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Quaderno - Piero Calamandrei

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Stampato in proprio. Crescentino 2008<br />

3


Nel segno della continuità di azione e nel solco delle linee di indirizzo tracciate nel Piano<br />

dell’Offerta Formativa (P.O.F.) del nostro istituto, questo lavoro rappresenta un momento di<br />

collaborazione e di armonizzazione tra scuola e territorio, uno scambio culturale con il contesto<br />

territoriale che è stato teatro della storia di tredici secoli fa.<br />

La collaborazione con gli Enti Locali, con le realtà sociali e culturali presenti nella zona<br />

di provenienza della nostra utenza, costituisce il motore per un’azione sinergica e formativa<br />

efficace e mirata.<br />

Leggere, capire ed interagire con le realtà territoriali è un modo di lavorare per migliorare<br />

la qualità del servizio scolastico.<br />

Il “<strong>Quaderno</strong>” che viene di seguito presentato costituisce un lavoro degno di<br />

considerazione, frutto dell’impegno, costanza e continuità di un gruppo di alunne ed alunni<br />

dell’Istituto Superiore “<strong>Piero</strong> CALAMANDREI” che hanno creduto in un lavoro di ricerca che<br />

rappresenta un valore aggiunto alla loro normale attività prevista dal curricolo scolastico.<br />

Un plauso particolare a chi ha svolto un lavoro di coordinamento, di regia e che ha<br />

condotto per mano tutto il gruppo per l’intera durata del progetto.<br />

Mi riferisco al primo Collaboratore del Dirigente prof. Massola Giorgio, alla prof.ssa<br />

Bellero Marisa, alla prof.ssa Vittone Marilena, al prof. Alberto Cena, al prof. Natta Maurizio ed<br />

alla prof.ssa Ciardo Giuseppina.<br />

IL DIRIGENTE SCOLASTICO<br />

Prof. Ing. Bruno Laione<br />

5


,1',&(<br />

Prof. sa GIUSEPPINA CIARDO<br />

ELENA DEPAOLI<br />

Classe IV A Ragionieri<br />

MICHELA CHIODO<br />

Classe IV A Ragionieri<br />

FEDERICA CRITELLI<br />

Classe IV A Ragionieri<br />

ALESSANDRO SCAVETTA<br />

Classe IV A Ragionieri<br />

PATRIZIA DEL MASTRO, PAOLO<br />

CHIENO,<br />

Classe IV A Geometri<br />

FEDERICO CANIL, ANNAMARIA<br />

CREPALDI e ALESSANDRO<br />

LENTI<br />

Classe III A Ragionieri<br />

SIMONA PIRAS e FEDERICA<br />

TURINO<br />

Classe III A Ragionieri<br />

ALBERTO ANGELO BOLLO e<br />

LUDOVICO BRAGANTE<br />

Classe III A Ragionieri<br />

ALICE LOMBARDO, LAURA<br />

MASOERO eSTEFANO LUSSO<br />

Classe III A Ragionieri<br />

Classe III Ragionieri<br />

ANDREA CAPEZZUTO, TERESA<br />

FERRERI, SABRINA PERGAMENA<br />

eGIADA RICCIARDIELLO<br />

Classe III A Ragionieri<br />

Classe III A IGEA Ragionieri<br />

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Classe III A Geometri /2UGLQH EHQHGHWWLQR H ODEED]LD GL 6DQ *HQXDULR<br />

(CD multimediale in appendice al volume)<br />

6<br />

13<br />

31


PRESENTAZIONE QUADERNO<br />

Tutto è cominciato nel 2006. L$VVRFLD]LRQH &XOWXUDOH )UDQFR )UDQFHVH di San Genuario<br />

insieme con l’Assessorato alle Politiche Culturali della città di Crescentino ha proposto alle<br />

scuole del territorio un progetto per ricordare i 1300 anni dell’abbazia benedettina di San<br />

Genuario.<br />

Nell’ambito di tale lavoro gli allievi dell’Istituto Superiore per Ragionieri e Geometri 3LHUR<br />

&DODPDQGUHL hanno svolto attività e ricerche confluite poi in questo 4XDGHUQR e in un CD. Il<br />

lavoro è stato occasione per scoprire e far conoscere San Genuario e una parte della sua storia e<br />

gli allievi hanno trovato un punto di contatto fra quanto appreso sui manuali, dalla storia alla<br />

storia dell’arte, alla religione, alla topografia, e il territorio in cui vivono.<br />

Partendo da San Genuario e muovendo sulle orme di san Benedetto, hanno scoperto un<br />

luogo, una figura, il Santo, e una cultura tanto lontana nel tempo ma non priva di valore per<br />

l’uomo moderno, come testimonia la vitalità dei monasteri benedettini oggi. La lettura della<br />

5HJROD, così ricca di spiritualità e concretezza, umanità e rigore, ha stimolato osservazioni e<br />

riflessioni sul suo significato per l’uomo d’oggi.<br />

Se dopo millecinquecento anni si continua a parlare di un uomo, se gli si attribuiscono titoli<br />

onorifici come “padre dell’occidente” o “patrono d’Europa”, deve essere stato un uomo<br />

straordinario. E tuttavia, se tentiamo di tratteggiare un’immagine di Benedetto, non troviamo<br />

notizie sufficienti per un ritratto chiaro di quest’uomo. La sua persona continua a sfuggirci :<br />

Benedetto scompare dietro ciò che ha realizzato. Con il suo messaggio ha impastato lo spirito del<br />

Vangelo nelle attività concrete della vita, il lavoro, la preghiera, la comunità, l’artigianato, l’arte,<br />

creando così una cultura di vita cristiana che segna ancor oggi tutta la nostra cultura occidentale.<br />

È l’inizio del monachesimo, alle radici della civiltà occidentale e dell’Europa.<br />

La nostra epoca di globalizzazione - scrive il benedettino A. Grun- è assai simile a quella di<br />

Benedetto, che era epoca di migrazione di popoli.<br />

Ai tempi delle invasioni barbariche la gente non riusciva a vivere in modo stabile e costruttivo:<br />

da un momento all’altro arrivavano orde che distruggevano i raccolti, abbattevano case,<br />

uccidevano. Benedetto rispose con la VWDELOLWDV, intesa non solo in senso fisico e geografico, ma<br />

come capacità di “dimorare” in noi stessi, alla ricerca di quell’equilibrio che non può nascere da<br />

una fuga GD noi stessi ma solo da ciò che troviamo LQ noi stessi. E in tempi, i nostri, i cui si<br />

richiede uno stile di vita all’insegna della flessibilità e del cambiamento, la VWDELOLWDV, così intesa,<br />

potrebbe essere un metodo per guarire la nostra intima irrequietezza e insoddisfazione.<br />

In seguito nella sua comunità Benedetto accolse uomini delle stirpi più diverse, contribuendo<br />

così all’integrazione degli stranieri. Attorno alla porta del monastero si realizzava l’accoglienza<br />

degli ospiti, la sollecitudine per i poveri e la cura dei malati. La carità si traduceva anche in<br />

educazione: nei monasteri nascevano scuole aperte a tutti nelle quali si approfondivano le più<br />

diverse discipline del sapere. Questa carità in atto ha promosso uno sviluppo culturale,<br />

economico e sociale veramente decisivo nella storia dell’Europa.<br />

Le relazioni frequenti e intense fra monasteri lontani tendevano a ridurre le frontiere politiche fra<br />

i popoli d’Europa. Grazie al lavoro nascosto nello VFULSWRULXP si è salvata la cultura classica; i<br />

manoscritti viaggiavano perché i monaci viaggiavano. Nelle biblioteche sono registrati tutti<br />

questi passaggi. Il caso forse più eloquente è quello del &RGH[ $PLDWLQXV, copiato a Jarrow<br />

(Inghilterra), da un esemplare che san Benedetto Biscop aveva portato da Roma e che a sua volta<br />

proveniva dal monastero di Vivarium in Calabria.<br />

In un mondo dove il lavoro era considerato cosa da schiavi, san Benedetto gli ha ridonato valore.<br />

Ora et labora non è la giustapposizione di due aspetti dell’esistenza ma la coincidenza tra la<br />

realtà quotidiana e il rapporto con Cristo. Nel rapporto con Cristo ogni azione non è più banale<br />

ma assume un valore infinito. Lavoro e preghiera, ci insegna , possono coniugarsi, non solo in<br />

convento, ma nella nostra vita. Il lavoro, se ben inteso, è preghiera; se lo faccio in presenza di<br />

7


Dio, se rispondo a lui, è preghiera. Quando lavoriamo facendo del lavoro una preghiera, il lavoro<br />

sì ci stanca ma non ci spezza. È una buona stanchezza: abbiamo il sentimento di aver realizzato<br />

qualcosa per Dio e per gli uomini.<br />

Anche la nostra epoca è tempo di smarrimento, di insicurezza ma “i grandi uomini che<br />

sono diventati capaci di vedere, e perciò pietre miliari, segnavia dei secoli, possono dire qualcosa<br />

anche oggi. Ci mostrano come pure nella notte si possa trovare la luce e come possiamo far<br />

fronte alle minacce montanti dagli abissi dell’esistenza umana, come si possa andare incontro al<br />

futuro capaci di speranza” (J. Ratzinger). Il benedettino è l’uomo saggio, sapiente e maturo che<br />

esercita la GLVFUHWLR non solo nel governo delle anime ma anche nell’ambito della realtà<br />

quotidiana, guidando con realismo deboli e forti “ adattandosi ai diversi temperamenti che<br />

richiedono alcuni la dolcezza, altri il rimprovero, altri ancora la persuasione….così da non subire<br />

perdite nel gregge affidatogli, rallegrandosi invece per il suo incremento” (Regola II,30-32)<br />

Questi sono solo alcuni degli aspetti della 5HJROD sui quali nel corso della ricerca gli<br />

studenti si sono soffermati e, fra tutti, uno in particolare: Benedetto non compila nessun<br />

grandioso programma di pace ma il benedettino ID SDFH intorno a sé. Così dovremmo fare anche<br />

noi oggi in cui c’è un gran dispendio di energie in polemica: diventare, ciascuno nella propria<br />

comunità -famiglia, scuola, ambiente di lavoro-, uomini positivi, capaci di costruire senza<br />

demolire gli altri per creare un’atmosfera di pace e reciproca comprensione.<br />

8<br />

Prof. sa Giuseppina Ciardo


REGOLE E DIVIETI ALIMENTARI TRA BENEDETTINI E CISTERCENSI<br />

Il cibo ha un ruolo centrale nella storia dell’umanità. Parlare dell’alimentazione nel Medioevo<br />

significa affrontare un aspetto fondamentale della società di quel periodo, in cui a brevi fasi<br />

d’abbondanza si alternano periodi di carestia.<br />

Cominciarono di conseguenza a crearsi degli atteggiamenti particolari, dovuti al forte senso<br />

d'insicurezza oltre che di precarietà e di paura che pervasero gran parte di questa fase storica.<br />

La fame e il cibo divennero di conseguenza oggetto di privilegio; l’abbondanza divenne il<br />

simbolo del potere delle armi (nobili) mentre il digiuno divenne sinonimo di spiritualità e di<br />

misticismo.<br />

I religiosi sono benestanti, possono mangiare, ma si auto reprimono, poiché la dottrina cristiana<br />

pone la gola e la lussuria tra i peccati.<br />

L’idea della privazione del cibo, in un regime alimentare sorvegliato ed essenziale, sta alla base<br />

della concezione di vita monastica diffusa nel Medioevo.<br />

Il corpo impedisce l’elevazione verso Dio, tenendo l’uomo ancorato a desideri e pulsioni che<br />

vanno costantemente mortificati.<br />

La carne è il primo alimento che deve essere bandito, perché meglio rappresenta il desiderio<br />

sessuale dell’individuo oltre alla forza e alla potenza guerriera.<br />

In realtà, questo vale per il primo monachesimo, più severo nel rispettare i precetti dell’ordine.<br />

Ne sono degli esempi la regola di S. Pacomio e quella di S. Agostino.<br />

Essi rapportavano il lavoro e la preghiera all’alimentazione; infatti i pasti erano proporzionali<br />

alla quantità di lavoro svolto.<br />

Tale realtà venne successivamente seguita anche da San Benedetto.<br />

La sua influenza era profondissima: egli dettò una Regola dove fu definita la tripartizione del<br />

tempo monastico in lavoro manuale, lavoro intellettuale ed ascesi spirituale.<br />

Inoltre S. Benedetto decise di fissare le ore di lavoro per i monaci e gli uffici ai quali essi<br />

dovevano assistere sia di giorno che di notte.<br />

Egli pone la razione giornaliera del cibo nella quale sono assicurate due pietanze cotte.<br />

L’eventuale terzo piatto era di legumi teneri, fave, ceci, lupini, carote e ravanelli. Per il pane si<br />

parla di una libbra, corrispondente a circa ottocento grammi di pane cotto.<br />

Questo era il regime normale, ma ci potevano essere dei supplementi ad esempio per i fanciulli o<br />

per i malati gravi.<br />

Durante il Medioevo la produzione del vino era un’attività riservata ai monasteri, in quanto era<br />

considerato indispensabile per la celebrazione eucaristica.<br />

S. Benedetto fissa un'emina di vino il giorno, misura incerta che è calcolata intorno ai ¾ di litro<br />

(0,75lt.).<br />

Solitamente il vino era mescolato all’acqua, generalmente calda, oppure aromatizzato con frutta,<br />

erbe e miele.<br />

In seguito viene anche elencato il sistema dei digiuni ai quali i discepoli dovevano attenersi.<br />

I monaci avevano:<br />

1. giorni senza digiuno con pranzo e cena: in tutte le domeniche e le feste, anche nel periodo<br />

pasquale e durante la stagione estiva;<br />

2. giorni di digiuno moderato con un’unica refezione a nona: nei mercoledì e venerdì da<br />

Pentecoste al 13 o 14 settembre (festa dell’esaltazione della croce), in tutti i giorni feriali dal<br />

13 o 14 settembre fino alla Quaresima;<br />

3. giorni di digiuno stretto con un unico pasto a vespro, in tutte le ferie di Quaresima.<br />

E’ da rilevare che i monaci durante la refezione non potevano parlare tra loro ma ascoltavano la<br />

lettura dei testi sacri svolta da un altro monaco. Notevole valore aveva anche il silenzio, perché<br />

rappresentava oltre che una norma di comportamento sociale anche un segno di prudenza e di<br />

9


virtù individuale: favorisce la meditazione e viene addirittura considerata la virtù per eccellenza<br />

di ogni monaco.<br />

Sulle orme della regola di S. Benedetto, dobbiamo menzionare gli usi di Citeaux, dove si serviva<br />

una generosa porzione di pane al pasto principale, con due verdure cotte e, come terza portata,<br />

frutta di stagione che consisteva in mele, pere, castagne, pesche, nespole, noci, prugne e frutti di<br />

bosco. Per la cena, quando era prevista, si servivano verdure cotte e frutta di stagione con quanto<br />

restava della porzione di pane. Per i giorni di festa era aggiunta una pietanza che consisteva in<br />

pane bianco - quello di frumento - segno di una condizione migliore rispetto alla popolazione<br />

contadina che consumava il pane nero - di segale o d’altri cereali inferiori - pesce e altre<br />

delicatezze monastiche.<br />

Il pesce divenne un alimento fondamentale contrapposto al divieto della carne; viene considerato<br />

un elemento freddo e che non attiva il desiderio carnale; solitamente i pesci venivano allevati<br />

all’interno degli stessi monasteri in grandi vasche, ne abbiamo un esempio nell’abbazia di Monte<br />

Oliveto Maggiore dove è presente una vasca in mattoni di grandi dimensioni che serviva appunto<br />

per l’allevamento dei pesci. Venivano allevati soprattutto specie d’acqua dolce come orate,<br />

mormora, anguille e salmoni che successivamente venivano conservati sotto sale oppure<br />

essiccati.<br />

In Avvento e in Quaresima, le restrizioni alimentari non permettevano l’uso di grassi animali, di<br />

formaggio e di uova. Nei venerdì di Quaresima, i monaci digiunavano a pane e acqua.<br />

Non era lecito servire una pietanza per tre giorni di seguito, neppure durante le sessioni di<br />

Capitolo generale.<br />

L’uso degli aromi era permesso solo nel caso in cui fossero stati coltivati all’interno del<br />

monastero, come ad esempio cannella, zenzero, zafferano, pepe e chiodi di garofano; mentre il<br />

dolcificante più utilizzato era il miele.<br />

Anche per i cistercensi vi sono delle concessioni speciali circa l’alimentazione dei giovani e<br />

degli infermi, ai quali era permesso prendere la colazione: latte unito ad una pagnotta di pane; a<br />

volte al pasto solito si aggiungeva anche una scodella di minestra.<br />

Solo a partire dal XVIII secolo si poteva anche bere il caffé oppure il tè.<br />

