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Mario Cardano<br />
Lavoro e disturbo psichico a Torino<br />
Iniziativa Regionale Valorizzazione Occupabilità
Mario Cardano è professore associato in metodologia delle scienze sociali presso<br />
l’Università degli studi di Torino.<br />
Osservazioni e commenti possono essere inviati presso il Dipartimento di Scienze<br />
Sociali, via S. Ottavio 50 - 10126 Torino; tel. 011-670.26.94; mario.cardano@unito.it.<br />
Torino, 2005
Mario Cardano<br />
Lavoro e disturbo psichico a Torino
Il progetto Alphaville è realizzato nell’ambito dell’ Iniziativa Valorizzazione Occupabilità della Regione Pie mon te da<br />
una partnership di sviluppo, rete di partner di pubbliche amministrazioni e di organizzazioni del terzo settore.<br />
comitato di gestione del progetto<br />
Antonio Monticelli Centro di Iniziativa per l’Europa del Piemonte<br />
Mario Lombardo Azienda Sanitaria Locale ASL 1<br />
Claudio Brambati Azienda Sanitaria Locale ASL 2<br />
Danila Mezzano Cooperativa sociale Progetto Muret<br />
Orlando Lo Sardo Cooperativa sociale Luci nella città<br />
Amelia Argenta Cooperativa sociale P.G. Frassati<br />
Amelia Argenta Cooperativa sociale P.G.Frassati– Produzione Lavoro<br />
Ivana Mina Associazione Arcobaleno Onlus<br />
Elda Perona Associazione Agenzia per lo sviluppo di Via Arquata<br />
Franco Beilis Associazione Evoluzione Self Help Onlus<br />
Domenico Martino Cooperativa sociale Il Margine<br />
Carlo Comandone Cooperativa sociale Marca<br />
Elena Grosso Associazione Insieme – Onlus<br />
Guido Geninatti Cooperativa sociale Esserci<br />
Barbara Bosi Associazione Lotta contro le malattie mentali<br />
Anna Forlenza CSEA – Società Consortile per azioni<br />
direzione del progetto<br />
Marco Sorrentino Direttore di Progetto<br />
Luigi Ferri Coordinatore tecnico<br />
Cristina Cappelli Responsabile coordinamento ATS<br />
Giorgio Bisacco Coordinatore scientifico<br />
Enrica Viora Responsabile amministrativo<br />
Antonella Montanari Segreteria di direzione<br />
hanno ideato, discusso, consigliato, progettato<br />
Ivonne Albani, Danila Mezzano, Chiara Marinelli, Andrea Couvert, Gabriella Pizzoli, Pepe Darò,<br />
Michele Reynaudo, Antonella Barbagallo, Roberto Vendrame, Orlando Lo Sardo, Cristina Airi,<br />
Federica Celadon, Annalisa Martina, Denise Pappalardo, Marina Loi, Roberto Lupi, Tiziano Liberti,<br />
Ilaria Dematteis, Bruno Annunziata, Gianluca Boggia, Beppe Solei, Mauro Nannini, Luigi Tavolaccini,<br />
Maja Strakova, Stefano Guerci, Fabio Perugia, Massimo Viale, Matteo Dotti.<br />
il gruppo di lavoro, coordinato dal professor mario cardano e dalla dottoressa barbara martini, che ha<br />
curato la presente pubblicazione è costituito da<br />
Danila Boero e Laura Negri – coautrici del rapporto – dagli intervistatori e intervistatrici: Marco Ammoscato,<br />
David Antista, Raffaella Balani, Sara Bertani, Claudio Bertocco, Rosa Borrelli, Giuseppina Carestia,<br />
Paolo Cefalù, Alessandro Coppo, Mirella Debenedetti, Silvio Matzuzi, Simone Metastasio, Enrico Mingrino,<br />
Caterina Muscarà, Diletta Ozzello, Luisa Parravicini, Marco Petrizzelli e Mauro Zulianelli.<br />
si ringraziano per la disponibilità, i consigli, i commenti, le suggestioni, i suggerimenti<br />
I borsisti del progetto Alphaville, ARCST Legacoop Piemonte, Novacoop Piemonte, Regione Piemonte,<br />
Arpa, ASL 1, l’Università degli Studi di Torino<br />
progetto grafico<br />
atelier abc<br />
stampa<br />
Cooperativa sociale Marca<br />
Questa pubblicazione è garantita secondo le leggi del copyleft, permesso d’autore, al contrario del copyright che definisce la<br />
proprietà d’autore. Il copyleft assicura la preservazione del carattere aperto e libero del suo sviluppo, vuole essere accessibile<br />
a tutti, richiede però: se modificato di essere rimesso in rete, si deve citare la fonte, non si può appropriarsene per farlo divenire<br />
di uso privato né usarlo senza citare la fonte. È una forma di concessione nata dal progetto GNU (sistema operativo<br />
comunemente noto sotto il nome di Linux, nasce in contrasto al sistema Unix; G is Not Unix), che garantisce che tutti gli<br />
sviluppi saranno disponibili ad altri affinché ne facciano liberamente uso. È un termine che per primo usò Stallman, importante<br />
haker, prendendo il nome da una frase su una busta di una lettera ricevuta: “Copyleft: tutti i diritti capovolti”.
. Indice<br />
9 . Presentazione<br />
11<br />
17<br />
19<br />
29<br />
30<br />
31<br />
33<br />
33<br />
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89<br />
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90<br />
98<br />
98<br />
99<br />
101<br />
. Introduzione<br />
prima parte<br />
1. Il disegno della ricerca<br />
1.1. Lo studio dei pazienti psichiatrici<br />
1.2. Lo studio delle famiglie dei pazienti psichiatrici<br />
1.3. Lo studio dei contesti di lavoro dei pazienti psichiatrici<br />
1.4. Lo studio del processo di avviamento al lavoro dei disabili psichici<br />
2. Il paziente psichiatrico<br />
2.1. Il profilo sociale<br />
2.2. Gli eventi di vita<br />
2.3. La storia clinica<br />
2.4. L’esperienza attuale del disagio psichico<br />
2.5. La relazione fra lavoro e disturbo psichico<br />
2.5.1. Forme di inclusione: il lavoro nel settore for profit<br />
2.5.2. Forme di inclusione: il lavoro nel contesto solidale<br />
2.5.3. Forme di esclusione: rifiuto<br />
2.5.4. Forme di esclusione: disinvestimento<br />
2.5.5. Forme di esclusione: atteggiamento negoziale<br />
2.5.6. Forme di esclusione: debolezza<br />
2.5.7. Forme di esclusione: incompatibilità<br />
3. Il contesto familiare<br />
3.1. Introduzione<br />
3.2. I significati del lavoro<br />
3.3. Il lavoro più consono<br />
3.3.1. Scettici<br />
3.3.2. Possibilisti<br />
3.3.3. Ottimisti<br />
3.4. Il profilo dei pazienti cui si riferiscono i diversi tipi di familiari<br />
3.5. Il profilo socio-demografico e culturale dei diversi tipi di familiari<br />
3.6. Osservazioni finali<br />
3.7. Appendice: familiari a Torino e Trieste, una prima comparazione
105 4. Il contesto lavorativo<br />
106<br />
115<br />
154<br />
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165<br />
166<br />
166<br />
4.1. Il lavoro presso le cooperative sociali B<br />
4.1.1. Le criticità dell’inserimento lavorativo del paziente psichiatrico<br />
4.1.2. Le risorse per contrastare le criticità dell’inserimento lavorativo del paziente<br />
psichiatrico<br />
4.2. Il lavoro nelle imprese for-profit e nella pubblica amministrazione<br />
4.2.1. Inserimento lavorativo<br />
4.2.2. Valutazione delle capacità lavorative<br />
4.2.3. Bilancio dell’inserimento<br />
4.2.4. Indicatori di occupabilità<br />
4.2.5. Episodi di manifestazione eclatante della malattia<br />
4.2.6. Un tentativo di sintesi: l’individuazione di un idealtipo aziendale<br />
4.2.7. Alcuni suggerimenti conclusivi<br />
4.2.8. Appendice. casi di insorgenza del disturbo psichico in lavoratori abili<br />
5. I contesti di cura e riabilitazione<br />
5.1. Line di intervento adottate per favorire la riabilitazione<br />
e l’integrazione del paziente psichiatrico<br />
5.2. I lavori che i pazienti psichiatrici posso svolgere e quelli che<br />
non possono svolgere<br />
5.3. L’identikit del paziente che dà maggiori garanzie di successo<br />
per l’inserimento lavorativo<br />
5.4. Il profilo del paziente per il quale l’inserimento lavorativo<br />
risulta più problematico<br />
5.5. Il contesto aziendale più consono<br />
5.6. Le figure professionali impegnate nell’attività di inserimento lavorativo<br />
5.7. L’organizzazione delle attività di inserimento lavorativo<br />
5.8. Tempi di lavoro e composizione delle équipe<br />
5.9. Le attività dirette all’inserimento lavorativo dei pazienti<br />
5.10. La condivisione delle informazioni<br />
5.11. I rapporti con le altre figure professionali addette alla cura<br />
5.12. Le tappe fondamentali dell’inserimento lavorativo<br />
5.13. L’atteggiamento degli operatori verso il riconoscimento dell’invalidità<br />
5.14. Gli interlocutori dell’ASL nella prima fase di inserimento lavorativo<br />
5.15. I rapporti con le famiglie<br />
5.16. La gestione della fase di inserimento<br />
5.17. I rapporti con l’azienda e con il lavoratore ad inserimento concluso<br />
5.18. Gli inserimenti di maggior successo<br />
5.19. Gli insuccessi più brucianti<br />
5.20. Le politiche di conciliazione tra lavoro e disagio psichico
169<br />
170<br />
193<br />
205<br />
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212<br />
214<br />
222<br />
222<br />
222<br />
231<br />
seconda parte<br />
6. I diari dei co-intervistatori<br />
6.1. Il diario di Giuseppina<br />
6.2. Il diario di David<br />
6.3. Il diario di Mauro<br />
6.4. Il diario di Mirella<br />
6.5. Il diario di Enrico<br />
6.6. Il diario di Claudio<br />
6.7. Invece del diario: l’intervista a Paolo<br />
7. Raccomandazioni per l’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici<br />
7.1. Il campione dei pazienti occupati<br />
7.2. Raccomandazioni per l’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici:<br />
primi spunti di riflessione<br />
7.2.1. Abbinamento<br />
7.2.2. Inserimento<br />
7.2.3. Mantenimento<br />
. Note
. Presentazione<br />
presentazione<br />
Il progetto Alphaville è stato, innanzitutto, una sfida. Una sfida culturale, ma<br />
anche organizzativa, volta a sperimentare nuovi approcci per intervenire su un terreno<br />
difficile e al contempo decisivo, qual è quello delle politiche per la salute mentale.<br />
Per due anni un partenariato composto da istituzioni pubbliche, cooperative<br />
so ciali, associazioni che da tempo operano praticando il principio di sussidiarietà, ha<br />
ten tato di dare corpo a quelle politiche di inclusione – ma anche di benessere dif -<br />
fuso – che spesso trovano nell’ambito occupazionale uno degli spazi in cui op por -<br />
tu nità e contraddizioni esplodono in modo più esplicito. Il lavoro è investito di si -<br />
gni ficati (individuali e sociali) tali da farne da un lato un importante terreno di speri -<br />
men tazione di percorsi di autonomia delle persone in difficoltà; dall’altro un luogo<br />
di lettura di interessanti dinamiche sociali, poiché è nei luoghi di lavoro che maggiormente<br />
si rendono evidenti i meccanismi della competizione, del valore attraverso<br />
la prestazione, del riconoscimento che passa dalla capacità produttiva. E questo<br />
interessa non solo chi arriva al lavoro dopo una storia di disagio, ma anche chi al<br />
disagio arriva stritolato da dinamiche che l’ambiente lavorativo può produrre.<br />
Le persone disabili - quale che sia la loro disabilità, ma ancor più quando si è in<br />
presenza di un disagio che ha a che fare con la relazione - ci costringono ad interrogarci<br />
sì sui modelli di “riabilitazione” possibili; ma, se siamo capaci di allargare<br />
lo sguardo, se ci lasciamo attraversare dal dubbio, queste stesse persone ci permettono<br />
di rileggere paradigmi e modelli a cui sembriamo assuefatti. È con questo spirito<br />
- a partire dalla concreta esperienza di alcuni dei soggetti pubblici e privati che<br />
operano nella città di Torino - che ha preso corpo il progetto Alphaville, finanziato<br />
dalla Regione Piemonte nell’ambito del programma Valorizzazione Oc cu -<br />
pabilità. Attraverso azioni di ricerca, animazione sul territorio, formazione, attività<br />
di comunicazione e con la sperimentazione di inserimenti al lavoro di cittadini<br />
in carico ai servizi psichiatrici delle Asl torinesi, si è inteso ricercare approcci e<br />
modelli che consentissero di abbattere barriere e, al contempo, di qualificare i servizi<br />
sociali e sanitari per affrontare il tema “disabilità e lavoro”, dotandoli di strumenti<br />
in grado anche di prevenire e gestire le difficoltà che possono determinarsi<br />
nei luoghi di lavoro. Si tratta di una sfida difficile, che deve prima di tutto abbattere<br />
il pregiudizio e lo stigma.Se, infatti, è normale pensare che una società avanzata<br />
debba trovare le forme per dare dignità e cittadinanza a persone con fatiche o<br />
svantaggi, questo appare complicato, se non impossibile, quando si tratta di disagio<br />
psichico. Questo non vuol dire che i problemi non esistano. Un lavoratore con<br />
di sturbi psichici (conclamati o meno) può rappresentare una difficoltà, anche<br />
grave, all’interno dei contesti lavorativi. Ma può essere vero anche il contrario. Un<br />
ma lato psichico, inserito in un ambiente lavorativo in grado di valorizzarne al<br />
meglio le potenzialità, può rappresentare un’autentica risorsa per se stesso, per<br />
l’azienda, per la società tutta. In fondo è una questione di giustizia e di civiltà.<br />
È questione che richiede una responsabilità comune. È una sfida. Che il progetto,<br />
nel suo piccolo, ha provato a raccogliere. E, a partire da qui, a rilanciare.<br />
9
. Introduzione<br />
introduzione<br />
Io nella mia vita ho viaggiato come un Don Chischotte senza Sancho Panza, almeno<br />
Don Chiscotte aveva come compagnia Sancho Panza, io manco quello ci avevo.<br />
Tullio<br />
Questo rapporto presenta i principali risultati di uno studio che ha<br />
impegnato il nostro gruppo di ricerca per più di due anni 1 . Lo studio è dedicato<br />
alla relazione tra disturbo psichico e lavoro. In specifico questa ri cer ca è stata<br />
concepita per rispondere a due interrogativi: i) come è possibile con ci liare -<br />
posto che lo sia - il disturbo psichico con il lavoro; ii) qual è la por tata ria -<br />
bilitativa del lavoro per i pazienti psichiatrici.<br />
A questo scopo abbiamo raccolto le esperienze di un piccolo campione di<br />
pa zienti psichiatrici in carico presso le ASL torinesi. Il campione, come meglio<br />
si dirà in seguito, è stato costruito accostando due sottopopolazioni di pazienti<br />
psi chiatrici: gli occupati e i non occupati. Le due frazioni del campione sono<br />
state identificate tenendo sotto controllo il genere, l’età e la severità del di stur -<br />
bo psichico. Questo allo scopo di consentire un confronto diretto tra occupati<br />
e non occupati, al netto, per così dire, di altri fattori responsabili delle chance<br />
di par tecipazione al mercato del lavoro quali, per l’appunto, il genere, l’e tà e la<br />
se verità del disturbo psichico. Ai nostri interlocutori abbiamo chiesto di rac -<br />
contare la storia della loro vita, raccogliendo così informazioni sulla loro espe -<br />
rienza del disturbo psichico e sulle loro carriere lavorative. Abbiamo inter pel -<br />
lato tutti i nostri interlocutori in almeno due occasioni ricorrendo alla tecnica<br />
dell’intervista ripetuta e conducendo tutti i colloqui unendo le com petenze e<br />
le e sperienze di due intervistatori: un ricercatore sociale e un pa ziente psi -<br />
chiatrico 2 . La collaborazione dei pazienti psichiatrici, sulla quale da principio -<br />
devo riconoscerlo - avevo qualche riserva, si è rivelata fon da men tale. La par -<br />
te cipazione ai colloqui di questi “intervistatori in seconda” ha reso più facile a -<br />
gli intervistati la condivisione delle loro esperienze, spesso di sofferenza, rife -<br />
ri te ora alla malattia mentale, ora al lavoro. Anche quando l’inesperienza o l’e -<br />
mo zione di questi intervistatori hanno reso la formulazione delle domande<br />
non proprio ineccepibile sul piano tecnico, i dialoghi che questi “incidenti<br />
comunicativi” ci hanno consegnato sono stati estremamente utili. Ci hanno<br />
cioè consentito di cogliere alcuni frammenti del processo di costruzione della<br />
rap presentazione della malattia mentale e, talvolta, dello stigma, che prendono<br />
for ma fra gli stessi pazienti psichiatrici.<br />
Da queste storie emerge innanzitutto la sofferenza che accompagna il<br />
disturbo psichico. Le narrazioni dell’esordio della malattia e del periodo che le<br />
è immediatamente seguito, durante il quale ciascuno di loro ha dovuto ricom -<br />
porre i pezzi di un’identità frantumata, mostrano solo una parte di questo do -<br />
11
12<br />
introduzione<br />
lo re, lasciando però intuire ciò che non viene detto. Inoltre, in molti casi<br />
l’esordio del disturbo psichico trova collocazione all’interno di traiettorie bio -<br />
gra fiche decisamente travagliate, segnate da forme di profondo disagio eco no -<br />
mico e culturale, da violenze e soprusi. L’immagine che meglio si presta a raf -<br />
figurare i protagonisti è quella di don Chisciotte un eroe “invincibile” 3 che a<br />
di spet to delle sconfitte subite in battaglia, riesce tutte le volte a trovare la forza<br />
di risalire sul proprio ronzino e affrontare una nuova battaglia. In molte delle<br />
nar razioni che ho raccolto ho riconosciuto la determinazione di questo eroe;<br />
in tutte il dolore delle sue sconfitte.<br />
Alle interviste ai pazienti sono seguite quelle ai loro familiari, o meglio a un<br />
loro sottoinsieme, identificato con la collaborazione e soprattutto con il con -<br />
senso dei nostri primi interlocutori. Le interviste ai familiari hanno reso di spo -<br />
nibili ulteriori informazioni sulle traiettorie biografiche dei pazienti psi chia -<br />
trici ma, soprattutto, ci hanno consentito di individuare i fattori che, nel con -<br />
te sto familiare ora facilitano, ora ostacolano la conciliazione tra lavoro e sof -<br />
ferenza psichica. Inoltre queste interviste, in più di un caso condotte coin -<br />
volgendo più di un componente del nucleo familiare, ci hanno consegnato<br />
un’im magine vivida del dolore che attraversa le famiglie nelle quali un com po -<br />
nen te ha un disturbo psichico. Le interviste confermano quanto è gia noto: il<br />
con testo familiare gioca un ruolo decisivo nei processi di riabilitazione. La<br />
questione non si esaurisce, tuttavia, in termini di entità del sostegno familiare.<br />
In alcuni casi, documentati dai materiali empirici raccolti, la famiglia osta -<br />
co la il processo di riabilitazione, ora perché è parte del problema, ora per le<br />
mo dalità con le quali fronteggia il disturbo psichico del proprio congiunto 4 .<br />
Esaurita l’analisi dal punto di vista dell’offerta, abbiamo poi considerato il<br />
versante della domanda, ovvero i contesti di lavoro entro i quali le persone con<br />
un disturbo psichico trovano (o possono trovare) occupazione. A questo scopo<br />
abbiamo condotto 14 studi di caso considerando 3 cooperative sociali di tipo<br />
B, 10 aziende private e 1 ente pubblico. I casi sottoposti a studio sono stati trat -<br />
ti da una lista messa a punto combinando le segnalazioni del Servizio Lavoro -<br />
Collocamento disabili, della Provincia di Torino 5 , quelle dei DSM torinesi e<br />
quel le di quattro dei pazienti intervistati che hanno consentito di prendere<br />
con tatto con le aziende presso le quali hanno o hanno avuto un rapporto di la -<br />
vo ro. In ciascuno dei casi esaminati abbiamo raccolto le te sti mo nian za del re -<br />
sponsabile del personale, dei colleghi del lavoratore gra vato da una disabilità<br />
psichica e del suo preposto. Il quadro che emerge è com posito, ben al di là<br />
dell’ovvia opposizione tra cooperative sociali e imprese pub bliche o private. In<br />
queste ultime, in particolare, le soluzioni organizzative - esplicite o implicite -<br />
adottate per accogliere un lavoratore con un disturbo psichico si muovono tra<br />
due estremi: la rinuncia e l’innovazione. Nel primo caso, quello del la rinuncia,<br />
le aziende decidono di assegnare al lavoratore una mansione su per flua per le<br />
attività dell’azienda, sulla quale le incertezze relative alle pre sta zioni lavorative<br />
non gravino in alcun modo. Sull’altro versante, quello dell’innovazione, l’a -
introduzione<br />
zien da costruisce per il lavoratore disabile una mansione che renda possibile la<br />
pie na valorizzazione delle sue capacità, ridefinendo i propri vincoli or ga niz -<br />
zativi. Quando questo accade, e talvolta accade, non è solo il lavoratore disabile<br />
a trarne vantaggio, ma anche il “clima” aziendale e le relazioni tra i dipendenti<br />
tutti, e questo lascia ben sperare.<br />
Conclusa l’indagine sui contesti lavorativi, l’attenzione si è spostata sui con -<br />
te sti di cura e riabilitazione. In specifico abbiamo condotto uno studio sulle<br />
po litiche di riabilitazione dei pazienti psichiatrici, adottate dalle ASL del con -<br />
te sto torinese. A queste abbiamo accostato lo studio dell’ASL 5 di Collegno<br />
che, come noto, ha ricoperto un ruolo di estremo rilievo nell’avvio dei processi<br />
riabilitativi, avvenuto a valle della chiusura delle istituzioni manicomiali.<br />
I materiali raccolti, suscettibili di ulteriori analisi e approfondimenti, con -<br />
sen tono comunque di formulare una prima sommaria risposta ai nostri inter -<br />
ro gativi. Il rapporto tra lavoro e disturbo psichico è indubbiamente sofferto,<br />
ma nulla fa pensare che i due mondi siano - per definizione - inconciliabili. Il<br />
con fronto fra le due frazioni del campione di pazienti: occupati e non occupati<br />
mo stra, innanzitutto, l’assenza di vistose differenze tra gli uni e gli altri. Con<br />
po chis sime eccezioni, le persone escluse dal lavoro non presentano un insieme<br />
com patto di caratteristiche che li distinguono da quelli che - al momento del -<br />
l’in tervista - avevano un’occupazione. Nel corso dello studio, inoltre, abbiamo<br />
as sistito a più di un passaggio del confine che separa il lavoro dal non lavoro e<br />
in entrambe le direzioni. Di certo non è l’etichetta diagnostica a fare la dif fe -<br />
renza: nel nostro campione abbiamo infatti persone con diagnosi severe che la -<br />
vo rano a tempo pieno in grandi aziende con un rapporto di lavoro in tutto e<br />
per tutto identico a quello degli altri lavoratori (senza cioè poter contare sui<br />
be nefici della legge 68/1999) e persone con disturbi più lievi che stentano a<br />
trovare un’occupazione. Tra i non occupati, in particolare tra coloro che hanno<br />
al le loro spalle un’esperienza lavorativa, emerge in modo chiaro la delicatezza<br />
del l’abbinamento tra domanda e offerta, tra profilo del lavoratore e mansione<br />
proposta. Dai materiali raccolti emerge come, in più di un caso, il fallimento<br />
di un’esperienza lavorativa, segnatamente, di un inserimento lavorativo sia di -<br />
pe so da una valutazione erronea delle richieste fisiche e psichiche associate alla<br />
man sione proposta: inadeguate perché eccessive o perché eccessivamente mo -<br />
de ste. Emerge inoltre come i fattori responsabili del successo così come del<br />
fallimento di un inserimento lavorativo non debbano essere ricercati e sclu si va -<br />
mente nell’area delimitata dall’intersezione tra profilo della mansione e profilo<br />
del lavoratore. Un inserimento lavorativo può fallire per ragioni che hanno a<br />
che fare con le caratteristiche del contesto familiare o di vita (da qui la ne ces -<br />
si tà di sposare la riabilitazione lavorativa alla riabilitazione abitativa) e non già<br />
so lo per la presenza di situazioni comunemente definite come dram matiche.<br />
Ciò che a noi tutti parrebbe come una risibile difficoltà di con ci lia zio ne tra<br />
ruo li familiari e ruoli lavorativi o come un banale problema di ac co mo damento<br />
dei trasporti può avere un impatto devastante su di un paziente psichiatrico.<br />
13
14<br />
introduzione<br />
Cito, al riguardo due casi. Il primo riguarda una donna matura, costretta a<br />
lasciare il lavoro per la difficoltà a conciliare i tempi del lavoro e dei trasporti<br />
con quelli dedicati alla cura - non di sé - ma dei propri familiari; in specifico la<br />
pre parazione di un pasto caldo per il marito e la figlia. Il secondo riguarda un<br />
fallimento sventato: si tratta del paziente in grandi ambasce per il timore di<br />
perdere il proprio mezzo di trasporto, la bicicletta, con la quale si recava al la -<br />
vo ro. La capacità dell’azienda di riconoscere il problema e di attribuirgli il pe -<br />
so dovuto, provvedendo all’individuazione di un ricovero sicuro per la bici -<br />
cletta, ha impedito il fallimento dell’inserimento lavorativo.<br />
Al secondo interrogativo, relativo alla portata riabilitativa del lavoro, i<br />
risultati della ricerca consegnano una risposta articolata. La prima dimensione<br />
rientra tra i risultati inattesi dello studio e deriva dall’opportunità, offerta dai<br />
pazienti psichiatrici, di guardare altrimenti le cose del mondo. La malattia<br />
mentale conduce a una condizione di alterità - talvolta anche radicale - a par -<br />
tire dalla quale diventa possibile osservare le cose del mondo in modo disin -<br />
cantato e talvolta più acuto. Sotto questo profilo il paziente psichiatrico può<br />
essere pensato come una delle figure di “straniero” su cui ha a lungo riflettuto<br />
Alfred Schütz 6 . Straniero è colui che riesce a mettere in discussione ciò che<br />
ovvio, che grazie alla propria estraneità riesce a cogliere ciò che si nasconde<br />
nella superficie delle cose 7 . Ebbene ciò che emerge dai materiali raccolti in<br />
questo studio è la quasi generale - per fortuna le eccezioni non mancano - inca -<br />
pa cità delle aziende ad accogliere la differenza e la pervasività di una cul tura<br />
dal l’acre sapore darwiniano per la quale sono i più abili possono “so prav vi ve -<br />
re” 8 . Queste notazioni portano a considerare, almeno con scetticismo l’e qua -<br />
zio ne “lavoro uguale riabilitazione”: non tutti i lavori sono egualmente ria -<br />
bilitanti e non per tutti i pazienti il lavoro costituisce la modalità principe di<br />
riabilitazione sociale 9 . Entro i confini marcati da questa premessa si può dire<br />
- sono i risultati dello studio a dirlo - che il lavoro costituisce per molti pazienti<br />
psichiatrici un primo e insostituibile requisito per la conquista o la conser va -<br />
zione di una condizione di piena cittadinanza e questo al di là delle ovvie impli -<br />
ca zioni salariali che discendono dall’avere un’occupazione.<br />
I temi tratteggiati in questa introduzione trovano una più ampia esposizione<br />
nei capitoli che seguono. Il capitolo 1 illustra l’impianto metodologico dello<br />
studio. All’analisi dell’esperienza del disturbo psichico e delle modalità di con -<br />
ci liazione tra questo e il lavoro è dedicato il capitolo 2. Il contesto familiare è<br />
ana lizzato al capitolo 3, dove trova collocazione anche un conciso confronto<br />
tra il contesto torinese e quello triestino. I risultati dello studio condotto nei<br />
con testi lavorativi sono raccolti nel capitolo 4. In specifico il paragrafo 4.1 è<br />
de dicato al lavoro nelle cooperative sociali di tipo B, il contesto della mutualità<br />
soli dale; il paragrafo 4.2 al lavoro nelle imprese for profit e nella pubblica am -<br />
ministrazione. Il capitolo 5 contiene i primi risultati degli studi di caso con dot -<br />
ti nelle ASL dell’area torinese. Il capitolo 6 raccoglie i diari dei pazienti-inter -<br />
vi statori. Il testo si chiude con un insieme di raccomandazioni, desunte dai
materiali d’intervista prodotti con lo studio, sull’inserimento lavorativo dei pa -<br />
zienti psichiatrici.<br />
. Ringraziamenti<br />
Alla realizzazione di questo studio hanno contribuito molte persone. Qui mi<br />
preme innanzitutto ringraziare coloro che hanno accettato di condividere con<br />
noi la loro esperienza del disturbo psichico: i pazienti, i loro familiari, le azien -<br />
de e le cooperative che abbiamo interpellato, gli operatori delle ASL torinesi<br />
e quelli dell’ASL 5. Ringrazio inoltre le persone con le quali ho condiviso il<br />
cam mino all’interno del Progetto Alphaville, lo staff delle varie linee di lavoro<br />
e gli intervistatori tutti impegnati nella raccolta della documentazione em -<br />
pirica. Un ringraziamento speciale va ad Agostino Pirella e Luciano Sor ren -<br />
tino, con i quali nel corso di tutta la ricerca mi sono spesso consultato, conse -<br />
gnan do loro quesiti talvolta incongrui che hanno sempre ottenuto una risposta<br />
esau riente. Resta inteso che tutti gli e errori e le imprecisioni di questo lavoro<br />
so no imputabili esclusivamente al suo curatore.<br />
. Attribuzioni<br />
introduzione<br />
I capitoli 1, 2, 5, 7 e il paragrafo 4.1 sono redatti da Mario Cardano; il capitolo 3 è<br />
scritto da Danila Boero; il paragrafo 4.2 è scritto da Laura Negri; il capitolo 6 compone<br />
i diari dei co-intervistatori che hanno partecipato allo studio: Giuseppina, David,<br />
Mauro, Mirella, Enrico, Claudio e Paolo.<br />
15
prima parte
1.<br />
Il disegno della ricerca<br />
il disegno della ricerca<br />
Il disegno della ricerca di cui presentiamo qui i principali risultati compone<br />
quattro studi intensivi, concepiti per esaminare - da più punti di vista - il rap -<br />
porto tra lavoro e disturbo psichico. Il cuore della ricerca è costituito dallo stu -<br />
dio delle traiettorie biografiche di un campione di pazienti psichiatrici (n = 50)<br />
in carico presso i Centri di Salute Mentale della città di Torino.<br />
I pazienti, selezionati nei modi di cui si dirà più oltre, sono stati coinvolti in<br />
due lunghe conversazioni, dedicate alla ricostruzione della loro storia di vita e<br />
al loro rapporto con il mondo del lavoro e con i servizi psichiatrici. Alla ricerca<br />
sui pazienti è seguito uno studio sui loro familiari. In specifico sono state<br />
ascoltate le testimonianze di 19 familiari (per lo più care-giver) individuati con<br />
il consenso dei pazienti stessi. Le interviste ai familiari hanno consentito, da<br />
un lato di integrare alcune delle informazioni biografiche raccolte tra i<br />
pazienti, dall’altro di cogliere le rappresentazioni e le esperienze del disagio<br />
mentale elaborate all’interno del contesto più prossimo a quello dei pazienti.<br />
Completano il quadro due studi condotti, l’uno nei contesti lavorativi e<br />
l’altro nei contesti di cura e riabilitazione, segnatamente i CSM dell’area me -<br />
tropolitana. Lo studio dei contesti lavorativi compone 14 studi di caso, con -<br />
dotte su altrettante aziende e cooperative sociali (di tipo B) che hanno, o hanno<br />
avu to, alle proprie dipendenze, o fra i propri soci, persone con un disturbo<br />
psichico. Lo studio dei contesti di cura e riabilitazione, condotto nelle ASL di<br />
To rino e di Collegno, offre una prima sommaria ricostruzione dei modelli or -<br />
ga niz zativi e delle procedure di risocializzazione al lavoro promosse dei servizi<br />
di salute mentale del contesto metropolitano.<br />
La combinazione dei quattro studi, in particolare fra quelli dedicati ai pa -<br />
zien ti e ai contesti familiare e lavorativo, ha consentito di disporre, per un con -<br />
gruo numero di casi, di un insieme composito di informazioni, utili a una qua -<br />
li fi cazione più dettagliata delle forme di conciliazione fra lavoro e disturbo<br />
psichico e a una validazione incrociata dei metodi e dei risultati. Le tabelle che<br />
seguono (tabb. 1.1 e 1.2) danno conto delle forme di integrazione fra i diversi<br />
materiali empirici. Dall’esame delle due tabelle emerge come per 40 dei 50 pa -<br />
zienti contattati è stato possibile raccogliere un’informazione dettagliata sul le<br />
loro traiettorie biografiche potendo contare su due interviste in suc ces sione<br />
(un’intervista libera e un’intervista guidata).<br />
Per 19 pazienti, le informazioni ottenute con la tecnica dell’intervista ripe -<br />
tuta sono state integrate con informazioni sul contesto familiare, attinte con<br />
un’in tervista al care-giver. Infine per cinque pazienti disponiamo di in for ma -<br />
zio ni sul contesto lavorativo, ottenute interpellando il responsabile del per so -<br />
nale, il preposto e uno o più colleghi dell’azienda o della cooperativa presso la<br />
qua le sono occupati.<br />
17
18<br />
Tabella 1.1. Documentazione empirica relativa ai pazienti psichiatrici e ai loro contesti di<br />
vita e di lavoro: distribuzione dei casi<br />
TECNICHE DI RICERCA<br />
Intervista libera (storia di vita)<br />
Intervista libera + Intervista guidata<br />
parte prima<br />
Intervista libera + Intervista guidata + Intervista al care-giver<br />
Intervista libera + Intervista guidata + Intervista a datore di lavoro e colleghi<br />
Intervista libera + Intervista guidata + Intervista al care-giver + Intervista a<br />
datore di lavoro e colleghi<br />
TOTALE<br />
UOMINI<br />
Tabella 1.2. Documentazione empirica relativa ai pazienti psichiatrici e ai loro contesti di<br />
vita e di lavoro: interviste<br />
TECNICHE DI RICERCA<br />
Interviste libere (stora di vita)<br />
Interviste guidate (successive alla conduzione dell’intervista libera)<br />
Interviste al care-giver<br />
Interviste al datore di lavoro<br />
Interviste al preposto 2 2 4<br />
Interviste ai colleghi 5 1 6<br />
TOTALE<br />
Nella parte restante di questo capitolo verrà illustrato con maggior dettaglio<br />
l’impianto logico di ciascuna fase della ricerca.<br />
4<br />
11<br />
6<br />
0<br />
3<br />
24<br />
UOMINI<br />
24<br />
20<br />
9<br />
2<br />
2<br />
5<br />
62<br />
DONNE<br />
6<br />
8<br />
10<br />
2<br />
0<br />
26<br />
DONNE<br />
26<br />
20<br />
10<br />
1<br />
2<br />
1<br />
60<br />
TOTALE<br />
10<br />
19<br />
16<br />
2<br />
3<br />
50<br />
TOTALE<br />
50<br />
40<br />
19<br />
3<br />
4<br />
6<br />
122
1.1. Lo studio dei pazienti psichiatrici<br />
il disegno della ricerca<br />
Lo studio del rapporto tra malattia mentale e lavoro è stato condotto,<br />
ricorrendo alla tecnica dell’intervista ripetuta, applicata a un campione per<br />
quo te di pazienti, definito in base alla logica del disegno «caso-controllo».<br />
Questo disegno trova un’ampia applicazione negli studi epidemiologici, nei<br />
quali è concepito per sottoporre a controllo un’ipotesti causale. L’ipotesi, di<br />
nor ma, riguarda la relazione fra l’esposizione a uno specifico fattore di rischio,<br />
ad esempio il fumo di sigaretta, e l’incidenza di una patologia, quale, per con -<br />
tinuare l’esempio, il carcinoma al polmone. I casi, nell’esempio adottato, sono<br />
re clutati tra i soggetti affetti dal carcinoma al polmone, mentre i controlli ven -<br />
gono scelti in modo tale da rappresentare quanto più accuratamente pos sibile<br />
la popolazione in studio. Tra i casi, così come tra i controlli si prenderà no ta<br />
del numero di fumatori e dal confronto fra le quote di fumatori nei casi e nei<br />
controlli si trarranno informazioni utili a decidere del legame causale tra fu mo<br />
e carcinoma al polmone 10 . In questo studio il disegno caso-controllo ver rà<br />
impiegato, non già per sottoporre a controllo una specifica ipotesi, ma con fi -<br />
na lità esplorative (vedi King, Keohane and Verba 1994: 141 ss.), con l’in tento,<br />
cioè di formulare e non già controllare ipotesi sul rapporto fra disturbo<br />
psichico e lavoro. Considereremo qui casi i pazienti psichiatrici (tem pora nea -<br />
mente) esclusi dal mercato del lavoro e controlli, non già un campione rap -<br />
presentativo di pazienti psichiatrici, ma i pazienti psichiatrici occupati 11 . Il<br />
confronto fra casi e controlli, fra pazienti occupati e pazienti disoccupati, è di -<br />
ret to a individuare i fattori responsabili ora della par teci pa zio ne, ora del -<br />
l’esclusione dal mercato del lavoro. Questi fattori sono stati ricercati nelle spe -<br />
ci fiche configurazioni delle traiettorie biografiche dei nostri inter locu tori, esa -<br />
minate considerando con la storia clinica e la storia lavorativa, anche il con testo<br />
sociale da cui provengono e gli eventi di vita che hanno vissuto (vedi cap. 2).<br />
Il rapporto fra salute mentale e partecipazione al mercato del lavoro è<br />
mediato, come noto, da alcuni fattori di cui si è ritenuto opportuno tener<br />
conto nella selezione dei nostri interlocutori, mi riferisco all’età, al genere e<br />
alla gravità del disturbo psichico. Per tutti gli individui, quale che sia il loro<br />
stato di salute mentale, le chance di ottenere e conservare un lavoro variano in<br />
ragione del genere e dell’età. Per tenere sotto controllo questi fattori il profilo<br />
dei due sottocampioni, disoccupati (casi) e occupati (controlli), e sono stato<br />
delineato assumendo come vincolo quello della loro omogeneità nella com -<br />
posizione di genere ed età. Forse non è nemmeno necessario ricordare come<br />
la partecipazione al mercato del lavoro per una persona con un disturbo<br />
psichiatrico sia influenzata dalla natura e dalla gravità del disturbo stesso. Per<br />
tener conto di questo aspetto la costruzione dei due sottocampioni, occupati e<br />
disoccupati, è stata progettata introducendo due ulteriori vincoli: i) la presenza<br />
in ciascuno della medesima quota di pazienti gravi; ii) la presenza della<br />
medesima quota di individui con una recente esperienza di ricovero in<br />
19
20<br />
strutture psichiatriche, sia tra gli occupati, sia tra i disoccupati.<br />
Date le finalità dello studio, l’analisi della relazione fra disturbo psichico e<br />
oc cupazione, l’attenzione è caduta su una frazione della popolazione in età la -<br />
vo rativa, costituita dalle persone di età compresa fra 18 e 50 anni. Per tenere<br />
sot to controllo età e genere il piano originario di campionamento prevedeva<br />
u na ripartizione bilanciata fra occupati e disoccupati di uomini e di donne e di<br />
gio vani, ovvero di persone di età compresa fra i 18 e i 34 anni, e maturi, ovvero<br />
di persone di età compresa fra i 35 e i 50 anni. La tabella 1.3 illustra, limi ta ta -<br />
men te alla variabili sociodemografiche considerate più sopra (genere, età e sta -<br />
tus occupazionale), il disegno originario del campione.<br />
Tabella 1.3. Piano di campionamento originario - caratteristiche sociodemografiche<br />
OCCUPATI/E<br />
NON OCCUPATI/E<br />
Giovani 6<br />
Giovani 7<br />
parte prima<br />
AREA DI COLLOCAZIONE<br />
UOMINI DONNE<br />
Maturi 6<br />
Maturi 6<br />
Giovani 6<br />
Giovani 7<br />
25 25<br />
Maturi 6<br />
Maturi 6<br />
Il controllo della gravità del disturbo psichico è stato perseguito ricorrendo<br />
alla combinazione di due criteri: il profilo diagnostico e l’esperienza del rico -<br />
vero. Rispetto al primo criterio, il profilo diagnostico, sono state distinte, due<br />
gran di aree diagnostiche: a) disturbi gravi: i disturbi dello spettro schi zo fre -<br />
nico, i disturbi deliranti e i disturbi dell’umore accompagnati nelle fasi cri tiche<br />
da idee deliranti, quindi tutti quei disturbi che presentano, anche se non con -<br />
ti nuativamente, significative alterazioni del rapporto con la realtà, del con te -<br />
nu to del pensiero e/o della percezione; b) disturbi lievi: i disturbi del l’umore<br />
non accompagnati da idee deliranti, i disturbi della personalità, i di stur bi ne -<br />
vrotici. Tale suddivisione, pur non essendo l’unica possibile, ap pros si ma quella<br />
co munemente adottata nella pratica clinica e riabilitativa dei CSM del ter ri -<br />
torio in studio. Si tratta, inoltre, di una distinzione che ha un fon da mento non<br />
esclu sivamente pragmatico: nei luoghi di lavoro, la per ce zione di que ste al te -<br />
ra zioni suscita - di norma - allarme sociale anche quan do queste ul time non<br />
sia no associate ad anomalie nel comportamento 12 .<br />
Questa rappresentazione, forse eccessivamente semplificata, della pluralità<br />
dei disturbi psichiatrici è dettata da considerazioni che sono insieme pratiche<br />
24<br />
26<br />
50
il disegno della ricerca<br />
e teoriche. Gli aspetti pratici attengono alle modalità di reperimento dei<br />
pazienti coinvolti nello studio, basata - come si dirà meglio di seguito - sulla<br />
richiesta ai medici dei CSM torinesi di segnalare chi, fra i propri pazienti, po -<br />
teva essere coinvolto nello studio. Le segnalazioni sono state raccolte su di una<br />
scheda nella quale il profilo dei candidati all’intervista veniva descritto in modo<br />
stringato. In specifico il profilo diagnostico era reso dalla mera in di ca zione<br />
dell’etichetta diagnostica, non corredata da informazioni più ana li tiche sul la<br />
storia clinica del paziente. Ovvie ragioni di riservatezza, unite a dif ficoltà pra -<br />
tiche, impedivano di disporre delle cartelle cliniche dei pazienti segnalati per<br />
u na più accurata definizione del loro profilo diagnostico.<br />
L’attribuzione all’una o all’altra classe diagnostica è dunque avvenuta solo<br />
sulla base dell’etichetta diagnostica. A ciò si lega la seconda considerazione, di<br />
tipo teorico-epistemologico. La diagnosi in psichiatria - per quel poco che mi<br />
è dato di capire - si basa esclusivamente sull’osservazione di sintomi e com -<br />
portamenti: ciò che conduce a un’etichetta diagnostica non è pertanto nulla<br />
più di un’«associazione ricorrente di sintomi e comportamenti “psichia tri -<br />
camente significativi”» (Piccione 1995: 314). L’assenza di informazioni univo -<br />
che sull’eziopatogenesi dei disturbi psichiatrici e, soprattutto, l’impossibilità -<br />
diversamente da quanto accade in altri ambiti della medicina - di disporre del<br />
conforto di informazioni obiettive quali una lesione anatomica, o un’al te ra -<br />
zione di alcuni parametri fisiologici, pone la diagnosi psichiatrica in un ter ri -<br />
torio - molto familiare a chi fa ricerca sociale - nel quale possono le git tima -<br />
mente fronteggiarsi interpretazioni difformi di un medesimo fenomeno 13 . Di<br />
ciò danno conto alcune delle narrazioni di malattia raccolte dai nostri in ter lo -<br />
cutori, dove il passaggio da uno psichiatra a un altro si accompagna a variazioni<br />
- tal volta importanti - di diagnosi e di trattamento farmacologico. Tutto ciò<br />
giu stifica la semplificazione adottata o quantomeno offre buone ragioni alla<br />
decisione di evitare, per le finalità immediate della ricerca, il ricorso a<br />
classificazioni più fini dei disturbi psichiatrici.<br />
Inoltre per entrambe le macroclassi diagnostiche considerate è stata presa in<br />
esame l’esperienza del ricovero, o meglio la presenza di una tale esperienza nel<br />
biennio che ha preceduto la realizzazione dell’indagine (2001-2002). L’idea<br />
che sta alla base di questo ulteriore criterio di selezione riguarda l’impatto che<br />
l’esperienza del ricovero riveste per l’autostima del paziente e, dunque, per la<br />
sua capacità di affrontare le difficoltà di conciliazione fra disturbo psichico e<br />
lavoro 14 . Il campione è stato pertanto costituito avendo cura di includere, per<br />
ciascuna delle classi diagnostiche considerate, pazienti reduci da almeno<br />
un’esperienza di ricovero per il biennio che precede l’indagine e pazienti che<br />
non hanno avuto tale esperienza.<br />
Nel piano originario di campionamento, il controllo del profilo diagnostico<br />
prevedeva le seguenti misure: a) la sovrarappresentazione - sia tra i casi, sia tra<br />
i controlli - dei pazienti con diagnosi più grave, quelli per i quali la con ci lia -<br />
zio ne fra lavoro e disturbo psichiatrico risulta ragionevolmente più im pe gna -<br />
21
22<br />
tiva; b) la presenza, sia tra i pazienti gravi, sia tra quelli lievi, di un’identica<br />
quota di soggetti con almeno un ricovero nel biennio che precede la conduzione<br />
dell’indagine (2001-2002). Per ciascuna delle otto quote definite dalla com bi na -<br />
zio ne delle variabili sociodemografiche età, genere e status occupazionale il lu stra -<br />
te nella tabella 1.3, il piano originario di campionamento prevedeva una ripar ti -<br />
zio ne dei soggetti illustrata schematicamente nella tabella 1.4 15 .<br />
Tabella 1.4. Piano di campionamento originario profilo diagnostico delle quote socio demo gra fiche<br />
DIAGNOSI<br />
LIEVE<br />
GRAVE<br />
NESSUN RICOVERO BIENNIO 2001/02<br />
parte prima<br />
1 soggetto per le quote a numerosità 6<br />
2 soggetti per le quote con numerosità 7 16<br />
2 soggetti<br />
ALMENO UN RICOVERO BIENNIO 2001/02<br />
1 soggetti<br />
2 soggetti<br />
L’applicazione di queste regole di campionamento richiedeva la di spo -<br />
nibilità di una lista di candidati all’intervista sufficientemente ampia, pari ad al -<br />
meno 200 casi (50 per ciascuna delle ASL dell’area torinese), disponibile sin<br />
dal l’inizio dello studio. Questo purtroppo non è avvenuto. Le segnalazioni di<br />
pa zienti dalle ASL coinvolte nello studio (e nel partenariato che l’ha pro mos -<br />
so) sono state inferiori alle nostre aspettative. Complessivamente sono sta ti se -<br />
gna lati 104 soggetti, ripartiti fra le ASL torinesi nelle quote illustrate nella ta -<br />
bel la che segue (tab. 1.5) 17 .<br />
Tabella 1.5. Distribuzione dei pazienti segnalati per lo studio dalle ASL cittadine:<br />
va lori assoluti e percentuali<br />
ASL<br />
ASL 1 - NORD<br />
ASL 1 - SUD<br />
ASL 2<br />
ASL 3<br />
ASL 4<br />
ASL 8<br />
TOTALE<br />
FREQUENZA<br />
15<br />
14<br />
57<br />
5<br />
12<br />
1<br />
104<br />
PERCENTUALE<br />
La tabella mostra come le ASL torinesi abbiano risposto con differente<br />
pron tez za alla richiesta di segnalare pazienti per lo studio. La sovra rap pre sen -<br />
ta zio ne dei pazienti della ASL 2 che, da sola ha fornito il 55% dei nominativi<br />
se gna lati, è dipesa dalla tenacia con la quale Barbara Martini, responsabile del -<br />
14<br />
14<br />
55<br />
5<br />
11<br />
1<br />
100
la Li nea 1 e parte del gruppo di ricerca, ha sollecitato i propri colleghi alla<br />
coope ra zione. Il minor apporto delle altre ASL si può ragione volmente attri -<br />
buire al re cente affollarsi nel contesto torinese di ricerche condotte nel settore<br />
della psi chiatria, responsabile del generale defatigamento di cui ha fatto le<br />
spese an che il Progetto Alphaville. Va da sé che se tutte le ASL coinvolte nello<br />
studio aves sero fornito un volume di segnalazioni analogo a quello dell’ASL 2<br />
non sa reb bero sorte difficoltà a comporre il campione nei modi previsti dal<br />
pia no di cam pionamento (vedi tabb. 1.3 e 1.4). Al problema del numero - in -<br />
sod di sfa cente - di segnalazioni se n’è aggiunto un altro relativo ai tempi di ac -<br />
qui sizione delle informazioni. La composizione della lista dei soggetti can -<br />
didati al l’in tervista ha raggiunto la quota di 104 casi durante e non già pri ma<br />
del l’avvio della campagna di interviste, riducendo sensibilmente i gradi di<br />
libertà nel la scelta dei soggetti. La necessità di avviare comunque la campagna<br />
delle in ter vi ste ha così imposto alcune deviazioni dal piano di campionamento<br />
ori gi nario di cui è opportuno dar conto.<br />
La tabella 1.6 dà conto della composizione sociodemografica del campione<br />
di pazienti su cui poggiano le considerazioni sviluppate nel secondo capitolo di<br />
questo rapporto.<br />
OCCUPATI/E<br />
NON OCCUPATI/E<br />
Giovani 6<br />
Giovani 6<br />
il disegno della ricerca<br />
AREA DI COLLOCAZIONE<br />
UOMINI DONNE<br />
Maturi 6<br />
Maturi 6<br />
Giovani 4<br />
Giovani 8<br />
24 26<br />
Maturi 7<br />
Maturi 7<br />
Tabella 1.6. Composizione del campione per status occupazionale, genere ed età<br />
Gli scostamenti dal piano originario di campionamento risultano diversi fra<br />
i due generi. Per gli uomini, il campione, sostanzialmente, coincide con quello<br />
pro gettato. Gli scostamenti risultano più consistenti fra le donne, dove, per la<br />
fra zione delle giovani, si osserva un consistente squilibrio fra occupate e disoc -<br />
cupate. Questo scostamento comporta un conseguente impoverimento de -<br />
scrit tivo delle forme di conciliazione fra lavoro e disturbo psichico per le gio -<br />
va ni donne, di un’entità - tuttavia - che non pare possa destare particolari pre -<br />
oc cupazioni.<br />
Diverso è il caso dei vincoli - decisamente più stringenti (anche perché in -<br />
ne stati sui precedenti) - relativi al profilo psichiatrico. La tabella 1.7 dà conto<br />
23<br />
27<br />
50<br />
23
24<br />
parte prima<br />
degli scostamenti fra il piano di campionamento e la sua attuazione in ragione<br />
del genere e dello status occupazionale dei pazienti, tratti per i quali queste<br />
deviazioni risultano di maggior rilievo.<br />
Tabella 1.7. Confronto fra il campione progettato e quello realizzato per il profilo diagnostico<br />
Con due sole eccezioni, rappresentate dagli uomini occupati e dalle donne<br />
UOMINI OCCUPATI<br />
PROFILO<br />
GRAVE SENZA RICOVERO<br />
GRAVE CON RICOVERO<br />
LIEVE SENZA RICOVERO<br />
LIEVE CON RICOVERO<br />
TOTALE<br />
(scostamento in valore assoluto)<br />
DONNE OCCUPATE<br />
PROFILO<br />
GRAVE SENZA RICOVERO<br />
GRAVE CON RICOVERO<br />
LIEVE SENZA RICOVERO<br />
LIEVE CON RICOVERO<br />
TOTALE<br />
(scostamento in valore assoluto)<br />
UOMINI DISOCCUPATI<br />
PROFILO<br />
GRAVE SENZA RICOVERO<br />
GRAVE CON RICOVERO<br />
LIEVE SENZA RICOVERO<br />
LIEVE CON RICOVERO<br />
TOTALE<br />
(scostamento in valore assoluto)<br />
UOMINI DISOCCUPATI<br />
PROFILO<br />
GRAVE SENZA RICOVERO<br />
GRAVE CON RICOVERO<br />
LIEVE SENZA RICOVERO<br />
LIEVE CON RICOVERO<br />
TOTALE<br />
(scostamento in valore assoluto)<br />
CAMPIONE PROGETTATO<br />
4<br />
4<br />
2<br />
2<br />
12<br />
CAMPIONE PROGETTATO<br />
4<br />
4<br />
2<br />
2<br />
12<br />
CAMPIONE PROGETTATO<br />
4<br />
4<br />
3<br />
2<br />
13<br />
CAMPIONE PROGETTATO<br />
4<br />
4<br />
3<br />
2<br />
13<br />
CAMPIONE REALIZZATO<br />
5<br />
3<br />
2<br />
2<br />
12<br />
CAMPIONE REALIZZATO<br />
2<br />
7<br />
1<br />
1<br />
11<br />
CAMPIONE REALIZZATO<br />
6<br />
3<br />
1<br />
2<br />
12<br />
CAMPIONE REALIZZATO<br />
6<br />
3<br />
1<br />
2<br />
12<br />
SCOSTAMENTO<br />
-1<br />
1<br />
0<br />
0<br />
2<br />
SCOSTAMENTO<br />
2<br />
-3<br />
1<br />
1<br />
7<br />
SCOSTAMENTO<br />
-2<br />
1<br />
2<br />
0<br />
5<br />
SCOSTAMENTO<br />
-2<br />
1<br />
2<br />
0<br />
5
occupate, gli scostamenti fra il disegno originario e quello progettato risultano<br />
consistenti; occorre pertanto esaminare se e quanto questi scostamenti pos -<br />
sono compromettere la solidità delle conclusioni tratte dal confronto fra oc -<br />
cupati e disoccupati. Una delle vie lungo le quali è possibile rispondere a que -<br />
sto interrogativo passa dal confronto fra i rapporti di probabilità (odds) fra<br />
pazienti gravi e pazienti lievi nei due sottocampioni, occupati e disoccupati; gli<br />
esiti di questo confronto sono illustrati schematicamente nella tabella che<br />
segue (tab. 1.8).<br />
Tabella 1.8. Rapporti di probabilità (odds) e rapporti di associazione (odds ratio) fra pazienti<br />
gravi e pazienti lievi nei due sottocampioni di occupati e disoccupati: valori attesi (desunti dal<br />
piano di campionamento) e valori osservati<br />
SOTTOCAMPIONE<br />
OCCUPATI<br />
DISOCCUPATI<br />
il disegno della ricerca<br />
RAPPORTI DI PROBABILITÀ (ODDS)<br />
gravi / lievi<br />
Valori attesi<br />
2<br />
1,6<br />
Valori osservati<br />
2,83<br />
RAPPORTI DI ASSOCIAZIONE (ODDS)<br />
occupati / disoccupati<br />
I risultati riportati in tabella documentano come lo scostamento dal<br />
campione originario sia avvenuto in una direzione che rende ancor più severo<br />
- e dunque più eloquente - il confronto fra occupati e disoccupati. Il piano di<br />
campionamento originario prevedeva per gli occupati la presenza di due<br />
pazienti gravi per uno lieve (odds = 2); nel campione di fatto costruito la quota<br />
dei pazienti gravi sale a 2,83: questo fa si che le narrazioni dei pazienti occupati<br />
raccolti si riferiscano a soggetti gravati più del previsto da disturbi psichici.<br />
Sull’altro versante, quello dei disoccupati l’odds gravi/lievi approssima quel -<br />
lo progettato, pur muovendo verso l’alto, ma con una velocità, per così dire,<br />
inferiore a quella osservata fra gli occupati. Il rapporto di associazione (odds<br />
ratio) occupati / disoccupati esprime in modo compatto quanto detto più so -<br />
pra. Nel disegno originario, muovendo dai disoccupati agli occupati la quota<br />
dei gravi cresce del 25% (odds ratio = 1,25); nel campione resosi disponibile<br />
l’incremento sale al 66% (odds ratio = 1,66). Detto altrimenti, il campione su<br />
cui vengono condotte le analisi soddisfa largamente i requisiti di simmetria<br />
della distribuzione dei pazienti gravi e lievi fra le due quote campionarie poste<br />
a confronto: gli occupati e i disoccupati. In specifico fra gli occupati, la quota<br />
di pazienti gravi è ben più alta di quella progettata, il che rende il confronto<br />
fra occupati e disoccupati ancor più stringente: le narrazioni che descrivono<br />
come sia possibile conciliare il lavoro con il disturbo psichico, quelle dei<br />
pazienti occupati, sono raccolte fra pazienti che hanno problemi di salute<br />
mentale ben più severi di quelli che caratterizzano i pazienti disoccupati che<br />
1,7<br />
Valori attesi<br />
1,25<br />
Valori osservati<br />
1,66<br />
25
26<br />
parte prima<br />
hanno mostrato maggiori difficoltà nell’acquisire o conservare un posto di la -<br />
vo ro. Per una più completa caratterizzazione delle caratteristiche del cam pio -<br />
ne, e con ciò delle domande cognitive che è ragionevole porgli, è oppor tu no<br />
considerare più da vicino il processo di reclutamento dei casi.<br />
Come si è detto, la costituzione della lista dei soggetti candidati alla par -<br />
tecipazione allo studio è stata condotta confidando sulla collaborazione dei<br />
me dici e degli operatori sociali che operano nelle ASL torinesi. Questa so lu -<br />
zione - la più efficace sul piano tecnico - fa sì che dal campione vengano e sclusi<br />
i pazienti psichiatrici che non si rivolgono alle strutture pubbliche per ricevere<br />
le cure che occorrono loro. Di questa compagine fanno parte i pa zien ti che ri -<br />
fiu tano ogni tipo di cura e i pazienti che si curano presso strutture pri va te.<br />
L’esclusione della prima categoria di pazienti psichiatrici, quelli che non<br />
mostrano in alcun modo compliance, muovendo ora da un’orgogliosa difesa<br />
della propria diversità ora dal suo radicale rifiuto, espresso innanzitutto sul<br />
piano della consapevolezza del disturbo viene, ancorché debolmente, com pen -<br />
sa ta dalla presenza nel campione di alcuni pazienti che risultano ben lon tani<br />
da quan to Goffman definisce «adattamento primario all’organiz zazione»<br />
(Gof fman 1961; trad. it. 2001: 212), la piena accettazione delle pro cedure di<br />
cura e ria bilitazione condivise dalle organizzazioni che, sul territorio, si oc cu -<br />
pano di sa lu te mentale. Restano forse più in ombra i pazienti che non ri cor -<br />
rono a strut ture pubbliche. Questa scelta terapeutica - che, va da sé, riposa sul -<br />
la di spo nibilità di adeguate risorse economiche - è stata adottata, per periodi<br />
anche lun ghi, da alcuni dei nostri intervistati che, tuttavia, hanno poi deciso di<br />
rivol gersi alle strutture pubbliche. Dunque, tirando le fila, il nostro campione<br />
offre so lo deboli indizi utili alla caratterizzazione dei pazienti che, per diverse<br />
ra gio ni, non si rivolgono alle strutture pubbliche.<br />
La selezione dei casi (n = 50) dalla lista dei candidati all’intervista (n = 104)<br />
è avvenuta sulla base dei vincoli di campionamento adottati e sulla base della<br />
disponibilità a partecipare allo studio manifestato dai pazienti. Dalla lista dei<br />
104 nominativi, una paziente è stata espunta, in quanto coinvolta nella rea liz -<br />
zazione delle interviste nel ruolo di co-intervistatrice, altri due sono stati del<br />
pa ri espunti per il sopravvenire di un problema di salute non conciliabile con<br />
l’intervista, infine due soggetti non sono risultati rintracciabili. A ciò si de vono<br />
ag giungere nove rifiuti, non negoziabili, alla partecipazione allo studio 18 .<br />
I no ve soggetti che hanno rifiutato l’intervista sono, perlopiù, pa zien ti con<br />
un profilo diagnostico severo (sono tali 8 su 9), così come grave è il pro filo<br />
diagnostico dei due soggetti non rintracciabili e di uno dei casi espunti dal la<br />
lista per il sopravvenire di un problema di salute. Pare dunque che la severità<br />
del la diagnosi abbia influito nel determinare la disponibilità al l’intervista. Si<br />
trat ta, comunque, di un processo che non ha avuto importanti conseguenze<br />
nel la costruzione del repertorio di narrazioni raccolte, tra le quali non man ca -<br />
no - si è detto - pazienti con un profilo diagnostico decisamente severo. Questa<br />
conclusione è altresì supportata dal confronto fra il numero di ricoveri e la
quota di invalidità civile osservati, rispettivamente, nel campione e nei soggetti<br />
che, inseriti tra i candidati allo studio, non vi hanno par te ci pa to 19 . La quota<br />
media di invalidità fra i non inclusi è di poco superiore a quel la osservata nel<br />
campione di soggetti intervistati: 37% contro il 30%. Il nu me ro medio di<br />
ricoveri nel biennio che precede l’avvio dello studio (2001-2002) è pari a 0,82<br />
fra i soggetti intervistati e a 0,57 fra i soggetti non inclusi nel cam pio ne.<br />
Un’ultima considerazione degna di nota riguarda la distribuzione per ASL<br />
dei soggetti interpellati. La sovrarappresentazione dei pazienti provenienti<br />
dalla ASL 2 nella lista dei candidati allo studio (55%) è stata rafforzata nel<br />
campione dove sei pazienti su dieci provengono quest’ultima ASL (vedi tab.<br />
1.9). Questa caratteristica del campione impone particolare prudenza nella<br />
ricostruzione, a partire dalle interviste ai pazienti, delle strategie di cura e<br />
riabilitazione adottate nelle ASL dell’area torinese 20 .<br />
Questa operazione pare legittima per la sola ASL 2, per la quale si dà<br />
un’ampia documentazione, ma non per le altre ASL coinvolte. Lo squilibrio<br />
del cam pione, quanto ad ASL di appartenenza dei pazienti, non ha alcun<br />
impatto sulla ca ratterizzazione del rapporto tra lavoro e disturbo psichico: non<br />
ci sono ra gioni forti per ritenere, “speciali” i pazienti dell’ASL 2, e per questo<br />
de cre tare il campione inadeguato a raffigurare l’esperienza lavorativa dei<br />
pazienti psi chiatrici di un città post-industriale quale è Torino.<br />
Tabella 1.9. Distribuzione per ASL dei pazienti inclusi nel campione: valori assoluti.<br />
ASL<br />
il disegno della ricerca<br />
ASL 1 - NORD<br />
ASL 1 - SUD<br />
ASL 2<br />
ASL 3<br />
ASL 4<br />
ASL 8<br />
TOTALE<br />
FREQUENZA<br />
Le analisi del processo di costruzione del campione e del suo profilo non<br />
evidenziano la presenza di distorsioni tali da pregiudicare la capacità dei<br />
materiali empirici raccolti di gettare adeguatamente luce sul rapporto fra<br />
salute mentale e lavoro nel contesto indagato: Torino, una città di cui merita<br />
qui ricordare alcuni tratti salienti per le finalità dello studio, una città con un<br />
recente passato industriale, costruito anche con l’apporto di una massiccia<br />
immigrazione dal sud del Paese e dal Veneto, una città collocata a ridosso di<br />
una struttura manicomiale, i cui “superstiti” vivono ancora oggi nell’area to ri -<br />
ne se. I soggetti selezionati sono stati sottoposti a due interviste discorsive in<br />
successione: dapprima a un’intervista libera e in seguito a un’intervista guidata<br />
I risultati emersi dall’analisi dei materiali raccolti con il primo ciclo di<br />
5<br />
4<br />
30<br />
3<br />
7<br />
1<br />
50<br />
27
28<br />
parte prima<br />
interviste hanno guidato la costruzione della traccia dell’intervista guidata. In<br />
questa seconda intervista sono stati approfonditi i temi del lavoro e del disagio<br />
psichico. Il ricorso a questa tecnica di costruzione della documentazione em -<br />
pi rica, l’intervista ripetuta, risponde a una specifica esigenza di appro fon di -<br />
men to che qui è stata preferita all’estensione del campione, con risultati più<br />
che soddisfacenti. La forma tutt’affatto speciale di familiarità costruita nel<br />
tran sito dalla prima alla seconda intervista (se non dispiacesse ricorrere a un<br />
gioco di parole, si potrebbe parlare di familiarità nell’estraneità), ha consentito<br />
un sensibile arricchimento delle informazioni acquisite nel primo incontro,<br />
dando modo alla conversazione di dirigere in ambiti solitamente protetti da<br />
reticenze. Il ricorso alla tecnica delle interviste ripetute ha inoltre consentito,<br />
in più di un’occasione, di cogliere proprio quelle variazioni di umore, di<br />
tonicità - gli “alti e bassi” di cui si legge nelle trascrizioni dei colloqui - che<br />
spesso si legano alle difficoltà di conciliare lavoro e disturbo psichico. Hanno<br />
acconsentito alla realizzazione della seconda intervista 20 uomini e 20 donne.<br />
Per dieci pazienti disponiamo, invece, di una sola intervista, a fronte di otto<br />
rifiuti, lo smarrimento di un nastro e della sua sbobinatura, imputabile a una<br />
delle intervistatrici, e del decesso di una paziente, Caterina, occorso alcuni<br />
mesi dopo la conduzione del primo colloquio. Gli otto rifiuti sono ripartiti in<br />
modo bilanciato fra pazienti gravi e lievi. Nella maggioranza dei casi il rifiuto<br />
ha origine dal disagio provato nel corso della prima intervista, dovuto ora ai<br />
contenuti del colloquio: la sofferenza psichica e il lavoro, ora alla difficoltà più<br />
cognitiva che emotiva dovuta alla relazione d’intervista, particolarmente one -<br />
rosa per le persone meno attrezzate sul piano culturale.<br />
Le interviste sono state condotte da un gruppo costituito da 11 fra inter -<br />
vistatori e intervistatrici (incluso chi scrive), perlopiù con una formazione<br />
psicologica 21 , affiancato da 10 pazienti in carico presso i servizi territoriali, nel<br />
ruolo di co-intervistatori. Nell’abbinamento fra intervistati ed intervistatori si<br />
è cercato di privilegiare l’omogeneità di genere: intervistatori uomini hanno<br />
intervistato pazienti uomini e intervistatrici donne hanno intervistato pazienti<br />
donne. Con poche eccezioni, le interviste raccolte offrono un quadro suf -<br />
ficientemente analitico delle traiettorie biografiche dei nostri interlocutori e<br />
dei modi in cui, ciascuno di loro, ha cercato di conciliare lavoro e sofferenza<br />
psichica. Per la realizzazione delle interviste, la collaborazione dei pazienti psi -<br />
chiatrici si è rivelata fondamentale. La partecipazione ai colloqui di questi<br />
“intervistatori in seconda” ha reso più facile ai nostri interlocutori la con di vi -<br />
sio ne delle loro esperienze, spesso di sofferenza, riferite ora alla malat tia men -<br />
ta le, ora al lavoro. Anche quando l’inesperienza o l’emozione di questi in tervi -<br />
statori hanno reso la formulazione delle domande non proprio ineccepibile sul<br />
piano tecnico, i dialoghi che questi “incidenti comunicativi” ci hanno conse -<br />
gnato sono stati estremamente utili. Ci hanno cioè consentito di cogliere alcu -<br />
ni frammenti del processo di costruzione della rappresentazione della malattia<br />
mentale e, talvolta, dello stigma, che prendono forma fra gli stessi pazienti
psichiatrici. Agli intervistatori in seconda è stato richiesto di re digere un dia -<br />
rio, a cui hanno consegnato le loro osservazioni e i loro giudizi sul l’espe rien za<br />
della conduzione delle interviste. I diari sono raccolti nel capitolo 6 del rap -<br />
porto.<br />
Conclusi i due cicli di interviste discorsive sono stati condotti due focus<br />
group coinvolgendo i pazienti disponibili, un gruppo di uomini (n = 7)e un<br />
gruppo di donne (n = 5). I focus group hanno reso possibile, seppur in misura<br />
in completa, un confronto diretto fra le esperienze dei nostri interlocutori, un<br />
confronto non mediato dalla raccolta e dall’analisi delle loro testimonianze.<br />
1.2 Lo studio delle famiglie dei pazienti psichiatrici<br />
A conclusione del secondo ciclo di interviste a ciascun paziente è stato<br />
chiesto se autorizzava il gruppo di ricerca a prendere contatto con il familiare<br />
che, in misura maggiore, aveva seguito le sue vicende sanitarie. Dalla lista dei<br />
fa miliari indicati dai pazienti abbiamo identificato un campione di 19 casi co -<br />
struito considerando la posizione rispetto la lavoro del paziente (occupato o<br />
non occupato), il genere e il profilo diagnostico. Il disegno del campione è<br />
illustrato nella figura 1.10.<br />
Figura 1.10. Il disegno del campione per le interviste ai familiari dei pazienti<br />
LIEVI<br />
GRAVI<br />
2 familiari<br />
di uomini<br />
3 familiari<br />
di uomini<br />
il disegno della ricerca<br />
OCCUPATI DISOCCUPATI<br />
2 familiari<br />
di donne<br />
3 familiari<br />
di donne<br />
2 familiari<br />
di uomini<br />
2 familiari<br />
di uomini<br />
10 9<br />
1 familiari<br />
di donna<br />
4 familiari<br />
di donna<br />
Ai familiari è stato chiesto di ricostruire la storia clinica e le esperienze<br />
lavorative del proprio congiunto, prestando attenzione anche all’impatto che<br />
la sofferenza psichica del congiunto ha avuto sulla loro vita. Le interviste ai fa -<br />
mi liari dei pazienti sono state condotte dai soli intervistatori professionisti per<br />
consentire agli intervistati la massima libertà nell’esprimere le proprie opi -<br />
nioni. Queste interviste hanno consegnato importanti informazioni sul con te -<br />
sto di vita dei nostri interlocutori, lasciando intendere la presenza ora di forme<br />
di sostegno, ora di forme di indebolimento dell’autonomia del paziente.<br />
Alle interviste discorsive sono seguiti due focus group che hanno coinvolto<br />
familiari di pazienti occupati e di pazienti non occupati. Anche in questo caso<br />
7<br />
12<br />
19<br />
29
30<br />
parte prima<br />
i focus group hanno consentito di cogliere, in un contesto interattivo, le rap -<br />
presentazioni della malattia mentale fatte proprie dai familiari e il loro impatto<br />
dulle strategie di fronteggiamento del disagio e della difficile conci liazione fra<br />
quest’ultimo e il lavoro.<br />
1.3. Lo studio dei contesti di lavoro dei pazienti psichiatrici<br />
Lo studio dei contesti lavorativi fu progettato immaginando di poter<br />
analizzare - questa volta dal versante dell’offerta - le esperienza lavorative dei<br />
pazienti interpellati nella prima fase dello studio. Va da sé che una strategia di<br />
ricerca quale quella prospettata poteva essere perseguita solo con il pieno<br />
consenso dei pazienti interpellati. Purtroppo i consensi furono assai meno del<br />
previsto: solo quattro persone ci autorizzarono a metterci in contatto con i<br />
rispettivi datori di lavoro, e questo impose un mutamento nel disegno della<br />
ricerca 22 . Allo studio dei quattro contesti lavorativi per i quali ottenemmo il<br />
consenso affiancammo quello di altri dieci contesti lavorativi, selezionati con<br />
l’aiuto del Servizio Lavoro - Collocamento disabili della Provincia di Torino.<br />
In specifico chiedemmo e ottenemmo la segnalazione di un insieme di<br />
aziende che avevano adempiuto agli obblighi stabiliti dalle Legge 68/1999,<br />
relativa al collocamento di disabili. Tra le aziende segnalate venne selezionato<br />
un piccolo campione disegnato con l’intento di massimizzare l’eterogeneità di<br />
settore e classe dimensionale. Durante la realizzazione dello studio sui contesti<br />
la vorativi, condotto nel pieno rispetto della riservatezza dei lavoratori assunti<br />
in ciascuna azienda, riconoscemmo nel racconto di un inserimento lavorativo<br />
condotto alcuni anni addietro, l’esperienza di uno dei pazienti psichiatrici<br />
intervistati, potendo disporre, anche in questo caso di più materiali empirici da<br />
confrontare. L’impianto generale di questa fase dello studio si basa sulla<br />
realizzazione di 14 studi di caso. In specifico lo studio è stato condotto su 5<br />
aziende ma ni fat tu riere, 3 aziende del commercio e della grande distribuzione,<br />
2 azien de del settore dei servizi e dei trasporti, 1 pubblica amministrazione e 3<br />
cooperative sociali di tipo B. In tutti i contesti in esame l’attenzione è caduta<br />
sul l’e spe rienza dell’azienda o della cooperativa dell’inserimento di una lavo -<br />
ratore con disturbi psichici. Questa esperienza è stata ricostruita com binando<br />
le te sti monianze di tre diverse figure: il responsabile del personale, il preposto<br />
del la vo ratore disabile e i suoi colleghi. Nel caso delle cooperative sociali gli<br />
in ter lo cutori dell’ultima classe, i colleghi - dove possibile - sono stati ulte rior -<br />
mente sud divisi in due categorie: colleghi con disagio psichico e colleghi senza<br />
di sagio psichico, nell’ipotesi che i rapporti con le due categorie di soggetti po -<br />
tes se ro essere dissimili. Il piano di campionamento dei contesti lavorativi è il -<br />
lu strato nella tabella che segue.
Tabella 1.3.1. Il campione di aziende<br />
AZIENDE PRIVATE<br />
E PUBBLICHE<br />
COOPERATIVE<br />
SOCIALI DI TIPO B<br />
il disegno della ricerca<br />
RESPONSABILE<br />
DEL PERSONALE<br />
11<br />
CAPOREPARTO COLLEGA O<br />
TUTOR AZIENDALE<br />
14 14 13<br />
1.4. Lo studio del processo di avviamento al lavoro dei disabili psichici<br />
Lo studio dei processi di avviamento al lavoro è stato condotto in ter pel lan -<br />
do gli operatori e le operatrici delle ASL cittadine e dell’ASL 5 di Collegno.<br />
Nella prima fase dello studio sono stati intervistati gli operatori o le équipe<br />
dedicati all’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici nelle ASL torinesi.<br />
L’analisi di questi materiali ha orientato la progettazione della seconda fase<br />
dello studio, basato sullo studio di tre casi, le ASL 3, 4 e 5, individuate in ra -<br />
gio ne delle caratteristiche del loro modello organizzativo. Lo studio di caso è<br />
sta to condotto partecipando a due riunioni dei gruppi/equipe impegnati nel -<br />
l’inserimento lavorativo, seguite da alcune interviste supplementari de dicate<br />
alla ricostruzione di alcuni casi di successo e di insuccesso nel l’inserimento la -<br />
vorativo dei disabili psichici.<br />
A ciò si è aggiunta la partecipazione a due riu nio ni, organizzate, dal CEP in<br />
vista della realizzazione di un progetto per l’in se rimento lavorativo di disabili<br />
psichici, finanziato dalla Provincia di To rino.<br />
A que ste riunioni hanno partecipato le medesime persone coinvolte nelle<br />
fasi precedenti dello studio (esclusi gli operatori della ASL 5), offrendo così<br />
l’opportunità di cogliere - seppur sommariamente - ulteriori informazioni sui<br />
processi che conducono all’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici.<br />
Collocato in coda al piano di lavoro, questo studio ha risentito pe san te men -<br />
te della ristrettezza di tempi e risorse, fornendo un contributo di certo non con -<br />
clusivo su di un tema su cui si rendono necessari ulteriori ap pro fon di men ti.<br />
11<br />
3 3<br />
11<br />
1<br />
svantaggiato<br />
psichico 1<br />
svantaggiato<br />
non psichico<br />
31
32<br />
. Riferimenti bibliografici<br />
parte prima<br />
- Ahlbom A. e Norell S., 1993, Epidemiologia moderna. Un’introduzione, Roma, Il<br />
Pensiero scientifico editore.<br />
- Cardano M., 2003, Tecniche di ricerca qualitativa. Percorsi di ricerca nelle scienze sociali,<br />
Roma, Carocci.<br />
- Goffman E., 2001, Asylums. Le istituzioni totali: I meccanismi dell’esclusione e della<br />
violenza, Torino, Edizioni di Comunità (ed. orig. 1961).<br />
- King K., Keohane R.O,, Verba S., 1994, Designing Social Inquiry. Scientific Inference in<br />
Qualitative Research, Princeton, Princeton University Press.<br />
- Piccione R., 1995, Manuale di psichiatria, Roma, Bulzoni editore.<br />
- Rosenham D. L., 1981, Essere sani in posti insani, in Paul Watzlawick (a cura di), La<br />
realtà inventata. Contributi al costruttivismo, Milano, Feltrinelli, pp. 105-127 (ed. orig.<br />
1973).
2.<br />
Il paziente psichiatrico<br />
Vi sono uomini ai quali la natura o un particolare destino hanno tolto la coperta sot -<br />
to cui lasciamo svolgere nascostamente la nostra pazza natura.<br />
Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Il consigliere Krespel.<br />
C’è una battuta che molti utenti dei servizi sanno e che dice così: «Qual è la dif fe -<br />
ren za tra Dio e uno psichiatra? Risposta: Dio non pensa di essere uno psichiatra».<br />
Ron Coleman, Guarire dal male mentale.<br />
Le forme di partecipazione al mercato del lavoro dei pazienti psichiatrici e<br />
le modalità di conciliazione fra lavoro e disagio psichico sono state esaminate<br />
ac costando diversi materiali: le interviste ai pazienti, ai loro familiari e - dove<br />
pos sibile - ai loro datori di lavoro e colleghi 23 . L’analisi è stata guidata da alcune<br />
ca tegorie analitiche che hanno messo a fuoco cinque ambiti: i) il profilo sociale<br />
dei pazienti; ii) gli eventi di vita che precedono l’esordio della patologia psi -<br />
chia trica; iii) la storia clinica; iv) l’esperienza attuale del disagio psichico; v) la<br />
re lazione fra lavoro e disturbo psichico. In ciascun ambito analitico sono stati<br />
messi a confronto pazienti occupati e non occupati, allo scopo di individuare<br />
differenze e somiglianze fra le due compagini.<br />
In questo capitolo i risultati riferiti ai primi quattro ambiti verranno<br />
illustrati in modo sommario, osservando esclusivamente differenze e somi -<br />
glianze che ora accostano, ora separano occupati e disoccupati. Più dettagliata<br />
sarà invece l’esposizione dei risultati riferiti al rapporto fra lavoro e disagio<br />
psichico. Qui l’attenzione cadrà sui singoli casi, sulle singole narrazioni, im -<br />
piegate per conferire maggior solidità al confronto fra occupati e disoccupati.<br />
2.1. Il profilo sociale<br />
il paziente psichiatrico<br />
Non siamo extraterresri, siamo persone a cui hanno calpestato determinate cose.<br />
Dalia<br />
La procedura di campionamento adottata (vedi cap. 1) ha reso occupati e<br />
disoccupati omogenei per genere e classe di età (giovani e maturi), rendendo<br />
tuttavia possibile l’emergere di specificità su altre dimensioni sociali rilevanti<br />
nel determinare le chance di partecipazione al mercato del lavoro.<br />
Dal confronto emerge una modesta differenza nella dotazione di credenziali<br />
educative: i disoccupati, gli uomini, così come le donne, hanno un livello di<br />
scolarità lievemente più basso degli occupati un elemento che - in aggiunta al<br />
disagio psichico - riduce le loro opportunità di lavoro. L’esiguità del numero<br />
dei casi in esame fa sì che questo risultato assuma rilevo esclusivamente sul<br />
33
34<br />
parte prima<br />
piano metodologico, in specifico in relazione alla portata delle conclusioni<br />
tratte in questo capitolo dal confronto fra occupati e disoccupati. Il lieve<br />
vantaggio competitivo di cui godono gli occupati 24 non inficia l’impianto lo gi -<br />
co della ricerca, basato - come si ricorderà - sul confronto fra due gruppi di<br />
pazienti, occupati gli uni, disoccupati gli altri, resi quanto più possibile simili<br />
per i fattori che possono promuovere o ostacolare la loro partecipazione al<br />
mercato del lavoro. Le occupazioni proposte e svolte da persone gravate da un<br />
disagio psichico sono, perlopiù, occupazioni che richiedono un livello di<br />
scolarità modesto, compatibile con la dotazione propria sia degli occupati, sia<br />
dei disoccupati.<br />
L’osservazione dello stato civile rileva una prima importante specificità di<br />
genere. Per gli uomini non si dà alcuna differenza apprezzabile fra occupati e<br />
disoccupati: in entrambe le compagini prevale nettamente la condizione di<br />
celibe. Altra è la situazione delle donne, tra le quali si rileva una più consistente<br />
presenza di persone che hanno, o hanno avuto, una relazione coniugale (sono<br />
7 su 11 fra le occupate e 7 su 15 fra le disoccupate). Questa differenza sug -<br />
gerisce l’ipotesi di un differente impatto del disturbo psichiatrico sulla “car -<br />
riera” affettiva di uomini e donne: più in difficoltà i primi, meno le seconde. A<br />
ciò si lega, tuttavia, un altro aspetto che attiene le responsabilità familiari (di<br />
care) che gravano in maggior misura sulle donne. Questa dif ferenza si mostra<br />
in misura più evidente fra le donne disoccupate. Qui la pre senza di madri,<br />
chiamate alla responsabilità di cura di figli o figlie al più ado lescenti appare<br />
consistente, più di quanto accada fra le donne occupate 25 .<br />
Detto per inciso, il problema non si profila nel campione di uomini, dove<br />
nessuno ha figli conviventi. Emerge dunque, fra le donne disoccupate una<br />
difficoltà addizionale: all’esigenza di conciliare lavoro e disagio psichico si<br />
somma quella di tenere insieme il loro ruolo di madre - talora sola - con quello<br />
di lavoratrice.<br />
Vivono questa condizione quattro fra le donne non occupate di cui abbiamo<br />
raccolto la storia di vita: Elia, Norma, Dalia e Carmen 26 . Elia ha 34 anni, ha un<br />
figlio di 8 anni, di cui si occupa da sola, senza poter contare sull’aiuto del<br />
marito dal quale è separata. Analoga è la situazione di Norma, 35 anni, se -<br />
parata, con due figli di 9 e 10 anni che impegnano gran parte della sua vita.<br />
Dal racconto emerge inoltre che il primogenito soffre di un lieve handicap<br />
che richiede alla madre un surplus di attenzioni. Elia e Norma - come è facile<br />
immaginare - vivono in una situazione di precarietà economica, combattuta<br />
contando su lavori saltuari e sul sostegno dei familiari. Dalia ha 32 anni, ha a -<br />
vuto dal partner con cui convive da una decina d’anni, un figlio che ha sei anni.<br />
La cura del figlio - questo non stupisce nel nostro Paese - grava esclu si va -<br />
men te su di lei, un peso, tuttavia, che lei stessa definisce lieve: “mi dà la carica”,<br />
ma che, in ogni caso, le impone specifiche esigenze di conciliazione fra lavoro<br />
e ruoli familiari. Da ultimo ricordiamo il caso di Carmen, più matura delle<br />
altre donne: ha 48 anni, con una figlia quindicenne. Per Carmen le respon -
il paziente psichiatrico<br />
sabilità di cura includono anche il sostegno del partner, affetto da un problema<br />
di sa lute che interagisce con le sue capacità di lavoro e di relazione sociale.<br />
Questa precisazione sulle condizioni di vita di quattro delle donne disoc -<br />
cupate coinvolte nello studio ha rilievo soprattutto per la definizione delle po -<br />
li tiche di inserimento lavorativo progettate o sostenute dai DSM.<br />
I progetti d’inserimento lavorativo rivolti a donne con un profilo analogo a<br />
quello mostrato dalle nostre quattro interlocutrici devono - di necessità - af -<br />
fron tare il tema della conciliazione fra lavoro retribuito e lavoro di cura.<br />
È utile ricordare qui l’esperienza di Carmen, avviata al lavoro con un inse -<br />
ri mento agevolato ai sensi della Legge 68/1999. L’inserimento di Carmen in<br />
una società di servizi torinese venne avviato sotto i migliori auspici: il lavoro<br />
proposto si adattava alle competenze della candidata e alle sue aspettative.<br />
L’inserimento, tuttavia, si chiuse con le dimissioni di Carmen, successive a<br />
una crisi maturata sul luogo di lavoro. Le ragioni di questo insuccesso sono<br />
mol teplici, ma qui non può essere trascurato il fatto che l’orario proposto non<br />
con sentiva a Carmen di prendersi cura della propria famiglia generando ten -<br />
sioni che di certo non hanno giovato al suo inserimento nel contesto di lavoro.<br />
L’osservazione della sistemazione abitativa non consegna differenze degne<br />
di nota fra occupati e disoccupati. Forme di residenzialità che - in età adulta -<br />
con figurano una situazione di dipendenza come il vivere con la famiglia d’o ri -<br />
gine o in una comunità protetta hanno la medesima consistenza fra disoc cu pati<br />
e occupati. Emerge, tuttavia, una relazione degna di nota fra auto nomia abi ta -<br />
ti va (espressa dal vivere soli o con un/una partner) e solidità, per così dire, del -<br />
la pro pria posizione dentro o fuori dal mercato del lavoro.<br />
Fra gli occupati, e qui soprattutto fra gli uomini, l’autonomia abitativa si le -<br />
ga a posizioni lavorative più solide, vuoi per la retribuzione o per le con di zio -<br />
ni con trattuali. Fra i disoccupati, l’autonomia abitativa risulta più spes so as so -<br />
cia ta al possesso di risorse che parrebbero facilitare ora l’ac qui si zio ne di un la -<br />
vo ro, ora la strutturazione di uno stile di vita nel quale il lavoro - in teso nel -<br />
l’accezione convenzionale - viene sostituito da forme di impegno so ciale o di<br />
at tività artistico-creative (vedi par. 2.5).<br />
Per una frazione consistente del campione 27 è stato possibile esaminare le<br />
origini sociali espresse dalla classe sociale e dalle origini geografiche delle<br />
famiglie d’origine dei pazienti interpellati. Emerge - netta - una sovra rap -<br />
presentazione delle classi deprivilegiate e, ancor più, di immigrati (per 1 fami -<br />
glia di “nativi” ce ne sono 3,4 di immigrati) 28 . Per entrambe le dimensioni, clas -<br />
se sociale e origine geografica della famiglia di origine, sono tuttavia i pazienti<br />
occupati ad avere, per così dire, la peggio (è fra gli occupati che si osserva la<br />
quota più consistente di figli di immigrati e di figli di genitori di classe<br />
operaia). Sembra pertanto che - limitatamente ai casi esaminati - l’apparte nen -<br />
za a una famiglia di immigrati, così come quella a una famiglia di classe operaia<br />
non pregiudichino in modo severo le chance di partecipazione al mercato del<br />
lavoro. Da ultimo è opportuno considerare le traiettorie occupazionali dei pa -<br />
35
36<br />
zienti occupati accostando le carriere di uomini e donne.<br />
Fra i pazienti oc cupati prevalgono mansioni operaie (16 contro 7), risultano<br />
in vece pres soché equivalenti le quote di lavoratori che si giovano del col lo ca -<br />
mento ob bligatorio (ai sensi della legge 68/1999) e di coloro che non ricor ro -<br />
no a questa misura (rispettivamente 11 contro 14). Questa ripartizione ri sul ta<br />
sta bile nei due generi.<br />
2.2. Gli eventi di vita<br />
parte prima<br />
Io nella mia vita ho viaggiato come un Don Chisciotte senza Sancho Panza, almeno<br />
Don Chisciotte aveva come compagnia Sancho Panza, io manco quello ci avevo...<br />
Tullio<br />
L’analisi degli eventi di vita si è concentrata, innanzitutto, sugli eventi<br />
stressanti 29 , con l’intento di rilevare differenze specifiche fra occupati e<br />
disoccupati. Gli eventi emersi dalle narrazioni (dunque quelli che i nostri<br />
interlocutori hanno scelto di condividere con gli intervistatori) sono stati<br />
raggruppati in due macro-aree relative alle dimensioni affettivo-relazionali che<br />
insistono, in un caso, nella vita condotta all’interno della famiglia d’origine e,<br />
nell’altro, in quella che si sviluppa nell’età adulta, nella famiglia costituita.<br />
Nella prima rubrica rientrano i lutti - segnatamente la morte di uno dei<br />
genitori durante l’infanzia o la fanciullezza - assieme ad eventi forse ancor più<br />
dram matici che riguardano il rifiuto e poi l’abbandono da parte delle figure di<br />
at taccamento, le violenze psichiche e fisiche e gli abusi sessuali. Nella me de -<br />
sima categoria ho inoltre collocato la presenza in famiglia di un genitore con<br />
se veri disturbi psichiatrici o di comportamento (dovuti per lo più all’abuso di<br />
alcol) 30 . Ebbene, eventi di tale drammaticità hanno investito la vita di più di un<br />
terzo dei nostri interlocutori e fra questi soprattutto le donne (14 su 20).<br />
Nella seconda rubrica trovano collocazione eventi quali il decesso del<br />
partner, l’esperienza di un relazione coniugale caratterizzata da violenze e<br />
prevaricazioni intense e ripetute e la separazione forzata, vissuta come forma<br />
di abbandono o l’allontanamento forzato dai propri figli. Si tratta, in questo<br />
caso, di eventi che investono quasi esclusivamente la vita delle donne del<br />
nostro campione (questi eventi vengono rievocati da 6 donne e 1 solo uomo),<br />
rafforzando ulteriormente una dolorosa specificità di genere 31 . Allo schema -<br />
tismo della classificazione proposta si sottraggono eventi che parrebbero meno<br />
stressanti, quali la caduta in povertà e altri forse più drammatici, quali incidenti<br />
e malattie non psichiatriche, che attraversano le vite di una altra quota di<br />
pazienti. Per più della metà dei casi (26 su 50) questi eventi drammatici si<br />
mostrano associati, lacerando in più punti nel tempo le traiettorie biografiche<br />
dei casi in studio. Emerge, dunque, come per più della metà dei casi inter pel -<br />
lati l’esordio del disturbo psichiatrico trovi collocazione all’interno di traiet to -<br />
rie bio grafiche decisamente travagliate, caratterizzate da sofferenze profonde e
il paziente psichiatrico<br />
protratte. L’immagine che meglio si presta a raffigurare i protagonisti è quella<br />
di don Chisciotte, un eroe “invincibile” 32 che a dispetto delle sconfitte subite<br />
in bat taglia, riesce tutte le volte a trovare la forza di risalire sul proprio ronzino<br />
e af frontare una nuova battaglia. In molte delle narrazioni che ho raccolto ho<br />
rico nosciuto la determinazione di questo eroe, cui fa esplicito riferimento uno<br />
dei nostri intervistati, di cui ho riportato in epigrafe le parole 33 .<br />
Le maggiori differenze fra occupati e disoccupati riguardano la natura degli<br />
eventi stressanti. Fra i disoccupati prevalgono gli eventi stressanti che hanno<br />
come teatro la vita all’interno della famiglia di origine. Si tratta di eventi<br />
responsabili di forme di “attaccamento disorganizzato” 34 che hanno origine da<br />
un rapporto travagliato con le figure d’attaccamento; un rapporto carat teriz -<br />
zato da disponibilità affettiva discontinua, rifiuti, abbandoni e talora vio lenze.<br />
Queste differenze si mostrano in modo più nitido tra le donne, meno tra gli<br />
uomini. Fra gli uomini le narrazioni che danno conto di eventi che, con ogni<br />
probabilità, sono stati responsabili di relazioni di attaccamento disturbate sono<br />
due fra i disoccupati e una soltanto fra gli occupati. Tutte si riferiscono a con -<br />
testi familiari fortemente disturbati che hanno lasciato tracce profonde nella<br />
personalità dei protagonisti di queste vicende. Qui è opportuno ricordare che<br />
la narrazione più drammatica è resa da un paziente occupato, Aldo, che du -<br />
rante l’infanzia e poi ancora nell’adolescenza ha subìto una lunga serie di ab -<br />
bandoni da parte della madre, fatti di allontanamenti e ritorni improvvisi e di<br />
una lunga serie di tentativi di suicidio, di cui lui e la sorella sono stati testimoni.<br />
Queste esperienze hanno provato molto duramente Aldo che, a seguito<br />
della se parazione definitiva dei genitori, ha una severa crisi psichiatrica. Aldo,<br />
che al momento dell’intervista ha 34 anni, è tuttavia riuscito a risalire la china,<br />
tro vando lavoro in una cooperativa sociale nella quale ciò che resta della sua<br />
fra gilità non gli impedisce di svolgere la sua mansione; un lavoro modesto -<br />
Aldo fa le pulizie - dal quale, tuttavia, trae soddisfazione. La storia di Aldo è<br />
degna di nota per come illustra la possibilità di un’ascesa, per così dire, dagli<br />
inferi, per come mostra la possibilità di conciliare lavoro e disturbo psichico<br />
anche quando quest’ultimo ha radici profonde e un profilo particolarmente<br />
severo. Fra le donne, complice forse la minor reticenza femminile a comporre<br />
storie nelle quali le protagoniste mostrano debolezza e sofferenza, le nar ra zio -<br />
ni attraversate, in modo schietto, da eventi responsabili di un at tac camento di -<br />
sor ganizzato sono tre fra le occupate e ben otto fra le disoccupate. Anche in<br />
questo caso mi soffermerò sulle sole storie che docu mentano, per così dire, la<br />
resilienza delle loro protagoniste, la loro capacità di ricostruire un sé fran tu -<br />
mato, ora approdando o conservando un lavoro, ora restandone lontano con<br />
buone ragioni. La prima storia che merita di essere compendiata è quella di<br />
Greta, su cui, peraltro, tornerò anche in seguito. Greta ha 45 anni, è nata in<br />
Sicilia, primogenita di una famiglia contadina di quattro figli. Quando Greta<br />
ha due anni e mezzo, nasce la prima delle sue sorelle. La madre non sta bene<br />
e, anche in considerazione delle difficoltà economiche in cui versava la fami -<br />
37
38<br />
parte prima<br />
glia, Greta viene affidata a una zia paterna nubile. Da principio i genitori pen -<br />
savano a un affido di breve durata; di fatto Greta resterà con la zia - tutt’altro<br />
che tenera - a lungo, sino all’età di dieci anni. La sofferenza per l’abbandono<br />
della madre viene accresciuto - ricorda Greta - dalla gelosia nei confronti della<br />
sorella che, ai suoi occhi, l’aveva sostituita. A questo primo trauma ne segue un<br />
altro di lì a poco. Quando Greta ha dieci anni, la zia depone la veste di madre<br />
adottiva per quella di moglie, convolando a nozze e restituendo Greta ai ge -<br />
nitori. Greta viene dunque riportata dalla madre, proiettata in una famiglia che<br />
il tempo aveva reso estranea e coinvolta da subito nella cura delle sorelle e del<br />
fratellino minore nati nel frattempo. A queste ferite ne seguono altre che si<br />
aprono con l’avvio - precoce - di una vita matrimoniale avvelenata prima dalla<br />
gelosia del marito, poi dai suoi tra di menti. Quando la misura si colma Greta<br />
decide di mettere fine alla propria vita con un suicidio che solo un evento<br />
fortuito ha potuto sventare.<br />
Da questo mare di sofferenza Greta emerge come un Titano, appena scalfita<br />
dalla sofferenza psichica (la diagnosi di Greta non è severa), padrona del<br />
proprio destino, un destino che comprende un lavoro importante che Greta ha<br />
saputo difendere. Una sofferenza ancora più intensa ci è stata consegnata da<br />
Sofia. Sofia ha 46 anni e come Greta è figlia di immigrati. Sofia apre la ri co -<br />
struzione della propria storia di vita con gli abusi che lei e la sorella su birono<br />
per quasi dieci anni da un padre che otteneva il loro silenzio mi nac ciando ri -<br />
tor sioni, non già o non solo su di loro, ma sulla madre su cui avrebbe infierito<br />
a fronte di un loro rifiuto. Più tardi agli abusi si aggiungono le angherie di un<br />
padre geloso dei “filarini” della figlia. La misura è colma: Sofia con fida alla<br />
sorella questa ulteriore violenza, questa ne parla alla madre che denuncia il ma -<br />
rito all’autorità giudiziaria. Di lì a poco, giovanissima, Sofia la scia la fami glia<br />
con un matrimonio con cui si aprirà una nuova stagione di sof ferenze, fatte di<br />
violenze e percosse. In seguito, ragionevolmente forse an che a causa di tutto<br />
ciò, Sofia entra in una profonda crisi psichiatrica, inse guendo sul terreno di un<br />
delirio sentimentale gli affetti che da figlia prima e da moglie poi le sono stati<br />
sottratti. La crisi sorprende Sofia mentre è oc cupata in un’azienda privata<br />
presso la quale ricopre un ruolo di responsabilità. Sofia si vede costretta a<br />
lasciare il lavoro per iniziare un lungo percorso di cura che, in tempi recenti le<br />
ha restituito equilibrio e serenità. Sofia non lavora, ma ha una vita intensa: al -<br />
cune buone amiche e un ottimo rapporto con la figlia che, dopo la se pa razione<br />
dei genitori, ha scelto di restare con la madre. Ciò che più riempie e dà senso<br />
alla vita di Sofia è oggi l’impegno di cura che si è assunta nei con fronti della<br />
ma dre, ormai anziana e in cattive condizioni di salute. Dunque anche Sofia è<br />
riu scita nella ricostruzione del proprio sé, trovando nel lavoro di cura, il luogo<br />
di un impegno capace di restituire senso alla sua vita. Fra gli occupati pre val go no<br />
gli eventi stressanti che hanno come teatro la famiglia costituita e questo - come<br />
è facilmente intuibile dalle notazioni riportate nel paragrafo precedente - so prat -<br />
tut to per le donne. Un ulteriore caratterizzazione degli eventi di vita e, più in
generale della sofferenza che accompagna il disturbo psichico, si coglie nella<br />
triste contabilità dei tentativi di suicidio. A questa forma estrema di ri chie sta<br />
di aiuto ricorre poco più di un sesto dei pazienti occupati e più della me tà dei<br />
pazienti disoccupati. Anche qui emerge un importante specificità di ge nere: gli<br />
eventi di vita più stressanti, collocati nella prima parte della traiet toria bio -<br />
grafica e le espressioni più drammatiche della condizione di sofferenza psi chi -<br />
ca, i tentativi di suicidio, investono più pesantemente le donne e, fra queste,<br />
so prattutto le donne disoccupate.<br />
2.3. La storia clinica<br />
il paziente psichiatrico<br />
Nella malattia mentale, a differenza delle altre malattie fisiche, ognu no ha il suo mo -<br />
do di essere malato; cioè è una malattia per so na liz zata e quindi è difficoltoso per chi<br />
opera dare delle regole.<br />
Antonio<br />
La storia clinica, ricostruita dalla lettura delle narrazioni di malattia (Bury<br />
2001), è stata esaminata mettendo a tema due aspetti, l’età dell’esordio e l’e -<br />
spe rienza del ricovero, dimensioni alle quali si annette rilievo nel de ter minare<br />
le chance di partecipazione al mercato del lavoro. L’esame del primo aspetto,<br />
l’età dell’esordio della patologia psichiatrica, non mette in luce differenze<br />
rilevanti fra occupati e disoccupati. Fra gli occupati, l’età del l’esordio non<br />
mostra alcuna relazione con la qualità della partecipazione al mer cato del<br />
lavoro: l’accesso alle posizioni ora più solide, ora meno non si lega alla<br />
collocazione nel ciclo di vita dell’esordio.<br />
Emergono invece alcune differenze di genere: nel nostro campione le<br />
donne si caratterizzano per un esordio della patologia psichiatrica più tardivo 35 .<br />
Quanto all’esperienza del ricovero, questo risulta più frequente fra i di soc -<br />
cupati. Il rapporto di probabilità (odds) fra soggetti che hanno subito almeno<br />
un ricovero e soggetti che non sono mai stati ricoverati è pari a 2,8 (6/17) per<br />
gli occupati e a 5,5 (22/4) per i disoccupati. Le differenze osservate sug ge ri -<br />
scono l’ipotesi di un legame fra esperienza del ricovero ed esclusione dal mer -<br />
cato del lavoro. Posto che, come osserva Piccione (1995: 600), il ri co vero è<br />
utile e/o necessario solo in pochi casi, l’indulgere nel ricorso a que sta mi sura,<br />
oltre ad avere un effetto riabilitativo dubbio, può produrre una gra ve le sione<br />
all’autostima del paziente, deprimendo con ciò le risorse necessarie al la sua<br />
partecipazione al mercato del lavoro.<br />
La natura drammatica di questa esperienza è documentata in più di<br />
un’intervista, accanto ad alcuni pazienti - pochi - che ricordano il ricovero co -<br />
me la felice sospensione di una sofferenza resasi intollerabile, i più evocano<br />
sentimenti di paura e rabbia, cui alcuni aggiungono il ricordo di forme di<br />
contenzione e talvolta di violenza estrememente dolorose.<br />
Le testimonianze più drammatiche sono rese dai pazienti che hanno fatto<br />
39
40<br />
parte prima<br />
esperienza del ricovero a seguito di un TSO (trattamento sanitario<br />
obbligatorio) è il caso di Alfredo e Fabio, ricoverati rispettivamente a Pisa e a<br />
Frascati.<br />
Quando sono stato in ospedale mi hanno ricoverato per la prima volta in TSO, cioè<br />
ho avuto un ricovero forzato ed è stata un’esperienza tragica (...) Sono stato legato<br />
per tre giorni a un letto e lì insomma è stata dura, cioè. Sono stato per tre giorni<br />
legato ad un letto e come se il tempo in quel momento lì si fosse fermato per me. E<br />
poi mi hanno somministrato dei farmaci anche lì nuovissimi come il Largactil e altri<br />
e poi ancora prendevo anche il Serenase però poi me l’hanno tolto quando sono<br />
tornato a Torino. All’inizio anche lì sembrava che non reagissi bene ai farmaci,<br />
sembrava che non lì assorbissi. Sembrava che continuassi con il delirio e tutto. E<br />
allora cioè si son risolti con questo farmaco qui che pian piano riusciva gradualmente<br />
a smorzarmi, smontarmi, farmi ritornare con i piedi per terra. Sono stato lì<br />
praticamente 15 giorni di cui la prima settimana devo dire, questo lo devo dire visto<br />
che c’è una registrazione, in cui non mi han no dato nemmeno la possibilità di<br />
lavarmi. Cioè cosa che neanche qui nei mani co mi che ne so in Russia quando c’era<br />
l’Unione Sovietica ti facevano. (...) All’inizio stavo col pigiama di carta che era<br />
diventato cioè come la carta igienica dopo che viene usa ta: puz zavo come una capra!<br />
E praticamente ad un certo punto cioè mi han dato la possibilità di lavarmi, ho<br />
iniziato a lavarmi, poi tutti i giorni così, mi hanno anche ta gliato i capelli, poi così<br />
di colpo mi hanno dato anche la possibilità di tagliarmi i ca pel li, mi han dato la<br />
possibilità di lavarmi, mi davano tutto ciò che era mio, non lo so per ché, forse, ho<br />
sempre avuto questa sensazione qui, non solo da parte dei miei ge nitori, così, ma, o<br />
forse è un concetto solo mio, ancora tutt’ora sbaglio a vederla così, qua si come se a<br />
volte le circostanza tendessero un po’ a punire chi è malato psichi ca mente come a<br />
dire: «devi imparare da quello che è sbagliato...» (Alfredo, Intervista libera).<br />
Fabio viene ricoverato a Frascati a seguito di una crisi sopraggiunta a<br />
Fiumicino mentre era in attesa di partire alla volta dell’Africa, dove collaborava<br />
alle attività di una missione.<br />
Mi trovavo a disagio perché vedevo questi malati molto gravi, molto gravi. Cioè, io<br />
essendo una persona che non aveva mai avuto nessun tipo di condizione come<br />
questa, con questi malati molto gravi, addirittura ero spaventato! Poi ogni giorni<br />
venivo questo si chiama era il dottor [nome omesso] - non me lo posso mai<br />
dimenticare questa persona - tutti i giorni mi chiamava e mi chiedeva: «Fabio vuoi<br />
andare ancora in Africa?». Se io dicevo di sì era una iniezione... Io so solo che mi<br />
facevano una iniezione e poi non... non so... dormivo per non so quanto tempo. E<br />
queste cose che mi facevano, mi hanno indebolito a tal punto, che non riuscivo<br />
neppure a farmi la barba... Allora, dopo un certo periodo, non so se era il<br />
responsabile della clinica... diciamo, chiamiamola di questa struttura... E ho capito<br />
che quel giorno lì io dovevo dire che... “Guardate... No, no io non ho più intenzione<br />
di fare questo... di fare quello”, mi ero fatto la barba prima, mi ero messo un po’ in<br />
ordine... e a quel punto lì hanno telefonato... ho scoperto che mia sorella mi telefonava<br />
tutti i giorni... e hanno fatto un accorgimento, che hanno fatto venire mio padre... e così<br />
sono stato liberato, diciamo, da questo carcere... (Fabio Intervista guidata).
