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Anno 12 Numero 25<br />

Foglio della comunità italiana di <strong>Capodistria</strong><br />

Dicembre 2007


Il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi,<br />

incontra a Lubiana i rappresentanti della CNI.<br />

Il logo del neocostituito Centro italiano<br />

»Carlo Combi«. <strong>La</strong> sede è in Via Kette 1.<br />

Sito www.carlocombi.net.<br />

Il coordinatore culturale della CNI di <strong>Capodistria</strong>,<br />

Mario Steffè, inaugura la mostra del fotografo<br />

fiumano Rino Gropuzzo.


<strong>La</strong> città<br />

SALVIAMO UN EDIFICIO DELLA CAPODISTRIA STORICA!<br />

Dopo il recente discutibile riassetto della via Cankar (l'ex popolare via Eugenia), "decorata"<br />

ora da imponenti palme messicane su marciapiedi di cemento stampato (improbabile imitazione<br />

del lastricato in pietra), fino a ridosso del Brolo e del Duomo, l'amministrazione del Comune città<br />

di <strong>Capodistria</strong> - con l' avallo del consiglio comunale e purtroppo anche con il silenzio delle istituzioni<br />

e dei rappresentanti della nostra comunità nazionale - ha annunciato il prossimo abbattimento<br />

dell'edificio che da decenni ospita gli uffici della polizia in piazza Ukmar, in riva al mare, dove - stando<br />

a quanto annunciato dal sindaco Boris Popovič - dovrebbe sorgere una "grandiosa fontana".<br />

A parte il pleonasmo architettonico e urbanistico<br />

a forte rischio kitch di una fontana in riva al mare,<br />

è veramente triste che tale decisione abbia ottenuto<br />

il consenso dell'ente preposto alla tutela del<br />

patrimonio culturale. L'edificio in questione non è<br />

"nuovo", non è stato costruito nel dopoguerra; con un<br />

secolo di presenza in questo punto della città è parte<br />

integrante del centro storico, della sua fisionomia,<br />

come lo erano d'altronde i vecchi edifici attigui<br />

e i magazzini purtroppo abbattuti nell'immediato<br />

dopoguerra. L' edificio di tre piani è una<br />

costante in numerose cartoline d'epoca della<br />

<strong>Capodistria</strong> del primo Novecento. Prima della<br />

seconda guerra mondiale ospitò la guardia di finanza<br />

del Regno d'Italia, dopo la guerra offrì alloggio ai<br />

primi lavoratori di Radio <strong>Capodistria</strong> e ospitò pure<br />

il primo atelier di due importanti artisti locali: Oreste<br />

Dequel e Jože Pohlen. L'edificio fu restaurato nel<br />

rispetto dell'architettura tradizionale anche se - per le<br />

necessità della polizia che vi si insediò - negli anni<br />

50 venne costruita un'ala anche architettonicamente<br />

posticcia.<br />

Recentemente il consiglio comunale ha decretato una<br />

riduzione dell'area del centro storico sottoposto ai<br />

criteri di tutela del patrimonio storico-culturale che,<br />

oltre all'area delle ex saline (la Bonifica), esclude<br />

inspiegabilmente da ogni tutela tutta la linea di<br />

contatto del centro storico con il mare: il vecchio<br />

porto, il mandracchio e il molo della Porporella,<br />

attualmente già in fase di ristrutturazione.<br />

L' amministrazione comunale ha deciso, purtroppo<br />

senza possibilità di appello - nel suo collaudato stile<br />

del fatto compiuto votato in consiglio comunale<br />

senza dibattito grazie ad una preponderante maggioranza<br />

di abbattere un edificio che data agli albori del<br />

ventesimo secolo e che, con i suoi vani di circa 2000<br />

metri quadri, potrebbe rappresentare un'opportunità,<br />

un'ulteriore arricchimento per l'economia e la cultura<br />

<strong>citta</strong>dina.<br />

Recentemente sia il partito Oljka (Ulivo), sia altri<br />

soggetti <strong>citta</strong>dini hanno proposto un uso razionale,<br />

alternativo e di pubblica utilità dell' edificio:<br />

la creazione di un museo della pesca o dell'ecologia<br />

marina. Svariate sono le possibilità che, rivalutando<br />

l'edificio, arricchirebbero l'offerta di <strong>Capodistria</strong>: un<br />

museo, un centro culturale, delle gallerie, uno spazio<br />

espositivo, un albergo, un ristorante...<br />

L'opzione assolutamente meno razionale - in<br />

linea con le tentazioni archittetonicamente<br />

"rivoluzionarie" e demolitrici dell'immediato<br />

dopoguerra - è quella proposta e approvata<br />

dall'amministrazione del Comune città di <strong>Capodistria</strong><br />

. Demolire quell'edificio è un atto incomprensibile,<br />

irrispettoso nei confronti della <strong>Capodistria</strong> storica e<br />

illogico anche dal punto di vista strettamente<br />

economico: che senso ha distruggere 2000 metri<br />

quadrati di vani perfettamente funzionali il cui valore<br />

di mercato supererebbe attualmente i 6 milioni<br />

di euro? Tale atteggiamento ricorda il peggior<br />

periodo del dopoguerra quando la nuova architettura<br />

"industriale", "socialista" e "modernista" distrusse<br />

una consistente fetta del perimetro urbano storico. Se<br />

molto venne comunque salvato allora (ad esempio in<br />

riva al mare i magazzini del sale - l'odierna Taverna)<br />

lo si deve alla presa di coscienza ed all'impegno<br />

di un gruppo di <strong>citta</strong>dini che dissero "no" ad una<br />

radicale metamorfosi architettonica e urbanistica<br />

della città rinascimentale, comunque brutalmente<br />

deturpata da alcuni tristi interventi architettonici e<br />

dalla costruzione del porto. Gli obbrobri di allora<br />

non legittimano o giustificano in alcun modo una<br />

mancanza di sensibilità analoga oggi.<br />

Da capodistriani desideriamo lanciare anche dalle<br />

pagine di questo giornale il cui nome testimonia e<br />

spiega la nostra particolare sensibilità e la nostra<br />

preoccupazione per le sorti di questa nostra città<br />

e della sua identità un ultimo accorato appello al<br />

buon senso e soprattutto alle istituzioni (compresi<br />

naturalmente il sindaco, i vicesindaci, il consiglio<br />

comunale e l'ente per la tutela del patrimonio storico<br />

e culturale) che ancora possono fermare le ruspe<br />

ed evitare la demolizione di un edificio che è parte<br />

integrante del centro storico di <strong>Capodistria</strong>.<br />

Franco Juri<br />

3


<strong>La</strong> città<br />

4<br />

LE DUE MINORANZE DOPO SCHENGEN<br />

Convegno, Trieste, 1 dicembre 2007<br />

Progetto europeo “SA.PE.VA. Studio, Analisi, Promozione E VAlorizzazione del Patrimonio Culturale,<br />

Storico e Linguistico delle Comunità Nazionali Italiana e Slovena nell'area transfrontaliera”<br />

di Maurizio Tremul<br />

Presidente della Giunta Esecutiva dell’Unione Italiana<br />

Con la piena integrazione europea degli Stati e con la caduta dei confini, secondo una<br />

concezione strabicamente liberale, le Minoranze dovrebbero cessare di esistere, ovvero<br />

non necessiterebbero più di particolari strumenti di tutela e godere del principio della<br />

discriminazione positiva. <strong>La</strong> caduta del confine non sopprime, sic et simpliciter, le<br />

Minoranze, che non esauriscono il loro ruolo. In realtà quale ruolo diverso dovrebbero<br />

avere gli appartenenti alle Minoranze se non quello che hanno gli appartenenti alle<br />

Maggioranze? Dopo Schengen, quindi, non si può presentare il quesito di quale senso<br />

abbiano le minoranze analogamente a quanto avviene per le maggioranze, i popoli, le<br />

nazioni, gli Stati. Le minoranze, anzi, possono contribuire ulteriormente a favorire la<br />

sana contaminazione delle zone liminari, la collaborazione tra le aree di contatto, quali<br />

luoghi di incontro, di dialogo, di intersezione e interazione, rendendoli più ricchi.<br />

<strong>La</strong> domanda di come questi profondi mutamenti<br />

influiranno anche sulla realtà e sullo status delle<br />

nostre due Comunità Nazionali è certamente<br />

legittima. Questi processi, infatti, incidono<br />

in genere sulla vita delle genti di confine,<br />

immaginiamoci lì dove correva la cortina<br />

di ferro: anche se meno rigida di quella che<br />

divideva i Paesi occidentali da quelli del blocco<br />

sovietico, era pur sempre una salda barriera che<br />

divideva due mondi contrapposti.<br />

Rudi Pavšič (SKGZ) e Maurizio Tremul (UI).<br />

Primorski dnevnik, 27 novembre<br />

Fra pochi giorni, quindi, cadrà il confine inteso<br />

quale luogo in cui si deve esibire un documento<br />

d’identità, dichiarare i propri effetti e il proprio<br />

bagaglio. Quanti timori ha accompagnato quella<br />

linea ogni volta che la si attraversava, vuoi per<br />

l’intrinseca paura che l’ideologia realsocialista<br />

jugoslava incuneava fin dentro le ossa,<br />

imbrigliando libertà e chance, vuoi per il piccolo<br />

contrabbando di caffè, detersivi e giornali, di<br />

carne, uova e grappa. Tutto questo sarà, ora,<br />

consegnato alla storia, farà parte dei nostri ricordi<br />

e del nostro essere stati.<br />

Davanti a noi si aprono notevoli possibilità di<br />

lavoro, nuove mobilità, inedite scelte di vita.<br />

D’ora in poi ci si potrà impiegare a Trieste<br />

e abitare ad Ancarano, vivere a Dolina e far<br />

frequentare ai propri figli le scuole a Isola.<br />

Si aprono, pertanto, anche nuove sfide per le<br />

Istituzioni e le imprese che dovranno misurarsi<br />

con un mercato più grande e competitivo. Anche<br />

le Istituzioni e le Scuole delle due Minoranze,<br />

quali pilastri dello sviluppo identitario dei suoi<br />

appartenenti, dovranno tenere conto di questa


nuova situazione e apportare le necessarie<br />

innovazioni nella propria azione e offerta.<br />

Negli ultimi mesi l’Italia e il Friuli Venezia Giulia<br />

stanno procedendo a grandi passi sulla strada<br />

del riconoscimento e dell’attuazione dei diritti<br />

in favore della Comunità Nazionale Slovena<br />

(CNS). Finalmente, è un fatto di portata storica. I<br />

nuovi strumenti legislativi e normativi superano<br />

giustamente, anche se con notevole ritardo, le<br />

gabbie imposte dal Memorandum di Londra<br />

del 1954 e dagli Accordi di Osimo del 1975 in<br />

tema di territorialità della tutela degli sloveni.<br />

L’attualizzazione di quelle disposizioni e la loro<br />

coerente applicazione avvengono, evidentemente<br />

non a caso, proprio in concomitanza con il<br />

compimento della piena integrazione della vicina<br />

Repubblica nell’Unione Europea. Per la CNS<br />

rappresentano un importante risultato che è al<br />

contempo punto d’arrivo e base di partenza per<br />

la sua ulteriore crescita. In questo processo potrà<br />

sempre contare sul sostegno, sulla collaborazione<br />

e sulla piena solidarietà della Comunità Nazionale<br />

Italiana (CNI) e dell’Unione Italiana (UI) in<br />

particolare.<br />

<strong>La</strong> Slovenia dovrebbe necessariamente cogliere<br />

questo spirito nuovo, questa grande apertura e<br />

questo slancio progressivo, determinato anche<br />

dagli effetti tonificanti che l’integrazione<br />

europea porta con sé, per risolvere i molteplici e<br />

gravi problemi che affliggono la CNI: attuazione<br />

dei diritti, bilinguismo, preservazione del<br />

territorio, tutela culturale della sua identità. Si<br />

tratta di situazioni molto gravi, emerse in tutta<br />

la loro drammaticità dai dati del censimento<br />

Il convegno SA.PE.VA<br />

<strong>La</strong> città<br />

del 2002 e che non hanno incontrato ancora la<br />

dovuta maturità politica e culturale presso le<br />

forze politiche e di Governo, nazionale e locale,<br />

atta a varare, d’intesa con la stessa CNI, un<br />

piano condiviso e efficace che contrasti, prima<br />

che diventi irreversibile, un trend di progressiva<br />

compressione dei diritti e di sistematica<br />

violazione dei medesimi. Pena la sua completa<br />

assimilazione e scomparsa.<br />

In quest’ambito più generale, ma di indubbio<br />

interesse anche per le nostre due Minoranze,<br />

la specialità del Friuli Venezia Giulia,<br />

rispecchiata nel suo nuovo Statuto all’esame<br />

del Parlamento, va indubbiamente valorizzata<br />

e non ridotta. <strong>La</strong> denominazione plurilingue<br />

della Regione, espressione della sua variegata<br />

e ricca realtà, a tutela delle sue Minoranze,<br />

andrebbe salvaguardata, confermando il diritto<br />

di <strong>citta</strong>dinanza alle espressioni linguistiche<br />

storiche del territorio.<br />

Anche la specialità del <strong>Capodistria</strong>no andrebbe<br />

altrettanto capita e valorizzata, sia per quanto<br />

concerne la sua estensione – che dovrebbe<br />

comprendere i tre comuni costieri sloveni - sia<br />

per quanto attiene i suoi contenuti. Non si può<br />

continuare a ragionare, quando si parla della<br />

sua ampiezza, sempre in termini squisitamente<br />

monetari ed economicistici, neanche fosse un<br />

problema di private equity, della serie mordi,<br />

massimalizza i profitti e fuggi.<br />

Nella nuova Provincia che vorremmo<br />

comprendesse solamente le municipalità di<br />

<strong>Capodistria</strong>, Isola e Pirano, la posizione della<br />

MINORANZE, UN RAPPORTO CHE CRESCE<br />

Le prospettive delle due Comunità Nazionali, quella slovena in Italia e quella italiana in Slovenia e<br />

Croazia, dopo Schengen. Questo il tema del convegno di studi del progetto SA.PE.VA : Studio, Analisi,<br />

Promozione E VAlorizzazione del patrimonio culturale, storico e linguistico delle Comunità Nazionali<br />

Italiana e Slovena nell'area transfrontaliera, finanziato dal programma europeo INTERREG. L'incontro<br />

conclusivo, intitolato Le due minoranze dopo Schengen si è tenuto al Kulturni dom di Trieste. Nella<br />

prima parte gli interventi del presidente della SKGZ Rudi Pavšič, del Presidente della Giunta Esecutiva<br />

dell'Unione Italiana, Maurizio Tremul, di rappresentanti dei governi italiano e sloveno, del Friuli Venezia<br />

Giulia, della Provincia e del comune di Trieste, della municipalità di <strong>Capodistria</strong>. Al convegno hanno<br />

partecipato gli studenti delle scuole medie superiori delle due comunità.<br />

5


<strong>La</strong> città<br />

CNI dovrà trovare adeguata collocazione<br />

normativa. Questa non è tanto una questione di<br />

numeri o di quantità, ma di qualità di diritti e<br />

di rappresentanza. Diritti che potrebbero essere<br />

dettagliati e articolati rispetto a quanto stabilito<br />

dalla Costituzione e dalle leggi nazionali e che<br />

rappresenterebbero, di conseguenza, la soglia<br />

minima sotto la quale non si può scendere, ma<br />

che potrebbero essere ulteriormente incrementati<br />

a livello locale.<br />

Insomma, la CNI andrà posta nella condizione<br />

di esercitare adeguatamente i diritti che le<br />

sono riconosciuti, diritti che vanno attuati e<br />

implementati, innanzitutto superando i limiti<br />

territoriali imposti dal Memorandum di Londra<br />

e dagli Accordi di Osimo. Oggi, ad esempio, nel<br />

Comune di <strong>Capodistria</strong>, il 15% degli italiani – a<br />

Pirano l’8% - non ha quasi alcuna tutela perché<br />

risiede al di fuori del territorio nazionalmente<br />

misto, la cui estensione, pertanto, va posta tra<br />

le priorità assolute! Vanno individuati, perciò,<br />

meccanismi chiari, semplici ed efficaci che<br />

permettano alla CNI di realizzare i propri diritti<br />

e assicurino che questi saranno rispettati.<br />

In questa situazione diventa imperdonabile si<br />

contesti il nome proposto della futura Provincia<br />

e si impedisca di mantenere la parola “Istria”<br />

nella sua denominazione ufficiale. Gli slogan<br />

“Tu je primorska, mi smo primorci, primorske<br />

ne damo!” che con tanto tempismo compaiono<br />

– guarda che coincidenza – risuonano nostalgici<br />

come quelli che abbiamo conosciuto fin troppo<br />

bene “Tujega nočemo, svojega ne damo”,<br />

della serie gli imperdibili: “Tito je naš, mi smo<br />

6<br />

<strong>La</strong> fiera Agromin<br />

titovi”! Altrettanto intollerabile è l’acclarata<br />

volontà di non introdurre la dicitura bilingue<br />

per la nuova Provincia che includerà i territori<br />

d’insediamento storico della CNI.<br />

<strong>La</strong> nostra è un’area delicata che richiede rispetto<br />

e attenzione, mentre è invece quotidianamente<br />

aggredita da uno sviluppo industriale,<br />

commerciale e urbano che ne viola l’identità,<br />

cancella pezzi di storia per rendere sempre più<br />

banalmente attraente la città con improbabili e<br />

posticci ornamenti, dimenticando di valorizzare<br />

i gioielli che essa possiede. Non serve nulla di<br />

esotico per rendere interessanti questi territori.<br />

Queste pietre, queste strade, queste case e<br />

palazzi, trasudano storia, cultura, tradizioni<br />

molto più pregiate e preziose, che chiedono<br />

rispetto e attendono di essere opportunamente<br />

preservate e valorizzate.<br />

<strong>La</strong> caduta del confine, speriamo, stimolerà un<br />

flusso di idee, di movimenti e di investimenti<br />

in termini di potenzialità intellettive che<br />

punteranno sulle risorse autentiche e storiche<br />

del territorio.<br />

Di indubbia utilità, soprattutto da questo<br />

momento in poi e non solo per la CNI ma<br />

anche per la crescita del Paese, sarebbe la<br />

tanto invocata e non ancora costituita base<br />

economica della Comunità che è stata negata<br />

all’epoca dalla Jugoslavia, spogliandola di ogni<br />

avere. Gli accordi segreti tra Italia e Jugoslavia<br />

che prevedevano strumenti economici in favore<br />

delle rispettive minoranze e contemplavano, per<br />

la CNI, la costituzione della Cassa di Risparmio<br />

dell’Istria e la soluzione della questione dei beni<br />

Dal vino all’olio d’oliva, dai tartufi al miele, dai formaggi ai prosciutti. Tutto un “profumo”, una festa<br />

dai sapori nostrani di qualità. Sono stati oltre una trentina i produttori che hanno colto l’occasione<br />

della fiera “Agromin” per presentare a Portorose la loro offerta. Anche tale appuntamento è stato<br />

parte integrante del progetto europeo delle due minoranze, italiana in Slovenia e Croazia e slovena in<br />

Italia, finanziato dal Programma d’iniziativa comunitaria Interreg III A Slovenia-Italia 2000 – 2006,<br />

che si è concluso a novembre. Non è mancato il richiamo alla tradizione delle saline, con uno stand<br />

contraddistinto da enormi zucche e che ha ricordato anche la produzione di cachi, soprattutto nella<br />

valle di Strugnano. Un angolino è stato ritagliato anche per presentare “Min-tour”, altro progetto che<br />

coinvolge le minoranze, promuovendo destinazioni turistiche dal Carso al mare. Di prossima uscita<br />

una guida.


immobili da restituire alla stessa CNI è stata<br />

disattesa e ancora oggi reclama rispetto.<br />

<strong>La</strong> semplice cancellazione della frontiera, però,<br />

avrà effetti molto relativi e circoscritti, anche se<br />

evidenti nella quotidianità delle genti di confine,<br />

se non sarà accompagnata da una lungimirante<br />

e attenta azione nel campo dell’educazione e<br />

della formazione, principalmente delle giovani<br />

generazioni. A loro va spiegata la storia di<br />

queste nostre martoriate e bellissime regioni<br />

nella sua effettiva dinamica di svolgimento e<br />

non ideologizzata o ricostruita a posteriori. <strong>La</strong><br />

presenza delle Minoranze, la loro realtà, la loro<br />

creatività, va adeguatamente promossa: esse<br />

rendono più bella, ricca e migliore queste aree<br />

che presentano particolarità uniche.<br />

<strong>La</strong> partecipazione della Slovenia all’area<br />

di Schengen, pertanto, rappresenta una<br />

straordinaria opportunità, non priva di rischi<br />

e di gravi risvolti. <strong>La</strong> caduta del confine tra<br />

Slovenia e Italia è una vera festa. Per la CNI<br />

è anche l’inizio di un percorso in salita che<br />

auspichiamo non diventi un calvario.<br />

Gli Sloveni finalmente potranno realizzare<br />

quell’unità della Nazione slovena che hanno<br />

inseguito e costruito per tanti anni, coronando<br />

uno storico e legittimo sogno. Lo possono fare,<br />

oltretutto, non più nell’epoca degli Stati nazionali<br />

contrapposti, ma nel contesto dell’integrazione<br />

europea che questa aspirazione realizza con<br />

gli strumenti della cooperazione. Noi non<br />

possiamo che condividere con gli amici della<br />

CNS questa gioia, con l’augurio più fervido di<br />

nuovi successi.<br />

Per quanto attiene la CNI l’unità con la Nazione<br />

italiana, purtroppo, si realizzerà in minima parte.<br />

Anzi, l’introduzione del regime di Schengen<br />

in Istria creerà notevoli difficoltà per gli<br />

appartenenti alla CNI e rischierà di approfondire<br />

ulteriormente la frattura aperta 17 anni fa con il<br />

disfacimento dell’ex Jugoslavia e la nascita dei<br />

nuovi Stati democratici di Slovenia e Croazia.<br />

Per questi motivi chiediamo siano individuati<br />

quei meccanismi che consentano di rendere<br />

<strong>La</strong> città<br />

quanto più permeabile il confine in Istria.<br />

In questi giorni, con una solenne cerimonia, ci<br />

siamo accomiatati dalla famosa prepustnica.<br />

L’Accordo di Udine del 1955, con l’introduzione,<br />

appunto, del lasciapassare e le agevolazioni<br />

che ne conseguivano erano, all’epoca,<br />

straordinariamente innovativi e lungimiranti.<br />

Essi nascevano immediatamente dopo la nota<br />

tripartita e il rischio di un’escalation della<br />

tensione in questa parte d’Europa. Furono uno<br />

strumento di grande apertura. Si trattava di un<br />

accordo che riuscì nel suo intento: quello di<br />

alleviare alla popolazione locale le conseguenze<br />

nefaste del nuovo confine che aveva aperto una<br />

profonda ferita nel tessuto sociale e umano della<br />

regione.<br />

<strong>La</strong> demolizione delle cabine al valico di Škofije-<br />

Rabuiese (Il Piccolo, 6 dicembre)<br />

7


<strong>La</strong> città<br />

E oggi, tra Croazia e Slovenia, su questa<br />

medesima tematica, come finirà? Si continuerà<br />

a discutere di questioni volutamente mantenute<br />

aperte, ma tutto sommato ideologiche e<br />

strumentali, oppure si inizierà a dare risposte<br />

concrete alle esigenze del territorio? Si rimane<br />

sbigottiti davanti a tanta ottusità, quella che non<br />

riesce a immaginare e a creare un altrettanto<br />

avanzato meccanismo e sistema, come quello<br />

introdotto dall’Accordo di Udine, che faciliti<br />

il piccolo traffico di frontiera, che incentivi<br />

condizioni di vita più serena alle popolazioni<br />

a ridosso dei confini. Affinché non diventi una<br />

frontiera, una barriera invalicabile, allontanando<br />

ancora di più la Croazia da quell’Europa a cui<br />

indubbiamente appartiene.<br />

Certamente la costituzione dell’Euroregione<br />

Alto-Adriatica potrà rappresentare un’utile<br />

anticamera, allieverà i disagi futuri e favorirà il<br />

cammino europeo della Croazia. <strong>La</strong> decisione<br />

di insediarne a Trieste la sua “capitale” è<br />

una scelta naturale. Ci chiediamo, però, che<br />

euroregione è quella che non sia inclusiva delle<br />

aree transfrontaliere slovene ed esclude l’Istria<br />

settentrionale? Non siamo interessati a puntare<br />

l’indice contro nessuno. Non è il nostro intento,<br />

ma vogliamo rivolgere un accorato appello alla<br />

responsabilità delle forze politiche e di governo<br />

(nazionale e locale) in Slovenia, in Italia e nel<br />

Friuli Venezia Giulia affinché l’anomalia sia<br />

quanto prima sanata.<br />

Con la partecipazione anche della Croazia<br />

all’Unione Europea, l’assunzione dell’euro,<br />

l’entrata nell’area Schengen, la caduta dei<br />

confini che oggi dividono l’Istria, si realizzerà<br />

pienamente l’unitarietà della CNI in Croazia e<br />

Slovenia che abbiamo perseguito in tutti questi<br />

anni e continueremo a perseguire con coerenza e<br />

costanza. L’obiettivo, infatti, è quello dell’Istria<br />

senza confini parte integrante dell’Europa<br />

unita.<br />

Attraverso la CNI e l’UI in Slovenia, la CNI<br />

che vive in Croazia trova la porta d’entrata<br />

nell’UE. Questa situazione andrà utilmente<br />

messa a frutto, nei prossimi anni, in favore della<br />

crescita di tutta la collettività. In quest’ambito<br />

8<br />

andranno massimamente colte le opportunità<br />

offerte dai nuovi strumenti di cooperazione<br />

che l’Unione Europea mette a disposizione in<br />

favore dell’integrazione e della cooperazione<br />

transfrontaliera (“Obiettivo 3, Cooperazione<br />

territoriale 2007-2013, Programma<br />

transfrontaliero Italia-Slovenia”; “Programma<br />

di cooperazione territoriale europea IPA<br />

Adriatico 2007-2013”; “Programma di<br />

cooperazione territoriale europea Med”, ecc.).<br />

Da un punto di vista generale i rischi legati<br />

a tutti questi processi integrativi sono dati<br />

dall’appiattimento, dalla mercificazione,<br />

dall’omologazione, dal nuovismo e dalla<br />

globalizzazione che cancella le diversità e le<br />

identità, viola le integrità delle minoranze. Il<br />

rischio è anche la spettacolarizzazione della<br />

vita che sull’altare dell’apparenza piega ogni<br />

cosa e trasforma i dolori e le tragedie, le gioie<br />

e gli amori in varietà, show e quindi in farsa. Il<br />

rischio è che la mediocrità si sovrapponga alla<br />

qualità, che l’arte si trasformi in kitsch.<br />

Ma questo momento epocale crea anche tante<br />

opportunità, tante chances di vita e di crescita.<br />

Sta a noi saperle cogliere, mettere in movimento<br />

e in comunicazione le idee e le visioni per<br />

una vita migliore. Un po’ come favorire<br />

l’impollinazione rispetto alla sterilizzazione, la<br />

creatività, contrapposta al business e al successo<br />

da perseguire ad ogni costo, anche a prezzo<br />

dell’altrui infelicità. Insomma, l’arcobaleno<br />

contrapposto al bagliore accecante della<br />

stupidità.<br />

Speriamo che il superamento dei confini saprà<br />

dare il via ad un nuovo Umanesimo, che vedrà<br />

le nostre due Minoranze ancora protagoniste,<br />

capaci di articolare e realizzare assieme tanti e<br />

nuovi, stimolanti progetti comuni per la crescita<br />

nostra e del territorio, delle sue popolazioni,<br />

dell’Italia, della Slovenia e della Croazia,<br />

dell’Europa. Un rinascimento dell’intelligenza<br />

e della sensibilità, dell’amore per la bellezza<br />

che sola può salvare questo nostro piccolo<br />

mondo antico.


