe così gentile da indicarmelo senza esitazione?”
Al che Artù si alzò in piedi e prese a dire: ”Mia cara e
splendida damigella, chi cercate sono io, cosa posso fare per
aiutare tre così belle dame?”
Allora la Dama Calva gli si rivolse, dicendo: ”Sire, sappiate
questo, presto avrete la visita del cavaliere che è destinato alla
conquista del Santo Graal, al quale dovrete consegnare lo scudo
che porta la mia compagna a cavallo”. Artù rimase perplesso
per alcuni secondi, poi disse: ”Mia signora come potrò
riconoscere questo cavaliere se non lo conosco neppure, anche
se mi aspettavo da tempo la sua visita?”
Allora la Dama Calva alzò momentaneamente gli occhi al
cielo e, sospirando, prese a dire: ”Sire vi sono due cose che ve
lo faranno riconoscere; la prima sarà uno scudo vermiglio
recante un cervo bianco, secondariamente il cagnolino che sta
sulla cassetta farà le feste solo a chi sarà destinato a tale
106
proprio volto, ma da dietro la celata abbozzò un sorriso molto
irrisorio e disse: ”Messer Meljackanz sarò felice d’impartirvi
una dura lezione di cavalleria e dell’uso delle armi se ì quello
che desiderate”, fu così che i due cavalieri s’affrontarono
duramente e Meljackanz si rivelò ancor più terribile di Meljanz
stesso, ma alla fine fu battuto anche lui. A quel punto la
battaglia e l’assedio non ebbero più ragione d’essere, quindi
l’esercito invasore si ritirò, mentre Meljanz e Obie si
guardavano negli occhi, poi la superba principessa abbassò lo
sguardo e disse: ”Avete dimostrato d’essere un cavaliere
d’onore, sir Meljanz, quindi avete conquistato il diritto sul mio
cuore e sulla mia mano. Posso affermare, inoltre, che il vostro
comportamento mi ha portato a riappacificarmi con voi”. Finito
che ebbe di riappacificarsi col suo signore, l’altera Obie si
rivolse all’intiera corte ivi presente e disse: ”Miei fidi amici e
parenti, vi comunico che nei prossimi giorni ho intenzione di
portare all’altare questo cavaliere e re, che s’è rivelato puro di
cuore”, la notizia rese felici tutti i presenti che si lasciarono
andare in grida di gioia più sfrenata, durante i quali fu cantata la
seguente canzone:
Due giovani vite vengono oggi
Unite nel Santo Vincolo Nuziale;
Felici ora sono Coloro che fino
A ieri erano infelici e separati.
Lei infelice ed altera, Obie
La bella ora nomata felice
Lui prode ed anche più triste
Meljanz gioioso è nomato.
Grazie al prode Galvano
Fautore di tanta felicità
Giovanile dopo che convinse
Meljanz a mostrare onore.
Finiti che furono i festeggiamenti, Galvano si presentò a
Lyppaut ed ai due giovani sposi, dicendo: ”Miei signori, sento
263

Subito prese la bell’Obilot per le mani e, alzatala, disse:
”Madamigella, non credevo che la situazione fosse così
disperata, quando vostro padre mi fece la sua richiesta, ma ora
che mi avete aperto gli occhi non posso far altro che aiutare voi
e vostro padre per quanto possa essere difficile la cosa”
All’alba del giorno successivo, Galvano e tutta la corte presero
la prima messa mattutina, poi il cavaliere s’andò ad armare
assieme agli altri paladini del castello e li condusse alla
battaglia; verso il mezzogiorno finalmente Galvano si ritrovò di
fronte Meljanz, il quale non riconoscendo i colori di Galvano,
gli disse: ”Messere vedo bene dai vostri colori che siete nuovo
di questa questione, ma è altresì vero che state conducendo
l’esercito di Lyppaut verso la vittoria che io non vorrei a mio
danno. Fatevi riconoscere cosicché possa battervi senza il
dubbio del vostro anonimato”. Galvano si mise a ridere di gusto
e, alzando la visiera dell’elmo, disse: ”Io invece so chi siete
voi, sir Meljanz di Liz, ma per cavalleria vi rivelerò anche la
mia identità e condizione sociale. Sappiate che vengo nomato
Galvano, principe di Svezia, cavaliere della Tavola Rotonda e
nipote di re Artù di Camelot e sono pronto fin da subito a
battermi in duello contro di voi, per la gloria di sir Lyppaut che
mi ha chiesto solennemente aiuto in questo frangente”. Finiti
che furono le presentazioni, i due cavalieri si scagliarono l’uno
contro l’altro, ma ben presto Meljanz fu battuto in modo
disonorevole e mandato momentaneamente al castello di
Lyppaut ed ivi trattenuto in attesa della fine della battaglia.
A metà del pomeriggio, Galvano ebbe la seconda possibilità di
mettersi in mostra, in quanto gli si parò davanti anche il
principe Meljackanz il quale subito gli disse, avendolo
riconosciuto: ”Messere, avete battuto e disonorato,
incarcerandolo, il mio signore e cugino Meljanz di Liz, ora
chiedo soddisfazione dell’accaduto, anche se vi temo perché vi
siete rivelato estremamente bravo con qualsiasi arma, durante
questa battaglia”. Galvano non si preoccupò di mostrare il
262
impresa. Se non ti bastassero questi segni particolari, sappiate
che sarà l’unico che potrà prendere questo scudo che ora vado a
poggiare sul pilastro al centro di questa sala. Ora sono
spiacente, ma devo lasciare quest’assisa compagnia, ma prima
di permettetemi di portarvi i saluti del Ricco Re Pescatore, mio
sommo signore, il quale sta soffrendo terribilmente, assieme a
tutto il suo popolo perché un cavaliere incosciente omise di fare
le debite domande, durante la sua visita, il quale, inoltre, fu la
causa della perdita della mia splendida chioma e la
decapitazione di centocinquanta re, le cui teste sono qui fuori
sigillate in oro, argento e piombo”
Finito che ebbe la Dama Calva, Keu andò alla finestra per
verificare quanto detto, quindi rivolgendo lo sguardo verso il
re, prese a dire: ”Mio signore, effettivamente ci sono tre carri
pieni di tale mercanzia di cui parlò questa dama e sono trainati
da altrettanti splendidi cervi, uno più grosso dell’altro.
Propongo d’abbattere quello enorme e di farlo arrostire a fuoco
vivace”
Keu ebbe a mala pena il tempo di terminare la frase, che
subito Artù lo fulminò con lo sguardo, dicendogli, con un fil di
voce: ”Disgraziato di un siniscalco, quali idee ti percorrono in
quella mente balorda da dire cose del genere di fronte a si fatte
ospiti? Non sai che quelle tue parole sono sufficienti per farti
decapitare per offesa alla sacrosanta alla sacrosanta
ospitabilità?”
Ma Keu non provò la minima vergogna per quanto aveva
appena proferito e questo comportamento non sfuggì alla Dama
Calva che prese a dire: ”Sire, il vostro siniscalco è veramente
uno svergognato tale da meritare di più che la semplice
decapitazione, ma non oso essere io la persona che se ne fa
carico, quindi lascio a voi la facoltà di dargli la punizione che
più si merita”, come la Dama Calva ebbe finito di parlare, la
damigella a cavallo andò a mettere lo scudo che portava,
accanto alla colonna che gli era stata indicata e portò il
107

cagnolino nelle stanze della regina. Finite che furono tutte
queste cose, la Dama Calva si rivolse ad Artù e disse: ”Sire, il
mio compito verso di voi è stato portato a termine, ora vi
chiedo gentilmente e doverosamente l’autorizzazione a
tornarmene al mio palazzo, dove il Ricco Re Pescatore mi sta
attendendo nella più totale sofferenza”
Artù s’alzò dal suo scranno e disse: ”Madamigella, siete stata
molto gentile nel venirmi a trovare in siffatto giorno ed a darmi
quest’ambasciata, e mi dispiace che ve n’andiate così presto,
ma se non posso fare altrimenti, vi congedo con felicità
augurandovi d’avere al più presto un’altra vostra visita”, così la
Dama Calva e le sue compagne ripresero la strada del ritorno,
mentre il re e la sua corte finivano la portata che nel frattempo
era stata portata. Finita che fu la pietanza, l’intiera corte
s’affacciò alle finestre appena in tempo per vedere sparire in
lontananza lo strano convoglio, quindi tutti si ritirarono ai
propri tavoli, mentre Lionello prese a dire: ”Invero oggi
abbiamo avuto la più strana avventura che potevamo
immaginare”
Merlino si fece nuovamente all’orecchio di Artù e gli disse:
"A giudicare da come è andata, direi che Keu ha avuto fortuna
con quelle tre damigelle, perché altrimenti sarebbe gia nella
tomba”
Finito che fu il racconto della damigella, Artù disse: ”Ora
ricordo veramente tutto ed è accaduto veramente tutto quello
che avete detto per quanto mi riguarda, ma ora devo lasciarvi
per tornarmene a corte, nella città di Camelot”, così dicendo, il
re riprese la propria strada, arrivando ben presto a casa,
domandandosi che fine avesse fatto il misterioso ragazzo che
aveva fatto cavaliere e chi potesse essere colui che doveva
fargli visita come predestinato a ritrovare il Santo Graal.
Capitolo 18
108
convinse a ricevere Galvano, al quale, giunto che fu al suo
cospetto, gli chiese: ”Messere, quando arrivaste qualche ora fa
al mio castello, facevate mostra di voi come cavaliere e, da
quello che ho saputo poi, molto ricco; nel mio maniero ho
bisogno di tutto l’aiuto possibile per difenderlo assieme al mio
onore, siete disposto ad accontentarmi?”. Galvano si mostrò
molto contento di tale richiesta, ma prontamente disse:
”Messere mi sono rivolto al vostro castello per richiedere
ospitalità nel mio viaggio verso il luogo del duello che temo di
non poter affrontare per i numerosi ritardi in cui mi sono gia
imbattuto, quindi mi vedo costretto a rifiutare cortesemente la
vostra richiesta, sono spiacente, ma ne va del mio onore”
Lyppaut fu molto dispiaciuto per quella risposta, anche se
molto cortese. In quel momento l’altera Obie s’avvicinò al
padre e gli disse: ”Mio amatissimo padre, quella sognatrice
d’Obilot, vostra figlia, s’è figurata questo messere come
cavaliere impavido e lo ha eletto come suo campione per
l’eternità, se vuole sfruttare l’occasione, non potreste chiedere
di meglio”. A quella rivelazione, Lyppaut fece chiamare la
figlia minore e, come quella fu arrivata, gli disse: ”Cara figlia,
sono venuto a sapere che ti sei innamorata del nuovo venuto
com’è arrivato presso la nostra corte, ti piacerebbe andarlo a
trovare per convincerlo a prendere le nostre difese in
quest’assedio senza senso?”, la bella e buon’Obilot si mostrò
felice d’accontentare la richiesta del padre ed andò con enorme
gioia a trovare l’ospite. Arrivata che fu da Galvano, Obilot gli
si sedette ai piedi e, prese le mani del cavaliere, disse: ”Mio
signore, voi siete un perfetto paladino, lo ho ben capito fin dal
vostro arrivo, sappiate comunque che al nostro castello le cose
sono veramente disperate e speravamo che voi potevate aiutarci
in tale frangente”. A quell’implorazione Galvano non seppe
resistere, anche perché in quel momento si ricordò quanto gli
disse un giorno Parsifal: ”Bisogna sempre proteggere le
donzelle in pericolo, in qualunque momento della tua vita”.
261

sorella s’è fissata di tenersi come suo campione, è giunto al
castello con un mulo stracarico di strane mercanzie, non vorrei
che fosse una spia nemica venuta a vedere i nostri punti deboli
per comunicarli a chi ci assedia”. Lyppaut, seppur a
malincuore, s’avvicinò alla figlia e disse: ”L’aspetto di quel
messere che mi hai fatto notare è quello d’un nobile cavaliere,
anche se ti do ragione ad affermare che il carico del suo cavallo
da soma potrebbe essere sospettoso, comunque ordinerò
immediatamente ad alcuni dei miei soldati di controllare”,
subito alcuni armigeri furono mandati da Galvano e, aperti
alcuni sacchi della soma, vi trovarono parecchi gioielli che
Galvano stesso aveva avuto in dono per le sue precedenti
avventure in cui aveva difeso delle pulzelle, quindi tornarono
dal loro signore a riferire. Finito il resoconto, Lyppaut si rivolse
all’arrogante figlia e gli disse: ”Mia cara Obie, mi sembra che
quanto abbiano trovato le nostre guardie non siano quanto
possa essere in dotazione ad una spia, soprattutto avendo
sentito che erano doni delle belle di quel messere”. La perfida
ragazza non desistette e disse: ”Può anche darsi che quelle
gemme che i nostri soldati hanno trovato siano falsi ricreati ad
arte da costui con la magia per ingannare le nostre guardie ed
indurle ad aprire, così, le porte al nemico”
Lyppaut sospirò, poi disse: ”Farò verificare immediatamente i
tuoi sospetti, diletta e crudele figliola, sappi che non ti farò dire
alcun altro accento se quanto hai sospettato risultasse falso”,
così il buon principe fece sequestrare tutto il tesoro di Galvano,
quindi chiamò un esperto in gioielli e fece ispezionare le
gemme contenute nella soma. Controllata che ebbe anche
l’ultima gemma, l’esperto si rivolse a Lyppaut dicendogli:
”Messere quel tesoro è tutto vero fino all’ultimo pezzo, se
pensavate ad accusare il proprietario d’essere un falsario, vi
dovete ricredere completamente, non c’è possibilità di
disonorare una persona così ricca che evidentemente e anche
molto potente”. A quel parere così autorevole, Lyppaut si
260
Qualche giorno dopo il giorno di Pentecoste, alla corte di
Camelot si tenne una gran festa ed Artù, assieme alla bella
moglie Ginevra, si presentarono all’intiera corte in tutta la loro
regalità nella cappella reale, durante la cerimonia religiosa, i
cantori palatini presero a cantare le seguenti parole:
Spirito Santo scendi sul tuo popolo
Qui raccolto in preghiera in tuo onore
Fai in modo che esso sia satollo
Del tuo ardore nei nostri confronti.
Spirito Santo porta al tuo popolo
Il perdono del Padre che sta in cielo
E fa in modo che anch’esso
Sia veicolo del perdono verso gli altri.
Finita che fu la messa del mattino, Artù fece chiamare Keu, il
siniscalco, dicendogli: ”Mio fido cavaliere è arrivato il
momento d’iniziare ad imbandire le tavole per avere un
banchetto come si deve, hai qualche obiezione da fare come al
solito?”. Keu si corrucciò parecchio per questa richiesta del suo
re, infatti disse: ”Mio sire e signore, non è uso imbandire le
tavole, prima che un’avventura non sia stata proclamata,
soprattutto in feste come questa!”. Artù si mise a ridere di
gusto, quindi disse: ”Keu è vero che hai sempre qualcosa da
obbiettare, ma oggi il tuo appunto cade a proposito, perché
effettivamente l’avventura non è ancora stata proclamata;
stabilita la cosa riunisco tutti i miei cavalieri presenti attorno
alla tavola rotonda per decidere in merito”, quindi tutti i
presenti si avviarono verso i propri seggi attorno a
quell’onorata tavola. Una volta che tutti furono seduti, videro
una cosa veramente prodigiosa, infatti sul seggio periglioso una
mano misteriosa vi aveva impresso a caratteri d’oro le seguenti
parole:”nel giorno di Pentecoste si dodrà aspettare colui che
dovrà occupare questo seggio tanto ambito”
Vedendo il prodigio, Lancillotto si alzò e, presa la parola,
prese a dire: ”Miei cari compagni e ottimo sire, vi faccio notare,
109

se la memoria non m’inganna, che il giorno di Pentecoste è
proprio oggi, quindi penso che l’avventura richiesta da quella
buona lana di Keu sia stata servita nel migliore dei modi, quindi
propongo di far apparecchiare i nostri posti e d’iniziare a
banchettare come si deve”, nessuno riuscì a negare quella gran
verità e la tavola rotonda fu imbandita con ogni sfarzo. Nel
frattempo Keu disse, con aria con aria molto meravigliata e
sconcertata: ”Questa è proprio un’avventura che non sarei mai
aspettato di poter avere, soprattutto perché ne preannuncia
un'altra entro la giornata d’oggi, chissà come andrà a finire” ma
continuò a servire alla mensa dei compagni facendo portare i
bacili d’oro per le abluzioni di rito, quindi ordinò di far portare
la prima pietanza. In quel preciso momento tutte le porte e le
finestre della sala si chiusero da sole e, dal centro della sala si
materializzò un vegliardo vestito di bianco, accompagnato da
un cavaliere vermiglio, e disse: ”Questo giovane paladino è il
predestinato al Seggio Periglioso e al Santo Graal, sempre che
quando sarà il momento si mostrerà degno di poterlo
custodire”, la rivelazione mise di buon umore i compagni che si
misero a chiedersi chi fosse il nuovo venuto. Nello stesso
istante il giovane si tolse il cimiero, mostrandosi molto giovane
e bello; dopo di che il ragazzo fu disarmato dal vegliardo, fu
accompagnato al Seggio Periglioso dove si sedette senza esitare
e con assoluta certezza. Vedendo questi nuovi accadimenti, i
cavalieri ed i baroni considerarono con molta gioia il nuovo
venuto come loro signore per Grazia Divina, ma il più felice di
tutti fu Lancillotto, il quale riconobbe nel giovane il figlio che
credeva perduto per sempre: Gahalad.
Subito il vegliardo si rivolse ad Artù, dicendogli: ”Sire, voi
siete il miglior sovrano di questo mondo ed avrete il dono più
prezioso tra quelli che desiderate, il santo Graal, che vi sazierà
tutti quanti con quanto più desiderate mangiare”. Finito che
ebbe di parlare, il vecchio se n’andò com’era venuto, sparendo
misteriosamente, senza che pensasse di tornare in quel loco per
110
Obilot, la quale disse: ”Quel cavaliere ha l’aria d’essere
veramente forte, quindi ho deciso in questo preciso momento
che egli diverrà il mio campione per tutta la vita”
Nello stesso momento re Lyppaut s’affacciò dagli spalti del
proprio castello e vedendo l’enorme esercito che l’assediava, si
disse, con immenso dolore: ”Perché quel ragazzino dalla testa
calda raccolse un esercito così grande per muovermi una guerra
così insensata?”. Purtroppo il povero Lyppaut non seppe
momentaneamente rispondere a quella domanda così retorica,
subito, però, la situazione gli fu chiara in un lampo e si disse:
”Il giovane principe è stato praticamente rifiutato dalla
maggiore delle mie figlie, che da vera insensata voleva
obbligarlo a cinque anni di sacrifici, offendendolo orribilmente,
ma ora non posso tirarmi indietro dal combattimento che gli
reputo decisamente giusto”, allora diede l’ordine ai propri
cavalieri d’uscire all’attacco degli assedianti. Gia al primo
attacco s’intuì come sarebbe andata, infatti dopo un’intiera
giornata di scontri l’esercito di Lyppaut mise in rotta quello di
Meljanz, il quale si rifugiò all’interno del proprio campo.
Venendo a sapere come andò a finire il combattimento,
Meljanz radunò il proprio stato maggiore ed iniziò a dire:
”Com’è possibile che io abbia radunato un esercito così potente
per poi essere sconfitto da un semplice manipolo di cavalieri
male in arnese?”. Uno dei generali si fece coraggio e,
avvicinandosi a Meljanz, disse: ”È vero che abbiamo perso la
prima giornata, ma ricordatevi, sire, che i cavalieri di Lyppaut
hanno maggiore esperienza dei nostri nei casi di guerra, quindi
se tenete conto di questo, prometto che nel prossimo scontro
possa andare meglio, visto che non tutto è perduto” al che
Meljanz si rassicurò parecchio ed acconsentì ad attendere
almeno un altro scontro.
Negli stessi momenti all’interno del castello, l’altera Obie si
rivolse al padre e gli disse: ”Mio signore e padre, quel messere
che arrivò pochi attimi prima dello scontro armato e che mia
259

Poydiconjunz di Gorz, assieme al quale radunò l’esercito che è
in questo momento qui presente e mosse guerra contro
Lyppaut, il quale intuendo il pericolo, s’asserragliò nel maniero
di Beauroche”. Galvano sorrise alquanto per quella situazione
così difficile e romantica nello stesso tempo e disse: ”Messere,
dove potrei trovare il capo della spedizione, il principe
Meljanz? Spero di dirimere al più presto la vostra faccenda
perché fui sfidarono a duello e devo presentarmi al loro
cospetto per sbrogliare anche quell’incombenza prima d’essere
tacciato di disonore”. Il cavaliere fu molto contento di quella
domanda e nello stesso momento disse: ”Devi continuare a
percorrere quella strada tra le tende, finché non troverai un altro
accampamento più piccolo rispetto al resto della tendopoli, li
troverai un’altra postazione di guardia, in quell’istante saprai
d’essere arrivato al settore del principe Meljanz”, Galvano
ringraziò cordialmente il cavaliere e prese la direzione che gli
era stata indicata.
Giunto che fu all’accampamento di Meljanz, subito sotto il
castello di Beauroche, Galvano fu fermato rudemente dalle
guardie ivi presenti, allora il cavaliere s’avvicinò lentamente e
quando fu a portata d’orecchio, disse: ”Signori, sono venuto fin
qua in cerca d’avventure, sperando di poter offrire i miei servigi
al vostro signore che ho saputo chiamarsi Meljanz di Liz; io
sono sir Galvano di Norvegia, cavaliere della Tavola Rotonda e
nipote di re Artù di Camelot, mi potete fare il favore d’avvertire
il vostro beneamato principe?”. Le due guardie non risposero
assolutamente nulla e lo fecero passare pur non dando ad
intendere d’essere impressionate nell’essere al cospetto d’un
cavaliere di tale levatura; entrato che fu nell’accampamento,
Galvano s’accorse che anche gli altri armigeri ivi presenti non
lo notarono per niente. Tale incuria nei suoi confronti indispettì
alquanto Galvano che decise sul momento di non offrire più la
spada a quei felloni e si diresse verso il castello assediato;
mentre giungeva sotto quelle mura, Galvano fu notato da
258
altri motivi. Immediatamente un suono come di tuono si fece
sentire per la sala ed un raggio luminoso attraversò le vetrate,
facendo apparire tutto quanto più chiaro di quanto fosse in
realtà: così i presenti furono illuminati dallo Spirito Santo,
diventando all’istante muti come animali. Finalmente il Santo
Graal si mostrò sotto forma di calice coperto da una tela
candida ed iniziò a fluttuare tra i presenti, spandendo un
dolcissimo profumo per tutto il palazzo, come se fossero state
sparse nei dintorni tutte le più buone spezie di questo mondo.
Passato che fu il Graal davanti ai presenti, ciascuno si ritrovò di
fronte quanto di più buono desiderava, finalmente il Graal se
n’andò ed i presenti poterono riprendere a parlare.
Ripresosi da questa seconda avventura, Artù s’alzò dal proprio
seggio e disse: ”Questa straordinaria visita è stato un dono
divino, quindi prima di poter procedere col banchetto non
possiamo far altro che ringraziare Nostro Signore Iddio per
quanto accaduto in questo Santo Giorno” al che furono tutti
d’accordo. Finite che furono le debite preghiere a Nostro
Signore, Galvano e Lancillotto si guardarono negli occhi e poi
dissero: ”Sire, abbiamo intenzione di ripetere quest’esperienza
così beata, quindi pensiamo che sia giunto il momento di
partire per andare alla ricerca del Monsalvato, dove il Ricco Re
Pescatore si bea tutti i giorni con questa letizia e non abbiamo
intenzione di tornare finché l’impresa non sarà portata a
termine” e tutti si mostrarono d’accordo con i due compagni e
decisero all’unanimità di partire il mattino successivo.
L’iniziativa, anche se lodevole, rese molto triste Artù, infatti si
alzò e disse:”ho il triste presentimento che molti dei presenti
non tornerà mai più indietro e dei superstiti dubito che diversi
sederanno ancora attorno alla tavola del Graal”, a queste parole
Lancillotto e Galvano ammutolirono, anzi Galvano fu molto
pentito del voto che aveva appena pronunciato.
Subito si alzarono tutti quanti e sul Seggio Periglioso lessero il
nome del nuovo arrivato; si chiamava Gahalad e tal nome passò
111

velocemente di bocca in bocca, arrivando velocemente alla
tavolata della regina e delle sue dame, le quali rimasero
addolorate da quanto i cavalieri avevano deciso dopo gli ultimi
avvenimenti di cui furono testimoni in quella splendida
giornata, soprattutto perché tra loro le belle avevano sposi ed
amici, infatti le dame si avvicinarono ai cavalieri ed iniziarono
a supplicarli d’essere loro compagne durante quell’avventura,
ma Gahalad fece sentire la propria voce, dicendo: ”Dispiace
immensamente a tutti quanti, ma quest’impresa dobbiamo
affrontarla da soli perché non possiamo essere distratti dalle
cose terrene che potrebbero renderci impuri”
Ad udire quelle parole, Ginevra chiamò al suo tavolo il
giovane cavaliere, chiedendogli: ”Gentile cavaliere, potresti
raccontare alla tua regina, che ti sta davanti, come fosti allevato
nei primi anni della tua seppur breve vita?”. Subito Gahalad
accontentò Ginevra, raccontandogli tutto quanto, e finì dicendo:
”L’unica cosa di cui mi dispero tuttora è di non conoscere
assolutamente il nome del mio beneamato padre, per questo
temo di doverlo dare per morto”. La regina si mise a ridere di
gusto, quindi, una volta che ebbe ripreso fiato, disse: ”Messer
Gahalad, vostro padre è presente in questa sala, seduto alla
Tavola rotonda, anzi vi assicuro che è uno dei primi ad aver
fatto voto di ritrovare il Monsalvato ed il Santo Graal, infatti sei
il beneamato figlio di Lancillotto del lago a cui assomigli in
modo veramente sorprendente”, quindi i due parlarono in
questo modo ancora per parecchie ore, finché arrivò l’ora di
cenare, alla fine del pasto andarono tutti a dormire, approntando
per Gahalad un letto degno di un re per rendergli il dovuto
onore. Artù e Ginevra la passarono a piangere, anche se per
motivi diversi; arrivato che fu il mattino, tutti i cavalieri presero
messa completamente armati, finito che fu il Santo Rito tutti
quanti, iniziando da Gahalad, fecero il giuramento sulle
reliquie, allacciandosi immediatamente dopo elmo e spada,
pronti per partire.
112
autorizzato a partire nel momento che tu ritenesti più
opportuno”, subito Galvano partì al gran galoppo per verificare
i propri timori. Raggiunto che ebbe quell’enorme esercito,
Galvano si presentò alle guardie, svelando immediatamente
anche la sua vera identità; immediatamente fu accompagnato
dal capo di quel settore dell’accampamento, che lo fece
accomodare all’istante. Accomodatisi che furono entrambi,
Galvano prese la parola, dicendo: ”Messere sappiate che in
questo momento siete con i vostri uomini, sui terreni di diretta
proprietà del gran re Artù di Camelot, che è molto preoccupato
per la vostra presenza così vicina al suo castello più importante,
di grazia vuole sapere il motivo di questo esercito e s’è
necessario attaccarvi in forze, sapendo che tra noi vi sono tutti i
maggiori cavalieri del mondo conosciuto”.
Il cavaliere annuì gravemente, poi disse: ”Non credevo che
avessimo sconfinato nei territori di un re così potente, vi
assicuro in ogni modo che non abbiamo nessun’intenzione
bellicosa nei confronti del tuo buon re, di cui se non sbaglio
dovresti essere il nipote, ma sappi che per questioni di carattere
dinastico che riguarda il nostro nuovo re. Infatti davanti a
te,valoroso Galvano, vi sono gli eserciti del duca Estor di
Lanverunz, del principe Meljackanz, nipote di re Poydiconjunz,
e del re Meljanz di Liz. Se vuoi ti racconto con dovizia di
particolari il motivo di questa grande invasione: alla morte del
padre, Meljanz fu affidato all’educazione del principe Lyppaut,
il quale aveva anche due figlie che aveva nomato Obie ed
Obilot, durante la sua permanenza presso quel signorotto,
Meljanz s’innamorò, senza esserne corrisposto, della bella Obie
la quale pretendeva per il proprio re cinque anni di guerra e di
grandi gesta. A quell’idea Meljanz si rifiutò ed andò a
chiederne conto al buon Lyppaut, il quale convocò i principi
suoi pari per chiederne giustizia, sperando nella clemenza di
costoro. Considerando la cosa a livello di una pagliacciata,
Meljanz abbandonò il castello e si rivolse a suo zio re
257

suo ospite era gravemente ferito e, fattogli portare anche lo
strano compagno, disse: ”Messere è chiaro che voi due avete
affrontato da poco un grave scontro e le relative ferite, se non
adeguatamente curate, vi porterebbero in brevissimo tempo a
morte certa entrambi, ma non vi dovete preoccupare, dato che
due delle mie splendide e care figlie conoscono molto bene
l’arte dell’erbe officinali e sono in grado di curare quelle piaghe
in tempi molto brevi”, senza aspettare risposta o
ringraziamento, il castellano se n’andò dalla stanza e, poco
dopo, arrivarono due fanciulle che portavano diverse erbe
medicamentose, che iniziarono a preparare e misero sulle ferite
d’entrambi. Passarono in questo modo pochissimi giorni (a dire
ne bastarono solamente due), nei quali Ivano notò
effettivamente rapidi ed enormi miglioramenti sia nel proprio
fisico sia in quello del suo adorato leone. Alla fine della
seconda settimana, infine, i due compagni fuono congedati e
poterono ripartire per cercare il perdono che agognavano con
così tanta sincerità.
Parte Parte quattordicesima: quattordicesima: avventure avventure di di Galvano.
Galvano.
Capitolo 46
Qualche giorno dopo il ritorno d’Ivano, Galvano stava di
guardia sul mastio del castello di Camelot, quando vide in
lontananza un enorme esercito e diede l’allarme, quindi si
rivolse ad Artù, suo zio, dicendo: ”Mio signore e zio vi chiedo
l’autorizzazione d’andare in avanscoperta per quantificare
quanto visto e verificare le loro intenzioni, in modo tale che
anche noi possiamo regolarci di conseguenza, inoltre dovrei
partire per poter raggiungere il luogo del duello a cui mi
sfidarono qualche tempo fa”. Artù annuì gravemente, poi disse:
”Buon nipote, hai perfettamente ragione a prendere quella
precauzione, quindi ti concedo l’autorizzazione di lasciare il
castello per verificare quanto necessario per la nostra sicurezza,
per quanto riguarda il duello non devi preoccuparti, perché
come fu lanciata la sfida ti sei ritrovato automaticamente
256
Lancillotto, prima di partire, si fece ricevere dalla regina
Ginevra e gli disse: ”Mia signora, dovendo andarmene da corte
assieme ai miei compagni e sono venuto a chiedervi il dovuto
congedo per poter prendere la mia strada con la dovuta
tranquillità”. La buona regina si mise a piangere in silenzio e,
tra le lagrime, disse: ”Mio adorato Lancillotto, per
quest’impresa avete sbagliato a chiedere il congedo, perché ve
lo può concedere solo Iddio, per quanto mi riguarda andate
pure e fate in modo di tornare sano e salvo da questa terribile
avventura”
Sceso che fu dalle stanze della regina, tutti i cavalieri
partirono scortati da re Artù fino al castello di Vagan, dove i
prodi si levarono nuovamente i propri elmi per qualche minuto,
finché il buon re potesse baciarli come saluto; fatta la
cerimonia, i cavalieri partirono per le proprie strade, mentre
Artù ritornò a Camelot con la tristezza nel cuore.
Parte Parte sesta: sesta: le le avventure avventure di di Galvano
Galvano
Capitolo 19
Dopo che si fu allontanato dai compagni, Galvano non ebbe
avventure degne di nota, finché un giorno non incontrò un
eremita che lo confessò, alla fine della confessione lo prese per
mano e gli disse: ”Mio caro cavaliere, siamo sinceri, non ho
mai incontrato un peccatore così grande come lo sei tu ora, se
vuoi avere le avventure a cui aspiri devi pentirti grandemente”.
Galvano rimase immediatamente sorpreso poi, dopo una breve
riflessione, disse: ”Mio buon padre non credo di essere così
impenitente come mi stai facendo or ora tu stesso, quindi non
accetto la tua penitenza, che sicuramente sarà veramente lunga
ed io domattina devo ripartire al sorger del sole”, infatti il
mattino successivo, all’alba, Galvano era gia armato di tutto
punto ed in sella del suo fidato cavallo, pronto per partire con la
speranza di avere numerose avventure, ma purtroppo arrivò a
Santa Maddalena senza averne, finché non incontrò Estor delle
paludi. Una volta che si furono riconosciuti, s’abbracciarono tra
113

le lacrime per la gioia dell’incontro, sani e salvi; come si furono
ripresi, Estor disse: ”Una cosa mi ha fatto stupire
all’inverosimile, cioè che da quando abbiamo lasciato la corte
di re Artù non ho mai avuto avventure tali da essere considerate
degne di un racconto, e così mi dissero altri compagni che ho
precedentemente incontrato, ma la cosa più sorprendente è che
mi ero illuso di poterne avere in quantità enorme. Però che ora
ti ho incontrato, ho intenzione di proseguire in tua compagnia,
chissà che insieme non riusciamo a combinare qualche
bell’impresa!”. Un giorno si videro bloccare il passo da un
misterioso cavaliere che iniziò a dire: ”Miei signori se volete
continuare il vostro cammino è d’uopo che uno di voi scenda in
campo per una giostra con me!”. I due amici per qualche
secondo, poi Galvano si fece avanti e disse: ”Se ci tieni a fare
una brutta fine, sono disposto a giostrare con te, finché uno dei
due non sia più in grado di battersi”, cosicché partì la giostra e
Galvano ferì gravemente l’avversario gia al primo assalto.
Subito i due amici corsero a soccorrere il ferito, levandogli
l’elmo per farlo respirare meglio, alla vista del volto del
cavaliere rimasero entrambi veramente stupiti ed addolorati;
difatti era Ivano il grande, loro fraterno compagno ed iniziarono
a piangere tutti e tre a dirotto per la disperazione. Una volta che
tutti si furono ripresi dalla terribile sorpresa, Galvano prese a
dire: ”Bisogna portarlo in un posto sicuro per curarlo, qui
vicino ho notato la presenza di un convento dove potrebbe
trovare il debito riposo in attesa della guarigione. Estor aiutami
a portarcelo senza farlo soffrire troppo”.
Nel frattempo Ivano aveva perso conoscenza, durante
l’incoscienza, Ivano sentì incosciamente le seguenti parole:
Cavaliere, sei arrivato alla fine
Della cerca del Graal
E della tua vita su questa terra;
Preparati a subire il divino giudizio.
Nostro Signore ti sta aspettando
114
della mia dama per alcune colpe che conosciamo solo noi due;
se proprio volete sapere il mio nome, inoltre sappiate che sono
conosciuto anche come il Cavaliere del Leone”. Laudina non
fu del tutto contenta di quella risposta e disse: ”Messere, si
vede da lontano che entrambi state orribilmente soffrendo,
quindi vi prego di fermarvi presso di me per guarire presto e
bene”, ma Ivano fu assolutamente irremovibile dalle proprie
condizioni. Subito, infatti, il cavaliere disse: ”Prima di
fermarmi al cospetto di qualunque dama o damigella, devo
avere il perdono di colei, anche a costo di morire nell’attesa di
quell’evento”
Laudina, a quelle parole, si rese conto che non poteva
trattenerlo con la forza, quindi disse: ”Messere, s’è quello che
volete, sia fatta la vostra volontà e partite pure, con la mia
benedizione, da queste contrade, ma permettetemi di darvi la
compagnia della mia fida amica Lunetta vi faccia compagnia
fino al limitare del mio regno, con la speranza che le vostre
sofferenza si mutino ben presto nella gioia più piena di questo
mondo”, così Ivano ed il leone ripresero il loro vagabondare in
compagnia della bella Lunetta fino ai confini delle terre del
castello. Quivi giunti, Ivano, pieno di dolore per non essere
stato riconosciuto da altri che lei, le disse: ”Mia buona Lunetta
è giunto il momento che noi due ci lasciamo, ma se volete
essermi in qualche modo d’aiuto, intercedete per me presso la
vostra signora, senza però rivelarle nient’altro di quanto abbia
gia fatto io”
Rimasto che fu da solo, Ivano adagiò il buon compagno sul
proprio scudo e riprese la propria strada, finché non si trovò
davanti ad un forte completamente chiuso. Vistolo che ebbero
gli occupanti, Ivano fu fatto entrare con estrema simpatia,
portando all’interno anche il leone adagiato sullo scudo e
posandolo su di un gradino, calmarono la propria gioia ed
accompagnarono Ivano in una camera interna, dove ricevette la
visita del signore del castello. Il castellano notò subito che il
255

compagni dell’iniquo furono subito addosso ad Ivano,
tempestandolo di colpi con le proprie spade, ai quali
s’aggiunsero ben presto anche quelli del perfido signore.
Vedendo Ivano in difficoltà, il leone s’avventò contro il
siniscalco, che gli era particolarmente vicino, sbranandolo
completamente, facendo morire dissanguato, tra forti grida, il
perfido; subito dopo il leone s’affiancò al compagno ed
entrambi misero a malpartito i rimanenti due a tal punto che si
dovettero arrendere ad Ivano ed al suo ruggente amico, anche
se il povero felino si ritrovò con due orrende ferite che lo
facevano soffrire orribilmente.
Vinta che fu la sfida, Ivano accorse immediatamente presso il
fedele leone, che ruggiva atrocemente dal dolore, per poterlo
curare adeguatamente, incurante delle ferite che anch’egli s’era
procurato nello scontro. A tal disfatta degli accusatori, Laudina
si fece avanti, dicendo: ”Evidentemente quei bifolchi hanno
accusato la mia povera compagna ingiustamente, quindi
meritano di finire al suo posto sul rogo e terminare bruciati in
vece sua, ed a questo devo rendere grazie a voi, messer
cavaliere, la cui identità m’è al momento attuale sconosciuta”
”Prima di sapere anche in parte il mio nome, damigella, vi
chiedo di riconciliarvi definitivamente con la vostra compagna,
poi risponderò in modo esaudiente alle vostre domande,
qualunque esse siano”
”Ebbene, cavaliere, il vostro desiderio sarà immediatamente
esaudito, ma dopo vi chiedo di restare mio ospite finché le
ferite che voi ed il vostro strano compagno non siano
completamente guarite”, detto questo la bella castellana
abbracciò affettuosamente la cara e buona compagna,
perdonandosi vicendevolmente. Riavutesi che furono le due
dame, Ivano si fece avanti, seppur a fatica per le numerose
ferite: ”Madama, mi fermerei volentieri a farmi alleviare le
sofferenze mie e quelle del compagno diletto, ma non posso
fermarmi in nessun luogo, finché non avrò avuto il perdono
254
Alla sua presenza a presentargli
Il bilancio dei tuoi gesti onesti
E dei tuoi peccati per avere giudizio.
Una volta che furono arrivati al convento, Ivano riprese
conoscenza e, riconoscendo i due compagni, prese a dire, tra un
rantolo e l’altro: ”Nessuno di noi poteva immaginare che
potesse andare a finire in questo modo, quindi per quanto mi
riguarda siete entrambi perdonati, soprattutto te Galvano, che
hai sempre difeso la tua vita. Sento che sta per arrivare la
morte; vi chiedo come ultimo favore di farmi venire un padre
per potermi confessare e ricevere l’estrema unzione prima che
la vita mi lasci”, come tutto fu fatto, Estor estrasse la spada dal
compagno che spirò senza un solo lamento. Capito che ebbero
della morte dell’amico e compagno, Estor e Galvano iniziarono
a rimpiangere amaramente l’amico, dopodichè fecero
confezionare un drappo di lino in cui avvolsero il corpo
d’Ivano, chiedendo ai frati del convento di farlo seppellire
davanti all’altare maggiore. Finita la cerimonia funebre, Estor e
Galvano ripartirono in cerca d’altre avventure di maggior
gloria; giunti che furono ad un bivio, Galvano scese da cavallo
ed avvicinatosi all’amico, gli disse: ”Il mio cuore mi dice che è
giunto il momento di separarci, spero che potremo ritrovarci
presto alla corte del nostro amatissimo re, per ora non posso far
altro che augurarti buona fortuna, amico mio”. Anche Estor
scese di sella e, abbracciato Galvano, rispose: ”Caro amico, non
immagini che tristezza il doverti lasciare in questo momento
così doloroso per la nostra compagnia, ma so che non possiamo
farci niente, quindi non posso far altro che augurarti di trovare
tutte le avventure di cui senti il bisogno”; Galvano passò diversi
giorni senza incontrare nuove avventure e neppure un ricovero
ove dormire, vagando per una selva talmente selvaggia da non
essere attraversata neppure da un misero sentiero, ritrovandosi
in breve totalmente lacero sia nei vestiti sia nel fisico.
Passarono in questo modo diversi giorni, finché, un giorno,
115

