2009 LUGLIO-SETTEMBRE n. 3 - Centro Studi Val di Sole

ANNO XXXVII - 2009 LUGLIO-SETTEMBRE n. 3
Direttore responsabile: Alberto Mosca - Autorizzazione Tribunale di Trento n° 173 del 10.03.1973 - Spedizione in abbonamento postale - 70% D.C.B. di Trento - Taxe Percue - Tassa Riscossa Malé (TN) - C.C.P. 15926389
Centro Studi
per la Val di Sole
Notiziario
del Centro Studi
per la Val di Sole

SOMMARIO
editoriale
3 I più belli e quelli che sono ancora in tempo
di Alberto Mosca
attività del centro studi
4 A Cogolo, ricordando Quirino Bezzi
di Federica Costanzi
8 Scoprire un mondo chiuso in una valle
di Monica Bertagnolli
8 Bezzi e la sua formazione scolastica
9 A Folgarida il Centro Studi premia Samantha
Cristoforetti
di Federica Costanzi
11 Museo della civiltà solandra: una nuova voce su
Wikipedia
12 Premiazione tesi di laurea: un bilancio
di Marcello Liboni
14 Torna in scena l’Hofer di Bartolomeo del Pero
di Anna Panizza
studi sulla val di sole
16 A Castel Stenico una campana trecentesca di
Caldes
di Mariapia Malanotti
17 Una precisazione sulla scala a chiocciola di
Castel Caldes
di Alberto Mosca
18 Cento ferri da cavallo della comunità di Ossana
al vescovo di Trento
di Domenico Gobbi
20 Una nota di possesso inedita del pittore
Giovanni Marino dalla Torre
di Paolo Dalla Torre
22 Valanghe in val di sole
Un libro di roccia: geologia in Val di Sole (7)
di Giuseppina Zambotti
27 Nel nuovo municipio di Ossana, la lapide di
Matteo Busetti (1570)
28 Un’escursione d’altri tempi
di Silvano Dossi
30 Il turismo: il caso di Pejo Fonti
di Chiara Bezzi
cultura delle valli
32 Fabio Giacomoni
33 Bruno Ruffini
34 Un libro racconta Andreas Hofer nelle valli
del Noce
di Salvatore Ferrari
35 La cucina naturale
di Giuliana Redolfi
socialia
36 Socialia
REALIZZAZIONE GRAFICA E STAMPA:
ag. nitida immagine - cles
CENTRO STUDI PER LA VAL DI SOLE
38027 Malé - c/o Teatro Comunale
(venerdì ore 17.00 - 19.00)
Tel. e fax 0463.903085
c.c.p. 15926389
c.c.b. IBAN IT26 M080 4235 0000 0001 0307 295
Quota sociale euro 20,00
NUMERO SOCI 2100 - TIRATURA COPIE n. 2250
MUSEO DELLA CIVILTÀ SOLANDRA
Malé - Via Trento (ex Pretura) - direttore Federica Costanzi
MUSEO DELLA GUERRA BIANCA
Peio Paese - direttore Maurizio Vicenzi
BIBLIOTECA STORICA
Terzolas - palazzo della “Torraccia”
In copertina:
Un’immagine della “desmalgjadå” di Rabbi dello scorso 20
settembre. (ph. Elisa Podetti)
DIRETTORE RESPONSABILE
Alberto Mosca
albertomosca@albertomosca.it
COMITATO DI REDAZIONE
Rinaldo Delpero
Salvatore Ferrari
Mariapia Malanotti
Anna Panizza
Renato Pellegrini
Onorina Stablum
Romano Stanchina
Fortunato Turrini
HANNO COLLABORATO
Monica Bertagnolli
Isidoro Bertolini
Chiara Bezzi
Raffaella Colbacchini
Federica Costanzi
Paolo Dalla Torre
Domenico Gobbi
Marcello Liboni
Rinaldo Monegatti
Elisa Podetti
Giuliana Redolfi
Lorena Stablum
p. Remo Stenico
Giuseppina Zambotti

I PIÙ BELLI E QUELLI
CHE SONO ANCORA IN TEMPO
La Val di Sole è ancora in tempo: oggi si gioca il suo
futuro, la scelta tra conservare e valorizzare il proprio
“paesaggio sensibile” ovvero distruggere il patrimonio
storico dato da secoli di storia e cultura.
Questa, in estrema sintesi, una delle conclusioni cui
è approdata la recente giornata di studio che Italia
Nostra ha portato a Terzolas per parlare di “paesaggi
sensibili” e in particolare di “paesaggio storico,
risorsa per il futuro” prendendo a riferimento la Val
di Sole. Un tema sul quale torneremo.
Tante sono state le brutture, le violenze, le distruzioni
di memoria portate avanti in questi ultimi
anni, ma tanto rimane intatto e bisognoso di cura
e rispetto, per dare a noi una cultura viva e consapevole
e al turismo quella qualità così necessaria
per vincere le sfide del mercato odierno. Altrimenti
avremo presto tante “pizzerie napoletane” (così è
stata definita casa Framba di Cogolo dopo il devastante
lavoro di “recupero” di qualche anno fa)
e nessuna testimonianza tangibile di secoli di vita
sulla montagna solandra. I relatori, assai qualificati,
hanno mostrato via via l’evoluzione del paesaggio
urbano solandro dalla metà del XIX a oggi, alcuni
casi tra i più eclatanti di malgoverno del paesaggio,
in più di un caso trattati anche sulle pagine della
nostra rivista. In questo senso giova ricordare che,
nel lontano 1999 proprio La Val lanciò un dibattito,
che si rivelò assai vivace e non privo di accenti infuocati,
sulla “metamorfosi di un paesaggio”, con un
convegno dedicato e ricco di contenuti. Purtroppo
in molti casi rimasti lettera morta. Ma il malgoverno
del territorio solandro, è emerso dalla giornata di
studio di Terzolas, è per la maggior parte imputabile
alla fine della tutela del paesaggio a livello comprensoriale:
consegnare ai comuni competenze così
importanti e delicate, caricando le fragili spalle delle
commissioni edilizie della tutela del territorio ha
provocato gravi scompensi, come del resto ammesso
dagli stessi funzionari provinciali presenti come
relatori alla giornata di studio: con buona pace di
chi, anche tra i nostri sindaci, si dice convinto che
in questi ultimi anni non sia accaduto nulla di grave.
Nella speranza che la nuova comunità di valle, ovvero
ritornando ad un modello di gestione sovra-
di Alberto Mosca
3
editoriale
comunale del paesaggio, possa dare quelle risposte
così necessarie. Le decine di esempi proposti, le immagini
eloquenti, ben distribuite lungo tutta la valle,
ci dicono che tanti errori sono stati fatti. Ma ci confermano
altresì che parliamo ancora di episodi, frequenti
sì ma che non sono la normalità. Il messaggio
finale dato dalla giornata è stato positivo: siamo a un
punto di non ritorno, oltre il quale vi può essere la
rovina totale o al contrario una presa di coscienza
che ci permetta di essere i migliori gestori del paesaggio
solandro. Insomma, siamo ancora in tempo.
A patto che amministratori, progettisti, committenti
prendano coscienza dei propri ruoli, accantonando
per sempre quel sistema paesano di commistione
di interesse, quel sottobosco di convenienze che
fanno l’interesse del momento ma ci privano di un
bene di lungo periodo. E a ben vedere il paesaggio è
l’unico vero bene che rimane alla valle, sia in termini
di identità che di vendibilità turistica.
Nel frattempo, a pochi chilometri da noi, altri paesi
trentini, Rango di Bleggio e San Lorenzo in Banale
festeggiavano con oltre 70 delegazioni provenienti
da tutta Italia il quarto “Festival dei Borghi più belli
d’Italia”. Profumi e sapori da tutte le regioni italiane
(mancavano solo Valle d’Aosta e Sardegna) arrivati
per celebrare la capacità di alcuni borghi “i più belli
d’Italia” di mantenersi intatti nella fisionomia data
loro dalla storia e dalla cultura locale. Borghi che
nel passato hanno pagato e duramente, uno stato
di isolamento e di arretratezza che ora diventa la
loro principale ricchezza, una vera e propria miniera
d’oro che li porta a essere conosciuti e valorizzati
a livello nazionale. E nel corso del convegno legato
al Festival, nella cornice di Castel Stenico, il prof.
Massimo De Marchi, docente di geografia sociale
all’Università di Padova, ha sottolineato argomenti
che potremmo fare nostri, nell’ottica di un nuovo
rapporto con il paesaggio. Esso deve diventare, ha
spiegato De Marchi, “patrimonio sociale” degli abitanti
di un luogo, grazie alla costruzione di identità,
unione e partecipazione. Serve che il borgo diventi
proprietà collettiva, paesaggio della cittadinanza: un
paesaggio costruito che sia anche paesaggio sociale.
Perché è di tutti, e tutti ne siamo responsabili.

attività del Centro
A COGOLO, RICORDANDO QUIRINO BEZZI
Lo scorso 24 luglio molti amici di Quirino Bezzi e della
sua famiglia, molti soci e molto pubblico si sono ritrovati
con la signora Alfonsina e figli, Centro Studi e Coro
Sasso Rosso per una serata commemorativa nella bellissima
sala della sede del Parco a Cogolo. Nel 20° anniversario
dalla scomparsa Centro Studi e Coro Sasso
Rosso hanno voluto ricordare insieme il loro Presidente,
uomo di cultura e poeta della montagna. Ci ha fatto
molto piacere vedere la sala gremita.
Ha aperto la serata la sottoscritta ringraziando il Coro
Sasso Rosso per la collaborazione, e ricordando che
oltre ad essere fondatore del Centro Studi e suo Presidente
per vent’anni, poi presidente onorario fino alla
morte, direttore responsabile del notiziario sociale fin
dal primo numero Quirino Bezzi fu per alcuni anni presidente
del Coro Sasso Rosso, nel periodo delle prime,
gloriose trasferte nazionali. Ho poi rivolto un ringraziamento
al Sindaco di Peio ed al Parco per l’ospitalità
ed ho rivolto un saluto particolare alla Val di Peio ed
ai suoi cittadini: come Italo Covi, maletano, fu sempre
legato alla Val di Rabbi, così Quirino Bezzi fu sempre
legato in modo particolare alla Val di Peio ed ai suoi
abitanti: vuoi perché fu per anni gestore del rifugio
Vioz, vuoi per l’amicizia con Odoardo Focherini ed il
loro comune impegno per la costruzione lassù della
Chiesetta più alta d’Europa, vuoi per la passione per la
montagna, o per il suo lungo sodalizio con Giuseppe
Gabrielli, socio originario della Valletta, che dalla sua
dimora ferrarese sempre collaborò con il Centro Studi
in maniera importante,
con articoli su La Val e
pubblicazione di libri, e
per altri motivi ancora.
Ho annunciato che prima
della fine dell’anno
ci sarà un altro appuntamento,
per chiudere
questo 2009 ancora
nel segno di Quirino:
in collaborazione con
l’Amministrazione Comunale
di Ossana si
sta organizzando un
momento di commemorazione
nel suo paese
di Federica Costanzi
Un momento dell’esibizione del Coro Sasso Rosso.
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natale, e per noi sarà l’occasione di presentare un libro
di poesie di Bezzi, da distribuire ai soci.
Il prof. Fantelli, che per lunghi anni ha frequentato il
Presidente Bezzi e che ha preso direttamente dalla sue
mani il Centro Studi per guidarlo per i successivi venti
anni, si è assunto il compito di tracciarne un profilo
personale. Costanzi ha invece voluto spiegare perché
considera importante che il ricordo di Quirino, qui
condiviso da tanti che lo hanno conosciuto, raggiunga
anche coloro che non ebbero la ventura di conoscerlo
o anche solo di incontrarlo. Ecco il mio intervento:
“Sono qui oggi quale successore di Quirino Bezzi in un
ruolo che fu suo per tanti anni, e poi per altrettanti di
Udalrico Fantelli, ma non ho avuto la fortuna di condividere
con lui alcuna esperienza, né umana né culturale,
diversamente che con l’Avv. Covi, nel cui salotto sono
stata di casa fin da piccola; infatti sono rientrata in Val di
Sole dal mio periodo di studi solo nel 1987 ed ho solo
piccoli ricordi personali da portare.
Di lui rammento lo sguardo, sereno, curioso, acuto, furbo,
arguto; la sua barba, candida e curata, molto aristocratica;
ho sempre avuto il dubbio che non possedesse
un’automobile, che forse non avesse neanche mai avuto
la patente e non avesse mai avvertito la necessità di
averla. Il mio primo incontro con lui avvenne a Cusiano,
presso le scuole ENAIP, in occasione di una mostra
dedicata al ditterologo Mario Bezzi. Era il 1977. Avevo
vent’anni e devo confessare che non mi garbò per nulla
essere costretta da mio papà a passare un pomeriggio
estivo a guardare
insetti, per di più morti;
venni poi a sapere
che questo Bezzi, che
veniva indicato come
il più famoso studioso
al mondo di insetti
(così si diceva in quel
convegno, ed io ascoltavo
con molto scetticismo)
era morto
in giovane età a causa
di questa sua passione,
per una puntura
di micidiale cianuro di
potassio che lui usava

per uccidere gli animali oggetto dei suoi studi. Non mi
fece buona impressione.
Rividi Quirino nel 1987 a Malè, in occasione del 20° di
fondazione del Centro Studi, io assessore alla cultura
del Comune, e poi, nello stesso anno, al mio matrimonio,
e del suo regalo di nozze ho già raccontato sullo
scorso numero de La Val.
La mia conoscenza di lui è avvenuta per il tramite di
mio padre Cesare, ma soprattutto attraverso la lettura
dei suoi articoli su La Val e delle sue poesie, che ho imparato
ad apprezzare organizzando le Notti dei Musei:
esse rivelano un animo fiero, montanaro, forte nelle
avversità, saldo negli affetti, un animo delicato, sincero
nell’esprimere i propri sentimenti, riconoscente alle
tradizioni, amante ed ammiratore della natura, specie
di quella della montagna, e di più quella della sua Val
di Sole e del suo Trentino. Vi si legge cultura, amore
per lo studio e la ricerca storica, odio per la retorica,
a volte anche voglia di scherzo e di allegria. Sentiremo
poi alcune delle sue poesie: da esse si alza, potente,
l’immagine di una bella persona e di una personalità
coinvolgente...
Dalle poesie e dagli scritti traspare l’amore infinito di
Quirino Bezzi per la Val di Sole e l’orgoglio per i suoi
personaggi illustri, il desiderio di farli conoscere ed apprezzare;
dalle collaborazioni con il notiziario sociale
e dalle cronache degli eventi organizzati risulta che
Quirino Bezzi, così come Italo Covi, fu capace di coinvolgere
nell’attività del Centro Studi tutte le sue conoscenze,
spesso personaggi eminenti del mondo della
cultura, che ritroviamo nell’elenco dei soci e come firme
di articoli e saggi.
In alcuni suoi versi, scritti il giorno di Ognissanti del
1966, Quirino Bezzi ci lasciò il proprio autoritratto psicologico,
oltre che testamento spirituale, che meglio di
molte parole ci aiutano a capire chi fosse.
QUAND’IO MORIRO’
Quand’io morirò
non seppellitemi nel grande cimitero
della città dall’anonimo volto,
fra gente sconosciuta:
quando morrò riportatemi
fra i miei monti nativi,
ai piedi dei ghiacciai scintillanti,
all’ombra degli abeti,
fra la libera gente
delle mie montagne.
Non mi inchiodate
in una bara pregiata:
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alle mie ossa bastan quattr’assi di larice
ed una croce fatta
di piccozze e ramponi:
risalirò con esse la montagna di Dio
ché salire è pregare e pregare è salire:
O, se volete, sotto
una magica volta di stelle
bruciate su rami di resine odorose
le mie spoglie mortali
in vista delle vette,
e sulla più alta di esse
date le mie ceneri ai venti
delle natìe convalli:
mi sembrerà rivivere con loro
e la grande natura
l’eterno vicendarsi delle stagioni.
Quando morirò mettetemi fra mano
il Vangelo di Cristo
e i Doveri dell’Uomo, del Maestro
di libertà dei popoli:
con essi meno duro
mi parrà il lungo sonno della tomba.
E non corone di fiori
e non false parole;
i fiori li darà la primavera
e le parole le dirà nel cuore
chi di me serberà ricordo ancora.
Quand’io mi spegnerò
non seppellitemi nel grande cimitero
della città senza volto:
portatemi ancora fra i monti:
all’ombra di un’umile croce,
nel luogo ove dormono i padri,
mi sembrerà di rivivere
i sogni belli della vita mia.
attività del Centro
Il sindaco di Peio Angelo Dalpez premia i familiari di Quirino Bezzi: in primo
piano la moglie Alfonsina e il figlio Dario.