Il territorio dove i cistercensi si svilupparono si trova più a nord rispetto a quello dei benedettini<br />

e di conseguenza il vino fu sostituito con la birra oppure col sidro. La birra era di solito di tre<br />

qualità differenti, con minore o maggiore percentuale d’alcool. La birra migliore era privilegio<br />

per la mensa dell’abate, oppure era servita in refettorio in occasioni speciali.<br />

Un rito che era compiuto prima di poter mangiare era quello di lavarsi le mani in una fontana<br />

presente davanti all’entrata per il refettorio.<br />

I monaci poi occupavano posto nel lato esterno di lunghe tavole, disposte a forma di “U”. Il cibo<br />

era già servito sulle mense. Dopo una benedizione, pronunciata in latino, essi si sedevano, ma<br />

cominciavano a servirsi soltanto dopo che il priore aveva scoperto il pane.<br />

Come i benedettini, anche i cistercensi consumavano i pasti in perfetto silenzio, mentre un<br />

monaco leggeva, prende posto ad un leggio, collocato in una piattaforma elevata e inserita nel<br />

muro; nel caso in cui tale lettura disturbasse il colloquio tra l’abate e i suoi ospiti era concessa<br />

l’interruzione della lettura dietro ordine dell’abate stesso.<br />

Anche ai cistercensi era concessa una quantità di vino oppure di birra durante i pasti, contenuta<br />

in una piccola brocca di terracotta che era disposta davanti ad ogni monaco: la stessa quantità<br />

doveva bastare anche nei giorni di doppia refezione. Si cercava di non bere l’acqua pura a causa<br />

della difficoltà di reperire acqua potabile.<br />

I monaci in refettorio dovevano bere dalle proprie tazze tenendole con entrambe le mani e<br />

dovevano pulire le stoviglie servendosi del pane e non del tovagliolo.<br />

Le norme sull’alimentazione si fecero man mano sempre meno severe, soprattutto per quanto<br />

riguarda l’astinenza perpetua dalla carne; in un primo momento nessuno poteva mangiare carne<br />

10


più di due volte a settimana, successivamente tale limite si abbassa ulteriormente portando a tre<br />

le portate settimanali di carne (la domenica, il martedì e il giovedì) come accadeva nell’abbazia<br />

tedesca di Eberbach nel 1486. Dopo questa data notevole fu il consumo di carne di manzo, di<br />

montone, vitello, maiale, oltre alla selvaggina e ai volatili, tra cui piccioni, oche, anatre, galline,<br />

capponi, polli e tacchini.<br />

BIBLIOGRAFIA MINIMA:<br />

11<br />

Elena Depaoli<br />

TESTI<br />

GEMELLI MARINA - /XQLYHUVR 0HGLRHYR, Napoli 1989<br />

AA. VV. – 5qJOH GHV PRLQHV 3DFRPH $XJXVWLQ %HQRLW )UDQoRLV G$VVLVH &DUPHO Paris 1982<br />

SITI INTERNET<br />

http://www.sanvincenzoalvolturno.it<br />

http://www.cistercensi.info/storia.it<br />

http://www.bluedragon.it/medioevo/cibo&vino.htm<br />

http://www.ambientece.arti.beniculturali.it<br />

http://www.ora-et-labora.net/commentoX_alimentazione.html


ALIMENTAZIONE ED ECONOMIA MEDIEVALE (E NON SOLO MONASTICA) NELLE<br />

SCENE DEI RICAMI DI BAYEAUX<br />

Le informazioni relative alla situazione storica dell’ XI secolo ci vengono fornite da numerosi<br />

documenti. Una di queste fonti è il famoso ricamo che risale al periodo fra il 1066 e il 1082, più<br />

comunemente conosciuto come “ricamo di Bayeux”.<br />

Questo ricamo venne confezionato con lana di otto colori naturali su pezze di lino. Misura circa<br />

70 metri ed è stato appunto creato tra il 1066 e il 1082, forse in Inghilterra, per fungere da<br />

decorazione del palazzo vescovile di Bayeux. La sua presentazione, sotto forma di immagini<br />

distinte; permette ad alcuni di vedervi l’antenato del fumetto. Circa l’autore non si hanno ancora<br />

informazioni dettagliate, secondo alcuni fu la regina Matilde a realizzare il ricamo, aiutata dalle<br />

sue dame di compagnia, o nel Kent o a Winchester, nell’Hampshire, venti o trent’anni dopo gli<br />

avvenimenti che il manufatto descrive.<br />

Le immagini dell’ricamo descrivono i fatti relativi alla conquista dell’Inghilterra nel 1066. Esso<br />

illustra gli avvenimenti chiave della conquista specialmente la battaglia di Hasting. Benché<br />

favorevole a Guglielmo il Conquistatore, l’ricamo di Bayeux ha un valore documentario<br />

inestimabile per la conoscenza dell’ XI secolo: ci informa sul vestiario, sui castelli, le navi, le<br />

condizioni di vita di quest’epoca che per il resto è poco nota.<br />

E’ però necessario fare una breve introduzione relativamente al terzo secolo per poter analizzare,<br />

dal punto di vista economico, tutti i cambiamenti avvenuti fino al 1000 d.C. Il più importante è<br />

quello relativo al cambiamento del sistema economico che vedrà il passaggio da un economia<br />

silvo-pastorale a un economia curtense.<br />

Nel secolo III l’Europa si vede a confronto con numerose popolazioni barbare che si insediano<br />

influenzando notevolmente la cultura europea e le usanze dei vari popoli. Dal punto di vista del<br />

commercio e dell’alimentazione possiamo notare dei cambiamenti notevoli; infatti in Europa<br />

fino a quel momento erano sempre prevalsi i campi coltivati, ma con l’arrivo dei barbari queste<br />

vaste distese di campi coltivati verranno sostituite dai boschi; questo per rendere possibile lo<br />

sviluppo dell’economia barbara, che vedeva come elemento maggiormente sfruttato il bosco.<br />

Non per niente l’economia diffusasi in questo periodo viene definita silvo-pastorale. Il termine<br />

«silvo» indica proprio la selva, il bosco. Possedere ampie distese di boschi permetteva<br />

l’allevamento di bestiame (soprattutto suini) allo stato brado ed era anche fonte di legname,<br />

resina, cera, pelli animali e miele, tutti prodotti che venivano commercializzati nel mercato. Con<br />

la ripresa del commercio poi le città, che a causa delle battaglie coi barbari e a causa delle<br />

malattie si erano spopolate, torneranno a fiorire.<br />

Con la diffusione di questo tipo di economia cambierà molto il modo di alimentarsi dei<br />

medioevali. Prima dell’arrivo dei barbari l’alimentazione era basata soprattutto sulla<br />

consumazione di cereali, legumi, pane; con l’economia silvo-pastorale invece si cambierà<br />

radicalmente modo di cibarsi perché sarà la carne l’elemento principale presente sulle tavole dei<br />

medioevali, dal momento che l’allevamento del maiale in quel periodo era molto praticato.<br />

La carne più consumata in questo periodo era quella di maiale ma col tempo si aggiunse poi<br />

quella dei bovini però, dal momento che erano considerati più preziosi perché usati per il lavoro<br />

nei campi e per il traino, venivano risparmiati. Altrettanto diffuso era l’allevamento di pollame,<br />

riservato alla maggior parte della popolazione, mentre la cacciagione era soprattutto riservata alla<br />

classe aristocratica.<br />

Questa situazione comincia a cambiare all’inizio del 1000 d.C, quando si accentua lo sviluppo<br />

del commercio; le città verranno ripopolate e l’aumento demografico fa nascere il bisogno di<br />

assicurarsi le risorse alimentari sufficienti a sfamare una popolazione raddoppiata. Per<br />

raggiungere questo traguardo si rese necessario un migliore sfruttamento dell’ambiente.<br />

Ed ecco che dalla metà del XIII secolo aumentarono le opere di disboscamento e bonifica,<br />

seguite dal dissodamento di nuove terre: tutto ciò contribuì a ridurre le aree incolte. Questi<br />

13


appezzamenti vennero concessi dietro pagamento di un canone ai contadini, i quali erano<br />

direttamente interessati a introdurre migliorie e incrementare quantitativamente e<br />

qualitativamente le rese agricole.<br />

Sulla crescita della produzione influirono significative innovazioni tecnologiche. Per lungo<br />

tempo i contadini avevano usato aratri in legno molto rudimentali, che consistevano in un lungo<br />

bastone indurito e appuntito col fuoco, trainato da una coppia di buoi. Con strumenti di questo<br />

genere peraltro si riusciva solamente a scalfire i terreni più duri. L’uso dell’aratro a ruote e a<br />

versoio, una lama di ferro sagomata in modo da entrare profondamente nel terreno, permise di<br />

smuovere la terra con minore fatica e di seminare più in profondità; la sua utilizzazione risulta<br />

ancora più efficace quando esso fu trinato da animali bardati con un collare a basto rigido, che<br />

non ostacolava più la respirazione come i precedenti collari e garantiva una maggiore forza di<br />

trazione.<br />

Di questa situazione storica in particolare noi oggi abbiamo ottenuto informazioni grazie a molti<br />

documenti, come già detto in precedenza. Soffermiamoci ad analizzare il contenuto di uno di<br />

questi, il ricamo di Baieux.<br />

Nelle scene di vita quotidiana ci sono numerose immagini che illustrano le tecniche agricole dei<br />

contadini in quel periodo (figura 1 e figura 2).<br />

Altre ci mostrano l’alimentazione tipica di quel periodo ed evidenziano nette differenze sotto<br />

certi punti vista riguardanti la cucina dei poveri, dei ricchi e dei conventi. Nell’alto medioevo<br />

non c’è tanta differenza di tipo di cibo tra ricchi e poveri per quanto riguarda la quantità e la<br />

qualità degli alimenti. Le classi più agiate, infatti, avevano la possibilità di consumare grandi<br />

quantità di cibo in più rispetto alle classi povere alle quali le razioni erano sufficienti solo per la<br />

loro sussistenza; non bisogna dimenticare poi che i più privilegiati potevano consumare per<br />

esempio carni sempre fresche mentre il più povero doveva ricorrere alle carni essiccate<br />

(l’essiccazione era una pratica molto diffusa nel medioevo, questo perché i medioevali<br />

preferivano premunirsi per eventuali carestie future: grazie a questa tecnica acquistava<br />

importanza in quel periodo l’utilizzo del sale proprio per le carni e i formaggi).<br />

La cucina medioevale faceva ampio uso dei cereali, privilegiando quelli minori quali: orzo,<br />

spelta, miglio e sorgo. Segale e avena rappresentano proprio due invenzioni medioevali.<br />

Nell’alto medioevo fece la sua comparsa il grano saraceno, una pianta che non richiedeva<br />

particolari cure nella coltivazione e che veniva usata per preparare gallette e pappe. In una delle<br />

immagini del ricamo, infatti, sono rappresentati un enorme pentolone, che molto probabilmente<br />

contiene una zuppa a base di grano saraceno destinata in questo caso ai soldati meno agiati, e una<br />

griglia per la cottura delle carni destinate alle classi più ricche. Ecco quindi come il ricamo ci<br />

mostra una vera e propria divisione sociale dal punto di vista delle tecniche di cottura degli<br />

alimenti (figura 3).<br />

Un altro cibo prevalentemente utilizzato nella cucina povera erano i legumi. Si preferivano le<br />

fave, i fagioli, la cicerchia, i ceci e i piselli. Il pane, l’alimento che dominava sulle tavole<br />

medioevali nel periodo del 1000, possedeva delle caratteristiche che erano indici di differenza<br />

sociale. Una di queste era la sua colorazione che dipendeva dalla quota di grano presente: ai<br />

poveri era destinato il pane scuro, con poco grano, mentre i signori consumavano solo pane<br />

bianco, a base di frumento, perciò più delicato (figura 4).<br />

Ma il colore non era l’unica differenza. I ricchi e il clero potevano permettersi di comprare il<br />

pane fresco tutti i giorni, mentre i più poveri lo cocevano una volta alla settimana. Il medioevo si<br />

caratterizzò anche per lunghi periodi di carestia ed ecco perché diventò molto importante la<br />

conservazione degli alimenti. Questi potevano essere essiccati come detto già in precedenza,<br />

affumicati, immersi nel grasso animale o vegetale, messi sotto sale. Tra i vari metodi di<br />

conservazione il più diffuso era la salagione. Il sale rappresentava un bene prezioso e aveva una<br />

grande importanza economica, causa di sanguinose guerre anche perché veniva impiegato in<br />

molte attività artigianali quali la conciatura delle pelli, la lavorazione dei metalli e del vetro.<br />

14


Oltre a questi cibi molto diffusi, nel medioevo era molto consumato anche il pesce, un alimento<br />

caratteristico della cucina monastica, con una motivazione più religiosa che gastronomica. In<br />

epoca medioevale, infatti, nell’arco dell’anno erano tantissimi i giorni definiti “di magro”, in cui<br />

era assolutamente vietato mangiare carne. Data la difficoltà di far arrivare pesce fresco dal mare<br />

sulle tavole dei monaci, era utilizzato soprattutto pesce d’acqua dolce, pescato nei corsi d’acqua<br />

oppure allevato nelle pescherie presenti in ogni monastero, oppure salato ed essiccato.<br />

Nella cultura monastica il divieto di mangiare carne costituiva il punto distintivo e qualificante<br />

della santità.<br />

Essa, infatti, in un'epoca in cui se ne faceva un consumo abbastanza diffuso, rappresentava il<br />

valore alimentare per eccellenza soprattutto per alcuni gruppi sociali - i SRWHQWHV -, perciò la sua<br />

privazione rappresentava la rinuncia al mondo e soprattutto al potere ed alla forza. L'astinenza<br />

dalla carne, inoltre, era anche intesa come strumento più diretto a realizzare un importante<br />

obiettivo dello VWDWXV monastico: la verginità. Essendo ritenuto tale alimento il più confacente a<br />

stimolare la fisicità e la sessualità dell'individuo, la sua esclusione era la condizione necessaria<br />

per il raggiungimento della continenza sessuale. L'esclusione della carne dal regime alimentare<br />

comportò la sua sostituzione con pesce, formaggio, uova, legumi. Il pesce, soprattutto quello<br />

d'acqua dolce, divenne il cibo monastico per eccellenza opposto alla carne, FLER ODLFR Nel<br />

ricamo di Bayeux vi è un’immagine che ci mostra un pranzo caratteristico, dove compare seduto<br />

a tavola il vescovo Oddone. Egli è posto nel mezzo circondato dai convitati i quali hanno davanti<br />

a sé i coltelli, la sola posata dell’epoca; dal canto suo il vescovo si appresta a banchettare con un<br />

magnifico pesce (figura 5).<br />

Il pane che Benedetto prescriveva nella misura di una libbra a testa al giorno, era una presenza<br />

costante nel regime alimentare dei monaci, ma non lo era per tutti i ceti della società.<br />

Per quanto riguarda la tavola imbandita in epoca medioevale le posate più diffuse erano il<br />

coltello (che compare in una delle immagini dell’ricamo) e il cucchiaio; compaiono anche grandi<br />

forchettoni, ma usati esclusivamente per afferrare le vivande bollenti e dividerle in porzioni<br />

(figura 6): si tratta proprio dell’antenato della forchetta, nata in Francia.<br />

Ci si serviva inoltre da grandi piatti comuni e si portava la propria porzione su una gran fetta di<br />

pane non lievitato; oltre a questi piatti comuni possiamo notare nell’immagine della figura<br />

numero sei come i cavalieri facessero uso dei loro scudi per appoggiare le scodelle e le posate e<br />

quindi sostituissero i piatti con essi. In conclusione si può dire quindi che non ci sia una risposta<br />

semplice alla domanda: «Come si mangiava nel medioevo?», poiché la dieta dell’uomo<br />

medioevale e le sue abitudini a tavola si modificarono molto col tempo ed erano comunque<br />

diverse a seconda dei luoghi. Quindi una cucina medioevale non esisteva, c’erano semmai<br />

innumerevoli varianti regionali e locali, che dipendevano dal clima, dal territorio, dalle tradizioni<br />

e dai precedenti religiosi.<br />

BBLIOGRAFIA MINIMA<br />

15<br />

Michela Chiodo<br />

TESTI<br />

PARISSE MICHEL, /D WDSLVVHULH GH %D\HX[ 8QH GRFXPHQWDLUH GX ;,H VLqFOH, Bayeux 1988.<br />

SITI INTERNET<br />

LA ROVERE GABRIELLA 0HGLFLQD H FXFLQD GHO 0HGLRHYR in<br />

http://www.bellezzesenzatempo.it/saluteebenessere/medicina_cucina_medicina.asp<br />