Galvano incontrò la Dama Calva col suo seguito che veniva
dalla corte di Camelot, allora il cavaliere le avvicinò e chiese,
gentilmente: ”Mie buone e belle damigelle, vi chiedo la
cortesia, se possibile, d’indicarmi la strada più breve per il
Monsalvato, dato che ho l’intenzione di far visita al Ricco Re
Pescatore”. Sentendo quell’intento, la Dama Calva disse: ”Il
tuo intento è dei più lodevoli, messer Galvano, ma non sei tu il
predestinato alla salvezza del Monsalvato, ora, però, devi
scortarci fino al prossimo castello, a poche leghe da qui”.
Durante la marcia, Galvano si ritrovò a cavalcare a fianco della
Dama Calva, la quale prese a dire: ”Le teste mozze che vedete
nelle carrette che abbiamo appresso sono dei fidi vassalli del
Ricco Re Pescatore, morti dopo il misfatto del puro folle, ma la
cosa più grave avvenne alla corte di re Artù, vostro zio, ove il
perfido Keu voleva arrostire i cervi che trainano i carri”. Nel
frattempo Galvano notò che una delle tre damigelle andava a
piedi, quindi prese a dire, senza aver ascoltato quanto stava
dicendo la Dama Calva: ”Mia signora, sono dispiaciuto che una
delle vostre compagne debba andare a piedi per tutto il tempo”.
La Dama Calva guardò anche lei un attimo la compagna a piedi
e disse: ”La mia amica dovrà continuare a camminare finché
chi sarà destinato a farla, dovrà fare la fatidica domanda al
Ricco Re Pescatore, e conquistare il diritto ad impossessarsi del
Santo Graal”
Intanto la foresta amica fu lasciata per entrare in un orrendo
bosco, allora i quattro s’avvicinarono tra loro, continuando ad
avanzare, poco dopo s’imbatterono in una vallata ancora più
tetra del bosco che la circondava, allora la Dama Calva
s’avvicinò a Galvano e disse: ”Cavaliere, il posto è veramente
terribile, come possiamo continuare ad avanzare senza
esitare?”. Galvano esitò un attimo, poi disse: ”Un sistema
esiste, evitiamo, per quanto possibile, di pensare e vedere
quanto ci sta circondando”, così dicendo, il prode riprese ad
avanzare, seguito dalle sue protette, finché non trovarono un
116
zampe, quindi iniziò a farsi largo tra la folla ivi giunta per
godersi quello spettacolo così ignobile; nel frattempo si
guardava attorno per vedere s’era presente anche colei che un
giorno ormai l’aveva ripudiato così dolorosamente: la notò
immediatamente e, a tal vista, sospirò profondamente. Subito
Ivano decise di non farsi riconoscere, almeno per il momento,
ma quando sentì le funebri lamentazioni delle compagne della
sventurata, non poté che riempire il proprio cuore di cordoglio.
Giunto che fu da Lunetta, gli si rivolse ad alta voce,
mantenendo la celata dell’elmo calata, e disse: ”Madamigella,
m’è stato riferito che voi avete bisogno d’aiuto da un valoroso
cavaliere per sottrarvi dal nefando giudizio menzognero di tre
felloni; ora sono qui per difendervi da loro, mi potete indicare
chi essi siano?”
Immediatamente si fecero avanti tre foschi individui, che
iniziarono a dire: ”Messere, come sperate di battere un gruppo
così valoroso, come noi siamo, se siete completamente solingo?
Speriamo che non vogliate contare quella belva come vostro
compagno, perché tale comportamento non varrebbe. Prima di
ritirarci, in ogni caso, non ci resta che un suggerimento da
darvi: rinunziate a difendere quella blasfema e ritiratevi da
quest’impari duello”. A quelle parole, Ivano disse: ”Messeri vi
do atto che il mio beneamato amico a quattro zampe non può
entrare in lizza con voi, ma non dubitate che riesca a testa da
solo a tre furfanti patentati quali voi siete, quindi preparatevi
che la questione è gia durata fin troppo per i miei gusti,
soprattutto sapendo dell’innocenza di quella poveretta che
stavate per giustiziare in modo così ingiusto ed ignobile”, a
quello scambio di battute l’ottimo leone s’allontanò
immediatamente, al che i tre compagni si prepararono
immediatamente allo scontro che pareva così impari per Ivano.
Una volta che il campo fu sgombrato, la disfida iniziò molto
violentemente, ma il perfido siniscalco fu disarcionato
immediatamente, rimanendo lievemente stordito, subito i due
253

immerso, anzi sono gia fin troppo in ritardo per poter sperare di
poterla portare a termine in tempo”. Subito dopo Ivano si
rivolse ai quattro giovani cavalieri, dicendogli: ”Miei buoni
giovani, prendete in custodia quel nanerottolo malefico e
conducetelo alla corte di re Artù; una volta che vi sarete giunti
abbiate cura di lasciarlo nelle abili mani di messer Galvano, che
saprà bene cosa farne, come avete portato a compimento questo
compito, raccontate all’intiera corte come siano andate le cose
in questo castello”. Subito il più grande dei quattro si fece
avanti e disse: ”Messere, se ci dovessero chiedere di voi, cosa
dobbiamo dire?”. Ivano sorrise alquanto, poi disse: ”Dite
all’intiera corte che io sono il cavaliere del leone e che ben
conosco messer Galvano; se trovate ancora qualche dubbio,
dite pure che conosco di persona ognuno di loro, inoltre dite
che sto molto bene e appena le mie avventure me lo
consentiranno farò ritorno alla loro compagnia”, finite di dare
queste istruzioni, Ivano s’accinse a riprendere la propria strada.
Immediatamente il fratello maggiore lo fermò e chiese: ”Io ed i
miei amatissimi germani vorremmo accompagnarvi in
quest’avventura, se lo permettete”. Ivano si voltò subito e disse:
”Miei cari ragazzi, devo finire quest’avventura completamente
da solo e poi vi ho gia dato le istruzioni per averne una anche
voi, per conto vostro” detto questo, Ivano sparì
immediatamente dopo la prima curva del sentiero, entrando nel
vicino bosco.
Capitolo 45.
Finalmente Ivano riprese la propria strada per raggiungere al
più presto la cappella diroccata e la fontana magica, ove
sperava di giungere in tempo per salvare la povera Lunetta,
prima che fosse issata sul rogo; a tal pensiero Ivano aumentò
l’andatura del proprio destriero, giungendo ben presto al luogo
del supplizio, appena in tempo, perché Lunetta era gia legata al
palo, pronta per essere arsa viva. A tal vista Ivano confidò nella
Divina Provvidenza e nella forza del compagno a quattro
252
ripido sentiero che conduceva verso il fondo della valle, ove
trovarono un castello veramente spaventevole. Mentre vi
passavano a lato, alcune voci lamentose iniziarono a dire: ”Se
arrivasse il Buon Cavaliere a liberarci da quest’incubo in cui
siamo capitati, potremmo vivere tutti quanti più sereni”.
Galvano si fermò immediatamente e prese a dire: ”Mia signora,
come mai le mie orecchie hanno udito quelle parole,
provenienti dall’interno di quell’orribile castello?”. La Dama
Calva si fermò anch’essa e, dopo averci pensato su guardando
dove esattamente si trovarono, prese a dire: ”Quello è il castello
dell’eremita nero, sappi, in ogni caso, che qualunque cosa
succeda per mano degli occupanti, tu non dovrai fare
assolutamente nulla, messer Galvano”, in quello stesso istante
uscirono dal castello ben centocinquantadue cavalieri neri che
prelevano una testa ciascuno dai carri, infilandole con le
proprie lance, rientrando immediatamente nel castello
medesimo. Galvano ne fu veramente sconcertato, al tal punto
che iniziò a dire: ”Veramente questo è un castello pieno di
malfattori, vorrei potermi vendicare su di loro”. La Dama Calva
s’interruppe alcuni secondi nella propria marcia e, guardando
negli occhi Galvano, disse: ”L’oltraggio hai teschi a cui sei
stato testimone, come la liberazione di coloro che hai sentito
lamentarsi, non sta a te, Galvano, a contrastarli e liberare gli
infelici, ma di un cavaliere puro di cuore e folle nella mente ed
è gia molto noto, da quanto mi è stato detto, nonostante la sua
giovanissima età”. Nello stesso momento anche all’interno del
castello si sentirono le voci, che presero a dire: ”Dove sarà
finito chi ci deve salvare da quest’infelice situazione?” ma
nessuno sapeva dare una risposta a quella domanda. Finalmente
Galvano e la Dama Calva passarono il castello dell’eremita
nero ed il cavaliere si rivolse alle sue dame e disse: ”Mie
signore, ho mantenuto la promessa d’accompagnarvi al primo
castello che avessimo incontrato, ora vi chiedo umilmente di
prendere congedo dalla vostra splendida compagnia”. La Dama
117

Calva si consultò con le sue compagne, poi disse: ”Messer
Galvano siamo costrette a chiederti d’accompagnarci ancora
per qualche lega, perché non ci fidiamo di questi dintorni”. Una
volta che la piccola compagnia si rimise in marcia, ma
arrivarono a malapena all’angolo delle mura di cinta, quando
un cavaliere armato di tutto punto si rivolse a Galvano,
dicendogli: ”Cavaliere, prima che lasci questo territorio deve
battersi in duello contro di me, in palio ci sarà questo scudo
vermiglio fregiato con l’aquila d’oro”, finiti tutti i preliminari, i
due cavalieri parlarono a lancia in resta, l’uno contro l’altro; al
contatto tra loro, Galvano disarcionò il cavaliere in modo
veramente violento. Una volta che si fu riavuto, il misterioso
cavaliere tentò di rimettersi in sella, ma la Dama Calva si
rivolse a Galvano dicendo: ”Messer Galvano, non fate che quel
fellone si rimetta in sella per prendersi gioco di voi”
A sentire quel nome, il misterioso cavaliere si prostrò fino a
terra, dicendo: ”Messere, voi siete un gran cavaliere e non
merito di continuare a duellare con voi, quindi prendete pure il
mio scudo in segno della mia sconfitta e resa, sappi in ogni
caso che con queste stesse armi con cui mi hai sconfitto, sono
stato vincitore nei confronti di coloro che sono rinchiusi nel
castello”. Immediatamente i due cavalieri decisero di
scambiarsi i relativi scudi, quando la Dama Calva intervenne
nuovamente, dicendo: ”Messer Galvano, state attento, perché
costui è ancora infido nel suo cuore e può prendere come
pretesto lo scambio degli scudi per potervi tradire prima che ve
n’accorgiate”, intanto il paladino infingardo si prostrò ancora di
più alla presenza di Galvano, umiliandosi enormemente. La
Dama Calva vide la sincerità nel cuore del cavaliere, allora si
rivolse a Galvano, dicendogli: ”Messer Galvano, questo
paladino ora può considerarsi convertito alla nostra causa,
potete scambiare il vostro scudo, adesso, se volete!”; una volta
che i due scudi ebbero fatto il passaggio di mano, il cavaliere
donò il vecchio usbergo di Galvano alle tre dame, come segno
118
prese a dire, a sua volta: ”Villano d’un gigante che non siete
altro, questa brava gente ha trovato in me il loro eroe che
libererà quei poveri prigionieri che tu minacci di morte, ma ora
è meglio che ti prepari a morire se non vuoi difenderti come si
deve” detto questo, Ivano si fece ulteriormente avanti, seguito
come sempre dal proprio leone. Avvicinatosi ulteriormente al
gigante, si rese conto della difficoltà, allora Ivano iniziò a
sperare sempre di più di riuscire ad uscire vivo da quell’ultima
impresa che aveva accettato a cuore così leggero. Intanto la
corte se ne stava sugli spalti ad osservare quanto accadeva e
pregando fortemente sulla buona riuscita dello scontro. Una
volta che i due contendenti furono a tiro, iniziò un crudele
duello che si protrasse a lungo, finché Ivano non si trovò in
gran difficoltà, al che il buon leone vi si mise in mezzo ed
azzannò il gigante ad una coscia, ferendolo gravemente, che a
sua volta cadde a terra urlando per la sorpresa ed il dolore. In
quello stesso istante Ivano riuscì a riprendere le proprie forze
per potersi accanire crudelmente sulla spalla del gigante stesso,
staccandogliela dal resto del corpo. Non contento di quel
danno, Ivano immerse il proprio ferro nel fegato del perfido,
uccidendolo all’istante. Finito che fu lo scontro, il castellano,
con la propria famiglia e l’intiera corte, s’avvicinò alla carcassa
del gigante e, assicuratosi dell’effettiva morte del medesimo,
gioì assieme a tutti i presenti per l’avvenuta liberazione da
quell’orrendo incubo. Subito Ivano si prostrò ai piedi del
castellano e prese a dire: ”Messere ho mantenuto la mia
promessa nei vostri confronti, ora vi chiedo umilmente di
liberarmi dal vostro servizio per poter terminare l’avventura
che avevo precedentemente iniziato”.
”Messere vi concedo ben volentieri il congedo dalla mia corte,
ma vi chiedo di promettermi di tornare alla mia presenza,
appena ve lo concede il vostro vagabondare”
”Messere, mi piacerebbe poterlo promettere, ma tutto dipende
da come andrà a finire l’avventura in cui sono attualmente
251

Arrivata che fu l’alba, Ivano volle assistere alla prima messa
del mattino nella cappella del castello, finito il sacramento
decise d’aspettare l’ora prima, giunta che fu l’ora che aveva
stabilito, Ivano vide che non stava succedendo nulla, quindi
andò al castellano e, inchinandosi, disse: ”Messere, sono molto
dolente, ma qui le cose sono troppo tranquille perché abbiate
bisogno della mia presenza, quindi vi supplico umilmente di
darmi congedo e di farmi partire per ottemperare il mio
precedente impegno”. La richiesta riempì di dolore il
castellano, il quale prese a dire: ”Messere, quel vigliacco d’un
gigante ha promesso che sarebbe arrivato qua davanti entro
mezzogiorno d’oggi, per ottemperare alla propria minaccia, se
per quell’ora ve ne sarete gia andato e messer Galvano, nella
cui speranza speravamo, non arriverà, che cosa accadrà di noi e
del nostro splendido castello. Se accettate e sopravvivete
vittorioso allo scontro, inoltre vi copriremo dei più ricchi doni
che potremo trovare, il tutto per la salvezza dei miei figli e del
nostro meraviglioso reame”. Ivano ci pensò su un attimo e
disse: ”Messere, m’avete convinto a rimanere, ma non voglio
nuove suppliche ne tantomeno dei doni che dissanguerebbero
questa landa in un frangente così oscuro per voi. Ma badate
bene che se colui non si fa vivo entro mezzogiorno io sono
indissolubilmente costretto ad andarmene”, in quel mentre
arrivò effettivamente il gigante, come aveva promesso,
portandosi addietro i suoi cinque prigionieri miseramente
vestiti e montanti dei ronzini zoppicanti e malmessi, tenuti a
bada da un nano malefico.
A quella vista Ivano corse immediatamente ad armarsi di tutto
punto, appena in tempo, perché il perfido gigante prese a dire:
”Miei miserandi signori, io ho mantenuto la mia promessa e
sono tornato portandomi addietro gli ostaggi che v’avevo
sequestrato, ma non vedo nessun vostro eroe pronto a battersi
con me”. Il perfido non fece in tempo a finire quelle malevole
parole, che Ivano si presentò nello spiazzo davanti al castello e
250
di riconoscenza nei loro confronti per avergli concesso tale
fiducia, quindi rientrò nel castello maledetto, ove fu gettato
nelle prigioni più profonde. Contemporaneamente, Galvano e le
donzelle ripresero il loro viaggio, dopo un miglio Galvano si
rivolse nuovamente alla Dama Calva, chiedendogli: ”Madama
mia cara, ho mantenuto la promessa sino a questo momento,
ora è giunta l’ora che voi manteniate la vostra, mettetemi in
libertà di trovare altre avventure per conto mio, se non vi
dispiace”. La Dama Calva, annuì gravemente e prese a dire:
”Dici bene, messer Galvano, hai mantenuto la promessa
d’accompagnarci fin oltre il castello e la hai mantenuta
egregiamente, ora sta a me mantenere la mia, seppure a
malincuore, vai pure per la tua strada”. Vedendo che Galvano
indugiava presso un bivio poco distante, la Dama Calva gli si
fece nuovamente vicino e disse: ”Prode Galvano, prendi la
strada che passa vicino a quella croce laggiù, vedrai che vi
troverai molte avventure, mentre la percorri”; Galvano fece un
cenno di saluto di ringraziamento e prese per la strada che gli
era stata indicata. Fatti che ebbe pochi passi, la dama a piedi, lo
fermò e, rimproverandolo, gli disse: ”Messer Galvano siete
stato ben villano ad aver viaggiato sì lungamente con noi e non
aver chiesto alla nostra benamata dama perché portasse il
braccio al collo”. Vedendo l’intemperanza della compagna, la
Dama Calva intervenne nuovamente, dicendo: ”Mia cara, se
rimproveri per questo messer Galvano, dovevi rimbrottare
anche re Artù e la sua corte, visto che anche loro sono caduti
nello stesso sbaglio; ma costui potrà rimediare alla
dimenticanza, quando incontrerà il cavaliere codardo, il quale
sta percorrendo proprio quella strada, alla nostra ricerca. Vi
vedo preoccupate, mie compagne, ma a torto perché
quell’infingardo non potrà mai trovarci".
CAPITOLO 20
Lasciate che ebbe le tre dame, Galvano cavalcò per tutta la
giornata finché, al tramonto, non fu obbligato a fare tappa in un
119

eremo, ove fu ricevuto da una dama, la quale stava tenendo un
mulo per le redini, mentre l’animale si stava abbeverando in un
fonte lì vicino. Avvicinatosi ulteriormente, Galvano notò che
l’animale trasportava all’arcione una testa mozzata, finalmente
il prode si ricordò della dama e, rivolgendosi a lei, disse:
”Madamigella, sia lodata la vostra presenza, ma di grazia
potreste indicarmi dove trovare l’eremita che abita in questo
loco?”. In quello stesso istante arrivò un uomo veramente
gagliardo nell’aspetto, che disse: ”Messere, sono io l’eremita
che abita in questo loco, ove mi ritirai diversi anni fa, quando
morì il mio padrone, re Uter Pendragon; avete ragione,
cavaliere, a stupirvi, perché dimostro molto meno dei miei anni,
ma ora venite a rifocillarvi, prima, però devo mettere al sicuro
le vostre cavalcature”
Galvano si rabbuiò un attimo e disse: ”Non metto in dubbio la
tua esperienza come scudiero, eremita, ma preferirei pensarci io
alle cavalcature; ti chiedo semplicemente di rifocillarci
entrambi e darci un giaciglio per la notte, se non ti dispiace”,
finito che ebbe d’impastoiare gli animali, Galvano entrò
nell’eremo e trovò che la mensa, anche se poveramente, era gia
pronta per la cena. Durante il pasto, l’eremita prese a dire:
”Signori miei, come mai due persone così distinte e diverse tra
loro si sono presentate al mio cospetto nella stessa serata?”
La damigella fu la più rapida a rispondere, dicendo: ”Mio
buon eremita, l’intento che mi sono proposta è quello di trovare
un misterioso cavaliere molto giovane che deve essere riportato
al cospetto del Ricco Re Pescatore per potergli porre una
domanda salvifica per il regno del Monsalvato”. Intanto
Galvano stava ad osservare la damigella senza capire cosa
stesse dicendo, quando questa ebbe finito, egli disse: ”Pochi
giorni fa venni a conoscenza di un giovane cavaliere che fece
visita al Monsalvato, dimenticandosi, però, di fare delle
domande che avrebbero salvato quel ricco reame”. La
damigella restò allibita per qualche istante, poi ripresasi, prese
120
in mezzo ai propri stallieri, salvo che qualcuno non sia tanto
ardito da poterlo affrontare a cuore aperto. Finita la sua
minaccia, fece scempio del borgo che si trovava al di fuori delle
mura, demolendo ed incendiando tutto quanto”. Sentendo quei
terribili fatti, Ivano annuì con la testa e disse: ”L’aiuto migliore
che possiate trovare l’avreste se vi rivolgeste alla corte di re
Artù di Camelot”
”L’unico aiuto valido in cui potrei sperare è quello di
Galvano, ma egli sta inseguendo i rapitori di sua zia, la regina
Ginevra”
”Miei ottimi signori non abbiate timore di rimanere senza
paladino, dato che io sono in grado di sostituirmi mirabilmente
all’ottimo Galvano, affronterò di persona quel perfido gigante
in sua vece, anche se la cosa dovesse farmi tardare
all’appuntamento che la mia bella e buon’amica pretende avere
con me in tempi così brevi, anche se penso che capirà tutto,
quando gli spiegherò ogni cosa”. Udite quelle parole, l’intiera
corte gioì enormemente, allora il castellano prese a dire:
”Messere, la felicità che ci avete dato è veramente enorme e se
riuscite nell’impresa, come spero, non saprò assolutamente
come sdebitarmi con voi”
”Se volete veramente sdebitarvi in qualche modo con me, v’è
una cosa che potete fare ed è d’ospitarmi presso di voi per
questa notte, assieme al mio fedelissimo leone, dato che sono
quindici giorni che dormiamo per terra, all’addiaccio”, la qual
richiesta fu immediatamente esaudita, a tal punto che nel giro
di pochi istanti era approntata un’ottima cena ed uno splendido
letto per far dormire comodamente il buon eroe. Finita che fu la
cena, ed i relativi festeggiamenti, andarono tutti a dormire,
appena il castellano s’accorse, da dietro la porta, che Ivano ed il
suo leone s’erano addormentati, chiuse la loro stanza a chiave,
in modo tale che non poterono uscire fino al mattino
successivo.
249

castello dicendo: ”Forse vi riferite a questo simpatico gattone
che m’aiuta nelle mie avventure dopo che lo salvai dalle spire
d’un orrido serpente che lo voleva soffocare, ma non abbiate
paura che è innocuo, sempre che non mi veda in estremo
pericolo”. A quell’assicurazione i servi si calmarono
enormemente e permisero anche al superbo felino d’entrare nel
cortile interno del maniero.
Entrati che furono i due compagni di viaggio, Ivano fu
disarmato ed onorato con gran gioia per qualche tempo, ma
poco dopo tutti i presenti furono presi da gran dolore ed
angoscia, iniziando a piangere, gridare ed a graffiarsi il viso per
lunghissimo tempo, così parve ad Ivano, ma li lasciò fare,
rispettando il misterioso dolore. Una volta che si furono tutti
calmati, Ivano si rivolse ad uno di loro, che gli era
particolarmente vicino, chiedendogli: ”Che cosa sta succedendo
di così misterioso, che in un primo momento state sprizzando di
gioia, ma subito dopo, all’improvviso, vi disperate a tal punto
da sfigurarvi il volto con le unghie?”. Il servitore allora prese a
dire: ”L’unica cosa che posso dirvi, in questo momento, è che
entro domani, penso intorno a mezzogiorno, sarete coinvolto in
un’orribile avventura davanti a questo castello. Ma per pietà ora
non spingetevi a chiedermi altro, perché non riesco a
pronunciare altra parola in proposito, ma se volete sapere
qualcosa di più a tal proposito, dovete rivolgervi al nostro
amatissimo castellano. Forse lui riuscirà a dirvi qualcosa in più
a tal proposito”
Giusto in quel momento arrivò anche il castellano che, sentito
tutto quanto quello che aveva detto il suo servitore, fece un
cenno d’assenso col capo e disse: ”Messere, dovete sapere che
un orrendo gigante, nomato Harpis della Montagna, ha
sequestrato i miei sei giovanissimi figli, che avevo appena
investito cavalieri, e la loro beneamata sorella, ne uccise
immediatamente due promettendo d’uccidere gli altri quattro
entro domani e avrebbe mandato l’adorata figliola a prostituirsi
248
a dire: ”Messer cavaliere, forse io e lei stiamo cercando la
stessa persona, senza che lo potessimo sapere prima”. Galvano
la guardò un attimo pensieroso, poi disse: ”Mia signora ho la
netta sensazione che voi abbiate ragione sulla nostra ricerca,
che ne dite se uniamo le nostre forze, in modo che vi possa
anche fare da scorta durante quest’avventura?”. Subito la
damigella rimase un po' stupita per l’inattesa offerta, poi,
pensandoci meglio, rispose: ”Messer cavaliere, in questi tempi
ogni compagnia onorata, ancor meglio se di un cavaliere, è ben
accetta, soprattutto se si deve ottenere lo stesso scopo”.
Vedendo che i due ospiti si stavano spingendo un po' troppo in
la nelle rispettive offerte per i propri gusti, l’eremita si rivolse
al cavaliere e chiese: ”Messere, gradirei sapere chi voi siate e
da dove proveniate, non vi chiedo il vostro scopo in questo
viaggio perché me lo avete gia palesato poco anzi, quando siete
arrivato”. Galvano esitò un attimo, poi disse: ”Il mio nome è
Galvano e vengo dall’onorata corte di re Artù di Camelot e,
come ho gia detto, sono alla ricerca del misterioso e
giovanissimo cavaliere che fece visita al regno del Monsalvato,
mandandolo in malora per non aver posto la debita domanda al
momento opportuno”. Saputo a chi stava parlando, l’eremita ne
rimase enormemente compiaciuto, ma la damigella si rabbuiò
enormemente e prese a dire: ”Siate eternamente dannato,
messer Galvano, perché appartenete alla schiatta ed alla corte di
quel peccatore senza speranza che è Artù di Camelot, il quale
fu aiutato dalla qui presente all’epoca dell’avventura alla
cappella di Sant’Agostino, senza che io ne potessi alcun
beneficio possibile, oltre a quella testa mozza che vedeste poco
prima all’arcione del mio mulo”. Galvano la interruppe,
dicendo: ”Mia damigella, mi spiace che il re mio zio abbia fatto
una cosa del genere, ma non era nelle sue intenzioni, tieni
presente che poi ha tenuto corte pochi giorni dopo averti
incontrata e, davanti a tutti quanti ha promesso di mantenere
una vita ed un comportamento come si convengono ad un re
121

come lui”. La dama, tutto altro che tranquillizzata, invece,
riprese a dire: ”Degno nipote di un tal zio, villano e disgraziato
agli occhi del Cielo, nessuno di voi due conosce la buona
creanza di sapersi comportare come si deve davanti ad una
donna quale sono io, ed ora che ti conviene allontanarti dalla
mia vita, disgraziato di un cavaliere che non sei altro”
Le cose stavano peggiorato ulteriormente, quando l’eremita
fece segno di calmarsi tutti quanti, infine prese a dire:
”Immagino che siate entrambi curiosi di sapere perché,
nonostante la mia veneranda età, dimostri un aspetto così
giovanile; vi accontento immediatamente, spiegandovelo.
Dovete sapere che sei lustri fa fui chiamato nei territori del
Monsalvato, ove celebrai una santa messa assieme al Ricco Re
Pescatore nella cappella del Santo Graal, il quale concede la
grazia dell’eterna giovinezza a tutti quelli che lo servono”.
Immediatamente Galvano fu attratto da questo breve racconto,
alla fine non si trattenne dal chiedere: ”Messere, come potrei
raggiungere il Monsalvato nel minor tempo possibile?”.
L’eremita fu parzialmente sorpreso da tale domanda, ma nello
stesso tempo compiaciuto. Infatti rispose: ”Buon Galvano, devi
sapere che il percorso per arrivarci lo potrai trovare solo se
Iddio lo vorrà, perché, infatti, sta solo a Lui decidere chi è
degno di poter far visita, ed ovviamente abitare, in quel castello
veramente mistico”, subito dopo questa lapidaria risposta
dell’eremita, decisero tutti quanti di andare a letto per
rinfrancarsi.
Il mattino dopo Galvano si alzò all’alba e trovò che l’eremita e
la dama erano gia pronti per cantare messa e non attendevano
altro che lui; come il santo rito fu terminato, Galvano notò che
la giovine era molto triste e, avvicinatala, le chiese:
”Madamigella, come mai la mestizia vi ha assalito in quel
modo?”
La dama, compiaciuta invero, disse: ”Messer Galvano, vi
ricordate della testa monca che vedeste ier sera, quando
122
qualche notizia del mio caro compagno, sir Galvano?”. Al che
la damigella disse: ”Dalle ultime notizie che ho avuto, stava
inseguendo un perfido signorotto che rapì qualche tempo fa la
regina Ginevra, sua zia, e ha giurato di non aver pace se non
avrà compiuto l’impresa. Se non arriva presto da queste parti,
sarò costretta a morire sul rogo, perché non ci sarà nessuno che
mi difende”
”Madamigella non dovete preoccuparvi per questo, perché
entro domani mattina voi sarete liberata da questa prigione e
dal problema del rogo che vi sta minacciando, ma dovete
promettermi una cosa, cioè di mantenere l’incognito sulla mia
identità fino alla fine del duello”
”La cosa mi fa trepidare alquanto, soprattutto per la salvezza
d’entrambi, ma accetto ben volentieri sapendo quanto siete
valoroso come cavaliere”
”Madamigella dovete stare tranquilla, in questa faccenda,
perché domani farò giustizia delle menzogne che vi hanno
macchiato l’onore così a fondo. Ora però devo chiedervi
umilmente il congedo, perché devo trovare un alloggio per
poter passare la notte”, quindi la damigella gli concesse
d’allontanarsi, dandogli, inoltre, la propria benedizione.
Subito Ivano ed il suo fidato leone ripresero la propria strada,
finché non giunsero nelle immediate vicinanze d’un fortilizio
ben difeso da ottime mura, ma il cui spiazzo anteriore era
completamente riarso e con le case e capanne totalmente
abbattute. Giunto che Ivano fu al portone del maniero, i servi
abbassarono il ponte levatoio, dicendogli: ”Cavaliere, lo
spiazzo ove vi trovate è enormemente pericoloso, vi conviene
entrare nel castello il più presto possibile, - subito uno di loro
vide il leone e disse - messere quella belva potrebbe minare la
nostra sicurezza, quindi vi chiedo umilmente di lasciarla fuori
in quell’orrendo spiazzo davanti al castello”. Ivano rimase
momentaneamente sorpreso per quell’appunto, ma poi,
accorgendosi del proprio compagno, si rivolse ai servitori del
247

dall’estremo gesto, quindi s’avviarono al noto pietrone
pensando alla promessa che tempo prima Ivano non mantenne,
meditando di suicidarsi, decidendo tra le altre cose: ”Se non
riesco ad uccidermi, scagliandomi su quella malefica pietra, che
mi venga la massima sventura, perché non merito di vivere
dopo quanto ho fatto a quella dolce dama che ho molto amata e
che porta il nome di Laudina”. A seguito di quelle
lamentazioni, da una cappella diroccata e dalla porta murata,
una voce di donna si fece sentire mentre diceva: ”Poveretta me,
sono la dama più infelice che esista al mondo, dato che sono
stata costretta a questa condizione da un cavaliere fedifrago che
non mantenne la promessa che aveva fatto”, a quelle parole
Ivano s’accostò al muro fesso della cappella e discusse con la
prigioniera chi dei due patisse l’infelicità peggiore di questo
mondo.
Alla fine della discussione, la misteriosa prigioniera disse:
”Dovete sapere il motivo del perché sia io la persona più
infelice di questo mondo: fui accusata ingiustamente da tre
cavalieri che mi diedero la colpa di tradimento nei confronti di
messer Ivano e se costui o il prode Galvano non si
presenteranno entro domattina, sarò condannata a morte per una
colpa che non ho commesso”. A sentire quelle parole, Ivano
disse: ”Mia cara damigella, uno dei cavalieri di cui speravate
l’arrivo e appena giunto, infatti vedete in me sir Ivano,
cavaliere della Tavola Rotonda e avendo saputo da voi il
pericolo, sono pronto a venirvi in soccorso, anche per espiare i
peccati di entrambi”. La damigella fu molto contenta di
quell’arrivo così desiderato ed inaspettato, ma subito prese a
dire: ”Prima di essere rinchiusa qui dentro viaggiai in tutte le
corti del regno, compresa quella di re Artù per cercare delle
vostre notizie, senza averne fino ad ora. Inoltre dovete sapere,
messere, che uno dei tre bifolchi era il siniscalco della mia
signora Laudina”. A quelle notizie, Ivano si preoccupò
parecchio, infatti subito disse: ”Mia signora, almeno avete
246
arrivaste? Ebbene devo portarla al castello dell’eremita nero,
altrimenti non potrò ritrovare la Dama Calva, ma ora è giunto il
momento di prendere il congedo, altrimenti non porterò mai a
compimento lo scopo della mia vita, arrivederci cavaliere ed
addio”, infatti il buon eremita aveva invitato con un gesto alla
dama di partire per la stessa strada ove era giunto Galvano la
sera precedente. Immediatamente anche Galvano si rivolse
all’eremita, dicendogli: ”Buon uomo è giunto il momento che
anch’io riprenda per la strada che mi conviene percorrere per
mantenere integra la mia probità in ogni situazione”. Al che
l’eremita gli disse: ”Messer Galvano non posso che augurarvi
buona fortuna per l’intento che avete in mente, ma
permettetemi un piccolo consiglio, prima che partiate; seguite
quel sentiero che si trova in quel canto alla vostra destra e
sperate in Dio se veramente volete ritrovare il Monsalvato e
tentare di salvare il Ricco Re Pescatore da nuove pene”, detto
questo congedò velocemente il cavaliere, il quale seguì
scrupolosamente il suggerimento del buon eremita.
Sul fare del mezzogiorno, Galvano s’imbatté in un giovane
appoggiato ad una pianta e gli si rivolse dicendogli:
”Buongiorno a te, ragazzo, come mai non stai lavorando come
tutti i bifolchi della tua età?”
”Sappiate, signor cavaliere, che mio padre era un pari vostro e
che io sto cercando colui che lo uccise alcuni mesi addietro”
”sappi allora che io sto cercando la vera e giusta strada per
giungere velocemente e sicuramente al Monsalvato, per rendere
omaggio al Ricco Re Pescatore, ma di grazia, giovanotto, potrei
sapere chi era il vostro defunto padre, che forse incontrai prima
dell’infausto scontro in cui morì?”
”Sono il figlio del cavaliere vermiglio, che fu ucciso da un
giovane cavaliere che si faceva nomare il Puro Folle e lo sto
cercando per potermi vendicare della morte del padre. Ma ora
permettetemi di darvi un consiglio amichevole, cavaliere,
dovete aumentare l’andatura del vostro cavallo perché il
123

pomeriggio sta avanzando e per le prossime venti miglia 2 non
ci sono ripari decenti per il vostro rango”, finalmente i due si
salutarono amichevolmente ed ognuno dei due riprese il proprio
viaggio.
Poche aune dopo, Galvano fu fermato da un misterioso
cavaliere, i cui colori non corrispondevano assolutamente a
nessuno dei suoi compagni d’arme, che gli disse: ”Messere, se
volete passare oltre dovete battervi con me e vincere, altrimenti
avrete sicuramente la morte e nel modo più orribile che possiate
immaginare!”. Galvano non aspettava altro ed accolse al volo la
sfida dicendo: ”Messere, anche se non vi conosco, accetto ben
volentieri la vostra sfida, anche perché non s’intralcia il
cammino di un cavaliere della Tavola Rotonda senza un valido
motivo, a maggior ragione se si tratta del nipote del re di
Camelot”. A sentire l’identità di colui che aveva fermato, il
misterioso cavaliere si riempì d’orgoglio e, senza altro
preavviso, si lanciò all’attacco di Galvano, il quale intuito il
pericolo, aveva gia messo la lancia in resta e spronò la propria
cavalcatura al galoppo più sfrenato contro l’infingardo che
stava comportandosi così slealmente, spingendo la propria
lancia nell’orbita del fellone ed uccidendolo sul colpo; come fu
in grado di estrarre la propria arma, Galvano riprese la propria
strada contento di quell’avventura fuori programma.
Arrivò la sera e Galvano aveva gia percorso le venti miglia
che il giovinetto gli aveva detto e non aveva ancora avuto alcun
segno di ricovero, finché, girata l’ennesima curva, si ritrovò
davanti ad un meraviglioso castello dal quale lo raggiunse un
giovane scudiero, il quale com’ebbe ripreso fiato, gli disse:
”Signor cavaliere siete giunto ben donde a questo castello
nomato dai suoi tanti padroni passati come Camaalot; sappiate
che è la sua attuale proprietaria, che noi servitori chiamiamo la
Dama Vedova, attualmente è in enormi difficoltà, avendo gia
2 Attualmente il miglio inglese misura 1609,34 metri.
124
liberato in quel modo, nonostante l’amputazione subita, il leone
non s’avventò contro Ivano, ma gli s’avvicinò facendo le fusa,
cosicché poté ringraziarlo come meglio poteva, addirittura
umiliandosi in modo ignobile, a tal punto da seguire il cavaliere
come un cagnolino quando il prode s’allontanò dal luogo della
lotta, proteggendolo e servendolo come se fosse il proprio
padrone. Poco dopo il leone sentì l’odore di selvaggina, quindi
si volse verso Ivano per aver il permesso di cacciarla per
entrambi; a quell’espressione d’adorazione, Ivano non poté
trattenere un sorriso, poi disse: ”Vai pure, fidato amico, perché
ormai è anche ora di dover mettere qualcosa sotto i denti e le
mie provviste sono ormai finite”. Il leone capì immediatamente
quello che gli era stato detto e partì inseguendo l’usta,
uccidendo ben presto un capriolo piuttosto grosso, quindi,
mentre aspettava il nuovo compagno, ne bevve il sangue, poi
ritornò sui propri passi portandosi seco la carcassa per offrirla
ad Ivano.
Vedendo il bottino, Ivano accarezzò la criniera del grosso
felino e gli disse: ”Mio buono e fido amico hai fatto un ottimo
lavoro fiutando ed abbattendo questa splendida preda, ora
abbiamo entrambi abbastanza cibo per alcuni giorni, ma
purtroppo per ora non abbiamo un tetto sotto cui dormire e
dispero di poterne trovare nei prossimi giorni” subito si misero
a cuocere la carne così procurata e, dato che il sole era gia
calato e non v’erano ripari degni di tal nome, i due compagni
furono costretti, dopo il pasto, a sdraiarsi nei pressi di una
radura li vicino; quella vita fu portata avanti per altri quindici
giorni, finché non arrivarono nei pressi della magica fontana
che diede tanti dolori al povero Ivano, il quale riconosciutala,
svenne per il gran dispiacere. Nel cadere, al cavaliere si sguainò
la spada che lo ferì atrocemente al braccio, a tal vista il leone
credette che il buon Ivano fosse morto, quindi fece in modo di
sollevare la spada per gettarvisi sopra. In quel mentre Ivano
rinvenne, appena in tempo per fermare il povero felino
245

imprigionato e lo fece condurre nei sotterranei del proprio
maniero. Andatosene il conte Alier, Ivano si fece avanti e disse:
”Mia signora, a questo punto mi vedo costretto a chiedere
congedo dalla vostra presenza, anche perché non mi sembra
lecito rimanere vostro ospite ancora a lungo, ma non crediate
che la cosa mi lasci indifferente, anzi sappiate che la cosa mi
dispiace alquanto, dovete in ogni caso pensare cosa potrebbero
dire i vostri vicini se venissero a sapere che ospitate un
cavaliere in piena forma senza alcun motivo”. Laudina chinò un
attimo il capo in preda ad un moto di dispiacere, poi disse: ”La
cosa mi dispiace molto, invero, ma devo convenire con voi che
il trattenervi con la forza potrebbe essere fonte di chiacchiere
ingiustificate da parte dei miei vicinanti, quindi mi vedo
costretta dalle convenienze darvi il congedo, ma ormai è notte
così vi chiedo di rimanere mio ospite ancora per questa notte
soltanto”. Il mattino dopo assistettero tutti quanti alla prima
messa del mattino, prima che sorgesse il sole, poi Ivano s’andò
ad armare con una splendida panoplia che gli aveva regalato
Laudina in persona, e prese la propria strada nuovamente da
solo. Cavalcando parecchi giorni, Ivano finalmente giunse
nuovamente alla corte di re Artù completamente ristabilito da
ogni sventura e raccontò ai compagni tutto quel che ricordava
di quelle avventure.
Capitolo 44
Mentre si trovava nel bosco, Ivano sentì un grido molto
doloroso e penetrante, giunto nel luogo donde veniva il
richiamo, vide un serpente che stringeva per le reni un leone e
dalle fauci sputava un’ardente fiammata; a quella vista Ivano
decise d’intervenire per salvare il leone perché considerava il
serpente velenoso e fellone. Subito il cavaliere brandì la spada
ed assalì l’immonda creatura, tagliandola in quattro pezzi,
accanendosi, poi, su questi ultimi fino a distruggere
completamente il perfido serpente, ma nella foga, purtroppo,
tagliò anche un pezzo della coda del povero leone. Vedendosi
244
perso altri sette castelli e questo è l’ultimo che gli rimanga,
nell’attesa che l’adorato figlio ritorni”
A quelle notizie, Galvano si preoccupò alquanto e chiese: ”Di
grazia, scudiero, si sa chi sia quel fellone che conquistò ben
sette castelli ad una dama senza difese?”
”Il fellone è noto come il Signore delle Paludi, che tra l’altro è
un villano veramente prepotente e potentissimo; ma ci stiamo
dilungando inutilmente qui fuori, dato che sta facendo buio. Se
volete ho anche l’ordine di condurvi al castello per offrirvi
ricetto per la notte”. Detto questo, lo scudiero voltò il cavallo e
galoppò verso Camaalot per avvertire la Dama Vedova che
Galvano si sarebbe fermato per la notte ed appianato le
eventuali difficoltà che si sarebbero presentate durante la
permanenza al castello, nello stesso istante Galvano intravide, a
margine della strada, una splendida tomba e si fermò a
contemplarla.
Durante la meditazione di Galvano, lo scudiero era giunto al
cospetto della propria padrona. Inchinatosi, disse: ”Mia signora,
il cavaliere straniero si è offerto di aiutarci ed ha anche
accettato di rimanere presso di noi mentre passa la notte,
sperando che le cose si appianino alquanto velocemente”, a
queste notizie, la Dama Vedova si volse verso la figlia, ivi
presente e nomata Dantrane, ed abbracciatala, iniziarono a
piangere entrambe dalla gioia per l’inaspettato aiuto. Una volta
che le due donne si furono riprese dalla splendida notizia,
fecero sellare i propri palafreni e furono condotte alla presenza
di Galvano, che si trovava ancora in meditazione davanti alla
lapide che aveva trovato sulla strada.
Subito Galvano si riscosse perché le aveva intraviste
nell’avvicinarsi, quando le due donne furono abbastanza vicine
da poter parlare nel modo appropriato, Galvano scese da
cavallo e prese a dire: ”Vi ringrazio, mie dame per l’ospitalità
che mi avete offerto per questa notte, vi garantisco che sarò in
grado di ricambiare ottimamente il favore, eliminando tutti i
125

