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il disegno della ricerca<br />
e teoriche. Gli aspetti pratici attengono alle modalità di reperimento dei<br />
pazienti coinvolti nello studio, basata - come si dirà meglio di seguito - sulla<br />
richiesta ai medici dei CSM torinesi di segnalare chi, fra i propri pazienti, po -<br />
teva essere coinvolto nello studio. Le segnalazioni sono state raccolte su di una<br />
scheda nella quale il profilo dei candidati all’intervista veniva descritto in modo<br />
stringato. In specifico il profilo diagnostico era reso dalla mera in di ca zione<br />
dell’etichetta diagnostica, non corredata da informazioni più ana li tiche sul la<br />
storia clinica del paziente. Ovvie ragioni di riservatezza, unite a dif ficoltà pra -<br />
tiche, impedivano di disporre delle cartelle cliniche dei pazienti segnalati per<br />
u na più accurata definizione del loro profilo diagnostico.<br />
L’attribuzione all’una o all’altra classe diagnostica è dunque avvenuta solo<br />
sulla base dell’etichetta diagnostica. A ciò si lega la seconda considerazione, di<br />
tipo teorico-epistemologico. La diagnosi in psichiatria - per quel poco che mi<br />
è dato di capire - si basa esclusivamente sull’osservazione di sintomi e com -<br />
portamenti: ciò che conduce a un’etichetta diagnostica non è pertanto nulla<br />
più di un’«associazione ricorrente di sintomi e comportamenti “psichia tri -<br />
camente significativi”» (Piccione 1995: 314). L’assenza di informazioni univo -<br />
che sull’eziopatogenesi dei disturbi psichiatrici e, soprattutto, l’impossibilità -<br />
diversamente da quanto accade in altri ambiti della medicina - di disporre del<br />
conforto di informazioni obiettive quali una lesione anatomica, o un’al te ra -<br />
zione di alcuni parametri fisiologici, pone la diagnosi psichiatrica in un ter ri -<br />
torio - molto familiare a chi fa ricerca sociale - nel quale possono le git tima -<br />
mente fronteggiarsi interpretazioni difformi di un medesimo fenomeno 13 . Di<br />
ciò danno conto alcune delle narrazioni di malattia raccolte dai nostri in ter lo -<br />
cutori, dove il passaggio da uno psichiatra a un altro si accompagna a variazioni<br />
- tal volta importanti - di diagnosi e di trattamento farmacologico. Tutto ciò<br />
giu stifica la semplificazione adottata o quantomeno offre buone ragioni alla<br />
decisione di evitare, per le finalità immediate della ricerca, il ricorso a<br />
classificazioni più fini dei disturbi psichiatrici.<br />
Inoltre per entrambe le macroclassi diagnostiche considerate è stata presa in<br />
esame l’esperienza del ricovero, o meglio la presenza di una tale esperienza nel<br />
biennio che ha preceduto la realizzazione dell’indagine (2001-2002). L’idea<br />
che sta alla base di questo ulteriore criterio di selezione riguarda l’impatto che<br />
l’esperienza del ricovero riveste per l’autostima del paziente e, dunque, per la<br />
sua capacità di affrontare le difficoltà di conciliazione fra disturbo psichico e<br />
lavoro 14 . Il campione è stato pertanto costituito avendo cura di includere, per<br />
ciascuna delle classi diagnostiche considerate, pazienti reduci da almeno<br />
un’esperienza di ricovero per il biennio che precede l’indagine e pazienti che<br />
non hanno avuto tale esperienza.<br />
Nel piano originario di campionamento, il controllo del profilo diagnostico<br />
prevedeva le seguenti misure: a) la sovrarappresentazione - sia tra i casi, sia tra<br />
i controlli - dei pazienti con diagnosi più grave, quelli per i quali la con ci lia -<br />
zio ne fra lavoro e disturbo psichiatrico risulta ragionevolmente più im pe gna -<br />
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