Una lettera di Kandler sulla toponomastica<br />

<strong>La</strong> città<br />

Da qualche mese il Comune di <strong>Capodistria</strong> ha attivato una commissione per lo studio della toponomastica<br />

<strong>citta</strong>dina. Commissione della quale mi onoro di far parte. L’obiettivo è quello di riscoprire e valorizzare<br />

nomi antichi delle vie e delle piazze di <strong>Capodistria</strong>, ripristinandoli ove possibile o mettendo delle tabelle<br />

per indicare che “una volta” quella data via si chiamava in tal modo. Ad esempio sotto l’attuale tabella “Via<br />

Monte Triglav” se ne collocherebbe un’altra con la dicitura “già Calle degli Ebrei”. <strong>La</strong> toponomastica è lo<br />

specchio di ogni epoca essendo espressione di regimi, politiche e mentalità. Che cambiano. Il “Brolo” del<br />

primo Novecento diventa Piazza Vittorio Emanuele III sotto l’Italia, Piazza Gandusio dal ’45 al ’55 – dal<br />

cognome di un partigiano caduto; poi per cinquant’anni Piazza della Rivoluzione (Trg Revolucije) e dal<br />

ritorno alla democrazia, nuovamente Brolo. Ci sarebbe da scrivere molto sull’argomento che affronteremo<br />

con dovizia di dettagli nel prossimo numero. Prepareremo una scheda su come sono cambiati i nomi delle vie<br />

di <strong>Capodistria</strong> dal primo Novecento ad oggi. Fino alla fine dell’800 infatti le vie non avevano denominazioni,<br />

se non quelle popolari o riferite ai rioni. Ufficialmente c’erano solo numeri di casa che andavano da 1 a<br />

1200.<br />

Tutta questa premessa per introdurre un interessante manoscritto firmato dallo storico triestino Pietro Kandler.<br />

Una lettera del 1858 in cui l’Imperial regio conservatore sollecita il nostro comune a valorizzare la propria<br />

storia, anche introducendo un’opportuna nomenclatura dello stradario.<br />

a.c.<br />

“Questi sono bei libri pel popolo, pei giovanetti che<br />

formeranno la generazione che si avanza, e per li forestieri”<br />

Pervenuta 22 Aprile 1858<br />

L' I. R. conservatore<br />

Al prestantissimo Sig. Podestà di <strong>Capodistria</strong><br />

Mi onoro di comunicare al prestantissimo Sig.<br />

Podestà, alcune indicazioni sulli scompartimenti<br />

interni della città di <strong>Capodistria</strong>.<br />

<strong>La</strong> quale, come io ho potuto rilevare da esami non<br />

perfetti, ebbe tre cinte =<br />

- <strong>La</strong> prima, come ho motivo di ritenere quadrata ed<br />

a scompartimenti rettangolari, non ebbe maggiore<br />

estensione, che dal termine di Caligaria a<br />

Belvedere, dalla cappella crollata di S.Alessandro<br />

in Brolo fino alla casa che è prossima a Palazzo<br />

Tacco verso Ponente.<br />

- <strong>La</strong> seconda cinta è ampliazione di questa<br />

prima dal lato di levante e qualcosa dal lato di<br />

mezzogiorno, rifatta nel medio tempo fu cinta,<br />

come sospetto, più antica; cinta le cui (frane ?) e<br />

le porte duravano a tempi della mia infanzia.<br />

Entro la prima cinta stava la città nobile, la città<br />

dominante; fra la prima e la seconda stava la città<br />

plebea. Fuor della seconda cinta erano collocati<br />

cimiteri, borgate di marinai, di pescatori, di<br />

campagnuoli ed ortaglie.<br />

- <strong>La</strong> terza ed ultima cinta è del 1400, dico<br />

all’incirca, opera dei tempi veneti, ora in buona<br />

parte cassata.<br />

Entro la città nobile stava il castello, a presidio della<br />

città, collocato come pare tra il Duomo ed il mare.<br />

9


<strong>La</strong> città<br />

Pietro Kandler (Trieste 25/5/1804 - 18/1/1872).<br />

Massimo storico triestino dell'Ottocento, studiò a<br />

Trieste e si laureò in giurisprudenza all'università di<br />

Padova. Fu dal 1842 procuratore civico (avvocato<br />

del Comune). Pubblicò molteplici saggi e articoli<br />

su svariati argomenti di storia politica, economica,<br />

giuridica e letteratura triestina e istriana, alcuni<br />

volumi e molti manoscritti, avendo a disposizione<br />

il materiale degli archivi civici e basando quindi le<br />

proprie considerazioni su fonti documentarie.<br />

Asse principale della città nobile era senza’altro la<br />

Caligaria, asse che forse protendevasi oltre il mare<br />

verso i colli, non come strada ma come linea direttiva<br />

delli scompartimenti agrarii. Ma di quest’asse non<br />

occorre parlarne che per la parte entro la città.<br />

Parte nobilissima della città quadrata era la piazza,<br />

che ben può dirsi con voce usata ancor nel medio<br />

evo Foro; il quale non per cangiamento di sorti o di<br />

fortune cangiò destinazione e disposizione. Se ancora<br />

oggi giorno le Casate dei nobili stiano, le più, entro la<br />

città nobile, è cosa facile a verificarsi.<br />

<strong>La</strong> prima città fu certamente scompartita a Vici i<br />

quali nelle città romane di categoria inferiore erano<br />

sei; in maggiori di quattordici come in Roma; e non<br />

sarebbe difficile il riconoscerli, però a me mancano<br />

materiali dei quali dirò più abbasso.<br />

Questi Vici si dissero nel medio tempo Contrada,<br />

Porta e Riones, per cui i capo-rioni che prendevano<br />

posto in cura: certo non erano distinti per numeri,<br />

10<br />

ma pigliavano nome da qualche edifizio pubblico<br />

distinto.<br />

Il secondo recinto, la città plebea, ebbe anch’essa i<br />

sei Vici, e forse fino dai tempi romani. E questi sei<br />

Vici non credo si fossero amalgamati mai con sei<br />

Vici della città interna.<br />

Alcune città minori ebbero quattro Vici, io propendo<br />

a sei, vedendo in <strong>Capodistria</strong> raddoppiato questo<br />

numero. Milano ne ebbe sei.<br />

<strong>La</strong> città nobile insieme alla plebea ebbero dodici<br />

Vici o come in <strong>Capodistria</strong> si dissero dodici porte; ed<br />

erano = S. Martino = Duomo = Zubenaga = Isolana<br />

= Bussedraga = S. Pietro = S. Tomaso = Petrorio (poi<br />

detta Ognissanti) = Pusterla = Nuova = Bracciolo =<br />

Maggiore.<br />

Ciò era prima della costruzione della terza cinta.<br />

Cosa avvenisse dopo l’inclusione delle borgate,<br />

se fossero fuse con la città, lo ignoro. Le forme<br />

reggimentali darebbero norma, ma queste mancano<br />

del tutto; potrebbesi trarre lume dagli Atti notarili<br />

e specialmente dagli Atti Vicedominati, essendo<br />

debito dei Notari di indicare la precisa posizione<br />

delli oggetti menzionati negli atti, come anche<br />

l’ubicazione precisa del luogo di celebrazione del<br />

contratto; ma non ho fatto spoglio di tali atti, ed<br />

ignoro se in <strong>Capodistria</strong> vi sieno materiali dai quali<br />

poter trarre indicazioni per la destribuzione di tutta la<br />

città. In mani private ve ne dovrebbero essere.<br />

Uno dei modi di venire, non dico a certezza, ma ad<br />

approssimazione delle antiche ripartizioni, sarebbe<br />

quello di segnare su pianta di <strong>Capodistria</strong> il territorio<br />

di ogni contrada delle odierne che mi si dicono<br />

undici; a quali risultati porterebbe ciò, potrei dirlo<br />

quando avessi sottocchio la ripartizione colorata.<br />

Forse le borgate compariranno siccome aggiunte, e<br />

forse le dodici contrade primitive – sei della nobile,<br />

sei della plebea – compariranno se non integre, facili<br />

ad integrarsi.<br />

Non mi pare conveniente di cangiare faccia alla<br />

<strong>Capodistria</strong> d’oggidì, la quale sortita come è, dalle<br />

distribuzioni romane e dal Medio Evo, non può<br />

ricusare le origini, ne’ può nella materialità di<br />

costruzione foggiarsi alla moda delle città di moderna<br />

creazione. <strong>La</strong> città materiale come è, è una parte della<br />

sua storia, e nobilissima; non conviene dimenticarla<br />

o cancellarla, senza assoluta inevitabile necessità.<br />

Ora vengo ai nomi delle Porte o delle Contrade. I<br />

nomi dati dagli antichi hanno tutti la ragione, siccome


tutti sono in lingua; il tempo ha svisato quella, ha<br />

contorto questa; è convenienza ricordarli alle origini<br />

antiche ed a lingua perfetta; ciò che pubblicamente si<br />

scrive deve scriversi rettamente.<br />

- Duomo non è sempre la chiesa maggiore, spesso il<br />

Palazzo, e ce ne mostra l’esempio di Pirano (per non<br />

uscire da Provincia) la ricognizione di Porta Domo,<br />

farà vedere perché si disse Duomo.<br />

- Zubenaga non è retta lezione, assolutamente no,<br />

che la Z fu frequente de Veneti non dei latini,<br />

quella voce Zubenaga nasconde altra, che antiche<br />

carte manifesteranno, o condurranno a scoprire.<br />

Pola ha (Sfuagnaga ?).<br />

- Busedraga non è retta lezione.<br />

- Petrorio è lezione falsata, Pretorio è retta.<br />

- Bracciuolo non è lezione retta, di questa sarebbe<br />

convenienza indagare le origini, per ridurla a retta.<br />

- Maggiore è tolto dal nome della Via.<br />

<strong>La</strong> ripartizione delle città romane a vie, seguiva il<br />

tipo di ripartizione degli agri; due erano le grandi<br />

vie, ambedue partenti dal Foro, in direzione fra loro<br />

da formar croce, e queste prendevano da condizioni<br />

loro proprie, o per forma, o per la comunicazione<br />

che aprivano con altre parti precipue di città, o col di<br />

fuori. E queste erano strade pubbliche in amplissimo<br />

senso, di misura determinata; altre minori segnavano<br />

i sei Vici risultanti; e pur queste a misura; dei quali<br />

Vici, ognuno consideratasi come fosse isola. Queste<br />

categorie di strade stavano a carico dell’intero<br />

comune.<br />

Le isole surripartivansi mediante strade minori, a<br />

metà di larghezza delle altre e stavano a carico della<br />

Contrada o della Porta, e prendevano nome da qualche<br />

memorabilità locale. Venivano per ultimo li vicoli<br />

più stretti delle vie di secondo ordine, i quali stavano<br />

a carico dei consorzisti che potevano considerarsi<br />

quali vie di consorzio e così anche si dicevano. Nel<br />

medio tempo, questi vicoli prendevano nome dalla<br />

famiglia che vi aveva palazzo o le case, e per queste<br />

sole ammettevasi il nome non di individuo, ma della<br />

gente, volendosi<br />

anche in questo escluso il privato per accostarsi a<br />

qualcosa che ricordasse pubblica instituzione.<br />

<strong>La</strong> città<br />

Le ragioni del tempo, il conformarsi degli uomini alle<br />

cose venute dal di fuori e da lontano, il rinnegare le<br />

origini l’ignorare od il miscredere alla sapienza degli<br />

antenati portò a fare che si predilessero le novità, e<br />

si amò di ricordare nei nomi delle vie le glorie di<br />

altri, tenendo meschine le glorie municipali, credute<br />

da troppo poco; ed alla ragionevolezza delle proprie<br />

consuetudini, l’improntitudine di capricci altrui.<br />

Meglio valerebbe l’adottare i Numeri dell’Abbaco<br />

ed imporli alle vie, che a tanto arriva la pratica di<br />

ogni fanciullo.<br />

E ben poche città possono far perdonare tale incuranza,<br />

e pienamente la sola Venezia, la quale assurta senza<br />

distribuzione di città, se le piazze ed i Mercati si<br />

eccettuino, vede attribuito alle calli ed ai larghi, nomi<br />

tali che in altra città moverebbero alle risa = delle<br />

Bisse, del Carbone, del Vin, delle Scoazze = e per<br />

poco delle cose più luride e disoneste. Ed è meraviglia<br />

come quel Reggimento sì sapiente sì imitatore delle<br />

antiche cose, non s’accorgesse di tanto difetto, ed<br />

abbandonasse il bel diritto di imporre li nomi, alle<br />

sconcezze ed alla ignoranza della plebaglia.<br />

<strong>La</strong> plebe in Istria tutta, ereditò la sapienza antica<br />

in tale argomento, ed ama intitolare le vie o dai<br />

templi, o dalle illustri famiglie; e quest’uso di lingua<br />

volgare può con lode accogliersi nella lingua scritta<br />

e nobile.<br />

Ed il materiale di una città essendo documento di<br />

Storia, bene sta che non solo delle viventi famiglie,<br />

ma delle antiche e perite si conservi memoria ad<br />

incitamento dei viventi e dei posteri ad imitarli,<br />

a grato animo dei viventi pei passati; a migliore<br />

estimazione nel forestiero.<br />

Ipotesi di sviluppo della città nei secoli. Pianta<br />

allegata alla tesi di laurea del prof. Antonio Ceppi,<br />

disegnata dal maestro Mario Martissa (1928).<br />

Tratto dal periodico <strong>La</strong> Sveglia<br />

11


<strong>La</strong> città<br />

Dacchè il parlare e le memorie del popolo si vogliono<br />

manifestate e perpetuate colla scrittura, sembra al<br />

Conservatore che questa non dovrebbe limitarsi ai<br />

nomi delle vie e delle piazze ma applicarsi altresì<br />

agli edifizi sia pubblici sia privati, che sono degni di<br />

tenersi ricordanza ed alle località medesime. Le case<br />

di illustri persone dovrebbero con leggenda indicarsi,<br />

e <strong>Capodistria</strong> ha abbondanza di illustri nomi. Gli<br />

edifizii pubblici dovrebbero indicarsi con memorie<br />

storiche. Di loro costruzione; le piazze ed i larghi<br />

medesimi, collocandone la memoria in sito che sia<br />

conveniente non in marmo o pietra, o metallo, ma in<br />

semplice scrittura.<br />

A mò d’esempio<br />

= Casa dei Carli<br />

Nacque il Conte G. R. …<br />

Il dì …<br />

-o-<br />

Casa dei Santori…<br />

-o-<br />

Sito di antico Cimitero<br />

Al nome di S. …<br />

-o-<br />

Chiesa di S. …<br />

alzata nel…<br />

ampliata nel…<br />

-o-<br />

Palazzo pubblico<br />

alzato nel…<br />

12<br />

Il gruppo musicale Calegaria si è esibito a<br />

Fiume e a Rovigno. Nella foto la calorosa<br />

accoglienza degli amici "ruvignìsi"<br />

Il tempo e l’amore alle patrie cose suggerirà a fare<br />

queste leggende in pietra. Non è sconcio vederle<br />

scritte a colore, più di quello sia sconcio vedere i nomi<br />

delle vie e delle piazze che sono a cura del Comune<br />

e destinati a perpetuità scritti su d’una bianchetta a<br />

colore nero.<br />

Ne’ sarebbe fuor di luogo scrivere in qualche luogo<br />

frequentato – a mò d’esempio sotto la Loggia (se vi<br />

ha facciata libera) o nel Collegio - in apposite tavole<br />

i momenti principali, secondo note croniche, della<br />

Storia di <strong>Capodistria</strong>, fossero anche pochi momenti,<br />

e sulla piazza, p. e. a ridosso di una facciata del<br />

campanile od altrove, alcune indicazioni, a mò<br />

d’esempio = latitudine, longitudine = altezza del<br />

suolo sul mare = distanza fino a certi luoghi (Trieste,<br />

Pirano, Parenzo, Pola, Pisino, Fiume). Siccome entro<br />

il Duomo, la lunghezza, la larghezza.<br />

Questi sono bei libri e proficui pel popolo e pei<br />

giovanetti che formeranno la generazione che si<br />

avanza, e per li forestieri.<br />

Di queste mie indicazioni, all’incirca, meglio ne<br />

verrebbe concretandole. I porticati, gli ambulari del<br />

Collegio offrirebbero pareti al riparo, da indicare di<br />

più e nella lingua latina, mentre sulle strade e sue vie<br />

starebbe scritto in italiano.<br />

<strong>La</strong> seconda metà del secolo passato fu tempo di non<br />

curanza delle patrie cose; la prima metà del presente<br />

le ebbe in disistima e le rovesciò; sopraffatta da<br />

troppo amore per cose nuove; la seconda le restituisca<br />

in onore storico, ed in quella vitalità di cui dopo<br />

tanto sovvolgere sono ancora capaci, affidandole a<br />

memorie più certe che le tradizioni volgari.


Da un documento comunale datato 22 maggio 1870,<br />

conservato presso l’Archivio regionale di <strong>Capodistria</strong><br />

Numerazione civica<br />

della fine del XIX secolo<br />

<strong>La</strong> città<br />

Titolo originale:<br />

Numerazione degli edifizi destinati all’abitazione in conformità al s.i. del Regolamento<br />

per l’esecuzione dell’anagrafe della popolazione del 29 Marzo 1869 contenuto nella<br />