problemi che avete con i vostri vicini, i quali mi sono stati
descritti come molto infidi”, la Dama Vedova non disse parola,
perché nello stesso momento aveva visto quanto stava
meditando Galvano e svenne senza proferir parola.
Fu così che toccò a Dantrane prendere parola ed a dire:
”Messere siete il benvenuto nella nostra umile dimora, sappiate,
inoltre, che la vostra protezione è molto gradita da noi povere
donne indifese; per quanto riguarda mia madre, dovete scusarla,
ma il suo cuore sperava nell’arrivo dell’amato figlio, che
oltremodo è anche mio fratello”
In quel mentre la Dama Vedova si riprese e, come la voce gli
ritornò, si rivolse a Galvano, chiedendogli: ”Di grazia,
cavaliere, posso sapere chi abbiamo l’onore di ospitare per
questa notte e per tutti i giorni necessari finquando i problemi
che ci affliggono saranno risolti?”. Galvano rimase in dubbio
qualche istante, poi si rivelò dicendo: ”Il mio nome è Galvano e
sono nipote di re Artù di Camelot, pronto a mettermi a vostro
servizio finché le vostre disgrazie non saranno portate a
termine”, nell’udire quel famoso ed onorato nome, le due
donne furono particolarmente contente, perché Galvano era uno
dei migliori cavalieri del mondo intiero.
Finalmente l’intiera brigata ritornò giubilante al castello, dove
le due dame si prodigarono immediatamente a disarmare
Galvano, dopo di che si misero tutti a tavola, imbandendola con
estremo sfarzo per un ospite di quel riguardo; durante il pasto,
la Dama Vedova si rivolse nuovamente a Galvano e gli chiese:
”Messer Galvano, spero che possiate darmi notizie sul mio caro
figliolo che manca dai suoi territori da moltissimo tempo e non
ci sta facendo sapere nulla di come stia”.
”A dire il vero, non so come si chiami, il vostro amatissimo
figlio, quindi non sono in grado di accontentarvi nel darvi
notizie su di lui, se potete dirmi qualcosa sulla sua persona
prima che partisse da questi luoghi, sarò ben contento di
informarlo su di voi”
126
danno è fatto e non possiamo farci più nulla; l’unica cosa che
dobbiamo fare è proseguire con le cure da dare a quell’ingrato
cavaliere”. Finita che ebbero la discussione, le due dame si
riconciliarono e concentrarono su Ivano la loro attenzione,
portandolo alla completa guarigione in brevissimo tempo.
Finita che fu la convalescenza d’Ivano, finalmente si fece vivo
anche il perfido Alier con tutti i suoi seguaci, facendo irruzione
nel borgo del castello di Laudina, mettendolo a ferro e fuoco.
Subito Ivano si rivolse alla castellana, che non aveva ancora
riconosciuto, e disse: ”È passato ormai abbastanza tempo da
quando mi sono riavuto dalla pazzia e questa è l’occasione per
vedere quanto valgo ancora e risollevare il mio onore
macchiato dal vagabondare nudo che ho fatto per così lungo
tempo”. Laudina fu immediatamente d’accordo e così Ivano
uscì con un distaccamento d’armati per contrastare il pericolo
incombente; subito Ivano incontrò un cavaliere avversario e
l’uccise al primo assalto, subito preso dalla ferocia della
battaglia, fece incetta di nemici, dando così l’esempio ai
compagni che vollero immediatamente imitare il suo valore.
Negli stessi istanti Laudina e Lunetta, assieme a tutti quelli
che erano rimasti al castello, stavano osservando dal mastio
quanto succedeva sotto di loro, lodando le prodezze dei propri
difensori ed Ivano in modo particolare. Alla fine dello scontro
l’unico attaccante rimasto in vita era il conte Alier in persona
che tentò di fuggire nel proprio castello, ma fu raggiunto a
poche aune di distanza. Immediatamente la notizia fu resa nota
al castello di Laudina, nel quale tutti gioirono per l’impresa.
Finalmente Ivano ritornò al castello con Alier e lo presentò alla
bella castellana come prigioniero del castello; sentendo questo,
Alier si prostrò al cospetto di Laudina e prese a dire: ”Questo
cavaliere può dirsi nella più grande ragione nel definirmi vostro
prigioniero, sappiate anche che, se lo desiderate, sono in grado
di ripagare tutti i guasti che ho provocato in tutto questo
tempo”, Laudina fu molto felice che il perfido fosse stato
243

addietro, mi potreste aiutare ad arrivare al primo castello che
potremmo trovare sul vostro percorso perché abbia le cure
necessarie. Non preoccupatevi delle mie nudità spero d’essere
ancora in grado d’usare quegli abiti che ho notato laggiù, vicino
a dov’ero pochi minuti fa e posso rivestirmi a mio agio”.
Rivestitosi che fu, Ivano si rivolse a Lunetta, dicendogli: ”Ora
che sono divenuto presentabile, possiamo prendere la strada per
arrivare dalla tua padrona” così, fattosi aiutare a montare in
sella, Ivano e la damigella arrivarono al castello. Mentre
attraversarono un ponte, Lunetta gettò la scatola, ormai
inservibile, pensando poi di raccontare a Laudina che fu persa
durante il ritorno.
Entrato che fu al castello, che ancora non aveva riconosciuto,
Ivano incontrò Laudina la quale l’aiutò a smontare di sella e
l’accompagnò nella sala del trono, intrattenendosi con lui fino
al pomeriggio inoltrato. Congedato che ebbe Ivano, Laudina
chiamò al proprio cospetto Lunetta alla quale infine chiese:
”Mia cara compagna, è giunto il momento di restituirmi la
scatolina con il prezioso unguento che t’avevo dato in custodia
per curare quell’infingardo che continuo ad amare così tanto”.
Lunetta abbassò lo sguardo e finse di cercarsi addosso l’oggetto
che l’era stato chiesto, poi in preda ad un enorme rossore, disse:
”Mia signora, dopo aver usato l’unguento come m’avete detto,
misi la scatolina in una tasca interna della mia veste e me ne
tornai al castello con Ivano, ma ora non riesco assolutamente
più a trovarla, devo averla persa lungo il tragitto per tornarcene
al maniero”. A quella scusa Laudina s’arrabbiò parecchio ed
iniziò a dire: ”Disgraziata di una Lunetta, ti rendi conto quale
danno hai provocato con la tua sbadataggine ed incuria verso
quel preziosissimo unguento che ora è diventato totalmente
inutilizzabile, grazie alla tua perdita?”. Lunetta capì
immediatamente l’errore che aveva commesso ed abbassò lo
sguardo piena di vergogna per la bugia che aveva detto poco
prima, ma Laudina si rischiarò alquanto e disse: ”Ormai il
242
”Gli posi nome Parsifal, perché è molto puro quanto folle,
anche se non gli ho mai rivelato neanche come si chiami, e
partì da questi luoghi sette anni orsono, dopo che uccise il
Cavaliere Vermiglio presso la corte di vostro zio. Alla morte di
quel cavaliere, il fratello di costui si alleò con il più feroce dei
nostri nemici, noto come il Signore delle Paludi, movendoci
feroce guerra proprio nel momento in cui eravamo
particolarmente deboli; purtroppo nessuno dei miei fratelli può
aiutarci, in quanto il Ricco Re Pescatore è caduto in sfinimento,
re Pelles della Gente Bassa si è ritirato in romitaggio presso la
cappella di Sant’Agostino alcuni lustri fa senza dirci il perché,
mentre il re del Castello Mortale, noto anche come Klingsor, è
meglio non fidarsi perché particolarmente infido e vuole
impossessarsi a tutti i costi del Monsalvato, pur non avendone
nessun diritto”.
”Effettivamente sono venuto a sapere alcune cose in più su
quanto mi avete raccontato, ad esempio vostro figlio venne alla
corte di mio zio poche ore prima di battere in quello splendido
modo il Cavaliere Vermiglio, essendo investito cavaliere anche
lui; per quanto riguarda vostro fratello, il Ricco Re Pescatore,
ho saputo che cadde in sfinimento dopo che un misterioso
cavaliere andò a trovarlo senza che gli ponesse alcuna domanda
su quanto stava succedendo sotto i suoi occhi”.
I tre commensali continuarono a discutere in questo piacevole
modo per parecchio tempo ancora, anche dopo la fine del pasto.
La piacevole conversazione, però, fu interrotta qualche tempo
dopo il tramonto, quando cinque cavalieri della Dama Vedova
tornarono da una fruttuosa partita di caccia, partita quello stesso
pomeriggio nei boschi dei dintorni; come il bottino della caccia
fu deposto nelle dispense, il capo dei cacciatori si fece ricevere
e, inginocchiatosi alla presenza della propria regina, prese a
dire: ”Nelle città e nei villaggi vicini si parla di un imminente
torneo nelle vicinanze per decidere arbitrariamente chi dovrà
difendere per il prossimo anno questo stesso castello”.
127

A questa novità, le due dame si volsero contemporaneamente
verso Galvano, quasi a chiedergli tacitamente di parteciparvi, il
buon cavaliere non se lo fece dire più esplicitamente e disse:
”Per l’onore vostro e di questo splendido castello, parteciperò
ben volentieri a quel torneo; orbene, cavaliere, mi sapete dire
quando si terrà questo straordinario torneo?”
Il cavaliere fu per un attimo colto alla sprovvista, poi si riprese
immediatamente e disse: ”Signore il torneo si terrà domani
nella spianata qui davanti e, come gia dissi alle mie signore, il
vincitore difenderà questo castello per tutto il prossimo anno”.
Galvano trattenne a stento la gioia per quelle notizie, dicendo:
”Benissimo, cavaliere, sappi che domattina vi parteciperò anche
io ed ho intenzione di vincerlo in brevissimo tempo”
Il cavaliere si rivolse nuovamente a Galvano, alquanto
sorpreso, disse: ”Messere spero che voi siate un cavaliere
veramente in gamba, perché i partecipanti di questo torneo
saranno veramente forti, ciononostante permettete a me ed ai
miei compagni di venire con voi ad assistere a quella tenzone”
”Sappi, cavaliere, che solo il figlio della tua padrona,
probabilmente potrebbe battermi in tenzone oppure in torneo,
per quanto riguarda la compagnia tua e della tua squadra è ben
accetta, dato che mi serve qualcuno che conosca chi devo
battere per ottenere la pace di questi luoghi tanto belli. Ma ora
conviene che andiamo tutti a dormire, perché la giornata di
domani sarà veramente piena d’emozioni per tutti”
Il giorno dopo, sentita la messa, Galvano si armò per andare a
duellare nel torneo, con il cuore gonfio d’attese di vittoria,
infine si rivolse alla Dama Vedova, dicendogli: ”Bella signora,
sappiate che scendo in campo unicamente per l’onore vostro e
della splendida Dantrane, durante l’attesa che torni quell’invitto
di vostro figlio, ma ora è meglio che vi chieda il congedo per
presentarmi al campo”.
”Messer Galvano, avete il mio congedo e quello di mia figlia,
oltre che alla nostra benedizione per quest’impresa che
128
prendine uno dei più belli anche per lui, quindi, come sarà in
grado di farlo, conducilo al mio cospetto”
Lunetta fece tutto quello che gli aveva ordinato la sua padrona
e partì al gran galoppo, per ritornare all’eremo dove vegetava
Ivano, vedendolo dormire della grossa, Lunetta colse il
momento enormemente favorevole e s’avvicinò ad Ivano ed
iniziò a spalmare l’unguento come gli aveva detto Laudina, ma
poi si disse: ”Se questo medicamento è così miracoloso, perché
non cospargerlo su tutto il corpo di questo splendido cavaliere?
Male sicuramente non gli farà, anzi sono sicura che lo renderà
ancor più vigoroso di quanto non lo sia gia” e lo spalmò su
tutto il corpo del cavaliere, consumando il contenuto
dell’intiera scatola. Subito Lunetta abbandonò le vesti che
aveva preso dal castello, in modo che risvegliandosi, Ivano
potesse trovarle immediatamente e s’andò a nascondere dietro a
dei cespugli che erano cresciuti li vicino. Finalmente Ivano si
destò dal suo torpore e notò che la memoria gli era tornata,
anche se non ricordava perché fosse giunto in quel posto e del
fatto che fosse totalmente nudo; a vedere le proprie nudità,
Ivano tentò d’andarsi immediatamente a nascondere, dicendo:
”Che onta e disonore farsi vedere in queste condizioni dalla
gente perbene, un cavaliere del mio pari che gira come un cane
completamente nudo, in che modo è potuto accadere tutto
ciò?”. Quella domanda rimase momentaneamente senza
risposta, anche perché Ivano tentò di rialzarsi, ma le gambe non
lo ressero tanto era debole, allora iniziò a chiedere aiuto per
potersi andare a riparare dove occhi indiscreti non potevano
vedere. Subito Lunetta montò in sella al proprio cavallo e
s’avvicinò nuovamente ad Ivano, facendo in modo che la cosa
fosse totalmente casuale ed Ivano la vide per primo e così fu.
Infine Lunetta arrivò abbastanza vicina ad Ivano, quest’ultimo
gli si rivolse e, non riconoscendola, gli disse: ”Madamigella, ve
ne prego, non so come muovermi celermente e sono
estremamente debole, per un’infermità che mi colpì tempo
241

compagna assai fedele e che mi vuoi molto bene, ma dovresti
ricordare che quel fedifrago non lo voglio sentire nominare, ne
tantomeno trovarmelo di fronte, qualsiasi sia la sua
degradazione attuale”. Lunetta fu molto contrita per quel
rimprovero, ma subito si riebbe e disse: ”Mia signora, vi
ricorderete per lo meno, quanto quell’uomo che non volete
sentire nominare sia valente tanto quanto cavaliere sia come
amante ed ora abbiamo assoluto bisogno di lui per quel grosso
grattacapo che abbiamo al nostro castello, se almeno il senno
ritornasse in lui”. Laudina divenne molto contrita nel farsi
ricordare il perché fossero in viaggio, infine disse: ”Buona
Lunetta, avete ragione su quanto m’avete appena detto e non
conosco alcun cavaliere così valoroso e cortese come colui che
speravo di rimuovere dal mio cuore, perché forse lo hanno
indotto a scordarsi della promessa, quindi conviene che
restiamo ad aiutarlo a rinsavire, anche perché possiedo un
unguento che mi fu donato tempo addietro e che potrebbe
aiutarci in questo caso, essendo garantito proprio per persone
uscite di senno, ma bisogna tornare al castello per recuperarlo,
anche a costo d’incontrare quel tracotante del conte Alier, che
vorrebbe mettere le mani sul castello e sulla magica fontana”
Subito le due damigelle tornarono al loro castello il più
velocemente possibile; ivi giunte, Laudina diede la scatola
dell’unguento a Lunetta, dicendogli: ”Carissima compagna, con
questa scatoletta ti consegno un incarico molto delicato ed
importante, vista la rarità del contenuto. Infatti dovrai usarne
pochissimo da spalmare solamente sulle tempie e sulla fronte
d’Ivano, perché è solamente lì il tormento che lo rende così
selvatico, ma non dovrai utilizzarlo su altre parti, perché
l’effetto potrebbe rivelarsi disastroso”. Presa che ebbe la
consegna, Lunetta s’era gia voltata per andarsene, quando
Laudina la bloccò sulla porta e gli disse: ”Prima di partire va
negli appartamenti del re e prendi di che vestire il buon
cavaliere, poi passa dalle scuderie e, montando il tuo destriero,
240
potrebbe riportare l’onore nei nostri possedimenti”. Come fu
nelle praterie di Camaalot, Galvano si rivolse al capo dei suoi
compagni e gli chiese: ”Messere, mi potreste indicare chi sono
il Signore delle Paludi ed il fratello del Cavaliere Vermiglio?”
”Quello alla nostra sinistra, la in fondo, è il Signore delle
Paludi, mentre poco più vicino v’è il fratello del defunto
Cavaliere Vermiglio, che è noto sotto il nome di Chaot il
Rosso, ma non posso sapere quali sarebbero le vostre
intenzioni, messer Galvano?”. Galvano osservò il compagno
con enorme tristezza, poi gli disse: ”Mio caro compagno saprai
ben presto cosa ho in mente per quei due farabutti pieni di
disonore, per ora non ho intenzione di rivelarti altro”, in quello
stesso istante fu impartito il segnale che dava il via al torneo e
Galvano con i suoi cinque compagni si gettarono
immediatamente nella mischia più fitta, disarcionando e
ferendo parecchi cavalieri, tra cui anche il perfido Chaot.
Finalmente anche il Signore delle Paludi si decise a scendere
in torneo contro Galvano e gli disse: ”Finora sei stato fortunato
a batterti con cavalieri notevolmente mediocri, messere, ma ora
dovrai vedertela con il più forte dell’intiera Inghilterra, se non
dell’Europa tutta, quindi ora sta in guardia perché finirai
veramente male”
”Se fossi in te non ne sarei così sicuro, sire perché i migliori
cavalieri della cristianità intiera sono alla corte di re Artù e tu,
da quanto mi risulta, non ne sei per nulla annoverato, quindi tra
i due quello che deve stare attento sei tu Signore delle Paludi
dei miei stivali”, detto questo, Galvano partì all’attacco e
scaraventò lo sfidante per terra di testa, facendo sì che l’elmo
del Signore delle Paludi penetrasse nell’arena per una buona
spanna. A quella vista tutti i presenti scoppiarono in una sonora
risata, dicendosi, vicendevolmente: ”Finalmente quel
prepotente del Signore delle Paludi ha trovato qualcuno che lo
ha sistemato per le feste, chissà come reagirà a questa pessima
figura in così vasto pubblico”
129

Vedendo che non c’erano più avventure, Galvano chiamò a se
i suoi compagni e, dandogli un cavallo per ciascuno, disse:
”Ora qui non c’è più niente da fare e l’onore delle vostre dame
è stato ristabilito, come omaggio a loro ed a questi luoghi,
portategli questi cavalli che vi sto affidando ora, sperando di
poterci rivedere presto, in situazioni molto migliori di quella
che vi siete appena trovati”
In quel mentre il Signore delle Paludi si riprese dal gran colpo
e, sciolto che ebbe il proprio elmo, ritornò a cavallo pieno di
furore e si rivolse a Galvano con questi accenni: ”Il mio onore
ha subito un grande smacco per tua mano, cavaliere, ora ti sfido
davanti a tutti a duello finché uno di noi due risulterà
totalmente sconfitto da questa singolar tenzone”, ma al primo
assalto Galvano lo colpì sì rudemente da farlo cadere
nuovamente di sella e lasciarlo tramortito per diverso tempo.
Ripresosi che fu, il Signore delle Paludi si rivolse a Galvano e,
con voce sottomessa, disse: ”Signore, voi siete veramente
troppo forte per me, non sono degno di continuare
ulteriormente il duello contro di voi, quindi vi prego di
accettarmi come vassallo di sua signoria che mi sta di fronte in
quest’istante”
Subito dopo se ne tornarono ognuno alla propria tenda, in
modo che l’araldo potesse proclamare il vincitore, infatti,
subito dopo si fece avanti un trombettiere che attirò l’attenzione
su di se e prese a dire: ”Il vincitore del torneo, e della difesa del
castello di Camaalot per il prossimo anno, è il cavaliere che
sconfisse platealmente il Signore delle Paludi facendolo proprio
vassallo”. Finita che fu la proclamazione del vincitore, il
Signore delle Paludi si rivolse nuovamente a Galvano,
dicendogli: ”Ora rendo pubblico a tutti i presenti in forma
definitiva la mia sottomissione a voi, messere, che riusciste a
battermi in duello fin troppo leale, concedetemi di essere vostro
vassallo da questo momento in poi”
130
della dimenticanza. In quel momento arrivò una damigella che
cavalcava un palafreno morello e, scesa di sella e toltasi il
mantello, si rivolse a tutti i presenti, dicendo: ”Buona giornata a
tutti quanti, tranne che ad un cavaliere che non ha mantenuto la
promessa fatta nei confronti della mia adorata signora Laudina,
che ora è molto delusa dall’inganno che costui ha protratto nei
suoi confronti, inoltre, messer Ivano deve sapere che la mia
signora non desidera più vederlo e chiede la restituzione
dell’anello che gli donò il giorno della partenza”, a quelle
parole Ivano annichilì per la sorpresa ed il dispiacere. Vedendo
il comportamento del cavaliere, la damigella gli s’avvicinò e,
presagli la mano, sfilò l’anello che portava al dito quindi
rimontò in sella andandosene velocemente dall’augusta corte.
Subìto che ebbe quell’affronto, Ivano perse completamente la
ragione e fuggì come un cane, senza che i compagni potessero
far nulla. Fu così che Ivano continuò a correre dissennatamente
senza ricordarsi nulla ed a mangiare la selvaggina cruda, man
mano che l’uccideva con le proprie mani. Un giorno un pio
eremita trovò lo sventurato e s’accorse del turbamento
prendendolo seco, nutrendolo e dissetandolo come si deve;
nutrito che fu, Ivano riprese la propria corsa, rimanendo in ogni
caso nelle immediate vicinanze dell’eremo, dov’era sicuro di
ricevere i necessari nutrimento e libagione, come gli gradiva.
Qualche tempo dopo, nel frattempo Ivano non dava segni di
miglioramento, arrivarono all’eremo anche Laudina e Lunetta
e, vedutolo di lontano così nudo e selvaggio, subito non lo
riconobbero; avvicinatesi che furono, Lunetta ebbe un moto di
sorpresa, poi disse: ”Mia signora, costui è lo sposo che voi
ripudiaste ormai diverse lune fa, guardate com’è ridotto, se non
fosse che ho riconosciuto la cicatrice che porta sulla gota
sinistra non l’avrei riconosciuto nemmeno io che lo conobbi
prima di voi, mia adorata signora”. Laudina fu molto indignata
nel sentirsi rivelare l’identità di quel selvaggio in quella del
marito discacciato, infatti disse: ”Lunetta so che sei una
239

intanto i compagni tentarono di convincere Ivano a tornare con
loro a Camelot, ma subito il nuovo castellano si fece desiderare,
ma poi fu convinto e si preparò a tornare a casa. Prima di
mettersi in viaggio, Ivano andò dall’amata Laudina, dicendo:
”Mia signora, il dovere che mi lega al mio re, Artù di Camelot,
m’impone di seguirlo a Camelot per avere i dovuti ordini,
quindi vi chiedo umilmente il congedo per poterli seguire con
tutta la dovuta tranquillità”. Laudina si mostrò immediatamente
contrariata, ma subito si riebbe e disse: ”Ti concedo la
possibilità di seguirei tuoi compagni, ma ricordati che entro un
anno devi tornare al mio cospetto, la pena è l’esilio dalla mia
contrada e dal mio cuore”. Ivano fu molto triste per
quell’ultimatum e disse: ”Mia signora, da quanto dite, mi state
dando troppo tempo per stare lontano da voi. Vi prometto
d’essere alla vostra presenza molto tempo prima dello scadere
dell’anno che mi avete dato, appena n’avrò il tempo di farlo”.
Nell’udire quelle cose, Laudina si rasserenò e prese a dire:
”Mio signore, quanto mi diceste mi rende molto felice, ma vi
chiedo solamente una cosa; prendete quest’anello che v’aiuterà
a scansare i pericoli che troverete nelle vostre avventure future,
a patto che voi siate un amante veritiero e leale, ricordandovi
sempre di me”, finito il tutto, i due coniugi si congedarono ed
Ivano prese il proprio posto alla corte d’Artù.
Capitolo 43
Una volta che ebbe lasciato Laudina, Ivano fu condotto da
Galvano a tutti i tornei ed alle giostre che erano organizzati nel
regno di Britannia, facendo sì che l’anno passasse senza che il
novello sposo se n’accorgesse, venendo a meno, in questo
modo, alla promessa. Nell’agosto di quell’anno, i due
compagni terminarono gloriosamente l’ennesimo torneo ed
ebbero l’onore d’una visita da parte d’Artù e dell’intiera corte;
a quella vista, Ivano si ricordò della promessa non mantenuta e,
preso dallo sconforto più totale, scappò dalla vista dei
compagni, appartandosi solingo a piangere per la vergogna
238
Galvano non si fece impressionare più di tanto da una
sottomissione così plateale e, rialzato in piedi l’antico rivale e
gli disse: ”Mi spiace messere, ma devo mandarvi nelle prigioni
di Camaalot, in virtù di quanto faceste impunemente in questo
contado, arrecando danno, col vostro indegno comportamento,
a due splendide dame indifese”. Il Signore delle Paludi fu
orripilato dalla prospettiva che gli stava dipingendo Galvano e,
in preda al panico più puro, prese a dire: ”Non mandatemi in
quelle tetre prigioni, altrimenti la Dama Vedova e sua figlia si
rifaranno su di me intanto che sarò loro prigioniero; piuttosto
preferisco andarmene da queste lande per un anno ed un giorno,
in modo tale che esse possano riaversi da quanto feci in questo
territorio” e così fu.
Immediatamente Galvano si presentò al re della giornata e,
inchinandosi con rispetto, disse: ”Messere, chiedo umilmente
licenza di tornarmene al castello di Camaalot per portare alla
Dama Vedova ed a sua figlia le notizie di questo glorioso
campo di giostra”
Il maestro di gara scese dal suo palco e disse, con voce
alquanto sonora perché lo sentissero bene tutti quanti:
”Messere, voi siete il vincitore di questo torneo, potete
prendere possesso del castello quando volete, anche subito se vi
aggrada”, a quelle parole Galvano s’inchinò col dovuto rispetto
e prese la strada per Camaalot, preceduto dai cinque cavalieri
che erano con lui e che portavano seco i cavalli che
costituivano il bottino di quella giornata tanto bella per loro.
Giunto che fu alla presenza delle dame, Galvano raccontò nei
più minimi particolari l’epica giornata appena trascorsa,
terminando disse: ”Mie care madame, sappiate che per tutto il
prossimo anno non avrete nulla di che preoccuparvi dal Signore
delle Paludi e quantomeno da Cahor il Rosso che sono stati
entrambi sconfitti da me, senza sapere chi io fossi”, finito che
ebbe il proprio racconto, Galvano fu ancor più onorato dalle
131

due dame che videro in lui il loro salvatore, quindi andarono
tutti a dormire in piena letizia.
Il mattino successivo, Galvano era gia alzato e pronto fin
prima dell’alba, così poté prendere la prima messa della
giornata nella cappella del castello di Camaalot; finita che fu la
sacra funzione, Galvano s’avvicinò alle due castellane e prese a
dire: ”Ormai qui non ho niente da fare contro quel brigante di
signorotto che vi vessava, quindi, se me lo concedete, vi chiedo
umilmente congedo per proseguire nella mia strada verso il
Monsalvato, ove vorrei giungere a portare sollievo al Ricco Re
Pescatore”
La Dama Vedova abbracciò con molto calore Galvano,
dicendogli: ”Mio signore ci avete reso un gran servizio nella
giornata di ieri, sarebbe una grave ingiustizia se vi negassi
l’autorizzazione alla partenza, soprattutto sapendoli vostro
nobile intento di alleviare le tremende sofferenze del mio
amatissimo fratello, quindi partite pure con le nostre più sincere
preghiere per un felice esito del vostro obbiettivo”, fu così che
Galvano riprese la strada per il Monsalvato, lasciando il
castello di Camaalot nella più grande letizia di questo mondo.
CAPITOLO 21
Cavalcando per molto tempo, Galvano giunse nei pressi di una
roccaforte nascosta tra gli alberi e circondata da un enorme
fiume che giungeva al mare. Mentre Galvano s’avvicinava
ulteriormente al maniero, gli venne incontro un orribile
nanerottolo dall’aria vagamente familiare, difatti era presente al
torneo di Camaalot, e salutatolo, il perfido nanerottolo gli disse:
”Messere siate il benvenuto nelle tenute e nel castello di
Marino del Piccolo Gomerret, se vi piace vi precedo per
avvertire la castellana della vostra presenza in modo che possa
accogliervi nel modo che merita un campione del recente
torneo, perché sappiate che la notte è alquanto vicina e non vi
sono altri caseggiati nei dintorni”
132
corte per ospitarvi tutti quanti come si conviene”, Artù ed i
restanti cavalieri della Tavola Rotonda si mostrarono
totalmente d’accordo, così, spedito il paggio ad avvertire
Laudina e Lunetta, guidò i suoi compagni all’avito maniero.
Saputa l’inaspettata visita, Laudina, la sua corte e tutta la
popolazione ne subirono un‘enorme gioia, quindi tutti quanti
decisero d’andare incontro ad Artù ed i suoi compagni, ma
prima l’intiero castello e le strade lungo il percorso furono
totalmente addobbati a dovere. Arrivato Artù al castello,
Laudina gli s’avvicinò con l’intenzione di tenergli la staffa, ma
il buon re non glielo permise con un gesto, scendendo di sella
da solo. La cosa fu notata da tutti i presenti e la lodarono
immensamente senza riserve. Nello stesso momento Galvano
notò la bellezza di Lunetta, la quale gli s’avvicinò, dicendogli:
”Messer Galvano, voi siete molto meglio di quanto mi
ricordassi dal precedente incontro che abbiamo avuto alla corte
di vostro zio, che anche oggi s’è mostrato veramente galante,
spero che anche voi facciate lo stesso nei miei confronti”.
Galvano scese da solo di sella ed avvicinatosi enormemente
alla bella Lunetta, gli disse: ”Cara signorina mi ricordo
perfettamente di voi ed anche voi siete certamente più bella di
quanto la memoria mi fece ricordare, ora permettetemi
d’esservi amico e protettore per tutto il resto della nostra vita”
subito iniziarono i grandi festeggiamenti per il
ricongiungimento tra Ivano ed il suo re.
Terminati che furono i festeggiamenti, Artù si presentò a
Laudina, dicendogli: ”Mia signora, io e la mia corte non
vogliamo più essere di peso alle vostre sostanze, quindi vi
chiedo la grazia di lasciarci partire tutti quanti”. Laudina si
rattristò parecchio perché temeva di separarsi dall’amato Ivano,
ma subito si riebbe e disse: ”Mio ottimo sire, la vostra richiesta
mi ricolma il cuore di dolore, soprattutto perché temo che il
mio adorato Ivano scelga di venire via con voi, ma rispetto la
decisione di tutti, compresa quella del mio nuovo sposo”
237

cavaliere che vorrebbe battersi contro uno di noi, con la
speranza di poterlo battere al primo assalto, se il mio buon re
me lo concede sarò io a battermi in singolar tenzone con
costui”.
Artù fece segno d’iniziare immediatamente il combattimento;
ma Keu rimase ben presto sconfitto, al primo assalto, dalla
lancia d’Ivano stesso, al che Galvano, a nome dell’intiera corte,
disse: ”Messer Keu, chi doveva essere il forte cavaliere che
vinceva gia al primo assalto, battendo costui? Mi sa che questo
misterioso cavaliere sia più degno di voi a sedere alla Tavola
Rotonda, vicino al nostro beneamato re”, Keu non rispose con
le parole, come suo solito in questi casi, ma parlò in sua vece il
gran rossore che gli salì per tutto il volto. Intanto Artù si rivolse
al misterioso cavaliere, dicendogli: ”Messere siete ben forte e
nessuno di noi conosce i vostri colori, ora vi prego di farvi
riconoscere in modo che vi possiamo ringraziare ancor meglio
per aver fatto tacere quell’essere malevolo che osa chiamarsi
mio siniscalco”. Subito Ivano alzò la visiera del proprio elmo e
disse: ”Ben volentieri, mio signore e re, ora penso che potete
riconoscere in me il vostro umile servitore e cavaliere Ivano,
figlio di re Urien”, a quelle parole Keu si fece ulteriormente
vergognoso d’essere stato sconfitto da colui che aveva deriso
solo pochi istanti prima, mentre il resto della corte lo
scimmiottò ulteriormente per la pessima figura che aveva
appena fatto, vantandosi d’essere tra i più forti della cristianità.
Calmatisi che furono gli animi, Artù prese la parola dicendo:
”Dato che abbiamo ritrovato il nostro compagno smarrito,
propongo di rimanere in sua compagnia per tutta la settimana
da qui a venire, sempre che il nostro Ivano non abbia niènte da
obbiettare”. Ivano s’inchinò rispettosamente al proprio re e
disse: ”Sire vi ospito volentieri presso il castello che ho
conquistato nell’ultima settimana, partendo anche dal fatto che
ho molte cose da raccontare all’intiera corte, ma prima
permettetemi di mandare un mio scudiero a far preparare la
236
Galvano fu molto stupito della cortesia dello sgorbietto,
perché conosceva quanto potessero essere maligni ed
inaffidabili i nani, ma si sorprese a dire: ”Fai pure signorino,
perché avete ragione sulla luce del giorno e non riuscirei a
trovare altri posti decenti da nessuna parte a quest’ora del
giorno” e ritornò nei propri pensieri contro i nani, mentre il
mostriciattolo tornava al castello. Giunto che fu al castello, il
nano corse immediatamente dalla sua padrona e gli disse: ”Mia
signora sta giungendo al castello un cavaliere che richiede
ricetto per la notte ed io glielo concesso a nome vostro, sappiate
inoltre che il suo nome è Galvano ed è il nipote prediletto di re
Artù di Camelot”. La castellana, che era veramente molto bella,
disse: ”Mio ottimo nano hai fatto bene ad ospitare tal cavaliere
al nostro castello, che oltre ad essere molto valoroso e famoso è
oltremodo uno splendido uomo ed io lo intratterrò come si
deve, ma ho paura per lui perché mio marito è molto geloso e
teme soprattutto la presenza di costui, oltre ogni misura ed in
modo alquanto ingiustificato, perché messer Galvano è noto per
rispettare enormemente il gentilsesso che io qui rappresento”. Il
perfido nano, a sentire quelle parole piene d’ammirazione e
d’apprensione contemporaneamente, prese a dire: ”Mia signora,
non dovete temere nulla da vostro marito, perché da parte mia
non saprà assolutamente nulla”, così la dama si rincuorò
alquanto, senza sospettare cosa stesse tramando il piccolo
infingardo.
Nel frattempo Galvano stava varcando il ponte levatoio del
castello e, giunto nella corte interna del maniero, fu ricevuto
dalla dama in persona che lo onorò ed accudì come si deve
finché la cena non fu servita. Durante il pasto, Galvano
continuò a guardare ripetutamente la splendida castellana,
perché non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, anche se
l’impresa che doveva compiere gli imponeva di rimanere casto
fino al compimento della medesima.
133

Mentre i due cenavano, fu approntato il letto per l’illustre
ospite in modo tale che si poteva andare a riposare appena gli
fosse piaciuto, difatti come si fu alzato dal pasto, Galvano
disse: ”È giunto il momento che mi vada a coricare, perché
oggi ho molto cavalcato e domattina devo essere gia pronto alla
partenza prima che sorga il sole”. Il nano s’intromise
immediatamente e molto bravamente, dicendo: ”Mia signora
non preoccupatevi di fare compagnia al messere, resterò io con
lui finquando non si sarà completamente addormentato poi
verrò ad occuparmi di voi”.
Una volta che Galvano si fu totalmente assopito, il perfido
nanerottolo scese al fiume e, presa una barchetta, attraversò il
poderoso fiume e si precipitò da Marino, dicendogli: ”Messere,
nel tardo pomeriggio è giunto al vostro castello il nuovo ganzo
di vostra moglie, colui che temete più di tutti, quel bellimbusto
di messer Galvano della corte di Camelot”. A quelle nuove,
Marino divenne veramente furioso e, contemporaneamente,
estremamente geloso, così da prepararsi e partire all’istante.
Il mattino successivo, la dama andò a controllare che Galvano
ebbe apprezzato quanto fatto per lui; come fu entrata nella
stanza e non vide il nano ai piedi del letto capì quanto era
successo durante la notte e, accostatasi al cavaliere lo svegliò
dicendogli: ”Messere se restate qui un solo minuto in più sarete
in grave pericolo, quindi vi prego di prepararvi velocemente e
di raccogliere tutte le vostre cose, andandovene il più
velocemente possibile, perché quel perfido nano è andato
sicuramente ad avvertire della vostra presenza quel geloso di
mio marito. Se quegli vi trovasse qui mezzo nudo, potrebbe
uccidervi solo per aver sospettato di aver dormito con me”
”Mi è giunta voce della gelosa fama di vostro marito, il
perfido Marino il Geloso, quindi accetto ben volentieri il vostro
suggerimento di prepararmi il più velocemente possibile, però
sappiate, splendida dama, che quando il perfido arriverà io non
sarò per nulla lontano, pronto ad intervenire in qualunque
134
immediatamente cosa stesse succedendo, quindi il gran
ciambellano s’avanzò e disse: ”Mia signora, l’intiera corte ha
gia capito cosa ci volete dire e sappiate che approviamo la
vostra decisione, qualunque essa sia”. Avendo avuto il
beneplacito dell’intiera corte, Laudina disse: ”Dopo sei anni di
tirannia è venuto a mancare il signore di questo castello, sir
Esclados, quindi ho deciso di prendere come marito il qui
presente principe Ivano, figlio di re Urien, cavaliere d’altissimo
lignaggio ed appartenente ad una corte di ancor più alta
levatura sperando che possa far risalire le nostre ormai misere
fortune”; a quel fausto annuncio, tutta la corte esultò di gioia. Il
rito fu immediatamente approntato, cosicché i festeggiamenti
durarono molto a lungo, finquando non arrivò alla fonte anche
re Artù con tutta la sua corte, una volta che tutti furono arrivati,
Keu mise in moto la sua lingua tagliente contro il povero Ivano,
iniziando a dire: ”Non vedo quel pivello codardo che tutti
nomiamo Ivano della nobile stirpe di re Urien, spero che non si
sia andato a nascondere per paura d’una semplice tempesta
come quella che stiamo per scatenare in questo ameno luogo
che non farebbe orrore nemmeno ad un misero usignolo”.
Galvano, avendone abbastanza delle intemperanze del
siniscalco, lo rampognò dicendo: ”Messer Aspide, non vi
ricordate per caso della cortesia e del valore del compagno
assente, tanto è corta la vostra memoria? Oppure state parlando
mosso dalla volgare invidia che avete nei suoi onorati
trascorsi?”, ma non ottenne risposta, perché le sue parole
avevano colpito nel cuore il perfido siniscalco a tal punto da
togliergli qualunque risposta che avesse preparata nel
frattempo. Subito Artù prese dell’acqua dalla fontana e,
versatala sul vicino masso, scatenò l’ormai nota tempesta.
Accorgendosi della stessa, Ivano fu costretto ad uscire dal
castello ed affrontare il coraggioso che l’aveva provocata,
giungendo non riconosciuto davanti al viscido Keu, il quale
prese a dire: ”Mio signore, guardate un cagnolino vestito da
235

iuscito a trovare messer Ivano com’è stato ordinato”, Laudina
si sorprese alquanto che fosse stato trovato così presto.
Ripresasi che fu, Laudina disse: ”Fatemelo entrare e che tutti
quanti escano dalla stanza, con l’esclusione della mia
fedelissima Lunetta, perché voglio avere un incontro privato
con messer Ivano per discutere della corte di re Artù e d’un
eventuale matrimonio tra noi”. Senza che gli fosse detto altro,
Lunetta andò da Ivano con la missiva che gli aveva dato la sua
padrona, subito Ivano disse: ”Vi seguo con vero piacere, mia
signora, perché non vedo l’ora di rincontrare la vostra signora,
la splendida Laudina”, così Lunetta il prese per mano e lo
condusse da Laudina in persona. Arrivato che fu da Laudina,
Ivano rimase alquanto intimorito per lo spavento, ma Laudina
assediò terribilmente il poverino che subito Ivano capitolò con
immenso piacere, quindi Laudina gli s’avvicinò e disse:
”Messer Ivano, gradisco la vostra capitolazione nei miei
confronti, ora chiedetemi tutto quel che volete”. Subito Ivano
s’inchinò profondamente a Laudina e disse: ”Madamigella
chiedo perdono per l’omicidio di vostro marito, ma vi chiedo
anche d’amarmi perché ho lasciato il mio cuore nel vostro
petto”. Laudina lo fece alzare e gli disse: ”Mio buon cavaliere,
sapendo il perfido comportamento del mio defunto marito, non
posso far altro che perdonarvi, ma vi dirò un’altra cosa, vi
accetto come mio sposo perché la mia carica di castellana
merita soltanto un cavaliere migliore che si possa desiderare.
Prima d’accettarvi come mio sposo, però, devo porvi una
limitazione: difendere in ogni caso ed ad oltranza, la magica
fontana che avete gia vista l’altro giorno”. Ivano non ci pensò
su e disse: ”Per amore vostro farei qualunque cosa, compreso
tradire i miei antichi compagni, ma ora conviene che la vostra
corte sappia cosa vi stia succedendo, prima che facciano
illazioni sbagliate”, Laudina annuì senza dir niente, quindi si
misero gli abiti più belli del guardaroba regale e si mostrarono
all’intiero castello. I cortigiani come li videro indovinarono
234
istante”. Finito che ebbe di radunare le proprie cose, Galvano
tornò dalla bella castellana e gli disse: ”Sono pronto per partire,
ma non voglio andarmene se prima non mi date il vostro
congedo davanti all’intiera corte”, la bella dama fu molto felice
di congedare il prode cavaliere, anche se in una sola notte non
ebbe l’occasione di conoscerlo come si deve con un tal
galantuomo.
Uscito che fu dal castello, Galvano si nascose dietro un
vetusto albero nelle immediate vicinanze per vedere se i timori
della bella fossero stati fondati, infatti subito arrivò
Marino,scortato dal malefico nano, ed andò immediatamente
nelle stanze della moglie: come l’ebbe raggiunta, dall’esterno
s’iniziò a sentire il perfido marito a gridare:”sgualdrina che non
sei altro, hai intenzione di disonorarmi in modo ignobile? Ora
voglio sapere all’istante ove hai nascosto il tuo ganzo, col quale
hai passato in lussurioso piacere l’intera notte?” ma la poverina
continuava a tacere per la gravità e l’infondatezza delle accuse
mossegli dal consorte, sospettando che il nanerottolo gli avesse
raccontato qualche balordaggine per fomentare l’innata gelosia
del marito.
Marino, vedendo che la moglie non rispondeva nulla, la
trascinò fuori e, sempre pungolato dal perfido nano, gli disse:
”Puttana che non sei altro, ti faccio vedere io, ora come si fa
riportare all’ordine gli esseri inferiori come tu sei; se vuoi salva
la vita voglio che tu ti spogli completamente, qui fuori e
davanti a me e questo gentiluomo di nano”, come la poverina fu
completamente nuda, Marino gli legò le braccia dietro la
schiena e la immerse completamente in una vicina sorgente
d’acqua gelata ed iniziò a percuoterla selvaggiamente, aiutato
dal nanerottolo, a tal punto che in pochissimo tempo quelle
limpide acque divennero rosse di sangue. A quella disumana
tortura, la poverina iniziò a gridare forte dal dolore e dal gran
freddo, finché non urlò queste parole: ”Pietà signore mio, la
vostra gelosia è totalmente fuori luogo perché questa notte non
135