il paziente psichiatrico<br />
Non stupisce ascoltare poco più in là Fabio che si definisce come «un ma -<br />
lato di TSO». Sentimenti di rabbia, paura e spaesamento, trovano espres sione<br />
nella testimonianza di Noemi, accompagnata dal marito in un Servizio<br />
Psichiatrico di Diagnosi e cura a seguito di una crisi particolarmente severa.<br />
Il primo giorno mi sembrava una cosa irreale, perché io non stavo bene, lo capivo,<br />
quindi non bello, perché le posso dire che ho avuto tanta paura, ehm...penso che non<br />
capivo neanche io dove mi trovavo e il perché, pensavo solo che il papà di mia figlia<br />
[Noemi usa questa locuzione distanziante per indicare il proprio ex marito] mi<br />
avesse portato in un posto per liberarsi di me; però io ho accettato di stare là, perché<br />
dicevo: qui sto meglio da molte altre parti; forse una parte di me capiva che forse lì<br />
potevano aiutarmi, però era talmente tanta la rabbia che avevo dentro, queste sen -<br />
sazioni brutte, che ero stata addirittura insomma legata, perché io combinavo delle<br />
si tuazioni...e quindi non reagivo bene a tutta la situazione, cioè, era irreale tutto<br />
quello, dicevo: cosa mi sta succedendo, perché sono qua, quindi non lo capivo<br />
ancora, e neanche quando sono arrivata Torino, io non accettavo. (Noemi<br />
Intervista guidata).<br />
All’interno della frazione di pazienti occupati l’aver subito uno o più<br />
ricoveri non mostra alcuna relazione con la qualità della partecipazione al<br />
mercato del lavoro.<br />
2.4. L’esperienza attuale del disagio psichico<br />
Quello che sto imparando adesso è che è un po’ come le nuvole: arrivano, faranno<br />
cioè la loro scaricata di pioggia, poi passeranno e tornerà il sereno.<br />
Alfredo<br />
Con strumenti, di necessità, approssimativi è stata valutata la consa pe -<br />
volezza dei nostri interlocutori, espressa dalla capacità di cogliere - ancorché<br />
in misura discontinua - ora, gli ostacoli che il disturbo psichiatrico frappone al -<br />
la partecipazione al mercato del lavoro, ora le dotazioni di cui ciascuno dispone<br />
per fronteggiare queste difficoltà. L’accostamento delle interviste raccolte con -<br />
du ce a qualificare la frazione degli occupati come dotati di una maggior con -<br />
sa pevolezza. Questo requisito risulta inoltre associato, per gli occupati, alla<br />
qua lità della posizione lavorativa ricoperta e, per i disoccupati, all’o rien ta men -<br />
to verso il lavoro. Qui la consapevolezza risulta associata a una più pro fi lata<br />
raf figurazione del lavoro cui si aspira o, in alternativa, di ciò a cui si aspira in<br />
sostituzione a un lavoro (vedi par. 2.5.).<br />
Per qualificare l’esperienza attuale del disturbo psichico è stato inoltre con -<br />
si derato il rapporto con i farmaci, o meglio la «storia naturale» della com pliance<br />
farmacologia. Dal confronto fra occupati e disoccupati emerge un rap porto più<br />
problematico con la terapia farmacologica da parte di questi ultimi.<br />
Le differenze riguardano, non già la situazione rilevata contestualmente alla<br />
41
42<br />
parte prima<br />
con duzione delle interviste - sulla quale le differenze fra occupati e disoccupati<br />
risultano modeste 36 - ma l’evoluzione del rapporto con le prescrizioni farma -<br />
cologiche. L’approdo alla piena compliance risulta più lungo e trava gliato per<br />
i pazienti disoccupati. Si tratta di un risultato su cui merita riflettere in rela -<br />
zione alle politiche di avviamento al lavoro applicate dagli operatori - pubblici<br />
e privati - impegnati nella riabilitazione. Dai risultati dell’indagine condotta<br />
nei contesti di lavoro e di cura emerge infatti come, in taluni casi, la piena<br />
compliance farmacologica venga impiegata come informazione predittiva della<br />
ca pacità di accedere e conservare un posto di lavoro. Togliendo dal conto -<br />
come ovvio - i casi in cui il rifiuto dei farmaci si associa alla comparsa di sin -<br />
tomi positivi, il ricorso alla piena compliance come requisito di inclusione nei<br />
progetti di avviamento al lavoro, può escludere da questa opportunità i<br />
pazienti che hanno un rapporto negoziale con la prescrizione farmacologica,<br />
orien tata all’autogestione del farmaco. Nella compagine dei pazienti occupati<br />
il rapporto con le prescrizioni far macologiche non mostra alcun legame<br />
apprezzabile con la qualità della posizione lavorativa ricoperta: la quota di<br />
occupati con o senza i benefici del col locamento obbligatorio è identica sia tra<br />
i pazienti che hanno avuto un rap porto travagliato con i farmaci, sia tra quelli<br />
che, sin dall’esordio, hanno mo stra to un’accettazione piena delle prescrizioni<br />
terapeutiche. Le aspettative di guarigione rilevano importanti differenze fra<br />
occupati e di soc cupati: i primi mostrano disposizioni più ottimistiche rispetto<br />
ai secondi.<br />
Questo risultato fa pensare a una relazione positiva tra partecipazione al<br />
mercato del lavoro e atteggiamento nei confronti del disturbo psichico. Le<br />
interviste raccolte consentono inoltre una prima sommaria valutazione del<br />
grado di soddisfazione per i servizi di cura e riabilitazione offerti dai Centri di<br />
salute mentale. Emerge un risultato degno di nota: i pazienti disoccupati<br />
mostrano un livello di soddisfazione sensibilmente inferiore a quello rilevato<br />
fra gli occupati. Nella lettura di questo risultato occorre considerare la<br />
possibilità di una sorta di contaminazione fra il livello globale di soddisfazione<br />
per la propria vita e la soddisfazione per un suo aspetto specifico. È<br />
ragionevole ipotizzare che i pazienti che vivono con sofferenza l’e sclu sione dal<br />
mercato del lavoro trasferiscano - almeno in parte - questa in sod di sfa zione<br />
nella valutazione dei servizi. Ciò detto, l’esame delle ragioni d’in sod disfazione<br />
di chi - tra gli occupati, così come tra i disoccupati - è più in sod di sfatto porta<br />
a riconoscere la presenza di ragioni indipendenti di insod di sfa zio ne, dovute<br />
prevalentemente alla qualità della relazione terapeutica di cui si de nun cia il<br />
carattere sbrigativo e, talvolta, autoritario.<br />
L’esame delle forme di socialità consente di cogliere - questa volta in un re -<br />
gistro non esclusivamente terapeutico - l’esperienza del disagio psichico vis su -<br />
ta dai nostri interlocutori. Il confronto fra occupati e disoccupati mostra co me<br />
questi ultimi abbiano modelli di socialità più ancorati alla sfera della psi chia -<br />
tria di quanto non accada fra i pazienti occupati.
il paziente psichiatrico<br />
2.5. La relazione fra lavoro e disturbo psichico<br />
Noi viviamo in una civiltà della perfezione.<br />
Ermanno<br />
La qualificazione del rapporto fra lavoro e disturbo psichico è stata<br />
sviluppata considerando tre aspetti: la collocazione dell’esordio della patologia<br />
psichiatrica nella traiettoria che va dalla formazione al lavoro 37 , le strategie di<br />
conciliazione fra lavoro - attuale o passato - e disturbo psichico e, buon ultimo<br />
l’orientamento verso il lavoro.<br />
La collocazione dell’esordio della patologia psichica separa in modo netto<br />
occupati e disoccupati. Fra gli occupati l’esordio si colloca più spesso in una<br />
fase di vita caratterizzata dalla piena partecipazione al mercato del lavoro, il<br />
contrario accade per i disoccupati. Nelle narrazioni di malattia raccolte<br />
l’esordio del disturbo psichiatrico viene collocato in una fase della vita che<br />
vede il narratore impegnato in un’attività lavorativa in 16 casi su 23 fra gli<br />
occupati e in 12 casi su 27 fra i disoccupati. Questo risultato - ancorché dettato<br />
in buona misura dall’età dell’esordio della patologia psichiatrica - mette in luce<br />
un aspetto rilevante della relazione fra lavoro e disturbo psichico 38 .<br />
Le persone sorprese, per così dire, dalla patologia psichiatrica da occupati<br />
pare mostrino una maggior capacità di conservare il posto di lavoro o ricon -<br />
qui starne uno nuovo dopo la remissione dei sintomi più severi. L’aver spe -<br />
rimentato - da subito - il problema della difficile conciliazione fra lavoro e<br />
disturbo psichico, pare offra strumenti di coping che risultano efficaci anche in<br />
seguito. È inoltre ragionevole ipotizzare che l’esperienza del lavoro, possa<br />
alimentare l’autostima e forse compensare le conseguenze negative della<br />
frustrazione che subentra in questi soggetti a seguito della riduzione delle<br />
proprie capacità lavorative dovuta all’esordio della malattia.<br />
Quanto alle strategie di conciliazione adottate - ora per gli occupati, in pas sato<br />
per i disoccupati - emerge un ricco repertorio che include strategie che - som -<br />
mariamente - possono essere rubricate in quattro categorie. La prima rac coglie le<br />
forme di conciliazione tese, difficili, relative a un insieme di casi per i quali il<br />
lavoro costituisce una fonte di stress, talvolta di sofferenza. Nella forma più lieve<br />
la sofferenza del lavoro è illustrata da due casi, Vito e Fosca, che indicano nei<br />
rapporti con colleghi e superiori la principale fonte della tensione che punteggia<br />
le loro giornate lavorative. Vito, un giovane operaio metalmeccanico, indica nel<br />
suo “deficit di prontezza” la fonte di questa sof fe renza. In specifico Vito si<br />
riferisce alla sua difficoltà a rispondere a tono ai rim proveri - talora ingiustificati<br />
- di cui viene fatto bersaglio. Nella medesima direzione le parole di Fosca,<br />
impegnata in un Cantiere di lavoro come fac-totum: “Ne risento il rimprovero,<br />
ne risento sono delicata su questa cosa qui un rimprovero, voglio essere capita,<br />
presa più con dolcezza” (Fosca, Intervista libera). La sofferenza diviene tutt’uno<br />
43
44<br />
parte prima<br />
con il lavoro per i pazienti, perlopiù disoccupati, che hanno inscritto queste<br />
difficoltà relazionali all’interno di un delirio persecutorio che li ha costretti ad<br />
abbandonare il lavoro, divenuto la causa principe della loro sofferenza.<br />
L’interazione fra sintomo psichiatrico e prestazione lavorativa diviene fonte di<br />
sofferenza - direi ancora più intensa - nel caso di Sara, un’impiegata competente<br />
e apprezzata che ha perso il proprio lavoro per il sopravenire di un disturbo<br />
ossessivo compulsivo di cui aveva e conserva lucida consapevolezza.<br />
Mi piaceva molto lavorare, lavoravo bene in quel posto, mi trovavo bene: ero molto<br />
affezionata al mio datore di lavoro... e fino ai 30 anni circa sono stata bene, non mi<br />
ricordo di aver avuto nessun disagio. Poi all’improvviso ho cominciato, ho comin ciato<br />
a sentirmi male, avere questo disturbo ossessivo, ossessivo compulsivo, che ripetevo le<br />
cose, che... avevo dei riti, avevo delle... e da lì ho cominciato davvero a stare male: sono<br />
stata ricoverata. [Rivolgendo si all’intervistatrice] Per farle capire: dovevo sistemare la...<br />
l’ufficio e uscire alle 19.15: io uscivo alle 21.00! perché mettevo a posto tutto e<br />
rivedevo tutto l’ufficio, e non riuscivo più a venire via perché questo non era a posto,<br />
quello non era a posto... non ero sicura più di niente! Uscivo poi piangendo perché mi<br />
rendevo conto di essere assurda, di, di... di stare male, mi rendevo conto di essere fuori<br />
posto. Però mi ritrovavo a controllare, ricontrollare: la porta e... questo, e il computer<br />
acceso e la macchina da calcolo, la fotocopiatrice, ritornavo e... ecco, è come se il<br />
cervello si inceppasse e ritornasse sempre sulle stesse, sugli stessi posti a controllare e<br />
io stavo lì a controllare! Lui [si riferisce al capo], non lo sapeva minimamente perché era<br />
fuori: ormai era andato a casa, e io mi ritrovavo fino alle 21.00 a ricontrollare le stesse<br />
cose. Poi mi rendendomi conto, perché ero perfettamente cosciente, di questa cosa:<br />
piangevo perché mi rendevo conto di stare male! (Sara, Intervista guidata).<br />
Ed è proprio questa consapevolezza - perlopiù assente nei soggetti affetti da<br />
deliri persecutori - che rende la sofferenza di Sara ancora più intensa. Nella<br />
seconda categoria la conciliazione fra lavoro e disagio psichico trova<br />
espressione nell’adozione di comportamenti di fuga, con i quali la sofferenza<br />
viene contenuta, attenuata. La prima forma di fuga su cui merita soffermarsi è<br />
illustrata da Ilaria, una giovane impiegata affetta da attacchi di panico. Ciò da<br />
cui Ilaria desidera prendere congedo sono principalmente le relazioni in for ma -<br />
li che accompagnano lo svolgimento del suo lavoro, i rapporti con i colleghi e<br />
su periori riconducibili all’area della socievolezza.<br />
Devo dire che io ho sempre avuto l’idea di dovermi nascondere [sorride] Cosa vuol<br />
dire? Vuol dire che... non so, un po’ abbiamo cercato di nascondere questa cosa, il<br />
fatto che io stessi male anche in famiglia... forse un po’ per paura di essere presa<br />
per... per matta. Che poi voglio dire “che cosa c’è di male” solo che... mia mamma è<br />
da questo punto di vista è ossessiva, tiene molto alla forma, anche della casa, e al alla<br />
per la forma sacrifica tutto. Quindi io... da allora forse, non ho non ho mai<br />
raccontato a nessuno dei miei colleghi di lavoro i miei problemi. E tuttora... è così.<br />
E questo mi ha portato. Anche adesso, io ho dei rapporti molto superficiali con i<br />
miei colleghi. Anche magari quelli che mi invitano ad andare a prendere un<br />
aperitivo, ad andare a prendere una pizza, io è molto, perché ho proprio questa
il paziente psichiatrico<br />
abitudine di non approfondire troppo... i rapporti. Ècosì, è più forte di me, almeno,<br />
sul lavoro è così, perché per anni mi sono nascosta, e tuttora per me... è...<br />
un’abitudine non... [...] Ho sempre cercato di instaurare dei rapporti molto...<br />
molto... come posso dire? Super-indifferenti. Ecco, forse anche per evitare... che<br />
entrassero troppo nella mia vita, ecco. Ho sempre mantenuto un po’ le distanze. [...]<br />
Io vivo molto male, non so perché, il momento in cui si mangia tutti insieme [ride]<br />
ecco, è un momento in cui ho proprio pau, cioè paura, mi viene l’angoscia a<br />
mangiare con persone che non conosco. Forse perché si parla, ho sempre paura di<br />
dire qualche cavolata [ride] cosa volete farci? Sono ansiosa. E quindi anche quel<br />
momento lì, per carità! Mangiare tutti insieme è una cosa che proprio non... non<br />
sopporto. Il fare il pezzo di fare in... cui bisognava fare il corridoio tutti insieme per<br />
andare alla mensa [breve pausa] momenti assolutamente negativi per me, brutti.<br />
(Ilaria, Intervista guidata).<br />
Al registro della fuga è inoltre possibile ricondurre le strategie di conte ni -<br />
mento dello stress accumulato con lo svolgimento del proprio lavoro basate sul<br />
ri cor so all’assenza per malattia. Si tratta di una soluzione non priva di in -<br />
convenienti sia sul piano della carriera (includendo nella carriera anche la<br />
conservazione del posto di lavoro), sia sul piano delle relazioni sociali. Di<br />
questo aspetto dà conto la testimonianza di Marco, operaio in una grande<br />
azienda metalmeccanica, costretto, al rientro dalle brevi assenza per malattia<br />
cui fa ricorso, ad affrontare il sarcasmo («Ti sei riposato abbastanza?») e i<br />
rimproveri di colleghi e superiori. Marco, operaio capace e persona che,<br />
nell’aspetto e nelle modalità di comportamento, non lascia trapelare la natura<br />
del suo disturbo, viene percepito dai colleghi - così racconta Marco - come un<br />
simulatore che ricorre alla mutua per indulgere alla sua deprecabile pigrizia 39 .<br />
Ancora al registro della fuga è possibile ricondurre il rapporto con il lavoro<br />
in staurato in modo esemplare da due fra i pazienti interpellati, Antonio e<br />
Fabio, occupato il primo, disoccupato il secondo. Entrambi hanno speri men -<br />
ta to una sorta di “nomadismo occupazionale”, hanno cioè inanellato una serie<br />
di rapporti di lavoro, ciascuno dei quali si esauriva per loro iniziativa, quando<br />
la conciliazione con il disagio psichico diveniva estremamente pesante.<br />
La terza forma di conciliazione può essere designata, con Hirschan (2002<br />
ed. orig. 1970) come voice. Si tratta della linea di condotta adottata da un<br />
piccolo sottoinsieme di pazienti, perlopiù occupati, che rivendicano e, dove<br />
possibile praticano, il diritto a un rapporto di lavoro flessibile che sappia<br />
adattarsi al loro stato di salute. Esemplari in tal senso sono le testimonianze di<br />
Greta e Gia como. Greta lavora nel settore della grande distribuzione dove<br />
ricopre un ruolo di rilievo, che richiede frequenti contatti con la clientela.<br />
Greta ha chiesto e ottenuto - non senza fatica - un rapporto di lavoro part-time<br />
e la possibilità di adattare il proprio orario alle proprie esigenze di cura.<br />
L’atteggiamento di Greta è di chi rivendica l’esercizio di un diritto e non già<br />
quello di chi mendica una concessione. Giacomo, disoccupato al momento<br />
delle interviste, ha lavorato a lungo come tecnico elettronico, componendo<br />
45
46<br />
parte prima<br />
una successione (non intenzionale) di esperienze profesionale separate le une<br />
dalle altre da periodi di profonda crisi, talvolta fronteggiate con un ricovero.<br />
Nel corso delle interviste Giacomo ha dato prova di una notevole capacità<br />
critica, di uno sguardo acuto che gli consente di riconoscere i propri limiti e<br />
valorizzare le, proprie risorse. Il lavoro che ritiene compatibile con il suo stato<br />
di salute, e che ha sperimentato in alcune fasi della sua vita, può essere definito<br />
come una sorta di cottimo non competitivo. Giacomo pesa a un lavoro di col -<br />
laborazione professionale nel quale ciascuno è pagato per il lavoro che svolge,<br />
ma senza che si diano “gare”, competizioni fra colleghi nel produrre di più 40 .<br />
La quarta ed ultima strategia di conciliazione passa attraverso una ri de -<br />
finizione, quantomeno parziale, delle relazioni di lavoro, o quantomeno di<br />
quel le che contraddistinguono il lavoro nei settori for profit e, in parte, nella<br />
pu bblica amministrazione. È l’opzione rappresentata dal lavoro nel settore<br />
del la cooperazione sociale, caratterizzato da una forma peculiare di mutalità<br />
che altrove (par. 4.1.) ho definito “mutualità solidale”. Nelle forme tradizionali<br />
di cooperazione il sostegno reciproco, la mutualità, nasce dalla condivisione di<br />
in teressi e capacità omogenee, per contro, nella cooperazione sociale 41 la mu -<br />
tua lità lega soggetti caratterizzati da interessi, identità e soprattutto capacità<br />
dif ferenti. Alla differenza di capacità corrisponde qui la richiesta di un<br />
contributo lavorativo maggiore ai più capaci - di solito i normodotati - ma<br />
senza che questo configuri il diritto a richiedere un compenso, una re tri bu -<br />
zione proporzionale (vedi Converso e Piccardo 2003: cap. 1).<br />
L’elezione delle cooperative sociali di tipo B quali contesti privilegiati di<br />
lavoro risponde - seppur su di un registro differente - all’esigenza di adattare<br />
il lavoro al lavoratore proprio dell’opzione descritta più sopra come voice. Ciò,<br />
quan tomeno quando il lavoro nelle coperative sociali di tipo B è una scelta<br />
consa pevole che riconosce il valore della mutualità solidale e orienta di con -<br />
seguenza l’agire con l’accettazione dell’aiuto dei più capaci e la di spo ni bilità a<br />
sostenere chi lo è meno 42 .<br />
Quanto all’orientamento al lavoro si colgono consistenti convergenze fra<br />
disoccupati e occupati, convergenze sulle quali si innestano alcune specificità<br />
proprie dei pazienti disoccupati. Le affinità riguardano la generica apertura al<br />
lavoro che assume - come ovvio - toni diversi fra occupati e disoccupati.<br />
Questa disposizione si esprime, per gli occupati, nella piena accettazione<br />
del le condizioni di lavoro e della mansione svolta; per i disoccupati, nella di -<br />
spo nibilità a svolgere un qualsiasi lavoro - ovviamente nei margini della le -<br />
galità e dell’equo compenso. A questo registro si può ricondurre più della metà<br />
dei casi interpellati. Secondo per importanza l’orientamento negoziale che, per<br />
gli oc cupati indica l’aspirazione a una ridefinizione delle condizioni di lavoro<br />
o al suo mutamento, mentre, per i disoccupati indica l’individuazione di un in -<br />
sieme condizioni auspicate. Questo orientamento, che raccoglie poco più di un<br />
quar to delle posizioni esaminate, compone richieste che insistono ora espres -<br />
samente sul contenuto del lavoro, che si vuole meno pressante, meno «con il
fiato sul collo», ora sull’esigenza di conciliare il lavoro con altri ambiti di vita,<br />
quali lo studio o gli impegni familiari. Quest’ultimo aspetto, investe le sole<br />
donne e fra queste soprattutto coloro che sono in cerca di un’occupazione.<br />
Da ultimo merita segnalare l’orientamento espresso da un ristrettissimo<br />
grup po di pazienti, tre persone, tutte disoccupate, degno di nota per il modo<br />
in cui si oppone a una disposizione condivisa nel senso comune e che individua<br />
nel lavoro di stampo fordista la sola forma possibile di integrazione sociale. A<br />
que sta disposizione viene opposta la preferenza per forme di impegno sociale,<br />
quali il volontariato e per attività di tipo artistico, creativo, praticate con tempi<br />
e modi autodeterminati in accordo con il proprio stato di salute e, di nuovo,<br />
ab bracciando la scelta di una frugalità volontaria.<br />
L’insieme delle osservazioni relative al rapporto fra lavoro e disagio psichico<br />
possono essere organizzate in una tassonomia illustrata nella figura 1.10.<br />
RAPPORTO CON<br />
IL MONDO DEL LAVORO<br />
il paziente psichiatrico<br />
INCLUSIONE<br />
ESCLUSIONE<br />
Tra parentesi il numero di casi classificati in ciascuna delle sette categorie.<br />
Figura 1.10. Lavoro e disagio psichico: una tassonomia empirica<br />
La tassonomia separa le condizioni di inclusione ed esclusione e, all’interno<br />
di ognuna distingue un insieme di forme identificate considerando, per l’in clu -<br />
sio ne, le caratteristiche del rapporto di lavoro, per l’esclusione le ragioni e le<br />
cause di questa condizione 43 .<br />
2.5.1. Forme di inclusione: il lavoro nel settore for profit<br />
Contesto for profit (10)<br />
Contesto solidale (10)<br />
Rifiuto (3)<br />
Disinvestimento (7)<br />
Atteggiamento negoziale (3)<br />
Debolezza (4)<br />
Incompatibilità (9)<br />
Fra le forme di inclusione, la prima riportata in figura, quella che ha luogo<br />
nel settore for profit, raccoglie a sé dieci pazienti, sette uomini e tre donne.<br />
All’interno di questa categoria è inoltre possibile un’ulteriore distinzione -<br />
minore - che separa forme di partecipazione al mercato del lavoro ora in una<br />
47
48<br />
parte prima<br />
posizione di forza (sette casi), ora in una posizione di debolezza (tre casi).<br />
Al primo insieme è possibile ricondurre Vito, Marco, Antonio, Cesare,<br />
Greta, Ilaria e Viola. Qui, per esigenze di brevità, concenterò l’attenzione solo<br />
su alcuni casi esemplari cui affido il compito di illustrare gli aspetti più si -<br />
gnificativi di quaste forma di inclusione, definita forte.<br />
VITO ha 31 anni 44 , è nato a Barletta da una famiglia contadina, ha due so -<br />
relle una delle quali affetta da una severa patologia psichiatrica. Vito descrive<br />
l’e sordio del proprio disturbo come un progressivo venir meno delle capacità<br />
co gnitive e relazionali, “una perdita di energia mentale”, che ha avuto inizio<br />
nella prima adolescenza e che lo ha condotto a una disgnosi psichiatrica all’età<br />
di 22 anni. Negli anni che intercorrono tra i primi segni di disagio e il suo<br />
riconoscimento clinico Vito consegue un diploma di media superioe e, dopo il<br />
servizio militare, si iscrive al Politecnico. L’acuirsi dei disturbi lo costringono<br />
poi ad abbandonare gli studi per cercarsi un lavoro. Dopo un prima brevissima<br />
espe rienza nella sua regione, Vito decide di cercare lavoro altrove e, rispon -<br />
den do a un’inserzione su un giornale specializzato, trova lavoro in un mobi li -<br />
fi cio nelle Marche. Resta nelle Marche per un anno e mezzo impegnato in<br />
un’a ttività, la foratura di pannelli di legno, che non lo soddisfa e che soddisfa<br />
an cor menno il suo datore di lavoro: “spesso sbagliavo le misure, sbagliavo l’in -<br />
se rimento del pannello in macchina”, suscitando le lamentele e i rimproveri<br />
dei colleghi: “Non capisci niente, non sei buono a far niente...”. Vito non rea -<br />
gisce, cumulando frustazioni a frustrazioni: “io non dicevo niente, cioè te nevo<br />
tutto per me (...)Accumulavo accumulavo accumulavo, poi alla fine quan do han<br />
visto che stavo sempre più male, ho deciso di la di mollare e infatti ho mollato<br />
due settimane prima della scadenza del contratto”. Dalle Marche ap proda poi a<br />
Torino, dove può contare sul sostegno di una zia. A Torino trova lavoro in un’a -<br />
zien da metalmeccanica dove si occupa del controllo di qualità. Chiamato a iden -<br />
tificare gli errori di produzione e non già esposto al rischio di commetterli, Vito<br />
mostra un buon adattamento al lavoro, anche se talvolta ve lato dalla sua dif ficoltà<br />
a reagire ai rimproveri o agli scherzi - talvolta rudi - che accom pa gna no la fida<br />
di fabbrica. Vito lavora a tempo pieno, con un con tratto in tutto e per tut to as -<br />
simi labile ai suoi compagni di lavoro, dando pro va di una singolare autonomia<br />
(Vito vive solo) e di una altrettanto consi de revole capacità di superare gli ostacoli<br />
che la vita ha più volte frapposto sul suo cammino.<br />
MARCO ha 36 anni. Figlio di immigrati, il padre faceva prima la guardia<br />
notturna, poi l’ascensorista. La madre faceva la stiratrice in fabbrica e poi<br />
assistenza in ospedale. Il padre di Marco era affetto da schizofrenia,<br />
manifestatasi quando Marco era bambino “andavo all’asilo”. Il padre muore di<br />
tumore all’età di 32 anni quando Marco ha 18 anni. Marco dice di serbare un<br />
buon ricordo del padre, che ricorda come una persona intelligente e<br />
amorevole: “diciamo che a lui è stato, non posso dire niente, anche con i suoi
il paziente psichiatrico<br />
problemi è stato un padre che m’è stato sempre vicino a livello di educazione,<br />
a livello di comportamento, voglio dire m’ha insegnato una buona edu ca -<br />
zione”. Lo ricorda come una persona forte: “aveva le palle”. In linea con questa<br />
chia ve di lettura la madre presenta il marito come un padre severo, giusto, ma<br />
se vero: “però lui lo voleva bene suo padre”. Marco, inoltre, riconosce alla ma -<br />
dre una particolare sensibilità: “Diciamo che mia madre è stata anche una don -<br />
na che...gli è stato, gli è stata vicino, perché, magari fosse stata un’altra don -<br />
na... Magari l’avrebbe anche abbandonato...”. Marco cresce in una quartiere<br />
popolare della città, con la nonna (che mancherà quando Marco ha 12 anni) e<br />
con uno zio scapolo che vive in casa con loro. Quando Marco ha 12 anni la ma -<br />
dre si licenzia e la famiglia vive delle pensioni del marito, della nonna e sui<br />
piccoli aiuti dello zio ospite.<br />
Marco conclude la scuola media e si iscrive a un istituto tecnico; viene<br />
bocciato, si iscrive nuovamente ma poi abbandona la scuola a metà anno. A 15<br />
anni e mezzo inizia a lavorare con i fratelli della madre come muratore. A 21<br />
anni entra in FIAT dove lavora in linea. Poco dopo inizia a frequentare una<br />
scuola serale per conseguire un diploma: “ho visto com’era l’ambiente, non<br />
volevo - diciamo - avvitare bulloni tutta na vita ecco, volevo migliorare la mia<br />
po sizione, allora ho pensato di riprendere di riprendere la scuola”. In quegli<br />
an ni, caratterizzati dalla difficile combinazione di un lavoro e studio, si colloca,<br />
a 25 anni, l’esordio del disturbo psichico, che irrompe nella vita di Marco con<br />
par ticolare violenza. I problemi si manifestano sottoforma di allucinazioni u -<br />
di tive: “ho incominciato a sentire come delle voci dentro di me (...) e poi e ero<br />
con vinto che stessi diventando telepatico, che riuscivo a capire i pensieri<br />
dell’ine, dell’interlocutore che avevo davanti no”. E... mi... sentivo la voce che<br />
ne so di mio padre, di... poi ero convinto che comunicassi, che comu ni cassi...<br />
con... con le altre persone, magari anche se non c’erano, a livello di distanza...<br />
(...) ...sentivo sempre ‘ste voci più forti, mi tormentavano, mi fa cevano paura,<br />
mi dicevano cose brutte... non so, tipo, «devi morire, io sono il diavolo dentro<br />
di te...» «Adesso ti vogliono ammazzare»”. L’esordio è violento e coinvolge la<br />
madre e i parenti di Marco. Oppresso dalle voci, Marco viene ricoverato al<br />
Mauriziano: “Son stato una settimana, poi gli ho detto al dottore se mi faceva<br />
uscire perché avevo paura anche... Avevo paura anche dei... della gente che...<br />
della gente di lì dentro, no? Vedevo gente con le facce strane, non lo so... M’ha<br />
preso male dico essermi ritrovato diciamo in una casa di cura, voglio dire, in<br />
un repartino psichiatrico (...) All’inizio ne ho fatto una malattia perché non<br />
riuscivo ad accettare quello che mi era successo”. Inizia la cura, ma le voci lo<br />
perseguitano per altri due anni: “le ho sentite per due anni, infatti a volte<br />
pensavo, ho detto : “ Io ‘ste voci e due anni son tanti e sentire sempre una voce<br />
in testa che ti parla, infatti tante volte ho pensato anche al suicidio eee... solo<br />
che c’era l’altra parte di me che... non è mai andata oltre voglio dire (...)<br />
Perché ero cosciente, solo che infatti a volte avevo paura...e mi faceva paura<br />
perché mi diceva: « Sei indemoniato» o cose del genere”.<br />
49
50<br />
parte prima<br />
In seguito alla crisi lascia il lavoro per oltre un anno, combinado cassa<br />
integrazione e assenze per malattia. Al momento del rientro ha più di una<br />
difficoltà: “io non volevo più rientrare anche in fabbrica, perché mi facevo ...<br />
diciamo le paranoie... sul fatto che ero stato male, sul fatto poi ero giù, ero<br />
imbottito di psicofarmaci, eee mi senti ero ingrassato ero arrivato a cento<br />
chili”. Al rientro si presenta con un certificato medico della psichiatra e viene<br />
sottoposto a visita medica, sulla base di ciò viene reintegrato nel ruolo in linea<br />
che non riesce a sopportare. Ottiene poi, anche grazie alla mediazione della<br />
madre - che decide di rivolgersi direttamente al capo del personale - di essere<br />
assegnato a una mansione meno gravosa. A Marco viene assegnato il ruolo di<br />
magazziniere: “Insomma ho cercato di adattarmi, poi [sospiro] all’inizio co -<br />
munque ho trovato duro anche lì perché gente nuova, poi mi facevo anche un<br />
po’ di paranoie...” Il rapporto con i colleghi è del tutto sovrapponibile a quelli<br />
tipici dell’ambiente di fabbrica: “con i colleghi, adesso dove sono, non ho<br />
diciamo che sicuramente in tutti i posti c’è il buono e il cattivo, l’antipatico, il<br />
simpatico, perché si sa, non è che si può andare diciamo d’accordo con tutti o<br />
magari ...puoi essere simpatico a tutti. Però io diciamo che in linea di massima<br />
faccio il mio lavoro, sto sulle mie [silenzio] io voglio fare il mio lavoro, do, cerco<br />
di dare confidenza nei limiti”.<br />
Marco mostra un acuto senso critico e una buona autonomia. Vive solo,<br />
anche se con l’aiuto costante e affettuoso della madre, che abita nello stesso<br />
quartiere, e delle zie che vivono nello stesso condominio. L’espressione del<br />
viso, le movenze, il modo di parlare non mostrano in alcun modo i suoi<br />
problemi di salute. Marco ha una conversazione piacevole, punteggiata speso<br />
da ironia e autoironia. Marco ha una vita sociale modesta ma tutta protesa<br />
all’esterno della cerchia psichiatrica: frequenta, oltre alla madre e ai parenti,<br />
qualche collega di lavoro e qualche volta va a ballare. Gli amici non sono<br />
accompagnatori: “io vado anche da solo [a ballare], non mi faccio paranoie, se<br />
devo uscire anche da solo esco.<br />
ANTONIO ha 40 anni, i genitori, originari del Veneto, si trasferiscono a<br />
Torino nel 1960: il padre lavora ai mercati generali, la madre lavora come<br />
collaboratrice domestica. A otto anni Antonio perde il padre, di lui si<br />
occuperanno, con la madre i fratelli maggiori: «i miei fratelli maggiori, hanno<br />
sostituito mio padre e mia madre - naturalmente - ha fatto il suo ruolo di ma -<br />
dre». Antonio procede negli studi sino alla licenza media, per mettersi poi alla<br />
ri cerca di un’occupazione che troverà di lì a poco a sedici anni, in un’azienda<br />
della cintura torinese. L’ambiente di fabbrica, i modi rudi con i quali - sul piano<br />
informale - venne socializzato al lavoro, mettono in difficoltà Antonio che<br />
comincia ad accusare i primi sintomi del proprio disagio: «quando ero giovane,<br />
tra i sedici e i diciotto anni, non sopportavo gli scherzi di fabbrica. Cioè in<br />
fabbrica facevano degli scherzi che mettevano le mani addosso forse è da lì che<br />
è partito tutto e io non sopportavo quel genere di scherzi (...) e allora da lì ho
il paziente psichiatrico<br />
cominciato a star male». Questa sensazione di malessere si protrae, senza che<br />
Antonio la riconosca come tale: «mi sentivo male, anche se avevo i miei, i miei<br />
amici, avevo il mio giro di conoscenze, mi sentivo male, nel senso che<br />
imputavo agli altri il mio malessere e, ed ero in depressione; solo che non era<br />
una depressione tale da, da far capire a me e ai miei che stavo male.<br />
Soprattutto a me perché non me ne rendevo conto». Ciò che Antonio<br />
definisce come depressione assume progressivamente i tratti di una patologia<br />
più severa durante il servizio militare, dove i soprusi dei più anziani, il<br />
«nonnismo» alimentano i suoi vissuti persecutori.<br />
Dopo il servizio militare Antonio riprende a lavorare con sempre maggiori<br />
difficoltà. L’ambiente di lavoro gli appare ostile, diviene il teatro di per se cu -<br />
zioni di cui si sente vittima, persecuzioni che lo costringono, per così dire, a la -<br />
scia re la scena: «tendevo a lasciare il lavoro dopo un po’ di anni tendevo a<br />
lasciare il lavoro per, perché pensavo ce l’avessero tutti con me per ché in -<br />
somma cominciava a venirmi la depressione e io abbandonavo il lavoro».<br />
Antonio fronteggia le crisi ricorrendo a quanto più sopra è stato definito<br />
“nomadismo occupazionale”. Antonio passa da un lavoro all’altro sospinto dal<br />
proprio disturbo: lascia il lavoro nel quale si sente perseguitato per un nuovo<br />
lavoro che, di lì a poco, gli ripropone il medesimo scenario.<br />
Questa soluzione si protrae per poco meno di una decina d’anni sino ad<br />
esaurirsi consegnando Antonio a un lungo periodo di disoccupazione fra il<br />
1995 e il 2000. In quegli anni Antonio si rivolge a un Centro di Salute Mentale<br />
dove ottiene le prime cure che dapprima respinge per poi passare a una piena<br />
adesione del protocollo di cura. Nel 2000, accogliendo la segnalazione del<br />
fratello, Antonio trova lavoro in un’impresa che si occupa di pulizie industriali,<br />
lavoro che svolge attualmente nel turno notturno. Si tratta di un lavoro duro,<br />
che prevede notevoli sforzi fisici e l’evidente disagio di una vita in controtempo:<br />
«il lavoro è faticoso: dobbiamo alzare le griglie e mi è venuto mal di<br />
schiena. Siamo diciotto operai ma qualcuno sempre si mette in mutua perché<br />
il lavoro è duro». In questo ambiente di lavoro, senz’altro meno tenero di<br />
quelli attraversati in passato, Antonio non percepisce più - forte della terapia<br />
farmacologica - complotti e persecuzioni ai suoi danni. «il lato positivo è che<br />
vado d’accordo con gli altri, con quasi tutti; ci sono extracomunitari, siciliani,<br />
pugliesi ...». Il lavoro ha restituito ad Antonio l’autonomia economica e, con<br />
essa, anche quella abitativa. Lavorare contro-tempo rende, tuttavia, difficile ad<br />
Antonio costruire una rete di relazioni sociali solida ed estesa. Le relazioni sociali<br />
di Antonio sono confinate, per lo più, nel contesto dei servizi psi chia trici, di cui<br />
frequenta assiduamente il Centro diurno con un ruolo di primo pia no. Antonio<br />
vorrebbe cambiare lavoro: vorrebbe svolgere un lavoro meno fa ticoso, per i<br />
problemi di artrosi lombare che il lavoro attuale acuisce. Vorrebbe inoltre lavo -<br />
rare di giorno perché dice «di notte non ce la faccio più!».<br />
51
52<br />
parte prima<br />
GRETA è nata in Sicilia, primogenita di una famiglia contadina di quattro<br />
figli. Quando Greta ha due anni e mezzo, nasce la prima delle sue sorelle. La<br />
madre non sta bene e, anche in considerazione delle difficoltà economiche in<br />
cui versava la famiglia, Greta viene affidata a una zia paterna nubile. Da<br />
principio - racconta Greta - i genitori pensavano a un affido di breve durata;<br />
di fatto Greta resterà con la zia sino all’età di dieci anni, ferita da questo<br />
doloroso abbandono: “sono rimasta otto anni insieme a lei e questo mi ha<br />
provocato [...] parecchi problemi nel senso che comunque io sentivo molto la<br />
mancanza della mia famiglia, e la rabbia nei confronti di mia sorella e la gelosia<br />
e la mancanza comunque... di mia madre, e... oltretutto mia zia era una persona<br />
molto molto rigida”. La convivenza con la zia si interrompe quando questa<br />
signora, ormai matura, decide di sposarsi. Greta viene dunque riportata dalla<br />
madre: “mia zia sposandosi naturalmente voleva la sua libertà e quindi io sono<br />
rientrata nella mia famiglia di origine, solo che io l’ho preso proprio come...<br />
un... altro rifiuto [...] mi sono ritrovata in un’altra famiglia che non conoscevo,<br />
in più poi erano nati altri... le altre mie sorelle, altre due sorelle [...] mia<br />
mamma guardava i bambini piccoli, per cui “Greta lava, Greta stira, Greta fai<br />
questo...”. In questa famiglia che non conosceva più Greta è costretta all’as -<br />
sunzione precoce di un ruolo adulto, oltre all’aiuto nelle faccende domestiche,<br />
le si chiede di occuparsi dell’ultimo nato: “ho assunto questo ruolo di...<br />
seconda mamma [...] è nato mio fratello e io praticamente son stata [...] quella<br />
che mi prendevo cura di lui, per me era... il mio bambino”. A tredici anni<br />
Greta conosce la persona che, tre anni più tardi, sarebbe diventato suo<br />
marito. Si sposa giovanissima e, con il marito, si trasferisce a Torino. Poco do -<br />
po il matrimonio i rapporti iniziano a deteriorarsi, il marito, più maturo, si<br />
mo stra ossessivamente geloso, affliggendo con i suoi sospetti e le sue continue<br />
richieste di rassicurazioni e di prove di fedeltà la povera Greta. Ai problemi<br />
coniugali si aggiungono di lì a poco le responsabilità di cura che Greta con ti -<br />
nua ad assumersi nei confronti dei fratelli, anch’essi trasferiritisi a Torino.<br />
Greta continua ad occuparsi di loro, del fratello diventato tos sico dipen -<br />
dente, di una sorella etilista e di un’altra malata di cancro. In questo vortice di<br />
even ti stressanti si innestano difficoltà economiche, piccole tensioni con i figli<br />
che portano Greta a tentare il suicidio, un suicidio sventato dal figlio ma pro -<br />
gettato perché potesse essere efficace. Poco dopo la crisi con il marito si fa più<br />
profonda, Greta scopre che il marito ha una relazione extraconiugale e accetta,<br />
suo malgrado, la separazione. Da questo mare di sofferenza Greta emerge co -<br />
me un Titano, appena scalfita dalla sofferenza psichica (la diagnosi di Greta<br />
non è severa), padrona del proprio destino e qui, per quel che vale, padrona del<br />
proprio lavoro.<br />
Greta lavora sin dall’adolescenza nel settore alimentare. Costretta a conci -<br />
lia re il lavoro con le crescenti responsabilità di cura, nel 1993 decide di licen -<br />
ziar si, per tornare poi al lavoro di lì a poco. A seguito della crisi più severa, che<br />
la con dusse a tentare il suicidio, Greta lascia il lavoro per quattro mesi per farvi
il paziente psichiatrico<br />
poi ritorno chiedendo e ottenendo - non senza fatica - un contratto di lavoro<br />
part-time che le consente di prendersi cura della sua salute: “fisicamente non<br />
ce la facevo più, anche perché il nostro è un lavoro molto pesante, io lavoro nel<br />
ban co di gastronomia [...] e poi ti prende tutta la giornata e...ed era molto<br />
stres sante, io fisicamente [...] il mattino sono piena di energie, il pomeriggio<br />
no [...] quindi avevo delle difficoltà a lavorare tutto il giorno, e poi mi andava<br />
be ne perché finalmente nella mia vita avevo un po’ di spazio per me”. Il lavoro<br />
è per Greta una parte importante della sua vita, motivo di soddisfazione, di<br />
autorealizzazione: “questo lavoro a me è sempre piaciuto, io non cambierei,<br />
non avrei mai cambiato questo lavoro con nessun altro”. Non mancano,<br />
tuttavia, le difficoltà che hanno origine dalla determinazione con la quale<br />
Greta ha chiesto e ottenuto condizioni di lavoro consone la suo stato di salute,<br />
dif ficoltà che si colgono negli atteggiamenti mostrati ora da colleghi, ora dai<br />
superiori.<br />
VIOLA ha 39 anni, figlia di immigrati, trasferitisi a Torino per lavoro, è nata<br />
e cresciuta a Torino. Conclusa la scuola dell’obbligo, Viola segue una scuola<br />
biennale per segretaria d’azienda. Di lì a poco inizia a lavorare: «ho iniziato a<br />
lavorare abbastanza giovane così, ho trovato subito un lavoro appena finita la<br />
scuola». Si tratta di un lavoro impiegatizio presso un’impresa commerciale per<br />
la quale Viola lavorerà per dodici anni. Il racconto di Viola contiene solo<br />
qualche cenno ai temi del disagio psichico e alle condizioni che, vero si -<br />
milmente, lo hanno nutrito 45 . Alcuni elementi al riguardo emergono<br />
dall’intervista condotta con la sorella di Viola. Apprendiamo così che «fin da<br />
ragazzina aveva comunque difficoltà nella comunicazione e questo ce l’ha<br />
anche oggi», difficoltà cui fa cenno anche Viola stessa quando ricorda i<br />
problemi d’insonnia che l’hanno afflitta sin dall’infanzia. Il disagio diviene<br />
disturbo psichico molto più tardi, se non a causa, almeno a seguito della morte<br />
inaspettata del marito di Viola, nei primi anni Novanta. Al lutto segue una crisi<br />
profonda che investe anche il lavoro che, come per Antonio, diviene teatro di<br />
una persecuzione di cui Viola ritiene di farne le spese. Da qui la decisione di<br />
licenziarsi: «Non è che ci sia stata un motivo fondamentale di questo: un po’<br />
lo stress della vita, che appunto c’era il lavoro che era un po’ in bilico così, cioè<br />
io non stavo tanto bene di salute quindi volevo allontanarmi un po’ da questo<br />
stress che si era creato, appunto, tutto questo mi ha fatto andare un po’ in tilt<br />
(...) Io ero in crisi, avevo anche dei problemi di salute e diciamo che sono stata<br />
io che ho voluto mollare perché mi sentivo un po’ come... magari non stavo<br />
bene per i cavoli miei allora mi sembrava che tutto fosse contro di me, in realtà<br />
adesso mi rendo conto che non era proprio così, nel senso che non era poi così<br />
la cosa. Però all’epoca la testa in certi momenti ti fa fare delle cose che non<br />
sono così come le vedi (...) Però quando stai poco bene, che hai queste crisi<br />
così, tutto ti sembra rivolto verso di te, invece adesso che sto un po’ meglio<br />
riesco a capire che non è cosi, ma ero solo io che nella mia testa farfugliavo<br />
53
54<br />
parte prima<br />
delle cose brutte...». Al licenziamento segue un lungo periodo di disoc -<br />
cupazione - un anno e mezzo - che si interrompe quando - del tutto inaspet -<br />
tatamente - si presenta l’opportunità di un posto da bidella in una scuola pub -<br />
blica: «avevo fatto delle domande, quando ho finito la scuola, però sono delle<br />
cose che vanno per punteggio e poi alla fine mi hanno chiamata per sapere se<br />
potevo coprire delle supplenze, così è andata, ho iniziato a lavorare». Viola<br />
riprende così a lavorare, impegnata in una mansione diversa da quella per cui<br />
si era formata e su cui aveva acquisito una solida esperienza. Un lavoro,<br />
dunque, meno “importante”, ma che le rende meno gravosa la conciliazione<br />
con il proprio disagio, di cui Viola tarda ad occuparsi. È infatti solo più tardi,<br />
nel 2001, su indicazione della madre, Viola si rivolge a un Centro di Salute<br />
Mentale per avere sollievo da un problema di insonnia: «non riuscendo a<br />
dormire, avevo proprio bisogno di qualche cosa che mi tranquillizzasse, perché<br />
poi non dormendo, non riuscivo a stare tranquilla o lavorare». Per un po’ se -<br />
gue le indicazioni terapeutiche e poi - dice la sorella - le sospende aprendosi a<br />
un nuovo periodo di crisi che, solo in tempi recenti ha avuto termine. Al mo -<br />
mento dell’intervista Viola sembra aver rafforzato la propria posizione lavo -<br />
rativa che, tuttavia, non è ancora stabile: «io sto lavorando in una scuola però<br />
non sono fissa: sto lavorando con un contratto a termine, quindi di anno in an -<br />
no è un po’ un’incognita». I rapporti con i colleghi ora suono buoni, non più<br />
gravati da vissuti persecutori: «non vado a raccontare ai miei colleghi che ho<br />
avuto dei problemi, giustamente sono cose mie...preferisco tenermele per me!<br />
Poi sul lavoro sono abbastanza tranquilla nel senso che comunque è tutta<br />
gente normale che quindi...mi piace parlare, ridere, scherzare...». Viola vive<br />
sola e mostra una buona autonomia, documentata anche da una forma di so -<br />
cialità che si protende al di là della sfera psichiatrica.<br />
Le storie di Vito, Marco, Antonio, Greta e Viola hanno molti punti di con -<br />
tatto che è opportuno sottolineare. Ciascuno di loro svolge un lavoro in nul la<br />
diverso da quello svolto dai rispettivi colleghi. Tutti hanno trovato o con ser -<br />
vato il proprio lavoro senza poter far conto delle tutele di legge, previste per i<br />
lavoratori disabili. Inoltre Vito, Marco, Antonio e Viola hanno in comune una<br />
diagnosi psichiatrica severa e questo non ha impedito loro di ricoprire una<br />
posizione forte all’interno del mercato del lavoro 46 .Accanto alle forme di<br />
inclusione nel settore non profit caratterizzate da una posizone di relativa<br />
forza, trovano collocazione altri tre casi che illustrano altrettante esperienze di<br />
partecipazione al mercato del lavoro che configurano - per contro - una<br />
condizone di relativa debolezza. La sottolineatura dell’ag get tivo relativa è qui<br />
più che mai opportuna. Le narrazioni che illustrano que sta forma di inclusione<br />
mostrano i tratti della debolezza esclusivamente in rela zione a quelle illustrate<br />
più sopra e relative a persone che mostrano una piena inte grazione nel mercato<br />
del lavoro, a condizoni e con mansioni in tutto e per tutto assimilabili a quelle<br />
svolte da persone che non ricevono le attenzioni dei servizi territoriali di salute
il paziente psichiatrico<br />
mentale (basti per tutti il caso di Antonio). Le narrazioni raccolte sotto questa<br />
rubrica riguardano invece forme di inclusione acquisite o modellate muovendo<br />
dal vincolo della conciliazione fra lavoro e disturbo psichico. Rientrano in<br />
quest’ambito le storie di Gabriele, Alfredo e Rocco.<br />
GABRIELE ha 33 anni, la sua carriera lavorativa ha un inizio precoce. Dopo<br />
aver conseguito una licenza professionale, a diciassette anni, comincia - come<br />
dipendente - con la distribuzione di volantini. Continua poi con questa attività<br />
costituendo, nei primi anni Novanta, una ditta propria: «ero responsabile di<br />
dieci persone». In quel periodo Gabriele ha un incidente d’auto che, nella<br />
narrazione, assume la forma di un punto di svolta: «era un periodo che<br />
lavoravo molto, lavoravo in un agenzia di pubblicità, quindi una vita molto<br />
frenetica un po’ mondana, forse... e niente mentre tornavo da Milano, per<br />
lavoro, con un collega sono uscito, diciamo, fuori strada in tangenziale, ho<br />
dato il giro sono andato a sbattere contro il guardrail: mi è andata bene a parte<br />
che ho distrutto la macchina, però forse quello, forse quello è stato l’inizio di<br />
una fase un po’ maniacale, un po’ dormivo poco niente, comunque, a parte<br />
essere investito ho avuto una lesione al tendine sul braccio sinistro comunque<br />
me la sono cavata bene”. All’incidente seguono delle traversie economiche -<br />
Gabriele parla di «dissesto economico» - che lo porta a chiudere la ditta di cui<br />
era titolare. Le ragioni di queste difficoltà emergono tra le righe del racconto<br />
di Gabriele che parla del ricorso ad assegni scoperti e a piccole truffe subite.<br />
In seguito a questi problemi Gabriele denuncia un periodo di amnesia di<br />
circa un mese, seguito da un ricovero in clinica, nel mese di settembre del 1995<br />
(Gabriele ha 25 anni). Dimesso dalla clinica trascorre un anno e mezzo in una<br />
comunità protetta e poi un periodo della medesima durata in una comunità<br />
alloggio. Durante questi tre anni Gabriele segue un corso da elettricista e poi<br />
un corso di Auto Cad: “Così ho ottenuto altre due qualifiche, oltre al diploma”<br />
(una licenza professionale di tecnico elettronico). Nel 1995, mentre era ospite<br />
della comunità protetta, muore la madre per un tumore, cui segue la morte del<br />
padre. Nel 1998 - a 28 anni - lascia la comunità e, incoraggiato dalla psichiatra<br />
che lo aveva preso in carico, riprende possesso della casa con cui aveva vissuto<br />
con i genitori: «ho fatto molta resistenza a tornare qua, in questa casa<br />
[l’intervista si svolge nella casa di Gabriele] comunque mi legava una serie di<br />
ricordi, tipo cioè, io qui vivevo con mia madre mia madre è morta di tumore,<br />
eccetera, eccetera, e poi comunque c’erano dei ricordi del malessere, tipo<br />
deliri, eccetera. Quindi ero molto restio a tornare a casa...». Con il rientro<br />
nella propria abitazione, Gabriele riprende a lavorare con la distribuzione di<br />
volantini, subito dopo riceve la chiamata dell’Ufficio postale per un contratto<br />
a tempo determinato della durata di un mese e mezzo. In seguito lavora per tre<br />
mesi nell’ambito del Progetto Cartesio e poi ancora per quattro mesi alle<br />
Poste. Dopo le Poste chiede e ottiene una borsa lavoro alla cooperativa che<br />
gestiva il progetto Cartesio. Gabriele viene inviato a lavorare in una cartiera<br />
55
56<br />
parte prima<br />
nella quale, tuttavia, non se la sente di fermarsi. “E l’effetto è stato abbastanza<br />
traumatico (...) ho tirato un po’ per due settimane perché comunque era un<br />
lavoro che non rispecchiava le mie aspettative, forse non mi piacevano i<br />
colleghi con cui lavoravo, magari del tipo gente che, comunque, aveva avuto<br />
problemi con la legge, oppure... ma forse neanche tanto quello, magari anche<br />
qualche extracomunitario... non so (...) poi anche era fastidioso... perché si<br />
trattava anche di smistare la carta dai rifiuti quindi, non è che c’era proprio ...<br />
faceva proprio...”. Più tardi Gabriele, che nel frattempo si era iscritto nelle liste<br />
del collocamento speciale, riceve la chiamata della Marelli nella quale - tren -<br />
tenne - inizia a lavorare a tempo pieno nel 2001.<br />
All’inizio Gabriele ha alcune difficoltà: “all’inizio, diciamo, che ho fatto<br />
parecchia malattia (...) c’è stata qualche difficoltà all’inizio ... non sono partito<br />
subito in quarta, diciamo (...) era un’esperienza totalmente nuova perché, pur<br />
essendo diplomato in elettronica, non avevo mai lavorato in quel campo quindi<br />
poi c’era anche da dire, sopportavo poco il fatto che ero sempre chiuso, ho<br />
sempre fatto lavori dov’ero, comunque, ero sempre in giro”.<br />
Superate le difficoltà dell’inizio Gabriele dice di trovarsi bene: «l’anno<br />
scorso ho fatto solo 15 giorni di malattia, praticamente ogni tanto ho qualche<br />
problema di insonnia (...) Diciamo mi sono messo abbastanza in carreggiata,<br />
ho delle responsabilità in più, lavoro, faccio un lavoro da tecnico, anche se<br />
sono inquadrato come operaio; sono riuscito ad ottenere la scrivania dopo un<br />
anno il pc personale [sorridendo soddisfatto]... adesso dovrebbe arrivare il<br />
telefono personale... anche se mi sento ancora frenato, come ambizioni...<br />
perché comunque, per quello che facciamo... secondo me, non è... è uno<br />
stipendio normale, comunque... per quello che facciamo, dovrebbero darci di<br />
più, almeno quello impiegatizio... sono sempre molto ambizioso nel lavoro... e<br />
non sono totalmente soddisfatto del mio lavoro».<br />
Gabriele lavora nel reparto che si occupa della messa a punto dei prototipi:<br />
“Diciamo che noi siamo il settore di ricerca del gruppo, quindi noi facciamo i<br />
prototipi (...) Son contento di non essere in produzione, è già una buona cosa: si<br />
lavora in laboratorio non si ha il fiato sul collo, quindi se vuoi andare a prendere<br />
un caffè, cioè... Ci sono dei ritmi un po’ tranquilli». Degno di nota è un<br />
commento di Gabriele: “Diciamo che, questo lavoro sono arrivato tramite le liste<br />
speciali del collocamento (....) anche se sono stato assunto come invalido civile,<br />
sono sempre stato trattato come una persona...” Gabriele si sente benvoluto dai<br />
colleghi (espressione che tradisce un’autostima vacillante): “Comunque, alla<br />
Marelli non dico che sono sesto livello, però ho a che fare con ingegneri, diciamo,<br />
sono abbastanza ben voluto, posso dire. Poi ci sono alcuni... che si danno un po’<br />
di arie, comunque.. “. Gabriele vive da solo dal gennaio del 1998 e ha dato prova<br />
di sapersi amministrare. Convive con una ragazza da oltre un anno. A proposito<br />
del presente Gabriele osserva: “attual mente sto abbastanza bene... diciamo<br />
normalmente... non uso quasi più farmaci ... a parte qualcosa di molto blando ...”
il paziente psichiatrico<br />
ROCCO ha 47 anni, è nato a Torino da una famiglia originaria del Mez zo gior -<br />
no. Iscritto al liceo scientifico, a seguito di due bocciature, decide di cambiare<br />
percorso di studi e, seguendo un corso serale, consegue il diploma di geometra.<br />
Conclusi gli studi inizia a lavorare, «senza libretti», in diversi studi di<br />
architettura per trovare poi un’occupazione stabile a 26 anni. Inizia un lungo<br />
periodo di stabilità (quindici anni) che si interrompe con l’esordio di un disturbo<br />
psichiatrico severo: «ho avuto un disturbo delirante che sto curando ancora<br />
adesso: sentivo delle voci adesso comunque con la cura sto meglio, non sento più<br />
queste voci». Rocco viene ricoverato e a questa misura farà ricorso almeno altre<br />
tre volte dall’esordio. In quel periodo Rocco perde il proprio lavoro: «Dov’ero<br />
prima sapevano del mio disagio e mi hanno lasciato a casa, perché ero lento (...)<br />
ero troppo lento, ho rallentato i ritmi di lavoro, a un certo punto ho avuto questo<br />
disagio psichico e ho cercato di lavorare coi miei tempi, probabilmente per loro<br />
era troppo poco ehh niente ma comunque c’è stata una concomitanza anche di<br />
una crisi del lavoro. Cioè non son sicuro che m’abbiano licenziato per quel -<br />
lo...secondo me è mancato il lavoro anche...». Al momento dell’intervista Rocco<br />
lavora, da sei mesi, a tempo parziale, in uno studio d’ingegneria civile: “adesso<br />
faccio il disegnatore, faccio il mio lavoro.”. Rocco descrive il lavoro che svolge<br />
come “non sicuro”, il che fa pensare a un contratto a tempo determinato o a un<br />
lavoro in prova. Rocco svolge un lavoro esecutivo, di supporto al gruppo di<br />
lavoro: “Dunque, adesso...attualmente non sto disegnando, mi fanno piegare<br />
delle copie, dei disegni... C’è la macchina che... il plotter che... tira fuori i disegni,<br />
io li rifilo... poi le piego... Se si tratta di fare delle copie, con una macchina<br />
speciale... faccio le copie di questi disegni li rifilo, gli taglio, poi li piego”.<br />
Nel corso dell’intervista Rocco si mostra cordiale ma anche visibilmente<br />
imbarazzato 47 . Emerge chiara, come già visto nel caso di Gabriele, un’incrinatura<br />
nella propria autostima che si mostra nei modi in cui Rocco costruisce il proprio<br />
discorso, seguendo più un script preconfezionato che le sollecitazioni<br />
dell’intervistatore. Rocco intende innanzitutto sottolineare la nor malità della sua<br />
situazione e, al contempo, il fatto che nello studio in cui lavora il suo disagio non<br />
venga considerato: “Comunque tengo a precisare che mi trovo be ne dove lavoro<br />
adesso...sembrerà strano ma il disagio psichico non è con siderato, cioè... mi<br />
hanno accolto con le braccia aperte proprio.” È innanzitutto in questo registro<br />
che è dato di cogliere la debolezza della posizione di Gabriele e di Rocco 48 .<br />
Entrambi mostrano un’incrinatura nella pro pria autostima aperta, nel caso di<br />
Gabriele, dal percorso che ha condotto al l’ac qui sizione del lavoro: “anche se sono<br />
stato assunto come invalido civile, sono sem pre stato trattato come una persona”<br />
e nel caso di Rocco dalla relativa mar gi na lità delle mansioni che gli sono affidate.<br />
2.5.2. Forme di inclusione: il lavoro nel contesto solidale<br />
Questa forma di inclusione coinvolge dieci fra i pazienti interpellati, sette<br />
donne e tre uomini. Tutte queste persone svolgono una lavoro a tempo par -<br />
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parte prima<br />
ziale di pulizia e/o custodia, garantito loro dalla Legge 68 del 1999.<br />
I benefici di questa legge si applicano ai lavoratori cui è stata riconosciuta<br />
un’invalidità civile superiore al 45%. La relativa omogeneità del contesto la vo -<br />
rativo (sono tutte cooperative sociali di tipo B), delle mansioni e del profilo<br />
me dico-legale dei soggetti congiurano nel dipingere come uniforme, grigia -<br />
mente omogenea la compagine dei soggetti qui raccolti 49 . Di fatto le cose stan -<br />
no altrimenti: coabitano nella medesima categoria soggetti che hanno profili<br />
dia gnostici e un rapporto con il lavoro profondamente dissimile.<br />
Per dar conto di questa eterogeneità presenterò il profilo delle due persone<br />
che risultano più distanti fra loro, Noemi e Aldo.<br />
NOEMI ha 39 anni, è nata in provincia di Foggia da una famiglia numerosa.<br />
Ha cinque sorelle e un fratello. La madre lavorava come custode in una mat -<br />
tatoio e si occupava anche dei campi. Il padre, anch’egli contadino, emigra in<br />
Germania per lavoro durante l’infanzia di Noemi. Fin da piccola Noemi, aiuta<br />
la famiglia nei lavori in campagna, cosa che ricorda come un obbligo, come<br />
una costrizione. Il racconto di Noemi contiene molte «fughe», la prima di cui<br />
dà conto avviene quando ha 13 anni: scappa di casa (dal mattino alla sera) con<br />
la sorella più piccola reagendo a una sgridata che riteneva ingiusta. Scappa poi<br />
una seconda volta, più in là nel tempo, per raggiungere una sorella che viveva<br />
a Torino. Vive con la sorella 3-4 anni, ritrovando però - in altra forma - le<br />
costrizioni dalle quali sembra volesse fuggire: “dopo comunque ho capito che<br />
malgrado i miei genitori, la severità, però ho capito che comunque ci volevano<br />
bene, loro ci insegnavano qualcosa. Invece da mia sorella mi imponeva delle<br />
regole più... di pulir la casa, di guardar la bambina, quindi ho detto: qui sono<br />
caduta dalla padella, come si usa dire, nella brace e comunque volevo<br />
riallacciare il rapporto con i miei genitori, mi mancava questa figura materna<br />
e paterna, e non sapevo come fare”. A Torino Noemi conosce l’uomo che<br />
diverrà suo marito e con lui torna in Puglia: “ho incontrato il papà di mia figlia,<br />
quindi mi ha corteggiato e siamo scappati, e ho riconquistato con, di nuovo la<br />
mia famiglia, la mia vita”. Noemi vive per un anno a casa della suocera per poi<br />
trasferirsi nuovamente con il partner a Torino: “dopo visto che comunque non<br />
mi ambientavo più nei paesini, allora sono-sono sono ritornata a Torino, sem -<br />
pre col papà di mia figlia”. Progressivamente i rapporti con il partner si dete -<br />
riorano, e tuttavia decide di restare con lui per non ferire i genitori: “avevo<br />
paura di nuovo di perdere i miei genitori e di dargli un ulteriore dispiacere,<br />
perché comunque quando io sono scappata insomma non è stato bello anche<br />
per i miei genitori il mio atto, anche se io comunque mi sono ribellata a delle<br />
regole di vita che non accettavo, però capivo anche il dispiacere che gli ho<br />
provocato e quindi non volevo recargli un ulteriore dispiacere.”.<br />
In seguito Noemi si sposa, ha una figlia e, insieme al marito, compra casa,<br />
vivono insieme ma “le cose non andavano fra noi due e quindi gli ho detto di<br />
far una vita comunque separati in casa e di crescere la bambina”. Noemi
il paziente psichiatrico<br />
colloca l’esordio della propria malattia nel 1992 (aveva allora 28 anni) in una<br />
fase della propria vita caratterizzata da numerosi impegni familiari, di lavoro e<br />
di studio. In quel periodo subisce un incidente d’auto che Noemi legge come<br />
la goccia che fa traboccare il vaso: “mi sono ammalata, nel-nel 92, la prima<br />
volta sono stata male, quindi... anche perché dopo avevo scelto di fare un<br />
lavoro faticoso: prima di ammalarmi io ho lavorato 5 anni in una birreria di<br />
notte e quindi era un lavoro comunque sacrificato, molto, che richiedeva<br />
sforzi; la mattina portavo la bambina a scuola, quindi questi sforzi qua, poi io<br />
studiavo, andavo a prendermi la patente del pullman, avevo delle attività molto<br />
che impegnavano le mie energie; alla fine, insomma, è avvenuto un incidente,<br />
ho avuto un incidente in macchina, dovuto secondo me alla stanchezza, perché<br />
il fisico alla fine gli chiede, e quindi mi sono, ho avuto una frattura al femore:<br />
questa cosa mi ha buttata veramente giù, ma non all’inizio, perché all’inizio i<br />
dottori: sei giovane, guarisci in fretta, io dopo un anno vedevo che non avevo<br />
risultati, perché io avevo raggiunto dei miei sogni, stavo realizzando, quindi mi<br />
ero presa la patente del pullman, volevo prendermi quella da istruttrice, perché<br />
avevo già insegnato anche a guidare, però... non ce l’ho fatta; ho detto: boh, i<br />
miei sogni sono finiti, e iniziare di nuovo, ho detto, non ne ho più la forza;<br />
almeno questo era quello che pensavo io, e quindi...quest’incidente in un anno<br />
sono andata anche fare sport, a fare terapia, ma dopo vedevo che comunque<br />
zoppicavo, questa cosa mi ha, mi ha buttata giù”. Due mesi puù tardi muore il<br />
padre, con il quale Noemi aveva di recente riallacciato i rapporti: “avevo già<br />
raggiunto in quegli anni un buon rapporto con mio papà, devo dire eh, si era<br />
stabilito come qualcosa di positivo, perché io dopo riuscivo a parlargli, a dirgli<br />
le mie emozioni, le cose che non andavano con mio marito...”.<br />
Al racconto degli eventi esterni si accompagna quello degli eventi interni<br />
che Noemi descrive come l’accumularsi di rimorsi per i dispiacere arrecato alle<br />
persone che le erano care: “Questi dispiaceri accumulavano comunque dei ran -<br />
cori nella mia sensibilità affettiva, questo è importante dirlo, e col passare del<br />
tempo quindi io combinavo sempre errori su errori, non riuscivo a... co mun -<br />
que a concludere qualcosa di positivo nella mia vita...” .<br />
Noemi colloca l’esordio della propria patologia (o la sua espressione più<br />
nitida) a ridosso di una visita al paese nel quale era cresciuta: «quando sono<br />
ritornata al paese, non credevo che mio padre non ci fosse più (...) e iniziavo a<br />
dire delle cose strane, dicendo: mio padre non è al cimitero ma ritorna, è nei<br />
campi, adesso ritorna; quindi non accettavo, una parte di me si era allontanata<br />
dal la realtà e quindi poi...ehm...ho iniziato a star male e quindi mi sono divisa.<br />
Mi è capitata la Bibbia tra le mani, questo ha influito anche nella-nella mia<br />
malattia perché la Bibbia dice il paradiso terrestre, si ricomincia vivere, forse<br />
vi vono in paradiso, che ne so, tutte sensazioni che comunque in quel momento<br />
si divide una parte di te che va fuori dalla realtà, e quindi ho iniziato a cono -<br />
sce re i Servizi di Salute Mentale». La crisi di Noemi assume la forma di un<br />
delirio persecutorio: “per un po’ pensavo che fossero state le altre persone a<br />
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60<br />
parte prima<br />
condurmi in quella situazione, quindi davo la colpa al papà di mia figlia, perché<br />
è lui che mi ha portato la prima volta, quindi io accusavo queste persone”.<br />
Noemi viene dapprima ricoverata al Servizio di Salute Mentale di Ancona e<br />
poi inviata ai Servizi di Torino. L’impatto, ad Ancona, con il servizi fu trau -<br />
matico: “all’inizio, il primo giorno mi sembrava una cosa irreale, perché io non<br />
sta vo bene, lo capivo, quindi non bello, perché le posso dire che...ho avuto tan -<br />
ta paura, ehm...penso che non capivo neanche io dove mi trovavo e il perché,<br />
pensavo solo che il papà di mia figlia mi avesse portato in un posto per liberarsi<br />
di me; però io ho accettato di stare là, perché dicevo: qui sto meglio da molte<br />
altre parti; forse una parte di me capiva che forse lì potevano aiutarmi, però era<br />
talmente tanta la rabbia che avevo dentro, queste sensazioni brutte, che ero<br />
stata addirittura insomma legata”. Noemi tenta il suicidio e in seguito viene<br />
ricoverata, per sei mesi, al Fatebenefratelli di S. Maurizio Cana vese: “ero pro -<br />
prio, insomma, ridotta veramente male, che addirittura un dottore di là ha det -<br />
to: per lei è finita, cioè resterà per sempre così”. In quel periodo Noemi non è<br />
soddisfatta della psichiatra che l’ha presa in carico, non sopporta i farmaci che<br />
le prescrive e, più in generale, non ha con lei un buon rapporto: “con la<br />
dottoressa che avevo, che mi era stata assegnata, non riuscivo a comunicare,<br />
perché succede che un paziente-può succedere...”. Subisce poi un ricovero a<br />
Villa Cristina e, in quell’occasione incontra un medico che le dà ascolto e le<br />
prescrive una terapia che Noemi ritiene più congeniale: “lui mi ha cambiato la<br />
terapia, io gli ho spiegato tutto, e lui riusciva a capirmi, ha... e riusciva anche a<br />
spiegarmi, che cosa mi potevano servire, mi riusciva a capire che dovevo fare<br />
una vita più equilibrata, degli orari, lui mi spiegava, questa è la cosa fon da -<br />
mentale.”. In occasione di un successivo ricovero, al Maria Vittoria, Noemi<br />
viene presa in cura da uno psichiatra che affronta l’altro corno del rapporto<br />
terapeutico di Noemi, e si impegna affinché a Noemi venga assegnata un altro<br />
medico: “e lui mi ha ascoltata, mi ha cambiato la dottoressa, io gli ho detto che<br />
non riuscivo, vuoi che magari ero arrabbiata perché è stata la prima ad avere<br />
nella mia vita, la prima che comunque ha colto nella mia malattia, quindi<br />
potevano es sere tanti i fattori, non è solo il fattore che io dico che quella noncioé<br />
che quel la dottoressa non sapesse fare il suo lavoro, io dico solo che non<br />
venivo ascol tata e anche solo di cambiare il dottore per me forse voleva dire<br />
una cosa im portante...”. Superato quest’ultimo ostacolo Noemi inizia a<br />
frequentare con mag gior assiduità il CSM: “E dopo, quindi ho ricominciato a<br />
andare di nuovo al Centro con la nuova dottoressa, certo anche con questa<br />
dottoressa mi sono do vuta far conoscere, non le dico che anche degli impatti<br />
sono stati-però io già riu scivo ad avere il coraggio di farmi conoscere e di fargli<br />
capire come ero, questo sì. E quindi avevo allacciato i rapporti con il Centro<br />
di Salute Mentale, mi sono iniziata a fidare di loro, era una cosa reciproca”.<br />
Appena possibile Noemi riprende a lavorare, combinando in rapida suc -<br />
cessione un lavoro in un’impresa di pulizie, un breve periodo, come venditrice<br />
per la Tapperware (vendita a domicilio di contenitori in plastica), un impiego
il paziente psichiatrico<br />
nei supermercati: “Ho trovato lavoro poi come merchandising nei super mer -<br />
cati, quindi ho lavorato a caricare le merci” La gravosità del lavoro (carico ed<br />
ora rio) muovono Noemi a cercare un’altra soluzione; si rivolge all’assistente<br />
sociale del CSM che dapprima le offre l’opportunità di seguire un corso pro -<br />
fessionale come aiuto-magazziniere e poi le fa avere un posto come cantierista<br />
a Palazzo Città, con uno stipendio dignitoso (“un milione e due, un milione e<br />
quattro”). “Sono capitata fortunatamente in ragioneria, a Palazzo di Città (...)e<br />
lì avevo tre ore di lavoro, dovevo svolgere al mattino, in ufficio, ai valori<br />
bollati. Sono stata benissimo. E... l’ho svolto bene, addirittura poi la dirigente<br />
che mi ha conosciuto, loro non sapevano niente, né se io fossi stata male, né da<br />
dove arrivavo, loro hanno avuto la chiamata che io mi sono presentata lì al<br />
mattino, loro quindi non sapevano da dove io venissi. Sono riuscita a svolgere<br />
bene il mio lavoro e addirittura mi ha aumentato le ore”.<br />
I rapporti di lavoro sono buoni, salvo con una dirigente che tende ad<br />
attribuirle funzioni di poco conto. Noemi non accetta questa situazione e<br />
riesce ad imporre la sua volontà: “sono riuscita a farmi capire, a stare bene con<br />
loro e... quindi mi sentivo anche capita, perché riuscivo anche a trovare un<br />
dialogo, anche se ad esempio con una responsabile di-di un ufficio, ehm,<br />
all’inizio abbiamo avuto anche dei battibecchi, perché io gli volevo far capire<br />
che noi eravamo delle persone, anche se eravamo esterni, dei Cantieri,<br />
volevamo imparare il lavoro e ci doveva trattare come tale, quindi senza ste-ste<br />
cose che tu vieni-devi iniziare dall’inizio, de-de-de, cioè non una gavetta, ma lì<br />
facevano delle cose anche brutte fra di loro, perché quando tu entri là, ti fanno<br />
credere delle cose-come se tu non sei all’altezza, quindi devi imparare, magari<br />
ti mandano a fare dei lavori più brutti che a loro non piace fare, che comunque,<br />
ho detto, a me piacevano, anche se faccio le fotocopie o vado sotto a prenderti<br />
un mandato, però io so-sono anche in grado di svolgere altre mansioni. E sono<br />
riuscita poi a farmi capire, anche se in uno dei rapporti con questa persona<br />
abbiamo litigato, ma io dopo come persona sono riuscita a chiedergli le mie<br />
scuse e lei le ha capite, lei mi ha dato le sue, è riuscita a capirmi.” Conclusa<br />
l’esperienza del Cantiere Noemi lavora per un mese alla consegna dei giornali<br />
per un giornalaio conosciuto nel periodo dei Cantieri. In seguito Noemi<br />
svolge, per poco meno di due mesi, un non meglio qualificato lavoro “con il<br />
ca mion della pubblicità (...) che guidi con la B, quelli della pubblicità.<br />
Ho lavorato quasi per due mesi, però anche lì non eri a posto con i libretti,<br />
8 ore erano tante comunque per me”. In ultimo, attraverso il CSM, le viene<br />
of ferta l’opportunità di un lavoro come bidella in una scuola elementare, in so -<br />
sti tuzione di una persona in maternità. Noemi inizia il lavoro di bidella<br />
nell’ottobre del 2002: «adesso sono in una scuola elementare europea, le in -<br />
segnanti magari non sanno, o se lo sanno da altre vie non lo so francamente<br />
non mi interessa, sono contenti anche i bambini. Loro sanno che sto sosti tuen -<br />
do una ragazza in maternità. 2005, mi dicevano, noi vogliamo te. Questo per<br />
me è importante, anche le insegnanti: “ah, Noemi, con lei ci troviamo bene,<br />
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parte prima<br />
lei è precisa”. E... mi trovo benissimo». Noemi mostra una consapevolezza e<br />
un senso critico non comuni. Lo mostra nelle interviste e lo conferma nelle<br />
modalità d’interazione assunte nel corso del focus group. Noemi sembra<br />
consapevole dei propri limiti ma soprattutto delle proprie possibilità. Quello<br />
di Noemi è il racconto di una vittoria, della riconquista del proprio sé.<br />
L’aspetto più rilevante della testi monianza di Noemi è la sua scelta - per così<br />
dire - di «ascoltare il proprio demone», di imparare a leggere i segnali che il<br />
suo corpo e la sua mente le inviano, piuttosto che annichilirli, cancellarli.<br />
Questa capacità le consente di acquisire un controllo sui propri sintomi che<br />
va al di là di quello consentito dai farmaci (a cui ha fatto ampio ricorso). Questa<br />
capacità di ascolto - reale o immaginaria che sia - porta Noemi a lasciare un<br />
lavoro prima che subentri la crisi, la porta a cogliere i propri limiti e a fare in<br />
modo di non valicarli.<br />
Un altro episodio della vita di Noemi consente di qualificare ancor meglio<br />
il suo atteggiamento verso la malattia mentale. Nella fase ancora critica della<br />
propria vicenda sanitaria, Noemi frequenta un gruppo di persone al di fuori<br />
della cerchia psichiatrica e in quel periodo subisce due ricoveri. Ricoverata<br />
Noemi decide di confidare i propri problemi, prima a un’amica e poi all’intero<br />
gruppo (una sorta di coming-out). “Nel momento, quando io iniziavo a star<br />
bene però ancora la mia malattia era molto forte. Io ero in uno stato ad<br />
esempio di euforia, l’euforia avevo tanta energia, quindi ho incontrato una<br />
comitiva, son riuscita a formarla un-una comitiva, mi cercavano, io uscivo con<br />
loro, tutto quanto quindi loro mi vedevano come una persona speciale, che<br />
riusciva ad organizzare, perché questo fa parte anche del mio carattere, no? E<br />
quando io uscivo con loro a ballare, tutto quanto, era tutto bene, però in uno<br />
dei miei ricoveri, no? una mia amica del gruppo io l’ho chiamata, e le ho detto<br />
che ero in clinica, dico però non ti spaventare, insomma, e lei è venuta, la cosa<br />
che mi ha consigliato è di non dire niente agli altri. Poi io poi sapevo che<br />
comunque era un giro di parole che se ne parlava, però loro all’inizio non<br />
facevano-facevano finta di niente di questa situazione. Dopo un annetto, due,<br />
che ho avuto un altro ricovero, io li ho chiamati tutti e gli ho detto che ero in<br />
una clinica, ero al Mauriziano”.<br />
ALDO ha 34 anni è nato in Piemonte, così come il padre, bergamasche sono<br />
invece le origini della madre. Il padre, da poco deceduto, lavorava come ope -<br />
raio in Fiat, la madre lavorava come colf. I rapporti fra i genitori erano pes -<br />
simi, alle tensioni familiari la madre reagiva ora allontanandosi, ora con ripe -<br />
tuti tentativi di suicido, cui Aldo e la sorella si trovano costretti a fare espe -<br />
rienza sin dall’adolescenza: “La prima volta che se ne è andata facevo la quin -<br />
ta, dieci anni. Poi ha convissuto con un uomo per tre o quattro anni poi è tor -<br />
nata... diciamo è tornata per noi [i figli] e poi è andata a vivere via un’altra vol -<br />
ta”. Aldo racconta di aver sofferto intensamente per questi continui abbandoni,<br />
cui lega l’esordio del suo disturbo che colloca attorno al 1990, quando ha 20
anni. “Sono andato fuori di testa quello me lo ricordo che non ho dormito per<br />
una settimana e mi ero messo in testa delle cose che non esistevano. Mi ero<br />
messo in testa che il vicino sopra ci rubava la corrente. Sono salito alle due di<br />
notte e volevo alzargli le mani. Mi ero messo in testa che i miei mi av vele na -<br />
vano, mi davano da mangiare la roba surgelata che...mi ero messo in testa delle<br />
cose che poi ho capito che non esistevano. Per una settimana non ho dormito,<br />
ero proprio....attaccavo...mi attaccavo con tutti per una cavolata proprio...forse<br />
anche perché non riuscivo a dormire infatti di notte proprio stavo sveglio, davo<br />
fastidio poi i miei allora si sono rivolti in Via Negharville. La prima volta che<br />
ci sono andato volevo spaccare tutto i miei volevano chiamare un ‘autoambu -<br />
lan za ma io non ho voluto, me la sono fatta a piedi. Appena sono arrivato<br />
volevo spaccare tutto, ero contro tutti, contro tutto. Mi hanno fatto un’i nie -<br />
zio ne per calmarmi ma mi hanno fatto ancora più agitare, mi hanno cercato di<br />
cal marmi poi so che è arrivata l’auto-ambulanza mi sono venuti a prendere da<br />
Via Negharville e mi hanno ricoverato la prima volta. Lì dentro... appena sono<br />
andato al repartino la prima volta... mi avevano riem pito di farmaci proprio<br />
però ce l’avevo contro i miei genitori che mi ave vano messo in quel posto eh...<br />
poi ho capito che mi hanno aiutato, mi venivano a trovare quelli del Centro e<br />
sono andato per la prima volta... ho frequentato il Centro Diurno”. La gravità<br />
della crisi induce la madre di Aldo, di lì a poco, a ritornare in famiglia per<br />
occuparsi del figlio, cui ora è legata da un rapporto simbiotico. Dalle interviste<br />
non emerge alcuna esperienza lavorativa prima della crisi, Aldo interrompe gli<br />
studi conclusa la scuola dell’obbligo e resta a lungo disoc cupato. Al lavoro Aldo<br />
si avvicina attraverso la mediazione del Centro di Salute Mentale e<br />
dell’Associazione Arcobaleno con la quale inizia un lavoro di manu ten zione<br />
nelle aree verdi. In seguito, dopo alcuni brevi corsi di formazione, Al do trova<br />
lavoro in una Cooperativa sociale dapprima come addetto sala e poi co me<br />
addetto alle pulizie. Aldo appare, almeno ai miei occhi, come una per sona<br />
fragile, un giovane massiccio dai modi garbati, estremamente dolci. Nel suo<br />
lavoro - lo dicono i colleghi e i superiori - Aldo mostra un impegno notevole,<br />
con il quale compensa largamente la più modesta capacità di ini ziativa di<br />
autorganizzazione del lavoro. Nella cooperativa di cui è socio Aldo ha trovato<br />
un contesto di lavoro e, soprattutto, un ambiente umano nel quale la sua<br />
fragilità non è minacciata, nel quale ha modo di dare il meglio di sé.<br />
2.5.3. Forme di esclusione: rifiuto<br />
il paziente psichiatrico<br />
La forma di esclusione etichettata come rifiuto raccoglie tre casi, tutti disoc -<br />
cupati, che con argomentazioni persuasive e muovendo da una lucida consa -<br />
pevolezza della loro condizione di salute si oppongono a una dispo si zio ne<br />
condivisa nel senso comune che individua nel lavoro di stampo fordista la sola<br />
forma possibile di integrazione sociale. A questa disposizione viene opposta la<br />
preferenza per forme di impegno sociale, quali il volontariato e per attività di<br />
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64<br />
parte prima<br />
tipo artistico, creativo, praticate con tempi e modi autodeterminati in accordo<br />
con il proprio stato di salute, abbracciando la scelta di una frugalità volontaria.<br />
A questa prima forma di esclusione, fatta di dignità e sorretta da “buo ne<br />
ragioni” (nel senso boudoniano) si posso ricondurre le storie di Adriano,<br />
Edoardo e Dalia.<br />
ADRIANO ha trentun’anni, nato a Torino da una famiglia operaia, incontra<br />
la psichiatria in età precoce e lungo un itinerario dolorosamente singolare. A<br />
quindici anni, in seguito a un grave incidente sportivo, cade in coma per tre<br />
mesi. Il risveglio - inatteso - sorprende tanto i medici quanto i familiari. La<br />
ripresa è, tuttavia, di breve durata: durante la riabilitazione Adriano inizia a<br />
mostrare i segni di uno scompenso che attira l’attenzione degli psichiatri.<br />
Forse sollecitato dalla lettura - strettamente metaforica 50 - di una prognosi<br />
sorprendentemente fausta: in molti lo definiscono “un miracolato”, Adriano<br />
diviene vittima di un delirio religioso, diretto a conferire senso al suo essere in<br />
vita, un senso non ancora del tutto ricostruito: «è stato tutto un errore, una<br />
bufala, sono cosciente perché non lo so, adesso sono qua e sto qua però temo<br />
che [Dio] abbia sbagliato a farmi vivere (...) perché per lasciarmi qua e lasciarmi<br />
solo tanto valeva la pena di farmi andare dall’altra parte...».<br />
Uscito dal coma, Adriano prova - senza successo - a riprendere gli studi. La<br />
ridefinizione dei suoi progetti di vita, difficile e dolorosa, è appesantita da una<br />
lunga serie di ricoveri coatti (TSO). A Ventun’anni Adriano viene accolto in<br />
comunità riabilitativa nella quale soggiornerà per circa quattro anni ricon qui -<br />
stando un buon equilibrio. Il difficile rapporto con i genitori che - dice A dria -<br />
no - hanno stentato e stentano ad accettare la sua condizione («credo che per<br />
loro l’incidente è stata la mia morte: non mi accettano»), suggeriscono la<br />
ricerca di una sistemazione abitativa autonoma, ottenuta dap pri ma in una<br />
pensione e, recentemente, in un piccolo appartamento indi pen den te.<br />
Più difficile si mostra invece l’avvio al lavoro, condotto con l’inserimento<br />
ora in Cantieri di lavoro, ora in cooperative sociali: «scappavo sempre, non ce<br />
l’ho fatta, stavo male, stavo male: non riuscivo ad affrontare la situazione...».<br />
Le difficoltà di Adriano riguardano innanzitutto la continuità, la capacità di<br />
piegare il proprio mutevole stato di salute ai ritmi mai sufficientemente fles -<br />
sibili del lavoro organizzato: «la mattina magari mi sveglio e mi sento svuotato<br />
e non ho la forza di alzarmi dal letto e allora non mi alzo, non vado al corso,<br />
non vado a lavorare e non vado da nessuna parte. Questo però è un problema<br />
che crea altri problemi però....».<br />
Queste difficoltà alimentano le tensioni con i genitori, in difficoltà a<br />
comprendere lo stato d’animo del figlio in una chiave diversa da quella<br />
immediatamente disponibile della pigrizia (vedi Contini, Lalli e Merini 1991:<br />
cap. 6) o dell’inettitudine appresa 51 . Alle ragioni di un’etica del lavoro, che i<br />
genitori di Adriano hanno assorbito e nutrito negli anni del boom economico,<br />
il figlio contrappone le proprie ragioni, fondate sulla propria consapevole
il paziente psichiatrico<br />
diversità, sulla propria personale storia di vita: «quelli che sono nati negli anni<br />
Sessanta, che hanno visto il lavoro - come i nostri genitori - come unica so lu -<br />
zio ne di condizione di vita e che dovevano lavorare, lavorare, non vedono<br />
[altro] per il figlio e la figlia ...». Il lavoro non è il centro della vita di Adriano<br />
che ha imparato a ricercare altrove le vie di una personale autorealizzazione.<br />
Al lavoro, almeno a quello che hanno in mente per lui i suoi genitori,<br />
Adriano contrappone la poesia, come forma di scrittura e anche come forma di<br />
vita. Dal viaggio soffocante nel mondo della religione Adriano è riemerso<br />
conservando una disposizione che è insieme spirituale e poetica, la capacità di<br />
cogliere il divino nelle piccole cose quotidiane: «senti qualche cosa che ti nasce<br />
da dentro, qualche cosa di diverso che ti nasce dall’osservare una cosa se riesci<br />
ad aprire lo sguardo e senti che il tuo occhio si apre come se osservare una cosa<br />
anche di morto vedessi qualche cosa di vivo lì dentro». L’impegno nella<br />
scrittura è quello che meglio si concilia con le variazioni del suo stato d’animo<br />
e che meglio gli consente di esprimere la propria creatività che, nell’intervista,<br />
lega alla figura di Boccadoro del noto romanzo di Herman Hesse. A ciò<br />
Adriano lega un’altra forma di impegno, di nuovo discosta dal lavoro, il servi -<br />
zio di volontariato di prima accoglienza per i senza fissa dimora, attività nella<br />
qua le trova espressione la sua vocazione religiosa alla carità. All’obiezione -<br />
ineludibile - della scarsa o nulla redditività di queste attività Adriano contrap -<br />
po ne una scelta volontaria di frugalità e il progetto di integrare la modesta<br />
pen sione di invalidità di cui dispone con i quattrini che attende dal l’as sicu ra -<br />
zione quale risarcimento per i danni provocati dall’incidente nel quale è stato<br />
coinvolto. L’atteggiamento di Adriano ha molti punti di contatto con quello<br />
espresso in modo meno naif dal più maturo Edoardo.<br />
EDOARDO ha 46 anni, è nato a Torino da una famiglia benestante, colto e<br />
acuto apre il racconto della pro pria vita indicandone la chiave nel cam bia -<br />
mento, nella necessità - ripetuta - di ridisegnare la traiettoria della propria vi -<br />
ta perturbata dall’irrompere del di stur bo psichico: «il mio problema fonda -<br />
men tale è stato dovere riprendere più volte ricominciando da capo. Solo che<br />
questo significa, magari, per alcuni ri pren dere da capo il lavoro, invece per me<br />
è stato riprendere da capo la vita, in sen so totale. Perché ho avuto delle crisi,<br />
disturbi psichiatrici, quindi questo mi ha portato a dover ricominciare da<br />
capo». La necessità di cambiamento si profila la prima volta a ridosso della<br />
con clu sione del servizio militare; che Edoardo porta a termine a 25 anni, in -<br />
ter rom pendo i propri studi universitari. Edoardo affronta la crisi rivolgendosi<br />
a un am bu la torio privato, dal quale non ottiene alcun giovamento, ma anzi un<br />
radicale de te rioramento del suo stato di salute che si riflette in deperimento fi -<br />
sico che lo condurrà al ricovero. Superata la crisi Edoardo apre uno studio gra -<br />
fico, dando inizio a un’attività che gli consente di mettere a frutto quanto ap -<br />
preso nelle aule dell’università. Il lavoro procede bene per alcuni anni, su ben -<br />
trano poi alcune difficoltà che inducono Edoardo a chiudere lo studio. Nel<br />
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parte prima<br />
me desimo periodo Edoardo perde il padre cui era molto legato. Al lavoro nello<br />
studio grafico segue poi un’altra attività che, dalla descrizione resa, sembra<br />
meno congeniale agli interessi e alle competenze di Edoardo. Per tre anni la -<br />
vora in un’agenzia immobiliare, sino a quando - per la seconda volta - l’ir -<br />
rompere del disagio psichico lo indurrà a ridefinire la propria vita.<br />
La crisi sopraggiunge quando Edoardo ha trentasei anni. Edoardo viene<br />
rico ve rato in un reparto psichiatrico e, dopo una lunga degenza viene dimesso.<br />
La ricostruzione del sé avviene, questa volta, in uno scenario diverso:<br />
Edoardo è ospite per poco meno di quattro anni di una comunità rurale, ca rat -<br />
terizzata da una non meglio definita vocazione riabilitativa. La comunità vie -<br />
ne descritta come un luogo governato da regole ferree e improntato al duro<br />
lavoro: «ci facevano fare un sedere da cani, cioè io crollavo la sera sul letto in -<br />
som ma tutti i giorni perché facevo lavori duri, ma a un certo punto ho deciso<br />
di pro vare a fare, visto che comunque avevo questo retroterra di situazione<br />
difficile a casa, di vedere se mi serviva, tanto per non pensare troppo perché se<br />
no sarebbe stato veramente difficile, e poi di provare a, per la prima volta, io<br />
non l’avevo fatto mai, ad usare le braccia, lavoro manuale, muratore, però in -<br />
som ma mmmh si lavorava sotto la pioggia sempre, sotto la neve, sotto, senza<br />
nessun sistema di sicurezza». Edoardo serba, tuttavia, un buon ricordo di<br />
questa esperienza, letta in un registro quasi spirituale, nel quale la disciplina<br />
del corpo diviene lo strumento di ricostruzione del proprio equilibrio inte rio -<br />
re: «il buddhismo zen, è la stessa cosa. Io a un certo punto ho deciso di mi su -<br />
rar mi, cioè mettermi alla prova, quindi mettere da parte tutte le cose e di rico -<br />
min ciare (...) Non so neanche spiegare in realtà molto bene come viene in un<br />
si stema organizzato da un sistema mistico-religioso o qualche cos’altro, pe rò<br />
la logica è la stessa: il punto primo è cercare di dimenticarsi tutto quello che<br />
sai e cercare di imparare qualche cosa». L’esperienza in comunità si chiude<br />
quan do Edoardo, provato anche dalla morte improvvisa del fratello minore e<br />
di un caro amico, sente di non poter più sostenere i ritmi di vita e la privazione<br />
del la libertà che gli venivano imposte.<br />
Edoardo si allontana dalla comunità, fugge - come dice lui stesso - facendosi<br />
ricoverare in un “repartino” psichiatrico: «sono tornato a Torino sono arrivato<br />
al Martini perché mi son fatto portare in ambulanza perché praticamente sono<br />
fug gito, una fuga quasi autorizzata». Rientrato a Torino, Edoardo prende carta<br />
e penna e scrive al primario della propria ASL, cui illustra la propria situazione<br />
e chiede che gli venga offerta un’alternativa alla comunità. La sua richiesta vie -<br />
ne accolta: ad Edoardo - allora quarantenne - viene proposta una siste ma zione<br />
abi tativa autonoma in una casa dell’ASL di cui dispone ancora oggi.<br />
Tornato in città, Edoardo prova a riavvicinarsi al mondo del lavoro e, questa<br />
volta, lo fa percorrendo i canali proposti dal Servizio di Salute mentale: can -<br />
tieri di lavoro e lavoro nelle cooperative sociali. Questi tentativi sono destinati<br />
all’in successo. Ciò dipende, innanzitutto, dallo scollamento fra of ferta e do -<br />
man da, fra il profilo dei lavori che gli sono proposti e le compe ten ze e le aspet -
il paziente psichiatrico<br />
tative di Edoardo. Su questo aspetto il giudizio di Edoardo è deci sa mente cri -<br />
tico: «penso che chi è entrato in questo sistema [allude al circuito del la psi -<br />
chiatria] non lavora più, cioè insomma, è totalmente bruciato. Poi ci sono altre<br />
opportunità che sono quelle, insomma, o di chi è già nel mondo del la voro e<br />
quindi o di ritornarci ma con qualche difficoltà oppure se c’è già ben per lui.<br />
Chi deve entrare nel mondo del lavoro, perché ha fatto uno stop lungo co -<br />
me nel mio caso (...) penso che sia veramente molto difficile, l’alternativa delle<br />
cooperative è veramente una cosa vergognosa; e tutte le opportunità di la voro<br />
sono sfruttamento».<br />
In modo alterno, in tutti questi anni, Edoardo ha coltivato la propria pas -<br />
sione per la pittura e - si può dire - con buoni risultati. Ed è la pittura il lavoro<br />
di Edoardo, un lavoro che più di altri si concilia con le oscillazioni del suo stato<br />
di salute, che meglio riesce ad armonizzarsi con i suoi ritmi di vita, un lavoro<br />
che innanzitutto una passione: «non smetterò di dipingere, anche se non avrò<br />
suc cesso, anche se per vivere dovrò fare il lavapiatti». Questa attività, dal red -<br />
dito incerto, viene preferito - senza tentennamenti - ai lavori che più co mu -<br />
nemente si prospettano ai pazienti psichiatrici, perlopiù ai sensi della legge 68<br />
sul l’inserimento agevolato dei disabili psichici. Degno di nota, al riguardo, è<br />
l’at teggiamento di Edoardo nei confronti delle tutele offerte da questo dispo -<br />
si tivo giuridico: Edoardo pensa - non sempre a proposito 52 - che lo status di in -<br />
valido sia stigmatizzante e che il farvi ricorso abbia più in con ve nienti che van -<br />
taggi: «sei fregato per sempre. Cioè in realtà sei invalido men tale, cosa puoi<br />
fare? L’usciere. (...) io penso che sia meglio non averla co munque è pericolosa<br />
per altri motivi, anche legali; guarda che un invalido può a vere un tutore, non<br />
può avere figli, insomma lasciamo perdere; meglio non a verla ...». La pittura<br />
insieme a una scelta di frugalità stanno alla base del ri fiuto di Edoardo verso i<br />
“lavori del circuito della psichiatria”, una scelta che ri po sa altresì sull’attesa del<br />
riconoscimento di una pensione di reversibilità su cui con ta per sbarcare il<br />
lunario. La pittura costituisce l’alternativa al lavoro convenzionale anche per<br />
Dalia, ma con un’aggiunta che, ancora una volta segnala una specificità di<br />
genere.<br />
DALIA ha 32 anni e da dodici convive con un disturbo psichiatrico severo.<br />
Dalia - si ricorderà (vedi par. 2.1) - ha un figlio di cinque anni che ancor più<br />
della pittura costituisce il centro della sua vita, e lui che le «dà la carica». Il suo<br />
atteggiamento nei confronti del lavoro, critico, ma meno intransigente rispetto<br />
a Edoardo e Adriano, poggia su due pilastri: la profonda vocazione alla ma ter -<br />
nità e la passione per la pittura. Dalia, che non avuto esperienze profes sionali<br />
prima dell’esordio del proprio disturbo, ha un orientamento verso il lavoro<br />
schiettamente strumentale: il lavoro - in specie quello di cui ha fatto esperienza<br />
nei circuiti della psichiatria, è lo strumento con il quale si accede a un reddito,<br />
nulla di più. Inoltre il lavoro può essere anche fonte d’angoscia, di tensione,<br />
sensazioni che non l’accompagnano nella cura del figlio o nella pittura: «se -<br />
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68<br />
condo me il lavoro può crearti anche angoscia, perché lavorare non è poi così...<br />
Cioè è entusiasmante, però alzarsi presto e fare tutti i giorni la stessa cosa può<br />
crearti anche momenti in cui magari dici: “ma non è adatto a me”, oppure “ho<br />
paura, sto facendo qualcosa di cui ho paura”. Alle affinità descritte sin qui si<br />
aggiunge per Adriano, Edoardo e Dalia, un comune atteggiamento nei confronti<br />
della psichiatria. Con differenti sfu ma ture, tutti e tre avanzano riserve sul lavoro<br />
e, soprattutto, sul potere della psi chiatria. Edoardo dice a chiare lettere di non<br />
credere nella diagnosi, rico no scen done l’arbitrarietà e il potere stigmatizzante.<br />
Ancora più esplicita Dalia che parla degli psichiatri come persone - loro sì -<br />
disturbate e compiaciute del po tere che è dato loro esercitare sui pazienti.<br />
2.5.4. Forme di esclusione: disinvestimento<br />
parte prima<br />
La seconda forma di esclusione, etichettata come disinvestimento, raccoglie<br />
sette storie, tra le quali è possibile mettere ordine a partire dal genere del nar -<br />
ratore: sei donne e un uomo. Per le donne il disinvestimento si lega all’adesione<br />
al ruolo tradizionale femminile espresso ora dalla figura della don na di casa, nel<br />
ruolo ora di moglie e madre, ora di care giver. La versione ma schi le del<br />
disinvestimento trova espressione in una scelta di frugalità com pa tibile con le<br />
scarse disponibilità economiche che derivano dalla pen sione di in va lidità. Il disin -<br />
vestimento- nelle due versioni - viene presentato come una scel ta e tale appare<br />
(sal vo alcuni slittamenti semantici) nelle nar razioni rac col te. Tuttavia, la dif -<br />
ferenza di accenti che separa questa forma di esclu sione da quella definita più so -<br />
pra come rifiuto, fa pensare, almeno in alcuni casi alla fa vola della volpe e dell’uva<br />
acerba, mostrando l’insoddisfazione che si cela dietro la scelta di disinvestimento.<br />
Un esempio, al femminile, di questa di sposizione è costituito da Marta.<br />
MARTA è nata a Torino trentadue anni fa, ha una sorella e un fratello più giovani<br />
entrambi sposati. Marta non è sposata e vive in famiglia. L’esordio della malattia è<br />
precoce, quando Marta, diciassettenne, frequenta il terzo anno delle superiori.<br />
Marta ricorda difficoltà crescenti in una materia e, soprattutto, nel rapporto con<br />
l’insegnante che ne impartiva le lezioni. A scuola il suo disa gio non viene rico -<br />
nosciuto come tale: Marta, più volte convocata dal preside, viene rimproverata per<br />
la sua poca voglia di studiare: «il preside diceva che mi dovevo svegliare! Andavo in<br />
presidenza, mi mandavano in presidenza per ché non avevo studiato...». A queste<br />
difficoltà se ne aggiungono altre che con fi gurano un disturbo psichiatrico severo, il<br />
profilarsi di alcune allucinazioni vi sive (almeno così sembra dal racconto): «mi<br />
davano fastidio gli oggetti intorno mentre studiavo, dovevo essere e poi tante cose<br />
pensavo e impazzivo il cervello cosi...» e poi l’emergere di un delirio decisamente<br />
disturbante. La scuola si conclude con una bocciatura e, di lì a poco il disturbo di<br />
Marta si mostra in modo più schietto.<br />
Durante le vacanze estive Marta viene ricoverata per un intervento<br />
chirurgico di poco conto; dimessa si persuade di aver subito vio lenza dai
il paziente psichiatrico<br />
medici che l’hanno operata, elaborando alcune suggestioni tratte da un evento<br />
di cronaca di quei giorni.<br />
Erano venute due mie amiche qua, e mi hanno detto che avevano letto su La Stampa<br />
che una ragazza era stata violentata in sala operatoria e io chissà perché (...) di notte<br />
mi vedevo la scena che succedeva anche a me e io ero convinta, convinta, convinta!<br />
E mia madre mi diceva “non è possibile, non è possibile! Nel laboratorio c’erano<br />
anche altri medici, non è possibile!” Niente io ero fissata e [sorridendo] sono andata<br />
persino a comprare il test per vedere se ero incinta! E poi mangiavo al mattino le<br />
arance perché ero convinta che dovevo avere il bambino, non andavo più a pattinare<br />
sul ghiaccio, perché avevo paura che se cadevo!<br />
La convinzione, incongrua, di Marta genera allarme nei genitori che de ci -<br />
dono di rivolgersi a uno psichiatra, non in un servizio pubblico ma in un am -<br />
bulatorio privato. Le vengono prescritti alcuni farmaci che Marta non tollera<br />
e, con la madre, inizia un lungo percorso di visite e prescrizioni con diversi<br />
pro fessionisti che, alla fine, riescono a trovare in un farmaco, allora di recente<br />
in troduzione (un anti-psicotico atipico) la terapia più efficace.<br />
Il disagio di Marta comunque non si attenua e, a un anno, dalla prima ma -<br />
nifestazione dei propri sintomi, tenta il suicidio. Viene così ricoverata in un<br />
SPDC della città e poi trasferita per un lungo periodo in due case di cura: « è<br />
meglio che non ci penso che è stato bruttissimo! (...) Ogni tanto mi tornano in<br />
mente e quando mi tornano in mente, faccio... piango ad alta voce... ». Provata<br />
dai farmaci e ancora abitata da un profondo disagio, Marta in quegli anni riesce<br />
co munque a dedicarsi a un lavoro: per circa due anni fa da baby sitter a due<br />
bimbi, uno molto piccino, più grandicello l’altro.<br />
Lo stato di salute di Marta subisce un ulteriore deterioramento due anni più<br />
tardi, a ventun’anni. Nella propria ricostruzione Marta indica come determi -<br />
nante l’incontro in un SPDC di una paziente di cui diviene amica. Marta si<br />
per suade che questa ragazza sia «posseduta dal diavolo» e più tardi si persuade<br />
che una sorte simile sia toccata anche a lei. Questa convinzione si impossessa<br />
di Marta nel corso di un soggiorno estivo organizzato dal Centro di Salute<br />
Mentale da cui - come si dice in gergo - era stata presa in carico. Con gli<br />
operatori viene organizzata un’uscita in discoteca e lì Marta dà corpo al pro -<br />
prio delirio: «mentre ballavo sentivo delle voci che mi dicevano: “ti entriamo<br />
den tro e ti insegniamo a ballare”, e io ho sentito un giramento, proprio come<br />
qual che cosa che mi entrava dentro e ballavo così, tutta la notte, da sola così.<br />
E poi dopo quel giorno lì ho iniziato a stare male, a sentire delle voci<br />
pazzesche mi sentivo schiacciare il petto. Io credevo - credo ancora - lì credevo<br />
proprio che ero indemoniata, posseduta, invece adesso credo che sono per se -<br />
guitata da, da questi spiriti malvagi».<br />
Questa convinzione - dalla quale Marta non ha del tutto preso congedo - le<br />
pro voca una profonda sofferenza, poiché Marta, come i suoi genitori, è pro -<br />
69
70<br />
parte prima<br />
fondamente religiosa. Marta teme di venire espulsa dalla propria con gre ga -<br />
zione religiosa, da cui invece - dice Marta - ottiene sostegno e indi cazioni per<br />
contrastare la propria sofferenza.<br />
Io sono sicura che fosse il diavolo che sentivo voci, parlavo, e certe volte andavo in<br />
trance vicino al tavolo, mi veniva da scrivere delle cose dettate e allora io pregavo: è<br />
stata una lotta! Perché io non volevo scrivere e non volevo avere niente a che fare<br />
con queste voci che mi dicevano di scrivere! Allora prendevo la Bibbia, e la leggevo<br />
a voce alta. Dalla congregazione di Geova, io ho rischiato di essere espulsa! (...) Poi<br />
ho scritto a Roma - noi a Roma abbiamo la sede mondiale dei Testimoni di Geova -<br />
a Roma mi hanno detto cosa studiare, cosa leggere della Bibbia. Mio padre che è un<br />
anziano anche lui pregava (...) E allora c’era una con cui leggevo la Bibbia e poi ci<br />
sono delle cassette che raccontano le letture della Bibbia e io di notte me le sentivo.<br />
[Questo] prima che si sposasse mia sorella, dieci anni fa: lei non voleva che<br />
accendessi la luce di notte, e io stavo malissimo, così prendevo la cuffietta e mi<br />
sentivo le cassette: i racconti biblici, mi sentivo queste cose!<br />
Tutto ciò documenta uno stato di intensa sofferenza, che ebbe riflessi anche<br />
sul piano fisico: Marta racconta che in quegli anni era arrivata a pesare<br />
trentasette chili. Ciò non di meno, Marta si avvicina la mondo del lavoro.<br />
Lavora un mese nell’azienda nella quale era impiegato il padre; una mensa<br />
nella quale, per due ore al giorno vende i buoni pasto e dà una mano per le<br />
pulizie. Il rapporto si chiude dopo un solo mese di lavoro: un giorno Marta<br />
arriva in ritardo, viene rimproverata e la sofferenza, l’umiliazione che discende<br />
da questa esperienza determina la sua decisione a licenziarsi: «il cuoco mi ha<br />
sgridata e io mi sono messa a piangere, non sono più voluta andare e mi sono<br />
licenziata...». A questa seguono altre brevi esperienze, perlopiù tentativi di in -<br />
serimento lavorativo sostenuti dal Centro di Salute Mentale cui Marta fa capo.<br />
Nulla va a buon fine, complici anche i sintomi positivi della patologia: «col<br />
progetto Genesis mi hanno fatto fare una prova col telefono e il com pu ter, ma<br />
sono andata in pallone, sentivo le voci e quello è andato ma lis simo...».<br />
L’ultima esperienza risale all’anno che precede la conduzione del le in ter vi -<br />
ste. Per un mese Marta lavora per conto di un’impresa che ha l’appalto del le<br />
pu lizie in un ospedale cittadino. Si trattava di un lavoro duro, con ritmi ser rati<br />
e orari che la costringevano ad alzarsi molto presto al mattino per poter rag -<br />
giungere il posto di lavoro alle sei: «era una cosa, una cosa da impazzire,<br />
perché poi il lavoro, dopo un po’ io ho imparato ad andare in corsia, ho<br />
imparato a riempirmi d’acqua il carrello, ho imparto da sola e diciamo da sola,<br />
anche, me la cavavo, l’unica cosa che era troppa roba in poco tempo». Alle dif -<br />
fi coltà del lavoro, alla sua evidente fragilità si aggiunsero qui le difficoltà di un<br />
con testo sociale tutt’altro che tenero: «dopo una settimana mi hanno detto:<br />
“senta un po’, lei non è molto sveglia, diamoci una svegliata”, mi ha detto così!<br />
A me è venuto da piangere e ho detto: “non vengo più domani!”. “Allora:<br />
venga e chieda le dimissioni”. Mia madre mi ha detto: “no, tieni duro!” (...)