MAUGERI ANDREA *OL $UD]]L GL %D\HX[ in<br />

http://www.medioevale.it/new_site/artic_content.asp?Target=maugeri_007


Figura 1<br />

Figura 2<br />

Figura 3<br />

Figura 4<br />

16


Figura 5<br />

Figura 6<br />

17


LA MENSA MONASTICA. TRA REALISMO E SIMBOLISMO<br />

Nel Medioevo la sala da pranzo, cioè il refettorio, esisteva solo nei monasteri. Consisteva in una<br />

stanza rettangolare, spesso in comunicazione con la cucina, con soffitto a capriate nel Trecento, a<br />

cassettoni o volte nel Quattrocento e in alcune chiese era situato a sud dello spazio del<br />

monastero, un punto fisso di osservazione degli astri (i monaci dovevano determinare l’ora degli<br />

uffici della notte, variabili secondo le stagioni). Una delle prime rappresentazioni che abbiamo<br />

dei refettori medioevali è data dalla pianta dell’abbazia di San Gallo (Fig. 1).<br />

La mensa era frequentemente allestita in tavoli mobili montati su cavalletti. Si sedeva su<br />

cassapanche, all’interno delle quali venivano conservati alcuni cibi. Se l’illuminazione era<br />

insufficiente si provvedeva a collocare candelabri sui tavoli. Fino al XIII secolo le tavole non<br />

furono apparecchiate con suppellettili o posate individuali, i cibi venivano serviti già tagliati e<br />

per infilare carni o vivande solide i commensali utilizzavano lame personali o le mani. A<br />

ciascuna coppia di commensali veniva affidata una salvietta per evitare di pulirsi la bocca con la<br />

tovaglia, mentre altri panni candidi erano usati per asciugare le mani dopo il servizio<br />

dell’acquamanile (lavaggio delle mani). Ogni invitato poteva disporre di una ciotola in ceramica<br />

o legno, un piatto piano, un cucchiaio e un boccale da dividere con un’altra persona; infatti il<br />

concetto di individualità era ancora molto debole. Si hanno testimonianze di stoviglie chiamate<br />

PHQVH, realizzate con un pane speciale (dalle quali deriverebbe il termine moderno “mensa”); il<br />

pane veniva utilizzato come supporto per altri cibi. Il refettoriere disseminava il pavimento di<br />

erbe profumate, fiori e, d’inverno, giunchi. La tovaglia rappresenta fin dall’antichità un segno di<br />

decoro, di distinzione ed eleganza per la tavola apparecchiata. La tovaglia più antica e<br />

tradizionale sembra essere stata quella candida. Essa era un richiamo all’altare, dove si celebra il<br />

sacramento del banchetto eucaristico con l’assunzione del corpo e del sangue di Cristo; il<br />

momento del pasto comunitario nei monasteri è marcato dal ricordo dell’ultimo pasto preso in<br />

comune da Cristo e dagli Apostoli, dalla memoria degli abati defunti e dal significato simbolico<br />

del nutrimento per i monaci. Infatti il refettorio aveva la funzione di ricordare i precetti spirituali<br />

connessi al cibo. Il piacere alimentare viene ridotto al minimo: vigeva la convinzione che ogni<br />

ricerca di perfezione spirituale dovesse passare attraverso una stretta disciplinare alimentare.<br />

Secondo la regola di San Benedetto il mangiar troppo era sconveniente perché appesantiva il<br />

cuore. Tutti i monaci dovevano servirsi reciprocamente e durante le mense non doveva mai<br />

mancare la lettura della parola divina, ascoltata in assoluto silenzio. Chi sedeva a tavola doveva<br />

prima di tutto pensare ai poveri, poiché chi sfamava il povero nutriva Dio stesso. Abbiamo un<br />

esempio di mensa allestita negli affreschi di San Francesco di Arezzo (fig. 2). Si notano sulla<br />

tavola il pane che funge da supporto per cibi, un coltello per ciascun commensale, dei calici, una<br />

ciotola e la tovaglia bianca. A lato due inservienti, uno dei quali serve un piatto con piccoli<br />

volatili arrostiti.<br />

/D UDIILJXUD]LRQH GHOOD PHQVD QHL UHIHWWRUL WUD UHDOLVPR H VLPEROLVPR<br />

A partire dall’Alto Medioevo si iniziarono a decorare i refettori dei maggiori conventi con pitture<br />

che ricordavano l’Ultima Cena o altri avvenimenti biblici come quelli degli Atti degli Apostoli.<br />

Al momento di prendere il pasto in comune, i monaci si identificavano con gli Apostoli presenti<br />

attorno a Cristo nell’Ultima Cena, le pitture diventavano uno specchio. Solitamente questi<br />

affreschi occupavano la parte opposta all’ingresso. Nel ‘500 vennero sostituiti da pannelli dipinti<br />

di grandi dimensioni, per andare incontro al nuovo gusto artistico. Si sottolineava così il carattere<br />

sacro del refettorio, dove i monaci vivevano un momento di vita in comunione e la lettura di testi<br />

sacri era una sorta di nutrimento del corpo e dell’anima. Inoltre all’interno di questo ambiente<br />

venivano talvolta accolti estranei e personalità di riguardo, perciò il refettorio doveva avere un<br />

aspetto solenne. La decorazione del refettorio di solito veniva realizzata nel momento in cui<br />

l’ordine religioso a cui apparteneva il convento raggiungeva una consolidata importanza; la<br />

19


diffusione dell’Ultima Cena è anche dovuta all’affermarsi della prospettiva nella tecnica<br />

pittorica. Gli artisti si ispirarono principalmente al vangelo di Giovanni. Il cenacolo più famoso è<br />

quello per il convento di Santa Maria delle Grazie di Milano di Leonardo da Vinci. Anche la<br />

porta era occasionalmente decorata, legata alla funzione del luogo. Spesso c’era un richiamo<br />

della vittoria del bene sul male. Questo programma scolpito offriva alla vita del monaco un<br />

riassunto coinvolgente della sua lotta continua contro il male di cui faceva parte il nutrimento<br />

impuro e che egli deve allontanare dalla sua tavola. Osservando i dipinti dei refettori si nota un<br />

progressivo abbandono delle riproduzioni di mense reali che coprivano intere pareti nei cenacoli.<br />

Sparivano dalle tavole i cibi prelibati per lasciare spazio a pasti umili, poveri quindi simboli della<br />

Cristianità. Così sulle tavole compaiono pani e calici di vino cioè il corpo e il sangue di Cristo<br />

sparso sulla terra per redimere l’umanità dal peccato (la produzione di vino divenne in alcuni<br />

casi un’attività riservata ai monasteri).<br />

Un esempio di tale trasformazione della mensa in senso simbolico si può notare in un affresco<br />

del XV secolo si trova a Sant’Alberto di Butrio presso Alessandria. Dagli abiti si deduce che i<br />

commensali siano dei chierici e sulla tavola figura un coltello ciascuno, bottiglie e bicchieri di<br />

vino rosso, pani. Al centro della tavola si trova una grande coppa - calice che ricorda quello usati<br />

in chiesa per contenere l’ostia. (figg. 7-8)<br />

Ancor più la cosa è evidente in una raffigurazione della Trinità (affrescata nella sacrestia di San<br />

Pietro di Castelletto Cervo). Le differenze tra il pasto raffigurato a Sant’Alberto di Butrio e<br />

questo si notano subito: mentre il primo, anche se in un contesto religioso rispettava ancora una<br />

mensa «terrena», questo si immerge completamente nel simbolismo della mensa-altare. Anche se<br />

ci sono i cavalletti non rappresenta più una tavola da pranzo: il pane si trasforma nell’Ostia, il<br />

vino nel sacro calice, vengono aggiunte tre Bibbie con le scritte «Padre, Figlio e Spirito Santo»,<br />

cioè la trinità che prende il posto dei commensali. La trasformazione è compiuta: ormai non c’è<br />

più nessun legame con il pasto; la tavola si è trasformata in altare, simbolo di Cristo, il pasto in<br />

eucaristia e i commensali sono le tre persone della Trinità. (figg. 9-10)<br />

/D PHQVD VL WUDVIRUPD LQ DOWDUH<br />

Il messaggio è ancora più esplicito quando vengono rappresentate bianche tovaglie, simbolo di<br />

purezza: questa combinazione di elementi ha un’unica funzione, ricordare all’osservatore<br />

l’altare, il simbolo della salvezza; infatti in chiesa l’altare veniva illuminato ed era il luogo che il<br />

fedele raggiungeva dopo un lungo buio percorso di purificazione, la navata. L’altare è un centro<br />

del raggruppamento, dell’assemblea cristiana. Esso è Cristo. Secondo Filone d’Alessandria<br />

«Mosè designa la saggezza di Dio con questa pietra che nutre, ha cura, alleva teneramente coloro<br />

i quali aspirano alla vita incorruttibile. Questa pietra divenuta quasi la madre di tutti gli uomini<br />

del mondo, offre ai suoi bambini un nutrimento che trae dalla propria sostanza». Quindi l’altare,<br />

oltre a ricordare il pasto con i propri fratelli, indica anche la presenza di Gesù fra noi. Per<br />

l’elevazione spirituale, bisogna tenere lontani dal corpo desideri e pulsioni; così subentrano i cibi<br />

proibiti, le regole. La raffigurazione dell’eucaristia ha il ruolo di ricordare ai monaci la loro<br />

appartenenza, la loro identità.<br />

BIBLIOGRAFIA MINIMA<br />

20<br />

Federica Critelli<br />

TESTI<br />

DAURIL ANSELME e PALAZZO ERIC, /D YLH GHV PRLQHV DX WHPSV GHV JUDQGHV DEED\HV, Paris 2000,<br />

trad. It. di Fiorini Pierluigi it. /D YLWD GHL PRQDFL DO WHPSR GHOOH JUDQGL DEED]LH, Milano 2002


SITI INTERNET<br />

REVELLI SORINI ALEX, ,O UHIHWWRULR in http://www.taccuinistorici.it<br />

SPERANDIO CRISTINA, &RQWDGLQL SRWHQWL H PRQDFL EUHYH VWRULD GHOODOLPHQWD]LRQH QHO 0HGLRHYR<br />

in http://www.sapere.it<br />

http://www.bluedragon.it<br />

http://www.mediabella.it<br />

21


fig. 1<br />

22


fig.2<br />

fig. 3<br />

23


fig. 4<br />

fig. 5<br />

24


fig. 6<br />

fig. 7<br />

25


fig. 8<br />

fig. 9<br />

26


fig. 10<br />

27


IL DIVIETO DELLA CARNE<br />

Benedetto da Norcia nel 540 pianificava per i monaci l’intera giornata con la sua 5HJROD. Essa<br />

infatti prescrive rigide e devote norme di condotta per il retto canone di vita dei monaci cenobiti,<br />

quelli che vivono in monastero e sotto la guida dell’abate.<br />

Obbedienza, Silenzio e Umiltà sono gli strumenti per le buone opere tassativamente richiesti e,<br />

se necessario, imposti con pene corporali e perfino con la scomunica.<br />

La continenza alimentare nella 5HJROD non è oggetto di nessuna teoria. Secondo Benedetto è così<br />

evidente che il monaco debba osservare il digiuno e l'astinenza da non aver bisogno di<br />

giustificazione.<br />

Del digiuno, come della castità, ci si limita a dire che deve essere amato, perchè l'una e l'altra<br />

sono componente essenziale della vita monastica.<br />

Infatti “castigare il proprio corpo”, “evitare le ghiottonerie”, “non darsi al vino e non mangiare<br />

molto”, sono le poche massime che su questo tema emergono nella regola benedettina.<br />

Benedetto fissò una triplice norma sull'alimentazione: misura del mangiare, misura del bere,<br />

orario dei pasti. I padri del monachesimo antico diedero grande importanza all'alimentazione:<br />

essa serviva come palestra per esercitarsi nella mortificazione e nella penitenza cosicché i<br />

monaci compresero ben presto che una alimentazione controllata aveva un ruolo importante per<br />

il loro perfezionamento spirituale.<br />

Ad esempio il regime alimentare dei monaci per Cassiano aveva 3 obbiettivi: dominare<br />

l'ingordigia, la lussuria, essere coerente con la povertà che si è professata.<br />

Esiste anche un altro aspetto, quasi simbolico: staccarsi dalle abitudini dei laici, distinguersi da<br />

loro per la moderazione e la rinuncia.<br />

Occorre infatti tener presente che un buon numero di monaci proveniva dall'aristocrazia<br />

fondiaria, che considerava l'abbondanza di cibo come uno VWDWXV VLPERO e che quasi tutti i<br />

monasteri erano ricchi di terra e che quindi avrebbero potuto non fare sacrifici. È perciò<br />

significativo che l'imposizione di una mensa povera possa indicare una scelta decisiva di vita,<br />

che imponeva sacrifici e rinunce.<br />

Il controllo dell'alimentazione per i monaci fu uno dei settori prescelti con cura quasi maniacale<br />

per esercitare l'ascetismo.<br />

Questa predilezione pone l'accento sul fatto che i monaci erano uomini provenienti da un<br />

ambiente sociale elevato, uomini che amavano la tavola, in quanto, in caso contrario, non<br />

avrebbero avuto bisogno di costanti e ripetuti inviti alla moderazione ed alla rinuncia dei cibi<br />

considerati più appetibili, ma anche più costosi (spezie) e in particolare carichi di forti valenze<br />

simboliche, come la carne rossa.<br />

Il regime alimentare proposto dalla 5HJROD benedettina era un regime sano e naturale anche se<br />

abbastanza monotono, condizionato dalla produzione agricola e dalla diversa collocazione<br />

geografica dei monasteri.<br />

Tutto era così monotono per far allontanare i cenobiti da ogni forma di intemperanza e golosità.<br />

Il pugno duro di tutte le regole monastiche è il digiuno e l'astinenza della carne, come<br />

“strumento”, insieme ad altri più spirituali per avvicinarsi a Dio, per rafforzare la fede e tenersi<br />

lontano dalle tentazioni carnali.<br />

L'astinenza dalle carni di quadrupedi era quindi normale per i monaci. Il divieto si è andato nel<br />

corso dei secoli più o meno attenuandosi, a causa della crescente debolezza generale<br />

dell'organismo e oggi si è quasi annullato nella legge ecclesiastica.<br />

Il monachesimo non si limitò a portare alle più estreme conseguenze il rifiuto del cibo,<br />

concedendo generalmente solo il consumo di acqua, pane, ortaggi coltivati o spontanei, legumi,<br />

frutta; ma imputò che chi mangia con piacere riversa sul cibo la sua anima, in modo tale che<br />

questo diventi condimento a quel che mangia, come affermò Bernardo da Chiaravalle (1091-<br />

1159) nelle sue 0HGLWDWLRQHV 3LVVLPH $G +XPDQDH &RQGLWLRQLV &RJQLWLRQHP.<br />

29


D 5HJROD di San Benedetto è quindi pensata da un uomo e rivolta ad altri uomini di cui ben<br />

conosce la natura, la debolezza, le necessità.<br />

Essa è destinata alla gente, per fornire un modello di crescita spirituale all'uomo medio<br />

intenzionato a vivere un'esistenza che andasse oltre al superficialità e l'indifferenza.<br />

/D 5HJROD è scritta per tutti quelli che hanno una profonda sensibilità ed un serio interesse<br />

spirituale e non cercano di mettersi in cammino per fuggire dal proprio mondo, ma per infondere<br />

la visione di Dio nelle loro scelte etiche.<br />

30<br />

Alessandro Scavetta


1300 ANNI DOPO: IL RILIEVO DELL’ABSIDE E DEL CAMPANILE DELL’ABBAZIA DI<br />

S. GENUARIO<br />

La classe terza geometri dell’ Istituto Superiore <strong>Calamandrei</strong>, in occasione dei 1300 anni<br />

dell’abbazia di San Genuario, ha voluto lasciare un segno significativo qual è la prima<br />

operazione necessaria per un intervento di recupero storico ed architettonico. Questo primo passo<br />

importante è il rilievo dello stato di fatto.<br />

Gli allievi, guidati dal docente di Topografia e Fotogrammetria, sono intervenuti sul prospetto<br />

che più di tutti gli altri, non avendo subito variazioni apprezzabili eccetto il tetto, si può<br />

considerare inalterato dal 707. Esso comprende il muro esterno absidale ed il campanile.<br />