ospitai alcuno nel nostro castello”. Quelle parole così disperate
fecero sì che Galvano uscisse dalla macchia ove si era nascosto,
ed iniziò a dire: ”Fellone che non siete altro, messere, anche se
costei è vostra moglie, che diritto avete di percuoterla in quel
terribile modo, quando non fece niente di ciò che voi
l’accusate?”. A quell’intromissione così poco propizia ai suoi
occhi, Marino divenne ancor più geloso e, riconosciuto nel
cavaliere Galvano, lo assalì senza nessun avvertimento, con la
speranza d’ucciderlo sul colpo, ma il prode cavaliere lo scansò
abilmente e, bloccatolo dal ritornare alla carica, gli disse:
”Signore, se cercate il duello, preparatevi che io sono in grado
di battervi all’istante”. Marino si riprese dalla sorprendente
mossa di Galvano e rispose: ”Se riuscirete a battermi
nonostante che stanotte abbiate amoreggiato con quella
prostituta che osa chiamarsi mia moglie, mi metto al vostro
totale servizio e concedo la libertà incondizionata a quella
sgualtrina laggiù”, al primo assalto, Marino capì
immediatamente di non aver alcuna speranza di battere
Galvano e, scansato il colpo, si voltò ad uccidere la povera
dama che pensava a torto traditrice della fedeltà coniugale,
quindi s’andò a rifugiare nella rocca, seguito dal perfido
nanerottolo.
Galvano rimase sorpreso, nell’immediato, per la repentinità
dell’azione, ma ripresosi, riuscì a raggiungere il perfido nano
ed a calpestarlo sì crudelmente da ammazzarlo all’istante,
anche se con grande scorno non riuscì a rivalersi sul geloso
marito. Accertata la morte del piccolo sgorbio, Galvano tornò
dal cadavere straziato della poverina e lo ricompose in una
vicina cappella, con la speranza che qualche anima pia di
passaggio si attentasse a seppellirla, componendo, tra l’altro il
seguente epitaffio:
Povera dama così bella,
Giovane e sfortunata,
Vittima della gelosia coniugale
136
raccontarci come riusciste ad uccidere così valorosamente il
mio defunto marito, dato che era veramente forte nei duelli?”.
Ivano si permise di sedersi, poi iniziò a raccontare come il
perfido cavaliere lo provocò, costringendolo a battersi con lui e
all’inseguimento sino al castello ove si trovavano in quel
momento, come fu finito il racconto d’Ivano, Laudina gli
s’avvicinò, dicendogli: ”Messere, riconosco la fellonia del mio
defunto marito, quindi approvo il vostro comportamento
improntato sulla difesa della propria vita, sappiate inoltre che
anch’io mi sono perdutamente innamorata di voi, ma ora è
giunto il momento di separarci, almeno per convenienza”.
Allontanatosi che fu Ivano, Laudina si rivolse a Lunetta e gli
chiese: ”Mia cara Lunetta, sono proprio curiosa di sapere da voi
chi sia quel bellissimo e misterioso cavaliere di cui, lo hai
sentito, mi sono perdutamente innamorata”. Lunetta sembrò
titubare per un attimo, poi disse: ”Mia buona signora sappiate
che colui di cui siete perdutamente innamorata è Ivano, figlio di
re Urien, uno dei più grandi e valorosi cavalieri che si possano
mai trovare sulla terra, se escludiamo i membri della Tavola
Rotonda di re Artù”, sentendo la vera identità del cavaliere,
Laudina esultò di gioia perché colui di cui s’era innamorata
proveniva da una famiglia d’altissimo lignaggio. Subito Ivano
fu fatto cercare in modo tale che Laudina credette in una sua
lontananza ormai enorme. Intanto Lunetta si rivolse a Laudina
dicendogli: ”Mia signora, ricordatevi che re Artù è ormai vicino
ed è meglio sottomettersi al suo potere, ancor di più se teniamo
conto di vedere aumentata la nostra gloria personale”. Laudina
ci pensò qualche secondo, pochissimo invero, poi disse: ”Mia
cara le tue parole mi hanno convinto a seguire la proposta che
mi hai fatto, perché sembra molto sensata, visto il momento”.
Contemporaneamente Ivano si stava preparando a rientrare al
cospetto di Laudina, facendola attendere ancora per qualche
minuto; poco dopo mandò un armigero dalla splendida
castellana, alla quale disse: ”Mia signora, sono finalmente
233

quelle nuove, Laudina si corrucciò parecchio e, presa dall’ira, si
rivolse a Lunetta, dicendole: ”Disgraziata Lunetta, volete
tentarmi proprio il giorno in cui ho sepolto mio marito?
Potevate aspettare ancora qualche tempo, che passasse il
periodo del lutto, ma niente, sappiate quindi che m’avete
obbligata a scacciarvi, partite immediatamente e non fatevi mai
più vedere alla mia presenza”
Una volta che Lunetta se ne fu andata, Laudina si pentì del
proprio comportamento e la fece ritornare immediatamente alla
sua presenza. Come quella fu tornata, Laudina le chiese: ”Mia
cara Lunetta, poc’anzi mi sono comportata veramente in modo
indegno, ma ora ti prego di parlarmi di questo cavaliere
talmente prode da poter affrontare impunemente i cavalieri
della Tavola Rotonda di re Artù di Camelot”. Lunetta riprese
fiducia in se ed iniziò a dire: ”Mia buona signora, sappiate che
or ora questo gran cavaliere vive in una situazione di grande
indigenza ed è costretto a letto proprio in questo castello e mi
sto prendendo personalmente cura di lui, sperando un tuo
consenso in questo mio operato. Ora se vi piace, farò in modo
di condurlo alla vostra presenza, per vedere se vale la pena di
considerarlo per la difesa vostra e della fontana”, come Laudina
ebbe acconsentito, Lunetta tornò da Ivano per portarlo al più
presto dalla sua padrona, ma dato che la notte avanzava,
pensarono, in comune accordo, d’andare da quella bellezza il
mattino successivo, appena l’ora fosse adeguata. Quella notte
Laudina si rigirò nel letto pensando come salvaguardare la
fontana.
Capitolo 42.
Il mattino successivo, Laudina fece nuovamente chiamare
Lunetta ed il misterioso cavaliere; come i due furono alla
presenza della castellana, Laudina si rivolse a lunetta dicendo:
”Mia cara, rinnovo le mie più sentite scuse per quanto successe
ieri pomeriggio, ma ora non pensiamoci più”. Subito Laudina si
rivolse ad Ivano e gli disse: ”Messer cavaliere, potete
232
Con la sola colpa d’aver ospitato
Un uomo in assenza del marito.
Il sacrificio di costei non sarà invano
Con il colpevole impunito alla giustizia
Terrena per quanto fece in questo loco
Augurandomi di poterla seppellire
Una volta che il sacrificio sarà vendicato.
Fatto tutto il possibile in quel posto, il prode cavaliere se
n’andò per la propria strada con la più cupa tristezza
nell’anima, al che iniziò a cantare tra se una triste canzone che
suonava in questo modo:
Povera dama così bella,
Giovane e sfortunata,
Vittima della gelosia coniugale
Con la sola colpa d’aver ospitato
Un uomo in assenza del marito.
Il sacrificio di costei non sarà invano
Con il colpevole impunito alla giustizia
Terrena per quanto fece in questo loco
Augurandomi di poterla seppellire
Una volta che il sacrificio sarà vendicato.
CAPITOLO 22
Fatta che ebbe poca strada, Galvano incontrò un cavaliere che
cavalcava stando in sella al contrario, portando l’intiero
equipaggiamento al rovescio. Vedendo quello strano spettacolo,
Galvano s’avvicinò a quell’uomo così strambo e gli chiese:
”Messere, come mai avete tutto alla rovescia e cavalcate al
contrario?”. Sentendo quella domanda, il cavaliere riconobbe
Galvano e gli disse: ”Ora posso rimettere tutto quanto
nell’ordine stabilito, perché come da profezia non potevo farlo
se non incontravo prima il valente cavaliere nomato Galvano di
Camelot, che ora mi sta di fronte. Io invece sono conosciuto
come il Cavaliere Codardo, perché non oso mai prendere in
mano nessuna arma, nemmeno per difendermi”. In quel mentre
137

arrivò, al gran galoppo, un cavaliere armato con uno scudo
bianco e nero e, rivolgendosi a Galvano, gli disse: ”Messere mi
manda il mio sovrano, Marino del Piccolo Gomorret, per
battermi contro messer Galvano della Tavola Rotonda, contro
chi di voi due devo rivolgere la punta delle mie armi?”.
Vedendo che sul momento nessuno rispondeva, il misterioso
cavaliere continuò a dire: ”Se dovessi perdere la sfida prometto
che io ed il mio signore ci sottomettiamo alla volontà di messer
Galvano, ad unica condizione, però, quella di aver salva la
vita”. Sentendo quelle parole, il Cavaliere Codardo disse: ”Per
quanto mi riguarda, nessuno di voi due mi s’arrischi a
domandarmi aiuto, perché io non prenderò le parti di alcunché
in questa disputa ed in nessun altra che incontrerò in futuro”.
Galvano si fece avanti e disse: ”Messer Codardo non
preoccupatevi di me perché posso farcela da solo in qualsiasi
situazione; per quanto riguarda le vostre pretese, signore, il
cavaliere che cercate con la speranza di battere sono io e mi
trovate gia pronto al duello”. Subito i due sfidanti si
prepararono a fronteggiarsi, ma ben presto fu chiaro che
Galvano fosse nettamente superiore allo sfidante, il quale fu
atterrato quasi subito; ripresosi che fu, lo sfidante s’andò ad
inchinare a Galvano, dicendogli: ”Messere non mi era stato
detto che eravate tanto forte da essere impossibile da battervi,
quindi se me lo concedete, io mi arrendo alle vostre armi”
”Messere, voi avete ubbidito solo a degli ordini che vi sono
stati impartiti, per questo non avete nessuna colpa e per quanto
mi riguarda potete andarvene impunemente, senza timore di
subire alcuna conseguenza per quanto avete fatto in questa
radura contro la mia persona, anzi se volete posso farvi mio
vassallo, in modo che possiate tenere sotto controllo quel
geloso di Marino del Piccolo Gomorret”, come il cavaliere ebbe
accettato l’investitura, Galvano lo fece tornare ai suoi compiti.
Finalmente l’antico vassallo di Marino il Geloso se ne tornò a
casa, quindi Galvano si poté dedicare completamente al
138
dare le debite istruzioni per la lapide del marito defunto, sulla
quale fu scritto il seguente epitaffio:
Qui giace l’infame re delle tempeste,
Che osò attaccare il prode Ivano,
Cavaliere della Tavola Rotonda,
Rimanendone mortalmente ferito.
al momento che lei se n’andò, Ivano la scorse meglio ed iniziò
a dire: ”Dama Laudina siete tanto bella e sfortunata, sappiate
dunque che fui io la causa della morte di vostro marito, ma non
per colpa mia, ma perché fui costretto a difendermi contro le
sue intemperanze che mi accusavano di codardia e disonore;
sappiate inoltre che mi sono innamorato di voi gia dalla prima
volta che vi vidi nel momento che mi veniste a cercare
poc’anzi, quando vostro marito sanguinò alla mia invisibile
presenza” ma la voce del povero innamorato non arrivò alle
orecchie della gran vedova che se n’andò senza udirlo e
lasciandolo completamente solo nella sua disperazione
Proprio in quel mentre la prigione d’Ivano s’aperse
nuovamente ed entrò Lunetta che l’era gia venuto a trovare e gli
disse: ”Messer Ivano, è giunto il momento che v’aiuti a fuggire
da questo posto, ma vedo che abbassate gli occhi, non è per
caso che vi siete innamorato perdutamente della mia padrona?
State sospirando, devo immaginare che ho visto giusto nel
vostro cuore, dato che è sicuramente così non vi dovete
preoccupare perché sono la confidente ed accompagnatrice
particolare della buona Laudina e gli rivelerò tutto quel che
turba il vostro cuore così infatuato in questo mesto giorno, ma
ora mettetevi a vostro completo agio”. Subito la ragazza tornò
dalla sua signora e, inchinatasi, prese a dire: ”Mia signora, so
che la perdita che avete subìto è grande, anche perché v’è in
arrivo alla fontana proprio re Artù con tutta la sua corte, ma di
questo non vi dovete preoccuparvi, dato che un cavaliere vi ha
messo gli occhi addosso ed è molto più valente del defunto;
garantisco per lui che vi ama con tutta l’anima ed il cuore”. A
231

loro padrone era appena spirato. La damigella fece appena in
tempo a rivolgersi ad Ivano con queste parole: ”Messere è il
momento d’usare l’anello che vi ho dato e, mi raccomando,
statevene ben fermo altrimenti vi troveranno immediatamente,
così potrai burlarvi di loro senza essere scorto”, la cosa fece
inferocire i bifolchi perché non trovarono nessuno nella stanza.
I cavalieri stavano per uscire dalla stanza completamente
scornati, quando si presentò sulla soglia anche la vedova del
perfido cavaliere che non fece in tempo ad entrare, che svenne
immediatamente, allora la damigella la soccorse dicendogli:
”Signora Laudina, coraggio che siete così bella e giovine da
poter riprendere marito” contemporaneamente a Laudina
furono fatti sentire anche dei Sali che la fecero rinvenire. In
quello stesso momento fu fatta entrare anche la bara
d’Esclados, il quale iniziò immediatamente a sprizzare sangue
dalle ferite che si era prodotto nel duello; a quella vista i
cavalieri ivi presenti ripresero a rovistare nella stanza perché in
quel loco vi doveva stare anche chi aveva ucciso il loro adorato
castellano, ma Ivano non si fece notare, anche se i paladini lo
ferirono in modo veramente grave. La cosa fece costernare i
presenti, perché non riuscirono a trovare nulla di colui che
consideravano l’omicida del loro padrone.
Subito i convenuti decisero di seppellire immediatamente il
defunto; finita che fu la cerimonia funebre, Lunetta, così si
chiamava la damigella che aveva soccorso Ivano, andò a
trovare nuovamente il suo protetto, per vedere come stava. Nel
frattempo Ivano aveva ripreso le sue sembianze e, vedendo
Lunetta, prese a dire: ”Madamina, chi era quella dama che
venne qui durante la mia trasparenza? Me ne sono
perdutamente innamorato e vorrei tanto rivederla, ma come
posso fare?”. Lunetta l’accontentò accompagnandolo ad una
finestra ove poteva vedere tutto quanto, quindi lo lasciò
nuovamente solo, andandosene al fianco della propria padrona.
Sepolto che fu Esclados, Laudina restò indietro per terminare di
230
Cavaliere Codardo e vide una cosa alquanto strana per un
cavaliere: la sua pelle non aveva la benché minima cicatrice
dovuta a duelli o battaglie; subito, però, Galvano si sovvenne
che doveva fargli una ben specifica domanda per la salvezza di
entrambi, quindi si rivolse al Cavaliere Codardo e gli chiese:
”Messer Codardo, come mai la Dama Calva porta il braccio a
dritta al collo?”
”Deve sapere, messer Galvano, che quella è la mano che
reggeva il Graal la sera sventurata in cui il misterioso cavaliere
omise di fare le debite domande al Ricco Re Pescatore e da
allora la Dama Calva si rifiuta d’usarla finché non sarà tornata
sana e salva al Monsalvato, sono spiacente, ma non so dirvi
altro”
”Messere, mi avete detto più di quanto desiderassi, in ogni
caso vi ringrazio di cuore, ma ora devo proprio riprendere il
mio cammino, se me lo concedete”
”Prima che ci lasciamo, vorrei che abbiate tra le vostre armi
anche la mia lancia, perché io non so di cosa farmene, dopo di
che vi raccomando a Dio e buona fortuna per le vostre imprese,
messer Galvano”
”Grazie per la vostra offerta, messere, tanto è vero che la mia
lancia è gravemente intaccata, quindi n’avevo bisogno di una di
riserva, a questo punto raccomando anche voi a Dio e vi auguro
altrimenti una buona fortuna”, finiti che furono i saluti, i due
cavalieri si lasciarono per prendere le proprie strade.
Fatto che ebbe un breve tratto di strada, Galvano incontrò un
cavaliere gravemente ferito ed iniziò immediatamente a curarlo,
come il ferito si riprese, raccontò a Galvano cosa gli era
successo, con questi accenti: ”Poche ore fa passai presso il
castello del Piccolo Gomorret e nella cappella che c’è nelle
vicinanze vidi il cadavere di una splendida dama orribilmente
straziato, pronto per essere sepolto, tentai di darle una tomba
come si deve, ma un cavaliere estremamente bruto mi piombò
addosso e mi ferì nel modo che or ora vedete. Sapendo che
139

nelle vicinanze v’è un sant’eremita, mi ci sto dirigendo per
farmi confessare prima che la morte mi venga a prendere”,
quindi i due si lasciarono e Galvano proseguì al galoppo più
sfrenato in cerca di nuove avventure. Dopo una lunga cavalcata,
Galvano arrivò al castello della Dama Orgogliosa, così
chiamata perché non chiedeva mai il nome dei cavalieri che ivi
giungevano, la proibizione era tale che nemmeno i servitori
osavano domandare alcunché agli ospiti che arrivavano, anche
se per il resto era una damigella molto bella e cortese, per di più
nubile, dato che voleva sposare solo il miglior cavaliere del
mondo. Una volta che fu smontato da cavallo, Galvano fu
portato nelle stanze interne, ove fu disarmato e vestito
sontuosamente e quindi portato dalla damigella; ricevuto che
ebbe Galvano, la Dama Orgogliosa lo prese per mano e lo
condusse in una cappella veramente sontuosa, ove vi erano
quattro bare vuote, vedendo l’espressione alquanto
interrogativa del cavaliere, la dama gli disse: ”Devi sapere che
tre di queste tombe sono destinate a tre dei migliori cavalieri
del mondo. Essi rispondono ai nomi di Galvano, il primo;
Lancillotto, il secondo e Parsifal il terzo, che devono essere
decapitati. Per quanto riguarda la quarta tomba è destinata a
me, dopo che i tre prodi saranno stati giustiziati perché possano
farmi compagnia, quando sarà il mio momento”, con questi
discorsi la splendida dama condusse fuori Galvano, il quale
stava sudando freddo, vedendo la propria morte così vicina.
Una volta che furono tutti ritornati nella sala da pranzo, un
corriere s’avvicinò a Galvano e, avvicinatosi al suo orecchio,
gli disse: ”Messere, mi è stato detto d’informarvi della presenza
nella foresta d’alcuni paladini, in compagnia di due cavalieri
che si sono presentati come messer Lancillotto e sir Parsifal”, la
notizia fece molto piacere a Galvano, il quale finì la cena
s’andò a coricare molto sollevato.
Il mattino successivo, Galvano era gia pronto allo spuntare del
sole, cosicché prese parte alla messa del mattino e, fatta una
140
mentre lo inseguiva, Ivano disse: ”Dove corri, vigliacco d’un
cavaliere che non sai affrontare un paladino della mia fatta
senza fuggire a nasconderti dietro le gonnelle della tua corte.
T’avverto che sarai preso dalle mie brame, vivo o morto, senza
che tu abbia possibilità di scappare oltre”. Giunto che fu al
ponte levatoio, Ivano tentò di passare la porta ferrata, ma scattò
un trabocchetto che gli uccise il cavallo e bloccò il cavaliere in
quella trappola mortale, mentre il perfido cavaliere si metteva
al sicuro.
Ripresosi che fu, Ivano prese a guardarsi attorno e vide che era
una splendida stanza, ma subito cadde in un’angoscia mortale
perché vide che non aveva via di fuga se non dall’apertura in
cui era caduto e vide fallito il suo tentativo di conquista e
vendetta solitaria. In quell’istante arrivò una splendida
damigella, la quale s’avvicinò al cavaliere e gli disse: ”Messere,
sappiate che il perfido Esclados è stato ferito mortalmente dalla
vostra spada, ed i congiunti del cavaliere hanno giurato di
vendicarsi su di voi, dopo che il paladino sarà morto. Inoltre
sappiate che vi ho conosciuto tempo fa alla corte di re Artù, il
quale fu molto gentile nei miei confronti come del resto anche
voi, messer Ivano figlio di re Urien e vi presto
momentaneamente quest’anellino perché ha dei poteri molto
potenti, infatti se volgete la gemma nel palmo della vostra
mano, diverrete invisibile e salvarvi in questo modo la vita,
comunque non preoccupatevi di questo prestito, perché me lo
restituirete una volta che sarete pronto ad uscire da
quest’avventura, ora distendetevi in quello splendido letto per
riposarvi e ristorarvi come si deve”; dicendo quelle ultime cose,
la damigella accompagnò Ivano al giaciglio, posto nella stanza
stessa e gli servì un ottimo cappone arrosto, accompagnato da
una splendida torta, il tutto innaffiato da una generosa quantità
di vino.
Ivano si ristorò a suo agio, com’ebbe finito il pasto, un gruppo
tumultuoso di cavalieri entrò per vendicarsi d’Ivano, perché il
229

anche Calogremant, immediatamente dopo arrivarono gli
uccelli come gli era stato narrato, i quali lo estasiarono in modo
inverosimile. Le divine meditazioni d’Ivano furono interrotte
dall’arrivo del cavaliere che disonorò Calogremant, che arrivò
pieno di furore e prese a dire: ”Messere, m’avete disonorato,
scatenando quell’improba tempesta, quindi dovete battervi
contro di me in un mortale duello”. Ivano accennò un sorriso
molto sarcastico e prese a dire: ”Messer Colerico, penso di non
aver fatto niente di male a scatenare quel misero temporale che
voi chiamate uragano, ma accetto volentieri il vostro duello, per
tenermi in esercizio, ma ad un patto, che prima mi si riveli il
nome di chi dovrò battere”. Il misterioso cavaliere montò
ulteriormente in collera, che riuscì a trattenere a stento, quindi
disse: ”Se proprio lo volete sapere, anche se penso inutilmente,
il mio nome, sono nomato Esclados e sappiate che cadrete ben
presto sotto i miei colpi”. Ivano si mise a ridere in modo
veramente sguaiato, ripresosi dall’eccesso, disse: ”Allora
preparatevi, messer Esclados, perché davanti a voi avete una
delle migliori lame del mondo, infatti sono noto col nome
d’Ivano, cavaliere della Tavola Rotonda e della corte di re Artù
di Camelot, quindi mettetevi immediatamente in guardia perché
non voglio ritardare oltre quanto m’avete chiesto”, subito i due
rivali misero le loro lance in resta e partirono alla carica.
\Il duello si protrasse per lungo tempo, perché i due rivali
erano parimenti forti e durante il combattimento le loro armi
sprizzavano scintille a non finire, mentre le rispettive armature
si staccavano dai corpi ad ogni terribile assalto dei contendenti;
finalmente Ivano trovò la guardia dell’avversario abbassata a
tal punto da potergli assestare un violentissimo colpo sull’elmo,
spaccandoglielo in due pezzi e scalfendo profondamente la
testa d’Esclados. Vedendosi così a malpartito, Esclados scappò
come un vigliacco dalla presenza d’Ivano e tentò d’andarsi a
rifugiare nel suo castello, che si trovava nelle immediate
vicinanze, ma Ivano l’inseguì fino alle porte del maniero;
228
frugale colazione, andò dalla Dama Orgogliosa, dicendogli:
”Madama è giunto il momento per me di partire da questo
splendido castello e dalla vostra compagnia, che purtroppo
devo lasciare così presto”. Fatta che ebbe una sola lega,
Galvano fu raggiunto da due cavalieri della Dama Orgogliosa e
gli dissero: ”Messere, la nostra signora ci ha ripensato e vuole
che voi torniate al castello con noi”, ma Galvano s’arrabbiò
alquanto. Calmatosi un po’ Galvano disse: ”Non se ne parla
neppure, anche se mi dispiace dirlo, ma ho una cerca da portare
a termine e devo portarla alla fine”, quindi s’armò di tutto
punto ed iniziò a caricare i due sventurati, infatti uno dei due fu
ferito molto gravemente. Vedutosi a malpartito, i due cavalieri
pensarono di tornarsene al castello di corsa. Arrivati che furono
dall’orgogliosa dama, i due gli dissero: ”Il cavaliere che avete
ospitato al castello si è detto spiacente, ma deve continuare la
propria strada, perché ha un’importante cerca da portare a
termine”
”Vi ordino di raggiungerlo e di portarmelo indietro anche
contro la sua volontà, perché sento d’aver bisogno della sua
presenza, anche se non conosco per niente il suo nome che deve
essere in ogni caso estremamente nobile”. In quello stesso
momento entrarono altre due guardie molto malconce, le quali
presero a dire: ”Signora abbiamo raggiunto il cavaliere che
dormì qui al castello che era gia a quattro leghe da noi e, prima
di attaccarci, ci ha rivelato il suo nome, stanotte avete ospitato
nel vostro castello il prode Galvano, nipote di re Artù di
Camelot ed al quale avevate preparato una delle tombe della
cappella, inoltre ci avvertì di non farlo inseguire perché
chiunque ci tentasse sarebbe stato disarcionato in malo modo”.
A quelle notizie, l’orgogliosa dama si disperò a tal punto che
svenne, una volta ripresasi, disse: ”Ormai uno dei tre è andato
senza che gli chiedessi alcunché e dispero altamente che possa
un giorno tornare, sapendo quanto l’aspetta in questo castello”
141

Parte Parte Parte settima: settima: settima: le le le avventure avventure avventure di di di Bohor Bohor
Bohor
Capitolo 23
Poco dopo aver lasciato i compagni, Bohor s’inoltrò nella
foresta, diretto verso sud ovest e cavalcò per diverse leghe,
finché, verso sera, non si ritrovò davanti ad un meraviglioso
castello, nel quale fu ospitato in modo principesco; durante la
cena vide la figlia del castellano e se ne innamorò all’istante,
infatti si rivolse all’ospite con questi accenti: ”Messere, la
vostra cara progenie è veramente molto bella e sembra
ammodo, tanto è vero che me ne sono innamorato, me la
concedete immediatamente in sposa?”. Il castellano guardò nel
cuore Bohor e lo vide completamente puro, difatti gli disse:
”Messer Bohor, perché così vi chiamate, ho guardato i vostri
sentimenti e li ho trovati puri e casti, quindi vi concedo
volentieri la mano della mia dolce figliola”, subito fu
organizzata la festa di nozze che si tennero pochi giorni dopo
con enorme splendore, a tal punto che si protrassero per
parecchi giorni tra banchetti, balli e giostre varie. Tra le varie
attrattive il menestrello di corte si presentò con la seguente
canzone:
Beata coppia di sifatte stirpi,
Unite nel più sacro dei sacramenti;
Il Sacro matrimonio unì la stirpe
Del Monsalvato con il rampollo di Benoic.
Beata coppia di sifatte stirpi,
Felicemente arrivati alle sacre nozze
Dopo si breve e felice conoscenza
Fate il vostro dovere per il piacere dei vostri.
La prima notte di nozze, Bohor impalmò immediatamente la
sposa che rimase subito incinta; finiti che furono tutti i
festeggiamenti, Bohor si presentò al suocero, dicendogli:
”Messere, ora mi vedo costretto a partire per continuare le mie
avventure, ma vi prometto che tornerò al più presto per
portarmi seco la diletta moglie”. Stava cavalcando nella foresta,
142
raggiungerò quella prodigiosa fontana entro la vigilia di san
Giovanni, in modo tale da essere sul luogo il giorno della festa,
inoltre chiunque voglia seguirmi potrà venire senza altre
autorizzazioni”, immediatamente l’intiera corte fu pronta per
seguire il buon re Artù con enorme felicità.
Capitolo 41
Ivano, a vedere tutto quel trambusto per i preparativi
all’avventura, n’ebbe gran dispiacere perché voleva averne la
gloria solo per se stesso, subito chiamò il proprio scudiero,
dicendogli: ”Va di corsa alla sala delle armi e preparami
velocemente l’intiera mia armatura, poi passa dalle scuderie per
far preparare il cavallo, che sia anche ottimamente ferrato,
infine fila nelle mie stanze a prepararmi il bagaglio. Nel
frattempo io t’attenderò al limitare del bosco che si trova ad
una lega a sud di Camelot”. Subito dopo Ivano partì a piedi e
per proprio conto con la segreta speranza d’arrivare alla foresta
di Brocelandia entro i tre giorni successivi; mezz’ora dopo fu
raggiunto dallo scudiero che recava seco quanto il cavaliere gli
aveva richiesto, così poterono partire agevolmente per la loro
cerca così solitaria. Lungo la strada, Ivano ripensava al
racconto di Calogremant ed al modo di vendicarlo senza farlo
sapere ai suoi compagni. I due compagni continuarono il loro
viaggio senza interruzioni, finché non trovarono il castello con
la splendida castellana, proprio come aveva descritto il loro
sfortunato compagno ed ivi furono ospitati con grande onore.
Il mattino successivo, Ivano ed il suo scudiero presero
congedo e proseguirono la loro avventura seguendo
scrupolosamente le istruzioni contenute nel racconto del loro
compagno ed incontrarono ben presto l’orribile villano che
custodiva i tori, il quale diede le stesse indicazioni di
Calogremant anche ad Ivano, che arrivò una mezz’ora dopo alla
fontana e la trovò esattamente com’era stata descritta. Subito
Ivano fu colto dal desiderio di vedere la tempesta e versò
l’acqua sulla pietra, creando così il putiferio che spaventò tanto
227

Poco dopo mi vidi bloccare la strada da un cavaliere che faceva
strepito per dieci, infine si rese conto della mia presenza ed
iniziò a dire: ”Messere quanto avete appena fatto scatenando la
tempesta è estremamente vergognoso, in quanto mi avete dato
gran danno e vergogna, quindi sappiate che non vi darò tregua
finché la soddisfazione che mi dovete non sarà ottemperata”, io
ovviamente accettai il duello nel quale rimasi battuto. Una volta
che mi fui ripreso dalla batosta, mi rimisi in sella e ripresi la
mia strada. Lungo la strada che scelsi i miei guai non finirono,
infatti il mio cavallo s’imbizzarrì e, disarcionandomi, fuggì
lasciandomi solo ed appiedato, finalmente decisi di tornare per
la strada donde venni, arrivando ben presto al castello che
m’ospitò la sera precedente, ove mi fecero una gran festa
perché da quell’impresa nessuno mai tornò a raccontarla”
Finito che ebbe il suo racconto Calogremant, Ivano si fece
avanti, dicendo: ”Buon compagno, permettimi di lavare l’onta
che hai subito in quell’occasione, ma ti prego di non negarmi
quest’onore”. Udendo quell’offerta, Keu si fece avanti e disse:
”Ma che bella cosa stai facendo, messer Ivano, offrirti a salvare
l’onore di quel vigliacco che si fregia immeritatamente del
nome di cavaliere”. A quelle parole, Ginevra impallidì
improvvisamente, poi si rivolse a Keu, dicendogli: ”Siniscalco,
non hai ancora imparato a tenere la lingua a freno, nonostante
la tua età?”, Keu non seppe cosa dire ed abbassò lo sguardo per
un attimo. Ivano vide l’imbarazzo del siniscalco e gli si fece
sotto dicendogli: ”Siniscalco dei miei stivali, ma il tuo
comportamento attuale mi fa pensare che tu sia un gran
vigliacco, quindi non posso dirti che una cosa, io posso solo
compatirti”, fortunatamente dalla porta delle stanze della regina
si presentò Artù in persona, facendo in modo che la discussione
non degenerasse ulteriormente. Una volta che si furono tutti
calmati, Ginevra raccontò tutto quanto al marito. Finito il
racconto, Artù vide nella faccenda un’ennesima avventura per
la propria corte, disse: ”Giuro su tutte le reliquie dei santi che
226
quando Bohor incontrò un prete che cavalcava umilmente un
asino, come furono vicini, Bohor gli chiese: ”Buon padre, sento
la necessità di dovermi confessare, siete disposto a sentire i
miei peccati e vedere se è il caso d’assolvermi?”
Al che il buon padre disse: ”Ben volentieri, cavaliere, ma non
è il posto adatto per farlo, se mi segui andiamo in una mia
cappella dove potremo farlo a nostro agio”, così si avviarono
per un sentiero che li condusse in un’amena radura ove sorgeva
una splendida cappella nella quale s’introdussero ben presto.
Raggiunto che ebbero il confessionale, il buon padre coprì che
il peccato peggiore commesso da Bohor era la nascita del figlio
Alano il Bianco; finita la confessione, il padre disse: ”Caro
figliolo, visto che i tuoi peccati sono di poco conto, la penitenza
te la do di conseguenza, infatti dovrai indossare un saio bianco
ed un mantello vermiglio durante tutta la tua restante cerca,
inoltre come pasto dovrai consumare solamente pane intinto
nell’acqua”, subito dopo fu celebrata la santissima messa,
quindi Bohor riprese il proprio viaggio.
Fatto che ebbe appena una lega, Bohor incontrò un gruppo di
cavalieri che avevano catturato suo fratello Lionello e lo
stavano percuotendo a sangue, Bohor era gia pronto a correre in
soccorso del fratello e compagno, quando dalla parte opposta si
presentò un cavaliere che stava picchiando selvaggiamente una
giovane pulzella. A quella vista di violenze così contrastanti,
Bohor fu incerto per un attimo, poi si decise a soccorrere la
pulzella, in virtù delle leggi della cavalleria che volevano prima
di tutto il soccorso alle donne ed ai più deboli; vedendosi
soccorsa senza richiedere nessun aiuto, la damigella rimproverò
Bohor, dicendogli aspramente: ”Non sai, o stolto, che venendo
a salvarmi da ciò che veramente merito hai infranto tutti i
legami che a Nostro Signore sono ben più eletti? Infatti quello
che stanno percuotendo quei bifolchi laggiù è tuo fratello che è
veramente messo a malpartito”. Al che Bohor rispose: ”È anche
143

obbligo di un cavaliere soccorrere tutte le donne ed i deboli che
si trovano in difficoltà”
La damigella annuì dicendo: ”Messere avete detto giusto nel
farmi notare l’obbligo principale di un buon cavaliere, ma non
v’è bisogno che interveniate in mio favore perché questa
punizione è ben meritata”. Bohor non prese nota di
quell’osservazione della bella damigella e colpì sì duramente i
suoi detrattori che in brevissimo tempo la liberò dalle percosse;
subito dopo ripartì alla ricerca di Lionello e dei suoi
tormentatori, ma la ricerca non diede frutti, anzi sembrava che
il gruppetto si fosse definitivamente volatilizzato.
Subito Bohor rinunciò a proseguire le ricerche ed iniziò a
girovagare per trovare un rifugio per dormire, visto che stava
scendendo la sera e non conveniva andare oltre; in quel
momento incrociò la strada con un religioso che montava uno
splendido morello, subito il religioso capì chi aveva davanti e
gli disse: ”Messer Bohor poco fa non vi siete comportato da
vero cavaliere soccorrendo quella baldracca allo scorso
incrocio, per colpa vostra guardate cosa è successo al vostro
povero fratello, riverso in quel cespuglio”. Bohor andò a vedere
nel cespuglio che gli era stato indicato e vi trovò il corpo di
Lionello senza vita ed orribilmente sfigurato dalle percosse, al
che Bohor cadde nella disperazione più nera e si rivolse al
sacerdote, chiedendogli: ”Visto che ho scelto di non soccorrerlo
per portare il mio aiuto ad una donzella peccatrice, non mi resta
altro che fare di adagiarlo in qualche cappella, per poi cantargli
una messa in suffragio domani mattina, appena saremo alzati”
Il religioso ci pensò un attimo, poi disse: ”Vicino al castello a
cui fa capo questo sentiero v’è una cappella molto antica e
diroccata, per questa notte tuo fratello può essere adagiato in
quel luogo sacro e domattina, come hai appena detto, faremo
tutto quello che c’è da fare per seppellirlo degnamente”,
finalmente arrivarono tutti quanti al maniero e deposero il
corpo straziato nella cappella diroccata, quindi furono accolti
144
”Cavaliere v’autorizzo, con gran dispiacere, di andarvene dal
mio maniero, ma ricordatevi di quanto mi prometteste durante
la cena di ieri sera”, asserii immediatamente e presi subito la
mia via. Raggiunta che ebbi la radura successiva, vidi due
creature che si stavano affrontando in un feroce duello e n’ebbi
gran paura. Nelle immediate vicinanze vidi un villano
terribilmente orrendo che se ne stava tranquillo, appoggiato alla
propria mazza, mentre al collo gli pendevano due pelli appena
scuoiate. Vedendomi arrivare, il villano s’alzò in piedi e fece
scena muta in tutta la sua bruttezza, finché non gli rivolsi
parola, domandandogli: ”Messere, come vi ho visto mi sono
domandato se per caso siate un uomo; in tal caso non potete
farmi sapere quali avventure o meraviglie possono esserci da
queste parti?”. Il villano mi raccontò diverse cose, tra queste mi
disse: ”Sono un guardiano dei tori che vede pascolare in questa
radura, inoltre sappia che nelle vicinanze di questa stessa radura
v’è una fontana situata sotto un albero e, lì appresso, v’è
costruita una cappella molto bella, anche se piccola, tra la
fontana e l’albero v’è un masso che a versarci sopra l’acqua
della fontana stessa, fa scoppiare una tale tempesta da non
lasciare nelle vicinanze animale di sorta. V’avverto d’una cosa,
però, che dovete sapere: sarà un vero miracolo se riuscirete a
sopravvivere a quell’esperienza perché finora nessuno è tornato
vivo da quell’avventura”, così ringraziai il villano e presi la
strada che m’aveva indicato, arrivando ben presto alla fontana,
giusto a mezzogiorno, e trovai tutto quanto molto bello”
“Subito fui preso dal desiderio di vedere la tempesta, quindi
versai l’acqua della fontana sulla pietra, come se non l’avessi
mai fatto, da li a poco una terribile e formidabile tempesta si
scatenò, accompagnata da lampi, tuoni e pioggia, neve e
grandine in gran quantità e d’immensa forza, la cosa mi fece
angosciare parecchio, finché l’uragano non finì e l’albero si
ricoprì d’uccelli, rendendolo ancora più bello, i quali iniziarono
ad armonizzare una stupenda armonia che mi mandò in estasi.
225