il paziente psichiatrico<br />
Perché poi mi madre è andata a parlare e le hanno detto: “senta signora, sua<br />
figlia, sì che è invalida di mente, ma poi di braccia non è invalida e potrebbe<br />
benissimo lavorare” ».<br />
La storia di Marta, la sofferenza psichica che l’ha attraversata, le frustrazioni<br />
subite nei numerosi tentativi di trovare un posto di lavoro hanno determinato<br />
quel disinvestimento che accomuna le esperienze raccolte in questo paragrafo.<br />
Marta mostra una dolorosa consapevolezza, non tanto delle distorsioni che<br />
caratterizzavano e - in parte caratterizzano ancora oggi - la sua percezione<br />
della realtà, quanto piuttosto della sua debolezza: «quando gli altri parlano,<br />
non riesco a seguire la conversazione! (...) anche mia madre [mi dice]: “ma<br />
possibile l’ho appena detto, te l’ho spiegato!” Le mie amiche, che sono brave<br />
e mi capiscono, anche i miei genitori mi capiscono...mi dicono: “hai la tesata<br />
tra le nuvole e pensavi ad altro!”. “Ma non è vero! Mi stavo concentrando<br />
perché volevo capire voi!”. È una cosa molto brutta, che dura da tutti questi<br />
anni è ... [scoppia a piangere] Se morivo era meglio, forse. Delle volte ancora lo<br />
penso a tagliarmi le vene, penso ancora al suicidio...».<br />
Marta, che non cessa di sperare in un lavoro, mostra una più chiara incli na -<br />
zione verso il raggiungimento di una parziale autonomia economica con la<br />
pen sione di invalidità che - al momento dell’intervista - non le era rico no -<br />
sciuta: «ab bia mo fatto la domanda di aggravamento per invalidità ma non<br />
l’han no da ta... per ché io ho parlato con questo dottore e mi ha vista troppo<br />
sve glia». L’atteggiamento di Marta nei confronti del riconoscimento del l’in -<br />
validità è schiettamente pragmatico: il riconoscimento di un livello elevato di<br />
invalidità è ciò che le consente di disporre di un piccolo reddito. Marta non<br />
considera in al cun modo il tema dello stigma, del “timbro”, come dicono<br />
alcuni intervistati, associati allo status di disabile psichico. Restando in famiglia<br />
- è anche la ma dre a dirlo - la pensione consentirebbe a Marta di guadagnarsi<br />
quel minimo di autonomia economica che ora le manca. Non è questa, tut -<br />
tavia, la maggiore aspirazione di Marta che accarezza il sogno - anch’esso tur -<br />
bato dallo spettro del disagio psichico - di una vita coniugale, nella quale rea -<br />
liz zarsi nel ruolo di moglie e madre: «io ho la fissa che vorrei fidanzarmi e<br />
sposarmi. È anche giusto a 32 anni, solo che - come dire - ho un carattere che<br />
alle volte divento un po’ cattivella così (...) a volte sono brava ma alle volte mi<br />
scappa la pazienza così e poi infatti penso un domani ad un marito: magari non<br />
mi sopporta, magari poi non sto bene, poi anche i lavori di casa adesso mia<br />
madre mi aiuta: li facciamo in due i lavori di casa però quando mi sposo li devo<br />
fare da sola oppure devo trovarmi un lavoro, perché quando uno si sposa, sai e<br />
poi niente e poi a me piacciono i bambini, mi piacerebbe avere un figlio<br />
quando mi spo so». L’illustrazione al maschile del disinvestimento nei con -<br />
fronti del lavoro è resa da Ennio.<br />
ENNIO ha 35 anni, i suoi genitori, originari del Mezzogiorno, si sono<br />
trasferiti a Torino dalla Tunisia, dove erano immigrati per lavoro. Nella rico -<br />
71
72<br />
parte prima<br />
struzione del racconto della propria vita Ennio risale al tempo della scuola,<br />
apprendiamo così che in seconda media fu bocciato, con ogni probabilità per<br />
la sua eccessiva esuberanza: «facevo un po’ di casino. E sempre così [sorride]<br />
ero un po’ birbantello, poi ho ripetuto l’anno e mi hanno dato la terza media.<br />
Sono uscito anche con sufficiente, puoi capire [sorride]». Ennio prosegue gli<br />
studi iscrivendosi, senza successo, a una scuola professionale nella quale viene<br />
bocciato al primo anno. Decide di così di cercarsi un lavoro, che trova di lì a<br />
poco, in un «capannone», dove ritrova, fra i colleghi di lavoro, alcuni<br />
compagni della scuola elementare: «c’erano due miei amici di scuola, delle<br />
elementari, mi sono trovato abbastanza bene, poi ho fatto una cavolata: ho<br />
tirato, non so, una valvola, così per giocare. Mi hanno... mi hanno sbattuto a<br />
casa». La ricostruzione della prima esperienza di lavoro di Ennio mostra la<br />
chiave di lettura che impronta la ricostruzione di tutta la sua storia oc cu pa zio -<br />
nale: Ennio fa una cavolata e per questo viene licenziato. In questa di spo si -<br />
zione è possibile riconoscere la difficoltà di Ennio - già manifestatasi durante<br />
il periodo scolastico - ad accettare le regole, o forse, la disciplina del lavoro or -<br />
ga nizzato. La storia, dunque, si ripete alcuni anni più tardi, quando Ennio - al -<br />
lora ventiduenne - viene assunto con un contratto di formazione in un azienda<br />
metalmeccanica. In quel periodo il disturbo psichico di Ennio si fa più intenso,<br />
rendendo più difficile la conciliazione fra salute e lavoro. Ennio ri cor da di aver<br />
incontrato da subito delle difficoltà: «Perché andavo con ma la voglia, mi<br />
svegliavo collassato, sembrava che mi drogavano, poi anche io, per ché qualche<br />
cannetta... I miei si incavolavano che non mi alzavo subito. Poi an da vo in ri -<br />
tar do delle volte».<br />
In azienda, ricorda Ennio, la paga era buona, ma non andava d’accordo con<br />
i compagni di lavoro e ancor meno con i superiori. Ennio attribuisce a se stesso<br />
la responsabilità dell’interruzione di quel rapporto di lavoro: «sono stato<br />
anch’io che mi sono fatto licenziare: produzione così, così: non è che riuscivo<br />
sem pre a dare la produzione». È lo stesso Ennio ad attribuire la propria scarsa<br />
produttività ora alla condotta adottata in fabbrica: «Facevo troppe cavolate, fa -<br />
cevo, addirittura fumavo in fabbrica, le canne, ma dai!», e anche a quella adot -<br />
tata fuori dalla fabbrica, condotta che tuttavia aveva pesanti ripercussioni sulle<br />
sue prestazioni professionali. In quel periodo Ennio era spesso preda di accessi<br />
d’ira che si traducevano in comportamenti violenti che lo costringevano a lun -<br />
ghe assenze dal posto di lavoro: «No, poi facevo delle cazzate (...) ero vi cino<br />
allo stadio per una partita, ho dato un pugno così e mi sono rotto la mano, mi<br />
so no rotto. Ho dovuto andare ad ingessarmi e poi troppa mutua e mi hanno<br />
licenziato». A questi accessi d’ira seguirono numerosi ricoveri nei servizi psi -<br />
chia trici, in specie nelle strutture residenziali. Assenze e scarsa pro dut tività<br />
mo tivarono la decisione del titolare dell’azienda presso la quale Ennio era stato<br />
as sunto con un contratto di formazione a sospendere il rapporto di lavoro.<br />
Conclusa questa esperienza, si apre per Ennio un lungo periodo nel quale<br />
alterna ricoveri e lunghi periodi di disoccupazione, talvolta sospesi da brevi e
il paziente psichiatrico<br />
infruttuosi tentativi di intraprendere un attività lavorativa. Ennio ricorda al<br />
riguardo una breve esperienza da un gommista, nella quale a un mese di lavoro<br />
sono immediatamente seguiti quattro mesi di assenza per malattia; e ancora un<br />
tirocinio formativo in un impresa della grande distribuzione. Il tirocinio, che<br />
impegnava Ennio per poche ore al giorno, tuttavia, non si è potuto tradurre in<br />
un assunzione, poiché nato esclusivamente come occasione formativa.<br />
Al momento dell’intervista Ennio vive solo in una casa di cui dispone a fronte<br />
del pagamento di un canone d’affitto più che agevolato. È inoltre tito la re di una<br />
pensione di invalidità e di un sussidio con cui integra il proprio red dito: «non è<br />
che muoio di fame, prendo il sussidio, la pensione... ». Consapevole del carattere<br />
tutt’altro che piano del proprio percorso profes sio nale e della debolezza delle<br />
proprie credenziali educative - « sono poveri i miei titoli di studi» - Ennio mostra<br />
un evidente disinvestimento nei confronti del lavoro. Dubbioso sulla sua capacità<br />
di reggere alle difficoltà che potrebbe im porgli l’assunzione di un impegno di<br />
lavoro, Ennio preferisce ridurre i pro pri consumi, vivere di quel poco che ha. A<br />
ciò corrisponde un atteggiamento dal sapore fatalista: Ennio non cerca un lavoro,<br />
ma si aspetta che sia il Centro di Salute Mentale a proporglielo, per rendersi<br />
disponibile solo a talune occupazioni: un lavoro part-time, meglio pomeridiano,<br />
non molto faticoso, non in un ambiente molto rumoroso, con una congrua<br />
retribuzione. Senza lavoro, tuttavia, la vita di Ennio non è priva di impegni, di<br />
attività, di quel la strutturazione temporale che discende dalla partecipazione al<br />
mercato del lavoro 53 . Ennio impone ordine, struttura l’organizzazione del proprio<br />
tem po quotidiano partecipando alle attività del Centro di salute mentale:<br />
«martedì disegno, mercoledì gruppo basket, poi c’è il pranzo, la cena il mar te dì,<br />
giovedì teatro che poi c’è la cena, venerdì calcio allenamento, partita quan do c’è,<br />
giovedì e venerdì». È, da ultimo, degno di nota il fatto che questa vici nan za con i<br />
servizi riabilitativi e ricreativi messi a disposizione dal Centro di Sa lute Mentale<br />
cui fa riferimento non si rispecchiano in atteggiamento di adesione al ruolo del<br />
buon paziente, a quanto Goffman definì “adattamento primario”. Chiamato ad<br />
esprimere un giudizio sugli operatori che si prendono cura di lui presso il Centro<br />
di Salute Mentale, Ennio si esprime in questi termini: «ci vogliamo tutti bene,<br />
andiamo d’accordo, anche se delle volte sono testoni, hanno sempre ragione loro.<br />
Difatti, infatti sono degli operatori, o dottori, sono i dottori che contano,<br />
contano! Sono persone anche come noi però hanno studiato, diamogli ragione.<br />
Hanno sempre ragione loro, comandano loro. Ti devi sottomettere, devi<br />
obbedire è logico. Non è che siamo a scuola un un carcere, oppure che sei<br />
sottopresso da delle leggi, però devi fare il bravo, educato... ».<br />
2.5.5. Forme di esclusione: atteggiamento negoziale<br />
Questa forma di esclusione indica un atteggiamento nel quale si coglie -<br />
insieme - consapevolezza e dignità. Si tratta di un’esclusione che esprime,<br />
innanzitutto, la rigidità della domanda espressa nella definizione di specifiche<br />
73
74<br />
parte prima<br />
condizioni per la propria partecipazione al mercato del lavoro.<br />
Queste condizioni riguardano, in taluni casi il contenuto del lavoro, in altri<br />
la sua organizzazione. A questa forma di esclusione è possibile ricondurre<br />
l’esperienza di tre intervistati, due uomini: Giacomo ed Ermanno, e una<br />
donna: Carmen. È tuttavia in Giacomo che questa condizione e, soprattutto,<br />
le disposizioni soggettive che ad essa si legano, si mostra con maggior<br />
chiarezza. Alla storia di Giacomo viene pertanto affidata l’illustrazione<br />
dell’atteggiamento negoziale.<br />
GIACOMO ha trentotto anni, è nato a Torino da una famiglia operaia, im mi -<br />
grata dal Mezzogiorno nei primi anni Sessanta. Giacomo parla poco della pro -<br />
pria infanzia, limitandosi a ricordare la figura di una padre autoritario, cui<br />
attribuisce l’origine - almeno in parte- della propria insicurezza.<br />
Ho avuto dei rapporti un po’ particolari con mio padre, un po’ conflittuali, mio<br />
padre era una persona un po’ irascibile e allora ho avuto sempre problemi di così...<br />
di tranquillità familiare (...) essendo irascibile bastava un niente per cui ci fosse un<br />
putiferio in casa. Poi magari si calmava tutto, però era sempre un po’ così la<br />
situazione, non è che era una persona flemmatica, tutto il contrario di una persona<br />
flemmatica quindi bastava una virgola a volte eh... cessava la pace in casa diciamo e<br />
c’era... urli... botte no, botte non tanto però tante volte minacce eccetera, eccetera.<br />
(...) Questo vivere un’infanzia con la paura sempre costante di non potere sgarrare<br />
neanche di poco e... sgarrando succede un putiferio, un finimondo allora sono<br />
cresciuto un po’ con l’ansia, l’ansia di sbagliare di di... perché non era soltanto non<br />
so, se cadeva il bicchiere sul tavolo ma era anche per le mie idee, io avevo le mie idee<br />
e mio padre era contrario e non è che si discuteva, lui urlava e mi imponeva la sua<br />
volontà, il suo punto di vista e io ero uno che non capiva niente, che non sapeva<br />
neanche quello che diceva. (Giacomo, Intervista guidata).<br />
Giacomo frequenta una scuola professionale e ottiene una qualifica, tecnico<br />
elettronico, su cui costruisce la propria carriera professionale. Degli anni della<br />
scuola Giacomo ricorda una generica «irrequietezza» che solo più tardi pren -<br />
de rà la forma di un disagio psichico.<br />
La storia professionale di Giacomo inizia in un laboratorio artigianale nel<br />
quale, con il titolare e altri colleghi ripara televisori. Da principio viene as sun -<br />
to «senza libretti», per essere messo in regola più tardi. Si tratta di un’e spe -<br />
rienza positiva sotto tutti i punti di vista: piacevole il lavoro, ottimo il rapporto<br />
con il titolare: «entravo e uscivo quando volevo, avevo questa libertà (...) Era<br />
una ditta piccola, un laboratorio di riparazioni.<br />
Ero senza libretti, poi dopo mi aveva messo a posto anche con i libretti,<br />
dopo un po’ di tempo che lavoravo. E stavo abbastanza bene, e stavo fin troppo<br />
bene, perché poi alla fine [il tono della voce esprime imbarazzo] ho avuto dei, dei<br />
comportamenti di e... e... esuberanza».<br />
A questa circonlocuzione, che ricorda il gergo psichiatrico del Diagnostic<br />
and Statical Manual of Mental Disorders (con il quale ha dovuto fami liariz -
il paziente psichiatrico<br />
zarsi), nel secondo colloquio Giacomo sostituisce un’illustrazione più piana del<br />
pro prio disagio<br />
Continuavo ad essere puntuale, ad arrivare puntuale però....eh.....ero un po’ più<br />
scorbutico, un po’ più scorbutico (...) Non credo che [i colleghi] abbiano avvertito<br />
molto. Ero io che mi sentivo così, più aggressivo. (...) Adesso non mi ricordo bene<br />
come è avvenuta la...la...vicenda lì però praticamente non sono più andato a lavorare<br />
e... ho detto... adesso non mi ricordo come erano andate le cose. Mi ero licenziato,<br />
mi sono licenziato ho detto io mi voglio licenziare, non riesco più a lavorare e mi<br />
sono licenziato (Giacomo, Intervista guidata).<br />
La decisione di lasciare il lavoro coglie di sorpresa i colleghi e il datore di<br />
lavoro, che non avevano avvertito nei suoi comportamenti nulla di parti colar -<br />
men te preoccupate. Non è così per Giacomo che decide di rivolgersi a una psi -<br />
cologa del Centro di Salute Mentale: «sono andato, all’USL, tra l’altro questa<br />
dottoressa mi ha proposto di andare al Day hospital, cosa che mi ha fatto molto<br />
bene». Sin dalla prima manifestazione della propria crisi Giacomo mostra un<br />
elevato livello di consapevolezza, riconosce la natura dei propri problemi e si<br />
ri volge da subito a una professionista competente, rispondendo a un bisogno<br />
che già prima della crisi aveva avvertito: «io da tempo pensavo che dovevo an -<br />
dare da uno psicologo anche quando stavo meglio perché avevo difficoltà nel<br />
contatto con gli altri però non mi sono mai sentito nella situazione di dover<br />
andare urgentemente. In quella situazione lì mi sono rivolto ad uno psicologo<br />
perché appunto ho cercato un supporto più scientifico, più tecnico per ri sol -<br />
vere questi problemi». Giacomo frequenta per un anno e mezzo il Centro<br />
diur no (che nel brano citato Giacomo designa con Day Hospital, accentuan -<br />
do ne la dimensione terapeutica), ottenendo le cure e le attenzioni di cui ne ces -<br />
sità, con una sola riserva: «dopo le cinque e mezza, quando chiudeva, e io tor -<br />
na vo ed essere da solo... ». In quel periodo Giacomo viene coinvolto in uno dei<br />
progetti cittadini di inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici (vedi cap. 5),<br />
il “Progetto Horizon”. Giacomo accetta di buon grado un lavoro nel quale le<br />
sue competenze non vengono valorizzate, ripagato da un contesto di lavoro se -<br />
reno che gli restituisce la fiducia in sé stesso.<br />
Era un lavoro di pulizie nelle scuole, siamo andati a fare le pulizie. Lì mi sono<br />
trovato benissimo, mi sono caricato, mi sono trovato bene... ho ritrovato fiducia in<br />
me stesso (...) Era anche per guadagnarmi più soldi... al Day-hospital, non so, non<br />
mi ricordo quanti anni saranno passati un paio d’anni sen za lavorare. Quindi ero<br />
senza - di nuovo - senza una lira, ed era anche per gua dagnare dei soldi. E poi, non<br />
so come dire, mi entusiasmava, ero impe gna to. Era un periodo che stavo bene, ed<br />
ero entusiasta, ero contento di fare tante cose... Non è che mi sentivo stanco. Poi<br />
lavoravo a casa per conto mio e potevo ge stirmi come volevo le cose, stavo bene. Il<br />
progetto Horizon si stava bene, an che lì con gli altri un posto bello, dove si<br />
chiacchierava, c’era la pausa caffè e tutto. Si lavorava ed erano rimasti contenti del<br />
nostro operato, dicevano che era uno dei gruppi che era andato meglio, poi basta<br />
75
76<br />
parte prima<br />
trovare un po’ l’intesa poi le cose girano bene. (Giacomo, Intervista libera).<br />
Riconquistate fiducia e autostima, Giacomo - prossimo al trentacinquesimo<br />
compleanno - decide di riprovare a lavorare nel settore in cui aveva maturato<br />
le proprie esperienze professionali, quello della riparazione di televisori. Torna<br />
al la boratorio che aveva lasciato a ridosso della crisi, racconta delle proprie vi -<br />
cen de al titolare che - è Giacomo a dirlo - si mostra molto comprensivo e lo<br />
rias sume: «è stato comprensivo mi ha detto che anche lui quando era giovane<br />
aveva passato dei momenti gravi, dei momenti di crisi eh... che sarebbe passato<br />
anche come era passato per lui sarebbe passato e... niente mi ha ripreso». Per<br />
un anno Giacomo riprende il lavoro e la vita del periodo che precedette la crisi,<br />
con un’importante novità: decide di acquistare un piccolo alloggio e andare a<br />
vivere da solo, al riparo dalle tensioni familiari: «avevo anche un po’ urgenza<br />
di andarmene via di casa... perché non ce la facevo più a stare a casa... non ce<br />
la facevo più. Poi quando sono andato via da casa dei miei genitori le cose si<br />
sono... perché avevo dei grossi problemi con mio padre... di carattere... non<br />
andavamo d’accordo. Poi andando via di casa le cose sono migliorate... proprio<br />
perché c’è questa possibilità di staccare...». Il laboratorio dove lavora chiude<br />
ma, di lì a poco Giacomo, con la mediazione di un collega, trova lavoro in un<br />
altro laboratorio.<br />
La nuova occupazione offre a Giacomo un contesto di lavoro che gli è de -<br />
ci samente congeniale: colleghi con i quali condivide interessi che vanno al di<br />
là del lavoro e un organizzazione delle attività lavorative improntata alla<br />
flessibilità: «lì mi trovavo bene, perché era un ambiente giovane, era un am -<br />
biente sereno, si guadagnava per quel che si lavorava, non si guadagnava mol -<br />
tis simo però, insomma era più stimolante, c’erano più interessi». Giacomo si<br />
sente bene e decide di sospendere la terapia farmacologica, aprendosi a una<br />
cri si che sopraggiungerà di lì a poco. La crisi ha origine, questa volta, nel l’am -<br />
bien te di vita di Giacomo.<br />
Giacomo vive in una casa su di un ballatoio. Al ballatoio i residenti accedo -<br />
no da una porta comune che Giacomo vuole chiusa, un’esigenza che i vicini<br />
riten gono meno pressante. Ciò che, da principio, nasce come una frizione fra<br />
con domini, cresce in un conflitto che - letto da Giacomo in un registro per se -<br />
cu torio - evolve, tanto nei fatti quanto nella sua rappresentazione: «ho avuto<br />
dei grossi problemi con i miei vicini di casa, qua, che adesso non ci sono più,<br />
so no andati via. (...) Ho avuto dei grossi problemi e tanto che ho dovuto di<br />
nuo vo smettere di lavorare. Perché non ero più tranquillo, avevo paura di tor -<br />
nare a casa la sera (...) Da lì è cominciato un po’ un altro ... calvario, diciamo,<br />
perché appunto, sempre per il fatto di essere sempre da solo, di non avere<br />
nessuno con cui parlare, stando a casa sempre da solo e lì magari urlavano,<br />
alzavano la voce, davano i colpi contro i muri facevano i prepotenti, diciamo.<br />
I miei nervi sono saltati, poi non riuscivo più ad andare a lavorare, infatti<br />
non sono più andato a lavorare di nuovo e... fino a che non sono stato<br />
ricoverato». Il ricovero, segue a un accesso d’ira cui Giacomo si è lasciato an -
il paziente psichiatrico<br />
da re nei confronti di coloro che percepiva come i propri persecutori.<br />
Giacomo lascia il lavoro, per riprendere solo più tardi, nuovamente sorretto<br />
da una terapia farmacologica, ma ancora scosso. Lavora per tre mesi in un altro<br />
laboratorio di riparazioni caratterizzato da un “clima” e da un modello di<br />
organizzazione del lavoro che si pone agli antipodi rispetto alle sue precedenti<br />
esperienze.<br />
Ho vissuto questi tre mesi in un ansia tremenda, avevo un’ansia pazzesca. Il fatto di<br />
non essere all’altezza, di non produrre abbastanza, mi procuravano un’ansia<br />
pazzesca. Oltre al fatto di ... il tempo non mi passava mai, quando lavoravo non mi<br />
passava mai il tempo. Era diventato una cosa infatti ho avuto di nuovo una ricaduta,<br />
dopo questo lavoro, una ricaduta a livello nervoso (...) Con i colleghi era buono il<br />
rapporto si parlava, si scherzava, solo che io non riuscivo a essere tranquillo, ad<br />
essere sereno. Vivevo tutto quanto con un’ansia enorme. [pausa] Non so anche la<br />
mattina, il pensiero di dovermi alzare e affrontare tutto il traffico per arrivare fino a<br />
lì il ritorno, non so il fatto, per esempio, che non si poteva tenere il cellulare acceso<br />
e mi sentivo tagliato fuori completamente. A volte volevo, avrei voluto uscire un<br />
attimo, farmi una passeggiata, fare una passeggiata fuori, fare un giro, così. Non<br />
potevo: dovevo stare chiuso lì dentro a fare il lavoro. (Giacomo, Intervista libera)<br />
Ad accrescere l’ansia di Giacomo contribuiva la necessità di affrontare ogni<br />
giorno il traffico cittadino per recarsi al lavoro e quella di dover pranzare fuori<br />
casa. Quanto al senso di inadeguatezza, pare che a nutrirlo fosse quasi esclu si -<br />
va mente lo stesso Giacomo: «non andava neanche tanto male, perché mi di ce -<br />
vano che io la produzione la facevo. Soltanto che io vivevo l’ansia, vivevo que -<br />
sto: ero sempre sotto pressione, una tensione tremenda!».<br />
Quest’ultimo elemento è degno di nota: nel caso di Giacomo il disagio psi -<br />
chi co non comporta una sensibile riduzione delle sue capacità lavorative: non<br />
è questo che lamenta il suo datore di lavoro. Ciò che rende penosa la con ci lia -<br />
zione fra lavoro e disagio psichico è l’ansia, la tensione che lo svol gi men to re -<br />
golare dei compiti che gli vengono assegnati comporta.<br />
Nei momenti in cui sono state condotte le interviste Giacomo era disoc -<br />
cupato, una condizione che, sin dalle prime battute dell’intervista viene defi -<br />
nita come penosa per la dipendenza economica dai genitori che comporta.<br />
Giacomo vuo le lavorare, ma la consapevolezza dei propri limiti, della<br />
propria vulne ra bi li tà, unita alla valutazione di quelle che sono le sue capacità<br />
motivano l’atteg gia mento negoziale che lo contraddistingue.<br />
Giacomo mostra una consapevolezza non comune fra i pazienti che, come<br />
lui, presentano disturbi caratterizzati da una qualche forma di distorsione nella<br />
percezione della realtà. Di ciò è prova il modo nel quale ricostruisce la propria<br />
crisi più recente, alimentata dalle tensioni con i vicini: «abbiamo litigato e que -<br />
sti qua....io avevo la macchina e mi hanno distrutto la macchina, mi hanno<br />
scas sato la macchina ed è cominciato un periodo di torture vero o falso che sia -<br />
no io questo non lo saprò mai però...». Giacomo riconosce la possibilità<br />
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78<br />
parte prima<br />
(l’accenno al vero o falso) che l’esperienza attraversata non avesse un solido<br />
fondamento di realtà, riesce a intravedere la radice delirante del proprio<br />
comportamento pur senza discostarsene completamente. Questa singolare<br />
con sapevolezza gli viene riconosciuta anche dagli operatori che si sono presi<br />
cura di lui, almeno in questi termini ne riferisce lo stesso Giacomo: «mi<br />
dicevano quando esponevo i miei problemi che ho una buona auto-critica cioè<br />
mi riconoscevo abbastanza bene nei miei problemi». In sintonia con la propria<br />
personalità, Giacomo declina questa consapevolezza in un registro venato da<br />
tristezza e pessimismo.<br />
Io ormai mi sono convinto che è un disagio cronico però sono abbastanza autonomo<br />
diciamo che quest’ansia, me la porterò dietro sempre, non è che c’è qualche cosa che<br />
mi guarirà dall’ansia, non so posso attenuarla, mi si può attenuare quest’ansia<br />
vivendo in un determinato ambiente magari appunto avendo un lavoro tranquillo<br />
dove io lavoro e questo lavoro non mi crea più problemi di quanti non ne abbia e<br />
allora lì si può attenuare il problema però so che non, non avrò....non è che cambio<br />
dall’oggi al domani e divento una persona sicura di me, felice, io rimango sempre un<br />
po’ infelice diciamo con la tristezza addosso, non me la tolga nessuno, è difficile,<br />
purtroppo non se ne va, fa parte di me questa cosa, non se ne andrà mai. (Giacomo,<br />
intervista guidata).<br />
Del medesimo tenore le osservazioni di Giacomo sulla malattia mentale, de -<br />
fi ni ta dapprima in generale e poi in relazione alla sua esperienza personale, di<br />
cui sottolinea la pena di dover contare sulla disponibilità, sulla generosità<br />
altrui.<br />
È una brutta bestia, è una brutta bestia, perché ti frega. La malattia mentale ti frega,<br />
almeno come la mia, poi c’è chi sta peggio, c’è chi sta peggio: c’è chi non connette<br />
o connette male. La malattia mentale come la mia mi frega, perché mi impedisce di<br />
avere rapporti sociali normali con altre persone, mi fa soffrire tantissimo e niente.<br />
Mi taglia le gambe, mi taglia un sacco di opportunità. Invece di avere una vita<br />
autonoma sono sempre diciamo vincolato dal favoritismo degli altri, dalla bontà<br />
degli altri; non sono autonomo e indi pendente, sono dipendente dalla bontà degli<br />
altri. Se gli altri sono buoni io me la cavo, se gli altri non gliene frega niente io<br />
rimango lì da palo. (Giacomo, intervista guidata).<br />
Muovendo da questa - si può dire - lucida consapevolezza, Giacomo cerca<br />
un lavoro diverso da quello che sa fare e che ha fatto sinora e che definisce<br />
come una e assillante serie di problem solving, attorno a un televisore «strizza<br />
cervello». Giacomo vuole un lavoro: «senza questo stress mentale che richiede<br />
il lavoro del riparatore magari potrei fare anche otto ore a quel punto lì perché<br />
avrei più momenti di alzarmi da una sedia e andare da un posto all’altro<br />
anziché stare sempre seduto su quella sedia lì e scervellarmi perché non<br />
funziona il televisore eh.....purtroppo più passa il tempo e meno riesco a fare il<br />
lavoro per cui ho lavorato per tanti anni». Chiaro su ciò che non vuole,
Giacomo è altrettanto accurato nel definire in positivo il profilo del lavoro per<br />
il quale è disponibile: un lavoro anche faticoso, ma non in fabbrica; un lavoro<br />
con ritmi elevati, purché l’intensità attenga ad operazioni manuali e non in tel -<br />
lettuali; un lavoro che comporti anche relazioni con il pubblico, purché non ci<br />
sia «da litigare»; in una parola una lavoro compatibile con il suo stato di salute.<br />
2.5.6. Forme di esclusione: debolezza<br />
il paziente psichiatrico<br />
In questa categoria l’esclusione, o meglio la mancata partecipazione al<br />
mercato del lavoro, ha origine dall’intrinseca debolezza dei soggetti qui<br />
raccolti (4 casi) 54 . Si tratta, innanzitutto, della debolezza di chi ha vissuto nella<br />
ma turità l’esordio della patologia psichiatrica e che sconta le difficoltà di un<br />
rien tro nel mercato del lavoro dovute all’età avanzata. È questo il caso di due<br />
fra i pazienti intervistati, entrambi almeno cinquantenni. Sul versante demo -<br />
grafico opposto trovano collocazione due soggetti più giovani, ri spettivamente<br />
di 25 e 28 anni, privi di rilevanti esperienze lavorative e di cre den ziali educative<br />
pregiate. Due casi che, non potendo né volendo accedere ai benefici sanciti<br />
dal la legge sul collocamento obbligatorio condividono le difficoltà di inseri -<br />
men to lavorativo proprie di molti altri giovani, non gravati da qualche forma<br />
di disagio psichico. La prima forma di debolezza si mostra in modo nitido nel<br />
racconto della vita di Matteo.<br />
MATTEO ha 50 anni, è nato a Torino da una famiglia operaia. Il racconto<br />
della propria vita si apre con la più importante conquista di Matteo, una laurea<br />
in Lettere. Poco dopo la laurea viene varata una legge diretta a contrastare la<br />
di soc cupazione giovanile. Matteo decide di avvalersi dei benefici previsti<br />
dispo nendosi a svolgere un lavoro quello di inserviente in ospedale che im -<br />
magina transitorio, in attesa di un lavoro più congruo altrove o prefi gurando<br />
un avanzamento di carriera interno dell’ospedale.<br />
Nulla di tutto ciò accade. Matteo resta a lavorare in ospedale e vede sfumare<br />
la prospettiva di un avanzamento di carriera nel settore ospedaliero. Le<br />
difficoltà di adattamento si manifestano fin dal principio e tendono ad acuirsi<br />
nel tempo: «I primi tempi che lavoravo, non riuscivo a dormire tutta la notte<br />
e già allora avevo cominciato a prendere dei farmaci ma senza prescrizione: li<br />
prendevo in ospedale, soprattutto per dormire. Poi poco per volta quello è<br />
andato via, sono andato da uno psichiatra de [indica il nome dell’ospedale presso il<br />
quale lavorava], il professor M. e che allora [l’ospedale presso il quale lavorava]<br />
aveva una sua mutua particolare, per i dipendenti: sono andato là e ho spiegato<br />
tutto e mi ha detto: «o cambia lavoro o si adatta!». Che è una bella risposta!».<br />
Più tardi si prospetta l’occasione del cambiamento tanto atteso. Matteo<br />
parte cipa a un concorso per un posto di impiegato in un altro ospedale cit -<br />
tadino. Superate le prove, Matteo prende servizio nella posizione di impiegato,<br />
contando su di un aspettativa concessa dal proprio datore di lavoro. Accade<br />
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parte prima<br />
però qualcosa di inatteso e insieme infausto: l’ospedale che aveva assunto<br />
Matteo vede venir meno la possibilità di ratificare con una delibera la sua presa<br />
di servizio definitiva. Così racconta Matteo: «lì mi trovavo molto bene, poi<br />
non è stata fatta la delibere perché erano i tempi della Tangentopoli e quasi,<br />
quasi sembrava che io fossi uno di quelli che avevano truccato il concorso,<br />
infatti, non il mio nome ma la mia qualifica era scritta su una delibera regionale<br />
nel quale si rifiuta l’assunzione per sospetta collusione con coloro che control -<br />
lavano il concorso...». Sconfitto e profondamente amareggiato, Matteo si vede<br />
costretto a tornare tra le corsie che ormai gli sono tristemente familiari «a<br />
lavare i pavimenti». È questo il solo episodio - ahimè, tutt’altro che positivo<br />
che interrompe la routine di vent’anni trascorsi a fare un lavoro che Matteo<br />
non ama e che suscita in lui un crescente sentimento di privazione relativa: «c’è<br />
chi si adatta e c’è chi come me ha sempre rifiutato quel tipo di lavoro».<br />
Seguono poi altri concorsi ma nessuno ha l’esito atteso: «Ho fatto decine di<br />
concorsi, sostanzialmente la maggior parte erano truccati...». Le cose non<br />
vanno meglio nelle altre sfere di vita: pare che Matteo non abbia mai avuto una<br />
relazione affettiva rilevante e che non sia riuscito a compensare con le attività,<br />
gli impegni del tempo libero le frustrazioni suscitate dal lavoro. Matteo ha<br />
sempre vissuto con i genitori e con loro vive ancora tuttora.<br />
Dopo oltre quindici anni di lavoro, Matteo allora quarantunenne, inizia ad<br />
accusare un disturbo fisico, che, data la giovane età lo preoccupa seriamente.<br />
È cominciato nell’estate del 94 [silenzio] Avevo dei collassi continui. A me piaceva<br />
molto camminare e tante volte dovevo fermarmi, vedevo tutto nero, dovevo<br />
fermarmi su un gradino, magari starci, o un gradino o una panchina e magari starci<br />
un’ora prima di, prima di riuscire ad andare via, prima di raggiungere solo la fermata<br />
del tram diventava impossibile... non sono andato subito in psichiatria: prima mi<br />
seguiva il neurologo, da quell’estate, dall’inverno, quando i disturbi cominciavano a<br />
diventare sempre più grossi eh mi aveva trovato un minimo di polinevrite. Poi quella<br />
è guarita: secondo l’elettromiografia non c’era più dopo un anno. (Matteo, Intervista<br />
guidata).<br />
Matteo, debilitato da questi disturbi e provato da quanto li ha preceduti,<br />
trascorre un lungo periodo lontano dal lavoro, in malattia. Ai problemi fisici<br />
ben presto si assomma un disagio psichico che conduce Matteo a richiedere le<br />
cure del Centro di Salute Mentale: questo accade nel 1996, quando Matteo ha<br />
43 anni. In quel periodo Matteo viene ricoverato in una casa di cura, per un<br />
periodo che non emerge dall’intervista. In seguito viene inserito per un anno<br />
in una comunità alloggio: “sono stato circa un anno in una comunità psichia -<br />
trica, cioè ma non una comunità di lavoro... comunità o pensione dove avevo<br />
ap punto... mi davano da mangiare, facevano lavori alberghieri e... l’unico pro -<br />
blema che avevo era come passare il tempo... così non ho più resistito e so no<br />
tornato a casa dai miei”. Matteo dunque alterna il lavoro con lunghe assenze<br />
per malattia e durante uno di questi periodi così racconta Matteo riceve una
il paziente psichiatrico<br />
lettera dall’amministrazione ospedaliera con la quale gli viene proposto di<br />
sottoporsi a una visita fiscale in vista di un probabile cambio di mansioni, non<br />
più come ausiliario ma come commesso. Matteo si sottopone alla visita ma<br />
ancora una volta viene beffato dal destino, viene riconosciuto idoneo alle<br />
mansioni di ausiliario: «A quel punto lì non ho avuto altra strada che<br />
licenziarmi, ho pagato anche più di quattro milioni di mancato preavviso».<br />
Matteo ha allora 45 anni e si apre per lui un periodo di incertezze e<br />
rammarichi 55 . Di lì a poco chiede il riconoscimento dell’invalidità, che ottiene<br />
assieme alla pensione.<br />
Maturo e decisamente provato da un esperienza professionale tutt’altro che<br />
felice, Matteo si rende comunque disponibile a tentare un reinserimento nel<br />
mondo del lavoro, sorretto, questa volta, dalle tutele fornite dalle legge 68.<br />
Segue, dapprima un tirocinio formativo presso un Centro di formazione<br />
professionale, cui segue una borsa lavoro e, infine, l’inserimento in una società<br />
di Servizi che opera nel settore del marketing.<br />
L’esperienza in questa società risulta tutt’altro che positiva. A Matteo<br />
vengono affidati compiti del tutto marginali, che non possono che ferire la sua<br />
autostima: «ho fatto dei lavori inesistenti, passatempi, delle cose che... mi<br />
andava via la voglia di farle..». Inoltre Matteo si vede costretto ad affrontare<br />
l’ostilità dei nuovi colleghi di lavoro. Matteo inizia a lavorare in un periodo<br />
critico per la ditta che lo ha assunto, il settore è in crisi e si prospetta, per<br />
alcuni dipendenti, il ricorso alla Cassa integrazione guadagni. Il clima non è<br />
dunque dei più propizi ed è Matteo a farne le spese: «lì il clima è un po’<br />
avvelenato dalla cassa integrazione, è un periodo di crisi: adesso ci sono lettere<br />
di cassa integrazione... ho l’impressione - non so se sono paranoico - che<br />
qualcuno dica tra sé :«ma perché prendono quello che è appena arrivato, men -<br />
tre io sono 20 anni di lavoro e mi mettono in cassa integrazione e poi magari<br />
in mobilità?». In vista del ricorso alla Cassa integrazione guadagni, che vede<br />
decadere gli obblighi di assunzione di invalidi, l’azienda propone a Matteo di<br />
ricorrere a un periodo di aspettativa non retribuita, che sarebbe poi stata<br />
sospesa superata la crisi. La proposta non è delle più allettanti, Matteo teme<br />
complicazioni per la sua pensione di invalidità e decide così di licenziarsi.<br />
Questa sorprendente sequenza di piccole e grandi sconfitte hanno profon -<br />
da mente indebolito l’autostima di Matteo, che parla di sé come di un individuo<br />
sconfitto dalla propria fragilità, come di una persona che si arrende alle prime<br />
dif ficoltà, cadendo inevitabilmente preda di crisi depressive. Questa dispo si -<br />
zio ne, le cui ragioni sono scritte nella storia di Matteo, insieme all’età ormai<br />
avan zata determinano la sua debolezza che, come una barriera, si frappone al<br />
suo reinserimento nel mercato del lavoro.<br />
BIAGIO ha 25 anni, è nato a Torino in un quartiere popolare. I suoi genitori,<br />
originari della Campania, sono immigrati a Torino a cavallo tra gli anni Ses -<br />
santa e Settanta. Il padre di Biagio lavora come operaio, la madre si occupa<br />
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82<br />
parte prima<br />
della casa. Biagio ha due sorelle, una più grande, l’altra più piccola di lui;<br />
entrambe vivono fuori casa. Biagio vive con i genitori in un piccolo ap par ta -<br />
mento nel quale la convivenza con i genitori si fa giorno dopo giorno sempre<br />
più difficile. Il padre di Biagio è una figura autoritaria, poco presente in fami -<br />
glia, dedito al lavoro e alla realizzazione degli obiettivi di benessere e rispet -<br />
tabilità sociale. La madre viene descritta da Biagio come una persona che è<br />
insieme oppressiva e distanziante.<br />
Biagio vive un’infanzia felice, sostenuto dal padre che - allora - gli ricono -<br />
sceva i tratti dell’enfant prodige: «A quattro anni non ci potevi domandare<br />
niente (...) Era un mostro per quanto aveva intelligenza» (Intervista al padre).<br />
A otto anni Biagio viene investito da un’auto vicino a casa, mentre stava<br />
tornando da alcuni piccoli acquisti. In seguito all’incidente viene ricoverato in<br />
ospedale e a quel periodo si lega il ricordo più felice di suo padre: «Però mi<br />
ricordo anche una cosa bella, che mio padre mi compra... mi ha comprato<br />
una... una televisione in bianco e nero. La prima televisione che... piccolina...<br />
proprio, bella piccolina. E mi ha fatto molto piacere, poi anche mi ha<br />
comprato, mi aveva comprato delle..insomma dei giochi, della... la... busta...<br />
solo quella volta lì [con enfasi], solo quella volta...» . Biagio ricorda l’incidente<br />
come un’esperienza che, ovviamente, lo ha colpito: «cioè mi è rimasto<br />
impresso... e come se... avessi... si fosse aperta una ferita...». I familiari, e in<br />
particolare la sorella, individuano in questo incidente una possibile causa della<br />
sua sofferenza psichica 56 .<br />
Biagio colloca la prima manifestazione del proprio disagio psichico al<br />
secondo anno delle superiori, lamenta, in quegli anni, un deterioramento dei<br />
rapporti con i propri compagni di classe: « il secondo anno ho iniziato a...ad<br />
avere qualche problema con i compagni di classe, mi sentivo isolato, mi sentivo<br />
come se...come se booh, non... non riuscissi a entrare nel gruppo». Biagio<br />
viene bocciato, decide comunque di ripetere l’anno e poco dopo l’inizio delle<br />
lezioni, a dicembre, tenta il suicidio gettandosi nel Po.<br />
Un giorno, una mattina, era a scuola, ehhh... e iniziavano ad entrarmi den dentro di<br />
me dei... dei pensieri negativi, dei pensieri depressivi. (...) Erano pensieri sulla... morte...<br />
sulla morte su... sul fatto che non mi piacevo, non mi piacevo, non ero a mio agio nella<br />
società, non... non... mi piace... come se non mi piacesse... come seee... non mi piac...<br />
non mi divertivo più come... cioè cioè non mi divertiva il gioco... il gioco<br />
dell’adolescente. Non mi divertiva proprio. (...) Tutto di un tratto, senza accorgermene.<br />
Senza rendermene conto; e poi...il venerdì mattina...presi...presi lo zaino e uscii dalla<br />
scuola e ...me la feci, me la feci a piedi fino...al Po, fino al Po, e come un automa proprio,<br />
come uno che... è senza, senza, sen... cioè sen... senza, senza, senza ma proprio senza<br />
niente; senza... senza neanche cervello tra un po’; e... l’unico scopo era solo... quello di<br />
cercare il suicidio. (...) mi buttai nel Po, però subito subito mi aggrappai per... e risalii.<br />
Risalii subito e mi acon... mi accorsi di quello che avevo fatto. Mi accorsi di quello che<br />
avevo fatto... soltanto che... come si dice... mi... mi sentivo gelato e l’acqua era gelata...<br />
[accenna un sorriso] l’acqua era gelata, non chiesi neanche un passaggio, me ne andai col<br />
pullman a casa, zuppo d’acqua. E mio padre, quando sono arrivato a casa, mi chiese
il paziente psichiatrico<br />
dove, dov’ero stato, che mi cercavano. A scuola mi cercavano, e... mi cercav... e io...<br />
iniziai a... mh... come si dice a... a... come se, come se quasi boh, mi mi fossi buttato<br />
giù. Come si dice, mi fossi... lasciato andare e... stetti a letto per molto tempo, perché<br />
prima mi veniva la feb bre... logica... logica conseguenza...<br />
A seguito di questa prima crisi Biagio - allora diciassettenne - viene rico ve ra to<br />
nell’SPDC di un ospedale cittadino. Tornato a casa - così racconta il padre -<br />
Biagio tenta nuovamente il suicidio calandosi sul viso una borsa di plastica: «<br />
Mia moglie l’ha trovato co... che si metteva la busta in testa» (Intervista al<br />
padre). Biagio viene accompagnato dal padre alle Molinette per una visita e poi<br />
rico verato - ancora minorenne - a Villa Cristina: « e li...mi hanno mi hanno mi<br />
han no sovradosato di farmaci». Rientrato in famiglia Biagio mette nuova men -<br />
te in atto condotte autolesive: per due volte beve candeggina e subisce altret -<br />
tante lavande gastriche. Viene dunque ricoverato alla clinica Fatebenefratelli<br />
do ve viene trattenuto per un mese ottenendo - dice il padre - un sensibile mi -<br />
glio ramento di salute.<br />
Nella fase immediatamente successiva all’esordio Biagio viene seguito da al -<br />
cuni educatori della cooperativa sociale Arcobaleno che, dice Biagio, lo hanno<br />
aiu tato a «prenderla come un gioco (...) mi hanno fatto ritrovare il sorriso».<br />
L’esperienza alla cooperativa sociale, basata sul riadattamento alle relazioni<br />
sociali e al lavoro (attraverso laboratori) diventa poi insoddisfacente<br />
Nel senso che questa cooperativa stava diventando per me come... vegeta... un<br />
vegetare; come uno stare attaccato, come... non..cioè il senso diii... diii... di inutilità;<br />
e quindi... e quindi... verso a quando ho fatto diciannove anni... ho domandato alla<br />
mia assistente sociale, perché anche mia madre, mio padre volevano questa cosa qui:<br />
perché non troviamo un lavoro, un lavoretto... per me; eee... e l’assistente sociale ha<br />
detto che ci sono dei cantieri per il Comune e... mi ha fatto entrare, mi ha fatto ha<br />
fatto entrare in questi cantieri e ho iniziato nel marzo del duemil... del mille nove -<br />
cen tonovantanove. (Intervista libera)<br />
La prima esperienza di lavoro, successiva all’esordio del suo disturbo, risale<br />
al 1999 (Biagio ha 21 anni) nei Cantieri organizzati dal Comune di Torino.<br />
Biagio si occupa del verde urbano un lavoro che giudica più impegnativo del<br />
pre visto: «di difficoltà superiore a quella che immaginavo...» . Il lavoro gli of -<br />
fre l’opportunità di disporre di qualche quattrino e di aprirsi a un insieme di<br />
re lazioni sociali extra-lavorative, al di fuori - con le sue parole - della cerchia<br />
psi chiatrica. In quel periodo Biagio si iscrive a una scuola guida e ottiene la pa -<br />
tente: «ho preso la patente, e... la patente ... eh cioè mi son trovato bene, ho<br />
ritrovato un po’ di autostima». Dell’esperienza dei Cantieri Biagio lamenta il<br />
fatto di essersi sentito costantemente osservato, valutato.<br />
Diciamo stava diventando come una specie di teatrino, di commedia...cioè non ero<br />
più io la persona che lavorava e che era indipendente, io credevo di essere<br />
indipendente... ma in realtà, in realtà ero come una persona che veniva seguita e..<br />
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84<br />
parte prima<br />
passo passo, per vedere come andava... invece io credevo, invece di poter cavarmela<br />
soltanto con... ho i soldi e basta, e questo, questo, nel profondo del mio cuore mi è<br />
rimasto, anche se non l’ho fatto trasparire, però mi è rimasto...<br />
Conclusa l’esperienza dei Cantieri un amico che frequentava in quel perio -<br />
do gli offre l’opportunità di lavorare facendo volantinaggio. Biagio accetta,<br />
considerando questa esperienza più come una parentesi a un lavoro “vero” che<br />
co me un’esperienza lavorativa compiuta: «Si sta in attesa di un lavoro, di un la -<br />
vo ro più, più...». Durante questo periodo Biagio decide di sospendere l’assun -<br />
zio ne di farmaci, ha una crisi: uno svenimento, cui segue un ricovero. Biagio<br />
trova inoltre lavoro alla Stampa, editore per il quale venderà in strada i giornali<br />
per qualche tempo. Al momento della seconda intervista Biagio lavora ancora<br />
per un’agenzia pubblicitaria come distributore di pubblicità in buca (volan ti -<br />
nag gio), ma cerca assiduamente un’altra occupazione rispondendo alle inser -<br />
zio ni e conducendo - senza successo - numero si colloqui. Queste iniziative<br />
ven gono sistematicamente sminuite dal padre che non ritiene il figlio capace<br />
di svolgere un lavoro vero, privo di un qualsiasi interesse duraturo, privo anche<br />
di quella forza fisica che la struttura imponente del figlio fa pensare come<br />
abbondante (e non fa nulla per nascondere a Biagio la propria dolorosa<br />
convinzione). A giudizio del padre Biagio - «tramite i dottori» - può al più<br />
trovare qualcosa che possa distrarlo: «un lavoro chi glielo può dare?»<br />
(Intervista al padre). Biagio, interpellato sulle sue aspirazioni professionali,<br />
mostra di non avere le idee chiare sul lavoro che vorrebbe svolgere, quel che<br />
vorrebbe è un lavoro tranquillo che non gli faccia avere pensieri negativi»:<br />
Mi piacerebbe fare un lavoro... in cui... riesco a... stare bene e... stare tranquillo... non...<br />
non avere più pensieri negativi, cioè mi piacerebbe attivarmi di nuovo come... come<br />
prima... eee... essendo che ce sta... che c’è questa crisi in giro, non riesco a trovare un<br />
lavoro.<br />
Su quale possa essere il lavoro con queste caratteristiche Biagio è vago: ma gaz -<br />
ziniere, un lavoro all’aperto, un lavoro con il computer, un lavoro che gli con sen -<br />
te di stare a contatto con gli altri, un lavoro da operaio. Più precise le indi ca zioni<br />
su ciò che non vuole: «essere messo sempre alla prova». Inoltre esclude dal<br />
novero delle possibilità quella di lavorare con il padre, di cui teme la se ve rità.<br />
Biagio ha un eloquio fluido, anche se non sempre conseguente, e mostra una<br />
notevole autonomia sociale. Biagio si muove facilmente nella città, ha avu to e ha<br />
tuttora alcuni amici al di fuori della cerchia psichiatrica. Pratica sport e mostra<br />
interesse per la musica e i concerti. Le ragioni che rendono la po si zio ne di Biagio<br />
qualificabile in termini di debolezza discendono più da con si de razioni<br />
sociologiche che psichiatriche. Biagio ha venticinque anni, ha un tito lo di studio<br />
modesto e ben poche esperienze professionali degne di nota. Biagio, inoltre, non<br />
può contare sul sostegno dei propri familiari, persuasi ormai della sua inettitudine<br />
per qualsiasi lavoro diverso da quello che gli può essere proposto «tramite i
dottori». A ciò si aggiunge, come ulteriore fattore di debolezza, la sua storia<br />
clinica, in specifico la precoce esperienza dei servizi psichiatrici che di certo non<br />
hanno contribuito a rafforzare la sua autostima. Il profilo diagnostico di Biagio,<br />
inoltre, non è tale da rendere ragionevole la via del riconoscimento dell’invalidità,<br />
una misura che - da quanto emerge dalle interviste - forse lo stesso Biagio<br />
riterrebbe inopportuna. Da tutto ciò discende la debolezza delle posizione di<br />
Biagio e la relativa indeterminatezza delle sue prospettive occupazionali.<br />
2.5.7. Forme di esclusione: incompatibilità<br />
il paziente psichiatrico<br />
L’ultima forma di esclusione, definita come incompatibilità raccoglie nove casi<br />
per i quali la manifestazione del disagio psichico conduce a forme gravi di disabilità<br />
che rendono improponibile un impegno lavorativo. Nelle narrazioni raccolte è<br />
possibile riconoscere due forme di incompatibilità, la prima, che definiamo<br />
“debole”, raccoglie la quasi totalità dei casi. In queste storie il lavoro è parte del<br />
disagio psichico, ne è - almeno nell’esperienza di queste persone - la causa,<br />
nutrendo vissuti persecutori o alimentando (è il caso di Sara, illustrato al par. 2.5)<br />
comportamenti compulsivi che ostacolano il normale svolgimento delle at tività. La<br />
seconda forma di esclusione, “forte”, riguarda due dei nove casi qui ru bricati. Si<br />
tratta qui di persone il cui profilo diagnostico o la natura della traiettoria biografia<br />
rendono estremamente difficile ipotizzare un impegno la vo rativo. La forma “de bo -<br />
le” di esclusione è illustrata in modo dram ma tica men te ef ficace dalla storia di Elia.<br />
ELIA ha 34 anni, nata a Torino, i genitori lavoravano come portinai.<br />
Quando Elia compie dieci anni la madre si ammala e a lei viene richiesto di<br />
aiutare il padre nella gestione della portineria. Di quegli anni non serba un ricordo<br />
po sitivo: «con i miei genitori non c’era, non c’era dialogo, non mi sentivo amata,<br />
eh... mi sentivo trascurata». Elia si allon tana dalla famiglia con il ma tri monio,<br />
legandosi a una persona più matura - «volevo qualcuno che mi pro teggesse» - ma<br />
che, in fin dei conti non ama: « con tenta mentre firmavo il, il coso del prete, lì mi<br />
chiedevo: “ma chissà se faccio la cosa giusta?”». Il marito lavorava come taxista e<br />
spesso svolgeva il proprio turno di notte. A casa da sola, Elia si tro va ad affrontare<br />
le prime manifestazioni del proprio disagio: «lui faceva la not te e io avevo paura a<br />
dormire la notte da sola, mi veniva l’ansia che non riuscivo a respirare». Dapprima<br />
fronteggia il proprio disagio ricorrendo a un ansiolitico che le prescrive il medico<br />
di famiglia, ma nemmeno così i suoi pro ble mi trovano una soluzione: «vedevo,<br />
vedevo i fantasmi vedevo... avevo paura di Dio, di Gesù, degli Angeli avevo paura<br />
io...». Con la mediazione della suo cera chiede al marito di cambiare turno,<br />
ottenendo una momentanea re missione dei sintomi.<br />
Nel medesimo periodo Elia trova lavoro - una breve sostituzione - in un<br />
supermercato alimentare. Al termine del contratto Elia, che contava in un<br />
rinnovo, vede deluse le proprie aspettative. Elia racconta che il suo capo «si era<br />
accorto che qualcosa non andava» ed esprime le proprie perplessità nel modo più<br />
85
86<br />
parte prima<br />
crudo, dicendo, al cospetto dei colleghi di Elia, «qui c’è qualcuno che ha bisogno<br />
della psicologa!». Elia vive questa esperienza come una sconfitta: «non sono<br />
riuscita neanche a tenermi un posto di lavoro!» cui si ripromette di rimediare<br />
immaginando una via alternativa per la propria autorealizzazione. Elia decide di<br />
«realizzarsi come madre».<br />
Comunque poi son stata a casa e dopo qualche mese mi è venuta l’idea del figlio, mi ero<br />
messa in testa che volevo avere un figlio per essere felice, che volevo... volevo realizzarmi<br />
come madre. Ho detto: va bene, lavoro a casa, mi guardo mio figlio, fac cio la mamma,<br />
è come se lavorassi in casa, ho detto io.<br />
Vinte le resistenze del marito, Elia progetta nei minimi dettagli la propria ma -<br />
ter nità: «ho studiato sui libri del periodo dell’ovulazione, del periodo fer tile, del<br />
periodo non fertile, ho studiato tutto, sapevo tutto» e di lì ha poco ri mane incinta.<br />
La gravidanza procede bene fino al quinto mese, quando un’ecografia - forse mal<br />
fatta o mal interpretata - porta a credere che il bimbo sarà affetto dalla sindrome<br />
di Down. Elia decide comunque di tener il bimbo e per quattro mesi vive in uno<br />
stato di continua tensione, che si scioglie solo con la nascita del figlio: un bimbo<br />
sano.<br />
Il bimbo dorme e mangia poco e, benché ciò non comporti alcun serio<br />
problema per il neonato, Elia diviene preda di una crisi particolarmente severa.<br />
Comunque fatto sta che dopo cinque, sei mesi dal parto è successo il patatrac: io sono<br />
proprio partita, sono andata, ma nel vero senso della parola, nel vero senso della parola<br />
[stringe gli occhi, si tortura le mani, batte i piedi sul pavimento], cioè non avevo più<br />
l’equilibrio, e vedevo, avevo proprio la realtà distorta, nello stesso tempo ho avuto la crisi<br />
mistica, non so, vedevo il diavolo, vedevo il diavolo allo specchio e vedevo - va bene, nel<br />
frattempo era morta anche mia mamma - e vedevo mia mamma e il papà di T. che era<br />
il socio di mio marito (...) lo vedevo in casa, vedevo i morti in casa (...) mio marito mi<br />
aveva portato da mia mamma, e allora lasciavo il bambino sul letto e dicevo che andavo<br />
a prendere gli asciugamani, dovevo prendere giù qualcosa per lui, e mia mamma mi<br />
diceva: “ma cosa fai, lo lasci solo sul letto un bambino di pochi mesi’”, “cosa c’è? tanto<br />
lui è un angelo, se cade non si fa niente”, dicevo. (Elia, Intervista libera).<br />
Elia si rivolge a uno psichiatra, presso un ambulatorio privato, e ottiene la re -<br />
missione dei sintomi positivi solo due anni più tardi. Nel frattempo il marito aveva<br />
aperto un bar che contava di gestire con un socio e con l’aiuto della mo glie. Elia,<br />
però, non ce la fa, contenuto il proprio delirio, si trova a fare i conti con un disturbo<br />
che le impedisce ogni forma di rapporto sociale, Elia parla di una «fobia sociale».<br />
Questa chiusura che avevo verso-verso gli altri, s’è poi trasformata, s’è poi tra sformata<br />
in malattia, proprio, era proprio una cosa che facevo tutti i giorni, che una cosa proprio<br />
ossessiva, il fatto di non riuscire a parlar di non riuscire a parlare con gli uomini, il fatto<br />
di non riuscire a parlare con le donne, e io per esempio, mio marito mi aveva chiesto di<br />
andare ad aiutarlo al bar, però io andavo, però stavo in cucina, salutavo, poi il bello-il
il paziente psichiatrico<br />
bello è che scappavo [scandisce con forza questa parola], scappavo proprio, entravo,<br />
dicevo ciao ciao e scappavo subito, però mi-mi veniva la tentazione di scappare... perché<br />
non riuscivo a stare.<br />
Il disagio di Elia ha ripercussioni sul rapporto con il marito che, progres si -<br />
vamente, si deteriora per chiudersi con una separazione. Elia oggi vi ve sola con il<br />
figlio e, per sostenersi economicamente vorrebbe trovare un lavo ro, ma al con -<br />
tempo lo teme: ha paura delle relazioni sociali che le verrebbero imposte e pri ma<br />
ancora, ha paura di parlare con un datore di lavoro per offrirgli la sua<br />
collaborazione.<br />
Io farei qualsiasi-qualsiasi tipo di lavoro, farei. E... Volendo potrei im pa rare... Farei<br />
qualsiasi tipo-tipo di lavoro, perché io adesso, adesso ho proprio-pro prio necessità.<br />
Perché gli alimenti che mi passa M. [il marito] non mi ba steranno per vivere una vita<br />
decente, dico. (...) Però una cosa brutta che sento è che non sto bene insieme agli altri,<br />
però non voglio stare neanche da sola.<br />
Le due forme “forti” di incompatibilità riguardano Giorgio e Marzia.<br />
GIORGIO ha trent’anni, si tratta della persona - tra quelle intervistate - con la<br />
diagnosi più severa. L’esordio del disturbo psichico si colloca per Giorgio in età<br />
pediatrica e si associa a un deficit intellettivo.Giorgio mostra evidenti dif ficoltà<br />
cognitive cui si sovrappongono alcuni pensieri ossessivi che disturbano l’e labo -<br />
razione di un pensiero coerente. Giorgio non ha alle spalle alcuna signi ficativa<br />
esperienza di lavoro e la sua fragilità, dettata anche da un’isti tu zio na liz zazione<br />
precoce, porta ad escludere questa esperienza dal novero di quelle possibili e forse<br />
anche utili.<br />
Nel caso di MARZIA la condizione di incom patibilità (revocabile come tutte le<br />
cose del mondo) discende dal sovrapporsi di problemi - non severi - di disabi lità<br />
psichica a una più profonda condizione di deprivazione economica e cultu rale.<br />
Marzia ha 34 anni, cresciuta in un orfanotrofio, viene adottata nella prima in fanzia<br />
da una famiglia dalla quale dice poi di essere stata cacciata: «all’età di ventidue anni<br />
mi hanno buttato fuori di casa». Gli anni che seguono vengono ri co struiti con<br />
estrema vaghezza, nel corso di un’intervista che ha messo a dura pro va le capacità<br />
di ascolto degli intervistatori. Apprendiamo che Marta ha su bìto una violenza<br />
sessuale e che, a seguito di questo episodio, è diventata siero posi tiva all’HIV e che<br />
tutto ciò - non è dif ficile crederlo - l’ha pro fon damente scos sa. Marzia vive in una<br />
casa che mostra segni evidenti di de gra do, lei stessa mo stra poca attenzione<br />
all’abbigliamento e l’igiene personale. Numerosi ricoveri e almeno un tentativo di<br />
suicidio completano il quadro, dipingendo il profilo di una donna estremamente<br />
provata, cui è difficile chiedere di mettersi ancora alla prova con un lavoro.<br />
87
88<br />
. Riferimenti bibliografici<br />
parte prima<br />
- Bury M., 2001, Illness narratives: fact or fiction?, in «Sociology of Health and Illness»,<br />
vol. 23, num. 3, pp. 263-285.<br />
- Contini G., Lalli P. e Meriini A., 1991, Vita quotidiana nella famiglia dello schizofrenico,<br />
Roma, La Nuova Italia Scientifica.<br />
- Converso D. e Piccardo C., 2003, Il profitto dell’empowerment. Formazione e sviluppo<br />
organizzativo nelle imprese non profit, Milano, Raffaello Cortina Editore.<br />
- Goffman E., 2001, Asylums. Le istituzioni totali: I meccanismi dell’esclusione e della<br />
violenza, Torino, Edizioni di Comunità (ed. orig. 1961).<br />
- Hirschman A.O., 2002, Lealtà, defezione, protesta: rimedi ala crisi delle imprese, dei partiti<br />
e dello Stato, Milano, Bompiani (ed. orig. 1970).<br />
- Jahoda M., Lazarsfeld P.F., Zeisel H., 1971, I disoccupati di Marienthal, Roma, Edizoni<br />
Lavoro.<br />
- Pearlin L., 1983, Tensioni vitali e sofferenza psicologia negli adulti, in Erikson E. e<br />
Smelser N. (a cura di), Amore e lavoro, Milano, Bompiani, edizione originale 1980.<br />
- Piccione R., 1995, Manuale di psichiatria, Roma, Bulzoni editore.<br />
- Veglia F., 1999, Narrazione e cura in psicoterapia cognitiva, Torino, Bollati Boringhieri.