La tecnica usata è stata quella del rilievo fotogrammetrico degli oggetti vicini applicata ad una<br />

superficie piana. Le misure eseguite hanno permesso la trasformazione di prospettive in<br />

corrispondenti proiezioni ortogonali metriche ed in scala, geometricamente simili alle opere<br />

murarie rilevate. E’ infatti noto che la proiezione ortogonale possiede, secondo la scala del<br />

disegno, le misure lineari ed angolari corrispondenti alla realtà, mentre la prospettiva ha punti di<br />

fuga che falsano ogni tentativo di misura esatta.<br />

Per gli addetti ai lavori si deve dire che, per ottenere un disegno conforme nelle direzioni<br />

angolari ed equivalente per ogni elemento di superficie, si è dovuto applicare la tecnica della<br />

trasformazione omografica a due dimensioni.<br />

Il prodotto atteso è stato un rilievo sul quale il tecnico, con un progetto di restauro architettonico<br />

e di conservazione delle parti ancora strutturalmente valide, potrà lavorare per recuperare<br />

l’abbazia dal degrado attuale .<br />

Le prime operazioni degli allievi della terza geometri sono state l’esecuzione di varie fotografie<br />

digitali. Successivamente sono stati individuati punti noti e ben identificati sulle foto, quali<br />

spigoli di mattoni, finestre, orologio, croce, cornicione, fori sulla facciata probabilmente un<br />

tempo destinati per il fissaggio della carpenteria in legno.<br />

Usando un teodolite elettronico Leica 307 senza prisma, due studenti operatori hanno azzerato il<br />

cerchio orizzontale sulla pietra a L(elle) del pilastro di destra: questa operazione ha permesso di<br />

inserire le misure in un sistema di riferimento cartesiano ortogonale avente origine appunto sulla<br />

pietra a L(elle) del pilastro di destra. Successivamente, senza variare l’orientamento del<br />

teodolite, si è misurato distanze topografiche, letture azimutali e letture zenitali dei punti noti<br />

precedentemente individuati.<br />

La successione di queste misure ha permesso la compilazione di un libretto di campagna dal<br />

quale gli allievi hanno calcolato le coordinate cartesiane dei punti battuti rispetto al sistema<br />

locale prima assunto.<br />

Si trattava ora di eseguire la vera trasformazione omografica, cioè la trasformazione da<br />

prospettiva in proiezione ortogonale. Viste le formule di collinearità da applicare, complesse e<br />

non produttive, oggigiorno è pratica corrente usare particolari PC detti restitutori analitici,<br />

costruiti appositamente per eseguire la restituzione ed il disegno finale.<br />

Gli allievi geometri hanno invece usato un programma di raddrizzamento dell’immagine digitale<br />

che esegue la trasformazione omografica 2D cliccato semplicemente, ma con precisione, sui<br />

punti significativi e digitando successivamente le coordinate cartesiane calcolate<br />

precedentemente. Questo programma, come desiderato, ha permesso di trasformare la<br />

prospettiva in proiezione ortogonale, ma solo per zone limitate. E’ stato necessario quindi<br />

eseguire una vettorializzazione delle immagini raster attraverso autoCAD.<br />

E’ noto che il disegno raster, formato da pixel, è inservibile per una futura progettazione, mentre<br />

autoCAD, che fornisce disegni vettoriali, quindi trattabili con la matematica e la geometria<br />

Euclidea, può essere gestito per tutti gli usi cantieristici e progettuali.<br />

Ora agli studenti non restava che eseguire la mosaicatura o unione, pezzo per pezzo delle zone<br />

restituite, raddrizzate e vettorializzate.<br />

31


A questo punto, gli allievi sono intervenuti con particolare attenzione alle luci che si potrebbero<br />

collocare per valorizzare le componenti architettoniche quali monofore, fregi sulle architravi e<br />

monoliti.<br />

Il lavoro è stato concluso con la verifica della scala e la stampa al plotter del disegno CAD ove,<br />

per facilitare la lettura in scala, è stata aggiunta una parametratura equidistante.<br />

Certamente, come i ragazzi hanno suggerito ed il docente condivide, un impianto illuminante<br />

destinato a valorizzare esteticamente l’abbazia sarebbe un primo passo, piccolo ma significativo,<br />

per renderla più “visibile” nel territorio.<br />

32<br />

Patrizia Del Mastro e Paolo Chieno


Abside e<br />

campanile<br />

della chiesa<br />

abbaziale di<br />

S. Genuario<br />

Casa del<br />

custode<br />

33


Prima<br />

monofora<br />

Seconda<br />

monofora<br />

34


Torre<br />

campanaria<br />

con orologio<br />

Croce con<br />

segna vento<br />

35


IL MONACHESIMO<br />

Il monachesimo nasce in Oriente verso la fine del III secolo e con il tempo si espande verso<br />

l’Occidente.<br />

Il monachesimo è la scelta di abbandonare la vita comune nel mondo per dedi-carsi<br />

completamente alla vita religiosa.<br />

I primi monaci vivevano in completa solitudine nel deserto e per questo veniva-no detti eremiti o<br />

anacoreti. Tra gli eremiti vanno ricordati:<br />

• Atanasio, di Alessandria d’Egitto, mandato in esilio 9 volte;<br />

• Eusebio di Vercelli mandato in esilio in Palestina;<br />

• Pacomio, egiziano, soldato di una legione romana che muore a metà del IV° secolo d.C.<br />

Oltre alla forma eremitica vanno ricordati altri tipi di monachesimo: quelli che sceglievano di<br />

vivere in cima alle colonne erano detti stiliti. Altri monaci deci-devano di vivere in comune con<br />

altri monaci ed erano chiamati cenobiti, altri ancora vivevano sulle piante o camminavano a<br />

quattro zampe brucando l’erba.<br />

Il monachesimo si divideva in Orientale e Occidentale.<br />

,O PRQDFKHVLPR RULHQWDOH<br />

Si sviluppa intorno alla fine del III secolo e inizio IV secolo in Egitto. È soprat-tutto un<br />

monachesimo di tipo eremitico.Monaco deriva dal greco monos: che significa “il monaco è<br />

l’uomo che abbandona il mondo per andare alla ricerca di Dio”; i monaci vivevano da soli con<br />

Dio, separati dalle comunità degli uo-mini.È per questo che scelgono di vivere nel deserto isolati<br />

da tutto e da tutti. Si rifugiavano nel deserto per due motivi:<br />

• per sfuggire alle persecuzioni dei Romani o per sfuggire alle pressioni fiscali (tasse) o<br />

alle condanne;<br />

• come risposta all’indebolimento morale delle comunità cristiane dopo l’Editto di<br />

Costantino e Teodosio.<br />

Il più famoso fra gli eremiti in Egitto fu S. Antonio Abate.<br />

Figlio di ricchi cristiani, nato presso Menfi nel 251.<br />

Intorno a lui, incominciarono a raccogliersi sempre più altri eremiti, ed egli li guidò come padre<br />

spirituale, come un abate. La sua solitudine però fu interrotta da due viaggi ad Alessandria: il<br />

primo per assistere nelle prigioni i condannati a morte; il secondo per polemizzare contro gli<br />

ariani.<br />

,O PRQDFKHVLPR IHPPLQLOH<br />

Le donne che facevano parte della classe delle monache avevano avuto quasi tutte una vita<br />

dissoluta. Erano venute a conoscenza del Vangelo attraverso le predicazioni di monaci e dopo<br />

un’ illuminazione da parte di Dio decisero di trasferirsi nel deserto.<br />

Le scelte di queste donne avvenivano per gradi: verginità, vita appartata, vesti-re come le<br />

schiave, limitare il cibo e fare vita di preghiera.<br />

Tra le monache più importanti si ricordano: Macrina, Paola, Melania detta l’Anziana, Marcella e<br />

Melania di Roma detta la Giovane.<br />

0HODQLD OD JLRYDQH<br />

Nipote di Melania l’Anziana. Melania l’Anziana aveva fondato un monastero. Partì per la Terra<br />

Santa nel 372, lasciando un figlio a un tutore che poi si spo-sò ed ebbe una figlia, Melania la<br />

Giovane.<br />

Melania la Giovane era figlia di un ricco romano obbligata a sposarsi con un giovane patrizio di<br />

nome Piniano da cui ebbe figlia. L’incontro con la nonna Melania, tornata a Roma nel 402,<br />

cambiò la sua vita e la sua fede. La Giovane, dopo aver partori-to una bambina, chiese al marito<br />

37


di poter vivere in castità ma il marito chiese di poter avere prima un altro figlio, nacque così<br />

l’erede maschio ma morì pre-sto; muore anche la bambina e Melania soffre a causa del parto<br />

difficile. Il ma-rito la segue nella sua volontà di castità. La castità è un atto di libertà individuale.<br />

Il marito era molto innamorato di Melania e aveva una ammirazione per la moglie.<br />

Adottano la regola del digiuno, abbandonano le vesti aristocratiche e vendono le loro ricchezze.<br />

Nel 408 si trasferiscono in una villa Siciliana.<br />

Si recano poi in Africa settentrionale, dove fondano molti monasteri.<br />

Dopo uno scontro con S. Agostino ad Ippona, ripartono per l’oriente giungen-do in fine in Terra<br />

Santa.<br />

Lì Melania comincia a fare vita di reclusione, vivendo in estrema povertà. Il marito, entra in un<br />

monastero. “Presa” dalla sua fede Melania si fa murare vi-va e nel 439 muore.<br />

Da adesso in poi vi è la fine del monachesimo orientale e quindi l’inizio del monachesimo<br />

occidentale.<br />

,O PRQDFKHVLPR 2FFLGHQWDOH<br />

Il Monachesimo Occidentale è di tipo cenobitico. Il cenobitismo ha origine in Egitto nel IV°<br />

secolo. Il passaggio dall’eremitico al cenobitismo si ha con Pacomio.<br />

Egli era un egiziano preso come soldato in una legione romana, dove co-nobbe soldati romani i<br />

quali si ritrovarono a pregare con lui. Pacomio rimase colpito da questo gesto e ritornato a casa<br />

decise di organizzare una vita cri-stiana in comune. Pacomio morì nel 300 d.C. quando la Chiesa<br />

era già struttu-rata in vescovi, presbiteri e diaconi. È grazie a lui che sorsero i primi monaste-ri<br />

cenobitici; dove i monaci vivevano in comunità guidate da un Abate. Verso il IV° secolo, il<br />

monachesimo si estese anche in Europa, grazie all’opera di Be-nedetto da Norcia che fondò il<br />

primo monastero: quello di Montecassino.<br />

Sulla scia dei Benedettini, nacquero altri ordini monastici. I più importanti furono i Cistercensi e<br />

i Cluniacensi. I primi monasteri erano delle case qual-siasi, capanne o grotte. I primi monaci si<br />

stabilivano tra le rovine di villaggi disabitati a causa delle guerre, cercando di sistemare le case<br />

diroccate. La loro unica esigenza era quella di avere vicino una fonte o un torrente. Questo tipo<br />

di monachesimo nacque all’interno di una civiltà violenta e devastata dalla peste e da altri mali.<br />

San Benedetto con la sua regola volle dare un senso di stabilità in un’epoca di caos e di<br />

invasioni. Fra le principali caratteristiche dei mona-steri vi era quella dell’ospitalità della quale<br />

godevano non soltanto i poveri e i pellegrini ma anche gli imperatori con le loro corti.<br />

I monaci oltre a praticare il culto, possedevano anche un gran numero di terre la cui parte<br />

principale veniva gestita da loro, mentre la parte restante veniva data in affitto.<br />

,O PRQDFKHVLPR RUWRGRVVR<br />

La vita monastica nel mondo ortodosso ha sempre presentato una separazione da un mondo più<br />

accentrata di quella degli istituti latini.<br />

Il monachesimo si è configurato in comunità locali e non centralizzate come gli ordini religiosi<br />

che conosciamo in occidente.<br />

Soltanto verso il XVII secolo su imitazione di quelli latini sono sorti degli istitu-ti orientali<br />

centralizzati come i Basiliani o gli Antoniani.<br />

I monasteri hanno sempre esercitato un forte influsso nella religione russa, uno tra i più<br />

importanti è il monastero di Aleksandr Nevskij a San Pietroburgo, do-ve molti membri della<br />

famiglia reale russa ricevettero la loro educazione.<br />

La comunità monastica lavora prestando aiuto ai poveri ma soprattutto è vi-sta come un ponte<br />

tra Dio e gli uomini.<br />

Il vero monaco, il Podvig, ricerca il silenzio, la solitudine da vivere in raccoglimento, il cammino<br />

per acquistare lo Spirito Santo e giungere alla purificazione del cuore.<br />

38


Uno degli esempi più famosi del monachesimo ortodosso è l’insieme dei mona-steri del monte<br />

Athos, una vera e propria repubblica dei monaci dove lungo i mille anni della sua esistenza,<br />

vissero più di 50.000 monaci. Il primo monastero si fa risalire a Pietro l’Atonita (850 d.C.).<br />

Ora sono più di venti, ognuno dei quali con dipendenze ed edifici sparsi per il monte. Questo<br />

territorio si ispira in ogni suo regolamento e tradizione all’insegnamento evangelico: una vera e<br />

propria “Teocrazia”. Essi obbedisco-no al maestro e praticano la preghiera interiore che era ed è<br />

uno degli elementi più interessanti della spiritualità.<br />

BIBLIOGRAFIA MINIMA<br />

Federico Canil, Annamaria Crepaldi, Alessandro Lenti<br />

GIORGIO PICASSO (a cura di), 6DQ %HQHGHWWR /D 5HJROD, Cinisello Balsamo 1996.<br />

ANSELM GRUN, %HQHGHWWR GD 1RUFLD /D 5HJROD SHU OXRPR GRJJL, Cinisello Balsamo 2006.<br />

MASSIMO FOLADOR, /RUJDQL]]D]LRQH SHUIHWWD /D UHJROD GL 6DQ %HQHGHWWR 8QD VDJJH]]D<br />

DQWLFD DO VHUYL]LR GHOOLPSUHVD PRGHUQD, Milano 2006.<br />

MONACI DELLA CASCINAZZA (a cura di), “&RQ OH QRVWUH PDQL PD FRQ OD WXD IRU]D´ /H<br />

RSHUH QHOOD WUDGL]LRQH PRQDVWLFD EHQHGHWWLQD, Castel Bolognese 2006.<br />

39


SAN BENEDETTO. IL PADRE DELL’EUROPA<br />

Per convenzione gli storici indicano la fine dell’impero romano nel 476 d.C. vale a dire<br />

pochissimi anni prima della data – anche questa indicata con approssimazione – della nascita di<br />

Benedetto nel 480 a Norcia, Umbria. Si tratta di secoli drammatici, di occupazioni militari e di<br />

saccheggi, di violenza e di desolazione, forse più duri nella città di quanto non lo siano nelle<br />

poche campagne che ancora producono e non sono state abbandonate.<br />

6XELDFR<br />

Nel v secolo Roma era stata occupata dai barbari per tre volte. La situazione ebbe un notevole<br />

miglioramento con Teodorico, che sconfisse e uccise Odoacre e a Ravenna eresse quei<br />

monumenti architettonici che ancora ri-portano lo splendore della cultura bizantina.<br />

Sognava lui, che era di gente gotica, di poter fondere la sua schiatta con i latini e creare uno stato<br />

dove il peso delle armi fosse sostenuto dalle sue milizie, mentre la struttura culturale ed<br />

amministrativa potesse essere gestita dai latini; e infine, far convivere senza problemi i suoi che<br />

erano ariani con i cristiani fedeli al papa.<br />

Teodorico visitò Roma e rese omaggio al papa assicurando il riconoscimen-to del territorio della<br />

chiesa. La presenza di Teodorico in Italia faceva pensare ad una situazione gene-rale più sicura,<br />

così come, per quanti avessero desiderato la carriera civile con la conoscenza del diritto e prima<br />

ancora del latino e del greco, Roma costituiva un punto obbligato, almeno per l’Italia centrale.<br />