attività del Centro
Quirino ci perdonerà
se non siamo stati capaci
di tenere le parole
nel nostro cuore, come
chiedeva nella sua poesia;
molti di noi hanno
desiderato condividere
il suo ricordo, sul notiziario
sociale e in questa
serata, a testimonianza
di grande stima e
di grande affetto.
Un’ultima riflessione:
ricordare il nostro fondatore,
così come abbiamo
fatto due anni fa
per Italo Covi presso il
Museo di Malè, ha un profondo significato anche per i
soci che non l’hanno conosciuto, ed ormai sono tanti:
la metà dei componenti il direttivo è troppo giovane
per aver potuto trarre beneficio dall’influsso della sua
personalità. I soci partecipano alla vita di una di un’associazione
che porta inevitabilmente l’impronta della
sua personalità e delle sue attività: il Centro Studi è
un’associazione che ha maturato esperienza in tanti
anni di vita, ha dimostrato affidabilità, voglia di confrontarsi
con i tempi che cambiano, capacità di cogliere
le istanze del territorio, mantenendo nel tempo
quei valori di autentico volontariato, quei caratteri di
apoliticità e di capacità di cooperare con enti ed altre
associazioni che sono stati i semi gettati da Quirino,
e condivisi dagli altri soci fondatori, semi sparsi in un
terreno che lui, con occhio lungimirante ed attento,
aveva valutato essere adatto e fertile; nel tempo i successori
hanno cercato di mantenere questo terreno
bagnato, concimato e produttivo di frutti, ed è importante,
per noi che dedichiamo al Centro Studi misere
energie rispetto alla foga di Quirino Bezzi e di Italo
Covi, è importante dicevo, di tanto in tanto, ritornare
alle origini, rammentare gli scopi della nostra associazione
e farli nuovamente nostri.
Il filo invisibile che lega tutti noi a Quirino e che ispira
il nostro impegno per il Centro Studi è in fin dei conti
un grande amore per la Val di Sole.
Quirino Bezzi fu sempre fedele ad un insegnamento
di suo padre, che lui tanto amava ed ammirava: “Ara
in profondità, fai il solco diritto”. Questo comandamento,
che per Quirino fu sempre regola di vita, egli
lo applicò anche nella creazione del nostro sodalizio:
anche nel porre le basi del suo e nostro Centro Studi
non fu superficiale o improvvisatore, ma affondò
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l’aratro profondamente,
ed i solchi diritti da
lui tracciati guidano ancora
oggi la nostra strada.
Noi oggi chiediamo
a lui: dal de là aiùtine a
tegner fiss l’arà”.
La serata è proseguita
con l’intervento di
Udalrico Fantelli, del
quale si riporta qui solo
un breve riassunto: il testo
completo verrà pubblicato
sulla prossima
strenna “La Val” che verrà
distribuito ai soci a
fine anno, in calce ad un
articolo su Quirino Bezzi curato dallo stesso Fantelli. A
Cogolo egli ha ricordato le prime occasioni di incontro
alle prime assemblee del Centro Studi, il suo modo
sempre pacato di esprimere le sue ragioni e di difendere
le sue posizioni, le tante serate sui fiori, sui funghi,
sui paesi, le poesie; gli ultimi anni di Quirino, angustiato
dalla sorte del suo Centro Studi, che non doveva finire
nelle mani della “politica”, che non doveva essere fatto
strumento da chicchessia per scopi di pubblicità gratuita,
di scalata politica, di arricchimento in fama o soldi, e
Bezzi, pur candidato alle elezioni politiche, non utilizzò
mai neppure l’indirizzario del Centro Studi per farsi
pubblicità; Fantelli esprime sincera gratitudine perché
Quirino, accettando la sua candidatura, si mostrò certo
che il suo successore non avrebbe tradito i suoi
ideali. Proseguì il suo impegno come presidente onorario,
finchè la salute glielo consentì, e fino all’ultimo fu
prodigo di consigli, che forniva con misura e rispetto,
senza frapporre condizionamenti, continuando ad essere
la vera autorità morale e culturale di riferimento
per tutti. Si dimostrò sempre sicuro che il Centro Studi
avrebbe proseguito sulla linea da lui tracciata.
È seguita la lettura di una lettera inviata dal Prof.
Giovanni Battista Castiglioni, che ricorda il suo primo
incontro con Quirino nel 1942 sulla strada del
rifugio Denza fino alla vetta della Presanella, inizio
di un’amicizia e di una collaborazione che durarono
fino alla morte, costellata da incontri particolari: nel
1946 sul Vioz per l’inaugurazione della Cesòta, negli
anni settanta negli incontri con gli studenti padovani,
il ricordo dell’amicizia con il papà Bruno Castiglioni,
caduto nel 1945, l’amicizia che ancora oggi continua
con la signora Alfonsina e con la sua famiglia; l’Amministrazione
provinciale è stata rappresentata da una

lettera dell’assessore Ugo Rossi, conterraneo di Quirino,
che lo descrive come uomo che ha animato, da
protagonista, l’ambiente culturale del Trentino e della
Val di Sole per lunghi decenni, come uomo che ha lasciato
un’importante eredità. Non solo nei suoi scritti,
alcuni strettamente legati alla sua personale visione
politica ed al Risorgimento italiano, altri alla poesia, per
la maggior parte dedicati alla cultura, alla storia, alle
tradizioni della nostra terra solandra, con sensibilità ed
attenzione ad aspetti che il tempo, senza la sua acuta
ricerca, avrebbe ben presto cancellato; non solo nel
prezioso fondo librario custodito presso la Biblioteca
storica della Torraccia di Terzolas; più di ogni cosa sulla
sua straordinaria capacità di promuovere la vita associativa,
sulla sua volontà di lavorare insieme, su progetti
ambiziosi e lungimiranti come quello del Centro Studi.
Tutto, nell’opera di Quirino, è stato animato da un profondo
amore per la nostra terra e la sua gente. Ricordare
Quirino sia utile anche per rinnovare lo slancio,
l’energia costruttiva, perché è quella a far crescere la
nostra comunità.
Presenza gradita è stata quella del Presidente della Sat,
Piergiorgio Motter, e molto apprezzato il suo intervento
nel quale ha espresso con viva commozione il suo
saluto, ricordando il lungo e concreto impegno di Quirino
all’interno del sodalizio degli Alpinisti Trentini, ed i
suoi molteplici meriti in questo campo.
Credo che in sala ci fossero molte persone che avrebbero
voluto intervenire, con aneddoti e ricordi personali:
mi scuso con loro da queste pagine per non aver
potuto dar loro la parola, ma la serata doveva, e voleva,
lasciare spazio anche al Coro. Il maestro Dalpez ha voluto
ricordare l’entusiasmo di Quirino in veste di presentatore
di alcune serate, il suo impegno e la sua meticolosità
nel preparare la presentazione dei vari canti,
ed ha voluto offrire al pubblico, per la prima volta, la
riduzione corale di una poesia di Quirino armonizzata
proprio per questa occasione da Camillo Dorigatti,
“La Capela del Viòz”, poesia che Quirino aveva voluto
dedicare “agli amici che lavorarono lassù ed a quanti
vi contribuirono”. Colgo l’occasione per ringraziare
Adriano Dalpez, che ancora una volta ha proposto un
programma non casuale e molto apprezzato, ed ha
onorato Quirino proponendo sia il suo Inno alla Val
di Sole che l’Inno al Trentino, ed i coristi, impeccabili
come sempre nell’esecuzione dei canti.
Nell’intermezzo, ricordando i tempi delle “Contre”,
quando la Mostra dell’Artigianato era sempre caratterizzata
dalla lettura di poesie di autori solandri, la sottoscritta
e Giuliana Redolfi hanno letto alcune poesie di
Quirino: La me val, Paesìn de montagna, Saluto ai monti,
7
attività del Centro
I fiori de San Gioàn, Preghiera, Boscaioli, Femene de na
volta, e poi tre poesie che esprimono la vis comica di
Quirino: Capel de alpìn, Dal dentista, La vol sposàr en
sior. Le poesie di Bezzi non sono mai solo descrittive
dei luoghi o della natura: in esse vi è sempre riferimento
all’uomo, al lavoro, ai sentimenti. Così scriveva ai
suoi nipotini quale “Congedo” dell’antologia “Rose di
Macchia”: “Ecco il nonno che, per ricordare la vecchia
parlata degli avi, ha raccolto questo nuovo mazzo di
fiori selvatici. Sono riflessioni, descrizioni, impressioni,
scherzi nati nei momenti di riposo, che non hanno alcuna
pretesa poetica, ma sono saggi della lingua appresa
sulle ginocchia della sua buona Mamma. Nel donarli
a voi, agli ultimi nati non solo, ma anche a tutti gli altri,
vorrei esprimere un desiderio: vorrei che diventando
adulti foste sempre onesti, galant’uomini, altruisti, entusiasti
del bene e del bello, forti di carattere come lo era
il vostro bisnonno Ergisto. E se crescerete così Iddio vi
benedirà assieme a tutti i vostri cari”.
A conclusione un mazzo di fiori, con preghiera alla
signora Alfonsina di volerlo collocare sulla tomba di
Quirino, un omaggio discografico da parte del Coro
Sasso Rosso, offerto dal presidente Guido Ghirardini,
da parte del sindaco Angelo Dalpez una fotografia preziosa
che ritrae Quirino insieme a Toni Ortelli, l’autore
de “La montanara”, in occasione di un concorso corale
a Borno, e tanti applausi.
A tutti un cordiale arrivederci a Cusiano.
Il presidente del Coro Sasso Rosso Guido Ghirardini con la presidente del Centro
Studi Federica Costanzi.

attività del Centro
SCOPRIRE UN MONDO CHIUSO IN UNA VALLE
Lo speciale che nel numero scorso de La Val abbiamo
dedicato a Quirino Bezzi ha stimolato un intervento che
presentiamo in questa pagina.
Quirino Bezzi... per me fino a qualche giorno fa era
solo un nome sentito, letto da qualche parte, ma
solo un nome. L’altra sera è diventato un solandro
che ha acceso in me una fiamma.
Ho partecipato alla serata di commemorazione a
Cogolo, ed il sentir parlare con riconoscenza ed ammirazione
alcune persone che hanno avuto il piacere
e l’onore di conoscere Quirino Bezzi, è stato folgorante.
È nato in me un senso di ammirazione verso
quest’uomo che ha amato, servito, fatto crescere
una valle a me tanto cara, dalla quale non riesco a
staccarmi, alla quale mi sento di appartenere. Subito
dopo questo “colpo di fulmine”, è cresciuto il desiderio
di saperne di più, di studiare, di leggere.
La mia generazione mi ha insegnato a cercare su internet,
ma il mio amore per i libri mi ha portato
in biblioteca: così mi trovo davanti qualche poesia
trovate qua e là, anche se vederle scritte su dei libri
che hanno quasi la mia età ha tutto un altro sapore.
Ho fra le mani “Rose di macchia” e “Fiori dei monti”:
le poesie mi terranno compagnia fra poco; mentre
l’ultimo numero de “LaVal” placherà un po’ la mia
di Monica Bertagnolli
Un importante sguardo sugli anni della formazione di Quirino Bezzi: ce lo ha proposto con una e-mail arrivata
in redazione un protagonista della cultura trentina, padre Remo Stenico OFM, indicandoci alcuni significativi
dati sulla formazione scolastica di Bezzi. Notizie sul primo periodo della sua vita e della sua formazione che
padre Remo così riassume: “Dall’archivio del Collegio Serafico di Villazzano appare quanto segue: ‘Bezzi Quirino
di Ergisto e Cogoli Giulia nn. 05.11.1914 (...) entrò nel Collegio Serafico di Villazzano il 15.09.1926.’ Dopo i
quattro anni di Ginnasio ‘Vestì l’abito dei Frati Minori a Arco iniziando il noviziato il 2 agosto 1930 col nome di
fra Cristoforo’. Lasciò l’Ordine dei Frati Minori durante il noviziato”. Incuriositi da questi inediti dati biografici,
ci siamo rivolti alla moglie Alfonsina, che ha aggiunto altri dettagli: che Quirino, chiusa l’esperienza in convento,
non tornò a scuola ma studiò da privatista, recandosi ogni anno fino nella lontana Cremona, insieme ad un convalligiano,
per sostenere gli esami annuali fino a conseguire la maturità. Segno di grande tenacia, in tempi in cui
studiare era davvero difficile. Infine, nel notare il nome religioso assunto da Quirino, quello di “fra’ Cristoforo”,
affiora alla mente l’omonimo personaggio dei Promessi Sposi. Un carattere forte che credo possa attagliare del
tutto al nostro fondatore. (almo)
8
sete di conoscere questo solandro che ha donato
emozioni e dignità alla val di Sole.
In effetti le pagine del notiziario “LA VAL” mi danno
tanto su cui riflettere, scopro Quirino Bezzi amico
di molte persone che come lui amano “l’andar per
monti” nel pieno rispetto della natura, un uomo con
conoscenze scientifiche, geografiche, storiche, uno
studioso appassionato che non si è fatto bloccare
dal fatto che è nato in un piccolo paese, che non si è
chiuso nella piccola valle.
Mi guardo in giro, volgo lo sguardo a quella che è
adesso la val di Sole, ai suoi abitanti soprattutto a
quei giovani come me, che spesso sento lamentarsi:
come se esser nati in val di Sole possa essere un
limite. Ma il limite non c’è, non ci deve essere. Ad
ognuno di quei giovani riporto le significativa parole
usate da Franco de Battaglia, che descrive così
Quirino Bezzi: “con semplicità tutta valligiana, come
una radice che affonda nelle rocce perché il vecchio
larice possa poi svettare nel cielo e le sue fronde
estendersi oltre i confini della terra natale.” Impariamo
da Quirino ad amare la nostra meravigliosa valle,
a prenderci cura della nostra storia e delle nostre
montagne, e da lì potremo andare lontano con le
radici solide dei larici solandri.
BEZZI E LA SUA FORMAZIONE SCOLASTICA

A FOLGARIDA IL CENTRO STUDI PREMIA
SAMANTHA CRISTOFORETTI
di Federica Costanzi
Nello scorso numero del nostro notiziario le Socialia
riportavano le congratulazioni del Centro Studi alla
socia Antonella Pedrotti di Malè ed al marito Sergio
Cristoforetti per l’alto traguardo raggiunto dalla figlia
Samantha, pilota dell’Aeronautica Militare che ha
superato le prove di selezione per le nuove reclute
dell’Agenzia Spaziale Europea e sarà così la prima donna
astronauta italiana, si esprimevano sentimenti di
profonda e sincera ammirazione per l’impegno e per i
risultati raggiunti, e di solandro orgoglio.
Quando, poco dopo,
la segreteria del Premio
Giornalistico Val
di Sole ci contattò
per avere da noi il
nominativo per l’assegnazione
del Premio
“Centro Studi”
la scelta del Direttivo
è caduta sul tenente
Cristoforetti. Perché?
Dieci anni fa una statistica
del Sole 24 ore
aveva confinato la Val
di Sole all’ultimo posto
in una classifica
degli studenti trentini:
dispersione scolastica,
abbandoni, pochi lau-
reati, sembrava che l’occupazione facile nel settore turistico
e la sete di guadagno la facesse da padrone, ed
avesse “intruppato” le menti dei giovani solandri, che
rifuggivano in massa dalla cultura e dalla scuola. Fu in
quel momento che il Centro Studi ritenne di dover fare
qualcosa: istituì un premio per le tesi di laurea di argomento
solandro (ne abbiamo raccolte ormai 201 nella
nostra biblioteca storica), organizzò annualmente una
giornata dedicata alla premiazione delle tesi, poi imitata
da altre associazioni e dalle Casse Rurali anche di altre
Valli, alla presenza di professori universitari provenienti
di vari atenei italiani, con i quali aprire un momento
di riflessione sulla scuola, sulle scelte dei giovani, sulle
loro aspirazioni e prospettive; fu inoltre deciso di chiedere
al neonato Premio Giornalistico un piccolo spa-
9
zio a nostra disposizione, allo scopo di premiare in quel
contesto una persona che con i suoi studi, con una tesi
o una produzione particolare, con il suo curriculum
professionale potesse dimostrare che anche i solandri
volano alto, magari in silenzio, lontano dai riflettori, ma
danno il loro contributo importante alla crescita della
società nella quale vivono, che si spendono per quello
che valgono. Si voleva anche far riflettere sul fatto
che, dopo gli studi, pochi solandri hanno l’occasione di
spendere in valle il proprio talento, ma vediamo che lo
Stato stesso può far
poco per contrastare
questo fenomeno.
Queste le nostre motivazioni.
Il tenente
Samntha Cristoforetti
rappresenta molto in
relazione alle nostre
intenzioni avendo
raggiunto, con applicazione,
studio, passione,
impegno, fatica,
intelligenza, sacrificio
un traguardo elevatissimo,
(e noi desideriamo
essere spettatori,
silenziosi ma parteci-
pi, di traguardi ancora
più importanti); sarebbe
stato per noi un testimonial di eccezione, come
un campione di sport per i più piccoli, un esempio, una
speranza, il condensato di tutto quello che questo premio
poteva significare per noi.
Per questo le abbiamo chiesto di accettare la nostra
proposta; il nostro notiziario sociale raggiunge circa
2.000 soci in ogni parte del mondo, ed a tutti faremmo
giungere il messaggio di speranza per un futuro più
consapevole, che passa dalla cultura e dalla scuola.
Sulla base di queste motivazioni il Tenente Cristoforetti
ha ottenuto dal suo Capitano l’autorizzazione ad
essere presente al conferimento del premio, che lei ha
onorato con una presenza davvero significativa. Il pensiero
che è stato qui espresso è poi stato condensato
nella seguente, più sintetica, motivazione: “Volare era il
Samantha Cristoforetti con il sindaco di Malé e nella pagina successiva con la presidente Costanzi.
(ph. Alberto Mosca)
attività del Centro

attività del Centro
tuo sogno di bambina, lo scopo che tu hai saputo perseguire
con volontà e determinazione.
Non hai avuto paura per essere donna, cresciuta in un paese
di montagna, priva di blasoni, raccomandata solo da te
stessa e dalla tua intelligenza.
Tu rappresenti un esempio ed una speranza di successo
per tutti i giovani che, in qualsiasi parte del mondo, si impegnano
nello studio e nel lavoro per essere padroni del
proprio futuro.”
Nella sua intervista Samantha ha voluto precisare pubblicamente
che non si è mai sentita in difficoltà per
essere donna: l’ambiente militare è governato da regole
e disciplina, e premia il merito, senza spazio per
discriminazioni. Né si è sentita in difficoltà per essere
nata e cresciuta in un piccolo paese, considerando anzi
questo aspetto della sua vita un privilegio e non un
ostacolo: secondo lei chi abita in città è penalizzato
da una vita complicata, da rapporti umani poco sinceri,
da diffidenza, da paure, e non c’è davvero motivo di
invidia. Chi è vissuto in un paese impara invece a fidarsi
di sé nei confronti degli altri, ad avere confidenza con
l’ambiente che ti circonda, a superare difficoltà. Questa
formazione più paesana ha plasmato il suo carattere, e
questo, secondo il suo modo di vedere, è più importante
che vivere a stretto contatto con i centri di produzione
della cultura. Per questi pensieri mi sia consentito
rivolgere a Samantha, tramite la mamma che certo
leggerà questo articolo, un profondo ringraziamento,
con un pensiero di condivisione.
Nella stessa mattinata del 31 luglio il Consiglio Comunale
di Malè, riunito in seduta straordinaria, con voti
unanimi, ha conferito al Tenente Samantha Cristoforetti
la Benemerenza Cittadina per meriti in campo
delle scienze: “Considerato il suo curriculum di altis-
10
simo livello e che più volte si è distinta per le sue capacità
nella sua carriere scolastica e militare, culminata
nel diventare la prima donna astronauta nella storia
d’Italia. Ritenuto come ella, a buona ragione, possa essere
considerata valido esempio per tutti coloro che,
muniti delle loro sole forze, desiderano pienamente
realizzarsi, sottolineato come ciò è motivo di orgoglio
e di vanto per la nostra borgata” con le seguenti motivazioni:
“L’aver saputo individuare e perseguire, fin da
giovane età, obiettivi ambiziosi, sfruttando appieno, con
tenacia ed abnegazione, preziosi talenti, hanno permesso
a Samantha Cristoforetti di entrare a pieno titolo nel
Corpo dell’Agenzia Spaziale Europea e diventare la prima
donna astronauta nella storia d’Italia. La caparbia
determinazione che ha caratterizzato il suo percorso
costituisce la più nobile sintesi delle qualità della nostra
gente, gente di montagna, di una terra che ha saputo, sa
e saprà sempre dare il proprio contributo al progresso
dell’intera umanità”.
Quale segno materiale dell’onorificenza è stata consegnata
dal Sindaco una medaglia d’oro. In sala, commossi,
erano presenti famigliari e parenti di Samantha
da parte Angeli e Cristoforetti, guidati dal patriarca
Vittorio Cristoforetti, prozio e nostro socio da molti
anni, e i suoi insegnanti della scuola elementare,
che Samantha non ha dimenticato di ringraziare, e
che ha voluto abbracciare con tanto affetto.

