Alla cara memoria del p. Carlo PASQUINI, Priore ... - Agostino Trapè
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<strong>Alla</strong> <strong>cara</strong> <strong>memoria</strong> <strong>del</strong> p. <strong>Carlo</strong> <strong>PASQUINI</strong>,<br />
<strong>Priore</strong> Generale <strong>del</strong>l'Ordine agostiniano,<br />
che all'ombra <strong>del</strong> sepolcro di San Nicola<br />
mi ammise al noviziato e alla professione<br />
religiosa,<br />
e mi fu sempre padre.<br />
PREFAZIONE<br />
Scrivendo queste pagine non mi sono mai domandato se costituivano una vita di<br />
San Nicola o non piuttosto riflessioni sulla vita di lui. Se una questione c'è, la sciolga<br />
il lettore.<br />
Io so che sotto la veste <strong>del</strong> taumaturgo, cui le fonti prestarono un'attenzione<br />
prevalente, ho voluto scoprire, attraverso le stesse fonti, l'uomo, il religioso, il<br />
sacerdote, il mistico, che, sempre amabile e sorridente, disse tante cose buone agli<br />
uomini <strong>del</strong> suo tempo, e molte ne ha da dire anche a noi.<br />
Se ho raggiunto lo scopo, me ne rallegro e ne ringrazio il Signore; se no...<br />
pazienza: anche le buone intenzioni, quando sono sincere, valgono qualcosa.<br />
Tolentino, 10 settembre 1984 A. TRAPÈ, O.S.A.<br />
festa <strong>del</strong> Santo<br />
INTRODUZIONE<br />
IERI E OGGI<br />
Prendendo in mano questo libretto il lettore si domanderà certamente se un santo<br />
<strong>del</strong> lontano medioevo qual è il nostro (1245 c - 1305) possa dirci ancora qualcosa<br />
d'interessante, a noi che navighiamo, vento in poppa (!), verso il duemila.<br />
Parafrasando un'espressione di Sant'<strong>Agostino</strong>, potrei rispondere: leggi e vedi. Ma<br />
il lettore potrebbe leggere e non restare soddisfatto. Questo mi dispiacerebbe. Per<br />
risparmiare a lui e a me questo dispiacere voglio aiutarlo a vedere prima di leggere.<br />
1
Vedere che cosa? Il contenuto <strong>del</strong> libro. In sintesi naturalmente. In tal modo, se gli<br />
garba continuerà a leggere, se non gli garba chiuderà il libro e lo metterà da parte:<br />
esso e l'autore non se ne lagneranno.<br />
Farò pertanto due considerazioni, una generale sulla santità e una particolare sul<br />
nostro santo.<br />
1. LA SANTITÀ<br />
La prima è semplice anche se profonda: la santità in qualunque tempo o luogo<br />
fiorisca è tanto divinamente e umanamente grande da meritare l'attenzione e la stima<br />
degli uomini. Non c'è bisogno di essere cristiani o devoti per ammirarla; basta essere<br />
pensosi di sé e <strong>del</strong>le sorti umane. In tal caso non si può non vedere nel santo una<br />
sublimazione <strong>del</strong>la natura umana, sublimazione che non deforma, ma riforma e<br />
perfeziona. Il santo è l'uomo che ha riportato ordine in se stesso e fuori di sé: ha<br />
dominato i propri istinti, ha regolato i propri sentimenti, è diventato l'espressione<br />
costante <strong>del</strong>la bontà, <strong>del</strong>l'equilibrio, <strong>del</strong>la giustizia, espressione, voglio dire, di quelle<br />
virtù che gli uomini in genere apprezzano anche se non le possiedono.<br />
In sostanza può dirsi che il santo è un campione <strong>del</strong>la stirpe umana, non per la<br />
forza di soggiogare i popoli, né per lo splendore <strong>del</strong>l'arte che sa esprimere, né per il<br />
bagliore <strong>del</strong>la scienza che possiede, ma per la nobiltà dei pensieri, per l'equilibrio dei<br />
sentimenti, per la consequenzialità <strong>del</strong>le azioni, per il bene, in una parola, che porta in<br />
sé e diffonde intorno a sé.<br />
I filosofi parlando <strong>del</strong> fine <strong>del</strong>l'uomo lo indicano nella gnosi e sapienza: il santo è<br />
quello che l'ha raggiunta. Altri lo pongono nell'atarassia. Se questa parola non vuol<br />