il giovane cavaliere finalmente si decise e prese raccontare
quanto gli successe in quell’occasione.
Capitolo 40.
Il Il racconto racconto racconto di di di Calogremant. Calogremant.
Calogremant.
“Sette anni fa ero in cerca d’avventure, quando m’inoltrai
nella foresta di Brocelandia dal lato in cui era irta di rovi e
spine, cavalcando per tutta la giornata senza trovare neanche la
benché minima scaramuccia. Uscito che fui in una radura, vi
trovai un fortissimo fortilizio, subito m’avvicinai per vedere se
poteva trattarsi d’un forte amico oppure d’una delle fazioni a
noi avverse; notai subito che aveva un larghissimo e profondo
fossato con aggettato il ponte levatoio in modo tale che vi si
potesse passare sopra. A metà del ponte stava ben piantato il
castellano, il quale come m’ebbe scorto, subito iniziò a dirmi:
”Messere siete il benvenuto nel mio castello, ancor di più dato
che si sta facendo notte”, detto questo, quel gioviale paladino
mi corse incontro e m’aiutò a scendere di sella tenendomi
ferma la staffa. Una volta che fui entrato a piedi nel cortile
d’onore, fui trattato con ogni attenzione, anche se non capii il
perché, quindi fui disarmato e mi presentarono una splendida
ragazza che mi tenne compagnia facendomi visitare tutto il
castello, fino all’ora di cena. Durante il pasto, il castellano
s’alzò e mi disse: ”Da queste parti non arrivano mai dei
cavalieri come voi, è per questo che quando vi vidi mi mostrai
così felice nei vostri confronti, ma ora dovete promettermi una
cosa, di fermarvi a farmi visita quando tornerete dalle vostre
avventure” immediatamente accettai l’offerta, sicuro d’un tetto
in caso di necessità; subito dopo andammo tutti quanti a
dormire”
“Il mattino successivo, mentre mi stavo preparando per
partire, ovviamente finite le lodi mattutine, m’avvicinai al
castellano e, inchinandomi, dissi: ”Signore, chiedo umilmente
l’autorizzazione a prendere congedo per proseguire le mie
avventure”. Il castellano non ci pensò due volte e disse:
224
dalla castellana con grandi onori. Quella notte, quando erano
aletto, la bella castellana andò da Bohor completamente nuda e,
coricatasi con lui, gli disse: ”Messere siete proprio un gran
bell’uomo, voglio provare la vostra virilità in questo preciso
istante” e prese a baciarlo su tutto il corpo.
Bohor, come realizzò le intenzioni della bella, uscì dal letto e,
presa la propria spada, corse ad arroccarsi in una vicina torre,
mentre la pulzella andò a chiamare le proprie compagne per
sedurre meglio il prode; infatti, queste ultime, quando si
trovarono sotto la torre, presero a dire: ”Messere, se non
accontentate la nostra padrona, siamo disposte tutte quante ad
ammazzarci, gettandoci dagli spalti”, in quel momento,
sentendo quella minaccia blasfema, Bohor si segnò
immediatamente. Subitamente l’intiero castello, con tutti gli
occupanti, e la cappella col presunto corpo di Lionello,
sparirono senza lasciare traccia, Bohor s’inginocchiò sul posto
e prese a dire: ”Mio signore ti ringrazio per avermi fatto
superare questa prova imbastita dal maligno a mio danno”.
Subito Bohor riprese il proprio viaggio ripensando a quanto gli
era appena accaduto, ad un certo punto incontrò sei valletti che
occupavano l’intiero sentiero cantando gaiamente e portando
seco un imponente armamento, tale da poter investire almeno
quattro cavalieri. A quella vista, Bohor si rivolse a colui che
sembrava il capo della piccola comitiva, dicendogli: ”Signori
miei dove state andando così gaiamente? Di grazia potrei
sapere di chi è tutto questo costoso equipaggiamento?”
”Messere, stiamo dirigendoci al castello di Cibale per un
torneo, quest’armamento, inoltre, appartiene a sir Meliant di
Lis. Per quanto riguarda il torneo, sappiate che fa accorrere tutti
i migliori cavalieri dell’intiera Bretagna”. Sentito tutto quel che
gli interessava, Bohor decise anche lui di andare a Cibale per
avere notizie di Lionello o di qualche altro cavaliere della
Tavola Rotonda. Quel pomeriggio, sul tardi, Bohor arrivò ad un
castello e, presentandosi al ponte levatoio, si rivolse alla
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guardia dicendo: ”Messere, sto andando al torneo di Cibale, ma
ormai è troppo tardi per continuare il cammino, potreste farmi
ospitare per la notte, in modo da arrivare al più presto possibile
a destinazione, domani?”
”Siete il benvenuto, messer cavaliere, al nostro castello,
sappiate comunque che il castello di Cibale non è molto
lontano, tanto è vero che domani al sorger del sole sarete gia
sulla spianata per combattere il vostro torneo”, detto questo, la
guardia fece entrare Bohor e lo condusse al cospetto del proprio
signore che gli diede la maggiore ospitalità di questo mondo.
La cena che fu servita era veramente luculliana, ma il cavaliere,
coerentemente con quanto gli aveva detto in precedenza il santo
sacerdote, si fece portare solamente un pezzo di pane con
dell’acqua e cenò con quelli, durante la cena il bardo locale
iniziò a cantare le imprese della Tavola Rotonda con queste
parole:
Ci fu un tempo che un prode re,
Artù il prode e famoso,
Circondò la propria persona
Di valorosi cavalieri attorno
Ad una circolare tenda
Per essere tutti uguali.
Keu era nomato il siniscalco,
Colui dalla lingua biforcuta
Gran divisore degli animi
Portava contese tra i compagni,
Ma spesso rimaneva vittima
Di quanto diceva.
Galvano era il nipote prediletto del re
Cavaliere tra i più valorosi
Di questa compagine,
Non temeva niente e nessuno
Tranne forse il proprio re,
Gran peccatore ei fu.
146
nelle stanze della regina Ginevra, trattenendosi con la moglie
fino ad addormentarsi.
Vedendo quella scena, Sagramor il Moro, Keu, Galvano,
Ivano ed il bellissimo Calogremant, cugino dello stesso Ivano,
seguirono il loro re e montarono la guardia fuori delle reali
stanze; durante la guardia, Calogremant si rivolse ai compagni
e prese a dire: ”Da qualche tempo porto un gran peso nel cuore,
infatti quanto vi sto per raccontare si rivolgerà sicuramente a
mia onta”. I compagni s’avvicinarono estremamente curiosi e
Keu disse: ”Siamo proprio curiosi di sapere cosa ti successe di
così disonorevole da vergognartene tanto”. Calogremant arrossì
violentemente e disse: ”Niente che possa essere raccontato a te,
messer Keu, visto che sicuramente utilizzerai questa storia per
punzecchiarmi per il resto dei miei giorni”, intanto anche
Ginevra aveva sentito la discussione da dietro la porta della
propria stanza, s’avvicinò al gruppetto con l’intenzione di
sentire quanto si stava dicendo; come s’accorsero della
presenza della regina, Calogremant e Keu interruppero
immediatamente la loro discussione, chinando gli sguardi pieni
di vergogna per averla disturbata.
Ginevra si rivolse a Keu, dicendogli: ”Messer siniscalco, udii
molto bene cosa dicesti poc’anzi al tuo giovane compagno,
certe cose potrai anche pensarle con tutto il cuore, ma bisogna
anche pensare se vale la pena esternarle di fronte
all’interessato. Ora, buon Calogremant inizia pure la tua storia,
sono sicura che non sarà poi così disonorevole come ci vuoi far
pensare”. Calogremant s’alzò in piedi e, con un rispettoso
inchino in direzione di Ginevra, disse: ”Mia regina, non credo
che quanto volevo raccontare ai miei compagni possa essere
ascoltato da una gran donna come voi”. La regina sorrise in
modo seducente, poi disse: ”Sir Calogremant, allora insisto che
facciate il vostro racconto anche di fronte alla mia regale
presenza, senza alcun pudore nei confronti delle mie orecchie”,
223

occhio ed uccidendolo sul colpo”, a sentire quelle cose, Artù e
l’intiera corte si guardarono negli occhi, increduli. Subito
Galvano, approfittando di quell’imbarazzato silenzio, s’avanzò
e prese a dire.”messere, non so cosa v’abbiano detto ad
Ascalona, ma il vostro signore mi si parò davanti sfidandomi
senza motivo e partendo all’attacco immediatamente, senza
darmi la possibilità di prepararmi adeguatamente, altrimenti il
duello sarebbe stato leale, anche se lungo”. L’emissario
s’indignò enormemente per quella risposta, quindi disse: ”Se
messer Galvano la mette in questo modo, allora m’è stato
ordinato di lanciarvi la sfida a duello, da tenersi al più presto
presso la città d’Ascalona, da cui provengo, sperando che la
cosa accada entro la fine di questa stagione”, detto questo se
n’andò senza attendere alcuna risposta.
Il giorno stabilito, i duellanti iniziarono a battersi ferocemente,
protraendo la sfida per lungo tempo, finché verso sera Artù non
riuscì ad avere ragione su Frollo, dandogli una piantonata alla
radice del collo, il quale, tutto dolorante, prese a dire: ”Artù di
Camelot, ti cedo il campo per conquistare l’intiera Gallia, da
questo momento in avanti la nazione dei celti gallici è di tua
totale proprietà”, quindi fece radunare le proprie truppe e prese
la strada della città eterna da vero sconfitto quale era.
Contemporaneamente Artù iniziò la conquista definitiva delle
Gallie, impiegandoci nove intiere stagioni di guerra. Terminate
che furono quelle importanti conquiste, Artù e la sua corte
ritornarono nella Britannia insulare, stabilendo la sede nella
Città delle Legioni, sul fiume Usk, arrivandoci il giorno di
Pentecoste; subito iniziarono i grandiosi festeggiamenti tra
banchetti, tornei, messe solenni e giuochi vari, che videro
impegnati i partecipanti per tre giorni. Al quarto giorno Artù in
persona premiò i più meritevoli delle giornate precedenti.
Finalmente arrivò il banchetto finale, quella sera stessa, ma ad
un certo punto Artù, senza dire parola alcuna, s’alzò ritirandosi
222
Lancillotto fu nomato
Il cavaliere del Lago;
Gran cavaliere della congrega
E traditore del suo signore
Impalmando la sua signora
Si precluse la Santa cerca.
Lionello e Bohor, tra loro fratelli,
Degni cugini del signore del Lago,
Non ebbero maggior fortuna
Nelle loro avventure
Nonostante la loro
Somma bravura.
Gahalad il puro,
Fu nomato il gran
Figlio del fedifrago
Uno di quelli che raggiunse
La Sacra Reliquia,
Pur senza capirla completamente.
Infine il Puro Folle,
Parsifal, il grande fortunato,
Destinato a conoscere
Ogni segreto della Sacra Missione;
A buon diritto ne divenne
Il custode creandone il successore.
nell’udire quegli accenti, Bohor si rattristò alquanto, perché
sentiva la mancanza del buon re Artù e dei propri compagni.
Finito che ebbero di cenare, Bohor si vide approntare uno
splendido letto, ma una volta che tutti si furono coricati, il
prode si distese per terra, dormendo saporitamente; il mattino
successivo, Bohor s’alzò molto presto e, per non dar dispiacere
al padrone di casa, disfò il suo giaciglio e si preparò per partire.
Pronto che fu, Bohor scese nella cappella del castello ed
assistette alla messa del mattino, quindi si rivolse al castellano
e gli disse: ”Messere, lo so che il sole non è ancora sorto, ma vi
147

chiedo la grazia di farmi partire all’istante per poter essere
presente per tempo al campo di Cibale e partecipare a quel
grandioso torneo”. Il castellano ci restò male per un attimo, poi
disse: ”Messere avete proprio intenzione di partecipare a quel
crudele torneo? Dalla vostra espressione devo pensare che lo
desideriate vivamente, quindi non mi resta altro da fare che
accordarvi il congedo e farvi giungere a quel nefando campo,
ma sappiate che temo molto per voi”, finalmente Bohor poté
partire di gran carriera e giungere per tempo a destinazione.
Arrivato che fu a destinazione, Bohor vide una cappella e gli
si avvicinò, come arrivò sulla soglia della medesima, incrociò
Lionello che, riconosciutolo, gli disse: ”Eccoti, finalmente,
smidollato che non sei altro, che razza di codardia ti si è
aggrappata addosso, da seguire una sottana anziché correre a
salvare il fratello in grave pericolo?”. A quelle accuse, Bohor si
gettò in ginocchio e disse: ”Caro fratello, se ho sbagliato ti
chiedo umilmente perdono, ma non ti ricordi cosa dice il codice
della cavalleria? Bisogna portare soccorso alle dame ed ai
deboli”, Lionello, in tutta risposta, montò a cavallo e lo spronò
a calpestare il fratello. In quel mentre s’affacciò dalla cappella
il cappellano che, vedendo come andavano le cose lì davanti,
accorse in difesa di Bohor, ma un fendente di Lionello, che non
se n’era accorto, lo uccise sul colpo. Immediatamente il prode
Calogremant, cugino d’Ivano il grande, si fece avanti per
dividere i due compagni che si stavano affrontando e si rivolse
a Lionello, dicendogli: ”Mi spiace Lionello, ma per difesa nei
confronti di tuo fratello Bohor devo sfidarti a duello” ma al
primo assalto Lionello l’uccise sul colpo. Immediatamente i
due fratelli ripresero a battersi, ma una violenta folgore li
scaraventò a terra, tramortendoli entrambi e svennero per il
gran colpo. Intanto che Bohor era privo di sensi, sentì una voce
che gli diceva: ”Devi presentarti in riva al mare, buon cavaliere,
ove troverai un naviglio ad attenderti, come lo avrai trovato,
Sali a bordo senza esitazione”, ripresosi dal fulmine, Bohor
148
All’inizio della primavera seguente, Artù radunò nuovamente i
cavalieri della Tavola Rotonda, assieme ai rispettivi eserciti, ed
iniziò a dire: ”Le ultime due stagioni di guerra le abbiamo
passate abbastanza bene, senza troppe difficoltà, ma ora ci
tocca occuparci delle coste dell’Armonica e della Gallia
settentrionale, ancora sotto la protezione del potente impero
romano, quindi la cosa divverà molto più difficile per tutti
quanti, me compreso, ma sono sicuro che ognuno di voi farà
vedere quanto sia grande il valore delle popolazioni della
grande Britannia”. Subito la spedizione partì con enorme
slancio, tanto è vero che nelle prime giornate di luglio, il
tribuno Frollo dovette ripiegare miseramente all’interno delle
difese di Lutezia; ivi riparato, Frollo vide l’esercito d’Artù
accamparsi sotto le mura di quella città, prese coraggio e,
affacciatosi sugli spalti, prese a gridare, verso gli assedianti:
”Vedremo chi tra noi sarà il più forte, sappiate che in questo
preciso momento sfido apertamente il vostro presunto re, Artù
di Camelot, a farsi avanti ed accettare una sfida a duello contro
di me od un mio campione, se riuscirà a battermi, gli darò vinta
la guerra e quindi prendersi l’intiera Gallia per se, altrimenti mi
vedrò costretto a riannettermi il regno della Britannia nel
glorioso impero di Roma”, Artù non si fece attendere, infatti
come Frollo ebbe finito di parlare, si fece avanti, replicando:
”Lestofante d’un tribuno che non sei altro, non ti vergogni di
parlarmi così? Sono sicuro che appena mi presenterò davanti a
te, fuggirai molto velocemente. Intanto sappimi dire il dove ed
il quando, così mi farò trovare pronto per l’occasione”
Subito dopo che il tribuno fu lasciato andare, si presentò alla
corte un emissario della città d’Ascalona che rese
immediatamente omaggio a re Artù, poi, volgendosi verso
Galvano, gli disse: ”Messere voi faceste un torto enorme alla
città che rappresento ed incredibile danno alla famiglia ivi
regnante, quando, qualche tempo fa uccideste senza motivo il
signore d’Ascalona, infilandogli la vostra lancia fin dentro un
221

Rapendogli con l’inganno
L’amabile signora.
Subito il nobile nipote
Partì all’inseguimento e,
Raggiunto l’infingardo,
Lo batté in duello.
Liberata l’amata regina
Il reame si diede alla pazza gioia,
Creando una splendida festa,
Per cantare la novella gioia.
Parte Parte tredicesima: tredicesima: alla alla corte corte di di re re Artù Artù ed ed avventure avventure d’Ivano
d’Ivano
Capitolo 39
Intanto re Artù si stava facendo conoscere anche sul
continente; gli altri re, temendo d’essere detronizzati, iniziarono
a rinforzare, o costruire, le proprie roccaforti, in previsione
d’eventuali attacchi da parte del potente re bretone. Sentendo
queste cose, Artù diede inizio ad una serie di guerre di
conquista nell’Europa, radunata che ebbe la Tavola Rotonda,
s’alzò e disse: ”Gli stati nostri vicini ormai ci temono a tal
punto da erigere possenti mura contro di noi, minacciando
apertamente la nostra libertà più sacra, questo vale prima di
tutto per due nazioni che ci sono particolarmente vicine, la
Norvegia e la Danimarca, che sono veramente ben difese, ma
sono sicuro che la cosa non potrà farci alcuna paura, adesso
basta con le parole, è giunto il momento di volgere la guerra
contro quei due stati”. La spedizione fu presto organizzata e
portata a termine entro la seconda estate di guerra senza che tra
i cavalieri d’Artù ci fossero delle gravi perdite. Conquistate che
furono quelle due nazioni, Artù pensò di donarle a suo cognato
Lot, che per altro ne era il legittimo sovrano. Finita quella
fortunata campagna di guerra, Artù tornò in Britannia per far
passare l’inverno ed a riposare il proprio esercito, in previsione
d’una campagna ben più pesante e difficile che aveva in mente
d’iniziare l’estate successiva.
220
lasciò Lionello, ancora svenuto, alle cure dei presenti e, salito
in sella, galoppò velocemente fino al mare che distava poche
miglia da li. Giunto alla spiaggia vide la nave, come gli era
stato detto in sogno e, salito a bordo, quella partì inesorabile
verso altri lidi.
Pa Parte Pa
rte ottava: ottava: le le avventure avventure avventure di di Parsifal Parsifal
Parsifal
Capitolo 24
Parsifal un giorno era a caccia per conto suo, quando ferì
un’oca al collo, la quale lasciò sulla neve tre gocce di sangue; a
quella vista Parsifal si mise a contemplarle pensando a
Cunnewere, la quale, un giorno ormai lontano, fu offesa da
Keu. Proprio nello stesso momento anche Artù e la sua corte si
erano accampati nei dintorni e, vedendo precipitare l’uccello,
Artù convocò Sagramor il moro e Keu il siniscalco, dicendogli:
”Miei fidi ho visto cadere uno splendido esemplare d’oca,
andate a controllare chi abbia osato fare una cosa del genere
nelle vicinanze della mia persona”. Fu così che i due
incontrarono il puro folle e gli dissero: ”Messere, il nostro
amato re desidera, anzi ordina, che ci seguiate per rispondere ad
alcune domande”, ma Parsifal continuava a non rispondere ed
ad osservare le tre purpuree macchie. Vedendosi così
clamorosamente ignorato, Keu partì al galoppo con l’intenzione
d’indebolire con una lieve ferita l’impertinente, ma Parsifal
s’accorse del brusco movimento e, messa la lancia in resta,
partì anche lui contro l’assalitore, lussandogli la clavicola e
fratturandogli la tibia, per l’urto che vi fu; al che i due
messaggeri dovettero ritornare sconfitti all’accampamento
d’Artù. Vedendo il risultato, Galvano, che era appena rientrato
da alcune sue avventure, si rivolse allo zio, dicendo: ”Mio
amatissimo sire, forse sono in grado di ridurre a ragione
quell’irascibile giovine che ridusse a così malo modo il vostro
siniscalco, m’acconsentite di fare l’ambasciata?”
”Buon nipote, so che hai buona favella e puoi ottenere
qualcosa in più rispetto a quanto potesse fare quel disgraziato
149

del mio siniscalco, quindi ti do il permesso d’andare a
parlamentare con quel giovine così rubello, folle e forte”, così
Galvano prese la strada per raggiungere il giovine impertinente.
Finalmente i due cavalieri s’incontrarono e Galvano gli disse:
”Bentornato, o puro folle, quale buon vento ti condusse nei
pressi di re Artù di Camelot?”. Parsifal finalmente alzò gli
occhi dalle macchie porporine e prese a dire: ”Bentrovato
messer Galvano, che notizie mi portate del buon re Artù vostro
zio? Vedete, io stavo cacciando un’oca da queste parti per
potermi sfamare e continuare le mie adorate avventure”.
”Re Artù, mio zio, si trova accampato con l’intiera corte qui
vicino e vi prega umilmente di fargli visita in mia compagnia,
se v’aggrada, così potete fargli tutte le domande che volete”, fu
così che Parsifal fu condotto da Galvano alla presenza di re
Artù di Camelot; subito l’intiera corte si trasferì a Caerleon ove
iniziarono sontuosi festini in onore del prode Parsifal. Al
pranzo del primo giorno, Artù s’alzò ed iniziò a dire: ”Buon
Parsifal, perché è così che so nomarti, gia una volta ti
presentasti alla mia presenza e fosti elevato al nobile grado di
cavaliere senza che nessuno dei presenti sapesse il tuo nome,
tanto è vero che ti chiamammo puro folle per il tuo
comportamento ma oggi sappiamo quanto ti comportasti
valorosamente in seguito, quindi t’invitiamo ad unirti alla
nostra corte come compagno di cotanti ottimi paladini”
Parsifal si alzò a sua volta e disse: ”Vi ringrazio, maestà, per
la nobile offerta che mi fate, e l’accetto ben volentieri, l’unico
mio cruccio, se volete saperlo, è che momentaneamente non so
nulla della mia povera madre”. Finito che ebbe di parlare,
Parsifal si sedette nuovamente, dando possibilità a Galvano
d’intervenire con queste parole: ”Ottimo Parsifal, poco tempo
fa incontrai vostra madre e la sorella in grave difficoltà per
colpa di Cahot il rosso e del Signore delle Paludi i quali
pretendevano di avere mire sui vostri possedimenti avviti, ma
furono battuti miseramente da me e da allora vivono nella più
150
dell’affronto che avete fatto a tutti noi”. Dagli spalti del
castello, Idièr sentì quanto disse Galvano, infatti gli rispose:
”Messer cavaliere, ben vi vidi alla corte di Camelot al fianco di
colei che ora è qui con me. Vi dico subito, messere, che non ho
intenzione di restituirvi la vostra amatissima regina, e non
raccolgo neppure la vostra sfida perché mi ritengo troppo forte
per voi”
Galvano non gradì per niente quella risposta e disse: ”Messere
non accetto assolutamente questo vostro rifiuto sia alla
liberazione della regina, vostra ospite forzata, né per quanto
riguarda la disfida e so di sicuro che non potete essere molto
forte, visto che non appartenete alla Tavola Rotonda di cui
faccio parte, quindi decidetevi su cosa fare, altrimenti ho il
diritto ed il dovere di espellervi dall’ordine dei cavalieri”. A
quell’ultimatum così repentino, Idièr rientrò nelle stanze del
castello e, trovando un paggio, gli disse: ”Mio buon ragazzo,
andate dalla mia ospite e ditele che per me può tornare a casa,
visto che sono stato tacciato di fellonia da un cavaliere che sta
la fuori; fatto questo va prima nelle mie stanze e preparami
tutto l’occorrente per un lungo viaggio, quindi nelle scuderie
per procurarmi un buon cavallo che possa andare molto veloce”
Pochi istanti dopo Ginevra uscì dalla porta principale e corse
ad abbracciare l’adorato nipote che era corso a salvarla così
velocemente, quindi ripresero immediatamente la strada del
ritorno a Camelot. Intanto Idièr uscì da una postierla laterale e
galoppò lontano da quel luogo, con la speranza di trovare un
posto lontano dove non potessero venire a sapere di quella
disgraziata avventura. Una volta che Galvano e Ginevra furono
tornati a Camelot, l’intiera corte gioì perché la cosa si era
risolta con enorme velocità e senza alcun spargimento di
sangue. Durante il successivo banchetto, il bardo di corte creò
questa canzone:
Un perfido cavaliere
Disonorò l’ospitalità d’un nobile re,
219

l’adattò per passare la notte. Il mattino successivo, come spuntò
l’alba, Galvano rimontò in sella e riprese immediatamente
l’inseguimento, giungendo in breve alla vista d’un castello che
non aveva mai notato; avvicinatosi, Galvano riconobbe negli
stendardi i colori del perfido cavaliere con cui s’era allontanata
Ginevra e si preparò per lanciare la sfida all’infido che doveva
essere gia al suo interno.
Durante quella stessa notte, Idièr era giunto al proprio maniero
e fece preparare una stanza ove potesse ritirarsi con la bella
regina, sperando che questa gli si concedesse in breve tempo,
ma inutilmente, perché Ginevra prese a dire: ”Messere, voi non
siete degno di chiamarvi cavaliere, soprattutto dopo avermi
ingannato in questo modo, quindi non sperate che tradisca il
mio amato sposo con un infingardo come voi. Inoltre siate pur
sicuro che qualcuno dei cavalieri di mio marito, presenti a
Camelot, ormai starà gia seguendo le nostre tracce ed in breve
ce lo ritroveremo a queste nefande porte”. In quello stesso
istante passò, vicino alla regina, un paggio al quale Ginevra
disse: ”Corri subito ad avvertire che il vostro cosiddetto signore
questa notte dorme solo, quindi ti prego di farmi approntare una
stanza separata, ben distante da costui”, il paggio annuì ed andò
ad ottemperare quanto gli era stato chiesto. Durante la notte,
Idièr ritornò all’assalto della regina Ginevra, tentando
d’infilarsi nel suo letto, ma la regina se n’accorse
immediatamente e lo discacciò rabbiosamente, quindi iniziò a
piangere silenziosamente per la vergogna che stava subendo in
quel frangente.
Il mattino successivo Ginevra fu svegliata, da un sonno
agitato, da una voce che conosceva bene, infatti Galvano,
dall’esterno delle mura, stava dicendo: ”Signor infingardo,
sono riuscito a raggiungervi per riavere indietro la mia adorata
regina e zia, che voi avete rapito dal suo castello di Camelot
con l’inganno. Se non volete restituirla a chi le vuole bene, mi
vedrò costretto a sfidarvi in duello per avere soddisfazione
218
amara povertà. Se posso darvi un consiglio molto saggio, vi
conviene andare al più presto nei vostri possedimenti di
Camaalot ed amministrarli saggiamente”. Parsifal prese
nuovamente la parola e, rivolgendosi a Galvano, disse: ”Messer
Galvano, accetto ben volentieri il vostro suggerimento, ma ora
è meglio fare onore al festino che ha approntato in queste
stanze il nostro buon re”, detto questo, Parsifal si sedette,
seguito nell’esempio da tutti gli altri, ed iniziarono a
banchettare allegramente.
Passarono in questo modo tre splendide giornate di banchetti,
danze e giochi vari. Nel pomeriggio del terzo giorno, la partita
di caccia fu rovinata dall’arrivo di un orribile essere su di un
mulo completamente fulvo e dalla criniera nera, quella essere
immondo si parò davanti a Parsifal, dicendogli: ”Messere vi
auguro tutte le più grandi sventure di questo mondo, perché la
vostra visita al Monsalvato ha portato enorme dolore in quella
contrada, visto che vi scordaste di fare delle precise domande al
Ricco Re Pescatore, vostro zio”. Subito s’avvicinò Artù e
chiese: ”Signora mia, le accuse che fate a questo mio cavaliere
sono molto gravi quanto infondate, dato che la sua educazione
cavalleresca in quel periodo era alquanto misera, inoltre non ci
si rivolge in quel modo a nessuno dei miei cavalieri senza
essersi preventivamente ed adeguatamente presentati”. L’essere
immondo abbassò un attimo lo sguardo, quasi a scusarsi, poi
puntò gli orribili occhi sul re e prese a dire, con voce roca:
”Sire, mi scuso con voi e con tutta la vostra corte per questa
mia mancanza; il mio nome è Kundry e sono una cartomante
del regno del Monsalvato, ma avevo una certa urgenza di
portare sulla retta via questo giovane cavaliere”. Artù si fece di
nuovo avanti e disse a Kundry: ”Mia dama, avete commesso un
grosso errore con il buono ed onesto Parsifal, infatti nessuno
doveva ricordargli che bisognava fare delle precise domande al
Ricco Re Pescatore, altrimenti questo non avrebbero ottenuto
l’effetto desiderato”
151

A questo rimbrotto, Kundry abbassò nuovamente lo sguardo e
disse: ”Sire voi avete dimostrato di conoscere la cosa meglio di
me, alla luce delle vostre attuali rivelazioni mi accorgo di aver
fatto un errore madornale. Ora, purtroppo, devo andarmene, ma
prima Parsifal deve sapere un’altra cosa soltanto; presto
riceverà la visita di un fratello maggiore di cui non conosceva
l’esistenza ed il suo nome è Firefiz”,finalmente l’orrenda donna
si voltò e se n’andò per la propria strada e l’intiera corte si
riprese dallo sgomento quanto basta per osservarla meglio. La
prima cosa che tutti notarono era la carnagione molto scura,
alcuni affermarono che gli occhi ricordavano i buchi delle tane
dei ratti, mentre altri dissero: ”Avete visto il naso o le labbra? Il
primo sembrava quello di una scimmia o di un gatto, mentre le
altre il rosso dell’uovo! Per non parlare della schiena, così torta
e piena di gobbe, come del resto la pancia”. Anche il commento
di Keu non si fece attendere, infatti, subito dopo Galvano,
disse: ”Qualcuno dei presenti ha notato le sue gambe? Così
dritte da sembrare dei bacchetti di vimini quando s’intreccia un
cesto, non c’è niente da dire, tra tutti gli abbiamo notato molta
bellezza in quell’essere immondo!”
L’unico che non si fece sentire fu Parsifal, che, senza proferir
parola, raccolse le proprie cose e partì per altre avventure; non
si fece vedere né a Camelot né a Camaalot per il successivo
lustro in cui trascurò totalmente la cura di Nostro Signore,
nonostante che le opere di cavalleria lo coinvolgessero
parecchio. Un venerdì incontrò sulla propria strada un gruppo
di penitenti che gli dissero: ”Messere, non vi vergognate a
girare il Venerdì Santo armato di tutto punto, quando Nostro
Signore Gesù Cristo s’è sacrificato per noi e la pace
sempiterna?”
”Chiedo venia, miei signori, è da molto tempo che non vedo
alcuno se non per duellare contro di esso, quindi avevo perso
ogni cognizione di che giorno fosse, ma ditemi buoni amici da
152
saremo arrivati nei miei possedimenti e t’avrò sposata”. Nel
sentire quei ragionamenti, Ginevra si oscurò in viso, ma poi
disse: ”Siete stato veramente un infingardo, sir cavaliere, a
comportarvi in questo modo, ma non posso biasimarvi, da un
altro punto di vista, perché dovevo accorgermi da subito,
stamane, di quanto volevate fare, dato che m’avevate gia fatto
sapere l’altra sera cosa desideravate da me” detto questo,
Ginevra tacque per il resto del viaggio.
Nel frattempo, a Camelot, Galvano iniziò a preoccuparsi,
quando dopo qualche tempo non vide tornare la zia da quella
breve escursione in compagnia di quel cavaliere sconosciuto;
immediatamente si rivolse a Calogremant, che passava lì nelle
vicinanze, e gli disse: ”Mio caro compagno, è ormai passato
molto tempo, da quando mia zia, vostra signora, uscì per
condurre avanti un tratto il nostro ospite, ti prego di sostituirmi
nelle mie mansioni, mentre esco per andare a controllare che
non gli sia accaduto nulla”. Calogremant annuì
immediatamente e disse: ”Effettivamente è da troppo tempo
che è uscita, per essere solo una passeggiata
d’accompagnamento sulla giusta via di casa, quindi per me
potete uscire in missione, perché la cosa preoccupa anche me”,
così Galvano partì nella direzione ove aveva visto Ginevra
entrare nel bosco in compagnia dell’ospite della sera prima.
Entrato che fu nella foresta, Galvano si mise subito alla ricerca
delle orme dei due cavalli, trovandole poco dopo sul sentiero
che avevano preso gia da qualche tempo ed iniziò a seguirle
sempre più di fretta, perché quella direzione non era quella che
il prode cavaliere s’aspettava per raggiungere la meta dichiarata
da Idièr nel suo congedo, temendo ancor di più che alla zia
fosse successo qualcosa di sgradevole. Era talmente alta la foga
dell’inseguimento, che ad un certo punto Galvano non
s’accorse che era calata la sera e non v’era nessun caseggiato
nelle vicinanze ove andarsi a rifugiare per la notte, subito cercò
un cespuglio nelle immediate vicinanze d’un grosso albero e
217

s’è fatto tardi e non voglio portare più via altro tempo a quel
poco che vostra signoria ha durante la sua giornata”, detto
questo, i due si lasciarono per andare a dormire. Durante la
notte, però, Idièr non riuscì a prendere sonno, perché si mise a
chiedere come potersi impossessare del cuore della bella regina.
Finalmente giunse l’alba ed Idièr non aveva ancora preso
sonno, ma in compenso decise di rapire Ginevra, quando
quest’ultima l’avesse accompagnato lungo il sentiero per
metterlo sulla strada giusta subito dopo essersi alzato, Idièr si
preparò ed andò alla presenza di Ginevra e disse: ”Signora mia,
è ora che io chieda il congedo dalla vostra corte, con un piccolo
favore da parte vostra, se me lo potete concedere, mi servirebbe
qualcuno che m’accompagnasse avanti un tratto per indicarmi
meglio la strada che dovrei percorrere e tornare il più
velocemente possibile verso casa mia”. Ginevra guardò un
attimo l’intiera corte, poi s’alzò e disse a Idièr: ”Mio signore, se
nessuno dei qui presenti ha nulla in contrario, v’accompagno io
di persona lungo la strada che dovrete da prendere per tornare a
casa”, a quelle parole Idièr ebbe un moto di felicità verso la
notizia appena avuta, ma si riprese immediatamente ed andò
immediatamente a finire di prepararsi. Intanto Ginevra si
rivolse ad uno scudiero dicendogli: ”Hai sentito la mia
decisione, quindi provvedi di prepararmi una cavalcatura per
poter accompagnare il cavaliere nostro ospite”, quindi si ritirò
per andarsi a preparare ad accompagnare Idièr lungo la strada.
Una volta che tutti furono pronti, Idièr e Ginevra montarono in
sella e partirono soli, giunti che furono all’interno della foresta
vicino al castello, Idièr si mise dietro la regina e, snudata la
spada, la costrinse a prendere un sentiero laterale, dicendogli:
”Madama, stamani lo dissi apposta di chiedere una guida che
m’accompagnasse per il primo tratto di strada, perché ero
sicuro della vostra disponibilità nell’indicarmi di persona la
strada che avrei dovuto prendere per giungere al mio castello,
quindi ora dovete continuare ad accompagnarmi fino a che non
216
dove venite e, soprattutto, dov’è che posso dirigermi a
confessare tutti i miei peccati?”
”Per quanto riguarda la confessione, non ti devi preoccupare,
perché basta che segui il sentiero da cui veniamo e troverai un
eremita in grado d’assolverti questo peccato d’ignoranza da
parte tua”, detto questo i penitenti si congedarono
rispettosamente da Parsifal e continuarono per la propria strada.
Capitolo 25
Una volta giunto al romitaggio, Parsifal si disarmò ed entrò
nella cappella dell’eremita; come fu giunto all’altare,
s’inginocchiò e, pregando, si mise a piangere. In quel mentre
l’eremita entrò nella cappella e lo vide così prostrato da
avvicinarglisi immediatamente, come fu arrivato a Parsifal, gli
posò una mano sulla spalla, e gli chiese: ”Cavaliere, state
piangendo che è una cosa indegna, posso sapere cosa vi sta
capitando, da essere così disperato?”, Parsifal alzò lo sguardo e
vide l’eremita senza che sul momento potesse riconoscerlo
come tale. Ripresosi che fu, Parsifal ebbe la forza di dire:
”Messer eremita, sono molto peccatore ed ho bisogno di
qualcuno che mi confessi in modo veramente energico”
A quelle parole, l’eremita prese Parsifal per le mani e lo
condusse in fondo alla cappella, dicendogli: ”Messer cavaliere
se avete dei peccati da espiare siete capitato nel posto giusto,
ora sedetevi qui con me ed iniziate a confessarvi a cuore
aperto”, fu così che Parsifal confessò tutti i propri peccati. Una
volta che Parsifal ebbe finito, l’eremita gli disse, fissandolo
negli occhi: ”Cavaliere ora avete solo un passo molto
importante da compiere, ora tocca a voi pentirvi
definitivamente per quanto avete fatto finora”. Immediatamente
Parsifal sentì la necessità di raccontare tutta la propria storia al
buon uomo, alla fine del racconto, Parsifal disse: ”Sappi, caro
padre, che io sono stato nomato Parsifal da mia madre, dopo
che nacqui gia orfano di padre”
153

”Ebbene, Parsifal, sappi che il tuo peccato più grosso è stato
quello di lasciare tua madre ed una sorella minore, nata dal
secondo sfortunato matrimonio di Herzeloyde; inoltre questo
fatto da andìto a due cose che ti caratterizzano. La prima è
l’intercessione di quelle due pie donne che ti salva almeno per
ora dalla morte e dalla prigione; secondariamente il tuo non
aver proferito parola quando dovevi, alla presenza del Santo
Graal. Per tutte queste cose ti devo dare una particolare
penitenza: tutti i giorni, appena alzato, devi assistere ad una
messa che ti aiuterà a diminuire i tuoi peccati ed acquistare
onore; ad aumentare la difficoltà della cosa dovrai soccorrere
chiunque troverai in difficoltà. Adesso che abbiamo finito con
la confessione, ti chiedo di rimanere alla mia presenza per
qualche altro giorno perché ti devo insegnare alcune cose che
riguardano Nostro Signore Iddio”.
Qualche tempo dopo la visita all’eremita, Parsifal fece uno
strano incontro; infatti si trovò davanti un grosso serpente che
custodiva un preziosissimo anello. La sorpresa fu grande da
entrambe le parti, alla fine il serpente si riprese per primo ed
iniziò a sibilare: ”Cavaliere, che stai cercando in queste
desertiche contrade? Forse non sai che io sto custodendo il più
prezioso dei tesori?”
Parsifal, a cui non interessava alcunché la presenza
dell’immenso rettile, rispose: ”Messer serpente non ho nulla
contro di te e sto solo andando a caccia d’avventure, ma il fatto
che custodisci un tesoro così prezioso ti mette in condizione
d’essere un mio mortale nemico, infatti da adesso il possesso
del tuo tesoro è divenuto fonte di una mia avventura”, detto
questo il prode cavaliere andò all’attacco ed uccise con un
secco fendente l’enorme rettile, che si contorse ancora per
qualche tempo, prima di prendere la rigidità cadaverica della
morte; infine Parsifal riuscì ad avvicinarsi senza correre rischi
e, tra le squame del serpente, trovò uno splendido anello
completamente forgiato nell’oro e tempestato delle più belle
154
Una volta che fu battezzato convenientemente, Feirefiz ebbe
l’autorizzazione del fratello per sposare la bella Repanse, finita
che fu la sontuosa festa di nozze, i due novelli sposi andarono a
trovare Parsifal, dicendogli: ”È giunto il momento di
congedarci da questa splendida corte, anche se a malincuore,
perché bisogna andare a curare il reame di Camaalot e tutti gli
altri regni a me affidati dalla buona stella del Nostro Signore,
comunque spero di poterci rivedere molto presto, in festose
occasioni, ovunque esse siano”. Il viaggio fu veramente veloce,
visto che gia al quarto giorno la novella coppia era gia giunta al
mare, ove li stava attendendo la nave di Salomone, su cui erano
imbarcati il Santo Graal e la preziosa tavola d’argento; da allora
nessuno seppe più della preziosa reliquia, perché disparse
completamente e misteriosamente da questo mondo.
Parte Parte dodicesima: dodicesima: Galvano Galvano all’inseguimento all’inseguimento del del rapitore rapitore di
di
Ginevra.
Ginevra.
Capitolo 38
Nel frattempo, a Camelot, avvenne che ci furono delle visite
molto strane, infatti un cavaliere nomato Idièr si presentò a
corte per chiedere ospitalità per la notte e mise gli occhi sulla
regina Ginevra, innamorandosene immediatamente. Una volta
che la regina fu sola col suo ospite, questi gli disse: ”Mia
signora, come arrivai vi vidi e m’innamorai perdutamente di
voi, a tal punto che ho intenzione di portarvi con me e sposarvi
appena saremo abbastanza lontani da non temere pericoli”. La
regina Ginevra si meravigliò della cosa, ma si riprese
immediatamente e disse: ”Messere, quanto m’avete appena
detto mi scandalizza parecchio, perché sono molto più anziana
di voi ed inoltre sono gia felicemente sposata col signore di
questo reame, che tra l’altro è molto potente e stimato da tutti i
re e principi dell’intiera Britannia”- Idièr si rattristò parecchio
per quel velato rifiuto, ma subito si riprese e disse: ”Mia
signora, non sapete quanto sia fortunato vostro marito, ad avere
al suo fianco una splendida dama come voi, ma ora vedo che
215

