LA FAMIGLIA LELIO - Gruppo Del Lelio

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10.06.2013 Views

LA FAMIGLIA LELIO Sin dalla seconda metà del Seicento in Italia, e, lungo tutto il secolo dei lumi a Parigi, operò una famiglia di attori veneziani, i Riccoboni, che in comunanza con l’intellettualità francese, tentò una prima riforma del teatro d’arte. I Riccoboni portarono tra l’altro a un grado di eccellenza il tipo Lelio, ossia la maschera Lelio, carattere dell’amante riamato, del corteggiatore corrisposto, del Don Giovanni senza inferno. Prima Luigi, poi Antonio (Riccoboni-padre e Riccoboni-figlio, meglio: Leliopadre e Lelio-figlio) diedero vita a un personaggio talmente vivo e coinvolgente, da spingere alla scrittura drammaturgica Marivaux. Le loro dispute teoriche (vale a dire le divergenza tra Leliopadre e Lelio-figlio sull’arte della recitazione) suscitarono d’altra parte il famoso Paradosso sull’attore dell’enciclopedista Denis Diderot, ritenuto la radice delle teorie brechtiane dell’estraneazione, oltre che un gioiello affascinante di lettura. Così il carattere Lelio, di recita in recita, acquistò tale rilevanza, da sovrapporsi e sostituirsi al nome degli interpreti e a quello della famiglia. Le generazioni successive dei Riccoboni e di tu tte le ramificazioni infinite, assumendolo a identità, lo conserveranno come nome di culto, a indicare l’aristocrazia del teatro d’arte. Incisione da A.Watteau “Figures de differents caractères” Paris s.d. (1735 ca.) Mazzettino, impersonato probabilmente da Luigi Riccoboni Lo studioso Xavier de Courville, che cura la voce Riccoboni nell’enciclopedia dello spettacolo della Siae, individua il capostipite della famiglia d’arte in Antonio, che, divenuto attore per caso, dirige la compagnia del Duca di Modena, e, che per ben quarant’anni, fa con grande maestria la maschera di Pantalone. Siamo nella seconda metà del Seicento e ancora di Lelio non si parla. Il primo e più grande Lelio dei Riccoboni (anche altri, come l’Andreini l’avevano interpretato e reso popolare) fu il figlio di Antonio, Luigi Andrea, nato a Modena nel 1676 e che morirà a Parigi nel 1753. Luigi approda in Francia nel 1715, quando, morto Luigi XIV, è possibile il ritorno degli attori italiani a Parigi. La Troupe des italièns recita all’Hotel de Bourgogne. Luigi aveva fatto l’apprendistato nella compagnia del padre e giovanissimo aveva maturato un rifiuto di certa sciatteria della commedia dell’arte, oscillante tra la farsa grossolana e la tragicommedia spagnola. Già in Italia si era rivolto ai testi d’autore (Maffei, Molière, Ariosto). Adesso in Francia, dove porta a livelli di alta dignità scenica il tipo Lelio, scrivono per lui una miriade di autori francesi poi cancellati dall’oblio. Ma tra di essi c’è anche un genio assoluto, Pierre Carnet de Chamblain de Marivaux. Nelle varie surprises de l’amour il personaggio centrale è Lelio. 1930: Salvatore Lelio, Giovanna Lelio e Ugo Lelio con la compagnia Rosina Anselmi

<strong>LA</strong> <strong>FAMIGLIA</strong> <strong>LELIO</strong><br />

Sin dalla seconda metà del Seicento in Italia, e, lungo tutto il secolo dei lumi a Parigi, operò una<br />

famiglia di attori veneziani, i Riccoboni, che in comunanza con l’intellettualità francese, tentò una<br />

prima riforma del teatro d’arte. I Riccoboni portarono tra l’altro a un grado di eccellenza il tipo<br />

<strong>Lelio</strong>, ossia la maschera <strong>Lelio</strong>, carattere dell’amante riamato, del corteggiatore corrisposto, del Don<br />