Puntata XII degli Estratti del Bollettino delle leggi dell’Impero.<br />

1. FORESTERIA (propr. del Comune)<br />

2. ARMERIA (propr. del Comune)<br />

3. Edificio sulla pescheria (del Comune)<br />

4. Gorzalini Vincenzo e Michele fu Giorgio.<br />

5. Antonia Verzi contessa (su calle Ebrei)<br />

6. Marsich Andrea, Giov. e Maria fu Dom.<br />

7. -II-<br />

8. -II-<br />

9. Maddalena <strong>La</strong>ura del fu Callisto<br />

10. Totto eredi del conte Giovanni<br />

11. Paccanoni eredi del defunto Biagio<br />

Bracciuolo<br />

Chiostro<br />

dei<br />

Serviti<br />

12. -II-<br />

13. Camuzio Domenico<br />

14. Rovatti Matteo<br />

15. Marsich Caterina fu Giorgio<br />

16. Gorup Elena (residente a Muggia)<br />

17. Borisi Marcantonio conte<br />

18. Bishal Michele<br />

19. Dobrilla Michele<br />

20. Luis Andrea / Matteo Radin fu Pietro<br />

21. Marinaz Domenico<br />

22. -II-<br />

23. Marsich Andrea fu Nicolò<br />

24. Marsich Giuseppe fu Matteo<br />

25. Urbanaz Giovanni fu Michele<br />

26. Decarli Francesco fu Francesco<br />

27. Delise Giovanni e Eugenio di Rosa<br />

28. Marsich Giuseppe fu Matteo<br />

29. Sandrin Giovanni<br />

30. Marsich Giov. Maria<br />

31. -II-<br />

32. Ossich Antonio fu Matteo<br />

33. Marsich Giov. Maria fu Andrea<br />

34. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

35. -II-<br />

36. Marsich eredi fu Donato<br />

37. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

38. Corte Matteo fu Antonio<br />

39. Rasman Matteo fu Pietro<br />

40. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

41. Pacchietto Maria nata Lugnani<br />

42. Minca Giacomo fu Nicolò<br />

43. Cernivani Giuseppe fu Mariano<br />

13


<strong>La</strong> città<br />

44. Pesaro Maria, moglie di Fran. nata Cernivani<br />

45. Cociancich Giovanni fu Pietro<br />

46. Cociancich Biagio fu Pietro<br />

47. -II-<br />

48. Cernivani Vincenzo<br />

49. Ban Giacomo<br />

50. Cernivani Vincenzo<br />

51. Tamplenizza Giovanni<br />

52. Raunich-Deponte Angiola moglie di Michele<br />

53. Fontanot Domenico fu Andrea<br />

54. Vattovaz Giovanni fu Andrea<br />

55. Martissa Giuseppe<br />

56. -II-<br />

57. Marsich eredi Domenico<br />

58. Carbonajo Valentino<br />

59. Biscontini-Facchinetti Maria<br />

60. -II-<br />

61. -II-<br />

62. -II-<br />

63. -II-<br />

64. Fontanot Domenico fu Andrea<br />

65. Gavardo Antonio – (Sotto i Bertetich)<br />

66. Biscontini Maria<br />

67. Babuder Giacomo (per l’economia rurale)<br />

68. Bracciadoro Margherita<br />

69. Apollonio Antonio fu Pietro<br />

70. Ceregon Giovanni fu Matteo<br />

71. Lonzar Giovanni fu Giovanni<br />

72. Ceregon Giovanni fu Matteo<br />

73. Marussich Pietro (in Bossamarin)<br />

74. Filuputti Gio. Batta.<br />

75. Vattovaz Francesco fu Antonio<br />

76. Vattovaz eredi fu Antonio<br />

77. Lonzar Matteo<br />

78. Lonzar Giovanni fu Pietro<br />

79. Corte Giuseppe fu Vittore<br />

80. Riccobon Giuseppe e Antonio fu Giuseppe<br />

81. Corte Lugrezia nata Almerigotti<br />

82. Camenarovich Matteo fu Vito<br />

83. Steffè Nazario (casa Teatro Vecchio)<br />

84. Marin eredi fu Francesco<br />

85. Padovan Francesco fu Simone<br />

86. Demori eredi Nazario<br />

87. -II-<br />

88. Rovatti Matteo<br />

89. -II-<br />

90. Destradi Antonio fu Biagio<br />

91. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

92. Grio Giovanna nata Derin<br />

93. Derin Giuseppe fu Santo detto Fighelli<br />

94. Camenarovich Matteo<br />

14<br />

95. -II-<br />

96. Lonzar Bartolomeo fu Biagio<br />

97. Marsich Giorgio fu Matteo<br />

98. Biscontini Maria<br />

99. Totto Andrea fu Nicolò<br />

100. Luis Nazario fu Pietro<br />

101. Dezorzi Biagio fu Carlo<br />

102. OSPITALE CIVICO<br />

103. Biscontini<br />

104. -II-<br />

105. Almerigotti Giuseppe fu Fran. (Sul piaggio)<br />

106. Manzoni dott. Giov. Andrea<br />

107. Mongiat Leonardo, curato<br />

108. Baseggio Nicolò eredi<br />

109. Cernivani Nazario fu Pietro<br />

110. Manzoni dott. Giò. Andrea<br />

111. -II-<br />

112. Cernivani Antonio fu Pietro<br />

113. Manzoni dott. Giò. Andrea<br />

114. Verginella Lucia fu Nicolò<br />

115. Steffè Antonio fu Luigi<br />

116. Vattovaz Francesco fu Antonio<br />

117. Gavinel Antonio fu Nazario<br />

118. Cernivani Nicolò fu Nazario<br />

119. Jeklin Catterina<br />

120. Marsich eredi del fu Nazario<br />

121. Lugnani Antonio<br />

122. Lugnani Benedetto e figli defunto Nazario<br />

123. Sandrin Giovanni<br />

124. Luis Pietro fu Biagio<br />

125. Luis Michele fu Giacomo<br />

126. Luis Giacomo eredi<br />

127. Dandri Giuseppe<br />

128. Grio Giovanni fu Domenico<br />

129. Marsich eredi fu Nazario<br />

130. Grio Francesco fu Domenico<br />

131. Susmel Giuseppe<br />

132. Micon Antonio<br />

133. Favento eredi del fu Francesco<br />

134. Rasman Nazario di Natale e la moglie Antonia<br />

nata Coceverin<br />

135. Marsich Andrea fu Domenico<br />

136. Marsich eredi fu Domenico<br />

137. -II-<br />

138. Vicich Francesco<br />

139. Parovel Andrea<br />

140. -II-


141. Utel Maria<br />

142. Niclich Angelo, Gaetano e Maria fu Antonio<br />

143. Venuti Leonardo e la sorella sposata Tessari<br />

144. Totto Giovanni e Gregorio<br />

145. Venuti Leonardo<br />

146. Giovannini – Combi Teresa<br />

147. Totto Bartolomeo, conte<br />

148. Fon Emma<br />

149. Zetto Domenico<br />

150. Totto Giovanni, eredi<br />

151. -II-<br />

152. Clon Giuseppe<br />

153. Majer Antonio<br />

154. Totto Giovanni e Gregorio<br />

155. Piscitello Salvatore<br />

156. -II-<br />

157. Totto Giovanni e Gregorio<br />

158. Grio Antonio<br />

159. Sandali Antonio<br />

160. -II-<br />

161. Sandrin Giovanni<br />

162. Marsich eredi fu Nazario<br />

163. Dezorzi Nazario fu Pietro<br />

164. Biscontini Fachinetti Maria<br />

165. Marsich Giov. Maria<br />

166. Mattiassich Giovanni fu Antonio<br />

167. Dezorzi Nicolò<br />

168. Decarli Francesco<br />

169. Derin Giovanni fu Vittore<br />

170. Gavinel Domenico fu Nicolò<br />

171. Bacci Policarpo<br />

172. Dezorzi Francesco<br />

173. Coceverin Domenico ed Apollonio Andrea<br />

174. Dellavenezia Nicolò<br />

175. Lonzar Nazario<br />

176. Apollonio <strong>La</strong>ura<br />

177. Delconte Domenico<br />

178. Marin Francesco eredi<br />

Il molo della Porporella<br />

San Martino o del Porto<br />

<strong>La</strong> città<br />

179. Marinaz Domenico<br />

180. Genzo Giovanni<br />

181. Lonzar Valentino<br />

182. Cesare Domenico<br />

183. Zucca Antonia moglie di Filippo, nata Giursi<br />

184. Zucca Anna moglie di Francesco, nata Giursi<br />

185. Divo eredi fu Matteo<br />

186. -II-<br />

187. Grio Antonio fu Giorgio<br />

188. Voltolina Pietro fu Francesco<br />

189. Divo Nazario fu Andrea<br />

190. Divo Domenico e Dagostini Lucia nata<br />

Vascotto<br />

191. -II-<br />

192. Divo Nicolò e Divo Maria sposata Fontanot<br />

193. Divo don Giacomo<br />

194. Lonzar Francesco fu Nazario<br />

195. Totto Giovanni e Gregorio<br />

196. Padovan Francesco<br />

197. Parovel Nazario<br />

198. Vatta Domenico fu Lorenzo<br />

199. Biscontini Facchinetti Maria<br />

200. Dellamartina Tomaso<br />

201. Bassich Giuseppe e figli<br />

202. -II-<br />

203. Romano vedova Vittoria<br />

204. Almerigotti fratelli fu Innocente<br />

205. Marsich Antonio e Musella Angiola<br />

206. Brever Maria<br />

207. Dellavalle Giuseppe fu Giovanni<br />

208. Babich Giovanni (abita a Vanganel)<br />

209. Martin fratelli<br />

210. -II-<br />

211. -II- (Casa nello squero)<br />

212. Apollonio Maria ved. fu Giovanni<br />

213. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

214. Borri Francesco<br />

215. Buschek Giovanni eredi<br />

15


<strong>La</strong> città<br />

216. Guccione Francesco<br />

217. Buschek Giovanni eredi<br />

218. Sandrin Giovanni<br />

219. -II-<br />

220. -II-<br />

221. -II-<br />

222. -II-<br />

223. -II-<br />

224. -II-<br />

225. -II-<br />

226. -II-<br />

227. Pogliato Giovanni<br />

228. Seriani Giovanni fu Pietro<br />

241. I.R. CASA DI PENA<br />

242. Derin Stefano<br />

243. Biscontini Facchinetti Maria<br />

244. Zecchini Angela ed Anna<br />

245. Nordio Domenico<br />

246. Riccobon Pietro<br />

247. Flego Giovanni fu Andrea<br />

248. Totto Giovanni e Gregorio<br />

249. Pieri Giovanni fu Andrea<br />

250. Degiusto Francesco fu Leonardo<br />

251. Seriani Giovanni<br />

252. Perco Matteo ed Anna jugali<br />

253. Marsich eredi fu Nazario<br />

254. IL M.Rev. DE<strong>CAN</strong>ATO<br />

255. Baldini Caterina<br />

256. de Manzoni dott. Giò. Andrea<br />

257. Tacco Giuseppe eredi<br />

258. -II-<br />

259. Lughi Pace<br />

260. Carbonajo Giovanni eredi<br />

261. -II-<br />

262. -II-<br />

263. -II-<br />

264. -II- (In Pescheria l’ingresso)<br />

265. Vittori sorelle eredi<br />

266. Condarich Giorgio eredi<br />

267. Brumati Luigi<br />

268. (Bacconi?) Nicolò<br />

269. Carbonajo Giovanni eredi<br />

270. Borisi conte Giuseppe<br />

271. Kaupman Antonio e Lucia jugali<br />

272. Decarli Andrea fu Nicolò<br />

273. Mongiat Leonardo<br />

274. Mamolo eredi Giovanni<br />

275. Totto Giovanni e Gregorio<br />

16<br />

Musella o Zubenaga<br />

229. Pogliato Giovanni<br />

230. Falutka ved. Teresa<br />

231. Lonzar fratelli<br />

232. Zobaz Vittorio<br />

233. Pellegrini Agnese<br />

234. Albanese Antonia nata Gavinel<br />

235. Voltolina Maria nata Gavinel<br />

236. Totto Giovanni e Gregorio<br />

237. De Baseggio Giorgio<br />

238. CASERMA S.GREGORIO (disabitata)<br />

239. Busan Angelo<br />

240. OSPITALE S.ANTONIO<br />

276. Driolin Giò. Batta<br />

277. Longo Pietro fu Matteo<br />

278. Turchetti eredi<br />

279. Longo Pietro - Mons. Stradi Elio Nazario<br />

280. Cernivani Giovanni<br />

281. ISTITUTO GRISONI<br />

282. Candotti eredi<br />

283. Madonizza Nicolò<br />

284. Giovannini Alberto eredi<br />

285. Biscontini eredi<br />

286. IL COMUNE DI CAPODISTRIA<br />

287. IL TEATRO SOCIALE<br />

Palazzo Belgramoni-Tacco<br />

288. CASA DEL TEATRO SOCIALE<br />

289. Derin Rizzardo<br />

290. Totto Giovanni e Gregorio<br />

291. Gavardo de Giovanni<br />

292. Gavardo de Antonio<br />

293. Rota conte Girolamo<br />

294. Bishop John<br />

295. Piscitello e Poli (Casa dello squero)


296. Madonizza Nicolò<br />

297. -II-<br />

298. -II-<br />

299. -II-<br />

300. -II-<br />

301. Bratti Andrea<br />

302. CAFFE DELLA LOGGIA (Comune)<br />

303. Bratti Andrea<br />

304. MONTE POLA GRISONI<br />

305. ISTITUTO GRISONI<br />

306. Zetto Domenico<br />

307. Delbello dott. Pietro<br />

308. Palina fratelli<br />

309. SAGRESTIA abitata dal nunzio<br />

310. Totto eredi fu conte Giovanni<br />

311. ASILO DI CARITA’<br />

312. Corazza Benedetto<br />

313. de Manzini Giovanni (cantina)<br />

314. -II- (casa vecchia)<br />

315. Gorzalini Michele<br />

316. Dezorzi Bortolo eredi<br />

317. Dezorzi – Ospitale<br />

318. de Manzini Giovanni<br />

Le mura di Porta Isolana<br />

S. Sofia o Isolana<br />

319. -II-<br />

320. Flumiani – Corazza eredi<br />

321. -II-<br />

322. Zetto Gio. Maria<br />

323. Budica Giovanni<br />

324. Raccanelli Gio. Batta e Krebs Martino<br />

325. Busecchian Martino<br />

326. Raccanelli Gio. Batta e Krebs Martino<br />

327. de Baseggio Nicolò eredi<br />

328. -II-<br />

329. -II-<br />

330. Gallo dott. Augusto<br />

331. Brutti conte Francesco (disabitata)<br />

332. Leporini – Graziadio Antonia<br />

333. Venier Barbara nata Rasman<br />

334. Grisoni Marianna eredi (Casa nuova)<br />

335. Gambini Nicolò (Vedi 375)<br />

336. Grisoni Marianna olim Petronio<br />

337. -II-<br />

338. Gambini Nicolò<br />

339. Mattiassich Maria e Cattarina, sorelle<br />

340. Steffè Antonio<br />

341. Riccobon Giacomo figlio<br />

342. Fafach Giuseppe<br />

343. Riosa Matteo eredi<br />

344. Pacchietto Pietro<br />

345. Stradi Nicolò di Domenico<br />

346. Stradi Antonio fu Nazario<br />

347. Depangher Giovanni<br />

348. Grisoni Marianna eredi<br />

349. -II-<br />

350. -II-<br />

351. Vascon Alvise<br />

352. Gambini Nicolò<br />

353. Crevato Maria (abita a Piemonte)<br />

354. Stradi vedova Veronica<br />

355. Gambini Nicolò<br />

356. -II-<br />

357. Zetto Alessandro<br />

358. Rasman Giuseppe<br />

359. Decarli Nicolò eredi<br />

360. Manto Costantino eredi<br />

361. Sandrin Giovanni<br />

362. -II-<br />

363. Pesaro Giovanni<br />

364. Gambini Nicolò<br />

365. Padovan Nazario fu Antonio<br />

366. Steffè Giacomo fu Matteo<br />

<strong>La</strong> città<br />

17


<strong>La</strong> città<br />

367. Decarli Nicolò eredi<br />

368. SEMINARIO<br />

369. Zetto Pietro<br />

370. Cernivani Cattarina vedova Candido<br />

371. Divo Nicolò fu Nicolò e Caterina nata Grio<br />

376. Vascon Giacomo fu Giovanni<br />

377. Vascon Gio. Batta<br />

378. Vascon Pietro fu Luigi<br />

379. Zetto Nazario, Domenico fu Antonio<br />

380. Bencich Gio. Maria<br />

381. Flego Andrea<br />

382. –II-<br />

383. –II-<br />

384. Ghersinich Antonio<br />

385. Marsich eredi Domenico<br />

386. –II-<br />

387. Madonizza Nicolò<br />

388. Bartolomei Maria nata Madonizza<br />

389. Pribaz Matteo<br />

390. Vascon Pietro fu Alvise / Capetta<br />

391. Demori eredi Nazario<br />

392. Madonizza Nicolò<br />

393. Scherian Giovanni fu Giovanni<br />

394. Madonizza Nicolò<br />

395. Giraldi Maria<br />

396. Marsich eredi Domenico<br />

397. Marsich Gio. Maria<br />

398. Madonizza Nicolò<br />

399. Zetto Elena nata Madonizza<br />

400. -II-<br />

401. Madonizza Nicolò<br />

402. -II-<br />

403. -II-<br />

404. GRISONI ISTITUTO<br />

405. Sandrin Antonio / Marsich (Mucio)<br />

406. Madonizza Nicolò<br />

407. -II-<br />

408. -II-<br />

409. Deponte Domenico<br />

410. Deponte Francesco<br />

411. Zetto Andrea<br />

412. Burlin Francesco<br />

413. Pelaschiar Francesco fu Francesco<br />

414. Alessandri eredi<br />

415. Stradi Pietro e Stradi Giovanni<br />

416. Cral Antonio fu Andrea<br />

417. Stuzin Giovanni / Varisco Maria (Ventin?)<br />

418. Scharb Giacomo eredi<br />

18<br />

372. Perini Michele<br />

373. Sandrin Giovanni<br />

374. -II-<br />

375. Gambini Nicolò (vedi 335)<br />

S. Lorenzo – Bossedraga<br />

419. Totto Bortolo fu Michele<br />

420. Belli dott. Cristoforo<br />

421. ISTITUTO GRISONI<br />

422. Madonizza Nicolò<br />

423. Sestan Giacomo fu Giovanni<br />

424. Dandri-Salvi Catterina<br />

425. -II-<br />

426. Poli Luigi<br />

427. -II-<br />

428. Deponte Domenico<br />

429. Biscontini Facchinetti Maria<br />

430. Budica Antonio<br />

431. Deponte Vincenzo<br />

432. Deponte Domenico<br />

433. Deponte Vincenzo<br />

434. -II-<br />

435. Deponte Nicolò<br />

436. Dandri-Salvi vedova Antonia<br />

437. Sandrin Giovanni<br />

438. -II-<br />

439. Condurich Giorgio eredi<br />

440. Dandri Giuseppe eredi<br />

441. Dandri-Salvi vedova Antonia<br />

442. Stradi Giacomo fu Nazario<br />

443. Perkolt-Baseggio Elisabetta<br />

444. Depangher Carlo fu Michele<br />

445. Depangher Antonio fu Michele<br />

446. Madonizza Nicolò<br />

447. Berni Innocente fu Gio. Maria<br />

448. Fontanot Giorgio<br />

449. Perkolt-Baseggio Elisabetta<br />

450. Foscarini Francesco<br />

Bossedraga, il rione dei pescatori


451. Rozzo sorelle<br />

452. Foscarini Francesco<br />

453. Pacchietto Nicolò<br />

454. Vascon Antonio fu Alvise<br />

455. Budica Giovanni<br />

456. Vattovaz Vittoria vedova Cocever nata<br />

Benedetti<br />

457. Gallo Francesca nata Bernè<br />

458. Minca Francesco<br />

459. Steffè Antonio e Maria nata Vattovaz jugali<br />

460. Majer Maria nata Apollonio<br />

461. Orlini Pietro<br />

462. Vascon Gio. Batta fu Antonio<br />

463. Stradi Giacomo<br />

464. Pelaschiar Giorgio fu Giorgio<br />

465. Brati Andrea<br />

466. Stradi Nicolò<br />

467. Sandrin Giovanni<br />

468. Vascon Pietro fu Alvise detto Niss<br />

469. Delconte Antonio (Andrea Gallo)<br />

470. Sardotsch cav. Paolo (Nicolò Gallo)<br />

471. -II-<br />

472. Depangher vedova Chiara<br />

473. Blasich fratelli fu Antonio<br />

474. -II-<br />

475. Zucca Antonio<br />

476. Grisoni Marianna eredi<br />

477. Favento Marco fu Giuseppe<br />

478. Tunter Stefano (da Visinada)<br />

479. Depangher Paolo fu Giovanni<br />

480. Depangher Michele fu Giovanni<br />

481. Stradi Nazario fu Francesco<br />

482. Vascon Gio. Batta fu Luigi<br />

483. Condurich Giorgio eredi<br />

484. Gravisi Gio. Andrea<br />

485. Depangher Paolo<br />

486. Norbedo Giulio<br />

487. Gerin Giovanni fu Antonio<br />

524. Perini Pietro fu Andrea<br />

525. Pontotti Paolina (Casa dominicale)<br />

526. Genzo Pietro fu Andrea<br />

527. Stradi Rocco fu Giacomo<br />

528. Gonich Nazario fu Alessandro<br />

529. Gonich Nazario fu Sebastiano<br />

530. Gonich Bortolo fu Sebastiano<br />

531. Perkolt-Baseggio Elisabetta<br />

532. Genzo Veronica<br />

533. Vascon Luigi eredi<br />

San Pietro<br />

<strong>La</strong> città<br />

488. Madonizza Nicolò<br />

489. Bernè Domenico fu Gio. Maria<br />

490. Marsich eredi fu Nazario<br />

491. Tacco Giuseppe eredi<br />

492. Condurich Giorgio eredi<br />

493. Sandrin Giovanni<br />

494. Marsich Nicolosa vedova Nazario<br />

495. Brati Andrea<br />

496. Depangher figli di Andrea<br />

497. Flego Andrea fu Biagio<br />

498. -II-<br />

499. Riccobon Giuseppe fu Giuseppe<br />

500. -II-<br />

501. Decarli Nicolò fu Domenico<br />

502. Sardotsch cav. Paolo<br />

503. Decarli Nicolò fu Domenico<br />

504. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

505. Perini Andrea fu Lorenzo<br />

506. Depangher Nazario, Antonio fu Giovanni<br />

507. Dandri Pietro fu Lorenzo (ex magazzino)<br />

508. Agostincich Marco – Stefano<br />

509. CONVENTO DI S. ANNA<br />

510. Dandri Pietro fu Lorenzo<br />

511. Genzo Nazario<br />

512. Pribaz Matteo<br />

513. Pacchietto Giuseppe, Nazario fu Giovanni<br />

514. Stradi Francesco fu Nicolò<br />

515. Gerin Giovanni fu Antonio<br />

516. Fontanot Pietro fu Andrea<br />

517. Verzier Andrea<br />

518. Danzevich Antonio<br />

519. Tacco Giuseppe eredi<br />

520. Pribaz Matteo fu Michele<br />

521. Stuzin Giovanni<br />

522. Clemencich Lucia nata Fontanot<br />

523. Majer Paolo fu Francesco<br />

534. Vascon Antonio detto Cappetta<br />

535. Mattiassich Maria e Catterina<br />

536. Stradi Maria e Domenico<br />

537. Gallo Pietro fu Nazario<br />

538. Gallo Andrea fu Nazario<br />

539. Demori Domenico fu Francesco<br />

540. Vascon Antonio fu Alvise<br />

541. Gallo Giacomo fu Antonio<br />

542. Gallo Pietro fu Antonio<br />

543. Leoni Giorgio<br />

19


<strong>La</strong> città<br />

544. Scher Vincenzo<br />

545. Scher Tomaso eredi<br />

546. Demori Domenico<br />

547. Zanetti Francesco fu Carlo<br />

548. -II-<br />

549. Sandrin Giovanni<br />

550. Benedetti Gio. Batta fu Serafino<br />

551. Roitz Giuseppe e Bolzatti Catterina<br />

552. Padovan Agostino di Giovanni<br />

553. Pontotti Paolina<br />

554. -II-<br />

555. ISTITUTO GRISONI<br />

556. Marsich eredi fu Nazario<br />

557. Vidali Giovanna nata Vascon<br />

558. Rozzo Pietro fu Giovanni<br />

559. Vattovaz Antonio fu Nazario<br />

560. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

561. -II-<br />

562. Vascon Maria nata Pacchietto<br />

563. -II-<br />

564. Piscitello Salvatore<br />

565. Manto Costantino<br />

566. Delpiero Sebastiano (detto Picchiotti?)<br />

567. Stradi Giacoma vedova Francesco<br />

568. Marinaz Enrichetta<br />

569. Sluga Stefano e Maria<br />

570. Genzo Pietro fu Antonio<br />

571. Franza Giacomo fu Tommaso<br />

572. Bernè Pietro fu Pietro<br />

573. Belfronte Lorenzo<br />

574. CONVENTO DEI CAPPUCCINI<br />

575. Benedetti Bortolo e Francesco<br />

576. Scher eredi e Torresini Maddalena<br />

577. Pelaschiar Pietro<br />

578. Minuti Antonio e Catterina jugali<br />

579. Zalocosta Costantino<br />

580. Scharb Angiola eredi<br />

581. Zamarin Giuseppe fu Pietro<br />

582. Cociancich Giuseppe<br />

583. Padovan Giovanni<br />

611. Marinaz Domenico<br />

612. Riccobon Nazario, Francesco, Antonio fu<br />

Nicolò<br />

613. Rozzo Maddalena e Riccobon Maria nata<br />

Rozzo<br />

614. Derin B. Anna, Bartolomei Nicolò<br />

615. Sanzin Antonio<br />

616. Grisoni Marianna eredi<br />

20<br />

S. Tommaso<br />

Sampieri. Disegno di Sergio Vergerio<br />

584. Almerigotti Loredana (ora don Luigi Vascon)<br />

585. Baldini Cattarina eredi<br />

586. Utel Agostino<br />

587. Demori eredi Nazario<br />

588. Corrente Vincenzo fu Biagio<br />

589. Tremul Andrea fu Matteo<br />

590. Deponte Domenica<br />

591. Pacchietto Nazario<br />

592. Pacchietto Giuseppe fu Giuseppe<br />

593. Babuder Giovanni fu Andrea<br />

594. Giursi Giovanni fu Domenico<br />

595. Stradi Pietro fu Vincenzo<br />

596. Tremul Nazario fu Stefano<br />

597. Munich Cecilia vedova<br />

598. -II-<br />

599. Baldassi Francesca vedova<br />

600. Delbello dott. Pietro<br />

601. Schipizza Agostino fu Michele<br />

602. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

603. Marin Sebastiano fu Nicolò<br />

604. Sandrin Nazario<br />

605. Tremul vedova fu Pietro<br />

606. Zucca Antonio fu Filippo<br />

607. Tacco conte Giuseppe eredi<br />

608. Derin Bartolomei Anna<br />

609. Almerigogna Domenico<br />

610. Derin Bartolomei Anna<br />

617. Zucca Francesco fu Filippo<br />

618. Minca Giovanni fu Giovanni<br />

619. Minca Antonio fu Giovanni<br />

620. Pozzacai Maria vedova Minca<br />

621. Corte Antonio e Lucia<br />

622. Sandrin Giovanni<br />

623. -II-<br />

624. Bartoli Giovanni


<strong>La</strong> chiesetta affrescata di S. Tommaso<br />

625. Tremul Vincenzo e Giuseppe fu Vincenzo<br />

626. Lonzar Francesco fu Giovanni<br />

627. Maddalena Elena nata Bencich<br />

628. Genzo Giovanni fu Pietro<br />

629. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

630. -II-<br />

631. -II-<br />

632. Jurco – Tamplenizza Lucia<br />

633. Cociancich Giuseppe<br />

634. Zudich Biagio<br />

635. Cuvarà – Cochinò Elena<br />

636. Rigo Paolo di Antonio<br />

637. -II-<br />

638. Zago Rocco fu Matteo<br />

639. Lonzar Gio. Batta fu Giovanni<br />

640. Cuvarà – Cochinò Elena<br />

641. -II-<br />

642. Zago Giacomo fu Rocco<br />

643. -II-<br />

644. -II-<br />

645. Lonzar Giovanni e Gio. Batta fu Antonio<br />

646. Burlin Nazario fu Giacomo<br />

647. Tommasich Andrea<br />

648. Riosa Bernardo<br />

<strong>La</strong> città<br />

649. Gasparutti Catterina<br />

650. Toss Giovanni<br />

651. Flego Biagio eredi<br />

652. Schipizza Giovanni e Pietro<br />

653. Carbonajo Giuseppe<br />

654. Carbonajo Tommaso fu Giovanni<br />

655. -II-<br />

656. Decarli Domenico, Giovanni e Antonio fu<br />

Nicolò<br />

657. Clemencich – Fontanot Lucia<br />

658. Carbonajo – Clemencich Lucia<br />

659. Sandrin Giovanni<br />

660. Marinaz Domenico<br />

661. Giursi Giovanni fu Giovanni<br />

662. Giursi Domenico fu Giovanni<br />

663. Cocever Ambrogio eredi<br />

664. Parovel Giovanni<br />

665. de Favento Pietro eredi<br />

666. -II-<br />

667. Zanella Eugenio<br />

668. Favento Orsolina<br />

669. Godigna cav. Giacomo<br />

670. Apollonio Andrea<br />

671. I.R. ERARIO = Caserma di S. Chiara<br />

672. I.R. ERARIO = ad uso scuole popolari<br />

673. Cociancich Matteo<br />

674. -II-<br />

675. Parovel Pellegrino<br />

676. Godigna cav. Giacomo<br />

677. Bartolomei Nicolò e Derin Anna<br />

678. Bernè Pietro (ora Pittoni Gio. Batta)<br />

679. Sardotsch – Pizzarello Maria (ora Catenaro)<br />

680. Babuder Giorgio<br />

681. Danielut Maria<br />

682. Rotta Girolamo (ora Giugovaz Giovanni da<br />

Sterna)<br />

683. Baseggio Nicolò (disabitata)<br />

684. Sandrin Giovanni<br />

685. Cernich Simone eredi<br />

686. Norbedo Giulio<br />

687. Decarli Francesco<br />

688. Burlin Giuseppe di Giacomo<br />

689. de Baseggio Nicolò<br />

690. Bradas Luigi<br />

691. Bonek Catterina<br />

692. Zago Rocco fu Giovanni<br />

693. Zago Rocco fu Giovanni<br />

694. Dundovich<br />

695. Corrente Antonio<br />

696. Lonzar Nazario fu Francesco<br />

21


<strong>La</strong> città<br />

697. Norbedo Francesco<br />

698. Favento Giovanni fu Matteo<br />

699. Favento Francesco fu Matteo<br />

700. Favento Biagio fu Andrea<br />

701. -II-<br />

702. Minuti Anna<br />

703. Musella Antonio<br />

704. Favento Biagio fu Andrea<br />

705. Gavinel Nazario fu Bortolo<br />

706. Favento Biagio fu Andrea<br />

707. -II-<br />

708. Gavinel Nazario<br />

709. Zago Antonio fu Matteo<br />

710. Lonzar Antonio fu Benedetto<br />

711. ASILO D’INFANZIA – Casa Cargnel<br />

712. Lonzar Giovanni fu Giovanni<br />

713. Lonzar Giovanni fu Benedetto<br />

714. Parovel Giovanni fu Agostino e Zucca Elena<br />

(Nene Polenta) moglie di Biagio<br />

715. Riosa Antonio fu Matteo<br />

716. Favento Gio. Maria<br />

717. Coradin Alessandro di Nazario<br />

718. Cerego Antonio di Giovanni<br />