Forse si può legare a questa speranza e a questa attesa la decisione della famiglia di Benedetto di<br />

inviarlo a Roma perché potesse avere quei maestri giusti per gli studi che intendeva compiere e<br />

che certamente nella piccola città nativa di Norcia, nell’Umbria, non poteva trovare. Era molto<br />

giovane quando partì per Roma. La famiglia, anche se non era molto ricca, doveva comunque<br />

essere abba-stanza agiata per far fronte alle spese che comportava il trasferimento a Roma, il<br />

costo degli studi e il soggiorno. L’incontro con la città dovette essere deprimente per lo stato di<br />

abbandono e di indifferenza che regnava ovunque e anche per il rilassamento del costume e della<br />

vita civile e culturale che per secoli era stato vanto dell’Occidente. Lo squallore dei monumenti<br />

solenni, ora cadenti, il sistema della vita quotidiana fondata sull’arrangiamento più che sul<br />

lavoro, gli stessi maestri che insegnavano ai discepoli l’arte della furberia nell’interpretare la<br />

legge, dovettero, nel breve giro delle stagioni, mortificare le illusioni di Benedetto. Roma non<br />

era il luogo per mettere a frutto i propri talenti.<br />

Tutto ciò che sappiamo sulla vita di Benedetto lo dobbiamo ad un’opera del pontefice Gregorio,<br />

che fu chiamato “Grande” per il ristabilimento dell’autorità spirituale del papato e per il tentativo<br />

di migliorare la socie-tà romana. Gregorio dedica al santo di Norcia quasi tutto il II libro dei<br />

Dialoghi.<br />

Gregorio Magno non voleva scrivere una biografia storica di Benedetto, ma un testo agiografico.<br />

Papa Gregorio avverte la presenza provvidenziale del santo per il trapasso storico tra due ere ed<br />

ha coscienza del contributo che il monaco ha por-tato, non soltanto per la realizzazione della<br />

perfezione cristiana, ma an-che per il contributo di civiltà che la sua opera e la sua Regola hanno<br />

por-tato all’Europa.<br />

Benedetto si allontanò da Roma e si fermò ad Affile, piccolo paese non lontano da Subiaco.<br />

Ormai aveva deciso: non sarebbe stato né un esperto di diritto né un funzionario, ma un uomo<br />

dedicato totalmente a Dio che vo-leva vivere radicalmente l’avventura cristiana.<br />

/D VFHOWD GHOODQWUR SHU OD FODXVXUD WRWDOH<br />

Benedetto si avviò da solo per farsi eremita nella valle dell'Aniene dove incontrò un monaco che<br />

capì la sua intenzione; lo aiutò a scegliersi l'antro adatto per la clausura totale e lo sostentava<br />

calandogli in una cesta, quel tanto di cibo necessario alla sopravvivenza.<br />

41


Passando per questi luoghi e salendo verso il monastero del Sacro Speco, si prova una certa<br />

commozione non solo per l’intensa suggestione del luo-go, ma per gli interrogativi che pone la<br />

vicenda di Benedetto, strappato dalla solitudine perché fosse da guida ad una piccola comunità di<br />

monaci nei pressi di Vicovaro.<br />

Dai monaci della piccola comunità subì un tentativo di avvelenamento, il che lo indusse a tornare<br />

alla solitudine di Subiaco, dalla quale fu tolto nel giro di breve tempo perché pregato di ordinare<br />

le comunità dei monaci del territorio subiacense; costituì 12 piccoli monasteri di 12 monaci<br />

ciascuno.<br />

3RL OHUHPLWD VFHOVH LO FRQYHQWR<br />

Benedetto trascorse a Subiaco oltre un quarto di secolo. Il 28 settembre del 1980, papa Giovanni<br />

Paolo II compì il suo primo pellegrinaggio ai due monasteri di Subiaco.<br />

La data è molto importante perchè il pontefice, accompagnato da 120 vescovi componenti il<br />

consiglio delle conferenze episcopali europee, vi celebrò il XV centenario della nascita del santo<br />

di Norcia.<br />

Paolo VI, aveva affidato il patrocinio dell'Europa al santo perché, aveva contribuito a far vivere i<br />

nuovi valori e i nuovi significati per gli uomini e i popoli, superando le leggi e i costumi del<br />

mondo pagano.<br />

Nei due monasteri, le parole e i riferimenti che si leggono con frequenza sono Dio, pace,<br />

preghiera e lavoro. Rappresentano i segni distintivi della stessa Regola di Benedetto che, se pur<br />

scritta durante gli anni dell'espe-rienza cassinese, sono stati, però, meditati nei luoghi di Subiaco<br />

dove Be-nedetto visse la prima parte della grande avventura della perfezione cri-stiana e della<br />

partecipazione d'amore nella storia degli uomini.<br />

Le parole di Benedetto sono anche oggi, a distanza di XV secoli, più che mai importanti, perché<br />

la sua profezia è inserita nell'insegnamento evan-gelico e in quello della chiesa.<br />

Benedetto si è trovato intorno i residui della schiavitù e del disprezzo del lavoro, l'esclusivismo<br />

delle classi e l'uso della violenza come norma del più forte.<br />

“Nel Vangelo”, ha ricordato Giovanni Paolo II, "Benedetto leggeva la gioio-sa verità della<br />

fraternità di tutti gli uomini". Questa buona novella della fraternità non soltanto l'ha tradotta in<br />

regola di vita per le sue comunità monastiche, ma ancor più in sistema di vita per gli uomini e<br />

per i popoli: ora et labora. Nell’antichità il lavoro era il ruolo degli schiavi, un segno<br />

d’avvilimento. Essere liberi significava non lavorare e quindi vivere delle fatiche degli altri. La<br />

rivoluzione benedettina pone il lavoro nel cuore stesso della dignità dell’uomo. L’uguaglianza<br />

degli uomini di fronte al lavo-ro diventa, attraverso il lavoro stesso, come un fondamento della<br />

libertà dei figli di Dio, grazie al clima di preghiera ove si radica il lavoro.<br />

La Regola, nella sua espressione dettagliata dei doveri e dei compiti del monaco, è uno<br />

strumento di conversione, ma anche di trasformazione del mondo.<br />

,O ³SDGUH´ GHOO(XURSD<br />

Quando compare Benedetto da Norcia, il monachesimo è già molto diffuso in Occidente, nelle<br />

due forme classiche: eremitica (coloro che vivono in solitudine) e cenobitica, cioè comunitaria.<br />

Prima di Benedetto, ogni monastero è autonomo e segue una regola dettata dal proprio fondatore,<br />

che di solito si è ispirato ai grandi modelli orientali: Basilio e Pacomio, principalmente.<br />

E ci sono pure casi di degenerazione, soprattutto fra i cosiddetti sarabaìti, monaci vaganti, senza<br />

una sede e un superiore.<br />

Benedetto arriva in questo clima, e cambia tutto. "Monaco" equivarrà a di-re "benedettino". La<br />

sua gigantesca opera di riorganizzatore del mona-chesimo occidentale si apre con una serie di<br />

fallimenti e delusioni. E l'ini-zio di Benedetto è eremitico.<br />

Verso il 529 è a Montecassino.<br />

42


Si mettono subito a lavoro i monaci di Benedetto. Questo è il tempo in cui si combatte in Italia la<br />

guerra "gotica", tra i successori di Re Teodorico e l'impero d'oriente, che è deciso a riconquistare<br />

l'Italia.<br />

Ma a Montecassino c'è pace e fraternità: barbati e latini, ariani e cattoli-ci, poveri e ricchi, tutti<br />

sono accolti, rifocillati, ospitati e molti di loro di-ventano monaci. La grande novità, la vera e<br />

duratura rivoluzione, non sta nel monastero, ma nella Regola che esso riceve da Benedetto, e che<br />

molto rapidamente governerà la vita e l'attività di migliaia di monaci in tutta Eu-ropa.<br />

"Io non ho inventato nulla di nuovo" dice sostanzialmente Benedetto, a proposito della Regola;<br />

Benedetto delinea e impone "nuovo modo di essere monaci", basato su tre principi fondamentali<br />

e uguali per tutti.<br />

Il primo è la stabilitas: niente più monaci girovaghi; il cenobio sarà la loro famiglia per sempre.<br />

Il secondo principio è quello dell'orario. Benedetto rivaluta il tempo che è parte della vita, dono<br />

di Dio, e perciò non va disprezzato né dissipato, ma tutto utilizzato al servizio del Signore. Ci<br />

sono disposizioni precise, sca-denze puntuali in ogni momento della giornata, per la preghiera, la<br />

lettura sacra, il lavoro, il riposo.<br />

In una situazione di guerre e di odio, Benedetto chiede pace e riconcilia-zione tra latini e barbari,<br />

stabilendo assoluta uguaglianza per tutti nei di-ritti e nei doveri; a una chiesa lacerata da scismi e<br />

minacciata dall'indivi-dualismo spirituale, egli domanda di seguire Cristo rinunciando alla<br />

propria volontà per costituire una famiglia spirituale concorde, che non antepone nulla<br />

all’dorazione del suo Signore.<br />

Benedetto richiama non solo i suoi monaci , ma tutti gli europei al lavoro, all'impegno; nel clima<br />

di disfacimento generale, egli invita a rifare, a rico-struire.<br />

Nella Regola, il principio d'autorità, rappresentata dall'abate e accompa-gnato dalla fraternità e<br />

dalla dolcezza, rendono l'obbedienza più leggera e anche lieta.<br />

Benedetto non vuole fare dei monaci tanti eroi del sacrificio, e degli abati tanti dittatori. Predica<br />

la discrezione, madre di tutte le virtù.<br />

Tra i monaci, continua la Regola, deve regnare l'uguaglianza più assoluta.<br />

Ma a chi è infermo si deve dare qualcosa di più, e "chi ha bisogno di meno ne potrà rendere<br />

grazie a Dio".<br />

Il monaco che non lavora, dice severamente Benedetto, non è un vero mo-naco: e con questo egli<br />

rivaluta la fatica manuale, che dal mondo romano, per secoli, era stata spregiativamente<br />

considerata opera da schiavi. No, dice Benedetto: essa è opera da uomini; e da uomini, come i<br />

monaci, che tendono alla perfezione.<br />

Dedicarsi a Dio non è più abbandonare a se stesso il mondo, ma è anzi una forma di aiuto, è la<br />

proposta di un modello, l'indicazione di un esempio.<br />

È un luogo di autoregolazione per pochi: diventa centro di accoglienza e di ospitalità, in cui<br />

trovano aiuto e asilo i pellegrini, gli affamati, i ricercati, politici, i contadini fuggiaschi davanti<br />

agli eserciti e ai predoni.<br />

La preghiera celebrata coralmente negli uffici cantati più volte al giorno attira i cristiani che vi<br />

partecipano con fervore, mente i monaci sostengo-no la vita della Chiesa con il loro radicalismo<br />

evangelico, non permettendo che in mezzo a tante difficoltà, e a tante conversioni a volte troppo<br />

facili, si spenga l’assoluto del Vangelo.<br />

Benedetto muore nel 547, probabilmente il 21 marzo. Due secoli dopo, i suoi monasteri in<br />

Europa saranno più di mille.<br />

E più tardi ancora, ogni volta che una comunità comincia a rilassarsi, e si sente la necessità di un<br />

riformatore, questi non fa altro che richiamarsi a Benedetto: la riforma è sempre un ritorno ai<br />

precetti del Padre dei mona-ci.<br />

“Quando si pensa a tutta la violenza che ancora si scatenerà durante que-sto medioevo<br />

selvaggio”, scrive lo storico Jacques Le Goff, “può sembrare che la lezione di Benedetto non sia<br />

43


stata compresa. Ma dovremmo piuttosto domandarci a quali eccessi si sarebbe spinta la gente nel<br />

Medioevo, se all'inizio di quei secoli non si fosse levata questa voce grande e dolce”.<br />

BIBLIOGRAFIA MINIMA<br />

44<br />

Simona Piras e Federica Turino<br />

GIORGIO PICASSO (a cura di), 6DQ %HQHGHWWR /D 5HJROD, Cinisello Balsamo 1996.<br />

ANSELM GRUN, %HQHGHWWR GD 1RUFLD /D 5HJROD SHU OXRPR GRJJL, Cinisello Balsamo 2006.<br />

MASSIMO FOLADOR, /RUJDQL]]D]LRQH SHUIHWWD /D UHJROD GL 6DQ %HQHGHWWR 8QD VDJJH]]D<br />

DQWLFD DO VHUYL]LR GHOOLPSUHVD PRGHUQD, Milano 2006.<br />

MONACI DELLA CASCINAZZA (a cura di), “&RQ OH QRVWUH PDQL PD FRQ OD WXD IRU]D´ /H<br />

RSHUH QHOOD WUDGL]LRQH PRQDVWLFD EHQHGHWWLQD, Castel Bolognese 2006.


Eremo di San<br />

Benedetto<br />

Monastero di<br />

Subiaco<br />

45


LA REGOLA BENEDETTINA<br />

San Benedetto visse intorno al Vl secolo, un periodo dominato dalla confusione e dall’incertezza<br />

sociale e spirituale, causata dai regni barbarici che avevano preso il posto dell’impero romano.<br />

In quel periodo la società, in qualche modo, esigeva delle regole precise e delle indicazioni su<br />

come vivere la vita ma anche la propria spiritualità.<br />

A questo immediato bisogno della società di quel tempo rispose un monaco chiamato Benedetto,<br />

che in qualche modo “rivoluziona” il modo di vivere il monachesimo.<br />

Egli rispose prontamente al bisogno di sicurezza e di stabilità che in quel tempo di cambiamenti<br />

era molto sentito, facendo del monastero anche un luogo dove regnava tranquillità ma<br />

soprattutto la continuità dettata dalla Regola, anche dalla routine delle mansioni e dei lavori<br />

quotidiani. Il monastero diventava così un “porto” dove si poteva vivere in sicurezza in una<br />

comunità concreta. Questo concetto, chiamato stabilitas, ebbe come risultato anche il placamento<br />

delle tentazioni e dei desideri dell’uomo, così che poterono dedicarsi completamente a Dio.<br />

,O SURORJR<br />

Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli<br />

volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che<br />

tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per<br />

l'ignavia della disobbedienza.<br />

Bisogna dunque istituire una scuola del servizio al Signore, nella quale ci auguriamo di non<br />

prescrivere nulla di duro o di gravoso; ma se, per la correzione dei difetti o per il mantenimento<br />

della carità, dovrà introdursi una certa austerità, suggerita da motivi di giustizia, non ti far<br />

prendere dallo scoraggiamento al punto di abbandonare la via della salvezza, che in principio è<br />

necessariamente stretta e ripida. Mentre invece, man mano che si avanza nella vita monastica e<br />

nella fede, si corre per la via dei precetti divini col cuore dilatato dall'indicibile sovranità<br />

dell'amore.<br />

/D UHJROD<br />

Esistono poche fonti riguardanti la Regola di San Benedetto, si pensa che sia stata scritta intorno<br />

al 535, una cosa però è certa, non è opera di un autore solo, la Regola scritta da San Benedetto<br />

presenta molte somiglianze con regole strettamente somiglianti tra loro scritte intorno alla prima<br />

metà del Vl secolo in Italia e nella Gallia meridionale. Nella Regola si ritrovano anche dei<br />

capitoli riportati interamente da una Regola chiamata Regula Magistri, scritta in data ignota e in<br />

luogo anch’esso ignoto.<br />

In questo scritto cercheremo di analizzare i capitoli della Regola riguardanti i comportamenti che<br />

un monaco Benedettino deve osservare in monastero per arrivare a vivere alla presenza di Dio<br />

che per Benedetto è lo scopo principale della vita monastica. Un monaco deve lasciarsi<br />

“scrutare”, fino in fondo al proprio cuore e ogni azione che compie deve essere in funzione del<br />

Signore, ogni pensiero deve fluire a lui, qualunque cosa un uomo stia facendo in qualsiasi<br />

momento della propria vita, in questo modo si attua un processo di purificazione che porta alla<br />

conoscenza divina, ma anche alla profonda conoscenza di noi stessi.<br />

Dio ci illumina, ci guida e ci porta a scoprire aspetti prima ignoti della realtà e ci aiuta<br />

fortemente a risolvere i problemi della nostra vita, soprattutto i problemi di rapporto con il<br />

prossimo.<br />

Dio però non pretende da tutte le persone allo stesso modo ma la Regola si ”adatta” secondo la<br />

personalità. Questa “soggettività” è presente anche in tutte le indicazioni che San Benedetto dà<br />

nella sua Regola, secondo il Santo, infatti, ad ogni uomo bisogna chiedere ciò che può dare.<br />

Vivere alla presenza di Dio non vuole dire però star sempre lì a pensare a Dio, ma vuol dire<br />

piuttosto abbandonarsi alla sua presenza, in qualche modo permettergli di entrare dentro di noi,<br />

47


e in questo modo offrirsi agli altri con tutta la bontà che il Signore ha offerto a noi. La Regola di<br />

