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64<br />

parte prima<br />

tipo artistico, creativo, praticate con tempi e modi autodeterminati in accordo<br />

con il proprio stato di salute, abbracciando la scelta di una frugalità volontaria.<br />

A questa prima forma di esclusione, fatta di dignità e sorretta da “buo ne<br />

ragioni” (nel senso boudoniano) si posso ricondurre le storie di Adriano,<br />

Edoardo e Dalia.<br />

ADRIANO ha trentun’anni, nato a Torino da una famiglia operaia, incontra<br />

la psichiatria in età precoce e lungo un itinerario dolorosamente singolare. A<br />

quindici anni, in seguito a un grave incidente sportivo, cade in coma per tre<br />

mesi. Il risveglio - inatteso - sorprende tanto i medici quanto i familiari. La<br />

ripresa è, tuttavia, di breve durata: durante la riabilitazione Adriano inizia a<br />

mostrare i segni di uno scompenso che attira l’attenzione degli psichiatri.<br />

Forse sollecitato dalla lettura - strettamente metaforica 50 - di una prognosi<br />

sorprendentemente fausta: in molti lo definiscono “un miracolato”, Adriano<br />

diviene vittima di un delirio religioso, diretto a conferire senso al suo essere in<br />

vita, un senso non ancora del tutto ricostruito: «è stato tutto un errore, una<br />

bufala, sono cosciente perché non lo so, adesso sono qua e sto qua però temo<br />

che [Dio] abbia sbagliato a farmi vivere (...) perché per lasciarmi qua e lasciarmi<br />

solo tanto valeva la pena di farmi andare dall’altra parte...».<br />

Uscito dal coma, Adriano prova - senza successo - a riprendere gli studi. La<br />

ridefinizione dei suoi progetti di vita, difficile e dolorosa, è appesantita da una<br />

lunga serie di ricoveri coatti (TSO). A Ventun’anni Adriano viene accolto in<br />

comunità riabilitativa nella quale soggiornerà per circa quattro anni ricon qui -<br />

stando un buon equilibrio. Il difficile rapporto con i genitori che - dice A dria -<br />

no - hanno stentato e stentano ad accettare la sua condizione («credo che per<br />

loro l’incidente è stata la mia morte: non mi accettano»), suggeriscono la<br />

ricerca di una sistemazione abitativa autonoma, ottenuta dap pri ma in una<br />

pensione e, recentemente, in un piccolo appartamento indi pen den te.<br />

Più difficile si mostra invece l’avvio al lavoro, condotto con l’inserimento<br />

ora in Cantieri di lavoro, ora in cooperative sociali: «scappavo sempre, non ce<br />

l’ho fatta, stavo male, stavo male: non riuscivo ad affrontare la situazione...».<br />

Le difficoltà di Adriano riguardano innanzitutto la continuità, la capacità di<br />

piegare il proprio mutevole stato di salute ai ritmi mai sufficientemente fles -<br />

sibili del lavoro organizzato: «la mattina magari mi sveglio e mi sento svuotato<br />

e non ho la forza di alzarmi dal letto e allora non mi alzo, non vado al corso,<br />

non vado a lavorare e non vado da nessuna parte. Questo però è un problema<br />

che crea altri problemi però....».<br />

Queste difficoltà alimentano le tensioni con i genitori, in difficoltà a<br />

comprendere lo stato d’animo del figlio in una chiave diversa da quella<br />

immediatamente disponibile della pigrizia (vedi Contini, Lalli e Merini 1991:<br />

cap. 6) o dell’inettitudine appresa 51 . Alle ragioni di un’etica del lavoro, che i<br />

genitori di Adriano hanno assorbito e nutrito negli anni del boom economico,<br />

il figlio contrappone le proprie ragioni, fondate sulla propria consapevole

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