3.<br />
Il contesto familiare<br />
3.1. Introduzione<br />
il contesto familiare<br />
Le osservazioni che seguono sono state tratte dalle interviste discorsive e dai<br />
gruppi di discussione condotti con i familiari degli utenti dei Centri di Salute<br />
mentale, considerate dalla particolare prospettiva del lavoro. Il lavoro è parte<br />
del più ampio processo di riabilitazione attraverso il quale una persona con<br />
disagio psichico può riacquistare capacità e abilità sociali, relazionali e pro -<br />
fessionali. Come osservava Franco Basaglia “un individuo malato ha, come pri -<br />
ma necessità, non solo la cura della malattia ma molte altre cose: ha bisogno di<br />
un rapporto umano con chi lo cura, ha bisogno di risposte reali per il suo es -<br />
se re, ha bisogno di denaro, di una famiglia e di tutto ciò di cui anche noi medici<br />
che lo curiamo abbiamo bisogno” (Basaglia, 2000: 10).<br />
La posta dell’inclusione so ciale, dunque, non si gioca soltanto nel l’in -<br />
serimento lavorativo ma nel più am pio processo di riabilitazione, che include<br />
il lavoro ma altresì la casa, gli affetti e i saperi (Ciompi, 1994). Lo status di<br />
lavoratore, inoltre, può non essere di per sé sufficiente a garantire uno stato di<br />
benessere fisico e psicologico se la per cezione del lavoro da parte di chi lo<br />
svolge è espressa in termini di pri vazione relativa, come può avvenire nel caso<br />
di lavori imposti, umili sotto il pro filo del loro contenuto intrinseco, carat -<br />
terizzati da fatica, precarietà, sfruttamento (Gabriele e Giustini, 2000),<br />
routine, mancanza di progettualità, dipendenza dal contesto 57 (Pirella, 1999), e<br />
an cora “lavori mal retribuiti, pre cari o che - patentemente - si configurano co -<br />
me una sinecura”, con le parole di un familiare, un “lavoro finto”.<br />
Cristiano Castelfranchi mette bene in evi denza come le mancanze di potere,<br />
ossia le mancanze di capacità, risorse, mo tivazioni, diritti, supporti e le<br />
condizioni d’inferiorità sociale possano co stituire situazioni di rischio che,<br />
lasciate a sé stesse instaurano vortici ne gativi e involutivi nelle condizioni di<br />
vita e sociali di una persona (Castel fran chi, 2000).<br />
Mario Cardano, infine, richiama l’attenzione sulla minaccia di un’ag gres -<br />
sione all’autostima dei pazienti rappresentata dalle occupazioni di scarso pre -<br />
sti gio e suggerisce d’includere il lavoro all’interno di un progetto riabilitativo<br />
di più ampia portata, in modo che l’attività svolta non costituisca lo strumento<br />
prin cipe nella definizione dell’identità di queste persone.<br />
Le riflessioni che seguono ci consentono da un lato di cogliere il punto di<br />
vi sta dei familiari dei pazienti psichiatrici su questi temi, dall’altro lato di far<br />
emer gere i meccanismi di rappresentazione che possono fungere da mediatori<br />
nel l’ambito delle interazioni familiari e avere un’influenza sulle dinamiche la -<br />
vo rative dei loro congiunti.<br />
89
90<br />
3.2. I significati del lavoro<br />
Tutti i familiari interpellati forniscono argomentazioni a sostegno del l’im -<br />
portanza di svolgere un’attività lavorativa o pseudolavorativa 58 , seb bene le loro<br />
mo tivazioni siano diverse in ragione dell’attenzione puntata su gli aspetti<br />
economici, d’intrattenimento e riabilitativi del lavoro e quan tun que due di lo -<br />
ro ritengano che i propri congiunti siano tem poraneamente inidonei allo svol -<br />
gimento di qualsivoglia attività lavorativa 59 . Sul primo versante, tre fami liari su<br />
di cian nove (la madre di Giorgia, la figlia di Greta, la sorella di Sara) indi vi -<br />
duano nel lavoro un mezzo di sostentamento e d’indipendenza economica.<br />
Due familiari (il padre d’Ilaria e la madre di Marcello 60 ) considerano uni ca -<br />
mente la funzione d’intrattenimento del lavoro che viene da loro considerato<br />
come un modo per impegnare il tempo. La madre di Gemma focalizza invece<br />
l’attenzione unicamente sugli aspetti riabilitativi individuando nel lavoro una<br />
fonte d’autostima e circoscrivendo la gamma di occupazioni possibili per la<br />
propria figlia a quei lavori che consentono una reale soddisfazione.<br />
Vi sono poi alcuni familiari (la madre di Alfredo e la sorella di Viola) che<br />
considerano sia l’aspetto d’intrattenimento sia la funzione riabilitativa del<br />
lavoro. Esso viene in teso come un modo per impegnare il tempo, una fonte di<br />
svago e di libe ra zione dal tedio, ma altresì un’occasione di socialità, una fonte<br />
d’ottimismo e d’a u tostima.<br />
Altre due persone (la sorella di Edoardo e la madre di Matteo) ac costano la<br />
motivazione economica a quella riabilitativa. Il lavoro viene per tan to con si de -<br />
rato una fonte di guadagno, uno strumento per esaurire gli anni di con tri -<br />
buzione e arrivare al pensionamento, ma altresì una fonte di sod di sfa zione,<br />
mo tivazione, d’autostima, di dignità, d’ottimismo, un’opportunità di ma tu ra -<br />
zione, uno strumento di “normalizzazione” della persona.<br />
Infine, nove familiari (il padre, la madre e la sorella di Biagio, il padre e la<br />
madre di Flavio, la madre di Marco, la sorella di Lucia, la madre di Marta, la<br />
madre di Aldo, il padre di Adriano, la zia di Margherita, la figlia di Sofia) pren -<br />
dono in analisi tutti questi aspetti, economico, d’intrattenimento e riabi lita -<br />
tivo, offrendo spiegazioni che si aggiungono alle precedenti versioni. Il lavoro<br />
vie ne considerato una fonte di guadagno, di sostentamento e d’autonomia eco -<br />
no mica, ma altresì un modo per impegnare il tempo, una fonte di svago e di<br />
libe ra zione dal tedio, un’occasione di socialità, d’interazione e di confronto<br />
con gli altri, una sorgente di soddisfazione, di gratificazione, di motivazione,<br />
di di gnità, d’ottimismo e di stimolo alla cura di sé, una fonte d’autostima,<br />
un’op portunità di maturazione, uno strumento d’integrazione e di “norma -<br />
lizzazione” della persona.<br />
3.3. Il lavoro più consono<br />
parte prima<br />
Posto che il lavoro è importante, le argomentazioni a sostegno di questa tesi
il contesto familiare<br />
vengono modulate dalle persone intervistate in ragione della possibilità d’im -<br />
piego dei loro congiunti, considerando i punti di forza e i punti di de bolezza<br />
di questi ultimi, in relazione ai vantaggi o agli svantaggi che essi pos sono<br />
rappresentare nel mondo del lavoro, e distinguendo tra collocazioni pos sibili e<br />
collocazioni escluse. Un caso a sé è rappresentato da tre familiari su di cian nove<br />
(la figlia di Greta, il padre d’Ilaria, la madre di Marco), parenti di persone che<br />
sono stabilmente occupate, i quali non danno indicazioni circa la possibile<br />
collocazione lavorativa del proprio parente ma si limitano a tratteggiare le<br />
prerogative e le mancanze dei propri congiunti in relazione agli aspetti<br />
dell’attività lavorativa svolta che hanno una ricaduta positiva o negativa su di<br />
loro 61 . Un altro caso a parte è rappresentato dall’intervista “anomala” alla<br />
madre di Giorgia, che è altresì datrice di lavoro della figlia, la quale non dà in -<br />
dicazioni precise sulle possibili collocazioni lavorative di quest’ultima, ma si li -<br />
mita a indicare il lavoro di profumiere come l’attività che soddisferebbe le in -<br />
clinazioni naturali della figlia. Infine l’ultimo caso ai margini è quello della so -<br />
rella di Sara, che esclude la propria sorella dal mondo produttivo, ritenendola<br />
tem poraneamente inidonea allo svolgimento di qualsivoglia attività<br />
lavorativa 62 .<br />
Le linee argomentative dei quattordici familiari che offrono indicazioni<br />
precise in merito al lavoro più consono al proprio congiunto, possono essere<br />
ordinate incrociando le due dimensioni di cui al diagramma 1. La dimensione<br />
“area di collocazione” indica il complesso di contesti occupazionali che i<br />
familiari dei pazienti psichiatrici ritengono adeguati alle caratteristiche dei<br />
loro congiunti. L’area è stretta quando il contesto consono è limitato a settori<br />
non governati dai vincoli stringenti della produttività e della competizione, è<br />
estesa quando comprende tutte le possibilità occupazionali disponibili sul mer -<br />
cato del lavoro. La dimensione “bilancio punti di forza/punti di debolezza” in -<br />
dica la ponderazione fra le prerogative e le mancanze dei propri congiunti, che<br />
costituiscono rispettivamente una facilitazione o una limitazione nel mondo<br />
del lavoro. Il bilancio può essere negativo quando il piatto contenente i punti<br />
di debolezza ha un maggiore peso rispetto ai punti di forza, positivo quando il<br />
rendiconto gioca a favore dei punti di forza.<br />
Lo spazio di attributi così costruito, tuttavia, è ridotto a causa dell’assenza<br />
del prodotto logico, ossia dell’intersezione fra la classe “stretta” sulla di -<br />
mensione “area di collocazione” e la classe “positivo” sulla dimensione “bi lan -<br />
cio punti di forza/punti di debolezza”. Nella casella 4 del diagramma 1, infatti,<br />
non ricade alcuna delle persone da noi interpellate. Sulla base di queste<br />
considerazioni, l’incrocio fra le classi delle due dimensioni genera una<br />
tipologia di familiari, che comprende tre diversi tipi di familiare: La casella 1 -<br />
area di collocazione stretta e bilancio fra punti di forza e punti di debolezza<br />
negativo - definisce la situazione più diffusa tra i familiari intervistati, per i<br />
qua li una collocazione lavorativa dei propri congiunti è possibile presso con -<br />
testi aziendali diversi da quelli privatistici. I familiari che rientrano in questo<br />
91
92<br />
tipo sono: il padre, la madre e la sorella di Biagio, la madre di Marcello, la<br />
madre di Alfredo, la madre di Marta, la madre di Matteo, la madre di Aldo, la<br />
madre di Gemma, il padre di Adriano.<br />
Nella casella 2 - area di collocazione estesa e bilancio fra punti di forza e<br />
punti di debolezza negativo - ricadono tipicamente i familiari che adottano un<br />
atteggiamento prudente, ossia che non rifiutano aprioristicamente alcuna so -<br />
luzione o possibilità rispetto alla collocazione lavorativa del proprio con giunto.<br />
I familiari che rientrano in questo tipo sono: il padre e la madre di Flavio,<br />
la sorella di Lucia, la sorella di Viola.<br />
Nella casella 3 - area di collocazione estesa e bilancio fra punti di forza e<br />
punti di debolezza positivo - troviamo tipicamente i familiari che guardano<br />
con speranza al futuro lavorativo del proprio congiunto: la sorella di Edoardo,<br />
la zia di Margherita, la figlia di Sofia.<br />
. Diagramma 1<br />
Bilancio<br />
PUNTI DI FORZA<br />
PUNTI DI DEBOLEZZA<br />
3.3.1. Scettici<br />
NEGATIVO<br />
POSITIVO<br />
parte prima<br />
AREA DI COLLOCAZIONE<br />
STRETTA ESTESA<br />
1 2<br />
4<br />
Scettici Possibilisti<br />
---------<br />
Ottimisti<br />
Scetticismo designa la disposizione dei familiari (otto su quattordici) che<br />
ten dono a valutare le caratteristiche dei propri congiunti in modo realistico<br />
oppure iperrealistico in senso denigratorio e che, di conseguenza, non ri ten -<br />
gono possibile una loro collocazione in contesti aziendali privatistici.<br />
Ciò che caratterizza questo gruppo di persone, e che lo rende omogeneo, è<br />
una concezione darwinista del mondo del lavoro, stante la considerazione di<br />
quest’ultimo come di un luogo vocato alla produzione e al profitto, dominato<br />
da implacabili leggi di mercato e dalla competizione, all’interno del quale sono<br />
richiesti spirito di sacrificio, costanza, continuità, prestanza fisica e una certa<br />
dose di sagacia. Vi è inoltre una consapevolezza delle difficoltà legate alla con -<br />
giuntura economica attuale, per cui il mondo del lavoro viene da loro descritto<br />
come una realtà caratterizzata dalla precarietà, dallo sfruttamento, dal pre giu -<br />
3
il contesto familiare<br />
dizio, dalla carenza d’offerta di lavoro, specie nel capoluogo piemontese.<br />
In generale, queste persone indicano tra le collocazioni possibili per i loro<br />
congiunti contesti considerati “protetti” come le Cooperative sociali, lavori<br />
per conto e/o presso gli Enti Pubblici, oppure lavori non meglio specificati:<br />
“un lavoretto giusto per darle... l’impressione di un lavoro” (la madre di<br />
Marcello), lavori per i quali sembra tollerabile un rendimento minore, in<br />
termini sia di quantità sia di qualità del lavoro svolto, stante la considerazione<br />
di questo tipo d’aziende come produttrici di servizi e dunque non orientate al<br />
profitto, ancorché alcuni familiari evidenzino criticità anche in questi con -<br />
testi 63 . Dietro a queste indicazioni si cela da un lato una concezione del lavoro<br />
adatto ai propri congiunti mancante dello statuto di lavoro in senso pro prio,<br />
ossia della dimensione produttiva, dall’altro lato l’immagine dell’azienda pri -<br />
vata come un luogo privo di moralità. Queste considerazioni suggeriscono<br />
l’idea di un’inaccessibilità di tale realtà e di un’inefficacia del proprio con -<br />
giunto. È altresì presente, infatti, una valutazione delle caratteristiche del pro -<br />
prio con giunto che appare realistica per metà dei casi considerati (la madre di<br />
Al fre do, la madre di Marta, la madre di Matteo, la madre di Gemma), iper -<br />
realistica, ossia denigratoria, per l’altra metà (il padre, la madre e la sorella di<br />
Biagio, la madre di Marcello, la madre di Aldo, il padre di Adriano). Per valu -<br />
tazione realistica s’intende un’opinione consapevole dei limiti del proprio con -<br />
giun to, in accordo con il giudizio espresso dai pazienti, con il quadro dia gno -<br />
stico prospettato dallo psichiatra curante e con le impressioni maturate dal<br />
grup po di ricerca sulla base delle interviste condotte. Per valutazione ir rea li -<br />
stica, s’in ten de, al contrario, un’opinione che tende a fotografare le carat te ri -<br />
stiche del pro prio congiunto in termini denigratori, che vanno oltre il giu di zio<br />
e spres so da gli utenti, il quadro diagnostico dello psichiatra e le impres sioni<br />
ma turate all’interno del gruppo di ricerca sulla base delle interviste condotte.<br />
Il lavoro inteso in questo contesto è un pseudolavoro, un “lavoro finto”, vale<br />
a dire un’attività che può tollerare da un lato livelli di rendimento mino ri e<br />
man sioni di scarso prestigio e responsabilità, dall’altro lavoratori po co pro -<br />
duttivi e meno “rampanti” 64 .<br />
Queste indicazioni emergono chiaramente dal le interviste al padre, alla<br />
madre e alla sorella di Biagio, alla madre di Mar cello, alla madre di Marta, alla<br />
madre di Aldo e al padre di Adriano, per i qua li so no escluse dalla gamma di<br />
lavori possibili le occupazioni che com portano un carico fisico o psichico<br />
gravoso e ritmi di lavoro incalzanti (il padre, la ma dre e la sorella di Biagio, la<br />
madre di Marta, la madre di Aldo, il padre di A dria no), lavori che comportano<br />
un rischio d’infortunio (il padre, la madre e la so rella di Biagio, la madre di<br />
Marta), lavori di responsabilità (la madre di Mar cel lo, la madre di Aldo, la<br />
madre di Gemma). Dalle interviste dei familiari che danno una valutazione<br />
realistica delle caratteristiche del proprio congiunto emergono, tuttavia, alcuni<br />
spunti di riflessione che moderano le precedenti rappresentazioni. Esse po -<br />
stulano la necessità di trovare il posto giusto per la persona giusta, ponendo<br />
93
94<br />
parte prima<br />
attenzione alla congruenza del lavoro offerto con il titolo di studio, i bisogni,<br />
le aspirazioni e le competenze del proprio congiunto. La madre di Matteo e la<br />
madre di Gemma, inoltre, sottolineano la necessità di proteggere il proprio pa -<br />
rente da lavori poveri di contenuto, dalla brutalità e dall’intransigenza delle lo -<br />
giche di mercato, di fronte alle quali occorre essere ben dotati di strumenti di<br />
difesa e d’offesa. La madre di Gemma, tuttavia, ritiene la propria figlia tem po -<br />
raneamente inidonea allo svolgimento di qualsivoglia attività lavorativa,<br />
tantomeno un lavoro di pulizie, stante il problema di sovrappeso che l’affligge.<br />
Infine, cinque familiari su otto (la madre di Marcello, la madre di Matteo,<br />
la madre di Aldo, la madre di Gemma, il padre di Adriano) ritengono che sia<br />
preferibile proporre ai propri parenti un contratto di lavoro a tempo parziale.<br />
L’immagine della certificazione d’invalidità psichica e la valutazione della<br />
sua utilità appare piuttosto omogenea e riflette le tendenze sin qui delineate.<br />
Tutti concordano sul fatto che essa sia una risorsa economica, che taluni<br />
destinano all’acquisto dei farmaci (la madre di Biagio, la madre di Marcello, la<br />
madre di Alfredo, la madre di Gemma), altri all’espletamento d’esami clinici di<br />
controllo (la madre di Alfredo). Il padre di Adriano, inoltre, la considera un<br />
vantaggio ai fini dell’ottenimento della sua pensione di reversibilità.<br />
Sei familiari su otto (il padre, la madre e la sorella di Biagio, la madre di<br />
Marcello, la madre di Matteo, la madre di Aldo, la madre di Gemma, il padre<br />
di Adriano) ritengono che la certificazione sia una forma di risarcimento per<br />
una situazione di fatto, quantunque due di loro giudichino la relativa cifra<br />
irrisoria e inadeguata (la madre di Gemma, il padre di Adriano). Due persone,<br />
in fine, ritengono che essa sia uno strumento per l’accesso agevolato al mercato<br />
del lavoro (la madre di Marta, il padre di Adriano), benché la madre di Gemma<br />
e il padre di Adriano considerino la Legge 68 inefficace, giacché oggetto di<br />
rag giro da parte delle aziende. Infine, un solo familiare reputa reversibile la<br />
certi ficazione d’invalidità (il padre di Biagio). È degno di nota che questa va -<br />
lu tazione - corretta - sia resa da una persona semplice, tutt’altro che so fi sti ca -<br />
ta dal punto di vista intellettuale.<br />
Questo modello è confermato altresì dalle aspettative e dalle opinioni e -<br />
spres se nei confronti dei servizi di salute mentale in campo lavorativo, che da<br />
un lato si ritengono competenti per quanto attiene alla valutazione, al l’o rien -<br />
ta mento, alla formazione e all’inserimento lavorativo delle persone con di sagio<br />
psi chico (il padre e la sorella di Biagio, la madre di Matteo, la madre di Aldo,<br />
il padre di Adriano), dall’altro lato si reputano carenti sotto alcuni aspet ti: il<br />
bas so livello di coinvolgimento e d’attenzione alle ragioni dei familiari in<br />
quest’ambito (il padre di Adriano), l’assenza di un rapporto di collaborazione<br />
stret to con il datore di lavoro anche in seguito all’inserimento lavorativo (la<br />
ma dre di Marta), la mancanza di fondi da investire in quest’ambito (la madre<br />
di Matteo, il padre di Adriano), l’incompetenza nell’assistenza e nella consu -<br />
lenza sulle problematiche concernenti il lavoro in genere (la madre di Matteo),<br />
più in generale la mancanza d’iniziativa delle Istituzioni Pubbliche Locali che
dovrebbero creare lavori protetti per persone con disagio psichico (la madre di<br />
Gemma): “[...] bisognerebbe che [...] il Comune e la Provincia nell’ambito in<br />
cui viviamo [...] S’impegnassero appunto a prendere questi soldi della legge 68<br />
e... e... costruire... me metti conto, secondo me, magari una... una cooperativa<br />
[...] facessero magari delle serre dove questi ragazzi hanno varie mansioni [...]<br />
Con...dei tutori, naturalmente, che li seguono [...] delle serre dove c’è un<br />
ufficio, dove...dove c’è...quello che tiene conto...contabilità, dove c’è quello<br />
che...che semina, che raccoglie [...] così. Non le cose in grande per dire [...]<br />
però entrare in un lavoro protetto che... che fosse però nostro. Perché se<br />
vai...e...se ‘sti ragazzi vanno alle dipendenze degli altri ci vanno tre mesi e poi<br />
te li sbattono [...] ancora lì. Loro ancora più frustrati [...] E se...se invece...se<br />
invece si... s... si... occupassero di fare appunto, secondo il mio modesto parere,<br />
del... delle... delle piccole fabbriche [...] Creare lavoro! [...] Avere... avere delle<br />
imprese nostre dove i nostri ragazzi vanno tranquilli [...] Lì lavorano, nessuno<br />
li manda via, sappiamo [...] che hanno dei problemi: oggi non stai bene, stai a<br />
casa, l’altro giorno...Senza avere [...] l’affanno di andare [...] sotto gli altri<br />
perché [...] Non riescono a comprendere la loro situazione [...] Il nostro<br />
problema non lo comprenderà mai nessuno [...] tranne qualcuno che lo ha<br />
vissuto [...]” (Focus group familiari 31/1/04).<br />
3.3.2. Possibilisti<br />
il contesto familiare<br />
Possibilismo designa la disposizione dei familiari (tre su quattordici) che<br />
adottano un atteggiamento prudente rispetto alla collocazione lavorativa del<br />
proprio congiunto. Si tratta di persone che non rifiutano aprioristicamente<br />
alcuna soluzione, ritenendo possibile una sistemazione del proprio congiunto<br />
presso aziende di qualsiasi tipo, e valutando in modo realistico le carat te -<br />
ristiche dei propri congiunti, fornendo cioè un’opinione consapevole dei limiti<br />
del proprio congiunto, in accordo con il giudizio espresso dai pazienti, con il<br />
quadro diagnostico prospettato dallo psichiatra curante e con le impressioni<br />
maturate dal gruppo di ricerca sulla base delle interviste condotte.<br />
Ciò che caratterizza questo gruppo di persone, e che lo rende omogeneo, è<br />
un’immagine progressista del lavoro come di un’attività vocata sì alla pro -<br />
duzione e al profitto, ma non priva di moralità, bensì disponibile a una mag -<br />
gio re flessibilità grazie da un lato ai vantaggi fiscali derivanti dall’inserimento<br />
di una persona svantaggiata (la sorella di Lucia), dall’altro lato alla presenza di<br />
per sone sensibili nei confronti dei soggetti svantaggiati, distribuite in modo<br />
più o meno omogeneo all’interno delle aziende pubbliche e private (la sorella<br />
di Viola). Dietro a queste indicazioni si cela una concezione del lavoro idoneo<br />
ai propri congiunti che mantiene la dimensione produttiva e che rivaluta e<br />
restituisce fiducia da un lato alle aziende, dall’altro lato alle persone con di -<br />
sagio psichico, riconoscendone il valore intrinseco nonostante i punti di<br />
debolezza che pure sono tenuti presenti. Il lavoro di cui si parla è dunque un<br />
95
96<br />
parte prima<br />
lavoro a tutti gli effetti e il paziente di cui si parla è una persona meno<br />
“rampante”, con tempi di riscaldamento lunghi, ma in grado d’offrire il pro -<br />
prio contributo senza provocare perdite all’azienda (il padre di Flavio) “il fatto<br />
è che questi ragazzi non hanno una partenza valida. È come un motore diesel,<br />
però una volta che si riscalda e partono...” (Focus group familiari 7/2/04).<br />
Viene qui recuperato l’elemento dello scambio fra il datore di lavoro e il<br />
lavoratore, fra la mansione attribuita e la qualità del servizio reso.<br />
All’azienda è attribuito un ruolo d’incoraggiatrice e di motivatrice: essa ri ce ve -<br />
rà il meglio da queste persone se offrirà loro comprensione e credibilità.<br />
I familiari di questo gruppo attribuiscono una grande importanza alla<br />
ricerca del posto giusto per la persona giusta, ossia la ricerca e la proposta di<br />
un lavoro congruente con le inclinazioni, le aspirazioni e le competenze del<br />
proprio congiunto, senza preclusioni o ghettizzazioni “trovare i luoghi e i<br />
lavori giusti individuali, perché [...] ognuno di loro ha delle proprie esigenze,<br />
delle proprie caratteristiche [...] delle proprie ambizioni, dei propri bisogni<br />
voglio dire. Non possiamo fare di tutta un’erba un fascio: “Scarichiamolo lì,<br />
oppure ghettizziamoli. Questo è il...dove devono vivere, questo è dove devono<br />
lavorare...”. Ecco, no. Perché io sono convinta...ma ne sono convinta e penso<br />
chiunque di noi, perché li conosce i nostri malati voglio dire, che sono delle<br />
persone molto in gamba, anzi io ritengo in alcuni casi mia sorella è più in<br />
gamba di me” (la sorella di Lucia, Focus group familiari 7/2/04). Nondimeno<br />
essi ritengono che sia indispensabile concordare il lavoro con il paziente, o<br />
eventualmente ridimensionare le sue aspettative, giacché l’imposizione di<br />
un’attività lavorativa modesta e/o non liberamente scelta, comporterebbe un<br />
peggioramento dello stato di salute della persona (la madre di Flavio). Infine<br />
un familiare su tre ritiene sia preferibile proporre al proprio parente un<br />
rapporto di lavoro a tempo parziale, stante la mole d’impegni extralavorativi<br />
della sorella (la sorella di Lucia).<br />
L’immagine della certificazione d’invalidità psichica e la valutazione della<br />
sua utilità appare disomogenea ma in linea con le tendenze sin qui delineate.<br />
Due familiari su tre focalizzano l’attenzione sull’aspetto economico della<br />
certificazione, considerata una risorsa utile a integrare il lavoro principale nel<br />
caso in cui quest’ultimo venga mal remunerato (la sorella di Viola), ancorché<br />
la relativa cifra risulti irrisoria e inadeguata (la sorella di Lucia). Inoltre la<br />
sorella di Viola e la madre di Flavio giudicano la certificazione d’invalidità un<br />
valido strumento per l’accesso agevolato al mondo del lavoro. Il padre di<br />
Flavio, tuttavia, non ritiene che essa possa avere un’immediata utilità per il fi -<br />
glio, e la considera uno stigma che può comportare la compromissione del fu -<br />
tu ro affettivo del proprio congiunto, stante la sua giovane età.<br />
Questo modello è altresì confermato dalle aspettative nei confronti dei<br />
servizi di salute mentale in campo lavorativo, che da un lato si ritengono<br />
competenti in quest’ambito, in particolare per quanto attiene alla valutazione<br />
e all’inserimento lavorativo (la madre di Flavio, la sorella di Viola), dall’altro
sono invitati a promuovere le attività di cura e di socializzazione, considerati i<br />
presupposti, rispettivamente, della continuità e dell’integrazione sociolavorativa<br />
(il padre di Flavio, la sorella di Lucia). Viene formulata, inoltre, la<br />
richiesta esplicita di un maggior coinvolgimento e attenzione al parere dei<br />
familiari anche in ambito lavorativo (la sorella di Lucia).<br />
3.3.3. Ottimisti<br />
il contesto familiare<br />
Ottimismo designa la disposizione dei familiari (tre su quattordici) che<br />
rimangono in fiduciosa attesa di un lavoro in cui sono certi che possa<br />
consistere il bene del proprio congiunto.<br />
Ciò che caratterizza questo tipo di familiari è la tendenza a sovrastimare le<br />
caratteristiche del proprio congiunto. In due casi su tre, tuttavia, essa si ac com -<br />
pagna a un senso di realtà in rapporto ad alcune criticità del mercato del la -<br />
voro, in particolare l’alto livello di competizione e la carenza d’offerta di la vo -<br />
ro nella nostra città (la sorella di Edoardo), e riguardo ai lavori che vengono<br />
ge neralmente prospettati alle persone con disagio psichico, carat terizzati da<br />
una povertà di contenuto intrinseco (la figlia di Sofia). La tendenza a esaltare<br />
le qualità del proprio congiunto, inoltre, viene in parte moderata dalle con si -<br />
derazioni riguardanti le caratteristiche dei lavori più consoni al proprio pa -<br />
rente, per i quali è preferibile un contratto di lavoro a tempo parziale, al fine<br />
di evitare livelli eccessivi di stress. Il lavoro di cui si parla è un lavoro a tutti gli<br />
effetti, liberamente scelto (la sorella di Edoardo), stimolante e congruente con<br />
le competenze della persona (la sorella di Edoardo, la figlia di Sofia), semplice<br />
e chiaro nelle mansioni da svolgere (la sorella di Edoardo) con prospettive di<br />
crescita professionale (la figlia di Sofia). Soltanto un familiare su tre (la zia di<br />
Margherita) mostra un atteggiamento di negazione del disturbo mentale del<br />
proprio congiunto e assenza di senso di realtà circa le reali opportunità offerte<br />
dal mercato del lavoro 65 . Il lavoro in questione è un lavoro standard con gruen -<br />
te con le competenze professionali della nipote, quantunque questa per sona<br />
ritenga che la propria congiunta debba accettare altresì un’occupazione<br />
modesta e sottopagata. Per quanto attiene all’orario di lavoro, inoltre, è pre fe -<br />
ri bile che la nipote lavori a tempo pieno, al fine di impegnare il tempo in<br />
qualche attività.<br />
L’immagine della certificazione d’invalidità psichica conferma questo<br />
modello, giacché in un caso (la zia di Margherita) la certificazione non è stata<br />
richiesta, in un altro (la sorella di Edoardo) l’invalidità è intesa come uno<br />
stigma che pone limiti all’esigenza e al bisogno di normalizzazione della per -<br />
sona, in un altro ancora, pur riconoscendo che si tratta di un’esigua risorsa e<br />
di una forma di risarcimento, il familiare ritiene che in futuro essa potrà essere<br />
parzialmente invertita (la figlia di Sofia).<br />
Per quanto riguarda il ruolo dei servizi di salute mentale in ambito<br />
lavorativo, soltanto in un caso viene chiesto loro d’occuparsi dell’inserimento<br />
97
98<br />
parte prima<br />
lavorativo del proprio congiunto (la zia di Margherita), mentre la figlia di Sofia<br />
e la sorella di Edoardo 66 ritengono che i corsi di formazione e aggiornamento<br />
proposti dai CSM possano essere utili ai fini di un arricchimento personale e<br />
professionale.<br />
3.4. Il profilo dei pazienti cui si riferiscono i diversi tipi di familiari<br />
Le principali differenze a livello socio-anagrafico fra gli utenti dei Centri di<br />
Salute Mentale sono state raccolte nella fase del campionamento, mentre le<br />
informazioni riguardanti il livello d’istruzione e il grado d’autonomia sono<br />
state ricavate dai materiali raccolti nella prima fase della ricerca. Gli indicatori<br />
selezionati ai fini della determinazione del grado d’autonomia sono: la condizione<br />
abitativa, lo status occupazionale, la vita “sociale” del paziente.<br />
a. Tra i congiunti dei familiari scettici prevalgono nettamente gli uomini,<br />
per gran parte di giovane età. L’etichetta diagnostica è grave nella maggior<br />
parte dei casi considerati, così come il grado d’autonomia dei pa -<br />
zienti, che risulta essere in prevalenza medio-basso. A questo proposito,<br />
tuttavia, occorre considerare da un lato la composizione del campione,<br />
all’interno del quale i pazienti con diagnosi considerata importante ai fini<br />
della compromissione del funzionamento sociale sono sovrarappresentati<br />
sia nel caso della popolazione di genere femminile (17 su 26) sia nel caso<br />
della popolazione di genere maschile (16 su 24), dall’altro lato la tendenza<br />
a non coinvolgere i propri familiari nella ricerca registrata fra gli utenti<br />
con diagnosi lieve. Il livello d’istruzione di queste persone è in prevalenza<br />
modesto.<br />
b. I parenti dei possibilisti sono in prevalenza donne d’età matura.<br />
L’etichetta diagnostica è grave nella maggioranza dei casi rappresenta-ti 67 ,<br />
tut ta via il grado d’autonomia appare prevalentemente alto. Il livello d’i -<br />
stru zione di queste persone è, al contrario, modesto.<br />
c. Tra i congiunti dei familiari ottimisti prevalgono le donne. La fascia d’età<br />
maggiormente rappresentata è quella matura. In tutti i casi vi è un’etichetta<br />
diagnostica grave 68 e un grado d’autonomia tendenzialmente medio-basso.<br />
Infine, il livello d’istruzione è prevalentemente modesto.<br />
3.5. Il profilo socio-demografico e culturale dei diversi tipi di familiari<br />
Le principali differenze a livello socio-demografico tra i vari tipi di familiari<br />
sono state ricavate dai materiali raccolti nella prima e nella seconda fase della<br />
ricerca, mentre i dati riguardanti il livello d’istruzione di queste persone sono<br />
stati desunti dal grado di competenza linguistica del singolo intervistato.<br />
a. Tra gli scettici prevalgono di gran lunga le donne, tutte madri in età
matura o anziana. Questo aspetto è tuttavia riconducibile alla composizione<br />
del campione, all’interno del quale sono presenti quindici don-ne<br />
(8 madri, 2 figlie, 4 sorelle, 1 zia), due uomini (2 padri) e due famiglie (due<br />
padri, due madri, una sorella). Considerando le caratteristiche del campione,<br />
questo è il tipo in cui compaiono più uomini (2 padri, di cui uno è<br />
stato intervistato insieme alla moglie e alla figlia) Questi dati ci suggeriscono<br />
come in questo modello le condizioni sociali non attive, ossia<br />
casalinghe o pensionate, siano maggiormente rappresentate. Il livello<br />
d’istruzione risulta prevalentemente modesto. Infine il ruolo che queste<br />
persone ricoprono all’interno della famiglia è genitoriale in tutti i casi<br />
rappresentati 69 . Questo elemento suggerisce una funzione di sostegno nei<br />
confronti del proprio congiunto che tuttavia è maggiormente presente fra<br />
le madri. Nel caso dei padri di due ragazzi (1 70 e 603) emerge chiara mente<br />
un confronto fra sé e il proprio figlio, in ambito lavorativo, in ter mini<br />
d’alterità.<br />
b.Il modello dei possibilisti rispecchia quello degli scettici per una<br />
prevalenza delle donne 71 . In questo caso, tuttavia, a differenza del tipo<br />
precedente, si tratta di persone di giovane età, lavoratrici e con un grado<br />
d’istruzione medio. L’unico soggetto di genere maschile ha un’età matura<br />
e un’occupazione d’alto livello. Gli individui qui rappresentati sono dunque<br />
caratterizzati da una condizione sociale attiva e da un buon livello<br />
d’istruzione. Inoltre non sono presenti figure materne bensì due sorelle e<br />
un padre. Per quanto attiene al ruolo delle due sorelle, in un caso si tratta<br />
di una persona che appare comprensiva e rispettosa nei confronti della<br />
parente, nell’altro caso è presente un atteggiamento antagonistico, benché<br />
costruttivo. Il padre, viceversa, ha un ruolo di sostegno nei confronti<br />
del figlio, sebbene emerga una coscienza d’alterità fra sé e il proprio congiunto<br />
in ambito lavorativo, che tuttavia appare meno accentuata rispetto<br />
ai padri del modello precedente.<br />
c. Tra gli ottimisti ricadono soltanto donne 72 , una di giovane età, le altre<br />
d’età matura. Questi dati ci suggeriscono come in questo modello le condizioni<br />
sociali non attive, ossia casalinghe o pensionate, siano maggiormente<br />
rappresentate. Il livello d’istruzione risulta prevalentemente medio.<br />
Le figure rappresentate sono le più varie: una sorella, una figlia, una<br />
zia. Quest’ultimo appare senz’altro il ruolo più protettivo, insieme a<br />
quello della figlia. La sorella, lungi dall’essere antagonista del fratello,<br />
appare una persona comprensiva e rispettosa delle esigenze del proprio<br />
congiunto.<br />
3.6. Osservazioni finali<br />
il contesto familiare<br />
A margine di questa tipologia di familiari si possono avanzare alcune<br />
considerazioni. La prima è che l’osservazione sull’inopportunità di un lavoro<br />
99
100<br />
parte prima<br />
percepito in termini di privazione relativa come imposto e umile sotto il<br />
profilo del contenuto intrinseco, è stata confermata dai familiari possibilisti e<br />
ottimisti. Viene ribadita, infatti, la necessità che l’attività lavorativa proposta al<br />
paziente sia congruente con i bisogni, le inclinazioni, le aspirazioni e le<br />
competenze di quest’ultimo e che, soprattutto, sia liberamente scelto, giacché<br />
solo in questo modo l’occupazione svolta si può tradurre in una reale<br />
soddisfazione per la persona, che va nella direzione della riabilitazione. I fami -<br />
liari scettici, al contrario, avanzando la proposta di un pseudolavoro, an che di<br />
scarso prestigio e responsabilità 73 , da un lato disconoscono una re spon sabilità<br />
sociale delle imprese, dall’altro espongono il proprio congiunto al ri schio di<br />
ghettizzazioni, mancanze di potere, condizioni d’inferiorità, ag gres sioni al -<br />
l’autostima, e dunque a emarginazioni, frustrazioni e delusioni che van no nella<br />
direzione opposta a quella della riabilitazione, per la quale, pe raltro, il lavoro<br />
viene invocato. Questa posizione appare pertanto carat teriz zata da una<br />
maggiore ambivalenza rispetto alle altre. Essa risulta inoltre in con trasto con<br />
il diritto e il desiderio degli utenti psichiatrici d’ottenere e man te nere un<br />
lavoro “vero” 74 .<br />
La contrapposizione più evidente tra i familiari scettici da un lato e<br />
possibilisti e ottimisti dall’altro, può essere posta in termini d’esclusività e di<br />
flessibilità. L’esclusività appare una scelta dettata in parte dalle esperienze di<br />
vita e di lavoro e condizionata dal profilo socio-anagrafico-culturale dei fami -<br />
liari, che in questo modello si caratterizza per una condizione sociale non at -<br />
tiva e un livello d’istruzione modesto, in parte dal desiderio di difendere il pro -<br />
prio congiunto dalle logiche del mondo del lavoro. La scelta difensiva appare<br />
dun que rivolta prevalentemente verso i fattori esterni che si per ce piscono ir -<br />
raggiungibili oppure minacciosi in un’ottica d’inefficacia del pro prio con giun -<br />
to. La flessibilità appare anch’essa una scelta dettata dalle espe rienze di vita e<br />
di lavoro, ma a differenza del tipo precedente, questi modelli sono carat te riz -<br />
zati sotto il profilo socio-anagrafico-culturale da una con di zione sociale at tiva<br />
e da un livello d’istruzione medio.<br />
La scelta inte gra zio nista, inol tre, pun ta l’at tenzione sull’efficacia della per -<br />
sona e dunque mi ra da un lato a evitare una ghet tizzazione e un’emarginazione<br />
del proprio pa ren te, dall’altro lato a ri co no scere un’accessibilità del mondo<br />
del lavoro, in un’ottica di scam bio reci pro co tra l’azienda, che fornisce<br />
un’occupazione e il la voratore che, se ri cono sciu to e valorizzato, è in grado di<br />
ren dere un servizio valido sotto il pro filo qua li ta tivo e quantitativo. La cer tifi -<br />
ca zione d’invalidità psichica viene intesa prevalentemente, da parte dei fami -<br />
liari scettici e dei possibilisti, come una risorsa economica e una forma di risar -<br />
cimento, quantunque l’importo sia considerato irrisorio e inadeguato.<br />
Questa considerazione è in contrasto con quanto emerge dalle interviste ai<br />
pazienti, che concepiscono questa condizione come uno stigma 75 .<br />
Il riconoscimento di un ruolo attivo dei servizi di salute mentale in ambito<br />
lavorativo emerge chiaramente ed è condiviso da tutti i tipi di familiari, che
il contesto familiare<br />
considerano i centri psichiatrici territoriali un luogo deputato alla cura, ma al -<br />
tresì un’organizzazione cui è riconosciuta una funzione in campo sociale. I due<br />
modelli che con maggiore forza evidenziano criticità e margini di mi glio ra -<br />
mento, a conferma dell’importanza riconosciuta ai servizi in questo settore,<br />
sono quelli degli scettici e dei possibilisti.<br />
Dal profilo dei pazienti cui si riferiscono i diversi tipi di familiari, emerge<br />
come la posizione di maggiore apertura dei possibilisti sia sostenuta da fami -<br />
liari di persone con un grado d’autonomia prevalentemente alto. La gra vità<br />
del la diagnosi e il basso livello d’istruzione, al contrario, essendo con dizio ni<br />
che contraddistinguono la maggior parte degli utenti intervistati, sem brano<br />
non avere rilevanza ai fini della distinzione tra le posizioni di maggiore o mi -<br />
no re apertura dei vari tipi di familiari.<br />
Dal profilo socio-anagrafico e culturale dei diversi tipi di familiari emerge<br />
la consi derazione che i livelli più alti di coinvolgimento emotivo nel senso del<br />
so stegno e della protezione sono espressi in maggior misura dalle donne che<br />
dagli uomini e più dalle persone anziane e mature che dalle giovani. La po po -<br />
la zione femminile di più giovane età adotta atteggiamenti più variegati che, se<br />
col locati su di un continuum, vanno da una forma di protezione, a un at teg -<br />
giamento di tipo antagonistico. Nella popolazione di genere maschile, al con -<br />
tra rio, prevale un ruolo di tipo antagonistico verso i figli maschi. Date le carat -<br />
te ristiche del campione, tuttavia gli uomini sono in netta minoranza rispetto<br />
al le donne, e dunque non si può escludere che queste persone siano l’eccezione<br />
che conferma una regola non colta in questo ambito di ricerca.<br />
L’atteggiamento dei padri può essere riconducibile all’identificazione dei<br />
nostri intervistati con il modello maschile di riferimento imperante nel nostro<br />
Paese e alla conseguente esigenza di differenziazione rispetto a un individuo le<br />
cui caratteristiche si discostano da tale modello, e che dunque si ritiene altro<br />
da sé. Un ancoraggio a tale rappresentazione appare riscontrabile, tuttavia, in<br />
do nne d’età matura o anziana madri di soggetti di genere maschile le quali<br />
dan no una valutazione delle caratteristiche del proprio congiunto che va nella<br />
direzione della denigrazione e che sembrano definire gli attributi del figlio ma -<br />
schio in termini di distanza radicale dal modello in questione. Tende a pre va -<br />
lere, in questi soggetti, caratterizzati prevalentemente da un grado d’istru zione<br />
modesto, uno stereotipo che assegna agli uomini un ruolo attivo in cam po<br />
lavorativo e alle donne un ruolo più passivo.<br />
Risulta infine come, nel complesso, le persone che hanno una posizione<br />
attiva in ambito occupazionale e un buon livello d’istruzione siano più pro -<br />
pense all’offerta di un lavoro “vero” rispetto a coloro che si trovano al di fuo -<br />
ri del mercato del lavoro e che presentano un grado minore di sco la rizzazione.<br />
3.7. Appendice: familiari a Torino e Trieste, una prima comparazione<br />
Le riflessioni che seguono consegnano i risultati di una prima comparazione<br />
101
102<br />
parte prima<br />
tra i casi triestini e i casi torinesi, oggetto di un lavoro che verrà sviluppato in<br />
se guito. Le seguenti considerazioni sono pertanto da intendersi come ap pros -<br />
si mative e provvisorie.<br />
Nei casi triestini si riscontra sotto molti aspetti una posizione di maggiore<br />
apertura rispetto a quelli torinesi 76 . Innanzitutto nella città giuliana non sono<br />
presenti familiari il cui rendiconto tra i punti di forza e i punti di debolezza dei<br />
propri congiunti giochi a favore di questi ultimi, giacché per quattro persone<br />
su sei il bilancio è in pareggio, per le altre due è positivo. A Torino, al con tra -<br />
rio, soltanto tre persone su quattordici offrono un rendiconto positivo, mentre<br />
nei rimanenti undici casi il piatto della bilancia pende dal lato dei punti di<br />
debolezza. La prevalenza, a Trieste, di persone che si caratterizzano per una<br />
ma g giore apertura si riscontra anche sulla dimensione “area di collocazione”,<br />
do ve quattro triestini su sei privilegiano la classe “estesa” e cinque su sei un la -<br />
vo ro “vero” al contrario di quanto osservato a Torino. Nella nostra città, in fat -<br />
ti, solamente sei persone su quattordici esprimono tali preferenze, mentre le<br />
ri manenti otto restringono il campo a settori non governati dai vincoli strin -<br />
genti della produttività e della competizione, proponendo un pseudolavoro.<br />
Infine, la certificazione d’invalidità psichica in quattro casi su sei non è stata<br />
né richiesta né presa in considerazione, a differenza dei torinesi, che sono in<br />
pre valenza parenti di persone certificate. La posizione di maggiore apertura at -<br />
tribuita ai familiari triestini può essere spiegata in parte dal modello d’ap proc -<br />
cio al disturbo mentale adottato dai servizi psichiatrici triestini, in parte dal<br />
profilo delle persone intervistate, familiari e utenti.<br />
A Trieste l’organizzazione dei servizi di salute mentale e lo stile di lavoro<br />
degli operatori psichiatrici si caratterizza per l’apertura dei servizi territoriali<br />
sulle ventiquattro ore, sette giorni su sette e per il pieno coinvolgimento dei<br />
pa zienti e dei loro familiari in tutte le decisioni terapeutiche, e non, che li<br />
riguardano. Nel capoluogo piemontese, al contrario, tende a prevalere una ge -<br />
stione del disturbo mentale di tipo clinico, con un orario di servizio ridotto e<br />
un minore coinvolgimento degli utenti e dei familiari rispetto al modello trie -<br />
sti no. Nella città giuliana l’elemento d’antagonismo riscontrato a Torino da<br />
parte dei padri di figli maschi in un caso non è presente, mentre nell’altro è<br />
fortemente ridotto. Questo aspetto può essere riconducibile al fatto che a<br />
Trieste prevale un livello d’istruzione medio-alto, mentre a Torino la maggior<br />
par te delle persone intervistate ha un grado d’istruzione modesto. La stessa os -<br />
servazione può valere per la proposta d’un lavoro “vero” che si riscontra in<br />
mag gioranza a Trieste, dove al grado d’istruzione medio-alto si aggiungono<br />
con dizioni sociali attive nella metà dei casi osservati, al contrario di quanto ri -<br />
scon trato nei torinesi, caratterizzati per una prevalenza di condizioni sociali<br />
passive.<br />
Considerato che anche a Torino le persone con una posizione attiva in<br />
ambito occupazionale e un buon livello d’istruzione sono più propense<br />
all’offerta di un lavoro “vero” rispetto a coloro che si trovano al di fuori del
il contesto familiare<br />
mercato del lavoro e che presentano un grado minore di scolarizzazione, si può<br />
ipotizzare che nell’indicazione di un lavoro “vero” o “falso” le variabili “grado<br />
d’istruzione” e “status occupazionale” abbiano una qualche rilevanza.<br />
Dal profilo dei pazienti cui si riferiscono i familiari emerge come a Trieste<br />
prevalgano le persone con un livello d’istruzione intermedio e un grado<br />
d’autonomia medio-alto, al contrario dei torinesi, caratterizzati preva lente -<br />
mente da un livello d’istruzione modesto e da un grado d’autonomia mediobasso.<br />
La gravità della diagnosi, essendo una condizione che contraddistingue<br />
la maggior parte degli utenti dei familiari intervistati sia a Trieste sia a Torino,<br />
sembra non essere rilevante ai fini della distinzione tra le posizioni di maggiore<br />
o minore apertura. Tuttavia, nel caso dei pazienti di Trieste, essa s’accompagna<br />
prevalentemente a un grado d’autonomia medio-alto, ossia a una minore<br />
compromissione della funzionalità sociale della persona. I pazienti cui si rife -<br />
riscono i familiari triestini rimandano pertanto un’immagine meno proble -<br />
matica, e con molta probabilità queste prerogative influiscono sulle opinioni e<br />
sul le rappresentazioni dei loro parenti. Considerato che a Torino la posizione<br />
di maggiore apertura dei possibilisti è sostenuta da familiari di persone con un<br />
gra do d’autonomia prevalentemente alto, si può ipotizzare che nelle rap pre -<br />
sen tazioni dei familiari e nelle posizioni di maggiore o minore apertura di<br />
questi ultimi la variabile “grado d’autonomia” abbia una qualche rilevanza.<br />
103
104<br />
. Riferimenti bibliografici<br />
parte prima<br />
- AA.VV., 2003, Azzurromela. Esperienze a confronto sul tema dell’inserimento lavorativo del<br />
cliente psichiatrico, Edizioni CEP, Torino.<br />
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- Cardano M.,2003, Tecniche di ricerca qualitativa. Percorsi di ricerca nelle scienze sociali,<br />
Carocci, Roma.<br />
- Castelfranchi C., Henry P., Pirella A.,1999, L’invenzione collettiva. Per una psicologia<br />
della riabilitazione nella crisi della psichiatria istituzionale, Edizioni Gruppo Abele, Torino.<br />
- Castelfranchi C.,2000, Come le istituzioni ammalano ed emarginano. I micro/macro-vortici<br />
sociali e la loro resistenza, in AA.VV. L’integrazione socio-lavorativa. Dal progetto individuale<br />
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Abele, Torino.<br />
- Ciompi L.,1994, Logica affettiva. Una ricerca sulla schizofrenia, Feltrinelli Editore,<br />
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Dal progetto individuale all’organizzazione che cura, Quaderni di Animazione e For ma zio -<br />
ne, Edizioni Gruppo Abele, Torino.<br />
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Nor ma. La diversità come valore e sapere, Armando Editore, Roma.<br />
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La diversità come valore e sapere, Armando Editore, Roma.<br />
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diversità come valore e sapere, Armando Editore, Roma.<br />
- Serino C., 1994, La somiglianza e la differenza fra sé e gli altri: un tema sotteso alla<br />
rappresentazione sociale della malattia mentale, in Bellelli G. (a cura di), L’altra malattia.<br />
Come la società pensa la malattia mentale, Liguori Editore, Napoli.
4.<br />
Il contesto lavorativo<br />
il contesto lavorativo<br />
Questo capitolo riporta i risultati degli studi di caso condotti in tre contesti,<br />
quello delle imprese non-profit, quello della pubblica amministrazione e<br />
quello delle imprese for-profit 77 . La presenza di questi tre settori discende, in<br />
par te dal disegno della ricerca, in parte dalle opportunità d’indagine emerse<br />
nel corso dello studio (vedi par. 1.3) All’interno degli ovvi vincoli etici imposti<br />
dal tema in studio, abbiamo cercato di massimizzare l’eterogeneità del nostro<br />
repertorio di imprese, prestando attenzione al settore merceologico e alla di -<br />
men sione aziendale. L’insieme dei casi in studio raccoglie 5 aziende mani -<br />
fatturiere, 3 aziende del commercio e della grande distribuzione, 2 azien de del<br />
settore dei servizi e dei trasporti, 1 pubblica amministrazione e 3 coope rative<br />
sociali di tipo B.<br />
L’analisi di questi casi offre una prima caratterizzazione dei contesti di<br />
lavoro entro i quali trova occupazione il paziente psichiatrico. Si tratta, tut -<br />
tavia, di una rappresentazione parziale e questo non tanto per l’esiguità del<br />
numero di casi esaminati, ma per ciò che - di fatto - li accomuna. Con una sola<br />
eccezione - il caso della pubblica amministrazione - tutti i contesti analizzati si<br />
riferiscono ad esperienze lavorative alle quali il paziente psichiatrico ha avuto<br />
accesso potendo contare su di un insieme di misure compensatorie, definite<br />
dalla legislazione del lavoro vigente, per i cosiddetti soggetti disabili. Questo<br />
vale sia per gli inserimenti nelle cooperative sociali di tipo B, sia per quelli in<br />
aziende for-profit, governati dalla legge 68/1999. Restano fuori dal quadro le<br />
esperienze di lavoro condotte, vuoi nella pubblica amministrazione, vuoi nel<br />
settore for-profit, da lavoratori e lavoratrici per i quali la conciliazione fra<br />
lavoro e disturbo psichico si realizza in forme silenti, all’insaputa dei colleghi<br />
e dei superiori e, soprattutto, senza le tutele di specifici istituti giuridici. Di<br />
queste esperienze c’è traccia in alcune delle narrazioni raccolte fra i pazienti<br />
coinvolti nello studio (vedi par. 2.5.1.). Si tratta - è opportuno ricordarlo - di<br />
esperienze tutt’altro che circoscritte ai soli soggetti con disturbi più lievi;<br />
esperienze che mostrano, nel modo più eloquente, come disturbo psichico e<br />
lavoro non siano inconciliabili, nemmeno laddove nulla venga fatto per<br />
facilitare questa laboriosa operazione di tessitura. Da qui un’avvertenza per la<br />
lettura delle pagine che seguono. Quanto lì viene riportato descrive solo una<br />
parte della relazione fra disturbo psichico e lavoro, quella che la nostra<br />
indagine ha potuto porre sotto un cono di luce. Ciò che resta in ombra ha un<br />
profilo incerto, nel quale, all’attenuazione dell’alone di stigma che talvolta<br />
accompagna lo status di disabile o svantaggiato, si lega la difficoltà a chiedere<br />
e ottenere sostegno, solidarietà nei momenti in cui la sofferenza psichica rende<br />
i ritmi e le pressioni del lavoro intollerabili.<br />
I risultati degli studi di caso sono organizzati in due sezioni. Nella prima<br />
(4.1.) vengono riportate le osservazioni relative al settore non-profit di cui<br />
105
106<br />
parte prima<br />
sono parte le tre cooperative sociali di tipo B su cui abbiamo appuntato<br />
l’attenzione. Nella seconda sezione (4.2.) vengono riportati i risultati riferiti ai<br />
settori for-profit e della pubblica amministrazione.<br />
4.1. Il lavoro nelle Cooperative Sociali di tipo B<br />
Il settore non-profit, o meglio, quello delle imprese sociali, è rappresentato<br />
qui da tre soli casi. Da questi materiali è pertanto possibile trarre solo alcune<br />
indicazioni sommarie, utili più a delineare un possibile itinerario di ricerca che<br />
a consegnare gli esiti di un maturo e completo percorso di studio 78 .<br />
L’accostamento dei materiali raccolti con l’aiuto delle tre cooperative<br />
coinvolte nel lo studio consente comunque di individuare alcuni nodi teorici e<br />
pratici re lativi all’inserimento lavorativo dei soggetti con disturbi psichici su<br />
cui merita sof fermarsi.<br />
I tre casi, che qui identificherò in modo anonimo, sono costituiti da al tret -<br />
tante cooperative torinesi diverse per dimensione e per presenza di soci o lavo -<br />
ratori con disabilità psichica. La Cooperativa Uno è una delle più longeve nel -<br />
l’a rea torinese, nata nel 1980, opera nel settore del servizi alle imprese, in par -<br />
ti colare nel settore della pulizia e della manutenzione delle aree verdi.<br />
Conta circa 430 fra soci e dipendenti e, di questi circa un terzo rientra nella<br />
categoria di «svantaggiati» per problemi di salute mentale. La Cooperativa<br />
Due, si occupa quasi esclusivamente di pulizie; conta circa 270 fra soci e di pen -<br />
den ti, di cui una quota pari al 20% circa ha problemi di salute mentale.<br />
La Cooperativa Tre, più piccola, conta poco meno di 80 fra soci e dipen -<br />
denti, opera nei settori delle pulizie, della ristorazione e della manu tenzione<br />
del verde pubblico. I soci e i dipendenti svantaggiati della Coope rativa Tre<br />
sono tutti pazienti psichiatrici, presenti con una quota che si attesta attorno al<br />
34%. In tutte le cooperative lo studio è stato condotto ricorrendo allo stru -<br />
mento dell’intervista discorsiva. Ai nostri interlocutori abbiamo chiesto di<br />
rico struire alcune esperienze significative di inserimento lavorativo di pazienti<br />
psi chiatrici, prestando particolare attenzione agli insuccessi e ai casi critici.<br />
Questo muovendo dall’ipotesi che nelle cooperative sociali di tipo B l’in -<br />
serimento lavorativo di pazienti psichiatrici fosse più facile che altrove; ipotesi<br />
che rendeva particolarmente rilevante lo studio dei casi di fallimento. Agli in -<br />
terlocutori parte delle cooperative segnalate dai pazienti psichiatrici inter -<br />
vistati, le cooperative Due e Tre, è stato chiesto, inoltre, di ripercorrere le tap -<br />
pe principali della loro esperienza, in un caso con Aldo, nell’altro con Noemi 79 .<br />
Il medesimo strumento, l’intervista discorsiva, è stato tuttavia im piegato in<br />
modo difforme nelle tre cooperative, diverse per il numero di col loqui<br />
condotti e per il ruolo ricoperto al loro interno dai diversi interlocutori.<br />
Nella cooperativa Uno e Due è stato possibile condurre una sola intervista, ri -<br />
spettivamente con la Presidente e con la Referente di una delle pazienti in ter -<br />
vistate. Nella cooperativa Tre sono state condotte quattro interviste che hanno
il contesto lavorativo<br />
coinvolto il Presidente e tutti i componenti della squadra nella quale lavora il<br />
paziente che ha segnalato questa impresa. In specifico, oltre al Presidente<br />
abbiamo intervistato, la responsabile della squadra e due colleghi, uno dei quali<br />
svantaggiato. A queste differenze nella quantità di informazioni disponili e nei<br />
ruoli ricoperti dalle persone che abbiamo interpellato deve essere attribuita<br />
parte della variabilità delle risposte che abbiamo raccolto. Di ciò cercherò di<br />
tener conto nell’analisi della documentazione empirica.<br />
I principali risultati dello studio possono essere raccolti in due rubriche, le<br />
criticità dell’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici e le risorse con cui<br />
fronteggiarle.<br />
4.1.1 Le criticità dell’inserimento lavorativo del paziente psichiatrico<br />
L’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici presenta, per tutti i nostri<br />
interlocutori, specifiche criticità. I due intervistati che ricoprono le posizioni<br />
di maggior responsabilità, quella di Presidente, rispettivamente delle coope -<br />
rative Uno e Tre, sono particolarmente espliciti al riguardo.<br />
Gli inserimenti psichiatrici hanno un po’ tutti questa criticità, nel senso che, tra gli<br />
inserimenti lavorativi, sono sicuramente quelli più difficoltosi. (Presidente<br />
Cooperativa Uno).<br />
Con ancora maggior franchezza si esprime il Presidente della cooperativa<br />
Tre, una cooperativa che - per statuto - ha tra i soci svantaggiati esclusivamente<br />
pazienti psichiatrici.<br />
[Questi inserimenti] sono tutti critici (...) Molto spesso noi ci troviamo con delle<br />
persone che non sempre sono quelle che - dal punto di vista aziendale - ci piacerebbe<br />
avere. (Presidente Cooperativa Tre) 80 .<br />
Le difficoltà che quotidianamente deve affrontare un’impresa sociale im pe -<br />
gnata a soddisfare le richieste di un committente esigente, all’interno di que sti<br />
vincoli, possono essere ricondotte a due ambiti. Il primo riguarda il profilo del<br />
la voratore e le “dinamiche di squadra”, ovvero le relazioni sociali, ora di coo -<br />
pe razione, ora di conflitto, che prendono corpo nei diversi contesti or -<br />
ganizzativi nei quali trova occupazione un paziente psichiatrico (le squadre).<br />
Il secondo ambito, correlato al primo, attiene al più ampio contesto lavo -<br />
rativo e sociale entro il quale opera il gruppo di lavoro o la squadra che ha tra<br />
i propri addetti un paziente psichiatrico.<br />
Cominciamo da quest’ultimo aspetto per osservare come l’attività più fre -<br />
quente, quella delle pulizie civili o industriali, cambi, più che nei contenuti -<br />
sem pre di scopare e lavare si tratta - nel registro organizzativo e nelle im pli ca -<br />
zioni relazionali a seconda del contesto in cui viene svolta. A questo aspetto fa<br />
107
108<br />
parte prima<br />
ri ferimento la nostra interlocutrice alla cooperativa Due che distingue tre<br />
contesti lavorativi che coincidono con altrettanti ambiti di lavoro della coope -<br />
rativa che qui rappresenta: scuole, uffici e Case di riposo.<br />
Lì bisogna stare attenti perché le differenze ci sono. Faccio sempre le pu lizie, ma ci<br />
sono delle differenze di tempi e anche il modo in cui eseguo il mio lavoro. In una<br />
Casa di riposo io lavoro (...) con un utente che, se è allettato, è dentro la camera,<br />
oppure con degli infermieri che fanno avanti e indietro. Quindi io magari ho appena<br />
lavato il bagno, però se il paziente deve andare in bagno ci va; rispetto a una scuola<br />
in cui io pulisco la scuola, dopo di me non entra più nessuno quindi se ho pulito bene<br />
rimane pulito. In una Casa di riposo, o se pulisco dentro degli uffici in cui c’è un via<br />
vai, perché magari non mi permettono di far le pulizie dopo l’orario di lavoro, vuol<br />
dire magari pulire con della gente che è dentro, quindi il tuo lavoro non sempre lo<br />
vedi, non sempre si vede. Perché ho appena svuotato il cestino, se un impiegato va<br />
lì, si siede, lo riutilizza: dura trenta secondi il mio lavoro. Chi lavora alla Casa di ri -<br />
poso, è ovvio, deve essere in grado di gestirsi magari non è che all’infermiere che<br />
entra nella stanza dice: «Ma va a quel paese!». Voglio dire, la differenza esi ste. Ma<br />
anche rispetto ai tempi: in una Casa di riposo magari entro mez zogiorno deve aver<br />
pulito venti stanze perché poi l’anziano deve ritornare nella stanza piuttosto che<br />
l’infermiere deve rimetterlo a letto. Magari in degli uffici, an che se io ho, che ne so,<br />
quattro ore di tempo, ma ci metto quattro ore e un quarto, perché sono più lento,<br />
più tranquillo è ovvio che lì può non essere un pro blema, tanto sono io che chiudo<br />
l’ufficio, sono io che chiudo la scuola. In una Casa di riposo invece sei hai dei tempi<br />
poi li devi rispettare: l’anziano deve rientrare. (Referente Cooperativa Due).<br />
La lunga citazione pone in luce due aspetti su cui merita soffermarsi. Il primo,<br />
e forse più importante, riguarda l’aumento del carico emotivo e re la zionale<br />
dovuto alla presenza delle persone che utilizzano i luoghi in cui le pu lizie vengono<br />
eseguite. Laddove questa presenza è - di necessità - non col la bo rativa (l’anziano<br />
che usa il bagno appena pulito, l’infermiere che calpesta un pa vimento appena<br />
lavato) sorgono specifiche esigenze di adattamento che pos sono comportare costi<br />
emotivi non sempre sopportabili da un paziente psi chia trico. La seconda attiene<br />
al tempo: la pulizia di un luogo in presenza dei suoi utilizzatori richiede un più<br />
stretto rispetto dei vincoli dell’orologio: le pu lizie devono avere inizio e chiudersi<br />
in una fascia oraria prestabilita. Questo ri du ce i margini di flessibilità temporale<br />
nella realizzazione del lavoro e può in nestare tensioni o conflitti nella squadra di<br />
lavoro 81 . Riferito alle pulizie, que sto esempio può comunque essere esteso ad altri<br />
contesti per i quali segnala la ne cessità di considerare, con la mansione svolta,<br />
anche il più vasto contesto so ciale entro cui il paziente psichiatrico e la squadra di<br />
cui è parte lavorano.<br />
Le criticità relative al lavoratore e alle “dinamiche di squadra” insistono su<br />
numerosi aspetti. Prendendo le mosse dal lavoratore, l’aspetto che più fa<br />
problema attiene a quanto il Presidente della cooperativa Tre definisce come<br />
“affidabilità”. Si tratta di una disposizione che include la motivazione al lavoro e<br />
la capacità di tradurre questa motivazione in comportamenti conseguenti.
il contesto lavorativo<br />
L’assenza di questa disposizione si coglie nella mancanza di puntualità e nelle<br />
lacune che attengono la cura della propria persona (quanto il Presidente della<br />
cooperativa Tre definisce con “presentabilità”), i cui effetti si fanno più evi denti<br />
nelle attività che impongono un rapporto con il pubblico. A questi punti critici<br />
che precedono, per così dire, lo svolgimento del lavoro assegnato se ne<br />
aggiungono altri riferiti a quest’ultimo aspetto. Il principale riguarda le va riazioni<br />
nella capacità lavorativa, che fa sì che la medesima quota di lavoro as segnata possa<br />
rivelarsi ora adeguata, ora eccessiva in ragione delle condizioni di salute del<br />
lavoratore. Il legame tra prestazioni lavorative e stato di salute viene messo a tema<br />
dalla Presidente della cooperativa Uno, che sottolinea come i pazienti psichiatrici<br />
- diversi sotto questo profilo dagli altri lavoratori svantaggiati - sono soggetti a<br />
ricadute che compromettono la loro capacità di la voro. Su di un insieme aspetti<br />
relazionali attira l’attenzione la referente della cooperativa Due. Rientrano in<br />
quest’ambito la difficoltà a “riconoscere il ruolo di responsabile”, ovvero,<br />
riconoscerne l’autorevolezza professionale e accet tarne l’autorità nella guida allo<br />
svolgimento del lavoro. Ancora la referente del la cooperativa Due fa riferimento<br />
alla capacità di sopportare i rimproveri del responsabile della squadra (“che ti<br />
riprende per il lavoro non fatto”) e le fri zioni, il conflitto che può sorgere<br />
all’interno della squadra di lavoro (tema su cui tornerò). Dalla ricostruzione di un<br />
caso di insuccesso, resa dal Presidente del la cooperativa Uno, emerge un ulteriore<br />
elemento critico riconducibile al lavo ratore, la difficoltà ad accettare un lavoro,<br />
quale quello delle pulizie, “umile”, caratterizzato da una bassa desiderabilità<br />
sociale 82 . Questo aspetto che, dal punto di vista del lavoratore, può essere definito<br />
come rigidità del l’orien tamento al lavoro, riguarda, tuttavia, non solo il lavoratore<br />
ma anche il pro cesso di abbinamento fra aspirazioni professionali e mansione<br />
proposta. Questo processo - delicatissimo - può essere perturbato da fattori sui<br />
quali le cooperative hanno poco controllo: primo fra tutti l’atteggiamento dei<br />
fami liari. È quanto emerge dalla ricostruzione di un insuccesso resa dalla<br />
referente della cooperativa Due. Nel caso discusso la rigidità del lavoratore, la sua<br />
dif ficoltà ad accettare un lavoro “umile” quale quello delle pulizie, traeva, se non<br />
spunto, almeno nutrimento nel contesto familiare. Anche in questo caso si può<br />
parlare di sbavature nell’abbinamento fra lavoratore e mansione, forse impu tabili<br />
a un’inadeguata considerazione dei vincoli posti dai familiari o da un debole<br />
coinvolgimento di questi ultimi nell’elaborazione del progetto di inse ri mento<br />
lavorativo. Su chi debba farsi carico dei rapporti con i familiari il giu di zio del<br />
referente della cooperativa Due - la sola con la quale il tema viene af fron tato - è<br />
perentorio: è compito dei servizi di salute mentale. Ciò discende, al meno così mi<br />
pare, da una opzione ideologico-culturale: visto che la coo pe rativa non intrattiene<br />
alcun rapporto con le famiglie dei lavoratori normo dotati, avere rapporti con<br />
quelle dei lavoratori svantaggiati equivarrebbe a una discriminazione:<br />
Perché se il mio operatore è un lavoratore come tutti gli altri il mio rapporto lo<br />
gestisco col lavoratore. Perché allora dovrei dire che domani mattina anche una<br />
109
110<br />
parte prima<br />
persona, tra virgolette, normodotata è autorizzata a venirmi a parlare, cioè, anziché<br />
l’o peratore assunto, magari viene suo marito, sua moglie, suo nonno.Perché distin -<br />
guere, no? (Referente cooperativa Due)<br />
È questo un aspetto su cui, forse, un ripensamento potrebbe essere op -<br />
portuno, attenuando le opzioni di principio a beneficio dell’efficacia del -<br />
l’inserimento lavorativo. Un’ultima criticità ascrivibile al profilo del lavo ratore<br />
riguarda i pa zienti che godono di una pensione di invalidità o di qualche forma<br />
di sus si dio economico. In questi casi - ne parla la Referente della coo pe rativa<br />
Due - l’in cre mento di reddito che deriva dallo svolgimento di una lavoro o, a<br />
pa rità di red dito, l’inserimento del paziente in un contesto sociale, non sono<br />
suf fi cienti a motivare i pazienti che, per usare le parole del Respon sabile del -<br />
l’é qui pe lavo ro dell’ASL 5, hanno assunto la “mentalità dell’assistito” (vedi<br />
cap. 5). Le criticità ascrivibili alle relazioni all’interno del gruppo di lavoro, le<br />
“dinamiche di squadra”, riguardano due aspetti, strettamente connessi tra loro:<br />
il rapporto del paziente psichiatrico con i lavoratori normodotati e i rapporti<br />
fra lavoratori svantaggiati. Il primo corno del problema viene affrontato, da<br />
più punti di vista, dai nostri interlocutori della cooperativa Tre 83 .<br />
Sul rapporto tra lavoratori svantaggiati e non si sofferma il Presidente della<br />
cooperativa Tre. Le criticità che sorgono su questo terreno sono tutt’uno con<br />
i tratti costitutivi della cooperazione sociale, in particolare con la forma che<br />
questa assume nel contesto delle cooperative sociali di tipo B. Qui l’idea di<br />
mutualità, di sostegno reciproco fra soci, assume una forma tutt’affatto spe -<br />
ciale. Se nelle forme tradizionali di cooperazione il sostegno reciproco, la mu -<br />
tualità, nasce dalla condivisione di interessi e capacità omogenee, nella coo -<br />
perazione sociale la mutualità lega soggetti caratterizzati da interessi, identità<br />
e soprattutto capacità differenti. L’impegno alla realizzazione di questa forma<br />
speciale di mutualità, una mutualità solidale, in un registro imprenditoriale,<br />
fornendo servizi a un mercato sempre più esigente e competitivo 84 , impone che<br />
- in talune situazioni - i più capaci siano chiamati a fornire un apporto<br />
lavorativo maggiore di quello fornito da chi è meno abile e questo senza poter<br />
ri chiedere un compenso, una retribuzione proporzionale (vedi Converso e<br />
Piccardo 2003: cap. 1). Questa forma di mutualità trova la propria espressione<br />
più piena all’interno di una forma di relazione - sociale prima ancora che e co -<br />
nomica - che approssima quanto Sahlins definisce “reciprocità gene raliz zata” 85 .<br />
La “reciprocità generalizzata” si riferisce a transazioni che sono sup poste al trui -<br />
stiche, transazioni del tipo di assistenza prestata e, se possibile e neces sario, as -<br />
sistenza ricambiata. Il tipo ideale è il “puro dono” di Malinowski. Altre for me etno -<br />
gra fiche per indicarla sono la “comunione dei beni”, l’”ospi talità”, il “dono gra tui -<br />
to”, l’”aiuto”, la “generosità” (...) L’aspetto materiale della tran sa zione è sof focato da<br />
quel lo sociale: non si tiene aper ta men te conto dei debiti ine vasi, che ven gono lasciati<br />
perdere. Questo non vuol di re che consegnare cose in tale forma, per fi no ai “propri<br />
cari”, non generi un obbligo a contraccambiare. Ma il compenso non ha li miti di
il contesto lavorativo<br />
tempo, né di quantità o qualità: l’aspetto della reciprocità è indefinito. (Sahlins 1972:<br />
107-8).<br />
L’idea di altruismo, implicita nella nozione di reciprocità generalizzata, non<br />
as su me, tuttavia, i tratti del “sacrifico” a vantaggio del prossimo (vedi Piccardo<br />
e Con verso 2003: 43 ss.). Nella forma compiuta, l’idea di mutualità solidale<br />
pre vede benefici per gli svantaggiati, ma anche per i normodotati, che trovano<br />
nel la cooperazione sociale un contesto di lavoro nel quale diventa possibile<br />
coniu gare esigenze strumentali, innanzitutto la disponibilità di un reddito, con<br />
esi genze espressive, che derivano dall’essere parte di una rete di relazioni<br />
solidali. La realizzazione di questi obiettivi in un registro imprenditoriale ri -<br />
po sa su di un equilibrio estremamente delicato che è illustrato con parti co lare<br />
chia rezza dal Presidente della cooperativa Tre.<br />
Molto spesso l’ambiente è ostile, è troppo rigido, e questo riguarda anche i colleghi<br />
di lavoro normodotati. C’è una dinamica da sempre in piedi tra persone svantaggiate<br />
e quelle non svantaggiate. La persona svantaggiata dice a quelle normodotate - così<br />
chiamate - che loro il posto di lavoro ce l’hanno perché esistono gli svantaggiati,<br />
altrimenti non potrebbero averlo. Queste vale per le commesse pubbliche dove sono<br />
gare o lavori riservati alle cooperative sociali. Quindi dicono: “La cooperativa sociale<br />
non avrebbe potuto avere quel lavoro se non c’eravamo noi svantaggiati.” Ma, dal -<br />
l’al tro lato la dinamica di chi svantaggiato non è dice: “Ma tu un posto di lavoro da<br />
svan taggiato dentro la cooperativa non potresti mai sostenerlo perché in realtà sono<br />
io non-svantaggiato che mi faccio carico anche della tua più bassa produttività.<br />
Quin di in realtà la leva sta da tutte e due le parti. È una questione reciproca. (...) Al -<br />
lora devo creare le condizioni perché questo venga accettato, facendo un lavoro sulle<br />
motivazioni del lavoro affinché queste persone che danno di più siano solidali, in una<br />
reciprocità di mutuo aiuto, perché questa è la condizione, perché altrimenti questo<br />
non potrebbe lavorare. (Presidente cooperativa Tre).<br />
Quel che emerge dalla citazione è la natura negoziale del rapporto fra soci<br />
svantaggiati e normodotati, una relazione che tende ad allontanarsi dal mo -<br />
dello della reciprocità generalizzata illustrato più sopra, per approssimare<br />
quel lo della “reciprocità bilanciata”, una relazione nella quale si ricerca l’e qui -<br />
va lenza fra i beni scambiati (vedi Sahlins 1972: 108-9). Le ragioni di que sto<br />
slit tamento non possono essere indagate in questa sede, è tuttavia ragio nevole<br />
ipo tizzare che abbiano a che fare, da un lato, con la difficile congiuntura eco -<br />
no mica che sta attraversando la nostra città e, dall’altro, con un mutamento nel<br />
profilo etico e culturale delle persone normodotate che si avvicinano alle im -<br />
prese sociali. In questo scenario, l’andamento instabile delle prestazioni del<br />
paziente psichiatrico può generare tensione; una tensione che può essere<br />
contenuta o evitata ricorrendo a specifiche misure organizzative (vedi par.<br />
4.1.2.) in grado di minimizzarne le conseguenze. Un problema analogo si<br />
propone nel rap por to fra soggetti svantaggiati, fra i quali le istanze stru -<br />
mentali, disporre di un reddito, talvolta oscurano quelle espressive e solidali.<br />
111
112<br />
parte prima<br />
Così si esprime la Refe ren te della cooperativa Due.<br />
Questo soprattutto tra soggetti svantaggiati, perché, mentre altri magari hanno<br />
anche elementi in più per capire che se tu sei in grado di fare tutto è giu sto che lo<br />
fai per una soddisfazione personale. Però per i soggetti svan taggiati sicuramente<br />
questo a volte è un nodo una difficoltà, perché ripeto, nel fatto che ognuno poi si<br />
racconta tra loro tendenzialmente c’è o la percezione o il fatto di chacchierarsi e<br />
dirsi: “Ah, anch’io arrivo da un Sert, da un servizio di salute mentale, dal Sil,<br />
eccetera”. Allora a volte questa domanda c’è: “Perché lei può solo spolverare e io<br />
devo spolverare, scopare e lavare?”. (...) Perché poi la domanda è: “Ma alla fine<br />
prendiamo tutti e due gli stessi soldi?” (Referente cooperativa Due).<br />
La rilevanza del problema trova un conferma nelle testimonianza raccolte<br />
fra i membri della squadra di lavoratori della cooperativa Tre. Nella squadra<br />
lavorano due pazienti psichiatrici e lì la difficoltà consiste nell’ottenere da<br />
entrambi un apporto corrispondente alle loro possibilità evitando i malumori<br />
- che paiono comunque sporadici - dovuti ad apporti squilibrati.<br />
Un ulteriore elemento di criticità, più generale, attiene l’incertezza che<br />
avvolge buona parte delle attività che impegnano le cooperative sociali, alle<br />
prese con commesse dalla durata e dall’importo incerti. Una situazione che -<br />
come rilevano anche le interviste ai pazienti psichiatrici occupati in<br />
cooperative sociali - ha un impatto decisamente negativo sulla loro capacità di<br />
con ciliare lavoro e sofferenza psichica. Al riguardo il Presidente della coope -<br />
ra tiva Tre si esprime nei termini riportati di seguito.<br />
Io credo che questo sia un elemento che forse nessuno prende nella giusta misura,<br />
nella giusta maniera. Il fatto che persista un’incertezza, che non si sappia domani se<br />
il lavoro ce l’ho, se posso ancora contare su questo che mi sono costruito è un<br />
qualcosa che è di una di una esplosione incredibile: lo è per l’azienda, lo è per<br />
l’impresa, perché è chiaro che viene fatturato e lo è per le persone e lo è soprattutto<br />
per quelle persone più deboli che sanno che hanno avu to la possibilità di una chance<br />
e il fatto di sapere che quel lavoro con quel clien te, con quel committente può non<br />
esserci più perché le politiche che dan no la possibilità all’impresa di poter avere dei<br />
posti di lavoro e che quindi di poterli destinare una parte a loro, sanno benissimo<br />
che se il lavoro si perde per loro significa ripiombare nel tunnel. E molti di loro,<br />
molte di queste per so ne qui questa cosa la vivono veramente come una<br />
drammaticità. (Presidente coope rativa Tre)<br />
4.1.1. Le risorse per contrastare le criticità dell’inserimento lavorativo del paziente<br />
psichiatrico<br />
Le criticità descritte sommariamente più sopra vengono affrontate im pie gan -<br />
do una risorsa specifica di queste organizzazioni, la flessibilità, diretta in que sto<br />
caso - e sta qui la specificità - non per massimizzare i profitti, ma per con sentire<br />
la partecipazione al mercato del lavoro dei soggetti più deboli, svantaggiati per
il contesto lavorativo<br />
l’appunto. La flessibilità si applica su più piani. Il più banale (e tutt’altro che<br />
specifico dell’impresa sociale) riguarda la flessibilità dell’orario.<br />
Con poche eccezioni, lo svolgimento del lavoro di una squadra addetta alle pulizie<br />
di una scuola o di un ufficio, risulta governato più dal raggiungimento<br />
dell’obiettivo: la pulizia dei locali, che dalle lancette dell’orologio. Questo vuol<br />
dire che i tempi di lavoro possono - ove necessario - dilatarsi, ma anche com pri -<br />
mersi in ragione della capacità produttiva dei soggetti in squadra che, si è det to,<br />
è suscettibile a variazioni. Se non parlassimo di un lavoro che si fa con la scopa e<br />
lo strofinaccio, potremmo addirittura sostenere che l’organizzazione di queste<br />
squadre di pulizia approssima il modello dell’organizzazione del la voro per<br />
obiettivi. La seconda accezione di flessibilità deriva dalla scelta, comune a tutte e<br />
tre le cooperative, di differenziare la propria offerta di servizi. Una dif feren -<br />
ziazione che contempla attività diverse, quali le pulizie, la manu ten zione delle<br />
aree verdi, la ristorazione, i servizi di lavanderia, ma che preve dono mansioni<br />
largamente fungibili: chi oggi lavora alle pulizie di un ufficio, con poco<br />
addestramento, domani può ricoprire il ruolo di addetto sala in una mensa o<br />
quello di aiuto-giardiniere in una squadra che si occupa del verde pub blico. Su<br />
scala minore la flessibilità può essere esercitata all’interno di un me desimo settore<br />
di servizi, disponendo di più squadre addette alle pulizie in uno stesso Cantiere o<br />
in Cantieri diversi, si rendono disponibili più contesti lavorativi, una risorsa<br />
importantissima quando occorre affrontare le cosiddette “dina miche di squadra”,<br />
le tensioni o le incompatibilità che si possono creare tra i soci della cooperativa.<br />
Tutto ciò mette a disposizione una gamma di gruppi di lavoro, di luoghi e di<br />
attività diversi con i quali combinare la risorsa del lavoratore svantaggiato con<br />
l’intento di ottimizzare le sue prestazioni e la qualità della sua esperienza<br />
lavorativa 86 . Detto altrimenti, molte delle criticità descritte più sopra, in specie<br />
quelle legate al profilo del lavoratore e al clima di squadra, vengo affrontate con<br />
la mobilità interna dei soci, combinando e ricombinando squadre e can tieri -<br />
ovviamente quando si rende necessario - per facilitare l’inserimento la vo rativo di<br />
questo o di quel lavoratore svantaggiato, per evitare frizioni fra la vo ratori e<br />
committente, per alleggerire le tensioni all’interno di una squadra o un cantiere.<br />
L’esercizio di questa peculiare arte combinatoria viene illustrato in mo do<br />
vivido dal Presidente della cooperativa Tre.<br />
Io che faccio il presidente della cooperativa, mi occupo del personale, ma dico<br />
sempre che il mio vero lavoro è quello di fare il barman. In realtà io passo costan -<br />
temente il tempo, ogni tot mesi, a rimettere dentro lo shaker gli ingredienti che so -<br />
no: le esigenze del cliente, le esigenze del singolo lavoratore che non vuole più lavo -<br />
rare con quel collega per i motivi più incredibili che non sono sostenibili, perché si<br />
so no creati degli attriti, delle fobie, delle cose inutili: «Ce l’ha con me, non mi fa la -<br />
vo rare: mi osserva»; «Mi controlla in quello che faccio, io lì non ci vado più, io quel -<br />
lo gli metto le mani addo...». Quindi le esigenze dell’impresa - perché co mun que io<br />
de vo rispondere a un cliente, devo dare un prodotto. Neanche gli posso dire al<br />
cliente: «Oggi il lavoro non l’abbiamo fatto bene perché avevamo un po’ di turbative<br />
113
114<br />
parte prima<br />
all’interno del personale...». Mi paga e quindi ci sono le esigenze del cliente, le<br />
esigenze dell’impresa perché le persone hanno dei costi, quindi devo farla rendere,<br />
devo comunque produrre utile. È anche vero che siamo una non profit ma questo non<br />
vuol dire che lavoriamo per far fallire l’azienda... (Presidente cooperativa Tre)<br />
Si coglie qui un tratto specifico dell’imprenditorialità nella cooperazione so -<br />
cia le. Il compito dell’imprenditore, così come viene descritto da Schumpeter<br />
(2001; ed. orig. 1942), consiste nella combinazione di diversi fattori produttivi,<br />
in presenza di vincoli e restrizioni e disponendo di risorse limitate. Ebbene nel<br />
caso dell’impresa sociale, ai vincoli che insistono sull’imprenditore che opera<br />
nel settore for profit se ne aggiungono altri che rendono l’esercizio della com -<br />
binazione dei fattori produttivi, la gestione dello shaker, più onerosa: il vincolo<br />
della presenza di una quota consistente (almeno il 30% per legge) di lavoratori<br />
svantaggiati e quello della partecipazione dei soci alla gestione dell’impresa.<br />
Tutto ciò, legato al mutamento di clima nel mercato delle committenze - un<br />
clima più rigido e competitivo (vedi nota 8), contribuisce a qualificare il profilo<br />
genuinamente imprenditoriale della cooperazione sociale, senza per questo<br />
espungere dai suoi obiettivi / vincoli quello della mutualità solidale.<br />
Quando le risorse interne non sembrano più adeguate a sostenere la difficile<br />
conciliazione fra lavoro e sofferenza psichica l’assenza per malattia non viene<br />
solo tollerata ma, in taluni casi addirittura incoraggiata: una soluzione che<br />
mostra un’altra versione dell’idea di flessibilità di cui si è detto più sopra.<br />
Il primo segnale che hai di malessere non andare a lavorare. Hai un tuo diritto, ti<br />
met ti in mutua...”. L’abbiamo conquistato ecco utilizziamolo. (Presidente coope ra -<br />
tiva Tre).<br />
Nella gestione delle crisi le cooperative sociali contano, inoltre, sul sup -<br />
porto dei servizi. Questo supporto sembra reso in maniera difforme sul ter rito -<br />
rio torinese poiché, se alcune cooperative risultano pienamente soddisfatte del<br />
rapporto instaurato con i Centri di Salute Mentale, sia in fase di inserimento,<br />
sia nelle fasi successive, altre lamentano l’assenza dei servizi per quest’ultima<br />
fase, quella relativa alla conversazione del lavoro e dunque alla conciliazione<br />
fra lavoro e disturbo psichico.<br />
Tra le carte di cui dispongono le imprese sociali per favorire la par -<br />
tecipazione al mercato del lavoro dei pazienti psichiatrici non si può trascurare<br />
quella del l’attribuzione dello status di socio, una condizione che consente una<br />
par te ci pa zio ne più stretta alla vita delle cooperative, che determina un più<br />
profondo sen so di appartenenza e che, soprattutto, prelude a una più profonda<br />
identificazione con gli ideali di mutualità solidaristica propri delle cooperative<br />
so ciali.<br />
Un’altra risorsa, non qualificata come tale, ma la cui presenza è percepibile<br />
nel le testimonianze raccolte, è quella degli affetti. La scelta, forse la scom -<br />
messa, delle cooperative sociali che abbiamo interpellato si basa sulla co stru -
il contesto lavorativo<br />
zio ne di rapporti di mutualità retti da non professional, da persone che non<br />
hanno competenze di tipo psicologico o educativo. I responsabili delle squa dre<br />
sono, in tutti i casi esaminati, persone competenti nello svolgimento del lavoro<br />
che impegna il loro Cantiere, ad esempio le pulizie, e non già nella gestione di<br />
gruppi o nella socializzazione di persone con disabilità psichiche.<br />
In ciò si coglie - amplificato - l’esito di una scelta espressa con chiarezza<br />
dalla Presidente della cooperativa Uno: «perché la nostra filosofia è che da noi<br />
si viene per lavorare e la cura spetta a chi ne è competente e quindi, se queste<br />
due cose non si coniugano insieme e se la persona sta male e si rivolge al ser -<br />
vi zio per farsi curare». In questa cornice, il sostegno al paziente psichiatrico si<br />
svi luppa - almeno nei casi esaminati - sul terreno degli affetti, con la co stru -<br />
zione di rapporti che, in taluni dei casi esaminati rasentano il maternage.<br />
In ciò è pertanto legittimo riconoscere una risorsa, ma forse anche un limite -<br />
an corché scelto e motivato - nelle competenze di coloro che, quo ti dia na mente,<br />
con dividono l’esperienza del lavoro con il paziente psichiatrico 87 .<br />
4.2 Il lavoro nelle imprese for-profit e nella pubblica amministrazione<br />
Gli studi di caso condotti sulle aziende hanno come obiettivo quello di<br />
individuare gli elementi che abbiano consentito ovvero ostacolato<br />
l’inserimento efficace e la permanenza di persone con disagio psichico<br />
all’interno di organizzazioni produttive o di servizi site nella provincia di<br />
Torino. A tal fine sono state ipotizzate due situazioni-tipo in cui le aziende<br />
possono venirsi a trovare:<br />
a. necessità delle aziende con più di 15 dipendenti di adempiere all’obbligo<br />
di legge che prevede l’inserimento di disabili (legge 68 del 2000);<br />
b. necessità di far fronte all’insorgenza di disagio psichico in dipendenti<br />
assunti come abili.<br />
Il campione di organizzazioni è costituito da 10 aziende private e 1 ente<br />
pub blico. Per ciò che riguarda le modalità di campionamento, in prima istanza,<br />
si è scelto l’utilizzo di testimoni privilegiati: si è infatti richiesto ai soggetti cha<br />
ave vano svolto un lavoro negli ultimi due anni, intervistati nella prima fase del -<br />
la ricerca, la possibilità di intervistare direttamente i referenti delle aziende<br />
pres so cui operano o avevano operato. Tale richiesta ha consentito di in di vi -<br />
dua re 2 organizzazioni, una che risponde alla fattispecie a) e una alla b).<br />
Un ulteriore tranche del campione è stata individuata grazie alla segna -<br />
lazione da parte della Provincia di Torino di 22 aziende di queste 7 sono state<br />
se lezionate, 1 di esse, non rispondeva però ai requisiti, in quanto aveva ospitato<br />
di sa bili non psichici, ed è stata tralasciata<br />
La Provincia ha segnalato 22 aziende, tra cui ne abbiamo scelte 7 e di queste<br />
6 sono state interpellate, 3 aziende sono state segnalate dai DSM e 2 dai<br />
115
116<br />
parte prima<br />
pazienti. L’elenco a disposizione della Provincia deriva da una precedente<br />
indagine sul comparto metalmeccanico, per tale motivo quest’ultimo appare<br />
sovrarappresentato nel campione e, di conseguenza, anche il genere dei<br />
dipendenti con problemi psichici che hanno lavorato in queste aziende è<br />
soprattutto quello maschile.<br />
Il campione è stato ulteriormente integrato con 1 azienda che rispondesse<br />
alla fattispecie b) su citata (si tratta di una grande azienda che impiega anche<br />
disabili psichici, ma l’attenzione si è focalizzata sull’insorgenza del disagio<br />
psichico in persone assunte come abili).<br />
Di seguito la tabella che delinea le caratteristiche strutturali delle aziende<br />
contattate. È necessario precisare che nel corso dell’intervista al direttore del<br />
personale dell’azienda 2, è emerso che sono presenti due disabili psichici, in due<br />
differenti sedi della medesima azienda. Per tale motivo si è proceduto a svolgere<br />
un ulteriore tranche di interviste in questa seconda sede (denominata 2a).<br />
Tabella 1. Caratteristiche strutturali delle aziende e segnalazione del contatto<br />
AZIENDA SETTORE<br />
PRODUTTIVO<br />
1<br />
2<br />
2a<br />
3<br />
4<br />
5<br />
6<br />
7<br />
8<br />
9<br />
10<br />
11<br />
auto - produzione accessori<br />
auto - vendita accessori<br />
auto - produzione accessori<br />
auto - produzione comp. meccaniche<br />
GdO<br />
GdO - alimentari<br />
componenti elettriche distribuzione<br />
auto - produzione comp. meccaniche<br />
ente pubblico<br />
servizi di formazione<br />
servizi di trasporto<br />
auto-verniciatura<br />
NUMERO<br />
DIPENDENTI<br />
22<br />
65<br />
22<br />
600<br />
512<br />
15<br />
60<br />
70<br />
-<br />
-<br />
5300<br />
30<br />
*<br />
FONDAZIONE<br />
1991<br />
1991<br />
1991<br />
1951<br />
1989<br />
1986<br />
1989<br />
1962<br />
-<br />
1979<br />
2003<br />
-<br />
GENERE M/F<br />
80% - 20%<br />
85% - 15%<br />
77% - 23%<br />
80% - 20%<br />
30% - 70%<br />
10% - 90%<br />
70% - 30%<br />
80% - 20%<br />
---------<br />
---------<br />
---------<br />
94% - 6%<br />
Il numero di dipendenti si riferisce alla sede e al periodo in cui il disabile è (era) inserito<br />
SEGNALAZIONI<br />
Provincia<br />
Provincia<br />
Provincia<br />
Provincia<br />
Provincia<br />
Provincia<br />
Intervistato<br />
Provincia<br />
Intervistato<br />
Provincia<br />
Provincia<br />
Provincia<br />
Le aziende contattate , possono ancora essere ulteriore suddivise in aziende<br />
che hanno ancora in forze il disabile psichico oppure no.
Tabella 2. Mappa dello status dei dipendenti<br />
1<br />
2<br />
2a<br />
3<br />
4<br />
5<br />
6<br />
7<br />
8<br />
9<br />
10<br />
11<br />
pulizie<br />
traduttore<br />
venditore<br />
operaio<br />
addetto carico - scarico<br />
addetto vendita - magazzino<br />
pulizie<br />
addetto magazzino<br />
impiegato<br />
receptionist<br />
autista<br />
verniciatore<br />
il contesto lavorativo<br />
AZIENDA MANSIONE ASSUNZIONE CAUSA NON<br />
ASSUNZIONE<br />
no<br />
sì<br />
sì<br />
sì<br />
no<br />
sì<br />
sì<br />
sì<br />
sì<br />
no<br />
sì<br />
sì<br />
ristrut. aziend.<br />
dimissioni<br />
cambio resid.<br />
crisi lavoratore<br />
FORMA<br />
CONTRAT.<br />
ATTUALE<br />
-------t.<br />
indet<br />
t. indet<br />
t. indet<br />
-------t.<br />
indet<br />
t. indet<br />
t. indet<br />
---------<br />
-------t.<br />
indet<br />
t. indet<br />
Il numero di dipendenti si riferisce alla sede e al periodo in cui il disabile è (era) inserito<br />
Per chiarezza illustriamo la tassonomia di aziende interpellate<br />
Aziende che hanno<br />
adempiuto alla legge 68<br />
negli ultimi due anni<br />
Aziende che gestiscono un<br />
abile che presenta problemi<br />
di disagio psichico<br />
Azienda con disabile ps.<br />
già intervistato<br />
Azienda in cui il disabile ps.<br />
non è mai stato intervistato<br />
Azienda con disabile ps.<br />
già intervistato<br />
Azienda in cui il disabile ps.<br />
non è mai stato intervistato<br />
GENERE<br />
m<br />
m<br />
m<br />
m<br />
m<br />
m<br />
m<br />
m<br />
m<br />
f<br />
m<br />
m<br />
ORARIO<br />
part time<br />
part time<br />
part time<br />
part time<br />
part time<br />
part time<br />
part time<br />
full time<br />
part time<br />
part time<br />
part time<br />
part time<br />
Disabile ps.<br />
ancora in forze in azienda<br />
Disabile ps.<br />
non più in forze in azienda<br />
Disabile ps.<br />
ancora in forze in azienda<br />
Disabile ps.<br />
non più in forze in azienda<br />
Disabile ps.<br />
ancora in forze in azienda<br />
Disabile ps.<br />
non più in forze in azienda<br />
Disabile ps.<br />
ancora in forze in azienda<br />
Disabile ps.<br />
non più in forze in azienda<br />
117
118<br />
. Procedura<br />
Si è optato per la conduzione di tre interviste in ciascuna organizzazione, al<br />
responsabile del personale, al capo diretto e al collega della persona con pro -<br />
ble mi psichici, con l’intento di evidenziare alcune criticità a livello sia di poli -<br />
tiche aziendali generali (direttore del personale), sia a livello della gestione<br />
quotidiana di lavoro in termini di rapporto gerarchico (capo diretto) e oriz -<br />
zontale (collega). Non sempre è stato possibile contattare tutti e tre i soggetti:<br />
il direttore dell’azienda 11 svolgeva anche funzioni di caporeparto, mentre per<br />
ciò che concerne la 8, l’intervistato che ci ha concesso di recarci presso l’orga -<br />
niz zazione in cui lavora, ritenendo che il suo capo e il direttore del personale<br />
non fossero a conoscenza della natura dei suoi problemi, ha acconsentito a far<br />
in ter vistare solamente due colleghi. Complessivamente sono state condotte 30<br />
inter viste di cui 10 a direttori del personale, 9 ai responsabili di repar to/uf fi -<br />
cio, 9 a colleghi.<br />
Tabella 3. Distribuzione delle interviste condotte<br />
direttore risorse umane<br />
responsabile reparto - ufficio<br />
collega 1<br />
collega 2<br />
. Metodo<br />
Le interviste sono state sottoposte, come nelle precedenti fasi del progetto,<br />
ad analisi del contenuto generando un quadro sinottico delle categorie e sottocategorie<br />
semantiche che qui vengono delineate. Le categorie così “costruite”<br />
richiamano direttamente le aree tematiche affrontate nel corso delle interviste<br />
(si veda l’appendice digitale).<br />
. I risultati<br />
parte prima<br />
RUOLO - AZIENDA 1 2 2a 3 4 5 6 7 8 9 10 11<br />
In particolare le interviste alle aziende esplorano 4 macroaree:<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
4.2.1. L’ Inserimento lavorativo<br />
a. i motivi che hanno spinto l’azienda ad assumere un soggetto disabile e le<br />
cause eventuali di una mancata riconferma dopo un periodo di tirocinio;<br />
b. le modalità di selezione (presa di contatto coi servizi, strumenti,accertamen -<br />
to diagnostico, valutazione delle competenze e del titolo di studio);<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x<br />
x
c. il ruolo dei servizi nell’inserimento (funzioni del tutor e sua efficacia perce -<br />
pita, critiche e richieste di aiuto);<br />
d. il processo di socializzazione (presentazione del disabile, clima del gruppo<br />
di lavoro, addestramento e ruolo del tutor interno);<br />
e. lo svolgimento delle mansioni (le scelte in merito all’assegnazione di compiti<br />
potenzialmente pericolosi, la difficoltà nello svolgimento delle mansioni, la ne -<br />
ces sità di modificare spazi, procedure o adottare misure di sicurezza particolari).<br />
4.2.2. La Valutazione delle capacità lavorative<br />
a. Capacità operative (deficit e benefit);<br />
b. Capacità sociali e relazionali (deficit e benefit);<br />
c. Condotta lavorativa.<br />
4.2.3. Il Bilancio dell’inserimento<br />
a. Costi che incidono sulla produzione;<br />
b. Costi gestionali/relazionali;<br />
c. Strategie di fronteggiamento;<br />
d. Benefici che incidono sulla produzione;<br />
e. Benefici emotivo/relazionali.<br />
4.2.4. Indicatori di occupabilità<br />
4.2.5. Episodi di manifestazione eclatante della malattia -fattispecie b)-<br />
La trattazione si conclude con un tentativo di sintesi mediante l’in divi dua -<br />
zio ne di un idealtipo aziendale e con alcune indicazioni operative.<br />
4.2.1. Inserimento lavorativo<br />
il contesto lavorativo<br />
a. Motivo dell’assunzione<br />
Le aziende interpellate sono concordi nell’affermare che la motivazione che<br />
le ha condotte all’assunzione del disabile psichico è quella dell’obbligo di legge.<br />
Sembra che la scelta relativa al tipo di disabilità sia da imputare più ai servizi che<br />
presentano la persona, che a una richiesta diretta da parte dell’azienda. Un caso<br />
a parte degno di nota è quello dell’azienda 11, qui l’ob bligo di legge è stato<br />
ampiamente assolto, ma è politica dell’azienda assu me re per sone con disabilita<br />
perché: “visto che comunque...abbiamo delle man sio ni da far svolgere anche a<br />
queste persone qua in modo semplice...preferiamo pren dere delle persone che<br />
hanno determinate difficoltà piuttosto che altre” (Dir. R.U.). All’interno della<br />
medesima azienda gli intervistati sembrano discordi in merito al fatto che l’arco<br />
temporale in cui il disabile è stato inserito corrispon desse ad un picco di lavoro.<br />
Solo il Direttore del Personale dell’azienda 5 affer ma che quella è stata<br />
l’occasione per un primo inserimento a tempo deter minato, reiterato in una<br />
seconda fase di tirocinio, qualche mese più tardi.<br />
119
120<br />
parte prima<br />
b. Selezione<br />
I direttori del personale, interpellati su quali erano stati gli interlocutori che<br />
ave vano presentato loro un disabile psichico da inserire in azienda, mostrano<br />
un qua dro variegato di risposte: da referenti delle Asl, a quelli della Provincia<br />
(azienda 9), ai Centri per l’Impiego (azienda 3, 7 e 10), fino ai responsabili di<br />
cen tri di formazione presso cui il disabile ha svolto alcuni corsi che sono cul -<br />
mi nati in uno stage presso l’azienda intervistata (azienda 5).<br />
La valutazione delle competenze e della capacità lavorativa del disabile viene ef -<br />
fet tuata in molti casi tramite una serie di colloqui con i referenti che pre sen -<br />
tano il disabile, al fine di valutare l’appropriatezza delle mansioni che si inten -<br />
do no assegnare al disabile. Seguono poi uno o più colloqui fra il datore di la -<br />
vo ro e il futuro inserito. Non mancano i casi in cui la persona da inserire venga<br />
va gliata all’interno di una rosa di possibili candidati (è il caso degli inserimenti<br />
in stage). Quasi nessuno dei datori di lavoro ricorda il titolo di studio o le espe -<br />
rienze di lavoro precedenti del lavoratore inserito e nemmeno competenze spe ci -<br />
fiche. Va notato però che per quei lavori (traduttore - receptionist - venditore<br />
- verniciatore) che richiedono il contatto con il pubblico o una com pe tenza<br />
tecnica, il possesso di questi requisiti è stato vagliato, mentre per i la vori di più<br />
basso profilo (operaio generico - aiuto magazziniere - addetto pu li zia) sono<br />
state considerate di scarso rilievo, anche perché facilmente acqui sibili nel<br />
periodo di tirocinio in azienda.<br />
Per ciò che concerne l’accertamento diagnostico della disabilità l’azienda 3, 4<br />
e 10 (di ampie dimensioni) si servono del proprio medico interno per far va lu -<br />
tare soprattutto la potenziale pericolosità per sé e per gli altri in relazione al -<br />
l’utilizzo di utensili specifici (azienda 3) o alla conduzione di mezzi (10). In<br />
gene rale la aziende dichiarano di attenersi a quanto loro indicato dai referenti.<br />
Le domande più ricorrenti riguardano comunque la potenziale pericolosità<br />
(si vedano le funzioni del tutor, paragrafo 3.2.2.c). La maggior parte delle<br />
azien de si è avvalsa di un periodo di tirocinio, o di borsa-lavoro retribuita<br />
dall’Asl, di durata variabile, prima di trasformare il rapporto di lavoro in un<br />
contratto a tempo indeterminato.<br />
c. Ruolo dei servizi<br />
Il tutor esterno è rappresentato, nella maggior parte dei casi, da una figura<br />
identificata dalle aziende come assistente sociale. Funzione del tutor è<br />
presentare la persona da inserire all’azienda e seguirla nel primo periodo del -<br />
l’in serimento. La presenza del tutor è infatti garantita (con assiduità e modalità<br />
variabili) per tutto il periodo di conoscenza reciproca fra disabile e azienda -<br />
ossia la borsa-lavoro o il tirocinio - per poi sparire quasi com pleta men te dopo<br />
che la persona è assunta con un contratto definitivo: “All’inizio si, que sto<br />
centro dell’impiego che ha organizzato i colloqui iniziali di pre sen ta zione e poi<br />
quando lui è venuto a lavorare, periodicamente, diciamo una volta al la<br />
settimana, ehh e poi anche un po’ meno son venute queste persone che lo
il contesto lavorativo<br />
seguivano a fare dei colloqui per vedere appunto se anche lui si inse ri -<br />
va...quindi ha parlato sia con lui che con noi...cioè l’inserimento è stato seguito<br />
inizialmente..” (azienda 7, Dir. R.U.).<br />
I servizi si rendono comunque disponibili ad essere contattati in caso di dif -<br />
fi col tà che pos sano emergere a tirocinio terminato. Va sottolineato però, che<br />
vie ne lasciato a soggetti non esperti - colleghi o responsabili - il compito di in -<br />
dividuare segnali di sofferenza più o meno espliciti che precedono la crisi,<br />
com pito talvolta complesso e che rappresenta un costo emotivo rilevante per<br />
le per sone in azienda (per un approfondimento del tema rimandiamo al punto<br />
3.2.3.b). Il ruolo del tutor, l’assiduità della sua presenza appaiono più chiari ai<br />
di ret tori del personale, - rispetto agli altri dipendenti - con i quali i tutor han -<br />
no colloqui più frequenti per valutare insieme l’andamento del neo-inserito.<br />
Per ciò che concerne invece il tipo di rapporto fra tutor e disabile si possono<br />
notare alcune differenze: presso l’azienda 3 e la 6 il tutor, rimane per una buo -<br />
na parte della giornata lavorativa insieme al lavoratore sul posto di lavoro, mo -<br />
nitorando la prestazione e fungendo da “mediatore culturale” con i capi e col -<br />
leghi per la comprensione delle mansioni e l’esecuzione delle stesse. In altri ca -<br />
si (azienda 1) la tutor aiuta il neo-assunto che ha problemi di uso dei mezzi<br />
pub blici, a raggiungere il posto di lavoro, mantenendo un contatto diretto con<br />
l’azienda stessa, che ne fa la referente; in altre aziende, infine, la presenza del<br />
tu tor è meno incombente e si limita ad alcuni colloqui con il disabile e coi i<br />
referenti aziendali.<br />
Anche i giudizi in merito all’efficacia della tutorship sono variabili, a seconda<br />
sia dell’interlocutore interpellato, sia del comportamento adottato dal tutor. In<br />
particolare, in quei casi in cui il tutor appare molto presente, esso viene<br />
percepito (da colleghi e responsabili di reparto) come eccessivamente con trol -<br />
lante sia per il disabile, sia per il reparto. “Ecco, sicuramente sono tante le per -<br />
sone da seguire, tante cose da fare, okay, però ecco, io ho... ho avuto la sen -<br />
sazione che venivano più per...perché dovevano farlo... che per l’interesse vero<br />
e proprio... sulla... sulla persona. Ehm... Venivano... qui e parlavano un po’ di -<br />
non lo so - di aria fritta, cioè... non... non era un interessamento vero e proprio<br />
su T., quali erano i progressi che già stava facendo. Per loro secondo me<br />
l’interesse era quello di... ehm... alla fine trovargli... avergli trovato il posto di<br />
la voro, punto e fine. Per non doversi più dedicare così. Ma questa è una sen -<br />
sazione che ho avuto io, ma confermata comunque anche da T.: mi disse al -<br />
l’epoca... che non gli piaceva... questo... Soprattutto una... [...] così... ehm... di -<br />
ce va che questa persona si interessava poco o niente al...al suo caso. Io ho avuto<br />
la stes sa sensazione” (azienda 6, Dir. R.U.).<br />
Va invece sottolineato il ruolo rilevante del tutor come interlocutore da cui<br />
l’azienda può ottenere indicazioni considerate preziose, in merito ai compiti<br />
(complessità-carico) e all’orario più opportuno per il disabile, soprattutto al -<br />
l’ini zio dell’inserimento.<br />
Le maggiori critiche al ruolo dei servizi sono individuabili in quelle orga -<br />
121
122<br />
parte prima<br />
niz zazioni in cui l’inserimento del disabile non è andato a buon fine: in un caso<br />
in particolare (azienda 9, Dir. R.U.) si imputa parte dell’insuccesso al l’in ca pa -<br />
cità da parte dei servizi di individuare nei comportamenti adottati dalla per -<br />
sona inserita chiari sintomi di disagio: “Quindi, diciamo che é stato purtroppo<br />
un episodio molto triste, molto increscioso, per tanti aspetti, non tanto riferito<br />
al la persona, che sicuramente aveva delle turbe proprie, ma che però per tanti<br />
a spetti ha lasciato in me l’impressione che... eh... le persone che la accudivano<br />
non servivano a... risolvere queste turbe, anzi, [...] assommavano per tanti a -<br />
spet ti problemi o ansie proprie a quelle che già aveva la persona”, la mancanza<br />
di trasparenza nel rendere evidenti le criticità della patologia per lo svol gi -<br />
mento del compito: “io trovo che non é tanto il discorso nostro, quanto un di -<br />
scorso di chi ha presentato questa persona a noi, sapendo che cosa noi inten -<br />
de vamo farle fare. Perché non é che, che la cosa sia scoppiata dopo... si é pre -<br />
pa rata prima. Quella persona, quelle persone che ci hanno proposto questa<br />
per sona dovevano capire che quella persona lì era inadatta”, il non aver<br />
supportato l’azienda: “Appunto, tenuto conto che poi, in sede di rapporto di<br />
la voro, una persona che arriva in prova per tre mesi o quello che é, sparisce per<br />
venti giorni, poi noi abbiam saputo dopo che non stava bene. Ma nor mal men -<br />
te, anche lì, se una persona va in malattia, c’é un medico che rilascia un certi -<br />
fi cato e ci dice: ‘Questa persona é giusto che sia assente dal lavoro dal al’.<br />
Questo non é avvenuto, noi in tre persone non ne sapevamo niente. Eh...<br />
anche questo é tutto una cosa che...io non, non ne faccio colpa alla signora. Ne<br />
faccio colpa a chi le stava dietro, perché doveva sapere queste cose” e ancora<br />
imputare all’azienda stessa un comportamento non “politically correct” al<br />
momento della mancata riconferma dopo il periodo di prova: “quando i medici<br />
ci hanno un po’ richiamati, dicendo: ‘Guardate che quella chiusura, fatta in<br />
quel modo lì, é stata pericolosa, perché poteva creare delle reazioni anche<br />
sconsiderate’, lei capisce che... al di là del fatto che ognuno ha la sua sen -<br />
sibilità... comunque é una cosa che colpisce”.<br />
Alcune critiche, o meglio richieste di aiuto ai servizi, vengono però anche da<br />
aziende in cui l’inserimento si è tradotto in un’assunzione. Alcune sot toli nea -<br />
no, infatti, la difficoltà nel capire quali comportamenti sia opportuno adottare<br />
con il disabile: in molti casi la sensibilità maggiore, l’affaticamento, la necessità<br />
di ritmi regolari, rappresentano “scoperte” che i colleghi e i responsabili di re -<br />
par to, fanno attraverso una conoscenza diretta con la persona inserita, cono -<br />
scen za per prove ed errori che può aver causato sofferenze reciproche evitabili,<br />
se condo gli intervistati, grazie ad una maggiore chiarezza nelle indicazioni da<br />
par te dei tutor: “Difficoltà sì, perché avrebbero dovuto, tra virgolette dovuto,<br />
dir ci qual’era il problema... subito. È stato attenuato nel senso che ci hanno la -<br />
sciato un po’ a capire noi quello che si doveva fare... ehm... quindi lasciandoci<br />
tut to il margine: prendere la strada giusta, prendere la strada sbagliata... Nel<br />
mo mento in cui, cioè abbiamo capito io, i colleghi, il direttore, capivamo gior -<br />
no dopo giorno come trattarlo passando sopra degli errori. Magari un giorno
il contesto lavorativo<br />
lo prendevamo male, l’altro giorno lo prendevamo bene e allora... pro ba bil -<br />
men te se avessimo avuto un contatto diretto con chi lo stava seguendo o...o ci<br />
fos se stato qualche consiglio da parte di chi lo seguiva, probabilmente tanti er -<br />
rori... si sarebbero potuti evitare...” (azienda 2a, caporeparto).<br />
Sempre nella stessa azienda, un collega afferma con maggior decisione la<br />
ne ces sità di un aiuto esperto, esterno all’azienda, con cui la persona possa<br />
confrontarsi per discutere i problemi: “se c’è una persona che lo segue, lo aiuta,<br />
lo... secondo me lo... lo capisce. Forse con... con questa persona qua parla me -<br />
glio de...dei problemi che può avere anche a casa” (azienda 2a, collega).<br />
Nell’azienda 8 invece si richiede ai servizi di fornire interventi (in)formativi<br />
sul tema, ad hoc: “un po’ più di informazione per tutti. Un po’ più di informazione.<br />
Ma informazione che sia informazione, non un volantino...che ti dice:<br />
‘Se hai dei problemi vieni da noi...che ti curiamo’... [...] ci va qualche cosa di<br />
un po’ più consistente” (collega).<br />
Nell’azienda 3 infine, il direttore del personale, pur apprezzando gli sforzi<br />
mes si in campo con la legge 68, suggerisce che un impiego di maggiori forze, nel<br />
co no scere approfonditamente non solo le mansioni che si svolgono in una de ter -<br />
minata azienda e il suo processo produttivo, ma le sue peculiarità, la sua cul tura,<br />
costituirebbero un importante strumento per una collocazione di suc cesso.<br />
d. Processo di socializzazione<br />
Per ciò che concerne le modalità di presentazione del disabile ai futuri compagni<br />
di lavoro, le aziende operano scelte diverse. In molti casi viene assegnato<br />
al caporeparto il compito di presentare il nuovo arrivato, questi viene avvisato<br />
dal direttore del personale, che si tratta di un disabile: “E poi l’amministratore<br />
mi ha chiamato, perché comunque m’ha detto: ‘Poi lo seguirai tu in officina.<br />
Voglio che senti anche tu quelle che potrebbero essere, insomma, i... i<br />
problemi, la presentazione di questa cosa’. E in effetti poi è successo così, nel<br />
senso che poi l’ho se... l’ho seguito più io. Devo dire che comunque era... un...<br />
cioè, non è che aveva bisogno di essere seguito in maniera... eh... che so...<br />
affannosa [...]Io, personalmente. per cui... la prima volta... ci ha detto che era<br />
un ragazzo che aveva dei problemi... che... , insomma, che aveva bisogno di, di<br />
essere un po’ seguito, così, però nello specifico io personalmente non so i<br />
problemi” (azienda 1, caporeparto).<br />
La natura dei problemi è generalmente poco esplicitata, anche perché spes -<br />
so non è nota, nei particolari, neanche al datore di lavoro. Nelle aziende si evi -<br />
den zia la tendenza a lasciare che il personale si accorga da sé della disabilità,<br />
os servando il comportamento del neo-inserito: “Diciamo che è stato... ehm...<br />
come dire, automatico per noi, vedendolo, vedendo il suo modo di presentarsi,<br />
il suo approccio nei nostri confronti, è stata una cosa che abbiamo dedotto<br />
noi... quindi il nostro comportamento si è basato in base alla sua reattività” (a -<br />
zien da 2, caporeparto) “Forse s... c’è stato detto che sarebbero arrivate due<br />
per sone a far degli stage, forse con qualche problema, però... precisamente<br />
123
124<br />
parte prima<br />
non... Forse son stati più avvisati le persone dirette del... del... del reparto”<br />
(azienda 2, collega).<br />
In taluni casi la scelta è dettata dal desiderio di non sottolineare le dif fe -<br />
renze, per non generare comportamenti impropri, ma facilitare un inse ri -<br />
mento naturale: “alla fine è stato trattato come sono stati trattati gli altri, forse<br />
è sta to questo il bene suo, comunque s’è trovato inserito in un’azienda ed è sta -<br />
to trattato come i suoi colleghi, scherza coi suoi colleghi alla pari degli altri in -<br />
fat ti è molto ben accettato [...]. Ho pensato all’epoca , ho pensato che trattarlo<br />
di ver samente fare pressione sui dipendenti perché lo trattassero diversamente<br />
a vrei creato dei problemi a lui...invece essendo stato tutta una cosa regolare, i<br />
suoi problemi sono passati praticamente in secondo piano” (azienda 7, ca po re -<br />
parto). Questo tentativo di rendere meno salienti le differenze è però inficiato<br />
dal circolare delle voci e dal desiderio di capire meglio con chi si ha a che fare<br />
e come è giusto comportarsi: “allora una volta noi nel magazzino facevamo<br />
dalle 8 alle 5, dalle 9 alle 6 [ di giorno]... io quella mattina sono arrivata alle 9...<br />
e c’era questo ragazzo li... me lo hanno presentato... e poi per una settimana o<br />
due, lavorava da una parte e io lavoravo dall’altra, sempre in magazzino però<br />
non c’era molto contatto..però cominciavano a girare voci che lui non era<br />
proprio come noi, che era un poooo’..indietro...” (azienda 7, collega).<br />
Va notato che nessuno degli intervistati riporta di aver avuto indicazioni in<br />
me rito alle modalità più opportune di inserimento da parte dei tutor, aspetto<br />
che meriterebbe di essere presidiato, valutando insieme all’azienda le modalità<br />
più opportune per quel contesto, di accompagnamento del disabile.<br />
La prima presentazione del neo-inserito è spesso effettuata, come per qualsiasi<br />
nuovo assunto, dal direttore del personale, che mostra anche al nuovo ar -<br />
ri va to l’azienda, i locali, i nuovi colleghi.: “Da noi normalmente quando si en -<br />
tra in azienda si fa una piccola presentazione lì nell’azienda... un oretta e poi<br />
ab biam fatto un giro nella sede - lui lavora qua in sede - dove è stato presentato<br />
a tutti gli uffici... come si chiama, quanti anni ha tutte queste cose qui... l’in ca -<br />
ri co che va a ricoprire ed è stato salutato da tutti...tutti i colleghi, reparto per<br />
re parto insomma” (azienda 2, Dir R.U.); “come é mio, come é mia prassi, mia<br />
pro cedura quando ci sono dei nuovi inserimenti, che seguo direttamente, ho<br />
per sonalmente fatto conoscere la persona a un po’ di referenti, per cui siamo<br />
an dati a fare un po’ un giro ne, nei vari uffici per presentare la persona”<br />
(azienda 9, Dir. R.U.).<br />
Nell’azienda 4 è stato invece il caporeparto a presentare il disabile, senza<br />
chiarire apertamente i suoi problemi, ma avendo cura in un secondo momento,<br />
di esplicitare che si trattava di una persona con queste caratteristiche: “Sì...<br />
ehm... in primo momento ho detto che lui sostituiva pienamente la persona in<br />
cui... Sì... lui doveva sostituire.Non sono... non... Sì... non sono andato oltre,<br />
di ciamo. E ognuno di loro si è presentato”(azienda 4, caporeparto).<br />
Un elemento posto in rilievo da numerosi intervistati è quello del clima del<br />
gruppo di lavoro, in molti sottolineano che “l’età media è molto giovane... per
il contesto lavorativo<br />
cui non ha avuto difficoltà particolari” (azienda 7, capreparto) “il personale<br />
che... che c’era, diciamo, erano tutta gente abbastanza a posto...”.(azienda 1,<br />
Dir. R.U.). In modo più incisivo la direttrice del personale dell’azienda 4,<br />
sottolinea che il clima del gruppo di lavoro è stato preso in considerazione<br />
come fattore determinante per scegliere dove inserire il disabile: “Non solo<br />
per... non solo si va a cercare... il mestiere che possa essere svolto da queste<br />
persone... ma si va a un po’ a cercare, là dove è possibile, l’ambiente... Se io ho<br />
una squadra in un reparto che è già difficile... ,... e nella quale sorgono spesso<br />
pro blemi relazionali, è chiaro che non vado ad inserire... una persona con dif -<br />
fi coltà in una struttura di questo tipo. La squadra del ricevimento prodotti di<br />
grande consumo è fantastica... sono legatissimi, sono molto maturi, sono uo -<br />
mi ni adulti... quindi non c’è stato nessun problema” (azienda 4).<br />
L’ultimo aspetto rilevante riguarda l’addestramento alle mansioni da eseguire.<br />
La procedura adottata dall’azienda non sembra essere diversa dalla pratica<br />
canonica per l’inserimento di un lavoratore abile: un periodo di affiancamento<br />
con il collega “esperto” che di solito svolge quella mansione. In molti casi<br />
l’affiancamento iniziale è seguito direttamente dal caporeparto, va notato però<br />
che nelle aziende di piccole dimensioni non si assiste ad una vera e propria<br />
assegnazione dell’incarico ad una persona specifica, ma sono i vari colleghi<br />
che, a seconda della necessità contingente, seguono il neo-inserito.<br />
A tal proposito in nessuna azienda è stato istituita la figura del tutor interno,<br />
molto più comune è l’assegnazione della responsabilità di controllo e di tramite fra il<br />
disabile e la direzione al caporeparto, ruolo che egli generalmente svolge per<br />
qualsiasi dipendente.<br />
e. Svolgimento della mansione<br />
Le mansioni svolte dalle persone inserite - sia manuali sia intellettuali - (per<br />
la lista delle mansioni si veda Tabella 2) sono classificabili come relativamente<br />
sem plici. Laddove sia richiesta una competenza tecnica specifica (il traduttore)<br />
il prodotto viene comunque sottoposto ad ulteriori verifiche. In molti casi gli<br />
in ter vistati riportano di aver dovuto assegnare al disabile compiti ridotti ri spet -<br />
to a quello che prevedrebbe la mansione.<br />
In linea generale in tutti i contesti si è optato per evitare di assegnare compiti<br />
po ten zialmente pericolosi. Questo riguarda trasversalmente tutte le aziende tran -<br />
ne la 11 in cui non è stato rilevato se esistano compiti con tali caratteristiche e<br />
quali siano le eventuali scelte aziendali in merito. La scelta, operata dalla di -<br />
rezione, viene riconfermata e validata nel suo scopo (evitare danno alla persona<br />
e agli altri, limitare il rischio di infortunio) sia dai responsabili di re par to, sia<br />
dai colleghi. Questa scelta ha comportato l’impossibilità di assegnare un lavoro<br />
con macchine utensili specifiche (aziende 3, 7 e 10), o di mo vi mentazione mac -<br />
chi ne (azienda 6, 4 e 5). “Perché non può guidare il mu let to? Credo più per<br />
una paura mia, nel senso...perché ci sono altre persone, quin di magari il...il fat -<br />
to che...cioè, capita a volte a tutti...no? magari di andare, che ne so, a sbattere<br />
125
126<br />
con tro uno scaffale, è capitato di entrare col mule... con i ferri del muletto in<br />
un furgone fuori di un cliente... [Ride] finché capita, secondo me, a una<br />
persona che non ha problemi... cioè, io dico: ‘Va beh, è capitato, siamo<br />
assicurati, tutto quanto’. Probabilmente non avrebbe lo stesso effetto su una<br />
persona che magari ha dei problemi. Secondo me si farebbe già dei...<br />
Aumenterebbe il livello di tensione del... del lavoro. Secondo me sono<br />
persone che devono lavorare in modo tranquillo, dove...devono sapere che il<br />
lavoro non è... non è un problema” (azienda 6, Dir. R.U.).<br />
In altri casi la riduzione dei compiti si è verificata a seguito della manifesta -<br />
zione da parte del disabile di difficoltà nello svolgimento della mansione stessa<br />
(si veda il paragrafo 3.2.2.a). Nell’azienda 3, è emersa la difficoltà del di sa bile<br />
a me morizzare il numero di pezzi eseguiti, nell’azienda 5 invece alcuni errori<br />
nel caricamento delle merci.<br />
Nessuna organizzazione ha segnalato la necessità di modificare gli spazi o le<br />
procedure di lavoro o adottare misure di sicurezza specifiche.<br />
4.2.2. Valutazione delle capacità lavorative<br />
parte prima<br />
a. Capacità operative<br />
La valutazione delle capacità operative del disabile è strettamente connessa alla<br />
rappresentazione del quadro patologico. È interessante notare, che benché la pa -<br />
to logia dei soggetti inseriti sia diversa (e per altro non nota nei particolari agli in -<br />
tervistati) è possibile riscontrare alcuni aspetti ricorrenti. Ad esempio deficit di me -<br />
moria: quasi tutti i colleghi notano che le persone disabili hanno difficoltà a me -<br />
morizzare i compiti loro assegnati, non riescono a ricordare più di un compito,<br />
ne cessitano di una ripetizione costante delle loro incombenze, anche quando que -<br />
ste sono ormai diventate routinarie: “È quella la cosa... non dico triste, perché co -<br />
mun que va beh, non è triste, però è... ogni tanto lascia un po’ così, perché ogni<br />
tan to si dimentica... cioè, il giorno dopo quello che gli è stato detto il giorno pri -<br />
ma, quindi questo è il motivo per cui l’orario è sempre lo stesso. È metodico...<br />
quin di se non ha... se c’è qualcosa che va fuori... fuori lo schema normale della<br />
gior nata o della... o della cosa gli manca la sicurezza e allora non... fa fatica, no?...<br />
” (azienda 2a, caporeparto) “Però comunque quando gli dici di fare una cosa la fa,<br />
ma gari si, una cosa, si dimenticaaa subito, lui deve fare cosi la scatola, magari la fa<br />
perché lo sto guardando... dopo 2 secondi mi viene a richiamare perché non si<br />
ricorda più... però comunque è una persona brava... è un ragazzo bravo... ”<br />
(azienda 7, caporeparto). Questi deficit di memoria influenzano quindi l’au to no -<br />
mia: non ricordandosi i compiti, la tendenza è quella di dipendere dagli altri per<br />
l’as segnazione del le mansioni, anche semplici: “Sicuramente... eh... come dire, il,<br />
il no stro modo di seguirlo era quello ogni tanto di ricordargli un qualcosa, perché<br />
si di menticava spesso... eh... che so, se gli... non potevo dirgli: ‘C., oggi fai que sto,<br />
que sto, questo e questo’, perché magari ne faceva uno e poi mi veniva a chie dere:<br />
‘Cosa devo fare?’ “ (azienda 1, caporeparto). “Io personalmente non l’ho mai visto
il contesto lavorativo<br />
riuscire a fare proprio l’organizzazione. Non riesce magari ad organizzarsi un la -<br />
voro, non riesce a... a tenere ordine, cioè gli sfugge, non riesce a fare una cosa de -<br />
ter minata da solo. Ad esempio tante volte, anche solo per prendere su un seg gio -<br />
lino mi dice: ‘Mi vieni a dare una mano?’. Cioè, qualsiasi tipo di cosa ha sem pre<br />
bi sogno che qualcuno li... gli dia una mano. Questo è il problema” (azienda 2a,<br />
col lega ). In alcuni casi gli intervistati ri le vano che i farmaci assunti possono avere<br />
un impatto sulla capacità lavorativa: “Molte volte - ci siamo accorti - anche da...<br />
dal... dalla cura che sta svolgendo. Lo vedi che se cambia cura o se... o se è sotto<br />
far maci reagisce in una ma nie ra... Io... io son... io son contento quando lo vedo<br />
arrivare al lavoro che non è sotto farmaci, perché vuol dire che è un momento<br />
positivo e che non ha bi so gno del supporto farmacologico. E altre volte lo vedi<br />
invece che è un po’... un po’ diciamo stordito dal farmaco, ecco” (azienda 2°,<br />
Direttore R.U.) “nel sen so che devi sempre andare a vedere dov’è, perché ogni<br />
tan to lui si perde, è sem pre dietro caffè su caffè... Alle volte bisogna pro -<br />
prio...(azienda 5, caporeparto). Un ulteriore elemento (anch’esso riconducibile al -<br />
la patologia o al l’assun zio ne di farmaci) riguarda la riduzione delle energie, la dif -<br />
ficoltà a sostenere un carico di lavoro percepito come elevato, spesso diventa ne ces -<br />
sario ridurre il rit mo di lavoro o lasciare che il disabile adotti il suo: “alla fine ar -<br />
riviamo al lavoro che siamo pronti per il carico di lavoro, quindi comunque ener -<br />
gizzati, ma con un’energia che a lui dà fastidio, perché lui ha i suoi ritmi.<br />
Noi ab biamo i nostri e lui ha i suoi... quindi nel momento in cui c’è l’impatto<br />
fra il nostro... la nostra energia e la sua, la nostra si deve bloccare, si deve... deve<br />
scendere al suo livello e deve... deve... Ecco, come un trasformatore in pratica<br />
deve... deve essere inca na lata per il suo... per il suo stato d’animo, no? Per il suo...<br />
Per... per quello che lui riesce a... il carico di lavoro che lui riesce a sopportare.<br />
Quindi noi per esempio in un’ora facciamo quattro-cinque cose, lui è limitato<br />
a tre o a due, dobbiamo dargli il lavoro... mole di lavoro per tre cose, due al ma...<br />
due cose, tre al massimo” (azienda 2a, caporeparto). In particolare nell’azienda 2a<br />
dove il disabile svolge un lavoro a contatto con il pubblico: “L’altro giorno per<br />
esempio gli ho chiesto: ‘M., per favore... ’, aveva appena finito di servire un<br />
cliente, [...] Ho detto: ‘Okay. Riposiamoci dieci minuti e poi però vai... ’ Men tre<br />
a un altro venditore non sarebbe passato per l’anticamera neanche di dirmi: ‘No,<br />
ho appena finito di parlare col cliente.’, lui in quel momento si è sentito stan co,<br />
per ché i clienti in generale sono dei prosciugatori di energie... e quindi nel mo -<br />
mento in cui si accoglie un cliente, si dona al cliente un po’ della nostra e ner gia,<br />
un po’ del nostro sapere, un po’ delle nostre cose. Quindi in quel mo men to ho<br />
ca pito che lui aveva dato tanto a questa persona e dando tanto a que sta persona<br />
aveva bisogno di riprendersi un attimo, concentrarsi un attimo su se stesso, rag -<br />
gruppare le energie e andare su” (caporeparto); “ha difficoltà di con centrazione,<br />
non può fare più dopo un’ora che lavora... deve rifiatare, ehm... non riesce a fare<br />
una giornata di lavoro intera mai... per cui bi sogna... vie ne la mattina, qualche vol -<br />
ta viene a mezzogiorno, qualche volta alle due... ehm... non... non vive la scadenza<br />
per cui se si fa una cosa per domani va in tilt.” (azienda 2, Dir. R.U.).<br />
127
128<br />
parte prima<br />
b. Capacità sociali e relazionali<br />
Il quadro delle capacità relazionali sembra connesso prevalentemente a due fat -<br />
tori: uno di personalità, l’altro legato alle caratteristiche delle mansioni da svol -<br />
gere. Per ciò che concerne il primo aspetto, abbiamo un quadro variegato: in<br />
molti casi persone timide, che necessitano di tempo per prendere con fi den za e<br />
sentire di potersi fidare, come persone molto allegre, che amano socia liz za re e<br />
chiacchierare (forse talvolta troppo). Spesso viene notata un’ambi va len za<br />
nell’umore, degli alti e bassi: “Diciamo che va poi molto a periodi. Il suo...il suo<br />
carattere, nel senso....che muta poi in base a periodi: periodi che magari lui è un<br />
po’ più...cioè, ha proprio poi più voglia lui parlare, in altri che...che è più du ra<br />
anche proprio per noi...magari ascoltarlo, perché magari si chiude più in se<br />
stesso. Questo è il problema” (azienda 2, collega).<br />
Per ciò che concerne il tipo di mansione va notato che per coloro che<br />
svolgono lavori di contatto con il pubblico la capacità relazionale diventa estre -<br />
mamente rilevante. Le aziende 4, 5 e 2a evidenziano come il buon ca rat tere, una<br />
sensi bilità individuale anche superiore alla media rappresentano dei plus. Al con -<br />
trario la variabilità dell’umore in questi contesti può rap presentare un osta co lo:<br />
“Secondo me non era, non era molto portata per lavo rare, anche con il con tat to<br />
con le persone, perché era molto irascibile in alcuni mo menti del la gior nata.<br />
Non gli si poteva dire niente che si arrabbiava. Negli al tri mo menti era la per -<br />
sona più, più dolce” (azienda 9, collega).<br />
Per ciò che concerne le capacità sociali è importante sottolineare un ele men to<br />
che sembra necessario monitorare: quello della capacità dell’uso dei mez zi pub -<br />
bli ci, indispensabile per garantire la puntualità e l’affidabilità del la vo ratore.<br />
c. Condotta<br />
Per ciò che riguarda la condotta lavorativa l’elemento più ricorrente è l’im pe -<br />
gno mostrato dal lavoratore: “gli ho detto di pulire lì, dopo dieci minuti mi è<br />
venuto a chiamare che aveva già pulito, aveva già finito. no? Oppure c’era da<br />
pulire il cortile...e difatti eravamo un po’ rimasti perché era uno molto vo len te -<br />
roso, cioè... ” (azienda 1, Direttore R.U.).<br />
L’impegno (non) dimostrato, indipendentemente dall’effettiva efficacia o dal -<br />
le possibili carenze legate al patologia e uso di farmaci, sembra essere uno dei<br />
fattori che ha inciso negativamente su un inserimento risultato fal li men ta re: “e<br />
poi di essere il più presente possibile e il più concentrata possibile per acqui sire<br />
tutte le informazioni che sono necessarie per cercare a un certo pun to di rendersi<br />
utile. Questo é fondamentale. Ecco, tutto questo questa per so na non ce l’ha mai<br />
dimostrato” (azienda 9, Direttore R.U.).<br />
In alcuni contesti appare però la difficoltà degli interpellati nel com pren de re<br />
se alcuni comportamenti di scarsa resa siano imputabili a una man can za di im -<br />
pegno o di energie imputabile alla patologia: “però ci sono dei mo men ti che<br />
non... non lavora, cioè non ha voglia proprio di lavorare o meglio non... non lo<br />
so. Non so se è voglia, come ripeto, o se ha dei problemi proprio lui...