Avviatasi tutta la corte al luogo indicato da Parsifal, trovarono
che l’adorata cugina giaceva cadavere vicino alla tomba
dell’antico amante, mentre pregava per la vita dei suoi cari; a
quella vista, Parsifal, profondamente commosso, disse: ”Vista
la vita che ha condotto negli ultimi anni ed il suo attaccamento
verso il cavaliere qui sepolto, che era l’anima del suo cuore,
propongo di seppellirla al fianco di colui che amò per tutta la
vita, facendo sì che restino assieme anche oltre la morte che
tutti porta via”, l’intiera corte fu d’accordo col suggerimento e
venne scavata la tomba di fianco all’altra. Finito il rito
tornarono tutti quanti al Monsalvato, accolti con ogni dovuto
onore al re del Santo Graal. Al castello, Parsifal ritrovò l’amato
fratello Feirefiz pronto ad onorarlo come proprio re, quindi
andarono tutti quanti a concludere la giornata dormendo.
Spuntato che fu il mattino successivo, Parsifal decise che era
giunto il momento di celebrare il santo ed importante rito
dell’agàpe in onore del fratello, ma finita che fu la cerimonia,
Feirefiz s’andò ad inchinare di fronte al fratello, dicendogli:
”Caro fratello e re, la cerimonia a cui ho assistito è stata
veramente bella, ma purtroppo non credo di aver potuto capirne
i reconditi significati che gli da la tua religione, ma di una cosa
sono sicuro, tua zia Repanse è veramente una splendida donna
ed il mio cuore dice che devo farla mia sposa al più presto”.
Parsifal annuì gravemente, poi disse: ”Capisco i tuoi
sentimenti, ma devi capire una cosa; se vuoi veramente sposare
mia zia, esiste una sola strada, vale a dire che tu abiuri la tua
religione ed abbracci il cristianesimo, facendoti battezzare al
più presto”. Feirefiz ci pensò tutta la notte, tormentato da ogni
pena d’amore, il mattino successivo abbassò momentaneamente
il capo ed alla fine disse: ”Se è questa l’unica strada che devo
percorrere per calmare le ansie del mio cuore, così sia, mi
faccio battezzare nel minor tempo che mi potrà essere
concesso”
214
pietre che uomo potesse vedere, inoltre all’interno dell’anello
stesso vi erano delle incisioni con degli strani caratteri, a cui
Parsifal non fece alcun caso e s’infilò il pregevole tesoro nella
cintura, proseguendo poi per la propria strada. Durante il
tragitto, quasi senza accorgersene, Parsifal prese a cantare le
imprese di Sigfrido ed il drago, con le seguenti parole:
Grande fu il folle fanciullo,
Noto a tutti come Sigfrido,
Dopo che riforgiò la spada
Che fu disonorata dal padre.
Nutung era il nome della spada
E con questa decise di cacciare
Draghi e ricchezze,
Dove Mime lo condusse nelle vicinanze.
In vicina caverna enorme,
Un colossale drago v’abitava,
Fafner era nomato
E di grande s’era impossessato.
Saputolo che ebbe,
Il folle Sigfrido,
A duello lo costrinse,
Ammazzandolo in breve.
Esplorata la caverna che ebbe,
Il prode fanciullo il tesoro trovò,
Ed infilato il magico anello
In ogni forma si mutò.
Passarono alcuni altri giorni in cui il prode cavaliere non ebbe
nessun’avventura; un giorno, dopo aver abbondantemente
vagato, Parsifal incontrò un gruppo di cavalieri di cui non
conosceva nessuno stemma, allora quello che sembrava il capo
disse: ”Messere sembrate essere un cavaliere di mezza tacca e
per di più solingo, quindi avete l’obbligo di farvi da parte e
lasciarci passare perché siamo più numerosi di voi”, ma
Parsifal, che aveva riconosciuto quella voce anche da dietro la
155

celata dell’elmo, non diede mostra di voler rispondere.
Sentendosi provocato da quel silenzio, Keu, effettivamente
erano lui con Galvano ed altri cavalieri della Tavola Rotonda,
partì all’attacco e ferì Parsifal alla coscia, atterrandolo. Tutti i
cavalieri corsero attorno al paladino per scoprire chi era, al che
Galvano si decise a togliergli l’elmo e fu fatta la sconcertante
scoperta; riconobbero tutti quanti il loro giovane e valente
compagno d’armi. A quella vista tutti si guardarono sorpresi,
soprattutto per il suo silenzio, finalmente Galvano ruppe
l’imbarazzo, dicendo: ”Miei compagni, abbiamo fatto un grave
errore a ferire il povero Parsifal, ora, però, è meglio che lo
riportiamo a Camelot, presso il nostro beneamato re per farlo
curare come si deve”. Durante la convalescenza di Parsifal, un
misterioso cavaliere iniziò a fare strage di cavalieri della Tavola
Rotonda, riuscendone ad uccidere sette, prima che Parsifal si
rivolgesse direttamente ad Artù, dicendogli: ”Sire la situazione
è veramente grave, vorrei scendere in campo contro quello
strano cavaliere che sembra così forte, ma sono sicuro di
poterlo battere”.
Artù ne fu immediatamente sorpreso per quella proposta, ma
poi, pensandoci bene, gli disse, con tristezza: ”Buon Parsifal,
siete ancora molto debole dalla ferita, ma so che siete ancora
molto forte, abbastanza da poter battere quel misterioso e
terribile cavaliere, ti concedo a malincuore eppure con gioia
l’autorizzazione a batterti con lui”, allora il giovane cavaliere
s’andò a preparare e si precipitò all’assalto dell’assassino dei
suoi compagni, uccidendolo. Ritornando a Camelot, Parsifal
incrociò la bell’Angharat, colei che era stata offesa il giorno in
cui era stato investito cavaliere, potendo così riprendere l’uso
della propria favella, dicendogli: ”Dolce Angharat penso che vi
ricordiate di me quella giornata in cui divenni cavaliere e voi
foste stata offesa da quel perfido siniscalco che porta il nome di
Keu”. Lei si mise a ridere con molta grazia, quindi prese a dire:
”Mi ricordo di voi, messer Parsifal, e di come vi comportaste
156
parente più intimo ancora in vita, devi occupare il mio posto
alla guida dei cavalieri del Graal, ma secondo il mondo terreno
dovrebbe essere Gahalad ha prendere quel trono, ma non ne è
per niente degno per nascita, visto che il padre è un impenitente
peccatore, per questi motivi, pur virtuosissimo nei suoi
comportamenti, non posso assegnargli la carica che invece ti
dono”. Parsifal, investito da quell’enorme potere, tornò dallo
zio eremita; giunto alla sua presenza, gli chiese: ”Caro zio, il
Ricco Re Pescatore mi ha investito suo successore al
Monsalvato, però io non so assolutamente niente di come si
governi un regno come questo e mi servi come consigliere, per
guidarmi in questa difficilissima impresa”. Trevrizent non ci
pensò per niente e rispose con queste parole: ”Buon nipote, da
quanto mi hai appena chiesto dimostri quanto sei saggio nelle
tue azioni, anche se un tempo fosti definito il Puro Folle, quindi
ti seguo ben volentieri nell’impresa di cui ti sei fatto carico” e
lo seguì nel castello del Monsalvato.
Il giorno dopo, Parsifal fece venire a corte la moglie, che
aveva sposato durante una delle sue numerose avventure e che
gli aveva dato due figli. Contemporaneamente arrivò anche
Feirefiz, al quale Parsifal disse: ”Caro fratello io ormai non
posso più muovermi da questa reggia ed i regni mortali non
hanno nessun reggitore, quindi ho deciso che sarai tu a regnare
per me in quelle lande, ormai puoi andare a raggiungere il tuo
reame, inoltre sappi che alla mia morte sarai tu a succedermi al
trono, quindi è importantissimo che tu impari come si fa fin da
ora”. Finita che fu quella cerimonia, Parsifal s’alzò davanti a
tutta la corte del Monsalvato ed iniziò a dire: ”Qui non abbiamo
più nulla da deliberare, quindi propongo d’andare al romitaggio
appena fuori delle nostre terre, ove vive nella più nera miseria,
per sua scelta, la cara cugina Sigurne e mi sento in obbligo di
raccontargli tutto quanto è successo negli ultimi tempi e della
fortuna che mi è capitata da questa visita al Monsalvato”
213

arrivarono al Monsalvato dove fu data loro una festosa
accoglienza perché con il loro giungere la ricerca del Santo
Graal era veramente finita; subito i tre compagni furono
condotti alla presenza del Ricco Re Pescatore che,
riconoscendo in Parsifal il tanto agognato nipote, non riuscì più
a trattenere lagrime di tenerezza. Subito i tre compagni furono
disarmati, quindi un paggio s’avvicinò a Gahalad con un
involto, e gli disse: ”Messere, questo pacco contiene i monconi
della spada di Giuseppe d’Arimatea, visto che dovete essere voi
il predestinato al Graal, vi supplico di riforgiarla per ottenere
nuove glorie in nome di Nostro Signore”. Gahalad prese il
fardello e, mettendoci buona lena, riforgiò in brevissimo tempo
la gloriosa lama, rendendola ancora più forte di quanto gia
fosse. Giunse infine l’ora dei vespri, ma il cielo s’oscurò
all’improvviso ed un forte vento spirò per tutto il palazzo con
tanto calore che molti temettero di rimanere arsi vivi, in mezzo
a tutto quell’uragano s’udì una voce misteriosa che prese a dire:
”Questo è un posto molto sacro, chi non è degno di rimanerci
deve forzatamente andarsene da qui” subito tutti fuggirono in
altri luoghi e nel castello vi rimasero solamente Parsifal,
Gahalad e Bohor. Immediatamente entrò un meraviglioso letto
su cui giaceva il Re Magagnato, subito Gahalad volle scoprire
il vero volto del venerabile re, ma ritrovò il viso di una persona
che aveva vissuto per molti secoli nella sofferenza più atroce,
quindi decise di raccogliere un po' di sangue dalla lancia e con
quello medicò la ferita di Mordrain, risanandolo all’istante.
Immediatamente il venerabile vecchio disse: ”Sia ringraziato
Nostro Signore Gesù Cristo che mi ha permesso di redimermi
prima di morire”, detto questo, morì beato tra le braccia del
buon Gahalad.
Il giorno successivo, i tre cavalieri vegliarono che Mordrain
venisse sepolto secondo il suo grande rango, infine Parsifal
ritornò dal Ricco Re Pescatore, il quale gli disse: ”È finalmente
giunto il mio momento, quindi tu, buon Parsifal come mio
212
veramente bene nei miei confronti in quell’occasione, inoltre
sappiate che da allora il mio cuore batte solamente per voi”.
Subito Parsifal si rimise a riposo in modo tale da potersi
rimettere in piena forza, finché un giorno si presentò a corte un
cavaliere nero, un essere veramente spregevole sia nell’aspetto
sia nell’animo, infatti aveva un occhio solo ed un’innata
crudeltà. Arrivato che fu nella sala del trono di Camelot, il
cavaliere nero prese a dire: ”Sono giunto fin qui da molto
lontano per poter battere facilmente il vostro più forte
rappresentante, se volete, mandarmelo mi sbrigherò
velocemente nell’ucciderlo, perché sono tanti i paladini che
intendo affrontare prima che la mia breve vita giunga alla fine”.
I cavalieri che erano giunti nella sala ai primi strepiti, si
guardarono negli occhi veramente stupiti e perplessi,
chiedendosi cosa volesse da loro quell’uomo, riavutisi dalla
sorpresa di quelle parole, i cavalieri della Tavola Rotonda
iniziarono a mormorare tra loro tentando di stabilire chi fosse il
più forte, alla fine Parsifal si fece largo tra i compagni ed iniziò
a dire: ”Messere se non siete un infingardo, dovete battervi
contro di me! Vedete, io sono gia pronto alla pugna, quando lo
sarete anche voi fatemi la cortesia di avvisarmi” e ritornò in
mezzo ai suoi amici; come Parsifal ebbe ripreso posto, il
cavaliere nero iniziò ad andare sempre più in collera. Giunto
che fu al massimo furore, il cavaliere nero gridò nuovamente:
”Sono pronto, se il giovane cavaliere non ci ha ripensato,
possiamo iniziare immediatamente il nostro mortale duello,
dato che l’unica cosa che accetto è la morte del mio
avversario”, allora Parsifal si rifece vedere in mezzo al cerchio
formatosi all’occorrenza e, senza più profferir parola, diede
inizio alla singolar tenzone, battendo ben presto il cavaliere
nero. Vistosi battuto, il perfido iniziò a dire: ”Abbiate pietà di
me, messere, perché voglio svelarvi la presenza di un’avventura
qui nella terra di Bretagna, poco lontano da questo castello,
verso ovest”. Parsifal spostò la propria spada dalla gola
157

dell’avversario al cuore, poi chiese: ”Prima di tutto dimmi
esattamente dove si trova questo luogo, poi devi darmi una
ragione valida per avere clemenza di te che sei stato così
crudele durante la tua vita”
Il cavaliere nero vide che non aveva assolutamente più
scampo e, sudando freddo ed incespicando nelle parole, iniziò a
dire: ”Messere, come ho gia detto, il luogo si trova ad ovest da
qui, a cinque giornate di viaggio in mezzo alle montagne e la
località si chiama Reame dei Dolori, sappi in ogni caso che non
te la caverai così facilmente come oggi, infatti, giunto in quel
loco dovrai affrontare una terribile creatura chiamata Addanc e
semina morte e distruzione ovunque vada”. Finito che ebbe il
cavaliere nero, Parsifal prese nuovamente di mira la gola,
dicendogli: ”Messere, vi ringrazio anche a nome dei miei
compagni, per quanto ci rivelaste, ma vedo nel vostro animo
che non meritate assolutamente di vivere, quindi mi vedo
costretto a malincuore a non avere pietà di voi”, detto questo
Parsifal decapitò il perfido davanti all’intiera corte di Camelot.
Una volta che si fu ricomposto, Parsifal si presentò ad Artù e
gli disse: ”Sire avete sentito cosa rivelò quel miserando
cavaliere dalla nera anima, di quanto sta succedendo in
quell’addolorata contada?”. Artù annuì con un cenno di capo,
infine disse: ”Buon Parsifal, non ho perso una parola di quanto
è stato detto, quindi se ti conosco bene, mi stai per chiedere di
prendere congedo ad andartene in soccorso del Reame dei
Dolori, cosa che ti concedo ben volentieri dato che anch’io
aborro quel tipo di cose, ora va a rinfrescarti e puoi partire
quando vuoi”, fu così che Parsifal, il mattino successivo, dopo
la santa messa, prese la strada verso ovest, per poter stanare il
perfido Addanc.
Capitolo 26
Giunto che fu al Reame dei Dolori, Parsifal iniziò ad
informarsi meglio su dove trovare l’essere immondo per poterlo
uccidere; un villano gli disse: ”Messer cavaliere, l’orrendo
158
compagni ancora in vita non avevano avuto nessun’avventura
perché gravati da enormi peccati. Si venne a sapere
immediatamente anche che molti di quelli deceduti nella cerca
furono uccisi per mano dei compagni e solo Galvano ne uccise
almeno una dozzina; a quella notizia Artù fu pieno di cordoglio
a tal punto che per poco non ne uscì pazzo. La regina Ginevra
fu quella che reagì peggio di tutti a quelle funeste notizie che le
furono riferite appena Lancillotto arrivò a corte ed a cui diede
una gelidissima accoglienza, quando s’incontrarono nelle sue
stanze.
Capitolo 37.
Nel frattempo al Monsalvato, Amfortas radunò la propria
corte, quindi si rivolse a tutti i presenti dicendo: ”Miei fidi
compagni è ormai troppo tempo che sto soffrendo in modo
atroce, a questo punto ho preso una grave e definitiva
decisione, dovete permettermi di morire in piena serenità e
tranquillità in modo che il mio erede possa pendere il posto che
ho occupato per tanto tempo immeritatamente”. I cavalieri e
l’intiera corte si guardarono per un attimo negli occhi, poi
Gurnemanz s’avanzò e prese a dire: ”Mio signore, la nostra
fede e la missione affidataci vietano d’accettare questa vostra
richiesta, anche se comprensibile, inoltre ricordate cosa
successe al biblico Giobbe? Ebbene, cadde nella più nera
disgrazia e sofferenza, ma alla fine riuscì ad essere la persona
più ricca del suo tempo, inoltre è vostro compito attendere il
Puro Folle, unico erede della vostra discendenza, per poter
guardare nel Santo Graal al posto di sua eccellenza” nell’udire
quelle parole, Amfortas fu veramente addolorato, ma si dovette
rassegnare a quelle spiacevoli condizioni di vita nell’attesa
della visita liberatrice.
Proprio in quel periodo Gahalad stava errando gia da un anno
ed aveva compiuto numerosissime avventure, finché un giorno
incontrò per caso Bohor e Parsifal che s’erano ritrovati pochi
minuti prima e, mentre cavalcavano assieme, finalmente
211

preso dalla vergogna più amara, anche perché riconobbe tra i
commensali anche Lancillotto ed a quella vista non poté far
altro che piangere dalla disperazione e dalla frustrazione.
Contemporaneamente Lancillotto capì cosa stava accadendo nel
cortile del castello e, finito il pasto, s’alzò e disse: ”Miei
onorati signori e voi, Ricco Re Pescatore, è stato un vero onore
per me restare a banchettare con voi, ma è giunto il momento
che io prenda la strada del ritorno, dato che la mia cerca è
terminata. È ora mia intenzione di tornare alla corte di re Artù
che m’è stata segnalata a Logres in questi giorni e vorrei, se
m’è concesso, arrivarci prima che si decida una nuova
destinazione”. Il Ricco Re Pescatore alzò il proprio busto e,
gemendo, disse: ”Sir Lancillotto, la vostra richiesta è più che
legittima, quindi vi congedo ben volentieri dalla mia presenza e
da quella del Santo Graal con la promessa interiore di divenire
sempre migliore e non cadere nuovamente nel peccato che vi ha
macchiato in questi ultimi cinque lustri, ora potete andare a
prepararvi e partire” e Lancillotto ubbidì immediatamente a
quel santo congedo e dopo pochi attimi aveva gia varcato il
ponte levatoio del castello; fatto che ebbe un tratto del percorso
abbastanza corto, Lancillotto si volse indietro per ammirare
ancora una volta il castello del Monsalvato, ma trovò solamente
una desolata landa deserta, così riprese il proprio percorso.
Qualche giorno dopo, Lancillotto arrivò ad un cimitero e la
sua attenzione fu attratta da una lapide più recente delle altre ed
avvicinatosi, riuscì a leggere questo epitaffio:
qui giace Ivano il Grande,
ucciso in duello
da sir Galvano di Camelot
in questo loco.
Dopo aver letto quanto scritto su quella lapide, Lancillotto si
fermò su quella tomba per pregare qualche minuto e subito
riprese la propria strada arrivando poco dopo a corte. Giunto
che fu a corte, Lancillotto venne a sapere che molti dei suoi
210
essere che state cercando si trova in una grotta su di una collina
ad una giornata di cammino da qui, in direzione del sole a
mezzogiorno. Vi voglio dire, però, un’altra cosa prima che
riprendiate la strada per affrontare l’infame ragnaccio: esiste un
unguento miracoloso che ha gia fatto rinascere tante vittime del
mostro, ma non avrà nessun effetto su colui che è destinato ad
ammazzarlo”. Parsifal diede alcune monete al villano e poi gli
disse: ”Ti ringrazio delle informazioni che mi hai dato, buon
uomo, ma ora dimmi, dove posso trovare un posto decente dove
riposarmi prima di affrontare la nauseante bestia?”
Il villano restò un attimo perplesso, poi disse: ”In questo
villaggio, purtroppo, non vi sono locande decenti a causa della
mostruosità, ma se volete vi posso ospitare io per la notte, dato
che ne ho le facoltà”, infatti quella notte Parsifal fu ospitato
veramente bene, tanto è vero che il giorno successivo coperse
l’intiera strada indicatagli in una sola mattinata. Giunto che fu
alla collina dell’Addanc, Parsifal decise di riposarsi per
un’oretta, dedicando quel tempo ad un fugace spuntino per
mantenersi nel pieno del vigore. Finito il riposo, Parsifal giunse
ben presto alla puzzolente tana dell’Addanc, dentro alla quale
prese a dire: ”Lurido essere, fetida creatura, è giunto colui che
dovrai tentare di battere immediatamente se non vuoi
soccombere al primo assalto, com’è gia successo, te lo
garantisco, a molti altri cavalieri ed esseri informi, in passato”
Immediatamente l’aria si fece irrespirabile dal gran puzzo di
cadaveri e di morte, quindi una voce tremenda, proveniente dal
profondo della tana, prese a dire: ”È giunto un altro misero
umano che perirà ancor prima di aver sfoderato la propria
spada, tra atroci tormenti”, subito dopo un’orrida creatura
fetida, che ricordava un enorme ragno, si presentò sulla soglia
della caverna e si ritrovò davanti un cavaliere perfettamente
armato e con la spada gia sguainata, al che l’Addanc si stupì di
tanto coraggio e vigore, ma non poté far altro, perché Parsifal
159

aveva gia trovato il cuore della creatura e vi aveva immerso la
lama fino all’elsa.
In quel preciso istante per tutta la regione si sentì un terribile
grido di dolore e di sorpresa, perché l’Addanc era sicuro di
poter vincere immediatamente anche quella volta. Prima di
morire, però, l’Addanc si rivolse a Parsifal e gli disse: ”Non ho
mai incontrato nella mia vita un giovane cavaliere coraggioso
ed ardito come te, ma adesso ti voglio far sapere dell’esistenza
di un’altra avventura presente in quelle colline alle nostre
spalle. Devi sapere che su di un’altra collina, verso sud ed ad
una giornata di viaggio da qui, vi risiede un immenso serpente
che custodisce una preziosa pietra che fornisce tutto l’oro che il
suo possessore ha bisogno, ma è meglio che ti avvii
immediatamente, perché il percorso è irto di pericoli ed
ostacoli”
Ritornato che fu al piano, Parsifal incrociò la strada con un
cavaliere che, bloccatolo, gli disse: ”Messere, se volete
continuare il vostro percorso, prima dovete battervi contro di
me”. Parsifal guardò con commiserazione quel poveraccio, poi
disse: ”Con gente come te non vale neanche la pena di snudare
la spada, quindi ti conviene sgombrare la strada, se non vuoi
provare la spada di uno dei cavalieri della Tavola Rotonda”
A quelle parole, il cavaliere scese da cavallo e si prostrò ai
piedi di Parsifal, dicendo: ”Messere, se avessi saputo di quale
schiatta facevate parte non avrei neanche osato attraversare la
vostra ombra. Ora vi prego solamente di una cosa: accettate la
mia sottomissione ai vostri ordini, messere, io sono il conte
Edlyn dalla spada rossa”. Parsifal il prese per le spalle,
dicendogli: ”Messer Edlyn non dovete prostrarvi in questo
modo davanti ad un cavaliere che non conosce neanche il nome
del proprio padre, anche se d’alto lignaggio come sono io, sappi
che davanti a te sta Parsifal delle terre di Camaalot, cavaliere
della corte di re Artù di Camelot”, subito rimontarono entrambi
a cavallo, proseguendo la loro avventura verso sud.
160
vedere, ripresosi dalla sorpresa, Lancillotto scorse una tavola
d’argento su cui posava il Santo Graal, ricoperto da una seta
vermiglia. Attorno alla tavola v’erano degli angeli che
reggevano incensieri, croci ed ornamenti sacri, servendo un
sacerdote in atto benedicente. Assistendo a quella scena,
Lancillotto volle attraversare la soglia, ma fu letteralmente
investito da un vento infuocato che lo rese come morto per
ventiquattro giorni: esattamente una giornata per ogni anno in
cui Lancillotto servì il Nemico. Durante quello stato di cose fu
accudito dagli abitanti del castello.
Risvegliatosi dal letargo, Lancillotto si ritrovò al cospetto del
Ricco Re Pescatore, il quale gli disse: ”Messer Lancillotto,
sappiate che la vostra cerca è totalmente terminata e quanto
dovevate sapere sul Santo Graal l’avete appreso il giorno che
siete svenuto, quando guardaste all’interno della cappella, sappi
che tua moglie e mia figlia è morta di crepacuore per i tuoi
peccati”. A quella notizia, Lancillotto provò un’enorme fitta al
cuore, passato il colpo per il dispiacere, il Ricco Re Pescatore si
rivolse al genero e gli disse: ”Non preoccuparti per il resto,
Lancillotto, ora siedi con me ed i miei cavalieri alla mensa del
Santo Graal e godi della pace che si diffonderà nel momento
del sacro pasto”, sedutisi che furono tutti quanti, una colomba
bianca attraversò in volo l’intiera sala, portando un incensiere
d’oro nel proprio becco, seguita dal Santo Graal
misteriosamente sospeso in aria, al suo passaggio davanti ad
ogni convitato comparirono tutte le più deliziose pietanze che si
potesse immaginare. Durante il pranzo arrivò anche Estor, ma
gli fu negato l’accesso alla sala del Graal, al che il paladino
chiese: ”Come mai non posso entrare per godere la pace che
state provando voi che siete seduti a quelle tavole?”. Subito un
paggio gli rispose, dicendo: ”Messere, è evidente che nel vostro
cuore alloggia il peccato nella sua forma più abbietta, quindi
non potete avvicinarvi oltre, se non volete rischiare la più
tremenda delle punizioni divine”, a quella risposta Estor fu
209

il mezzo che dovrete usare, ma non dovete averne pensiero
perché qui v’è un cavallo pronto per la vostra bisogna”, a quelle
parole uno splendido stallone bianco s’avvicinò e Gahalad gli
montò in sella, partendo velocemente e dritto come un
quadrello di balestra.
Lancillotto si ritrovò, infine, completamente solo in
quell’imbarcazione, ove vi trascorse ancora un mese in
compagnia del cadavere della Pulzella che mai non Mentì.
Finalmente una sera la barca accostò a riva, facendolo scendere
nei pressi di uno splendido maniero ove, una volta avvicinatosi,
sentì una voce che gli si rivolse, dicendogli: ”Messer
Lancillotto, qui termina la vostra cerca perché troverete quanto
v’è permesso avere da quest’avventura così coraggiosamente
portata a termine, nonostante i vostri grandi peccati”. Subito
Lancillotto si mise a cercare l’ingresso di quel misterioso
maniero; trovatolo che l’ebbe, lo trovò sorprendentemente
aperto ma custodito da due grandissimi leoni. Preso da timore,
Lancillotto sguainò la propria spada, ma una mano
fiammeggiante lo trattenne, anzi costringendolo a rifoderare
l’arma, mentre la misteriosa voce di poco prima lo rimproverò
dicendogli: ”Messer Lancillotto avete ben poca fede; se riuscite
ad avere il cuore saldo, quei due animali non vi degneranno
nemmeno di uno sguardo”, rassicurato da quel rimbrotto,
Lancillotto varcò la soglia senza subire danni dai due leoni.
Una volta che fu entrato, Lancillotto riconobbe in quel maniero
il Castello Avventuroso, però all’intorno non vide nessuno, così
si diresse verso il palazzo, trovandolo parimenti deserto,
passando davanti ad un’imposta, però, Lancillotto udì una voce
sovrannaturale che cantava la gloria di Dio; nel sentire quegli
accenti, Lancillotto levò lo sguardo al cielo e disse: ”Mio
Signore Gesù Cristo, fammi la grazia di portate a termine la
mia parte di cerca, come mi è stato promesso” immediatamente
la porta della cappella s’aprì da sola e Lancillotto fu investito
da una luce accecante che gl’impedì momentaneamente di
208
Stava iniziando a calare il sole, quando arrivarono ad un
castello da cui uscirono immediatamente trecento cavalieri con
l’intenzione di catturarli, ma Parsifal prese mano alla spada e li
disarcionò tutti quanti nell’arco di una sola ora ed entrò nel
maniero assieme al nuovo amico. Scesi che furono, i due
cavalieri dalle loro cavalcature, venne loro incontro una
splendida dama, nota col nome di Contessa delle Prodezze, che
abbracciandoli e baciando entrambi, disse: ”Messeri ho visto
dall’alto delle mie torri quanto faceste poc’anzi ai miei cavalieri
migliori e la vostra prodezza è stata veramente notevole, quindi
vi concedo incondizionatamente il mio maniero ed il cuore che
mi batte nel petto, stanotte sarete miei graditissimi ospiti,
ovunque voi siate diretti”
Parsifal fece un rispettosissimo inchino e, baciandole la mano,
le disse: ”Madama siamo, il mio compagno ed io, molto onorati
della vostra ospitalità vista sopratutto l’ora tarda per poter
proseguire nel buio del bosco, ma sappiate che domattina
dobbiamo partire prima dell’alba per raggiungere una collina
qui vicina ove abita un immenso serpente che custodisce un
ricchissimo bottino”, la dama fece un cenno d’assenso e sul
momento non disse altro. Seduti che furono a tavola, la
contessa disse: ”Messere sono a conoscenza di quel colossale
serpente e di che bottino state parlando, sappiate comunque che
è forse la più difficile impresa che un cavaliere possa
immaginare, se vogliamo escludere la cerca del Graal, che per
ora non è riuscita ad anima viva. Inoltre sappiate che il
mostruoso bestio è sempre assediato da un immane esercito che
non permette di essere sorpassato da alcuno, neanche se si
trattasse del famoso Parsifal in persona”. Parsifal accennò ad un
bonario sorriso e, accarezzandosi la folta barba bionda che
portava, disse: ” non ne sarei tanto sicuro che riescano a
bloccare messer Parsifal, mia cara contessa, perché nemmeno
tutti gli eserciti di questo mondo riusciranno a precludergli il
cammino, ovunque egli vada, visto che Nostro Signore dalla
161

sua”, in quel preciso istante vennero ad annunciare che il pasto
era pronto.
Il mattino successivo i due compagni erano gia pronti prima
dell’alba, così, ascoltata la messa mattutina, presero
immediatamente la via verso la loro avventura. Al giunger del
mezzodì i due compagni arrivarono finalmente alla collina che
interessava loro, ma come disse la contessa, era completamente
circondata da un enorme esercito che presiedeva il loco, allora
Parsifal e Edlyn s’avvicinarono ad un posto di guardia con la
speranza che li lasciassero passare, invano, difatti gli si
pararono dinanzi le guardie del posto, dicendo: ”Questo è un
luogo veramente pericoloso per tutti i cavalieri di questo
esercito, figuriamoci se due paladini erranti riescono ad arrivare
fino in cima senza incappare nella mortale presenza del terribile
serpente che vi abita”
Parsifal e Edlyn si guardarono un attimo negli occhi e,
sguainate le proprie spade, iniziarono ad avanzare
nell’accampamento finché non lo attraversarono
completamente, arrivati alle prime pendici della collina al di la
dell’immensa tendopoli, si voltarono un attimo e scoprirono di
aver combinato una vera strage tra quelle persone. Infatti videro
orrendamente mutilati sul terreno almeno duecento cadaveri
che si erano gettati sulle loro spade o sotto gli zoccoli dei loro
cavalli lanciati al galoppo più sfrenato. Subito si voltarono
verso la collina ed iniziarono a risalirla, lasciandosi alle spalle
la carneficina, sperando di riuscire nell’impresa che stavano
compiendo. Attesero poco, prima di trovarsi davanti al
serpente, infatti lo incontrarono a metà della salita che bloccava
il sentiero; avendoli visti anche l’orribile rettile, si rizzò sulla
coda ed iniziò a sibilare, ma non riuscì a fare altro, perché
Parsifal gli troncò la testa di netto con la propria lancia.
Accertata la morte del rettile, Parsifal si guardò attorno per
vedere ove poteva essere nascosto il tesoro custodito dal grosso
animale; Edlyn notò un piccolo pertugio presso un masso e ci
162
Partì all’inseguimento e,
Raggiunto l’infingardo,
Lo batté in duello.
Liberata l’amata regina
Il reame si diede alla pazza gioia,
Creando una splendida festa,
Per cantare la novella gioia.
Parte Parte undicesima: undicesima: visite visite al al Monsalvato
Monsalvato
Capitolo 36.
Dopo un giorno ed una notte intieri a pregare presso il fiume
invalicabile, Lancillotto s’alzò e, al sorger del sole, vide
apparire il naviglio sul quale era stata sepolta la Pulzella che
mai non Mentì; come fu a bordo, Lancillotto trovò lo scritto che
i compagni avevano ivi lasciato e, lettolo, ne rimase
enormemente rallegrato, quindi decise di rimanere a bordo per
il tempo che fosse stato opportuno ai suoi scopi, sfamandosi
con quanto gli forniva la natura stessa. Passò così qualche
tempo e l’imbarcazione s’avvicinò alla riva d’una rigogliosa
foresta, ove Lancillotto udì un rumore secco, come di rami
spezzati e di foglie calpestate, finalmente notò sulla sponda un
cavaliere che andava al galoppo più sfrenato; mentre
Lancillotto osservava quella misteriosa apparizione, la barca
accostò ed il cavaliere s’imbarcò con Lancillotto, quindi
l’imbarcazione s’allontanò nuovamente dall’approdo. Quale
sorpresa per Lancillotto quando il cavaliere si disarmò e
comparve suo figlio Gahalad. Immediatamente i due cavalieri
s’abbracciarono pieni di gioia per il fortunato incontro, quindi
decisero di rimanere a bordo per altro tempo, compiendo
assieme moltissime imprese. Passate le feste di pasqua, il legno
s’avvicinò ad una lingua di terra, ove lo stava attendendo un
cavaliere completamente vestito di bianco; come furono
abbastanza vicini, il misterioso paladino si rivolse a Gahalad,
dicendogli: ”Messere è giunto il momento che sbarchiate per
continuare da solo le vostre avventure. Vi vedo preoccupato per
207

Pulzella che mai non Mentì, i suoi compagni iniziarono a
protestare ed a dolersi, senza che potessero ottenere alcun
ascolto.
Il mattino successivo, dopo la messa, la pulzella si fece
incidere il braccio, facendo colare tutto il proprio sangue nella
scodella che gli era stata avvicinata, ma lo sforzo della
donazione la fece svenire; nel frattempo il dissanguamento fu
completato e la ferita fu richiusa. Riavutasi che fu, la Pulzella
fece avvicinare i propri compagni e disse, con un filo di voce:
”Miei diletti amici, sento che sono gli ultimi attimi di vita per
me, quindi statemi bene a sentire. Non voglio essere seppellita
in terra consacrata, ma su di una lancia senza ne remi ne vela,
alla moda normanna, e mandata alla ventura secondo i capricci
delle correnti del mare che ho sempre amato così tanto.
Sappiate inoltre che per il momento dovete separarvi
nuovamente, ma senza temere perché il destino vuole che vi
ricongiungiate a tempo debito per completare la cerca di cui
siete gli eletti”. Finite che furono quelle istruzioni, la Pulzella
che mai non Mentì ricevette l’estrema unzione con il Corpus
Domini per spirare immediatamente dopo.
Contemporaneamente la castellana migliorò sempre di più,
finché non guarì completamente nel momento stesso in cui la
pulzella moriva. Subito Bohor, Gahalad e Parsifal si diedero da
fare per accontentare le ultime volontà della pulzella e stettero
sulla spiaggia finché la barca su cui l’avevano adagiata non fu
più visibile oltre l’orizzonte, quindi i tre compagni se
n’andarono ognuno per la propria strada, ma prima incisero su
pietra una elagia funebre per la buona e sfortunata compagna,
che recitava così:
Un perfido cavaliere
Disonorò l’ospitalità d’un nobile re,
Rapendogli con l’inganno
L’amabile signora.
Subito il nobile nipote
206
s’infilò per vedere cosa ci fosse dentro; pochi secondi dopo
ritornò alla luce del sole con un grosso zircone rosso e lo
consegnò a Parsifal, quindi tornarono subito all’accampamento
ove provarono subito quanto funzionasse la gemma, difatti
riuscirono a ripagare per il disturbo tutti i presenti. Andati che
furono i cavalieri superstiti dell’accampamento, Parsifal si
rivolse ad Edlyn e gli disse: ”Ho visto che sei un fedele
vassallo, ma ora devo continuare la mia ricerca completamente
solo, quindi anche tu devi prendere la tua strada, ma prima
vorrei ricompensarti per quanto hai fatto per me”, detto questo,
Parsifal diede una generosa borsa al compagno.
Capitolo 27
Una volta che Parsifal ebbe congedato Edlyn, riprese la
propria strada; dopo alcuni giorni di viaggio, arrivò presso un
fiume, nelle cui vicinanze vi era un vastissimo accampamento,
addirittura munito di mulini allineati sul fiume. Vedendo
quell’enorme spettacolo vi si diresse. Giunto che fu al limitare
del campo vicino al fiume, Parsifal incontrò il capo dei mugnai,
al quale chiese: ”Buon uomo, ho visto dalla cima di quella
collina che questo campo è veramente enorme; mi potresti dire,
per favore, chi state scortando in così tanta moltitudine?”. Il
buon uomo non si era aspettato la presenza di un cavaliere
estraneo in quel luogo, quindi ne fu veramente sorpreso, ma
come si fu ripreso, rispose: ”Il campo che vedi appartiene alla
Principessa di Costantinopoli che sta facendo un lungo viaggio
per l’intiera Europa con tutta la sua corte e la propria scorta, in
modo tale da farsi riconoscere in futuro da tutti i sovrani che
esistono. Vedo che voi, messere, non avete alcun riparo per la
notte ed il giorno sta declinando in modo molto rapido: questa
notte permettetemi di ospitarvi al mio povero mulino, se il
consentite”. Giunti che furono al mulino, il buon mugnaio fece
disarmare Parsifal e gli diede delle ottime vesti per passare
degnamente la serata, quindi si misero a tavola per la cena,
durante il pasto il mugnaio prese a dire: ”Dovete sapere,
163

messere che per domani è stato organizzato un gran torneo per
distrarre la nostra beneamata principessa, a cui parteciperanno
tutti i migliori cavalieri del campo stesso”
Parsifal, senza scomporsi, disse: ”Buon uomo potreste farmi
un prestito per fare provviste a me ed alla vostra famiglia, vi
garantisco, parola di cavaliere, che sarete risarcito fino
all’ultimo soldo”, così Parsifal ottenne il prestito e s’andò a
coricare nel giaciglio fornitogli dal buon mugnaio. Il mattino
successivo, sentita la messa, Parsifal si presentò sul terreno del
torneo ma, volgendosi verso il pubblico, vide una splendida
dama e per i successivi tre giorni non riuscì a combattere
perché perdutamente innamorato di quella visione celestiale. Al
quarto giorno, il mugnaio era ormai allo stremo delle proprie
sostanze e, rivolgendosi a Parsifal, gli disse: ”Messere sono gia
quattro giorni che vi faccio dei prestiti con la promessa, finora
non mantenuta, di rifondermi tutto quanto e durante il torneo
non concludete assolutamente niente. È giunto il momento che
scordiate qualsiasi cosa e vi concentriate ai combattimenti delle
rimanenti giornate da oggi, altrimenti mi vedrete costretto a
cacciarvi dal mio tetto, perché mi state portando alla rovina”.
A quelle parole, Parsifal arrossì visibilmente dalla vergogna
ed abbassò lo sguardo, dicendo: ”Messer mugnaio avete
pienamente ragione, sono completamente in debito con voi e
oggi, se voglio estinguerlo alla svelta, sono obbligato a
scendere in campo e battermi in torneo, anche perché tutto
l’accampamento avrà visto il mio comportamento ed ora
staranno additandomi come vanaglorioso”. Detto questo
Parsifal andò al campo del torneo, scendendo in campo e
vincendo tutti gli sfidanti che gli giungevano a tiro, mandando i
vinti alla principessa e spedendo le armi migliori alla moglie
del mugnaio, dicendo: ”Madama, questo serve per estinguere il
debito con voi”, in questo modo arrivò alla fine del torneo.
Vedendo quelle prodezze che i suoi cavalieri non sapevano
contrastare, la principessa s’informò ampiamente sul conto di
164
cervo bianchissimo, accompagnato da quattro leoni che li
accompagnarono ad una cappella vicina, in cui si stava per
celebrare la messa allo Spirito Santo, quindi le cinque creature
sparirono nella foresta. Finita che fu la messa vespertina, i
quattro compagni furono ospitati nel vicino eremo. Passata che
fu la notte, i compagni ripresero la loro strada verso la città,
giungendo in breve al castello che era la loro meta. In quel
momento arrivò una donzella che portava appresso una scodella
ed era scortata da un drappello d’undici cavalieri, che tentarono
di rapire la Pulzella che mai non Mentì per rubargli il sangue; a
quel tentativo Bohor, Gahalad e Parsifal sfoderarono le proprie
spade, facendo impensierire il drappello che chiamò dei
rinforzi, i quali arrivarono immediatamente nella presenza
d’altri quaranta compagni, cosicché la scaramuccia andò avanti
sino al tramontare della sera. A quel punto uno dei cavalieri del
castello si fece avanti e disse: ”Ormai non possiamo più
combattere tanto si sta facendo buio, per stanotte potrete
comunque essere ospitati da noi. Riprenderemo la battaglia
domattina al sorgere del sole”. Rientrati che furono tutti quanti,
gli sfidanti furono disarmati ed accompagnati nella sala del
trono, dove fu imbandita la tavola per la cena, intanto entrò
nella sala la castellana, mostrando una colorazione molto
malaticcia. A quella vista Parsifal si rivolse al capo degli
avversari e gli chiese: ”Messere, che ha la vostra padrona per
presentarsi con quell’aspetto così malsano?”. Il capo dei
cavalieri locali mostrò allora il proprio volto più addolorato e
disse: ”La nostra signora è colpita da uno strano tipo di lebbra e
per guarirlo abbiamo bisogno del sangue d’una principessa
reale e vergine, come abbiamo saputo essere la vostra
compagna”. Sentendo quella sventura la pulzella si fece avanti,
dicendo: ”Se le cose stanno effettivamente come avete appena
detto, mio scopo estremo è salvare la vita a costei, anche se
sono sicura che quest’atto significherà la mia morte, ma ormai
lo scopo della mia vita è giunto al termine”, alla decisione della
205

cavaliere”, detto questo la pulzella cambiò velocemente le
misere stringhe con quelle preziosissime che aveva preparato.
Gahalad finalmente si convinse a brandire quella splendida
arma ed armarsi con quella riuscendoci senza danno, mentre la
spada che aveva usato fino a quel momento la donò a Parsifal.
Finalmente i tre amici furono abbastanza tranquilli da poter
continuare l’esplorazione di quel meraviglioso letto, infatti
trovarono appoggiati sulle lenzuola ben tre fusi: uno più bianco
della neve, accompagnato da un secondo più rosso del sangue
ritti in piedi, mentre il terzo faceva da architrave ed era d’un
bellissimo verde smeraldo, ma nessuno sul momento riusciva
ad immaginare cosa potessero significare. Continuando
l’esplorazione, Parsifal trovò sotto il letto stesso una scarsella
che nascondeva uno scritto, una volta aperto, lessero queste
parole: l’imbarcazione su cui siete saliti, o prodi, fu fatta
costruire da re Salomone, nella quale furono collocati la spada di
re Davide suo padre e questo scritto, assieme allo splendido letto
su cui sono appoggiati. Tu prode cavaliere che sarai nomato
Parsifal, sappi che sei l’ultimo discendente del vigoroso virgulto
nato dal seme di Davide, se vuoi vivere in pace guardati dalle
donne, in caso contrario né saggezza né prodezza né cavalleria ti
potranno assicurare dal disonore. Finita l’esplorazione dei ponti
sottocoperta, furono controllate le fiancate, su di una di esse
trovarono la seguente scritta: uomo se vuoi salire a bordo, guardati
dal farlo se non possiedi la vera fede, e sappi che non ti sosterrò se dovessi
cadere in empietà.
Il mattino successivo i quattro compagni si trovarono davanti
alle coste della Scozia, vicino a Carcelois, così decisero di
scendere a terra. Giunti sulla terraferma decisero d’andare al
vicino villaggio attraversando la foresta che si delineava poco
oltre la spiaggia, ma ben presto si persero nella fitta
vegetazione. Subito decisero di rimettersi al Signore mentre
andarono avanti, a metà mattina si trovarono di fronte ad un
204
Parsifal e, saputo dove era alloggiato, lo mandò a chiamare,
dicendogli: ”Messere siete tanto valente e prode che sarei
onorata ad avere la vostra compagnia per la cena di questa
sera”. Parsifal, finito il messaggio, rispose: ”Sono molto
onorato dell’invito, mia signora, ma ho l’intenzione di
rimanermene ritirato a pensare alla mia gran cerca, che mi
vuole tutto per se”, allora la principessa mandò altre due
ambasciate presso il capo dei mugnai per convincere Parsifal,
ottenendo, però, la stessa risposta. A questo comportamento, la
gran dama si offese alquanto e fece chiamare un saggio di
corte, dicendogli: ”Mio buon consigliere, ho l’intenzione di
conoscere il cavaliere che ha vinto il recente torneo svoltosi nel
nostro campo, ma costui si rifiuta di comparire alla mia
presenza, come potremmo fare per poterlo vedere da vicino e
parlargli con il dovuto agio?”
”Mia adorata principessa, non dovete preoccuparvi della cosa,
perché sono sicuro di riuscire a condurvi quel prode che ha
battuto il fior fiore dei cavalieri del nostro impero”, fu così che
il saggio si presentò al cospetto del capo dei mugnai per
incontrare Parsifal. Trovatisi l’uno di fronte l’altro, il saggio gli
disse: ”Messere, dovete sapere che tutto quello che la nostra
principessa chiede bisogna assecondarlo immediatamente, ma
voi ho saputo che le avete disubbidito per ben tre volte, senza
alcuna ragione apparente, offendendola gravemente. Ora vi
prego umilmente di seguirmi da lei, perché ha solo intenzione
di conoscervi e parlare pacatamente con voi per tutta la serata”.
Parsifal non si fece ripetere la cosa un’altra volta e seguì senza
controbattere il saggio consigliere dalla principessa.
Arrivato che fu alla tenda della principessa, Parsifal trovò
immediatamente un sedile e vi ci sedette sopra, iniziando
immediatamente a discorrere amabilmente con la sua ospite;
poco dopo si presentò al loro sguardo un uomo nero con un
calice pieno di vino, il quale disse: ”Mia signora donate questo
prezioso nappo ricolmo a colui che dovrà battersi con le armi
165

contro la mia persona”. Parsifal si levò dal suo sedile, prese
immediatamente il calice e, svuotandolo in un sol fiato, disse:
”Messere sono pronto a battervi anche immediatamente,
davanti a madama”. Il misterioso cavaliere lo guardò stupito,
poi disse: ”Messere vi aspetto fuori di quest’accampamento
domattina all’alba per un duello all’ultimo sangue”. Parsifal
annuì con la testa, poi rispose: ”Messere potete contare sulla
mia lealtà di cavaliere e domattina all’alba mi troverete fuori di
questo campo armato come si deve”, allora l’uomo nero
s’accomiatò e disparve, lasciando i due a continuare la loro
galante attività, dopo che Parsifal ebbe mandato alla moglie del
mugnaio quella splendida coppa a risarcimento della sua
ospitalità e del prestito ricevuto.
Poco dopo arrivò un altro sconosciuto dalla corvina
capigliatura, che portava seco un calice ricavato da un artiglio,
il quale iniziò a dire, rivolto alla principessa: ”Mia signora
donate questo scultoreo calice a colui che dovrà battermi a
singolar tenzone nella giornata di domani”, allora Parsifal gli si
avvicinò e prese quella splendida coppa. Vuotata che l’ebbe,
Parsifal disse: ”Messere vi attendo domani a metà mattinata
fuori dell’accampamento per battermi con voi, intanto questo
calice così artistico voglio che vada alla moglie del mugnaio in
acconto al mio debito che ho con loro”. Parsifal e la principessa
non fecero in tempo a riprendere il filo dei loro discorsi,
quando si presentò un terzo cavaliere dai capelli rossi e molto
ricco, il quale recò alla principessa stessa un ricco calice di
cristallo, ricolmo d’ottimo e rarissimo vino di Sicilia ed iniziò a
dire, pieno di rispetto: ”Mia signora vi consegno questa
splendida coppa ricolma di rarissimo licore da dare a colui che
vorrà battersi contro di me all’ultimo sangue”. Parsifal non si
fece attendere e, alzatosi nuovamente, si rivolse al cavaliere,
prese il calice e bevve subito, poi disse: ”Messere vi attendo
domani sul fare del mezzogiorno e sono sicuro di potervi
battere alla prima stoccata”. Andatosene che fu il rosso
166
constatazione molto prudente e presero a guardare meglio la
spada finché non posarono lo sguardo sulla mezza lama che era
sguainata. Subito videro che in quella parte di lama visibile
v’era una seconda frase, a caratteri vermigli, che suonava in
questo modo: nessuno sia tanto ardito da estrarmi dal fodero se non dovrà colpire
meglio e più audacemente d’ogni alto, altrimenti morrà. A quelle parole
Gahalad tentennò ancora, quindi passarono ad esaminare il
fodero, scoprendo che era fatto con la pelle d’un serpente il cui
colore ricordava quello d’una rosa secca, ma le cinghie
stridevano enormemente, dimostrando di non essere quelle
giuste tanto da sembrare costituite di canapa; anche sul fodero
videro risaltare una scritta molto inquietante, dato che solo la
pulzella ebbe l’ardire di leggerla. Le parole che ne saltarono
fuori, con caratteri azzurro dorati, furono: sventura a chi volesse
cambiare queste cinghie, devono essere tolte solamente da una figlia di
re e di regina che sia rimasta pulzella tutta la vita. Al loro posto essa
porrà ciò che di se stessa le è più caro e chiamerà la spada col suo nome
e me col mio. Finito che si ebbe di leggere quelle parole, i tre
cavalieri si videro molto imbarazzati perché non conoscevano
nessuna principessa con quelle caratteristiche. Vedendo
quell’imbarazzo, la pulzella si fece nuovamente avanti,
dicendo: ”Quella frase vi preoccupa molto, è vero, ma la cosa
possiamo risolverla bene ed agevolmente, perché quella
pulzella di cui parla la prima parte sono io, mentre la cosa
preziosa di cui parla la fine la potete vedere sotto i vostri occhi
in questo preciso istante”, dicendo questo la Pulzella che mai
non Mentì estrasse da uno scrigno delle cinghie fatte con
capelli biondissimi ed erano ricamate con pietre preziose e
borchie d’oro. I compagni amutolirono nel vedere quella
meraviglia, domandandosi in cuor proprio di chi fossero quei
splendidi capelli, ma la pulzella, indovinando i loro pensieri,
disse: ”Questa è la mia chioma che mi tagliai apposta per
questa occasione il giorno in cui Gahalad fu investito
203