San Benedetto quindi vuole semplicemente istruire l’uomo a Dio.<br />

&DSLWROR 9 OREEHGLHQ]D<br />

In un monastero benedettino un monaco deve eseguire senza indugi quello che gli viene ordinato<br />

dal suo maestro o da qualunque superiore, secondo Benedetto infatti l’obbedienza è propria di<br />

chi nulla<br />

ritiene di avere più prezioso di Cristo.<br />

Un monaco deve considerare un ordine ricevuto da un suo maestro come se fosse venuto da Dio.<br />

Ma questa obbedienza sarà gradita a Dio solo se gli ordini ricevuti saranno eseguiti senza alcuna<br />

esitazione o protesta. Infatti, secondo la Regola, se un monaco esegue l’ordine controvoglia o<br />

ancor peggio protestando il lavoro che eseguirà non sarà in alcun modo degno di Dio che ci<br />

guarda e ci scruta fin dentro al nostro cuore. L’obbedienza, così intesa, finisce di sgombrare gli<br />

ostacoli all’unione divina: la povertà ha tolto il pericolo dei beni esteriori; la conversione dei<br />

costumi ha reciso le tendenze della concupiscenza e tutto ciò che sarebbe imperfetto; l’umiltà,<br />

con lavoro più profondo, frena la sregolata stima di sé; ma rimane ancora da immolare la volontà<br />

propria cittadella dell’io: ceduta, anche questa, per mezzo dell’obbedienza, si è dato tutto,<br />

l’anima non possiede più nulla di suo e Dio può fare di lei ciò che vuole: non ci sono più<br />

ostacoli.<br />

'DOOD 5HJROD FDSLWROR 9<br />

L'obbedienza è propria di coloro che nulla ritengono di avere più prezioso di Cristo. Costoro,<br />

dunque, o per il santo servizio che si sono consacrati, o perchè temono l’ inferno oppure perchè<br />

desiderano la gloria della vita eterna, non appena ricevono un ordine da un superiore, sappiano<br />

eseguirlo senza indugi, come se provenisse da Dio.<br />

Ma questa obbedienza sarà gradita a Dio e cara agli uomini se ciò che si ordina verrà eseguito<br />

senza incertezza o indolenza, senza mormorazioni o proteste, poiché l' obbedienza prestata ai<br />

superiori è prestata a Dio stesso, il quale ha detto: “chi ascolta voi, ascolta me”<br />

&DSLWROR 9, LO VLOHQ]LR<br />

La Regola presta molta attenzione all’amore per il silenzio, secondo essa, infatti, le parole sono<br />

uno strumento molto efficace per compiere il peccato e in molti casi determinano la morte e la<br />

vita, per questo un monaco si deve astenere dal parlare, anche di cose buone, sante ed edificanti,<br />

se poi i discorsi di questo discepolo diventano volgari e cattivi, si incorrerà nel peccato e nella<br />

punizione, infatti parlare spetta al maestro ed ascoltare spetta al discepolo. Un altro importante<br />

divieto che la Regola pone ai monaci è il divieto al riso che infatti abbonda sulla bocca degli<br />

sciocchi e lo si ritrova spesso nei discorsi volgari, il riso quindi è escluso da ogni discorso che si<br />

faccia in monastero.<br />

Il silenzio poi è un modo per “guardarsi dentro”, è conoscere meglio le parti più nascoste della<br />

nostra personalità, ma è anche un modo di conoscere Dio e ammirare la sua grandezza in tutte le<br />

cose che ha creato l'uomo dalla natura. Con il silenzio si impara ad assaporare e conoscere la<br />

grandezza divina, e a convivere con Dio.<br />

'DOOD 5HJROD FDSLWROR 9,<br />

Dobbiamo fare come dice il profeta: “Ho detto: veglierò sulla mia condotta per non peccare con<br />

la mia lingua; porrò un freno alla mia bocca. Ho taciuto e mi sono umiliato, e non ho parlato<br />

nemmeno di cose buone”.<br />

Perciò raramente si conceda a coloro che sono discepoli perfetti il permesso di parlare, sia pure<br />

di cose buone, sante ed edificanti, in modo che possano osservare il silenzio pieno di gravità,<br />

poiché sta scritto “Parlando troppo non eviterai il peccato” ed anche: “La vita e la morte sono in<br />

48


potere della lingua”, infatti “Parlare ed insegnare spetta al maestro, tacere ed ascoltare spetta al<br />

discepolo”.<br />

&DSLWROR 9,, OXPLOWj<br />

Il capitolo dell' umiltà descrive più che altro un cammino spirituale, che il monaco deve<br />

percorrere per trovare e raggiungere la piena umiltà che risiede in se stesso, per poter innalzarsi a<br />

Dio, questo cammino è composto da dodici gradini, attraverso i quali il timore di Dio che il<br />

monaco aveva in se stesso si trasforma in Amore per il Signore, senza alcun timore.<br />

Il secondo, il terzo, il quarto e l'ottavo riportano all’ obbedienza, a trascurare la propria volontà e<br />

a sottomettersi all'abate o qualunque superiore a soffrire in silenzio senza lamentarsi.<br />

Il nono, il decimo e l'ottavo gradino invece ribadiscono l'importanza del silenzio, il monaco deve<br />

saper in qualunque momento frenare la lingua, anche per dire cose sante ed edificanti o peggio<br />

per ridere e peccare.<br />

I restanti quinto, sesto e settimo gradino affermano che il monaco deve essere confidente nel suo<br />

abate, deve saper accontentarsi delle cose più umili ed umilianti e deve essere convinto nel più<br />

intimo del proprio cuore del suo stato di umiltà e sottomissione a Dio.<br />

'DOOD 5HJROD<br />

La sacra Scrittura si rivolge a noi, fratelli, proclamando a gran voce: "Chiunque si esalta sarà<br />

umiliato e chi si umilia sarà esaltato".<br />

Quindi, fratelli miei, se vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell'umiltà e arrivare<br />

rapidamente a quella glorificazione celeste, a cui si ascende attraverso l'umiliazione della vita<br />

presente, bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo la scala che apparve in sogno a<br />

Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e salire gli angeli.<br />

Non c'è dubbio che per noi quella discesa e quella salita possano essere interpretate solo nel<br />

senso che con la superbia si scende e con l'umiltà si sale.<br />

La scala così eretta, poi, è la nostra vita terrena che, se il cuore è umile, Dio solleva fino al<br />

cielo.<br />

Dunque il primo gradino dell'umiltà è quello in cui, rimanendo sempre nel santo timor di Dio,<br />

si fugge decisamente dalla leggerezza e dalla dissipazione, l'uomo deve prendere coscienza che<br />

Dio lo osserva in ogni istante dal cielo e che, dovunque egli si trovi, le sue azioni non sfuggono<br />

mai allo sguardo divino e sono di continuo riferite dagli angeli.<br />

Il secondo gradino dell'umiltà è quello in cui, non amando la propria volontà, non si trova<br />

alcun piacere nella soddisfazione dei propri desideri, ma si imita il Signore, mettendo in pratica<br />

quella sua parola che dice: "Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha<br />

mandato".<br />

Terzo gradino dell'umiltà è quello in cui il monaco per amore di Dio si sottomette al superiore in<br />

assoluta obbedienza, a imitazione del Signore, del quale l'Apostolo dice: "Fatto obbediente fino<br />

alla morte".<br />

Il quarto gradino dell'umiltà è quello del monaco che, pur incontrando difficoltà, contrarietà e<br />

persino offese non provocate nell'esercizio dell'obbedienza, accetta in silenzio e volontariamente<br />

la sofferenza, e sopporta tutto con pazienza, senza stancarsi né cedere, secondo il monito della<br />

Scrittura: " Chi avrà sopportato sino alla fine questi sarà salvato".<br />

Il quinto gradino dell'umiltà consiste nel manifestare con un'umile confessione al proprio abate<br />

tutti i cattivi pensieri che sorgono nell'animo o le colpe commesse in segreto, secondo<br />

l'esortazione della Scrittura, che dice: "Manifesta del Signore la tua via e spera in lui".<br />

Il sesto gradino dell'umiltà è quello in cui il monaco si accontenta delle cose più misere e<br />

grossolane e si considera un operaio incapace e indegno nei riguardi di tutto quello che gli<br />

impone l'obbedienza.<br />

49


Il settimo gradino dell'umiltà consiste non solo nel qualificarsi come il più miserabile di tutti,<br />

ma nell'esserne convinto dal profondo del cuore.<br />

L'ottavo gradino dell'umiltà è quello in cui il monaco non fa nulla al di fuori di ciò a cui lo<br />

sprona la Regola comune del monastero e l'esempio dei superiori e degli anziani.<br />

Il nono gradino dell'umiltà è proprio del monaco che sa dominare la lingua e, osservando<br />

fedelmente il silenzio, tace finché non è interrogato.<br />

Il decimo gradino dell'umiltà è quello in cui il monaco non è sempre pronto a ridere, perché sta<br />

scritto: "Lo stolto nel ridere alza la voce".<br />

L'undicesimo gradino dell'umiltà è quello nel quale il monaco, quando parla, si esprime<br />

pacatamente e seriamente, con umiltà e gravità, e pronuncia poche parole assennate, senza<br />

alzare la voce, come sta scritto: "Il saggio si riconosce per la sobrietà nel parlare".<br />

Il dodicesimo gradino, infine, è quello del monaco, la cui umiltà non è puramente interiore, ma<br />

traspare di fronte a chiunque lo osservi da tutto il suo atteggiamento esteriore, dovunque, sia<br />

che sieda, cammini o stia in piedi, tiene costantemente il capo chino e gli occhi bassi, e<br />

considerandosi sempre reo per i propri peccati, si vede già dinanzi al tremendo giudizio di Dio,<br />

ripetendo continuamente in cuor suo ciò che disse, con gli occhi fissi a terra il pubblicano del<br />

Vangelo: "Signore, io, povero peccatore, non sono degno di alzare gli occhi al cielo".<br />

E ancora con il profeta: "Mi sono sempre curvato e umiliato".<br />

Una volta ascesi tutti questi gradini dell'umiltà, il monaco giungerà subito a quella carità, che<br />

quando è perfetta, scaccia il timore; per mezzo di essa comincerà allora a custodire senza alcuno<br />

sforzo e quasi naturalmente, grazie all'abitudine, tutto quello che prima osservava con una certa<br />

paura, in altre parole non più per timore dell'inferno, ma per timore di Cristo, per la stessa<br />

buona abitudine e per il gusto della virtù.<br />

BIBLIOGRAFIA MINIMA<br />

50<br />

Alberto Angelo Bollo e Ludovico Bragante<br />

GIORGIO PICASSO (a cura di), 6DQ %HQHGHWWR /D 5HJROD, Cinisello Balsamo 1996.<br />

ANSELM GRUN, %HQHGHWWR GD 1RUFLD /D 5HJROD SHU OXRPR GRJJL, Cinisello Balsamo 2006.<br />

MASSIMO FOLADOR, /RUJDQL]]D]LRQH SHUIHWWD /D UHJROD GL 6DQ %HQHGHWWR 8QD VDJJH]]D<br />

DQWLFD DO VHUYL]LR GHOOLPSUHVD PRGHUQD, Milano 2006.<br />

MONACI DELLA CASCINAZZA (a cura di), “&RQ OH QRVWUH PDQL PD FRQ OD WXD IRU]D´ /H<br />

RSHUH QHOOD WUDGL]LRQH PRQDVWLFD EHQHGHWWLQD, Castel Bolognese 2006.


LA REGOLA BENEDETTINA E LE NORME ALIMENTARI<br />

2UD HW ODERUD<br />

La Regola è basata sull’unità tra preghiera e lavoro, cioè lavoro guidato dalla preghiera. Il lavoro<br />

deve aiutarci a pregare bene, e la preghiera ad affrontare il lavoro nella maniera giusta.<br />

Questa unità è un messaggio davvero importante per gli uomini di oggi, perché tanti uomini ogni<br />

giorno si sentono schiacciati e oppressi dal lavoro e c’è chi vorrebbe liberarsene.<br />

San Benedetto non vede nessuna opposizione tra lavoro e preghiera: qualora esigenze locali o la<br />

povertà rendessero necessario, provvedere direttamente alla raccolta delle messi, i fratelli non si<br />

lamentino per questo, perché è proprio allora che essi sono veramente monaci, quando vivono<br />

del lavoro delle proprie mani. (Regola XLIII, 7-8)<br />

I monaci devono lavorare circa cinque ore al giorno d’inverno e otto d’estate, dalla produzione<br />

agri-cola ai laboratori e ai vari servizi.<br />

Se nel monastero vi sono dei fratelli che conoscono un mestiere, lo esercitino con ogni umiltà se<br />

l’abate lo permette. Ma se qualcuno di loro insuperbisse per la competenza del suo lavoro o<br />

perché gli sembra di procurare dei vantaggi al monastero, venga allontanato da quella attività e la<br />

ripren-da solo dopo essersi umiliato e quando ne avrà nuovamente ricevuto il permesso<br />

dall’abate. (Rego-la LVII, 1-2-3)<br />

Al tempo di Benedetto l’ambiente veniva continuamente depredato. Le campagne erano razziate<br />

da orde vaganti, le foreste spogliate per necessità di guerra. La terra restava incolta. L’odio che<br />

gli uo-mini nutrivano gli uni per gli altri oltraggiava anche la natura. Con il suo monastero,<br />

Benedetto crea nel bel mezzo di un sistema economico diventato caotico delle piccole ed<br />

efficienti unità autartiche, che spaziavano dalla produzione agricola ai laboratori e ai vari servizi.<br />

In queste unità produttive non vigeva il principio del massimo profitto, ma era piuttosto la<br />

glorificazione il Dio la loro massi-ma suprema.<br />

Nel fare i prezzi non ci si lasci mai prendere dal flagello della cupidigia, ma si venda a un prezzo<br />

sempre un po’ inferiore di quello che fanno i secolari, “ perché in tutto venga glorificato Dio”.<br />

(Regola LVII, 7-8-9)<br />

Dall’inizio di ottobre al principio della Quaresima ci si dedichi alla lettura. In questi giorni<br />

ognuno riceva dalla biblioteca un libro. (Regola XLVIII, 10 e15).<br />

Il lavoro salva dall’ozio. Ai confratelli malati e di salute cagionevole si assegni un lavoro o<br />

un’attività che non li lasci oziosi, ma neppure li opprima col peso della fatica e li spinga ad allontanarsi.<br />

L’abate abbia comprensione per la loro debolezza. (Regola XLVIII, 24-25).<br />

Il lavoro impegna l’attenzione e tiene il pensiero concentrato su quello che si fa, e tiene con ciò<br />

stesso lontano dal mondo immaginario della fantasia e aiuta a mantenere l’unione con Dio.<br />

Per Benedetto al primo posto viene la preghiera. Solamente impregnandolo di preghiera si può<br />

compiere il lavoro in modo tale che esso abbia un influsso positivo sulla vita religiosa.<br />

Sul lavoro si deve tenere quel medesimo atteggiamento che si deve adottare quando si prega,<br />

cioè quello dell’umiltà, dell’abbandono alla volontà di Dio e di non voler servire se stessi, ma<br />

Dio. Il la-voro dunque comporta una rinuncia alla persona. Lavorare alla presenza di Dio<br />

richiede che il lavo-ro venga svolto con intima calma e impegno.<br />

Il lavoro diventa un luogo di vita spirituale che non ci separa da Dio ma ci fa esercitare il giusto<br />

at-teggiamento da tenere verso Dio: ubbidienza, indulgenza, padronanza di sé, fiducia, rinuncia a<br />

sé e amore.<br />

1RUPH SHU ODPPLVVLRQH GHL IUDWHOOL<br />

A chi giunge per la prima volta alla vita monastica non si conceda facilmente di entrare. Se<br />

dunque si presenta “perseverante nel bussare” e per quattro o cinque giorni si mostrerà paziente<br />

nel soppor-tare le umiliazioni inflittegli e le difficoltà oppostegli al suo ingresso e persiste nella<br />

51


sua richiesta, gli si conceda di entrare, e lo si tenga per qualche giorno nei locali riservati agli<br />

ospiti.<br />

Un anziano si dedichi a esaminarlo con attenzione e a guadagnarne l’anima e si osservi<br />

soprattutto se è alla ricerca di Dio.<br />

Gli si prospettino tutte le cose dure e aspre attraverso le quali si va a Dio.<br />

Se promette di perseverare nella sua stabilità, trascorsi due mesi gli si legga per intero la<br />

presente Regola. Trascorsi sei mesi gli si rilegga la Regola, perché sappia su quale via voglia<br />

lavorare. Se persiste ancora nel suo proposito, dopo quattro mesi gli si legga di nuovo la Regola.<br />