719. Sardotsch cav. Paolo<br />

720. Deponte Francesco<br />

721. Delconte Giovanni fu Giovanni<br />

722. Rasman Pietro fu Nazario<br />

723. -II-<br />

724. Sandrin Francesco fu Antonio e Lonzar<br />

Nazario fu Biagio<br />

725. Festi Giovanni<br />

726. Bartoli Giovanni<br />

727. Festi Giovanni<br />

728. Marni Maddalena<br />

729. Minca Simone fu Giovanni<br />

730. Bartoli Antonio / Capit. di stazione<br />

731. Brezigher Filippo<br />

732. Zucca Lucia vedova Francesco<br />

733. Albertini Catterina<br />

734. Parovel Agostino fu Nicolò<br />

735. Zucca Antonio fu Simone<br />

736. Zucca Antonio e Giovanni fu Antonio<br />

737. Steffè Giovanni fu Francesco<br />

738. Carbonajo Giuseppe fu Matteo<br />

739. Derin Stefano fu Nazario<br />

740. Zucca Nazario di Antonio<br />

741. ISTITUTO GRISONI<br />

742. Sandrin Giovanni<br />

22<br />

Ognissanti<br />

743. Fafach Michele e Crainz Stefano<br />

744. ISTITUTO GRISONI<br />

745. Norbedo Francesco fu Andrea<br />

746. Vegliach Andrea fu Matteo<br />

747. Dellavalle Antonio fu Giovanni<br />

748. Vattovaz Antonio fu Andrea<br />

749. Godigna Giacomo<br />

750. Bartolomei Francesco<br />

751. Stradi Nicolò fu Francesco<br />

752. Pozzacai Giacomo<br />

753. Grio Santo fu Giorgio<br />

754. Scher Lorenzo fu Tommaso<br />

755. Carbonajo Giovanni fu Gio. Maria<br />

756. Parovel Anna vedova di Vitale<br />

757. Dezorzi Gina ed Orsola jugali<br />

758. Schipizza eredi fu Pellegrino<br />

759. Schipizza Francesco<br />

760. Padovan Francesco fu Francesco<br />

761. Crisman Chiara nata Zucca<br />

762. Cociancich Biagio fu Francesco detto Doberdò<br />

763. Marinaz Enrichetta<br />

764. Gambini Nicolò<br />

765. Alessio Antonio fu Antonio<br />

766. Machnich – Cernivani Anna<br />

767. Bencich Anna vedova e i di lei figli<br />

768. Franza Andrea fu Giacomo<br />

769. Favento Pietro fu Giovanni<br />

770. Parovel Nazario<br />

771. Parovel Maria vedova di Pietro<br />

772. Lonzar Antonio<br />

773. Gasparutti Cornelia<br />

774. Scher Gio. Batta<br />

775. Gasparutti Giuseppe<br />

776. Gasparutti Antonio<br />

777. Decarli Domenico, Giovanni ed Antonio fu<br />

Nicolò<br />

778. de Gravisi Sigismondo


779. Gallo monsignor Michele<br />

780. de Gravisi Antonio<br />

781. de Gravisi Sigismondo<br />

782. -II-<br />

783. -II-<br />

784. de Gravisi Antonio<br />

790. MENSA VESCOVILE<br />

791. Demori Nazario eredi<br />

792. -II-<br />

793. Venuti Leonardo<br />

794. de Gravisi Gio. Andrea<br />

795. Visintini Francesco e Giacomo di Giovanni<br />

796. Tamplenizza Agnese fu Giuseppe e figli<br />

797. Rovatti Matteo<br />

798. Scocciai Michele<br />

799. Cocever Ambrogio e Dalmira<br />

800. Cadamuro Bartolomeo<br />

801. Pattaj Alberto<br />

802. Ferrazzutti Lorenzo<br />

803. Cercego Giovanni fu Antonio<br />

804. Dorbez Antonia vedova di Francesco<br />

805. Parovel Anna vedova di Vitale<br />

806. -II-<br />

807. -II-<br />

Là de Rampin<br />

Pusterla<br />

785. Vogel Andrea<br />

786. de Almerigotti Francesco<br />

787. FONDACO COMUNALE<br />

788. Vicich Francesco<br />

789. Danzevich Antonio<br />

808. Parovel Vincenzo fu Vitale<br />

809. IL GINNASIO (Comune)<br />

810. Pizzarello Domenica vedova<br />

811. Almerigotti Giovanna ved. di Giacomo<br />

812. Demori Domenico<br />

813. Norbedo Giovanni fu Antonio<br />

814. Marsich eredi fu Domenico<br />

815. Deponte Giovanni fu Antonio<br />

816. Venuti Leonardo<br />

817. Parovel Pietro fu Vitale<br />

818. Godigna Nicolò fu Michele<br />

819. Biacovich Andrea<br />

820. Dellamartina Anna<br />

821. Riccobon Antonio fu Nicolò<br />

822. Strudel Catterina nata Barbo<br />

823. Cernivani Giovanni fu Giovanni<br />

824. Pittoni Gio. Batta e Maria<br />

825. Deponte Giuseppe eredi<br />

826. Lonzar Biagio fu Nazario<br />

827. Sestan Antonio di Giovanni<br />

828. Sestan Pietro di Giovanni<br />

829. Scher Giuseppe fu Almerigo<br />

830. Zobaz Biagio eredi<br />

831. Tommasich Andrea<br />

832. /<br />

833. Zago Giacomo<br />

834. -II-<br />

835. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

836. -II- (una camera)<br />

837. Ceppich Pietro fu Pietro<br />

838. Deponte Francesco fu Francesco<br />

839. Zucca Pietro fu Antonio<br />

840. Cadamuro Bartolomeo<br />

841. Tommasich Andrea<br />

842. Oris Giuseppe<br />

843. Urbanaz Andrea<br />

844. Gerl Andrea<br />

845. Pittoni Gio. Batta e Maria<br />

846. Scock Giovanni fu Luca<br />

847. Giovannini Bartolomeo eredi<br />

848. Ceregon Matteo e Deponte Giovanni<br />

849. Scock Catterina<br />

<strong>La</strong> città<br />

23


<strong>La</strong> città<br />

850. Dellavalle Antonia moglie di Giuseppe<br />

851. Barega Giuseppe e Cristoforo (Scorzeria)<br />

852. Corradin Antonio e Giuseppe fu Antonio<br />

853. Almerigogna Antonio<br />

854. Deponte Giovanna fu Giuseppe (ancella di<br />

carità d’anni 17)<br />

859. Barega Giuseppe e Cristoforo<br />

860. -II-<br />

861. Barega fratelli<br />

862. Barega fratelli (Magazzino e granaio)<br />

863. Tamplenizza Antonio fu Giuseppe<br />

864. Zulian Giorgio di Ermagora<br />

865. <strong>La</strong>mpich Giuseppe e Maria jugali<br />

866. Barega Giuseppe e Cristoforo<br />

867. Roitz Giuseppe fu Gaspare<br />

868. Crisman Giacomo fu Giacomo<br />

869. Demori Nazario eredi<br />

870. -II-<br />

871. Damiani Nazario eredi<br />

872. Sardotsch cav. Paolo<br />

873. Madonizza Nicolò<br />

874. Madonizza Nicolò (Magazzino)<br />

875. Cadamuro Bartolomeo<br />

876. Scherianz Stefano<br />

877. Cadamuro Bartolomeo<br />

878. Opara Matteo eredi<br />

879. Bernetich Giacinta e Giusto fu Antonio<br />

880. ISTITUTO GRISONI<br />

881. Schiullaz Antonio<br />

882. Pecchiar Giorgio<br />

883. Sardotsch cav. Paolo (ec. rurale)<br />

884. Padovan Domenico fu Agostino<br />

885. Pecchiar eredi fu Nazario<br />

886. Zulian Giorgio fu Ermagora<br />

887. Niclich Marco<br />

888. Crisman Giacomo e figli<br />

889. Opara Giacomina vedova<br />

890. Bencich Giovanna<br />

891. Bernetich Basilio<br />

892. Pecchiar Giovanni fu Giovanni<br />

893. Norbedo Giulio<br />

894. Grio Bortolo<br />

895. Pecchiar Nazario<br />

896. Zanella Maria moglie d’Eugenio<br />

897. Bontempelli Orsola<br />

898. Urbanaz Matteo<br />

899. Corbato Giovanni<br />

900. Grio Bortolo<br />

24<br />

Ponte piccolo<br />

855. Deponte Nazario fu Nicolò<br />

856. Deponte Matteo fu Nicolò<br />

857. Deponte Giovanni fu Nicolò<br />

858. Barega Giuseppe e Cristoforo (Fabbrica olio)<br />

901. Grio Domenico fu Bortolo<br />

902. Franco Catterina<br />

903. Gallo Pietro fratelli<br />

904. Marsich Gio. Maria fu Andrea<br />

905. Vattovaz Giovanni fu Giovanni (Fulminante)<br />

906. Rasman Giacomo<br />

907. Bruschin Matteo<br />

908. Sussa fratelli<br />

909. -II-<br />

910. Pecchiar Catterina nata Bolcich<br />

911. Norbedo Andrea<br />

912. Bruner Santa nata Parovel<br />

913. Derin-Bartolomei Anna<br />

914. Tamplenizza Michele fu Giovanni<br />

915. Derin Bartolomei Anna<br />

916. Tamplenizza Michele fu Giovanni (Pichena)<br />

917. Derin – Bartolomei Anna<br />

918. Polesini Francesco e Gio. Paolo<br />

919. Maracich don Giovanni e Muslavich Elena<br />

vedova<br />

920. Crevato Antonia vedova<br />

921. -II-<br />

922. Godigna cav. Giacomo<br />

923. Zudich Domenico fu Domenico<br />

924. de Gravisi Giuseppe e sorelle Lepido<br />

925. Miniussi Antonio fu Rocco<br />

926. Fedola Giovanni fu Domenico<br />

927. Godigna cav. Giacomo<br />

928. Dezorzi Matteo fu Carlo


929. Dezorzi Domenico fu Carlo<br />

930. Dezorzi Giuseppe fu Pietro<br />

931. Zugna Giuseppe fu Andrea<br />

932. Leporini Pietro<br />

933. Parovel Giuseppe fu Nazario<br />

934. Marinaz Domenico<br />

935. Oblach Giacomo fu Giovanni<br />

936. Luis Pietro fu Antonio<br />

937. Rasman Pietro<br />

938. Rasman Giuseppe<br />

939. Godigna Michele fu Michele<br />

940. Fontanot Giocanni fu Andrea<br />

941. Rasman Pietro fu Francesco<br />

942. Godigna Michele fu Michele<br />

943. Fontanot Giovanni fu Andrea<br />

958. Derin – Bartolomei Anna<br />

959. -II-<br />

960. Bartolomei Nicolò<br />

961. Ferran Giovanni (da S. Pietro dell’Amata)<br />

962. Calogiorgio Giorgio (uso stalla)<br />

963. Bartolomei Nicolò<br />

964. Ferrari Bartolomei<br />

965. Gregorich Matteo fu Gio. Maria<br />

966. Minca Francesco fu Nazario<br />

Porta maggiore<br />

Palazzo<br />

Almerigogna<br />

soto le scalete<br />

944. Bolcich Antonio fu Valentino<br />

945. de Baseggio Nicolò fu Nicolò<br />

946. de Baseggio Nicolò e la sua sorella<br />

947. Ceppich Matteo fu Antonio<br />

948. Fontanot Biagio fu Andrea<br />

949. Grio Bartolomeo fu Domenico<br />

950. Micalich eredi fu Filippo<br />

951. -II-<br />

952. Giasche Pietro<br />

953. Scherianz Stefano<br />

954. Ferrari Bartolomeo<br />

955. Bratina Andrea<br />

956. Manzoni dott. Gio. Andrea<br />

957. -II-<br />

<strong>La</strong> città<br />

967. Calogiorgio Giorgio (disabitata)<br />

968. Babuder Matteo<br />

969. -II-<br />

970. Babuder Giacomo<br />

971. Deponte Francesco fu Nicolò<br />

972. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

973. Lonzar Nicolò fu Stefano<br />

974. Lonzar Nazario fu Stefano<br />

975. Lonzar Nazario fu Stefano<br />

976. Parovel Antonio fu Gio. Batta (ec. rurale)<br />

977. Godigna cav. Giacomo<br />

978. Rasman Natale<br />

979. Giorgulli Elisabetta vedova<br />

980. Damiani Luigi fu Luigi<br />

981. Rasman Natale<br />

982. de Baseggio Giorgio fu Bortolo (stallaggio e fenile)<br />

983. Parovel Antonio fu Giovanni<br />

984. Budica Giacomo fu Giovanni<br />

985. de Baseggio Nicolò fu Bortolo<br />

986. de Baseggio Pietro fu Pietro<br />

987. Cerebuk Michele fu Matteo<br />

988. Riosa Giovanni fu Simon<br />

989. Riosa Giovanni fu Domenico<br />

990. Parovel Giovanni fu Antonio<br />

991. Bartolomei Nicolò<br />

992. Ceregon Antonio di Giacomo<br />

993. Rigo Paolo di Antonio<br />

994. Casson Antonio fu Matteo<br />

995. Casson Angela vedova nata Cernivani<br />

996. Minca Andrea fu Nazario<br />

997. Marsich Antonio e Nazario fu Nazario<br />

998. Coslan Giuseppe di Giovanni<br />

999. Sandrin Giovanni di Francesco<br />

25


<strong>La</strong> città<br />

1000. Parovel Andrea fu Gio. Batta<br />

1001. Ruzzier Antonio (asciugatoio di pelli)<br />

1002. Cernelich Martino<br />

1003. Giurse Nazario fu Rocco<br />

1004. ISTITUTO GRISONI<br />

1005. Rasman Domenica nata Decarli<br />

1006. Stock Nicolò di Marco<br />

1007. Stock Andrea di Marco<br />

1008. Filippi Andrea fu Gaspare<br />

1009. Cobol Biaggio e Giuseppe (al pianterreno<br />

fabbrica olio)<br />

1010. Ivancich Santo fu Giuseppe<br />

1011. Filippi Giustina rimaritata Riosa e Giuseppe<br />

Filippi<br />

1012. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

1013. Riccobon Nazario fu Giuseppe<br />

1014. Riccobon Domenico fu Pietro<br />

1015. Lonzar Giovanni fu Nazario<br />

1016. Poschi Antonio fu Luca<br />

1017. Corte Domenico fu Antonio<br />

1018. Majer Antonio di Antonio<br />

1019. Depangher Pietro di Pietro<br />

1020. Ivancich Santo fu Giuseppe<br />

1021. Filippi Giustina rimaritata Riosa<br />

1022. -II-<br />

1023. Cobol Biagio e Giuseppe (Scorzaria)<br />

1024. Stradi Giorgio fu Andrea<br />

1025. Romano Pietro fu Francesco<br />

1026. Derin Stefano<br />

1027. Depangher don Giacomo<br />

1028. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

1029. Demartini – Gherl Catterina<br />

1030. Grasso Girolamo<br />

1031. Rigo Paolo di Antonio<br />

1032. -II-<br />

1033. Lonzar Nicolò di Nicolò<br />

1034. Cociancich Biagio fu Pietro<br />

1035. Vattovaz Giovanni fu Andrea<br />

1036. Pechiarich Michele fu Michele<br />

1037. Biscontini Facchinetti Maria<br />

1038. Cociancich Antonio detto (Nicli?)<br />

1039. Pelaschiar Giovanni fu Giovanni<br />

1040. Steffè Nazario fu Nazario<br />

1041. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

1042. -II-<br />

1043. -II-<br />

1044. Marsich Domenico eredi<br />

1045. Corte Giovanni di Giovanni<br />

1046. Tacco conte Giuseppe eredi<br />

1047. Gianelli Bartolomeo fu Pietro<br />

1048. Corte Giovanni di Giovanni<br />

26<br />

1049. Fonda Andrea<br />

1050. Depangher Nazario fu Michele<br />

1051. Derin Stefano<br />

1052. Sandrin Giovanni fu Francesco<br />

1053. Bensich Maria<br />

1054. Schiavon Angelo fu Simone<br />

1055. Romano Romano eredi<br />

1056. Rigo Paolo di Antonio<br />

1057. Almerigogna Antonio<br />

1058. Gianelli Bartolomeo fu Pietro<br />

1059. Camuccio Giovanni di Domenico<br />

1060. Sandrin Giovanni di Francesco<br />

1061. Depangher don Giacomo eredi<br />

1062. Scher Nazario fu Giovanni<br />

1063. Budica eredi della defunta Cristina<br />

1064. Favento Antonio fu Matteo<br />

1065. Dezorzi Francesco fu Antonio<br />

1066. -II-<br />

1067. de Madonizza Giovanni<br />

1068. Gianelli Giuseppe e figli<br />

1069. Ruggieri vedova Rosa<br />

1070. Marsich eredi Nazario<br />

1071. Baseggio Pietro fu Pietro e Cobol Santa<br />

1072. de Baseggio Giorgio fu Bartolomeo<br />

1073. Damiani Luigi fu Luigi<br />

1074. -II-<br />

1075. Opara Matteo eredi<br />

1076. Calogiorgio Giorgio<br />

1077. Sardotsch cav. Paolo<br />

1078. -II-<br />

1079. -II- (disabitata)<br />

1080. -II-<br />

1081. de Baseggio Giorgio<br />

1082. Vidacovich Giuseppe e de Baseggio Pietro<br />

1083. Marsich don Angelo<br />

1084. Tamplenizza Pietro<br />

1085. Bullo Antonio<br />

1086. Godigna cav. Giacomo<br />

1087. Cobol Biagio e Giuseppe<br />

1088. Pizzarello vedova Domenica<br />

<strong>La</strong> Città è il foglio semestrale della CI di<br />

<strong>Capodistria</strong>. Responsabile Alberto Cernaz.<br />

Stampa Pigraf s.r.l. Isola. Tiratura 1300 copie.<br />

Si invia gratuitamente ai soci. Indirizzo:<br />

Via Fronte di liberazione 10, 6000 <strong>Capodistria</strong>.<br />

E-mail: la<strong>citta</strong>@email.si<br />

Foto in copertina: la partenza dell'Euromarathon<br />

<strong>Capodistria</strong>-Muggia (A. Cernaz).<br />

Poster centrale: Pianta stradale d'epoca austriaca.


1089. Cobol Biagio e Giuseppe (ec. rurale)<br />

1090. -II-<br />

-II-<br />

1091. Bratina Andrea (ora Gio. Pribaz detto Volpin)<br />

1092. Niclich Francesco<br />

1093. Babuder Giacomo<br />

1094. Pagnutti Andrea eredi<br />

1095. Sckerl Andrea eredi<br />

1096. Marsich Gio. Maria fu Andrea<br />

1097. -II-<br />

1098. -II-<br />

1099. Marsich don Angelo<br />

1100. Godigna cav. Giacomo<br />

1101. Tacco conte Giuseppe eredi<br />

1102. -II-<br />

1103. -II-<br />

1104. -II-<br />

1105. -II-<br />

1106. -II-<br />

1107. Marinaz Domenico<br />

1108. -II-<br />

1109. Parovel Pietro fu Andrea detto<br />

Le colonne<br />

dell’Atria<br />

Callegheria<br />

<strong>La</strong> città<br />

1110. Franceschi Giuseppe e Nicolò<br />

1111. -II-<br />

1112. Franceschi dott. Luigi e Giorgio<br />

1113. Gerebizza Maria vedova<br />

1114. Manto Costantina<br />

1115. Marin Catterina vedova<br />

1116. Konigsmark Andrea eredi e Manto Catterina<br />

1117. Marsich Nazario e Manto<br />

1118. Bratti Andrea<br />

1119. Brutti Ferdinando<br />

1120. Biscontini Angelo<br />

1121. -II-<br />

1122. Pellegrini Giuseppe<br />

1123. Padovan Pietro<br />

1124. Corte Giovanna vedova nata Leporini<br />

1125. -II-<br />

1126. Godigna cav. Giacomo<br />

1127. Paccanoni Biagio eredi<br />

1128. Totto conte Giovanni eredi<br />

1129. Marin Francesco eredi<br />

1130. Vigini Giovanni, Pietro e Antonio fu Bortolo<br />

1131. Lipej Antonio<br />

1132. de Gravisi Gio. Andrea<br />

1133. Bullo Andrea, Domenico e sorelle<br />

1134. Biacovich Andrea<br />

1135. Gorzalini Vincenzo<br />

1136. Gorzalini Vincenzo e Michele<br />

1137. Seriani Giovanni e sorella<br />

1138. Vianello Maria vedova<br />

1139. Scarpelet Carlo, eredi<br />

1140. Rozzo Pietro<br />

1141. -II-<br />

1142. -II-<br />

1143. -II-<br />

1144. Demartini Angelo detto Pipì<br />

1145. Giasche Gerolamo<br />

1146. Pogliato Antonio, eredi<br />

1147. Condurich Giorgio, eredi<br />

1148. Miani Pietro eredi<br />

1149. -II-<br />

1150. Zanella Giovanni<br />

1151. SEMINARIO<br />

1152. de Baseggio – Zugni, eredi<br />

1153. Michelich – Zugni, eredi<br />

27


<strong>La</strong> città<br />

30<br />

Giustinopoli dell'Asia minore<br />

<strong>Capodistria</strong> divenne bizantina attorno alla metà del VI secolo. In onore dell'imperatore romano<br />

d’Oriente Giustino, la città venne ribattezzata Giustinopoli. Tale nome restò in uso (accanto a<br />

quello di Capris) almeno fino alla seconda metà del X secolo. Anche in seguito però <strong>Capodistria</strong><br />

veniva detta latinamente Justinopolis e i loro abitanti justinopolitani. Almeno altre due città vennero<br />

intitolate all’imperatore Giustino; entrambe si trovano oggi in Turchia.<br />

Anazarbo (Anazarbus), arabo Ain Zarbo, oggi Anavarza<br />

Collocata su una fertile pianura dell'Anatolia<br />

meridionale (Turchia), Anazarbo si trova a<br />

ridosso d'una montagna rocciosa che nel passato<br />

dovette fungere da acropoli. Fondata, sembra,<br />

nel I secolo a.C., questa città dell'antica Cilicia<br />

in ordine d'importanza fu seconda soltanto a<br />

Tarso.<br />

Il periodo di maggiore prosperità lo sperimentò<br />

sotto l'impero romano. Visitata da Augusto nel 19<br />

a.C., ottenne il suo favore ed il nome di Caesarea<br />

o di Caesarea ad Anazarbus. Sotto Teodosio II<br />

ebbe il titolo di Metropoli della Cilicia Seconda.<br />

Più volte provata da violenti terremoti, fu sempre<br />

ricostruita. In onore dell'imperatore Giustino<br />

(518-527) che la volle riedificare, la città prese il<br />

nome di Giustinopoli e, più tardi, in onore del suo<br />

nipote e successore Giustiniano, che ne volle la<br />

ricostruzione dopo un altro terremoto, il nome di<br />

Giustinianopoli.<br />

Divenuto possesso arabo nei secoli VII-VIII e<br />

tornata successivamente in mano ai Bizantini, la<br />

città divenne nel 1100 capitale del regno armeno di<br />

Cilicia per poi ricadere sotto il dominio bizantino<br />

(1137). In questa città famosa per aver<br />

dato i natali al medico Dioscoride ed allo storico<br />

greco Appiano, il cristianesimo dovette trovare<br />

una notevole espansione. Durante la persecuzione<br />

di Diocleziano, ad Anazarbo vennero martirizzati i<br />

cristiani Taraco, Probo ed<br />

Andronico.<br />

Dioscoride: medico e naturalista greco (Anazarba,<br />

Cilicia, sec. I dC). Servì nell’esercito romano<br />

sotto Claudio e Nerone; è considerato il fondatore<br />

dell’erboristeria farmaceutica per aver descritto<br />

nell’opera De materia medica le proprietò<br />

medicinali di circa 600 specie vegetali allora note,<br />

oltre che di bevande, minerali e altre sostanze.<br />

L’opera, che costituì la principale fonte per<br />

gli studi botanico-farmacologici fino in epoca<br />

moderna, fu più volte riprodotta in lingua araba e<br />

latina.<br />

In seguito il nome di Anazarbo compare in occasione della disputa Ariana. L’antico castello di Anavarza<br />

conferisce al luogo un suo fascino particolare. Insieme ai resti dell'antica città di Anazarbo, con reperti<br />

di epoca romana e bizantina, si possono ammirare il castello che fu sede del regno armeno di Cilicia, con<br />

al suo interno un'interessante chiesetta funebre. Il contorno di fortificazioni, bastioni, acquedotti, chiese<br />

rupestri, necropoli, compensa del cadente stato degli altri reperti Romani. Curiose assonanze: il nome<br />

Anazarbo ricorda vagamente il nome del nostro patrono, mentre quello del fiume più vicino – Pyram,<br />

oggi Ceyhan – l'antico nome di Pirano.


Edessa, arabo Raha, curdo Riha,<br />

oggi Sanli Urfa (o anche solo Urfa)<br />

<strong>La</strong> città<br />

Antica città del settentrione anatolico-mesopotamico. Capoluogo dell’omonima provincia in Turchia<br />

ha oggi una popolazione di circa 400.000 abitanti composta da curdi, turchi e arabi. Fino all'inizio del<br />

secolo scorso la popolazione della città era in gran parte costituita da cristiani, soprattutto armeni<br />

decimati dalle stragi del 1915 o emigrati.<br />

Nel sec. VI, secondo il Messale Romano avvenne il 3<br />

luglio, vi sarebbero stati traslati i resti mortali di San<br />

Tommaso Apostolo.<br />

L'antica città di Ūrhāy (talora identificata come Uruk<br />

oppure come la biblica Ur dei Caldei), capitale della<br />

regione dell’Osroene, fu una provincia dello Stato<br />

dei Seleucidi, diventando poi un regno autonomo<br />

che assunse il titolo di Stato-cuscinetto fra Roma e<br />

il regno persiano dei Pati. Sotto il regno di Antioco<br />

IV venne anche chiamata, da parte degli esuli che<br />

vi si erano trasferiti da Antiochia come Antiochia<br />

Calliroe.<br />

Conquistata dagli Arabi all'epoca del secondo califfo<br />

Omar ibn al-Khattab, Edessa perse la sua importanza<br />

in età califfale. In epoca bizantina viene ricostruita<br />

dall’imperatore Giustino e in suo onore denominata<br />

Justinopolis.<br />

Almeno dal sec. VI vi si conservava la sacra immagine<br />

acheropita, cioè "non fatta da mano umana" chiamata<br />

Mandylion, su cui era impresso un volto attribuito a<br />

Gesù: essa rimase ad Edessa fino al 943, quando i Bizantini del domestikos Giovanni Curcuas Gurgen la<br />

riscattarono in cambio di 200 prigionieri musulmani e la portarono a Costantinopoli.<br />

Sottoposta a varie incursioni da parte degli Hamdanidi e delle truppe imperiali bizantine, Edessa fu possesso di<br />

Utayr, capo dei Banu Numayr, fino al 1026, anno dopo il quale passò ai Marwanidi di Diyarbakir. Acquistata<br />

dal protospatario bizantino Giorgio Maniace per 20 mila darischi, Edessa fu governata dai suoi successori<br />

e, dopo un alternarsi di personaggi minori, a ridosso della prima crociata, dal kuropalates armeno Teodoro<br />

(Toros), figlio di Hetum. Questi volle adottare Baldovino delle Fiandre, fratello di Goffredo di Buglione,<br />

giunto da poco coi suoi guerrieri dopo essersi distaccato dal corpo principale di spedizione crociato.<br />

Non è dimostrato con certezza che il complotto che rovesciò l'anziano Teodoro non fosse stato ispirato<br />

dall'ingrato Baldovino, ma il suo rapido subentrare alla guida di Edessa e del territorio che era sotto il suo<br />

controllo autorizza i più forti sospetti degli storici.<br />

Edessa fu trasformata in Contea e con Baldovino,<br />

suo primo conte, costituì il primo Stato crociato<br />

del territorio siro-palestinese. Cadde di nuovo sotto<br />

controllo islamico nel 1146 e la sua caduta provocò<br />

la Seconda crociata.<br />

Da non confondere con Edessa nella macedonia<br />

greca (detta anche Aegea e Vodena).<br />

Un dipinto ispirato al Mandylion, il presunto<br />

sudario di Gesù che era conservato ad Edessa.<br />

»Anazarba«<br />

31


<strong>La</strong> città<br />

32<br />

Rodolfo Moraro:<br />

un grande dell'arte lirica nato a <strong>Capodistria</strong><br />

Da pittore a cantariòl<br />

Da giovanotto, a <strong>Capodistria</strong>, Moraro amava dedicarsi<br />

al disegno ed alla pittura, arte verso la quale si sentiva<br />

portato e che appagava il suo innato senso artistico. E<br />

dipingendo cantava, quasi senza accorgersene. Ma fu<br />

notato. Non ancora da un impresario, ma alcuni suoi<br />

coetanei. Questi, a gruppetti, esercitavano il canto,<br />

sia per inclinazione personale che in determinate<br />

occasioni (dietro simbolico compenso) come serenate,<br />

nozze, »remenade«, solennità festive o pubblicitarie<br />

(quando veniva inaugurata, ad esempio, una nuova<br />

attività commerciale).<br />

Ma <strong>Capodistria</strong>, allora, non offriva molte di queste<br />

di Fabio Vidali<br />

Nascere in queste nostre terre, se da una parte è da considerarsi un privilegio per la bellezza dei siti<br />

e la multiculturalità, troppo spesso è una palla al piede per l'affermazione e la fama. Siamo stati (e<br />

siamo ancora) troppo alla »periferia« delle grandi correnti d'aria (e d'affari) e, quando va bene, si<br />

viene »coagulati« e globalizzati in una di queste grandi correnti, divenendo d'essa ricercati e comodi<br />

»affluenti« sempre un po' »spaesati«. Una volta »trapassati«, la memoria collettiva sommerge tutto<br />

nel suo amalgama, e l'oblio diventa regola. Restano alcuni nomi simbolo di artisti ben radicati nel<br />

loro »bacino di provenienza nazionale«, del quale assurgono al ruolo di campioni »rappresentativi«.<br />

Spariscono tutti gli altri, specialmente se sono »di frontiera«. E qui gioca un ruolo perversamente<br />

determinante la »filoxenia« di queste nostre terre che sembrano addirittura »vergognarsi« dei propri<br />

artisti di talento. E lo stesso vale per ogni ramo della cultura e della creatività, anche di quella scientifica.<br />

