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cooperativa ove avevo svolto una parte del tirocinio mi giudicava inadatta a lavorare<br />

come A.D.E.S.T. a domicilio. Ho poi contattato l’assistente sociale dell’ambulatorio<br />

psi chia trico, la quale mi ha detto che, prima di lavorare otto ore al giorno in<br />

una casa di riposo, devo sperimentare un lavoro più semplice, possibilmente parttime.<br />

Ed ora eccomi nel progetto Alphaville, in cui sono stata accettata e valorizzata<br />

pro prio perché ho un’esperienza di disagio psichico, ma dopo che cosa sarà? Per<br />

quanto ri guarda gli attacchi di panico, io ne ho avuti pochi, ma ho potuto comprendere<br />

ciò che Ilaria raccontava riferendomi a quanto letto sull’opuscolo pubblicato<br />

dal l’As sociazione Piemontese per la Ricerca sulla Depressione 112 , che ne descrive<br />

bene i sintomi e le conseguenze. Mi sono sentita molto in sintonia con Ilaria, perciò<br />

in que sta intervista sono stata meno timida, più decisa nell’intervenire rispetto alle<br />

inter viste precedenti. Il messaggio che Ilaria mi ha lasciato è questo: è importante<br />

avere il co raggio di andare avanti, nonostante i limiti che possiamo riscontrare in noi<br />

stessi e che potrebbero diventare un handicap. Ilaria ha ammesso che chi soffre di<br />

disagio psichico è preso dalle sue problematiche e non potrebbe pensare al lavoro.<br />

Tuttavia ha anche affermato che la sua esperienza di di sagio l’ha resa più sensibile<br />

nei con fronti delle persone con problemi simili: spesso ella sa riconoscere a prima<br />

vista una per sona che sta male, fa di tutto per aiutarla e soffre perché si sente partecipe<br />

del suo malessere. Come dice una frase di cui non conosco l’autore “il miglior<br />

medico è un medico ferito”, colui che conosce la debolezza altrui perché la sperimenta<br />

personalmente. Come Ilaria, anch’io spero che in futuro negli ambienti di<br />

lavoro ci sia una maggiore comprensione nei confronti di chi soffre psicologicamente,<br />

ovvero che si possano esporre i propri problemi, sapendosi tutelati da persone che<br />

cu stodiscono il segreto professionale. Mi au guro anche che si possa attuare una pre -<br />

ven zione del disagio, operando negli am bienti educativi (specialmente la scuola e la<br />

fa miglia).<br />

Seconda intervista: 5 luglio 2003<br />

parte seconda<br />

Nella nostra seconda intervista guidata, il 25 giugno u.s., la ricercatrice<br />

sociale ed io abbiamo ritrovato Ilaria, una giovane donna che avevamo incontrato<br />

per la prima volta in data abbastanza recente, ovvero nel mese di maggio.<br />

L’intervista avrebbe dovuto svolgersi al Dipartimento di Scienze Sociali, ma<br />

la stanza a noi destinata non era accessibile a causa della mancanza della chiave<br />

stessa, così abbiamo deciso di recarci a Palazzo Nuovo, ove abbiamo trovato<br />

un’aula vuota in cui abbiamo potuto lavorare senza essere disturbate. Per<br />

quanto riguarda le informazioni sul retroterra culturale, ovvero il completamento<br />

della storia di vita di Ilaria, anche qui - come nell’intervista precedente<br />

alla signora Ester - è emersa un’esperienza di emigrazione dei genitori, intorno<br />

agli anni ‘60, dalla Sicilia a Torino, per motivi di lavoro.<br />

Quando Ilaria è nata, i genitori erano entrambi occupati e perciò un po’<br />

assenti nel rapporto con lei e con sua sorella (maggiore di sei anni). Della sua<br />

infanzia, Ilaria ricorda i momenti in cui si mangiava insieme come non particolarmente<br />

felici, e dice che l’alloggio dove vivevano era piuttosto buio, come<br />

se l’atmosfera psicologica influenzasse quella fisica.<br />

Il malessere di Ilaria si è manifestato, in maniera conclamata, sotto forma di

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