Adesso io questi... Io non so poi... non ho mai saputo i suoi veri problemi,<br />
quindi... non me la sento di dire che cos’è poi il vero problema” (azienda 2a,<br />
collega). In taluni casi l’impegno si traduce in una proattività, in un desiderio di<br />
crescita e di apprendimento di nuove competenze: “All’inizio, come dicevo<br />
prima, un po’... un po’ titubante, ma soprattutto a causa del nostro lavoro perché<br />
è un lavoro molto tecnico, termini tecnici da adattare comunque al... al set tore.<br />
[...] Anzi, è una persona che comunque è sempre alla ricerca di lavori nuo vi... di<br />
lavoro... di lavoro in più. Una persona che si applica.[...] mi chiede se può<br />
portarsi a casa il lavoro che magari non è riuscito a terminare... o che co munque<br />
gli è appena stato consegnato per poter consultare, che ne so, i di zio nari che ha<br />
a casa... Quindi una cosa positiva.Una persona che comunque si vuole impegnare<br />
nel... nel crescere.” (azienda 2, collega). “è una persona che si im pegna, che ti<br />
ascolta, fa vedere che vuole imparare” (azienda 7, caporeparto). “Non era una di<br />
quelle persone che, insomma, se... se ne fregava, per dire... È sempre stata una<br />
per sona molto... molto corretta per quello che ho potuto vedere io insom ma”<br />
(azienda 8, Dir R.U.).<br />
4.2.3. Bilancio dell’inserimento<br />
il contesto lavorativo<br />
a. Costi che incidono sulla produzione<br />
L’inserimento di un soggetto con deficit comporta alcuni costi che incidono<br />
sulla produzione: si può cioè prevedere che la resa complessiva di tale soggetto<br />
sia inferiore alla media. Tale resa è quantificabile in termini di produzione ridotta<br />
dovuta a capacità operative diminuite a causa della patologia e all’uso di farmaci<br />
(si veda paragrafo 3.2.2.a).<br />
Il recupero del lavoro non fatto viene affrontato in modo diverso dalle aziende a<br />
seconda dell’utilità percepita del lavoro assegnato al disabile. È possibile delineare le<br />
mansioni assegnate in base: 1) alla loro marginalità nel processo produttivo 2) al -<br />
la conseguente necessità di recuperare o meno nella medesima giornata la vo ra -<br />
ti va o in un secondo tempo il lavoro non fatto e 3) al soggetto incaricato di que -<br />
sto recupero.<br />
Un ulteriore elemento che va considerato nella determinazione dei costi è<br />
quello della discontinuità della prestazione, a cui si accompagna, conse guen te -<br />
men te una percezione di carico variabile: un aiuto nelle giornate positive, un<br />
pe so in quelle negative. “No, c’erano dei giorni che faceva qualcosa di meno,<br />
non che la faceva meno bene, non la faceva. La iniziava, poi incominciava a di -<br />
re che era troppo stanco, che qua, che là... Si sedeva... quello sì, qualche giorno<br />
c’è stato così, se no non faceva fatica a fare i lavori che faceva e... e quand’era<br />
nei giorni... no, nei giorni, insomma, in cui era meno in forma [...] in somma<br />
lui si isolava, nel senso... eh... si vedeva che non aveva voglia di... par lare, non<br />
a ve va voglia di... eh... praticamente... eh... non c’era bisogno che ci, che ci di -<br />
ces se che quello era un giorno no. Si vedeva, perché se non aveva vo glia di par -<br />
lare, non aveva... se magari gli dicevi una cosa, diceva ‘sì, adesso lo faccio’.<br />
129
130<br />
parte prima<br />
Così. Poi ti accorgevi che comunque, magari, non aveva voglia” (azienda 1,<br />
caporeparto).<br />
Tabella 4. Valutazione del costo in termini di carico per i colleghi<br />
AZIENDA MANSIONE IMPORTANZA DEL LAVORO<br />
ASSEGNATO<br />
1<br />
2<br />
2a<br />
3<br />
4<br />
5<br />
6<br />
7<br />
8<br />
9<br />
10<br />
11<br />
pulizie<br />
traduttore<br />
venditore<br />
operaio<br />
addetto carico - scarico<br />
addetto vendita - magazzino<br />
pulizie<br />
addetto magazzino<br />
impiegato<br />
receptionist<br />
autista<br />
verniciatore<br />
marginale<br />
marginale<br />
piuttosto rilevante<br />
piuttosto rilevante<br />
essenziale<br />
piuttosto rilevante<br />
marginale<br />
piuttosto rilevante<br />
n. r.<br />
piuttosto rilevante<br />
essenziale<br />
essenziale<br />
RECUPERO LAVORO<br />
NON FATTO<br />
CHI RECUPERA<br />
rinviabile<br />
disabile<br />
rinviabile<br />
disabile<br />
non rinviabile colleghi<br />
non rinviabile non recuperati<br />
non rinviabile colleghi<br />
non rinviabile rilevante colleghi<br />
rinviabile<br />
colleghi<br />
non rinviabile colleghi<br />
n. r.<br />
n. r.<br />
non rinviabile colleghi<br />
non rinviabile non recuperati<br />
non rinviabile n. r.<br />
Il peso è indubbiamente maggiore nei contesti più ristretti dove il ruolo<br />
ricoperto dal disabile non è marginale: “E... ed è molto lento. Cioè, tu lo vedi,<br />
ci sono dei momenti che è superveloce, lo vedi che proprio è quadrato, lavora...<br />
Dei momenti... Come se lei lo vede adesso è assente, trascurato anche a<br />
livello fisi co diciamo... ehm... capelli... Lo vedi proprio che arriva al mattino<br />
pro prio... fuori di testa. Lo vedi, dici: ‘Oggi C. non c’è’ per cui, per carità, è un<br />
aiu to, perché... giustamente ‘sti ragazzi che vogliamo fare? Li vogliamo... Eh.<br />
Però per noi ci sono in certi momenti che sono un po’, tra virgolette, un pe -<br />
so, perché anziché aiutarci ci danno del lavoro in più a noi, perché non è che<br />
gli dici: ‘Fai questo’, lui va avanti, oppure oramai dopo tanto tempo che è qua<br />
sa già cosa deve fare... no, no! Lo vedi proprio che... ‘C. devi andare a fare que -<br />
sto, questo e questo’. ‘Sì’. Dopo due minuti lui se l’è dimenticato... Al che glie -<br />
lo devi ricordare. Capisce lei che ci sono dei momenti che è un po’ pesante<br />
que sta cosa per quanto riguarda... il mio lavoro intendo dire” (azienda 5, capo -<br />
re parto); “Lo facciamo. Magari lo lasciamo... lo lasciamo magari stare al banco<br />
auto radio e noi finiamo di fare il suo lavoro comunque...o comunque ci or ga -<br />
niz ziamo tra di noi, ma lo facciamo. Alla fine dei conti bisogna farlo e lo fac -<br />
ciamo. Ci organizziamo tra di noi. Più io poi alla fine. Sì. Più... Se parliamo di<br />
ma gazzino sì, alla fine... Magari... Ma anche perché io personalmente magari<br />
cer co sempre di...di lasciarlo magari di comin...di fargli comunque prima di
il contesto lavorativo<br />
tutto far cominciare a lui fare una cosa, anche perché secondo me la au to -<br />
gestisce, impara anche a dare un po’ di fiducia in se stesso. Dopodiché quando<br />
poi... poi vedo che com... che non ce la fa allora magari gli vado a dare una ma -<br />
no o comunque gli rispiego come va fatto il lavoro e... però poi... quando poi<br />
ve do che magari non... non ha... Perché poi ripeto, ci sono proprio dei mo -<br />
menti che non ha voglia allora poi lo faccio io e bon. Solitamente ci compor -<br />
tiamo un po’... o io o comunque gli altri miei colleghi, tutti nella stessa manie -<br />
ra” (azienda 2a, collega).<br />
Un ulteriore costo che le aziende si trovano a sostenere è quello delle<br />
assenze, in parte limitato dalla determinazione di un orario che tenga conto<br />
delle esigenze del disabile. “Eh, quello che può succedere... No, il signor M.<br />
specifico non ha fatto moltis... Sì, ne fa. Sì, beh... tutti insieme... Eh sì, li fa<br />
perché poi c’è il giorno che gli viene il mal di testa... e sta a casa. E sono per -<br />
sone che si... Sono in cura, eh. È un costo che dobbiamo sostenere... punto.<br />
È inutile ‘è ammissibile, non è ammissibile’. Dobbiamo assumerlo per cui...<br />
lo assumiamo. È ammissibile per definizione.” (azienda 2, Direttore R.U.).<br />
L’assenza diventa pesante e significativa se si protrae a lungo nel tempo,<br />
soprattutto in quei contesti dove la mansione assegnata è essenziale: “un<br />
impatto economico della mutua, ma vuol dire avere un problema sull’or ganiz -<br />
zazione... perché se, come deve essere, inserisco la persona nell’or ganiz za zio -<br />
ne, quando mi manca sento la mancanza. E noi inseriamo le persone nel l’or -<br />
ga niz zazione, non le consideriamo un di più... quindi: 1) bisogna trovare la<br />
per sona giusta da inserire di modo che non sia un di più...perché i di più non<br />
ce li possiamo permettere.... Cioè, il caporeparto che riceve questa persona, sa<br />
che non ne avrà un’altra. Ha bisogno di avere qualcuno che lo supporti per<br />
ven ti ore e non è che avrà M. e Pinco Pallino: avrà M., prima cosa. Quindi so -<br />
no inseriti nell’organizzazione. Vengono a mancare, viene a mancare una fetta<br />
dell’organizzazione., quindi è questo forse la cosa sulla quale si fa un po’ più<br />
fa tica...a trovar delle soluzioni. Poi che sia più lungo l’inserimento, che sia più<br />
dif ficoltoso, che richieda una formazione, un seguito più approfondito da parte<br />
del caporeparto, sì ma...è assimilato” (azienda 4, Dir. R.U.).<br />
b. Costi gestionali ed emotivi<br />
In tutte le aziende il costo della gestione appare rilevante, gestione che ri -<br />
guar da sia aspetti più strettamente connessi al lavoro come l’addestramento del<br />
neo-inserito alle nuove mansioni, sia la fatica emotiva del comprendere quali<br />
comportamenti adottare e cosa attendersi dall’altro.<br />
Indubbiamente, soprattutto nel primo periodo, si evidenzia la necessità di<br />
un monitoraggio costante, a carico di colleghi e responsabile, ma come si è già<br />
evidenziato (paragrafo 4.2.2.a), il problema dell’acquisizione dell’autonomia<br />
ri mane costante anche dopo: “Pregi sinceramente... no... perché alla fine un<br />
pez zettino del mio lavoro... Io purtroppo faccio i tre turni... quindi lo incontro<br />
una volta ogni tre turni. Quando faccio questo turno, il primo turno, un pez -<br />
131
132<br />
parte prima<br />
zet tino del mio lavoro lo devo dedicare per forza. Purtroppo... Minime perché<br />
poi... ovviamente c’è l’operatore, ovviamente anche lui si dà un po’ da fare da<br />
solo... però devo sempre dedicarle un po’ più tempo a lui... rispetto che a altre<br />
per sone e, intanto, devo lavorare...” (azienda 3, caporeparto).<br />
Si tratta di un costo che non tutte le aziende sembrano aver messo in conto,<br />
prima dell’assunzione: “L’aspetto negativo della cosa è che forse c’è una certa,<br />
co sì, adattabilità da parte sua e una certa così, di adattarsi e di voler solo fare<br />
quel lo e basta, no?, .Probabilmente è uno che si accontenta. Ecco. Siccome il<br />
nostro lavoro, però, lo ritengo sempre un lavoro molto stimolante, molto ricco<br />
di attività, perché non è un... non ha molta quotidianità: ciò che magari c’è in<br />
fabbrica, dove colloqui con... una... una macchina tutto il giorno, da noi le<br />
attività sono molte in un supermercato. Però necessita di molto spirito di<br />
iniziativa... di adattamento. E lui, forse ecco, questo gli manca. Lui... quello<br />
che gli si è richiesto di fare lo fa con sufficienza, però... ecco, forse ha bisogno<br />
sempre di imbeccate” (azienda 5, Dir. R.U.).<br />
Un ulteriore elemento da considerare riguarda il carico emotivo della rela -<br />
zione. A più riprese i colleghi e i responsabili intervistati affermano che la dif -<br />
ficoltà relazionale maggiore riguarda il non sapere come è giusto comportarsi,<br />
la paura di adottare un comportamento improprio, data la sensibilità mag -<br />
giore, la fragilità di queste persone: “Sì, è... è un’esperienza... un’esperienza<br />
che... che ogni tanto ti pone di fronte a dei momenti... ehm... di dubbio, perché<br />
quan do... quando ha i suoi momenti di crisi, sai di aver di fronte a te una per -<br />
so na che non può essere gestita in maniera comune... e quindi lì si hanno... al -<br />
me no personalmente ho avuto dei momenti di difficoltà. Cioè, devi ve ra mente<br />
la sciarlo parlare... cercare di capire quali possono essere le chiavi d’accesso in<br />
quel momento e dopodiché far leva su queste chiavi. E alle volte è semplice,<br />
al le volte è un po’ più difficile, alle volte quello che andava bene prima ti ac -<br />
corgi che in quel momento invece è sbagliato allora devi giocare un po’ a poker<br />
diciamo, mescolare un po’ le carte e vedere un attimino come... come reagisce.<br />
Però ripeto, abbiamo la fortuna che tutto sommato non ha... sono episodi<br />
che si contano sulla punta delle dita” (azienda 2a, Dir. R.U).<br />
È stato possibile raccogliere racconti di grande sensibilità e desiderio di<br />
aiuto. In un caso, il direttore del personale dell’azienda 3 si preoccupa del disa -<br />
bile che vuole ad ogni costo rassegnare le dimissioni, convoca un familiare,<br />
par la coi colleghi e col responsabile per cercare di capire cosa è accaduto per<br />
poi sco prire che questi temeva gli venisse rubata la bicicletta , unico suo mezzo<br />
di tra sporto, con cui si reca al lavoro. La pazienza e la costanza hanno<br />
consentito di tro vare una soluzione semplice ad un problema futile, ma<br />
risolvibile solo in modo drastico secondo la persona disabile. Un secondo<br />
episodio è quello di una responsabile di reparto che racconta così la sua<br />
esperienza: “Mi ricordo le pri me volte lui arrivava, magari c’era qualcosa con...<br />
con la venditrice...Un giorno è uscito sul piazzale, c’erano quaranta gradi, è<br />
uscito sul piaz zale... vo le va andare a casa perché... perché era stato offeso, si era
il contesto lavorativo<br />
sentito offeso. E per... pur di non farlo andare via così arrabbiato, insomma,<br />
salire in macchina, ar ri vare fino a Borgaro, pur di non farlo andare via l’ho<br />
inseguito fino sul piazzale, l’ho tenuto lì a parlare fino all’una del pomeriggio...<br />
l’una e mezza del po me riggio ed era... no, non era... eravamo in chiusura, non<br />
è che fosse... Il pro blema era il sole: sono tornata dentro che ero abbronzata.<br />
[Ride] E niente. Si era sentito... si era sentito offeso, però<br />
giustamente se... lui era entrato qui co me un ragazzo... : ‘Ragazzi, guardate che<br />
questa persona ha dei problemi.’. Punto. Però non ci era stata<br />
spiegata... l’entità del problema. Non ci era sta to spiegato che bisognava<br />
prenderlo in una determinata maniera.” (azienda 2a, ca poreparto).<br />
. Il caso dell’inserimento fallito<br />
L’analisi delle interviste ha consentito di rilevare che i costi potenzialmente<br />
più elevati sono a carico di colleghi e responsabili diretti in quanto hanno a che<br />
fare con la capacità relazionale, di gestione del carico emotivo, le capacità di<br />
coping di coloro che, giornalmente, si trovano a lavorare a stretto contatto con<br />
le persone disabili. Questa variabile sembra essere cruciale per la buona riu -<br />
scita dell’inserimento, insieme alla consapevolezza e all’accettazione da parte<br />
del la direzione dei costi che incidono direttamente sulla produzione. In par -<br />
ticolare risulta illuminante il caso dell’azienda 9 in cui l’inserimento di una di -<br />
sa bile psichica in reception si è tradotto in una escalation di reciproci frain ten -<br />
di menti, malessere e culminata nella crisi e ricovero della persona inserita e<br />
nel la successiva mancata conferma (si veda il focus pazienti donne). L’analisi<br />
del le interviste al direttore dell’azienda a quello del personale e al re sponsabile<br />
di retto mettono in luce che la persona inserita mostrava difficoltà di adat -<br />
tamento, paure, un senso di “spaesamento” del tutto simile a quello di al tre<br />
persone abili neo-inserite (e noto nella letteratura relativa alla so cia liz za zio ne<br />
in ingresso). Si registra una difficoltà dei servizi a supportare il pro cesso, ma<br />
soprattutto una seria difficoltà dell’azienda a governare un inse rimento com -<br />
plesso. Tale difficoltà può essere letta su due piani: quello del le politiche a -<br />
ziendali e quello delle capacità relazionali dei colleghi.<br />
Per ciò che concerne le politiche aziendali, gli stessi responsabili affermano:<br />
“Noi non siamo tenuti a, a fare...eh... come si può dire...un’opera, un’opera<br />
assistenziale, se non nella misura in cui, sicuramente siamo aperti a persone<br />
che possono essere disabili per, per tanti aspetti, quindi abbiamo delle persone<br />
disabili qui, con cui lavoriamo senza problemi. E però appunto la disabilità va<br />
va lutata a priori da chi conosce questa disabilità e quindi é in grado di giudicare<br />
se quello che un’azienda offre come posto di lavoro é consono, può essere utile<br />
o può essere invece dannoso. Non si può pretendere che sia l’azienda a, a<br />
sobbarcarsi questo tipo di responsabilità. Non é possibile!” (azienda 9, Dir.<br />
R.U.). Questo atteggiamento sembra aver influenzato anche le attese nei con -<br />
fron ti della resa e delle possibili carenze comportamentali rispetto alla “nor -<br />
ma” che un disabile psichico può manifestare. Va comunque presa in consi de -<br />
133
134<br />
ra zione la possibilità che, nello specifico, la persona inserita non fosse effet tiva -<br />
mente ancora pronta ad un inserimento che le richiedeva un contatto col pub -<br />
blico e una certa autonomia come quelli previsti dalla mansione di rceptionist.<br />
Per ciò che concerne le capacità relazionali e di coping dei colleghi, due<br />
elementi sembrano aver giocato un ruolo rilevante: da un lato l’emergere di<br />
segnali evidenti di disagio, che hanno spaventato e reso complesso il rapporto,<br />
“Io mi ricordo, non dimenticherò facilmente un... Un giorno si é messa una<br />
fascia intorno al polso e poi con il pennarello rosso se l’é colorato, per far<br />
vedere che perdeva del sangue e quindi é stata una cosa un po’ forte” (azienda<br />
9, collega); dall’altro la fatica connessa alla gestione dell’addestramento: “di<br />
difficoltà ce ne sono state parecchie, perché come, come ho detto prima, non<br />
riusciva a capire... non riuscivamo a spiegargli il tipo di lavoro, bisognava star -<br />
gli sempre dietro, quindi... una sorta di tra virgolette baby sitter facevamo. E<br />
quindi le difficoltà sono state parecchie, anche nel capirsi, non ci si capiva.<br />
E quindi secondo me non é stata molto positiva come esperienza [...]Con<br />
tanta... cercavamo proprio di avere tanta pazienza. Tutte... anche la mia<br />
collega, io, proprio... inizial... poi cercavamo anche di provare, magari dicendo<br />
le cose in un determinato modo piuttosto che cercando di lasciar perdere, di<br />
saltare... eh... il problema, cercare di evitare, però era difficile... ”(azienda 9,<br />
collega). Indubbiamente entrambi gli aspetti necessitavano un monitoraggio e<br />
un’attenzione sia da parte dei servizi, in termini di costruzione di una fiducia<br />
reciproca che consentisse di vedere nei servizi un punto di riferimento a cui<br />
rivolgersi per capire insieme che cosa stava accadendo e trovare delle soluzioni<br />
efficaci per ridurre il senso di minaccia, la fatica, la paura che tali comportamen<br />
ti possono aver generato. Sembra comunque rilevante anche il peso attribuito<br />
a comportamenti giudicati poco consoni ad una persona nuova che intende<br />
farsi riconfermare: inaffidabilità, mancato rispetto degli orari, mancanza<br />
di impegno. Il clima e la capacità di reggere il carico emotivo e lavorativo di<br />
una persona la cui resa può essere ridotta sembrano essere elementi determinanti<br />
per un buon inserimento.<br />
c. Strategie di fronteggiamento<br />
Le strategie di fronteggiamento messe in pratica dalle organizzazioni per<br />
ridurre il costo dell’inserimento di un disabile psichico o far sì che non si tratti<br />
di un costo insostenibile, riguardano tre piani:<br />
1. le politiche aziendali;<br />
2. le strategie operative;<br />
3. le strategie di coping.<br />
parte prima<br />
1. Per ciò che concerne le politiche aziendali in relazione all’assunzione di<br />
disabili psichici abbiamo già sottolineato come il motivo principale addotto<br />
per l’assunzione sia quello del rispetto dell’obbligo di legge. La differenza più
il contesto lavorativo<br />
si gnificativa che sembra fare da discrimine sembra essere quella dell’as -<br />
segnazione al neo-assunto di compiti marginali o di rilievo, con la con seguen -<br />
te diversa portata in termini di costi del mancato raggiungimento di un ade -<br />
guato standard di produzione o di efficacia. Questa scelta rappresenta un aprio<br />
ri su cui, come si è visto, le aziende si regolano in modo differente: o ridi -<br />
stri buendo i compiti all’interno del gruppo di lavoro, (Cfr. par 3.2.3.c) o con -<br />
si derando come tollerabile una minore produzione (ad esempio l’azienda 3),<br />
ac cettando che alla persona vengano affidati compiti in meno o di minore<br />
com plessità o un orario ridotto (in quasi tutte le aziende gli assunti fanno ora -<br />
rio part-time).<br />
2. In taluni casi però, prima di ridimensionare la mansione, le aziende adot -<br />
tano alcune strategie operative. Tali strategie vengono pensate dai colla bo -<br />
ratori del disabile per verificare in che modo si possa sopperire alla ridotta<br />
capacità mnestica (o alle conseguenze della patologia). Ne sono esempi: “<br />
‘Vai...vai in officina e chiedi se c’è da pulire qualcosa... se c’è da fare qualcosa’.<br />
Noi gli avevamo fatto uno schemino che gli avevamo dato un foglio anche<br />
a lui e... e lui guardava il giorno della settimana cosa c’era da fare. Poi control -<br />
la vamo perché a volte... cioè, non lo faceva” (azienda 1, caporeparto); “Nel<br />
momen to in cui c’è stata la riunione e a tutti i responsabili è stato detto:<br />
‘Ragazzi, se M. sta facendo un lavoro prima di chiedergliene un altro chiedete<br />
se ha finito il precedente, perché lo mettete in difficoltà’. E’... è sensibilissimo.<br />
È indifeso tante volte. Perché? Perché per lui fare una gentilezza viene<br />
prima di qualsiasi altra cosa, quindi dire: ‘No, sto facendo un altro lavoro’, per<br />
lui è una montagna insormontabile, quindi piuttosto: ‘Sì, ti mando il fax’, e<br />
mentre mandava il fax si scordava del carrello... che magari aveva lasciato in<br />
vendita” (azienda 2°, caporeparto); “Ho visto che ha difficoltà nel contare...<br />
Nel contare... Noi purtroppo facciamo molti pezzi: nelle macchine dove<br />
lavoro io facciamo veramente molti pezzi. Difficoltà a tenere i suoi conti. Pur -<br />
troppo noi cosa facciamo? All’inizio turno gli mettiamo un cassone vuoto, una<br />
rastrelliera vuota, almeno quando ha finito... gliele contiamo noi perché lui se<br />
no...[...] Allora, all’inizio abbiamo cercato un sistema... per far sì che contasse<br />
come si deve e effettivamente lui si è impegnato con questo sistema, abbiam<br />
visto, gli abbiam fatto delle caselline... che lui metteva la croce, ogni piano che<br />
faceva... Però a un certo punto si perde, non... [sorride]... non capisce più nulla<br />
[...] poi alla fine gliel’abbiamo esposto anche a lui... lui ci ha risposto: ‘Non so<br />
cosa farci. Cioè, io ci provo,... non ce la faccio... arrivo a un certo punto... ma -<br />
gari all’inizio parto bene, poi arrivo a un certo punto e non capisco più niente’.<br />
Allora abbiamo fatto questa... questa piccola tabellina, questa cosa... sem pre<br />
artigianalmente... fatta con due righe a penna... niente di strano. E ini zial -<br />
mente lui era contento perché ha detto: ‘Magari... magari riesco’. E in ve ce non<br />
ce l’ha fatta lo stesso. Preferiamo magari contarli noi alla fine facciamo prima,<br />
così anche lui ora magari è un pochino più tranquillo” (azienda 3, capo re -<br />
parto). Nell’ottica del miglioramento della soddisfazione del disabile per il la -<br />
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parte prima<br />
vo ro che fa è stato possibile registrare un’attenzione alle richieste in merito<br />
allo svolgimento di lavori noiosi o meno graditi (azienda 3 e 7).<br />
3. Le strategie di coping messe in atto dai colleghi riguardano invece l’aver<br />
riconsiderato le proprie aspettative: “È arrivato come un... come un... un ven -<br />
di tore qualsiasi, è stato iniziato al... al lavoro come un venditore qualsiasi e al -<br />
l’i nizio abbiamo preteso da lui come se fosse stato un venditore qualsiasi.<br />
Glielo dicevo prima... conoscendolo abbiamo ridotto tutto: pretese, modi di<br />
fa re... insomma... Abbiamo... diciamo che gli abbiamo cucito addosso un... una<br />
nuo va figura di venditore. Quindi quello di cui lui aveva necessità noi cer chia -<br />
mo... cercavamo e cerchiamo di fornire. Nel limite del... delle nostre forze alla<br />
fine, perché poi se non chiede lui aiuto... Tante volte noi non... siamo talmente<br />
presi dalla giornata che non ce ne accorgiamo... e quindi è così... da un<br />
venditore normale, tra virgolette normale, si pretende cento. Da lui se magari<br />
è più stanco, se prende le medicine, non si può... pretendere sicuramente cen -<br />
to. E quindi lo si tratta con delicatezza. Si usano i suoi ritmi” (azienda 2a, capo -<br />
re parto).<br />
In qualche caso i colleghi sembrano aver sviluppato una sensibilità e una<br />
capacità di attenzione superiore alla media, per i segnali di disagio e di dif -<br />
ficoltà: “E ci son dei clienti che ogni tanto si fermano lì, ogni tanto magari lui<br />
si inceppa con le parole, magari c’è qualche difficoltà... M. è piccolino, non so<br />
se l’ha visto. M. è piccolino e allora quando... io mi accorgo che... che c’è qual -<br />
co sa che non va... Quando mi accorgo che c’è qualcosa che non va lui magari<br />
arrossisce, si sente un po’ in imbarazzo, arrivo io proprio da dietro le spalle,<br />
faccio... con aria proprio cattiva dico: “Dica pure a me.” Perché a quel punto...<br />
Poi nel momento in cui M. non c’è...mazzate al cliente. [Ride]. Insomma no,<br />
viene...viene spiegata un po’ la situazione” (azienda 2°, collega).<br />
d. Benefici che incidono sulla produzione<br />
Per ciò che concerne i benefici pratici, essi risultano percepiti mag gior -<br />
mente da quelle organizzazioni che hanno assunto un disabile, collo candolo in<br />
posi zione marginale. È qui infatti che egli, anche se svolge un lavo ro di minor<br />
con to, può portare un contributo, benché marginale alla produ zione. È il caso<br />
dell’azienda 2 in cui il direttore del personale afferma: “ci siamo inventati un<br />
lavoro per assumere la persona che dovevamo assumere. Nessuna diffi col tà...<br />
nel senso che... che l’abbiamo assunto, ... l’abbiam messo al suo posto di lavoro<br />
col suo computer, il suo tavolo... il suo lavoro lo fa coscienziosamente [...] È il<br />
no stro costo. Perché fa delle cose che potremmo vivere bene senza averle, se<br />
le abbiamo di più siamo contenti di averle, ma se non le abbiamo non mo ria -<br />
mo”. Dell’utilità del compito il collega afferma invece: “Sì, diciamo che per noi<br />
è dimi nuita questa parte di...di traduttori, di semplici traduttori...riuscendo ap -<br />
pun to a lavorare un po’ di più, a applicarci sul nostro...nostro lavoro nor ma le.<br />
La... la... sicuramente il discorso delle traduzioni. Per noi... effet tiva men te è<br />
un lavoro pesante. Pesante perché... è continuativo, sistematico, ogni vol ta che
il contesto lavorativo<br />
la casa madre invia della documentazione noi dobbiamo inviarla ai nostri punti<br />
vendita già tradotta, quindi già... oltre che tradotta va adattata diciamo al...<br />
all’am biente in cui viviamo... e quindi già il lavoro di traduzione per noi vuole<br />
già dire molto. Un grandissimo aiuto”.<br />
Vale la pena richiamare il tema della continuità della prestazione (si veda il<br />
para grafo 3.2.1.a) e del contributo che la persona può dare nel momento in cui<br />
il contesto familiare e sociale e l’uso dei farmaci regolare consentano alla per -<br />
sona di stare bene e dunque di essere efficace al lavoro: “E niente, poi per il re -<br />
sto... Io secondo me, lui sta male quando non è seguito ai livelli di... medicine,<br />
per ché lui è convinto di stare bene, allora detto dalla mamma... gli deve dare<br />
le medicine sotto forma di “mal di stomaco”...<br />
Non certo dicendogli il problema... La madre mi diceva che se lei non c’è,<br />
lui le medicine... non le prende. Sicuramente a livello di famiglia, secondo me<br />
non è seguito per niente... ” (azienda 5, caporeparto).<br />
Da non sottovalutare anche l’importanza attribuita a doti specifiche acuite<br />
pro prio dalla malattia che, se opportunamente incanalate, possono offrire buo ni<br />
ri sultati: “Mah, l’aspetto positivo è quello di... di vederlo che... Ripeto, di ve de -<br />
re un ragazzo che svolge il suo lavoro senza...senza difficoltà. Gli aspetti po si tivi<br />
son quelli che... Mah, ci sono anche dei clienti che ricercano proprio la sua per -<br />
sona, eh, quando entrano in negozio... appunto per questa sensibilità che tende<br />
a e sternare in maniera importante. Questa sua disponibilità col cli en te. Questo...<br />
Questo sicuramente è un aspetto positivo” (azienda 2a, Dir. R.U.).<br />
“Si, si ,si... molto attento... cioè molto responsabile... mentre di solito c’è<br />
una ca duta di responsabilità man mano che si acquisisce l’esperienza..poi ma -<br />
gari mi ritrovo a far fare lo stesso lavoro diviso con un’altra persona e vedo che<br />
lui lo fa meglio... lui forse si sente più il carico di responsabilità, rispetto alle<br />
al tre per sone che... un lavoro semplice lo giudicano troppo semplice e lo fanno<br />
ma le... lui bene o male ci mette impegno in quello che fa... ” (azienda 7, ca po -<br />
re parto).<br />
e. Benefici emotivi/relazionali<br />
I benefici più rilevanti che è stato possibile rilevare riguardano la nascita di<br />
amicizie o di relazioni significative all’interno del contesto lavorativo e la cre sci ta<br />
dell’autostima.<br />
I rap porti all’interno dei contesti in cui l’inserimento è andato a buon fine,<br />
sem brano essere cordiali e di reciproca considerazione. Mancano occasioni di<br />
con vivialità legati al consumo dei pasti, a causa dell’orario part-time. Ci sono<br />
ca si di condivisioni di spazi di informalità al di là del contesto di lavoro (la par -<br />
tita di calcetto, azienda 7) o di rifiuto da parte del disabile inserito, di tale con -<br />
di visione, per timidezza o per la difficoltà ad affrontare contesti di so cia liz za -<br />
zio ne nuovi: “L’unica difficoltà che ho avuto con Tommaso è quella di portarlo<br />
fuo ri la sera, nel senso, noi ogni tanto organizziamo magari... una cena così, u -<br />
na pizza o che... Lui è difficile farlo uscire... I ragazzi lo... hanno provato: ‘Dai<br />
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parte prima<br />
vie ni! Ti vengo a prendere a casa. Ti riporto’... Molto tentato, poi all’ultimo<br />
ha sempre telefonato... È successo due o tre volte. All’ultimo ha sempre tele -<br />
fonato dicendo: ‘No, non vengo’... Io ho notato, secondo me, si trova molto a<br />
suo agio qua dentro... cioè, ormai si trova... e secondo me forse un po’ la paura<br />
dell’impatto fuori” (azienda 6, Dir. R.U.). Si registrano parole di affetto e di<br />
ap prezzamento per le buone qualità e anche qualche caso di sanzione pre -<br />
ventiva dei capi dell’utilizzo di nomignoli, della presa in giro da parte dei col -<br />
leghi: “e allora subito la gente che inizia a fare nomignoli e allora lì subentro<br />
io... e cerco di chiarire un po’ le cose, anche verso le persone che sono qui da<br />
mol to tempo [...] Magari la persona non fa una battuta a una persona in questo<br />
ca so... perché magari si rende conto che effettivamente ha dei problemi... ”<br />
(azienda 3, collega con funzioni di capoturno).<br />
Per ciò che concerne i rapporti con i capi diretti, va rilevato un buon clima<br />
generale. In molti casi si evidenzia la necessità di riprendere la persona se non si<br />
comporta adeguatamente, di stimolarla, ma sempre mantenendo un occhio di<br />
riguardo nel modo di comunicare i rimproveri. Spesso nei contesti aziendali di<br />
piccole dimensioni anche i colleghi assolvono questa funzione: “Cioè quando<br />
sbaglia, poi magari gli dico: ‘A. se tu ci pensavi non la facevi sta cosa’, però non<br />
cam bia niente, cioè io, ripeto, lo tratto come una persona... poi magari ci ri man -<br />
go male...però se io gli devo urlare: ‘ma non si fa così però, vedi come sei?’ poi<br />
mi passa... le risate e via... perché secondo me... eh ci rimane un po’ male... infatti<br />
dice: ‘Tu come sei brava... però quando sgridi... ’ però, questione di 5 - 10 mi -<br />
nu ti, poi passa tutto, poi uno non ci pensa più” (azienda 7, collega).<br />
L’arrivo del disabile sembra avere un beneficio sul clima e sulla<br />
consapevolezza di quanto rapporti di maggiore tolleranza, rispetto, un<br />
attenzione maggiore verso l’altro in quanto persona sarebbero auspicabili con<br />
chiun que: “... anzi per noi è stata una cosa positiva il fatto appunto che... che è<br />
ar rivato questo... questa persona e... anzi, diciamo che positiva nel senso che ci<br />
ha aiutati tante volte a rilassarci... così, in seguito al nostro... al nostro lavoro...<br />
che ci causa tante tensioni. E avere a che fare con lui ci aiuta a contenere que -<br />
sto nervosismo... che si viene a creare, perché è una persona molto... molto<br />
dol ce e quindi va trattata con serenità. Perché facciamo un lavoro... Per questo<br />
suo modo di fare così... sì, questo suo modo di fare... questa sua quasi paura di<br />
affron tare gli altri... Sempre questo sguardo un po’ così, da cerbiatto impaurito<br />
quasi e quindi ispira molta te ne rezza. Non c... non puoi approcciarti a lui con<br />
ag gressività... quindi non... Ma non perché vogliamo approcciarci a lui con po -<br />
si tività, ma perché è im pos sibile [Ride] [n.c.] gli stessi atteggiamenti, lo stesso<br />
sguar do, è im pos sibile... approcciarsi a lui con aggressività quindi... ci ispira se -<br />
re nità ecco. Con lui... il fat to che comunque ci è di molto aiuto per questo suo<br />
la voro di... di traduttore e... Poi è una persona... una persona buona. E quindi...<br />
di ciamo che il suo arrivo qui è stato positivo” (azienda 2, caporeparto).<br />
Per ciò che concerne l’aumento dell’autostima dei colleghi, si hanno situa -<br />
zio ni in cui la persona disabile riconosce al collega lo sforzo che fa nel l’oc cu -
il contesto lavorativo<br />
par si di lui, anche al di là degli obblighi che il contesto di lavoro implica: “Era<br />
sparito... invece poi insomma, alla fine era andato...era andato ad Assisi, [...] E poi<br />
comunque quando è tornato di sua spontanea volontà, senza che nessuno gli<br />
dicesse niente, probabilmente sapendo che il padre era venuto anche in uf ficio,<br />
insomma, si è messo lì, ha raccontato cosa era successo e quindi insomma, son<br />
cose che tutto sommato fanno piacere... perché vuol dire che ren de partecipe. Per<br />
quanto magari ci sia un rapporto, diciamo, non stretto, non di confidenza, non di<br />
amicizia... però insomma... quanto meno come se uno si rendesse conto, no? Fa<br />
piacere per quello che c’è dietro insomma. Perché è un po’ come se uno fosse<br />
consapevo... diventasse consapevole di quello che... che fa e non più fare le cose<br />
così, giusto per farle”. (azienda 8, collega).<br />
L’incontro col disabile può tradursi in una vera e propria crescita personale:<br />
“Però poi col passare degli anni poi...tu cerchi di dare forza a lui e lui in un<br />
certo qual modo ti restituisce quello che tu gli hai dato, senza magari neanche<br />
accorgersene, perché comunque magari a me già solo vederlo tranquillo,<br />
rilassato, che mi parla anche di donne - mi va bene lo stesso -...e...cioè, mi fa<br />
felice. Mi fa felice perché mi rendo conto che comunque sta ritornando di<br />
nuovo una persona tranquilla. Cioè, anche se non è che siamo amici per la<br />
pelle o fratelli o cose del genere, però almeno è una persona che sta bene e che<br />
non deve penare per andare avanti Positiva la...tutta la...tutta la cosa è positiva,<br />
perché a me aiuta a crescere...certe cose non è che si vedono tutti i giorni: c’è<br />
chi non le conosce proprio queste cose, quindi...”(azienda 8, collega)<br />
Questi comportamenti prosociali hanno in molti degli intervistati una base<br />
valoriale profonda, una sorta di volontariato aziendale: “Certo,certo e... quello<br />
che mi, mi... dico in generale sempre, nel, nel, nella vita, cioè, uno non deve<br />
prendere quel... comunque l’aiuto a una persona come un’ora di volontariato,<br />
perché... il volontariato, che so, si può fare... andare a fare protezione civile<br />
quando uno deve... dirigere il traffico, cioè quando si ha a che fare con delle<br />
persone non deve essere volontariato, ma deve essere una cosa... cioè, una cosa<br />
che uno deve sentire uno col cuore, nel senso che deve trattare chi ha di fronte,<br />
non come, che so, quello che ha il problema e quindi... , m , dico, quasi alla,<br />
non quasi alla pari, cioè alla pari, nel senso, magari, quando uno parla con un<br />
bambino si rivolge al bambino, con insom con dei termini elementari. Quando<br />
parla con una persona che magari ha qualche problema, cerca di farglielo<br />
capire. Ma senza dire mai: ‘ah no, tanto tu non capi... non puoi capire’. Come<br />
non lo si dice al bambino, non lo si deve dire... eh... ci vanno, insomma, le pa -<br />
role giuste per farglielo capire, non sempre uno le trova, perché... però, in som -<br />
ma, l’idea è quella”. (azienda 1, caporeparto); “cerchiamo di farne un... anche<br />
una... non pensare solo a... ma a volte dedicare anche ste cose al prossimo di -<br />
cia mo. Che poi ti viene anche utile tra parentesi, hai capito? Ti dà energie a te<br />
so prat tutto. Questo è l’utile delle cose uno sforzo così, però mi...mi dà energie<br />
nello stesso tempo...per la mia personalità, facendo questo, non è uno sfor zo...<br />
è uno sforzo, okay... però è uno sforzo che poi mi...mi... mi ritorna perché mi<br />
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dà carica, diciamo. Non so, è una...una questione così: quando metti la spina si<br />
carica la batteria, a me sta cosa qui mi carica come se fosse una batteria, cioè<br />
mi... mi dà forza e mi dà anche soddisfazioni” (azienda 4, caporeparto).<br />
Un caso particolarmente degno di nota è quello dell’azienda 11, in cui il<br />
titolare, assume scientemente e preferibilmente lavoratori disabili, soprattutto<br />
intellettivi o psichici (mostrando spesso di non ricordane e di non ritenere<br />
rilevante la differenza) perché li giudica privi di sovrastrutture compor tamen -<br />
tali, di “malizie”: la loro resa inferiore o i loro problemi sono palesi, li espli ci -<br />
tano con sincerità, non cercando mai di tirarsi indietro o di far finta di la vo ra -<br />
re, al contrario di quanto fanno, a suo parere, i lavoratori “abili”. Il costo do -<br />
vuto al fatto di non poter fare affidamento sui lavoratori diversamente-abili nei<br />
periodi di picco o di dover porre più attenzione nel seguirli, è a suo parere, am -<br />
pia mente compensato dalla franchezza e dalla genuinità del rapporto in ter per -<br />
so nale: “io ci lavoro... mi capita di lavorare spesso a fianco a fianco con loro...<br />
che ne so, caricare la catena, quando magari la mattina manca qualcuno...<br />
carico la catena io con lui. Preferisco caricarla con lui che con uno normale,<br />
perché lui fa anche un pezzo del mio lavoro. Che lui lo fa, ma é normale farlo.<br />
Ci son quelli un po’ lavativi, normali che... invece no, dicono: ‘e che cacchio,<br />
facciamo metà per uno al lavoro, perché devo farne un po’ di più io?’. Di solito<br />
quando si lavora in due non stai a guardare quello comunque che fa l’altro, si fa<br />
insieme. Se io faccio qualcosa in più, quello che fai tu... Quindi... con loro mi<br />
trovo benissimo a lavorare, benissimo, nessun problema [...] Il rapporto che c’é,<br />
co munque... adesso, va bé, é un discorso un po’... un po’ così, nel senso che le<br />
per sone, cioé... , il rapporto che c’é con le persone e con i... con gli altri di pen -<br />
denti... c’é proprio un rapporto dipendente - datore di lavoro. Il dipen den te, se<br />
può, non fa niente, se... parlo, parlo dei miei, eh. Comunque il dipen dente, se<br />
può approfittarsene, se ne approfitta. Cioè, c’é questa... come dire... com ponente<br />
di... di falsità. Invece loro... son sinceri, sono onesti, son così co me li vedi. Sono<br />
co me... come dev’essere un rapporto di lavoro, nel senso che io non sfrutto loro<br />
e loro non, non fregano me. C’é un rapporto alla pari, loro fan no il loro lavoro,<br />
io non ne approfitto e...va avanti così. Èun rapporto molto più... più trasparente,<br />
no? A differenza del rapporto con gli altri. Questo è... è im portante, perché... al -<br />
me no, a me... a me gratifica molto... vedere poi anche loro che... si inseriscono,<br />
che... c’é C. che quando é arrivato non spiaccicava una parola. Adesso mi manda<br />
a quel paese, però... [ridiamo] ma poi son con ten to lo stesso perché... ho visto che<br />
in lui é cambiato proprio il modo di com por tarsi”.<br />
4.2.4. Indicatori di occupabilità<br />
parte prima<br />
In merito ai possibili indicatori di occupabilità, emerge in modo ricorrente<br />
un’indicazione di impossibilità alla generalizzazione, quasi nessuno, benché in -<br />
cal zato dall’intervistatore si è sentito di ampliare il proprio giudizio in me rito<br />
ai lavori opportuni/inopportuni o alle caratteristiche tipiche del lavoratore di -
il contesto lavorativo<br />
sa bile psichico, all’intera categoria dei malati psichici. Altrettanto difficile è<br />
apparso poter ampliare la gamma dei lavori possibili al di là delle specificità del<br />
contesto in cui i soggetti avevano esperienza. In particolare il direttore<br />
dell’azienda 5 afferma che è troppo poco tempo che queste esperienze sono in<br />
corso per poter formulare affermazioni generalizzabili. Secondo il direttore<br />
dell’azienda 3 la possibilità di fallimento negli inserimenti si è ampiamente<br />
ridotta grazie all’introduzione della legge 68, in quanto l’obbligo di assunzione<br />
si è trasformato in una forma di interscambio fra ente pubblico e azienda<br />
privata, diventando interesse di entrambi che i costi di questo inserimento non<br />
superino i benefici, un attenzione per le peculiarità e le esigenze effettive<br />
dell’azienda che non potrà che dare buoni frutti.<br />
Le opinioni in merito all’occupabilità sono dunque variegate ed estre ma -<br />
men te soggettive, è possibile darne una rassegna, sottolineando che molte di<br />
es se sono in stretta relazione con il giudizio formulato in merito alle capacità<br />
la vorative e riguardano in primo luogo il tipo di patologia: la gravità<br />
(percepita) sembra essere giudicato un fattore estremamente discriminante; in<br />
se condo luogo le caratteristiche specifiche della mansione e le relative at ti tu -<br />
di ni della singola persona allo svolgimento della stessa; tutti ritengono di dover<br />
ri durre al minimo la probabilità di maneggiare strumenti potenzialmente peri -<br />
co losi, mentre opinioni contrastanti sono rilevabili in merito all’opportunità di<br />
far svolgere lavori di contatto con il pubblico. Su quest’ultima posizione sem -<br />
bra incidere un giudizio sia sulle caratteristiche di personalità (timi dez za/e -<br />
stro versione) o la variabilità dell’umore, sia su cosa sia meglio per la persona<br />
in serita piuttosto che per l’azienda stessa (azienda 5, collega). Dal punto di<br />
vista delle variabili organizzative quelle prese in con si derazione riguardano il<br />
ca rico di lavoro, la dimensione dell’azienda (il di ret to re dell’azienda 5 sot to -<br />
linea che la dimensione familiare del suo contesto può a ver inciso come fattore<br />
pro tettivo), il clima del gruppo di lavoro, la com po si zio ne dello staff. Su que -<br />
st’ul timo punto il direttore dell’azienda 9, in cui l’in se rimento è risultato fal li -<br />
mentare, sottolinea il fatto che un fattore in fluen zante sembra essere stata la<br />
dif ferenza di età delle colleghe - molto più giovani - a cui era demandato il<br />
com pi to di insegnare ad una nuova collega più anziana. Un ultimo aspetto po -<br />
sto in luce dall’azienda 10 che si occupa di tra sporto pub blico, è quello dei vin -<br />
coli legislativi di sicurezza: la natura del la voro da svo lgere va differenziata non<br />
solo in termini di peculiarità della man sio ne, ma an che di responsabilità civile<br />
e penale nei confronti dei clienti, la cui tutela va sem pre garantita.<br />
4.2.5. Episodi di manifestazione eclatante della malattia - fattispecie b) -<br />
Gli episodi di insorgenza di crisi le cui conseguenze sono risultate più ecla -<br />
tanti riguardano le due aziende appartenenti alla fattispecie b), la 10 e la 8.<br />
Non si tratta però degli unici casi che ci sono stati sottoposti in quanto: nel -<br />
l’a zienda 4 oltre a quello oggetto di studio approfondito, sono stati raccolti<br />
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142<br />
parte prima<br />
altri due casi di inserimenti fallimentari, uno dei quali è culminato in una mu -<br />
tua reiterata e un mancato rientro che si è risolto nella risoluzione del con -<br />
tratto. Stesso esito - mancata riconferma dopo periodo di crisi - caratterizza<br />
l’in se rimento fallito nell’azienda 9 (di cui si è dato conto nel paragrafo 3.3.2.).<br />
Anche l’azienda 4 ha dovuto affrontare l’insorgere di una crisi del disabile<br />
in serito, così come ci racconta la capo-reparto: “E difatti un’annetto fa poi è<br />
sta to ricoverato... perché stava male, cioè nel senso che dava fuori di testa, cioè<br />
tu gli dicevi le cose, lui era assente... Comunque, grazie a Dio dopo questa...<br />
cura che ha fatto... è riuscito a stare un pochino meglio”.<br />
Tutti questi casi, con capacità di fronteggiamento differenti da parte del l’a -<br />
zienda, riguardano persone la cui disabilità era nota. Al contrario alla fat ti -<br />
specie b) appartengono aziende che hanno dovuto far fronte, in modo del tut -<br />
to inatteso, a situazioni anche gravi di manifestazione della patologia.<br />
In particolare l’azienda 10 che ospita già disabili psichici ai sensi della nor -<br />
ma tiva, ha visto però crescere di numero e di frequenza casi di patologia grave,<br />
ripor tando dati non solo interni al proprio contesto: “abbiamo visto un mol ti -<br />
pli carsi di casi di gente che abbiamo assunto normalmente, con selezioni ordi -<br />
na rie, e che poi hanno dato problemi... in... successivamente. che è un pro ble -<br />
ma, che, abbiamo visto, affligge non solo noi, ma molte aziende. Pare un pro -<br />
ble ma sociale, più che della nostra società Eh... penso. Parlando anche con un<br />
col lega all’unione industriale, emerge che in tutte le realtà produttive questi<br />
ca si aumentano, insomma, aumentano significativamente” (Dir. R.U.).<br />
Il direttore ci offre un’ampia gamma di esempi con manifestazioni eclatanti,<br />
il cui impatto sulla qualità del lavoro è senza dubbio grave 88 . Nel ricercare le<br />
cau se di questo problema, gli interpellati sembrano convinti che non sia possibile<br />
im putarle al contesto lavorativo, ma più probabilmente a eventi infausti, per -<br />
so nali: “E quindi... l’eziologia del, del fenomeno pare sottrarsi alle relazioni la -<br />
vo rative, inquina le relazioni lavorative come effetto, ma non ne è la causa.<br />
Almeno, non appare, non ne appare la causa. Eh... e quindi se è così, se è<br />
così... eh... le leve per rimuovere queste cause non le abbiamo, la necessità di<br />
ge stire una situazione che, che è quella insomma. E questo è un primo aspet -<br />
to”. Il giudizio formulato dagli intervistati, sembra riconducibile alla con sta ta -<br />
zio ne della concomitanza di eventi personali traumatici con l’insorgere del la<br />
ma lattia, ma non si ha notizia di indagini relative al burnout o al benessere or -<br />
ganiz zativo.<br />
L’indagine presso l’azienda 10 ha puntato l’attenzione su di un caso specifico<br />
di conduttore di mezzi pubblici che ha cominciato ad adottare una serie di<br />
comportamenti impropri, non rispettando le fermate, conducendo il mezzo su<br />
per corsi sbagliati. Di notevole interesse la fatica, il peso e la preoccupazione<br />
che traspare dalle parole degli intervistati, nel non riuscire a trovare aiuto da<br />
par te delle commissioni mediche incaricate di determinare l’idoneità al ser vi zio.<br />
La persona in questione è stata sottoposta a numerose visite di idoneità, il<br />
giudizio di inidoneità, benché da tempo presentasse sintomi e comportamenti
il contesto lavorativo<br />
inadeguati, è giunto quando tali comportamenti sono diventati potenzialmente<br />
pericolosi: “Poi, le segnalazioni arrivate sono aumentate noi di conseguenza<br />
abbiamo aumentato i controlli e abbiamo riscontrato di conseguenza che co -<br />
minciava a diventare un po’ un anarchico all’interno di un sistema e questo non<br />
era più accettabile tanto che alle ultime verifiche a metà corsa interrompeva il<br />
ser vizio, prendeva dei rossi con il pullman e ciò non è più accettabile perché<br />
non diventa più un discorso di gestione dell’uomo ma diventa un discorso di<br />
sicu rezza e a questo punto non si tollera più niente”. “Non è più da noi perché<br />
quan do poi è stata accertata... questa sua... al suo aggravarsi della condizione<br />
sono stati intensificati i controlli e nell’ultimo controllo effettuato si è ri scon -<br />
trata una grande mancanza dal punto di vista della sicurezza e a questo punto<br />
qui la linea gerarchica dello stabilimento d’accordo con la direzione del per so -<br />
na le si è stabilito di non farlo più guidare eh... come abbiamo detto prima se<br />
puoi essere potenzialmente pericoloso per te stesso, ma anche per l’azienda<br />
quin di, accertate una serie di violazioni non singole ma protratte nel tempo e<br />
si ste matiche allora non è più il giorno che ti sei alzato con qualche cosa che ti<br />
gi rava, ma, lo fai sistematicamente quindi non sei più nelle condizioni di ga -<br />
ran tire un livello di sicurezza tale che noi ti diamo un pullman in mano e noi<br />
stiamo tranquilli” (caporeparto).<br />
L’azienda denuncia la difficoltà a trovare soluzioni idonee in quanto questi<br />
soggetti non sono disposti ad ammettere la patologia e di conseguenza risulta<br />
mol to complesso sia ricollocarli in un’altra mansione (anche per motivi sin da -<br />
cali), perché la rifiutano, sia indurli a curarsi. “E ci creano un sacco di pro -<br />
blemi. Questo soggetto qui dalla guida abbiam provato a impiegarlo in altre<br />
parti... e adesso l’abbiamo addirittura mandato nel nostro club, dove ci sono i<br />
campi da bocce e gli chiediamo solo di tagliare l’erba ogni tanto...e di dare una<br />
mano a mettere a posto Ci crea un sacco di problemi con la... con la clientela.<br />
Nel senso che arrivano i soci per giocare e questo aggredisce chiunque...<br />
per ché ha manie di persecuzione, per cui...cioè diventa proprio difficile la ge -<br />
stione di... della persona” (azienda 10, Dir. R.U.); “Il problema è che noi ab -<br />
bia mo più di 5000 dipendenti, la maggior parte dei quali sono dispersi sul ter -<br />
ri torio. Alcuni in stabilimento si recano il 27, per ritirare la foglietta paga, al -<br />
tri menti prendono l’autobus al posto cambio e quindi diventa difficile.<br />
Questo genere di patologie...perché vede, come diceva il dottor B., se hanno<br />
un problema di gastrite, son loro i primi a venir qui e a dire: ‘io ho la gastrite,<br />
le vatemi dalla linea per tre mesi’ nessuno viene qua a dire: ‘io ho dei pro ble -<br />
mi... eh... Sì sì... ogni tanto perdo qualche colpo, per favore levatemi dalla gui -<br />
da, perché non vi garantisco più... ’, Mandi a chiamare... ‘Perché mi mandate<br />
a visita medica?’, questa è la risposta. Per poi arrivano queste se gna lazioni,<br />
qual cuno ha dei dubbi, il responsabile dell’esercizio scrive e dice ‘scu sate, fate<br />
un controllo, perché...secondo me non ci sono i requisiti d’idoneità’.<br />
Automaticamente c’è un problema: riuscire a portarli, perché poi si scopre<br />
che magari sono già in cura presso... eh... l’igiene mentale da due o tre an ni,<br />
143
144<br />
parte prima<br />
pe rò non frequentano con assiduità le sedute, non assumono i farmaci con la<br />
dovuta regolarità” (azienda 10, Dir. R.U.).<br />
La gestione dell’insorgenza della malattia in questo contesto ha risvolti ne -<br />
gativi sul rapporto con la clientela e, data la natura della mansione, che si svol -<br />
ge quasi esclusivamente in solitudine, non sembra avere impatti diretti sul rap -<br />
porto con i colleghi. Nell’azienda 8, al contrario, il manifestarsi della malattia<br />
del signor G., ha avuto un impatto rilevante sul clima del gruppo di lavoro. Il<br />
si gnor G è stato assunto come abile in un ente pubblico, come vincitore di un<br />
con corso. In prossimità delle vacanze natalizie ha cominciato a manifestare<br />
gra vi sintomi di delirio religioso, che lo hanno condotto a comportamenti<br />
anomali e ad un successivo periodo di mutua prolungata: “Ci faceva pre gare...<br />
Cioè, adesso io non so, però in un ambito lavorativo comunque per quanto<br />
uno... insomma, si ride, si scherza, siam tutti giovani, siam tutti della stessa età,<br />
però insomma a me non mi è mai capitato di sentire... queste cose. E<br />
comunque lui, mi ricordo un pomeriggio, un pomeriggio... insomma, le cinque<br />
e mezza, le sei, ci aveva riuniti in una stanza, ci aveva fatto pregare. Non<br />
sembrava una cosa così normale. Insomma, sembrava un po’ più... come se fos -<br />
se un po’ invasato... Poi camminava... insomma, gli capitava di camminare, non<br />
so, sui tavoli, di dire che...che lui sentiva la terra tremare al suo passaggio, poi<br />
fa ceva delle telefonate strane, che all’epoca io insieme a un altro mio collega<br />
era vamo rappresentanti sindacali, insomma del...del nostro gruppo così e quin -<br />
di magari quelli che si esponevano insomma di più e insomma son capitate te -<br />
le fonate anche a questo altro mio collega in cui diceva che sarebbe distrutto<br />
tut to, che lui vedeva gli angeli e che la terra tremava al suo passaggio.<br />
Insomma... fin quando uno fa la battuta, si ride, si scherza, è un conto, però<br />
era proprio molto più serio. Insomma, è come se non fosse in lui” (azienda 8,<br />
col lega). L’episodio più eclatante avviene quando G. l’anno successivo, nello<br />
stes so periodo, manifesta un delirio più consistente, danneggia un ascensore e<br />
minaccia alcune donne delle pulizie. Anche in questo caso segue un ricovero<br />
pro tratto. L’esito di questo episodio è stato quello di una richiesta di denuncia<br />
e di allontanamento della persona. I due colleghi intervistati (uno dei quali<br />
rap presentante sindacale) sottolineano come si sia creata, fra un piccolo grup -<br />
po di colleghi una forte solidarietà per G. culminata in una intercessione nei<br />
con fronti del dirigente, a cui questo piccolo “comitato” ha chiarito i problemi<br />
di G. sottolineando gli effetti fortemente deleteri per la salute della persona<br />
che avrebbe avuto un licenziamento e una denuncia. La dirigenza ha accolto<br />
questa richiesta, consentendo la permanenza di G al lavoro.<br />
Emblematico in questo episodio è il carico emotivo e di responsabilità che<br />
i colleghi sembrano essersi presi nei confronti di G.: “Però diciamo che da<br />
allora è ritornato ad essere, almeno apparentemente, molto più tranquillo,<br />
molto più socievole, molto più... insomma, riflessivo, molto più tranquillo, ec -<br />
co. Gli capita di fare a volte dei discorsi seri, o anche scherzare, però insom -<br />
ma... come dire... sta più in su insomma, si contiene adesso... mentre magari a
il contesto lavorativo<br />
volte prima era un po’ esagerato. E anche quando riesce così... perché magari<br />
non lo so, si sente un pochino più euforico, a...a sforare, bene o male in-somma...<br />
Noi nella stanza siamo in due... quattro... siamo in cinque o in sei e sap -<br />
pia mo tutti... perché c’eravamo tutti insomma, abbiamo assistito più o meno<br />
tut ti a quello che è successo a G., quindi cerchiamo sempre di riportarlo...<br />
Quando lo vediamo troppo... esageratamente euforico cerchiamo sempre di ri -<br />
portarlo un po’ con i piedi per terra... per evitare magari insomma... si esa geri...<br />
Non... non è che lo teniamo a bada, per carità, però magari a volte uno non si<br />
rende conto e quindi... Però sicuramente è molto più tranquillo, almeno per<br />
quello che posso vedere io così. Poi come sta lui internamente purtroppo pen so<br />
lo sappia solo lui” (collega). Benché sia stato possibile individuare una soluzione,<br />
la manifestazione dei sin tomi ha degli effetti negativi sul contesto lavorativo<br />
generale: “gente che co mun que...cioè, erano tutte voci di lamento... diciamo:<br />
‘Questo è scemo. Questo è pazzo. Questo fa male a qualcuno. Questo prima o poi<br />
ne am mazza qualcuno’. Cioè, c’era paura poi alla fine. Perché aveva fatto delle<br />
caz zate. Cioè... staccare delle porte, saltare da un tavolo all’altro, gridare dietro al -<br />
la donna delle pulizie e... Son cose che magari non è che si fanno in tutti gli uf -<br />
fici... quindi la gente reagisce di consegue... senza poi magari sapere cosa c’è<br />
dietro... Però reagisce così, quindi... ” (collega).<br />
Anche in questo caso emerge la difficoltà a trovare un aiuto esterno, che spesso<br />
viene ricercato nel rapporto con i genitori, al fine di limitare e preve nire<br />
l’insorgenza di nuove crisi.<br />
4.2.6. Un tentativo di sintesi: l’individuazione di un idealtipo aziendale<br />
In conclusione di questa sezione del rapporto si intende fornire una lettura<br />
idealtipica che dia conto dei criteri che possono consentire di distinguere a zien de<br />
in grado di accogliere le persone con problemi psichici in modo ef fi cace, da<br />
aziende che risultano fallire in tale scopo. Per l’individuazione dei tipi ideali si<br />
ricorrerà all’incrocio di un doppio spazio di attributi: da un lato l’orientamento<br />
delle organizzazioni in termini di sta bilità o flessibilità. Anheir (2000) nel riferirsi<br />
alle organizzazioni no-profit nel tentativo di offrire un modello organizzativo di<br />
lettura della gestione delle stes se più complesso rispetto a quello che contrappone<br />
le aziende orientate al pro fitto a quelle non orientate al profitto, distinguendole<br />
esclusivamente in base alla loro propensione valoriale, sottolinea che le aziende<br />
(indipendente dal loro intento verso il profitto o meno) possono esser<br />
caratterizzate con una me tafora organizzativa. Tale metafora contrappone le<br />
organizzazioni “pa laz zo” alle organizzazioni “tenda”: le prime sono caratterizzate<br />
dalla “valoriz za zio ne della prevedibilità anziché l’improvvisazione, dal prendere a<br />
prestito solu zioni anziché inventarne di proprie, dal difendere azioni passate<br />
anziché in coraggiarne di nuove” (ibidem); le organizzazioni “tenda” al contrario<br />
sot to li neano l’importanza della creatività, della flessibilità, dell’impossibilità di<br />
trovare soluzioni definite una volta per tutte.<br />
145
146<br />
ORGANIZZAZIONE “PALAZZO”<br />
Orientamento al compito<br />
Criteri funzionali<br />
Enfasi sugli aspetti economici<br />
Enfasi sul raggiungimento degli obiettivi<br />
(tratto da Anheir 2000)<br />
parte prima<br />
vs.<br />
ORGANIZZAZIONE “TENDA”<br />
Orientamento alle persone<br />
Enfasi su aspetti sociali<br />
Enfasi sulla motivazione e sulla persona<br />
Criteri personali per rivestire il ruolo professionale<br />
Il secondo spazio di attributi prende in considerazione la letteratura che si<br />
occupa dei processi di socializzazione organizzativa e degli esiti che essa può<br />
avere (Cfr. Depolo, 1988). In particolare se si pensa all’ingresso del disabile<br />
psichico in azienda e ai processi reciproci di influenza che organizzazione e<br />
individuo mettono in campo per il raggiungimento di un equilibrio efficace<br />
che sfoci in un successo, possiamo ipotizzare due diverse prospettive: da un<br />
lato quella che mira ad una riduzione dei costi al minimo e ad una conseguente<br />
massimizzazione dei benefici possibili per entrambe le parti, definibile come<br />
“accomodamento”(relazioni a somma 0) e una strategia tesa invece a trovare<br />
soluzioni che massimizzino il benessere di entrambe le parti (relazioni I winyou<br />
win). L’incrocio degli spazi di attributi consente di individuare 4 tipi-ideali<br />
di aziende così caratterizzate: Sagiv e Schwartz (1995), nel riferirsi ai valori<br />
individuali (e in una successiva applicazione degli stessi ai contesti sociali e<br />
organizzativi, 2000) forniscono un’esemplificazione dei valori individuali<br />
verificandone la portata in vari Paesi.<br />
Gli studi condotti hanno consentito di individuare 10 valori, 4 dei quali<br />
vengono utilizzati qui per identificare i 4 tipi ideali di azienda.<br />
SOCIALIZZAZIONE [<br />
Accomodamento<br />
A somma O<br />
Proattività<br />
I win - you win<br />
Al compito<br />
organizzazione “palazzo”<br />
Conformismo<br />
Successo<br />
ORIENTAMENTO<br />
Alle persone<br />
organizzazione “tenda”<br />
Tradizionalismo<br />
Universalismo<br />
Nel quadrante Orientamento al compito-Socializzazione tramite accomo -<br />
damento risiedono le organizzazioni caratterizzate da Conformismo; Sagiv e
il contesto lavorativo<br />
Schwartz definiscono il conformismo come la tendenza a biasimare coloro che<br />
non si conformano alle regole sancite, anche in assenza di un controllo diretto.<br />
Nel quadrante Orientamento alla persona-Socializzazione tramite accomo -<br />
damento risiedono le aziende che si rifanno al Tradizionalismo ossia al rispet -<br />
to, all’impegno e all’accettazione per i valori tradizionali che la cultura e la reli -<br />
gione insegnano.<br />
Sul versante Orientamento al compito-Socializzazione tramite proattività,<br />
si col locano le aziende orientate al Successo, definito da gli autori come la ten -<br />
den za a raggiungere il successo in accordo a degli standard socialmente sanciti.<br />
Infine sul versante Orientamento alla persona-Socializzazione tramite ac co -<br />
mo damento insistono le organizzazioni caratterizzate da Universalismo os sia<br />
comprensione, apprezzamento e protezione per le persone e l’ambiente, esi ste<br />
la consapevolezza che le persone dovrebbero essere trattate con totale equità.<br />
Le organizzazioni conformiste, sono quelle caratterizzate da una rigidità sia<br />
strutturale che relazionale. Non si tratta di organizzazioni conformiste sola -<br />
mente perché hanno una struttura organizzativa apparentemente inflessibile,<br />
ma anche perché chiedono ai loro dipendenti di conformarsi a regole sancite a<br />
prio ri e non negoziabili. Lo spazio (e il tempo) per la presa in carico dell’altro<br />
sem brano uno spreco di energie, una presa in carico eccessivamente onerosa in<br />
cui, il rischio che il rapporto costi -benefici, diventi addirittura negativo sem -<br />
bra molto elevato. Rientra in questa categoria l’azienda 9: i segnali di disagio<br />
del neo-assunto, che non appaiono qualitativamente più significativi rispetto<br />
a quelli manifestati ad esempio dal dipendente dell’azienda 8 (ben più eclatanti<br />
e che non sono sfociati in un’espulsione) hanno portato ad esiti molto diversi.<br />
Il modo con cui i soggetti attribuiscono significato ai comportamenti ano -<br />
mali, inattesi, anche ansiogeni che la persona adotta, sembra fare una decisa<br />
differenza. In questa azienda si attribuisce alla persona una volontà a non im -<br />
pe gnarsi, a non rispettare le regole. Tale comportamento, richiedente e “ano -<br />
malo” in chi, come neo-assunto dovrebbe invece mostrare il meglio di sé, ge -<br />
ne ra frustrazione, fatica che si traduce in un comportamento espulsivo. Si nota<br />
uno scarto evidente fra aspettative, costi ammissibili e gestione quo ti dia na. In<br />
tal senso appare opportuno un lavoro accurato da parte de servizi nel ri le vare<br />
le aspettative delle aziende in merito alla prestazione e alla di spo ni bi lità e pos -<br />
sibilità di impiegare risorse, da parte delle stesse a vivere l’inserimento di ri -<br />
sorse umane come un investimento i cui frutti spesso non sono coglibili nel -<br />
l’im mediato 89 .<br />
Le organizzazioni tradizionaliste si differenziano dalle prime per la loro ca -<br />
pa cità di prendere in considerazione il valore delle persone, attivarne le ca -<br />
pacità, ma soprattutto, accettarne i limiti. Sono caratterizzate da una maggiore<br />
fles sibilità rispetto alle precedenti, ma ciò che guida i loro intenti è ricon du ci -<br />
bi le alla carità di matrice cristiana, più che un vero e proprio universalismo.<br />
Rientrano in questa categoria tutte le aziende che hanno fatto espresso ri -<br />
chia mo ad un “volontariato d’azienda” (azienda 1) all’idea che il fare del bene<br />
147
148<br />
parte prima<br />
abbia un effetto energizzante dal punto di vista individuale (azienda 4 e 5) si<br />
tratta di aziende in cui si sono operate scelte oculate in merito al reparto in<br />
grado di accogliere al meglio soggetti problematici.<br />
L’azienda di tipo “successo” è invece caratterizzata da una certa proattività, un<br />
orientamento al compito e un tentativo di mantenere alti i propri standard<br />
produttivi, per farlo, tende a bilanciare al massimo costi e benefici e quando i<br />
costi aumentano aumenta il ritmo, in parte marginalizzando chi non riesce a<br />
stare al passo. Un esempio di azienda di questo tipo è la 5. Quando la persona<br />
non è in grado di farcela, non si conta su di lei. Non sembrano invece emergere<br />
tentativi di trovare soluzioni nuove, ma piuttosto si economizza, sfruttando le<br />
altre risorse esistenti. Il rischio di burnout in questo contesto appare elevato,<br />
soprattutto se effettivamente la risorsa rappresenta non un sovrappiù, ma un<br />
elemento necessario nel funzionamento dell’organizzazione. Nel caso spe ci fi -<br />
co un monitoraggio più serrato degli aspetti di contesto (uso dei farmaci, sup -<br />
por to familiare, ecc...) sembrerebbero essere necessari per ridurre il rischio di<br />
cri si. Un altro caso è rappresentato dall’azienda 3, che si colloca in posizione<br />
sfo cata, i comportamenti proattivi registarti sembrano essere messi in atto più<br />
per garantire il mantenimento del buon funzionamento organizzativo (ossia ri -<br />
dur re al massimo i danni possibili, smussare le conflittualità sul nascere) che<br />
per un vero e proprio orientamento prosociale. In tal senso, la margi naliz za -<br />
zione dei compiti assegnati, l’escludere i compiti che la persona non riesce a<br />
svol gere, nonostante alcuni sforzi di carattere organizzativo andati non a buon<br />
fine, sembrano denotare un orientamento al compito più marcato. Anche l’a -<br />
zien da 2 sembra annoverabile in questa fattispecie, va notato però, caso non<br />
uni co (vedi ad esempio il caporeparto e il collega dell’azienda 5) che le opi -<br />
nioni in merito all’utilità percepita del lavoro prestato dal disabile sia sen si bil -<br />
men te diversa interrogando i referenti istituzionali e i colleghi. Sono que sti ul -<br />
timi a sottolineare l’utilità, la possibilità di crescita e di beneficio per l’au to sti -<br />
ma propria e del disabile, rappresentato dalla possibilità di offrire e svol gere<br />
un’opportunità a questa persona, oltre che dal beneficio effettivo ricon du cibile<br />
al contributo operativo che ella presta. Al contrario la dirigenza vede l’in se ri -<br />
men to come un adempimento di legge, obbligato. Elemento che sem bra ne -<br />
ces sario monitorare è quindi quello della marginalizzazione del soggetto in se -<br />
rito, dal punto di vista della soddisfazione personale e della capacità ef fet ti va -<br />
mente riabilitativa del lavoro offerto, se esso è marginale.<br />
L’azienda orientata all’universalismo punta a fare in modo che il benessere<br />
individuale prevalga; perché ciò avvenga vengono messi in pratica un ampia<br />
gamma di comportamenti che vanno dalla prosocialità giocata sul piano indi -<br />
viduale e del piccolo gruppo fino a scelte di politiche aziendali. Caso proto ti -<br />
pico è rappresentato dall’azienda 11, presso la quale, la scelta di puntare sulla<br />
“diversità” diventa un must,. Guidato dalla consapevolezza che le persone con<br />
di verse-abilità godono di una capacità relazionale più genuina. Altri esempi so -<br />
no rappresentati dalle aziende 2a, in cui si è cucito addosso alla persona in se -
i ta, una nuova figura di magazziniere, costruendo un profilo profes sio nale pri -<br />
ma inesistente. Se ne riconoscono le doti di sensibilità e tenacia. Allo stes so mo -<br />
do nell’azienda 7, si rileva la serietà e la costanza con cui la persona svolge con<br />
do vizia ed entusiasmo i compiti che gli sono assegnati benché ri petitivi, ed anzi<br />
pro prio per le sue doti il caporeparto gli affida quel compito, si curo che verrà<br />
ese guito meglio che da qualsiasi altro addetto. Infine nell’azienda 8, si assiste ad<br />
una vera e propria costituzione di una task-force pro tettiva, a sostegno della<br />
per sona, che ha consentito di evitarle il licen zia men to. Qui sono le ricompense<br />
morali e di amicizia che il rapporto può dare che sembrano dare forza e senso<br />
al rapporto. Criticità di questo ultimo tipo di azien da è data dalla fatica emo zio -<br />
nale prodotta dalla costante gestione della com plessità. Elemento positivo po -<br />
trebbe essere rappresentato dal “restituire” al le aziende, rendendoli espliciti ai<br />
sog getti coinvolti e rendendoli pubblici, que sti casi di successo dell’inserimento,<br />
sot tolineando le potenzialità, la sco perta di una gestione delle risorse umane<br />
uma na ed umanizzante, un’at ten zio ne agli individui che, come dice un in ter vi -<br />
stato, tutte le persone meri tereb be ro.<br />
Vale la pena rilevare infine che più che il contesto-azienda (e quindi le di -<br />
men sioni o il tipo di produzione) sembra cruciale il micro-cosmo che ruota at -<br />
tor no al soggetto, le relazioni, le propensioni individuali e in ultimo le in di ca -<br />
zio ni in termini di politiche aziendali.<br />
4.2.7. Alcuni suggerimenti conclusivi<br />
il contesto lavorativo<br />
La letteratura sull’inserimento dei disabili in azienda mette in luce i benefici<br />
del contatto diretto con persone con disagio psichico in contesti lavorativi per<br />
ridurre il pregiudizio: per i disabili questa situazione rappresenta un’occasione<br />
per incrementare la loro qualità di vita e la loro autostima, ma anche un’o c ca -<br />
sione per superiori e colleghi di conoscere meglio questo tipo di ma lat tia e le<br />
sue implicazioni (Greig e Bell 2000). Ciò può significare che, più oc ca sioni si<br />
hanno di osservare il comportamento di una persona classificata in una certa<br />
categoria sociale e più tali comportamenti disconfermano il nostro stereotipo<br />
di “malato mentale”, meno tale etichetta influenzerà la nostra interazione con<br />
lui. L’analisi delle interviste ha consentito di evidenziare come le attese verso<br />
com portamenti impropri, “da matto” siano state spesso di scon fer mate: “Non<br />
so, perché io mi immaginavo... Proprio perché fuori, no?, da que sta realtà... mi<br />
im maginavo chissà... Passo... Uno dei miei passa, gli dà uno spin tone, si pic -<br />
chia no in area vendita. Un cliente passa... , e i clienti ma le du ca ti li ab biamo,...<br />
gli risponde male, chissà cosa succede? Poi invece abbiamo de ciso di fare...<br />
l’esperienza nonostante... ehm... il numero importante di per sone che circo la -<br />
no qua dentro. E come sempre uno si fa delle idee cata stro fiche... e poi alla fine<br />
non capita assolutamente nulla di catastrofico, nel senso che... questi... questi<br />
ragazzi sono stati inseriti, problemi particolari non ce ne so no assolutamente<br />
mai stati, nulla di pericoloso si è verificato... e quindi è stata una buona espe -<br />
149
150<br />
parte prima<br />
rienza. Una buona esperienza perché oggi... ehm... quando mi viene proposto<br />
un caso di questo tipo... è chiaro, c’è sempre uno studio dietro, una ricerca del<br />
posto giusto, delle mansioni giuste, però so che non è un pro blema... sappiamo<br />
che non è un problema” (azienda 4, direttore del per so nale). In altri casi però<br />
emerge che il comportamento delle persone inserite di scon fermi lo stereotipo<br />
negativo, ma la motivazione addotta per questo cam biamento di opinione<br />
venga imputata al fatto che presumibilmente la malattia della persona inserita,<br />
non è grave per cui non è possibile fare generalizzazioni.<br />
Il quadro mostra quindi un’attenzione forte verso i disabili inseriti, ma so -<br />
prattutto da parte di coloro che sono a più stretto contatto con loro. È su<br />
queste persone però che si concentra il carico di lavoro ed emotivo più forte.<br />
Spesso lamentano il bisogno di capire profondamente, non solo di applicare<br />
il buon senso e la buona volontà di chi, con le proprie risorse cognitive ed e -<br />
mo ti ve fronteggia una situazione che non ha volontariamente scelto, ma che<br />
de ve ge stire quotidianamente, insieme al “normale” carico lavorativo e per so -<br />
na le. Una reale riduzione del pregiudizio generalizzato sembra raggiungibile<br />
e sclu sivamente con un intervento mirato: da un lato sembra necessario ri pen -<br />
sare a cosa dire sulla malattia mentale ai soggetti a cui i servizi presentano il di -<br />
sa bile per un inserimento, offrendo ad esempio situazioni di confronto con il<br />
grup po di lavoro in cui sia possibile per loro, esplicitare perplessità, paure e<br />
dubbi sulla condotta (professionale!) da tenere; d’altro canto è opportuno non<br />
ren dere salienti le caratteristiche negative, preavvertendo sui possibili (ipo te ti -<br />
ci) comportamenti anormali che la persona X potrebbe forse adottare, pun tan -<br />
do invece sulle capacità residue. Questo tipo di comunicazione implica infine, un<br />
sforzo più ampio, di comprensione delle caratteristiche specifiche del le man sioni<br />
e della cultura che caratterizza l’organizzazione ospite. Sempre sul versante del -<br />
l’inserimento iniziale sembra necessario ripensare il ruolo del tu tor come<br />
accompagnatore all’interno dell’azienda dell’inserimento del disa bile: in taluni<br />
casi, un modello protettivo come quello che generalmente si met te in pratica nelle<br />
cooperative sociali, ad esempio, sembrerebbe disfun zio na le. In tali contesti,<br />
infatti, la disabilità è nota a tutti e l’idea di un percorso di cre scita che necessita di<br />
un accompagnamento, altrettanto. Al contrario nelle a zien de profit, l’af fian ca -<br />
men to quotidiano sul posto di lavoro può rap pre sen tare un etichettamento della<br />
per sona e un ulteriore difficoltà per lei di affran car si, dall’incombenza dei servizi.<br />
Si poterebbe invece ipotizzare che il lavoro possa rappresentare un contesto li -<br />
be ro, di vera autonomia. La soluzione più efficace sembra quella adottata da chi<br />
of fre consulenza, fa un monitoraggio “silenzioso” dell’andamento. Un poten zia -<br />
men to del supporto all’orga niz zazio ne e al disabile nella fase del primo in seri -<br />
men to, apporterebbe un duplice van tag gio:<br />
1. consentire all’azienda di acquisire una “valigia degli attrezzi” utile per<br />
capire come gestire efficacemente un inserimento di questo tipo, riducendo<br />
la necessità di mantenere rapporti con i servizi (apparsa come
il contesto lavorativo<br />
necessità cruciale) dopo il periodo di tirocinio<br />
2. offrire al disabile uno spazio di socializzazione e riabilitazione non pro-<br />
tetto, ma comunque supportato.<br />
4.2.8. Appendice. Casi di insorgenza del disturbo psichico in lavoratori abili citati<br />
dall’Azienda 10.<br />
“Cioè noi abbiamo avuto... non soltanto per dare degli esempi, dei riferimenti di<br />
chi... eh... ha avuto una patologia psichiatrica... eh... adesso io i termini tecnici ho<br />
qual che problema... che viaggian dalla schizofrenia da una parte a... alla paranoia<br />
dal l’altra, no? Abbiamo un paranoico con... dei complessi di persecuzione. E questo<br />
qui ogni tanto viene qua, passa due ore a raccontarmi che lui apre la porta del l’a scen -<br />
sore, si trova l’omino dell’ ATM che esce, apre la finestra di casa sua e vede l’o mino<br />
dell’ATM sotto. Scusate il termine, dice “vado in bagno e l’omino dell’ATM esce<br />
dalla, dalla tazza del water”. Insomma, ma lo dice seriamente E ne è convinto.<br />
Quindi viene qua, minaccia: “smettete di. Io vi faccio causa per mobbing, mi per se -<br />
gui tate,”, son sempre queste... cose di questo genere. E queste persone lavorano un<br />
po chettino in tutti i settori Eh... con una buona frequenza anche nel settore viag -<br />
giante. Ma d’altra parte abbiamo un numero elevato di persone. Insomma si con cen -<br />
tra lì la massa de... dei lavoratori.”<br />
“Abbiamo avuto un ragazzo giovane, il quale andava in giro, guidava l’autobus, a un<br />
certo punto lui alle fermate si alzava, stringeva la mano a tutti e distribuiva santini,<br />
no? Cose di questo genere e... e poi mollava l’auto e se ne andava da altre parti. Una<br />
volta è arrivato qui [sorride], ha fermato l’autobus in Corso Agnelli, è andato lì dai<br />
Sale siani, è stato 2 ore dentro con l’autobus parcheggiato...[sorride] sul viale. Insom -<br />
ma, cose di questo genere.”<br />
“Altre situazioni, uno è apparso anche sui giornali [sorride], noi l’abbiamo appreso di<br />
lì, non sapevamo che aveva dei problemi di un certo tipo, ci aveva chiesto un’a spet -<br />
ta tiva, era sparito, l’hanno trovato poi all’ospedale di Moncalieri, mi pare un anno<br />
fa... letto su La Stampa... del tipo “Chi l’ha visto”, no? Siamo andati noi a fare il rico -<br />
no scimento, perché abbiamo aperto il giornale e l’abbiamo... riconosciuto e abbiamo<br />
te lefonato al comando dei carabinieri... è sparito, questo qui è ancora in aspettativa,<br />
e non sappiamo più che fine abbia fatto”<br />
Un ragazzo giovane, ad esempio anche questo vive con i genitori... è una decina<br />
d’an ni che è in queste situazioni e tutto è originato... da un fatto psico... insomma la<br />
ra gazza l’ha mollato, per cui lui ha cominciato a entrare in una situazione depressiva.<br />
Poco tempo fa, parliamo di un annetto fa, addirittura... eh... con la macchina nuova,<br />
nei confronti della propria autovettura nuova, con dei massi... cioè i genitori hanno<br />
chiamato i... i carabinieri, infatti è intervenuto il ti-esse-o perché stava demolendo la<br />
macchina”.<br />
“Adesso io le ho raccontato... dei casi che le ho raccontato... sono almeno una decina<br />
Sette, otto. Quindi potrei andare avanti. Un altro... questo qui faceva l’autista, a un certo<br />
punto ci segnalano che non è più in linea... eh... mandiamo giù una delle nostre auto<br />
151
152<br />
parte prima<br />
radio più o meno da dov’è Poi arriva una segnalazione... allora, molla l’autobus in mezzo<br />
al traffico e se ne torna a casa... la prima volta, lo leviamo dalla guida e lo mettiamo nello<br />
stabilimento. Questo un bel giorno parte, va al capolinea, trova il collega con l’autobus<br />
“dai l’autobus a me, che lo devo portar dentro, ti arriva la sosti tu zione”.<br />
“Se ne va nella zona industriale di Grugliasco, lo chiamano via radio, comincia a<br />
pren dere l’estintore e scassa tutto Un altro lo sorprendiamo, ma faccio un esempio,<br />
lo sorprendiamo... era in agosto... quindi non funzionavano tutti i sistemi di rile va -<br />
zione, perché in agosto sono... A un certo punto... eh... cosa succede, mandiamo<br />
anche lì un auto radio, erano le due di notte e non era rientrato in deposito, il ser -<br />
vi zio ter mina intorno all’una, lo trovano e lo fermano “ma cosa stai facendo?” “ah,<br />
qua c’è il Sis che mi dice che devo continuare ad andare avanti”. Il Sis ovviamente<br />
non c’è”.