MUSEO DELLA CIVILTÀ SOLANDRA:
UNA NUOVA VOCE SU WIKIPEDIA
Wikipedia è un’enciclopedia multilingue liberamente
consultabile sul WEB, fondata sulla certezza che ciascuno
possiede conoscenze che può condividere con altri.
La caratteristica di questa enciclopedia, nata nel 2001
in lingua inglese, e presto affiancata da altre 13 edizioni,
fra le quali quella in italiano, è di essere scritta interamente
da volontari: chiunque può creare o modificare
una voce. La filosofia su cui si fonda è che ogni persona
abbia qualcosa da insegnare agli altri, qualche informazione
da condividere. I redattori di Wikipedia hanno
alle spalle esperienze molto diverse: sono studenti,
insegnanti, esperti o semplici appassionati di qualche
argomento, ciascuno dei quali contribuisce nel proprio
campo di interesse
alla creazione e diffusione
di informazioni.
Lo scorso anno scolastico
due insegnanti di
lettere del secondo ciclo
dell’Istituto Comprensivo
Bassa Val di
Sole di Malè, le professoresse
Roberta Covi
di Malè ed Elisa Podetti
di Terzolas, hanno
pensato di poter
coinvolgere i ragazzi
delle seconde classi
in questa esperienza,
stimolate dai bandi di
concorso dell’IPRASE.
L’Istituto Provinciale
I ragazzi all’opera nel Museo.
per la Ricerca e la Sperimentazione Educativa promuove
e realizza la ricerca, la sperimentazione, la documentazione,
lo studio e l’approfondimento delle tematiche
educative e formative, e l’idea delle insegnanti è stata
quella di dar vita ad un progetto educativo che avesse
quale fulcro il Museo di Malè, quale luogo di cultura da
far conoscere ai ragazzi, e da utilizzare per un lavoro
di ricerca. Due sono state le lezioni effettuate presso
il museo, con visita guidata da parte delle stesse insegnanti;
gli altri incontri sono serviti agli studenti per
approfondire la ricerca e creare inoltre la voce “MU-
SEO DELLA CIVILTÀ SOLANDRA” per l’enciclopedia
11
attività del Centro
multimediale. E’ stata per i ragazzi un’occasione preziosa
per approfondire la conoscenza della storia e delle
tradizioni della Valle, per fare la conoscenza con oggetti
ormai desueti e spesso del tutto sconosciuti, ma anche
per incontrarsi con le nuove tecnologie.
Per merito loro chi effettua oggi sul sito “www. wikipedia.it
” la ricerca per nome troverà la descrizione
delle varie sale del museo con il loro contenuto, arricchita
da varie possibilità di collegamento con altre voci
della stessa enciclopedia e da molte foto. Le foto sono
state pubblicate su www.flikr.com
Ringrazio di cuore le insegnanti per la loro idea e tutti
i ragazzi che hanno partecipato a questo progetto per
il loro impegno, che ha
prodotto un ottimo
risultato; l’ultimo giorno
di scuola, presso il
Teatro Comunale di
Malè, questo lavoro
è stato presentato al
pubblico insieme a
tutti i progetti di cui
sono stati protagonisti
gli studenti durante
l’anno scolastico, ed il
sottoscritto Presidente
ha voluto essere
presente e rendere
omaggio ai ragazzi con
la consegna a ciascuno
di un diploma di merito
e di una copia del
libro di Quirino Bezzi “Lungo le rive del Noce”.
Certamente le Prof. Covi e Podetti hanno rivissuto attraverso
questa proposta esperienze ed emozioni della
loro vita, Roberta nel ricordo del papà, quell’Avvocato
Covi che del Museo è stato il principale ideatore e
realizzatore, ed Elisa perché del Museo è stata custode
estiva nel periodo dei suoi studi universitari; gli studenti
ed il Museo hanno così potuto beneficiare in modo
ottimale della loro conoscenza appassionata di questo
luogo e delle loro competenze, e la collaborazione ha
certo realizzato in pieno le aspettative di ciascuno dei
partecipanti. Grazie ancora. (f.c.)

attività del Centro
PREMIAZIONE TESI DI LAUREA: UN BILANCIO
Lo scorso 19 aprile, presso la Sala Nobile alla Torraccia
di Terzolas, si è tenuto l’ormai tradizionale appuntamento
con la premiazione delle tesi di laurea. Tredici
i lavori presentati ad un folto pubblico che aggiunti ai
precedenti formano una miniera di conoscenza composta
da oltre 200 studi.
Vero è che dal 2000 in poi, grazie ad una operazione
studiata e “di rete” con altri soggetti ed enti della
Valle, l’appuntamento con le tesi ha significato ben
oltre il contributo offerto da questi studi in termini
di conoscenza e prospettiva per il nostro territorio.
Da allora infatti, anche con questa iniziativa, il Centro
Studi ha deciso di partecipare in modo “scientifico”
ad un percorso significativo per un verso nella creazione
di un patrimonio di ricerche utili, e per l’altro
di valorizzazione dell’impegno nello studio in quanto
tale, cercando così di dare sostanza a quella frase che
recita…il sapere è il miglior investimento sul futuro.
Il punto di partenza dieci anni orsono era noto: la Valle,
a fronte di un benessere generalizzato grazie anche
ad un’economia sostanzialmente buona, stentava a
credere, e di conseguenza investire, nella conoscenza,
rischiando così di non disporre di un elemento importante
per l’avvenire. Di fatto era palese il gap con
altre realtà territoriali ancorché simili alla nostra, però
più attente a coniugare benessere economico ed investimento
nel sapere.
Coscienti di ciò, abbiamo messo a punto una formula,
per la cerimonia della premiazione, che nel tempo si
è rivelata azzeccata, ovvero capace di comunicare il
significato profondo del nostro impegno. Partner fondamentali
di detta operazione sin dal primo momento
sono state le amministrazioni locali.
In occasione della prima cerimonia di premiazione,
tenutasi nel 2000, chiamammo a Terzolas il
prof. Carlo Buzzi, direttore del Dipartimento di
Sociologia e Ricerca Sociale dell’Ateneo trentino
nonché delegato del Rettore per il coordinamento
delle attività inerenti l’orientamento universitario, per
tracciare un quadro reale e “senza sconti” sulla situazione
della Valle in ordine allo studio, all’istruzione, ma
non solo. Le sue parole non fecero altro che confermare
quel deficit anzi descritto, specie ad “alti livelli”.
Se infatti Buzzi parlò di un buon livello di scolarizza-
di Marcello Liboni
12
zione nelle fasi post scuola dell’obbligo, dichiarò altresì
un risultato decisamente sotto la media provinciale
e ancor più nazionale a livelli universitari, di specializzazione
o post laurea. Buzzi, attenendosi alla nostra
richiesta di essere schietto, non mancò di tracciare
collegamenti con una “salute sociale” non priva di ombre
e che appariva a tutti come preoccupante specie
se osservata sotto il profilo di emergenze, eclatanti
in certe forme di disagio. Tuttavia Buzzi non mancò
di riconoscere alla Valle le potenzialità per mettere
in campo, come in tante altre occasioni, progetti ed
energie indispensabili a dare risposte ai problemi. Per
lo studio e per la cultura, oltre ai soggetti istituzionali
e a quelli del settore, indicò nel nostro Centro uno
di quelli chiamati a farsi carico del problema e questo
per ciò che esso significava per l’intera Valle, per la
credibilità acquista nel tempo e, non ultimo, per avere
assieme ad altri messo a fuoco il problema. Apprezzò
il nostro impegno ed esaltò la ricetta della “rete” fatta
propria dal Centro Studi per investire l’intera Valle
dell’operazione.
Nel 2000 di tesi e ricerche ne avevamo poco più di 80:
oggi sono 201!
Nei dieci anni trascorsi abbiamo premiato lavori, raccolto
studi, informato la Valle e non solo, di una ricchezza
che pochi territori possono vantare. Dal 2000
abbiamo “riconosciuto” e presentato oltre cento dottori
che si sono impegnati, e che hanno impegnato le
loro famiglie, nel dare un contributo di conoscenza
per tutti.
Con questi numeri e con un’operazione che nel tempo
ci ha fatti apprezzare da atenei del nord Italia e da
non pochi enti e figure istituzionali (oltre a sindaci,
abbiamo avuto l’onore della presenza e del supporto
di parlamentari, assessori e consiglieri provinciali e
persino di un sottosegretario all’istruzione), lo scorso
aprile abbiamo richiamato il prof. Carlo Buzzi. A dieci
anni di distanza dalla prima edizione della premiazione
fatta con piena coscienza di un problema che richiedeva
impegno, lavoro di sensibilizzazione, costanza
e obiettivi chiari, abbiamo rivolto al nostro la stessa
domanda di allora, chiedendo anche in questo caso
di non fare sconti. Dieci anni, è stata la nostra considerazione,
sono un tempo sufficiente per tracciare

un bilancio. Certo provvisorio, perché il lavoro dovrà
continuare, ma necessario a capire se lo sforzo sin
qui compiuto ha dato qualche frutto nella direzione
auspicata. E il prof. Buzzi non si è smentito. Ha parlato
a chiare lettere non tacendo la necessità di dare continuità
a quanto compiuto, ma ha anche detto di un
cambiamento, in positivo, della situazione. E a questo
cambiamento anche il contributo del Centro Studi è
stato tra gli elementi decisivi.
Così Buzzi ha spiegato che, se fino a un decennio fa
la Valle era letteralmente all’ultimo posto nel tasso di
scolarità, oggi il dato è assai mutato e sostanzialmente
risulta in linea con quello provinciale. Addirittura, ha
continuato Buzzi, se nel 2000 solo il 55% dei diplomati
proseguiva gli studi fino alla laurea, oggi sono il 75%, il
che significa 7 punti in più rispetto alla media provinciale.
Si conferma per altro una maggior propensione
allo studio della componente femminile, che però soffre
ancora della così detta “segregazione femminile”
ovvero quel confinamento in aree di studio diverse
da quelle scientifico tecnologiche, oggi più accreditate.
Resta tuttavia alto il tasso di abbandono e qua forse va
considerato lo scarso investimento che in Valle, così
come per altro nel resto del Trentino, si è disposti a
fare su preparazioni di profilo. Non sempre infatti si
crede che un alto titolo di studio, o addirittura una
specializzazione o un master post laurea, siano maggior
garanzia di una buona qualità di base, rispetto a
quanto possibile con titoli inferiori. Così si ingenera la
credenza della scarsa utilità dell’impegno sui libri.
Tuttavia, che la Valle sia cambiata, e che creda e investa
di più nei giovani e quindi nel futuro, secondo il prof.
Buzzi lo dice anche un dato che riguarda il “mondo
politico”. Ben il 39% dei candidati nelle liste comunali
è sotto i 34 anni: il 10% in più rispetto al resto del
territorio provinciale! Di converso la valle denuncia
un indice di vecchiaia decisamente superiore al resto
del Trentino, e anche questo ha effetti sociali, e pone
questioni politiche.
Nel complesso, ha concluso il prof. Buzzi, dati positivi,
che devono essere di sprone alla Valle per continuare
in un processo ben avviato. Dati che oggi, per quel
che ci riguarda, concedono addirittura spazio ad un
discorso di valutazione qualitativa degli studi raccolti.
Questo ci invita a puntare, tra gli altri obiettivi, a quello
dell’eccellenza, pur nel solco di una lavoro sempre
e comunque volto a qualificare l’intera Valle e a valorizzare
al meglio tutte le sue risorse umane.
Ci vediamo nel 2010, alla Torraccia. Sono già molti gli
studi nuovi raccolti…
13
attività del Centro

attività del Centro
TORNA IN SCENA L’HOFER
DI BARTOLOMEO DEL PERO
di Anna Panizza
Poesia, musica e rievocazione storica sono gli elementi
costitutivi del progetto culturale dal titolo
“Die Schlacht am Berg-Isel. Bartolomeo Delpero,
un solandro nel mito di Andreas Hofer”, frutto della
collaborazione tra il Centro Studi Val di Sole, la
Scuola di Musica “Celestino Eccher” delle Valli di
Non e di Sole, il coro “Coralità Clesiana”, i comuni
di Dimaro e Vermiglio e l’Assessorato alla Cultura
del Comprensorio C7.
Questo appuntamento è stato inserito nel calendario
delle manifestazioni e degli eventi promossi e finanziati
dall’Assessorato alla Cultura della Provincia
di Trento in occasione del bicentenario della sollevazione
guidata da Andreas Hofer.
Si è trattato non tanto di una celebrazione rievocativa
dell’evento storico quanto di una rivisitazione
della figura dell’artista solandro, un rappresentante
del panorama letterario patriottico tirolese a cavallo
fra Ottocento e Novecento.
Bartolomeo Del Pero ha fatto la sua prima apparizione
come figura letteraria all’interno del nostro
ambiente culturale locale attraverso la pubblicazione
nel dicembre del 1997 dell’antologia poetica e narrativa
dal titolo “La mia patria è l’abetaia” curata da
Alberto Delpero e Anna Panizza.
L’artista nacque a Vermiglio nel 1850 e qui trascorse
un’infanzia serena nel piccolo paese di montagna.
Nel 1864 si trasferì a Venezia dove si iscrisse all’Accademia
delle Belle Arti, ma dopo un anno e mezzo
in seguito all’annessione del Veneto da parte del Regno
d’Italia e ancor più per le sopravvenute difficoltà
economiche della famiglia, egli si vide costretto ad
interrompere gli studi e a tornare a Vermiglio, dove
alternò il lavoro manuale nella piccola impresa del
padre al lavoro di contadino.
Nel 1870 Bartolomeo Del Pero, che sognava una vita
diversa, decise di arruolarsi nella gendarmeria e si
trasferì a Innsbruck dove rimase fino alla morte avvenuta
il 13 maggio 1933.
Dal primo momento in cui Bartolomeo Del Pero
mise piede in terra tirolese, venne affascinato dalla
lingua tedesca. Si trattò di una sorta di “colpo di fulmine”
che diede l’avvio ad un intenso lavoro di studio
ed approfondimento delle proprie conoscenze
14
della nuova lingua a tal punto da raggiungere un’ottima
e abile padronanza di cui è dimostrazione tutta
la sua produzione letteraria. Il genere prediletto da
Bartolomeo Del Pero fu la poesia e il nucleo centrale
delle sua produzione poetica venne raccolto in tre
distinti volumi: “Immagini e voci” del 1889, “Tracce di
una vita” del 1913 e il volume pubblicato postumo
“Fra il Karwendel e le Dolomiti” del 1931.
I suoi modelli vanno ricercati nella poesia romantica
tirolese il cui maggior esponente è Adolf Pichler
(1819-1900); si tratta di una poesia locale, spesso
moralistico-patriottica, con versi in rima, a volte
vengono proposti racconti o leggende riscritte in veste
poetica che presentano sotto diverse vesti temi
come la fedeltà per il sovrano, l’amore per la patria,
una forte religiosità, i valori patriarcali.
Le poesie delle prime due raccolte di Bartolomeo
Del Pero sono prodotti di una fase di sperimentazione
dove l’artista è alle prese con l’impegnato e
attento studio di una lingua che non è sua. L’uso figurato
dei termini è ancora limitato, il messaggio
poetico è affidato ad espressioni usate nella loro accezione
più semplice ed immediata. Nell’ultimo volume
“Fra il Karwendel e le Dolomiti” sono raccolte
senza dubbio le migliori poesie composte dal poeta;
esse si distinguono per la ricchezza di immagini poetiche,
per una maggior elevatezza e solennità di modi
che comunque non sfocia mai nel retorico. Del Pero
rimane sempre un sereno evocatore anche nelle poesie
meno legate alla sua sfera privata e personale
come quelle di stampo propagandistico e patriottico.
Ed è in questo ultimo gruppo che va inserito
il componimento “Die Schlacht am Berg-Isel 1809”
raccolto nell’antologia “Immagini e voci” e musicato
dal pianista e compositore tirolese Josef Pembaur
in occasione del centenario della vittoria di Hofer.
Il dramma musicale andò in scena a Innsbruck il 13
agosto 1909 ed ebbe un particolare successo.
A distanza di un secolo ed esattamente il 13 agosto
2009 l’opera musicale è stata riproposta al teatro di
Dimaro utilizzando una formula attraverso la quale
si è cercato di mettere in evidenza più che l’aspetto
storico, la qualità culturale e musicale.
Alberto Delpero, una delle due voci narranti della

serata, nel suo intervento introduttivo ha tratteggiato
la vita e la personalità dell’artista solandro
inquadrandolo nel particolare contesto storico e
letterario in cui egli visse e operò. A seguire è stato
proposto al pubblico un breve viaggio nella produzione
poetica di Bartolomeo Del Pero attraverso
la lettura e il commento di alcune delle poesie più
significative toccando i temi da lui prediletti e mostrando
i diversi stati d’animo del poeta nel corso
della sua vita.
In un crescendo di emozione, nel corso della serata
la poesia si è unita alla musica raggiungendo toni di
elevata solennità attraverso la voce del baritono Ivo
Rizzi che nella rappresentazione del dramma musicale
ha interpretato la parte di Andreas Hofer. Di
altrettanta qualità musicale le esecuzioni al pianoforte
di Armando Anselmi e gli interventi del coro
“Coralità clesiana” diretto da Tullio Lorenzoni e
Walter Marini che ha eseguito la versione musicata
da Josef Pembaur di “Heimatglocken” e l’“Ave Maria
am Berg-Isel”.
Questo evento, riproposto a Vermiglio il 22 agosto, è
stato principalmente una successione di momenti di
particolare valenza artistica, attraverso i quali il pubblico
quasi inconsapevolmente si è visto trasportare
in una dimensione che all’apparenza doveva essere
solo storica, ma che in realtà è stata caratterizzata
da un riuscito connubio tra poesia e musica.
L’accostamento tra Bartolomeo Del Pero ed Andreas
Hofer nel titolo del progetto culturale spinge a
ricercare un’affinità tra le due figure che emerge effettivamente
soprattutto sul piano umano.
Nel prologo dell’opera musicale il poeta esalta il
personaggio di Hofer non tanto come eroe entrato
nella leggenda dei miti quanto per la sua personalità,
come uomo che pone davanti a tutto principi come
la fede in Dio, l’amore per la patria e l’attaccamento
alla terra dei propri avi; gli stessi valori che hanno
ispirato la poesia di Bartolomeo Del Pero, ma soprattutto
hanno guidato tutta la sua esistenza.
Vorrei concludere con una mia riflessione personale
riguardo al progetto che mi ha visto coinvolta nella
rivisitazione della formazione poetica dell’artista.
Ritengo che attraverso questa insolita iniziativa siano
stati raggiunti due importanti obiettivi: la riscoperta
e la valorizzazione di opere di poesia e musica che
hanno caratterizzato il nostro panorama culturale
agli inizi del secolo scorso e la collaborazione di figure,
associazioni ed enti del nostro territorio mosse
dall‘intento comune di promuovere cultura.
15
attività del Centro