E se dopo aver maturato nel suo animo la decisione promette di osservarla integralmente ed ad<br />

eseguire ogni ordine, venga accolto nella comunità sapendo che da quel giorno non gli sarà più<br />

lecito uscire dal monastero.<br />

Metta per iscritto la sua promessa in nome dei Santi di cui in oratorio si conservano le reliquie e<br />

dell’abate presente.<br />

Il novizio si prosti allora ai piedi di ciascun confratello perché tutti preghino per lui e da quel<br />

giorno sia considerato membro della comunità.<br />

Se possiede beni, li distribuisca prima di tutto ai poveri, oppure li ceda con una donazione legale<br />

al monastero, senza riservare assolutamente nulla per se, perché da quel giorno deve sapere che<br />

non sarà più padrone neppure del proprio corpo.<br />

Subito dopo in oratorio venga spogliato degli abiti che indossava e rivestito di quelli del<br />

monastero.<br />

Gli indumenti di cui si è spogliato siano però conservati nel guardaroba, perché se un giorno<br />

decidesse -che non sia mai- alla tentazione del Maligno e volesse lasciare il monastero possa<br />

venir spogliato degli abiti qui ricevuti e mandato fuori.<br />

Quando un nobile viene a offrire a Dio un suo figlio in monastero, se il bambino è ancora in<br />

tenera età i suoi genitori scrivano la richiesta di cui è detto e, con l’offerta del pane e del vino<br />

avvolgano la richiesta e la mano del bambino nella tovaglia dell’altare e in questo modo lo<br />

offrano.<br />

Per quanto riguarda i suoi beni, i genitori promettano sotto giuramento che mai, né direttamente<br />

né tramite altra persona né in alcun altro modo gli daranno occasione di venire in possesso di<br />

qualcosa.<br />

Allo stesso facciano anche i più poveri. Coloro che non possiedono proprio nulla, scrivano<br />

sempli-cemente la richiesta e offrano il loro figlio, alla presenza di testimoni, assieme alle offerte<br />

dell’altare.<br />

$ELWL H FDO]DWXUH<br />

Si diano ai fratelli abiti adatti alle esigenze dei luoghi in cui abitano e alle condizioni del clima. I<br />

monaci non facciano questioni di colore e di qualità degli indumenti.<br />

Ricevendo abiti nuovi, si restituiscono sempre gli usati che saranno riposti per i poveri. È<br />

sufficiente infatti per il monaco avere due tuniche e due cocolle, per cambiarsi di notte e per<br />

poterle lavare. Tutto ciò che è di più appartiene al superfluo, e quindi va tolto.<br />

I fratelli inviati in viaggio ricevano un paio di brache che al loro ritorno restituiranno lavate. Le<br />

cocolle siano un po’ migliori di quelle indossate abitualmente.<br />

Per l’arredo del letto siano sufficienti un pagliericcio, una coperta leggera, una pesante e un<br />

cuscino. I letti siano comunque ispezionati dall’abate perché non vi si trovi qualche oggetto di<br />

proprietà per-sonale; ma per stroncare radicalmente questo vizio di possedere qualcosa di<br />

personale, l’abate prov-vede a fornire tutto quanto è necessario, cioè cocolle, tonaca, sandali,<br />

scarpe, cintura, stilo, ago, faz-zoletto, tavole per scrivere, in modo che non si possa accampare il<br />

pretesto del bisogno.<br />

L’abate consideri perciò le necessità di chi ha più bisogno, non la cattiva volontà degli invidiosi.<br />

52


&DSLWROR ;;;,; /D PLVXUD GHO FLER<br />

1. Volendo tenere il debito conto delle necessità individuali, riteniamo che per il pranzo<br />

quotidiano fissato - a seconda delle stagioni - dopo Sesta o dopo Nona, siano sufficienti due<br />

pietanze cotte,<br />

2. in modo che chi eventualmente non fosse in condizioni di prenderne una, possa servirsi<br />

dell'altra.<br />

3. Dunque a tutti i fratelli devono bastare due pietanze cotte e se ci sarà la possibilità di<br />

procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se ne aggiunga una terza.<br />

4. Quanto al pane penso che basti un chilo abbondante al giorno, sia quando c'è un solo<br />

pasto, che quando c'è pranzo e cena.<br />

5. In quest'ultimo caso il cellerario ne metta da parte un terzo per distribuirlo a cena.<br />

6. Nel caso che il lavoro quotidiano sia stato più gravoso del solito, se l'abate lo riterrà<br />

opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un piccolo supplemento,<br />

7. purché si eviti assolutamente ogni abuso e il monaco si guardi dall'ingordigia.<br />

8. Perché nulla è tanto sconveniente per un cristiano, quanto gli eccessi della tavola,<br />

9. come dice lo stesso nostro Signore: "State attenti che il vostro cuore non sia appesantito<br />

dal troppo cibo".<br />

10. Quanto poi ai ragazzi più piccoli, non si serva loro la medesima porzione, ma una<br />

quantità minore, salvaguardando in tutto la sobrietà.<br />

11. Tutti infine si astengano assolutamente dalla carne di quadrupedi, a eccezione dei malati<br />

molto deboli.<br />

Alice Lombardo, Laura Masoero e Stefano Lusso<br />

BIBLIOGRAFIA MINIMA<br />

GIORGIO PICASSO (a cura di), 6DQ %HQHGHWWR /D 5HJROD, Cinisello Balsamo 1996.<br />

ANSELM GRUN, %HQHGHWWR GD 1RUFLD /D 5HJROD SHU OXRPR GRJJL, Cinisello Balsamo 2006.<br />

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MONACI DELLA CASCINAZZA (a cura di), “&RQ OH QRVWUH PDQL PD FRQ OD WXD IRU]D´ /H<br />

RSHUH QHOOD WUDGL]LRQH PRQDVWLFD EHQHGHWWLQD, Castel Bolognese 2006.<br />

53


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE<br />

Le date della vita di san Benedetto sono approssimative, la sua figura ci sfugge ma egli è in ciò<br />

che ha realizzato. Il Benedetto che possiamo immaginarci dalle parole della sua Regola doveva<br />

essere un uomo di grande esperienza ed equilibrio che conosceva energie e debolezze degli<br />

uomini. Un uomo di grande fede, realista e ottimista al tempo stesso, capace di guidare e<br />

armonizzare fra loro forti e deboli. La Regola non venne utilizzata soltanto dai cristiani di<br />

quell’ordine ma nel Medioevo anche come manuale pedagogico per i figli dei nobili, come<br />

trattato per l’educazione del principe o manuale del buon governo poi. Evidentemente è perché<br />

essa espone esperienze che sono sempre valide per la guida e l’educazione degli uomini.<br />

Nel nostro lavoro ci siamo soffermati sulle virtù fondamentali della spiritualità monastica:<br />

obbedienza, silenzio e umiltà (cap.V, VI, VII).<br />

Ci siamo chiesti: Che cosa può insegnare a noi, oggi, la Regola di San Benedetto?<br />

Tre sono i valori di riferimento dei comportamenti, delle azioni della comunità e dell’individuo.<br />

Obbedienza, dal latino ob audire , ha il significato di dare ascolto, prestare attenzione. L’atto<br />

dell’obbedire cessa di avere un a connotazione passiva , diventa dare ascolto, comprensione,<br />

secondo l’etimologia latina della parola. E’ una predisposizione d’animo, la capacità di porsi in<br />

ascolto con attenzione per poter comprendere le cose nel profondo. Quante volte oggi viene reso<br />

negativo questo concetto? Per molti obbedire significa chinare la testa, farsi da parte, subire le<br />

scelte di altri invece che un atto dinamico e propositivo, un modo per muovere le persone<br />

assieme lungo la stessa strada? San Benedetto sa che l’obbedienza è difficile perciò con<br />

chiarezza comunica gli obiettivi, le ragioni delle scelte e anche gli ostacoli che si dovranno<br />

affrontare.<br />

L’attenzione di San Benedetto alla persona è tale che egli non dimentica la comprensione per la<br />

fragilità dell’uomo. Consiglia all’abate che nel correggere, agisca con prudenza e senza eccessi,<br />

perché, volendo raschiare troppo la ruggine , non gli capiti di rompere il vaso.<br />

Regola, II,30-32: L’abate si ricordi sempre di quello che è e di come viene chiamato, e sappia<br />

che a chi fu dato molto , molto sarà richiesto. Sia inoltre consapevole della difficoltà e della<br />

delicatezza de compito che si è assunto di governare le anime, adattandosi ai diversi<br />

temperamenti, che richiedono alcuni la dolcezza, altri il rimprovero, altri la persuasione; sappia<br />

adattarsi e conformarsi a tutti, secondo l’indole e l’intelligenza di ciascuno, così da non subire<br />

perdite nel gregge affidatogli, rallegrandosi invece per il suo incremento.<br />

Il capitolo VI è dedicato al secondo grande valore che San Benedetto intende evidenziare: il<br />

silenzio. Come riuscire a vivere il silenzio quale valore guida in una società che fa di tutto per<br />

reprimerlo e soffocarlo? La nostra è la società della comunicazione, dei mass media, non del<br />

silenzio. L’importante è creare e distribuire informazioni, poco importa se poi la gran parte<br />

delle informazioni per la loro ridondanza o incoerenza non è percepita né compresa . Per il Santo<br />

è necessario fare silenzio per capire, per approfondire; non solo, dobbiamo creare silenzio,<br />

pesare le parole, anche quelle buone. La comunicazione non è un atto istintivo, ma un’azione<br />

pensata e soppesata a lungo. La Regola stessa ne è un esempio:73 capitolo concisi e diretti che<br />

nella loro brevità hanno saputo dare per 1500 anni indicazioni illuminanti e sicure.<br />

L’ultimo capitolo dei tre dedicati espressamente ai valori, il settimo, è quello intitolato<br />

all’umiltà. E’ l’atteggiamento interiore fondamentale dal quale partire per compiere un cammino<br />

di crescita personale. Umiltà deriva dal latino humus, terra. Il significato etimologico della<br />

parola ci riporta al concetto delle radici, della profondità. Essere umili significa predisporsi a<br />

cercare il significato più profondo di ciò che ci circonda, abbandonando preconcetti che possono<br />

allontanarci dalla verità. Significa avere la capacità di verificare quotidianamente la coerenza dei<br />

propri pensieri e delle proprie azioni rispetto al fine.<br />

Significa aprirsi al confronto con chi lavora al nostro fianco che ci può far modificare la rotta se<br />

questa ci conduce verso direzioni sbagliate. Consigliati in tutto ciò che fai e dopo non avrai a<br />

55


pentirtene, cita San Benedetto, un’azione all’apparenza tanto semplice, da sembrare banale e<br />

superflua, ma , quante volte chiediamo un consiglio, quante volte convinti delle nostre decisioni,<br />

rifiutiamo l’idea di un consiglio?<br />

Quale valore ha il lavoro per le comunità benedettine? E’ esercizio per vincere l’oziosità e<br />

obbligo per guadagnarsi il necessario al sostentamento. Importante è la motivazione del lavoro:<br />

non deve essere esercitato per il successo né per profitto ma al servizio di Dio, in umiltà, non per<br />

servire se stessi ma Dio. Il lavoro così inteso è preghiera. Che cosa può insegnare oggi questo<br />

aspetto della regola di San benedetto? Quante volte le persone si dicono stressate dal lavoro?<br />

Quando però lavoriamo con motivazioni pure, facendo del lavoro una preghiera, il lavoro ci<br />

stanca ma non ci distrugge. E’ una buona stanchezza perché abbiamo il sentimento di aver<br />

realizzato qualcosa per Dio e per gli uomini.<br />

Secondo un calcolo approssimativo sono circa 75000 i monasteri benedettini nella sola Europa.<br />

Quale eredità ha lasciato Montecassino da fruttare così tanto? Non è un’eredità unicamente<br />

spirituale.<br />

Basti pensare che è nelle comunità benedettine che migliaia di monaci amanuensi hanno saputo<br />

trasmettere al mondo intero i testi della tradizione greca e latina. Ed è sempre nelle abbazie<br />

benedettine che , in virtù anche di una cultura che vedeva nel lavoro un momento fondamentale<br />

per la crescita dell’individuo, hanno visto la luce scoperte e innovazioni nell’ambito dell’attività<br />

produttiva e agricola. Ne sono un esempio concreto la creazione dei primi oleifici, delle prime<br />

vetrerie o cartiere o l’installazione sistematica dei mulini ad acqua , momento fondamentale nel<br />

passaggio da un’attività artigianale a una semindustriale. E’ sempre ai monaci benedettini,<br />

abilissimi architetti e progettisti che dobbiamo la realizzazione di alcune bonifiche o<br />

l’invenzione di strumenti o metodi di lavoro che hanno reso possibile lo sviluppo di arti e<br />

mestieri quali l’orologeria e la moderna enologia.<br />

Diverse le ragioni di questo sviluppo: i monaci erano più istruiti rispetto al resto della<br />

popolazione; inoltre la dinamicità che caratterizzava l’esperienza monastica medievale come le<br />

continue peregrinazioni dei monaci, la fondazione di nuovi monasteri, favoriva il confronto e lo<br />

scambio di esperienze. Una peculiarità scontata ai nostri giorni ma assolutamente innovativa per<br />

quei secoli .<br />

Monaci istruiti, dinamici, ma non solo, il centro di tutto è la Regola. Lo dimostrano anche le<br />

numerose pubblicazioni recenti che la presentano come un tesoro di saggezza per l’uomo<br />

moderno.<br />

Classe III A Ragionieri<br />

56


L’ABBAZIA DI MONTECASSINO<br />

L’abbazia di Montecassino è una delle abazie più importanti nella storia della civiltà occidentale.<br />

Viene fondata da San Benedetto nel 529 sul monte Cassino da cui deriva il nome. Il monte è<br />

situato nel Lazio meridionale al confine con la regione Campania, in provincia di Frosinone.<br />

In questo monastero san Benedetto visse gran parte della sua vita e scrisse la celebre “Regola”,<br />

fondamentale per il monachesimo.<br />

8QD VWRULD FRPSOHVVD<br />

Gli storici non sono certi della struttura originaria del monastero ma la tradizione vuole che S.<br />

Benedetto, quando salì sul monte Cassino, vi trovasse templi pagani e vi costruisse sopra le<br />

prime strutture del monastero. In quel periodo era consueto che gli edifici cristiani sfruttassero le<br />

costruzioni romane già esistenti.<br />

/DUFKLWHWWXUD<br />

La tipologia di monasteri dipende dalla geografia del territorio, dal periodo storico, dalle<br />

esigenze della comunità religiosa e dalle abilità di coloro che lavoravano al convento.<br />

L’architettura dei primi conventi era disomogenea e casuale ma solo in epoca carolingia i<br />

monasteri assunsero una struttura organica e razionale, che rifletteva la precisa vita monastica.<br />

In particolare nella Regola di S. Benedetto non viene data alcuna indicazione sulla struttura e<br />

sull’architettura dei monasteri benedettini ma, nel capitolo 66, è specificato semplicemente che<br />

all’interno di un monastero vi devono essere strutture necessarie per la sopravvivenza, il lavoro e<br />

la preghiera dei monaci.<br />

3LDQR GL 6 *DOOR<br />

Il disegno chiamato “Piano di S. Gallo” ci permette di ricostruire le concezioni che animavano<br />

l’architettura monastica altomedievale. Poteva essere il progetto dell’abbazia di S. Gallo, ma più<br />

probabilmente si trattava del disegno di una comunità ideale e autosufficiente.<br />

Nessun edificio però è stato costruito con tale pianta ma ha comunque fornito un modello per le<br />

architetture religiose successive.<br />

,O SULPR PRQDVWHUR<br />

Il primo convento fondato da S. Benedetto era composto da un insieme di edifici bassi e in legno,<br />

simili a baracche dove i monaci trovavano riparo. Vi si trovavano una cappella, un dormitorio e<br />

un refettorio. Non vi era il chiostro e l’oratorio era uno stanzone arredato con panche di legno e<br />

un altare in pietra. Il monastero era costituito anche da una parte adibita ad alloggio per gli ospiti<br />

e il complesso comprendeva, oltre al convento, i campi che venivano coltivati dai monaci e<br />

assicuravano il nutrimento.<br />

Il monachesimo quindi potè condizionare il territorio influenzando l’economia, la cultura e<br />

l’urbanizzazione delle zone in cui sorgevano i monasteri poiché, più tardi, accanto ai complessi<br />

monastici vennero costruiti piccoli nuclei abitativi. Gli abitanti di questi piccoli villaggi<br />

contribuivano a rendere il monastero un centro economicamente e socialmente attivo.<br />