. Riferimenti bibliografici<br />
il contesto lavorativo<br />
- Anheier, H., 2000, Managing non profit organization: towards a new approach, in “Civil<br />
Society working paper 1”.<br />
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Karl Polanyi, Bologna, Il Mulino.<br />
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- Polanyi K., 1974, La grande trasformazione. Torino, Einaudi (ediz. orig. 1944).<br />
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- Sahlins M. D., 1972, La sociologia dello scambio primitivo, in Edoardo Grendi (a cura<br />
di) L’antropologia economica, Torino, Einaudi pp. 99-146.<br />
- Schumpeter J. A., 2001, Capitalismo, socialismo e democrazia, Mialno, Etas (ed. orig. 1942).<br />
153
154<br />
5.<br />
I contesti di cura e riabilitazione<br />
parte prima<br />
Le osservazioni riportate in questo capitolo si riferiscono alle politiche di<br />
riabilitazione dei pazienti psichiatrici attivate dalla quattro ASL torinesi (1-<br />
Nord, 1-Sud, 2, 3 e 4) e dalla ASL di Collegno. I risultati - preliminari - che<br />
vengono presentati qui di seguito sono tratti dalle interviste discorsive<br />
condotte con gli operatori che, in ciascuna delle ASL considerate, si occupano<br />
di inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici. In specifico le figure<br />
professionali interpellate sono quella di assistente sociale per le ASL 1-Nord,<br />
1-Sud, 3 e 4; di psicologo, per l’ASL 2 e di psichiatra per l’ASL 5. Ai nostri<br />
interlocutori abbiamo chiesto di tratteggiare le politiche di riabilitazione<br />
adottate in ciascuno dei DSM di riferimento, ottenendo ora descrizioni delle<br />
prassi consolidate, ora valutazioni personali sulle medesime. A questi materiali<br />
non è pertanto legittimo chiedere di dar conto - in modo obiettivo - dello stato<br />
dell’arte sull’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici nell’area torinese.<br />
Ciascuna intervista offre una ricostruzione parziale delle pratiche orga niz -<br />
za tive di cui dà conto: parziale perché ricostruita sommariamente nel contesto<br />
di un colloquio - di necessità - breve e focalizzato su più di un tema; parziale<br />
an che perché ciascuna ricostruzione è resa a partire dallo specifico punto di vi -<br />
sta del nostro interlocutore, in ragione della sua competenza professionale e<br />
del le esperienze di inserimento lavorativo di cui è stato testimone. Si tratta,<br />
tut tavia, di materiali utili alla formulazione di ipotesi sui modelli organizzativi<br />
pre valenti, ipotesi su cui sono opportuni ulteriori approfondimenti.<br />
5.1. Line di intervento adottate per favorire la riabilitazione e l’integrazione del<br />
paziente psichiatrico<br />
Le line di intervento più comuni riguardano il lavoro, la casa e le abilità<br />
relazionali. Al lavoro, inteso come strategia riabilitativa, fanno riferimento -<br />
pur con alcune differenze di accento - tutti i referenti delle ASL interpellate.<br />
Al riguardo occorre tener conto delle caratteristiche del contesto d’in ter -<br />
vista: colloqui rivolti ai referenti dell’area lavoro e da intervistatori impe gnati<br />
in un progetto, Alphaville, dedicato alla promozione dell’inserimento la vo ra -<br />
tivo di pazienti psichiatrici. Ciò, con tutta probabilità, ha indotto i nostri in -<br />
ter locutori a concentrare l’attenzione su questa linea riabilitativa a scapito di<br />
al tre. Detto altrimenti, la centralità del lavoro che emerge da queste interviste<br />
è, almeno in parte, il prodotto della relazione osservativa istituita con i nostri<br />
«te stimoni qualificati», ciò, tuttavia, non deprime la qualità delle informazioni<br />
re lative al come la riabilitazione attraverso il lavoro trova realizzazione. In que -<br />
sta direzione, ad esempio, l’indicazione che emerge dall’intervista al re fe ren te<br />
dell’ASL 3 che sottolinea la specificità di questa linea di intervento che vie ne<br />
definita come «demedicalizzata».
i contesti di cura e riabilitazione<br />
La promozione dell’autonomia abitativa viene indicata come cruciale dai re -<br />
ferenti delle ASL 1-Nord e 3. Gli interventi diretti a promuovere la socialità e le<br />
competenze relazionali dei pazienti psichiatrici vengono richiamati dai refe ren ti<br />
delle ASL 2, 3, 4 e, con particolare enfasi 90 ., dal referente della ASL 5.<br />
Accanto a queste linee di intervento vengono indicate l’accompagnamento<br />
all’interno del sistema locale di welfare, diretto a promuovere l’integrazione<br />
del le diverse forme di sostegno: sociale, sanitario ed economico, rivolte al pa -<br />
zien te psichiatrico e alla sua famiglia (ASL 1-Nord e 1-Sud). L’ASL 1-Nord<br />
ag giunge alla lista la promozione di gruppi di mutuo-aiuto tra i familiari dei<br />
pa zienti psichiatrici. Nessuno degli intervistati fa cenno a iniziative culturali,<br />
ri vol te alla più ampia popolazione e dirette a ridurre lo stigma del paziente psi -<br />
chiatrico. Questo, ovviamente, non implica che tali iniziative non vengano in -<br />
tra prese, segnala, tuttavia, la loro relativa perifericità nell’agenda degli inter -<br />
venti delle ASL interpellate.<br />
5.2. I lavori che i pazienti psichiatrici posso svolgere e quelli che non possono svolgere<br />
Al primo quesito: «quali lavori può svolgere un paziente psichiatrico?», i<br />
nostri interlocutori hanno risposto muovendosi su due diversi registri. Il pri -<br />
mo, di tipo etico-politico, è stato adottato dai referenti delle ASL 1-Sud, 2 e 3<br />
che sottolineano la possibilità per un paziente psichiatrico di svolgere qualsiasi<br />
tipo di lavoro 91 . Al secondo registro, che può essere definito pratico-analitico,<br />
hanno fatto riferimento le risposte fornite dai referenti delle ASL 1-Nord, 4 e<br />
5. Questo insieme di risposte indica come accessibili a un paziente psichiatrico<br />
tutti i lavori che non presentino richieste fisiche o psichiche particolarmente<br />
gra vose (demanding). In quest’ambito trovano inoltre collocazione le os ser -<br />
vazioni del referente della ASL 4 relative ai limiti posti dal trattamento far ma -<br />
cologico cui sono sottoposti i pazienti psichiatrici, trattamento che suggerisce<br />
di escludere dai lavori da proporre quelli particolarmente onerosi. Al riguardo<br />
è opportuno precisare che i due registri, etico-politico e pratico-analitico, non<br />
sono in conflitto tra loro: l’adozione di un registro etico-politico non esclude<br />
l’adozione di modalità d’intervento improntate all’analisi del contenuto delle<br />
mansione e del contesto nel quale dovrà essere svolta; così come l’adozione di<br />
un registro pratico-analitico non comporta un disimpegno sul piano eticopolitico.<br />
Il prevalere dell’uno o dell’altro registro indica la disposizione pre va -<br />
lente e, forse, anche la natura delle esperienze maturate dai nostri inter locutori<br />
nelle attività di inserimento lavorativo. A margine, alcuni sot to lineano il ca rat -<br />
tere non vincolante dell’etichetta diagnostica (ASL 3 e 4), ovvero la necessità<br />
di va lutare caso per caso la possibilità di inviare al lavoro un paziente:<br />
(...) il dato clinico è un dato che così, su un piano oggettivo ci dice poco.<br />
Abbiamo fior di psicotici che vanno a lavorare tranquilli e fior di disturbi border-line<br />
di personalità che ti fan sputare sangue. (ASL 3)<br />
155
156<br />
parte prima<br />
Le attività lavorative che un paziente psichiatrico non può svolgere si profilano,<br />
in parte dalle risposte rese al primo quesito (quali lavori un paziente psichiatrico<br />
può svolgere): si tratta dei lavori che impongono un carico psi chico o fisico<br />
particolarmente gravoso. Tema ripreso dal referente dell’ASL 1-Nord che e sclu -<br />
de, per il carico che possono comportare, i lavori a tempo pie no. A questi si ag -<br />
giun gono i lavori che comportano elevati rischi di infortunio (ASL 1-Sud) 92 , i<br />
lavori che richiedono prestazioni cognitive rapide e/o elevata ca pacità di di scri -<br />
minazione, di scelta tra differenti opzioni (ASL 5); pro blematici risultano inoltre<br />
i lavori che comportano un contatto il pubblico (ASL 5).<br />
5.3. L’identikit del paziente che dà maggiori garanzie di successo per<br />
l’inserimento lavorativo<br />
Il requisito sul quale c’è maggior consenso fra gli intervistati è l’età non<br />
avanzata (indicata da 4 intervistati su 6). Elevato risulta inoltre il consenso su<br />
altri due requisiti più specifici del segmento del mercato del lavoro in esame:<br />
la motivazione e la consapevolezza dei propri limiti (indicati, entrambi, da 3<br />
in tervistati su 6) 93 . Da ultimo occorre far cenno alla capacità di relazione,<br />
richiamata in due delle interviste condotte.<br />
Ai quattro requisiti richiamati più sopra (giovane età, motivazione, consa -<br />
pevolezza dei propri limiti e capacità di relazione) ne seguono altri, segnalati<br />
dal referente dell’équipe lavoro dell’ASL 5. Si tratta della determinazione o<br />
meglio, della capacità di tener fede agli impegni assunti, un attributo che si<br />
lega strettamente alla motivazione, che può essere pensato come la mo ti va -<br />
zione all’opera. Il referente della ASL 5 arricchisce la lista con altri tre attri -<br />
bu ti degni di nota: un esordio non troppo remoto della patologia, almeno una<br />
pre cedente esperienza lavorativa e l’assenza di un «atteggiamento as si -<br />
stenzialistico». Quest’ultimo tratto - capace di pregiudicare il successo di un<br />
in serimento lavorativo - può essere pensato come l’alone deteriore della con -<br />
sa pevolezza dei propri limiti; limiti che vengono radicalizzati e per i quali si<br />
chiede che siano altri ad occuparsene 94 .<br />
All’opportunità di una ridefinizione del trattamento farmacologico, ri de fi -<br />
ni zione tesa ad alleviare le controindicazioni che possono ridurre le pre stazioni<br />
la vorative, fa riferimento il referente dell’ASL 2, sottolineando co mun que la<br />
de licatezza di questo passaggio e la necessità di provvedervi con lar go anticipo<br />
rispetto al momento di inizio delle attività lavorative.<br />
Perché sai, poi il problema è sempre quello. Affronti una situazione nuova, l’ansia ti<br />
sale a mille, perché dopo tutti i fallimenti che hai avuto prima nella tua vita, il lavoro<br />
diventa veramente l’ultima spiaggia.<br />
Quindi il rischio del fal li mento, che ha dentro di te, che ti sale l’ansia, quindi hai più<br />
bisogno di più far maci. Però [sorridendo] avendo bisogno di più farmaci, se sei<br />
stonato, poi dopo non, non... insomma, è anche molto delicato il dosaggio dei
i contesti di cura e riabilitazione<br />
farmaci lì nel la cosa. È stato solo una volta che appunto ho detto al medico: «guarda<br />
che però bisogna far qualcosa, diminuirli almeno un po’, perché...». E il medico è<br />
riuscito a fare degli aggiustamenti... però quando è stato possibile? Quando si sapeva<br />
che sarebbe andato a lavorare dopo un mese, perché il problema è anche quello.<br />
Perché per i farmaci non è che lo piglio oggi e domani vai a posto. Hanno bisogno<br />
di almeno quindici giorni di rodaggio. Poi tu sai che ogni farmaco agisce su una<br />
persona in modo diverso da un’altra. Quindi non puoi fare una, sperimentare un<br />
nuovo farmaco magari con dosaggi inferiori o fare delle prove, proprio nel momento<br />
in cui questo sta per andare a lavorare, perché rischi veramente. Meglio piuttosto<br />
lasciargli quello di prima, che lo insonnolisce piuttosto che fare dei cambi che, che lo<br />
sbarellano magari.. prima di provare. Ci vuole un mesetto prima di trova.. Quindi<br />
anche lì è una questione proprio di tempi. Dovresti sapere quando davvero incomincia<br />
a lavorare, allora riuscire un mese prima, incominciare a provare... (ASL 2)<br />
Ancora il referente dell’ASL 2 indica, tra i requisiti capaci di promuovere il<br />
successo di un inserimento lavorativo, la presenza di varie forme di sostegno al<br />
paziente lavoratore e alla sua famiglia. Per il paziente viene indicato un sostegno<br />
psicologico di tipo professionale, ma anche l’opportunità di attivare gruppi di<br />
auto-mutuo-aiuto tra pari. A tutto ciò si aggiunge, su indicazione del referente<br />
dell’ASL 3, la «buona compliance» del paziente, un requisito di non immediata<br />
interpretabilità, soprattutto in rapporto a una strategia d’in se rimento lavorativo<br />
che viene definita come completamente «de me dicalizzata». Quanto al grado di<br />
ar ti colazione dell’identikit proposto da ciascun inter locutore, emerge come l’im -<br />
magine più particolareggiata si profila nell’in ter vista rivolta al referente dell’ASL<br />
5 che correda l’immagine proposta con una notazione sulla fragilità dell’equilibrio<br />
che lega tutti gli attributi di successo. L’immagine più sobria proviene, per contro,<br />
dal referente dell’ASL 1-Nord che ritiene fondamentale - anche sulla base del -<br />
l’esperienza maturata in questi anni - la motivazione del pa ziente, tratto che esau -<br />
risce l’identikit del paziente che dà maggiori garanzie di suc cesso. Un livello di ar -<br />
ti colazione dell’identikit intermedio contraddistingue le risposte rese dai referenti<br />
delle ASL 1-Sud, 2, 3 e 4. Uno sguardo d’insieme sui tratti dei diversi identikit<br />
proposti consente di cogliere il legame tra il profilo professionale di chi, caso per<br />
caso, li ha formulati e le esperienze di inserimento - i successi così come gli in suc -<br />
ces si - maturate nei sei DSM. Una specifica attenzione al profilo epi de mio lo gico<br />
dei pazienti emerge nell’intervista al referente dell’ASL 5, uno psichiatra; la sot -<br />
to lineatura del sostegno psicologico e sociale proviene dal referente del l’ASL 2,<br />
una psicologa. Comune è invece il richiamo agli altri tratti con si derati e tra questi -<br />
lo ripeto - la giovane età, la motivazione e la consapevolezza dei propri li miti.<br />
5.4. Il profilo del paziente per il quale l’inserimento lavorativo risulta più<br />
problematico<br />
La caratterizzazione del paziente che presenta i maggiori problemi d’in se -<br />
rimento lavorativo si basa sulla combinazione di pochi tratti, definiti in modo<br />
157
158<br />
re lativamente indipendente da ciascuno dei nostri interlocutori. Il pro filo<br />
diagnostico viene indicato dai soli referenti delle ASL 1-Nord e 1-Sud, in -<br />
dicando come di difficile collocazione i pazienti con una schizofrenia schietta,<br />
con disturbi di personalità o con doppia diagnosi. La natura della relazione in -<br />
sta uratasi tra paziente ed équipe curante viene messa a tema dai referenti della<br />
ASL 1-Nord e 2, ora in termini di «cronicizzazione» (ASL 2), ora in termini<br />
di assestamento nella condizione di invalido (quelli che «preferiscono fare gli<br />
invalidi»). Alla discontinuità delle prestazioni lavorative fanno riferimento i re -<br />
fe renti dell’ASL 3 e 5, indicando con ciò più le conseguenze di un tratto che il<br />
trat to stesso. A ciò si aggiunge, ciascuno segnalato da un solo intervistato, la<br />
sca rsa consapevolezza della propria condizione di salute (ASL 4) e la natura<br />
del le preferenze lavorative (ASL 5), problematiche sia quando sono rigide (di -<br />
spo nibilità a svolgere un solo tipo di lavoro) sia quando sono indeterminate (a -<br />
per tura a un qualsiasi lavoro).<br />
5.5. Il contesto aziendale più consono<br />
parte prima<br />
L’aspetto del contesto lavorativo su cui maggiori sono le convergenze di<br />
valu tazione ha a che fare con il profilo culturale delle aziende, la presenza di<br />
una «cultura dell’accoglienza del paziente psichiatrico», elemento considerato<br />
cru ciale dai referenti delle ASL 1-Sud, 2, 3 e 4. Il medesimo tema viene ri ba -<br />
dito su di una scala ridotta, il contesto sociale - spesso un contesto micro - en -<br />
tro cui è inserito il paziente psichiatrico, entro il quale assumono rilievo le di -<br />
spo sizioni delle persone con le quali il paziente dovrà cooperare (ASL 1-Nord<br />
e ASL 3). Su di un piano ancora generale si collocano le considerazioni svilup -<br />
pate dai referenti delle ASL 1-Nord, 4 e 5. Vengono considerati preferibili le<br />
azien de di piccole dimensioni, familiari, in contrapposizione alla grande in du -<br />
stria manifatturiera caratterizzata da ritmi intensi e da un relativo ano ni mato<br />
nelle relazioni sociali. Sull’appropriatezza di questi contesti esprime in vece<br />
dubbi il referente della ASL 2 che vede nella collocazione del paziente psi -<br />
chiatrico all’interno di un contesto lavorativo di piccole o piccolissime di men -<br />
sioni il pericolo di riprodurre in quell’ambito dinamiche e più specificatamente<br />
conflitti familiari.<br />
Vengono inoltre indicate come caratteristiche che favoriscono l’inserimento di<br />
pazienti psichiatrici la chiarezza delle mansioni attribuite e della struttura<br />
organizzativa entro la quale dovranno essere svolte (ASL 4), l’organizzazione del<br />
la voro basata su ritmi non serrati (ASL 1-Sud). Non mancano indicazioni di<br />
contesti specifici, dettate - con tutta probabilità - da esperienze positive maturate<br />
in ciascuno degli ambiti indicati. Vengono così indicate il settore del commercio<br />
e della distribuzione (ASL 1-Nord e 5); la pubblica amministrazione (ASL 2 e 5) 95<br />
e, buon ultimo le cooperative (ASL 4 e 5).
i contesti di cura e riabilitazione<br />
5.6. Le figure professionali impegnate nell’attività di inserimento lavorativo<br />
I materiali raccolti consentono di distinguere due diversi modelli orga niz -<br />
za tivi, basati l’uno sul coinvolgimento di diverse figure professionali, l’altro di<br />
una sola categoria professionale. Al primo modello, che possiamo definire<br />
«mul tiprofessionale», si possono ricondurre le ASL 2 e 5. Qui l’inserimento<br />
lavorativo viene gestito da assistenti sociali ed educatori con la collaborazione<br />
di psichiatri e/o psicologi. Al secondo modello, «monoprofessionale», basato<br />
sull’impiego pressoché esclusivo di operatori sociali (assistenti sociali ed<br />
educatori), si possono ricondurre le ASL 1-Nord, 1-Sud, 3 e 4. Il carattere<br />
«monoprofessionale» degli addetti all’inserimento lavorativo viene messo a<br />
tema in modo esplicito e valorizzato esplicitamente dal referente della ASL 3.<br />
Noi siamo diventati un gruppo di lavoro monoprofessionale trasversale a tutto il<br />
dipartimento. E lavoriamo in modo un po’ originale rispetto agli assistenti sociali degli<br />
altri dipartimenti, perché appunto applichiamo questo modello che è un modello di<br />
consulenza e progettazione. Per cui, noi ci definiamo “evocatori di risorse ria bi li ta ti -<br />
ve”. Evocatori, cioè attuatori, gestori di risorse riabilitative. (...) Questo permet te due<br />
vantaggi: uno è quello di creare un riferimento chiaro e preciso e una non con fu si vità<br />
dei ruoli dal parte dei pazienti e d’altro canto permette di avere uno sguardo di in sieme<br />
e permette di applicare la stessa metodologia... (ASL 3)<br />
5.7. L’organizzazione delle attività di inserimento lavorativo<br />
Dalle interviste emerge una comune tendenza alla specializzazione,<br />
obiettivo raggiunto però solo da alcune ASL che hanno costituito al proprio<br />
interno équipe dedicate. A questo modello, che può essere definito «spe cia liz -<br />
zazione» si possono ricondurre, senza riserve, l’ASL 5 e l’ASL 3. Merita ricor -<br />
dare qui una distinzione introdotta più sopra, relativa alla composizione pro -<br />
fessionale delle équipe: nella ASL 5 l’équipe ha un profilo multiprofessionale<br />
con la combinazione di operatori sociali e sanitari; l’équipe dell’ASL 3 risulta<br />
in vece costituita da soli operatori sociali (educatori e as si sten ti sociali) allo sco -<br />
po - si legge nell’intervista - di «demedicalizzare» l’at ti vità di inserimento la -<br />
vo rativo.<br />
Il secondo modello prevalente si caratterizza per l’incorporazione delle at -<br />
tività di inserimento lavorativo entro il più vasto spettro di attività di cura e ria -<br />
bilitazione. A questo modello, che può essere etichettato come «inte gra zio ne»,<br />
si possono ricondurre le ASL 1-Nord e 1-Sud. In una posi zio ne inter me dia<br />
trovano collocazione le attività dell’ASL 2, in passato - forse anche in ra gione<br />
di una congiuntura economica meno avversa - riconducibili a un mo del lo di<br />
specializzazione, ora più prossime al modello di integrazione. L’ASL 4, al meno<br />
da quanto emerge dall’intervista, mostra modalità organizzative pe culiari.<br />
Prevale la modalità organizzativa basata sull’integrazione, cui si ac costa un<br />
modello organizzativo improntato alla specializzazione che vede coinvolti gli<br />
159
160<br />
parte prima<br />
operatori dell’ASL 4 con gli altri operatori cittadini impegnati in progetti quali<br />
Labor, Genesi ecc. L’ASL 4 mostra inoltre un’altra specificità che la distingue<br />
dalle altre ASL qui considerate, la concentrazione quasi esclusiva delle risorse<br />
nella realizzazione dei progetti cittadini.<br />
5.8. Tempi di lavoro e composizione delle équipe<br />
Da quanto detto più sopra discende che nelle ASL in cui prevale il modello<br />
di integrazione gli operatori sociali e sanitari si dedicano all’inserimento lavo -<br />
rativo part-time, sulla base di collaborazioni interne, partnership, definite caso<br />
per caso. Detto altrimenti, l’opzione tra operatori a tempo pieno e a tempo<br />
par ziale, così come quella tra gruppi di lavoro a composizione stabile o varia -<br />
bile si pongono esclusivamente per le ASL ricondotte al modello specia liz za -<br />
zione. Le due ASL nelle quali opera un’équipe dedicata (modello specia liz za -<br />
zio ne) hanno una struttura organizzativa simile. In entrambe, accanto a una<br />
per sona a tempo pieno (in entrambi i contesti un’educatrice), lavorano altri o -<br />
peratori a tempo parziale e ancora, entrambe l’équipe hanno una com po si zio -<br />
ne stabile 96 . In specifico, all’ASL 3 l’educatrice a tempo pieno è coa diu va ta da<br />
un’altra educatrice e tre assistenti sociali; all’ASL 5, con l’educatrice la vo ra no<br />
un’infermiere, un’assistente sociale e uno psichiatra. La responsabilità del le<br />
due équipe è, in entrambe le ASL affidata a una figura che lavora a tempo par -<br />
ziale: un’assistente sociale all’ASL 3, uno psichiatra all’ASL 5.<br />
La presenza di operatori impegnati a tempo parziale nelle attività di inse ri -<br />
mento lavorativo viene indicato come un punto di forza dal referente dell’ASL<br />
5 che riconosce in questa modalità organizzativa un’importante strumento di<br />
rac cordo tra le iniziative di inserimento lavorativo e le altre attività di cura e di<br />
riabilitazione dirette ai pazienti in carico al DSM.<br />
In tutte le ASL considerate gli operatori che si occupano di inserimento la -<br />
vo rativo (organizzati in équipe o meno) hanno incontri di coordinamento con<br />
una cadenza bisettimanale (2 incontri al mese). A ciò si aggiunge, nel caso del -<br />
l’ASL 5 un’organizzazione delle attività di raccordo con l’équipe del CSM e<br />
con la seconda équipe lavoro del DSM più formalizzate.<br />
5.9. Le attività dirette all’inserimento lavorativo dei pazienti<br />
Emerge, nitida, una differenza che separa l’ASL 5 da tutte le altre ASL con -<br />
si derate. Le ASL torinesi dedicano - non senza differenze - gran parte delle<br />
pro prie risorse alla realizzazione dei progetti cittadini, quali Labor, Caleido -<br />
sco pio, Zafferano ecc. A questi progetti, attivi nella città di Torino, l’ASL 5 che<br />
ope ra al di fuori del contesto torinese, non aderisce. Da questa differenza di -<br />
scende una diversa dislocazione delle risorse che vede l’ASL 5 più impegnata<br />
in rapporti diretti con le aziende e nell’accompagnamento, in senso lato, dei<br />
pro pri pazienti nella gestione dei rapporti con il Centro per l’impiego (CPI) e
i contesti di cura e riabilitazione<br />
le agenzie di lavoro interinale del territorio. La partecipazione delle ASL<br />
torinesi ai progetti cittadini non è - si è detto - omogenea. In specifico, mentre<br />
alcune ASL concentrano quasi tutte le proprie risorse in queste iniziative, altre<br />
accompagnano alla partecipazione a questi progetti l’impegno in altre<br />
direzioni. Al primo gruppo, che fa coincidere quasi totalmente le attività di<br />
inserimento lavorativo con la partecipazione ai progetti cittadini, si possono<br />
ricondurre le ASL 1-Nord e 3. Dalle interviste emergono comunque alcune<br />
differenze: l’ASL 1-Nord concilia la propria partecipazione ai progetti<br />
cittadini d’inserimento lavorativo con un’intensa attività di promozione del -<br />
l’autonomia abitativa, cui le altre ASL considerate possono dedicare minori ri -<br />
sorse. L’ASL 3, dotata di una équipe specializzata nell’inserimento lavorativo,<br />
de dica alla partecipazione dei progetti cittadini d’inserimento lavorativo la<br />
quota più consistente delle proprie risorse.<br />
Al secondo gruppo di ASL fanno capo la 1-Sud, la 2 e la 4. Queste ASL si<br />
caratterizzano per una maggior differenziazione delle iniziative di inserimento<br />
lavorativo quali l’individuazione autonoma di opportunità formative (ASL 1-<br />
Sud e 4), di opportunità occupazionali, identificate nel rapporto diretto con<br />
aziende anche in concorrenza, per così dire, con il CPI (ASL 1-Sud e 2), fino<br />
a spingersi alla creazione di lavoro con l’attribuzione dei lavori di pulizia dei<br />
locali dell’ASL a propri pazienti (assunti da una cooperativa), come segnala<br />
l’ASL 2, o la costituzione di una cooperativa che si occupa di catering, come<br />
segnala l’ASL 4.<br />
L’équipe dell’ASL 5 opera in stretto contatto con il CPI territoriale con il<br />
quale condivide la gestione di alcuni pazienti, così come intrattiene rapporti<br />
con i funzionari della Provincia che si occupano di inserimento lavorativo di<br />
disabili. A ciò si accompagna l’individuazioni di opportunità lavorative in<br />
contesti protetti e non, l’accompagnamento dei pazienti al CPI e alle agenzie<br />
di lavoro interinale e, per i pazienti inseriti, la gestione dei rapporti con<br />
l’équipe curante e con le aziende preso le quali sono inseriti.<br />
5.10. La condivisione delle informazioni<br />
Tutte le ASL raccolgono e conservano le informazioni relative ai pazienti<br />
avviati al lavoro ricorrendo a schede elaborate autonomamente o in raccordo<br />
con altre iniziative di più vasta portata (i progetti cittadini, Match ecc.). Dalle<br />
interviste emerge come le informazioni convergano in una banca dati solo nel<br />
caso dell’ASL 3. Manca del tutto un raccordo tra le diverse ASL. Più in<br />
generale, l’informazione circola prevalentemente lungo canali informali, più<br />
fluidi di quelli formali ma anche più vulnerabili: frizioni, disaccordi, conflitti<br />
fra i diversi operatori dei DSM possono creare blocchi comunicativi che<br />
pregiudicano la condivisione delle informazioni e la possibilità di apprendere<br />
dalla propria esperienza, dai successi così come dagli errori.<br />
161
162<br />
parte prima<br />
5.11. I rapporti con le altre figure professionali addette alla cura<br />
I rapporti con gli operatori addetti alla cura, psichiatri e psicologi vengono<br />
definiti collaborativi dai referenti dell’ASL 3 e 5, talvolta problematici dai re -<br />
fe renti dell’ASL 1-Sud e 2 97 . Le frizioni hanno origine da fattori culturali e or -<br />
ganizzativi. I primi attengono al rilievo riconosciuto al lavoro come attività ria -<br />
bilitativa: qui i medici sono più scettici degli operatori sociali. I secondi de ri -<br />
vano dall’organizzazione dei servizi psichiatrici che, di fatto, attribuiscono e -<br />
sclu sivamente allo psichiatra la responsabilità del paziente e questa re spon sa -<br />
bi lità non condivisa crea problemi nella gestione di attività che coin vol gono<br />
figure professionali non sanitarie.<br />
Degna di nota è la segnalazione della divergenza tra le valutazioni di oc cu -<br />
pabilità dei pazienti elaborate dal personale addetto alla cura e dalle figure pro -<br />
fes sionali impegnate nell’inserimento lavorativo. In questo caso sono i clinici a<br />
mo strare maggior ottimismo, indicando pronti all’inserimento lavorativo pa -<br />
zienti che hanno dato prova delle loro capacità solo all’interno del setting te ra -<br />
peutico.<br />
5.12. Le tappe fondamentali dell’inserimento lavorativo<br />
L’identificazione delle tappe costitutive del processo di inserimento la vo -<br />
rativo è modellata dall’esperienza degli intervistati, un’esperienza lar gamente<br />
condivisa, dettata oltre che dalle scelte interne ai DSM, dai vincoli economici<br />
e legislativi esterni. Le differenze che emergono riguardano il rilievo rico no -<br />
sciuto a ciascuna delle tappe canoniche e, in alcuni la valutazione delle moda -<br />
lità d’intervento. Il processo d’inserimento lavorativo viene modellato lungo<br />
otto tappe più una:<br />
1. frequenza del centro diurno, con finalità socio-riabilitative;<br />
2. elaborazione di un bilancio di competenze;<br />
3. orientamento;<br />
4. avvio a un corso di formazione;<br />
5. risocializzazione al lavoro con un «tirocinio osservativo» in cooperativa o<br />
la frequenza di un laboratorio;<br />
6. borsa lavoro;<br />
7. inserimento lavorativo;<br />
8. sostegno al paziente inserito;<br />
9. riconsiderazione del trattamento farmacologico.<br />
Sull’opportunità di avviare il processo con la partecipazione alle attività<br />
promosse da un centro diurno, diretta a promuovere le competenze socio-re -<br />
la zionali e l’autonomia (ad esempio nell’uso di mezzi pubblici per rag giun gere<br />
la se de del Centro diurno) insistono i referenti dell’ASL 3 e 5.
i contesti di cura e riabilitazione<br />
Bilancio di competenze e orientamento sono attività che - ovviamente - ac co -<br />
mu nano tutte le ASL. Le modalità con le quali viene redatto il bilancio di com -<br />
pe tenze, con le quali si procede all’individuazione delle capacità residue si ba -<br />
sano - è quanto emerge dalle interviste - esclusivamente su colloqui, seguiti da<br />
ti rocini osservativi (vedi oltre). I colloqui - talvolta guidati da una scheda - han -<br />
no come obiettivo quello di rilevare le competenze professionali, ricostruire la<br />
sto ria lavorativa e appurare il livello di motivazione al lavoro. Le informazioni<br />
ac quisite con i colloqui vengono, in alcuni casi, integrate con informazioni cli -<br />
niche acquisite dagli operatori che hanno in carico il candidato (ne parlano<br />
espli citamente i referenti delle ASL 1-Nord, 2 e 4).<br />
La necessità di ricorrere a un corso di formazione per consolidare le com -<br />
pe tenze professionali dei candidati all’inserimento lavorativo è sottolineata dai<br />
soli referenti delle ASL 2, 4 e 5 che - si è visto più sopra (vedi par. 5.9) hanno<br />
con i progetti cittadini di inserimento lavorativo nessun legame (è il caso<br />
dell’ASL 5) o legami meno stringenti (ASL 2 e 4).<br />
La necessità di un banco di prova delle capacità lavorative dei candidati<br />
all’in serimento è ravvisata pressoché da tutte le ASL. Nello specifico, la fun -<br />
zio ne di test viene attribuita prevalentemente ai laboratori per i referenti delle<br />
ASL 2 e 5 e al tirocinio osservativo in cooperativa per i referenti delle ASL 1-<br />
Nord, 1-Sud, 3 e 4.<br />
Lo strumento della borsa lavoro viene segnalato dai soli referenti delle ASL<br />
3 e 4. Ad un’attività di sostegno al paziente inserito si richiamano i referenti<br />
delle ASL 1-Sud e 2. Per contro, l’assenza di rapporti con il paziente inserito<br />
viene inteso dal referente dell’ASL 5 come il segno dell’efficacia del processo<br />
di inserimento. Al tema del trattamento farmacologico fanno cenno, con molte<br />
riserve e cautele, i soli referenti delle ASL 2 e 5.<br />
A margine viene affrontato nelle diverse interviste il tema del rapporto con<br />
l’a zienda, tema sul quale emergono differenze anche di non poco conto con<br />
taluni che ritengono opportuno preparare il titolare dell’azienda dei sintomi<br />
che può mostrare il paziente inserito e altri che ritengono assolutamente inop -<br />
por tuni tutti gli interventi che, in un modo o nell’altro, possono alimentare lo<br />
stig ma del paziente inserito. In generale le modalità di articolazione del pro -<br />
ces so di inserimento oppongono, da un lato l’ASL 1-Nord che fa cenno al solo<br />
ti ro cinio osservativo, dall’altro le ASL rimanenti che propongono una rap pre -<br />
sen tazione del processo di inserimento più articolata.<br />
5.13. L’atteggiamento degli operatori verso il riconoscimento dell’invalidità<br />
In generale gli operatori interpellati si mostrano favorevoli al ricorso del<br />
riconoscimento dell’invalidità come strumento per accrescere le opportunità<br />
di lavoro dei pazienti. Qualche riserva viene avanzata dai referenti delle ASL 4<br />
e 5 che, con pazienti giovani, ritengono opportuno far ricorso all’invalidità so -<br />
lo dopo aver tentato un loro inserimento senza ricorrere a questo strumento.<br />
163
164<br />
(...) il tentativo talvolta sui pazienti molto più giovani - parliamo di 18-25 anni - è<br />
di tentare di fare senza. Per quelli che pensiamo abbiano l’opportunità di recupero<br />
totale. Ovviamente se c’è la richiesta della persona che dice: “Sono andato da...e mi<br />
hanno consigliato di fare l’invalidità. Mi fa il certificato?”. “Certo.” “Glielo faccio.”.<br />
Quando la persona va al Centro per l’impiego dice: “Ah, ma so che ci sono dei servizi<br />
speciali, vorrei entrarci.”, sì, allora lo facciamo. Se però una ragazza...un ragazzo o<br />
una ragazza di 19 anni mi dice: “Mah, volevo chiedere l’invalidità civile.”, io non...a<br />
19 anni...incomincio a dire: “Mah, vediamo un attimo che cosa succede. Proviamo<br />
un percorso di riavvicinamento e vediamo se possiamo farne a meno.”. Però questo<br />
non vuol dire negare un diritto. Cerchiamo di vedere se possono fare il loro percorso<br />
non - diciamo così - non certificato. (ASL 5)<br />
A margine il referente della ASL 1-Nord rileva una differenza di orien ta -<br />
men to tra medici e operatori sociali, i primi meno inclini a ricorrere all’in va -<br />
li dità, intesa come stigma. Sempre a margine, il referente dell’ASL 3 denuncia<br />
al cune difficoltà di rapporto con la Commissione medico integrata.<br />
5.14. Gli interlocutori dell’ASL nella prima fase di inserimento lavorativo<br />
Con poche eccezioni tutte le ASL interpellate danno conto dei loro contatti con<br />
gli interlocutori istituzionali: la Provincia e il CPI. Le cooperative sociali di tipo B<br />
costituiscono interlocutori privilegiati per le ASL 1-Nord, 1-Sud, 3 e 5. Alle<br />
cooperative non fanno cenno i referenti delle ASL 2 e 4, anche se que sto non<br />
consente di escludere questi soggetti dal novero dei loro inter lo cutori (an che qui<br />
emerge comunque la relativa marginalità di questa risorsa ai loro occhi). A ciò la<br />
ASL 5 aggiunge le agenzie di lavoro internale e alcuni enti pub bli ci, quali i<br />
Comuni e le ASL, tenuti all’obbligo di assunzione di lavoratori di sa bili. Il referente<br />
dell’ASL 3 indica inoltre trai propri referenti le agenzie di for mazione e gli<br />
operatori addetti alla cura, esclusi dal rapporto con il paziente in tema di lavoro,<br />
ma coinvolti dall’équipe lavoro in questa fase delicata di riav vi cinamento al lavoro.<br />
5.15. I rapporti con le famiglie<br />
parte prima<br />
Comune è il coinvolgimento dei familiari, perseguito con particolari cautele<br />
alle ASL 2, 3 e 4, delegato all’équipe curante all’ASL 5. Deleghe e cautele<br />
hanno come scopo quello di evitare - con le parole di uno dei nostri inter lo cu -<br />
to ri - l’infantilizzazione del paziente, accompagnato e protetto dai fami liari.<br />
Minori sono le riserve espresse al coinvolgimento delle famiglie dai refe ren ti<br />
delle ASL 1-Nord e 1-Sud.<br />
5.16. La gestione della fase di inserimento<br />
Nella fase d’inserimento le decisioni di maggior rilievo riguardano il<br />
rapporto con l’azienda e con il paziente. Con quest’ultimo i rapporti, sono
i contesti di cura e riabilitazione<br />
demandati agli operatori ai quali fa abitualmente riferimento, al tutor e, in<br />
alcuni casi all’équipe curante. Con l’azienda i rapporti vengono nuovamente<br />
demandati al tutor. Tra gli elementi critici viene segnalata la necessità di evi -<br />
tare l’assunzione del ruolo, per così dire, di diaframma all’interno dei rapporti<br />
tra lavoratore e azienda, un ruolo nel quale il tutor sostituisce l’azienda nella ge -<br />
stio ne dei rap porti di lavoro con il disabile introducendo pesanti elementi di stig -<br />
ma tiz za zio ne:<br />
(...) infatti, il rischio lì è di, di mettersi in mezzo, no. Di accettarla questa funzione,<br />
quindi il rischio è quella, che l’operatore accetti una funzione di filtro che, che non<br />
deve accettare, perché, nella misura in cui accetta, conferma lo stigma, no? Magari<br />
in buona fede... (ASL 2).<br />
Un’analoga attenzione viene manifestata dal referente dell’ASL 5 che sug -<br />
gerisce una presenza degli operatori in azienda quanto più possibile inco spi -<br />
cua. Merita qui di ricordare quanto detto più sopra a proposito del l’op portu -<br />
ni tà di mettere in guardia l’aziende degli eventuali sintomi o segni di di sa gio<br />
che può mostrare il paziente, procedura che ha più implicazioni negative che<br />
po sitive. A proposito dell’inserimento e delle fasi immediatamente suc ces sive,<br />
il referente dell’ASL 2 suggerisce la promozione di gruppi di auto-muto-aiu to<br />
tra pari.<br />
5.17. I rapporti con l’azienda e con il lavoratore ad inserimento concluso<br />
L’atteggiamento da assumere a inserimento concluso vede contrapposte due<br />
filosofie, quella della minimizzazione degli interventi sostenuta con forza dal<br />
referente dell’ASL 5 e quella del monitoraggio continuo espresso dal referente<br />
dell’ASL 3.<br />
5.18. Gli inserimenti di maggior successo<br />
Ciascuno dei referenti interpellati indica almeno un paio di casi di successo.<br />
In assenza di informazioni dettagliate su ciascun caso, è opportuno e sa mi -<br />
nare quelle che - in modo implicito o esplicito - vengono definite come le ra -<br />
gio ni che hanno reso l’inserimento illustrato come un inserimento di par ti co -<br />
la re successo. Un primo criterio è costituito dalla gravità del profilo dia gno -<br />
stico (ASL 5) e, ancora sul piano sanitario, l’impatto salutogenico del lavoro,<br />
la capacità - vera o presunta - di indurre una remissione dei sintomi (ASL 1-<br />
Nord). Un altro criterio degno di nota attiene all’accuratezza nell’articolazione<br />
delle tappe che hanno condotto all’inserimento, muovendo dalla riabilitazione<br />
a bitativa e relazionale, per passare attraverso la formazione e il tirocinio, con -<br />
clusi con l’inserimento in azienda.<br />
165
166<br />
5.19. Gli insuccessi più brucianti<br />
parte prima<br />
L’illustrazione dei casi di insuccesso è sviluppata corredando l’esposizione<br />
del caso con le ragioni che - presumibilmente - hanno condotto a un fal li men -<br />
to espresso dal ritrarsi del candidato al momento dell’avvio o dal l’abbandono<br />
del posto di lavoro poco dopo l’inserimento.<br />
L’insieme delle ragioni addotte - sulle quali merita soffermarsi - possono es -<br />
sere raccolte in cinque rubriche. La prima mette a tema caratteristiche del pa -<br />
zien te quali la debolezza della motivazione (ASL 5) o la presenza di un profilo<br />
dia gnostico difficile quale la doppia diagnosi (ASL 1-Nord). La seconda ru bri -<br />
ca, contigua alla prima, riguarda lo squilibrio tra aspirazioni lavorative e op -<br />
portu nità offerte (ASL 1-Nord e 5). In questo caso il problema riguarda, con<br />
il paziente, anche gli operatori che hanno scommesso - in questo caso per den -<br />
do la scommessa - sull’adattamento alla realtà delle aspirazioni del paziente. La<br />
terza rubrica chiama in causa il contesto lavorativo, o meglio il contesto sociale<br />
en tro il quale il paziente viene inserito: qui la presenza di un forte pregiudizio<br />
nei confronti del paziente, appesantito dai gravami di una congiuntura eco no -<br />
mica critica ha generato un clima di ostilità nei confronti del paziente che - è<br />
il caso narrato - si è visto costretto a licenziarsi (ASL 2). Alla quarta rubrica fa<br />
ca po un match, un abbinamento inadeguato tra mansione proposta e com pe -<br />
tenze professionali, nel caso in specie inadeguate e tali da indurre un carico ec -<br />
ces sivo di fatica mentale (ASL 4). Alla quinta classe fa capo l’inadeguatezza del<br />
so stegno familiare, nello specifico in boicottaggio dei familiari del paziente<br />
ver so l’impegno lavorativo che questi aveva assunto (ASL 1-Nord).<br />
Quest’ultimo caso induce una seria riconsiderazione sull’opportunità di<br />
coin volgere i familiari dei pazienti candidati a un inserimento lavorativo.<br />
5.20. Le politiche di conciliazione tra lavoro e disagio psichico<br />
Quest’ultimo aspetto riguarda la gestione delle difficoltà di conciliazione tra<br />
lavoro e disagio psichico che riguardano i pazienti che giungono al DSM già<br />
occupati, coloro che trovano un’occupazione stabile dopo la presa in carico,<br />
ma anche i soggetti, non in carico ai DSM che vivono questo specifico<br />
problema di conciliazione, talvolta anche in un registro preclinico.<br />
Il tema è giudicato rilevante da tutte le persone interpellate anche se<br />
l’impegno su questo terreno risulta ancora modesto. In specifico dichiarano<br />
che il problema viene affrontato all’interno dei colloqui clinici i referenti<br />
dell’ASL 4 e 5.
seconda parte
6.<br />
I diari dei co-intervistatori<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
Tutte le interviste ai pazienti sono state condotte con l’aiuto di alcuni cointervistatori<br />
non professionisti. In specifico sono state coinvolte dieci persone<br />
che hanno avuto, e in minor misura ancora hanno, un’esperienza del disagio<br />
psichico. Questi co-intervistatori sono stati coinvolti nei due cicli di interviste:<br />
le interviste libere, d’impronta biografica, e le interviste guidate, focalizzate<br />
sui temi del lavoro e del disagio psichico. La partecipazione ai colloqui di<br />
questi “intervistatori in seconda” ha reso più facile ai nostri interlocutori la<br />
con di visione delle loro esperienze, spesso di sofferenza, riferite ora alla malattia<br />
mentale, ora al lavoro. Ai pazienti psichiatrici coinvolti nella conduzione<br />
delle interviste è stato chiesto di redigere un resoconto della loro esperienza<br />
che, nel caso dei co-intervistatori ha assunto la forma di un diario, sul quale<br />
riportare - in modo libero - impressioni e giudizi maturati con questa esperienza.<br />
Le pa gine che seguono raccolgono i diari di sei di loro, seguiti dalla trascrizione<br />
di un colloquio con Paolo - anch’esso co-intervistatore - intevistato<br />
(questa vol ta è toc cato a lui!) sulla sua esperienza di ricerca.<br />
I materiali vengono presentati deliberatamente senza un commento, per la -<br />
scia re che sia il lettore a trarne una propria interpretazione. I testi, trascritti<br />
pa rola per parola, vengono presentati in sei pragrafi (più il paragrafo con l’intervista<br />
a Paolo), tanti quanti sono i loro estensori. Entro ciascun paragrafo i<br />
diari vengono riportati rispettando l’ordine cronologico della loro stesura con<br />
una sola eccezione, rappresentata dai diari di Giuseppina. Giuseppina ha scrit -<br />
to un resoconto per ciascuna delle interviste che ha condotto: per tutte le in -<br />
ter viste biografiche e poi per le interviste guidate condotte, in seconda battuta,<br />
sui soggetti già interpellati. In questo caso ho preferito presentare i dia ri an -<br />
co ran doli ai soggetti interpellati. Pertanto, in questo caso (e solo in que sto) i<br />
diari ven gono presentati facendo seguire al resoconto della prima intervista<br />
quello della seconda (anche quando non è successiva ad altri resoconti). I diari<br />
- diversi tra loro per stile ed estensione - hanno un tratto in comune di cui mi<br />
sono servito per dar loro forma. In tutti i testi è possibile distinguere due stili<br />
espressivi: la sintesi della narrazione raccolta e la va lutazione per so nale della<br />
narrazione medesima e dei suoi legami con l’espe rien za degli esten sori dei<br />
diari. Ho reso questa differenza evidenziando, in ciascun resoconto, le valu ta -<br />
zioni personali ricorrendo al carattere corsivo.<br />
Ciascun diario ha per titolo il nome della persona intervistata, o meglio il<br />
“nome d’arte” assegnato a quella persona in questo resoconto con l’intento di<br />
proteggere l’anonimato dei nostri interlocutori.<br />
169
170<br />
6.1. Il diario di Giuseppina<br />
. Le interviste a Dalia<br />
Prima intervista: 15-17 febbraio 2003<br />
parte seconda<br />
Oggi Danila ed io abbiamo iniziato le interviste a persone con problemi di<br />
disagio psichico e che hanno difficoltà a trovare lavoro. La prima persona<br />
intervistata è stata Dalia, che ci ha accolte nella sua casa, dove abita con il suo<br />
compagno e con il loro figlio di cinque anni. L’accoglienza è stata cordiale, ma<br />
fin dall’inizio dell’intervista il bambino ha manifestato la sua irrequietezza.<br />
Infatti abbiamo dovuto cancellare la prima incisione su nastro (era appena<br />
stata posta la prima domanda e la signora aveva iniziato a rispondere), poi ricominciare<br />
l’intervista, perché la mamma aveva esordito parlando dei ricoveri<br />
ospedalieri avuti a partire dal ‘91 98 e il bambino appariva agitato da que sto<br />
discorso sulla malattia.<br />
Per Dalia la nascita del bambino è stata molto importante. La presenta di suo<br />
figlio l’ha motivata a curarsi con più regolarità, ad assumere i farmaci, e le dà la<br />
forza di andare avanti ogni giorno. Le sue esperienze di lavoro sono state fatte in<br />
una cooperativa, dove ha svolto pulizie di edifici pubblici. Ci ha detto che la legge<br />
381 (1999) non aiuta i pazienti psichiatrici, perché impedisce loro di avere un la -<br />
vo ro a contatto con i minori, ad esempio come operatore scolastico. Dalia ci ha<br />
anche detto che l’assistente sociale non l’ha aiutata a trovare un impiego, ma gra -<br />
zie ad altre persone è entrata in contatto col datore di lavoro, e che non è stata<br />
con tenta di lavorare in cooperativa, perché in essa ha trovato un ambiente rela ti -<br />
va mente protetto, ma un lavoro duro e monotono.<br />
Anch’io, pur non avendo esperienza di cooperative di tipo B (= per l’inserimento di<br />
persone in difficoltà), ma soltanto un paio di mesi di tirocinio come assistente domiciliare<br />
in una cooperativa di tipo A (= erogatrice di servizi), penso che non sia facile<br />
per l’assistente sociale aiutare la persona con disagio psichico a trovare lavoro.<br />
Dalia dipinge, ed è autodidatta in questa attività. L’anno scorso ha realizzato<br />
una mostra. Usa il computer pur non avendo mai frequentato dei corsi di<br />
formazione.<br />
Sentendo parlare Dalia della malattia, dei farmaci, dei due ricoveri negli ospedali<br />
citati nell’intervista, ho pensato ai punti di contatto con la mia storia e al mio pro -<br />
ble ma attuale; mi sono resa conto che, oltre al disturbo di personalità paranoide,<br />
pur troppo soffro ancora di delirio persecutorio, un disturbo che causa grave sof fe -<br />
renza e dev’essere tenuto sotto controllo con i farmaci. Durante l’intervista ho detto<br />
a Dalia che i farmaci sono un peso che noi pazienti portiamo, e grazie al dialogo con<br />
lei ho realizzato con più chiarezza che, finché c’è il sintomo, non posso smettere la<br />
terapia farmacologica.
Dalia mi è sembrata restia a parlare delle difficoltà incontrate con alcuni<br />
me dici del primo ospedale. Dalle sue parole risulta chiaramente che ci sono<br />
alcuni medici attenti e disponibili, altri meno; che nel primo ospedale, almeno<br />
fino a qualche anno fa, era usato un metodo severo, perché i pazienti restavano<br />
segregati nel reparto psichiatrico senza poter uscire; inoltre i medici erano<br />
più validi nella teoria che nel contatto con la persona malata.<br />
Nel secondo ospedale, invece, gli infermieri fanno un monitoraggio dei<br />
pazienti, e redigono un diario che ne registra azioni ed emozioni giornaliere.<br />
Questo fatto mi ha piacevolmente sorpreso: a me questa attenzione è mancata du -<br />
rante il ricovero ospedaliero, e se dovessi essere ancora ospedalizzata vorrei che ci<br />
fos se.Per quanto riguarda il mio ruolo di collaboratore o esperto nativo, mi rendo<br />
conto di essere stata un po’ timida nell’intervenire e nel porgere le domande, perché<br />
era la mia prima esperienza di intervista e poi perché cercavo di essere attenta al<br />
bimbo di Dalia, in quanto mi era chiaro che per un bambino può essere traumatico<br />
non soltanto vedere il genitore che sta male, ma anche sentirlo raccontare ad estra -<br />
nei la sua malattia. Per fortuna la mamma del bimbo ha anche detto quanto è forte<br />
per lei l’affetto per il figlio, e spero che ciò lo abbia rassicurato. In questa prima espe -<br />
rien za, la ricercatrice sociale Danila è stata molto gentile con me e conto sulla no -<br />
stra collaborazione.<br />
Seconda intervista: 19 luglio 2003<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
Per la ricercatrice sociale e per me, il 14/7 si è concluso il secondo giro di<br />
interviste ai pazienti psichiatrici sul rapporto tra disagio psichico e lavoro, e la<br />
persona che abbiamo incontrato per ultima è la stessa con cui avevamo iniziato<br />
il primo giro di interviste a metà febbraio, la signora Dalia. Ella, che allora<br />
era di soccupata, ora sta frequentando un corso regionale di formazione sugli<br />
ele men ti base dell’informatica, che si svolge all’ENAIP ed è rivolto a persone<br />
di ses so femminile appartenenti alle liste speciali di collocamento.<br />
Abbiamo realizzato questa intervista in due tappe: la prima sera (il 10/7)<br />
Dalia aveva poco tempo a disposizione, perché l’attendevano in un’agenzia<br />
interinale per un colloquio di lavoro 99 , quindi, dopo aver effettuato parte dell’intervista,<br />
siamo ritornate da lei il 14/7. Per tranquillizzare il bambino di<br />
Dalia, che la volta scorsa era stato piuttosto irrequieto, la ricercatrice sociale<br />
gli ha portato in regalo uno yo-yo. Questa volta, però, il bambino non è quasi<br />
mai stato presente durante l’intervista, perché il primo giorno era ancora alla<br />
scuola materna, e durante il nostro secondo incontro giocava e guardava la<br />
televisione insieme ad un amico di famiglia nella stanza accanto.<br />
Dalia, aiutata dalle nostre domande, ci ha fornito molte informazioni sulla<br />
sua storia di vita, sull’emergere del disagio psichico, sul suo iter lavorativo. Ella<br />
è rimasta orfana di padre a nove mesi e ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza con<br />
la mamma, la nonna e la zia. Ha avuto difficoltà di socializzazione nelle scuole<br />
me die e nelle superiori. Si sentiva infatti inferiore ai compagni di scuola per<br />
171
172<br />
parte seconda<br />
il fat to di essere orfana, e cercava disperatamente di stare con loro, di andare a<br />
casa loro, di essere come loro. Pur frequentando un oratorio, anche in questo<br />
am biente Dalia si sentiva discriminata per la sua povertà e il suo essere orfana.<br />
La maturazione psico-affettiva e sessuale dell’adolescenza è avvenuta per lei<br />
in modo non sereno, in quanto turbata da sensi di colpa. Dalia si sentiva molto<br />
sola, aveva scarsa stima di sé stessa e cercava di fare in modo che in famiglia si<br />
accorgessero del suo malessere; a diciassette anni, dopo la morte della nonna,<br />
a cui era molto affezionata, ha tentato il suicidio con i farmaci che aveva in<br />
casa, procurandosi soltanto un sonno prolungato. Dice che una specie di<br />
regressione la portava a compiere azioni che non avrebbe fatto se fosse stata<br />
più forte e se avesse avuto una famiglia più forte. Dopo questo episodio, Dalia<br />
si è rivolta all’ospedale Molinette per cercare aiuto; è stata indirizzata al CSM<br />
di zona dove ha iniziato dei colloqui con uno psicologo, colloqui che per lei<br />
era no inutili. Dalia infatti parlava molto di sé e piangeva, lo psicologo l’a -<br />
scoltava senza dire nulla.<br />
A vent’anni le sue condizioni psichiche sono peggiorate ed è stata ricoverata<br />
in T.S.O. alle Molinette con la diagnosi di bouffè delirante; era accompagnata<br />
dalla mamma, infermiera, e dal suo attuale compagno, che aveva da poco<br />
conosciuto; poi è tornata al CSM, questa volta per ricevere aiuto psichiatrico.<br />
La reazione di Dalia a questo problema di salute era sia il farsene una ragione,<br />
data la sua situazione familiare e personale, sia il chiedersi: perché proprio<br />
a me? Dalia inizialmente non assumeva i farmaci che le venivano prescritti per -<br />
ché le davano effetti collaterali talvolta lievi, come ad esempio un gusto amaro<br />
in bocca, talvolta più pesanti come un episodio di rigidità nucale e di perdita<br />
della stazione eretta, che è stato risolto somministrandole un antidoto.<br />
Durante la gravidanza Dalia ha assunto farmaci omeopatici con esito po si -<br />
tivo, e da quando è nato suo figlio ha accettato di curarsi regolarmente con il<br />
li tio, un farmaco equilibratore dell’umore, sul quale ha ricevuto informazioni<br />
suf ficienti. Già la volta scorsa Dalia ci aveva detto di non essere soddisfatta de -<br />
gli operatori che le hanno fornito le prime cure. Questa volta ha tenuto a sot -<br />
to lineare che gli infermieri erano poco attenti ai bisogni dei pazienti, ten de va -<br />
no a segregarli in reparto e che l’ambiente era sporco.<br />
Attualmente Dalia frequenta ancora il CSM. In passato ha fatto dei test psicologici<br />
come il test delle macchie d’inchiostro (o test di Rorshach), adesso<br />
però è seguita soltanto da una psichiatra con cui ha iniziato le cure nel 2002. I<br />
colloqui avvengono una volta al mese e durano da mezzora a quaranta minuti.<br />
Dalia dice che la psichiatra è sollecita e paziente con lei. Tuttavia l’ambiente<br />
del CSM non le piace, e non lo frequenta volentieri, non tanto per le strutture<br />
(riguardo alle quali dice che forse ci vorrebbe un giardino) ma perché, pur<br />
riconoscendo che gli operatori della psichiatria hanno grandi responsabilità, le<br />
sembra che essi (soprattutto gli psichiatri) esercitino uno strapotere nei con -<br />
fronti dei pazienti. Inoltre non sta volentieri in compagnia di altre persone con<br />
problemi psichiatrici, in quanto ritiene che con loro non possa esserci uno
i diari dei co-intervistatori<br />
scambio proficuo. Quando Dalia è stata male, nell’88, stava fre quentando il<br />
cor so per tecnico di laboratorio, che ha portato a termine. Non è in vece riu -<br />
sci ta a concludere il corso per infermieri professionali. Ritiene di avere buone<br />
basi culturali, ma non riprenderebbe gli studi, perché le interrogazioni e gli<br />
esami le hanno sempre causato ansia. Nel ‘95 ha avuto un incarico annuale nei<br />
cantieri di lavoro del Comune e si è trovata molto bene. Il lavoro consisteva<br />
nel consegnare delle lettere e Dalia po teva contare sul suo ottimo senso di o -<br />
rien tamento nel muoversi per la città. I rapporti con le colleghe e con il coor -<br />
di natore erano buoni. Dal ‘96 al 2000 ha lavorato presso una cooperativa e ha<br />
svol to pulizie di edifici pubblici. Questo lavoro era pesante e gli orari un po’...<br />
im possibili (Dalia si doveva alzare prima delle cinque). Le colleghe e il datore<br />
di lavoro erano a conoscenza dei suoi problemi, e non sempre erano com pren -<br />
sivi. Nel 2001 Dalia ha fatto richiesta per il riconoscimento dell’invalidità par -<br />
zia le e l’ha ottenuto. Ora le piacerebbe avere un lavoro a tempo indeterminato,<br />
possibilmente in un ufficio, a contatto con il pubblico e con le “scartoffie”,<br />
ad esempio con documenti anagrafici. Pensa di rivolgersi alle sue conoscenze<br />
per cercare un’occupazione, perché dice che i lavori che si trovano attraverso<br />
l’as sistente sociale sono a tempo determinato e non sempre ben retribuiti.<br />
In questo periodo Dalia trascorre mezza giornata a scuola per il corso di for -<br />
mazione professionale. Quando torna a casa, ella si occupa del bambino e il suo<br />
compagno esce per andare al lavoro; quando non sta con il figlio, Dalia esce con<br />
le amiche per fare la spesa o va con loro a bere un caffè. I suoi rapporti con il compagno<br />
e il figlio sono buoni, all’insegna dell’affetto, del rispetto e della sop por -<br />
tazione. Dalia ha poche amiche, tra le quali ci sono anche delle psi co lo ghe del<br />
CSM, perché da quando è stata male non ha più molta fiducia nel l’amicizia.<br />
Amicizia è per lei aiutare ed essere aiutati... ma ella riconosce che ora l’aiuto le<br />
viene dalla psichiatra, e non chiede più favori alle amiche.<br />
Vede la malattia mentale come un qualcosa di inafferrabile, da cui è difficile<br />
libe rarsi. Dice che questa patologia può colpire chiunque, ma sottolinea che per<br />
alcuni individui questa malattia è già scritta nel codice genetico. Per Dalia la ma -<br />
lattia mentale isola dagli altri, che ti considerano una persona inaffidabile, pe -<br />
ricolosa, ti etichettano. Èun malessere nascosto, che ti può avvicinare a Dio o a<br />
Satana (nel suo caso l’ha avvicinata a Dio). La ricetta che Dalia si pre scri ve rebbe<br />
per guarire è l’“innamorarsi di nuovo e per sempre”. Questo per lei e qui -<br />
librerebbe il disagio causato dai problemi psichiatrici 100 .<br />
A suo giudizio le persone che non hanno mai avuto bisogno di uno psi chiatra<br />
o non si fidano dei pazienti psichiatrici e sono indifferenti nei loro con fron ti,<br />
oppure li prendono in giro considerando la malattia mentale una scioc chezza o,<br />
ancora, li ritengono socialmente pericolosi. Soltanto chi accetta l’e si stenza della<br />
malattia mentale può comprenderla. Per me non è stato semplice se guire le risposte<br />
di Dalia alle nostre domande perché ella ha aggiunto al rac conto della sua vita,<br />
del disagio psichico e delle esperienze di lavoro, molti com menti personali sulla<br />
psichiatria, sulle relazioni umane. Proprio questi com menti - insieme alle osser-<br />
173
174<br />
parte seconda<br />
vazioni puntuali di Dalia sulla propria situazione - mi sembra diano valore e originalità<br />
all’intervista. Da lia ha innanzitutto ana lizzato con chiarezza la sua situazione<br />
adolescenziale, in particolare il suo svi luppo psicologico avvenuto in modo<br />
non sereno, perché la stima di sé era in tac cata e, mancandole un genitore, le altre<br />
figure educative (della famiglia, del la scuola e dell’oratorio) non sempre davano<br />
risposte adeguate, né erano ca pa ci di cogliere il disagio, di segnalarne la presenza,<br />
di individuarne le cause. Per Dalia l’impatto con la malattia mentale è stato<br />
anche un impatto con lo strapotere della figura medica: infatti ci ha detto che ciò<br />
che lo psichiatra dice diventa legge per il paziente, e “se il paziente ascolta lo psichiatra,<br />
si sente sicuro; se ascolta sé stesso, molto probabilmente sbaglia”.<br />
Secondo lei, gli psichiatri ten gono i malati “nelle loro grinfie” perché essi sono<br />
fonte di guadagno. Nonostante ciò, Dalia ha conservato la sua indipendenza,<br />
rifiutando per molto tempo di assumere i farmaci. L’esperienza del disagio men -<br />
ta le ha influito molto anche sulla sua socializzazione, e mentre prima era dispe ra -<br />
ta men te alla ricerca di un rapporto paritario - ad es. negli anni della scuola - poi<br />
ha deciso di tenere i contatti con poche persone, ovvero i familiari e alcune ami -<br />
che, perché le inte ra zioni con i pazienti psichiatrici erano deludenti e le ami che<br />
non erano in grado di darle aiuto.<br />
Ascoltando Dalia che raccontava la sua storia, mi sono detta: mi trovo ancora una volta<br />
di fronte ad una persona con problemi di difficoltà nella crescita e nella matu razione<br />
affettiva; per Dalia, come per me e per tanti altri, qualcosa nell’adolescenza non ha funzionato;<br />
le figure educative erano poco presenti o poco capaci di dare risposte ras -<br />
serenanti ai problemi dello sviluppo psicoaffettivo. Per il resto, sono d’accordo con Dalia<br />
soltanto in parte perché penso che il malato non sia per lo psichiatra un business, ma<br />
essenzialmente una persona che fa fatica e che quindi va aiutata. Ad un certo punto del<br />
mio percorso, volevo interrompere le cure psi chia triche e continuare soltanto la psicoterapia,<br />
ma lo psichiatra ha insistito perché con ti nuassi i colloqui con lui (colloqui utili fra<br />
l’altro a monitorare le cure far ma cologiche); oggi riconosco che egli aveva ra gione. Mi<br />
sono sembrati interessanti gli sti moli e le provocazioni che Dalia ha lanciato sulla malattia<br />
mentale. Concordo con lei nel dire che è una malattia inafferrabile, in visibile, che<br />
favorisce l’isolamento e l’es sere emarginati dagli altri con un’etichetta di paz zia o di pericolosità.<br />
Riguardo al modo di uscirne, che per Dalia è “innamorarsi di nuovo e per sempre”,<br />
mi chiedo se lei si riferisse al suo attuale compagno o all’in na mo ra mento in generale.<br />
Rico no sco che l’amore ha una tale forza propulsiva e che stimola l’at tac camento alla<br />
vita, da far si che chi ne fa un’esperienza felice possa davvero essere aiutato ad uscire dal<br />
tunnel del disagio. In ogni caso, non può essere un innamoramento pro grammato o deciso<br />
“a tavolino”, o tantomeno adultero! Certamente, la malattia men tale è an cora e sempre<br />
una sfida. Voglio invitare Dalia, me stessa e tutti i malati a non ar ren dersi, a continuare<br />
a cercare ciò che può farci stare meglio. Concludo questo se condo ciclo di interviste<br />
con un po’ di stanchezza accumulata sul campo e che non è trapelata tanto nel rivolgere<br />
a Dalia le domande quanto nel cogliere la ricchezza e la complessità delle sue risposte.<br />
Dopo la pausa estiva, spero di poter riprendere la mia partecipazione alla ricerca. Sono<br />
grata alle persone che abbiamo intervistato e che mi hanno permesso di com piere questo<br />
percorso in cui, attraverso il confronto ed il dialogo, ho raggiunto una mag giore consapevolezza<br />
e conoscenza riguardo ai temi del disagio psichico e del lavoro.
. Le interviste a Ester<br />
Prima intervista: 10 marzo 2003<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
La mattina del 6/3, dalle ore 10.30 alle 13 si è svolta l’intervista a Ester, una<br />
signora di quarantadue anni. All’inizio Ester sembrava un po’ diffidente, ma<br />
durante il percorso da casa sua al luogo dell’intervista abbiamo avuto modo di<br />
conoscerci e rompere il ghiaccio, complici anche dei buoni biscotti al cioc co -<br />
lato che la ricercatrice sociale, Danila, ci ha offerto. Dopo la prima do manda,<br />
Ester ha esordito parlando delle sue esperienze lavorative: ha sot to lineato so -<br />
prat tutto la sofferenza che ha provato trovandosi in ambienti in cui il re spon -<br />
sabile o le colleghe, anziché aiutarla, facevano di tutto per evi den zia re la sua<br />
len tezza, causata dalla depressione. Ester ha frequentato per un an no il corso<br />
di segretaria d’azienda, ma non ha proseguito gli studi. Ha poi fre quentato un<br />
breve corso di informatica. Ha detto che la sua sofferenza psi cologica è au men -<br />
tata dopo il matrimonio, quando il rapporto tra lei e il marito è entrato in crisi<br />
e lei è dovuta rientrare in famiglia. Ester ha svolto diversi la vori, e spesso ha<br />
dovuto interromperli o rinunciarvi perché i datori di la voro cer cavano persone<br />
che avessero già esperienza nel settore, esperienza che ella non possedeva.<br />
Con Ester ho in comune il problema di essere ritornata in famiglia dopo una scelta<br />
di vita non riuscita (nel suo caso il matrimonio, nel mio la vita religiosa) e la difficoltà<br />
nell’arrivare puntuale sul posto di lavoro. Diversamente da me, Ester con tribuisce<br />
attivamente alla gestione delle fac cen de domestiche, quando i genitori so no<br />
assenti per un viaggio o per un sog gior no al paese di origine, ma anche quando so -<br />
no presenti. Io, invece, mi oc cupo poco delle faccende domestiche.<br />
Ester non ha molto dialogo con i suoi bensì con alcune amiche e con la zia<br />
(ora purtroppo ricoverata in ospedale per una patologia grave). I genitori, oltre<br />
ad essere anziani, sono malati (il papà ha avuto un ictus e la mamma soffre di<br />
i per tensione), così Ester deve essere molto docile nei rapporti con loro, per<br />
non alterare il loro stato di salute.<br />
Mi ha colpito una frase di Ester: “a volte pen so: e se prendessi un treno e me ne<br />
andassi via? Poi rifletto e capisco che fa rei del male ai miei genitori, alla mia famiglia”.<br />
Sentendo queste parole, ho ri pensato al periodo di forte depressione che ho<br />
trascorso nell’anno 1994. Ero a Roma, e anch’io avrei voluto perdermi nella cit tà o<br />
andare lontano, poi in ve ce ritornavo nell’istituto religioso di cui facevo parte, per -<br />
ché l’istinto di con ser vazione e la paura di fare del male agli altri prevalevano sul<br />
desiderio di fuga e di autodistruzione. Certo, per me come per Ester non è facile<br />
stare in fami glia a quaranta anni suonati, ma, a differenza di lei, io non desidero<br />
andare ad abitare da sola perché non sono autonoma e indipendente nel gestire la<br />
vita di tutti i giorni e inoltre credo che impazzirei se non avessi qualcuno con cui<br />
confrontarmi nei momenti difficili. Ho molto ammirato Ester per la sua schiettezza<br />
e cordialità; stando vicino a lei mi sono sentita piccola di fronte ad una persona che<br />
ha in sé valori morali, rettitudine, forza di andare avanti nella vita, apertura men tale.<br />
175
176<br />
parte seconda<br />
Ho apprezzato Ester anche per la sua capacità di autocontrollo. Al termine dell’intervista,<br />
infatti, ella ci ha detto di essere una fumatrice, ma nelle due ore e più in cui<br />
è stata con noi è riuscita a non fumare. Per quanto riguarda il mio ruolo di esperto<br />
nativo, questa volta ho precipitato un po’ la situazione del dare del tu, per ché Ester<br />
mi si era rivolta con questo pronome personale, ed io non ho aspettato che fosse lei<br />
a dirmi di rispondere paritariamente. Ciò è avvenuto forse perché in questo periodo<br />
sono sottoposta a tensioni psicologiche, legate al mio vissuto. Sono stata ancora un<br />
po’ timida nel porgere le domande e nell’intervenire; sono contenta di aver potuto<br />
parlare non soltanto di problemi di salute mentale ma anche di la voro. Credo di<br />
poter dare una mano a Ester, insieme alla ricercatrice sociale Da nila, nel trovare<br />
degli indirizzi di associazioni a cui rivolgersi, perché ella de si dera fare volontariato,<br />
in particolare con i malati di Alzheimer; spero che ella possa es sere aiutata a conoscere<br />
e a frequentare dei corsi professionali, che ritengo po treb be ro favorire il suo<br />
inserimento nel mondo del lavoro.<br />
Seconda intervista: 21 giugno 2003<br />
Oggi la ricercatrice sociale ed io abbiamo iniziato il nostro secondo giro di<br />
interviste ai pazienti; queste interviste sono guidate perché è stata messa a<br />
punto una traccia che contiene le domande da porre, e noi dobbiamo utilizzarla<br />
tenendo conto che non è necessario ripetere ciò che è già scaturito dalla<br />
prima intervista. Io, come esperto grezzo, dovevo porre soltanto alcune<br />
domande, una decina per l’esattezza. L’intervista si è svolta al Dipartimento di<br />
Scienze Sociali, dalle ore 9,45 in poi. L’intervistata ha esordito dicendo che<br />
non sapeva cosa poteva aggiungere a ciò che ci aveva detto la volta scorsa, per -<br />
ché le sembrava di aver esaurito gli argomenti del disagio psichico e del la voro.<br />
La ricercatrice sociale l’ha rassicurata, dicendo che avevamo predi spo sto al -<br />
cune domande, e chiedendo scusa per le eventuali ripetizioni.<br />
L’intervistata si è dilungata molto nel rispondere alle prime domande, quelle<br />
sul completamento della storia di vita, raccontando l’emigrazione dei genitori<br />
dalla Sicilia, prima nell’alessandrino e infine a Torino, per motivi di lavoro;<br />
ci ha spiegato come è comparso il disagio psichico dandoci alcune motivazioni<br />
e descrivendo le difficoltà provate con il marito dopo i primi mesi di vita<br />
insieme (difficoltà in seguito alle quali ha chiesto la separazione, e ora vive in<br />
casa dei genitori). Oltre a ciò, ella ha aggiunto il racconto di esperienze di disagio<br />
psi chi co che persone appartenenti alla sua cerchia di amici hanno fatto.<br />
La ricercatrice sociale ha notato che, con questi ultimi racconti, stavamo<br />
andando oltre i tempi previsti e, dopo aver saputo che il giorno seguente Ester<br />
si sarebbe recata in villeggiatura da una sorella e quindi non avremmo potuto<br />
ag giornare l’intervista a lunedì, l’ha pregata di dare risposte più aderenti ai<br />
quesiti che le venivano posti. Così abbiamo continuato, facendo una pausa ver -<br />
so le 11,30 e concludendo alle 13,20.<br />
Nelle risposte di Ester alle domande del questionario, sono emersi elementi<br />
nuovi rispetto all’intervista precedente: Ester, infatti, ci ha riferito i suoi pro -<br />
blemi nel rapporto con i familiari quando era piccola o semplicemente più gio-
i diari dei co-intervistatori<br />
vane. Ha detto di sentirsi poco capita dai genitori, e di non approvare la loro<br />
mentalità arretrata legata ad una determinata epoca di vita in Sicilia (dove<br />
adesso, invece, anche le donne hanno una maggiore libertà e indipendenza).<br />
Ci ha parlato delle sue due sorelle, dicendo che è più legata alla maggiore;<br />
la sorella più giovane non abita a Torino, ma ha trovato lavoro in un centro<br />
della Liguria dove vive. Ester ha cercato di risolvere i problemi di disagio psi -<br />
chico (emersi durante il primo anno di vita coniugale) dapprima chiedendo<br />
aiu to ai genitori, che non sempre erano disponibili ad aiutarla ma cercavano<br />
piut tosto di far leva sulle responsabilità del marito di Ester, poi si è rivolta alla<br />
so rella maggiore, che l’ha indirizzata verso cure psichiatriche. Anche una dot -<br />
toressa del servizio di medicina di base si è accorta della sua depressione e ha<br />
cercato di aiutarla.<br />
Da tre anni, Ester è seguita da una psichiatra della A.S.L. di appartenenza.<br />
Ha interrotto i colloqui con la psicologa perché non riusciva a tenere un ritmo<br />
regolare di incontri; ha però dei colloqui anche con un’infermiera dell’ambulatorio<br />
stesso. Frequenta un paio di attività al Centro diurno (sar to ria e gruppo<br />
di comunicazione non verbale) e altre attività le ha smesse (ad es. il gruppo-teatro)<br />
perché non si trovava bene con i pazienti che le fre quentavano.<br />
Grazie al suo impegno al centro diurno, Ester riesce a rilassarsi e a sentirsi in<br />
pace con gli altri. A volte, invece, ella si sente in conflitto con tut ti.<br />
Ultimamente ha spesso propositi suicidi 101 , perciò ha paura di restare sola,<br />
quando i suoi sono via, anche perché in casa ci sono delle armi, di pro prietà del<br />
padre. Ester ha fatto le pratiche per il riconoscimento dell’invalidità (parziale),<br />
e l’ha ottenuto, ma afferma che la sua condizione di invalida è dovuta alla malvagità<br />
di chi l’ha fatta soffrire. Suo padre le ripete spesso che è “una persona<br />
inutile”, ma Ester trascorre il suo tempo in modo abbastanza attivo, specialmente<br />
quando i suoi sono fuori Torino, occupandosi delle faccende domestiche,<br />
frequentando il Centro di Salute Mentale, andando a trovare la zia e occupandosi<br />
del nipotino di lei, oppure stando con la sorella maggiore e i suoi due<br />
figli, o - ancora - uscendo con un’amica che, come lei, è separata dal ma rito.<br />
Ci ha detto che ogni giorno ella decide qual è l’oc cu pazione a cui de di carsi<br />
prioritariamente, e in base a ciò pianifica la sua gior na ta. A volte, pe rò -<br />
ammette - si aggira in casa come una prigioniera.<br />
Le sue esperienze di lavoro dopo la licenza media sono state varie, tra esse<br />
c’è anche un periodo trascorso come operaia alla catena di montaggio della<br />
F.I.A.T. Nel 2000 è stata assunta a tempo determinato in un ospedale, nel ser -<br />
vi zio dispensa, ma, paradossalmente, ha dovuto licenziarsi perché, se il lavoro<br />
su perava i tre mesi, ella avrebbe perso il punteggio raggiunto all’ufficio di col -<br />
locamento. Quel lavoro, inoltre, era diventato difficile per lei a causa del -<br />
l’incomprensione dei colleghi e del suo stato di salute.<br />
Secondo lei, le persone che svolgono il loro servizio al CSM sono operatori<br />
validi. Il problema emergente è che non sempre sono disponibili e, quando<br />
Ester li chiama, chi risponde al telefono le dice di riprovare dopo una settima-<br />
177
178<br />
parte seconda<br />
na (sic!). Interessante è la definizione della malattia mentale 102 che Ester ha<br />
dato, come di una “risposta del nostro organismo allo stress” e come “una pentola<br />
che bolle” fino a rovesciare il coperchio e a gettare fuori il contenuto.<br />
Ella pensa che la risoluzione del suo problema si avvicinerebbe se potesse<br />
trasferirsi al mare, “almeno quattro mesi all’anno”. Ester ritiene che le persone<br />
che non hanno mai avuto problemi psichiatrici evitino chi soffre di disagio<br />
psichico definendolo “pazzo” e pensando che possa diventare pericoloso. Forse<br />
un po’ influenzata da questa mentalità, ella giudica comprensibile che una<br />
mamma abbia dei problemi ad affidare suo figlio ad un “malato di mente” per -<br />
ché non si possono prevedere le reazioni di questa persona 103 . Ester nota che,<br />
a volte, ci sono dei passanti che, per strada, soccorrono i pazienti psi chia trici,<br />
offrendo loro qualcosa al bar, e lo ritiene giusto.<br />
Rispetto all’intervista precedente, ho trovato Ester più depressa. Dai tanti fatti che<br />
ci ha raccontato, emerge un’insoddisfazione di fondo, e la consapevolezza di avere (e<br />
più ancora di aver avuto) delle potenzialità e risorse che la cattiveria, in particolare<br />
del marito, della famiglia di lui e di alcuni colleghi, ha contribuito a spegnere. Ho<br />
notato la sua solitudine, in particolare la pesantezza dei rapporti con il padre (che<br />
ella ha definito stressanti), le occasionali incomprensioni con la sorella più giovane,<br />
la convinzione di ricevere maggiore aiuto e comprensione da sua zia anziché da sua<br />
madre. Il CSM non è ancora, per lei, un punto di riferimento abbastanza efficace ed<br />
accogliente, in parte perché gli operatori sono poco disponibili, e anche perché<br />
Ester ha rinunciato, per la sua incostanza, all’apporto della psicologa, che poteva<br />
essere molto utile per lei. Ascoltando Ester che raccontava la sua sofferenza, anch’io<br />
ho provato dolore, in particolare quando ella ha parlato dei suoi propositi suicidi.<br />
Anch’io li coltivavo durante il periodo di sindrome depressiva nel ‘94. Ho provato<br />
un brivido nel sentire da Ester che la sua invalidità è in gran parte (anzi, secondo lei<br />
totalmente) frutto della malvagità di altre persone; io vorrei che le cose non andassero<br />
più così per nessuno 104 . Èvero ciò che dice Ester.: le persone che esercitano violenza<br />
psicologica sono colpevoli in modo grave. Dal sentire su di sé il peso della cattiveria<br />
degli altri deriva quell’”odio verso tutti e verso tutto” che Ester prova, e qualche<br />
volta anch’io provo, pur non riuscendo ad identificare con pre ci sione gli avversari<br />
della mia felicità. Per me il CSM è un aiuto, ma anch’io come Ester ho dovuto,<br />
tempo fa, interrompere un’attività (movimento-terapia), nel mio caso perché mi<br />
sentivo soffocata da attenzioni e richieste da parte di un paziente. Nei momenti tristi,<br />
come Ester trovo rifugio nella fede in Dio, ma non sempre mi è facile credere<br />
che Egli è più forte di chi mi vuole male.<br />
Sono contenta di aver collaborato alla conduzione di questa intervista, che ha completato<br />
il quadro tracciato la volta precedente, e spero che tale completezza possa<br />
aiutare la ricerca in corso. Ho fatto un po’ fatica a seguire tutte le risposte e a tro -<br />
vare il momento giusto per rivolgere le “mie” domande in qualità di esperto grezzo,<br />
ma la ricercatrice sociale è stata molto attenta e mi ha aiutato, in co rag giandomi ad<br />
intervenire.<br />
Congedandoci da Ester, le abbiamo lasciato un foglio con alcuni indirizzi a<br />
cui rivolgersi per fare volontariato (poiché ella aveva espresso questo desiderio
la volta scorsa). Oltre alla ricerca del lavoro, di cui Ester sente il bisogno anche<br />
per rendersi indipendente dai genitori 105 e possiamo riscontrare che qualcosa in<br />
questo campo si sta muovendo, con due proposte di impiego, una in Liguria e<br />
una a Torino come promoter. Spero che per lei ci sia anche, magari dopo aver<br />
superato la fase depressiva, la gioia di fare qualcosa per gli altri nel campo del<br />
volontariato.<br />
Nel frattempo anch’io, sebbene abbia molte resistenze interiori di fronte ad un<br />
impegno professionale, cerco di andare avanti giorno per giorno sperando di raggiungere<br />
una maggiore chiarezza sul lavoro che desidero e su ciò che mi può aiutare<br />
ad ottenerlo, in vista di una migliore qualità della vita e per non essere di peso alla<br />
mia famiglia. Per quanto riguarda la pratica relativa al riconoscimento dell’invalidità,<br />
se può aiutarmi a trovare un lavoro adatto alle mie esigenze, appena possibile<br />
chiederò al mio medico psichiatra di avviarla, anche se ciò non sarà indolore per me,<br />
facendomi sentire il peso della malattia. Più passa il tempo e più mi rendo conto,<br />
anche attraverso le persone intervistate, che il disagio psichico è una vera sfida, e che<br />
questo lavoro di ricerca può essere utile anche a chi non ne è affetto, per rendersi<br />
conto delle difficoltà che esso porta con sé.<br />
. Le interviste a Greta<br />
Prima intervista: 26 marzo 2003<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
Stasera la ricercatrice sociale, Danila, ed io siamo andate a casa di Greta per<br />
intervistarla. L’intervista è durata circa due ore. Greta che ha quarantacinque<br />
anni, ci ha offerto un caffè e ha raccontato la sua storia, iniziando dall’infanzia<br />
fino ad oggi, una storia fatta di abbandoni e di speranze deluse, di disagio psichico<br />
manifestatosi relativamente di recente (dal novantasette ad oggi). Fin da<br />
piccola Greta è stata allontanata dalla famiglia d’origine e ha vissuto parecchi<br />
anni con una zia; tornata in famiglia, ha dovuto accudire fratelli e sorelle. Si è<br />
sposata a sedici anni, e quello che sembrava il grande amore si è rivelato un<br />
uomo litigioso, che ha manifestato sfiducia in lei fin dai primi giorni di vita<br />
insieme. Nonostante le molte difficoltà, anche da adulta Greta ha avuto un<br />
ruolo di supporto verso i familiari, in particolare verso un fratello tossicodipendente<br />
e verso una sorella, morta di tumore lo scorso anno. Una nota positiva<br />
nella vita di Greta sono i figli, una ragazza di vent’otto anni e un ragazzo<br />
di ventidue; in particolare la figlia, laureata in scienze dell’educazione, l’aiuta<br />
molto: Greta ci ha detto che Alice, la figlia, non la commisera per la sua malattia,<br />
bensì cerca di incoraggiarla e sostenerla. Dopo aver lavorato con il marito<br />
in un distributore di benzina, Greta è stata assunta in un supermercato e finora<br />
ha mantenuto questo lavoro, passando però dal tempo pieno al part-time. Il<br />
suo disagio psicologico si è manifestato dapprima nel ‘97 con un episodio di<br />
tentato suicidio preceduto da fasi di delirio. Nel 2002 tale delirio si è ripetuto;<br />
attualmente Greta assume molti psicofarmaci e partecipa con risultati positivi<br />
a sedute di psicodramma, presso l’ambulatorio di psichiatria di una A.S.L.<br />
179
180<br />
Greta ci ha raccontato diversi episodi della sua vita coniugale, precisando<br />
che il marito ha avuto e potrebbe avere una grande influenza su di lei. Da alcuni<br />
anni egli ha iniziato un rapporto di amicizia con un’altra donna e recentemente<br />
ha abbandonato il tetto coniugale. Greta ha sofferto molto per questa<br />
situazione. Tuttavia è preoccupata perché ha saputo che il marito, rimasto<br />
solo, sta diventando etilista, e tale condizione potrebbe essere molto pericolosa<br />
per la sua salute già compromessa.<br />
Ho ammirato Greta perché, nonostante la notevole quantità di psicofarmaci che<br />
assume, è riuscita finora a conservare il posto di lavoro. Sono contenta per il fatto<br />
che ella possa contare sull’affetto e sulla preziosa presenza dei figli. Come donna, mi<br />
sono sentita solidale con lei e ho sofferto nel percepire quanta incomprensione e<br />
sopraffazione ci siano state nella sua vita, da parte del marito e della famiglia d’origine.<br />
Greta ci ha detto che ora vorrebbe essere amata gratuitamente, senza doversi<br />
conquistare a caro prezzo l’affetto di un’altra persona. Greta è anche preoccupata<br />
per il futuro, e pensa a quando i figli si allontaneranno da lei per formarsi<br />
una famiglia propria.<br />
Ho in comune con Greta l’iniziale rifiuto di essere curata con psicofarmaci e l’at tuale<br />
accettazione di essi e del supporto psichiatrico. A differenza di Greta, non sono riuscita<br />
a conservare il posto di lavoro che avevo prima del riacutizzarsi della mia malattia 106 .<br />
Quindi come lei sono preoccupata per il futuro, anche se per motivi di versi: io vivo con<br />
mia madre e, ad eccezione di questo impegno nel progetto Alphaville, sono disoccupata.<br />
Come ho detto a Greta, credo che non ci siano ricette per risolvere i problemi, ma<br />
che sia necessario affrontarli con buona volontà. Per quanto riguarda il mio ruolo di<br />
esperto nativo, penso che Greta non abbia dato mol to valore alla mia esperienza di<br />
malattia psichica vissuta sulla mia pelle, perché ini zialmente ha presentato a suo figlio<br />
la ricercatrice sociale Danila e me come “due psi cologhe”; poi si è rivolta prevalentemente<br />
a Danila; successivamente, dopo aver avuto la conferma che io ero un utente del<br />
servizio psichiatrico, è scoppiata in una risata liberatoria, forse per sdrammatizzare la<br />
situazione. A complicare questo stato di cose, c’è stata la mia dimenticanza del cartellino<br />
di riconoscimento di col la bo ra tore al progetto Alphaville! Per questi motivi, uscendo<br />
dalla casa di Greta., pur es sendo riuscita ad ascoltarla e a porre delle domande, mi<br />
sentivo un po’ umiliata. Tuttavia penso che l’impegno che Greta ha manifestato nel raccontarci<br />
con precisione e ricchezza di particolari la sua storia abbia ricompensato<br />
ampiamente il nostro lavoro di intervistatrice e di esperto, aiutandoci a cogliere varie<br />
problematiche (familiari, sociali, psicologiche) legate al problema del rapporto tra lavoro<br />
e disagio psichico.<br />
Seconda intervista: 12 luglio 2003<br />
parte seconda<br />
Il 7 luglio u.s. la ricercatrice sociale ed io siamo ritornate a casa di Greta,<br />
una don na di quarantacinque anni che avevamo intervistato a marzo. Greta ci
i diari dei co-intervistatori<br />
aveva già fornito molti dettagli della sua storia la volta precedente; tuttavia<br />
anche questa volta ha toccato diversi aspetti della sua vita, intrattenendoci per<br />
circa quattro ore. Greta, come i suoi genitori, è originaria della Sicilia. Ci ha<br />
detto che il padre, essendo rimasto orfano in tenera età, ha dovuto iniziare a<br />
la vorare presto adattandosi a diversi mestieri, ma non è mai venuto meno al -<br />
l’onestà, per questo Greta lo stima molto. Sua madre era casalinga e si è de di -<br />
cata alla famiglia. Greta ci ha ricordato che è stata affidata alle cure di una zia,<br />
dai primi mesi di vita fino al termine dell’infanzia: la zia poi si è sposata ed ella<br />
è tornata in famiglia, sentendosi molto spaesata. Il suo malessere psichico ha<br />
ini ziato a manifestarsi all’inizio del ‘97 con sbalzi d’umore, debolezza, vuoti di<br />
me moria, formicolii “tipo scosse elettriche”, ed è esploso dapprima con una fa -<br />
se di delirio nel settembre di quello stesso anno poi con un tentativo anti con -<br />
ser vativo seguito da TSO 107 (nell’ottobre del ‘97).<br />
Le principali cause del disagio risalgono, per Greta, agli anni trascorsi da<br />
sola con la zia, all’inserimento tardivo nella famiglia d’origine, e al difficile rap -<br />
porto con il marito, in particolare ai ricatti morali esercitati da lui, per farle<br />
con fessare di aver avuto un rapporto prematrimoniale con un altro uomo e di<br />
aver commesso adulterio, ricatti a cui Greta ha dovuto sottostare pur non es -<br />
sendo colpevole. Il marito, da parte sua, non si è fatto scrupolo di suscitare la<br />
gelosia di Greta corteggiandone la sorella. Un’altra componente di malessere<br />
sfo ciata poi nel disagio è stato, per Greta, il ritrovarsi addosso l’etichetta di<br />
donna forte, capace di dire dei no sia ai due figli 108 - e Greta ci ha detto che per<br />
un certo periodo tra lei e la figlia c’era rivalità - sia al fratello minore, il quale<br />
a ve va problemi di tossicodipendenza. Greta ha dovuto fare violenza a sé stessa<br />
per affermare il lato forte del suo carattere, finché è iniziato il crollo.<br />
Dapprima Greta ha parlato con il suo medico di base del suo malessere, ed<br />
egli le ha prescritto un leggero ansiolitico. Dopo aver avuto un episodio di<br />
delirio, di cui si sono accorti i familiari e i colleghi di lavoro, Greta ha fatto ri -<br />
cor so ad un neurologo, che le ha consigliato il riposo ed una terapia far ma -<br />
cologica, che Greta ha rifiutato per paura di ogni forma di dipendenza (vista<br />
l’e spe rienza del fratello). Durante il T.S.O., Greta è stata trattata dagli opera -<br />
tori in modo brusco, sgarbato, senza rispetto; infine le è stato indicato di re -<br />
carsi nell’ambulatorio dell’ASL di appartenenza per iniziare le cure psi chia -<br />
triche e la psicoterapia. Greta pensava che questa indicazione non fosse tas sa -<br />
tiva, poi si è resa conto di aver ancora bisogno di aiuto e si è recata, da sola, al<br />
CSM nel novembre ‘97. Riguardo alle prime cure ricevute, Greta non riesce a<br />
spie garsi perché gli operatori del pronto soccorso e del reparto di psichiatria<br />
do ve ha subito il T.S.O. non le abbiano dimostrato né comprensione, né gentilezza,<br />
né sensibilità, caratteristiche che - a suo giudizio - ogni utenza, in particolare<br />
quella delle persone affette da disagio psichico, richiede. Nel CSM<br />
invece ha riscontrato questi atteggiamenti professionali, e al di là di un rap -<br />
porto inizialmente un po’ difficile con la psichiatra - che poi invece si è evoluto<br />
in una forte alleanza terapeutica - e di alcune incomprensioni passeggere<br />
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parte seconda<br />
con la psicologa che dirige, insieme ad un altro psicologo, le sedute di psi -<br />
codramma a cui Greta partecipa ogni settimana, il suo giudizio sugli operatori<br />
del CSM è abbastanza positivo. I colloqui con la psichiatra possono durare<br />
da venti minuti a tre quarti d’ora. Con la psicologa ci sono colloqui di tre quarti<br />
d’o ra, ma a volte ella rinvia il problema da affrontare alla seduta di psi co -<br />
dram ma, che dura un po’ meno di due ore.<br />
Greta assume farmaci antidepressivi, ansiolitici e ipnotici. Dice che le sono<br />
state date informazioni soprattutto sui farmaci antidepressivi, però ha citato il<br />
nome di un farmaco, il Depakin, che non è antidepressivo ma antiepilettico. In<br />
passato, Greta ha partecipato all’attività di rilassamento al centro diurno.<br />
Attualmente non segue alcuna attività terapeutica eccetto lo psicodramma,<br />
che si svolge in ambulatorio. Se fosse lei a dirigere il CSM, cercherebbe di ren -<br />
dere la struttura più accogliente, meno fredda e impersonale, anche cu ran done<br />
maggiormente l’aspetto estetico (ad esempio rinnovando la tinteg gia tura dei<br />
muri). Manterrebbe la chiusura della struttura nei giorni festivi, senza ridurre<br />
l’orario feriale (che adesso è a rischio di contrazione per mancanza di per so na -<br />
le). Inoltre, a suo avviso, è necessario aiutare economicamente i pa zien ti a so -<br />
ste nere la spesa delle cure farmacologiche; la recente introduzione del ticket<br />
per le visite e prestazioni ambulatoriali le sembra inopportuna.<br />
Per quanto riguarda la sua storia professionale, Greta ci ha raccontato che<br />
fin dall’adolescenza ha iniziato a lavorare come addetta alla vendita nel settore<br />
alimentare; avrebbe voluto frequentare l’istituto alberghiero ma nella sua<br />
città d’origine non c’era questo tipo di scuola. Dopo il primo episodio di<br />
malessere ella ha riscontrato una discreta comprensione e collaborazione da<br />
parte dei colleghi e del datore di lavoro, e ha conservato il posto che aveva nel<br />
‘93 al ban co gastronomia di un supermercato, passando dal tempo pieno al<br />
part-ti me. Ci ha detto che nel suo ambiente di lavoro la presenza è quasi esclu -<br />
si va men te fem minile, e in un ambiente di sole donne si incontrano spesso<br />
com petitività e cattiveria. Greta ritiene che, talvolta, le sue colleghe e il datore<br />
di la vo ro non pren dano sul serio i suoi problemi criticando ad esempio il<br />
fatto che ella sia an cora in cura dopo che, secondo loro, è già passato tanto<br />
tempo (sei anni) dal pri mo episodio di disagio. Greta inoltre ha già lavorato in<br />
altre ditte con posti di responsabilità, e si accorge che talvolta tende ad essere<br />
autoritaria. La prin cipale difficoltà che incontra nel lavoro è il non poter esprimere<br />
appieno la sua professionalità (cosa che invece aveva avuto l’opportunità<br />
di fare in passato), sia per quanto riguarda i tempi (a suo giudizio occorre arrivare<br />
sul posto di la voro a una congrua distanza dall’orario di apertura, per<br />
sistemare i prodotti nel banco gastronomia), sia per la pulizia (un’impresa<br />
dovrebbe occuparsene per evitare inconvenienti tipo scarafaggi e topi e un<br />
carico eccessivo di lavoro sul personale del banco) e infine per la creatività<br />
nella presentazione del pro dotto (se si fa economia anche sulle foglie di insalata,<br />
non si possono pre sen tare bene i prodotti). Le sue aspettative professionali<br />
sono scarse o nul le, mentre in passato avrebbe desiderato aprire un nego-
i diari dei co-intervistatori<br />
zio tutto suo oppure rimanere a un livello professionale più alto, che comporterebbe<br />
un diverso trattamento eco nomico e pensionistico. Il suo orario di<br />
lavoro è dal lunedì al sabato, dalle 8 alle 13. Greta si alza presto al mattino e,<br />
quando torna a casa, si prende un po’ di tempo di relax, dormendo o leggendo<br />
un libro.<br />
Rispetto all’ultima volta in cui c’eravamo incontrate, c’è una novità: fre -<br />
quen tando una scuola di ballo e attraverso una cliente del supermercato il cui<br />
figlio è amico del suo, Greta ha conosciuto due gruppi di persone (o due “com -<br />
pagnie”) a cui si aggrega, rispettivamente per andare a ballare (e sono per sone<br />
più anziane di lei) e per delle uscite in varie località del Piemonte (e in que sto<br />
ca so esce con persone più giovani). Con questi amici, Greta trascorre le serate<br />
e/o le giornate del week-end.<br />
Quando le abbiamo chiesto che cosa pensa della malattia mentale, Greta ha<br />
fat to distinzione tra depressione e malattia mentale vera e propria, com pren -<br />
dente - a suo giudizio - patologie più gravi quali la schizofrenia. Per Greta la<br />
ma lattia mentale è già scritta nel codice genetico di un individuo. Pensando al<br />
suo caso specifico, Greta ritiene che, oltre ai farmaci o in sostituzione di essi,<br />
de sidererebbe avere una relazione sentimentale soddisfacente e una maggiore<br />
vi cinanza ai genitori, che invece sono rimasti in Sicilia. Per lei le persone che<br />
non hanno mai avuto bisogno dell’aiuto di uno psichiatra provano paura, tal -<br />
vol ta pena nei confronti di coloro che sono affetti da malattia mentale. A volte<br />
in vece sono menefreghiste, perché quel malessere non li tocca personalmente.<br />
Esse ritengono, ad esempio, che la depressione si possa risolvere con un po’<br />
di buona volontà, mentre invece tale patologia priva il malato di gran parte<br />
del la sua energia psichica. Soltanto ora, secondo Greta, questo tipo di pa to lo -<br />
gia inizia ad essere riconosciuto e tenuto in considerazione.<br />
La volta scorsa ero entrata in casa di Greta con un po’ di agitazione, dovuta a problemi<br />
relativi al mio disagio psichico. Avevo poi subito l’umiliazione di sentirmi<br />
ridere in faccia, quando Greta aveva avuto conferma del mio essere utente di un<br />
CSM. Perciò sono tornata a casa sua ancora impaurita, infatti sono stata timida nel<br />
rivolgerle le domande. Ho avuto però la lieta sorpresa di trovare Greta in condizioni<br />
migliori rispetto alla volta scorsa, per il fatto che ha iniziato a uscire con le sue<br />
nuove compagnie, e forse ha fatto dei passi avanti nell’elaborare il trauma dell’abbandono<br />
del tetto coniugale - preceduto da un deterioramento dei rapporti da parte<br />
del marito. Infatti ci ha parlato di lui con una certa calma; non c’era più in lei l’ostilità<br />
espressa nell’incontro precedente. Ho percepito in Greta una certa forza, che<br />
l’aiuta ad andare avanti con coraggio - una forza che prima Greta era stata obbligata<br />
a dimostrare, con la famiglia d’origine e poi con la sua, ma che ora è espressione<br />
del suo desiderio di vivere e di lottare riemerso in lei grazie alle cure psicologiche e<br />
psichiatriche. Ho sentito che per lei è fondamentale l’apporto del CSM, che ella giudica<br />
uno dei migliori della città di Torino, molto valido anche per le attività che si<br />
svolgono al centro diurno. A questo CSM facevo riferimento anch’io e come lei sono<br />
soddisfatta del lavoro che gli operatori svolgono per me e con me, e sono loro riconoscente.<br />
La loro opera, infatti, è molto importante per aiutare ogni paziente ad<br />
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affrontare e, se possibile, a superare il carico di sofferenza che il disagio psichico<br />
comporta; inoltre, quando essi guidano un gruppo di pazienti (come, ad esempio, lo<br />
psicodramma a cui Greta partecipa) essi aiutano anche le persone affette da varie<br />
patologie a rispettarsi e a socializzare, anche se tutto ciò non è affatto semplice né<br />
scontato (e ne è una prova l’accoglienza non molto benevola che Greta mi aveva<br />
riservato la volta scorsa). Al termine dell’intervista, questa volta Greta mi ha sorriso<br />
e ha concluso il suo discorso dicendo: “anche tu hai provato che cos’è il disagio psichico”.<br />
Il ricordo negativo dello scorso incontro è stato cancellato; Greta., trovandosi<br />
meglio con sé stessa sta meglio anche con gli altri, e viceversa: l’affetto che i figli<br />
e gli amici le danno l’aiuta a migliorare.<br />
Voglio sperare che ciò si verifichi anche per me, che ho molte remore e difficoltà, ad<br />
esempio, a partecipare ad un soggiorno per pazienti psichiatrici che si svolgerà a settembre<br />
p.v., perché non sempre vado d’accordo con gli altri pazienti e inoltre temo<br />
che qualcuno, approfittando della mia disponibilità, si leghi a me in modo simbiotico<br />
togliendomi la libertà. Contando sull’appoggio dello psichiatra e degli altri operatori<br />
ho detto sì a questo progetto, e chissà che anche per me, come per Greta,<br />
l’esercizio della socializzazione e un paziente apprendimento a tenere la giusta<br />
distanza emotiva e relazionale dagli altri, portino frutti di armonia e pacificazione<br />