studi sulla Val di Sole
A CASTEL STENICO UNA CAMPANA
TRECENTESCA DI CALDES
di Mariapia Malanotti
Che sorpresa trovare a Castel Stenico la campana della
chiesa di Caldes! E non solo, nel castello sono esposti
molti altri oggetti provenienti dalla val di Sole e dalla val
di Non. A castel Stenico, dall’estate del 2008, dopo il
recupero e la riapertura di molti ambienti, sono esposte
le raccolte di campane antiche (secc. XIV-XVIII), di
ferri battuti, di intagli e di arredi in legno e mobili di gusto
popolare, di recipienti di rame per l’uso della cucina,
di chiavi e forzieri e inoltre è presente una stupenda serie
di stufe del secolo XVIII con numerose formelle di
maiolica, in gran parte provenienti dalla scuola di Sfruz.
Le campane in mostra, circa una trentina, sono quelle
che si sono salvate a seguito della grande requisizione
avvenuta durante gli anni della Prima Guerra Mondiale,
quando dalla fusione di molte campane di bronzo
si sono costruiti armi e cannoni. Tolte dai campanili le
campane venivano portate in luoghi di raccolta, uno dei
primi sembra essere stato quello di Wilten (Innsbruck)
dove in parte venivano fotografate, per poi passare a
Salisburgo ed infine a Vienna. Secondo lo storico Gerola
in quei luoghi esperti d’arte prelevavano i pezzi migliori
per arricchire i loro musei. Finita la guerra la Soprintendenza
trentina a fatica recuperò alcuni pezzi che
cercò di restituire alle rispettive chiese; ma mentre di
alcune campane non venne identificata la provenienza,
altre vennero rifiutate dalle parrocchie, perchè vecchie
e non intonate ai nuovi concerti.
In riferimento alla campana di Caldes, gli studi recenti
di Chiara Moser hanno dimostrato senza alcun dubbio
che porta la data 1356. Si tratta dunque di una rara
campana gotica, forse proveniente dalla vecchia chiesa
di San Bartolomeo. Lo studio di Moser aiuta a chiarire
come alcune fonti della prima metà del ‘900 (Weber in
particolare) - a parte Gerola che nella pubblicazione
dedicata al castello del Buonconsiglio riporta la data
quasi esatta (1366 e non 1356) - abbiano datato la campana
di Caldes agli anni Cinquanta - Sessanta del Cinquecento,
mentre in realtà la campana era più vecchia
di due secoli!
In una prima esposizione al castello del Buonconsiglio la
campana di Caldes veniva datata infatti 1556. Lo storico
dell’arte Salvatore Ferrari, a seguito di una sua ricerca
presso l’archivio parrocchiale di Caldes, aveva già trovato
delle informazioni sul manufatto in questione che
16
lo facevano dubitare della data 1556. In effetti era stato
riscontrato che nel luglio del 1929 il Museo nazionale
di Belle Arti di Trento chiedeva al parroco di Caldes una
vecchia campana rotta datata 1565, che non era stata
requisita negli anni della Grande Guerra, in cambio di
una campana sana del 1578. Una nota del luglio 1917
diceva poi che questa campana si trovava nella chiesa
cimiteriale di San Rocco, ma era stata in precedenza la
“vecchia campanella del castello”. Aveva un diametro di
32 cm e un peso di 67 Kg, un’età di 351 anni (del 1565).
Si trattava quindi di un’altra campana, rispetto a quella
ora conservata a castel Stenico.
Simone Weber nell’opera “Le chiese della Val di Sole
nella storia e nell’arte” parlava di questa campana conservata
al Museo di Trento e la diceva proveniente dalla
Rocca di Samoclevo e non da Castel Caldes, come invece
la nota del 1917.
Giuseppe Gerola nel suo scritto “Le campane della diocesi
di Trento requisite dall’Austria” riportava che le
campane recuperate “vogliono offrire un saggio dell’industria
della fusione, che in tutta la Venezia Tridentina
fu praticata con molta fortuna attraverso ai secoli” e
citava la campana di Caldes datandola 1366 e ricordando
che la “T” che porta impressa è quella stessa lettera
“T” che nelle monete trentine sta ad indicare la città di
Trento.
Al di là delle disquisizioni storiche, che lascio a chi più
esperto di me, mi viene spontaneo pensare che anche
castel Caldes, potrebbe essere il luogo ideale per custodire
tesori storici, pezzi di cultura, emozioni che
solo un castello può custodire. Invece no... ancora
per un’estate tanti turisti sono giunti
a Caldes per visitare il castello... e ancora
una volta si sono sentiti dire
che il castello non è visitabile
per lavori in corso o meglio
per “lavori non in
corso”.

Un nome importante per la storia architettonica di
Castel Caldes: l’ho recentemente ritrovato nelle carte
del canonico di Trento, Bressanone e Salisburgo Simone
Thun 1 , custodite nell’archivio di stato di Litomerice,
sezione di Decín (Repubblica cèca). 2
Una traccia interessante, che ritroviamo in una breve
disposizione data dal prelato ad un agente della famiglia
e che reca il nome dell’artigiano che realizzò con
ogni probabilità l’imponente scala a chiocciola che caratterizza
il castello 3 : si trattava del mastro Michele
Montori, lapicida di famiglia originaria di Menaggio sul
lago di Como e probabilmente abitante a Cusiano. La
sua presenza è testimoniata in altri cantieri della Val di
Sole: proprio a Cusiano nel 1565 costruisce “il volton
della gesia” di Santa Maria Maddalena con il congiunto
Simon “picha preda da Cusian”. 4
La nota è datata 28 luglio 1572 e in essa si ordina al
capitano del castello Nicolò da Mezzana di dare a “Mastro
Santino speza preda e lavorante de Mastro Michele
Montorio muraro a bono computo del lavoreto
della scala che debbe fare detto Montorio nel castello
nostro di Caldesio stari seij, et formagio pesi trentacinque
che vi sarano fatti buoni nelli computi vostri de
detta fabrica”. 5
Il documento ci dice nel luglio del 1572 l’opera doveva
essere ancora completata, forse non ancora iniziata;
resta poi da capire se nel lavoro di realizzazione della
scala dobbiamo comprendere anche il vano che ancora
oggi la accoglie, o se esso era già esistente. Il documento,
insieme ad altri conservati negli archivi Thun, colloca
agli anni Sessanta e Settanta del XVI secolo le opere
di restauro e miglioramento del castello, ormai vocato
ad essere la residenza principale dei Thun in Val di Sole.
Un programma di definizione delle strategie familiari
che del resto aveva trovato chiara enunciazione fin dal
1544, quando fu lo stesso Sigismondo “l’Oratore” a
dettare le condizioni dello spostamento dalla Rocca di
Samoclevo a Castel Caldes della sede principale degli
interessi dei Thun in Val di Sole. Un documento di
grande importanza cui dedicherò un ampio approfondimento
in una prossima occasione.
Infine, un recente ritrovamento documentale mi permette
di precisare la data (finora conosciuta con il
solo anno) e alcuni particolari della morte di Giacomo
17
Thun, colui che
è considerato il
capostipite della
linea “vecchia”
dei Thun di Caldes:
egli morì il
25 novembre
1559. Venne sepolto
a Caldes
il 27 novembre,
mentre il funerale
si celebrò
il giorno successivo
nella chiesa
pievana di Malé.
studi sulla Val di Sole
UNA PRECISAZIONE SULLA SCALA
A CHIOCCIOLA DI CASTEL CALDES
di Alberto Mosca
NOTE
1 Simone Thun, figlio
di Luca Thun, ricevette
il canonicato tridentino
forse nel 1538; nel 1542 era matricola all’Università di Ingolstadt e nel
1546-47 studente di legge a quella di Padova; dal 24 dicembre 1553 divenne
decano del Capitolo tridentino, carica che tenne fino alla morte, mentre
fu membro del Capitolo brissinese dal 26 agosto 1543 al 26 agosto 1579,
quando resignò a favore del nipote Giovanni Antonio Thunn e membro del
Capitolo salisburghese tra il 1562 e il 1577, anno della rinuncia. Beneficiato
a Malé tra il 1534 e il 1565, ebbe altri benefici, poi resignati, a Taio, Vigo di
Ton, Livo, Pieve di Rendena, a Girlan-Cornaiano (fino al 1581). Morì il 21
agosto 1584 ed ebbe sepoltura nel braccio meridionale del transetto della
Basilica di San Vigilio di Trento, dove ancora si trova la pietra tombale. Cfr.
A.MOSCA, La pieve di S.Maria Assunta di Malé, in S.FERRARI (a cura di), Arte
sacra a Malé, Cles 2003, p.47.
2 Cfr. Archivio Provinciale di Trento, microfilm Thun-Decin b.109, Fondo
Archivio della famiglia Thun, linea di Castel Thun, conservato presso l’Archivio
di Stato di Litomerice-sezione di Decin (Rep.Ceca), 180, 28 luglio 1572.
3 Per un approfondimento sulle vicende architettoniche di Castel Caldes
si veda M.CUNACCIA-C.D’AGOSTINO, Castel Caldes: elementi di lettura
insediativa ai fini del progetto di restauro, in S.FERRARI (a cura di) Dalla finestra
del castello. Incontri d’arte di storia e di memoria nel Comune di Caldes, Cles-
Fondo 2005, pp. 65-98, ma anche Castel Caldes, Gruppo Contre (a cura di),
Ossana 1982.
4 Cfr. Val di Sole: storia, arte, paesaggio, a cura di S.FERRARI, Trento 2004,
pp. 26, 140 e 164. In particolare, Ferrari ricorda un Antonio Montori originario
di Menaggio attivo, con Simone da Laino d’Intelvi, nella costruzione
dell’avvolto nella chiesa dei santi Pietro e Paolo di Mezzana nel 1536; tre
decenni dopo, nel 1565, Simon “picha preda da Cusian” opera nella chiesa
di Cusiano con Michele Montori suo nipote.
5 Cfr. Archivio Provinciale di Trento, microfilm Thun-Decin b.109, Fondo
Archivio della famiglia Thun, linea di Castel Thun, conservato presso l’Archivio
di Stato di Litomerice-sezione di Decin (Rep.Ceca), 180, 28 luglio 1572.

studi sulla Val di Sole
CENTO FERRI DA CAVALLO DALLA COMUNITÀ
DI OSSANA AL VESCOVO DI TRENTO
di Domenico Gobbi
Numericamente limitati sono gli studi in ambito regionale
circa l’utilizzo del ferro di cavallo nel medioevo
non tanto per la mancanza di miniere quanto piuttosto
per la lavorazione di questo prezioso metallo. Nel censimento
delle miniere in ambito provinciale doveroso è
il richiamo al giacimento nel distretto di Ossana, sfruttato
dagli uomini della valle. Esso richiamava per la ricchezza
della sua vena, al dire del Ciccolini, molti esperti
dalla Valtellina e dalla Lombardia, per l’abilità che essi
testimoniavano nella lavorazione.
Il principato vescovile non sottovalutava questa ricchezza
del sottosuolo dell’alta Valle di Sole e in altri numerosi
luoghi soggetti alla sua giurisdizione. Un esempio
molto significativo è la richiesta vescovile alla comunità
di Ossana, agli inizi dell’anno 1300, di versare come
annuo tributo alla camera vescovile ben cento ferri di
cavallo (ferrua centum equis). Il documento menziona
anche le vicine comunità di Malè e di Cles nonché altre
sette importanti borgate del principato vescovile, esse
pure soggette all’obbligo con l’elenco di altri donativi:
di biancheria e di panni; di un somaro bardato con due
bolge, due moggi di farina, un’accetta e una saccoccia.
Così il totale della somma era di ben mille ferri di cavallo
(cf. Archivio Stato di Trento, Principato vescovile,
capsa 3, perg. 29). È presumibile che il principe vescovo
utilizzasse questi ferri per i cavalli del suo seguito, per
quelli ammaestrati per la guerra, per quelli per l’agricoltura
sulle sue terre. La richiesta è datata in anni difficili
per il principato vescovile. Il vescovo Filippo Buonacolsi
era assente dalla diocesi causa la lotta con Mainardo
di Tirolo, sostenuto dal fratello Guido del comune di
Mantova. Il ricorso alla forza era inevitabile, un buon
e organizzato esercito con una cavalleria efficiente era
indispensabile.
Il ferro era utilizzato in grande quantità lungo i decenni
se all’inizio del Quattrocento, nel 1405, Pretelino di
Caldes dichiarava che alle “fosine detto la cha da S. Cristoforo”
(casa di S. Cristoforo) era ammassato molto
ferro crudo e lavorato e gran quantità di combustibile,
“una ricchezza accumulata e investita, ma non goduta”!
Il ferro di cavallo riferito dal documento del Trecento
assume grande importanza, non solo per motivi storico-economici,
ma anche perché aiuta a intuire il livello
culturale nelle popolazioni del distretto di Ossana.
18
Cento ferri annui non era donativo di poco conto, se
un fabbro, alla metà del secolo Undicesimo, sotto il re
Edoardo il confessore, riusciva a forgiare 120 ferri chiodati
all’anno. Da questa stima pertanto si presume che
per dare 100 ferri al vescovo di Trento, ci fossero almeno
cinque fabbri per ogni paese. Essi erano “maestri
d’arte”, capaci di offrire una gamma di attrezzi per la
casa, coltelli, secchi, chiavi e chivistelli e altri elementi di
chiusura; per i contadini, aratri, zappe, vanghe; per i boscaioli
accette, asce roncole, mannaie che avevano una
lunghezza del ferro attorno ai 9-12 cm, con un tagliente
tra i 3 e 9 cm; per i falegnami lo strumentario per il legno
comprendeva seghe a coltello con immanicatura a
còdolo piatto, scalpelli; ancora, gli strumenti per scavare
scalpelli-sgorbia, quelli per sgrossare, coltelli curvi a
petto; infine, gli attrezzi per lisciare, raspe per il legno.
Insomma, tutto ciò che era necessario all’artigianato.
I fabbri (maestri d’arte) nella comunità erano una categoria;
la loro presenza era indispensabile. Conosciamo
che essa era economicamente privilegiata se nel tardo
Quattrocento non pagavano la decima. Infatti, come si
legge nel registro compilato nel 1442 dal vicario di Ossana
prete Donato Vasdorf, l’obbligo dalle comunità di
Ossana e Cusiano circa la decima era solo su terre e
prati e non sul commercio e lavorazione del ferro.
È stato dimostrato, in un accurato studio che l’utilizzo
del ferro nell’agricoltura era una dimostrazione
dell’avanzata civiltà di un territorio (cf. Forni G., Agricoltura
e religione prescristiana nell’Anaunia Antica,
Trento 1998). E il ferro per lo zoccolo del cavallo, utilizzato
in guerra e nell’agricoltura, nella sua elementare
semplicità già nell’alto medioevo aveva profondamente
modificato il comportamento e l’utilizzo di questo nobilissimo
animale.
Per le nostre zone montuose molto umide lo zoccolo
del cavallo, senza il ferro, era destinato a subire non
lievi sofferenze, sminuendone la capacità di resistenza
come animale da lavoro. Pertanto la cura per il cavallo
era attenta, tenendo presente che se il cavallo ed il bue
hanno approssimativamente la stessa capacità di tiro, il
cavallo si muove tanto più rapidamente, da produrre un
sovrappiù di lavoro del 50 per cento. Il cavallo ha inoltre
una maggiore resistenza, e può lavorare una o due ore
al giorno più del bue. La maggiore velocità e resistenza

del cavallo sono particolarmente importanti nel clima
incostante dell’Europa settentrionale, dove il successo
di una semina può dipendere dall’aver arato e seminato
in condizioni favorevoli. Inoltre la velocità del cavallo
facilitava l’arpicatura, che era ben più importante nel
corde che nell’area mediterranea, dove l’aratura incrociata
riusciva a frantumare bene le zolle.
Altre considerazioni si possono fare sui cavalli e i buoi
utilizzati dai contadini. Gli agronomi moderni, pur sapendo
bene che il rapido deprezzamento di un cavallo
tende a controbilanciare la sua efficienza lavorativa,
hanno tuttavia calcolato che il bue è, per una giornata
lavorativa, del trenta per cento più costoso del cavallo.
Infatti, per i contadini delle coste slave della Germania,
le misurazioni della terra arabile venivano fatte in base
a quanto poteva arare una coppia di buoi o una di cavalli:
un vantaggio, quindi, del cento per cento al cavallo!
Alla fine vinceva l’umile bue: di un cavallo vecchio vale
solo la pelle, un vecchio bue può essere ingrassato e
Una veduta di Ossana.
19
studi sulla Val di Sole
venduto al macellaio.
L’uso del cavallo fornito del ferro agli zoccoli era utilizzato
nel traino del legname, nei trasporti di merci e persone,
nei lavori agricoli nelle cosiddette fratte, porzioni
di terra ricordate nelle carte di regola di Monclassico
e in quella di Vermiglio. A questo proposito ricordo un
processo del 1840 intentato per illecito dissodamento
di molta parte del monte Sadròn con riduzione in cosiddette
fratte per seminagione di cereali a danno del
Comune proprietario di Carciato”.
Dunque la richiesta dei ferri da cavallo per il vescovo di
Trento agli uomini di Ossana, Malè e Cles era un onere
assai pesante e nello stesso tempo assai significativo,
non solo per il valore di mercato del metallo, ma indirettamente
per tutta la comunità, la quale doveva risarcire
i fabbri per questa loro prestazione, o con sgravi
fiscali, o con donativi in natura (burro o formaggio), o
con altri obblighi che ogni uomo doveva soddisfare lungo
l’anno alla stessa comunità.

studi sulla Val di Sole
UNA NOTA DI POSSESSO INEDITA DEL
PITTORE GIOVANNI MARINO DALLA TORRE
di Paolo Dalla Torre
Alcuni esponenti della famiglia Dalla Torre svolsero
l’attività di pittori nelle valli del Noce tra la seconda
metà del Seicento e i primi due decenni del
XIX secolo, al servizio delle comunità locali. Simone
Weber precisava che “Molti affreschi di chiese e
case in Val di Sole sono dei Dalla Torre di Mezzana,
ma non si sa a quale di loro si debbano assegnare.” 1 .
A queste opere indicate dal sacerdote è possibile
aggiungere le Via Crucis, i gonfaloni, i quadri devozionali,
le pale d’altare, i paliotti dipinti 2 . Alberto
Mosca segnalava l’esistenza di un disegno del 1683
con la raffigurazione di una “arma sculpita nella pietra
del sepolcro esistente nella parochiale di Malé
spettante all’illustrissima famiglia Lodrona” 3 , opera
di Marino Dalla Torre, capostipite della bottega.
Una recente scoperta ha permesso di trovare la
firma autografa del pittore “Giovanni Marino Dalla
Torre” apposta su un libro a stampa che gli era appartenuto,
come certifica la scritta di mano diversa,
annotata in calce al frontespizio: “Ex libris quondam
domini Ioannis Marini a Turri pictoris” 4 . L’avverbio
latino “quondam”, ossia “del fu” chiarisce che firmò
un’altra persona, da identificare in don Marino An-
Nota di possesso di Giovanni Marino Dalla Torre, particolare. Proprietà privata.
20
tonio Dalla Torre (Mezzana, 1713 – ivi, 1788), figlio
dell’artista e della sua consorte Domenica 5 . In fondo
al testo il religioso lasciò scritto: “Questo libro
già tutto lazzaro, e sciolto fu religato, e rinovato li
22 marzo 1759 da me padre Marin’Antonio Dalla
Torre”. Le condizioni del testo, il tema religioso del
contenuto o, soprattutto, l’appartenenza a suo padre,
spinsero il sacerdote a un intervento di sistemazione,
le cui tracce sono visibili nello scorrere
le pagine del volume. Per la sua caratteristica di riassunto
espositivo dei fatti biblici potrebbe essere
stato una delle fonti iconografiche alle quali avrebbe
attinto l’artista, per l’esecuzione delle proprie
opere.
Il libro riguarda il “Compendio historico Del Vecchio,
e del Nuouo Testamento: cauato della sacra
Bibbia, dal r. m. Bartolomeo Dionigi da Fano. Nel
qual si descriuono tutte le cose Notabili, che successero
nel popolo Hebreo, dalla Creatione del
Mondo, fino all’vltima distruttione di Ierusalem.
Con la Vita di Giesù Christo, Saluator del Mondo,
e con la disseminatione dell’Euangelo, e della sua
Santa Fede. Con due Tauole, l’vna de Capitoli, l’al-