E' proprio per continuare a combattere questo »vizio« (tutto…«altoadriatico«) che vogliamo ora far<br />

uscire dal dimenticatoio un illustre artista nostro, il tenore capodistriano Rodolfo Moraro.<br />

occasioni (specialmente se era gradita una mancia).<br />

Mercato assai più prospero quello di Trieste dove le<br />

clape de cantariòi spesso erano richieste, sia nelle<br />

riunioni che nelle tante »osterie musicali« e nei tanti<br />

Circoli più o meno artistici. Intanto, fra i cantariòi<br />

Moraro era diventato una stella di prima grandezza ed<br />

i suoi colleghi apprezzavano della sua voce la bellezza<br />

del timbro e la facilità dell'acuto, pur non avendo egli<br />

ancora mai »studiato« il canto. Egli affrontava già<br />

allora impegnative romanze operistiche che finirono<br />

per schiudergli alcuni salotti d'intenditori.<br />

Finalmente fu presentato ad un Maestro: l'ex tenore<br />

(anch'egli di origine capodistriana) Luigi Bolis-<br />

Fagnani. Fece la rituale audizione (la romanza del-<br />

l' »Andrea Chenier« di Giordano) e fu accolto come<br />

allievo effettivo. Il Maestro s'impegnò d'istruirlo<br />

nel canto gratuitamente e di prepararlo al debutto<br />

in teatro. Unica condizione tassativa: seguire<br />

scrupolosamente i suoi insegnamenti e »non cantare<br />

in pubblico«. Quasi quattro anni. Moraro accettò<br />

felice tale proposta e l'impegno di pagare il Maestro<br />

dopo il debutto. Naturalmente a rate. Qualcosa<br />

di simile avvenne a Tito Schipa con l'inflessibile<br />

Maestro Gerunda che minacciò di cacciarlo per una<br />

sua scappatella canora.<br />

A Moraro che, saltuariamente e »alla macchia«<br />

indulse anch'egli a qualche scappatella del genere,<br />

andò meglio. Il Maestro Bolis-Fagnani non usava<br />

prendere il vaporetto per <strong>Capodistria</strong>. Ma sapeva<br />

insegnare canto, imposto, dizione ed arte drammatica<br />

come imponevano le regole dell'antica scuola<br />

italiana.<br />

Conclusi gli studi col Bolis-Fagnani, Moraro<br />

cominciò ad esibirsi in numerose occasioni anche<br />

»musicalmente« (lo fece poi col Maestro triestino<br />

Luigi Toffolo, che ritroveremo in seguito spesso


suo direttore operistico). Restava da conquistare<br />

il traguardo più ambito: il palcoscenico del Teatro<br />

d'Opera.<br />

Due vaporetti da <strong>Capodistria</strong><br />

Moraro aveva ormai ventun'anni. S'era trasferito<br />

a Trieste diciottenne. Lo interpellò allora un<br />

impresario, certo Valentini, particolarmente versato<br />

nell'improvvisare compagnie d'Opera e d'Operetta<br />

e nell'allestire spettacoli »popolari«, generalmente<br />

premiati dal successo e da buoni guadagni di<br />

botteghino (quello che più gli interessava). Gli<br />

propose di debuttare al Politeama Rossetti di Trieste<br />

nel ruolo principale della »Lucia di <strong>La</strong>mmermoor« di<br />

Donizzetti. Detto e fatto. Moraro amava raccontarmi<br />

i retroscena di questa fortunatissima serie di<br />

rappresentanzioni all'insegna dell'improvvisazione.<br />

Due sole certezze: il giovane ma già affermato soprano<br />

triestino Rina Pellegrini (nel ruolo del titolo) ed il<br />

Maestro Arturo Lucon, di casa nei maggiori teatri.<br />

Il resto della compgnia era stato raccolto in Galleria<br />

a Milano, fra i tanti che vi stazionavano stabilmente<br />

in attesa di un colpo di fortuna. Comunque cantanti<br />

che, al giorno d'oggi, farebbero certo un figurone.<br />

In scena, in occasione dell'unica prova d'insieme,<br />

sommarie indicazioni: »questo è il Castello e qui<br />

sono le Trombe«. Scena e costumi da trovarobato.<br />

Al terzo atto, Edgardo dovette »pugnalarsi« con<br />

un coltello da cucina, rimediato nell'abitazione del<br />

custode, visto che non si trovava più il »pugnale«<br />

di scena. Ma tutto filò in maniera assolutamente<br />

perfetta. Per Moraro e la Pellegrini fu un autentico<br />

trionfo con »bis« e ovazioni, quattordici »chiamate«<br />

al termine. Pubblico strabocchevole: 3100 persone.<br />

Allora il Politeama ne poteva contenere tal numero.<br />

Non erano state ancora inventate quelle »norme<br />

di sicurezza« che oggi hanno decimato il pubblico<br />

ammesso. A rimpolpare questa folla, erano approdati<br />

a Trieste due »vaporetti« di capodistriani melomani<br />

a sostenere il loro con<strong>citta</strong>dino. Moraro incassò 200<br />

Lire a replica ma l'impresario gli disse: »Xe bei soldi,<br />

anche se i giovani dovessi pagar lori per cantar«.<br />

Ma non era il lato economico ad interessare al nostro<br />

tenore. Era il »lancio«. Allora i responsabili artistici<br />

dei grandi teatri usavano frequentare queste imprese<br />

»disperate« più probanti di una breve audizione<br />

al pianoforte. E le offerte importanti per Moraro,<br />

fioccarono subito. Correva l'ottobre del 1939.<br />

Verso la gloria<br />

Gli esperti che lo sentirono al Politeama di Trieste<br />

dimostrarono subito d'avere buon naso. Già l'anno<br />

successivo, Moraro conquista Fiume con »la<br />

<strong>La</strong> città<br />

Boheme«. Da queste parti il nostro tenore c'era<br />

però stato già, con concerti ad Abbazia di uno dei<br />

quali amava ricordare la profezia di gloria che gli<br />

fece, dopo averlo ascoltato, il mitico basso Fiodor<br />

Chaliapin, che siedeva fra il pubblico in compagnia<br />

degli scrittori Ojetti e Salvaneschi: »Lei diventerà un<br />

grande tenore«. Nelle fitte tournee che si susseguono,<br />

sono al suo fianco Rosetta Pampanini e Mafalda<br />

Favero nonchè la triestina Tatiana Menotti. Nel 1941<br />

spopola al Teatro Verdi di Trieste col »Campiello«.<br />

Nel teatro triestino egli sarà una colonna di casa fino al<br />

1963 (dottore nel »Sasso Pagano« di Giulio Viozzi),<br />

fatti salvi i lunghi anni che lo videro protagonista in<br />

tutt'Italia, all'estero, e in altri continenti (Australia,<br />

Nuova Zelanda, Africa).<br />

Qui ci vorrebbero le pagine d'un elenco telefonico<br />

solo per accennare a luoghi e titoli e riassumere<br />

solo alcune delle recensioni critiche osannanti che<br />

il capodistriano tenore Moraro mietè dappertutto.<br />

Biblioteca musicale, costumi, foto e documenti di<br />

ciò sono in gran parte custoditi a Trieste nel Museo<br />

teatrale al quale l'artista si legò.<br />

Malgrado tanti successi, Moraro rimase sempre<br />

una persona semplice ed affabile, naturalmente<br />

restìo a parlare di se stesso, se non insistentemente<br />

sollecitato. Ritiratosi dalle scene nel 1964, continuò<br />

a profondere, come insegnante di canto, i tesori<br />

Fyodor Chaliapin, cantante<br />

lirico e attore russo che<br />

Moraro incontrò ad Abbazia.<br />

delle sue esperienze, approfondendo anche i pricìpi<br />

fisiologici della »fonazione«, dell'appoggio e della<br />

respirazione, ai giovani cantanti, ai quali non mancava<br />

mai l'esemplificazione pratica. Moraro continuò a<br />

cantare finchè ebbe vita, anche per piacere suo, e<br />

vivo resta il ricordo di quando, in casa, mi chiedeva<br />

di accompagnarlo al pianoforte in qualche aria. <strong>La</strong><br />

33


<strong>La</strong> città<br />

Voce era sempre pronta e limpida, anche in tarda<br />

età, confermando la profezia che gli fece il grande<br />

Beniamino Gigli, che spesso lo volle con se come<br />

»doppio« in molte opere: »Lei canta come si cantava<br />

una volta, e canterà bene fino a che camperà«.<br />

Accanto ai giudizi di pezzi da novanta come Chaliapin<br />

e Gigli, non ultimo viene certo quello di Aureliano<br />

Pertile che, presente ad una sua interpretazione di<br />

»Sonnambula«, si recò nel suo camerino, gli aggiustò<br />

le pieghe del costume e gli disse: »Lei è un vero<br />

tenore liricoleggero«.<br />

34<br />

I concerti "Martini & Rossi"<br />

Moraro era un conversatore affascinante.<br />

Specialmente quando raccontava aneddoti riferentisi<br />

più ai casi singolari occorsigli che alle glorie della<br />

sua carriera.<br />

Particolare il ricordo d'una »Boheme« di quel periodo,<br />

noto per le ristrettezze alimentari. Al termine d'una<br />

recita, trovò nel manicotto di Mimì un bel grosso<br />

salame: tutta la compagnia si rallegrò, dato che, a<br />

quei tempi di »carte annonarie« rappresentava una<br />

vera rarità.<br />

Un impatto commovente fu quello con Lecce, la città<br />

di Tito Schipa, gelosissima cultrice di tale suo divo.<br />

L'opera era »Manon«. <strong>La</strong> critica così si espresse:<br />

»abbiamo avuto la sensazione di vedere e sentire<br />

sul palcoscenico proprio la figura e la voce di Tito<br />

Schipa, i suoi gesti, le sue modulazioni, qualcosa<br />

di sogno«. Schipa, allora era in America, ma i suoi<br />

con<strong>citta</strong>dini non l'avevano per questo dimenticato.<br />

Ciò successe, in parte, a Moraro che, dopo anni di<br />

tournee extracontinentali, quando ritornò in Italia<br />

dovette quasi rifare la »gavetta«. Ma trionfò ancora<br />

entrando nelle case di tutti con i famosi »Concerti<br />

Martini e Rossi« dalla Radio di Torino e riprendendo<br />

il suo posto sui più importanti palcoscenici.<br />

Lirico o Leggero?<br />

Scala, Fenice, Covent Garden, Cairo, Australia, solo<br />

tappe di una voce, di casa al Verdi di Trieste come al<br />

Liceum di Barcellona, sempre con partners del taglio<br />

di Mariano Stabile, Gino Bechi, Tancredi Pasero,<br />

Margherita Carosio, Andrea Mongelli, Alda Noni,<br />

Cloe Elmo, Giulietta Simionato, Gianna Pederzini,<br />

Rina Malatrasi. Trionfi al Grand Opera e all'Opera<br />

Comique. Ma quale era il suo repertorio? Solo i<br />

grandi della tradizione operistica?<br />

No certo. Britten col »Peter Grimes«, Debussy con<br />

»L'enfant prodigue«, Pizzetti con »Assassinio nella<br />

cattedrale«, Haydn con »Le stagioni«, Viozzi con<br />

»Il sasso pagano«, ma anche l'Operetta con »Notte a<br />

Venezia««, »Federica«, »Giuditta«, e rarità come »Il<br />

califfo di Bagdad«, testimoniano dei suoi interessi<br />

comprendenti i più diversi mondi espressivi, dalla<br />

classicità alla contemporaneità.<br />

E com'era questa voce? Pertile la definì giustamente<br />

di »tenore liricoleggero«. Non a caso ho usato<br />

l'aggettivo in una parola e non in due, con un trattino<br />

che fa pensare al »leggero« come ad un immiserimento<br />

di »lirico«. Perchè la voce di Moraro (lo garantisco,<br />

avendola tanto udita dal vivo) comprendeva ben due<br />

»registri«, quello »lirico« e quello »leggero«.<br />

Fortuna rarissima che non toccò, per esempio al<br />

grandissimo Schipa (che fu solo »leggero«) e che<br />

solo in parte toccò al Gigli maturo, in cui prevalse<br />

soprattutto il »lirico«. Lo stesso dicasi per lo splendido<br />

Tagliavini, anche lui un »lirico« che »alleggeriva«<br />

grazie a magistrali falsetti e falsettoni.<br />

Questa rarissima qualità di Moraro, unita ad una<br />

dizione perfetta, basterebbe da sola a farlo ricordare<br />

come un »unicum« del belcanto. Malgrado la<br />

smemoratezza dei posteri, anche conterranei. Fu un<br />

vanto per l'Istria. Da sbandierare.<br />

Il compositore triestino Fabio Vidali durante la<br />

presentazione del tenore di origini capodistriane<br />

durante il suo intervento nella sezione di<br />

italianistica della Biblioteca centrale di<br />

<strong>Capodistria</strong>. <strong>La</strong> conferenza, durante la quale<br />

sono state fatte ascoltare registrazioni della voce<br />

di Moraro, è stata promossa da Isabella Flego<br />

dell'Associazione »Poem« e da Amalia Petronio,<br />

responsabile della suddetta sezione bibliotecaria<br />

sita in una laterale della Calegaria, denominata<br />

nello scorso secolo Calletta chiusa dei volti, per<br />

i »volti« (passaggi da una casa all'altra) che la<br />

contraddistinguono. Su Monaro ci sarebbero<br />

da raccontare altri particolari, altri aneddoti. Il<br />

presidente della CI, Lino Cernaz, ha rivolto al<br />

maestro Vidali l'invito a tornare a <strong>Capodistria</strong>,<br />

magari nella sede della Comunità, per svelarceli.


Cussì zogavimo una volta...<br />

di Vinicio Bussani<br />

<strong>La</strong> città<br />

<strong>La</strong> gente della mia generazione, è l’ultima nata a <strong>Capodistria</strong>, nel periodo che intercorre tra l’inizio<br />

e subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Gli avvenimenti politici che si susseguono a<br />

conclusione delle ostilità, ci portano com’è noto a una scelta drammatica: l’abbandono della città<br />

per una larga maggioranza dei suoi abitanti. In un momento così difficile per la storia <strong>citta</strong>dina,<br />

quella parte di noi, non ancora adolescente, nata e cresciuta nel turbine di questi avvenimenti, non<br />

poteva certamente capire il dramma vissuto dalle nostre famiglie. In quegli anni trascorsi prima<br />

dell’esodo, il nostro unico desiderio era quello di poter giocare e divertirci, senza dover subire troppi<br />

condizionamenti. Considero questo, un periodo indimenticabile, il più bello della mia infanzia.<br />

