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parte prima<br />
lei è precisa”. E... mi trovo benissimo». Noemi mostra una consapevolezza e<br />
un senso critico non comuni. Lo mostra nelle interviste e lo conferma nelle<br />
modalità d’interazione assunte nel corso del focus group. Noemi sembra<br />
consapevole dei propri limiti ma soprattutto delle proprie possibilità. Quello<br />
di Noemi è il racconto di una vittoria, della riconquista del proprio sé.<br />
L’aspetto più rilevante della testi monianza di Noemi è la sua scelta - per così<br />
dire - di «ascoltare il proprio demone», di imparare a leggere i segnali che il<br />
suo corpo e la sua mente le inviano, piuttosto che annichilirli, cancellarli.<br />
Questa capacità le consente di acquisire un controllo sui propri sintomi che<br />
va al di là di quello consentito dai farmaci (a cui ha fatto ampio ricorso). Questa<br />
capacità di ascolto - reale o immaginaria che sia - porta Noemi a lasciare un<br />
lavoro prima che subentri la crisi, la porta a cogliere i propri limiti e a fare in<br />
modo di non valicarli.<br />
Un altro episodio della vita di Noemi consente di qualificare ancor meglio<br />
il suo atteggiamento verso la malattia mentale. Nella fase ancora critica della<br />
propria vicenda sanitaria, Noemi frequenta un gruppo di persone al di fuori<br />
della cerchia psichiatrica e in quel periodo subisce due ricoveri. Ricoverata<br />
Noemi decide di confidare i propri problemi, prima a un’amica e poi all’intero<br />
gruppo (una sorta di coming-out). “Nel momento, quando io iniziavo a star<br />
bene però ancora la mia malattia era molto forte. Io ero in uno stato ad<br />
esempio di euforia, l’euforia avevo tanta energia, quindi ho incontrato una<br />
comitiva, son riuscita a formarla un-una comitiva, mi cercavano, io uscivo con<br />
loro, tutto quanto quindi loro mi vedevano come una persona speciale, che<br />
riusciva ad organizzare, perché questo fa parte anche del mio carattere, no? E<br />
quando io uscivo con loro a ballare, tutto quanto, era tutto bene, però in uno<br />
dei miei ricoveri, no? una mia amica del gruppo io l’ho chiamata, e le ho detto<br />
che ero in clinica, dico però non ti spaventare, insomma, e lei è venuta, la cosa<br />
che mi ha consigliato è di non dire niente agli altri. Poi io poi sapevo che<br />
comunque era un giro di parole che se ne parlava, però loro all’inizio non<br />
facevano-facevano finta di niente di questa situazione. Dopo un annetto, due,<br />
che ho avuto un altro ricovero, io li ho chiamati tutti e gli ho detto che ero in<br />
una clinica, ero al Mauriziano”.<br />
ALDO ha 34 anni è nato in Piemonte, così come il padre, bergamasche sono<br />
invece le origini della madre. Il padre, da poco deceduto, lavorava come ope -<br />
raio in Fiat, la madre lavorava come colf. I rapporti fra i genitori erano pes -<br />
simi, alle tensioni familiari la madre reagiva ora allontanandosi, ora con ripe -<br />
tuti tentativi di suicido, cui Aldo e la sorella si trovano costretti a fare espe -<br />
rienza sin dall’adolescenza: “La prima volta che se ne è andata facevo la quin -<br />
ta, dieci anni. Poi ha convissuto con un uomo per tre o quattro anni poi è tor -<br />
nata... diciamo è tornata per noi [i figli] e poi è andata a vivere via un’altra vol -<br />
ta”. Aldo racconta di aver sofferto intensamente per questi continui abbandoni,<br />
cui lega l’esordio del suo disturbo che colloca attorno al 1990, quando ha 20