interiore ed esteriore.<br />
. Le interviste a Chiara<br />
Prima intervista: 8 aprile 2003<br />
parte seconda<br />
Oggi Laura ed io abbiamo intervistato Chiara, una ragazza che tra poco<br />
compirà 32 anni. Quando Laura l’ha contattata, Chiara ha detto che non desiderava<br />
che andassimo a casa sua, perciò il colloquio si è svolto in aula della<br />
facoltà di Psicologia in corso San Maurizio.<br />
Chiara è disoccupata da circa 2 anni e soffre di una forma di depressione che<br />
è iniziata dopo la morte del padre, avvenuta nell’anno 2000. Chiara ha una<br />
sorella. Si ricorda ancora con sofferenza della vita con il padre che era etilista,<br />
in particolare rammenta un episodio avvenuto a Capodanno, quando egli non<br />
volle recarsi a cena dai parenti. Al loro ritorno a casa lei e sua madre dovettero<br />
scappare, sotto la pioggia, perché il padre, ubriaco, era pericoloso per la loro<br />
incolumità. Chiara ci ha parlato dei ricoveri che ha avuto in tre strutture pubbliche<br />
(Villa Cristina, Villa Turina e Villa Augusta). È stata a Villa Cristina<br />
parecchi anni fa, quando aveva 18 anni, a Villa Augusta nel febbraio 2003,<br />
dopo aver tentato il suicidio ingerendo un super-alcolico e degli psicofarmaci.<br />
È soddisfatta delle terapie a cui è stata sottoposta a Villa Turina, ove è stata<br />
curata sia per i disturbi psichici che per il problema dell’obesità, che l’affligge<br />
da tempo. A Villa Cristina e a Villa Augusta, invece non si è trovata bene; nella<br />
pri ma struttura le davano moltissimi psicofarmaci, fino a renderla com ple ta -<br />
men te abulica, passiva; nella seconda ella era in una camerata con altre pazienti<br />
mol to gravi, che disturbavano la sua quiete e il riposo notturno.<br />
Chiara ha iniziato a lavorare a 17 anni, facendo la collaboratrice domestica.<br />
Dopo le medie ha intrapreso gli studi alberghieri, ma non li ha conclusi. Ci ha
detto di avere un curriculum ricco di esperienze di lavoro (pulizie per conto di<br />
imprese, lavoro come barman...). Purtroppo nel momento attuale la depressione<br />
è forte ed ella sta seguendo le indicazioni della psichiatra e della psicologa<br />
che la curano, le quali le hanno consigliato di attendere di essere in condizioni<br />
psicologiche più favorevoli per iniziare una nuova esperienza lavorativa.<br />
Chiara è molto desiderosa di lavorare, anche perché vuole aiutare economicamente<br />
la sua famiglia, e attende che a Torino si riaprano le iscrizioni ai cantieri<br />
di lavoro del Comune (che offrono attività di manutenzione dei giardini,<br />
pulizie stradali...). Giovedì 10 aprile p.v. Chiara inizierà a partecipare a riunioni<br />
al Centro Diurno della su ASL, insieme ad altri pazienti, con la guida di una<br />
psicologa, sul problema del lavoro.<br />
Tra la storia di Chiara e la mia storia ci sono, indubbiamente dei punti di contatto.<br />
Come me, Chiara vive con la madre anziana e il padre è morto recentemente (suo<br />
padre nel 2000, il mio nel 2001). La sofferenza psicologica benché con aspetti diversi<br />
è comune ad entrambe. Chiara è forse più tenace di me nel non darsi per vinta e<br />
nel desiderare di intraprendere un’attività lavorativa, non appena le sue condizione<br />
psicologiche glielo permetteranno. A differenza di Chiara, io non ho problemi economici<br />
impellenti, perché mia madre sopperisce alle necessità economiche con la sua<br />
pensione. Come Chiara ho tentato il suicidio, ma ne ho un ricordo diverso dal suo.<br />
Chiara se lo rammenta con dolore e senso di ripugnanza, forse nell’ingerire psicofarmaci<br />
e superalcolici lei imitava senza volerlo il padre, nel suo abuso di sostanze<br />
alcoliche. Io ricordo la tentata intossicazione con psicofarmaci come un tentativo per<br />
chiedere aiuto, che ha avuto anche un effetto liberatorio, in quanto mi permetteva<br />
di “gridare” la mia sofferenza e di esporla all’attenzione degli altri. Tuttavia, anch’io<br />
concordo con Chiara nel ritenere che tale gesto è grave e non voglio più ripeterlo.<br />
Per quanto riguarda il mio ruolo di esperto nativo, la solita timidezza mi ha accompagnato<br />
nel seguire l’intervista e nell’intervenire. Sono contenta che tra me, Chiara<br />
e Laura, la ricercatrice sociale con cui collaboravo per la prima volta in qualità di<br />
esperto “grezzo” (la quale ha voluto condividere con noi una parte della sua vita<br />
famigliare) si sia creato un clima di confidenza e di rispetto reciproco.<br />
Seconda intervista: 11 luglio 2003<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
A distanza di circa tre mesi Laura, la ricercatrice sociale, ed io abbiamo<br />
incontrato ed intervistato Chiara, una ragazza di trentadue anni. Chiara ha<br />
fatto un notevole sforzo di volontà per presentarsi all’intervista, perché attualmente<br />
sta di nuovo attraversando una fase depressiva, anche se per lei qualcosa<br />
è cambiato in meglio: attraverso i cantieri di lavoro, ha trovato un impiego<br />
annuale, e si sta occupando di manutenzione giardini in alcuni asili nido, e<br />
della verniciatura della cancellata di una ludoteca a Torino.<br />
Come per le precedenti persone intervistate, la ricercatrice sociale ha ripreso<br />
il discorso dal completamento della storia di vita, in particolare da quanto<br />
riguarda le origini della famiglia. Chiara ci ha detto che la mamma è originaria<br />
della Sicilia e suo padre, deceduto due anni fa, era nato in Sardegna. I suoi<br />
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parte seconda<br />
genitori sono immigrati in Piemonte prima del matrimonio, che è av venuto a<br />
Torino. Suo padre era operaio; la madre ha svolto diversi lavori.<br />
Chiara ha, oltre alla sorella, di cui ci aveva parlato la volta scorsa, anche due<br />
fratelli, uno dei quali vive in Sardegna con uno zio. Chiara è l’unica figlia che<br />
a bita ancora con la madre. Chiara non ci ha raccontato la sua infanzia, ma ci<br />
ha rivelato un aspetto della sua personalità che l’ha fatta sentire diversa e an -<br />
co ra oggi aggrava la sua solitudine: si tratta della sua inclinazione e preferenza<br />
per le persone del suo stesso sesso, inclinazione di cui si è resa conto negli ulti -<br />
mi anni delle scuole elementari.<br />
Per quanto riguarda il disagio psichico, Chiara ci aveva parlato, la volta<br />
scorsa, di un ricovero in clinica psichiatrica a diciotto anni; questa volta, in -<br />
vece, ha iniziato la storia della sua malattia dal periodo immediatamente prima<br />
a dopo la morte del padre, con cui aveva un rapporto un po’ difficile ma a cui<br />
era molto legata. Il padre sapeva da un anno di avere un tumore, ma non ne ha<br />
mai parlato alla famiglia, che lo ha saputo la sera prima che egli si sottoponesse<br />
ad un intervento chirurgico. Qualche mese prima che il padre si aggravasse,<br />
Chiara ha iniziato a sentirsi depressa, perché non aveva amicizie e da quattro<br />
o cinque anni era disoccupata; tuttavia il suo malessere è esploso quando, con<br />
la morte del padre, è morta una parte di lei. Chiara si è chiusa in sé stessa, ha<br />
iniziato a cercare compensazione nel cibo e nel bere, finché non si è decisa a<br />
chiedere aiuto personalmente agli operatori del CSM di zona, che aveva già<br />
preso in cura da qualche anno sua sorella. Proprio per quest’ultimo fatto, sem -<br />
brava che Chiara non potesse essere curata da loro, ma poi la cosa si è risolta<br />
po sitivamente. Due operatrici del servizio psichiatrico hanno cercato di curarla<br />
a casa con i farmaci, poi però è stato necessario il ricovero in una struttura.<br />
Le pri me medicine che Chiara ha assunto le causavano un effetto di abbattimento<br />
e di ulteriore depressione, unito ad un’azione calmante. Poi è stata<br />
cambiata la cura, che continua tuttora con le iniezioni quindicinali. Chiara non<br />
rimprovera nul la agli operatori che si sono presi cura di lei. La seguono una<br />
psichiatra e una psicologa, con colloqui settimanali. Con la psichiatra, ella<br />
parla del l’an da mento delle cure farmacologiche e della sua attività lavorativa,<br />
per circa dieci minuti. Alla psicologa ella racconta dettagliatamente la sua vita<br />
per circa tre quar ti d’ora. A volte, Chiara ha ricevuto spiegazioni esaurienti sui<br />
farmaci che as sumeva; talvolta invece il farmaco le è stato somministrato senza<br />
fornirle nes suna spiegazione. Il suo giudizio sulle persone che operano nel<br />
CSM è po sitivo. Riguardo al servizio che le viene fornito, Chiara desidererebbe,<br />
in par ti colare dall’assistente sociale, una maggiore attenzione per l’inserimento<br />
lavo ra tivo e per la difficile situazione economica sua e della madre, che<br />
le sembra ricevano meno aiuto rispetto ad altre famiglie della stessa zona.<br />
Chiara pensa di parlare di questi problemi all’assistente sociale e di chiederle<br />
un aumento del sussidio. Da quando è morto il padre, Chiara si occupa della<br />
gestione eco no mi ca per sé e per sua madre (ad esempio del pagamento delle<br />
bollette) ed è preoc cupata per le sue condizioni economiche; ella desiderereb-
i diari dei co-intervistatori<br />
be anche mettere da parte qualcosa per il futuro. Dopo aver superato la fase<br />
più intensa di disagio psichico, Chiara ha cercato lavoro telefonando ad agenzie<br />
interinali, perché in quel periodo non usciva di casa, e senza ottenere risultati.<br />
A maggio 2003 ha iniziato a lavorare in un cantiere di lavoro del Comune<br />
di Torino. Si tro va bene con il responsabile, che la incoraggia e la stimola a non<br />
smettere, no nostante la sua depressione attuale. A volte i rapporti con i colleghi<br />
di lavoro sono difficili perché Chiara non riscontra solidarietà da parte loro<br />
(si è infatti confidata con qualche collega riguardo ai suoi problemi psichici, e<br />
alcuni di lo ro sono stati comprensivi, altri no). Ella riconosce che in certe occasioni<br />
si rap por ta a loro con atteggiamento polemico. Il lavoro per lei è talvolta<br />
psi co lo gi ca mente e fisicamente faticoso, perché comporta l’impegno di<br />
alzarsi pre sto al mattino, di sopportare il caldo, di tagliare poi raccogliere l’erba<br />
con il ra strello. Con il compito, recentemente affidatole dal responsabile,<br />
della verni cia tura, il lavoro è divenuto meno pesante e le permette di fare qualche<br />
pausa all’om bra. Quando pensa al futuro, Chiara purtroppo è oppressa dal<br />
suo de si derio di suicidio, di cui ha parlato più volte durante l’intervista, ma ha<br />
anche un sogno: lavorare in un bar “carino”. La settimana tipo di Chiara si<br />
svolge preva lente mente nel luogo di lavoro (dalle 8,30 alle 14), poi ella va a<br />
casa a riposare e a ri flet tere in solitudine. Mantiene i contatti con un’amica e<br />
con la zia (sorella del la mamma e sua madrina). Il rapporto con sua sorella è<br />
interrotto da un po’ e il parlarne costituisce per Chiara. un motivo di crisi.<br />
Chiara non ha voluto darci una definizione della malattia mentale; ha sol -<br />
tanto accennato che è “qualcosa che tocca la funzione del cervello”. Oltre ai<br />
far maci, Chiara pensa che per guarire avrebbe bisogno di reagire; lo stimolo a<br />
reagire le verrebbe da una vita diversa, con amicizie, rapporti sociali, un lavoro<br />
gra tificante: fattori che potrebbero, a suo giudizio, sostituire le medicine.<br />
Chiara infatti desidererebbe giocare a calcetto (o calcio femminile) come fa -<br />
ceva da ragazza, sudare in palestra, e avere la possibilità di mandare sua madre<br />
in vacanza al mare. Chiara sente la sua solitudine affettiva, ma non le va di fre -<br />
quentare i locali per sole donne consigliati dalla terapeuta, perché vorrebbe vi -<br />
vere una storia con una compagna in modo privato, senza sbandierarla ai quat -<br />
tro venti. Ritiene che, riguardo al problema della malattia mentale, come per<br />
i rapporti affettivi, ci sia molta ignoranza e la tendenza - erronea - a iden ti fi -<br />
care il problema psicologico con la pazzia<br />
L’incontro con Chiara è stato per me gravido di sofferenza, perché l’intervistata ha<br />
detto con chiarezza che il suo principale desiderio attuale è quello di morire. Io oltre<br />
ad aver tentato il suicidio con gli psicofarmaci nell’ottobre 2000, ho anche cono sciu -<br />
to, sia personalmente che attraverso la testimonianza di amici, persone che si sono<br />
tolte la vita. Tali fatti mi hanno dimostrato quanto gli operatori della salute mentale<br />
e i familiari siano talvolta impotenti nel soccorrere chi è gravemente de presso. La<br />
persona si ritrova in un vicolo cieco, si sente senza scampo, senza possibili ri sorse né<br />
vie d’uscita per risolvere i problemi esistenziali e tutto ciò, unito allo squi librio del<br />
funzionamento dei neuromediatori cerebrali, può portare ad un atto disperato. In<br />
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ogni caso, bisogna intervenire prima che il peggio accada. La situazione di Chiara è<br />
un po’ preoccupante, sia per le difficoltà che ella trova nel lavoro da poco intrapreso<br />
(il cui compenso le sembra serva soltanto a pagare le bollette), sia per la sua solitudine<br />
affettiva, legata alla sua latente omosessualità, e alla mancanza di mo menti<br />
ricreativi e gratificanti. Per fortuna, la psicologa e la psichiatra che la seguono sono<br />
molto attente, e anche il coordinatore dei cantieri di lavoro ha preso a cuore Chiara<br />
con i suoi problemi. Ènotevole che Chiara abbia già tentato il suicidio con psicofarmaci<br />
nel febbraio di quest’anno, quindi pochi mesi fa... la volta scorsa Chiara ci<br />
aveva anche detto che ricordava tale gesto con dolore e senso di ripugnanza.<br />
Di fronte a tale esperienza che tende a ripetersi, nonostante la consapevolezza do -<br />
lorosa del soggetto, mi viene in mente una frase dello psicanalista James Hillmann:<br />
“l’anima è costretta ad ammalarsi sempre di nuovo, finché non ha ottenuto ciò che<br />
vuole” 109 . E Hillmann continua: “il terapeuta dedica le sue cure all’anima, ai sogni e<br />
ai sintomi appunto per scoprire cosa vuole l’anima; cerca il mito del sintomo, rintraccia<br />
la fantasia e il desiderio, perché nel comportamento sintomatico (nel sintomo)<br />
si trovano i segni del telos dell’anima e le direzioni in cui essa vuole andare. Il<br />
sintomo non è, allora, solo una sofferenza, ma è soprattutto una possibilità che ci è<br />
offerta” 110 . Mentre scrivo queste frasi penso anche alla mia sofferenza, ai lunghi anni<br />
di psicoterapia, ai miei sintomi palesi e a quelli nascosti per paura del giudizio della<br />
gente... poi mi viene ancora in mente Chiara e decido di pregare per lei, di pensare<br />
a lei, nella speranza di esserle utile in qualche modo. Anch’io come Chiara sento che<br />
non ho risolto molti problemi, specialmente a livello affettivo, di relazione... ma<br />
diversamente da lei non sono ancora riuscita ad affrontare il lavoro. Per tutto il<br />
resto, devo continuare a vivere giorno per giorno come posso, non inter rompere il<br />
lavoro della psicoterapia, apprezzando le piccole cose positive che la vita mi offre,<br />
senza aver paura dei sintomi e del lato più oscuro di me. La sofferenza (entro certi<br />
limiti, s’intende) è una scuola di vita e una sfida a cui devo sottopormi senza perdere<br />
la speranza di cambiare la mia situazione. La ricercatrice sociale mi ha detto che<br />
durante l’intervista ero molto attenta e sono stata pronta nel rivolgere le domande.<br />
Sì, una piccola consolazione è poter rico noscere che mi sto impegnando nel contribuire<br />
a questa ricerca che - spero - darà dei frutti.<br />
. Le interviste a Ilaria<br />
Prima intervista: 16 maggio 2003<br />
parte seconda<br />
Oggi, 16 maggio, la ricercatrice sociale Danila ed io abbiamo intervistato<br />
una giovane donna (che chiamerò Ilaria), la quale ci ha parlato della sua storia,<br />
in particolare del manifestarsi, dal ‘93 in poi, del disagio psichico: consistente<br />
in attacchi di panico (che la paralizzavano e la rendevano dipendente da altri<br />
per quanto riguarda gli spostamenti, sia a piedi che sui mezzi di trasporto) e<br />
della sua esperienza lavorativa. Il disturbo da attacco di panico o D.A.P. 111 iniziò<br />
quando la ragazza era studentessa universitaria, dopo un anno in cui si<br />
erano verificati eventi stressanti, tra cui la fine di una relazione sentimentale e<br />
un lutto. Ilaria rischiava di non poter proseguire gli studi, ma non si diede per<br />
vinta e continuò a dare gli esami che era possibile sostenere senza frequentare.<br />
Suo padre oppure persone amiche l’accompagnavano nei suoi spostamenti,
i diari dei co-intervistatori<br />
che per motivi fobici (paura che si manifestassero gli attacchi) erano diventati<br />
rari. Il medico di base e, più tardi, una psichiatra le diedero degli ausili farma -<br />
cologici. L’apporto della psichiatra fu molto importante, perché ella ebbe<br />
un’in fluenza positiva su Ilaria e riuscì a stimolarla a prendere la patente.<br />
Terminati gli studi con la laurea, per Ilaria si trattava di affrontare il tirocinio<br />
post-laurea, ed ella non ebbe il coraggio di parlare con il suo tutor dei suoi<br />
problemi, ma finse di essere in buone condizioni di salute. Nel primo la vo ro,<br />
che consisteva in un’attività di recruitment per conto di un’azienda, ella poté<br />
coinvolgere il suo ragazzo, poiché la ditta desiderava assumere una se con da<br />
persona, e ciò fu un fattore facilitante. Ilaria, ancora una volta, nascose il suo<br />
disagio psichico per non compromettere il lavoro. Dovendo poi lavorare per<br />
una ditta di Milano, e dovendo compiere degli spostamenti per conto della dit -<br />
ta stessa, ella chiedeva a suo padre di accompagnarla, per poter avere un ap -<br />
pog gio che tuttavia doveva rimanere celato ai suoi datori di lavoro. Una volta,<br />
però, l’usciere dell’albergo parlò, di fronte ad un collega di Ilaria, della pre -<br />
senza del padre della ragazza. Il collega non riferì questo fatto ai datori di la -<br />
voro, ma dopo quell’episodio Ilaria si rese conto che il sistema di farsi ac com -<br />
pagnare non era soltanto dispendioso (la ditta pagava la trasferta a lei, ed ella<br />
doveva pagare per suo padre), ma anche terribilmente ansiogeno, e si licenziò.<br />
In seguito alla morte di una cugina per suicidio, Ilaria diede inizio ad una<br />
nuova fase della sua vita, caratterizzata da una maggiore apertura a nuove esperienze<br />
e a nuove relazioni con gli altri. Dopo un lavoro in un call center, Ilaria<br />
ha trovato un lavoro interinale in cui finora non le è stato chiesto di fare viaggi.<br />
Ancora oggi, Ilaria non parla con il suo datore di lavoro del suo disagio; tuttavia<br />
qualcosa per lei è mutato: ella è cresciuta nell’accettazione di sé e della<br />
sua fragilità e dice che, se pensa a quando era incapace perfino di attraversare<br />
la strada, si rende conto che il peggio è ormai passato.<br />
Terminata l’intervista, ho constatato che, ancora una volta, la ricercatrice sociale ed<br />
io abbiamo scandagliato una vicenda umana da cui emerge tanta sofferenza. Questo<br />
tipo di interviste, infatti, ci porta a scendere nell’abisso di dolore che l’altro, l’in -<br />
tervistato, ha attraversato o sta attraversando. Ilaria ci ha parlato di un “calvario”<br />
fatto di compromessi con la verità, di dipendenza dai famigliari (soprattutto dal pa -<br />
dre, che ha condiviso le sue vicissitudini) e dagli amici; ed ora c’è un leit motiv: non<br />
puoi parlare al datore di lavoro del tuo disagio psichico, altrimenti sei tagliato fuori<br />
e non lavorerai mai. Anche per me non è stato facile parlare del mio disagio psichico,<br />
ad esempio quando ho iniziato a frequentare il corso A.D.E.S.T. nel 2001. Ho<br />
spie gato la mia situazione al medico legale, durante la visita a cui dovevamo sottoporci<br />
a scuola per la prima volta dopo aver superato il colloquio di selezione ed una<br />
prima visita in cui avevo taciuto il mio malessere. Egli mi ha detto che la mia non<br />
era una bella situazione e che dovevo mettermi in contatto con la monitrice del<br />
corso, cosa che ho subito fatto. Oltre che con la monitrice, e grazie a lei, è stato possibile<br />
par lar ne con le insegnanti di psicologia e di psichiatria. Mi sono sentita accolta<br />
ed aiu tata. Tuttavia, terminata la scuola, non ce l’ho fatta ad andare a lavorare,<br />
anche per ché durante il tirocinio era emersa la mia fragilità, e la responsabile della<br />
189
190<br />
cooperativa ove avevo svolto una parte del tirocinio mi giudicava inadatta a lavorare<br />
come A.D.E.S.T. a domicilio. Ho poi contattato l’assistente sociale dell’ambulatorio<br />
psi chia trico, la quale mi ha detto che, prima di lavorare otto ore al giorno in<br />
una casa di riposo, devo sperimentare un lavoro più semplice, possibilmente parttime.<br />
Ed ora eccomi nel progetto Alphaville, in cui sono stata accettata e valorizzata<br />
pro prio perché ho un’esperienza di disagio psichico, ma dopo che cosa sarà? Per<br />
quanto ri guarda gli attacchi di panico, io ne ho avuti pochi, ma ho potuto comprendere<br />
ciò che Ilaria raccontava riferendomi a quanto letto sull’opuscolo pubblicato<br />
dal l’As sociazione Piemontese per la Ricerca sulla Depressione 112 , che ne descrive<br />
bene i sintomi e le conseguenze. Mi sono sentita molto in sintonia con Ilaria, perciò<br />
in que sta intervista sono stata meno timida, più decisa nell’intervenire rispetto alle<br />
inter viste precedenti. Il messaggio che Ilaria mi ha lasciato è questo: è importante<br />
avere il co raggio di andare avanti, nonostante i limiti che possiamo riscontrare in noi<br />
stessi e che potrebbero diventare un handicap. Ilaria ha ammesso che chi soffre di<br />
disagio psichico è preso dalle sue problematiche e non potrebbe pensare al lavoro.<br />
Tuttavia ha anche affermato che la sua esperienza di di sagio l’ha resa più sensibile<br />
nei con fronti delle persone con problemi simili: spesso ella sa riconoscere a prima<br />
vista una per sona che sta male, fa di tutto per aiutarla e soffre perché si sente partecipe<br />
del suo malessere. Come dice una frase di cui non conosco l’autore “il miglior<br />
medico è un medico ferito”, colui che conosce la debolezza altrui perché la sperimenta<br />
personalmente. Come Ilaria, anch’io spero che in futuro negli ambienti di<br />
lavoro ci sia una maggiore comprensione nei confronti di chi soffre psicologicamente,<br />
ovvero che si possano esporre i propri problemi, sapendosi tutelati da persone che<br />
cu stodiscono il segreto professionale. Mi au guro anche che si possa attuare una pre -<br />
ven zione del disagio, operando negli am bienti educativi (specialmente la scuola e la<br />
fa miglia).<br />
Seconda intervista: 5 luglio 2003<br />
parte seconda<br />
Nella nostra seconda intervista guidata, il 25 giugno u.s., la ricercatrice<br />
sociale ed io abbiamo ritrovato Ilaria, una giovane donna che avevamo incontrato<br />
per la prima volta in data abbastanza recente, ovvero nel mese di maggio.<br />
L’intervista avrebbe dovuto svolgersi al Dipartimento di Scienze Sociali, ma<br />
la stanza a noi destinata non era accessibile a causa della mancanza della chiave<br />
stessa, così abbiamo deciso di recarci a Palazzo Nuovo, ove abbiamo trovato<br />
un’aula vuota in cui abbiamo potuto lavorare senza essere disturbate. Per<br />
quanto riguarda le informazioni sul retroterra culturale, ovvero il completamento<br />
della storia di vita di Ilaria, anche qui - come nell’intervista precedente<br />
alla signora Ester - è emersa un’esperienza di emigrazione dei genitori, intorno<br />
agli anni ‘60, dalla Sicilia a Torino, per motivi di lavoro.<br />
Quando Ilaria è nata, i genitori erano entrambi occupati e perciò un po’<br />
assenti nel rapporto con lei e con sua sorella (maggiore di sei anni). Della sua<br />
infanzia, Ilaria ricorda i momenti in cui si mangiava insieme come non particolarmente<br />
felici, e dice che l’alloggio dove vivevano era piuttosto buio, come<br />
se l’atmosfera psicologica influenzasse quella fisica.<br />
Il malessere di Ilaria si è manifestato, in maniera conclamata, sotto forma di
i diari dei co-intervistatori<br />
attacchi di panico, soltanto nel novembre ‘93, quando la ragazza frequentava<br />
l’Università. La volta scorsa Ilaria ci aveva già detto che quell’anno era stato<br />
carico di eventi stressanti: un lutto familiare, la fine di una relazione sen timen -<br />
tale, la perdita di un animale domestico e, come ha aggiunto ora, il ma trimonio<br />
della sorella. Ilaria ha paragonato il manifestarsi del suo disagio all’esplosione<br />
di una pentola a pressione. Dopo essersi rivolta alle amiche, Ilaria ha<br />
provato ad assumere un farmaco ansiolitico che ha trovato in casa, di cui la<br />
mamma e la nonna facevano uso per curare l’insonnia, e ha ottenuto scarsi<br />
risultati. Quindi, d’accordo con i genitori, si è rivolta al medico di base ed è ap -<br />
prodata al Centro di Salute Mentale di zona (CSM). Qui le sono stati prescritti<br />
dei farmaci che le davano degli effetti collaterali all’inizio un po’ pesanti (ad<br />
es. per dita dell’equilibrio, sonnolenza, aumento di peso). Ilaria ci ha fatto os -<br />
ser va re che, allora, alcuni psicofarmaci anche costosi erano a totale carico del<br />
pa zien te. Fin dall’inizio Ilaria ha stabilito un buon rapporto con la psichiatra<br />
che si è presa cura di lei e ha cercato di mantenere l’alleanza terapeutica<br />
seguen dola nei suoi spostamenti di sede, da via Montevideo a Settimo T.se e<br />
infine in Corso unione Sovietica, 220. Ilaria è abbastanza soddisfatta delle<br />
prime cure, e anche delle cure attuali, ricevute al CSM, benché riconosca che<br />
ci sono dei limiti da superare (le strutture fatiscenti, la chiusura dell’ambulatorio<br />
il sabato e la domenica, la difficoltà da parte degli psichiatri a prendere in<br />
carico pazienti con patologie lievi ma comunque difficili da gestire da parte del<br />
soggetto). Ilaria non partecipa alle attività del centro diurno perché impegnata<br />
nel lavoro; nel tempo libero frequenta una palestra e due volte alla settimana<br />
incontra sua sorella. Èfidanzata; i suoi rapporti con le persone della famiglia<br />
e con il fidanzato sono buoni. Ilaria, che vive ancora con i genitori, riconosce<br />
che qualche difficoltà di convivenza deriva dal fatto che i genitori sono<br />
anziani. Ella afferma che, quando il suo disagio psichico era più grave, non si<br />
sentiva libera nei rapporti sentimentali, ma condizionata dalla sua debolezza<br />
che la induceva a chiedere aiuto e a vivere una relazione di dipendenza.<br />
Attualmente, come in passato, Ilaria discute con la psichiatra del tema del<br />
la voro, delle mansioni che svolge, del suo rapporto con i colleghi. Nel suo<br />
primo impiego, in cui svolgeva attività di recruitment per conto di un’azienda,<br />
Ilaria ha provato molte paure: temeva infatti di essere mandata in trasferta, di<br />
dover dare passaggi in auto ai colleghi perché non si sentiva sicura nella guida,<br />
di avere crisi d’ansia e di rivelare perciò la sua patologia; insomma, come ci ha<br />
detto, ha sperimentato “un’angoscia totale”. Nonostante ciò la sua vita lavorativa<br />
è andata avanti; in particolare, in questo primo lavoro un fattore facilitante<br />
è stata l’assunzione del suo ragazzo di allora fra il personale della stessa a -<br />
zienda. I rapporti di Ilaria con i colleghi sono stati e sono tuttora super ficiali:<br />
el la cerca di mantenere le distanze per non dover rivelare la sua espe rien za di<br />
di sagio. Circa un anno fa, grazie ad un amico, Ilaria ha saputo che una dit ta<br />
cercava personale; si è presentata ed è stata assunta con contratto inte rinale.<br />
Ora fa parte di un ufficio informazioni per i clienti interni (agenti di vendi-<br />
191
192<br />
parte seconda<br />
ta e colleghi di lavoro). Le sue angosce e paure si manifestano ancora adesso,<br />
ad esempio nel fare il tragitto con i colleghi verso il luogo della mensa e nello<br />
stare insieme a loro, per timore che le vengano fatte domande intrusive; inoltre<br />
Ilaria teme che le vengano chiesti dei trasferimenti temporanei in una filiale<br />
della Lombardia, sorta dopo la sua assunzione. Per quanto riguarda le sue<br />
aspettative professionali per il futuro, Ilaria spera di ottenere un contratto a<br />
tempo indeterminato.<br />
Abbiamo chiesto a Ilaria la sua opinione sulla malattia mentale, ed ella ci ha<br />
detto che è come “una nuvola opprimente sulla testa”; è qualcosa che ti logora,<br />
che tende a soffocarti. Oltre ai farmaci, Ilaria pensa che una terapia di gruppo<br />
l’aiuterebbe a star meglio; anche l’entrare semplicemente in contatto a<br />
livello pubblico - di persona o attraverso l’e-mail - con altri che hanno i suoi<br />
stessi problemi sarebbe per lei un sollievo. Ritiene che l’agiatezza economica<br />
sia un aiuto in più per affrontare le spese medico-farmacologiche, quando non<br />
sia possibile trovare aiuto nelle strutture pubbliche. Per Ilaria le persone che<br />
non hanno mai avuto problemi psichiatrici tendono a non credere a chi li ma -<br />
nifesta, oppure a dividere i malati in due categorie: gli “esauriti” (che sono<br />
recuperabili) e i “pazzi” (non recuperabili). Non c’è, a suo giudizio, una cultura<br />
del rispetto della diversità e del disagio, bensì ella riscontra “una patina di<br />
disinteresse”.<br />
Ascoltando e guardando Ilaria durante l’intervista, ho percepito in lei una<br />
certa serenità e felicità, al di là del disagio psichico ancora presente; ho avuto<br />
la sensazione che Ilaria, dopo aver attraversato il tunnel del manifestarsi in<br />
forma grave della malattia, e dopo aver percorso un lungo tratto di strada faticosa<br />
per non lasciarsi abbattere, ora inizi un po’ a rilassarsi e ad ammirare il<br />
paesaggio che le sta intorno. Ne è la prova il fatto che i rapporti con i familiari<br />
e con il fidanzato sono sereni, e che ella ci abbia anche chiesto di farle sapere<br />
i risultati della ricerca sociologica che stiamo svolgendo, dimostrando così il<br />
suo interesse per la realtà che la circonda.<br />
Certamente, rimangono le piccole sfide quotidiane (lo stare con i colleghi<br />
senza rivelare le sue debolezze, il temere richieste di viaggi per conto del datore<br />
di lavoro), ma Ilaria ha al suo fianco una psichiatra che l’aiuta a fare piccoli<br />
passi verso una maggiore pacificazione interiore. Con la sua particolare sensibilità<br />
e competenza professionale (la laurea in Psicologia e l’esperienza vissuta),<br />
Ilaria ci ha indicato limiti strutturali dei CSM e atteggiamenti diffusi nella<br />
società che certo non aiutano chi soffre di disagio psichico: l’apertura dei CSM<br />
soltanto nei giorni feriali, la noncuranza della gente e anche di alcuni medici<br />
verso chi manifesta forme di disagio lievi, l’emarginazione di chi ha disturbi di<br />
una certa rilevanza.<br />
Il sogno di Ilaria di poter venire allo scoperto in un gruppo di auto-mutuoaiuto<br />
o attraverso l’e-mail rivela la parte più utopica del suo modo di pensare;<br />
è strano che il desiderio di uscire dall’anonimato per parlare con altri del suo<br />
malessere venga espresso da chi attualmente fa di tutto per occultare il suo
disagio psichico. Tuttavia, anche questo aspetto è secondo me di segno positivo,<br />
perché ci dimostra quanto Ilaria creda che il traguardo che si prefigge non<br />
è impossibile, e che le cose potrebbero davvero andare meglio.<br />
Per quanto mi riguarda, durante l’intervista a Ilaria che si è svolta dopo una mattinata<br />
per me molto stressante, in cui si sono manifestati i sintomi del mio ma lessere<br />
psichico, vedendo la sua serenità ho gioito con lei, e ho notato che ella stava meglio<br />
anche rispetto al nostro precedente incontro. Ho però avuto difficoltà a im me -<br />
desimarmi nel racconto di Ilaria e nelle sue risposte, vedendo che ella ha rag giunto<br />
traguardi, quali il lavoro e il miglioramento dello stato di salute, che per me sono<br />
ancora lontani. La distanza psicologica, forse eccessiva, che ho conservato du rante<br />
l’intervista mi stava rendendo difficile la redazione di questo diario; ancora una vol -<br />
ta l’apporto della ricercatrice sociale, che mi ha dato la possibilità di parlare con lei<br />
dei contenuti e degli aspetti emotivi dell’intervista, è stato fondamentale. È stato os -<br />
servato che è più facile piangere con chi è nel dolore che non gioire con chi è fe lice,<br />
e con questa esperienza ho riscontrato ancora una volta la verità di questa affer -<br />
mazione. Nonostante queste difficoltà, vorrei conservare nel cuore il ricordo dell’in -<br />
contro con Ilaria come il segno che la speranza è possibile, per me, per le persone<br />
che fre quentano con me il CSM, per tutti coloro che sono affetti da disagio psichico.<br />
Forse questa intervista è un’esperienza insolita, per il contatto con una persona<br />
che sta abbastanza bene; tuttavia sento che mi può aiutare ad essere maggiormente<br />
otti mi sta e ad impegnarmi per migliorare la mia situazione.<br />
6.2. Il diario di David<br />
. Intervista a Biagio<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
Al Dipartimento di Scienze Sociali di Via S. Ottavio, un sabato mattina, la prima in -<br />
ter vista. Emozionato, un po’ teso ma pronto all’esperienza.<br />
Un ragazzo giovane, emozionato dall’intervista (davvero lo ero anch’io),<br />
racconta la sua storia incominciando dalle impressioni dell’infanzia, in famiglia<br />
vive il suo disagio con difficoltà, non riuscendo a instaurare un rapporto na tu -<br />
rale con la madre ne subisce le conflittualità attribuendo una sorta di negatività<br />
dal la famiglia di lei, la situazione famigliare non è delle più semplici; ha un<br />
pa dre che ha due lavori e il convivio non è positivo. A scuola incontra le prime<br />
dif ficoltà, si sente diverso, pensa molto e si confronta sentendo di non assomi -<br />
glia re agli altri, estraniandosi a tal punto da cercare di porre fine alle sue dif -<br />
ficoltà tentando un atto anticonservativo, il fiume, il suicidio, nella confusione<br />
della mente. Il convivere in famiglia con una sorella portatrice di un disagio<br />
tale da portarla all’anoressia, il rifiuto da parte della famiglia. Non si sente<br />
accettato e gli vengono attacchi di panico e cattivi pensieri tali da portarlo ad<br />
attacchi epilettici e quindi conseguenti ricoveri e assunzione di medicine al -<br />
quan to pesanti. Necessita più di un ricovero e tenta l’inserimento in una Co -<br />
ope rativa Sociale nella quale scopre un mondo nuovo, gli educatori e le edu-<br />
193
194<br />
parte seconda<br />
catrici che lo fanno sentire all’inizio a proprio agio ma in seguito in un certo<br />
senso imbavagliato in una situazione che poi lentamente lascerà, cercando rapporti<br />
e situazioni che lo impegnino in maniera normale e senza apparenti differenze<br />
da ciò che lui sente di avere. Stringe relazioni amichevoli che lo portano<br />
ad un lavoretto di volantinaggio, però il pensiero di quella negatività che<br />
lui vede riflessa nella famiglia lo turba riportandolo ai cattivi pensieri che lo<br />
tormentano e lo perseguitano vincolandolo nella sua vita quotidiana, nei rapporti<br />
umani e nella socievolezza con gli altri. Desidera un futuro nella normalità,<br />
nella quiete e nella pace dei pensieri, immaginando un lavoro semplice.<br />
Tenta di fare un corso di computer ma viene subito sco rag gia to e demotivato<br />
dal farlo perché troppo difficile e impegnativo a detta del con dut tore del<br />
corso. Tenta un contatto di lavoro in dei Cantieri tramite l’as si sten za sociale<br />
che lo aiuta ma resta in difficoltà perché ad un certo punto forse l’im pegno<br />
diventa troppo e inizia un periodo in cui si sente solo e senza appoggi.<br />
Ricorda volentieri l’amicizia con un educatore che piace anche al padre per -<br />
ché serio e affidabile, apprezza naturalmente le educatrici e all’interno della<br />
Co operativa si sente utile e attivo; ma desidera una vita normale, un quo -<br />
tidiano semplice come tutte le persone. Incontra la solitudine che combatte<br />
con difficoltà e angoscia. Tenta un primo soggiorno di vacanze un poco lon -<br />
tano dal contesto quotidiano incontrando delle resistenze e delle fru strazioni.<br />
In seguito riesce a conseguire un periodo abbastanza regolare e si sen te<br />
“gua rire”, si sente meglio e spera in bene, ma i cattivi pensieri ritornano a tor -<br />
men tarlo e a metterlo in difficoltà ostacolando il suo presente, ri por tandolo ad<br />
un ulteriore ricovero.<br />
Osservandolo nella sua timidezza non soltanto durante l’intervista mi è venuto da<br />
pensare che in effetti quando in casa hanno inizio delle difficoltà nei rapporti pa ren -<br />
tali nascono delle situazioni che lasciano dei segni; portando al pensiero forse di cer -<br />
care delle soluzioni, delle vie di fuga, una sorta di liberazione dalle abitudini non ac -<br />
cet tate e non seguite probabilmente a sufficienza perché mancano spesso tempo e<br />
pos sibilità. Quindi il senso di disagio resta in un certo senso appiccicato addosso<br />
por tando con sé la sensazione della diversità, della non conformità sia perché ci si<br />
sen te sbagliati e confusi, fuori posto e frustrati. In situazioni di vita sociale diventa<br />
dif ficile incontrare persone che capiscono e accettano, o che perlomeno accolgono<br />
chi porta un disagio psichico riconoscibile nelle movenze, dal modo di usare il linguaggio<br />
stesso. Nel modo di essere in generale, certamente a volte imbarazzato e<br />
incerto di fronte alla cosiddetta “normalità”; allora ad un certo punto ci si vede soli<br />
e si cerca aiuto come ad esempio andando da un psicologo ( trend di anni passati in<br />
cui era un must andare a fare la seduta dallo psicologo ) ma qui è diverso, qui c’è la<br />
ne cessita non solo di capirsi di più per vivere meglio, ma c’è veramente l’esigenza<br />
psi cologica di ricevere un aiuto, di avere delle indicazioni, una certezza, per liberarsi<br />
dalla difficoltà del pensiero, dall’ingarbugliamento mentale che rende la vita difficile<br />
e intricata, conferendole un senso di protratto fallimento e difficoltà e infine<br />
chia ma ta “ una vita negativa “. Nelle attività lavorative si incontrano le circostanze<br />
più ba nali, che vengono amplificate dal “continuo pensiero” che una persona che si
i diari dei co-intervistatori<br />
sente, o è in effetti diversa dai luoghi comportamentali comuni; portando con sé<br />
imbarazzi e ostacoli pratici nel conseguimento di un successo occupazionale costante<br />
e sicuro che permetta una qualità di vita accettabile e non demotivante e triste. Il<br />
forte desiderio di sentirsi accettati e compresi, per non vedersi esclusi dalle situazioni<br />
più banali come l’uscire la sera con un gruppo di persone o anche solo con un<br />
amico con il quale condividere desideri, intenzioni, progetti e speranze. I sogni che<br />
tutti noi facciamo in qualità preparativi di vita diventano tremendamente difficili da<br />
in qua drare restando a volte effettivamente irrealizzabili. Chi ha un disagio psichico<br />
lo rende a volte visibile a seconda della gravità, e anche se è “silente” porta la persona<br />
a tutte le difficoltà del caso: vita sociale, relazioni personali, impegni di carattere<br />
ricreativo e il lavoro stesso diventa spesso l’impegno più difficile da conseguire, perché<br />
il disagio toglie forze ed energie, confonde le cose rendendole spesso più difficili<br />
di quello che forse sono in realtà.<br />
A me personalmente questo ragazzo, quando parlava dei genitori e dell’ambiente<br />
“negativo” che ha detto di sentire mi ha fatto venire in mente i tempi in cui andavo<br />
alle medie nel quale già entrando in casa sentivo l’aria del malumore del malcontento<br />
e della tensione. Sapevo già anch’io che quel determinato giorno era successo<br />
qualcosa di spiacevole in mia assenza e spesso mi sentivo io la causa di tutto quello.<br />
Quella sensazione di forzata convivenza, di mancanza di serenità e certezza, di fiducia<br />
e solidità mi portava sempre una grande angoscia. Per quanto riguarda la socialità,<br />
in quel tempo ho avuto sì delle difficoltà, ma per cause che io non so spiegare<br />
del tutto, non ho mai incontrato grandi ostacoli. Ci sono stati anche per me dei lunghi<br />
periodi di pensieri pesanti e opprimenti, forse portati dalla speranza di volere dei<br />
genitori come tutti quelli che mi sembrava avessero i miei compagni di scuola; sereni<br />
felici di successo e affiatati; concentrati sui propri figli e attenti alle loro attività e<br />
necessità, poi sapevo che spesso anche per i miei compagni non era proprio sempre<br />
così. Per quanto riguarda il conseguimento degli studi ho interrotto in terza liceo<br />
scien ti fico e ho fatto un corso di lavoro artigianale. Mio padre mi diceva: “O studi o<br />
vai a fa re il muratore e basta!” Poi con l’intervento di mia madre sono riuscito ad<br />
evitare ta le lavoro pesante e faticoso potendo fare un’attività più adatta al mio carattere<br />
e al le mie potenzialità. In effetti però poi ho lavorato per tanti anni con discreta<br />
sod di sfazione, anche se i miei sogni erano certamente altri, forse più ambiziosi,<br />
ma è an da ta bene lo stesso tutto sommato non mi posso lamentare. Mentre l’intervistato<br />
par lava, in effetti mi sono reso conto che i cosiddetti “cattivi pensieri“ io li<br />
ho sem pre avuti ed erano molto brutti e angoscianti. Sarebbe bello se un giorno ci<br />
fosse una vera e facile possibilità di inserimento lavorativo costante e giustamente<br />
retribuita per chi porta disagio psichico, perché a mio parere avere un’occupazione,<br />
anche semplice ma sicura e non complicata dalle burocrazie vigenti è importante;<br />
perché si ha un impegno, quando conosci delle persone e ti si chiede: “E tu cosa fai<br />
nella vita?” si può rispondere con certezza e orgoglio: “Io faccio questo o quest’altro<br />
“ e riporre la stessa domanda: “E tu che fai di bello?“... Questo impegno di fare<br />
le interviste mi piace, mi dà soddisfazione anche se forse non ho abbastanza competenza<br />
nel descrivere il disagio psichico; però mi fa sentire occupato e utile a me stesso<br />
e dico: “Dopo tanto tempo sto facendo qualcosa di completamente diverso, inaspettato<br />
e molto interessante “. Un esperienza nuova e per me molto utile, perché<br />
posso scrivere come la penso, cosa provo facendo questo, quello che sento.<br />
195
196<br />
. Intervista a Rocco 7 marzo 2003<br />
parte seconda<br />
A casa dell’intervistato, quartiere popolare un venerdì mattina.<br />
Sempre emozionato ma questa volta un po’ più sicuro.<br />
Si arriva a dei palazzi piuttosto alti e siamo ricevuti dall’intervistato e da sua<br />
madre, in casa fervono lavori di restauro e siamo invitati in un salotto dove c’è<br />
un me raviglioso pianoforte che suonava la madre dell’intervistato. Io alla sua<br />
vi sta mi emoziono perché una volta ne possedevo uno a muro simile e nero co -<br />
me quello lì. Ci accomodiamo e inizia l’intervista. L’intervistato questa volta è<br />
un po’ più grande, e racconta della sua esperienza. È molto teso e invita la ma -<br />
dre ad uscire e a lasciarci soli. Ci racconta un’esperienza scolastica più com ple -<br />
ta, ricorda vagamente la mia nel senso che ha fatto anche lui degli anni al liceo<br />
scientifico e poi lavorando si è preso il diploma da geometra ( io non ci sono<br />
riuscito però ho lavorato lo stesso). In particolare la sua vita è stata regolare<br />
finché ha ad un certo punto ha iniziato a sentire delle voci. Ha lavorato per<br />
dieci anni con i libretti e ora attualmente è impiegato come disegnatore in un<br />
grande complesso. Parlando molto velocemente e in maniera piuttosto decisa<br />
racconta delle sue difficoltà, della crisi, di tangentopoli e del cambiamento di<br />
la voro. Ci racconta di avere una sorella con un disagio fisico molto importante<br />
e che però è impegnata e lavora in una Cooperativa. Ricorda molto la presenza<br />
del padre che è venuto a mancare, che lo ha invogliato e stimolato a fare<br />
il di se gnatore. Continuando parla di queste voci che lo disturbano e racconta<br />
di es ser attualmente in cura presso una psichiatra. Assume quotidianamente e<br />
con re golarità i farmaci e lavora di giorno, prende due pullman all’andata e due<br />
al ri torno. Raccontando ad un certo punto, un po’ imbarazzato ci espone un<br />
fatto e qui voco accadutogli con una ragazza. Fatto che lo ha penalizzato e<br />
allon ta na to dal lavoro per essere ricoverato. Non si dilunga molto e nel raccontarlo<br />
è in im barazzo fino ad un certo punto. Tutto sommato equivoci possono<br />
capi ta re a tut ti, ma in questo caso diciamo che è stato un po’ tacciato d’essere<br />
una per so na strana, diversa e che non sta tanto bene. Tant’è vero che sono<br />
state chi amate del le guardie e tramite questa donna e una sua complice ha<br />
subìto una certa pub blica e offensiva accusa che però lui ha sostenuto molto<br />
bene; in fat ti dopo un breve periodo di pausa dal lavoro è stato ripreso senza<br />
particolari com pli ca zioni. Ci racconta di amare il blues e la musica in generale<br />
e di avere rap porti so ciali abbastanza regolari e normali. È soddisfatto di<br />
quello che fa an che se ha do vuto subire un episodio abbastanza increscioso.<br />
D’altronde una si tuazione si mile potrebbe capitare a chiunque, banalmente in<br />
un ascensore suc cede un e qui voco e si accende magari un piccolo diverbio,<br />
però in questo caso lui è sta to obbligato ad un breve ritiro dal lavoro, a dei colloqui<br />
con un dot tore ec ce te ra. Tiene molto alla famiglia, alla madre e alla<br />
sorella ed è contento quando la sera si ritrovano tutti intorno al focolare dome-
i diari dei co-intervistatori<br />
stico. Il suo desiderio per il futuro è quello di avere una famiglia, una moglie e<br />
due figli; sostiene però che la co sa per lui non è così semplice perché vede la<br />
necessità di incontrare una dol ce metà che lo accetti per quello che è, con il<br />
suo disagio di cui ha il timore che le donne pensino che sia trasmissibile ai figli,<br />
per cui a tutt’oggi vive solo an che se frequenta degli amici con i quali a volte<br />
esce per passare delle serate.<br />
Non ci parla volentieri della sua difficoltà e piuttosto in seguito, quando<br />
l’in terrogativo è quello del suo futuro economico si sente rassicurato dal fatto<br />
che il padre ha lavorato per lui tutta la vita e che tramite la sorella può be ne fi -<br />
cia re di una pensione che è reversibile e questo lo fa diciamo stare tranquillo<br />
per quanto riguarda il suo andamento economico. Con la madre è piuttosto<br />
de ciso e fermo, è sicuro di se, spesso si schiarisce la voce e tossisce dal l’e mo -<br />
zio ne di essere intervistato.<br />
Io quando parla delle scuole che ha fatto mi emoziono un poco perché come già<br />
detto prima, la sua storia scolastica mi somiglia molto. Liceo scientifico, inter ru zio -<br />
ne lavoro con i libretti e alla sera a scuola a fare il corso per geometri e prendere il<br />
di plo ma. Bè lui in questo caso è stato più fortunato di me perché lo ha conseguito io<br />
per motivi della vita non ci sono riuscito, peccato perché mancavano poi solo tre me -<br />
si e adesso ce l’avrei anch’io. Penso al fatto che mi sarebbe poi piaciuto fare l’Uni -<br />
ver sità, magari storia del design o una cosa del genere; insomma creare non so dei<br />
com ponenti per arredare la casa, sedie forchette armadi e quant’altro.<br />
La cosa che invece mi ha colpito molto è stato il suo modo quasi ironico di narrarci<br />
di quel fatto accadutogli nell’ascensore e per il quale si sono smosse delle situazioni<br />
per lui, ma credo per chiunque a cui capiti una cosa simile, abbastanza pesante e dif -<br />
fi cile da sopportare e affrontare; non lo so il fatto che questa donna abbia usato a<br />
det ta sua una complice per accusarlo d’averla “molestata” quando poi lui dice che in<br />
realtà è stata lei a farlo, mah dico che quando forse una persona che ne so, ha lo<br />
sguar do o le movenze un po’ diverse dal comune attira forse di più l’attenzione e se<br />
non è più che bella o attraente, nel qual caso si dice che è perché è carismatica o af -<br />
fa scinante per cui non fa niente, se invece una persona è prettamente nella media,<br />
non particolarmente attraente, magari un po’ insicura o goffa e con lo sguardo dico<br />
per esempio un po’ teso, o diciamo lo pure “strano”, viene subito vista in maniera<br />
di versa e curiosa, quasi fosse fuori posto o lì nel momento più inopportuno, ed ecco<br />
che viene fuori tutto un crocevia di dubbi su di una persona che magari non ha fatto<br />
pro prio un bel niente.<br />
Sembra ed emana però qualcosa di strano, di inconsueto e quindi può spaventare e<br />
fa cil mente essere presa di mira per qualche motivo qualsiasi. A me una cosa così in<br />
particolare non è mai successa, però credo che ritrovarsi in una situazione anche<br />
imbarazzante per chiunque non dev’essere una bella cosa, Invece lui questo fatto lo<br />
ha superato dice molto bene e quindi diciamo che non è successo niente di grave.<br />
Quando non si è proprio conformi si rischia facilmente di essere fraintesi, anche<br />
pesantemente. Poi ci racconta la cosa bella, di voler una moglie e due bei figli,e questo<br />
io l’ho trova to molto bello perché nonostante le difficoltà, nonostante il suo disagio:<br />
le voci che lo mo lestano, la terapia che deve assumere quotidianamente, la paura<br />
che una donna non lo possa accettare perché secondo lui il disagio si vede ed è discri-<br />
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198<br />
minante ec ce tera, lui desidera una famiglia, dei figli da accudire, crescere e di cui<br />
prendersi cura. Mi ha colpito molto questa cosa. In seguito ci racconta di aver fatto<br />
la richiesta di avere la pensione per il lavoro e che non ci spera tanto perché secondo<br />
lui il suo di sagio non è cosi grave e che c’è gente che sta molto peggio di lui e che<br />
ne ha più bi so gno; bene penso che tutto questo sia in una persona in genere molto<br />
bello; il buon pensiero nonostante tutto; una certa buona visione della vita, il blues<br />
piace tanto an che a me perché è musica, e ascoltare della musica valida con lo schifo<br />
che tra smet to no in gran parte oggi come oggi non può che andar bene.<br />
Per quanto riguarda la pensione forse è vero che le cose dovrebbero essere diverse,<br />
più sveltite, più chiare e semplici soprattutto per chi porta quotidianamente un di -<br />
sa gio, sentendosi in difficoltà e non potendo avere tante certezze su cui contare.<br />
Trafiletto tratto da Segn/Ali. R, scrive: “È facile ricordare, com’è facile dimenticare,<br />
c’è la Vita di mezzo. La qualità del vivere e del piacere si fa vivendo, non so prav vi -<br />
ven do”. Credo che abbia proprio ragione.<br />
. Intervista a Vito<br />
parte seconda<br />
Incontro al Centro Psichiatrico in C.so Vercelli 15, al primo piano.<br />
L’appuntamento è nella prima mattinata, dopo le presentazioni ci organizziamo in<br />
una stanza del centro e Mario spiega le questioni sulla riservatezza dell’intervista, in<br />
se guito si incomincia con la prova microfono e davvero inizia l’intervista. Io sono<br />
sem pre un po’ teso perché cerco di immaginare quello che l’intervistato dirà e se le<br />
sue parole e la sua esperienza di vita somigliano poi alla mia; a quali reazioni im me -<br />
dia te posso avere io rispetto a quello che espone.<br />
Mario parte con la prima domanda generale sulla sua vita in genere e l’intervistato<br />
racconta di avere la depressione fin dai tempi della scuola, che no -<br />
nostante tutto riesce ad andare avanti prendendo il diploma di perito indu -<br />
striale con voti abbastanza alti, ma che nonostante l’impegno consegue con<br />
dif ficoltà e lentezza. Si iscrive all’Università e sul lavoro ha vari problemi che<br />
lo fa nno restare a casa spesso dopo poco tempo perché non riesce ad eseguire<br />
i la vori manuali con la giusta precisione. Conosce i meccanismi che creano la<br />
de pressione e chiede ulteriori conferme sulla sua teoria che riguarda l’energia<br />
men tale e il suo funzionamento. Cali e riprese di questa lo portano a vivere<br />
me glio o peggio a seconda dell’andamento. Qui per quando riguarda la de -<br />
pres sione credo che oltre a conoscerne magari i motivi scientificamente spie -<br />
gati e ormai diffusi dai mezzi di comunicazione, ognuno poi, magari si fa una<br />
pro pria teoria al riguardo, forse per dire che “sì la scienza dice così, ma se con -<br />
do me per quanto mi riguarda è per altri motivi”. Lui per esempio mantiene il<br />
pen siero sul calo o la crescita dell’energia mentale, perché pensa che la causa<br />
mag giore della sua depressione sia dovuta a questo.<br />
Come tutti anch’io ho una mia teoria, forse più semplice e meno scientifica, sia sul -<br />
l’energia e sia sulla depressione. Secondo me per quanto riguarda l’energia fisica e
i diari dei co-intervistatori<br />
men tale, sì parte tutto da una buona impostazione del pensiero, quando ad esempio<br />
ho i crolli depressivi che conosco ormai da decenni, cerco di affrontare il perché di<br />
quel momento di calo d’umore, svogliatezza, senso frustrante di inutilità e scon cen -<br />
tra zione totale. Spesso ormai riesco a capire il motivo per cui sono depresso e cosa<br />
mi ha buttato giù, e cerco di ragionarci sopra un po’. Assumo lo stesso l’an ti de pres -<br />
si vo perché mi tira un po’ su fisicamente e mentalmente. Il resto cerco di mettercelo<br />
io con pensieri costruttivi, un pizzico di accettazione che le cose non sempre<br />
vanno al la perfezione e che quindi un calo è accettabile e più che giustificato.<br />
L’intervistato si diploma e si iscrive all’Università che poi si ripromette di<br />
riprendere come obiettivo del futuro. Non è di Torino e quindi viene qui per<br />
cer care cure più adatte al suo stato di salute mentale, trova la terapia adatta che<br />
lo sostiene e gli permette di vivere meglio le sua giornate. Per quanto riguarda<br />
gli studi io non vorrei ripetermi sennò diventa una noia. Il rapporto che ha<br />
in ca sa con sua madre e le sue sorelle è buono e dice che la madre ha fatto<br />
molte co se per lui. All’inizio, prima della perdita del padre, in casa non parlava<br />
della sua difficoltà mentale e dice che ai genitori bastava vedere che tutto<br />
andasse per il meglio.<br />
Anch’io, anche se mia madre mi assilla con mille domane sul come sto e come non sto<br />
cerco di farle capire che sto bene e che va tutto per il verso giusto. Altrimenti si con -<br />
cen tra solo su di me e passa il giorno ad osservarmi, scrutarmi cercando di capire se c’è<br />
ve ramente qualcosa che non và, e quindi spesso mi dice che mi vede strano e che non<br />
so, le sembra che secondo lei c’è qualcosa che non quadra. Io la tranquillizzo subito con<br />
fer ma decisione e le dico di non assillarmi che non è proprio il caso. D’altronde conosco<br />
be ne i motivi che mi portano a preoccupazioni, ansie e depressioni dell’umore e<br />
quindi è i nutile ripetere sempre che è per i soliti due tre motivi.<br />
L’intervistato a Torino cerca lavoro tramite un famigliare e in seguito per -<br />
den do il posto ne trova uno sugli annunci dei giornali. È già stato fortunato<br />
per ché i lavori che propongono sui giornali spesso bisogna accaparrarseli in<br />
tempo, es sere adatti alle richieste di età, studi fatti ed esperienza nel campo,<br />
non ché a ve re una certa fortuna quando si telefona momento in cui viene sem -<br />
pre ag giun ta una sorpresa, il luogo spesso è scomodo bisogna essere auto mu -<br />
ni ti e riguardo all’ esperienza che hai, si perfezionano le richieste e le pre sta -<br />
zio ni. Bisogna solo leggere gli annunci sempre e avere un pizzico di fortuna e<br />
il la vo ro lo si trova, se proprio si vuole (...).<br />
Poi mi chiede se fumo e io gli dico che fumo molto perché sono sempre teso e in<br />
ansia; chiede se faccio uso di droghe e io gli dico di no, al momento, ma che in casi<br />
eccezionali, come extra, anch’io ne ho fatto uso alle volte. Avrei voluto dirgli che la<br />
parola “ stupefacente “ io non la trovo adatta alle droghe perché di stupefacente c’ è<br />
gi à la vita stessa, che ci riserva quotidianamente sorprese e difficoltà da affrontare il<br />
me glio possibile se ci riesci; e se fai il lavoro di impegnarti tutti i giorni per arrivare<br />
alla sera e poter dire che anche oggi tutto sommato è andata bene non ci sono né<br />
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200<br />
soldi né tempo per gli “ effetti stupefacenti “ delle droghe.<br />
Osservando l’intervistato penso che sia fortunato, anche se balbetta un po’, mi sem -<br />
bra positivo e deciso, intelligente e sensibile, tentenna di fronte a certe domande, ma<br />
credo sia del tutto normale, dovendo rispondere ci pensa spesso, ma poi liberamente<br />
dice quello che gli capita. Non ha mai subito ricoveri e quindi l’argomento viene<br />
messo da parte. Fa molte domande a Mario per confrontare le proprie opinioni sul<br />
pen siero della depressione e chiede di voler sapere chi siamo perché ad un certo<br />
pun to si incuriosisce sul chi sono io e che ruolo ho. Io mi spiego e lui si tranquillizza<br />
con le informazioni che gli do. Dice che ha la ragazza che è al corrente del suo<br />
stato di salute e che lei lo comprende molto bene<br />
Riprende il discorso sul sesso e mi chiede se anch’io provo stanchezza e spossatezza<br />
dopo l’atto sessuale, io gli rispondo che credo che i sintomi da lui descritti siano del<br />
tutto normali e che non c’è proprio niente di strano sentirsi un po’ stanchi dopo aver<br />
fat to sesso. Tutto sommato nonostante le sue difficoltà ci esprime che è positivo e<br />
in vogliato a fare delle nuove cose, soprattutto prendere la laurea come obiettivo pri -<br />
ma rio. Ci lasciamo dopo alcune domande che forse non sono proprio del tutto ine -<br />
renti all’inserimento lavorativo, anche se lui ci ha detto che tutt’ora lavora.<br />
Per quanto riguarda le esperienze in clinica e l’uso dei farmaci, ho potuto dire che<br />
sono stato spesso ricoverato e che le terapie cambiavano tutte le volte e che alle volte<br />
sono state pesanti e alle volte meno, ma il discorso non trova agganci da nessuna<br />
parte perché l’intervistato non è mai stato ricoverato. Ha solo avuto dei colloqui con<br />
una psicologa che non lo hanno convinto, cosa che è successa anche a me in modo<br />
simile. È seguito da una psichiatra con cui ha colloqui mensili che gli bastano e con<br />
cui si trova bene.<br />
Bene, io avrei mille cose da dire e raccontare, ogni volta che sento l’esperienza<br />
umana di una persona che non ho né mai visto né conosciuto, è una vera sorpresa<br />
rendersi conto che siamo tutti diversi, in tutti i sensi, ma che in fondo in fondo - a<br />
parte casi gravissimi ed eccezional-, ci somigliamo tutti un po’, magari solo in alcune<br />
cose; e già sapere questo per me significa molto perché tale pensiero mi dà pace<br />
e anche se alle volte penso: “Qui tutti siamo nettamente diversi e ognuno è com ple -<br />
ta men te diverso dagli altri “; osservando un po’ meglio vedo che lo stress, le paranoie,<br />
l’an sia di non riuscire a farcela, i sensi di deprimente paranoia quotidiana per le<br />
mille difficoltà che ogni giorno si presentano e che vanno risolte attivamente nella<br />
pratica perché sennò ci si trova alla frutta ben presto, colpiscono tutti, ciascuno di<br />
noi ne ha una o più d’una, grave o meno grave, ma questo è un’ovvietà e quindi<br />
aspetterò con pia cere la prossima intervista, perché ogni volta è una possibilità per<br />
poter sentire la storia di un’altra vita e fare un confronto con la mia. Alla prossima<br />
. Intervista a Marco<br />
parte seconda<br />
L’intervista è fissata per il mattino, verso le nove e mezza e si svolge in C.so<br />
Orbassano.<br />
Subito all’inizio non ci penso un granché, anzi, la sera prima guardo come sempre -<br />
quando l’incontro viene fatto in casa dell’intervistato- lo stradario con le nuove tratte<br />
dei mezzi pubblici e poi se è il caso, verifico sul tuttocittà e per farmi un’idea di<br />
dove scendere. Mi rendo conto solo allora che C.so Orbassano la conosco bene per-
i diari dei co-intervistatori<br />
ché vi è situato il negozio dove ho svolto il mio lavoro, dove ne ho imparato trucchi,<br />
segreti e abilità, dove ho avuto l’occasione di esprimermi, crescere e fare di tale<br />
mestiere una specie di passaporto per tutta la vita, nel senso che oggi come oggi, se<br />
mi muovo o se viaggio o se comunque mi fermo un po’ in un luogo, posso farne uso<br />
e renderlo utile; per conoscere nuove persone, per incontrarle e stare a contatto con<br />
esse, avendo sempre una porta aperta in tanti sensi. Ora come ora non viaggio più<br />
ma fermandomi per un po’ come detto prima, ogni tanto mi capita di rimetterlo in<br />
pratica. Già facendo il tragitto, mi rendo conto di riconoscere le fermate, nel pas sa -<br />
re sul corso vedo i benzinai ai quali facevo regolarmente benzina, negozi in cui mi<br />
ser vivo per comprare le cose più varie; perché dopo la chiesa di Santa Rita sembra<br />
di ar rivare in un’altra città; le persone si somigliano nell’abbigliamento e nel modo<br />
di fare, i giovani perfino sembrano parte di un grande, enorme clan appartenente ad<br />
un posto lontano da chissà dove. Il luogo dell’incontro è situato praticamente nel l’i -<br />
solato in cui ho passato anni, posto dal quale sono fuggito per poi ritornare, perché<br />
in quel negozio la porta per me era sempre aperta.<br />
Scendo dal pullman e inizio a curiosare; perfino l’aria mattutina mi ricorda qualcosa<br />
di antico, bè avevo diciassette diciotto anni ed era da tantissimo tempo che non<br />
cam mi navo più in quel quartiere, ora periferico ma ricordando che negli anni sessanta<br />
e set tanta, ad esempio il Centro Europa, agglomerato di palazzi dalle nuove<br />
linee ar chi tettoniche, adeguatamente urbanizzati nella disposizione di prati e campi<br />
da gio co e di gallerie con negozi e attività, era il massimo del nuovo e del ricercato,<br />
allo ra il centro storico non era così importante per abitarci. Ora come in tutti i cicli<br />
di una cit tà che si trasforma, sono cambiate nuovamente le cose e quindi diciamo che<br />
si di ce che il luogo dell’incontro resta un po’ fuori mano. Prima di incontrarmi con<br />
Ma rio entro nel supermercato dove facevo sempre la spesa, poi vado a cercare una<br />
mia ex collega che ha aperto lì a fianco un negozietto dello stesso genere ma più mo -<br />
de sto e infine decido di andare proprio a vedere com’è ‘sto negozio, che anni fa era<br />
il mi glior negozio della zona e non, sempre pieno di gente, aperto prestissimo la<br />
mat ti na e spesso l’unico aperto tutto l’anno. Ci sto arrivando e suona il clacson; è<br />
Mario che mi dice che si parcheggia più avanti. Salgo in macchina e gli racconto un<br />
po’ la sto ria che adesso scrivo. In seguito prendiamo un caffè al bar perché per l’in -<br />
con tro siamo in anticipo e passeggiando intorno all’isolato per far passare quei dieci<br />
mi nuti, da un negozio di abbigliamento esce un’altra ex collega che allora cambiò la -<br />
voro per ché troppo faticoso; mi emoziono, la vedo cambiata ma le linee sono sempre<br />
le stes se, ci salutiamo verifichiamo che non è cambiato nulla, lei dice che è sempre<br />
lì e che si trova bene, e io rispondo che sono di passaggio per un impegno, due<br />
pa ro le, due ricordi e ci salutiamo. Veramente tutto il tragitto, compreso l’arrivo mi<br />
ha por ta to indietro nel passato, agli anni dell’inesperienza, delle curiosità, degli slanci<br />
pro pri di quel tempo. Quante cose mi sono successe laggiù, quante situazioni par -<br />
tico lar mente memorabili e quanti giorni faticosi passati dal mattino presto alla sera,<br />
sen za pausa pranzo, se non quindici minuti al bar per trangugiare un tramezzino con<br />
qual che collega per poi subito rientrare, previo controllo e richiamo del titolare, e<br />
già qualcuno aspettava di essere servito al meglio e in breve tempo, perché essendo<br />
il ne gozio con la maiuscola, non c’erano mai tempi vuoti ma si respirava l’aria del -<br />
l’at tività, della fretta e della pressante impazienza di chi doveva o voleva passare pri -<br />
ma o perché aveva l’appuntamento o perché era parte della clientela del tipo: “Io ar -<br />
ri vo quando voglio, all’ora che voglio, perché co mun que mi si riceve come voglio“.<br />
Co sì. Bè, tempi andati, ricordi belli e ricordi piut to sto brutti e pesanti, ma d’altron-<br />
201
202<br />
parte seconda<br />
de vivendo, accumuliamo questi e quelli e tutto som mato, bilanciando le due cose,<br />
ne viene fuori un periodo passato bene, in attività e continuo fermento, quindi direi<br />
che sì, a fine intervista c’ho messo due giorni per riavvolgere i flash che mi venivano alla<br />
men te, ma poi è passata e va bene così. Ho un mestiere in mano e sarà valido per tut ta<br />
la vita e quindi sono contento.<br />
Suoniamo il campanello, saliamo e siamo ricevuti da un ragazzo abbastanza<br />
gio vane che vive in un appartamento semplice, con uno spazioso terrazzo.<br />
L’intervista inizia e vengono chiuse la porta del balcone e la finestra perché il<br />
ru more del traffico sottostante rischia di disturbare la registrazione. Racconta del -<br />
la sua vita e ci dice che lavora da quando aveva quattordici anni, in seguito en tra<br />
in fabbrica e facendo i turni lavorare diventa pesante. Accenna al fatto di aver fu -<br />
mato uno spinello, che secondo lui rappresenta un po’ l’inizio di un cam biamento,<br />
nel senso che non raccontando la cosa in famiglia si provoca dei sen si di colpa<br />
che se condo me lo portano ad un crollo, ci racconta della sen sa zio ne d’essere te -<br />
le pa tico e spaventato da questo fatto avviene il primo rico vero in ospedale, nel<br />
reparto psi chiatrico.<br />
Io credo che l’uso di determinate sostanze, siano chimiche o naturali, in effetti vadano<br />
ad “aprire” in noi come delle porte chiuse, una volta aperte queste porte si en tra in degli<br />
spazi che fanno comunque parte di noi stessi, ma a seconda di come vi si en tra la cosa<br />
può avere dei risvolti positivi o conseguenze non proprio felici. Forse da questa esperienza<br />
in poi, alcune persone, soprattutto fragili e con una mente mol to attiva, magari<br />
solitarie e di carattere chiuso, vengono come travolte da qual cosa che in seguito im -<br />
pedisce in un certo senso una normale e continua attitudine com por tamentale; se poi la<br />
cosa viene per di più tenuta nascosta, non ci si libera dall’idea che magari non è stata<br />
una bella esperienza, esperimento che fa scatenare tutta una serie di pensieri, sensazioni<br />
ed effetti collaterali mai provati prima, cosa che non ca pi ta ad altri, i quali invece passano<br />
diciamo così il: “ Lo voglio provare anch’io, per ché in fondo lo provano tutti,” non<br />
dando poi troppo peso al fatto, limitandosi al ri cor darlo come una delle tante cose fat -<br />
te e finito lì. Insomma su questa cosa credo non ci sia dibattito, nel senso che ci puoi<br />
pro vare, poi se hai un contorno di vita che ti pro muove il ripetersi della cosa o se per<br />
ca rattere sei incline alle dipendenze, con tinui per X tempo, altrimenti resta un’e spe -<br />
rien za fatta, provata goduta o meno, ma finisce lì.<br />
Soffre di depressione e frequentando le persone evita di parlarne, di discu tere<br />
con altri di un probabile perché, che lui stesso forse non inquadra nono stan te gli<br />
aiuti psichiatrici. Sul lavoro questo problema lo condiziona con ti nua men te e<br />
quindi spesso necessita di mettersi in mutua, incontrando delle dif fi col tà tra i col -<br />
leghi che lo ritengono esaurito; incontra l’affetto e si scontra con la man cata ac -<br />
cet tazione da parte di lei che non è tutto sommato intenzionata a con dividere i<br />
suoi problemi. Scopre difficoltà con le donne perché i “doveri” da assolvere con<br />
loro sono toppo impegnativi e quindi sceglie la solitudine.<br />
Io ad esempio per il modo in cui sono cresciuto e per il carattere che ho, sono for se da
i diari dei co-intervistatori<br />
sempre tendenzialmente incline al voler dare una risposta a tutti i per ché, incontrando<br />
a volte enormi difficoltà nel trovarle, non avendo a di spo si zio ne una persona competente<br />
nell’aiutarmi, quindi pensando sempre e sen tendomi in dovere di risolvere le cose sia<br />
per i miei, sia poi per me, ad un certo pun to facendo una vita non inquadrata, non conforme,<br />
in un certo senso solo, a modo mio, fallendo spesso le cose in cui credevo e in<br />
cui mi sono impegnato di più, vedi la scuola serale, vedi il lavoro, ad un certo punto ho<br />
sentito dentro di me come un rifiuto aggressivo al voler intraprendere nuove cose; rifiutando<br />
co sì tanto ogni evento disponibile o solo mi ni ma mente impegnativo, da en trare<br />
in completa immobilità mentale; adducendo al mon do che stavo facendo “il fare nel<br />
non fare” ripreso anche quello da idee e filo so fie di vita presenti in casa, o dicendo a chi<br />
era legato a me e quindi cercando tutto som mato aiuto, che ero stanco, che avevo bisogno<br />
di qualcosa di nuovo, di diverso, ma agli effetti non stavo facendo veramente un bel<br />
tubo di niente, mi limitavo a pen sare sul letto, corredando la cosa con la musica più<br />
adatta, restavo giorno e notte davanti alla TV, imparando a memoria ciò che viene servito<br />
dal piccolo schermo. Incline alle dipendenze, perché secondo me si diventa poi<br />
dipendenti da tutte le situazioni, fallendole, dal momento in cui avvengono dei fatti che<br />
ti fanno sentire rifiutato, portandoti alla lunga a sentirti frutto di un errore-, ho cominciato<br />
a bere nel l’isolamento e penso, oggi come oggi che ne sono totalmente fuori, non<br />
c’è segnale più pericoloso di quello di bere da soli. Restando depresso, sovrappopolando<br />
la mia mente con mille problemi immaginari, non rendendomi più conto che quelli<br />
che avevo già bastavano e avanzavano. E questo senso di inutilità, che non avrei mai<br />
comunque ottenuto nulla dalla vita, sensazione che mi ha fatto poi sentire inin fluen te<br />
rispetto ai miei progetti e alle mie aspirazioni, facendomi poi diventare veramente così,<br />
nello stare isolato dalle cose del mondo, dal richiamo delle persone che tene va no veramente<br />
a me- mi ha ostacolato e reso difficile la vita per tantissimo tempo. Quan do l’intervistato<br />
parlava della mutua, mi veniva in mente che anch’io a volte lo facevo; e chi<br />
non la fa la mutua, va bè, se proprio si è a letto malati, o non si riesce a combattere con<br />
i fatti che accadono sul lavoro, e secondo me, se si è alle dipen den ze, capita per ogni<br />
tipo di lavoro di sentirsi ad un certo punto così stanchi da pensare: “Adesso, anche se la<br />
cosa mi spaventa un po’, mi metto in mutua perché non ce la faccio più “. Quindi se fai<br />
un lavoro che ti piace, che ti dà soddisfazione, ti metti in mutua per il fatto che non ne<br />
puoi più di fare troppo, se invece fai un lavoro che non è appagante, non rende bene e<br />
in più è monotono e in un ambiente faticoso, sì, ti metti in mutua ad ogni colpo di tosse,<br />
o a ogni “stanchezza improvvisa“, tanto pen si: “Anche se perdo il posto non me ne<br />
importa niente, tutto sommato non mi piace neanche un granché... ”, “poi dove lavoro<br />
lo fanno tutti“. Io quando mi met te vo in mutua sapevo che al lavoro si diceva che ero<br />
ad un corso d’aggiornamento, che non face va un bel niente, anche se qualcuno chiedeva<br />
solo di me perché me ne curavo io da tempo, oppure poi dovendola fare spesso credo<br />
che si dicesse un po’ di tutto, e quan do tornavo mi facevano sentire in colpa e mi dicevano:<br />
“Ma così non è possibile, non si può andare avanti”, oppure essendo aziende a<br />
conduzione fami glia re, rien travo io e un collega si prendeva subito dei giorni e un’ altro<br />
restava a casa per gravi pro blemi famigliari. Perché nel mio settore i primi tre giorni li<br />
paga il da tore di lavoro dal terzo giorno in avanti la cosa cambia, quindi stare a casa uno<br />
o due gior ni era pericoloso, stare a casa due settimane lo stesso perché ti facevano venire<br />
l’an sia dei controlli, siccome quando lo facevo stavo veramente poco bene, non me<br />
ne preoc cupavo questo granché. Quando me ne andai dal negozio di C.so Orbassano il<br />
mio titolare ha detto a tutti che ero andato a lavorare in America, perché ero capace e<br />
ambizioso, nel fare il mio lavoro. Tanti clienti per comodità hanno fatto finta di creder-<br />
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204<br />
parte seconda<br />
ci, poi io restando sempre in città, ogni tanto ne contavo qualcuna, ma sapevo che non<br />
ci stava credendo veramente nessuno. Anche perché avevo un portafoglio clienti diciamolo,<br />
numeroso e dal nuovo negozio, gestito da un ex dipendente del mio titolare avevo<br />
mandato un invito a tutta la mia, se così si può dire, clientela e quindi l’America non<br />
centrava un fico secco, e questo dalla promessa perenne : “Quando andrete via di qui,<br />
vi porterete dietro le clienti e quindi più ne avete e più ve ne ritroverete poi dove andrete,<br />
“bè, tante son venute, ma in seguito sono andato a lavorare in un negozio veramente<br />
caro e forse troppo scomodo per venirci sempre.<br />
L’intervistato parla dei suoi compagni di scuola che hanno fatto strada, escludendolo<br />
in maniera lenta e costante, non chiamandolo mai ed isolandolo col<br />
tempo. Racconta del fatto che anche suo padre aveva sofferto molto di de pres -<br />
sione e che lui nonostante avesse avuto dei problemi pesanti, non si tirerebbe in -<br />
die tro nel confortare qualcuno. Parla del fatto di essere dispiaciuto e forse anche<br />
un po’ rancoroso, perché poi bòh, per orgoglio, come dice lui o perché l’e sclu -<br />
sione dai gruppi ti fa sentire diverso, sbagliato, creandoti un sacco di difficoltà e<br />
paure vere nella comunicazione immediata, nell’essere disponibili a nuove situazioni,<br />
facendoti diventare insicuro e dubbioso, suscettibile e diffidente. Lui non<br />
parla più di quello che ha, di quello che sente e che prova; quindi affronta situazioni<br />
in solitudine, resta smarrito di fronte alla discriminazione, vive e frequenta<br />
il quartiere, che come tutti i quartieri è un piccolo paesino, soprattutto se in famiglia<br />
si è tanti, e scopre che attraverso degli episodi evidenti e visibili, tutti parlano<br />
e vociferano sul suo conto. Prova delle sensazioni strane con comunicazioni di<br />
voci e pensieri molesti, che lo disturbano e lo stancano, spaventandolo molto.<br />
Non ne parla e tiene tutto dentro di sé e passa un esaurimento, ha bisogno dei<br />
vicini di casa e accade un ricovero al pronto soccorso, e capita tutto in emergenza.<br />
Tutto sommato secondo me è fortunato; non è solo ma ha una famiglia numerosa che<br />
anche se a volte risulta scomodo, l’idea d’averla resta pur sempre un conforto, un sostegno.<br />
Ha un lavoro e lo vorrebbe cambiare, nel senso che restano delle ambizioni. Ha<br />
una casa sua, non pensa tanto al fatto di richiedere una pensione. Vorrebbe come tanti,<br />
avere un’altra vita. Al ritorno ho veramente pensato : “ Mah questa è tutta veramente<br />
un’avventura affascinante; io torno in un posto dove ho vissuto forse le cose più significative<br />
del mio passato, che mi hanno bene o male segnato - poi vabbè me ne sono successe<br />
di molto peggiori - e vado a incontrare una persona che a tratti sembra che parli<br />
di me, della mia vita, delle cose che si provano e si subiscono quando il mondo percepisce<br />
che stai emanando qualcosa di diverso; in questo caso la difficoltà di esistere e di<br />
vivere. Io ad un certo punto gli ho chiesto credo, “ Hai mai pensato di cambiare qualcosa,<br />
di cercare nuove cose e di tentare diversamente? “ La domanda non è riferita esattamente<br />
come risulta nell’intervista, ma se non ricordo male lui si è messo a ridere e ha<br />
sorriso più volte. E a me più volte durante il colloquio venivano le lacrime agli occhi e<br />
pensavo: “Attraverso i fatti che racconta, attraverso quello che gli è successo, attraverso<br />
molte cose quasi identiche a quelle che ho vissuto anch’io, sembra che sta parlando un<br />
po’ della mia vita e di me, che a tutt’oggi penso che ci sia un’altro me stesso che se la<br />
sta spassando serenamente, tranquillamente, senza nessun dubbio né alcun affanno”.
6.3. Il diario di Mauro<br />
. Intervista a Marcello<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
Ore 11 ci accoglie la madre di Marcello, anziana signora che ben presto ci ri -<br />
ve la la sua sensibilità riguardo i ragazzi disagiati che puntano verso uno sbocco<br />
lavorativo. Intanto che aspettiamo di incontrare il sig. Marcello, ci offre un caffè.<br />
Presto vediamo Marcello, una persona che mi pare aver già visto. Penso che<br />
nel mio vissuto del disagio psichiatrico ho avuto modo di conoscere molte persone.<br />
Marcello ci accoglie in modo naturale e dimostra di trovarsi a suo agio, non<br />
intimidito dalla nostra presenza. Capendo la direzione del nostro intento, parte<br />
parlando di un suo primo lavoro come barista alle dipendenze dello zio, che si<br />
risolverà con dei litigi e quindi all’allontanamento da questa occupazione.<br />
Penso che a me, idealmente, sarebbe sempre piaciuto fare il barista.<br />
In seguito ci segnala in suo esaurimento che a quanto ho capito è la causa<br />
del suo disagio, che gli rivela dubbi verso la sua capacità lavorativa pari a un<br />
giorno completo lavorativo (8 ore). Orientato a un lavoro part-time si barcamena<br />
tra assistenti sociali e ASL. Pur a volte con poche speranze, continua a<br />
far presente la sua intenzione di lavorare intanto, anche perché da quanto ho<br />
ca pito supportati dalla sola pensione della madre, ottiene con suo sollievo un<br />
so stegno economico dell’ASL. Partecipa a un corso, un po’ per sfuggire alla<br />
so litudine, un po’ come ultima carta, un corso del CEP.<br />
A questo punto mi viene alla mente dove l’avevo visto. Anch’io feci parte di quel progetto<br />
che prevedeva un tirocinio iniziale nel mio caso con un compenso pari a 6.000<br />
Lire/ora con un impegno part-time presso una fabbrica di Cascine Vica con il profilo<br />
di fresatore, che si rifaceva alle mie specializzazioni scolastiche-lavorative. Una<br />
partenza lavorativa entusiasmante, facendo riferimento alla volontà e alla voglia di<br />
fare qualcosa di normale (anzi specializzato) nell’intento di ottenere una certa indipendenza.<br />
Mi impegnavo ma malgrado tutto, la concentrazione fosse... o risentisse del<br />
mio disagio mentale. I colleghi si dimostravano tolleranti, il responsabile forse per<br />
coprire un buco dalla legge 68 era ben propenso a un futuro contratto a tempo indeterminato.<br />
Ben presto l’affiancamento con un operaio capace che si dimostrò<br />
umano, sfumò. Le mie capacità di autonomia, mi tiravano a un impegno che giudicai<br />
al di sopra delle mie capacità attuali; la prospettiva di diventare indipendente<br />
anche a livello di abitazione procurò in me un senso di distruzione, il quale mi guidò<br />
all’abbandono lavorativo. e abitativo.<br />
Torniamo ad oggi: sento che Marcello ha superato un tirocinio pari a 4 mesi<br />
e neanche ripagati. Fa pulizie in un capannone, pulisce “tutto quello che c’è da<br />
pulire”. Ora è soddisfatto e lo dimostra con la scioltezza con cui racconta di sé,<br />
anche se ammette che non è tutto rose e fiori.<br />
205
206<br />
Torno alle mie memorie per analogia e ricordo che fui impegnato in un lavoro parttime<br />
presso una scuola in qualità di operaio addetto alle pulizie, lavori umili, forse<br />
troppo ripetitivi, ma alla portata di tutti. Ora come ora lo ritengo l’ultima spiaggia.<br />
Malgrado ricoveri e momenti di depressione lo svolgevo (in tutto 32 mesi) col solito<br />
entusiasmo iniziale, quando la speranza ti illude, poi la realtà richiede un costante<br />
impegno, che gli sbalzi di umore e d forze rendevano difficile. Lasciai pure quello,<br />
dicendomi che forse meritavo di più. Quest’ultima frase mi vien da dire che forse<br />
è un sogno ad occhi aperti.<br />
. Intervista a Ennio<br />
Poche battute e optiamo per darci del tu. Ennio vive in un bell’alloggio da<br />
quanto ho visto, in una casa popolare, ci dice in seguito che paga poco di affitto.<br />
Ripenso a me e ai tentativi di autonomia a livello di sistemazione “casa”, l’ultimo<br />
andato male, perché messo di fronte a un probabile lavoro e una probabile casa mi è<br />
crollato il mondo. Intraprendo l’intervista con il proposito di rendermi conto con<br />
chi ho a che fare, come suggerito dal Professor Cardano, tra le righe anche con il<br />
proposito di fare un po’ meglio. In generale ciò che mi è rimasto dell’intervista è che<br />
ho a che fare con una persona che è mio coetaneo, un po’ confusa, mi sembrava usasse<br />
tante verdure per fare un minestrone. Ho l’impressione che il suo passato gli pesa<br />
un po’, soprattutto a riguardo delle sue esperienze con sostanze stupefacenti. Forse<br />
toccato nell’intimo riprenderò questo discorso più volte (magari troppo). Sfumando<br />
collega il suo disturbo con l’uso di stupefacenti. Io mi sono trovato nel giro, delle<br />
droghe leggere, preferendo l’idea dello sballo a una relazione rotta, in seguito con<br />
grande pentimento. Ricordo che fumando hashish, bevendo e prendendo psicofarmaci,<br />
mi ritrovavo con allucinazioni, deliri, senso di impotenza, prostrazione, manie di<br />
persecuzione, distorsione del pensiero, stavo malissimo. Malgrado tutto questi cocktail<br />
sono andati avanti un bel po’, perché gli al tri lo facevano e si divertivano.<br />
Attualmente sia io che Ennio ci siamo allontanati da que sti giri e probabilmente con<br />
un grande sospiro di sollievo. A fine intervista mentre andiamo alla fermata, ci rapportiamo<br />
con solidarietà riguardo il nostro futuro lavoro, vita sentimentale, sperando<br />
che la malattia dalla quale abbiamo molte sofferenze ci molli un po’. Ora che ho<br />
fatto questo rimando, capisco perché Ennio parlava a volte con sofferenza.<br />
. Intervista a Dario<br />
parte seconda<br />
Sua opinione è che i problemi psichiatrici nascono dall’ambiente famigliare<br />
o sentimentale e poi si ripercuotono in tutti gli altri ambiti che si vivono, compreso<br />
quello lavorativo.<br />
A ripensarci anch’io provengo da una situazione familiare un po’ pesante nel senso<br />
che i miei non sono mai andati d’accordo e io e mio fratello ne risentivamo.<br />
A un certo punto ci racconta che il suo disturbo gli rendeva il lavoro più<br />
pesante.
Io ricordo dall’ultima esperienza lavorativa che l’essere inserito con una protezione,<br />
mi provocava un continuo confronto con i cosiddetti colleghi “sani”, mi sentivo una<br />
pecora nera, per di più i colleghi quando volevano incoraggiarti alle volte non erano<br />
capaci.<br />
6.4. Il diario di Mirella<br />
. Intervista a Elia del 17/2/2003<br />
Ho ascoltato con partecipazione il lungo racconto di sofferenza della signora, mi<br />
sono trovata a mio agio durante la prima intervista condotta dalla dottoressa<br />
Muscarà. Mi sono identificata molto nella sua difficoltà nella ricerca di un lavoro.<br />
Giu dico l’esperienza positiva in quanto spezza l’isolamento ed il venire a contatto<br />
con la sofferenza altrui rafforza il mio sé.<br />
Prima intervista a Norma, del 4/3/2003<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
Ho ascoltato con partecipazione il racconto della signora.<br />
Sposata all’età di 20 anni, definisce il suo matrimonio infelice, infatti si è se -<br />
pa rata e si è trovata da sola ed ha iniziato a frequentare il Centro di Salute<br />
Mentale. Ha convissuto per due anni con un altro compagno, ma quando questo<br />
rapporto è finito si è sentita molto sola. Ha frequentato un corso per assistenza<br />
presso la Cooperativa Frassati e poi è seguito un ricovero presso l’O spe -<br />
dale Molinette. Ha il riconoscimento dell’invalidità civile ed attualmente lavora<br />
presso i cantieri lavoro presso l’Ufficio Stranieri del Comune di Torino e<br />
dice di trovarsi bene, ma purtroppo è un lavoro a termine. Ha subìto una violenza<br />
sessuale sotto la minaccia di un coltello, mentre svolgeva un lavoro d’assistenza<br />
e questo le ha provocato degli incubi. Non ha svaghi di sorta ed esce<br />
pochissimo. Ha già iniziato le pratiche per un sussidio, ma a 34 anni vorrebbe<br />
un posto di lavoro. Si è sposata perché voleva una propria vita autonoma, ma<br />
poi sono iniziate le incomprensioni e i continui litigi. Con l’aiuto dei farmaci<br />
non soffre più di attacchi d’ansia. Quando si presenta per un posto di lavoro e<br />
ven gono a sapere che le è stata riconosciuta una percentuale di invalidità, la<br />
scar tano per paura che stia sempre a casa. Ama il ballo ed ha chiesto di poter<br />
fre quentare un corso di danza latino-americana. Da quattro anni frequentava<br />
un altro uomo, ma il rapporto è finito e lei ha sofferto molto. Dice che la gente<br />
do vrebbe essere più aiutata a sopravvivere. I suoi figli sono tutto per lei.<br />
Quando aveva 17/18 anni e si rivolgeva ai medici per attacchi d’ansia le<br />
chiedevano se si drogava e lei si sentiva molto avvilita. L’invalidità è un ostacolo<br />
a trovare un’occupazione. Si trova bene con i figli. C’è un rapporto improntato<br />
al rispetto e riferisce che per lei sono molto importanti. I figli hanno ri -<br />
spet tivamente 9 anni e 13 e quest’ultimo è seguito da un’insegnante d’appoggio<br />
perché ha sofferto dei frequenti litigi tra i genitori. Riferisce che i figli<br />
207
208<br />
comprendono le sue difficoltà. Sente la difficoltà di dover fare anche da padre<br />
nei confronti dei figli.<br />
Il colloquio si è svolto in un clima di serenità con la collaborazione della madre della<br />
signora che badava ai nipoti.<br />
Seconda intervista a Norma, del 6/9/03<br />
parte seconda<br />
Ha parlato poco delle sue origini e dei suoi genitori. È nata in Sicilia, aveva<br />
due anni quando è venuta a Torino e ha rivisto la Sicilia lo scorso anno. Dice<br />
di avere una sorella di pelle più chiara. È l’ultima figlia, poco amata, poca confidenza<br />
con la madre con cui giocava saltuariamente. Il padre era freddo, la<br />
madre lavorava e lui badava alla casa, ai suoi figli non ha mai richiesto né di<br />
rifare il letto né altro. Le mancava l’amore di sua madre. A 17 anni ha avuto<br />
un attacco di panico e l’hanno portata al Pronto soccorso, ma non era una<br />
malattia riconosciuta. Ai suoi figli ha dato l’amore di mamma e di papà. Hanno<br />
cercato di portarglieli via e lei ha lottato. Quando andava a scuola le hanno<br />
sparato con una scacciacani, aveva 8 anni e lei ha iniziato ad avere dei problemi.<br />
Voleva guarire e faceva dei disegni con le farfalle colorate. Ha iniziato i sui<br />
primi rapporti a otto anni con una psicologa per pochi mesi. Sapeva che sua<br />
madre non la voleva, e aveva una gemella che è morta ma lei è vissuta. Dice di<br />
avere un carattere ribelle e una volta ha difeso sua sorella. Ha rapporti sporadici<br />
con i suoi genitori. I suoi figli lei li ha voluti anche se sapeva che il padre<br />
li avrebbe lasciati. I suoi figli sono tutto per lei. Se deve comperare qualcosa<br />
per i suoi figli lo deve comperare per entrambi. Dice che essere madre è un<br />
mestiere molto difficile. Pensa che i bambini ricordano, lei i baci dei suoi genitori<br />
non se li ricorda. La causa del suo male è stata la carenza d’affetto. Soffre<br />
di depressione, più si va dallo psichiatra e più ci si ammala, la miglior medicina<br />
è parlare. Ha trovato lo psichiatra da sola, lo vede quando ne ha bisogno.<br />
Sono mesi che non prende più le gocce per dormire e dorme lo stesso. Si<br />
scalava le medicine da sola. Ha il riconoscimento dell’invalidità ma non il diritto<br />
alla pensione. Ha avuto dei rapporti con una psicologa e aveva la sensazione<br />
che si addormentasse durante i colloqui e non ha più avuto rapporti con la<br />
psicologa e ha avuto rapporti con l’assistente sociale. Ha terminato i Cantieri<br />
di lavoro ad aprile c.a.. Ha frequentato il Centro diurno e ha fatto teatro, lo ha<br />
frequentato per quattro mesi. Trova inutile il corso di pittura , preferirebbe at -<br />
ti vità più attive. Nessuno l’ha mai informata delle caratteristiche dei farmaci<br />
che sta assumendo. Quando lavorava al Progetto Horizon è svenuta e poi non<br />
è stata assunta. Ha sostituito sua madre nell’attività al carcere minorile e poi è<br />
ri masta in cinta e non l’hanno più assunta. Dovrà fare domanda a novembre per<br />
i Can tieri di lavoro. Preferirebbe un lavoro, un part-time per poter stare con i<br />
suoi fi gli: qualsiasi tipo di lavoro. Si alza al mattino alle sette e fa le pulizie normali<br />
e quelle più pesanti le fa il venerdì. Il lavoro la aiuterebbe a stare meglio
e la aiuterebbe a guarire dalla malattia mentale, e qualcosa che non riesce a<br />
tirare fuori subito e avrebbe più bisogno di essere ascoltata. Ha frequentato<br />
fino alla terza media la scuola.<br />
. Intervista a Tullio del 18/3/2003<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
Questa intervista è durata per me tre incontri in quanto al quarto incontro mi sono<br />
recata ad un incontro per operatori grezzi e quindi non l’ho conclusa.<br />
L’intervistato ha difficoltà ad esporre la storia della sua vita a causa dei brutti<br />
avvenimenti che hanno costellato la sua storia. Ha avuto difficoltà in famiglia<br />
fin da piccolo. Il padre era manesco e picchiava la madre, con lui non si<br />
riusciva a discutere, non accettava il dialogo. Era la madre a preoccuparsi della<br />
famiglia. Con la sorella non c’era molta confidenza: i genitori lavoravano<br />
entrambi e quando loro andavano al lavoro lo chiudevano in casa, infatti una<br />
volta è successo che ha ingerito candeggina. Non ha mai avuto una vita regolare,<br />
sempre a sbalzi. Andava a giocare all’oratorio, ma il padre li voleva a casa<br />
alle 19.00. Ha frequentato la quinta elementare e la prima media e la scuola gli<br />
piaceva, poi usciva di casa e non andava più a scuola e non studiava più. La<br />
situazione famigliare continuava a disturbarlo. Sono giunti a Torino dopo l’alluvione<br />
del Polesine. Il padre lavorava nei cantieri e la madre faceva la colf<br />
presso famiglie. In una di queste famiglie il capofamiglia era dirigente Olivetti<br />
che ha aiutato il padre a entrare in detta azienda. Riferisce che non ha mai visto<br />
una sera in cui il padre non malmenasse la madre. A 13 anni arriva il televisore<br />
in casa e loro vivevano in affitto in un alloggio di una famiglia presso la quale<br />
la madre lavorava. È grazie a sua madre che la famiglia è progredita, ma sua<br />
madre non è mai andata d’accordo con padre. Il loro era un matrimonio combinato.<br />
La madre è morta per prima, il padre si è risposato e poi ha divorziato<br />
e ha acquistato due stanze a Sottomarina (vicino a Chioggia) quando è andato<br />
a trovarlo il padre aveva in bella vista una fotografia di quando era giovane.<br />
A 86 anni aveva ancora un viso fresco e i capelli scuri e continuava a ostentare<br />
la fotografia di quando era giovane. Dopo il militare Tullio ha iniziato a<br />
fare il decoratore edile, ma adesso è tutto cambiato, anche se è ancora abile nel<br />
suo lavoro. Non ha ricevuto mai un regalo, ma quando c’era il compleanno di<br />
suo padre, la madre gli dava i soldi per acquistargli le sigarette e il bocchino.<br />
L’unico regalo che riceveva era il pacco natalizio della fabbrica, mai altri<br />
regali e il mangiare era razionato, nonostante lavorassero entrambi. Una volta<br />
ha sco perto una bicicletta in cantina che lui ha riparato e così di giorno girava<br />
in bi cicletta ed al rientro del padre la nascondeva in cantina, ma una sera lo ha<br />
scoperto e gli ha dato un sacco di botte, calci, pugni e poi lo ha legato in cantina<br />
a braccia levate per tutta la notte e quando lui si è liberato, lo ha legato di<br />
nuovo fino a cena.<br />
Ha iniziato a non andare più a scuola nelle medie e lo ha fatto per diversi<br />
209
210<br />
parte seconda<br />
mesi ed agli esami è stato rimandato a settembre, dove è stato bocciato ed ha<br />
ripetuto la classe e da allora non ha più saltato un giorno. Poi ha cambiato abitazione<br />
ed ha dovuto cambiare scuola. A metà anno ha iniziato a fare qualche<br />
scappatella da casa ed ha lasciato la scuola. Quello che lo disturbava era la sua<br />
famiglia. Poi suo padre ha deciso che andava a lavorare mezza giornata da un<br />
decoratore quindi ha smesso di studiare e poi stava fuori casa per 2/3 giorni ed<br />
al rientro erano botte. Poi il padre gli ha trovato un lavoro e se voleva andare<br />
a scuola doveva andare la sera.<br />
Così ha smesso di studiare per fare il ferraiolo edile e lavorando il ferro si è<br />
rovinato le mani e un giorno non è andato a lavorare e il padre lo ha minacciato<br />
con un coltello. Ha cominciato ad andare via di casa e per la prima volta era<br />
senza una lira. Se ne è andato via un paio di volte da casa, ma la madre ha sempre<br />
più pensato alla sorella e quando si è sposata infatti aveva un grosso corredo.<br />
Nell’ultima fuga ha girato mezza Italia e poi a Milano è stato coinvolto in<br />
una rapina ed è finito al Ferrante Aporti dove ha finito la scuola dell’obbligo.<br />
Ha conseguito il diploma di tornitore aggiustatore sempre al Ferrante<br />
Aporti. Poi ha iniziato a lavorare in un’officina pur restando al Ferrante<br />
Aporti, questo per circa un anno. Nel carcere minorile vigeva la legge del più<br />
forte e lui si faceva rispettare. Ha avuto uno scontro violento con un altro<br />
ragazzo e fu dimesso dalla sezione di osservazione. Veniva la madre a trovarlo,<br />
ma non gli portava nulla da cambiarsi, ma solo un pacco di sigarette Nazionali.<br />
Ha tentato il suicidio perché gli mancava la famiglia. In padre non è mai<br />
venuto a trovarlo in due anni. Dopo il tentativo di suicidio la madre lo portò a<br />
casa, ma il padre voleva che gli desse tutto lo stipendio e rimase in casa continuando<br />
a lavorare in officina, ma tutti i giorni c’era qualcosa da ridire. Cercava<br />
l’amicizia di suo padre. Una sera ci fu una violenta lite con il padre, in cui vennero<br />
alle mani e lui ebbe la parte del più forte, ma intervennero i vicini di casa<br />
e la polizia. Il giorno dopo il padre se ne andò di casa e poi convinse la madre<br />
a seguirlo e lei e la sorella andarono a casa di amici di quest’ultima. La sorella<br />
tornò dai genitori a prendere lui ed il padre accettò tacitamente. Poi affittarono<br />
una cascinetta e lui la ristrutturò e nel frattempo il rapporto col padre mi -<br />
gliorò, ma una sera ci fu un alterco a causa del lavoro. Poi si trovò un lavoro<br />
come decoratore per una ditta che lavorava per l’Olivetti. Poi ricominciarono<br />
i problemi con il padre, finché se ne andò e venne ad abitare in una pensione<br />
a Torino. Ogni tanto la madre gli telefonava lamentandosi della relazione con<br />
il padre che la malmenava. Poi andò militare negli Alpini dove diventò caporale<br />
istruttore. Congedato andò a trovare i genitori e poi tornò a vivere da solo<br />
a Torino, continuando a fare il decoratore. Finché un giorno si portò a casa una<br />
ragazza, ma lei si legò a lui e non voleva più lasciarlo. Lui pensava anche di<br />
sposarsi e di avere una figlia, ma lei non era la persona adatta. Si sposarono in<br />
municipio. Lei lavorava e lui la sollecitava a lavorare. Lei trovò un lavoro di<br />
pulizie, ma il loro rapporto non andava bene. Poi per poterla sopportare doveva<br />
bere e lì prese a bere in modo metodico, ma lei non si lamentava.