dire composizione dei soli appetiti sensibili o solo il disprezzo di essi, ma piuttosto<br />
armonia tra l'anima e il corpo, tra l'uomo e l'ambiente che lo circonda, l'atarassia o<br />
imperturbabilità è propria <strong>del</strong> santo che ha raggiunto la vera pace.<br />
Usando un'espressione oggi <strong>cara</strong> a molti, si può dire che il santo è l'uomo<br />
pienamente realizzato, cioè - mi si consenta di spiegare quello che molti ripetono<br />
senza spiegare o che addirittura intendono male - l'uomo nel quale il profondo<br />
<strong>del</strong>l'essere è in piena sintonia con ciò che pensa ed opera, nel quale, in altre parole,<br />
l'ideale coincide col reale e questo con quello.<br />
II santo, ogni santo, è uno splendido capitolo di antropologia. Pone tanti<br />
interrogativi, ma offre anche tante soluzioni. Chiunque pertanto, anche se non crede,<br />
può trovare motivo di ammirazione e di gioia nel considerarne la vita. E forse,<br />
considerandolo attentamente, si accorge che lui, proprio lui, quel santo che sembra<br />
all'esterno così lontano dagli altri, è veramente uomo, è totalmente uomo.<br />
Per il cristiano, si capisce, il santo dice molto di più. Dice interpretazione pratica<br />
<strong>del</strong> Vangelo, imitazione fe<strong>del</strong>e di Cristo, mo<strong>del</strong>lo altissimo che Dio mostra agli<br />
uomini perché vedano come sia possibile vivere integralmente il cristianesimo e<br />
percorrere la via che riconduce a Lui. Per il cristiano il santo non è solo uno<br />
splendido capitolo di antropologia, ma un luminoso trattato di teologia, l'incontro e la<br />
sintesi <strong>del</strong>la natura e <strong>del</strong>la grazia, <strong>del</strong>l'azione divina e <strong>del</strong>la collaborazione umana che<br />
2
fanno l'uomo perfetto «nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef.<br />
4, 13).<br />
2. IL NOSTRO SANTO<br />
Se dalla santità in genere passiamo a considerare il nostro santo, ci accorgeremo<br />
che egli pur essendo immerso nel profondo medioevo è un santo schiettamente<br />
moderno. E vero che il soprannaturale si manifestò in lui straordinariamente con la<br />
potenza dei miracoli, ma non si manifestò in quelle altre forme mistiche che<br />
sembrano allontanare il santo da noi e riservare la santità a pochi. In lui non ci furono<br />
rivelazioni, non estasi, non stimmate. Le fonti ci parlano, in verità, di alcune visioni,<br />
ma queste appaiono così discrete che non cambiano affatto né turbano l'immagine<br />
autentica <strong>del</strong>la sua santità amabile e profondamente umana.<br />
La sua fu una virtù altissima ma fatta di semplicità, di bontà, di sorriso: una<br />
santità, si direbbe, a portata d'uomo. In realtà Nicola fu un santo sul cui volto si<br />
rifletteva la «mansuetudine di Cristo» (2 Cor. 10, 1): ebbe il sorriso sul labbro, la<br />
bontà nel cuore, la mitezza nel tratto. Non ci fu nessuno che non gli volesse bene.<br />
Caso piuttosto insolito anche per un santo. In tutto il processo non c'è una sola voce<br />
che esprima il sentimento contrario, che faccia una riserva, che pronunci un<br />
distinguo.<br />
Certamente fu un grande asceta, ma il suo ascetismo non ebbe nulla di aspro, di<br />
duro, di indisponente; l'osservanza esatta dei voti - la povertà evangelica,<br />
l'obbedienza religiosa, la verginità consacrata -, la gioiosa carità fraterna che nella<br />
vita comune dà senza chiedere il conto, e, per il resto, la cura di ridurre al minimo le<br />
esigenze <strong>del</strong> sonno, <strong>del</strong> cibo, <strong>del</strong>le comodità per lasciare maggior spazio e tempo alle<br />
energie <strong>del</strong>lo spirito e <strong>del</strong>l'amore <strong>del</strong> prossimo. A queste esigenze si ricollegano in<br />