tra delle Cose Notabili.”. L’autore del testo, Bartolomeo
Dionigi, era un ecclesiastico e letterato da
Fano, morto dopo il 1606. Le prime edizioni della
sua opera risalgono agli anni ottanta del Cinquecento,
ma la copia con la firma di Giovanni Marino
Dalla Torre reca in più la dedica “All’Illustriss. Sig.
Sig. mia, e Padrona Collendiss. la Sig. Elena Cornara
Piscopia, figlia dell’illustriss., et eccellentiss. sig. Gio:
Battista Cornaro Piscopia procurator di san Marco”.
La decisione di aggiungere questo omaggio è
dovuta, come si desume dalla premessa del libro,
all’editore Valentino Mortali, che ristampò l’opera
nel 1669, a Venezia, in segno di omaggio a una delle
donne più colte del tempo:
“Esce di nuovo alla luce del Mondo il Compendio
Storico della Sacra Bibbia, che è l’Epitome de miracoli;
e n’esce col titolo glorioso di V. S. Illustriss., che
è il Compendio vero de portenti. Non poteva meglio
scolpirsi il famosissimo nome di quella Eroina,
che nella sublimità dell’intelletto hà dell’Angelico” 6 .
Lucrezia Elena Cornaro del ramo Piscopia (Venezia,
1646 – Padova, 1684) discendeva da un’antica
famiglia veneziana, alla quale appartennero quattro
dogi e otto cardinali. La nobildonna, figlia di Giovanni
Battista e di Zanetta Boni, dimostrò precoci
doti intellettuali, scoperte dall’aristotelico Giovanni
Battista Fabris. Il genitore le affiancò dei professori,
per insegnare alla figlia diverse lingue straniere
come greco, latino, ebraico, spagnolo, francese.
I suoi studi proseguirono con l’apprendimento di
letteratura, retorica e logica; nel tempo libero si
dilettava con la musica. Dal 1668 Lucrezia Elena
cominciò lo studio della filosofia sotto la guida di
Carlo Rinaldini, professore all’Università di Padova.
Il frate Felice Rotondi la istruì in teologia e, assieme
al padre della giovane, chiese per lei la possibilità di
concederle la laurea in teologia, con la presentazione
della espressa richiesta al collegio dell’università
patavina. I teologi dell’ateneo manifestarono il proprio
assenso, a differenza del cardinale Gregorio
Barbarigo, cancelliere dell’università e consulente
di Innocenzo XI, Odescalchi (1676-1689), che oppose
un netto rifiuto. Lucrezia Elena si presentò per
la laurea in filosofia, conseguita il 25 giugno 1678,
diventando la prima donna a ottenere questo ambito
traguardo. Alla cerimonia, tenuta nella cappella
della beata Vergine nel duomo di Padova, presenziarono
le autorità universitarie, i professori di tutte
21
studi sulla Val di Sole
le facoltà, gli studenti e molti senatori veneziani,
assieme ad altri ospiti inviati dagli atenei di Bologna,
Ferrara, Perugia, Roma e Napoli. La nobildonna
parlò per un’ora in latino classico spiegando diversi
passaggi complessi selezionati dalle opere del filosofo
Aristotele (Stagira, 384-383 a.C. – Calcide,
322 a.C.). Lucrezia Elena dedicò il proprio tempo
allo studio, all’osservanza religiosa, aveva indossato
infatti l’abito di oblata benedettina e all’assistenza
dei bisognosi; si spense a trentotto anni. Sei mesi
dopo la sua morte l’Università di Padova dispose
la coniazione di una medaglia commemorativa, un
segno di merito non concesso a nessuno prima
di allora. Ricordano questa figura significativa nel
panorama culturale della sua epoca una statua nel
portico del Palazzo del Bo, sede dell’Università di
Padova, un busto nella chiesa di sant’Antonio e una
vetrata a colori nella libreria del College di Vassar a
Poughkeepsie nello stato di New York negli U.S.A..
Le sue opere uscirono postume nel 1688 a Parma 7 .
NOTE
1 S. WEBER, Artisti trentini e artisti che operarono nel Trentino, seconda
edizione accresciuta e corretta dall’autore con introduzione,
annotazioni e indice dei luoghi a cura di N. RASMO, Trento 1977,
p. 116.
2 S. FERRARI, Appunti sull’arte del Settecento in Val di Sole, in La Val di
Sole nel Settecento. Storia e Arte, a cura di A. MOSCA e S. FERRARI,
Malé – Trento 2001, p. 47.
3 A. MOSCA, Croviana nella storia, Croviana – Trento 2002, pp. 129-
130; il disegno è conservato a Trento, Archivio Diocesano Tridentino,
Atti civili, 634, cc. 37v-38r, documento di data Malé, 9 maggio
1683.
4 Il testo è in proprietà privata.
5 Mezzana, Archivio parrocchiale (d’ora in poi Mz, AP), A 1 1,
Libro contenente i nati di questa curazia di Mezzana dal 1698
all’anno 1798. Volume II, c. 2r; per il decesso cfr., Mz, AP, A 2 1,
Libro contenente i morti di questa curazia di Mezzana dall’anno
1699 al 1819. I matrimoni dall’anno 1700 al 1818. Volume II, c. 71v.
La registrazione di morte specifica la sepoltura del religioso nel
monumento riservato ai sacerdoti della chiesa dei santi Pietro e
Paolo apostoli di Mezzana. Cfr., ibidem, c. 71v. Il sacerdote è attestato
come curatore d’anime a Tret, nei pressi di Fondo, nel 1748;
cfr., Trento, Biblioteca di san Bernardino, ms. 418, S. POMAROLLI
OFM, Cronistoria ecclesiastica tridentina. Elenco dei curatori d’anime
di tutta la diocesi di Trento fino al 1947. Edizione II, volume II, Campo
Lomaso 1946-1947, p. 270.
6 Dalla premessa del libro.
7 M. DEZA, Vita di Helena Lucretia Cornara Piscopia, Venezia 1686;
A. LUPIS, L’eroina veneta, overo, La vita di Elena Lucretia Cornara
Piscopia, Venezia 1689; P. CARRANO, Illuminata: la storia di Elena
Lucrezia Cornaro, prima donna laureata del mondo, Milano 2000.

studi sulla Val di Sole
VALANGHE IN VAL DI SOLE
Un libro di roccia: geologia in Val di Sole (7)
di Giuseppina Zambotti - con la collaborazione di Rinaldo Delpero e Rinaldo Monegatti
«Lavine! Dappertutto lavine! Piombano, per i loro antichi solchi,
con strapotente furore a frantumarsi in nuvolosi grandiosi giù in
valle, travolgono lungo il percorso centinaia di migliaia di metri
cubi di neve; si staccano bianchi enormi lastroni, scivolano giù, si
gonfiano a dismisura, raggiungono i boschi, che con fracasso si
schiantano, falciati come fuscelli…» FRITZ WEBER (Ufficiale
esercito austro-ungarico), Alpenkrieg – «Il “bianco venerdì” di
guerra»
Dopo una sequenza di stagioni invernali poco nevose che
hanno caratterizzato gran parte degli anni ’90 del secolo
scorso, l’inverno 2008/2009 si è contraddistinto per le abbondanti
precipitazioni che hanno interessato l’intero arco
alpino, dove sono stati raggiunti quantitativi di neve al suolo
ragguardevoli. L’inverno 2008/2009 segue di pochi anni
gli inverni 2004 e 2001, pure caratterizzati da abbondanti
nevicate, specialmente in quota. Nonostante il verificarsi di
questi tre inverni particolarmente nevosi a distanza di pochi
anni, lo stato attuale delle conoscenze sui cambiamenti climatici
in atto e sugli ipotetici scenari futuri non consentono
però al momento di considerarli come l’inizio di un effettivo
cambiamento di tendenza. Un ritorno a un periodo nevoso,
come ad esempio quello che ha caratterizzato gli anni
’70 nel secolo scorso, appare in ogni caso improbabile. La
storia recente della climatologia nivale sulle Alpi sud-orientali
mostra tuttavia che dobbiamo aspettarci ancora inverni
particolarmente nevosi come quello trascorso. E ciò seppure
in un quadro di cambiamenti a livello globale che hanno
prodotto lunghi periodi di siccità invernale come non si era
mai verificato da quando sono disponibili dati strumentali sui
parametri nivologici. E in prospettiva i dati non paiono certo
ottimistici per quanto riguarda il futuro.
In questa nuova puntata voglio affrontare il tema delle valanghe,
cercando di documentare alcuni episodi accaduti in Valle
di Sole, scelti tra quelli che a vario titolo hanno comportato
rischio per infrastrutture o abitati. Chi, per professione
o diletto, si occupa dei problemi connessi alla neve ed alle
valanghe non troverà qui nulla che già non sappia, ma esclusivamente
un resoconto degli eventi più importanti rilevati
durante l’inverno 2008-2009.
Non parleremo quindi di rocce, ma di quello che ci avviene
sopra e che in inverno può provocare seri problemi e danni
al nostro vivere. Soprattutto quando ci “ostiniamo” ad abitare
in luoghi un tempo rispettosamente evitati dall’esperienza
secolare. Anche in questo caso la conoscenza empirica del
22
proprio territorio era essenziale per sopravvivere in montagna.
Le origini dei nostri attuali termini valanga e slavina sono
da ricercarsi nella lingua latina. Nei testi antichi (XV secolo)
del Delfinato, nelle Alpi francesi, erano chiamate «labinae»
o «lavanchiae». Lavanchiae è probabilmente di origine prelatina,
forse ligure, ed ha la stessa radice di «lave» che significa
scorrere di fango o lava. Molto più tardi la confusione
con il vocabolo francese «aval» (che significa “verso valle,
all’ingiù”) produsse l’attuale vocabolo «avalanche», usato in
inglese e francese, da cui deriva valanga in italiano. Il termine
si potrebbe applicare alla caduta di qualunque materiale, ma
quando lo si usa senza specificazioni ci si riferisce sempre
alla caduta di neve. L’altro vocabolo latino labinae deriva
da «labi» che significa “slittare, scivolare giù”. In seguito la
parziale intercambiabilità delle lettere b, v e u originò molti
termini propri di particolari regioni alpine come lauie, lavina,
lauina e infine l’attuale vocabolo tedesco Lawine, introdotto
nell’uso corrente da Schiller e Goethe, da cui deriva il termine
italiano slavina. ( )
E veniamo ora a descrivere nei particolari gli eventi valanghivi
più rilevanti de «La grande nevicata» 2008-2009 ( ), un
inverno che entrerà certamente nel bagaglio del nostro immaginario
a favore di storie di grandi nevi per i nostri nipoti.
21 DICEMBRE 2008
TOF PARPÉT – Val di Rabbi
La valanga del Tóf Parpét interessa un’ampia porzione del
versante a valle della linea di cresta tra Sass Forà (2.807 m
slm) e il Collecchio (2.957 m slm); la zona di distacco si individua
subito ad ovest del crinale che dal Collecchio scende
in Val di Rabbi.
È una valanga periodica con tempo di ritorno di 1 anno ( ),
che va ad interessare la strada per la loc. Fontanino di Rabbi.
Il fenomeno comporta un rischio elevato per la strada comunale
che, nonostante si sviluppi fuori dal centro abitato,
porta alla loc. Fontanino dove sono ubicati masi, strutture
ricettive e da dove partono i trekking e i sentieri alpinistici
della zona del Rifugio Dorigoni.
Il pendìo valanghivo delimitato sulla Carta di probabile localizzazione
delle valanghe (CLPV – P.A.T.) presenta esposizione
sud-ovest su versante aperto. La zona di scorrimento
si divide in almeno quattro canaloni distinti di cui, i canaloni

occidentali si uniscono intorno a quota 1.500 m slm a formare
il Tóf Parpet e vanno ad interessare la rete viaria in
prossimità dell’incrocio tra la strada comunale asfaltata e
quella che segue il fondovalle (sterrata) mentre il canalone
orientale, poco accentuato, interseca la stessa strada per la
località Fontanino subito dopo il capitello.
Il movimento registrato la mattina del 21 dicembre 2008
sembra aver attivato la porzione più occidentale del sito: la
zona di distacco, di tipo lineare, si individua intorno a quota
2.600 m slm su un fronte a geometria irregolare di lunghezza
dell’ordine di 100 ml. Il movimento, in realtà, è imputabile
ad almeno tre episodi in successione temporale, presumibilmente
a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, con
caratteristiche diverse. Il primo episodio, che sembra aver
movimentato neve da accumulo da vento deposta i giorni
precedenti, avrebbe preparato lo “scivolo” per i due eventi
successivi.
L’ultimo evento, probabilmente il principale, ha attivato
anche la porzione sud-orientale della zona di accumulo e
sembra riconducibile ad una valanga di tipo misto (radentenubiforme)
caratterizzata cioè da neve asciutta, con neve ad
alta densità alla base dello scorrimento (valanga radente) e la
cui superficie esterna risulta avvolta da una nuvola di polvere
di neve poco densa.
La valanga ha percorso il Tóf Parpet fino al fondovallivo, abbracciando
il bosco sulla destra del canale; l’accumulo ha
interessato l’alveo del torrente Rabbiés per una lunghezza di
almeno 200 ml, con uno spessore stimato in corrispondenza
della strada comunale di circa 25 m e un volume complessivo
movimentato dell’ordine di m3 100.000 ( ).
La componente polverosa della valanga ha prodotto effetti
catastrofici anche sul versante opposto, in destra idrografica
del torrente Rabbiés, dove l’onda di pressione dell’aria che
sopravanzava il fronte ha “pettinato” le piante -almeno 300
tra larici e abeti ( ) lungo la fascia di fondovalle.
Probabilmente in contemporanea con il Tóf Parpet si sono
attivati anche alcuni pendìì valanghivi più a ovest tra i quali
Il deposito della valanga del Tof Parpet e gli effetti dell’onda di pressione che sopravanzava
il fronte sul versante opposto (destra Rabbiès). Foto: Andrè Bortolameolli - Stazione
Forestale di Rabbi
23
studi sulla Val di Sole
Mandria de le Buse e il Rio Campisòl, il cui accumulo ha
divelto il ponticello in legno sul Rio Rabbiés.
6-7 FEBBRAIO 2009
Tra i giorni 1 e 7 febbraio, correnti umide sud-occidentali
determinano condizioni di cielo molto nuvoloso con precipitazioni
intense e diffuse. La perturbazione interessa tutto il
territorio provinciale con apporti di neve fresca variabili da
60 a 90 cm a 2.000 m di quota.
I consistenti nuovi apporti di neve fresca, non ancora assestati
e saldati al manto nevoso preesitente e il rialzo termico
avvenuto durante la precipitazione, non permettono
l’instaurarsi del metamorfismo di assestamento e consolidamento
favorendo l’innesco di molte valanghe spontanee di
medie e grandi dimensioni.
VAL DEI SPINI – Celledizzo in Val di Pèio
Il bacino della Val dei Spini, situato in sinistra orografica del
torrente Noce in Val di Pèio, è caratterizzato da una intensa
attività valanghiva con periodicità degli eventi quasi annuale.
La configurazione del terreno presenta versanti imbutiformi
posti oltre il limite della vegetazione forestale (circa 2300 m
s.l.m.), con pendenze comprese fra i 35° ed i 40°. Il bacino di
Val dei Spini insiste sull’ampio conoide che divide gli abitati
di Cógolo e Celledizzo. L’area è oggi in parte edificata con
case private di residenti, seconde case, oltre alla zona del
Centro sportivo, cantiere in atto del Polo scolastico della Val
di Pèio, area commerciale a valle in località Doss dele Rive.
Storicamente la valanga si stacca alla testata della Val dei
Spini, sotto la cresta che separa la valle dal circo Cadinèl.
In passato alcuni fenomeni valanghivi di particolare intensità
hanno interessato Cógolo e le zone abitate del conoide.
Le informazioni raccolte hanno indicato come gli eventi del
passato non abbiano causato vittime ma abbiano piuttosto
interessato infrastrutture (abitazioni, strade e ponti). L’evento
di maggiore intensità riportato si sarebbe verificato all’inizio
del secolo (1910 ?) quando una massa di circa 100.000
m3, con profondità dei depositi superiore a 7÷8 m, avrebbe
percorso tutto il conoide, raggiungendo il fondovalle, oltrepassando
il torrente Noce per risalire sul versante opposto.
Dal punto di vista geologico l’area della zona di distacco
e di scorrimento delle valanghe è caratterizzata da rocce
metamorfiche che vengono estesamente a giorno in molti
tratti e che per lo più costituiscono il substrato geologico
non affiorante dell’intera area. Dal punto di vista forestale,
la copertura è costituita quasi esclusivamente da fustaie ed
occupa i versanti scoscesi che sovrastano il fondovalle. Alle
quote inferiori i tipi di popolamento sono costituiti da abete
rosso e larice sia nella forma di pecceta pura, che mista. A
quote superiori ai 2200-2400 m s.m.m. la vegetazione cede

studi sulla Val di Sole
il posto agli improduttivi di montagna. Lungo i percorsi delle
valanghe, si trovano delle formazioni pure di ontano bianco,
verde e di betulla, altrove le latifoglie sono presenti sporadicamente.
L’ontano verde è localizzato in particolare lungo i
ripidi versanti ed i canaloni interessati da fenomeni valanghivi,
mentre i bordi sono in generale colonizzati dal larice. A
causa della composizione silicea dei suoli manca il pino mugo
che predilige i terreni calcarei.
Nell’intento di proteggere l’abitato esposto al pericolo valanghivo,
la P.A.T. ha avviato già da alcuni anni un progetto di
protezione delle abitazioni esistenti sul conoide soggetto al
rischio, con la realizzazione di opere attive paravalanghe che
allo stato attuale coprono tutta la porzione occidentale del
sito. La valanga del 7 febbraio 2009 si è staccata in corrispondenza
della porzione sud-orientale del sito, confermando ulteriormente
la pericolosità dell’area tanto da far accelerare
i tempi di esecuzione delle opere di difesa anche su questa
porzione.
La zona di accumulo della valanga infatti è quella del bosco
bruciato (incendio spontaneo verificatosi una decina di anni
orsono), che copre la porzione sud-est del sito valanghivo,
facilmente raggiungibile, oltre che da Malga Levi, anche da
Malga Sassa percorrendo il sentierino che, a partire dal grass
della malga, si sviluppa verso nord tagliando il costone della
Val dei Spini fino al circo Levi.
Si tratta di un area di circa 8 ha (corrispondenti ad una superficie
reale lungo il versante pari a circa 10,5 ha) attualmente
interessata dai lavori di completamento delle opere
paravalanghe.
Nell’episodio del 7 febbraio 2009 la valanga a lastroni si è
staccata intorno a quota 2.300 m slm e si è incanalata lungo
la Val dei Spin. Diramandosi quindi in sinistra idrografica ha
seguito un movimento di tipo nubiforme. La porzione fluido-densa
con comportamento plastico si è depositata nella
zona intermedia del canalone mentre la porzione più fluida
si è diramata sulla strada forestale che da Celledizzo sale
a Malga Bórche. Curiosamente e fortunatamente la massa
nevosa che scendeva nel solco vallivo del Rio Val dei Spini
si è depositata, anche a causa di notevoli apporti di legname
divelto, al ponticello della strada ed ha in gran parte virato a
sinistra lungo la strada forestale già in precedenza modellata
a canale perché mantenuta transitabile con adeguati mezzi
meccanici nel suo primo tratto. Pertanto, solo una modesta
porzione di valanga ha proseguito in linea oltre il ponte, arrestandosi
nel solco del rio, a ridosso delle case di abitazione
di Cógolo. La gran parte invece è letteralmente “slittata”
lungo la strada di modesta pendenza, con una dinamica del
tutto singolare, dividendosi in alcuni “vagoni” indipendenti.
Questo imponente “treno” di neve, sassi e alberi ha raggiunto
la prima casa di Celledizzo in località Cautüre .
24
L’accumulo della valanga della Val dei Spini diramatosi, in parte, lungo la stradina comunale
di Celledizzo. Foto: Rinaldo Delpero
SAN VALENTINO – Montés, Presson
La valanga di San Valentino interessa il bacino del Rio San
Vigilio, uno degli affluenti di sinistra idrografica del torrente
Noce, nel quale si immette a quota 739 m slm in corrispondenza
dell’abitato di Presson. Si tratta di un bacino dalle spiccate
caratteristiche di torrenzialità, caratterizzato da una superficie
piuttosto ridotta (2,14 km2 – bacino chiuso all’apice
del conoide a quota 835 m), elevata pendenza media dei
versanti e dell’asta principale (rispettivamente 33° e 20,75°),
andamento rettilineo dell’asta principale, con alveo spesso
incassato e con poche possibilità di divagazione e deposito.
Il conoide da esso formato, di dimensioni alquanto ridotte
rispetto alla superficie del bacino, risulta parzialmente antropizzato
(abitato di Presson) e quasi esclusivamente nella
porzione occidentale (destra idrografica).
Il bacino del Rio San Vigilio si presenta piuttosto ben vegetato,
con una copertura forestale che copre una superficie
complessiva pari a 1.57 km2 (73.3% del bacino). Le tipologie
forestali attualmente presenti sono rappresentate principalmente
da lariceto nella parte media del bacino, che copre
zone un tempo sfalciate e/o pascolate; lariceto dei suoli silicatici
xerici, nella parte medio-alta del bacino, indice di terreni
poco sviluppati e poco profondi, caratterizzati da bassi
contenuti di acqua e ontanete pure o con salice nei principali
canaloni da valanga nella parte media e medio-alta del bacino
che evidenziano come il bacino sia interessato in maniera
piuttosto ricorrente da fenomeni valanghivi che limitano
lo sviluppo della vegetazione arborea. Formazioni a latifoglie
miste (castagno, robinia e ontano) sono presenti nella
parte bassa del bacino, sul bordo superiore della vasta area
in erosione superficiale presente a valle della soglia morfologica
di quota 1050 m slm. Accanto alla copertura forestale
prevalente, la rimanente parte del bacino è caratterizzata
dalla presenza di pascoli e praterie d’alta quota nella zona di
testata e prati ancora coltivati e sfalciati in corrispondenza
del terrazzo glaciale di Montés, caratterizzato da suoli più

