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14<br />

introduzione<br />

Cito, al riguardo due casi. Il primo riguarda una donna matura, costretta a<br />

lasciare il lavoro per la difficoltà a conciliare i tempi del lavoro e dei trasporti<br />

con quelli dedicati alla cura - non di sé - ma dei propri familiari; in specifico la<br />

pre parazione di un pasto caldo per il marito e la figlia. Il secondo riguarda un<br />

fallimento sventato: si tratta del paziente in grandi ambasce per il timore di<br />

perdere il proprio mezzo di trasporto, la bicicletta, con la quale si recava al la -<br />

vo ro. La capacità dell’azienda di riconoscere il problema e di attribuirgli il pe -<br />

so dovuto, provvedendo all’individuazione di un ricovero sicuro per la bici -<br />

cletta, ha impedito il fallimento dell’inserimento lavorativo.<br />

Al secondo interrogativo, relativo alla portata riabilitativa del lavoro, i<br />

risultati della ricerca consegnano una risposta articolata. La prima dimensione<br />

rientra tra i risultati inattesi dello studio e deriva dall’opportunità, offerta dai<br />

pazienti psichiatrici, di guardare altrimenti le cose del mondo. La malattia<br />

mentale conduce a una condizione di alterità - talvolta anche radicale - a par -<br />

tire dalla quale diventa possibile osservare le cose del mondo in modo disin -<br />

cantato e talvolta più acuto. Sotto questo profilo il paziente psichiatrico può<br />

essere pensato come una delle figure di “straniero” su cui ha a lungo riflettuto<br />

Alfred Schütz 6 . Straniero è colui che riesce a mettere in discussione ciò che<br />

ovvio, che grazie alla propria estraneità riesce a cogliere ciò che si nasconde<br />

nella superficie delle cose 7 . Ebbene ciò che emerge dai materiali raccolti in<br />

questo studio è la quasi generale - per fortuna le eccezioni non mancano - inca -<br />

pa cità delle aziende ad accogliere la differenza e la pervasività di una cul tura<br />

dal l’acre sapore darwiniano per la quale sono i più abili possono “so prav vi ve -<br />

re” 8 . Queste notazioni portano a considerare, almeno con scetticismo l’e qua -<br />

zio ne “lavoro uguale riabilitazione”: non tutti i lavori sono egualmente ria -<br />

bilitanti e non per tutti i pazienti il lavoro costituisce la modalità principe di<br />

riabilitazione sociale 9 . Entro i confini marcati da questa premessa si può dire<br />

- sono i risultati dello studio a dirlo - che il lavoro costituisce per molti pazienti<br />

psichiatrici un primo e insostituibile requisito per la conquista o la conser va -<br />

zione di una condizione di piena cittadinanza e questo al di là delle ovvie impli -<br />

ca zioni salariali che discendono dall’avere un’occupazione.<br />

I temi tratteggiati in questa introduzione trovano una più ampia esposizione<br />

nei capitoli che seguono. Il capitolo 1 illustra l’impianto metodologico dello<br />

studio. All’analisi dell’esperienza del disturbo psichico e delle modalità di con -<br />

ci liazione tra questo e il lavoro è dedicato il capitolo 2. Il contesto familiare è<br />

ana lizzato al capitolo 3, dove trova collocazione anche un conciso confronto<br />

tra il contesto torinese e quello triestino. I risultati dello studio condotto nei<br />

con testi lavorativi sono raccolti nel capitolo 4. In specifico il paragrafo 4.1 è<br />

de dicato al lavoro nelle cooperative sociali di tipo B, il contesto della mutualità<br />

soli dale; il paragrafo 4.2 al lavoro nelle imprese for profit e nella pubblica am -<br />

ministrazione. Il capitolo 5 contiene i primi risultati degli studi di caso con dot -<br />

ti nelle ASL dell’area torinese. Il capitolo 6 raccoglie i diari dei pazienti-inter -<br />

vi statori. Il testo si chiude con un insieme di raccomandazioni, desunte dai

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