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dottori». A ciò si aggiunge, come ulteriore fattore di debolezza, la sua storia<br />

clinica, in specifico la precoce esperienza dei servizi psichiatrici che di certo non<br />

hanno contribuito a rafforzare la sua autostima. Il profilo diagnostico di Biagio,<br />

inoltre, non è tale da rendere ragionevole la via del riconoscimento dell’invalidità,<br />

una misura che - da quanto emerge dalle interviste - forse lo stesso Biagio<br />

riterrebbe inopportuna. Da tutto ciò discende la debolezza delle posizione di<br />

Biagio e la relativa indeterminatezza delle sue prospettive occupazionali.<br />

2.5.7. Forme di esclusione: incompatibilità<br />

il paziente psichiatrico<br />

L’ultima forma di esclusione, definita come incompatibilità raccoglie nove casi<br />

per i quali la manifestazione del disagio psichico conduce a forme gravi di disabilità<br />

che rendono improponibile un impegno lavorativo. Nelle narrazioni raccolte è<br />

possibile riconoscere due forme di incompatibilità, la prima, che definiamo<br />

“debole”, raccoglie la quasi totalità dei casi. In queste storie il lavoro è parte del<br />

disagio psichico, ne è - almeno nell’esperienza di queste persone - la causa,<br />

nutrendo vissuti persecutori o alimentando (è il caso di Sara, illustrato al par. 2.5)<br />

comportamenti compulsivi che ostacolano il normale svolgimento delle at tività. La<br />

seconda forma di esclusione, “forte”, riguarda due dei nove casi qui ru bricati. Si<br />

tratta qui di persone il cui profilo diagnostico o la natura della traiettoria biografia<br />

rendono estremamente difficile ipotizzare un impegno la vo rativo. La forma “de bo -<br />

le” di esclusione è illustrata in modo dram ma tica men te ef ficace dalla storia di Elia.<br />

ELIA ha 34 anni, nata a Torino, i genitori lavoravano come portinai.<br />

Quando Elia compie dieci anni la madre si ammala e a lei viene richiesto di<br />

aiutare il padre nella gestione della portineria. Di quegli anni non serba un ricordo<br />

po sitivo: «con i miei genitori non c’era, non c’era dialogo, non mi sentivo amata,<br />

eh... mi sentivo trascurata». Elia si allon tana dalla famiglia con il ma tri monio,<br />

legandosi a una persona più matura - «volevo qualcuno che mi pro teggesse» - ma<br />

che, in fin dei conti non ama: « con tenta mentre firmavo il, il coso del prete, lì mi<br />

chiedevo: “ma chissà se faccio la cosa giusta?”». Il marito lavorava come taxista e<br />

spesso svolgeva il proprio turno di notte. A casa da sola, Elia si tro va ad affrontare<br />

le prime manifestazioni del proprio disagio: «lui faceva la not te e io avevo paura a<br />

dormire la notte da sola, mi veniva l’ansia che non riuscivo a respirare». Dapprima<br />

fronteggia il proprio disagio ricorrendo a un ansiolitico che le prescrive il medico<br />

di famiglia, ma nemmeno così i suoi pro ble mi trovano una soluzione: «vedevo,<br />

vedevo i fantasmi vedevo... avevo paura di Dio, di Gesù, degli Angeli avevo paura<br />

io...». Con la mediazione della suo cera chiede al marito di cambiare turno,<br />

ottenendo una momentanea re missione dei sintomi.<br />

Nel medesimo periodo Elia trova lavoro - una breve sostituzione - in un<br />

supermercato alimentare. Al termine del contratto Elia, che contava in un<br />

rinnovo, vede deluse le proprie aspettative. Elia racconta che il suo capo «si era<br />

accorto che qualcosa non andava» ed esprime le proprie perplessità nel modo più<br />

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