fertili e profondi (4÷6 m). Oltre ai già citati eventi detritico-alluvionali,
il bacino è interessato da episodi valanghivi,
con frequenza quasi annuale, che si staccano dalla parte alta,
poco sotto la dorsale Piz de Montés (2.367 m slm) – Cimon
de Bolentina (2.287 m slm). Il fenomeno mette a rischio, oltre
che le abitazioni esposte sul conoide, diverse infrastrutture
presenti a più livelli sul versante tanto che già da alcuni
ormai la zona di distacco risulta coperta da opere di difesa
attiva.
L’evento registrato il mattino del 7 febbraio 2009 sembra
aver mobilizzato neve residua, sfuggita alle opere paravalanghe.
Il movimento, di tipo nubiforme, si è esteso sulla porzione
occidentale del sito (in destra idrografica) e si è quindi
incanalato lungo la valle percorsa dal Rio San Vigilio per
arrestarsi sul conoide, a monte delle abitazioni. L’accumulo
è comunque rimasto confinato entro il limite definito con
tempo di ritorno di 100 anni.
L’accumulo della valanga San Valentino, lungo il Rio San Vigilio, e i lavori di sgombero subito
dopo l’episodio. Fonte – Comune di Monclassico
VAL PIZZANO – Vermiglio
Il sito valanghivo della Val Pizzano si estende per parecchi
ettari alla testata della valle omonima. La zona di distacco,
in particolare, comprende un’ampia porzione del versante
a sud-ovest di Cima Boái (2.685 m slm) caratterizzato da
pendenze elevate ed esposizione sud, sud-est. L’area di distacco
dell’evento registrato il 7 febbraio (ore 4.00 circa)
ha interessato un’estesa porzione del versante alla testata
del Tóf Biólc, un sistema di tovi che si uniscono intorno a
quota 2.000 m slm, e che costituisce le propaggini orientali
della testata della Val Pizzano. Il fronte di distacco (linea di
frattura) si è sviluppato con geometria irregolare lasciando
una parete profondamente intagliata per qualche centinaio
di metri poco sotto la cresta che separa la Val Saviána dalla
Valletta (alta Val Comasine).
La valanga di lastroni ha attivato dapprima la porzione est
del sito, mobilizzando lo strato superficiale per uno spessore
medio di 1 m, per propagarsi velocemente verso ovest, pre-
25
studi sulla Val di Sole
levando spessori variabili di neve fresca in modo discontinuo,
a seconda del substrato presente.
Si sono movimentati alcune migliaia di m3 di neve densa che
si è incuneata lungo la Val Pizzano, per lo più con un movimento
di tipo cubiforme, lasciando depositi nel tratto intermedio,
tra le quote 1.500÷1.600 m slm, per “precipitare” a
valle nel tratto finale, incassato entro il substrato roccioso,
sotto la briglia di quota 1.450 m slm. La valanga si è quindi
arrestata all’apice del conoide, “appoggiandosi” al Pont del
Dazi (quota 1.285 m slm) senza provocare danni alla struttura
in legno. In base al catasto valanghe della P.A.T., risulta
che l’evento ha ripercorso più o meno fedelmente la valanga
del 1916 (testimonianza del dott. for. Gino Delpero) con un
tempo di ritorno di 100 anni.
L’accumulo della valanga del Tof Biolc si è arrestato all’apice del conoide del Rio Pizzano,
“appoggiandosi” al pont in legno del Dazi. Fonte: Comune di Vermiglio
VAL NIGOLÁIA – Val di Rabbi
La Val Nigoláia si sviluppa in sinistra orografica della Val di
Rabbi sulle pendici meridionali del monte Castel Pagano
(2.609 m s.l.m.). Il sito ha una morfologia di tipo imbutifome,
copre un dislivello complessivo di circa 1500 m corrispondente
ad uno sviluppo complessivo di circa 3 km. La zona di
distacco, orientata a sud sud-ovest, è collocata approssimativamente
tra le quote 2.550 e 2.150 m s.l.m ed ha un estensione
areale di circa 14 ha e pendenze variabili tra i 35° e i
45°. Attualmente sono in corso i lavori di realizzazione delle
opere paravalanghe che dovrebbero coprire l’intera area.
La zona di scorrimento è rappresentata da un canale incassato
(larghezza pari a 10÷15 m e fianchi con inclinazione di
circa 35-40°), con una pendenza che decresce gradualmente
dai 30° circa delle zone superiori ai 20° circa del tratto terminale.
Il canale di scorrimento sbocca in un’area di conoide
intorno alla quota 1250 m s.l.m. Il conoide rappresenta la
zona di arresto della valanga. Nella parte alta (sopra la strada
comunale S. Bernardo - Zanon) le pendenze sono notevoli
(intorno ai 15°) mentre nella parte inferiore decrescono
gradualmente (circa 10°) fino ad un tratto pianeggiante che
termina in corrispondenza del torrente Rabbiés.

studi sulla Val di Sole
Il sito valanghivo della Val Nigoláia è stato oggetto recentemente,
di numerosi studi e verifiche da parte della Provincia
di Trento, anche per il corretto dimensionamento delle
opere di difesa attiva al fine di mitigare il rischio connesso
al distacco di valanghe sull’abitato di San Bernardo, attualmente
in fase di realizzazione. Da quanto emerso, la serie
di distanze di arresto può essere considerata “sistematica”
a partire dall’anno 1975 (periodo storico di registrazione
1975÷2000), considerando come soglia per l’analisi delle eccedenze
l’apice del conoide. In base ai dati storici relativi alle
distanze di arresto, misurate a partire dalla zona di distacco,
si può ritenere che tutti gli eventi valanghivi che hanno superato
tale soglia e si sono arrestati nella zona di conoide
siano stati registrati con sistematicità sia attraverso le schede
del vecchio catasto forestale che sulle schede relative al
modello 7 Aineva . Il valore medio di superamenti per anno
è dunque pari a 0,32 (8 eccedenze in 25 anni).
La zona di distacco della valanga della Val Nigolaia, sotto Castèl Pagano (2.594,00 m slm), e le
opere di difesa attiva in fase di realizzazione (Foto: Zambotti Pina, autunno 2008
La valanga del 7 febbraio 2009 si è staccata dal versante intorno
a quota 1.400 m slm circa, a valle delle barriere attive
realizzate durante l’estate 2008, dalla porzione inferiore del
sito valanghivo, ancora “scoperta”. Il movimento, analogo agli
episodi avvenuti nel resto della Valle di Sole e Peio lo stesso
giorno, ha mobilizzato alcune migliaia di m3 di neve densa
che si è incanalata lungo la valle, raggiungendo velocemente
l’apice del conoide, per arrestarsi in prossimità del cimitero
di San Bernardo.
La cronaca degli eventi valanghivi ed emergenze conseguenti
si può approfondire nei servizi giornalistici elencati di seguito.
Evento valanghivo del 21 dicembre 2008
• Lunedì 22 dicembre 2008
L’Adige, pag 1 «Maxi slavina in Val di Rabbi» e 15 «Montagna
/ Val di Rabbi, valanga come una bomba / Caduti centomila
metri cubi di neve. Lo spostamento d’aria sradica 300
26
abeti» di S. Damiani.
• Martedì 23 dicembre 2008
L’Adige, pag 44 «Pèio e Rabbi / Due interventi di messa in
sicurezza dalla neve e dalle frane | PAT approva progetto
esecutivo Paravalanghe a Cógolo-Celledizzo 1.786.361,00;
Protezione massi Le Gáne Tassé 1.250.000,00».
Eventi valanghivi del 6 e 7 febbraio 2009
• Sabato 7 febbraio 2009
L’Adige, p. 1 «Val di Sole, incubo valanghe / Slavine a Pèio e
Rabbi. Paesi a rischio evacuazione» e pag. 23 «Montagna /
Val di Sole, abitati a rischio / Valanghe a Pèio (Val Taviela) e
Rabbi (Val Nigolaia)» di Roberta Boccardi.
TRENTINO, richiamo in prima pagina «Maltempo / Valanghe:
11 paesi in allerta» e pag 19 «Val di Rabbi / Slavina
travolge un parcheggio / Momenti di paura a San Bernardo,
ma non ci sono feriti» di g.e. (Giacomo Eccher).
• Domenica 8 febbraio 2009
L’Adige, richiamo in prima pagina «Una raffica di valanghe
…» pag 31 «Montagna / Vermiglio, in paese è tornata la
paura / Un fiume di neve e tronchi su Fraviano. Altre valanghe
a Celledizzo e Monclassico »TRENTINO, richiamo
in prima pagina «Emergenza neve / Valanghe e crolli» e pag
40 «Val di Sole / Valanghe a Pèio e Vermiglio / L’allarme
rimane molto alto / Evacuati due negozi. Chiesto lo stato
di calamità» di Alberto Penasa.
• Lunedì 9 febbraio 2009
L’Adige, pag 17 «Val di Sole / La neve causa il cedimento
di due tetti / Danni a Dimaro. Paura per la slavina sopra
Semor. Con elicottero e gas riaperto il Passo Tonale» di
Piero Michelotti.
• Martedì 10 febbraio 2009
L’Adige, pag 36 «A Semor si teme la valanga / Monclassico:
case evacuate, chiusa strada e stazione» di Piero Michelotti.
• Mercoledì 11 febbraio 2009
L’Adige, pag 36 «Monclassico / Semor, il rischio rimane ma
la gente torna a casa / La massa nevosa sovrastante viene
controllata costantemente / Nuova ordinanza: strada chiusa
dalle 13 alle 18».
• Giovedì 12 febbraio 2009
TRENTINO, pag 44 «A Monclassico crolla un tetto / E resta
l’allarme valanghe in Val di Sole, Pèio e Rabbi» di Lorena
Stablum.
• Venerdì 13 febbraio 2009
TRENTINO, pag 41 «Monclassico / Neve, sono a rischio le
case in centro paese» di Alberto Mosca.
(Bibliografia Rassegna Stampa ed Estratti storico-letterari a
cura Biblioteca comunale Val di Pèio, r.d. –
consultabili in Biblioteca).

NEL NUOVO MUNICIPIO DI OSSANA,
LA LAPIDE DI MATTEO BUSETTI (1570)
La nuova sede municipale di Ossana,
fresca di inaugurazione, ospita all’entrata
un importante pezzo di memoria
storica trentina. Una pietra tombale che,
recuperata e restaurata dopo anni di
abbandono, rappresenta una delle rarissime
testimonianze materiali della vita
del poeta cinquecentesco Cristoforo
Busetti. Fu appunto per il padre Matteo
che il poeta realizzò nel 1570 il monumento
funebre che reca la scritta: “Il figlio
Cristoforo ebbe cura di porre [questa
lapide] per il nobile signore Matteo
Busetti”). In alto si vede la data (1570),
mentre al centro campeggia il grande
stemma della famiglia Busetti. Matteo
Busetti era figlio di quel Cristoforo che
fu per anni agente della famiglia Thun in
Val di Sole; la famiglia, originaria di Rallo, viveva dagli
anni Trenta del Cinquecento a Croviana e qui nacquero
i figli di Matteo, tra i quali il poeta Cristoforo (1540 ca.–
1605/1606). Nel corso del Seicento un altro Busetti,
Carlo, ricoprì l’incarico di daziario a Vermiglio e a Fucine
di Ossana; uno spostarsi degli interessi della famiglia
Nelle immagini, la presentazione della lapide e il taglio del nastro inaugurale del nuovo municipio. (Ph. Isidoro Bertolini - Vermiglio)
27
studi sulla Val di Sole
che comportò il trasferimento a Ossana della storica
lapide sepolcrale dei Busetti, che precedentemente era
probabilmente conservata nella chiesa di S.Giorgio di
Croviana. Si tratta di un monumento di grande importanza
storica, una delle rarissime testimonianze materiali
legate alla vita e all’opera di questo celebre poeta
trentino. Ora questo rarissimo documento si affianca
al Canzoniere conservato
nella Biblioteca Civica
“G.Tartarotti” di Rovereto e
ad una lettera autografa conservate
negli archivi della famiglia
Thun e recentemente
pubblicate dal sottoscritto.
Un merito e un vanto per
l’amministrazione comunale
guidata da Luciano Dell’Eva,
protagonista di un lavoro di
adattamento dell’edificio che
ospita la scuola materna per
dare alla sede municipale
spazi adeguati ed una posizione
del tutto particolare, di
fronte al castello di Ossana.
Una festa di inaugurazione
cui hanno partecipato numerosi
residenti e turisti. (almo)

studi sulla Val di Sole
UN’ESCURSIONE D’ALTRI TEMPI
Le persone che all’inizio del secolo scorso potevano
permettersi il “lusso” e il diletto di “perder tempo”
per dedicarsi all’escursionismo erano rare e tutte appartenenti
a classi sociali di un certo livello.
Di conseguenza anche gli iscritti alla Sat erano un’elite
di liberi professionisti, possidenti, industriali, in quanto
erano gli unici che potevano disporre di tempo
libero e che erano in grado di sostenere il costo della
quota annuale e della altrettanto onerosa tassa d’ingresso.
Solo nel 1921 con la costituzione della Società
Operaia Sat, l’associazione apre a tutti gli strati sociali.
Fra i 18 solandri iscritti alla Sat nell’anno 1903 (tutti
appartenenti al ceto sociale medio-alto), troviamo un
certo dott. Attilio Gallina (1872-1953) medico condotto
di Ossana, Pellizzano e delle Ville della Montagna,
appassionato alpinista nonché Delegato Sat per
l’Alta Val di Sole.
Nell’annuario Sat del 1908 si trova pubblicato il resoconto
di una sua escursione alla Cima Vegaia, a quel
tempo pressoché sconosciuta. La relazione è una precisa
e puntuale descrizione della salita, del panorama
che si ammira da questa stupenda cima e un invito a
salire.
La fatica della salita, allora come oggi, è “ripagata a mille
doppi” dallo spettacolo che si può godere dalle vette,
spettacolo antico ma sempre nuovo.
Dall’Annuario SAT del 1908 pagine 137/138.
“LA CIMA VEGAIA”
(m.2891)
Avevo sentito parlare vagamente da qualche cacciatore
del punto di vista, che offre questa cima quasi
sconosciuta e affatto trascurata dagli alpinisti. In un
pomeriggio dello scorso settembre, con un tempo
veramente splendido, parte con due amici col proposito
di pernottare alla malga Campo (m.1978) nel
tenere del Comune di Celentino, per essere il dì appresso
di buon’ora sulla vetta. Attraversiamo la romantica
selva di conifere a monte di Celentino ed in
3 ore siamo alla malga, dove possiamo accomodarci
bene. Non dimenticherò mai lo spettacolo incantevole
del tramonto in quella tepida sera! Là in fondo
alla Valle Umbrina sullo sfondo di un cielo infuocato si
di Silvano Dossi
28
delineava, fra il rosso bagliore, maestoso il Corno dei
tre Signori e tutt’intorno imponenti le varie catene
illuminate dai primi raggi di luna.
Quale arcano ed affascinante silenzio fra lo splendore
del plenilunio ! …Di buon mattino, col cielo tersissimo,
infiliamo il sentiero a mattina della malga, che
ci porta in un’ora, sopra la zona delle conifere, in
quell’ampia prateria di montagna, che si estende ininterrotta
per parecchi chilometri e che porta il nome
di Pozze.
Essa termina in alto con un dorso roccioso che spesso
assume la forma di cresta. Questo non è che la continuazione
di quella catena, che lambito a sera il nevaio
del Careser, si estende verso Nord-Est separando la
Valle di Sole da quella di Rabbi. Due passi principali la
intersecano, quello di Cercen (m.2621) che congiunge
la valle omonima in quel di Rabbi colla valle di Peio,
e il passo della Bassetta o Vallenaia (m. 2652) che da
Rabbi porta alle Pozze di Castello. Fra questi due passi,
dalla cresta s’innalzano la Cima Grande (2901) e
più a Oriente la Cima Cadinel (2870), la Cima Vegaia
(2891) e la C. Pozze (2820).
Noi proseguiamo verso Nord-Est e ben presto in
alto la Vegaia, col suo segnale trigonometrico, ci si
presenta slanciata, terminante in un ripido cocuzzolo.
A 300 m dalla cima, abbandonati gli ultimi fili d’erba,
si calca una roccia schistosa a scaglie. Tocchiamo la
vetta indorata dal primo raggio di sole alle 6 ½ (ore
2 ½ dalla malga).
Lo spettacolo che ci si presenta è semplicemente meraviglioso.
Giammai avrei creduto che da una cima di
media altezza (benché posta in posizione felicissima)
si potesse dominare un panorama tanto vasto ed interessante.
Subito al di là della catena la valle di Cercen coi suoi
pascolti ubertosi e le sue numerose malghe e più
in fuori il paese di Piazzola. A occidente la Venezia e
poi tutte le candide punte del Gruppo Cevedale. A
mezzodì la Presanella, il Corno Bianco, l’Adamello, il
Carè alto, a mattina le Dolomiti colla Marmolata ed
il Cimon della Pala; e infine, quasi racchiuse da queste
catene, le fantastiche torri del Brenta.
Ma il quadro che più colpisce l’osservatore e che è,
vorrei dire, una specialità di questa cima, è la vista a

settentrione. Qui è una serie di catene e di ghiacciai
che si susseguono come le onde di un mare in procella,
dalle montagne che fiancheggiano la Venosta, alle
vedrette della Valle dell’Oetz e dello Stubai che pompeggiano
chiarissime nell’orizzonte cristallino, e più a
Nord-Est i ghiacciai della valle della Zill e dei Tauri col
colosso Gross-Glochner. A malincuore, dopo due ore
di contemplazione, ci decidiamo a discendere.
La salita della Vegaia è facilissima e può intraprenderla
Verso Cima Vegaia in inverno.
29
come una passeggiata, il più novellino dell’Alpinismo,
che troverà lassù nel panorama ripagato a mille doppi
quel po’ di fatica patita nell’ascendere. Vi si accede in
ore 5 ½ da Celentino e ore 4 da Castello. Pernottando
alla malga Pozze, a poco più d’un ora dalla cima, si
sarebbe di buon mattino a portata di questa.
Cusiano, febbraio 1908.
studi sulla Val di Sole
Dr. A. Gallina.