Capitolo 35
Una volta che si furono riuniti, i tre cavalieri si raccontarono
le rispettive avventure dacché si furono lasciati ormai alcuni
anni addietro, ma l’attenzione di Parsifal fu attratta dalla dama
che nel frattempo s’era tolta il mantello che portava indosso, e
subito prese a dire: ”Costei era presente alla corte di re Artù il
giorno della mia investitura e prese a parlare molto bene nel
momento in cui io fui fatto cavaliere dal nostro beneamato re e
mi fu presentata come la Pulzella che mai non Mentì, se non
ricordo male, giacché è passato molto tempo d’allora”. La
pulzella fece un sorriso molto sbarazzino, poi disse,
rivolgendosi a Parsifal: ”Ricordate bene, messer Parsifal, come
io mi ricordo perfettamente di voi, ma ora dovete ambientarvi
alquanto con questa nave, dato che ci vivremo tutti e quattro
per diverse lune, quindi iniziate immediatamente ad esplorarla
tutta quanta, senza alcun timore che vi possa accadere
alcunché”. Subito i tre cavalieri ubbidirono a quell’ordine dato
con così tanta simpatia, durante l’esplorazione incapparono in
un meraviglioso letto ai cui piedi era stata misteriosamente
deposta una corona d’oro. Sul letto, invece, trovarono una
meravigliosa spada sguainata a metà, il cui pomo era un’unica
gemma, mentre l’elsa era divisa in due parti: la prima aveva il
potere di sprigionare un calore superiore a quello del fuoco,
mentre la seconda faceva dimenticare la gioia ed il dolore
passati e a ricordare il motivo per cui s’era spinti a prenderla.
Su quell’elsa meravigliosa v’era inoltre incisa la seguente frase:
sono meravigliosa a vedersi, più meravigliosa a conoscersi,
perché nessuno mi può impugnare per quanto grossa sia la sua
mano, tranne colui a cui sono destinata.
A quella frase, Parsifal e Bohor si sentirono sfidati ad
impugnarla senza successo, mentre Gahalad, più prudente,
prese a dire: ”Penso che prima d’agire senza riflettere su niente,
è meglio conoscere tutti i prodigi di questo fantastico e
splendido oggetto” tutti e tre si ritrovarono d’accordo su questa
202
cavaliere, Parsifal si rivolse alla principessa e gli disse: ”Mia
signora, dopo quello che è successo stasera in vostra presenza,
devo chiedervi il congedo per potermi battere al meglio nella
mattinata di domani”. La principessa si avvicinò a Parsifal e,
datogli un bacio sulla fronte, gli disse: ”Messere, stasera non
abbiamo potuto parlare come avevamo voluto, ma conto che
domani mattina superiate indenne i tre duelli, in modo da
potermi dedicare l’intiero pomeriggio e la cena, ora avete
ragione e dovete andare a riposarvi come si deve” in questo
modo i due si lasciarono per andare a dormire nei propri
giacigli. Il mattino successivo Parsifal era gia pronto,
perfettamente armato, e con la prima messa mattutina ascoltata
molto tempo prima che il sole sorgesse, durante l’attesa di
potersi avviare al posto del combattimento. Finalmente il primo
dei contendenti si presentò poco prima dell’alba ed iniziarono a
duellare a tal punto e con tale ferocia che ben presto le loro
armature erano a brandelli, ma Parsifal trovò un punto della
gola scoperto e vi penetrò la spada fino all’elsa, al colpo il
cavaliere nero morì all’istante. Avendo ancora del tempo, prima
del duello successivo, Parsifal andò dal fabbro del campo e si
fece sostituire i pezzi della propria armatura che erano
danneggiati, quindi ritornò sul luogo della tenzone, ove trovò il
cavaliere moro ad attenderlo, così iniziarono subito a battersi,
ma questo era notevolmente meno valido del precedente, dato
che al secondo assalto Parsifal gli fece uscire l’osso della
spalla, in modo talmente orrendo da precludergli qualsiasi altra
attività cavalleresca. Vedendosi libero ancora con così largo
anticipo, Parsifal andò al fiume e si concesse un lungo bagno
ristoratore, che gli tolse tutto il sudore e la sporcizia di dosso e,
dopo essere tornato a riva, si distese per qualche tempo ai
ristoratori raggi del sole. Finalmente giunse il momento
dell’ultimo duello e Parsifal ritornò, con una gran baldanza nel
fisico e nell’animo, cosicché l’orgoglioso cavaliere rosso, che
per l’occasione indossava una ricca armatura completamente
167

dorata d’arabeschi veramente fini, fu battuto e disarmato al
primo assalto, al che Parsifal gli disse: ”Messere era inutile
questa splendida armatura, visto che non mi avete accecato con
le vostre ricchezze e vi siete fatto battere come un novellino,
mentre i due cavalieri che vi hanno preceduto sono stati
veramente valenti, perché il primo ha perso la vita in
combattimento, mentre il secondo è stato reso invalido da un
mio colpo che gli ha orrendamente disarticolato la spalla,
adesso vi prego di andarvene perché mi fate ribrezzo” e
s’accertò che l’infame cavaliere dai capelli rossi se n’andasse
nella direzione giusta, lontano dal campo, poi Parsifal se ne
tornò dal mugnaio a riposarsi per qualche tempo.
Nel pomeriggio Parsifal si vestì in modo conveniente e tornò
dalla principessa per raccontargli tutto quanto era successo
durante la mattinata, finendo alla fine della cena, quindi si
spostarono entrambi su alcuni cuscini appoggiati alla tenda
proprio per l’uopo e vi s’adagiarono mollemente. In
quell’istante la principessa baciò Parsifal sulle labbra e gli
disse: ”Messere, stamane vi siete battuto valorosamente per
l’onore vostro e mio e ve ne sono grata, ora immagino che
vogliate chiedermi il congedo per tornarvene alla vostra corte,
ma ormai l’ora è tarda, quindi vi chiedo di procrastinare la
vostra partenza a domattina dopo che avremo assistito assieme
alla santa messa”. Parsifal avvampò moltissimo nel viso per
quella libertà della principessa, ma si riprese subito, tanto da
poter rispondere degnamente al discorso di lei, dicendo: ”Mia
signora purtroppo devo raggiungere la corte del mio signore, re
Artù di Camelot, per l’annuale raduno dei suoi fidati cavalieri,
anche se mi dispiace il dovervi lasciare in questo modo e dopo
breve tempo”, finalmente dopo molti baci su entrambi i corpi, i
due si lasciarono per andarsene ai rispettivi giacigli.
Il mattino successivo, Parsifal attese la principessa per
consacrarsi assieme nella santa messa solenne, quindi si rivolse
a lei e gli disse: ”Mia principessa, sono ulteriormente
168
presenti dicendo: ”Signori, vi ho radunato in questo posto per
comunicarvi una splendida notizia. I sette ignobili fratelli che vi
avevano imposto quegli imperdonabili sequestri, sono stati
sconfitti, quindi siete tutti liberi da ogni giuramento in tal
senso, ora avete il solo obbligo d’ubbidire solamente alla figlia
del duca di Linor, come vostra nuova signora”. Finalmente tutti
i vassalli tornarono lietamente ai propri possedimenti; come la
sala delle armi rimase completamente vuota, Gahalad fece
chiamare le pulzelle, dicendogli: ”Ora, mie care damigelle, tutte
coloro di voi che volessero prendere la strada di ritorno verso le
rispettive famiglie, possono partire subito”, ma molte delle
presenti preferirono restare con la nuova duchessa, perché i loro
luoghi d’origine erano andati in malora. Qualche giorno dopo,
quando le cose furono sistemate, Gahalad prese la prima messa
del mattino e, armatosi come suo solito, riprese il proprio
viaggio. Passarono parecchi giorni dopo che Gahalad ebbe
lasciato il castello delle pulzelle, diventando il protagonista di
moltissime imprese che non si racconteranno in questo luogo
perché si rischierebbe d’annoiare, finché un giorno prese parte
ad un torneo in cui gareggiavano anche Galvano ed Estor, i
quali lo riconobbero senza essere ravvisati, infatti i due prodi
tentarono inutilmente di non attaccare tenzone con lui, ma alla
fine Gahalad ferì gravemente Galvano. Subito Galvano fu
soccorso e portato in un posto tranquillo e curato a dovere;
nello stesso momento Gahalad fu avvicinato da una dama che
gli disse: ”Messere, avete fatto vedere a tutto il mondo quanto
siete valoroso, ma ora è giunto il momento che mi seguiate
senza potermi fare alcuna domanda, fino al posto ove vi devo
portare”, al che Gahalad obbedì senza batter ciglio sino alla riva
del mare. Quivi giunti, Gahalad notò presso la riva
un’imbarcazione che raggiunse in poche bracciate, assistendo la
propria accompagnatrice nell’attraversata; una volta a bordo, il
cavaliere ritrovò con sommo piacere sia Bohor sia Parsifal, nel
frattempo avevano preso allegramente il largo.
201

damigelle velate, una delle quali gli disse: ”Cavaliere sappi che
il maniero cui stai andando è noto come il Castello delle
Pulzelle e, se ci tieni alla tua vita, ti conviene cambiare
immediatamente strada”. Gahalad non si fece impressionare da
quell’avviso e continuò per la propria strada, finché, arrivato
davanti al maniero, fu intercettato da sette cavalieri, i quali gli
dissero: ”Se vuoi continuare per la tua strada devi riuscire a
batterci tutti quanti assieme”, Gahalad non se lo fece dire due
volte e si scagliò immediatamente contro quei bifolchi,
battendoli immediatamente senza difficoltà. I sette cavalieri,
vistosi battuti, decisero di scappare vigliaccamente, lasciando il
castello in mano a Gahalad, il quale ne prese immediatamente
possesso. Una volta che Gahalad fu entrato nella corte interna,
scoprì che dentro il castello v’erano solamente delle pulzelle,
rimanendone veramente sorpreso; allora s’avvicinò una delle
damigelle e gli disse: ”Io e tutte le mie compagne siamo state
rapite dai sette fratelli che hai affrontato poco fa qui fuori,
uscendone vincitore. Sappi ancora che quei sette fratelli
appartenevano al seguito del duca di Linor e si misero in testa
d’abusare della figlia del castellano che reggeva questo
maniero, il quale s’oppose all’intento e per questo fu ucciso dai
perfidi. A quello spettacolo, la giovine predisse ai sette
disgraziati che avrebbero avuto dei problemi a causa di una
pulzella e che un cavaliere li avrebbe battuti completamente
solo. Subito quei vigliacchi si misero a sequestrare tutte le
ragazze che gli fossero giunte a tiro, finché voi, messere, non
avete messo fine a quella vigliaccheria, era per questo motivo
che il castello ha preso il nome delle Pulzelle”.
Finito che ebbe la fanciulla di parlare, fu consegnato a
Gahalad uno splendido corno in avorio intarsiato d’oro che fu
immediatamente suonato con tale vigore da essere sentito da
parecchia distanza, facendo accorrere tutti i vassalli del
castello, alla presenza del prode cavaliere. Una volta che furono
radunati tutti quanti nella sala d’armi, Gahalad si rivolse ai
200
addolorato, ma sono costretto a lasciarvi per il motivo che
v’addussi iersera nella vostra tenda, quindi vi chiedo umilmente
di concedermi il congedo per tornare al mio re”. La principessa
lo guardò con uno sguardo molto triste, poi gli disse, con voce
tremante per il pianto malcelato: ”Messere, s’è quello che
dovete chiedermi, che sia, siete da me congedato per tornarvene
presso la vostra corte e, chissà, un giorno o l’altro non ci
possiamo incontrare nuovamente” e Parsifal montò a cavallo,
allontanandosi velocemente per non far vedere a quella corte la
tristezza che aveva nel cuore, arrivando ben presto a Camelot,
festeggiato da tutti i presenti e da Artù passando intiere giornate
in compagnia dell’amato re. Durante uno dei banchetti, il bardo
di corte prese a cantare le seguenti gesta:
Un prode cavaliere, giovine invero,
Compì grandi imprese:
La prima davvero,
Fu breve infine.
Un terribile mostro, per primo,
Si presentò alla sua vista:
Addanc era conosciuto
E d’un ragno aveva la mostra.
In breve l’uccise, il ribaldo,
Ottenendo onore enorme,
Ma l’immondo ragno altra impresa gli disse.
Un possente serpente
Si trovò a fronte,
Che sfidò apertamente,
Ma tema non ebbe
Uccidendolo all’istante.
Entrato che fu nell’antro
Il prode Parsifal,
Così è nomato,
Enorme tesoro gli fu rivelato.
La brama com’ebbe sistemato,
169

Il buon cavaliere in un campo fu ospitato:
Di bizantini fu circondato
Finché torneo non vinse.
Finite tali imprese,
Fu onorato,
Il folle cavaliere,
Con festa degna d’un re.
Sentendosi coinvolto in quella narrazione, Parsifal si
commosse enormemente e, quando la canzone fu finita, si alzò
dicendo: "Miei signori, il misterioso cavaliere di quelle gesta
appena udite sono io, pronto a confermare punto tutto quanto
udito poc’anzi!”, a quelle parole l’intiera corte fu molto onorata
per quelle imprese.
Capitolo 28
Purtroppo quel periodo così idilliaco fu interrotto bruscamente
da un’improvvisa visita, infatti una ragazza dai capelli corvini e
ricci si presentò alla corte di re Artù in sella ad un mulo giallo
aggiogato a delle rozze corregge e si diresse al cospetto del re;
giunta che fu al punto desiderato, si volse e disse: ”Vi saluto
tutti quanti, prodi cavalieri, e voi pure glorioso Artù di
Camelot, e per non mancare anche voi madama Ginevra che
siete casta e bella, ma qui tra voi sta un paladino che vi sta
disonorando in modo ignominioso, egli è Parsifal delle terre di
Camaalot, il quale ha fatto visita a suo zio, il Ricco Re
Pescatore, senza per questo rivolgergli le domande che lo
avrebbero salvato, mandando in malora l’intiero paese del
Monsalvato”. Dette quelle parole, la damigella si voltò per
andarsene, ma a metà della sala si voltò e riprese a dire: ”Se
qualcuno dei qui presenti messeri è desideroso d’avventure,
sappiate che io abito nel castello a voi confinante, altrimenti
noto come il Castello Orgoglioso, ed è difeso da ben 566
cavalieri e dalle rispettive dame, ma se qualcuno di coloro che
vogliono avventure preferiscono qualcosa che dia maggiori
glorie, su di un altissimo monte v’è assediata una giovine; chi
170
vermiglia, dalla quale proveniva un dolce profumo di rose;
subito dopo, Gahalad prese la strada verso il luogo onde
Baudemagu era stato ferito. Raggiunta che ebbe la radura
indicatagli, Gahalad incontrò un bianco cavaliere, il quale lo
riconobbe immediatamente e lo fece accomodare sull’erba di
fronte a se. Una volta che si furono seduti comodamente, il
cavaliere iniziò a raccontare la seguente storia: ”Sei lustri dopo
la morte di Nostro Signore Gesù Cristo, Giuseppe d’Arimatea
giunse nelle terre d’Arras, ove convertì il signore locale,
battezzandolo col nome di Mordrain, al quale lasciò lo scudo
che tu ora stai portando. Alcuni mesi dopo Giuseppe e suo
figlio Iosefo partirono per la Bretagna Azzurra, ove finirono
catturati dal locale re pagano, nomato Crudele; venutolo a
sapere, Mordrain organizzò velocemente una spedizione
punitiva con l’aiuto di suo cognato Nascine, battendo Crudele e
liberando i prigionieri. Dopo la battaglia Iosefo guarì un monco
al quale rimase impressa sul moncherino la croce che di
conseguenza sparì dallo scudo, contemporaneamente Mordrain
volle sapere il segreto del Graal, ma una volta che ebbe
sollevato la patena fu accecato da un bagliore e ferito da un
angelo: da quel momento fu nomato il Re Magagnato, come
tuttora lo è il Ricco Re Pescatore, e potrà essere guarito
solamente dal cavaliere che si dimostrerà degno di portare
quello scudo miracoloso che in quel momento Mordrain chiese
in dono ad Iosefo e sul quale aggiunse la croce mancante col
proprio sangue. Sappi inoltre che quel segno rimarrà fresco
finché lo scudo non sarà rotto”, com’ebbe finito di parlare, il
cavaliere bianco disparve miracolosamente, lasciando solo
Gahalad in possesso del magico scudo.
Qualche giorno dopo, Gahalad raggiunse un poggio e da li
vide, ai piedi della collina, una roccaforte circondata da un gran
fiume, al che decise d’andarci, anche perché la giornata stava
volgendo al termine e non aveva altre possibilità per cui trovare
un tetto sotto cui dormire. Lungo la strada incontrò sette
199

volete sapere qual è il mio nome, ebbene ve lo dico
immediatamente, sono Lancillotto del lago, cavaliere della
Tavola Rotonda ed al seguito di re Artù di Camelot, con tutta la
vostra grazia”. Sentendo quel nome, il cavaliere indietreggiò
impallidendo visibilmente, perché si rese conto che se lo
tratteneva oltre, poteva far torto al più gran re dell’intiera
Britannia, quindi si rivolse alle guardie e disse: ”Molto bene,
scarcerate immediatamente questo cavaliere, intanto che io
preparo un salvacondotto perpetuo per lui su tutte le mie terre”,
fu così che Lancillotto uscì da quel castello sano e salvo sicuro
che nessuno gli potesse fare alcunché. Verso le tre di quello
stesso pomeriggio, purtroppo, Lancillotto si dovette fermare
perché un impetuoso e largo fiume gli sbarrò la strada senza
alcuna possibilità di poterlo oltrepassare, quindi si decise di
risalirlo, con la speranza di trovare un guado adatto
all’attraversamento, ma quasi subito un cavaliere nero gli
sbarrò la strada e, senza dire nulla, attaccò Lancillotto
uccidendogli il cavallo e ferendo gravemente il cavaliere ad una
coscia, cosicché Lancillotto si trovò bloccato in quel loco
desertico senza possibilità d’andarsene da nessuna parte.
Parte Parte decima: decima: decima: Le Le avventure avventure di di di Gahalad, Gahalad, Bohor Bohor e e e Parsifal. Parsifal.
Parsifal.
Capitolo 34.
Dopo cinque giorni, Gahalad giunse in un monastero ove
trovò re Baudemagu ferito e se ne chiese il motivo,
riconosciutolo immediatamente, quest’ultimo glielo disse
immediatamente, raccontandogli questa storia: ”Devi sapere
che in questo convento v’è uno scudo che può essere
imbracciato solamente dal migliore dei cavalieri, io l’ho
inavvertitamente preso e subito dopo fui battuto dal cavaliere
bianco, che mi diede un messaggio per te; devi prendere lo
scudo ed andare in una vicina radura, li verrai a sapere quanto ti
stai domandando nel tuo cuore”. L’indomani, dopo la messa, un
monaco accompagnò Gahalad dietro all’altare maggiore e gli
consegnò uno scudo bianco su cui era dipinta una croce
198
riuscisse a liberarla n’avrebbe molto onore ed ancor maggiore
gloria”, detto questo se n’andò definitivamente.
Subito i cavalieri iniziarono a commentare l’aspetto della
giovinetta, che non era dei più belli, infatti il primo a parlare fu
Keu che sbottò a dire: ”Che carnagione aveva quella damigella,
se l’avessi incontrata durante una notte senza luna sicuramente
non l’avrei assolutamente vista tanto era nera, ma quello che mi
ha maggiormente fatto rabbrividire è stato lo sguardo, come si
fa ad avere un occhio sporgente e verde, mentre l’altro nero e
talmente incassato da non essere quasi scorto?”, al che si
misero tutti a ridere immediatamente. Ripresosi che furono tutti
dalle risate, Bohor s’alzò e disse: ”Avete notato come sporgeva
il mento? Tutto quel che è finito in quel punto è stato
sacrificato al naso che però era troppo largo di nari, per i miei
gusti e che sorriso, amici, veramente solforoso a giudicare dalla
dentatura, con quei canini, poi, che sembrava un lupo mannaro,
tanto erano lunghi”. Nessuno fece in tempo a ridere che
Lancillotto aperse subito la bocca, dicendo: ”Non parliamo del
ventre, poi, avete visto com’era grosso? Reggeva il seno ed
andava a toccargli il mento. Le spalle chi le ha viste?
Sembravano una delle grucce a cui appendo le mie camice
dopo che le ho lavate”
Subito lo incalzò Lionello, che tratteneva a stento il gran
ridere, e prese a dire: ”Ma che ne dite di quel fisico da
spaventapasseri? Era talmente magra che gli avrei
tranquillamente contato tutte le ossa. Però dobbiamo dargli atto
d’alcune cose: secondo me aveva due belle ginocchia che
facevano compagnia ad altrettanto splendidi piedi”, dopo
quest’ultimo commento tutti s’accorsero che avevano finito gli
argomenti di dileggio e si fecero seri ed iniziarono a pensare
quanto detto dall’orribile damigella, tanto è vero che molti
ebbero in mente di andare a far levare l’assedio dal castello con
la pulzella.
171

L’unico che rimase momentaneamente silente fu Parsifal, il
quale si mostrò molto pensieroso, al che Lionello gli s’avvicinò
e gli chiese, posandogli una mano sulla spalla: ”Buon Parsifal,
qualcosa ti sta angustiando tanto da tacere?”. Parsifal si riebbe
immediatamente e prese a dire: ”Ho sentito parlare molto del
Ricco Re Pescatore e della sua miracolosa lancia, ho sentito
anche sostenere che è mio zio, ma qualcuno mi può far sapere
qualcosa d’altro a tal proposito?”, nessuno riuscì a rispondere
perché in quel preciso momento avenne un altro fatto che fece
stupire la corte. Infatti si presentò sulla soglia della sala un
cavaliere completamente armato d’azzurro, che tuonò dicendo:
”Messer Galvano mi è stato ordinato di venirvi a cercare perché
reo e di sfidarvi a duello nel minor tempo possibile”. Galvano
avvampò alquanto a quelle parole, ma nel frattempo il cavaliere
era gia sparito, allora il nipote del preferito del re sbottò a dire:
”Un simile insulto al mio onore è intollerabile, soprattutto se
mosso davanti al buon re, mio zio, ed all’intiera corte, chiedo
l’immediato congedo per lavare quell’onta”
Anche Parsifal si prostrò davanti ad Artù e gli disse: ”Mio sire
chiedo anch’io il congedo per andare a rimediare il danno fatto
involontariamente presso la corte di questo misterioso zio che
mi hanno attribuito”. Artù ne fu molto rattristato ma, alzatosi, si
rivolse ai due prodi e disse: ”L’onore d’entrambi è stato
macchiato in mia presenza, quindi devo concedere il congedo
ad entrambi per poterlo andare a lavare nelle rispettive
avventure, ma sappiate che la cosa m’addolora alquanto perché
devo fare a meno di due dei miei cavalieri più valorosi nello
stesso momento, ora andate e buona fortuna ad entrambi”,
subito i due cavalieri s’andarono ad armare, quindi partirono
assieme per andarsene nelle loro avventure. Parsifal e Galvano
si fecero compagnia vicendevolmente per alcune giornate di
cammino, finché non giunsero ad un bivio ove dovettero
separarsi per seguire ognuno la propria avventura. Dopo molto
peregrinare, Parsifal incontrò un monaco viandante e,
172
voi”. Subito i due si misero a sedere nella sagrestia della
cappella ed il religioso prese a dire: ”Sir Lancillotto dovete
sapere che all’inizio voi eravate buono e privo di macchia,
finché il giorno in cui Artù e Ginevra, la quale per l’occasione
s’era confessata malamente a tal punto che il diavolo entrò in
lei, si sposarono ad un suo sguardo ti portò alla lussuria, così le
valorose imprese le portasti a compimento solamente grazie
alle altre virtù che nel frattempo ti erano rimaste intatte;
purtroppo per quel peccato capitale, messer Lancillotto, voi
siete totalmente fuori dalla ricerca del Santo Graal, l’unica
possibilità che avete prevede di ottenere la Grazia Divina”. Il
mattino dopo i due compagni presero la messa del mattino,
quindi il religioso s’avvicinò a Lancillotto e gli disse: ”Ora,
messere, potete andare dove volete, ma vi prego d’indossare
questo cilicio sotto la vostra armatura, fintanto che non sarà
finita questa gran cerca da cui voi siete ormai totalmente
escluso, inoltre fino ad allora dovreste vivere solamente con
acqua e pane, per scoraggiare la lussuria ed altri peccati
mortali”.
Fatta che ebbe poca strada dalla cappella, Lancillotto fu
fermato da un cavaliere misterioso che gli disse: ”Messere, se
volete passare oltre dovete prima battervi contro di me in un
duello al primo sangue”. Lancillotto non aspettava altro e gli si
fece vicino, dicendo: ”Sono ben felice d’accontentare la vostra
bramosia di sangue, quindi mettetevi in guardia ed abbiate
paura della mia forza” ma al primo assalto Lancillotto fu
disarcionato e fatto prigioniero, subito fu portato in un vicino
castello ove lo gettarono in un’orrenda segreta. Il mattino
successivo, il cavaliere vincitore scese da Lancillotto e,
avvicinatosi al paladino, prese ad interrogarlo sulle sue
intenzioni, ma il nostro eroe si rifiutò di rispondere, alla fine il
vincitore gli s’avvicinò chiedendogli: ”Almeno il vostro nome,
vi potrete prendere la briga di dirmelo, se vi piace”. Lancillotto
lo guardo con uno sguardo carico d’odio, poi disse: ”Se proprio
197

A quella rivelazione, il parroco si mise davanti a Lancillotto,
dicendogli, indicandogli il crocefisso: ”Quest’uomo, che fu
proclamato figlio di Dio, ha allargato le proprie braccia sulla
croce per accogliere tutti i peccatori che si convertono alla Sua
Parola, quindi il mio consiglio nei tuoi confronti è quello di
pentirti totalmente di quanto hai fatto fino ad ora, perché
nessuno su questa terra è immune al peccato, tranne
l’unigenito”. A questo punto il prelato fece una breve pausa per
raccogliere le idee, poi continuò dicendo: ”A maggior ragione
tutti quelli che, come te, sono impegnati nella cerca del Santo
Graal devono passare per la porta della confessione, altrimenti
n’avranno onta e disonore”
Finalmente il padre finì il proprio sermone, lasciando però
Lancillotto molto disorientato ed indeciso, perché se avesse
confessato tutte le colpe che si portava addosso, avrebbe dovuto
parlare anche della sua insana passione per la regina Ginevra,
ottenendone anche la ricchezza per merito di colei; alla fine,
sotto le insistenze del padre, Lancillotto confessò tutto, finendo
col raccontare anche come fu facilmente battuto in duello e di
come gli sia apparso in sogno il Santo Graal, chiedendo
spiegazione per quei due avvenimenti. A quell’esplicita
richiesta, il buon padre iniziò a dire: ”Dovete sapere che al
bivio il sentiero di destra era la cavalleria terrena, mentre quello
a mano manca indicava la cavalleria celeste, ed è quello che
avete imboccato con troppo orgoglio in cuore e fu per questo
che foste battuto dal cavaliere bianco; per quanto riguarda il
sogno col Santo Graal, foste spogliato delle armi e del cavallo
perché il Graal stesso vi vede totalmente spoglio di buoni
pensieri ed opere”, vistosi messo alle strette in quel modo,
Lancillotto si sentì obbligato a pentirsi ed a rinunciare
all’amore per la regina Ginevra. Subito il religioso impartì a
Lancillotto l’assoluzione dicendogli: ”Cavaliere per ora vi
conviene restare presso di me ancora per qualche altra ora
perché devo chiarirvi diverse cose di massima importanza per
196
fermatolo, gli disse: ”Buon padre mi potrebbe dare la sua
benedizione?”. Il padre lo guardò per un attimo e gli disse:
”Cavaliere, non vi posso dare la benedizione, perché state
girando completamente armato di Venerdì Santo, cosa che non
dovrebbe succedere”
Una volta solo, Parsifal si disarmò ed iniziò a portare il
cavallo alla briglia, finché, davanti ad un castello
apparentemente disabitato, rincontrò lo stesso monaco e gli
disse: ”Buon padre v’incontrai poco tempo fa chiedendovi la
benedizione e me l’avete negata perché completamente armato
di Venerdì Santo; ora siete disposto a concedermela?”. Il padre
lo riconobbe immediatamente e gli disse: ”Cavaliere, vedo che
avete rimediato al vostro errore, quindi posso concedervela a
buon diritto e dovere”. Impartita che fu la benedizione, il
monaco riprese a dire: ”Messer Parsifal, v’invito a restare in
mia compagnia finquando non scenderà il sole sul Lunedì
dell’Angelo, in quel momento vi potrò alcune informazioni
sulla vostra cerca”. Dopo quattro giorni il monaco fece sedere
Parsifal e gli disse: ”Perché tu possa incontrare il Ricco Re
Pescatore segui quanto ti dico alla lettera; vai avanti per quella
strada laggiù finché non troverai una montagna alquanto
impervia, scalata quella dovrai guadare un vorticoso fiume,
dopodichè incontrerai un gran re che ti darà nuove indicazioni
sul tuo percorso”.
Effettivamente Parsifal incontrò le difficoltà che il monaco gli
aveva predetto ed incontrò il re, il quale disse: ”Messer Parsifal,
sono diversi giorni che vi sto attendendo per potervi ospitare
degnamente nel mio castello ed istruirvi sul percorso che vi
deve portare al maniero del Monsalvato. Ora vi prego
cortesemente di seguirmi fiduciosamente al mio castello”.
Entrati che furono nel castello, il re chiamò la figlia e gli disse:
”Mia cara io devo dare credito ai miei impegni, dovresti
prenderti cura tu del nostro ospite, finché io non sarò tornato”.
Nello stesso istante il re si rivolse a parte ai propri cortigiani,
173

dicendo: ”Tenete sott’occhio i due ragazzi e sappiatemi dire se
il loro incontro porta a qualcosa”, intanto Parsifal s’era seduto
nell’androne di una finestra assieme alla bella principessa ed
iniziò a raccontargli le proprie avventure, che erano veramente
molte gia allora, suscitando molto interesse nella sua
interlocutrice. I cortigiani sentirono tutto quanto e corsero dal
loro re e gli dissero: ”Sire le avventure di quel cavaliere sono
talmente numerose e mirabolanti da essere un buon partito per
vostra figlia, si può fare in modo che si sposino” il re, però
continuò a tentennare alquanto.
In quel momento passò uno dei valletti, al che il re lo chiamò
a se e gli disse: ”Giovinetto, hai sentito quanto mi è stato
riferito poco anzi dai miei cortigiani? Vedo che hai sentito
tutto, a giudicare dalla tua espressione, allora desidero che tu
mi dia qualche suggerimento a questo proposito, se te ne
vengono in mente”, il valletto si mise a pensare per qualche
minuto facendo il più assoluto silenzio. Finalmente prese a dire:
”Sire, penso che non ci sia altro che una cosa che si possa fare,
bisogna che quel cavaliere sia immediatamente imprigionato,
od in ogni modo al più presto, finché non sapremo quali siano
le sue reali intenzioni”
”Sarebbe una bell’idea, per conoscerlo meglio, ma mia figlia
sembra che non si voglia staccare da costui nemmeno per
andare a dormire e bisognerebbe incatenare anche lei, in
quest’evenienza”
”Messere che cos’è l’incarcerazione di una figlia per il bene
del proprio reame? Conviene agire al più presto, prima che i
due inizino a sospettare qualunque cosa”. Allora il re si decise e
rivolgendosi alle guardie presenti nella sala del trono, disse:
”Miei fidi eseguite alla lettera quanto dice questo giovinetto e
vi prego di fare il più in fretta possibile, e se mia figlia dovesse
fare resistenza anche lei avete il mio preciso ordine di
incarcerarla immediatamente”, quella sera stessa i due giovani
si ritrovarono incarcerati nella più orrida delle segrete del
174
giaciglio alquanto sicuro e, accudito il cavallo, si tolse l’elmo e
la spada, addormentandosi all’istante. Nel sonno Lancillotto
fece uno strano sogno, infatti vide arrivare un cavaliere
ammalato, portato ad una cappella diroccata su di una barella,
ivi giunto, i portantini lo fecero scendere, mentre l’ammalato
gemeva a spezzare il cuore, ma s’accostò sempre più all’altare
dove, arrivato che fu, s’inginocchiò e prese a dire: ”Mio buon
Dio, fammi la grazia di guarirmi con l’intervento della santa
reliquia del sacro Graal, altrimenti ne morrò all’istante”, in quel
preciso istante comparve dal nulla un candelabro d’argento a
sei braccia e, subito dopo, una tavola argentata cui sopra
poggiava la Sacra Coppa, a quella vista il misterioso malato
raggiunse le sacre reliquie rimanendone guarito, come stette
bene, il cavaliere s’accorse di Lancillotto e vide quanto fosse
stolto il suo animo, così gli prese le armi ed il cavallo e se
n’andò per la propria strada. Immediatamente dopo, Lancillotto
si svegliò e si ritrovò senza n’armi né cavallo, subito si fece
udire una misteriosa voce che gli disse: ”Stolto di un cavaliere,
devi andartene da questo luogo, perché non siete per niente
pentito delle vostre azioni”, subito Lancillotto partì con la
disperazione nel cuore. Durante il viaggio la disperazione
crebbe a dismisura, perché nella solitudine continuava a
pensare sulle sue avventure per vedere cosa avesse sbagliato,
finalmente la cosa fu chiara, infatti si disse: ”Ora ricordo che è
da quando sono stato elevato a cavaliere che vivo nella lussuria
più sfrenata”.
Tempo dopo, Lancillotto arrivò, sempre appiedato e
disarmato, ad una chiesetta e, finita la messa vespertina,
raggiunse il parroco e gli chiese: ”Padre, sono un gran
peccatore e vorrei che lei mi confessasse”, il prelato portò
Lancillotto al confessionale raccontandogli la parabola dei tre
servi e dei talenti. Una volta che la storia fu finita, vicino al
confessionale, Lancillotto disse: ”Purtroppo i miei numerosi
talenti li ho sprecati tutti quanti in modo totalmente sbagliato”.
195