Giovanni senza inferno. Prima Luigi, poi Antonio (Riccoboni-padre e Riccoboni-figlio, meglio: <strong>Lelio</strong>padre<br />

e <strong>Lelio</strong>-figlio) diedero vita a un personaggio talmente vivo e coinvolgente, da spingere alla<br />

scrittura drammaturgica Marivaux. Le loro dispute teoriche (vale a dire le divergenza tra <strong>Lelio</strong>padre<br />

e <strong>Lelio</strong>-figlio sull’arte della recitazione) suscitarono d’altra parte il famoso Paradosso<br />

sull’attore dell’enciclopedista Denis Diderot, ritenuto la radice delle teorie brechtiane<br />

dell’estraneazione, oltre che un gioiello affascinante di lettura. Così il carattere <strong>Lelio</strong>, di recita in<br />

recita, acquistò tale rilevanza, da sovrapporsi e sostituirsi al nome degli interpreti e a quello della<br />

famiglia. Le generazioni successive dei Riccoboni e di tu<br />

tte le ramificazioni infinite, assumendolo a identità, lo conserveranno come nome di culto, a<br />

indicare l’aristocrazia del teatro d’arte.<br />

Incisione da A.Watteau “Figures de<br />

differents caractères” Paris s.d. (1735<br />

ca.) Mazzettino, impersonato<br />

probabilmente da Luigi Riccoboni<br />

Lo studioso Xavier de Courville, che cura la voce Riccoboni nell’enciclopedia dello spettacolo della<br />

Siae, individua il capostipite della famiglia d’arte in Antonio, che, divenuto attore per caso, dirige la<br />

compagnia del Duca di Modena, e, che per ben quarant’anni, fa con grande maestria la maschera<br />

di Pantalone. Siamo nella seconda metà del Seicento e ancora di <strong>Lelio</strong> non si parla. Il primo e più<br />

grande <strong>Lelio</strong> dei Riccoboni (anche altri, come l’Andreini l’avevano interpretato e reso popolare) fu il<br />

figlio di Antonio, Luigi Andrea, nato a Modena nel 1676 e che morirà a Parigi nel 1753. Luigi<br />

approda in Francia nel 1715, quando, morto Luigi XIV, è possibile il ritorno degli attori italiani a<br />

Parigi. La Troupe des italièns recita all’Hotel de Bourgogne. Luigi aveva fatto l’apprendistato nella<br />

compagnia del padre e giovanissimo aveva maturato un rifiuto di certa sciatteria della commedia<br />

dell’arte, oscillante tra la farsa grossolana e la tragicommedia spagnola. Già in Italia si era rivolto ai<br />

testi d’autore (Maffei, Molière, Ariosto). Adesso in Francia, dove porta a livelli di alta dignità<br />

scenica il tipo <strong>Lelio</strong>, scrivono per lui una miriade<br />

di autori francesi poi cancellati dall’oblio. Ma tra<br />

di essi c’è anche un genio assoluto, Pierre Carnet<br />

de Chamblain de Marivaux. Nelle varie surprises<br />

de l’amour il personaggio centrale è <strong>Lelio</strong>.<br />

1930: Salvatore <strong>Lelio</strong>, Giovanna <strong>Lelio</strong> e Ugo<br />

<strong>Lelio</strong> con la compagnia Rosina Anselmi


Nel 1726 Luigi ha cinquant’anni ed è stanco della pratica di palcoscenico. Da allora alla morte si<br />

dedica alla sua passione parallela, gli studi sul teatro.<br />

La sua posizione teorica è vastissima e considerata dagli esperti di altissimo livello. L’Histoire du<br />

thèatre italien (Paris, 1728) è tuttora una fonte irrinunciabile per gli studi sulla commedia dell’arte.<br />