All’epoca, si godeva di una vita<br />

sana, sempre all’aria aperta. Il<br />

cibo era semplice e genuino; si<br />

socializzava molto e nell’animo<br />

di ciascuno di noi regnava quella<br />

gioia spontanea e ingenua che è<br />

propria di tutti i bambini, mentre<br />

la pratica del gioco, stimolava<br />

oltremodo la nostra fantasia.<br />

Dal nostro “punto di vista”, la<br />

scuola non aveva quella priorità<br />

assoluta che gli adulti normalmente<br />

le assegnavano, anche se posso<br />

dire senza presunzione, che<br />

nello studio riuscivo comunque a<br />

cavarmela dignitosamente.<br />

Dei giochi, conservo nella memoria<br />

i ricordi più belli. Trascorrevamo<br />

le nostre ore spensierate in luoghi<br />

che avevano come sfondo il mare<br />

e la campagna: i prati, le rive e la<br />

marina, erano i più frequentati.<br />

Sostavamo lì per delle ore, ebbri<br />

di sole e di vento, senza nemmeno<br />

renderci conto del passare del<br />

tempo. Le nostre mamme e<br />

nonne, dovevano spesso sgolarsi<br />

nel richiamarci a casa e qualcuno<br />

fingeva di non sentire, o magari<br />

rispondeva “lassime star ancora<br />

un poco!”. Il ritardo di norma,<br />

veniva punito e per quel giorno<br />

era difficile uscire di nuovo.<br />

Tra i giochi conosciuti, trasmessici<br />

in buona parte dagli amici più<br />

grandi, sceglievamo di preferenza<br />

quelli di gruppo, meglio ancora<br />

se numeroso e composto da<br />

maschi e femmine. I nostri raduni<br />

avvenivano nel corso della bella<br />

stagione. Ci trovavamo la sera,<br />

dopo cena all’aperto “in piassal<br />

de Sanpieri” e sotto la debole luce<br />

di un lampione, che rischiarava a<br />

malapena i nostri volti bruciati<br />

dal sole, cominciava la “conta”.<br />

Subito dopo, come presi da<br />

incontenibile euforia, iniziavamo<br />

le pazze corse, che davano l’avvio<br />

ai giochi “de landa, sconderse, el<br />

cincio” e via dicendo. Più tardi,<br />

affannati e sudati, ci rilassavamo<br />

sul prato, in riva al mare.<br />

In quelle calde sere d’estate,<br />

accompagnate da una leggera<br />

brezza marina e dal fruscio<br />

sommesso della risacca, si sentiva<br />

il canto prolungato dei grilli e<br />

non di rado, come per magia,<br />

comparivano improvvise nel<br />

buio, sottili tracce luminescenti,<br />

quale segno inconfondibile<br />

della presenza di lucciole in<br />

volo. Lontano, sul mare, le<br />

barche dei pescatori “paludanti”,<br />

punteggiate dal brillante chiarore<br />

delle lampare, si apprestavano<br />

ad iniziare il consueto e faticoso<br />

lavoro notturno.<br />

Nella quiete serale, appena<br />

rischiarata dalla luna, seduti<br />

in semicerchio sull’erba,<br />

ascoltavamo intenti l’amico<br />

Antonio Perini (Saltin), che da<br />

buon narratore, raccontava storie<br />

un po’ lugubri di personaggi<br />

immaginari, ma anche veri,<br />

sempre avvolti da un alone di<br />

mistero, quale era ad esempio la<br />

“leggenda della Monaro”.<br />

Mi ritorna in mente il racconto del<br />

“vecio Pobega”, persona realmente<br />

esistita, dal comportamento<br />

ombroso e schivo, che viveva<br />

da solo in una casa fatiscente<br />

sul “rato de Sanpieri”; lì nei<br />

pressi, giocavamo tutte le sere<br />

ai “4 cantoni”. Quella abitazione<br />

ridotta così male, metteva un<br />

po’ di soggezione: si scorgeva<br />

un tratto di muro sbrecciato<br />

e pericolosamente instabile,<br />

c’era un’unica finestrella con le<br />

35


<strong>La</strong> città<br />

persiane cadenti, mentre la porta<br />

d’ingresso danneggiata dal tempo,<br />

rimaneva sempre socchiusa e da<br />

un piccolo varco apertosi nella<br />

parte inferiore, i gatti entravano ed<br />

uscivano a piacimento. Il vecchio,<br />

durante il giorno non lo si vedeva<br />

mai; compariva tardi la sera,<br />

oppure non rincasava. Quando<br />

in certe occasioni rientrava un<br />

po’ alticcio, aveva difficoltà nel<br />

salire i due gradini d’ingresso e<br />

barcollando spingeva quell’uscio<br />

malandato, tanto da provocare<br />

un cigolio sinistro che incuteva<br />

timore. Antonio, molto abile<br />

nel calcare la mano, diceva che<br />

quella abitazione era posseduta<br />

dagli “spiriti” e a volte passando<br />

di là, gli era capitato di “sentire”<br />

delle voci con dei rumori insoliti,<br />

mentre una “luce” si accendeva e<br />

spegneva di frequente…<br />

36<br />

Le “fie” sedute accanto a noi, si<br />

stringevano tra di loro per la paura<br />

e più tardi chiedevano di essere<br />

accompagnate a casa.<br />

Spesso per giocare, sceglievamo<br />

le calli, i cortili, gli androni etc.<br />

Capitava che la gente lì intorno,<br />

avendo necessità di riposare, mal<br />

sopportasse il nostro chiassoso<br />

vociare e mandandoci a quel paese,<br />

ci obbligava a spostarci altrove,<br />

magari buttandoci addosso “un<br />

cadin de acqua” dalla finestra.<br />

Il gioco del “pandolo” è stato<br />

senz’altro il più celebrato a<br />

<strong>Capodistria</strong> ed era praticato<br />

soprattutto dai ragazzi più grandi,<br />

che sapevano dare dimostrazione<br />

di buone capacità e destrezza,<br />

mentre noi cercavamo di imitarli.<br />

Nel caso nostro, poteva accadere<br />

con più probabilità che un lancio<br />

maldestro, andasse a deviare<br />

l’oggetto di legno nella direzione<br />

sbagliata, provocando la rottura<br />

di un vetro di qualche finestra!<br />

Giocavamo molto ai “ciclisti”<br />

e spesso tra vivaci dispute,<br />

perché c’era il solito furbo, che<br />

per arrivare primo al traguardo<br />

commetteva sempre qualche<br />

“illecito sportivo”: tagliava ad<br />

esempio la strada, affrontava un<br />

ostacolo in modo irregolare o<br />

spostava in avanti con il piede<br />

il proprio “tappo”, sperando che<br />

nessuno se ne accorgesse.<br />

Ricordo il gioco delle “vaghe”,<br />

dove per vincere, contava<br />

solamente una buona mira. <strong>La</strong><br />

posizione del “tiro”, era regolata<br />

dalla misura di una spanna,<br />

rispetto il bordo della buca, mentre<br />

il dito mignolo della mano, faceva<br />

da perno di appoggio durante il<br />

lancio della pallina. Anche qui<br />

sorgevano di tanto in tanto forti<br />

discussioni, perché non veniva<br />

rispettata la distanza prestabilita.<br />

Tutti avevamo una calzetta o<br />

un “balegheto” di stoffa per<br />

contenere le “vaghe” e quelle di<br />

vetro erano le più ambite in caso<br />

di vittoria.<br />

Un piacevole passatempo, forse<br />

poco noto, veniva chiamato il<br />

“tesoro”. Si scavava una piccola<br />

buca, rivestita all’interno con<br />

della carta stagnola, sopra cui<br />

ponevamo dei pezzetti di vetro o<br />

altri piccoli oggetti, nel tentativo<br />

di ricavare una certa “figura”. <strong>La</strong><br />

composizione veniva poi chiusa e<br />

isolata da un vetro trasparente che<br />

serviva da visore. Si completava<br />

l’opera, con una copertura<br />

mimetica di protezione, ponendo<br />

un riferimento all’esterno, per<br />

indicarne l’ubicazione. L’intento,<br />

era di far vedere il “tesoro” agli<br />

amici fidati, che a loro volta,<br />

costruivano per proprio conto la<br />

loro personale composizione, in


una gara di bravura e fantasia.<br />

Un gioco molto diffuso, noto<br />

per la sua forza dinamica,<br />

sicuramente più adatto a<br />

ragazzi di solida costituzione,<br />

era quello della “cavallina”,<br />

dove occorrevano doti di buona<br />

agilità e grande resistenza fisica.<br />

L’intensità delle forze in gioco<br />

era tale, per cui si verificavano<br />

di frequente rovinose cadute in<br />

massa, con conseguenze anche<br />

serie per i malcapitati di turno.<br />

Si prendeva la rincorsa saltando<br />

sulla schiena dei compagni, che<br />

nel frattempo s’erano messi in<br />

posizione china, avvinghiati tra<br />

di loro in numero di tre o quattro,<br />

ai quali toccava star “soto” dopo<br />

la conta obbligatoria, mentre un<br />

ragazzo detto “el pal”, doveva<br />

stare in piedi davanti a costoro,<br />

pronto a sostenere e proteggere i<br />

“saltatori” dai loro slanci irruenti.<br />

Lo sforzo di sopportare tutto il<br />

peso del gruppo, determinava le<br />

sorti della contesa. Quindi, tutto<br />

rincominciava nuovamente a parti<br />

invertite.<br />

I giochi con la fionda e con<br />

l’arco (quello fatto di stecche<br />

d’ombrello), penso siano stati in<br />

assoluto, i più pericolosi per la<br />

nostra incolumità: nel lanciare<br />

sassi “co’ la flonda”, tra i vari<br />

bersagli da colpire, prendevamo<br />

anche di mira i “panegarioi”<br />

(passeri), i gatti randagi, le<br />

lampadine delle strade, i barattoli<br />

di latta allineati sui muretti.<br />

Mentre con l’arco, gli obiettivi<br />

prescelti erano quasi sempre<br />

bersagli fissi, sui quali c’era<br />

più soddisfazione a piantare la<br />

freccia. Gli incidenti certamente<br />

non mancavano: quelli, ai quali<br />

ho assistito personalmente, si<br />

risolvevano con medicazioni di<br />

tipo casalingo, a base “de asédo”<br />

ed una fasciatura approssimativa,<br />

oppure con un lavaggio “in acqua<br />

salada in marina”. Nei casi più<br />

gravi, si andava in farmacia “de<br />

sior Ghino”.<br />

L’estate notoriamente, era la<br />

grande stagione delle vacanze<br />

e dei bagni. Messi da parte libri<br />

e quaderni, trascorrevamo le<br />

nostre lunghe ore in riva al mare,<br />

tra i tanti “cavarii, le subissade,<br />

el tirarse drio fango e àlega”.<br />

Quando subentrava un po’ di<br />

stanchezza, uscivamo dall’acqua,<br />

investiti a volte da un gagliardo<br />

venticello di borino, che metteva<br />

i brividi su quei nostri esili corpi<br />

gocciolanti. Era bello allora<br />

distendersi al sole a pancia in giù e<br />

trovare conforto “sule piere calde<br />

del mol”. Non appena le nostre<br />

schiene cominciavano a scottare<br />

troppo, riprendevamo a tuffarci e<br />

giocare ancora felici nell’acqua.<br />

Quelle raggianti mattine d’estate<br />

si concludevano verso l’ora di<br />

pranzo, allorché storditi dal sole<br />

e impregnati dalla salsedine, ci<br />

avviavamo verso casa con grande<br />

appetito.<br />

<strong>La</strong> città<br />

Tra i giochi non ancora citati,voglio<br />

annoverarne uno, che mi procurava<br />

grandi soddisfazioni: il “drago”.<br />

Si costruiva l’intelaiatura formata<br />

da sottili stecche ricavate dalle<br />

canne; la figura a forma di rombo<br />

ottenuta, veniva assemblata con<br />

lo spago “de calegher” e quindi<br />

rivestita di carta velina colorata,<br />

fissata con semplice colla di<br />

acqua e farina. <strong>La</strong> costruzione<br />

si completava applicando dei<br />

ciuffi di carta di vario colore<br />

ai lati della “testa”, mentre la<br />

forma della “coda”, era oggetto<br />

di fantasia creativa di ciascuno<br />

di noi. Quando cominciava ad<br />

alzarsi un po’ di vento, iniziava<br />

il “collaudo”, atteso sempre con<br />

trepidante emozione. Restano<br />

indimenticabili, le corse sul<br />

prato, in quei pomeriggi assolati,<br />

con il grosso gomitolo di filo in<br />

mano, che si riduceva sempre<br />

di più, mentre il “drago” saliva<br />

alto, fino a “sfiorare le nuvole”.<br />

A volte qualche inaspettato<br />

incidente, dovuto alla forza<br />

del vento, a un camino, o a un<br />

cornicione, spegneva di colpo<br />

il nostro entusiasmo: l’aquilone<br />

Bambine istriane che giocano in una foto tratta da L’Istria di Emilio<br />

Silvestri (Ed. Rumor – Vicenza – 1903)<br />

37


<strong>La</strong> città<br />

interrompeva bruscamente il suo<br />

volo e veniva irrimediabilmente<br />

danneggiato o disperso. A quel<br />

punto, la tristezza era grande: gli<br />

occhi si riempivano di lacrime che<br />

andavano a rigare sconsolatamente<br />

i nostri visi.<br />

Desidero ora dare un po’ di<br />

spazio anche ai giochi femminili,<br />

che talvolta erano oggetto di<br />

interesse e partecipazione pure<br />

da parte nostra. Giocando con le<br />

“fie” (quando lo acconsentivano),<br />

cercavamo nuove opportunità<br />

di aggregazione. Magari<br />

inizialmente esisteva una certa<br />

diffidenza e un po’ di permalosità<br />

da parte loro nei nostri confronti,<br />

perché gli scherzi, le prese in giro,<br />

logicamente non erano sempre<br />

graditi e venivano accettati solo<br />

quando facevano parte del gioco.<br />

Lo stare insieme e divertirci, era<br />

il modo naturale per imparare<br />

a conoscerci. Data l’età ancora<br />

acerba, il nostro comportamento<br />

quasi istintivo, era spesso<br />

incoerente e spavaldo a differenza<br />

di quello delle nostre coetanee,<br />

che erano più sulla difensiva.<br />

Ma, nonostante tutto, pur nella<br />

nostra complessità caratteriale,<br />

cominciavamo ad avvertire<br />

nuove emozioni, che talvolta<br />

davano adito alle prime ingenue<br />

simpatie.<br />

I giochi femminili, a differenza dei<br />

38<br />

nostri, erano improntati più su una<br />

linea tranquilla e amicante. Ne ho<br />

in mente alcuni: mosca cieca, “el<br />

frate”, le belle statuine, “acqua<br />

e fogo”, la corda, “fefa”, “cavei<br />

cavai”, “el dotor”(molto richiesto<br />

da noi maschietti) e inoltre “el<br />

teatro”, dove si fingeva una recita<br />

“a soggetto”, inventando sul<br />

posto una piccola storia.<br />

Mentre ci divertivamo, accadevano<br />

talvolta episodi un po’ insoliti e<br />

movimentati: ricordo una “barufa<br />

tra do fie”, scoppiata per causa<br />

di vecchi dissapori. Il pretesto<br />

per arrivare allo scontro, traeva<br />

origine da un banale motivo di<br />

gioco. Il litigio a un certo punto<br />

si trasformò in fatto violento, con<br />

offese, sputi, morsi e “tirade de<br />

cavei” reciproche. Più tardi la<br />

contesa si allargò, coinvolgendo<br />

direttamente le genitrici delle<br />

ragazzine, che nel frattempo erano<br />

state informate dell’accaduto e<br />

che a modo loro, cercarono di<br />

“rendere giustizia” alle rispettive<br />

figlie. Per fortuna tutto si concluse<br />

abbastanza pacificamente, grazie<br />

all’intervento sensato di alcuni<br />

presenti.<br />

E desidero chiudere con il gioco<br />

per eccellenza: la tombola.<br />

Questo passatempo a <strong>Capodistria</strong><br />

considerato quasi un’istituzione,<br />

aveva un carattere prettamente<br />

popolare ed era praticato da<br />

persone di tutte le età e ceto<br />

sociale. Un esempio evidente era<br />

la tombola in piazza, che nelle<br />

occasioni di festa, trovava la sua<br />

massima espressione con una<br />

grande partecipazione di gente. Al<br />

tradizionale rullo del tamburo, che<br />

richiamava tutti all’attenzione, si<br />

udiva la voce un po’ stentata “de<br />

Fornaréto” (Antonio Gasperutti),<br />

che annunciava i numeri in corso<br />

di estrazione, tra un fitto brusio<br />

di voci, “remenade” e pause di<br />

assoluto silenzio.<br />

A “Sanpieri”, nei pomeriggi<br />

domenicali, le donne del luogo,<br />

si riunivano a un’ora precisa:<br />

ciascuna portandosi da casa “le<br />

cartele coi numeri, i fasoi per<br />

notar, el scagno per sentarse e<br />

do fliche in tacuin”, sistemandosi<br />

poi in circolo davanti la porta<br />

d’ingresso della casa “de<br />

siora Roma Fonda”, dove<br />

iniziava l’allegra “kermesse” in<br />

un’atmosfera fatta di cicalecci,<br />

battute spiritose e “tacàde”.<br />

In caso di cattivo tempo, tutto il<br />

gruppo trovava rifugio nell’ampio<br />

atrio di qualche casa vicina e il<br />

gioco andava avanti fino all’ora<br />

di cena.<br />

Ricordo in modo particolare,<br />

una vecchia e antica popolana,<br />

chiamata da tutti “la vecia Gata”<br />

(Nina Riosa ?), forse perché<br />

nel corso della sua vita aveva<br />

generato numerosi figli: la rivedo<br />

ancora lì nel piazzale, con quella<br />

faccia arguta, mentre la sua voce<br />

esprimeva quell’antica parlata<br />

veneta, della quale alcuni termini<br />

spesso menzionati, erano già<br />

allora andati in disuso.<br />

Quando toccava a lei “cavar le<br />

bale” (espressione in dialetto<br />

riferita all’estrazione dei dischetti<br />

numerati), riportava i numeri,<br />

dando a ciascuno un appellativo<br />

scherzoso, com’era d’abitudine a<br />

quel tempo. Ma nel pronunciarli,<br />

la signora si esprimeva spesso in<br />

modo incomprensibile, a causa<br />

della sua carente dentatura,<br />

suscitando così senza volerlo,<br />

malumori e irritazione da parte<br />

delle comari, che non riuscivano<br />

a capire quello che diceva.<br />

Un giorno però si spazientì e<br />

alzandosi in piedi le apostrofò<br />

dicendo: “Andè in malora dute,<br />

desso me ciapo e vago via!”.<br />

E così fece.


El gobo col saco, El baso del morto,<br />

Su e zo per la Calegaria…e altre amenità nei<br />

Numeri della tombola capodistriana<br />

<strong>La</strong> città<br />

<strong>La</strong>uro Decarli ha raccolto nel suo libro »Caterina del buso«, le varianti dei numeri 'chiamati' della tombola a<br />

<strong>Capodistria</strong>. Decarli ha assunto come base il lavoro scritto da Francesco Babudri »I numeri della tombola«<br />

con appropriate annotazioni sulle varianti registrate nella nostra città all'inizio dello scorso secolo. Pure<br />

il poeta Tino Gavardo ci ha lasciato una lista di varianti registrate a <strong>Capodistria</strong> ed altri scarni commenti.<br />

Scrive il Carlon: »Vedere che la serie dei 90 numeri hanno un corrispondente, non significa che si assisteva<br />

ad un gioco con connotazioni esclusivamente gergali. L'uso della variante era frammisto alla 'chiamata'<br />

di umeri regolari la cui percentuale dipendeva dalla 'professionalità' e afffiatamento dei giocatori. In una<br />

tombola tipica come quelle che si svolgevano fuori l'uscio della casa della mitica Cicerinca (una Parovel che<br />

abitava in Calle San Martino, oggi Calle degli agricoltori), credo di poter affermare che oltre un terzo dei<br />

numeri veniva chiamato con il loro soprannome. Poi c'era il fenomeno della traduzione simultanea, operata<br />

da chi chiamava (nel caso di presenza di estranei poco informati), dalla madre che istruiva i figli minori, da<br />

terzi a semplice commento o in risposta a richiesta di chiarimenti. Ovviamente nelle tombole ufficiali tenute<br />

in piazza i numeri venivano chiamati da Toni Forner (Antonio Gasperutti) dopo il consueto rullo di tamburo<br />

senza alterazione o mascheramento. <strong>La</strong> tombola che si teneva nella piazza capodistriana è descritta per due<br />

volte nel Marameo, rivista satirica triestina, nelle edizioni del 25 agosto 1939 e del 5 settembre 1941.<br />

Ecco i numeri ed i loro “significati” con accompagnata per ciascuno una lettera indicante la causa individuata<br />

che viene distinta in: (A) assonanza, gioco di parole; (R) rima aggiunta; (F) figura, interpretazione simbolica<br />

della forma del numero; (P) personaggio noto o suo attributo; (C) cabala dei sogni; (D) data, calendario; (V)<br />

varie.<br />

In totale le voci sono 149. <strong>La</strong> parte del leone spetta alla Cabala con 39 assegnazioni, segue la Figura con 32,<br />

l’Alterazione o gioco di parole con 22, la Rima con 16, le Date o calendario con 18, le Varie pure con 18 ed<br />

infine i Personaggi con 6.<br />

39


<strong>La</strong> città<br />

1. El binbin (F); Pipin dela Cassa-malati (P).<br />

2. Duelo (A); el barbagiàn (C).<br />

3. tripe-merda-e-brò (A); tre, fin che coro no me<br />

ciapé (R) ; tre, ti polenta e mi cafè (R).<br />

4. <strong>La</strong> carega (F).<br />

5. <strong>La</strong> teta (F); i déi de la man (F); cinque, el zogo<br />

dele s’cinche (R).<br />

6. Un omo (C); el parsuto (F); la Rudìa (D) (è la<br />

Befana che viene il 6 gennaio); sei, polenta e<br />

usei (R).<br />

7. Babàu (P); sete-tachi e un brustolin (P)<br />

(entrambi soprannomi).<br />

8. Le bale col fagoto (R) (le bale sono i cilindretti<br />

di legno con impresso il numero: “Levime la<br />

bala bona!” – il sacchetto di stoffa che le con-<br />

tiene solitamente detto bàlego: “Daghe ‘na<br />

scassàda al balego!”, qui per esigenze di rima<br />

viene fagoto); el gobo del loto (A); oto, simioto (R).<br />

9. No a ven (A) (in lingua significherebbe ‘non<br />

viene’); el gobeto (F); nove, là che ‘l mus fa le<br />

prove (R).<br />

10. Sior priore (V); torso e buso (F); diese, a ti<br />

gnente a mi sariese! (R).<br />

11. I pài del telegrafo o i pài dela luce (F); le<br />

braghesse dei S’ciavoni (F) (portavano<br />

pantaloni molto stretti); un dise… seguito da<br />

qualsiasi frase come fàte in là, quel che a<br />

vol, ecc… per falso significato del numero che<br />

in dialetto fa pure undise.<br />

12. I (dodise) apostoli.<br />

13. <strong>La</strong> morte (C); ponto de Giuda (P); Santantonio<br />

de Padova o Santa Lucia (D) (per il calendario:<br />

13 giugno e 13 dicembre).<br />

14. El diavolo (C); le opere de misericordia (V); le<br />

cròdeghe (A) (cotiche).<br />

15. Quindi…xe cussì (A).<br />

16. Se dise e no se schersa/no se parla (A).<br />

17. Desgrassià (C).<br />

18. <strong>La</strong> fame del disdòto (D) (ultimo anno della<br />

Grande Guerra), sangue (C).<br />

19. Sanasàrio (D) (la festa del patrono della città,<br />

19 giugno).<br />

20. <strong>La</strong> flica (V) (così veniva chiamata la moneta<br />

austriaca da venti centesimi).<br />

21. I ‘nberiaghi (C) (gli ubriachi).<br />

22. I do zomei (F) (gemelli); le do anerete (F) (i due<br />

anatroccoli); Se-tanta-sete hai…vin-ti-do (A).<br />

23. Il culiseo (F); Silele canpanele per andar in<br />

farmacia, tichete tachete scanpa via (V)<br />

(motivo non chiaro).<br />

24. L’afito de casa (D); Fora de casa! (D) (il 24<br />

40<br />

di agosto scadevano i contratti di affitto; si<br />

vedevano circolare carretti con masserizie per<br />

cui il cassetto di cucina ove si tenevano<br />

gli oggetti vari alla rinfusa: cavatappi, forbici,<br />

cazzuole, ecc. veniva detto el cassetin del 24 de<br />

agosto).<br />

25. Nadal (D); Nosse de arzento (D).<br />

26. San Stefano (D) (26 dicembre).<br />

27. Zorno de paga (D).<br />

28. <strong>La</strong> titola (F) (dolce pasquale la cui forma a<br />

treccia con uno o più uovi, poteva richiamarsi al<br />

numero).<br />

29. Sanpiero (D) (29 giugno).<br />

30. El popolo (C); el gobo (C); Bepi Trenta (P)<br />

(s.n.); el gobo col saco (F).<br />

31. <strong>La</strong> rasòn o anche duti la vol ‘ver! (sempre<br />

sottinteso ‘la ragione’, dal detto: Ti ga fato<br />

trenta, fa trentùn! Intendendo: “Hai avuto<br />

ragione finora, non passare dalla parte<br />

del torto”, da un gioco delle carte, sul tipo del<br />

‘settemezzo’, ove il punteggio massimo è 31(V).<br />

32. El fredo in Toscana (D); Tre do…che fa sìe (A).<br />

33. I ani de Cristo (D).<br />

34. Tre careghe (F) (il quattro scritto a mano<br />

somiglia ad una sedia).<br />

35. Le tre gobe (F)<br />

36. Trentasei, i tre usei (R); tre sìe fa disdòto, altre<br />

do bale col fagoto (R).<br />

37. Tre sete…che no fa vintiùn. (A); trentassete, la<br />

polenta tajada a fete (R).<br />

38. Chi che ciama xe un simioto (intervento esterno)<br />

(R).<br />

39. <strong>La</strong> forca (C).<br />

40. Mi cago e ti guanta (R) (commento esteso<br />

all’uscita di tutti i numeri in -anta).<br />

41. Qua ràntega ùn (‘qui rantola uno’) (A); el gloria<br />

del salmo (V) (allusione di riferimento<br />

religioso).<br />

42. I pedoci (C).<br />

43. Tre careghe rebaltade (F) (cfr. 34); la finestra<br />

(C).<br />

44. Cacaracà (A); do careghe (F).<br />

45. Meso cartelòn (V) (i giocatori hanno una o più<br />

cartelle, ognuna di 15 numeri, chi leva le bale ha<br />

el cartelon con tutti i 90 numeri); el morto<br />

resussità (C).<br />

46. <strong>La</strong> morte inberiaga (C) (‘ubriaca’, che non<br />

appartiene alla cabala, ma va spesso connessa<br />

per ironizzare sulla morte).<br />

47. Morto che parla (C); secondo annotazioni di<br />

Gavardo Dona morta che parla (C).


48. Omo morto che parla (C).<br />

49. Carega nova (A).<br />

50. Mezo secolo de gloria (D); le nosse de oro (D).<br />

51. <strong>La</strong> farsòra e el manego (F); quindise ala roversa<br />

(F).<br />

52. <strong>La</strong> màre (C).<br />

53. Le pignate (C) ovvero la salata (C).<br />

54. Merda (C).<br />

55. Le tete (F); finfunfunsi (A) (dal tedesco); le<br />

cacuce (F).<br />

56. Le scarpete cole rosete (C); le ciave (C).<br />

57. Consapignate (C ).<br />

58. <strong>La</strong> morte del’oca (V) (nel popolare ‘gioco<br />

dell’oca’ la morte figura alla casella 58).<br />

59. Casa mia (C).<br />

60. Se-sàlta, co’ se bala (A).<br />

61. Se salta con un (A).<br />

62. Se salta con do (e così via per tutta la decina)<br />

(A).<br />

63. Sposalissio co’ la dota a metà (C).<br />

64. <strong>La</strong> corona dela regina (C).<br />

65. Dona gràvia (incinta) (C).<br />

66. I do parsuti (F); i parsuti soto i travi (F).<br />

67. El parsuto inpicà sula forca (F).<br />

68. Se no zogo no ciapo al loto (R).<br />

69. Su e zo per Calegaria (V).<br />

70. Porta Pia (D) (anno della presa di Roma); se-<br />

tanta forza hai, fora con mi tu vai (A).<br />

IL QUIZ<br />

<strong>La</strong> città<br />

71. Fenocio e lingua, el magnar de la Sénsa (V)<br />

(pietanza tradizionale della festa<br />

dell’Ascensione).<br />

72. Nessuna voce per <strong>Capodistria</strong> (Babudri porta la<br />

Madona per Trieste e la mazurca per Muggia).<br />

73. I caponi (C).<br />

74. El bacolo (scarafaggio) (C).<br />

75. Baso de morto (C); nosse de diamanti (D).<br />

76. Se-tanta-sei, fate a véder (A); le babe senti i<br />

pùlisi (V).<br />

77. Le ganbe dele donete (R).<br />

78. El mejo numero del loto (R) (a Pirano i tòteni<br />

del Papa).<br />

79. <strong>La</strong> regata cole scove (R).<br />

80. O-tanta-speransa (A); le àneme del purgatorio<br />

(C).<br />

81. El sior col baston (F).<br />

82. Andar a caval (C).<br />

83. El leto (C).<br />

84. <strong>La</strong> cesa (C).<br />

85. El dotor (C).<br />

86. I vòvi (uova) col parsuto (F).<br />

87. O-tanta-sete, deme de bever (A); le savate<br />

sbregade (C).<br />

88. I ociai del Papa (F).<br />

89. <strong>La</strong> rivolussion in Francia (D); le montagne (C).<br />

90. El nono (V); el vecio (V); el più vecio (V) (il<br />

numero più alto della tombola).<br />

Nello scorso numero vi avevamo chiesto di localizzare le tre formelle in pietra bianca. Il libro omaggio va questa<br />

volta al signor Mario Perini di Trieste che così ci scrive: “Da capodistriano di S.Pieri, credo di aver individuato sulla<br />

facciata dello stabile (di fronte al Montaron) di via Martin Krpan le tre formelle rappresentanti a mio avviso San<br />

Luigi Gonzaga, la Vergine col Bambino e San Bastian”. Per la prossima volta vi invitiamo a scrivere sul tema del<br />

confine. Ricordi, aneddoti, pensieri sul “bloco”. Che non c’è più.<br />

41


<strong>La</strong> città<br />

1 settembre - Mostra personale del fotografo fiumano<br />

Rino Gropuzzo nell'ambito di »TriesteèFotografia<br />

– Identità e differenze a geometria variabile”.<br />

Allestimento espositivo realizzato in collaborazione<br />

con l'Associazione culturale Juliet.<br />

4 ottobre – Conferenza: “Antonio Gramsci –<br />

Intellettuale del domani: nel 70mo anniversario della<br />

morte”. Evento organizzato in collaborazione con le<br />

Associazioni “Il pane e le rose”, “Circolo Istria” e la<br />

rivista “Il calendario del Popolo”.<br />

10 ottobre – Escursione organizzata dalla Comunità<br />

con un itinerario in Ciceria e tappa finale a <strong>La</strong>urana<br />

in occasione della “Marunada”.<br />

19 ottobre – Presentazione del libro del giornalista<br />

Silvio Maranzana dal titolo “Trieste, salta il confine:<br />

dal crollo del comunismo all’Europa allargata, fino<br />

all’Islam”. Evento organizzato in collaborazione con<br />

l’Associazione “Il pane e le rose”.<br />

24 ottobre – Mostra degli artisti Rajko Apollonio e<br />

Joso Knez. Evento organizzato in collaborazione<br />

con l’Associazione “Capris”.<br />

25 ottobre – Tavola rotonda dal titolo “Austria…<br />

felix? – L’Istria sotto la dominazione asburgica”.<br />

26 ottobre – Mostra fotografica “In – discrezioni:<br />

Volti del Dramma Italiano” di Rino Gropuzzo e<br />

rappresentazione teatrale del Dramma italiano di<br />

Fiume che porta in scena al teatro di <strong>Capodistria</strong><br />

“Goldoni Terminus” di E. Erba, T. Štivičić e R.<br />

Zink.<br />

9 novembre – Torneo di tressette e serata sociale in<br />

occasione della festa di S. Martino.<br />

19 novembre – Presentazione del volume XXVII della<br />

Collana degli Atti del Centro di Ricerche Storiche di<br />

Rovigno “L’Istria nella prima età bizantina”, autore<br />

Andrej Novak. <strong>La</strong> presentazione libraria è stata<br />

realizzata in collaborazione con il CRS di Rovigno e<br />

l’Archivio Regionale di <strong>Capodistria</strong>.<br />

22 novembre – Mostra collettiva nell’ambito del<br />

Progetto internazionale di arti visive “<strong>La</strong>boratori<br />

artistici multi-disciplinari – INTERARS”.<br />

Allestimento espositivo realizzato in collaborazione<br />

con l’Unione Italiana e l’Associazione culturale<br />

“Kons”.<br />

29 novembre – Presentazione del volume<br />

“Protestantesimo in Istria” di Antonio Miculian.<br />

Presentazione libraria realizzata in collaborazione<br />

con l’Associazione “Histria” e la facoltà di Studi<br />

42<br />

Da settembre a Capodanno.<br />

Le attività alla CI di <strong>Capodistria</strong><br />

Umanistici dell’Università del Litorale.<br />

10 dicembre – Spettacolo teatrale “Le tre verità<br />

di Cesira” rappresentato dalla Compagnia Pupi<br />

e fresedde – Teatro di Rifredi – Teatro stabile di<br />

innovazione. Rappresentazione teatrale realizzata<br />

in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura<br />

a Lubiana e il Consolato Generale d’Italia a<br />

<strong>Capodistria</strong>.<br />

18 dicembre – Spettacolo scolastico di fine anno.<br />

Manifestazione organizzata in collaborazione con la<br />

Scuola elementare “Pier Paolo Vergerio il Vecchio”.<br />

21 dicembre – Gran galà melodico italiano con il<br />

pianista Milko Čočev e intrattenimento augurale in<br />

prossimità delle Feste.<br />

28 dicembre – Spettacolo all'Auditorio di Portorose:<br />

»Fermi tutti…è Capodanno!”, rassegna comicomusicale<br />

organizzata in collaborazione con la CI di<br />

Pirano e Tv <strong>Capodistria</strong>.<br />

Commemorazione del Beato Monaldo, sopra<br />

nella chiesa capodistriana di S.Anna, sotto in<br />

quella triestina di S.Maria Maggiore dove ne sono<br />

conservate le reliquie (foto: D. Gregorič)