con queste parole: ”Messer Parsifal è da diversi giorni che
v’attendo in questo loco per portarvi dove regna il sacro Graal,
ora per favore fatevi avanti su questo legno con la massima
velocità che potete permettervi”, Parsifal non si fece ripetere
due volte l’invito e, come fu a bordo, la nave prese nuovamente
il largo.
Parte Parte nona: nona: avventure avventure di di di Lancillotto Lancillotto
Lancillotto
Capitolo 33.
Un giorno Lancillotto si trovò di fronte ad un bivio all’interno
di una foresta, presso il quale s’innalzava una croce sulla quale
v’era impressa una frase che diceva: tu che giungesti in questo
bivio, attento! Entrambi i sentieri che da qui dipartono sono
perigliosi, ma se a mano manca vai la strada più tranquilla
troverai. Vedendo quelle cifre, Lancillotto prese alla lettera il
consiglio ed imboccò la sinistra, fatte poche miglia, si ritrovò in
una radura ove, appoggiata ad una tavola, v’era una corona
d’oro e decise di prenderla con se dicendosi: ”Se questo
prezioso oggetto resta in questo loco così incustodito, potrebbe
essere rubata, la cosa più sensata che posso fare è portarla con
me finché non raggiungo un villaggio abbastanza sicuro ove
possa essere custodita” e riprese la propria strada sperando
d’arrivare velocemente in un posto sicuro.
Lancillotto non fece molta strada all’interno della foresta che
un cavaliere bianco lo raggiunse di gran carriera, a tal vista
Lancillotto mise la propria lancia in resta e partì all’attacco, ma
al momento del contatto la sua lancia si spezzò come un
fuscello mentre Lancillotto stesso finì miseramente a terra,
perdendo i sensi per qualche secondo. Una volta che si fu
ripreso, Lancillotto vide che il suo sfidante se ne stava andando
con la corona e senza badare minimamente a lui. Subito
Lancillotto si rialzò tutto dolorante e tornò in sella con molta
fatica, quindi riprese il viaggio fino a notte ormai fonda senza
trovare il benché minimo rifugio. Vedendosi così in difficoltà,
Lancillotto si fermò sotto di una quercia che poteva dargli un
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castello. Al loro risveglio, il mattino successivo, Parsifal e la
damigella udirono un grande scalpiccio nella corte del maniero,
allora Parsifal chiamò una guardia e gli chiese: ”Messere, si
può sapere come mai tutta questa confusione, la fuori? Per caso
il castello è stato attaccato da qualche nemico?”. La guardia si
fece alquanto diffidente poi, vedendo la nobiltà d’animo di
Parsifal, gli rispose: ”Messere dovete sapere che il mio signore,
il re di questo castello, ha un conte suo vicino che è alquanto
molesto e ha deciso di muovergli battaglia proprio nella
giornata d’oggi”. Parsifal, nell’udire quella notizia, s’illuminò
alquanto, infatti si fece avanti e disse: “Messere, se me lo
concedete, vorrei partecipare anch’io a quella guerra in
incognito, con la promessa di ritornare alla prigione ad ogni
tramonto, prima che il tuo re rientri al castello”
La guardia titubò alquanto, alla fine si rivolse a Parsifal e gli
disse: ”Messere, siete proprio un uomo di coraggio ed orgoglio,
vi concedo l’onore di partecipare allo scontro secondo le
condizioni che mi avete appena dato, perché credo nella vostra
parola ed alla nobiltà d’animo che ispirate, sapendo tutto sulle
vostre precedenti avventure”, così Parsifal si ritrovò
momentaneamente libero ed armato di tutto punto, come la sua
condizione richiedeva. Giunto che fu sul campo di battaglia,
Parsifal si comportò con molto onore, uccidendo parecchi dei
nemici che si meritavano la morte, rientrando puntualmente in
prigione al calar della sera; la guerra durò in questo modo per
altri due giorni, senza che nessuno degli armati del re sapesse
nulla di chi fosse quel misterioso e valoroso cavaliere.
Il terzo giorno, Parsifal si ritrovò davanti il perfido conte, che
gli disse: ”Cavaliere mi avete arrecato molto danno, uccidendo
parecchi dei miei uomini, finalmente sono riuscito a
raggiungervi per porre fine allo scempio che mi state facendo”,
Parsifal lo studiò per qualche secondo, giusto quanto bastò per
individuare il punto debole del fellone. Appena il suo intuito
ebbe trovato dove colpire, Parsifal disse: ”Messere, avete fatto
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molto male e dato ancor più fastidio al mio ospite che non vi
meritate di meno, ora vi conviene mettervi in guardia ed
iniziare il duello contro di me”, finito che ebbero di parlare, i
due partirono alla carica e Parsifal colpì il conte dritto al collo,
disarcionandolo immediatamente ed uccidendolo all’istante,
quindi gli fu addosso e spiccò la testa del fellone per portarla
direttamente al re. Arrivato che fu davanti al re, Parsifal gli
consegnò il macabro trofeo e gli disse: ”Sire, da questo
momento in poi potete regnare in tutta tranquillità, visto che il
vostro rivale, così fellone contro di voi, è stato ucciso dalla mia
spada, come dimostra molto bene questo trofeo”
Il re fu molto contento della cosa, ma alquanto perplesso
perché non conosceva assolutamente quel cavaliere, allora
Parsifal s’avvicinò ulteriormente e, alzata la celata della propria
armatura, disse: ”Messere vi vedo molto contrariato di non
conoscere la mia identità, visto che mi avete fatto incarcerare la
sera precedente all’inizio di questa guerra assieme alla vostra
splendida figlia, ebbene ora è giunto il momento che voi e tutta
la vostra corte sappiate chi avete davanti; sono Parsifal del
reame di Camaalot, cavaliere della Tavola Rotonda presso la
corte di re Artù di Camelot”. Nel sapere l’identità del prode, il
re fu molto felice ma anche molto turbato, per il trattamento
che gli aveva riservato, quindi disse: ”Si sappia che codesto
valoroso cavaliere da questo momento in poi è libero di girare
per l’intiero mio reame a suo piacimento”. Dopodichè si rivolse
a Parsifal e gli chiese: ”Messer Parsifal, come posso esservi
utile e nel contempo chiedervi perdono per quanto avete subito
a causa mia?”
Parsifal non ci pensò su due volte e disse: ”Sire, mi è stato
riferito che voi mi potete comunicare alcune informazioni su
come trovare il castello delle meraviglie del Monsalvato, ove
vive il povero Ricco Re Pescatore, che forse riuscirò ad
alleviargli le terribili sofferenze che lo affliggono”. Il re fu
molto contento di riuscire a cavarsela con solamente
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ricordi cosa disse re Artù, alcuni anni fa, quando la cerca del
Graal fu avviata? Vedo che te lo ricordi benissimo, allora sappi
che quei pochissimi eletti che siederanno alla mensa del Graal
sarete tu, Gahalad ed il buon Bohor, ma non so dirti chi di voi
tre potrà conquistare definitivamente la sacra coppa. Sappi
inoltre che il buon Gahalad si presentò all’intiera corte in quel
modo solamente per richiamare l’attenzione sulla santità della
cerca che stavate per intraprendere”; su questo tono nipote e zia
continuarono a parlare finché non calò nuovamente la sera e si
dovettero ritirare nelle proprie stanze.
Il mattino successivo, Parsifal assistette nuovamente alla
prima messa della giornata e, riarmatosi di tutto punto, si
accinse a riprendere il proprio viaggio, quando il castellano lo
fermò dicendogli: ”Messere, mi sembra d’aver capito che la
strada percorsa da voi e dai vostri compagni è molto lunga e
pericolosa, quindi concedetemi di donarvi questo splendido
stallone per continuare l’ardua cerca in cui siete impegnato”.
Parsifal rimase molto colpito per quel dono così inaspettato e di
valore, infatti subito disse: ”Vi ringrazio del dono, messere,
anche se non dovevate disturbarvi con una cosa tanto pregiata,
ma ora permettetemi di congedarmi da voi e dall’amata zia e
partire per le mie avventure, dato che sono stato ritardato fin
troppo nei giorni scorsi”. Congedatosi finalmente da tutti
quanti, Parsifal riprese il proprio viaggio, arrivando verso sera
al mare, giunto che fu alla spiaggia, s’accampò per la notte
riposando nel migliore dei modi.
Il mattino successivo, al risveglio, Parsifal vide un’immensa
imbarcazione poco distante dalla riva, che la sera prima era
sicuro di non aver notato. Questa nave aveva le vele di seta,
sulle quali v’era una scritta a caratteri ben visibili, che diceva:
O tu empio che vuoi salire a bordo, stattene alla larga da questo
naviglio se non buoi cadere nel più grande dei peccati. Sul ponte
della nave v’era un vegliardo in camice e cotta, la cui fronte era
adornata da una candida fascia di seta che si rivolse a Parsifal
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trovato un posto sicuro sotto la volta stellata, vi si coricò
dormendo tutta la notte. Il mattino successivo Parsifal fu
risvegliato dai primi raggi dell’alba e dal cinguettare degli
uccelli più mattinieri e, alzatosi, riprese il proprio cammino per
diverse ore, arrivando, verso sera, completamente sfinito ad un
castello, ove fu calorosamente accolto per la notte. Visto che
era dal mattino prima che non toccava cibo, gli ospiti di Parsifal
prepararono per l’occasione un sontuoso festino che durò
alquanto, facendo crollare di stanchezza il buon cavaliere, che
fu accompagnato in una sontuosa camera che nel frattempo gli
era stata preparata, il letto su cui si coricò era degno di un gran
re e vi dormì saporitamente per tutta la notte. Spuntato che fu il
mattino, Parsifal prese la prima messa della giornata e si
preparò per ripartire, nuovamente a piedi, ma quando fu al
centro della corte si sentì chiamare da una voce femminile;
avvicinatosi alla finestrella da cui provenivano quegli accenti,
vide una gran dama che assomigliava tantissimo alla madre e
gli disse: ”Mia signora, avete un volo che mi è noto, ma pur
non riesco ad immaginare dove possa avervi conosciuta durante
la mia vita”. La misteriosa dama lo guardò per qualche secondo
con enorme affetto, poi disse: ”Caro Parsifal puoi ben capire
che i miei tratti ti ricordino molto da vicino qualcuno, infatti
sono tua zia, sorella dell’amata madre che lasciasti tempo fa
alla corte di re Artù senza che mi fosse spiegato il motivo della
tua partenza”
A quelle parole, il cuore di Parsifal sussultò di gioia per il
fortunato incontro e gli disse: ”Mia dolce zia, dovete sapere che
la mia improvvisa partenza è dovuta alla conferma della cerca
che da tempo impegna me e tutti i miei compagni, trovare, e
riconquistare per la maggior gloria della cristianità, il Santo
Graal ed in quella giornata della mia partenza fui informato che
Egli mi sta attendendo da qualche parte, senza che mi fosse
detto dove andare per Incontrarlo”. La dama si compiacque per
la ripresa della gran cerca e disse al nipote: ”Buon Parsifal, ti
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un’informazione, quindi gli disse: ”Messer Parsifal dovete
continuare la vostra cerca in quella direzione, dove il sole
tramonta, ad una giornata di viaggio da qui vi troverete una
montagna ben più aspra di quella che avete gia superato, e
subito dopo un impegnativo stagno infestato da tremende
zanzare e basilischi, superati questi due ostacoli, ogni luogo
può essere quello giusto per trovare il Monsalvato, perché
dovreste ormai saperlo che quel magico luogo si fa vedere
solamente dagli eletti al suo mistero”. Parsifal ringraziò
enormemente il re e, preso congedo, partì immediatamente per
proseguire la propria avventura.
Capitolo 29.
Superati che ebbe i due ostacoli descritti dal buon re, non
senza difficoltà che non stiamo qua a raccontare, Parsifal trovò
un maniero dalle porte spalancate; nella prima sala terrena,
Parsifal vide una splendida scacchiera intagliata i cui pezzi si
muovevano completamente da soli, quindi il buon paladino
decise di tifare per una delle due parti, ma quella che scelse,
alla fine della partita, perse miseramente, facendo infuriare
terribilmente Parsifal, che scagliò la scacchiera stessa fuori
dalla finestra, nel fossato. In quello stesso istante comparve una
splendida dama, completamente vestita di nero, che lo
rimproverò con queste parole: ”Cavaliere, hai fatto un gesto
veramente poco nobile, sappi che per essere perdonato per il
gesto e recuperare la scacchiera che hai gettato nel fossato, devi
recarti nel paese di Laer Ysbionogyl e quivi cercare il signore
del luogo, conosciuto come il Cavaliere Nero, il quale sta
devastando i vasti domini della mia imperatrice e dovrai
ucciderlo, ma sappi una cosa, l’impresa non è riuscita ad
alcuno, finora”
Nel giro di mezza giornata Parsifal riuscì a giungere alla
località indicatagli dalla dama nera, che lo aveva seguito
nell’impresa, e trovare il terribile signore locale, il quale,
avendolo visto, disse: ”Cavaliere, sappiate che chiunque giunga
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in questo paese deve battersi contro di me e battermi
definitivamente, altrimenti la pena sarà la morte per il
perdente”. Parsifal fremette per tanta arroganza, poi disse:
”Signore, voi siete troppo sicuro di voi stesso e ho paura che
abbiate trovato nella mia persona chi vi batterà in modo
inesorabile e definitivo, ora se non vi dispiace mettetevi in
guardia se non siete un codardo”. Il Cavaliere Nero si ritenne
offeso da quell’ultima osservazione e disse: ”Messere mi
ritengo denigrato dalle vostre parole che fanno di me un bifolco
miserabile che scappa nel vedere la prima lama che incontra,
quindi con enorme piacere vi batterò nel giro di pochi assalti” e
detto questo il Cavaliere Nero assaltò Parsifal, che si aspettava
la mossa, e mirò con la propria lancia alla celata
dell’avversario.
A quel colpo crudele, il Cavaliere Nero cadde a terra,
tramortito e chiese pietà perché aveva trovato effettivamente
chi fosse molto più forte di lui, allora Parsifal disse: ”Messere
dato che avete riconosciuto la vostra debolezza nei miei
confronti, vi concedo la vita a patto che non portiate mai più
l’armatura che avete, ora disonorato, inoltre dovete mettere a
posto la scacchiera magica che io gettai imprudentemente nel
fossato di quella dama che ci sta osservando in questo preciso
istante”. La dama nera sentì tutto quanto e, avvicinatasi a
Parsifal, gli disse: ”Messere, questo cavaliere è traditore e non
mantiene mai la parola data, dovete ucciderlo per forza, se
volete che non porti mai più l’armatura” a quelle parole Parsifal
non ci pensò su per niente e spiccò la testa del fellone,
consegnandola alla dama nera. Subito dopo Parsifal si prostrò
alla dama nera e gli chiese: ” ora che ho fatto quanto mi avete
chiesto, ho una domanda che penso legittima, per voi. Vorrei
conoscere la vostra imperatrice che costui infastidiva in modo
così disonorevole”
La dama nera guardò il Puro Folle con uno sguardo molto
triste, poi disse: ”Messer Parsifal, visto che conosco il vostro
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innumerevoli avventure di cui sono venuta a conoscenza e ti
hanno dato fama di prode persona”. Parsifal ci pensò alcuni
secondi, poi disse: ”Madamigella Kundry, avrete anche
l’aspetto di una strega, ma il vostro pentimento mi sembra
veramente sincero, quindi per quanto mi riguarda siete
completamente perdonata”. Kundry si risollevò e disse:
”Orbene, Parsifal, sappi che il Ricco Re Pescatore ha avuto il
permesso dal Graal di far entrare nel Monsalvato te ed una
persona che t’accompagni nella parte finale della tua cerca”.
Parsifal si guardò attorno per vedere chi potersi portare
addietro, quindi si voltò verso Feirefiz e disse: ”Ho deciso che
il mio compagno sia il caro fratello che ho appena ritrovato;
Feirefiz, sei d’accordo ad accompagnarmi?”, il moro asserì
gravemente e s’andarono a preparare per partire.
CAPITOLO 32.
I due fratelli passarono parecchi giorni a cavalcare assieme, in
cerca d’avventure, un giorno arrivarono ad un bivio su cui non
si decisero sulla strada da prendere, allora Feirefiz disse: ”Caro
fratello, invece di stare a litigare su chi debba seguire l’altro,
propongo di dividerci ed ognuno vada per la strada che ha
scelto, sperando che almeno uno di noi abbia buona fortuna”.
Parsifal ci pensò un momento, poi disse: ”Buon Feirefiz non
posso far altro che darti ragione, è inutile che stiamo discutendo
sulla strada da prendere, quando ognuno dei due può seguire
quella che ha scelto, dato che siamo entrambi d’accordo, non
mi resta che dirti addio con la speranza d’incontrarci entro
breve tempo ed in circostanze migliori” subito i due si
separarono per continuare in solitudine le proprie imprese.
Era da molto tempo che Parsifal cavalcava, ad un tratto il suo
cavallo mise lo zoccolo in una buca nascosta e, cadendo
malamente, si ruppe l’osso del collo morendo all’istante; subito
il buon cavaliere si disperò alquanto, ma, ripresosi, ripartì a
piedi finché non fu sorpreso dalla notte molto lontano da
qualunque rifugio, ma Parsifal non si disperò più di tanto e,
191

che alla sua immediata parentela col nostro ottimo Parsifal,
propongo d’accogliere Feirefiz all’interno della Tavola
Rotonda”; la proposta fu immediatamente accettata
all’unanimità dei cavalieri presenti. Calmatisi gli animi, Artù
riprese la parola, dicendo: ”Molto bene, miei signori, se
l’ingresso di Feirefiz nella nostra congrega è concordata, vuol
dire che domani si darà inizio ad una fastosa festa in suo onore,
ma ora conviene che noi andiamo a dormire”.
Intanto che scorrevano tutti questi discorsi, Lancillotto prese
l’occasione di togliere il disturbo e raggiungere la tenda reale,
dove lo stava aspettando trepidante la bella Ginevra; come si
furono entrambi accomodati bellamente su due sedie molto
vicine, la regina iniziò a chiedere: ”Mio beneamato cavaliere, è
vero quanto si mormora che Parsifal abbia ritrovato il fratello
maggiore di cui si diceva nella profezia dell’orrenda Kundry?”,
intanto prese a slacciarsi la sontuosa veste che gli copriva il
sinuoso corpo, mostrando nel contempo il vigoroso seno.
Mentre Ginevra era intenta in quelle operazioni, Lancillotto
disse: ”Ebbene si mia adorata regina ed il suo nome è Feirefiz,
inoltre dovete sapere che la sua pelle è talmente strana da essere
completamente a chiazze, ma la sua valentia è veramente
enorme”, il cavaliere non fece in tempo a finire la frase che la
regina si ritrovò completamente nuda tra le sue braccia e
cascarono entrambi sul letto di lei, amoreggiando finché la
notte iniziò ad avanzare, allora entrambi si rivestirono
velocemente, scambiandosi reciprocamente la promessa di
ritrovarsi appena gli impegni fossero stati assolti.
Il giorno dopo la gran festa voluta da Artù ebbe inizio con
balli, tornei cacce e banchetti che occuparono diversi giorni; ad
interrompere la gioiosa compagnia si presentò Kundry che,
inchinatasi ai piedi di Parsifal, disse: ”Buon cavaliere,
perdonate una sconsiderata che vi maledisse quando eravate un
paladino inesperto perché non avete fatto la debita domanda a
chi di dovere, ma la mia convinzione è stata smentita dalle
190
nome, la mia imperatrice la conoscerete a tempo debito, ma ora
dovete compiere un’altra impresa per conto suo. Nella foresta
imperiale vi pascola un grosso cervo velocissimo che abbiamo
ribattezzato il Flagello della Foresta, perché possiede un corno
lunghissimo e più potente di una lancia, con cui spezza i rami
degli alberi, uccidendo gli animali; quelli che scampano allo
sterminio muoiono di fame perché non trovano di che cibarsi,
inoltre tutte le sere va alla peschiera imperiale, prosciugandola
completamente e lasciando i pesci all’asciutto a morire
disidratati, come puoi ben capire, l’impresa non è per niente
facile”. Parsifal sorrise alquanto compiaciuto e prese a dire:
”Mia cara dama, vi faccio notare che anche quando mi avete
parlato dell’impresa col cavaliere nero mi davate per spacciato,
ma lo ho battuto al primo assalto, uccidendolo subito dopo su
vostra legittima richiesta, quindi mi aspetto che con questo
maestoso cervo la cosa non cambi poi di molto” quindi i due
s’avviarono verso l’imperial foresta dove si misero a cercare il
grosso animale.
Una volta che il cervo fu rintracciato, Parsifal fece in modo di
bloccarlo contro un’alta parete di pietra e l’uccise, facendogli
scoppiare il cuore con un giavellotto ben assestato; in quel
mentre arrivò un’altra dama a cavallo che, smontata di sella, si
rivolse al prode dicendogli: ”Messere, se siete amico di questo
reame, dovete appostarvi sulla cresta di quei monti che vedete
laggiù ed uccidere chiunque passi presso la piatta pietra nelle
cui vicinanze vi accamperete, attirando i malcapitati con
richiamo che lancerete da dietro un vicino cespuglio” e Parsifal
ubbidì immediatamente, facendo come gli era stato ordinato;
immediatamente arrivò un cavaliere nero che montava un
misero ronzino ossuto e l’uccise senza tanti complimenti.
Compiuta che fu quell’impresa, si presentò alla vista di Parsifal
un giovinetto, che gli disse: ”Messer Parsifal, sappiate che la
dama che finora vi ha dato tutte le informazioni ero io, ma vedo
che siete alquanto perplesso perché conosco il vostro nome,
179

sappiate quindi che sono vostro cugino ed ero di servizio,
quando giungeste al Monsalvato quel maledetto giorno. Vedo
ancora che non mi riconoscete, ma non posso biasimarvi, dato
che è passato molto tempo, sappiate quindi che ero quel valletto
che reggeva il vassoio con la testa mozza, la quale apparteneva
ad un nostro sventurato cugino. Ora però non sono qui per
ricordarmi con voi del passato, ma perché devo darvi un’altra
missione da portare a compimento: si tratta di andare a Caer
Lloyw e stanare delle perfide streghe ivi rintanate ed ucciderle,
per vendicare alcuni cavalieri che esse uccisero nel corso degli
anni, nel darvi queste notizie, cugino, vi auguro buona fortuna”
Lungo la strada per Caer Lloyw, Parsifal incontrò parecchi
altri cavalieri della Tavola Rotonda i quali si unirono alla sua
impresa; giunti che furono a destinazione, si fece avanti un
gruppo di vecchiacce che mandarono diversi anatemi al gruppo
di cavalieri, ma questi si segnarono religiosamente e quelle
arpie si volatilizzarono tra orrende grida ed infernali miasmi da
zolfo, che scaturirono dalla buca apertasi sotto i piedi delle
streghe stesse, le quali non ebbero più la possibilità di
martoriare la terra di Bretagna.
CAPITOLO 30
Parsifal vagò ancora per parecchio tempo con moltissime
avventure, sempre alla ricerca del Monsalvato, finché un
giorno, per caso, non rincontrò sua cugina Sigurne che nel
frattempo s’era ritirata in romitaggio ed era molto deperita dal
dolore e dalla preghiera; non avendola riconosciuta, Parsifal gli
si avvicinò e le disse: ”Buon eremita, ormai la notte è vicina,
potrebbe farmi la cortesia d’indicarmi un maniero ove possano
offrirmi un giaciglio per dormire?”. Sigurne lo guardò per un
attimo, e poi disse: ”Messer cavaliere, ormai la sera è troppo
tarda per proseguire oltre, quindi vi prego di rispettare il luogo
e di fermarvi qui a tenere compagnia ad un’anima sola e piena
di rimpianti”.
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e si fece annunciare al buon cavaliere. Entrata che fu l’intiera
corte, Artù accolse ufficialmente nell’accampamento Feirefiz,
dicendo: ”Egregio cavaliere, ho idea che potrete fare invidia
vostro fratello, nonché nostro graditissimo compagno, Parsifal
in quanto ad imprese compiute e sangue versato nelle stesse”.
Feirefiz fu molto lusingato dal complimento fattogli da cotanto
re e gli disse: ”Sire, non crediate che le gesta vostre e dei vostri
cavalieri non mi siano ignote. Infatti le vostre gesta sono giunte
molto lontano, al di là del nostro mare, fino alle coste di quello
che voi chiamate terrasanta ed il deserto che si estende oltre”.
Artù divampò di piacere per essere così noto nel mondo, ma si
riprese immediatamente e si rivolse a Feirefiz, chiedendogli:
”Buon Feirefiz, se vuoi dirmelo, potresti dirmi quale buon
vento ti ha portato in queste lande così martoriate?”. Feirefiz si
schermì alquanto a quella richiesta e l’imbarazzo fu interrotto
da Parsifal che raccontò ai parenti tutte le proprie avventure,
che portarono via metà del pomeriggio; trovato il coraggio da sì
tante e mirabili avventure, Feirefiz raccontò le numerosissime
storie che lo vedevano come protagonista, finendo col
rispondere ad Artù dicendo: ”Venni in queste terre perché il
continente non mi da più possibilità d’avere nuove avventure,
sperando di trovarne da queste parti, e quanto mi è capitato
negli ultimi giorni supera di molto ogni mia più rosea idea
trovando, inoltre, anche una famiglia che non pensavo di poter
mai avere”. Feirefiz s’accomodò nel seggio che gli avevano
approntato e Parsifal si fece nuovamente avanti e prese a dire:
”Ho interrotto l’ultima cerca che avevo intrapreso per aver
ritrovato mio fratello e la cerca in questione, lo sapete tutti,
consente nel ritrovamento del Monsalvato ed il possesso del
Santo Graal, sempre che Nostro Signore me lo conceda”, in
quell’istante s’accorsero tutti di come s’era fatto tardi.
Imbarazzato per la chiacchierata troppo lunga per delle persone
d’arme, Artù s’alzò e disse: ”In virtù delle sue numerose ed
impegnative avventure e la sua perizia nel tirarvisi fuori, oltre
189

adempiuto che ebbe il suo dovere filiale, Parsifal si rivolse alla
sorella, dicendogli: ”Cara sorella, vi ricordate che il defunto
padre aveva contratto un matrimonio in terra straniera con una
splendida dama pagana?”. Lo sguardo di Dantrane fu
momentaneamente offuscato dal ricordo e dal dolore del padre,
poi preso coraggio a due mani, disse: ”Certo che mi ricordo del
precedente, come potrei scordarmi della cosa, anche a distanza
di così tanti anni dalla morte di tuo padre?”. Parsifal annuì
gravemente, pieno di comprensione nei confronti della madre,
poi disse: ”Spero che tu ti ricordi che da quell’unione nacque
un figlio che dovrebbe avere qualche anno in più di me. Ebbene
quel primo figlio di mio padre è qui con noi in questo momento
ed è tuttora al mio fianco, ho l’onore di presentarti chi dovevo
incontrare da tanto tempo, mio fratello Feirefiz”, Dantrane
dovette trattenere i propri sentimenti, per il momento, perché
proprio nello stesso istante fu portato in tavola il pranzo e si
misero a mangiare di buon grado, apprezzando moltissimo la
squisita cucina della corte.
Negli stessi istanti Galvano si presentò davanti allo zio,
dicendogli: ”Mio buon re e zio, se non lo avete gia saputo,
stamane vi sono state grosse novità alla nostra corte, infatti il
nostro ottimo Parsifal ha finalmente incontrato il misterioso
fratello che un giorno ormai lontano l’orrenda Kundry n’aveva
rivelato l’esistenza da un precedente matrimonio del padre di
entrambi ed ora stanno mangiando in compagnia di Herzeloyde
e di Dantrane nella tenda dell’ottimo cavaliere che conosciamo
come Parsifal in persona”, udendo quelle novità, Artù esultò di
gioia e pensò di finire al meglio il proprio pasto con un
pasticcio al miele. Terminato il proprio pasto, Artù si levò in
piedi e disse: ”Ormai Parsifal ed i suoi ottimi ospiti avranno
finito pure loro di desinare, quindi è giunto il momento che tutti
quanti andiamo a rendere omaggio a sì illustri compagni, con la
speranza che restino in nostra compagnia per molto tempo
nell’avvenire” detto questo, Artù si mosse con la propria scorta
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Sentendo quella voce, Parsifal rimase molto sorpreso perché
rivelava essere quella di una donna, per di più quegli accenti
familiari, anche se non riusciva a capire chi fosse colei, quindi
discese di sella e si sedette su di un tronco con lei ed iniziarono
a parlare diffusamente di molte cose, tra queste Sigurne disse:
”Questo è uno splendido posto, peccato che a rovinare questa
dolce visione ci sia quella brutta strega di Kundry che mi viene
a rifornire di viveri periodicamente”. A sentire quel nome,
Parsifal si sentì invadere da un forte senso d’orrore, perché
ricordava perfettamente il suo precedente incontro con lei.
Dopo molto chiacchierare, Parsifal portò il proprio sguardo
sulle mani della cugina e notò un anello in cui era incastonato
uno splendido granato, risollevato che ebbe gli occhi, Parsifal
chiese: ”Mia dolce dama, come mai una persona come voi, che
ha fatto voto di divenire eremita, porta un gioiello di sì gran
valore e pregevole fattura?”
Sigurne, per quanto possibile, divenne ancora più triste, quindi
disse: ”Questo è il ricordo d’un antico amore che venne sepolto
proprio in questo loco un lustro fa, dopo che fu gravemente
ferito da un cavaliere zotico e codardo”. Udendo quelle parole,
Parsifal fu veramente meravigliato perché finalmente gli occhi
si apersero e riconobbe l’amata cugina e, prima di riprendersi
completamente dalla sorpresa, si disarmò completamente,
abbracciandola con molto affetto e le disse: ”Cara cugina,
riconosci il cugino che un giorno ormai lontano maledicesti per
non aver posto le dovute domande al sofferente zio, reggitore
del Monsalvato e donagli il tuo perdono, perché la colpa è stata
ampiamente scontata da innumerevoli ed indicibili sofferenze”
Sigurne ne fu molto sorpresa per quel ritrovamento così
inaspettato da mettersi immediatamente a piangere dalla gioia,
mentre gli cadeva tra le braccia, quindi, riavutasi, gli disse:
”Ottimo cugino, mi sono state raccontate tutte le vostre
avventure, che sono gia veramente tante e terribili nella loro
mostruosità, che sarebbe indegno da parte mia non perdonarti
181

quella dimenticanza che a confronto è veramente miserevole,
anche se ha causato innumerevoli sofferenze alla gente del
Monsalvato ed all’adorato zio in modo particolare. Ebbene, se
ora vuoi raggiungere il Monsalvato e correggere quanto
accadde allora, non ti resta che seguire le tracce di quella strega
di Kundry perché, sappilo, fu in questo loco pochi istanti prima
del tuo arrivo, ma devi sbrigarti prima che la rugiada faccia
scomparire tutto quanto”. Parsifal abbracciò nuovamente la
cugina e le disse: ”Ti ringrazio del consiglio, buona Sigurne e,
anche se molto stanco, preferisco partire prima possibile per
raggiungere velocemente quell’orribile essere che è Kundry,
visto che abbiamo gia perso troppo tempo. Ora ti chiedo
congedo e me ne vado”. Immediatamente Parsifal si rimise
l’armatura e, salito in sella, partì all’inseguimento di Kundry,
ma fatte alcune leghe, le tracce si dispersero nella bruma.
Finalmente, dopo tanto peregrinare, Parsifal incontrò un
cavaliere, avvicinatosi che fu, Parsifal stava per chiedere
informazioni sul Monsalvato, quando quello gli disse:
”Messere, sono obbligato a chiedervi di fermarvi dove siete,
perché siete penetrato nel territorio proibito del Monsalvato, se
per caso non avete intenzione d’ascoltarmi, mi vedo costretto a
sfidarvi apertamente in duello”. Parsifal fu enormemente
sorpreso per quel comportamento da parte di un cavaliere del
Santo Graal, infine si decise e prese a dire: ”Messere, il
Monsalvato è proprio lo scopo della mia cerca, perché devo
rimediarvi un antico torto che in quell’onorato castello feci
diversi anni orsono e, se proprio volete cercare il duello, io
sono gia pronto a battermi contro di voi, anche sull’istante” ed
a quelle parole, Parsifal fece seguire i fatti, mettendo la propria
lancia in resta, seguito immediatamente dal cavaliere villano.
Gli assalti si susseguirono senza che s’interrompessero, ma ad
un tratto la zampa del cavallo di Parsifal penetrò in una forra e,
cadendo malamente, morì sul colpo, nello stesso istante il
cavaliere villano si trovò a tiro della lancia di Parsifal, il quale
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pace, per ora non è consigliabile presentarsi al cospetto di mio
zio completamente armati, quindi permettetemi entrambi di
disarmarvi di persona”, subito fu disarmato Parsifal cosicché
potesse parlare in modo degno ed a proprio agio. Subito dopo
Galvano s’avvicinò a Feirefiz e, vista l’armatura, fu preso da
enorme sorprese, iniziando a dire: ”Messere, le vostre armi
sono veramente meravigliose, dei veri e propri gioielli d’alta
fabbriceria del settore, fidatissimi paggi è meglio che nessuno,
nemmeno voialtri, osi avvicinarsi a tale manufatto, il solo
sguardo potrebbe rovinarlo irrimediabilmente”; infine rivestì i
due fratelli di ricche vesti e li accompagnò a vedere il gran
campo che costituiva in quel momento la corte del re. Finita
che fu la visita del campo, un attendente corse da Parsifal e gli
disse: ”Messere, in questo momento è giunta al campo tua
sorella Dantrane e vuole parlarvi, se ciò è possibile”. Parsifal fu
molto contento di quella notizia tanto è vero che disse:
”Accompagnatela alla tenda che c’è stata destinata dal qui
presente messer Galvano e ditele che ho intenzione di
raggiungerle immediatamente, dato che ho delle splendide
notizie da darle, inoltre fa in modo d’accontentarla in ogni loro
desiderio, considerandolo come un mio preciso ordine”, detto
questo Parsifal congedò l’uomo. Andatosene che fu
l’attendente, Parsifal si rivolse a Feirefiz, dicendogli: ”Buon
fratello è giunto il momento di farti conoscere il resto della
nostra famiglia, visto che non abbiamo nessun altro a questo
mondo, orsù torniamo all’alloggio dove ci hanno disarmato
poc’anzi”. Subito i due fratelli decisero di ritornare alla tenda
che gli era stata assegnata per accogliere la loro graditissima
ospite, nel frattempo era giunto il momento di preparare il
pranzo, quindi Parsifal chiamò un’intendente e gli diede tutte le
istruzioni di quel che desiderava, infine i due cavalieri
entrarono nel loro alloggiamento. Pochi istanti dopo furono
fatte entrare le due belle dame che subito Parsifal andò a
salutare come voleva la sua condizione di figlio e fratello,
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mi è nuovo, infatti mi è stata predetta l’esistenza di un
fratellastro con il vostro nome, mio padre, inoltre, rispondeva
quando era nomato Gahmuret signore della contea di Camaalot.
Sappiate inoltre che il mio nome è Parsifal”. Feirefiz fu a sua
volta molto sorpreso, ripresosi, disse: ”Messer Parsifal mi avete
rivelato una cosa alquanto strana, infatti anche il mio misterioso
padre si nominava Gahmuret, stando a quanto mi disse la mia
povera madre, la bella Beltrame, ma egli se n’andò prima che io
nascessi senza che ne sapessi più nulla, forse che stiamo
parlando dello stesso padre?”, Parsifal annuì gravemente, senza
voler dire niente, almeno in quel momento. Qualche momento
dopo, Parsifal ebbe la forza di dire: ”Caro Feirefiz, ebbene
sappiate che stiamo parlando proprio dello stesso Gahmuret che
fu padre di entrambi, ma morì poco tempo prima della mia
nascita nelle deserte terre dell’immensa Arabia”; la notizia fece
iniziare delle strazianti lamentazioni in Feirefiz che
trascinarono nel funereo rito anche il buon Parsifal. Finite che
furono le lamentazioni, Feirefiz si rivolse al fratello e gli disse:
”Venni in Bretagna con molte truppe per fare in modo che
eventuali eserciti malintenzionati ci attaccassero senza poterci
difendere dignitosamente, se vuoi potresti passarlo in rivista
assieme a me”. Parsifal fu molto contento della proposta del
fratello, poi gli disse: ”Ora è giunto il momento d’andare presso
il Castello Meraviglioso, qui vicino, ove è accampato il buon re
Artù, mio signore, presso il quale potremo incontrare altri
nostri parenti”, intanto nel campo dello stesso Artù s’era diffusa
la notizia dell’epico duello ed il riconoscimento dei due fratelli.
Finalmente i due fratelli arrivarono alla corte di re Artù, ove
trovarono ad accoglierli Galvano che li accompagnò in una
tenda dicendo: ”Caro Parsifal, sono molto felice per te in
quanto hai trovato un fratello di cui era stata profetizzata
l’esistenza, spero solamente che la sua permanenza presso di
noi sia di suo gradimento”. Entrati che furono tutti e tre nella
tenda, Galvano riprese a dire: ”Visto che siamo in tempo di
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prese l’occasione per disarcionare l’avversario, battendolo in
modo molto ignobile, vedendo quella manifestazione di forza e
coraggio, i cavalieri del Santo Graal che erano appostati nelle
vicinanze decisero d’allontanarsi senza muovere altri duelli
contro il Puro Folle.
Passarono così alcuni giorni senza che Parsifal avesse altre
avventure, finché un giorno in cui cadeva una leggera nevicata,
Parsifal incontrò alcuni pellegrini che, vistolo armato di tutto
punto, iniziarono a mormorare, finché il più anziano di loro gli
s’avvicinò e disse: ”Messere, forse non vi ricordate che giorno
è oggi? Ebbene ve lo dico subito: è il venerdì santo e voi state
girando in questo santo giorno ancora armato di tutto punto, ma
forse non tutto è perduto, se voi ritrovate immediatamente
Nostro Signore Gesù Cristo e vi confessate presso un eremita
nomato Trevrizent e da cui noialtri proveniamo e vi garantisco
che è un grande uomo”. Avute quelle ottime informazioni,
Parsifal disse: ”È da molto tempo che giro e ho perso la
cognizione del tempo, quindi vi ringrazio moltissimo per
avermelo ricordato e di avermi indicato un posto molto vicino
ove andare a fare ammenda per questa grave dimenticanza, ora
vi devo chiedere a tutti quanti il congedo per poter raggiungere
questo santo eremita di cui mi avete detto”. Il capo di quei
pellegrini annuì gravemente e disse: ”Messere vi concedo
volentieri il congedo di andare dall’eremita Trevrizent e di
ottenere da lui quanto meriti come penitenza a questo tuo
peccato”
Finalmente Parsifal riprese il proprio cammino nella direzione
che gli avevano detto i santi pellegrini, durante il tragitto, il
buon cavaliere si mise a riflettere sulla propria vita e su quanto
gli aveva detto il buon vegliardo, arrivando in breve al loco
indicatogli. L’eremita, vedendosi arrivare il misterioso
cavaliere, gli corse incontro e gli disse: ”Cavaliere penso di
sapere il perché siete giunto al mio cospetto, ma vi prego di
disarmarvi prima di dirmi veramente il motivo della vostra
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visita”. Parsifal si rivolse all’eremita dicendogli: ”Ho incontrato
poco fa un gruppo di pellegrini che vi fecero visita e che mi
hanno consigliato di rivolgermi a voi per ottenere il perdono
della dimenticanza che mi avete appena rimproverato all’arrivo
in questo santo luogo”.
Sentendo quelle parole, Trevrizent ne fu sorpreso e gli disse:
”Messere, siete stato consigliato molto bene e sono contento
che lo abbiate seguito così presto, ma ora conviene che
entriamo nel romitaggio, perché qui si sta facendo buio e
durante la notte da queste parti fa veramente freddo”, una volta
che furono entrati nella grotta che faceva da casa all’eremita,
Parsifal si tolse la propria armatura e, rivestitosi, si riposò dalle
tante fatiche di quei giorni. Una volta che si furono sistemati
comodamente, l’eremita prese a dire: ”Cavaliere pensate il
motivo per cui Nostro Signore Gesù Cristo venne al mondo,
infatti Egli prese le sembianze umane per riscattare il mondo
dal peccato. Vedo però che siete preoccupato per qualcosa,
volete dirmi cosa v’angustia?”. Parsifal ne rimase molto
sorpreso perché il buon uomo aveva visto giusto nelle sue
angustie e gli disse: ”Infatti ho un grosso problema che mi
assilla ed è il Santo Graal”.
Trevrizent si sentì molto compiaciuto di quel proposito e gli
disse: ”Il vostro intento è molto lodevole, messere, ma dovete
ricordare che questa vostra ricerca può essere presa come una
pretesa insostenibile, sempre ammesso che voi non siate il
predestinato da Nostro Signore Iddio ad entrare nella sacra
congregazione dei cavalieri del Santo Graal”. Parsifal fu molto
compiaciuto di quanto gli aveva detto l’eremita e gli disse:
”Tutte le avventure che ho affrontato ed il dolore che ho subito
penso che possano meritarmi il titolo di predestinato da Dio ad
accedere al Monsalvato”. L’eremita s’indignò parecchio per
quella presunzione e disse: ”Messer cavaliere voi siete
tracotante nelle vostre presunzioni, mi sa che dobbiate imparare
l’umiltà”.
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Parsifal non si scompose e, accomodandosi meglio, raccontò
al buon eremita la propria storia e, quando ebbe finito,
Trevrizent gli disse: ”Caro Parsifal devi sapere che ti ritrovi
davanti ad uno dei tuoi zii, in quanto sono il fratello della tua
buona madre Herzeloyde, sappi inoltre che pure il Ricco Re
Pescatore Amfortas è fratello di Herzeloyde, quindi tuo
immediato congiunto. Altre zie sono la defunta madre di tua
cugina Sigurne e la stessa Repanse de Schoye che tu avrai gia
conosciuto nella tua scorsa visita al Monsalvato alla cerimonia
del sacro Graal, curandone la sopravivenza”, in quell’istante il
buon eremita s’accorse che ormai era arrivato il mezzodì e mise
a cuocere delle radici raccolte nei dintorni e le offrì anche al
nipote che le apprezzò parecchio, mentre il suo cavallo si
dovette accontentare d’alcuni rami di tasso. Finito che fu il
pasto, Trevrizent diede molti altri consigli e fece anche
numerosi rimproveri, facendo arrivare definitivamente la notte,
quindi andarono a dormire, il mattino successivo Parsifal
s’armò ancor prima che il sole sorgesse e prese la santa messa
prima di partire per continuare la propria cerca.
CAPITOLO 31
Un giorno Parsifal incontrò un cavaliere molto ricco e potente
che lo fermò lungo la propria strada e gli disse: ”Messere sono
giunto in queste per ottenere gloria ed onore, quindi vi chiedo
di concedermi l’onore di duellare contro di me” ma la tenzone
andò avanti per diversi giorni perché i due cavalieri erano di
pari valore, forza ed iniziativa, oltre che alla furbizia. Alla fine
di tanti sforzi il duello fu interrotto da un fatto molto
particolare, infatti la spada di Parsifal si ruppe, al che il suo
avversario abbassò la propria e disse: ”Senza che il mio
avversario abbia delle armi con cui si possa difendere, io non
sono in grado di continuare la disfida e propongo di smettere la
tenzone. Sappiate dunque il mio nome, visto che non possiamo
essere nemici: io sono Feirefiz”. Parsifal sussultò dalla sorpresa
e per la gioia, infatti disse: ”Messer Feirefiz, il vostro nome non
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