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il paziente psichiatrico<br />
2.5. La relazione fra lavoro e disturbo psichico<br />
Noi viviamo in una civiltà della perfezione.<br />
Ermanno<br />
La qualificazione del rapporto fra lavoro e disturbo psichico è stata<br />
sviluppata considerando tre aspetti: la collocazione dell’esordio della patologia<br />
psichiatrica nella traiettoria che va dalla formazione al lavoro 37 , le strategie di<br />
conciliazione fra lavoro - attuale o passato - e disturbo psichico e, buon ultimo<br />
l’orientamento verso il lavoro.<br />
La collocazione dell’esordio della patologia psichica separa in modo netto<br />
occupati e disoccupati. Fra gli occupati l’esordio si colloca più spesso in una<br />
fase di vita caratterizzata dalla piena partecipazione al mercato del lavoro, il<br />
contrario accade per i disoccupati. Nelle narrazioni di malattia raccolte<br />
l’esordio del disturbo psichiatrico viene collocato in una fase della vita che<br />
vede il narratore impegnato in un’attività lavorativa in 16 casi su 23 fra gli<br />
occupati e in 12 casi su 27 fra i disoccupati. Questo risultato - ancorché dettato<br />
in buona misura dall’età dell’esordio della patologia psichiatrica - mette in luce<br />
un aspetto rilevante della relazione fra lavoro e disturbo psichico 38 .<br />
Le persone sorprese, per così dire, dalla patologia psichiatrica da occupati<br />
pare mostrino una maggior capacità di conservare il posto di lavoro o ricon -<br />
qui starne uno nuovo dopo la remissione dei sintomi più severi. L’aver spe -<br />
rimentato - da subito - il problema della difficile conciliazione fra lavoro e<br />
disturbo psichico, pare offra strumenti di coping che risultano efficaci anche in<br />
seguito. È inoltre ragionevole ipotizzare che l’esperienza del lavoro, possa<br />
alimentare l’autostima e forse compensare le conseguenze negative della<br />
frustrazione che subentra in questi soggetti a seguito della riduzione delle<br />
proprie capacità lavorative dovuta all’esordio della malattia.<br />
Quanto alle strategie di conciliazione adottate - ora per gli occupati, in pas sato<br />
per i disoccupati - emerge un ricco repertorio che include strategie che - som -<br />
mariamente - possono essere rubricate in quattro categorie. La prima rac coglie le<br />
forme di conciliazione tese, difficili, relative a un insieme di casi per i quali il<br />
lavoro costituisce una fonte di stress, talvolta di sofferenza. Nella forma più lieve<br />
la sofferenza del lavoro è illustrata da due casi, Vito e Fosca, che indicano nei<br />
rapporti con colleghi e superiori la principale fonte della tensione che punteggia<br />
le loro giornate lavorative. Vito, un giovane operaio metalmeccanico, indica nel<br />
suo “deficit di prontezza” la fonte di questa sof fe renza. In specifico Vito si<br />
riferisce alla sua difficoltà a rispondere a tono ai rim proveri - talora ingiustificati<br />
- di cui viene fatto bersaglio. Nella medesima direzione le parole di Fosca,<br />
impegnata in un Cantiere di lavoro come fac-totum: “Ne risento il rimprovero,<br />
ne risento sono delicata su questa cosa qui un rimprovero, voglio essere capita,<br />
presa più con dolcezza” (Fosca, Intervista libera). La sofferenza diviene tutt’uno<br />
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