Bertocchi<br />

V. Incontro delle tre regioni<br />

<strong>La</strong> Comunità degli Italiani di Bertocchi nella<br />

sera del primo dicembre ha organizzato il quinto<br />

Incontro delle tre regioni inaugurando così l’inizio<br />

del mese più dolce dell’anno che trascina con se<br />

l’inverno col suo pungente freddo ma anche le<br />

festività che invece riscaldano il cuore e portano<br />

tanta gioia. Anche quest’anno l’obiettivo principale<br />

della manifestazione è stato quello di unire realtà<br />

amatoriale dei paesi confinanti e promuovere ancora<br />

una volta un messaggio importante cioè quello<br />

della solidarietà e della convivenza tra genti di<br />

culture e lingue diverse. Ospiti di quest’anno, oltre<br />

all’ospitante coro “Ginestra-Brnistra”, le “<strong>La</strong>ttaie” di<br />

Valmarin che hanno presentato in modo divertente la<br />

realtà delle donne che vendevano il latte a Trieste, il<br />

gruppo vocale “Evergreen” della CI di Momiano, il<br />

Gruppo vocale femminile dell’Associazione culturale<br />

ungherese “Baráti Kör” di Murska Sobota (foto), il<br />

coro “Sveti Jernej” di Opicina e, a concludere, il<br />

“Trio mandolino” di Pirano.<br />

<strong>La</strong> CI di Bertocchi, anche in questa quinta edizione<br />

ha colpito nel centro, con una sala gremita di gente<br />

che per un’ora e mezza ha potuto apprezzare realtà<br />

amatoriali diverse. Ciò sta a dimostrare che la musica,<br />

il canto ossia l’arte in genere non ha confine e riesce<br />

riunire popoli differenti. Di ciò ne è prova il modo in<br />

cui si è concluso l’incontro ossia in una cena dove i<br />

gruppi ospiti hanno continuato a cantare nelle loro<br />

lingue ma anche in quelli degli altri dimostrando così<br />

che le origini, la storia o la cultura non rappresentano<br />

una frontiera tra gli uomini che hanno voglia di<br />

divertirsi insieme.<br />

Roberta Vincoletto<br />

Bertocchi. Gruppo folkloristico femminile della<br />

Comunità ungherese del Prekmurje<br />

<strong>La</strong> città<br />

Crevatini<br />

LA CHIESETTA DI S.COLOMBANO<br />

A Sud del monte di S.Michele, tra Chiampore<br />

e S.Brigida, un gruppo di case porta il nome di<br />

S.Colomban. Da qui si gode di una vista stupenda<br />

sulla valle di S.Bartolomeo, vista che si spinge fino<br />

a Salvore.<br />

Anche a S.Colomban esisteva un romitorio dove<br />

i pellegrini sostavano e si rifocillavano. Pellegrini<br />

che giungevano dall’Europa centrale e danubiana<br />

per imbarcarsi diretti in Terra Santa oppure ai<br />

Santuari italiani. Qualche decennio fa nella casa<br />

dove vivevano i coniugi Pierin e Maria, furono<br />

rinvenuti frammenti di un affresco che raffigurava il<br />

busto di un uomo con una bisaccia in spalla: forse<br />

uno dei tanti pellegrini transitati per quel romitorio.<br />

L’edificio infatti fino a pochi anni fa sembrava essere<br />

stato parte di un convento in quanto le costruzioni a<br />

forma rettangolare ricordavano un chiostro. Questo<br />

edificio era probabilmente collegato alla vicina<br />

chiesetta di S.Colombano l’unica in tutta l’Istria ad<br />

essere dedicata a questo santo di origine irlandese del<br />

VI sec.<br />

Nel 1939 un forte temporale accompagnato da<br />

raffiche di bora fece crollare il tetto della chiesetta.<br />

In seguito l’incuria e le intemperie fecero sì che<br />

crollassero le mura principali, rimase la facciata con<br />

il portale in legno e l’abside. Questi ruderi furono<br />

spazzati via dalle ruspe negli anni ’90.<br />

Poco discosto dalla chiesetta passava una strada<br />

romana. In alcuni punti vennero scoperte alcune<br />

tombe sempre di epoca romana e un contadino<br />

arando il suo podere rinvenne delle fondamenta di<br />

costruzioni antiche.<br />

Su di una facciata dell’edificio della chiesetta si<br />

notava murata una lapide con la seguente iscrizione:<br />

P- DOMITIUS. ASBESTUS.<br />

ET. FESTA PERENTES<br />

CERIALI-FILIO. ANNORUM<br />

XX.D.S.D.<br />

Come molte chiese anche questa è probabile che sia<br />

sorta su suolo e con materiali di templi pagani.<br />

<strong>La</strong>voro di ricerca del gruppo di ricerche<br />

toponomastiche della CI di Crevatini.<br />

Mentore: Maria Pia Casagrande<br />

43


<strong>La</strong> città<br />

Caro Alberto,<br />

ti te ricordi quante volte che vemo parlà del presente<br />

sai intrigà e del tempo andà, ancora più intrigà<br />

dela nostra Istria, tipica “tera de confin”. Magari al<br />

“Circolo”, davanti a una cicara de café o una bicicleta.<br />

Forse sai meno vemo parlà del suo futuro. Fassevo<br />

questa considerazione sentà, vissin al finestrin, in un<br />

aereo che me riportava zo, de ritorno de un viagio<br />

nei paesi baltici. Ripensavo ai nostri discorsi perché<br />

quando li fassevo con ti, me pareva che la “nostra”,<br />

jera una tera de confin che più “confin” de cussì no<br />

se podeva ‘ver. E invesse dopo esser stado per un<br />

poco de tempo in quei tre paesi de lassù, vissin ala<br />

Finlandia e ala Russia, me son reso conto che ghe xe<br />

dele tere de confin, più confin dela nostra. De noi xe<br />

miscianze linguistiche, etniche, storiche. <strong>La</strong>ssù oltre<br />

a trovar dute queste, ghe xe anche quele religiose e,<br />

in qualche caso, ste ultime le pol diventar motivo de<br />

scontro ancora più facilmente dele altre.<br />

Noi gavemo (o almeno mi ‘vevo) l’idea che quei<br />

paesi i formava un duto unico, omogeneo. Li gavemo<br />

sempre considerai cussì anche perché le ultime<br />

vicende storiche li vedeva accumunai in un’unica<br />

sorte. Po’ ghe xe la tera duta piata, in duti tre i paesi<br />

e anche oltre, sensa monti e solo con qualche colina<br />

de infime dimensioni, quasi un brufolo sula pele lissa<br />

de una bela dona. E invesse anche el paesaggio se<br />

mostra diverso, nonostante la pianura comune. Sai<br />

44<br />

“Letere dal Siam”<br />

Considerassioni, dopo el ritorno dai “paesi baltici”<br />

Bangkok, 24 Ottobre 2007<br />

Tallinn (Estonia)<br />

Tipiche case mercantili di tipo anseatico, nella<br />

piazza del centro storico. Bottega sotto, abitazione<br />

sopra e la trave che esce dal colmo per sostenere la<br />

carrucola che tirava su la merce fino nel solaio.<br />

boscoso a nord, in Estonia, con grandi laghi, fin<br />

squasi a diventar nudo e, per mi , anche un poco<br />

triste nel sud (Lituania). Tanta costa de mar nei due<br />

paesi più a Nord, tanto poca in Lituania. Paesi che no<br />

‘veva mai avudo una storia indipendente e un altro,<br />

la Lituania, che insieme ala Polonia, la jera diventada<br />

Riga (Lettonia)<br />

Il municipio. Ma attenzione, gli edifici della zona sono<br />

stati tutti distrutti dai Tedeschi durante l’invasione<br />

nazista e sono stati ricostruiti identici al passato, ma<br />

solo nella facciata. L’interno è modernissimo<br />

un stato importante, nell’Est Europeo, fin a rivar a<br />

dimensioni notevoli. Pochi se ricorda che la rivava<br />

dal Baltico al Mar Nero, compresa l’Ucraina. Che<br />

i famosi Jagelloni, che ‘veva anche fondà la prima<br />

università polacca (a Cracovia) i jera lituani. Girando<br />

per la Lituania ti vedi una infinità de ciese e in tante<br />

de quel se trova ricordi del passagio de papa Woitiła.<br />

O perché al à dito una messa, o per aver pregà su<br />

un dei so altari. Jera un papa viagiator, ma pochi sa<br />

dela sua predilesion per la Lituania, non solo perché<br />

la jera e la xe cattolicissima, ma soraduto perché so<br />

mare jera lituana. Bon, dalla cattolicissima, forse un<br />

poco troppo bigotta, Lituania, rivemo in Estonia,<br />

dove circa el 40% dei citadini i se dichiara atei, i altri<br />

xe protestanti o ortodossi e in duto lo stato se trova<br />

solo 6000 batesai nele ciese catoliche. Passando per<br />

la Lettonia, dove la situasion sta a metà fra Lituania e<br />

Estonia, ma con prevalensa dele religioni protestante<br />

e ortodossa, con una bona minoranza catolica. Za qua<br />

vedemo una forbice de situasioni, qualche volta anche<br />

preocupante. Agiungemo el fato, duto da considerar


a parte, della presenza, fin a sessantasinque ani fa, de<br />

una grossa presenza ebrea, ogi praticamente sparida,<br />

o mejo, fata sparir.<br />

Mi vevo seguì pochi ani fa, in Polonia, un corso su la<br />

Shoah, l’Olocausto ebraico, e la storia dei ebrei me<br />

‘veva sempre incuriosì. Ti devi pensar che Vilnius,<br />

la capitale lituana de ‘desso, la veva bu 105 sinagohe<br />

e ogi ghe xe restada in pié una sola e praticamente<br />

voda. I la ciamava la “Piccola Gerusalemme” e<br />

questo xe za eloquente. Adesso no ti trovi un ebreo!!<br />

Più ciaro de cussì!<br />

Comincemo subito da questo punto, anche in<br />

considerasion dei miei studi passai. Scomisiemo<br />

dal Nord (Estonia). Passeggio per la Cittadella de<br />

Tallin, costruida su uno dei pochi “brufoli” che<br />

vemo dito prima e trovo una lapide che ricorda il<br />

“massacro” di <strong>citta</strong>dini estoni, causato dalla feroce<br />

repressione sovietica. Un elenco de una ventina de<br />

nomi. Savendo che anca in Estonia i Ebrei i ‘veva<br />

fato una bruta fine, me son dimandà se anche a quel<br />

massacro, el governo estone al ‘veva dedicà qualche<br />

lapide. Gnente de gnente!<br />

Passando per Riga, dove ‘vevo una guida a dir poco<br />

favolosa per mole de conoscenze e che al jera anche<br />

amichevole (un russo), me son permesso de dimandar<br />

dove jera stadi deportai i Ebrei lettoni. <strong>La</strong> guida<br />

(Dimitri) al m’à vardà come se varda una bestia rara<br />

e dopo un poco (forse al pensava che schersavo o che<br />

lo volevo provocar) al me rispondi: “non sono stati<br />

deportati ….., sono stati massacrati sul posto”.<br />

A Vilnius (Lituania) non go dimandà gnente, go<br />

solo sentido dir de la guida (lituana puro sangue ed<br />

anche un poco fanatica) che i Ebrei lituani ai jera<br />

stai massacrai dai tedeschi. Za durante el mio corso<br />

in Polonia ‘vevo imparà che i aguzzini più feroci<br />

nei <strong>La</strong>ger nazisti, jera stai i Lituani e i Ucraini, ma<br />

dopo go leto un bel libro scrito de un triestin, Livio<br />

Sirovich, fio de un triestin (cognome italianiza in<br />

Siro, po’ tornà Sirovich) e de una ebrea lituana che<br />

el Siro-Sirovich veva conossù in Palestina e che la<br />

‘veva portada a Trieste. El titolo (sensa voler far la<br />

reclam del libro) xe “Cari, non scrivetemi tutto ……”<br />

Ma quel che i suoi cari ghe ga scrito a quela siora,<br />

jera za abastansa. Vojo solo citar un per de frasi:<br />

Il massacro si protrae per buona parte della notte:<br />

la mattina del 26 si contano circa 1500 morti.<br />

Anche in centro molte vie e piazze diventano teatro<br />

di esecuzioni sommarie e di torture che – come<br />

registrano le successive testimonianze dei militari<br />

tedeschi che vi assistettero – danno il voltastomaco<br />

anche ai veterani della campagna di Polonia. ……….<br />

<strong>La</strong> città<br />

è all'opera una squadra di lituani capeggiata da un<br />

ragazzone sui venticinque anni. ……. «<strong>La</strong> gente<br />

applaude, ride con entusiasmo, grida ripetutamente<br />

"bravi!" all'indirizzo del giovanotto e dei suoi<br />

aiutanti» con la fascia al braccio. Gli ebrei vengono<br />

condotti nel piazzale a gruppi. Li fanno stendere a<br />

terra uno accanto all'altro; quindi gli sfracellano il<br />

cranio con tubi di ferro. E così avanti. «Prima di<br />

venire uccisi» scrive nel suo rapporto un caporale<br />

della 562 a compagnia panificatori della Wehrmacht<br />

«molti ebrei pregano e mormorano qualcosa tra sé.<br />

……. «Dopo che tutti furono uccisi» hanno narrato<br />

altri testimoni «il giovane mise da parte la sbarra,<br />

prese una fisarmonica e, mentre la folla applaudiva<br />

e si univa al canto, sistematosi sul mucchio di<br />

cadaveri, suonò l'inno nazionale lituano.» Nei giorni<br />

successivi, ai 1500 morti di Slobodka si aggiungono<br />

altre 2300 vittime.<br />

Zontemo ancora el fato che el vescovo ausiliare<br />

cattolico Vincentas Brizgys, al ‘veva ordinà ai<br />

sacerdoti dela sua diocesi, de no aiudar le famiglie<br />

ebree perseguitade. Ma per la nostra guida lituana,<br />

jera sta fato duto dai tedeschi.<br />

Altri problemi per motivi etnici. In Estonia ghe<br />

xe una forte presenza russa. In parte preesistente<br />

all’URSS. A Tallin la percentuale dei Russi, la riva<br />

al 40%, quasi identica a quela dei estoni stessi. I altri<br />

xe de altre nazionalità. Sembra duto tranquilo, ma<br />

Ivan, la guida me fa notar che la paxe aparente no xe<br />

fruto de comprensione, ma solo del fato che un grupo<br />

etnico “ignora” completamente l’altro. El m’à fato<br />

anca notar che, praticamente, no esisti matrimoni<br />

Riga (Lettonia)<br />

Lo stile predominante a Riga è il liberty. Gran<br />

parte gli edifici di questo quartiere sono stati<br />

progettati dall’arch. M. Eisenstein che era il<br />

padre del regista sovietico Sergei Eisenstein (il<br />

realizzatore de “la Corazzata Potëmkin”)<br />

45


<strong>La</strong> città<br />

misti. Ogni grupo etnico fa vita a sé, salvo a scontrarse<br />

quando el governo ga volù spostar in zona periferica<br />

el monumento all’Armata Rossa. Ma po’ duto trona<br />

come prima. Mi no te vedo e ti no ti me vedi.<br />

E dopo vemo el fato linguistico. Ognun dei tre<br />

paesi, ga la propria lingua. L’estone addirittura<br />

appartien ala fameja ugro-finnica, imparentà con<br />

el finlandese e con l’ungherese. Le altre do lingue,<br />

completamenmte diverse l’una dall’altra, le fa però<br />

parte de la stessa fameja linguistica, quela dele<br />

lingue baltiche. E qua gavemo una curiosità. Oltre<br />

al Prussian antico, oramai defonto, esisti ancora<br />

do lingue baltiche uficiali: “letone e lituano” e una<br />

ancora parlada ma in via de estinsion. Come de<br />

noi l’istro-rumen. Se trata del curlandese che a suo<br />

tempo la jera una lingua inportante, divisa adiritura<br />

in do “sotolingue” e ‘desso, nel 2004, parlado, squasi<br />

per scomesa, da soli 8 abitanti. Al xe parlà su una<br />

penisola dela costa lituana, ma come lingua al xe più<br />

vissin al lettone.<br />

Po’ no dovemo dismentegar la nobiltà tedesca<br />

dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici che ga costruì<br />

castei in ogni posto e che parlava ovviamente el<br />

tedesco. Ancora prima dela guera jera tanti todeschi<br />

de quele parti (Memel), tanto che questa ultima città<br />

(quela volta za soto la Lituania, come adesso) la jera<br />

citada nell’inno tedesco come el limite orientale del<br />

Grande Reich (von der Maas bis an die Memel =<br />

Dalla Mosa fino al Memel).<br />

Altra curiosità (ma ghe ne saria tante, solo che no<br />

podemo farla tropo longa). Xe una difusa ostilità<br />

contro l’ex Unione Sovietica, ma anche contro la<br />

Russia de ogi, nonostante che gran parte del teritorio<br />

oggi lituano, al sia diventà lituano solo grazie<br />

46<br />

Pärnu (Estonia)<br />

Spiaggia estone. Come spiaggia decisamente poco<br />

invitante (era agosto, verso mezzogiorno, e i lettini<br />

erano tutti liberi”<br />

all’Unione Sovietica.<br />

Comincemo da Klaipeda (ex Memel, che vemo<br />

zà cità). Xe l’unico porto lituan, ma al xe sta fondà<br />

dai Cavalieri Teutonici, quindi tedeschi, intorno al<br />

1250. Po’ col 1422 un tratato ga fissà i confini fra la<br />

Prussia e la Lituania e Memel (Klaipeda, quela volta<br />

se ciamava cussì) xe restada in Prussia fin al 1919,<br />

cioè cinque secoli, salvo un periodo de cinque o sei<br />

ani, che la xe diventada svedese. Dopo la prima guera<br />

mondiale, el tratato de Versailles la ga costituida<br />

come territorio autonomo, sotto occupasion francese<br />

(te ricordi el TLT?)! Ma per poco. Nel 1923, le trupe<br />

lituane la ga ocupada e i Francesi i s’à ritirà. Nel<br />

1939, la xe stada incorporada nel Reich Nazista, fin<br />

ala fin del 1944, quando xe rivada l’Armata Rossa<br />

e la città incorporada nela Repubblica Socialista<br />

Sovietica di Lituania, mentre squasi duti i abitanti de<br />

lingua tedesca i ga esodà e i s’à rifugià in Germania.<br />

Da allora ga sempre fato parte dela Lituania, prima<br />

come parte dell’URSS e dopo come repubblica<br />

indipendente.<br />

Ma questo xe gnente! Vilnius ga una storia ancora<br />

più simile alla nostra. Sorta in una zona, prima abitada<br />

da tribù baltiche, la xe stata abitada da popolazioni<br />

slave e dopo l’XI secolo da Ebrei (ti te ricordi che i la<br />

ciamava la “piccola Gerusalemme”?), ogi duti sparidi<br />

(slavi, ma specialmente i ebrei). Con l’unione fra<br />

Lituania e Polonia, la xe diventada polacca. Centro<br />

de grandi comerci, la cità ga atirado popolazioni de<br />

duti i tipi e la sua missianza la xe cresuda a dismisura,<br />

fin al 1655 quando i Russi la ga ciapada e brusada,<br />

massacrando gran parte dela popolasion. Ma nel<br />

1795, con la famosa spartision dela Polonia, la cità<br />

xe stada anessa ala Russia zarista. Dopo la rivolusion<br />

de otobre e dopo varie vicende (russi, polacchi,<br />

ancora russi), la diventa nel 1919 capitale del novo<br />

stato de la Lituania Centrale indipendente, ma za nel<br />

1922 la ga proclamà l’unione con la Polonia. E la<br />

xe restada soto la Polonia fin al 1939 quando, col<br />

patto Molotov-Ribbentrop, la cità e el suo teritorio i<br />

xe stadi ocupadi dall’Unione Sovietica, che ga dà la<br />

cità e i dintorni a la Lituania. E da alora la xe restada<br />

lituana fin adesso.<br />

Ti ga perso el conto dei passaggi de un stato<br />

all’altro? Un poco come qualche tera de nostra<br />

conosensa.<br />

Naturalmente no go dito che poca roba de quei paesi,<br />

ma se qualchiudun ghe interessa, me pol contatar per<br />

posta eletronica a nalesini@email.si.<br />

Lucio Nalesini


D<br />

Repertorio italiano di corrispondenza<br />

alle voci dialettali capodistriane<br />

da (prep.) – de<br />

dabbene – de sèsto<br />

daccanto – arènte, 'rente<br />

daccapo – de novo, indrìo<br />

daccordo – decòrdi<br />

dado – tanpàgno<br />

dai! – àla!<br />

damerino – scartossèto<br />

damigiana – demjàna, damejàna<br />

danaro – soldo<br />

danza – balo<br />

da parte – desparte<br />

dapprima – prima, de principio<br />

darsena – mandràcio<br />

dattero – dàtolo<br />

davanzale – davansàl, pusiòl<br />

davvero – per vero, per da bon<br />

debole – debolo<br />

decagrammo – deca, deche<br />

decolorare – scolorir, smarir<br />

decomposto – marso, andà de mal<br />

decremento – calo<br />

dedito – uso, (a)bituà<br />

dedurre – cavar; capir<br />

deflagrazione – tiro<br />

defluire – scorer, corer<br />

deformare – inberlàr, slanbràr<br />

deformato – storto, stravirà, scavassà<br />

defunto – defonto<br />

degenerare – rovinarse, butarse mal<br />

degente – malà<br />

deglutire – ingiotìr<br />

degustare – sercar, zercar<br />

delatore – spion<br />

delfino – dolfìn<br />

deliberare – decìder<br />

deliberatamente – apòsta<br />

delicato – dilicato<br />

deludere – cagar su l'amo<br />

deluso – slavassà<br />

demente – mato<br />

demolire – desfàr, desmatàr, butar zo<br />

denaro – soldo, flìca, sgheo, patus<br />

denso – fisso, pengo<br />

dentice (itt.) – dentàl<br />

Tratto dall’appendice al Dizionario storico fraseologico<br />

etimologico del dialetto di <strong>Capodistria</strong> di Giulio Manzini<br />

dentro – drento, int'<br />

denudare – despojar<br />

depennare – scanselar, stricar<br />

deporre – pusar<br />

depositare – meter, salvar<br />

derelitto – bandonà<br />

deriva (nautica) – colonba; tratanàda<br />

derivare – provignir, nasser<br />

descrivere – spiegar, contar<br />

desiderare – voler, bramar<br />

desistere – molar, lassar<br />

destino – distin, sorte<br />

destra – drita, dreta<br />

destro – furbo, svelto<br />

detenere – gaver, tignir<br />

detergere – forbir, netar<br />

detrarre – cavar<br />

detto – dito, modo de dir<br />

di (prep.) – de<br />

dialogare – parlar, discorer<br />

diarrea – mossa, cagarela<br />

diavoleria – diavolèsso, strigaria<br />

diavolo – giàolo<br />

diceria – ciàcola<br />

dietro – da drio<br />

difficoltà – ràdego, ingàio<br />

diffidente – sospetoso<br />

digrossare – sgrezàr<br />

dileggiare – coionar, cior pel cul<br />

diluire – intenperàr, slongar<br />

dimenare – remenar<br />

dimenticare – desmentegar<br />

dimesso – cucio<br />

diminuire – calar, strenzer, scurtar<br />

dimora – casa<br />

dimorare – star<br />

dinanzi – prima, (a)vanti<br />

dintorno – a(torno)<br />

dipanare – destrigar<br />

dipingere – piturar<br />

diradare – s'ciarir<br />

dirigere – menar; pontar<br />

dirimpetto – visavì<br />

diroccato – in rovina, desmatà<br />

dirupo – rivasso<br />

disabitato – svodo<br />

disaccordo – barufa<br />

<strong>La</strong> città<br />

47


<strong>La</strong> città<br />

disadorno – povaro<br />

disagio – pena<br />

discendere – vignir zo, calarse<br />

discernere – veder<br />

discesa – rato in zo; calada<br />

disco – tondolo<br />

discorrere – parlar, ciacolar, rajonar<br />

discrezione – polegana<br />

disdetta – scomio; pegola<br />

disertare – scanpar<br />

disgustoso – cativo, stomegoso<br />

disonesto – inbroion, figura porca<br />

disordine – bordel, casoto, gheto<br />

remitur, batibojo, barafusa<br />

dispensare – dar, spartir<br />

disporre – meter, prontar<br />

disposizione (buona) – anda<br />

dissipare – frajar<br />

dissodamento – scasso<br />

dissodare – meter in lavor, romper<br />

distante – lontan<br />

distendere – destirar<br />

disteso – destirà, trèsso<br />

distintivo – (la) stema<br />

distorcere – storzer<br />

distratto – incantà<br />

distribuire – spartir<br />

disturbare – secar<br />

disturbatore – secabìsi<br />

disubbidire – no scoltar<br />

ditale – sisiàl<br />

dito – deo, den<br />

divellere – cavar, dispiantar<br />

diverbio – quistion<br />

divertimento – bàgolo<br />

divertirsi – bagolàr<br />

divisa – montùra<br />

divorare – slupàr<br />

divulgare – far saver, bater tamburo<br />

dizione – modo de parlar<br />

docile – bon, quàcio<br />

documento – carta<br />

dogarella – palcheto, dogarela<br />

doglia – doja<br />

dolce (agg.) – dolsi, dolso<br />

dolce (sost.) – pasta<br />

dolere – dioler<br />

domandare – dimandar<br />

domani – doman, diman<br />

dondolare – zinzolàr<br />

donnaccia – babàssa<br />

dopo – po, drio<br />

dorato – indorà<br />

dormiglione – dormioto, indorminson<br />

dorso – gròpa<br />

48<br />

dotato – fornì<br />

dote – dota<br />

dotto – studià<br />

dove – indove, andove<br />

drizza (mar.) – ghindasso, mante<br />

drogheria – drogaria<br />

dunque – donca<br />

durevole – che dura<br />

E<br />

è – xe<br />

ebbro – inberiago, ciuco, duro<br />

ebollizione – boio<br />

ebreo – abreo<br />

eccedere – andar oltra<br />

eccessivamente – massa<br />

eccetto – fora che<br />

eccettuare – lassar fora<br />

economo (agg.) – strento, sparagnin<br />

edema – gnoco, susin<br />

edera (veg.) – elera<br />

edificare – far, far su<br />

educazione – creansa<br />

effimero – che no dura<br />

egli (pron.) – lu, el, al, a<br />

eguale – conpagno<br />

elaborare – curar<br />

elastico – astico<br />

elemosinare – far lemosina<br />

elenco – lista<br />

elevare – alsar<br />

elica – propela<br />

eliminare – scartar<br />

elogiare – lodar<br />

eludere – schivar<br />

embrice – copo<br />

emergere – vegnir fora<br />

emicrania – mal de testa<br />

emolumento – paga<br />

emorroidi – maroide<br />

emulazione – rìfa<br />

energia – forsa, polso<br />

entrambi – duti do<br />

entrare – andar (vignir) drento<br />

entrata – entrada, portego<br />

enumerare – contar<br />

epigrafe – scrita<br />

epilessia – mal de San Valentin<br />

epoca – tenpo<br />

epurare – netar, purgar<br />

equipaggiare – fornir, matar, armar<br />

equipaggio – armo<br />

equità – justissia


equivalente – valer conpagno<br />

equivoco – sbalio, falopa<br />

erba medica (veg.) – erbaspagna<br />

ereditare – reditar<br />

eretto – drito<br />

erigere – far, tirar su<br />

erodere – rosegar, smagnar<br />

erpice – arpese, ruspa, graspa<br />

erpicare – grapar, ruspegar, arpegar<br />

errabondo - sìngheno<br />

errore – falopa, capela<br />

erta – rato<br />

esaltato – mato<br />

esaminare – studiar; tamisar<br />

esatto – justo<br />

esaudire – scoltar<br />

esaurire – finir, terminar<br />

esca – (la) lesca<br />

escludere – lassar fora<br />

escoriazione – sgràfo, russada<br />

esente – franco<br />

esibire – mostrar<br />

esibizionista – blaga<br />

esigere – pretender; scòder<br />

esile – sutìl, (metaf.) schìla<br />

esofago – gargàto<br />

esortare – far corajo<br />

esperienza – pratica<br />

esperto – navigà<br />

espiare – pagar<br />

espletare – far<br />

esplicitamente – ciaro, fora dei denti<br />

esplorare – sercar, sbisigàr<br />

esplosione – tiro<br />

esporre – espòner, meter fora<br />

esposizione (a sole o vento) – batùda<br />

espressamente – apòsta<br />

essa – ela<br />

essere umano – cristian, cris'ciàn<br />

essiccare – sugar<br />

esso – lu<br />

est – levante<br />

estate – istà, istade<br />

estendere – slargar<br />

esteriore – de fassàda, de fora<br />

estero – foresto<br />

estirpare ed estrarre – cavar<br />

estremità – cavo, zima, ponta, testa, cào<br />

evaporare – sbanpìr<br />

evitare – scapolàr<br />

F<br />

fabbricato – casa, (spreg. casòn)<br />

<strong>La</strong> città<br />

fabbro – favro, fàvero<br />