gran parte, come vedremo, i digiuni e le penitenze sui quali e sulle quali il processo si<br />
è fermato con compiacenza.<br />
Fu anche un grande apostolo, ma il suo apostolato non ebbe nulla di straordinario<br />
e di travolgente. Non fu un trascinatore di folle. Queste accorsero tumultuanti e<br />
numerose al suo sepolcro, ma in vita sembrarono aver timore di turbare la pace<br />
<strong>del</strong>l'uomo di Dio che passava in mezzo a loro benedicendo e consolando. Il suo<br />
apostolato si può riassumere in quattro grandi parole che ogni pio sacerdote deve<br />
portare nel cuore ed esprimere nella vita: la Messa, il confessionale, la predicazione,<br />
la casa dei poveri.<br />
La Messa celebrata ogni giorno con profonda pietà e commozione; il<br />
confessionale tenuto con grande disponibilità, assiduità, discrezione; la predicazione<br />
attraente e persuasiva dove non si stancava mai di parlare <strong>del</strong>la mirabile dolcezza<br />
<strong>del</strong>la parola di Dio; la casa dei poveri dove accorreva con sollecitudine anche non<br />
chiamato e sempre con bontà, con umiltà, con generosità.<br />
Fu inoltre un grande contemplativo, ma la sua contemplazione non sfociò, per<br />
quanto ci risulta, o se vi sfociò fu un grande maestro nell'occultarlo, non sfociò, dico,<br />
nelle manifestazioni straordinarie <strong>del</strong> soprannaturale, come l'estasi, quasi un anticipo<br />
<strong>del</strong>la visione di Dio, ma consistette essenzialmente nell'assiduità, veramente<br />
3
straordinaria e quasi incredibile, alla preghiera, nella mediazione, nel colloquio con<br />
Dio, nello sguardo innamorato fisso sul volto di Cristo e di Maria.<br />
Fu infine un grande agostiniano. Del «beato <strong>Agostino</strong>» ebbe sempre il nome sulle<br />
labbra e l'amore nel cuore. Chi dunque ama il vescovo d'Ippona, il suo equilibrio<br />
sapienziale, la sua spiritualità, il suo gran cuore, non può non trovare simpatico<br />
questo suo figlio che, sia pure a distanza di secoli, ha voluto riprodurre con fe<strong>del</strong>tà<br />
«la <strong>cara</strong> e buona immagine paterna».<br />
3. AD UNA CONDIZIONE<br />
Ma per veder tutto questo occorre che si avveri una condizione. Quella di non<br />
lasciarsi abbagliare dalla potenza dei miracoli. Questa è un dono di Dio, e il nostro<br />
santo ne fu largamente dotato: in vita e dopo morte egli fu e restò il grande<br />
taumaturgo. La potenza dei miracoli ha una sua funzione provvidenziale, ma può<br />
anche, se vista in prevalenza, occultare la vita <strong>del</strong> santo, oscurare la sua vera figura,<br />
attenuare il suo insegnamento o, se così vogliamo chiamarlo, il suo messaggio.<br />
A questo inconveniente andarono soggetti, in parte, e ce ne dispiace, il primo<br />
biografo e i commissari <strong>del</strong> processo. Lo vedremo. Intanto occorre dire che la potenza<br />
dei miracoli ha due importantissimi scopi: 1) quello di dimostrare la presenza di Dio<br />
in mezzo al suo popolo, di Dio che ascolta le preghiere degli umili, solleva la<br />
sofferenza degli afflitti, infonde a tutti la speranza, la grande speranza <strong>del</strong>la<br />
liberazione finale che non è quella <strong>del</strong>la morte, così contraria all'umana natura, ma<br />
<strong>del</strong>la risurrezione; 2) quello di richiamare l'attenzione sulla virtù <strong>del</strong> santo per<br />
stimolarne l'imitazione e condurci, attraverso questa, all'imitazione di Cristo.<br />
Ma vedere il santo in funzione dei miracoli, anche se comprensibile in chi è<br />
attanagliato dal dolore e cerca il sollievo dalla sofferenza, costituisce un ostacolo per<br />
riconoscere, si è detto, la figura <strong>del</strong> santo e coglierne l'insegnamento evangelico. Non<br />
cediamo a questo errore - che è tale, cioè errore, se la ricerca <strong>del</strong>la «grazia» diventa<br />