studi sulla Val di Sole
Il testo presenta una delle tesi di laurea premiate dal Centro
Studi nel 2009.
I motivi che hanno portato alla stesura della tesi di
laurea sono da ricondurre alla presenza in Val di Sole di
due stabilimenti termali (a Pejo e a Rabbi) e al crescente
interesse per il termalismo, inteso non solo come
cura ma anche come prevenzione necessaria, legata
all’importanza attuale del benessere psico-fisico.
Il lavoro è articolato in due parti: una, più teorica,
relativa in primo luogo alla definizione di turismo, di
domanda e di offerta turistica e in secondo luogo al
termalismo, alla sua evoluzione e al settore termale
in Trentino. L’altra, più pratica, dedicata all’analisi dello
stabilimento termale di Pejo Fonti per individuare
le sue caratteristiche distintive e il suo orientamento
strategico, ma soprattutto per mettere in evidenza i
principali aspetti che ritengo non ancora ben sviluppati
sui quali sarà necessario puntare in futuro, per arrivare
ad un’efficace valorizzazione delle terme. Il caso delle
Terme di Pejo Fonti mi ha permesso quindi di considerare
in maniera più concreta la tematica del termalismo.
In Trentino operano otto centri termali a prevalente
trattamento terapeutico che costituiscono un elemento
importante nella complessiva e variegata offerta
turistica trentina. Attualmente l’aspetto curativoterapeutico
rappresenta il core business delle terme
trentine e viene valorizzato come punto di forza. Infatti
tutti i centri termali possiedono al loro interno due
proposte, una terapeutica e l’altra legata al benessere
termale, anche se l’approccio terapeutico è largamente
prevalente. All’interno del Circuito Termale Trentino
sarebbe necessario ricercare quindi una differenziazione
che punti da un lato alla valorizzazione e alla enfatizzazione
della specificità curativa dei vari centri termali
e dall’altro al miglioramento della proposta benessere.
Per svolgere l’analisi del caso pratico ho fatto ricorso a
numerosi colloqui effettuati sia con la Direzione Sanitaria
e Amministrativa delle Terme, sia con il commercialista
di riferimento, ottenendo in tal modo i dati e le
informazioni necessari per lo svolgimento del mio lavoro.
Inizialmente ho analizzato il ruolo rivestito dalle
Terme di Pejo a livello territoriale attraverso la “Swot
IL TURISMO TERMALE:
IL CASO DI PEJO FONTI
di Chiara Bezzi
30
Analysis”, dalla quale emerge che i principali punti di
forza dello stabilimento sono la presenza di tre fonti
di acque termali diverse per caratteristiche e quindi
per proprietà curative, l’offerta ampia e differenziata,
la doppia stagionalità, la fidelizzazione dei clienti e la
professionalità dello staff medico-sanitario. I principali
punti di debolezza risultano essere invece la mancata
realizzazione di collaborazioni tra i diversi operatori locali,
la scarsa presenza di clienti stranieri e la struttura
poco razionale dello stabilimento termale. Le maggiori
opportunità che le Terme di Pejo possono sfruttare
derivano dalla loro collocazione all’interno del Parco
Nazionale dello Stelvio, dalla possibilità di puntare alla
montagna come luogo di benessere, dalla crescente
attenzione rivolta ai trattamenti legati al benessere e
dalla creazione di alleanze e collaborazioni solide e
durature con i diversi operatori presenti in zona. Tra
le minacce più evidenti si può fare riferimento all’altitudine
di Pejo Fonti sul livello del mare, alla posizione
territoriale decentrata, alle piccole dimensioni della località
ospitante le terme e alla forte concorrenza con
altre realtà che presentano un’offerta ben strutturata,
pur tenendo conto della diversa tipologia curativa delle
differenti acque termali. Dall’analisi dell’orientamento
strategico dell’attuale società “Pejo Terme Natura s.r.l.”
che gestisce lo stabilimento termale, ho individuato un
insieme di obiettivi vasto ed eterogeneo, perché tale
società non si preoccupa solamente di valorizzare il
proprio stabilimento termale, la propria offerta e la
validità scientifica e curativa delle acque, ma anche le
risorse naturali e territoriali presenti nella zona, al fine
di promuovere un turismo “completo”, migliorando
l’offerta turistica locale per attirare un numero sempre
maggiore di visitatori. Tali obiettivi strategici sono conseguibili
non tanto nell’immediato, ma solo nel medio
periodo. Ho poi ritenuto opportuno individuare il tipo
di prestazione termale predominante all’interno dello
stabilimento, confrontando i trattamenti convenzionati
dal Servizio Sanitario Nazionale (61,30%) con quelli
non convenzionati (38,70%). Le Terme di Pejo possono
essere classificate essenzialmente come servizio
medico-sanitario, in quanto dall’analisi è emersa una
netta prevalenza dell’aspetto termale curativo rispetto
a quello legato al benessere.

Successivamente ho evidenziato i principali aspetti non
ancora sviluppati sui quali, a mio avviso, le Terme di Pejo
devono puntare per riuscire a rafforzare e valorizzare
lo stabilimento termale. Ritengo doveroso rivolgere
maggiore attenzione verso: una migliore integrazione
tra turismo invernale-estivo e turismo termale, considerando
che per le Terme di Pejo il turismo gioca un
ruolo essenziale. Le Terme di Pejo hanno già predisposto
pacchetti differenziati mirati a soddisfare la duplice
stagionalità poiché le richieste dei frequentatori dello
stabilimento sono diverse a seconda della stagione
considerata. È necessario promuovere una maggiore
integrazione tra le diverse motivazioni che potrebbero
spingere i turisti a scegliere una determinata località e
la vacanza termale, in modo da rendere più appetibile
e interessante l’offerta termale stessa. Constatato che
la motivazione principale che influenza la decisione del
turista in inverno è la presenza di una vasta e differenziata
offerta sciistica (terme e sci), mentre in estate è
la possibilità di effettuare escursioni e di vivere esperienze
uniche e particolari a contatto con la natura
(terme e natura), è opportuno promuovere ulteriori
motivazioni di vacanza che potrebbero giocare un ruolo
rilevante nella scelta della destinazione e sulle quali
si dovrebbe puntare maggiormente, ovvero gli abbinamenti
terme e benessere, terme ed enogastronomia,
terme e vacanza attiva, terme e cultura, terme e relax;
la realizzazione di solide e importanti collaborazioni
con i diversi operatori turistici e non presenti nella
zona, al fine di sviluppare una rete commerciale e promozionale
in grado di creare un “turismo completo”,
in un’ottica di sistema turistico territoriale integrato.
In particolare credo che le Terme di Pejo dovrebbero
collaborare con il Parco Nazionale dello Stelvio (per
qualificare il prodotto termale come prodotto rispettoso
dell’ambiente e del patrimonio naturale, puntando
in fase di comunicazione o di creazione di strategie
di marketing sulla naturalità delle cure termali garantita
dal fatto che le terme sono inserite all’interno del Parco),
con Pejo Funivie s.p.a (predisponendo ad esempio
un pacchetto “funivie-terme” contenente uno skipass
settimanale e un’entrata gratuita alle terme), con gli
attori del ricettivo alberghiero ed extralberghiero
(creando un pacchetto integrato “alberghi-terme”, “appartamenti-terme”…),
con l’APT della Val di Sole (per
rafforzare la collaborazione, auspicando una maggiore
sinergia di intenti non solo in fase promozionale, ma
anche in fase di sviluppo del prodotto e di commercializzazione),
con l’Idropejo (per realizzare una bottiglia
la cui etichetta preveda un’efficace promozione
31
studi sulla Val di Sole
delle Terme di Pejo, accanto all’attuale pubblicizzazione
del Parco Nazionale dello Stelvio, il cui logo è collocato
sul retro della bottiglia) e con le Terme di Rabbi
(per lavorare in modo sinergico e per sfruttare al
meglio le potenzialità insite nella zona, puntando così
alla cooperazione piuttosto che considerare le proprie
offerte come concorrenziali, per arricchire l’insieme
dei trattamenti che i due stabilimenti termali possono
proporre sfruttando la loro complementarità); l’attenzione
nei confronti dei residenti, in quanto come è
emerso dall’analisi quantitativa dei trattamenti erogati,
le persone che vivono in valle non sfruttano molto la
risorsa termale. Attenzione che si potrebbe realizzare
attraverso la promozione di campagne di informazione
e di sensibilizzazione, la realizzazione di proposte e
pacchetti specifici, la predisposizione di nuovi servizi
(quali il potenziamento dell’area riabilitativa, l’agevolazione
negli orari di apertura delle terme e la possibilità
di effettuare i trattamenti durante tutto l’anno) e la
riduzione dei costi delle terapie.
In conclusione posso affermare che nella valorizzazione
delle terme non è importante considerare solamente
lo stabilimento termale in quanto tale, ma
è fondamentale inserirlo all’interno del territorio in
un’ottica di sistema turistico territoriale integrato.
Ritengo inoltre che l’orientamento seguito dalla Direzione
Sanitaria delle Terme di Pejo sia corretto, in
quanto vuole qualificare lo stabilimento termale essenzialmente
come servizio di tipo medico-sanitario
caratterizzato dalla garanzia di distintività e serietà
nell’offerta del prodotto, anche se rimangono delle potenzialità
e degli aspetti da sviluppare per conseguire
un’efficace valorizzazione (l’integrazione tra turismo
invernale-estivo e turismo termale, le collaborazioni
con gli operatori turistici e non, l’attenzione verso i residenti).
Le proposte legate all’area benessere rappresentano
infatti solamente un’offerta complementare al
prodotto principale che rimane quindi l’acqua termale
delle differenti fonti presenti nello stabilimento, utilizzate
nella cura delle specifiche patologie. Soltanto in
questo modo le terme sono in grado di rispondere
prontamente e in maniera flessibile all’evoluzione delle
richieste del mercato che cambiano in modo continuo
e repentino: puntando sulla validità scientifica e curativa
delle acque è infatti possibile adottare strategie di
prodotto che assicurano la realizzazione di politiche
di innovazione e di differenziazione sia garantendo un
continuo miglioramento nell’offerta, sia proponendo al
cliente una maggiore possibilità di scelta, comunicandogli
l’unicità delle acque termali.

cultura delle valli
RICORDO DI FABIO GIACOMONI
L’improvvisa scomparsa del professor
Fabio Giacomoni, avvenuta a 72 anni,
lascia un vuoto profondo nella cultura
trentina. Sia nel campo degli studi
storici, soprattutto nel campo della
storia della cooperazione trentina.
Ma soprattutto, la Val di Sole perde
un grande amico, sia per forti legami
familiari che per elezione, spesso
presente e partecipe a eventi e manifestazioni,
talvolta protagonista in
occasioni di studio su fatti e personaggi
della valle: tra le più recenti, le
giornate di studio su Jacopo Aconcio,
una delle quali si tenne a Ossana nel
2002 e la successiva presentazione a
Malé nel 2006 del volume che raccoglieva
i risultati di quella importante
iniziativa culturale. E poi, la partecipazione
come relatore al convegno
che nel 2001 portò il Centro Studi
a ragionare sui “Solandri” e la storia
istituzionale della valle, dal medioevo
ai giorni nostri.
E molte, tra le carte di regola trentine
raccolte in tre fondamentali volumi
editi nel 1991, provenivano dalla Val di
Sole. Fabio Giacomoni è stato inoltre
personaggio di spicco della Cooperazione
trentina. In campo universitario
la sua attività di ricerca ha riguardato
principalmente gli aspetti comunitari
ed associativi nella Regione Trentino Alto Adige: in
un primo momento la Cooperazione trentina nelle
sue molteplici forme e poi gli aspetti più strettamente
comunitari; in un secondo momento un approfondimento
sulla cooperazione di consumo e il
suo consorzio SAIT; ultimamente l’interesse della
ricerca si era rivolto alle tematiche economiche e
sociali dei primi due decenni della Regione Trentino
Alto Adige con la pubblicazione di un volume e l’organizzazione
di un convegno sullo stesso tema. A
tutti i familiari, vada il più affettuoso ricordo di Fabio,
mio personale e di tutta la redazione. (almo)
32
Fabio Giacomoni a Malé nel 2006

RICORDO DI BRUNO RUFFINI
Con Bruno Ruffini se ne va un maestro. Di scienza
ma anche, per generazioni di studenti, per gli studiosi
di storia, per tutti quelli che lo conoscevano, un maestro
di vita. Il suo cuore si è fermato davvero troppo
presto, all’età di 63 anni, all’improvviso, mentre era
nel pieno dell’attività. Con lui, senza alcuna retorica,
se n’è andato un uomo cordiale, generoso, carico di
un entusiasmo contagioso, con il quale sapeva coinvolgere
tanti “giovani” dietro ai progetti di un “anziano”
solo per l’anagrafe.
Un uomo, uno studioso, un
presidente di associazione
culturale attivo senza ombra
di intellettualismo o di
gelosia. La scuola era il suo
mondo: ancora insegnava
nella scuola media di Revò,
una casa che mai avrebbe
voluto lasciare nonostante
l’età della pensione. E infatti
ancora insegnava, sfruttando
ogni possibile mezzo per
ritardare l’addio ai ragazzi
e alle aule. Un insegnante
ricordato con straziante
commozione da alunni ed
ex-alunni nel giorno del suo
funerale, con la chiesa di
Brez strapiena non solo di
persone ma soprattutto di
sincero affetto.
Bruno non era il classico
insegnante da “svolgimento
del programma”, andava ben
oltre: con passione insegnava
ai ragazzi a conoscere la Val di Non, la sua storia
e la sua cultura, battendone le strade, accompagnandoli
a scoprire vie e piazze, palazzi e castelli.
E con pari entusiasmo guidava dal 1999 l’associazione
culturale dell’alta Anaunia intitolata a Giovanni
Battista Lampi, ereditata dal suo fondatore don Fabio
Fattor; dieci anni di intensa attività, sempre attenta
a promuovere eventi culturali per tutti. Dalle
serate alle pubblicazioni, tantissima gente ha sempre
33
cultura delle valli
frequentato e apprezzato gli appuntamenti proposti
dall’associazione che Ruffini guidava con tanta passione,
tanto lavoro e nessun protagonismo.
Virtù rare anche nel piccolo mondo della cultura
nelle valli del Noce. Appena tre giorni prima di morire
aveva tenuto la sua ultima conferenza. Il lavoro
di ricerca che Bruno Ruffini ha condotto è fatto di
qualità e quantità: attraverso miriadi di documenti
letti e trascritti, specialmente sulla famiglia dei da
Arsio, di cui era il massimo
conoscitore. Ma pure autore
di scoperte che metteva
a disposizione di altri: ricordo
quando mi inviò alcuni
disegni inediti ottocenteschi
trovati a Innsbruck e
raffiguranti località della
Val di Sole, proprio perché
venissero pubblicati su La
Val… E come non ricordare
che il libro che nel 2001
pubblicai per il Centro
Studi con Salvatore Ferrari
sulla storia e l’arte della
Val di Sole nel Settecento,
nacque proprio sull’onda
di una mostra su Giovanni
Battisti Lampi promossa da
Bruno e dall’associazione.
Fu in quell’occasione che ci
conoscemmo.
Episodi tra tanti, da conservare
nel cuore con chi l’ha
conosciuto e frequentato,
anche se solo per otto anni,
come chi vi scrive. Quante volte abbiamo detto o
ci siamo sentiti dire: “Chiedi al Bruno…” Mi pare
ancora di doverti telefonare, o di sentirti dire “Sen ci
giobàs…”, per una minerale al bar sotto la redazione
di NOS a Cles.
Potremo provare, come ha detto Roberto Pancheri
al funerale, a cercare un altro Bruno Ruffini; ma dovremo
accorgerci, dovremo rassegnarci che un altro
Bruno, non c’è. (almo)

cultura delle valli
UN LIBRO RACCONTA ANDREAS HOFER
NELLE VALLI DEL NOCE
Dopo l’importante studio del 2003 - Viva la libertà. Moja
il Re di Baviera- Alberto Mosca torna ad occuparsi
dell’insurrezione hoferiana del 1809 in Val di Sole e
in Val di Non. E lo fa con una piccola pubblicazione
a carattere divulgativo, intitolata Andreas Hofer nelle
Valli del Noce, data alle stampe la scorsa estate in
occasione della mostra omonima ospitata nel
restaurato Palazzo Assessorile di Cles.
Attraverso i documenti d’archivio, le fonti letterarie
e le tradizioni orali l’autore ricostruisce i rapporti
tra l’oste della Val Passiria (1767-1810) - che
due secoli fa guidò la rivolta di Tirolesi e Trentini
contro l’esercito franco-bavarese - e le
Valli del Noce: dal soggiorno giovanile
a Cles presso la famiglia de Miller (dove
apprese l’italiano) alla presenza nel 1796
al Tonale come caporale di una compagnia
di Schützen durante la prima invasione
francese del Trentino, fino alla permanenza
tra il 4 e l’8 luglio 1809 in varie località
nonese (Fondo, Revò, Cles, San Romedio,
Coredo, ecc..) e solandre (Caldes), “allo
scopo di organizzare al meglio l’attività di
difesa” (p. 15).
La ricerca non si limita a rievocare la figura
di Hofer, ma approfondisce le motivazioni
della rivolta antibavarese, ripercorre
le tappe fondamentali dell’Anno Nove,
riporta alla luce fatti o personaggi poco
noti o dimenticati, come i commissari
locali di difesa o i capitani delle Compagnie
nonese e solandre di “Sizzeri”. Esemplare
in tal senso la ricostruzione - con la
pubblicazione di lettere inedite conservate
dai discendenti - della vicenda di Antonio
Manfroni (1745-1809) di Caldes, fucilato
dai francesi a Verona il 22 agosto 1809
per aver combattuto dopo l’armistizio di
Znaim (12 luglio). Alla vita delle comunità
locali, e in particolare a quella di Revò, al
tempo della sollevazione sono dedicate
varie pagine. Dalle annotazioni di regolani
e amministratori, conservate in gran parte
negli archivi comunali e nell’Archivio
di Salvatore Ferrari
34
di Stato di Trento, è possibile farsi un’idea dei
costi economici sostenuti dalle piccole comunità
d’Anaunia “in tempo di guerra”, per assistere le
truppe di passaggio o per aiutare le compagnie di
difensori volontari della patria.
In archivi pubblici e privati rimangono ancora molti
documenti dell’epoca napoleonica da leggere,
studiare e interpretare, ma di certo il volumetto
di Mosca costituisce un punto fermo per coloro
che vorranno dedicarsi alla storia delle Valli del
Noce tra la fine dell’Ancien Regime e l’inizio del
secolo austriaco.