faccenda – fassenda, afar, mistièr<br />

faccendiere – fassendon, futissòn, buleghìn<br />

faccia – viso, muso<br />

faccia de… – vis de…<br />

facciata – fassada<br />

facezia – butada<br />

facinoroso – barufante<br />

faggio (bot.) – faghèr<br />

fagiolo (veg.) – fasol, fasiol<br />

fagiolino – fasoleto, tegolina<br />

faina – fuina<br />

falce – (fienaia) sega, siega; (da mietitore) sièsola<br />

falcetto – false, sfalsa<br />

falciare – tajar, sfalsar, (fieno) siegar, (grano) siesolar<br />

falco (ucc.) – falconeto, pojana<br />

falegname – marangòn<br />

falsificazione – inbròio<br />

famiglia – fameja<br />

fanale – feral, fanò, (mar. bonbèta)<br />

fanciullo – putel<br />

fandonia – busìa, bala, fiaba, flòcia<br />

fanghiglia – plòcio, lèca, paciùgo<br />

fango - (mar.) vèlma<br />

fannullone – tirafiaca<br />

farfalla – pinpinela<br />

farmaco – medesìna<br />

faro – feral<br />

fascia – fassa, (di nubi) tressa, (di campo) filagna<br />

fasciame (mar.) – (i)madièri<br />

fasciare – infassàr<br />

fattoria – cortìvo<br />

fattucchiera – striga, butacarte<br />

favilla – falisca<br />

favore – piassèr<br />

favorire – jutàr<br />

febbraio – febràro<br />

febbre – frève<br />

fecondare – (del gallo) galàr, (altri anim.) inpinìr<br />

federa - intimèla<br />

fegato – figà<br />

felicemente – ben, pulito<br />

femmina- femena<br />

fenditura – tajo, s'ciopadura, sfessa<br />

fenomeno – felomeno<br />

feritoia (stradale) – gàtolo<br />

fermaglio – fiuba, fuiba<br />

fermarsi – fermarse, incantarse<br />

fermentare (del mosto) – boìr<br />

fermo – fermo, duro<br />

feroce – cativo<br />

ferro da maglia – gùcia<br />

ferrovia – feràta<br />

fessura – sfessa, comisura, (mar.) chimento<br />

festa – festa, sagra; licòfo<br />

49


<strong>La</strong> città<br />

festoso – lègro<br />

fetore – spussa, tufo<br />

fetta – feta, slepa<br />

fiacca – fiaca, meca, pachèa<br />

fiacco – fiacoso, straco, debolo<br />

fiamma – fiama, banpa (vampa)<br />

fiammata - banpàda<br />

fiammifero – fulminante, forminante<br />

fianco – banda<br />

ficcanaso – furegon, sbisighìn<br />

ficcare – ficàr, cassàr<br />

fico (veg.) – figo (frutto), fighera, figàra (albero)<br />

fidanzarsi – inprometerse<br />

fidanzato – moroso<br />

fienile – fenil<br />

fieno – fen, fien<br />

figlio – fio<br />

figlioccio – fiòsso<br />

filastrocca – tiritera, lòica<br />

filetto (gioco) – trìa<br />

filo – fil, àze<br />

filone – (geol.) vena, (di pane) strussa<br />

fine (agg.) – fin, sutìl<br />

fine (sost.) – fin, finàl<br />

finestra – balcòn<br />

fioccina – fòssena<br />

fiocco – fioco, (mar.) floco<br />

fionda – flonda<br />

fisarmonica – rimònica<br />

fischiare – fis'ciar, subiàr<br />

fischietto – fis'ceto, subioto<br />

fitta – sponta, (delle vertebre) scrico<br />

fitto (agg.) – fisso<br />

fiumana – fiumera<br />

fiutare – nasar, usmàr<br />

flemma – camòma<br />

floscio – fiapo<br />

fluire – corer – filàr<br />

focaccia – fogassa, pinsa, cùguluf<br />

focaccetta (con uovo sodo) – tìtola<br />

focolare – fogoler<br />

fodera – fodra<br />

foderare – fodràr<br />

fodero – fodro, baschèra<br />

folata – refolo, refolada<br />

folgore – lanpo, saieta<br />

folle – mato<br />

folto – fisso<br />

fondere – squaiar<br />

fondiglio – fondo, morcia, fondacio<br />

fondo – fondo, (del mare) el fondi, (salifero) cavedin<br />

forare – sbusàr<br />

forbici – fòrfe<br />

forcata – forcassàda<br />

forcella – forcola<br />

forchetta – piròn<br />

50<br />

forcone – forcàs, forcàl<br />

fofora – paiòla<br />

forma di formaggio – formajèla<br />

formaggio – formàjo<br />

formica – formìgola<br />

fornace – fornàsa<br />

fornaio – fornèr, pistòr, pek<br />

foro – buso, bus<br />

forse – forsi<br />

forte – forte, saldo, stagno<br />

fortunale – neverìn, fortunal<br />

foruncolo – brusco, bugnòn, (se piccolo) brufolo<br />

forzare – sforsàr<br />

foschia – calìgo<br />

fosforescenza marina – ardòr<br />

fossa – fosso<br />

fossetta – gramola<br />

fra (prep.) – infra<br />

fracco – càrego<br />

fradicio – marso, supo, bonbo<br />

fragolino (pesce) – ribòn<br />

fraintendere – stracapìr<br />

frammento – toco, scàia, s'ciànta<br />

franco – libero; sinzier, s'cieto<br />

francobollo – marca<br />

frangia – franza<br />

frantoio – torcio<br />

frasca – frasco<br />

fratello – fradel, fardel<br />

frecciata – tacàda<br />

freno – fren, slàif<br />

fretta – furia, (in f.) de scanpòn<br />

fringuello (ucc.) – montàn<br />

frittata – fritàja<br />

frittella – fritola<br />

fronzolo – pìnpolo<br />

frosone (ucc.) – frisòn<br />

frotta – ciàpo, brigada<br />

frumento – formento<br />

frusta – scùria<br />

frustata – scuriàda<br />

ficile – s'ciopo<br />

fuggire – scanpàr<br />

fuliggine – calìsene<br />

fulmine – fulmene, saieta<br />

fumaiolo – camin<br />

fune – cavo, zima, (spec. mar.) mante,<br />

scota, caregabasso, borina, ghindasso,<br />

alsàna, gegoma, rocheta<br />

funicella – merlìn, sagola<br />

fuoco – fogo, fogaròn, fogarel<br />

furente – fora dei gangheri<br />

furfante – canaja, baraba, inbroion<br />

furto – rubarìa<br />

fusto – mànego, ganba; (in cantina) ordegno


- Francesco Trevisani. Un pittore da<br />

<strong>Capodistria</strong> a Roma<br />

<strong>La</strong> casa ed. Edizioni della<br />

<strong>La</strong>guna di Mariano del Friuli<br />

e Lidia Puliti Pagura ci<br />

regalano la prima monografia<br />

su Francesco Trevisani,<br />

Trevisani<br />

pittore nato a <strong>Capodistria</strong><br />

nel 1656 e morto a Roma nel<br />

1746. Allievo a Venezia di<br />

Antonio Zanchi, giunse presto<br />

a Roma, dove svolse la sua<br />

carriera per intero, nel 1678.<br />

Suo mentore fu il cardinale<br />

veneziano Pietro Ottoboni,<br />

nipote di Alessandro VIII,<br />

uno dei più importanti mecenati del momento. Fu affiliato<br />

all’Accademia dell’Arcadia. Le sue opere si trovano in<br />

importanti musei e collezioni, compresa quella reale<br />

inglese. Fino al 1955 era intitolata a lui l’attuale via dei<br />

Glagoliti (vicino alla posta vecchia).<br />

- L'Istria nella prima età bizantina di<br />

Andrej Novak<br />

Per la Collana degli Atti del centro di ricerche storiche di<br />

Rovigno è uscita la traduzione italiana di “L’Istria nella<br />

prima età bizantina” di Andrej Novak. Il volume è stato<br />

presentato all’Archivio regionale con l’apporto della<br />

nostra Comunità. Di seguito riportiamo alcuni passi della<br />

prefazione al libro firmata da Donata Degrassi.<br />

(…) Se l’epoca bizantina in terra istriana si presenta<br />

ancora “misteriosa”, ciò dipende dal fatto che assai rade<br />

sono le testimonianze che ci parlano di quel periodo.<br />

Pochissime sono le fonti scritte: passi ardui e di difficile<br />

interpretazione, su cui si sono affaticati generazioni di<br />

storici alla ricerca del senso autentico di certi passaggi<br />

ambigui o decisamente oscuri. Più numerose sono le fonti<br />

monumentali e archeologiche, che tuttavia poco ci dicono<br />

se non adeguatamente illuminate da un corpo di scritture<br />

dell’epoca. Ci vuole dunque coraggio e competenza,<br />

perché è necessario avere un bagaglio di conoscenze<br />

vaste e interdisciplinari per affrontare questo nodo storico<br />

(…). Ed è necessaria anche una pazienza proverbiale per<br />

mettere insieme i fili discontinui e spezzati di personaggi<br />

che si ritrovano sporadicamente menzionati qui e là,<br />

magari con epiteti diversi, e ricomporre la loro storia<br />

e il loro significato che ha avuto rispetto alla vicende<br />

complessive.<br />

Di tutto ciò l’autore si dimostra ben provvisto, grazie<br />

Freschi d stampa<br />

<strong>La</strong> città<br />

ad una solida formazione, classica e bizantinistica,<br />

di cui questo libro, tratto dalla tesi di master dal titolo<br />

“Dall’Istria tardoantica a quella bizantina”, costituisce un<br />

frutto esemplare.<br />

- Monografia Pio Riego Gambini e<br />

Associazione Pro hereditate<br />

Quest’anno ricorre il 90.mo<br />

anniversario della battaglia<br />

di Caporetto, simbolo di quel<br />

Fronte isontino che durante<br />

la Prima guerra mondiale<br />

vide cadere sui campi di<br />

battaglia un milione di<br />

persone. Il libro su Pio Riego<br />

Gambini, di Anita Derin per<br />

la Fameia capodistriana, in<br />

200 esemplari numerati, ci<br />

Gambini<br />

racconta del clima dell’epoca<br />

nell’ottica del nazionalismo<br />

italiano di allora, ovvero nell’ottica di quegli istriani<br />

che disertarono l’esercito austriaco per andare a<br />

combattere in quello italiano. Il clima di allora è<br />

ripercorso attraverso documenti e foto d’epoca. Sul<br />

tema della Prima guerra mondiale segnaliamo anche<br />

un sito internet trilingue (italiano, sloveno, inglese) nato<br />

nell’ambito della collaborazione fra storici e semplici<br />

appassionati di storia di Slovenia e Italia. L’indirizzo è<br />

www.prohereditate.com<br />

- Protestantesimo in Istria di<br />

Antonio Miculian<br />

“Protestantizam u Istri (XVI-XVII stoljeće)” – in italiano<br />

“Protestantesimo in Istria (XVI – XVII secolo” – edito lo<br />

scorso anno dalla “Žakan Juri” di Pola 2006. Le 564 pagine<br />

del volume di Antonio Miculian sono il risultato di anni<br />

di ricerca, compiuti presso l’Archivio di Stato di Venezia<br />

(Fondo Sant’Ufficio), l’Archivio arcivescovile di Udine<br />

e l’Archivio Segreto Vaticano di Roma. Grazie anche a<br />

una nuova impostazione, lo storico istriano è riuscito a<br />

penetrare nel cuore della storia socio-religiosa istriana del<br />

XVI-XVII secolo, illustrando quello che fu il credo dei<br />

vari strati della popolazione, dall’élite alle masse urbane e<br />

rurali, italiane, croate e slovene, sempre attente agli eventi<br />

che coinvolgevano le personalità di maggiore spicco o che<br />

si ponevano quali contestatrici delle istituzioni ufficiali,<br />

civili ed ecclesiastiche, senza pertanto rinunciare alle<br />

proprie convinzioni. Ampio spazio al ruolo del vescovo<br />

capodistriano Vergerio, amico di Primož Trubar.<br />

51


<strong>La</strong> città<br />

52<br />

Un artista nostrano da ricordare: Oreste Dequel<br />

Nato a <strong>Capodistria</strong> il 17 agosto del 1923 è stato un grande scultore-pittore. Nella città natia sono<br />

rimaste poche sue opere. Una soltanto è esposta in bella vista a fianco del Municipio, quella di Pier<br />

Paolo Vergerio.<br />

Negli anni 50 del precedente<br />

secolo, due sono stati gli artisti<br />

capodistriani che hanno lasciato<br />

una impronta indelebile nella<br />

storia della civiltà figurativa della<br />

nostra regione: Oreste Dequel<br />

e Jože Pohlen. Ambedue di<br />

straordinaria levatura, ambedue<br />

allievi, nell’immediato dopoguerra<br />

dell’Accademia di belle arti di<br />

Lubiana e considerati i migliori<br />

allievi del professor Frančišek<br />

Smerdu. Nativo di Postumia,<br />

Smerdu, formatosi nella scuola di<br />

Ivan Meštrović, ha saputo fondere<br />

nei suoi allievi gli insegnamenti<br />

di Donatello, di Michelangelo e<br />

di Rodin. Aderente alla figuralità<br />

classica, Smerdu non ha mai<br />

accettato di conformarsi alla<br />

dottrina del realismo socialista.<br />

<strong>La</strong> stima di Smerdu per i due<br />

allievi istriani si è manifestata già<br />

durante il primo anno di studio e in<br />

particolare al momento dell’inizio<br />

dei lavori per la statua del poeta<br />

sloveno France Prešeren, posta sul<br />

piazzale del teatro di Kranj. Infatti<br />

Smerdu aveva scelto proprio<br />

Dequel e Pohlen quali aiutanti per<br />

l’impegnativo lavoro, soggetto<br />

dalla fase iniziale sino alla fine,<br />

a diversi cambiamenti. Questa<br />

prima esperienza pratica è stata<br />

di grande utilità per i due artisti<br />

in formazione. Finita l’opera<br />

monumentale con il professor<br />

Smerdu, i due si sono messi<br />

nuovamente al lavoro, in attesa<br />

del capolavoro, naturalmente<br />

questa volta per proprio conto.<br />

Mentre Dequel aveva conservato<br />

la predilezione per la scultura,<br />

Pohlen si era orientato verso la<br />

pittura. Ancor prima di terminare<br />

gli studi Dequel si era ulteriormente<br />

evoluto, raggiungendo la fama di<br />

ottimo ritrattista. Un suo ritratto di<br />

Tito rimane ancora oggi uno dei<br />

migliori esempi di ritrattistica in<br />

generale. Infatti le ordinazioni del<br />

ritratto e del busto di Tito si erano<br />

susseguite a ritmo ininterrotto.<br />

Terminati gli studi i due si<br />

erano stabiliti a <strong>Capodistria</strong>,<br />

dove dividevano lo studio e una<br />

cameretta nella stessa casa di<br />

residenza di altri artisti dipendenti<br />

di Radio <strong>Capodistria</strong>. L’occasione<br />

di risiedere nello stesso edificio<br />

mi aveva dato la possibilità di<br />

seguire da vicino il suo lavoro e<br />

di parlare spesso dei suoi progetti.<br />

Le conversazioni si concludevano<br />

sempre con una battuta che lo<br />

distingueva nei suoi contatti con<br />

gli amici.<br />

A <strong>Capodistria</strong> aveva iniziato a<br />

sfornare busti e ritratti richiesti<br />

da alcuni enti culturali. Ricordo<br />

che nel ridotto del teatro, su una<br />

mensola, erano sistemati i busti<br />

di Cankar, Prešeren e Verdi; nella<br />

biblioteca <strong>citta</strong>dina ancora i busti di<br />

Cankar, Dante e Verdi. Parecchie<br />

furono poi le ordinazioni private,<br />

fra queste ricordo il busto della<br />

professoressa del Ginnasio italiano<br />

di <strong>Capodistria</strong>, Lidia Steffè, poi<br />

dell’alpinista Sandi Blazina e del<br />

professor Babuder.<br />

<strong>La</strong> grande occasione per la<br />

definitiva affermazione era giunta<br />

quando aveva vinto il concorso<br />

per il busto di Pier Paolo Vergerio,<br />

nunzio e vescovo del XVI secolo.<br />

Alcuni anni più tardi Fulvio<br />

Tomizza rievocò la vita del grande<br />

riformatore capodistriano nel<br />

libro “Il male viene dal Nord”. Il<br />

busto ancor oggi ubicato nel parco<br />

accanto all’edificio del Comune<br />

è l’unica opera di rilievo rimasta<br />

a <strong>Capodistria</strong>. Avrebbe dovuto<br />

essercene un’altra, la statua ai<br />

marinai caduti, ultimata dopo mesi<br />

di intenso lavoro, ma non è mai stata<br />

posta nell’ubicazione inizialmente<br />

prevista. Una commissione di<br />

burocrati l’aveva bollata a causa<br />

della nudità dei due copi. Auguste<br />

Rodin, mitico scultore francese,<br />

così si era pronunciato a proposito:<br />

“Secondo me non esiste una regola<br />

che potrebbe negare allo scultore<br />

di creare opere in un modo<br />

peculiare”. Va ricordato che fra i<br />

migliori nudi di Rodin fanno spicco<br />

“L’uomo in marcia” e “S.Giovanni<br />

Battista”. <strong>La</strong> suddetta scultura di<br />

Oreste Dequel, caduta ben presto<br />

nel dimenticatoio, fu salvata dal<br />

completo danneggiamento grazie<br />

all’intervento di alcuni <strong>citta</strong>dini<br />

di Isola che la posero davanti al<br />

cimitero <strong>citta</strong>dino. A <strong>Capodistria</strong><br />

esiste però la miniatura della<br />

stessa opera, donata da Oreste a<br />

un suo amico.<br />

Dopo il rifiuto della sua opera,<br />

Dequel ha dovuto rassegnarsi a


lasciare il suolo natio e rifugiarsi<br />

a Trieste, per ragioni ancor oggi<br />

oscure. Nel vicino centro della<br />

cultura Mitteleuropea, incontrando<br />

spesso Mascherini, Rosignano,<br />

Soriani e Fulvio Tomizza, era<br />

venuto a conoscenza delle nuove<br />

tendenze stilistiche. A Trieste<br />

la sua permanenza non è stata di<br />

lunga durata. Dopo aver eseguito<br />

“Le bagnanti” ed aver partecipato<br />

alla Biennale di Venezia con<br />

“Le nuotatrici”, concluse la<br />

sua permanenza nel capoluogo<br />

giuliano nel 1959 con la prima<br />

mostra personale alla Galleria<br />

Comunale, trasferendosi poco<br />

dopo a Roma.<br />

<strong>La</strong> fase iniziale del soggiorno nella<br />

capitale è stata piuttosto disagevole.<br />

Lincontro con Mafai gli ha portato<br />

un po’ di sollievo. Mafai lo aveva<br />

introdotto nell’ambiente romano<br />

composto da artisti orientati quasi<br />

esclusivamente all’avanguardia<br />

che però non avevano persuaso<br />

Oreste. Già nel 1962 le sue opere<br />

più ecenti furono esposte nella<br />

Galleria Antea. Nel frattempo<br />

erano iniziati i suoi viaggi in<br />

Europa, negli Stati Uniti ed in<br />

Australia. Spesso si tratteneva<br />

sulla Costa Azzurra, doveva aveva<br />

acquistato una torre centenaria<br />

adibita a studio.<br />

Nel 1971 alcune sue opere,<br />

scaturite dalle sue laboriose mani<br />

proprio nella torre, sono state<br />

esposte nella vicina città di St.<br />

Paul de Vence. Negli Stati Uniti la<br />

prima mostra personale ebbe luogo<br />

nel 1969 a Chicago., dove Dequel<br />

si era ripresentato nella Galleria<br />

Oechsclaeger, ancora nel 1973 e<br />

nel ’76. <strong>La</strong> più importante mostra<br />

personale dell’artista capodistriano<br />

negli USA fu inaugurata nel 1980<br />

a Danville, in Virginia. Fra le 40<br />

opere esposte nel palazzo, dove<br />

fu firmata la pace alla fine della<br />

guerra fratricida fra Nord e Sud,<br />

c’erano per la primo volta due<br />

gatti, uno di anice e l’altro di tufo.<br />

<strong>La</strong> passione per i mici durava da<br />

parecchio tempo e Oreste non se<br />

ne faceva un vanto e nemmeno<br />

una vergogna. Estroverso com’era<br />

si presentava spesso: “Oreste<br />

Dequel, di professione gattaio”.<br />

Le altre opere esposte a Danville<br />

rappresentavano il meglio della<br />

sua crescita artistica dell’ultimo<br />

decennio.<br />

Le ultime mostre, prima della<br />

sua prematura morte, furono<br />

In memoriam<br />

Primo Bertok (1933 - 2007)<br />

<strong>La</strong> città<br />

organizzate a Trieste nelle gallerie<br />

Cartesius, Rettori-Tribbio e<br />

Torbandena. L’ultima all’estero,<br />

nella Galleria Artpress di Nizza.<br />

Molte le mostre collettive, molti i<br />

premi. Interessante, fra i primi, il<br />

premio nazionale per il monumento<br />

ai caduti di Mantova, non eseguito!<br />

Si era ripetuta insomma la storia<br />

di <strong>Capodistria</strong>.<br />

Dequel, sportivo in gioventù,<br />

aveva ricevuto un primo premio<br />

per una statua posta nella sede<br />

del CONI a Roma. Altri premi<br />

ancora a Potenza, Assisi, Lecce ed<br />

infine il primo premio nazionale<br />

– Monumento di scultura in pietra<br />

– per la Biblioteca Centrale di<br />

Roma.<br />

Oreste Dequel si spegne il 27<br />

marzo 1985.<br />

Ferdi Vidmar<br />

<strong>La</strong> consorte Maria assieme ai figli Susanna e Mauro, ringrazia di<br />

cuore la Comunità per essere stata loro così vicina nei momenti<br />

più dolorosi, in particolar modo i coniugi Lino e Zdenka Cernaz, i<br />

coniugi Gianni e Milia Pellizer, nonché la sig.a Ondina Gregorich.<br />

53


<strong>La</strong> città<br />

Nell'ambito della Settimana della<br />

cultura italiana l'Università del<br />

Litorale ha organizzato martedì<br />

23 ottobre una serata dedicata<br />

allo scomparso tenore Luciano<br />

Pavarotti. Uno spettacolo d'arte<br />

varia amalgamato tra suoni<br />

recitazioni e disegni ideato da<br />

Nives Zudič Antonič. <strong>La</strong> giovane<br />

attrice Miriam Monica di Pirano<br />

ha condotto la serata illustrando<br />

la vita e l'opera di Pavarotti<br />

accettando di buon grado anche<br />

54<br />

Semedella cambia volto<br />

Omaggio a Pavarotti<br />

alcuni duetti canori assieme al<br />

bravo giovane tenore Neven<br />

Stipanov, anche lui di Pirano. Alla<br />

lavagna luminosa c'era invece la<br />

pittrice Fulvia Zudič che creava<br />

all'istante suggestive immagini<br />

liberando la creatività a seconda<br />

delle canzoni in repertorio.<br />

L'accompagnamento musicale è<br />

stato affidato al maestro Bojan<br />

Glavina al pianoforte e Marsell<br />

Marinšek alla fisarmonica.<br />

In programma famose arie<br />

quali »<strong>La</strong> donna è mobile« del<br />

»Rigoletto« di Giuseppe Verdi,<br />

al »Libiamo« della »Traviata«, a<br />

»Nessun dorma« della »Turandot«<br />

di Puccini, ma anche canzoni di<br />

musica leggera come »Funiculì<br />

funiculà«, »<strong>La</strong> vie en rose«, »Nel<br />

blu dipinto di blu«. Allo spettacolo<br />

era presente anche la nuova<br />

direttrice del Centro di cultura<br />

italiana di Lubiana, dottoressa<br />

Roberta Ferrazza, ed il rettore<br />

uscente dottoressa Lucija Čok.<br />

È in corso a Semedella la demolizione della ex autorimessa<br />

"Slavnik". Le strutture verranno rase al suolo per dar posto<br />

alla strada veloce che collegherà la città con la vicina Isola<br />

attraverso un tunnel sotto il monte San Marco. Con l'intervento<br />

il comune intende anche valorizzare la Secentesca chiesetta<br />

della Madonna delle Grazie, per oltre mezzo secolo rimasta<br />

seminascosta proprio per la presenza dell'autorimessa.<br />

Quando le chiavi<br />

erano piccoli<br />

capolavori<br />

»Aprite quella porta« è il<br />

titolo di una suggestiva<br />

mostra allestita recentemente<br />

dal Museo regionale di<br />

<strong>Capodistria</strong> nella quale sono<br />

stati esposte chiavi e serrature<br />

antiche conservate dallo stesso<br />

museo. Gli oggetti abbracciano<br />

un ampio arco di secoli che<br />

va dal Basso Medioevo<br />

alla fine dell’Ottocento, un<br />

periodo quindi – leggiamo<br />

nella presentazione - “che<br />

per crescenti esigenze di<br />

sicurezza e protezione nonché<br />

di precisione del lavoro, vide<br />

scindersi l’arte del chiavaiolo<br />

da quella del fabbro ferraio<br />

alla quale fu legata all’epoca<br />

delle corporazioni artigianali.<br />

I manufatti testimoniano della<br />

straordinaria maestria dei<br />

fabbri che superando l’ambito<br />

della mera utilità funzionale<br />

di oggetti e meccanismi fece<br />

propri i temi dell’espressione<br />

figurativa quale principio della<br />

creazione artistica”.<br />

L’arte dei chiavaioli raggiunge<br />

il suo apice tra il Seicento<br />

e i Settecento, sia nel senso<br />

creativo che per la sofisticatezza<br />

dei meccanismi delle serrature.<br />

Battenti e maniglie sono spesso<br />

decorati con motivi plastici che<br />

si richiamano a fatti della vita<br />

quotidiana ed alla mitologia.<br />

Gli oggetti presentati in questa<br />

mostra curata da Zvona Ciglič si<br />

trovavano finora nei magazzini<br />

del Museo. Prossimamente si<br />

intende allestirne un’esibizione<br />

permanente. Le foto a colori<br />

sono tratte dal depliant della<br />

mostra.


A) Chiave in ferro battuto del XV sec. Impugnatura<br />

lavorata reticolo con anello appendichiave saldato.<br />

Lunghezza 12,2 cm.<br />

B) Chiave in ferro battuto degli inizi del XVI sec.<br />

Con impugnatura formata da viticci.<br />

Lunghezza 14,5 cm.<br />

Chiavetta d’argento del tabernacolo della chiesa di<br />

Santa Chiara, fine XV sec. Impugnatura trilobata,<br />

lobi decorati con bottoncini. Fusto cavo e lama a<br />

doppia tacca. 6,5 cm.<br />

Bocchetta per serratura in ferro battuto del<br />

XVI sec. A forma di casa in stile rinascimentale<br />

la cui porticina con rosetta chiude l’entrata della<br />

serratura. Alt. 14 cm – larg. 10 cm.<br />

<strong>La</strong> città<br />

A) Chiave di ferro battuto del XVI sec. Era munita di<br />

una piastrina, oggi persa, con l’iscrizione: “Chiave<br />

della antica porta maggiore da Muda conservata per<br />

tradizione dalla fam. Bernetich. 18 cm.<br />

B) Chiave in ferro battuto saldato con rame. In uso<br />

dal XVI al XVIII sec. Impugnatura a forma di cuore,<br />

lama collegata con tripla S. 14,3 cm.<br />

A) Serratura a scrocco per porta in ferro battuto<br />

dell XVII sec. Lung. 39 cm – larg. 16,5.<br />

B) Serratura a scrocco e doppia mandata del<br />

XVIII sec. Lung. 30 cm – larg. 12,3 cm.<br />

Lucchetto in ferro battuto di forma trilobata.<br />

Fine XVII sec. Alt. 15,5 – larg. 11,5 cm.<br />

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Bambini in festa a Crevatini per i 25 anni della<br />

sezione periferica dell’asilo italiano »Delfino blu«.<br />

<strong>La</strong> nave scuola »Amerigo Vespucci« ancorata, il<br />

primo settembre scorso, sotto Porta Isolana.<br />

Nella famiglia Orlando la passione per il mare si tramanda<br />

di generazione in generazione. Ed è così che nonno Olindo<br />

e papà Giuliano hanno contagiato Martina fin da piccola<br />

con l’amore per la vita nel mare. Oggi Martina è entusiasta<br />

di lavorare alla Stazione di biologia marina di Pirano.<br />

Dopo la laurea in Scienze Naturali ed il master in Scienze<br />

Ambientali, recentemente ha concluso il dottorato di<br />

ricerca con una tesi sull’ecologia dei blennidi (o bavose).<br />

Ma le soddisfazioni più grandi a Martina le danno Artur,<br />

Romina e Diego, che in fatto di pesci la sanno già lunga!<br />

In casa Orlando, comunque, quest’anno si è festeggiato<br />

alla grande anche il “fratellino” di Martina, Marco, che si<br />

è laureato alla Facoltà di Economia e Commercio.<br />

Soci della CI di <strong>Capodistria</strong> alla »Marunada« di<br />

<strong>La</strong>urana.<br />

Dean Pellizer, primo classificato all’ex Tempore<br />

delle scuole della CNI, sezione medie-superiori.<br />

Buon Natale e<br />

Felice 2008

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