Lei aveva amicizie tra i tossicodipendenti e tornava spesso con il fumo e lui<br />
iniziò ad usarlo. Poi ci fu la separazione con vari litigi. Ha già avuto tre ricoveri<br />
e questo ha avuto conseguenze sul lavoro, perché il lavoro di decoratore<br />
necessita avere prestanza fisica. Ha fatto anche il capo cantiere. Ha anche tentato<br />
il suicidio che gli causò un primo ricovero. S’era inserito nell’artigianato<br />
e lavorava in proprio. Gli altri ricoveri sono dovuti a crisi depressive. Prima<br />
lavorava al restauro di una casa che gli ha comportato dei problemi e dopo tale<br />
lavoro ha lasciato ogni attività per 6 mesi spendendo ogni risparmio. È da un<br />
anno che non lavora più. È socio della cooperativa Arcobaleno, ma non gradisce<br />
frequentare quell’ambiente. Dopo la separazione non ha più rivisto la mo -<br />
glie. Ha iniziato a lavorare per un’impresa come capo operaio, per circa un an -<br />
no, ma c’erano dei problemi di pagamento fino a quando lui non ha fermato il<br />
la voro, ma poi lo ha ripreso. Ha avuto sempre problemi di pagamento da parte<br />
de gli impresari che gli davano lavoro, si è anche una volta rivolto al sindacato<br />
per farsi le proprie ragioni. Rimasto senza soldi dopo la fine di un lavoro una<br />
se ra si presentò dall’impresario armato di un coltello come difesa, ma poi prese<br />
un barattolo di vernice da 5 chili e lo sbatté sulla scrivania ed imbrattò tutto e<br />
poi tirò fuori il coltello minacciandolo e chiedendo la paga che gli spettava. Ma<br />
l’impresario chiamò la polizia e fu portato in commissariato ed alla fine l’ispettore<br />
gli diede ragione, poi fu fatto un processo al quale lui non si presentò e fu<br />
condannato, ma non finì in carcere. Con l’aiuto del sindacato finì con l’essere<br />
risarcito mensilmente. Poi ricominciò a cercare lavoro ma con esito negativo,<br />
perché nell’ambiente si era venuto a sapere dell’aggressione dell’impresario.<br />
Poi si iscrisse all’artigianato e scrisse delle lettere ad impresari ed amministratori<br />
e ricevette una risposta positiva e cominciò a lavorare ma anche questa<br />
volta c’erano problemi di pagamento. Lavorava in subappalto.<br />
Ha lavorato fino ad un anno fa con diversi impresari, anche nei periodi di<br />
depressione. È sempre stato considerato bravo a lavorare bene, fino all’ultimo<br />
lavoro con cui ha deciso di chiudere con il subappalto.<br />
Mi sono trovata bene durante tutta l’intervista.<br />
. Intervista a Noemi<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
La signora inizia volentieri a raccontare la sua vita. Svolgeva una vita normale<br />
ed aveva già una figlia e voleva conseguire la patente per guidare il pulman,<br />
ma ha avuto un incidente d’auto ed è entrata in depressione e contemporaneamente<br />
è mancato suo padre. Ha trovato molta ostilità da parte dei parenti<br />
che l’accusavano di non aver voglia di far niente, quindi è stata ricoverata ed<br />
ha avuto il riconoscimento dell’invalidità. È stata ricoverata anche per sei mesi<br />
a S. Maurizio Canavese ma cercava di avere un equilibrio per sua figlia. Ha a -<br />
vu to cure molto forti e poi le hanno cambiate e lei si è ripresa. Riferisce di aver<br />
a vuto un rapporto negativo con una dottoressa. Poi ha incontrato un primario<br />
211
212<br />
che l’ha aiutata. Poi è scattato qualcosa ed ha trovato un lavoro nella pulizia<br />
della sede ed ha lavorato per 7/8 mesi anche se aveva problemi fisici. Da allora<br />
ha avuto più forza interiore e si è fatta operare alla gamba ed ha ritrovato il<br />
sorriso di sua figlia. Le hanno poi revocato la pensione di invalidità. Poi ha trovato<br />
un lavoro nella vendita di contenitori per alimenti, poi in un supermercato<br />
nel carico delle merci, ma aveva orari molto impegnativi che gli procurava<br />
dei problemi. Ha poi lavorato come aiuto magazziniere. È seguito un ricovero<br />
ed ha trovato un medico comprensivo. Poi le hanno proposto un anno nei cantieri<br />
di lavoro presso l’ufficio ragioneria del Comune di Torino per quattro ore<br />
al giorno e si è trovata bene, le hanno poi aumentato le ore, e dopo ha lavorato<br />
per un mese da un giornalaio, ma questa occupazione non le bastava a far<br />
fronte alle spese di casa. Ha quindi cercato di recuperare il rapporto coi parenti<br />
e con la figlia. Vive separata dal marito anche se non sono separati legalmente.<br />
Ha lavorato col camion per due mesi in una cooperativa. Poi è entrata in un<br />
altra cooperativa e sostituiva una persona in una scuola elementare europea e<br />
frequenta un corso di inglese ed andrà a fare uno stage in Irlanda. Adesso non<br />
ha più paura perché sa che riesce a trovare lavoro. Attualmente assume una<br />
terapia molto lieve e gestisce bene la sua casa ed ha instaurato un buon rapporto<br />
con la figlia. Si trova bene col lavoro attuale. Ha chiesto lei un ricovero perché<br />
si sentiva a disagio ed ha trovato medici comprensivi. Lamenta l’impreparazione<br />
del personale incontrato nei suoi ricoveri.<br />
Non mi sono identificata, ho solo sperato che le possibilità di lavoro a lei offerte<br />
siano possibili anche per me.<br />
6.5. Il diario di Enrico<br />
. Intervista a Dante del 17/2/03<br />
L’intervista si è tenuta in un locale neutro, in una stanza della cooperativa “Il margine”.<br />
Prima dell’intervista mi sentivo un po’ agitato. L’intervistato sperava da questa<br />
in tervista di trovare lavoro. Ha dei problemi evidenti ma lui non li accetta anzi si al -<br />
te ra a causa di una domanda fatta male.<br />
. Intervista a Monica del 3/3/03<br />
parte seconda<br />
L’intervista si è tenuta in casa dell’intervistata, la quale era sola a casa; questo ci permesso<br />
di lavorare indisturbati. Reduce dal fare una domanda “sbagliata” nel senso di<br />
non agitare l’intervistato, ero abbastanza agitato. Nel complesso l’intervista è andata<br />
abbastanza bene. L’intervistata andava a ruota libera sì che non ci ha dato problemi.<br />
Le domande sono state concise e brevi, stando attento a non mettere a disagio<br />
l’in tervistata.
. Intervista a Giorgio del 11/4/03<br />
L’intervista si svolge in una comunità alloggio in una stanza dove non siamo disturbati.<br />
Un operatore conoscendo Giorgio si raccomanda con lui sul fatto di non parlare troppo.<br />
Durante l’intervista ero molto agitato e questo è stato in parte trasmesso all’intervistato.<br />
Il ragazzo ha dei problemi evidenti anche se ha molta voglia di vivere dopo il<br />
tentato suicidio di due anni fa. Nel complesso l’intervista è andata abbastanza bene.<br />
L’intervistato andava a ruota libera; a Giorgio piace molto parlare di sé; personalmente<br />
mi sembra di aver sbagliato qualche domanda innervosendo l’intervistato. Ad un certo<br />
punto si invertono i ruoli e l’intervistato vuole far parlare me il che mi mette in agitazione.<br />
L’intervistato ci parla un po’ di tutto, per lui è uno sfogo.<br />
. Intervista Cesare del 23/4/03<br />
Siamo arrivati in largo anticipo così abbiamo aspettato un po’ di tempo prima di suonare<br />
alla porta. L’intervista è stata fatta a casa dell’intervistato il quale era solo in casa<br />
per cui abbiamo lavorato senza disturbi esterni. Prima dell’intervista ero molto agitato<br />
come mi capita spesso quando devo parlare di me. Cesare si fa trovare addormentato.<br />
Nel complesso l’intervista è andata bene anche se il ragazzo non parlava a ruota<br />
libera e nonostante ci fossero molti punti morti. Come esperto grezzo ho avuto paura<br />
di dire la mia esperienza per non innervosirlo. Il ragazzo sembra un drogato di eroina.<br />
Dice di sentirsi molto bene anche se in apparenza non sembra. Dalle mie esperienze<br />
sui drogati so che negano l’evidenza. Ho quasi più esperienza sul comportamento dei<br />
tossicodipendenti che come malato psichiatrico. Infatti ho fatto esperienza come<br />
volontario in una comunità per tossicodipendenti. L’intervistato mi ricordava il cugino<br />
della mia ex fidanzata tossicodipendente che scoperto da sua madre mentre si faceva<br />
una dose, ha avuto il coraggio di negare l’evidenza. A questo punto parla di una relazione<br />
con i testimoni di Geova anche se durata solo pochi giorni. Anche a questo<br />
riguardo avrei avuto da ridire su questo argomento avendo una sorella testimone di<br />
Geova, ma anche a questo riguardo ho avuto paura di intervenire.<br />
. Intervista a Margherita del 13/5/03<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
Il registratore ogni tanto si inceppava per cui ho passato tutta l’intervista a battere il<br />
registratore per farlo andare avanti. L’intervista è stata tenuta a casa dell’intervistata<br />
alla presenza della zia che è voluta rimanere ad ascoltare. Questo ha fatto si che l’intervistata<br />
era inibita nel parlare rovinando l’intervista. Ogni tanto la zia diceva la sua.<br />
Margherita ci racconta dei suoi problemi di depressione che l’hanno costretta a ritirarsi<br />
dalla scuola per prendere il diploma. Margherita vive con gli zii dall’età di nove<br />
anni ovvero da 15 anni per problemi familiari. Ci racconta che tempo prima aveva<br />
interrotto la terapia farmacologica per non rischiare perché si sentiva meglio e questo<br />
ha riportato ad una ricaduta. Questo fatto mi ha fatto ricordare a tutte le volte<br />
che io ho interrotto la terapia farmacologica più volte facendomi stare parecchio<br />
male. Ci racconta che si è messa a dieta perché la terapia farmacologica l’ha fatta<br />
ingrassare di 25 chili circa e questo mi ha fatto pensare quando pesavo circa 35 chili<br />
in più a causa delle compresse ma anche perché mangiavo in continuazione.<br />
213
214<br />
6.6. Il diario di Claudio<br />
. Intervista a Lucia<br />
Una persona intervistata che ha coscienza delle sue potenzialità e nonostante<br />
le difficoltà dovute alla sua malattia si è fatta rispettare dai colleghi. Prima<br />
ella era una stilista molto capace (ha cucito i grembiuli per i camerieri del<br />
Festival di San Remo), ma dopo la sua malattia è stata sei anni a casa e per questo<br />
motivo ha perso il suo posto di lavoro. Ella non ha mai avuto paura a lavorare:<br />
anzi il lavoro l’ha fatta guarire e le ha permesso di trovare di nuovo la sua<br />
indipendenza e la sua identità. Addirittura ella vorrebbe cercare un lavoro a<br />
tempo pieno, ma i per i soggetti svantaggiati non ci sono sbocchi perché è difficile,<br />
essendo menomati, inserirsi in un ambiente di lavoro. Ella ha coscienza<br />
del giusto stipendio e di quanto occorre per sopravvivere economicamente<br />
(pagare l’affitto di casa o il mutuo, pagare le bollette). Ella, prima di ammalarsi,<br />
lavorava e studiava alla sera contemporaneamente. Il suo lavoro le è sempre<br />
piaciuto: quello della stilista, perché ci vuole sempre molta pazienza. Tra i problemi<br />
da lei sollevati il più importante è la differenza dei ritmi di lavoro all’interno<br />
delle cooperative tra lei e le sue colleghe. Ella è una persona che dà<br />
importanza al suo lavoro come occasione per avere una propria indipendenza<br />
e come possibilità di riscatto morale e sociale.<br />
. Intervista ad Antonio<br />
parte seconda<br />
A proposito di questo intervistato vorrei affrontare il discorso di come il<br />
soggetto in questione si è inserito nel mondo del lavoro e, quindi, nella nostra<br />
società. Ho notato come l’intervistato, nonostante le difficoltà che lui ha<br />
incontrato nel suo ambiente di lavoro, non abbia mai perso la sua identità<br />
come non si è mai perso d’animo; il che vuol dire che pur lavorando ininterrottamente<br />
ha dimostrato agli altri di essere se stesso capace, fino al momento<br />
in cui è caduto in seguito alla malattia. Inoltre, l’intervistato ha dimostrato di<br />
possedere il coraggio di affrontare e di andare incontro fino in fondo alle proprie<br />
situazioni di vita, anche quelle più spiacevoli e pesanti da sopportare.<br />
L’intervistato, a mio modesto avviso, dimostra di essere un soggetto molto<br />
attivo, perché la sua attività lavorativa si svolge di notte, quindi con ritmi completamente<br />
diversi dalla normalità della gente comune e nonostante questo<br />
dimostra di sacrificare parte delle ore di sonno all’attività del Centro diurno -<br />
tramite il Collettivo Mente Locale, che riunisce pazienti differenti e operatori<br />
nell’intento di proporre delle attività per scoprire la città.<br />
Questo collettivo, di cui parlo adesso, si propone di creare un’associazione che si<br />
occupi non soltanto di problemi psichiatrici, ma anche di altro. Tra i problemi sollevati<br />
in ambito associativo è degna di nota la seguente frase: «perdersi per ritrovar-
si», cioè, attraverso la realtà quotidiana interrogarsi e scoprire i nostri limiti e i nostri<br />
pregi-difetti per ritrovare la nostra identità. Inoltre una frase che mi ha incuriosito<br />
dell’intervistato è: «ognuno di noi possiede una libertà di espressione e come identità<br />
ognuno di noi è pari all’altro».<br />
. Intervista a Marta<br />
Un’altra persona intervistata ha lavorato per qualche anno come baby-sitter<br />
presso un datore di lavoro. Anch’ella, come i precedenti intervistati, ha sofferto<br />
di disturbi psicologici durante la loro esistenza, per cui ella si è rivolta a una<br />
psicologa per risolvere i suoi problemi esistenziali. A questo scopo ha partecipato<br />
alla Cascina Gaione ad uno psicodramma, attraverso cui esprimere le proprie<br />
emozioni più personali, legate a dei vissuti spiacevoli per poterle superare<br />
senza alcun problema. Sulle problematiche psicologiche ha influito l’evento<br />
infartuale del padre, determinando una profonda crisi depressiva nel suo stato<br />
d’animo per la quale si sentiva di essere inutile a se stessa e agli altri.<br />
Nonostante la forma depressiva sofferta, l’intervistata è riuscita a terminare<br />
con successo un corso di ricamo e rammendo, di cui ci ha fatto vedere degli<br />
stupendi lavori. Ella, tramite l’Ufficio di collocamento, era riuscita a ottenere<br />
tre mesi come addetta alle pulizie. L’orario di lavoro era dalle 6 alle 10, per ciò<br />
si svegliava alle 4:30 e si preparava e prendeva il pullman. Doveva lavare i tre<br />
piani di uffici della banca più l’intero reparto ortopedia: il suo datore di lavoro<br />
pretendeva da lei sveltezza e precisione. Tutto ciò era fonte di stress.<br />
Ho notato che a differenza dell’intervistata Lucia, il tono dell’umore era appiattito<br />
e che l’intervistata di cui si parla è tuttora alla ricerca della sua identità.<br />
. Intervista a Sara<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
Questa intervistata si è presentata dimostrandomi di avere un sistema nervoso<br />
piuttosto labile, il che significa, in altri termini, soggetta a più ricadute.<br />
Ci ha raccontato di un episodio che le era successo a scuola, come un flash di<br />
ricordo nel quale sua madre le aveva impedito di cambiare scuola, giustamente,<br />
perché una semplice insufficienza in una materia aveva generato in lei il<br />
desiderio di smettere quel tipo di scuola che aveva iniziato. Questo suo ricordo<br />
è paragonabile a un cavallo che, non ragionando molto, si mette a correre<br />
come un pazzo, cioè diventa imbizzarrito. Ella soffre tuttora di una sindrome<br />
depressiva, che la porta di frequente a non saper prendere delle decisioni. Ella<br />
si pone spesso dei limiti ingiustificati alla sua vita sociale, per cui ella è soggetta<br />
a delle somatizzazioni che le impediscono di superarli: dimostra pertanto di<br />
avere poche chances. Ella ha lavorato come una forsennata da un commercialista<br />
per tanti anni, senza prendersi delle opportune vacanze per rilassarsi.<br />
Pertanto l’eccessivo stress determinato da un lavoro senza adeguate interruzioni<br />
l’ha portata ad ammalarsi - esaurimento nervoso serio. In seguito a questo,<br />
215
216<br />
ha subito un ricovero di sei mesi; purtroppo il suo datore di lavoro egoista, pur<br />
avendola svezzata da giovane, non le ha consentito di conservare il suo posto<br />
di lavoro al rientro dalla malattia mentale con questa motivazione: «non posso<br />
tenere in servizio una persona che non mi produce».<br />
Ella ha conosciuto una forte e profonda depressione, perché perdendo la<br />
sicurezza del suo posto di lavoro ha conosciuto l’insicurezza e la precarietà nel<br />
ricercare un nuovo posto di lavoro, dove soltanto possedendo notevoli requisiti<br />
culturali e dimostrando di essere capace dei propri compiti lavorativi sarebbe<br />
stato possibile inserirsi nuovamente nel mondo del lavoro. Ella ha conosciuto,<br />
inoltre, un altro momento di instabilità psico-fisica nel momento in cui<br />
ha provato l’esperienza di non contare più sull’appoggio della madre, andando<br />
a vivere per conto suo. Uscita dalla clinica, apparentemente guarita, si è dedicata<br />
ad attività varie, tra le quali fa menzione di un hobby che consiste nel disegno<br />
su stoffa.<br />
Ciò mi ha colpito perché anch’io che ho gli stessi problemi, per cercare tranquillità e<br />
relax interiore, ho svolto lo stesso tipo di hobby. Ella, per fortuna, ha trovato in sua<br />
sorella minore una persona che l’ha aiutata a sbloccarsi poiché il dialogo tra due persone<br />
che si vogliono bene consente di superare e risolvere più facilmente le difficoltà<br />
della vita quotidiana. Purtroppo ella non ha mai potuto godere, dopo il primo<br />
licenziamento, di un sicuro lavoro a tempo indeterminato, poiché ha sempre stipulato,<br />
per sua fortuna, contratti di lavoro a tempo determinato della durata di un anno<br />
solo. Nonostante le difficoltà dell’intervistata mi sembra di poter dire che ella ha sempre<br />
dimostrato una grande forza di volontà ne superare le situazioni a lei avverse.<br />
. Intervista a Matteo<br />
parte seconda<br />
Questo signore è laureato in Lettere e ha lavorato per vent’anni in un ospedale<br />
come ausiliario. Nel 1998, all’insorgenza della malattia psichiatrica, è<br />
stato licenziato. Ha fatto due ricoveri ed è stato un anno in una comunità psichiatrica<br />
nella quale ha potuto confrontarsi con altri pazienti. Ha fatto dei<br />
corsi di formazione per imparare l’uso del computer, ma si sente inferiore ai<br />
ra gazzi d’oggi che «usano il computer come fosse un pianoforte» (adesso il<br />
signor Matteo ha cinquant’anni).<br />
Non è facile dare un giudizio a una persona intervistata perché si può interpretare<br />
male i silenzi e le pause: in questo caso sono ricordi che affiorano, pezzi di esperienza<br />
che potevano essere vissuti in maniera diversa... non è il ritratto di una persona<br />
rinunciataria o che si stima poco, ma di una persona che ha fatto fatica e che forse<br />
non ha visto riconosciuto il suo lavoro... diciamo sfortunata! Anch’io in questo caso<br />
mi rivedo nella mia personale esperienza di sentirsi a disagio nella realtà che sto<br />
vivendo e dentro i pensieri si accavallano.... «se avessi fatto questo, forse non sarebbe<br />
successo quello», ecc.<br />
Ma continuiamo la storia del signor Matteo. Vince un concorso in un altro
ospedale come impiegato, ma sono i tempi di Tangentopoli e non viene riconosciuto<br />
il posto e quindi deve tornare «a lavare i pavimenti». Dal 1996 è se -<br />
guito dai servizi psichiatrici di zona che l’hanno aiutato a superare i momenti<br />
di crisi. Al Centro diurno ha visto molti iniziare un lavoro e poi lasciarlo, perché,<br />
a parte la gravità della patologia, subentra la sfiducia e gli viene proposta<br />
una borsa lavoro in una ditta con mansioni di archiviazione - soprattutto dei<br />
curricula. Ma nella ditta c’è un clima pessimo, perché è stata messa in Cassa<br />
in tegrazione e in questo caso se una ditta entra in Cassa integrazione cessa<br />
l’ob bligo di assunzione di invalidi.<br />
Il signor Matteo dimostra una buona conoscenza del mondo del lavoro, ma nello<br />
stesso tempo non nutre speranza nel suo futuro lavorativo. D’altra parte della sua<br />
vita affettiva ha detto niente, da cui si evince una persona molto riservata. Ma stiamo<br />
nel settore lavoro: se avesse fatto una visita di inabilità al lavoro quando venne<br />
licenziato avrebbe potuto usufruire di una pensione, ma a quel tempo né il Servizio<br />
di salute mentale, né nessuna persona da lui conosciuta glielo fecero presente. Ciò<br />
denota la scarsa informazione dei i servizi sociali hanno spesso delle dinamiche del<br />
lavoro.<br />
L’esperienza ventennale del signor Matteo nel mondo del lavoro ha fatto<br />
maturare in lui che la strada migliore è quella dei «lavori guidati» che danno<br />
una parvenza di regolarità e nello stesso tempo permettono una certa autonomia<br />
ai soggetti svantaggiati.<br />
6.7. Iinvece del diario: l’intervista a Paolo<br />
Paolo ha partecipato attivamente alla realizzazione delle interviste, non ha<br />
però avuto modo di scrivere il diario di questa esperienza. Al diario si è deciso<br />
di sostituire un colloquio che viene riportato di seguito 113 .<br />
Paolo, volevo fare un po’ il punto con te su questa tua esperienza di co-intervistatore.<br />
Tu hai fatto cinque interviste, di cui almeno tre - mi pare - sono state interviste ri -<br />
petute, cioè che tu hai poi rifatto con..<br />
con Marco.<br />
i diari dei co-intervistatori<br />
Marco. E come lavoravi con il tuo partner? Come vi siete organizzati?<br />
Eravamo abbastanza complementari, almeno così mi sembra. Certo che, da<br />
parte mia, c’era un ascolto più legato alla mia esperienza personale e quindi più<br />
coinvolgente, forse meno oggettivizzante, e infatti attraverso queste interviste<br />
ho rivissuto alcune cose della mia esperienza personale, In tutti, in tutte le persone<br />
intervistate, ho trovato una voglia di venir fuori dal disagio psichico.<br />
Anche il fatto, che queste persone siano state supportate, non solo da uno<br />
217
218<br />
parte seconda<br />
psichiatra, ma da tutta una serie di operatori, come, per esempio, gli operatori<br />
psi chiatrici, quelli che si chiamano operatori psichiatrici, che fanno un lavoro<br />
ve ramente encomiabile perché non è un lavoro ufficialmente tanto riconosciuto<br />
però è un lavoro che veramente va incontro molto al paziente. Solo in<br />
pochi ho trovato una forma di rassegnazione, come dire:”la malattia mentale è<br />
inevitabile, me la tengo e pace”. In qualcun altro invece - cosa che trova<br />
risponden za in me, perché io credo che dalla malattia mentale si può uscirne -<br />
ho trovato il desiderio di uscirne fuori, una lotta per uscirne fuori, non solo<br />
contando sul l’aiuto degli psicologi, ma anche in un certo modo, impegnandosi<br />
in prima per sona. Forse per la maggioranza c’è questa esigenza del lavoro<br />
che, secondo me, è risolutivo perché una persona che attraversa questo disagio<br />
ha bisogno di un’attività lavorativa, anche part-time, che lo impegni, lo faccia<br />
sentire utile a se stesso e anche agli altri.<br />
Con Marco c’era molto affiatamento e infatti a volte indovinavamo un po’<br />
le domande che l’altro voleva fare, e poi c’era questo desiderio di aprirsi, di far -<br />
si ascoltare, insomma quindi non c’erano problemi, tutto sommato mi sembra<br />
sia stata un’esperienza positiva. Mi ha fatto capire quanto ci sia bisogno anche<br />
di la vorare per aiutare quelli anche più bisognosi di noi, non per spirito missio -<br />
na ristico. Quanto sia importante questa solidarietà tra persone che sono interessate<br />
da esperienze comuni, esperienze difficili, drammatiche.<br />
E tu hai avuto l’impressione che in queste interviste che avete condotto questa solidarietà<br />
si sia creata nel contesto del setting dell’intervista tra te e i tuoi interlocutori?<br />
Sì e infatti le interviste, la maggior parte, sono finite con un senso di sospensione,<br />
come se da parte degli intervistati ci si aspettasse un prolungamento o<br />
una replica dell’intervista, anche per quelle replicate. C’era questa sorta di at -<br />
te sa di essere chiamati di nuovo e questo era un vero segnale che un’intesa si<br />
era creata .<br />
E momenti critici, spinosi, delicati, ricordi se ne avete incontrati?<br />
Ma io francamente non mi ricordo, salvo la tendenza in qualcuno ad iterare<br />
le esperienze. Cioè, come dicevo prima, questa sorta di rassegnazione e a<br />
continuare a fare un po’ come prima senza nessuno sbocco, nessun miglioramento,<br />
nessuna via di uscita.<br />
Senti, sul tema del lavoro, al quale hai accennato prima, immagino che voi abbiate<br />
rivolto interviste sia a persone che lavoravano o che hanno avuto un’importante<br />
esperienza lavorativa, sia a persone che, quanto meno nel momento dell’intervista,<br />
erano disoccupate. Così, di primo acchito, sulla base delle impressioni che hai tratto da<br />
questa esperienza, hai colto delle differenze fra occupati e disoccupati?
i diari dei co-intervistatori<br />
Ma, tra quelli che non lavoravano c’era come l’impressione di sentirsi inutili,<br />
inadeguati. Per esempio in qualcuno c’era il desiderio di farsi una ragazza,<br />
per fare un esempio, ma “senza il lavoro” - dicevano - “come faccio ad avere<br />
una ragazza se non posso portarla a mangiare una pizza?” C’era una sorta di<br />
amarezza, dovuta alla consapevolezza di fare una vita grama che raddoppiava il<br />
disagio psichico. C’era il disagio e in più quest’altro stigma, chiamiamolo così,<br />
del non lavoro. Quelli che hanno un lavoro li sentivo più attivi, più loquaci, più<br />
desiderosi di parlare anche delle esperienze lavorative. Qualcuno ha fatto<br />
importanti esperienze lavorative e testimoniava anche di una creatività, tra virgolette,<br />
abbastanza importante. Negli altri, invece, in quelli che non lavoravano,<br />
c’era una sorta di svilimento, che peggiorava questa situazione di disagio<br />
psichico, perché tagliava fuori tutti i legami sociali, i rapporti con le donne,<br />
con gli amici, con..<br />
Quella che ti faccio ora è una domanda forse un po’ inopportuna, ma - secondo te -<br />
in base all’esperienza che hai avuto con questa ricerca e anche sulla base della tua esperienza<br />
di vita, a contatto con altre persone che hanno avuto problemi di disturbi psichici,<br />
pensi che ci siano delle differenze forti che separano quelli che riescono ad avere<br />
un lavoro e quelli che non ci riescono?<br />
Ma ci sono, secondo me, malattie mentali che rendono veramente, non dico<br />
inabili al lavoro, ma che rendono veramente difficile poter espletare un lavoro.<br />
Mentre ci sono altre forme di disagio psichico dove il lavoro è una specie<br />
di carburante, che stimola le potenzialità che ci sono già nella persona. E io ne<br />
ho conosciute anche di queste persone. C’è un’immagine, forse un po’ scontata,<br />
che la persona con il disagio psichico sia una persona più sensibile, più creativa,<br />
eccetera. Se ci sono forme di patologia gravi, che ottundono le capacità<br />
mentali, lavorative, ci sono poi tante forme, ad esempio le forme bipolari, dove<br />
a periodi di stasi - e questo viene fuori anche dalle interviste - si alternano<br />
periodi magari di esuberanza, di eccesso, di cose spropositate, però molto creative<br />
e questa gente dà molto anche in termini di rapporti interpersonali.<br />
Mentre altre prognosi, altre persone, altre forme di patologia si chiudono al<br />
rapporto umano interpersonale, altri lo cercano invece, lo desiderano.. non so<br />
se riesco a spiegarmi..<br />
Ti sei spiegato benuissimo... Ti chiederei solo un supplemento su un aspetto collegato<br />
alla malattia mentale: i farmaci, cioè se in questo gioco, nella possibilità di accrescere<br />
o diminuire la capacità di partecipare attivamente ad un’ esperienza lavorativa,<br />
pensi che i farmaci giochino un qualche ruolo...<br />
Secondo me giocano un ruolo decisivo, però anche per la mia esperienza<br />
personale, nel senso che io ho dovuto usare certi farmaci che mi davano un<br />
effetto contrario a quello ricercato, che anziché calmarmi mi eccitavano.<br />
219
220<br />
parte seconda<br />
Adesso sto prendendo un farmaco da diversi mesi, che mi calma e mi rende<br />
un po’ più sereno. Più in generale, a prescindere dal mio caso personale, i farmaci,<br />
innanzi tutto, sono un qualcosa di molto soggettivo. Non è vero che un<br />
farmaco va bene a te - anche se io e te, per dire, abbiamo la stessa patologia -<br />
può andar bene anche per me. Non è vero uno stesso farmaco può andare<br />
egualmente bene per più persone. Poi ci sono certi farmaci, come per il<br />
Serenase, che ormai non lo prescrivono quasi più perché hanno capito che ha<br />
tante di quelle controindicazioni che sono più i danni che i benefici. Adesso c’è<br />
una nuova generazione di farmaci che stanno tirando fuori, farmaci che danno<br />
sempre meno effetti collaterali e in questo senso aiutano, sì possono essere di<br />
molto aiuto..<br />
E l’altro aspetto invece? Abbiamo parlato dell’aiuto, l’idea che possano anche creare<br />
qualche problema è emerso nel corso delle interviste?<br />
Ma sì, i problemi di assuefazione per esempio, in qualcuno c’è la tendenza<br />
a chiedere allo psichiatra sempre lo stesso farmaco, ma non è la regola.<br />
Ho capito. Sì, passerei adesso a un altro aspetto attorno al quale abbiamo già cominciato<br />
a riflettere, però magari dandoci tempo, spazio per un approfondimento. Nei<br />
diari che ho raccolto da parte delle altre persone che hanno svolto come te questo lavoro<br />
è emerso in alcuni casi il tema del rispecchiamento, che a te dovrebbe essere familiare,<br />
cioè l’idea che l’esperienza dell’intervista si configuri come un’esperienza nella qua -<br />
le il co-intervistatore aveva modo di rispecchiarsi, rivivere alcune esperienze, alcune<br />
fa si, ecco, questo per te si è dato? Se sì, ha provocato qualche volta pena, sollievo..?<br />
Direi che c’è il tema del rispecchiamento che qualche volta ha prodotto<br />
qualcosa che chiamerei solidarietà, tra virgolette. Questo però insieme alla<br />
paura di ricadere di nuovo in qualcosa da cui sembra che in qualche modo ti<br />
stai emancipando, ti stai tirando fuori. L’altro aspetto, che non mi sembra solo<br />
un fatto personale, ma che può essere esteso è quello che chiamerei un po’<br />
lavoro del contagio, contagio psichico. Cioè tu riesci a immedesimarti a punto<br />
tale in un’intervista quasi da assorbire certe cose dell’altro. Il rispecchiamento<br />
c’è stato, attenuato però dal ruolo di intervistatore che portava l’attenzione sui<br />
confini, a pensare che, anche se abbiamo la stessa patologia, io e te siamo diversi,<br />
siamo persone diverse, ci può essere un dialogo ma non siamo la stessa.<br />
Quindi tu dici che il ruolo di intervistatore, sottolineato anche dalla presenza dell’altro,<br />
in questo caso di Marco, rendeva meno perturbante questa esperienza...<br />
Sì, certo, perturbante è la parola esatta...<br />
Per concludere vorrei invitarti a fare un bilancio generale dell’esperienza di Alphaville.
i diari dei co-intervistatori<br />
Secondo me è stato un progetto importante prima di tutto perché ha coinvolto<br />
vari enti: l’università, le Asl, operatori, e poi perché è stato un progetto<br />
che aveva, non solo finalità di ricerca pura, ma anche - non so, io la chiamo<br />
così - di ricerca applicata. Quello di cui mi sono rammaricato è che ha avuto<br />
queste lungaggini, queste interruzioni per cui, per esempio si era fatto mesi fa<br />
il progetto di fare questi due giornalini sulle interviste di lavoro, mi avevano<br />
coinvolto per trovare delle persone con cui creare dei giornalini che riportassero<br />
queste esperienze.. poi si è detto che non se ne faceva niente, che tutto<br />
era bloccato. Non si capisce bene dov’è stato l’intoppo, insomma, quali di questi<br />
partner è venuto meno.<br />
E, che tipi di sviluppi immagini per Alphaville?<br />
Proseguire le interviste, rendere pubblici i risultati; per esempio la relazione<br />
che hai tenuto tu 114 , secondo me bisognava renderla pubblica, non limitarla<br />
a un ambito ristretto, ma renderla pubblica, anche attraverso la stampa, in<br />
modo da sensibilizzare anche le aziende, per esempio, su questo problema del<br />
lavoro. Perché se è vero che è solo il 6% delle aziende - mi pare di ricordare -<br />
ad assumere persone disabili, è molto grave, se non si sblocca questo, come si<br />
può fare? Quindi un lavoro di sensibilizzazione e anche di pubblicazioni che<br />
arrivino anche..<br />
Beh, questo verrà fatto, per lo meno da parte mia, la valorizzazione di questa esperienza<br />
ci sarà. Dico, e il rapporto con i tuoi colleghi in senso più ampio, cioè con il gruppo<br />
di ricerca a cui fanno capo, oltre me, Danila, Laura, gli altri intervistatori, il gruppo<br />
di esperti, o co-intervistatori, con il quale hai condiviso quanto meno i momenti di<br />
formazione, ecco, su questo?<br />
Sì, sono soddisfatto, è stata un’esperienza utile che mi ha arricchito, mi ha<br />
portato a conoscenza anche di cose che non sapevo prima, anche con Danila<br />
c’è stato un rapporto molto produttivo, molto efficace<br />
Bene, ti senti di aggiungere qualcosa fuorisacco, insomma, fuori dalle mie suggestioni...<br />
quello che ti viene in mente di rilevante...<br />
Ma una cosa la vorrei dire. In questo settore, quando si parla soprattutto di<br />
disagio psichico, bisognerebbe mettere da parte le beghe dei gruppi, le beghe<br />
personalistiche e guardare un po’ più alle finalità dell’esperienza, essere più<br />
coinvolti insieme in questa esperienza, non andare per compartimenti stagni,<br />
insomma...<br />
Una cosa di cui farò tesoro anche per me stesso, insomma... Va bene, Paolo, abbiamo,<br />
abbiamo finito grazie.<br />
221
222<br />
7.<br />
Raccomandazioni per l’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici<br />
Questa parte del rapporto è dedicata alla definizione di un insieme preliminare<br />
di spunti utili ad orientare l’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici.<br />
Per la sua redazione sono state analizzate le interviste condotte ai pazienti<br />
occupati (le interviste libere e le interviste guidate) e ai loro familiari, per un<br />
totale di 52 interviste riferite a 24 pazienti. Il paragrafo che segue (7.1.) descrive<br />
sommariamente il profilo dei pazienti occupati. Il paragrafo successivo (7.2.)<br />
delinea le raccomandazioni desunte dall’esame dei materiali d’intervista.<br />
Al riguardo è opportuno precisare che si tratta di prime indicazioni, dirette<br />
a stimolare la discussione e non già a configurare vere e proprie conclusioni. Il<br />
rilievo di queste notazione deriva principalmente dai materiali dai quali sono<br />
state tratte: le interviste ai pazienti psichiatrici e ai loro familiari, convocati qui<br />
come “esperti” in una materia complessa quale quella della conciliazione fra<br />
lavoro e disturbo psichiatrico.<br />
7.1. Il campione dei pazienti occupati<br />
parte seconda<br />
L’individuazione delle raccomandazioni per l’inserimento lavorativo dei<br />
pazienti psichiatrici è stata condotta a partire dalle testimonianze dei pazienti<br />
occupati, parte del più vasto campione di soggetti in studio, e dei loro familiari.<br />
I testi analizzati provengono da una popolazione eterogenea che raccoglie<br />
esperienze professionali diverse e differenti articolazioni del rapporto tra salute<br />
e lavoro. La maggior parte dei testi analizzati illustra l’inserimento lavorativo<br />
di pazienti psichiatrici, si tratta cioè di situazioni nelle quali l’occupazione<br />
nella posizione svolta attualmente segue l’esordio della crisi psichiatrica.<br />
Fanno eccezione in tal senso cinque casi che consentono di sondare una diversa<br />
traiettoria occupazionale e sanitaria. Quattro casi: Marco, Dario, Giorgia e<br />
Greta, riguardano soggetti occupati in un’azienda nella quale hanno iniziato a<br />
lavorare prima della crisi di psichiatrica. Questi casi descrivono, non già l’inserimento,<br />
ma la conservazione del posto di lavoro a seguito di una crisi psichiatrica.<br />
Il quinto caso, Caterina, riguarda una paziente che ha ottenuto il proprio<br />
posto di lavoro come invalida fisica, ma che poi ha visto modificato il proprio<br />
status come invalida psichica. Quest’ultimo caso offre interessanti spunti di<br />
riflessione sulla relazione tra le due forme di invalidità.<br />
7.2. Raccomandazioni per l’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici: primi<br />
spunti di riflessione<br />
Le raccomandazioni desunte dalla lettura dei 24 profili di pazienti occupati<br />
sono organizzati in 3 sezioni che riproducono le tappe cronologiche dell’inse-
accomandazioni per l’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici<br />
rimento lavorativo: l’abbinamento tra azienda e lavoratore, l’inserimento lavorativo<br />
e il mantenimento del lavoro acquisito.<br />
7.2.1. Abbinamento<br />
La fase di abbinamento prevede l’esame congiunto delle caratteristiche del<br />
lavoratore candidato all’inserimento e di quelle dell’azienda nella quale troverà<br />
occupazione. Le testimonianze raccolte mettono in luce l’estrema delicatezza<br />
di questa fase e la necessità di un attento esame delle caratteristiche dell’azienda<br />
e delle mansioni che in essa si dovranno svolgere dal punto di vista<br />
del paziente. In specifico la definizione di ruolo o mansione adeguata deve<br />
essere condotta ricorrendo ai criteri propri, non già dell’azienda, ma del lavoratore.<br />
Ciò che per l’azienda è un lavoro semplice, di tutto riposo, può non<br />
essere tale per il paziente. È il caso, ad esempio, del lavoro di magazziniere<br />
pensato per Marco: semplice per l’azienda, estremamente stressante per il<br />
lavoratore. In quel che segue considererò dapprima i requisiti dell’azienda e<br />
poi quelli del lavoratore, seguirò un approccio schematico (e forse anche un<br />
po’ rozzo) modellato sulle testimonianze degli intervistati.<br />
. L’azienda<br />
i. La posizione offerta non deve essere una sinecura, un «lavoro finto»<br />
Questa indicazione emerge in modo nitido da Matteo e Noemi. L’at tri bu -<br />
zione di un lavoro che altro non è che intrattenimento avvilisce la persona che<br />
è chiamata a svolgerlo e crea problemi relazionali con i suoi colleghi.<br />
Quest’ultimo aspetto è illustrato dalla testimonianza di Matteo, inserito in<br />
un’azienda di servizi ai sensi della Legge 68/1999. Matteo, cui l’azienda aveva<br />
attribuito mansioni marginali, racconta di aver percepito – nitida – l’ostilità dei<br />
propri colleghi che vedevano in lui una persona “pagata come loro per fare<br />
niente”.<br />
ii. La mansione proposta deve adattarsi alle caratteristiche specifiche del lavoratore<br />
La questione è ovvia e forse non meriterebbe di essere trattata, tuttavia dall’analisi<br />
dei materiali di intervista emergono alcune deviazioni da questa norma<br />
che segnalano l’importanza della questione. Qui ci limitiamo a segnalare il<br />
caso di Marco, magazziniere in una grande industria cittadina. La storia di<br />
Marco è illustrata in dettaglio al par. 2.5.1., ricordiamo qui che Marco, a seguito<br />
della propria crisi viene trasferito al magazzino. Nel descrivere le difficoltà<br />
del proprio lavoro Marco mette in luce un insieme di aspetti degni di nota che<br />
portano a connotare la posizione occupata come massimamente stressante, una<br />
posizione caratterizzata, con Karasek, da elevata domanda e basso controllo 115 .<br />
223
224<br />
parte seconda<br />
RIQUADRO A<br />
Il modello demand control di Karasek<br />
Karasek sviluppa e sottopone a controllo empirico un “modello” diretto alla previsione del livello di<br />
tensione psicologica (psychological strain) associato allo svolgimento di una determinata mansione.<br />
Ciò che Karasek definisce come modello è, di fatto, una tipologia, ottenuta dall’unione delle categorie<br />
concettuali messe a punto entro due tradizioni di ricerca cresciute - osserva l’Autore - in una condizione<br />
di reciproco isolamento. All’interno della prima tradizione, lo studio del lavoro organizzato<br />
viene condotto concentrando l’attenzione sul livello di autonomia che compete al lavoratore nello svolgimento<br />
della propria mansione (job decision latitude). La seconda tradizione mette invece a fuoco<br />
soprattutto i fattori di stress propri di ciascuna situazione lavorativa. Dalla combinazione di queste due<br />
prospettive discende la tipologia riprodotta di seguito.<br />
JOB DECISION<br />
LATITUDE<br />
LOW<br />
HIGH<br />
JOB DEMANDS<br />
LOW HIGH<br />
Passive job High strain job<br />
Low strain job Active job<br />
Il modello contiene due predizioni. Primo: alla crescita del livello di richieste psicologiche del lavoro<br />
(job demands)116 la tensione psicologica cresce in ragione della riduzione dell’autonomia decisionale<br />
(job decision latitude), processo rappresentato in tabella dalla diagonale A - Unresolved strain. In particolare,<br />
osserva l’Autore, per ciascuna mansione il livello di tensione è espresso dall’eccesso delle<br />
richieste sull’autonomia decisionale. Secondo: la crescita delle richieste associate a un lavoro dato<br />
conduce ad un incremento delle competenze quando ad essa si accompagna un aumento del livello di<br />
autonomia decisionale; processo, quest’ultimo, illustrato in tabella dalla diagonale B - Activity level.<br />
Alle quattro figure della tipologia di Karasek corrispondono quattro situazioni di lavoro che possono<br />
essere ordinate in relazione alla natura e all’intensità dell’impatto sulla salute mentale117. La situazione<br />
alla quale sono associate le conseguenze più gravi in termini di salute è quella etichettata come High<br />
Strain Job. A questa categoria (high demands and low decision latitude), particolarmente rilevante per<br />
le finalità del nostro studio, possono essere ascritte le situazioni di lavoro dei camerieri, dei telefonisti,<br />
ma anche, ad esempio, quella degli impiegati dell’Anagrafe di una grande città, e molte delle occupazioni<br />
del settore “post-industriale dei servizi” (sensu Esping-Andersen). Seconda per impatto sulla<br />
salute è la situazione di Low Job Strain, cui seguono, nell’ordine, quella di Passive Job, situazione -<br />
osserva Karasek - che conduce ad un’ “inettitudine appresa” e, infine, quella di Active Job, che determina<br />
uno stato di salute mentale e una disposizione cognitiva che dal lavoro si estende alle altre sfere<br />
della vita sociale. Karasek sottopone a controllo le proprie predizioni, in particolare l’ipotesi di un’interazione<br />
sinergica tra high demands e low decision latitude, su due campioni di lavoratori: svedesi gli<br />
uni, nordamericani gli altri. Per la classificazione delle occupazioni in studio nelle quattro figure della<br />
tipologia l’Autore ricorre all’autovalutazione dei soggetti (sollecitata con un questionario) e al giudizio<br />
di un gruppo di esperti. Tra i giudizi soggettivi e quelli formulati dagli esperti si dà una stretta correlazione<br />
che suggerisce: a) la natura tutt’altro che idiosincratica dei giudizi soggettivi, ma, soprattutto;<br />
b) la praticabilità di una job analysis basata sul giudizio di esperti e condotta su dati aggregati.<br />
Il modello trova nella documentazione empirica analizzata un adeguato supporto, in particolare trova<br />
conferma l’ipotesi d’interazione tra high demands e low decision latitude.<br />
A<br />
B
accomandazioni per l’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici<br />
Marco descrive il proprio lavoro come stressante. Le ragioni di questo stress<br />
sembrano principalmente due: a) la presenza di fasi di lavoro caratterizzate<br />
dalla combinazione di elevate richieste e modesto controllo (Karasek: high<br />
demand and low control): “a volte ti arriva per esempio, arriva il materiale in ma -<br />
gaz zino, che poi non lo lo diamo a chi lo viene a prendere. Però arriva tutto<br />
as sieme, allora devi devi stare lì a metterlo tutto a posto (…) poi a volte trovi<br />
quello che vuole essere servito a tamburo battente (…) ci sono momenti che<br />
non c’hai un attimo di respiro”; 2) il carico di responsabilità contabile, unito<br />
alla difficoltà a tenere tutto sotto controllo: “devi cercare eee sempre di avere<br />
le cose in quadro (…) a volte capita, anche magari gente che entra, magari non<br />
te ne accorgi, ti frega un pezzo e con chi te la vai a prendere? Lì è un porto di<br />
mare, però ...cerchi poi di far quadrare le cose quando te ne accorgi magari ti<br />
fai fare un buono da uno che conosci, gli aggiungi un pezzo o glielo dici eee<br />
metti in quadro”. L’aspetto rilevante è l’assenza di controllo: Marco non riesce<br />
(e chiunque altro al suo posto) a controllare l’ambiente esterno per le pressioni<br />
organizzative e per il comportamento dei colleghi che si prendono i pezzi<br />
da soli mettendolo in seria difficoltà.<br />
iii. Nella scelta della mansione occorre considerare i costi organizzativi della<br />
discontinuità delle prestazioni lavorative<br />
Dalle testimonianze raccolte emerge l’importanza di tener conto del costo<br />
e della probabilità di prestazioni lavorative gravate da cali di attenzione o da<br />
errori. Eloquente, al riguardo, è la testimonianza di Vito, un uomo giovane,<br />
che ha vissuto con frustrazione il lavoro in due mobilifici nei quali i suoi errori<br />
– era addetto a una foratrice – erano costosi (un pezzo di mobile forato in<br />
modo improprio è inutilizzabile) e frequenti (l’operazione di foratura si svolgeva<br />
in un tempo limitato). Esposto a commettere molti errori, Vito subiva<br />
una continua aggressione alla propria autostima , unitamente ai rimproveri dei<br />
colleghi: “Non capisci niente, non sei buono a far niente…”. Vito attualmente<br />
lavora come collaudatore, in un ruolo che prevede di intercettare gli errori<br />
commessi da altri o derivanti dal malfunzionamento degli impianti. In quest’attività<br />
– meno semplice della precedente – Vito ha prestazioni migliori e<br />
non si sente inadeguato.<br />
iv. Occorre valutare l’appropriatezza dell’ambiente sociale entro il quale la<br />
mansione verrà svolta.<br />
Le caratteristiche dell’ambiente sociale nel quale si svolge il lavoro hanno<br />
un ruolo decisivo per la conciliazione fra mansione svolta e disturbo psichico.<br />
Spunti al riguardo emergono dal racconto di Greta. Greta sottolinea il di -<br />
sagio che deriva dalla variabilità dell’ambiente sociale in cui è costretta a lavorare,<br />
lavora per una catena di supermercati, in un contesto in cui è frequente<br />
l’avvicendamento dei colleghi. Greta si vede così costretta a affrontare più e<br />
più volte il disagio della socializzazione all’interno di un contesto lavorativo<br />
225
226<br />
parte seconda<br />
nuovo. Così si esprime Greta: “magari ci impieghi tre mesi a riuscire a instaurare…<br />
a capire una persona e e… evitare determinati problemi che potevano<br />
nascere e ti ritrovi che e… c-cambiano e ne arriva un’altra e devi ricominciare<br />
da capo”.<br />
v. L’azienda candidata dovrebbe rendersi disponibile all’accettazione di una<br />
prestazione lavorativa ispirata al principio della flessibilità<br />
Nei confronti dell’azienda è necessario incoraggiare un atteggiamento che<br />
riconosca al lavoratore il diritto a una certa flessibilità, nei modi e nei tempi<br />
dello svolgimento del proprio lavoro. Una delle maggiori difficoltà denunciate<br />
dai pazienti, e dovute ai farmaci che assumono, è quella di svegliarsi al matti -<br />
no e presentarsi sul luogo di lavoro puntuali. Nell’individuazione della<br />
mansio ne occorre tener conto di questo aspetto: evitando mansioni che non<br />
possono essere svolte adeguatamente se il lavoratore si presenta in ritardo (ad<br />
esempio l’apertura di uffici) o, laddove ciò non sia possibile, agendo in modo<br />
tale che i ritardi del lavoratore possano essere recuperati.<br />
Occorre insistere sulla possibilità di recuperare il ritardo (flessibilità dell’orario)<br />
piuttosto che sulla sospensione di sanzioni, questo per evitare malumori<br />
con i colleghi.<br />
La flessibilità riguarda inoltre l’inserimento – di cui si dirà più in là – e la<br />
modulazione della presenza. La necessità di conciliare lavoro e cura del sé rendono<br />
talvolta necessario poter contare su permessi o su orari che consentano<br />
il ricorso ai servizi di cura. L’assenza di questa flessibilità viene lamentata da<br />
Greta che – fino a quando l’introduzione di un ticket non glie l’ha impedito –<br />
frequentava le sedute di un gruppo di psicodramma: “tutte le volte sono delle<br />
discussioni interminabili e… e quindi questa cosa poi mi viene anche e… fatta<br />
pesare dai colleghi…”.<br />
vi. Il lavoro dovrebbe essere stabile, o almeno non soggetto a imprevedibili<br />
fluttuazioni di mercato<br />
Questo aspetto ha a che fare con il disagio provocato dall’insicurezza occupazionale<br />
che, in alcuni pazienti psichiatrici, può tradursi in ansie che impediscono<br />
il normale svolgimento del lavoro 118 .<br />
Questa, purtroppo, è la situazione nella quale versano numerose cooperative<br />
che vedono nella conferma di commesse e contratti annuali la condizione<br />
della prosecuzione delle proprie attività.<br />
Il problema dell’insicurezza è sottolineato con viva preoccupazione da<br />
Lucia, una donna matura che lavora in una cooperativa sociale. Anche per questo<br />
caso, laddove la causa del disagio non possa essere rimossa occorre intervenire<br />
con azioni di sostegno tese a contenerne gli effetti. Nel caso in cui le<br />
opzioni lavorative siano più d’una, l’elemento della stabilità può aiutare nella<br />
scelta tra esse.
accomandazioni per l’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici<br />
. Il lavoratore<br />
vii. Integrare l’inserimento lavorativo con un più ampio progetto di riabilitazione<br />
sociale<br />
I materiali raccolti – pochi per le finalità di questo punto – mostrano come<br />
la promozione di un’autonomia abitativa contribuisca al mantenimento del<br />
posto di lavoro. Costituiscono testimonianze eloquenti i casi di Vito, Marco,<br />
Antonio e Gabriele. In misura diversa tutte queste persone combinano lavoro<br />
e autonomia abitativa traendo dalla loro combinazione esiti più che positivi.<br />
viii. Fornire una preparazione non solo professionale al lavoro<br />
L’inserimento o il reinserimento in un contesto lavorativo è un momento<br />
particolarmente delicato al quale il lavoratore deve giungere armato non solo<br />
di competenze professionali.<br />
Una prima questione che merita di essere affrontata riguarda la consapevolezza<br />
in merito alla propria condizione di salute. Nella maggior parte delle<br />
interviste analizzate i pazienti parlano del proprio malessere con una chiara<br />
tendenza alla minimizzazione: diagnosi severe, quali la schizofrenia, vengono<br />
rese dai pazienti, nel loro racconto, come «esaurimento», «depressione»,<br />
«disturbo». Questa strategia, al confine tra l’illusione e l’autoinganno, non è<br />
priva di vantaggi. Pensare in questa chiave il proprio disagio, renderlo più piccolo,<br />
aiuta forse ad affrontarlo. A questa propensione dei pazienti corrisponde,<br />
con tutta probabilità, l’adozione da parte dei medici curanti di una linea di<br />
condotta che non abbraccia la logica della «verità al paziente». La presenza tra<br />
i materiali raccolti di un caso in controtendenza, rappresentato da Noemi, una<br />
donna matura, una donna che ha scelto di non celare né a sé, né agli altri il proprio<br />
disagio, costringe a una riflessione: è davvero utile rinchiudere i pazienti<br />
in una condizione di ignoranza sulla natura dei loro problemi di salute? Essere<br />
consapevoli della propria condizione di salute aiuta a una valutazione realistica<br />
delle proprie possibilità e, su questa base, a una modulazione coerente delle<br />
proprie aspirazioni. Rilevante al riguardo è la testimonianza di Ilaria, una giovane<br />
donna che soffre di crisi di panico: “ma dove sta scritto che tutti quanti<br />
dobbiamo avere un lavoro fighissimo, guadagnare un sacco di soldi”.<br />
Da ultimo è ragionevole ipotizzare che la consapevolezza possa aiutare ad<br />
affrontare con maggiori strumenti il tema delicato del riconoscimento dell’invalidità,<br />
riconoscimento che – almeno in alcuni casi – facilita l’inserimento nel<br />
mercato del lavoro. Ciò si lega al punto che segue cui si rimanda.<br />
Su di un piano meno problematico si colloca la trasmissione di abilità relazionali,<br />
utili ad affrontare le situazione di disagio nei luoghi di lavoro. Penso<br />
in particolare a strumenti quali corsi di comunicazione sociale, attivati, ad<br />
esempio nei servizi dell’area triestina. È difficile credere che un corso di comunicazione<br />
sociale possa risolvere i problemi di comunicazione e integrazione<br />
sociale dei pazienti psichiatrici, ma non si può nemmeno escludere che l’acquisto<br />
di specifiche competenze cognitive e comporamentali possa giovare.<br />
227
228<br />
ix. Promuovere una ridefinizione della condizione di invalidità<br />
In molte delle testimonianze raccolte, soprattutto in quelle provenienti da<br />
pazienti che non hanno lo status di invalido civile, questa condizione è percepita<br />
come uno stigma. Si esprime in questi termini Lorenzo, un uomo giovane:<br />
“Domani vado dal mio dottore per discutere dell’invalidità, perché mi<br />
vogliono dare l’invalidità così mi aiutano anche a trovare un lavoro ma io non<br />
so se accettare perché è come se ti mettono un timbro; va be’ trovi lavoro più<br />
facilmente però poi come fai? Ti vedono sempre come un malato; se ti trovi<br />
un lavoro per i fatti tuoi non ti prende nessuno, ci devo pensare. L’invalidità<br />
non mi piace tanto, rimane il cordone ombelicale”.<br />
Gli fa eco Giorgia, una giovane donna che, a proposito dell’invalidità osserva:<br />
“Essere rovinata, per me essere rovinata perché vuol dire dichiarare di essere<br />
pazza è grave!”.<br />
Tutto ciò costituisce un evidente ostacolo all’utilizzo dei benefici stabiliti<br />
dal la Legge 68. Sembra dunque necessario promuovere una ridefinizione della<br />
condizione di invalidità che insista più sull’idea di risarcimento sociale che su<br />
quella di incompletezza individuale.<br />
Nella medesima direzione potrebbe forse essere utile intervenire sul piano<br />
della comunicazione pubblica, nella ridefinizione dei vocabolari con cui esprimere<br />
l’accesso agevolato al mercato del lavoro.<br />
7.2.2. Inserimento<br />
parte seconda<br />
Le prime fasi del processo di socializzazione (o risocializzazione) al lavoro<br />
sono molto delicate e occorre presidiarle con particolare attenzione. La lettura<br />
delle interviste suggerisce le misure riportate di seguito.<br />
x. Inserimento progressivo<br />
Per disporre di maggiori chance di successo è opportuno che l’inserimento<br />
nel luogo di lavoro avvenga in modo progressivo e questo da due diversi punti<br />
di vista. L’orario di lavoro: è opportuno che il carico di lavoro raggiunga il li -<br />
vel lo concordato (20 o 40 ore settimanali) con una progressione lenta: una settimana<br />
a 10 ore, la successiva a 12 e così via. A ciò si riferisce Chiara, una giovane<br />
donna: “Un lavoro che consenta di riabituarsi lentamente a un ritmo<br />
completo, in un ambiente poco rumoroso”.<br />
Il contenuto della mansione: è opportuno che il contenuto della mansione<br />
cresca progressivamente, con una velocità dettata dalle caratteristiche del<br />
paziente. L’arricchimento progressivo del contenuto della mansione consente<br />
di evitare al lavoratore la percezione della propria inadeguatezza. Il livello di<br />
complessità della mansione deve crescere con la crescita delle competenze del<br />
lavoratore disabile, attestandosi al livello massimo (quello proprio del compito<br />
assegnato) quando i tempi siano maturi.
accomandazioni per l’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici<br />
xi. Individuare opportunità formali e informali di compensazione delle prestazioni<br />
non adeguate<br />
Occorre che al lavoratore sia data la possibilità di raggiungere il livello di<br />
performance richiesto modulando il passo delle proprie prestazioni lavorative<br />
o estendendo il proprio orario a questo scopo. Queste soluzioni sono adottate<br />
rispettivamente da Alfredo e Aldo, due uomini giovani “Con il lavoro ci sono<br />
delle giornate in cui non rendo e poi ci sono delle giornate in cui rendo di più<br />
per compensare quelle che non rendo […] ho imparato ad accettare questo e<br />
cioè che a differenza degli altri […] io ho questo qua e quindi capitano delle<br />
giornate che magari così insomma non va, o non va che al mattino mi sveglio<br />
e non riesco ad ingranare, non voglio andare a lavorare […] però ci sono quelle<br />
giornate, giornate o anche lunghi periodi, in cui vado avanti tranquillamente<br />
e cerco di incanalare, cioè di far coincidere il periodo della spossatezza, della<br />
stanchezza diciamo tipica, diciamo fisiologica di una persona, con il fine settimana,<br />
come tutte le altre persone normali” (Alfredo). Quanto ad Aldo, questi<br />
si presenta sul luogo di lavoro un’ora prima, per “preparare tutte le cose”.<br />
Questa soluzione informale gli consente di sentirsi a proprio agio e per questo<br />
ritengo debba essere consentita.<br />
xii. Contenere l’impatto negativo delle valutazioni in itinere<br />
Molti dei pazienti interpellati nel corso delle interviste lamentano che, sul<br />
luogo di lavoro, si sentono continuamente osservati e valutati, bastino per tutti<br />
le osservazioni di Chiara, una giovane donna che, pensando alle proprie prospettive<br />
future vorrebbe un lavoro “in cui non si è costantemente osservati e<br />
controllati”. Questa situazione, che ha implicazioni negative sulle loro prestazioni,<br />
viene in parte contenuta aderendo alle indicazioni di cui al punto sub x),<br />
in specie quelle relative all’arricchimento progressivo del contenuto della mansione.<br />
In ogni caso occorre prestare particolare attenzione alle procedure di<br />
tutorship che non devono indurre la percezione di una sorveglianza e una valutazione<br />
continue.<br />
7.2.3. Mantenimento<br />
Concluso l’inserimento occorre adottare un insieme di misure atte a conservare<br />
quanto è stato costruito, offrendo al lavoratore disabile supporto e tutela.<br />
Le indicazioni che emergono dalle interviste sono riportate di seguito.<br />
xiii. Sostegno psicologico.<br />
Su questo aspetto ha attirato l’attenzione più d’uno dei nostri interlocutori,<br />
sottolineando l’assenza pressoché totale di misure di sostegno attive una volta<br />
che il lavoro sia stato acquisito. Analoghe osservazioni emergono dallo studio<br />
dei contesti lavorativi, in specie del settore for profit (vedi par. 4.2.), e da quello<br />
condotto nelle ASL. Pare che le poche risorse risorse a disposizione dei<br />
229
230<br />
parte seconda<br />
DSM vengano tutte incanalate nell’acquisizione di un posto di lavoro, mentre<br />
ben poco resta per sostenere il paziente quando deve affrontare le difficoltà che<br />
emergono dopo l’inserimento, nel tentativo non facile di conciliare con il lavoro<br />
e il disturbo psichico anche gli altri ambiti di vita.<br />
xiv. Riduzione della dipendenza da farmaci<br />
Molti dei pazienti lamentano effetti collaterali dei farmaci che agiscono<br />
sulla loro capacità di attenzione. Alcuni poi, raccontano di esser riusciti a<br />
ridurre il numero di farmaci assunti e questo a tutto beneficio delle loro prestazioni<br />
lavorative. Un intervento in questa direzione, laddove possibile, sarebbe<br />
sicuramente auspicabile.<br />
xv. Promozione di gruppi di auto-mutuo-aiuto<br />
L’esperienza dei focus group, assieme alla vasta letteratura sui gruppi di<br />
auto e mutuo aiuto portano a ritenere che l’organizzazione di gruppi siffatti,<br />
costituiti da lavoratori disabili potrebbe offrire loro un utile supporto; un supporto<br />
– diversamente dai precedenti – non stigmatizzante.<br />
Maggio 2005
. Note<br />
note<br />
1 Il gruppo, coordinato da chi scrive e da Barbara Martini, è costituito da Danila Boero e Laura Negri – coautrici<br />
del rapporto – dagli intervistatori e intervistatrici: Marco Ammoscato, David Antista, Raffaella Balani, Sara<br />
Bertani, Claudio Bertocco, Rosa Borrelli, Giuseppina Carestia, Paolo Cefalù, Alessandro Coppo, Mirella<br />
Debenedetti, Silvio Matzuzi, Simone Metastasio, Enrico Mingrino, Caterina Muscarà, Diletta Ozzello, Luisa<br />
Parravicini, Marco Petrizzelli e Mauro Zulianelli.<br />
La ricerca è stata condotta nell’ambito del «Progetto Alphaville», un programma di valorizzazione dell’occupabilità,<br />
finanziato dalla Regione Piemonte e realizzato da un insieme di associazioni, cooperative e di aziende sanitarie<br />
locali, coordinate dal Centro di iniziativa per l’Europa. Il «Progetto Alphaville» è diretto alla realizzazione<br />
di tre obiettivi generali, illustrati nel Piano operativo (pag. 8).<br />
Individuazione delle modalità di inserimento lavorativo deglu utenti non occupati in carico ai Servizi Psichiatrici<br />
che si fondino sulla realizzazione di accordi/patti fra tre organizzazioni contraenti: a) i Servizi Pubblici (sociali<br />
e sanitari); b) gli Utenti e le loro Associazioni; c) le imprese e le loro Rappresentanze.<br />
Coinvolgimento e partecipazione dei beneficiari del progetto, per individuare, analizzare e intervenire sulle<br />
cause che sono di ostacolo alla possibilità di accedere al lavoro a tutte quelle persone che sono escluse da politiche<br />
attive del lavoro a causa della loro condizione.<br />
Dimostrare se una differente relazione fra Servizi Pubblici, Utenti e Imprese può favorire inserimenti al lavoro<br />
caratterizzati da continuità e redditività.<br />
Al «Progetto Alphaville» hanno aderito: ASL1- Dipartimento di Salute Mentale, ASL 2- Dipartimento di Salute<br />
Mentale, Cooperativa Sociale “Progetto Muret”, Cooperativa Sociale “Luci nella Città”, Associazione<br />
“Arcobaleno – Onlus”, Associazione “Agenzia per lo sviluppo di via Arquata”, Cooperativa Sociale “P.G.<br />
Frassati”, Cooperativa Sociale “P.G. Frassati – P.L.”,Associazione “Evoluzione Self Help – Onlus”, Cooperativa<br />
Sociale “Il Margine”.<br />
2 In specifico abbiamo combinato, in successione, un’intervista libera e un’intervista guidata, ricorrendo per<br />
entrambe alla forma di conduzione cosiddetta in tandem.<br />
3 È questa la lettura dell’opera di Cervantes proposta in un recente spettacolo teatrale di Erri de Luca:<br />
“Chisciotte e gli invincibili”.<br />
4 Alle interviste abbiamo fatto poi seguire, sia per i pazienti, sia per i loro familiari due gruppi di discussione<br />
(focus group) nei quali il tema del lavoro e della sofferenza psichica sono stati affrontati mettendo direttamente<br />
a confronto le differenti esperienze e le valutazioni raccolte con le interviste individuali.<br />
5 La compilazione della lista è stata possibile grazie alla collaborazione della dott.sa Alessandra Basaglia, cui va<br />
il mio ringraziamento.<br />
6 Vedi, al riguardo, Alfred Schütz, The Stranger: An Essay in Social Psychology (1971), tradotto in Simonetta<br />
Tabboni, Vicinanza e lontananza. Modelli e figure dello straniero come categoria sociologica, Milano, Angeli,<br />
1086, pp. 127-145.<br />
7 Questa capacità di guardare altrimenti sta alla base del romanzo filosofico di Montesquieu, Lettere persiane, un<br />
epistolario immaginario, nel quale l’autore cala nella Parigi del Settecento un principe persiano, la cui estraneità gli<br />
consente di cogliere gli aspetti della società e della cultura parigina nascosti nella superficie della vita quotidiana<br />
8 Si tratta di un atteggiamento fatto proprio anche da alcuni familiari dei pazienti psichiatrici.<br />
9 Su questo tema si veda Simona Taliani, Lavoro, riabilitazione e legame sociale, Torino, L’Harmattan Italia, 1999.<br />
10 Una concisa illustrazione del disegno caso-controllo può essere rintracciata in Ahlbom e Norell (1993:61-67).<br />
11 King, Keohane and Verba parlano al riguardo di selezione delle osservazione sulla base dei valori estremi<br />
della variabile dipendente (King, Keohane and Verba 1994:141-2).<br />
12 Devo questa precisazione a Barbara Martini che ha gestito questo aspetto particolarmente delicato della selezione<br />
dei casi.<br />
13 Il noto esperimento di Rosenham offre al riguardo utili materiali di riflessione (vedi Rosenham 1973; trad. it. 1981).<br />
14 Su questo aspetto ha attirato la mia attenzione Agostino Pirella.<br />
231
232<br />
parte seconda<br />
15 Le otto quote sono così definite: I, uomini, giovani, occupati; II, uomini, maturi, occupati; III, donne, giovani,<br />
occupate; IV, donne, mature, occupate; V, uomini, giovani, disoccupati; VI, uomini, maturi, disoccupati;<br />
VII, donne, giovani, disoccupate; VIII, donne, mature, disoccupate.<br />
16 L’aggiunta di due unità fra i disoccupati, diretta a portare la numerosità del campione al valore più rotondo<br />
di 50, pone il problema della collocazione delle due unità aggiuntive in una specifica classe diagnostica. La scelta<br />
è caduta sul profilo diagnostico più lieve (classe diagnostica lieve e nessun ricovero recente) che consente di<br />
rendere più severo il confronto fra disoccupati e occupati, collocando fra questi ultimi la quota più consistente<br />
di pazienti gravi (2 gravi per ogni lieve, contro la 1,6 gravi per ogni lieve fra i disoccupati).<br />
17 In ciascuna delle ASL torinesi sono stati contattati gli operatori responsabili della cura o della riabilitazione<br />
dei pazienti psichiatrici. A ciascuno è stato chiesto di segnalare tutti i pazienti per i quali il coinvolgimento nello<br />
studio fosse possibile sotto due distinti punti di vista. Il primo, di ordine etico, attiene alla capacità del paziente<br />
di sopportare l’intrusività di un’intervista; il secondo, di tipo pratico, attiene alla disponibilità a un dialogo, non<br />
clinico, sui temi del lavoro e del disturbo psichico. Le segnalazioni erano organizzate in una scheda che raccoglieva<br />
tutte le informazioni sociodemografiche e cliniche necessarie a collocare il candidato in una delle quote<br />
campionarie previste dalla ricerca. Prima della segnalazione lo psichiatra (o, in alcuni casi, l’assistente sociale)<br />
era tenuto a richiedere al paziente l’autorizzazione all’inclusione del suo nominativo all’interno di una lista dalla<br />
quale, poi, sarebbero stati attinti i nominativi delle persone cui proporre l’intervista. I pazienti segnalati, in particolare<br />
quelli con un profilo congruente con quello previsto dal piano di campionamento, venivano raggiunti<br />
da una lettera che conteneva una concisa presentazione della ricerca e l’indicazione che, di lì a poco, sarebbero<br />
stati contattati da un intervistatore con il quale – se lo avessero ritenuto opportuno – avrebbero fissato un appuntamento<br />
per la realizzazione dell’intervista. Ai pazienti che accettavano l’intervista, in accordo con le disposizioni<br />
di legge sulla privacy, veniva richiesta l’autorizzazione – revocabile – all’impiego delle informazioni consegnate<br />
con l’intervista nel pieno rispetto dell’anonimato.<br />
18 La concitazione che ha caratterizzato la fase di reclutamento dei soggetti può aver indotto a una sottostima<br />
dei rifiuti che, tuttavia, nella peggiore delle ipotesi possono attestarsi attorno a 15 unità.<br />
19 Il confronto è condotto sulla base delle informazioni contenute nelle schede di segnalazione dei pazienti pervenute<br />
dai CSM.<br />
20 Nel campione compare anche un caso segnalato dall’ASL 8, aggiunto per raggiungere la dimensione campionaria<br />
progettata.<br />
21 Nel gruppo degli 11 intervistatori 8 erano psicologi impegnati, a vario titolo, nel settore della psichiatria.<br />
22 Agli intervistatori incaricati di raccogliere il consenso per questa fase della ricerca fu raccomandato di ritirare<br />
la richiesta al primo manifestarsi di timori o perplessità. È ragionevole ipotizzare che con altre consegne il<br />
numero di casi disponibili sarebbe cresciuto, ma questo con costi etici che abbiamo voluto evitare.<br />
23 Complessivamente sono state considerate 122 interviste discorsive. Una prima versione di questo capitolo è<br />
stata presentata nel corso di un seminario, tenutosi il 21 aprile 2005, presso il Dipartimento di scienze sociali<br />
dell’Università di Torino. Intendo ringraziare i colleghi e gli amici intervenuti al seminario per i commenti e le<br />
osservazioni resi. In particolare ringrazio Filippo Barbera, Danila Boero, Luigi Colaianni, Amedeo Cottino,<br />
Antonella Meo, Laura Negri, Agostino Pirella, Riccardo Spadotto e Alessio Zambon.<br />
24 Il rapporto di probabilità fra possessori di un titolo di studio superiore alla licenza media e possessori di titolo<br />
di studio pari, al più, alla licenza media è 1,09 fra gli occupati e 0,8 fra i disoccupati.<br />
25 Le madri con figli al più adolescenti sono 4 su 15 fra le disoccupate e 1 su 12 fra le occupate.<br />
26 I nomi impiegati nel testo sono nomi di fantasia con i quali viene tutelato l’anomimato delle persone coinvolte<br />
nello studio. Le età indicate nel testo si riferiscono all’anno nel quale furono condotte le interviste, il 2003.<br />
27 Di poco superiore a quella di coloro che hanno accettato il secondo colloquio (40 su 50).<br />
28 È evidente che quest’ultimo risultato non può essere esteso alla totalità dei pazienti psichiatrici; la sua consistenza<br />
autorizza comunque alla formulazione di un’ipotesi di ricerca che merita di essere sottoposta a controllo.<br />
29 Il riferimento è costituito qui dalla teoria dello stress (vedi Pearlin 1983, edizione originale 1980).
30 La presenza di un familiare con severi disturbi psichiatrici o di comportamento è intesa qui non già come<br />
documento di una condizione di “familiarità” (nel senso di malattia che colpisce nella medesima forma i membri<br />
di una famiglia), ma come fattore responsabile di relazioni familiari disturbate e disturbanti.<br />
31Non si può tuttavia escludere la possibilità che i risultati ottenuti discendano, almeno in parte, dalla maggior<br />
propensione delle donne – se non in generale, almeno di quelle interpellate – a condividere nel contesto di un’intervista<br />
le proprie esperienze di vita.<br />
32 È questa la lettura dell’opera di Cervantes proposta in un recente spettacolo teatrale di Erri de Luca:<br />
“Chisciotte e gli invincibili”.<br />
33 Tutti i pazienti sono identificati con nomi di fantasia per tutelarne l’anonimato.<br />
34 Nel testo mi riferisco alla teoria dell’attaccamento elaborata da John Bowlby alla quale mi sono avvicinato<br />
attraverso la lettura del volume curato da Fabio Veglia, Narrazione e cura in psicoterapia cognitiva, Torino,<br />
Bollati Boringhieri, 1999.<br />
35 Ciò dà conto anche della maggior consistenza fra le donne di persone che sono, o sono state, legate da una<br />
relazione coniugale.<br />
36 Si segnala un solo caso di rifiuto radicale delle prescrizioni farmacologiche da parte di un disoccupato.<br />
37 In specifico la traiettoria è stata ripartita in quattro tappe: formazione; fase luminare fra formazione e prima<br />
occupazione; prima occupazione; fase luminare fra la prima occupazione e la seconda occupazione; seconda<br />
occupazione e successive. In seguito, in base ai risultati emersi dalle analisi, la distinzione è stata ridotta all’opposizione<br />
lavoro versus formazione o fasi liminari.<br />
38 L’età dell’esordio della patologia psichiatrica risultà più precoce tra coloro che hanno avuto i primi sintomi<br />
della patologia psichiatrica durante la formazione o in una fase liminare che precede la prima occupazione, così<br />
come tra coloro che, al momento dell’indagine erano disoccupati. L’età mediana dell’esordio è pari a 20 per coloro<br />
che hanno avuto l’esordio della patologia psichiatrica durante il periodo di formazione e 26 per coloro che<br />
hanno avuto l’esordio mentre erano occupati. L’età mediana dell’esordio è minore tra i soggetti che, al momento<br />
dell’intervista, erano disoccupati (20) rispetto a quella osservata tra gli occupati (25).<br />
39 Sulla lettura delle difficoltà di conciliazione fra lavoro e disturbo psichico con la categoria morale di “pigrizia”<br />
si veda Contini, Lalli e Merini (1991: cap. 6).<br />
40 La storia professionale di Giacomo è illustrata con maggiori dettagli al par. 2.5.5.<br />
41 Mi riferisco alle copperative sociali di tipo B .<br />
note<br />
42 Delle due disposizioni, la prima sembra più facilmente accettata dai pazienti psichiatrici; la seconda un po’<br />
meno.Tra i pazienti occupati in una cooperativa sociale di tipo B, più d’uno lamenta ora la lentezza, ora l’inefficienza<br />
dei colleghi di lavoro disagiati.<br />
43 La tassonomia classifica 46 casi su 50. I quattro casi non classificati mostrano un profilo che rende difficile la<br />
loro collocazione in tutte le categorie delineate.<br />
44 L’età riporatta nel testo si riferisce – si è detto - al periodo nel quale furono condotte le interviste.<br />
45 Ciò, almeno in parte, è dipeso dalle modalità di conduzione, molto cauta, dell’intervista.<br />
46 Altrettanto severa è la diagnosi di Cesare,la cui esperienza è ascrivibile a quella di Vito, Marco, Antonio,<br />
Greta e Viola.<br />
47 Rocco si rifiuterà di condurre una seconda intervista.<br />
48 Analoga è la situazione di Alfredo, impiegato in una pubblica amministrazione.<br />
49 I casi riconducibili a questa fattispecie sono quelli di Caterina, Noemi, Antonia, Ada, Fosca, Lucia,<br />
Margherita, Marcello, Aldo e Lorenzo.<br />
233
234<br />
50 Il risveglio dal coma non è stato qualificato come un miracolo, ma dai più è stata impiegata la metafora del miracolo<br />
per rappresentare un evento prodigioso, che, proprio perché non rientra nelle attese, suscita meraviglia.<br />
51 Al riguardo il padre di Adriano si esprime in questi termini: «io ho la triste sensazione che lui ormai si sia abituato<br />
a non avere impegni e che già solo il dovere affrontare impegni lavorativi gli sconquassa la vita (…) Le persone<br />
che lo seguono si sono convinte che il lavoro non fa per lui. Io su questo non sono assolutamente d’accordo né con<br />
il suo medico né con l’operatore che lo segue (…) quello che mi fa un pochino andare in bestia è questo fatto che<br />
loro giustificano sempre (…) se dice non ci vado più, se dice questa cosa non la faccio è giustificato, non può essere<br />
così io dico perché qualche volta dobbiamo anche adattarci a delle cose che non ci piacciono tanto …..».<br />
52 Mi riferisco all’osservazione sui figli (vedi oltre).<br />
53 Sul rilievo del lavoro per la strutturazione del tempo sociale si vedano Jahoda, Lazarsfeld e Zeisel (1971).<br />
54 La nozione di debolezza è intesa qui nell’accezione comune agli studi sul mercato del lavoro, dove viene<br />
impiegata nella locuzione “quote deboli”.<br />
55 In particolare Matteo si rammarica di non aver avviato per tempo la pratica per il riconoscimento dell inabilità<br />
lavorativa che gli avrebbe consentito a suo dire di disporre di una pensione.<br />
56 Si tratta di una spiegazione di dubbia plausibilità, degna di nota perché segnala la tendenza dei familiari a<br />
individuare in un evento aleatorio, esterno alle vicende familiari, la causa del disagio di Biagio.<br />
57 Il Prof. Pirella si riferisce, nello specifico, a lavori svolti in luoghi “protetti”.<br />
58 Cfr. par. 3.1<br />
59 Cfr. par. 3.1<br />
parte seconda<br />
60 La signora sottolinea come queste persone abbiano bisogno non soltanto di un lavoro ma altresì di medici<br />
comprensivi, di farmaci appropriati, d’affetti e di serenità.<br />
61 La figlia di Greta indica fra gli aspetti del lavoro che hanno una ricaduta positiva sulla madre la congruenza<br />
della mansione svolta con le inclinazioni del genitore, mentre gli aspetti negativi riguardano i contrasti derivanti<br />
dall’interazione con i colleghi e la responsabile, l’elevato turnover del personale, che sottopone la madre a continue<br />
esperienze di socializzazione con nuovi e inesperti colleghi, la distanza da casa, che comporta l’utilizzo di<br />
mezzi di trasporto pubblico e una situazione a rischio d’attacchi di panico, l’ampia dimensione del locale presso<br />
il quale lavora, che comporta una difficoltà di gestione dello spazio a livello mentale. Il padre d’Ilaria indica tra<br />
gli aspetti positivi l’interazione con i colleghi e la turnazione. Quest’ultima consente alla propria figlia di gestire<br />
meglio il tempo libero. Tra gli aspetti negativi vi sono le trasferte fuori sede, l’utilizzo di mezzi di trasporto<br />
pubblico, l’incongruenza della mansione svolta con il titolo di studio conseguito, la precarietà. Infine la madre<br />
di Marco sottolinea, tra gli aspetti positivi la disponibilità dell’ufficio del personale a una mobilità delle mansioni<br />
del figlio e tra gli aspetti negativi la subordinazione e i contrasti derivanti dalle interazioni con i colleghi.<br />
62 L’intervista in questione appare animata da un forte spirito polemico ed emerge, dal confronto fra sé e la propria<br />
sorella, una carica emotiva tesa a definirla come altro da sé.<br />
63 La madre di Aldo, un paziente che lavora presso una cooperativa, dunque un contesto considerato protetto,<br />
lamenta una situazione d’abuso e di sfruttamento nei confronti del figlio, vittima di raggiro da parte dei suoi colleghi,<br />
che spesso lasciano il posto di lavoro anzitempo chiedendo al paziente di timbrare il cartellino per loro<br />
(Cfr. Cardano, 2004, p. 17). La madre di Marta critica la politica di preclusioni verso lavori che prevedono il<br />
contatto con i bambini, come il bidellaggio, e l’inefficacia della Legge 68. Infine il padre di Adriano mostra uno<br />
spiccato scetticismo nei confronti delle Istituzioni Pubbliche in genere, che raggirano la legge sulle assunzioni<br />
obbligatorie e si mostrano scarsamente tolleranti nei confronti dei soggetti svantaggiati, laddove, secondo il suo<br />
parere, dovrebbero essere transigenti.<br />
64 Questo aggettivo mi è stato suggerito da un familiare di Trieste, il quale esprime un concetto che si ritrova fra le<br />
righe delle opinioni di alcuni familiari scettici, ossia l’assenza di strumenti di difesa e d’offesa del proprio congiunto.<br />
65 Occorre considerare che la signora è anziana e che l’intervista è stata condotta alla presenza della nipote, elemento<br />
che potrebbe avere turbato la spontaneità del racconto.
66 La sorella di Edoardo, tuttavia, non esprime la propria opinione in modo chiaro.<br />
67 Cfr. l’osservazione sulle caratteristiche del campione presente al punto a).<br />
68 Cfr. l’osservazione sulle caratteristiche del campione presente al punto a).<br />
69 Se si considera anche la sorella di 1, allora è presente anche questa figura con un ruolo diverso. L’intervista<br />
appare, infatti, animata da spirito polemico ed è altresì presente una carica emotiva tesa a proteggere i genitori<br />
dal carico del fratello.<br />
70 L’intervista 1 viene considerata un’intervista alla famiglia, giacché insieme al padre erano altresì presenti la<br />
madre e la sorella del paziente.<br />
71 Cfr. l’osservazione sulle caratteristiche del campione presente al punto a).<br />
72 Cfr. l’osservazione sulle caratteristiche del campione presente al punto a).<br />
73 All’interno di questo gruppo, tuttavia, una minoranza di familiari insiste sulla necessità di proteggere il proprio<br />
congiunto da lavori poveri di contenuto, e sottolinea altresì la necessità che il lavoro proposto al paziente<br />
sia congruente con i suoi bisogni, le sue inclinazioni, aspirazioni e competenze.<br />
74 Cfr. Cardano, 2004, p. 10.<br />
note<br />
75 Cfr. Cardano, 2004, p. 15. Il Prof. Cardano sottolinea, tuttavia, come questa opinione sia prevalente fra i<br />
pazienti che non hanno lo status d’invalido civile, mentre i familiari che rientrano nei tipi da me individuati sono<br />
in maggioranza parenti di persone certificate.<br />
76 Occorre tuttavia considerare la numerosità del campione dei triestini, assai inferiore a quello dei torinesi (6/19).<br />
77 La distinzione proposta nel testo ricalca quella adottata da Donati (1996).<br />
78 I risultati presentati qui si legano e integrano lo studio curato da Roberto Vendrame su dieci fra le maggiori<br />
cooperative sociali di tipo B dell’area piemontese, cui si rimanda.<br />
79 Si tratta – come già detto - di nomi di fantasia, impiegati per tutelare l’anonimato dei nostri interlocutori.<br />
80 Sulle strategie di fronteggiamento di questa difficoltà, sul processo di elaborazione di una strategia imprenditoriale<br />
sottoposta a questo specifico vincolo vedi il paragrafo 4.1.2.<br />
81 Come si dirà più oltre (vedi par. 4.1.2) la flessibilità è lo strumento principe con cui le cooperative sociali<br />
fronteggiano le criticità dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. In una situazione quale quella<br />
descritta nel testo questa risorsa viene diminuita nella sua efficacia.<br />
82 Il caso ricostruito riguarda un paziente psichiatrico con un livello di scolarità pari o prossimo al diploma di<br />
media superiore che smise di lavorare per la cooperativa poiché riteneva il lavoro di pulizia in una scuola largamente<br />
al di sotto di ciò che riteneva fossero le sue capacità: “rivendicava un lavoro meno umile, senza però essere<br />
in grado di mantenere un lavoro meno umile” (Presidente cooperativa Uno).<br />
83 Nella cooperativa Tre sono stati intervistati il Presidente, la responsabile di squadra e due colleghi di lavoro:<br />
una lavoratrice normodotata e un lavoratore svantaggiato.<br />
84 Al riguardo leggiamo in Il profitto dell’empowerment. Formazione e sviluppo organizzativo nelle imprese<br />
non profit: «Per le cooperative sociali si è conclusa la fase che ha permesso l’avvio e il primo sviluppo di questa<br />
esperienza, quella dell’incentivazione da parte degli enti locali che hanno favorito la nascita di nuovi servizi e la<br />
riorganizzazione di servizi pubblici esistenti, con la creazione di un mercato protetto e poco competitivo che ha<br />
agito da incubatrice per queste organizzazioni. Le cooperative sociali sono oggi più solide economicamente e<br />
più professionalizzate, ma meno protette e a volte reciprocamente in competizione; gestiscono i servizi di un<br />
ente non più “amico” ma autentico “committente” e attento tanto, e forse più, alla dimensione economica che<br />
a quella sociale nell’affidamento esterno delle proprie attività.» (Converso e Piccardo 2003: 4). L’indagine curata<br />
da Vendrame su dieci fra le maggiori cooperative sociali di tipo B del Piemonte (Frassati, Luci nella città,<br />
235
236<br />
parte seconda<br />
In/Contro, Marca, La Nuova Cooperativa, Prisma, Bibioidea, Alpe Verde, Film di Monteu, Interactive) conferma<br />
la tendenza indicata da Piccardo e Converso. Dallo studio emerge inoltre come poco più del 40% del fatturato<br />
di queste cooperative provenga da committenti privati.<br />
85 La prima sistematica riflessione sulle forme di relazione economiche alternative al mercato si deve a Polanyi<br />
(1974). Un’introduzione alla riflessine polanyiana si può trovare in Cella (1997).<br />
86 A questo proposito nello studio sulle cooperative sociali di tipo B curato da Roberto Vendrame di legge: “il<br />
lavoro di squadra, strumento principe dell’inserimento perché consente flessibilità dei ritmi, supporto continuativo<br />
e monitoraggio discreto, è funzionale solo in determinati contesti di prestazione, limitando molto gli ambiti<br />
di mercato nei quali cimentarsi”.<br />
87 È questa una criticità riconosciuta anche dai responsabili delle cooperative sociali di tipo B interpellate nello<br />
studio curato da Roberto Vendrame nel quale si legge: “la formazione dei capisquadra è ritenuta importante,<br />
anche se non sempre realizzabile in modo adeguato”.<br />
88 In appendice B una rassegna dei casi presentati dall’azienda 10.<br />
89 Si è deciso di non classificare l’azienda 10 data la complessità dei casi da essa gestiti e il focus dell’attenzione<br />
mirato a quelli di insorgenza patologica in persone entrate come abili.<br />
90 Alla ASL 5, le attività del Centro diurno vengono qualificate esplicitamente in chiave di promozione delle competenze<br />
relazionali e non già come forma di intrattenimento. Tra la promozione delle competenze sociali rientra inoltre<br />
l’impiego dei mezzi pubblici; competenza propedeutica allo svolgimento di molte, se non tutte, attività lavorative.<br />
91 Il giudizio viene in alcuni casi attenuato nella sua radicalità dal riferimento ai pazienti non gravi.<br />
92 Per inciso si osserva qui uno slittamento dal registro etico-politico a quello analitico.<br />
93 L’età avanzata fa problema, non solo per i pazienti psichiatrici, ma per la quasi totalità dei lavoratori con<br />
pochissime eccezioni rappresentate dalle posizioni professionali di élite.<br />
94 Una riflessione su questo atteggiamento, sulla sua “eziologia” emerge dall’analisi del profilo di paziente più<br />
problematico. A questo proposito il referente della ASL 2 parla di «cronicizzazione» alludendo a un esito –<br />
infausto – della relazione tra paziente e istituzione di cura.<br />
95 Il referente dell’ASL 2 osserva, tuttavia, che le pubbliche amministrazioni possono rafforzare la disposizione<br />
alla dipendenza del paziente.<br />
96 L’équipe che opera all’ASL 3 si è costituita nel 1996, quella che opera all’ASL 5 si costituisce nel 1999. In entrambi<br />
i casi l’équipe è stata costituita per rispondere a esigenze di specializzazione degli interventi; a questa motivazione,<br />
per la ASL 3 si aggiunge quella di definire i confini di un’area riabilitativa schiettamente sociale e non già sanitaria.<br />
97 Dai materiali d’intervista non è possibile trarre informazioni al riguardo sull’ASL 4.<br />
98 E susseguitisi negli anni ’93, ’95, ’97. L’ultimo ricovero è stato nel 2002 ma per pochi giorni.<br />
99 Colloquio che si è rivelato infruttuoso perché le si offriva un lavoro a Ivrea con un orario che non le avrebbe<br />
permesso di occuparsi di suo figlio.<br />
100 Secondo me, a questo proposito Dalia non è stata molto chiara. Ritornerò sull’argomento più avanti.<br />
101 Tali propositi sono un aspetto della malattia depressiva e vanno riferiti al medico psichiatra; la ricercatrice<br />
sociale ha consigliato a Ester di farlo al più presto.<br />
102 Utilizzo questo termine perché ritengo che la malattia mentale sia la compromissione del benessere fisico,<br />
psichico e sociale (triplice benessere che secondo l’O.M.S. costituisce l’essenza della salute) anche se mi sembra<br />
più idoneo parlare di disagio psichico.<br />
103 Forse sarebbe più giusto valutare , caso per caso, le condizioni della persona con disagio psichico e capire<br />
se si può prendere cura di un minore oppure no.
104 Io non ho ancora fatto le pratiche per il riconoscimento dell’invalidità parziale, ma l’assistente sociale del<br />
CSM mi ha suggerito di parlarne con lo psichiatra per ottenere ciò.<br />
105 La ricercatrice sociale ha notato che, per Ester la convivenza con i genitori sta diventando molto pesante,<br />
e ritiene che sarebbe meglio per lei cercare, con il supporto della psichiatra, un’altra soluzione abitativa come<br />
un gruppo-appartamento o una casa-famiglia.<br />
106 Ho lavorato in una parrocchia di Roma come segretaria, dall’ottobre ’97 al gennaio 2000.<br />
107 Trattamento Sanitario Obbligatorio<br />
108 Una femmina e un maschio, che hanno rispettivamente vent’otto e ventidue anni.<br />
109 James Hillman, testo fotocopiato per il gruppo di scrittura creativa del Centro Diurno dell’ASL 2, sede di<br />
corso Unione Sovietica, 220, guidato dalla dott.ssa Elena Giunta e dal dott. Massimo Poglio.<br />
110 Ib.<br />
note<br />
111 Che viene così definito e analizzato in un opuscolo del dott. Salvatore Di Salvo, La depressione oggi.<br />
Elaborazione dei dati clinici forniti dal Centro Depressione Ansia e Attacchi di Panico di Torino, ed<br />
Associazione Piemontese per la Ricerca sulla Depressione, To, pagg. 15-19<br />
112 Cit. L’attacco di panico comporta crisi “accompagnate da un’intensa paura di perdita di controllo fisico e<br />
psichico” (cit., p. 16). Le crisi hanno le seguenti caratteristiche: “la loro insorgenza è improvvisa e drammatica;<br />
la durata è breve, da pochi secondi a pochi minuti” (ib.). tra i sintomi vi sono: “dispnea e senso di soffocamento;<br />
senso di svenimento; paura di morire; paura di impazzire o di perdere il controllo” (cit., p. 17). Inoltre “risulta<br />
evidente la netta riduzione del livello di autonomia personale che il D.A.P. può determinare” (cit. p. 18), perché<br />
la persona che ne soffre ricerca rassicurazioni sia sottoponendosi “a numerosi accertamenti fisici e strumentali”<br />
(ib.), sia cercando di “stare sempre in compagnia di una persona di fiducia” (ib.) pronta a soccorrerla in<br />
caso di malessere.<br />
113 Le domande dell’intervistatore (il curatore del Rapporto di ricerca) sono riportate in grassetto.<br />
114 Paolo si riferisce alla mia relazione, presentata nel corso di un seminario organizzato dalla direzione del<br />
Progetto Alphaville.<br />
115 Karasek, R. A. Job Demands, Job Decision Latitude, and Mental Strain: Implications for Job Redesign, in<br />
“Administrative Science Quarterly”, 1979,vol. 24, pp.285-308. Il modello di karasek è illustrato schematicamente<br />
nel Riquadro A.<br />
116 Karasek individua in task pressure e time pressure gli indicatori di job demands più efficaci.<br />
117 Queste difficoltà, a ben vedere, gravano sulla totalità degli occupati come documentano numerosi studi epidemiologici<br />
sul rapporto tra attese di disoccupazione e salute mentale.<br />
237
. Appunti