PROFUMI D’ESTATE
Ancora una volta la primavera, anche in Val di Sole, ha
trionfato su un inverno lungo, freddo e particolarmente
nevoso. È stata una lunga attesa, ma la pazienza è
stata premiata con fioriture abbondanti ed inebrianti,
prati ancora umidi e verdi che si preparano per lo sfalcio
di giugno.
Nell’aria canti e allegre voci degli uccelli che costruiscono
il nido per la futura e numerosa prole; verso
sera, su tutto prevale il canto del cuculo, vera colonna
sonora del mese di maggio.
Piano piano le giornate si allungano, regalando tempo,
lunghi crepuscoli e albe precoci; anche noi valligiani godiamo
di questo privilegio e le serate dopocena passate
all’aperto sono una benedizione.
Si approfitta per lavorare più sodo nei campi e negli
orti e la frenesia che piglia ognuno di noi, ortolani incalliti,
rende vivi i paesi, i mercati, le serre dove ci si reca a
far bottino di sementi e piantine da trapiantare.
Il lavoro certamente non manca e può capitare che,
alla fine della giornata,ci ritroviamo sporchi di terra,
stanchi per aver combattuto contro malerbe, grovigli
di infestanti, ma contenti di aver riguadagnato le nostre
porzioni di terra dove dimoreranno le nuove piantine
e i semi metteranno robuste radici.
Ma…peccato che l’inizio estate ci abbia un po’delusi.
Tornata la pioggia, la temperatura si è notevolmente
abbassata e l’idillio si è un po’spezzato.
Speriamo che questa nuova perturbazione non duri a
lungo e torni il sole: tutti ne abbiamo bisogno penso,
mentre osservo compiaciuta i gerani rossi alle finestre
e ammiro con un senso di nostalgia la piccola fioriera
di legno, regalataci tanto tempo fa dal nostro vecchio
amico falegname, traboccare di stelle alpine (di serra)
e di lobelie blu.
Una passeggiata nel bosco però ci è concessa e, proprio
lì al limitare del bosco stesso, un profumo particolare
ci colpisce. Ecco le delizie nascoste! Fragoline
di bosco rosse, mature, soavi. Che delizia! È proprio
estate!
E per salutare la nuova stagione come si deve, oggi
come ieri, il ventiquattro giugno, natività di S. Giovanni,
raccogliamo le erbe spontanee. In questo giorno si ce-
la CUCINA naturale
di Giuliana Redolfi
35
lebra l’inizio ufficiale dell’estate, quando il sole raggiunge
il punto più alto rispetto all’equatore e riprende il
cammino inverso cominciando a scendere.
Sicuramente in Valle si dovranno aspettare ancora alcuni
giorni per i diversi raccolti, ma è bello credere
che i mazzi preparati in questi giorni saranno di buon
augurio.
Cogliamo, aggiunto ad altri fiori, l’iperico (Hypericum
perforatum), detto fiore di S. Giovanni e con esso prepariamo
il prezioso unguento.
Altre essenze, simbolo di prosperità, rappresentano
una componente fondamentale dei “mazzetti di S. Giovanni”,
tra queste la menta .
Erba fresca, lucente, profumata, bella e facile da coltivare
nel giardino delle aromatiche o sul balcone, comincia
a dare il meglio di sé in questo periodo. Importante
erba medicinale; infatti il suo olio essenziale combatte
raffreddori, tosse, pelle grassa, stress, depressione.
Dona anche energia, concentrazione e aiuta in caso di
digestione difficile.
La menta in cucina è poi ottima per regalare ai nostri piatti
un profumo speciale, variando così sapori e sensazioni.
Proverbi:
”de San Gioan el lin el ga da aver el fior en man “
“La Madonna d’agosto rinfresca il bosco”
RICETTANDO INSIEME:
Tagliatelle di ceci al pesto
Dosi per 6 persone
400 gr di farina, 200 gr farina di ceci, 2 uova intere, 6
tuorli, olio extravergine, 200 gr di menta, 50 gr di basilico,
30 gr di pinoli, 50 gr di parmigiano.
Preparate le tagliatelle unendo le farine, le uova e tre
cucchiai di olio. Per il pesto, tritate menta e basilico e
aggiungete olio per ottenere una crema. In un mortaio
pestate i pinoli con il parmigiano, amalgamate alla salsa,
pepate. Bollite le tagliatelle, scolatele, saltatele in padella
con poca acqua di cottura e condite con il pesto solo
la momento di servire.

socialia
SOCIALIA
Il comitato di redazione de La Val si rivolge a soci e fiduciari per chiedere loro maggiore collaborazione
per la redazione di questa rubrica. Attraverso le “socialia” desideriamo comunicare ai
nostri lettori gioie e dolori di tutti i nostri soci, una cronaca famigliare che spesso si va a rileggere
anche dopo molti anni. Senza volerlo, qualche volta abbiamo commesso peccato di omissione, per
ignoranza degli avvenimenti, e ci rammarichiamo per le notizie mancate, le gioie non comunicate,
ancora di più per i lutti non condivisi. Ci rendiamo conto quanto sia facile comunicare personalmente
una nascita, una laurea, un anniversario, un evento lieto, e quanto invece si cerchi solidarietà
spontanea in caso di lutto. Chiediamo quindi a tutti voi, e specie ai fiduciari di zona, di voler dare
comunicazione delle notizie relative ai soci di vostra conoscenza ed alle loro vicende famigliari,
perché più grande è una gioia condivisa, e più sopportabile una pena; in alternativa, anche inviando
un’e-mail all’indirizzo albertomosca@albertomosca.it
LUTTI
Giungano, anche se in ritardo, sincere condoglianze al socio Primo Bezzi di Cusiano ed alla sorella per la morte della mamma
signora Rosa Dell’Eva ved. Bezzi di Ossana, che ha mancato per pochi giorni il traguardo del centesimo compleanno.
Un lutto improvviso ha colpito la socia Maria Teresa Bezzi, sorella del nostro storico revisore dei conti Pierangelo, per la morte
del marito Mario Dalla Serra; siamo vicini a lei, ai figli Laura, Paolo e Nadia ed a tutti i famigliari e porgiamo sincere condoglianze.
È recentemente scomparsa la signora Candida Gosetti ved. Ceschi di Cavizzana, mamma del nostro socio Diego Ceschi; giungano
a tutti i famigliari le più sincere condoglianze del Centro Studi.
Un altro lutto ha colpito la piccola comunità di Cavizzana: lo scorso 31 luglio è mancata all’età di 96 anni Edvige Zanoni ved.
Rizzi, suocera del nostro socio e prezioso collaboratore Angelo Rizzi. Il Centro Studi porge sincere condoglianze alle figlie Elda,
Camilla, Amabile e Gemma ed a tutti i famigliari.
Ancora a Cavizzana è venuto a mancare improvvisamente all’età di 69 anni, Domenico Zanoni, fratello delle socie Marta Zanoni
di Terzolas e Iole Zanoni, nostra fiduciaria di Cavizzana e padre della socia Caterina Zanoni. A tutti i famigliari le condoglianze
del Centro.
Lo scorso mese di agosto è mancata la signora Dea Anna Siligardi, moglie del socio Pino Ligabue di Modena. Attraverso il
notiziario sociale giungano al sig. Pino ed a tutti i famigliari sincere condoglianze.
Il Centro Studi porge sincere condoglianze al socio di Malè Giuseppe Gasperini ed ai figli Ettore e Giuliana per la scomparsa
della moglie Anna Maria.
Partecipiamo con particolari sentimenti di affetto al dolore della socia Lidia Framba di Cogolo e di tutti i famigliari per la dolorosa
perdita della mamma signora Rita Bevilacqua. A Lidia un abbraccio speciale da parte del Direttivo, che non dimentica la sua lunga e
preziosa collaborazione con il Centro Studi.
Alla bella età di quasi 98 anni, è scomparsa Elisabetta Tevini in Ramponi mamma del socio Ettore Ramponi. Un sentito ringraziamento a
tutto il personale della Casa di riposo di Malé dove è stata “assistita” in maniera encomiabile in ogni giorno dei 5 anni di permanenza.
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socialia
È deceduto, dopo breve malattia, il socio Antonio Delpero di Vermiglio. Alla moglie Lucia e alle figlie la nostra partecipazione
al dolore.
Il Centro Studi porge sincere condoglianze al socio Renato Vicenzi di Peio, presidente del Bim, per la morte improvvisa del
fratello Leone. Alla moglie Annamaria, ai figli Alberto e Nicola e a tutti i familiari, vada la nostra partecipazione.
Il Centro Studi partecipa al lutto dei famigliari del socio Bruno Ruffini di Brez, mancato improvvisamente ai suoi affetti
ed all’Associazione Culturale Giovan Battista Lampi, della quale era Presidente, ed alla quale ci sentiamo vicini in questo
momento di lutto e di difficoltà.
Il Centro Studi partecipa sincere condoglianze alla socia Antonia Tonelli, oriunda di Croviana, alle figlie ed a tutti i famigliari
per l’improvvisa scomparsa del prof. Fabio Giacomoni.
Le figure di questi due studiosi, in molte occasioni vicini e partecipi alle iniziative del centro Studi, vengono ricordate in
altra parte di questo numero del notiziario sociale.
NASCITE
Nel mese di agosto dello scorso anno il socio Novello Montagnani e la signora Francesca sono diventati nonni per la seconda
volta, e ci avevano annunciato con gioia la nascita del piccolo Gioele, per la felicità di mamma Federica e di papà Simone.
Questo lieto evento si è perduto in qualche e-mail che non ha raggiunto le stampe, e non ce ne vogliano i famigliari. Insieme
a loro porgiamo a Gioele tanti auguri per la sua prima candelina, e per tante altre, in una lunga vita serena.
Non potevano mancare in questa rubrica notizie della nostra socia di Merano Emma Zanella, che è diventata bisnonna per la
quarta volta. Il 7 maggio, per la gioia di papà Christian, nostro socio di Merano, di mamma Rosa, dei nonni Roberto e Piera e
di tutti i famigliari è arrivata Francesca: il Centro Studi ti augura un buon viaggio insieme ai tuoi cari.
Lo scorso 9 giugno è nato Armando Mochen, figlio del nostro socio Enrico Mochen di Dimaro e di mamma Monica. A questo
nuovo arrivato da tutti noi auguri di gioia e felicità, da condividere con i suoi cari.
È nato Francesco Biasi, primogenito di Alessandro e di Mariachiara Franzoia. Grande gioia per mamma e papà , ma anche per
i nonni nostri soci Elide Gentilini e Franco Biasi di Monclassico. Ai genitori, ai nonni ed a tutti i famigliari tantissimi auguri per
questa nuova, bellissima esperienza.
Porgiamo vivissime congratulazioni al socio Daniele Bertolini di Vermiglio per l’arrivo in famiglia della piccola Martina, con
auguri di gioia e serenità anche a mamma Erika ed a tutti i famigliari.
Un lieto evento ci viene annunciato dal Canada, dove la socia Gina Zanella di Malè è diventata nonna di una bellissima bimba,
Olivia Ida. A mamma Mary Anne, a papà Henry, ai nonni Gina e Bruno, a zia Patty che ci ha annunciato entusiasta questo lieto
evento, a tutti i famigliari di là dal grande oceano auguri di cuore dalla Val di Sole.
Ad Arnago è arrivata la piccola Sofia, primogenita di Paola Bonetti e di Maurizio Donati; ai neo genitori, ai nonni di Malè Mario
Bonetti, nostro socio, e Luciana, ai nonni di Arnago Gianna e Vittorio congratulazioni ed auguri.
A Malè, in casa della socia Silvia Bevilacqua è arrivato un nuovo cucciolo, Rossella, per la gioia della mamma, di papà Cesare
Valentinotti, della sorella Giovanna, dei nonni Rina e Ferruccio, del nonno Giacomo di Termenago, di zii e parenti tutti.
Auguriamo a questa nuova arrivata tanta gioia insieme alla sua famiglia.
Grande festa in casa Pini e Peghini a Malè per l’arrivo del piccolo Luca, primogenito di Luisa Peghini e di Achille Rinaldi. Ai
neo genitori i nostri complimenti ed auguri, con un ricordo speciale, in questa lieta occasione, per i nonni Rita e Giuliano,
socio di Arnago, e per tutti i famigliari nostri soci.

socialia
È nata la piccola Emma Poggi, primogenita di Anna Zarri e Fabrizio Poggi. Anna è figlia del compianto socio Angelo Zarri e
della socia Maurizia Fortini. La famiglia Zarri risiede a Cento (Ferrara) ma soggiorna spesso presso la propria casa di San
Bernardo di Rabbi.
Vivissime congratulazioni alla nonna Maristella Delpero, nostra socia di Vermiglio , per la nascita del nipotino Lorenzo.
Auguri a mamma Daniela, a papà Sergio ed a tutti i familiari.
LAUREE
Il 16 marzo 2009 Raffaele Vicenzi, figlio del socio Paolo Vicenzi di Pannone di Mori e della signora Giustina Pedergnana,
oriunda di Ortisè, si è laureato in Tecniche Artistiche e dello Spettacolo - Facoltà di Lettere e Filosofia – presso l’Università
Ca’ Foscari di Venezia discutendo con i relatori Adriana Guarnirei ed Alessandro Tedeschi Turco la tesi dal titolo “J.R.R.
Tolkien: narrazione e scoperta del mondo tra parola e musica”. Vivissimi complimenti ed auguri per un futuro che, visto
l’argomento della tesi, potrà solo essere … fantastico!
Massimiliano Dell’Eva, figlio del socio Roberto Dell’Eva di Ossana, si è laureato presso l’Università degli studi di Padova,
Udine e Verona- Laurea specialistica interateneo in viticoltura, enologia e mercati vitivinicoli discutendo con il prof. Emilio
Celotti la tesi dal titolo: “Studio dell’interazione tannino-polisaccaride in soluzione modello e vino” riportando il massimo
dei voti e la lode. Laurea di questo tipo ha certamente comportato brindisi eccezionale, e “Gaudeamus” dalla voce
fantastica di papà Roberto. Ci uniamo al brindisi, al coro è meglio di no. Auguri!
Grande soddisfazione in casa del nostro super segretario Angelo Rizzi: lo scorso 2 luglio il figlio Ivo Rizzi si è diplomato in
canto presso il conservatorio Monteverdi di Bolzano. Meritatissimi complimenti al nostro baritono, che abbiamo conosciuto
l’anno scorso a Dimaro, nel concerto “Prodi all’armi! Echi di guerra nell’opera lirica e dintorni” e quest’anno è stato
protagonista della riproposta in forma di concerto dell’opera “Die Schlacht am Berg-Isel” organizzata dal Centro Studi in
collaborazione con la scuola musicale Eccher. Grandi doti musicali e presenza scenica fanno di Ivo un bel personaggio, al
quale auguriamo di cuore tanto successo e la realizzazione delle sue attese.
Congratulazione alla nostra socia Barbara Dorigatti che ha conseguito la laurea in Ingegneria Civile indirizzo Edile presso
l’Università di Trento, discutendo con la relatrice Prof. Arch. Maria Paola Gatti, una tesi dal titolo “Da caserma a centro
natatorio. Il riuso delle caserme Pizzolato di Trento.”
Complimenti speciali al musicista Christian Stanchina, figlio del socio Alberto Stanchina di Terzolas, che ha conseguito, con
il massimo dei voti, la laurea triennale in Jazz al conservatorio “F.A. Bonporti” di Trento discutendo la tesi “Chet Baker in
Italia” con i professori Roberto Cipelli e Tino Tracanna. Porgiamo felicitazioni e auguri per la sua professione.
MATRIMONI e ANNIVERSARI
Sabato 18 luglio Stefano Mezzena, figlio del socio Roberto Mezzena di Monclassico, e Beatrice Dalla Valle si sono uniti in
matrimonio a Madonna di Campiglio. Il Centro Studi augura agli sposi un radioso futuro, che soddisfi tutte le loro attese.
Il nostro socio di Arnago Silvio Girardi e la moglie Rita hanno celebrato lo scorso 5 luglio il loro 40° anniversario
di matrimonio, e sono partiti pieni di entusiasmo verso altri traguardi matrimoniali. Anche da parte del Centro Studi
congratulazioni ed auguri di buon proseguimento!
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socialia
Un’altra coppia dura come roccia, anzi come diamante: il nostro socio Agostino Bendetti e la moglie Pierina Gentilini,
residenti al Pondasio di Malè, hanno festeggiato il loro sessantesimo anniversario di matrimonio, celebrato nel mese di
maggio del 1949, dopo tanti anni di guerra. Ci uniamo alla gioia degli sposi, dei figli Manuela e Giandomenico, dei nipoti e
parenti tutti, augurando un futuro di serenità.
RICONOSCIMENTI AI SOCI
Speciale menzione per il socio Alberto Mosca, direttore responsabile del nostro notiziario che, su proposta della
direzione accolta dall’assemblea, è stato nominato socio della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, meritato
riconoscimento per i suoi studi storici e per le sue pubblicazioni. Vivissimi complimenti.
IL MUSEO RINGRAZIA
La signora Caterina Donati Rossi di Mastellina ha donato al Museo un completino per battesimo; la signora Flavia Vender
di Malè ha donato una cartella di cartone, che abbiamo sistemato presso il nostro glorioso, vecchio banco di scuola,
a completare il materiale scolastico; le sorelle Sandra e Luisa Slucca di Malè hanno donato vari oggetti: setacci, valigia
di cartone, oggetti in ferro, cilindro per il tombolo con parte di ricamo, un piccolo telaio, una cesta, un paio di pattini.
Tutto va ad arricchire la nostra collezione; siamo grati a tutti quelli che, prendendo in mano vecchie cose di casa,
desiderano collocarle in un luogo dove verranno mantenute, curate ed apprezzate. Grazie di cuore a tutti i donatori.
Con il permesso della mamma, la nostra socia di Malè Silvia Bevilacqua Valentinotti, pubblichiamo una poesia scritta
dalla figlia Giovanna, 11 anni; durante l’estate Giovanna, insieme ad altri bambini, è partita per la colonia marina, ed
ha nostalgia. Di casa, certo, di mamma e papà, dei nonni; ma Giovanna esprime una nostalgia più adulta, ha nostalgia
di luoghi, di colori, di ambienti, la nostalgia della sua Valle. Ecco come la esprime:
MI MANCA
Mi mancan le montagne innevate,
con il loro verde e le dolci cascate.
Mi manca quel prato fiorito dorato di viole,
mi manca la stella sull’alpe, la Val di Sole.
Mi mancan le fusa del gatto arancione,
mi manca il cantare dell’uccellino fifone.
Mi manca quella signora vestita di foglie, con gli occhi di
fresca rugiada
ed il cappello di erbetta bagnata,
mi manca quel bel cielo sereno e la notte vellutata.
Mi manca la grande luna luminosa,
mi mancano i tramonti con il loro formidabile rosa.
Mi manca il profumo del tiglio
ed il cielo rosso vermiglio.
31 luglio 2009 Giovanna Valentinotti

NOTIZIARIO DEL CENTRO STUDI PER LA VAL DI SOLE
Samantha Cristoforetti premiata nel municipio di Malé qui con la cuginetta Giada (ph. Alberto Mosca).