Nell’Arte rappresentativa (London, 1728) si occupa della formazione dell’attore e fissa nella<br />

sincerità i principi della recitazione: l’attore deve dimenticare se stesso e il pubblico e vivere il<br />

personaggio. Nella Reformation du thèatre (Paris, 1743) delinea quella che poco più tardi sarà la<br />

riforma goldoniana, il rigore dei testi scritti contro la recitazione all’improvviso, un teatro in versi<br />

senza maschere.<br />

1938: compagnia Anselmi Abruzzo-Patto a quattro-<br />

Salvatore <strong>Lelio</strong> tra Angelo Musco e Rosina Anselmi<br />

Nel già citato anno dell’abbandono (1726) gli subentra<br />

come capocomico il figlio Antoine Francois Valentin, che<br />

era nato a Mantova nel 1707 e che morirà a Parigi nel<br />

1772. È questi <strong>Lelio</strong>-fils, che verrà ricordato soprattutto<br />

per il lavoro teorico. Nell’ Art du thèatre, riprende e<br />

ridisegna i principi del padre sulla recitazione. D’accordo<br />

sulla sincerità, ma nel totale dominio dei mezzi tecnici.<br />

Denis Diderot era assiduo agli spettacoli del italiens e<br />

nelle Oeuvres complètes cita le discussioni sulla tecnica<br />

teatrale con Madame Riccoboni, Marie Jeanne de la<br />

Boras, moglie di <strong>Lelio</strong>-figlio. Il Paradoxe sur le comèdien<br />

(Paris, 1770) nasce da questa frequentazione e dalle<br />

dispute tra <strong>Lelio</strong>-padre e <strong>Lelio</strong>-figlio. In che consiste il<br />

paradosso? “È l’estrema sensibilità che fa gli attori<br />

mediocri; è la sensibilità mediocre che fa l’infinita<br />

schiera di cattivi attori; è l’assoluta mancanza di sensibilità che prepara gli attori sublimi”.<br />

Il secolo dei lumi si chiude con ben altro tipo di attori e di teatro. Verosimilmente dispersi dalle<br />

furie della Rivoluzione francese, della troupe des italièns e dei <strong>Lelio</strong> per decenni non si trova<br />

traccia. C’è un vuoto che si estende quasi alla prima metà dell’800.<br />

Ed ecco, intorno al 1840, un Giuseppe <strong>Lelio</strong>, maestro di Cappella alla Corte di Napoli. Da questo<br />

momento, per sette generazioni, la storia dei <strong>Lelio</strong> riacquista un suo profilo preciso. La Francia,<br />

l’Hotel de Bourgogne e le opere di <strong>Lelio</strong>-padre e <strong>Lelio</strong>-figlio sono memoria storica, orgoglio di<br />

famiglia, sentimenti incisi in un ideale stemma di discendenza. È il caso d’accennare al fascino che<br />

esercitavano gli “artisti” sui borghesi. Per secoli la Chiesa e lo Stato, in combutta tra loro, emisero<br />

bolle, bandi, editti e anatemi contro i comici, considerati sorta di stregoni e contro le compagnie<br />

teatrali viste come sette. Gli attori non potevano essere<br />

seppelliti in terra consacrata, non c’è chi non lo sappia. Il<br />

Taviani (“Fascinazione e Teatro”, edizioni Bulzoni) riporta,<br />

fior da fiore, alcune di queste invettive. Quel che veniva<br />

considerato insopportabile dal potere del tempo era<br />

soprattutto la presenza in scena delle donne, intente a<br />

rappresentare i sentimenti umani, sino all’amore e alla<br />

lasciava. Il Cocchiera, nel suo studio sulle Vastasate<br />

(Palermo, 1926) ricordava come molti rampolli di buona<br />

famiglia si consumavano dietro le attrici dei casotti al Piano<br />

della Marina.