/H GLVWUX]LRQL H OH ULFRVWUX]LRQL GHO PRQDVWHUR<br />

Il monastero venne distrutto e ricostruito numerose volte.<br />

Le prime due distruzioni avvennero rispettivamente nel 577 e nel 883 per opera prima dei<br />

Longobardi e poi dei Saraceni. Durante la seconda invasione i monaci furono costretti ad<br />

abbandonare l’abbazia e rifugiarsi nei territori vicini.<br />

Il monastero venne ricostruito dapprima nel 717 per opera di Petronace da Brescia e poi nel 950<br />

dall’abate Aligerno. In quest’ultima ricostruzione i monaci ritornarono a Montecassino.<br />

57


La terza distruzione, quella del 1349, fu opera di un terremoto violento e anche questa volta<br />

venne ricostruito, nel 1649, in stile barocco.<br />

Durante la seconda guerra mondiale l’abbazia divenne rifugio per i monaci e la popolazione, più<br />

tardi il monastero fu sede dell’esercito<br />

tedesco. Con questo pretesto gli Alleati lo bombardarono prima con attacchi di bassa intensità,<br />

durante i quali i rifugiati si trasferirono nei sotterranei poi, con l’ultimo bombardamento del 15<br />

febbraio 1944, l’abbazia venne abbattuta completamente.<br />

Prima dell'ultimo bombardamento gran parte dei rifugiati vennero fatti evacuare e, anche i tesori<br />

artistici conservati nel monastero vennero trasferiti in Vaticano dal colonello Julius Schelegel,<br />

dopo aver ottenuto il consenso dei monaci. Per l'attacco vennero utilizzati 239 bombardieri che<br />

sganciarono 500 tonnellate di bombe sul monastero facendo circa 250 vittime tra i rifugiati.<br />

Dopo il bombardamento i tedeschi non abbandonarono comunque l'abbazia e sfruttarono le<br />

macerie per creare una roccaforte.<br />

Solo nel mese di maggio i tedeschi vennero cacciati definitivamente dai militari polacchi e subito<br />

dopo molti monaci tornarono a vivere in alloggi di fortuna tra le macerie. Già prima della fine<br />

della guerra, grazie all'aiuto di soldati italiani e prigionieri tedeschi, i monaci ricostruirono il loro<br />

monastero per la quarta volta rispettando il progetto del '600.<br />

/D %DVLOLFD RJJL<br />

Tuttora la parte più importante del monastero è la Basilica, luogo di culto già esistente ma che<br />

solo dopo la guerra divenne il cuore del centro monastico. Dove una volta sorgeva l'Altare di<br />

Apollo, abbattuto dal santo prima della fondazione dell'abbazia, ora troviamo la cripta di S.<br />

Benedetto in cui sono conservati i suoi resti insieme a quelli della sorella Santa Scolastica.<br />

All'interno della Basilica sono conservati alcuni reperti del Medioevo come il portale di bronzo e<br />

una lastra marmorea. Tale lastra ornava la tomba di S. Benedetto e, sopra di essa, vi è raffigurato<br />

un cane da caccia, animale che simboleggia la forza, l'intuito e la tenacia della predicazione del<br />

santo.<br />

L'abbazia di Montecassino è un'affascinante meta turistica: si possono visitare i chiostri, la chiesa<br />

e il museo dove sono conservati antichi reperti per poter conoscere la vita dei monaci medievali.<br />

Durante l'estate, nei fine settimana, i laici soggiornano per alcuni giorni in quest'abbazia, per<br />

seguire particolari corsi monastici.<br />

BIBLIOGRAFIA MINIMA<br />

Andrea Capezzuto, Teresa Ferreri, Sabrina Pergamena, Giada Ricciardiello<br />

GIORGIO PICASSO (a cura di), 6DQ %HQHGHWWR /D 5HJROD, Cinisello Balsamo 1996.<br />

ANSELM GRUN, %HQHGHWWR GD 1RUFLD /D 5HJROD SHU OXRPR GRJJL, Cinisello Balsamo 2006.<br />

MASSIMO FOLADOR, /RUJDQL]]D]LRQH SHUIHWWD /D UHJROD GL 6DQ %HQHGHWWR 8QD VDJJH]]D<br />

DQWLFD DO VHUYL]LR GHOOLPSUHVD PRGHUQD, Milano 2006.<br />

MONACI DELLA CASCINAZZA (a cura di), “&RQ OH QRVWUH PDQL PD FRQ OD WXD IRU]D´ /H<br />

RSHUH QHOOD WUDGL]LRQH PRQDVWLFD EHQHGHWWLQD, Castel Bolognese 2006.<br />

58


L’abbazia di<br />

Montecassino<br />

nel XII secolo<br />

Montecassino<br />

dopo i<br />

bombardamenti<br />

del Febbraio<br />

del 1944<br />

59


Montecassino<br />

dopo i<br />

bombardamenti<br />

del Febbraio<br />

del 1944<br />

60


QUESTIONARIO «CONOSCI SAN GENUARIO»<br />

Nell’anno scolastico 2006-‘07 gli allievi della classe 3ºA IGEA dell’IIS “3LHUR &DODPDQGUHL” di<br />

Crescentino hanno condotto una indagine statistica dal titolo “&RQRVFL 6DQ *HQXDULR”. Essa<br />

consisteva in un questionario composto da 20 domande, il cui testo è riportato in appendice, a<br />

risposta multipla finalizzate a valutare:<br />

o la conoscenza di San Genuario e del suo patrimonio storico ed architettonico;<br />

o l’interesse verso delle iniziative rivolte alla riqualificazione del borgo.<br />

Il questionario è stato sottoposto ad un campione di 70 unità, distribuite tra famigliari e<br />

conoscenti degli allievi e degli insegnanti. La mancanza di un piano di campionamento,<br />

irrealizzabile con i mezzi a disposizione, ha posto un limite alla validità scientifica del sondaggio<br />

che, tuttavia, si è rivelato un piacevole e didatticamente efficace esercizio di statistica ed analisi<br />

dei dati.<br />

Tra gli intervistati 27 risiedono nel comune di Crescentino e 43 non vi risiedono.<br />

&DPSLRQH<br />

Residenti a Crescentino 27<br />

Non residenti 43<br />

70<br />

I primi dati sono confortanti: il 62,86% degli intervistati conosce San Genuario; considerando<br />

soltanto i residenti nel comune di Crescentino, questa percentuale sale all’89% e la totalità dei<br />

residenti che non lo conoscono risiede a Crescentino da non più di un anno.<br />

&RQRVFRQR 6DQ *HQXDULR<br />

Conoscono 62.86%<br />

Non conoscono 37.14%<br />

5HVLGHQWL 1RQ 5HVLGHQWL<br />

Conoscono 88.89% Conoscono 46.51%<br />

Non Conoscono 11.11% Non Conoscono 53.49%<br />

Tra chi, pur non abitando a Crescentino, non solo conosce San Genuario ma vi è stato, l’82,53%<br />

ha gradito la visita. Se includiamo anche gli abitanti di Crescentino, la percentuale di chi<br />

conserva un buon ricordo del passaggio a San Genuario sale all’85,37%.<br />

7UD L QRQ UHVLGHQWL D &UHVFHQWLQR TXDQWL KDQQR YLVLWDWR 6DQ *HQXDULR<br />

7UD TXHVWL TXDQWL KDQQR JUDGLWR OD YLVLWD<br />

,Q JHQHUDOH TXDQWL KDQQR JUDGLWR OD YLVLWD"<br />

61<br />

39.53%<br />

82.35%<br />

Ha gradito: 85.37%<br />

Non ha gradito: 14.63%<br />

La storia di San Genuario è legata al sistema delle Grange che, nel corso dei secoli, ha segnato e<br />

caratterizzato il territorio vercellese. Incrociando le risposte ad alcune domande si osserva che<br />

l’intero sistema delle Grange soffre di identico oblio. Infatti, ben il 92% di coloro che non sanno<br />

di San Genuario dichiarano di ignorare le Grange.


&KL QRQ FRQRVFH 6DQ *HQXDULR FRQRVFH DQFKH LO VLVWHPD GHOOH<br />

*UDQJH"<br />

Conosce le Grange Non conosce le Grange<br />

Conosce S.G. 38,64% 61,36%<br />

Non Conosce S.G. 8% 92%<br />

L’impegno di storici ed associazioni per la riscoperta del borgo non è stato vano ed è auspicabile<br />

che possa continuare in futuro. Infatti, l’11,63% e il 4,65% di chi conosce San Genuario<br />

dichiarano di esserne venuti a conoscenza attraverso, rispettivamente, convegni e manifestazioni.<br />

&RPH q YHQXWR D FRQRVFHQ]D GL 6DQ *HQXDULR"<br />

Vicinanza all’area 53,49%<br />

Conoscenti 27,91%<br />

Convegni 11,63%<br />

Manifestazioni 4,65%<br />

Inoltre, il 29,41% di chi dichiara di conoscere il patrimonio storico del borgo, ne è venuto a<br />

conoscenza proprio grazie a documenti e convegni.<br />

&RPH q YHQXWR D FRQRVFHQ]D GHOOD VWRULD"<br />

Documenti 29,41%<br />

Convegni 29,41%<br />

Leggende e storie tramandate 41,18%<br />

La sorprendente percentuale di 41,18 ottenuta dalla risposta /HJJHQGH H VWRULH WUDPDQGDWH GL<br />

SDGUH LQ ILJOLR testimonia come, tra il 53,49% che conosce per YLFLQDQ]D DOODUHD, la memoria sia<br />

viva e si tramandi con racconti orali attraverso le generazioni.<br />

San Genuario è un luogo della storia; camminando per le sue vie silenziose, magari in una<br />

mattina d’autunno, non si può evitare di pensare alla stratificazione di avvenimenti storici e di<br />

pensieri che si sono intrecciati alla vita dei singoli uomini.<br />

Tuttavia, soltanto il 18,60% dei non residenti e il 55,56% dei residenti conoscono la storia di<br />

questo borgo con l’antica Abbazia.<br />

7UD L QRQ UHVLGHQWL TXDQWL FRQRVFRQR OD VWRULD GL<br />

6DQ *HQXDULR"<br />

conoscono 18,60%<br />

non conoscono 74,42%<br />

7UD L UHVLGHQWL TXDQWL FRQRVFRQR OD VWRULD GL 6DQ<br />

*HQXDULR"<br />

Conoscono 55,56%<br />

non conoscono 40,74%<br />

Il castello Tizzoni e l’antica Abbazia sono noti a più della metà tra chi conosce san Genuario,<br />

mentre il singolare biotopo della palude è noto al 30%.<br />

&RVD FRQRVFH GL 6DQ *HQXDULR"<br />

Abbazia 55.81%<br />

Castello 62.79%<br />

Palude 30.23%<br />

62


Poco più della metà degli intervistati parteciperebbe a visite guidate della palude magari<br />

raggiungibile con una pista ciclabile segnalata, che unisca anche le altre Grange. Vediamo,<br />

infine, quali progetti potrebbero essere graditi:<br />

4XDOH SURJHWWR SRWUHEEH FDWWXUDUH OD VXD DWWHQ]LRQH"<br />

percorso ecologico o pista ciclabile 38.46%<br />

Mercatini 16.67%<br />

manifestazioni o sagre 26.92%<br />

giochi o divertimenti 7.69%<br />

altro… 5.13%<br />

non risponde 5.13%<br />

63


APPENDICE<br />

&2126&, 6$1 *(18$5,2"<br />

4XHVWLRQDULR VXO %RUJR GL 6DQ *HQXDULR<br />

Innanzitutto rivolgiamo un cordiale saluto alle persone che si apprestano a leggere le nostre<br />

parole. Siamo gli studenti della classe 3°A IGEA dell’Istituto “3LHUR &DODPDQGUHL” di<br />

Crescentino. Stiamo effettuando un questionario sul Borgo di San Genuario presso Crescentino.<br />

Le informazioni raccolte, grazie alla Vostra gentile collaborazione, ci saranno molto utili per<br />

condurre una indagine statistica finalizzata a valutare quanto sia nota questa località e come<br />

possa essere valorizzata.<br />

La ringraziamo anticipatamente per la partecipazione.<br />

1. E’ residente a Crescentino o nelle frazioni limitrofe?<br />

Vì<br />

QR<br />

2. Se sì, da quanto risiede?<br />

GD PHQR GL DQQR<br />

GD DOPHQR DQQR<br />

GD DQQL<br />

GD SLù di 10 anni<br />

3. Lei conosce San Genuario?<br />

Vì<br />

QR<br />

4. Se lo conosce, come ne è venuto a conoscenza?<br />

YLFLnanza all’area o residenza<br />

ULYLVWH<br />

tv/radio/internet<br />

PDWHULDOH SXEEOLFLWDULR LQIRUPDWLYR<br />

64


FRQYHJQL<br />

PDQLIHVWD]LRQL<br />

DPLFL FRQRVFHQWL<br />

5. E’ mai stato a San Genuario?<br />

Vì<br />

QR<br />

6. Se sì, quanto tempo fa?<br />

YL ULVLHGH<br />

PHQR GL PHVL ID<br />

IUD H PHVL ID<br />

IUD H PHVL ID<br />

SLù di 1 anno fa<br />

SLù di 2 anni fa<br />

7. Se è stato a San Genuario, ha gradito la visita?<br />

Vì<br />

Qo<br />

8. Cosa conosce di San Genuario? (rispondere solo se si conosce San Genuario)<br />

ODEbazia<br />

LO FDVWHOOR<br />

OD SDOXGH<br />

9. Conosce la storia di San Genuario?<br />

Vì<br />

QR<br />

10. Se sì, come è venuto a conoscenza della storia?<br />

GRFXPHQWL R PDWHULDOH SXEEOLFLWDULR<br />

FRQYHJQL<br />

OHJJHQGH R VWRULH WUDPDQGDWH GD SDGUH LQ ILJOLR<br />

Il territorio di San Genuario presenta alcune problematiche legate principalmente alla scarsa<br />

valorizzazione ambientale e del suo patrimonio architettonico. Per ovviare a questa mancanza si<br />

potrebbe potenziare maggiormente la conservazione e il restauro degli edifici per creare un luogo<br />

turisticamente attrattivo.<br />

Pensiamo ad un intervento che abbia come obiettivo la riqualificazione di San Genuario e delle<br />

Grange. Alle storiche attività che ancora oggi si svolgono se ne potrebbero affiancare altre a<br />

carattere più turistico, quali, ad esempio bed and breakfast e<br />

agriturismi. Si potrebbe creare un collegamento fra le Grange<br />

che possa comprendere percorsi naturalistici che si snodino fra<br />

le risaie.<br />

11. Quale progetto potrebbe catturare la sua attenzione?<br />

SHUFRUVR HFRORJLFR R SLVWD FLFODELOH<br />

PHUFDWLQL<br />

PDQLIHVWD]LRQL R VDJUH<br />

65


JLRFKL R GLYHUWLPHQWL<br />

DOWUR<br />

12. Percorre abitualmente sentieri naturalistici?<br />

Vì<br />

QR<br />

13. Visita abitualmente musei o siti di importanza storica e/o di importanza artistica<br />

Vì<br />

QR<br />

14. Parteciperebbe a visite guidate per la conoscenza della<br />

palude?<br />

Vì<br />

QR<br />

15. Conosce il sistema delle grange di Lucedio?<br />

Vì<br />

no<br />

16. Ne conosce qualcuna in particolare?<br />

QR<br />

Vì. Per quale motivo? __________________<br />

Le verranno poste, infine, una serie di domande di carattere personale per soli fini statistici, per<br />

riuscire ad avere una classificazione dei questionari omogenea, basata sulle caratteristiche di<br />

ogni singolo intervistato.<br />

17. Età<br />

18. Sesso<br />

– 20<br />

– 30<br />

– 40<br />

– 50<br />

- 60<br />

ROWUH<br />

)<br />

0<br />

19. Professione<br />

FDVDOLQJD<br />

VWXGHQWH<br />

SHQVLRQDWR<br />

QRQ RFFXSDWR PD LQ FHUFD<br />

RSHUDLR<br />

LPSLHJDWR<br />

DUWLJLDQR<br />

GLULJHQWH R OLEHUR SURIHVVLRQLVWD<br />

insegnante<br />

66


LPSUHQGLWRUH<br />

DOWUR<br />

20. Titolo di studio<br />

HOHPHQWDUH<br />

PHGLH<br />

diploma superiore<br />

ODXUHD<br />

QHVVXQ WLWROR GL VWXGLR<br />

67

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