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parte prima<br />

rienza. Una buona esperienza perché oggi... ehm... quando mi viene proposto<br />

un caso di questo tipo... è chiaro, c’è sempre uno studio dietro, una ricerca del<br />

posto giusto, delle mansioni giuste, però so che non è un pro blema... sappiamo<br />

che non è un problema” (azienda 4, direttore del per so nale). In altri casi però<br />

emerge che il comportamento delle persone inserite di scon fermi lo stereotipo<br />

negativo, ma la motivazione addotta per questo cam biamento di opinione<br />

venga imputata al fatto che presumibilmente la malattia della persona inserita,<br />

non è grave per cui non è possibile fare generalizzazioni.<br />

Il quadro mostra quindi un’attenzione forte verso i disabili inseriti, ma so -<br />

prattutto da parte di coloro che sono a più stretto contatto con loro. È su<br />

queste persone però che si concentra il carico di lavoro ed emotivo più forte.<br />

Spesso lamentano il bisogno di capire profondamente, non solo di applicare<br />

il buon senso e la buona volontà di chi, con le proprie risorse cognitive ed e -<br />

mo ti ve fronteggia una situazione che non ha volontariamente scelto, ma che<br />

de ve ge stire quotidianamente, insieme al “normale” carico lavorativo e per so -<br />

na le. Una reale riduzione del pregiudizio generalizzato sembra raggiungibile<br />

e sclu sivamente con un intervento mirato: da un lato sembra necessario ri pen -<br />

sare a cosa dire sulla malattia mentale ai soggetti a cui i servizi presentano il di -<br />

sa bile per un inserimento, offrendo ad esempio situazioni di confronto con il<br />

grup po di lavoro in cui sia possibile per loro, esplicitare perplessità, paure e<br />

dubbi sulla condotta (professionale!) da tenere; d’altro canto è opportuno non<br />

ren dere salienti le caratteristiche negative, preavvertendo sui possibili (ipo te ti -<br />

ci) comportamenti anormali che la persona X potrebbe forse adottare, pun tan -<br />

do invece sulle capacità residue. Questo tipo di comunicazione implica infine, un<br />

sforzo più ampio, di comprensione delle caratteristiche specifiche del le man sioni<br />

e della cultura che caratterizza l’organizzazione ospite. Sempre sul versante del -<br />

l’inserimento iniziale sembra necessario ripensare il ruolo del tu tor come<br />

accompagnatore all’interno dell’azienda dell’inserimento del disa bile: in taluni<br />

casi, un modello protettivo come quello che generalmente si met te in pratica nelle<br />

cooperative sociali, ad esempio, sembrerebbe disfun zio na le. In tali contesti,<br />

infatti, la disabilità è nota a tutti e l’idea di un percorso di cre scita che necessita di<br />

un accompagnamento, altrettanto. Al contrario nelle a zien de profit, l’af fian ca -<br />

men to quotidiano sul posto di lavoro può rap pre sen tare un etichettamento della<br />

per sona e un ulteriore difficoltà per lei di affran car si, dall’incombenza dei servizi.<br />

Si poterebbe invece ipotizzare che il lavoro possa rappresentare un contesto li -<br />

be ro, di vera autonomia. La soluzione più efficace sembra quella adottata da chi<br />

of fre consulenza, fa un monitoraggio “silenzioso” dell’andamento. Un poten zia -<br />

men to del supporto all’orga niz zazio ne e al disabile nella fase del primo in seri -<br />

men to, apporterebbe un duplice van tag gio:<br />

1. consentire all’azienda di acquisire una “valigia degli attrezzi” utile per<br />

capire come gestire efficacemente un inserimento di questo tipo, riducendo<br />

la necessità di mantenere rapporti con i servizi (apparsa come

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