Salvatore <strong>Lelio</strong><br />

Tornando ai <strong>Lelio</strong>, i matrimoni e le conseguenti ramificazioni<br />

dilatano a dismisura le discendenze di questi ultimi<br />

centocinquant’anni. Per necessità di fatto abbiamo perciò<br />

seguito più direttamente la linea che porta ad Angelo.<br />

Il Giuseppe <strong>Lelio</strong> Musicista dei Borboni sposa una Franzoni<br />

primattrice e capocomica della omonima compagnia, che dal<br />

nord scese a Napoli per recitare alla Corte.<br />

Dalla loro unione nasce Domenico, detto anche il Franzonello.<br />

Con lui il teatro torna ad essere l’attività primaria dei <strong>Lelio</strong>.<br />

Domenico sposa un’attrice tedesca, Carlotta Richard. Con lei<br />

forma compagnia. Muore a Scicli, dov’è sepolto, nell’ultimo<br />

scorcio dell’800. Carlotta muore a Palazzo Adriano, in provincia<br />

di Palermo, durante una tournèe ed è sepolta in quel cimitero.<br />

Lea Libassi (sopra)<br />

Salvatore <strong>Lelio</strong> con Lea Libassi<br />

a fianco)<br />

Da Domenico <strong>Lelio</strong> e Carlotta Richard nascono molti figli, tra cui Francesco,<br />

che formerà una suo compagnia. Allora il repertorio era vastissimo. Una<br />

compagnia di giro sostava per mesi su una piazza ed era in grado di cambiare<br />

spettacolo ogni sera. I generi erano i più diversi: si passava dal dramma alla<br />

commedia, al vaudeville, alla parodia del melodramma, alla farsa. Francesco<br />

sposò Giovanna Rizzotto, figlia di Giuseppe Rizzotto (Palermo, 1828 – 1895)<br />

attore, scenografo e noto autore del dramma I mafiosi di la Vicaria , opera<br />

teatrale che per la prima volta nella letteratura mondiale utilizza la parola<br />

“mafia”.<br />

Gastone Libassi<br />

L’unione di Francesco con Giovanna dà vita a quattro figli: Ulrico, Ida, Ugo e<br />

Giulio. Ugo <strong>Lelio</strong>, attore di inconfutabili doti artistiche, dopo aver recitato per<br />

anni nella compagnia siciliana di Angelo Musco e Rosina Anselmi ed essersi<br />

nel contempo sposato con Giuditta Morosi (anch’essa attrice) forma una<br />

compagnia con la quale girerà tutta l’Italia. I figli di Ugo sono Giovanna e<br />

Salvatore che, dopo le prime esperienze al fianco del padre come attore e<br />

come scritturato in varie compagnie, decide di formare una sua compagnia,


della quale curerà la direzione artistica per circa un ventennio. In compagnia arrivano due fratelli,<br />

Lea e Gastone Libassi, che sposeranno rispettivamente Salvatore e Giovanna. Dall’unione tra<br />

Salvatore e Lea nasceranno poi quattro figli, tra i quali, appunto, Angelo, che inizia la sua attività<br />

di attore proprio nella compagnia del padre, che si stabilì definitivamente in Veneto agli inizi degli<br />

anni settanta. Attore dall’infanzia, debutta a soli quattro anni in<br />

“Marcellino pane e vino.<br />

A 18 anni deciderà di partire per Roma e tentare la strada del<br />

grande teatro nazionale. Ne risulteranno diciassette anni di<br />

avventura romana nelle più importanti compagnie stabili.<br />

Lavorerà con Giovampietro, Andrea Giordana, Zanetti, Mario<br />

Carotenuto ecc. (vedi curriculum personale).<br />

Negli anni Novanta deciderà di rientrare e iniziare una nuova<br />

attività famigliare. È in questo momento che nasce “Il <strong>Gruppo</strong><br />

del <strong>Lelio</strong>”.<br />

Sopra: 1953 – compagnia Ugo <strong>Lelio</strong> – la causa<br />

celebre – Salvatore <strong>Lelio</strong> e Lea Libassi<br />

A fianco: 1956 – Compagnia Tenca – Ufficiale<br />

per mezz’ora – Salvatore <strong>Lelio</strong><br />

Sotto: 1962 – Compagnia Abruzzi – I figli di<br />

nessuno – Angelo <strong>Lelio</strong>, Lea Libassi e Giovanna<br />

<strong>Lelio</strong>

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