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il paziente psichiatrico<br />
medici che l’hanno operata, elaborando alcune suggestioni tratte da un evento<br />
di cronaca di quei giorni.<br />
Erano venute due mie amiche qua, e mi hanno detto che avevano letto su La Stampa<br />
che una ragazza era stata violentata in sala operatoria e io chissà perché (...) di notte<br />
mi vedevo la scena che succedeva anche a me e io ero convinta, convinta, convinta!<br />
E mia madre mi diceva “non è possibile, non è possibile! Nel laboratorio c’erano<br />
anche altri medici, non è possibile!” Niente io ero fissata e [sorridendo] sono andata<br />
persino a comprare il test per vedere se ero incinta! E poi mangiavo al mattino le<br />
arance perché ero convinta che dovevo avere il bambino, non andavo più a pattinare<br />
sul ghiaccio, perché avevo paura che se cadevo!<br />
La convinzione, incongrua, di Marta genera allarme nei genitori che de ci -<br />
dono di rivolgersi a uno psichiatra, non in un servizio pubblico ma in un am -<br />
bulatorio privato. Le vengono prescritti alcuni farmaci che Marta non tollera<br />
e, con la madre, inizia un lungo percorso di visite e prescrizioni con diversi<br />
pro fessionisti che, alla fine, riescono a trovare in un farmaco, allora di recente<br />
in troduzione (un anti-psicotico atipico) la terapia più efficace.<br />
Il disagio di Marta comunque non si attenua e, a un anno, dalla prima ma -<br />
nifestazione dei propri sintomi, tenta il suicidio. Viene così ricoverata in un<br />
SPDC della città e poi trasferita per un lungo periodo in due case di cura: « è<br />
meglio che non ci penso che è stato bruttissimo! (...) Ogni tanto mi tornano in<br />
mente e quando mi tornano in mente, faccio... piango ad alta voce... ». Provata<br />
dai farmaci e ancora abitata da un profondo disagio, Marta in quegli anni riesce<br />
co munque a dedicarsi a un lavoro: per circa due anni fa da baby sitter a due<br />
bimbi, uno molto piccino, più grandicello l’altro.<br />
Lo stato di salute di Marta subisce un ulteriore deterioramento due anni più<br />
tardi, a ventun’anni. Nella propria ricostruzione Marta indica come determi -<br />
nante l’incontro in un SPDC di una paziente di cui diviene amica. Marta si<br />
per suade che questa ragazza sia «posseduta dal diavolo» e più tardi si persuade<br />
che una sorte simile sia toccata anche a lei. Questa convinzione si impossessa<br />
di Marta nel corso di un soggiorno estivo organizzato dal Centro di Salute<br />
Mentale da cui - come si dice in gergo - era stata presa in carico. Con gli<br />
operatori viene organizzata un’uscita in discoteca e lì Marta dà corpo al pro -<br />
prio delirio: «mentre ballavo sentivo delle voci che mi dicevano: “ti entriamo<br />
den tro e ti insegniamo a ballare”, e io ho sentito un giramento, proprio come<br />
qual che cosa che mi entrava dentro e ballavo così, tutta la notte, da sola così.<br />
E poi dopo quel giorno lì ho iniziato a stare male, a sentire delle voci<br />
pazzesche mi sentivo schiacciare il petto. Io credevo - credo ancora - lì credevo<br />
proprio che ero indemoniata, posseduta, invece adesso credo che sono per se -<br />
guitata da, da questi spiriti malvagi».<br />
Questa convinzione - dalla quale Marta non ha del tutto preso congedo - le<br />
pro voca una profonda sofferenza, poiché Marta, come i suoi genitori, è pro -<br />
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