prevalente o, peggio ancora, esclusiva -, e il nostro santo, anche se vissuto nel lontano<br />
medioevo, ci apparirà moderno e avrà molto da dirci, davvero molto: come uomo,<br />
come religioso, come sacerdote. E proprio quello di cui sentiamo più viva la<br />
mancanza o, se non la sentiamo, di cui abbiamo più disperato bisogno.<br />
Ci dirà quanto sia grande il valore <strong>del</strong>le virtù umane, di quelle che chiamiamo<br />
piccole ma che sono invece grandi e indispensabili per l'equilibrio <strong>del</strong>l'uomo e la sua<br />
promozione.<br />
Ci dirà che le virtù cristiane, che s'innestano su quelle, ci assicurano lo sviluppo<br />
omogeneo <strong>del</strong>le potenzialità profonde <strong>del</strong>lo spirito fino alle vette <strong>del</strong>l'eroismo, che<br />
sono le vette <strong>del</strong>l'uomo diventato pienamente se stesso e assisosi ai piedi di Dio.<br />
Ci dirà quanta sia l'importanza insostituibile <strong>del</strong>la preghiera, l'efficacia epidemica<br />
<strong>del</strong>la gioia, la necessità inderogabile <strong>del</strong>l'amore apostolico e, soprattutto, la grandezza<br />
inapprezzabile <strong>del</strong>la bontà che guarisce i nostri meschini egoismi e rompe il cerchio<br />
<strong>del</strong>le nostre piccole o grandi cattiverie; di quella bontà umile e sorridente che dona<br />
senza sapere, che soffre senza apparire, che è in ogni caso la virtù di cui abbiamo<br />
bisogno.<br />
4
Perché il lettore veda San Nicola in questa luce, che è a mio parere la sua, sono<br />
state scritte queste pagine. Le quali non hanno altro pregio che quello <strong>del</strong>l'argomento<br />
e <strong>del</strong>l'affetto riconoscente <strong>del</strong>l'autore.<br />
CAPITOLO I<br />
SULLE ORME DEGLI APOSTOLI<br />
Non si comprende Nicola se non si ricorre ad <strong>Agostino</strong>. L'ordine religioso nel<br />
quale egli entrò poco dopo che era stato riunito e rinnovato dalla Sede Apostolica si<br />
considerò erede e volle continuare il movimento monastico che <strong>Agostino</strong> aveva<br />
introdotto, propagato, difeso e organizzato nell'Africa romana. Giova pertanto darne<br />
qui, subito, una rapida idea.<br />
1. AGOSTINO E IL MONACHISMO<br />
L'itinerario monastico agostiniano si può seguire con i nomi <strong>del</strong>le città nelle quali<br />
si espresse: Cartagine, Milano, Roma, Tagaste, Ippona.<br />
A Cartagine, a 19 anni, leggendo l'Ortensio di Cicerone, gli balenò la prima idea<br />
<strong>del</strong>la dedizione totale alla sapienza (Confess. 3, 4, 7); a Milano, a 33 anni, riconobbe<br />
quell'ideale nelle esortazioni di San Paolo a consacrarsi a Dio rinunciando alla<br />
famiglia e ad ogni speranza terrena e l'abbracciò al momento <strong>del</strong>la sua conversione o<br />
ritorno in seno alla Chiesa cattolica (Confess. 8, 5, 11 s.); a Roma, dopo il battesimo,<br />
lo studiò nei diversi monasteri maschili e femminili che lì erano sorti anche ad opera<br />
di Marcella e di Girolamo (I costumi <strong>del</strong>la Chiesa catt. 1, 33, 70-73); a Tagaste, suo<br />
paese natale, ne fece il primo esperimento. Dice il primo biografo, il contemporaneo<br />
ed amico Possidio: «Ricevuta la grazia (<strong>del</strong> battesimo) <strong>del</strong>iberò di ritornare, con altri<br />
concittadini e amici suoi datisi parimenti al servizio di Dio, in Africa, alla propria<br />
casa e alla propria campagna. Venuto, vi dimorò circa tre anni; rinunziò a quei beni e<br />
insieme a quelli che si erano a lui uniti viveva a Dio nei digiuni, nelle preghiere e<br />
nelle buone opere, meditando giorno e notte la legge <strong>del</strong> Signore; e <strong>del</strong>le verità che<br />
Dio rivelava alla sua intelligenza nella meditazione e nell'orazione egli faceva parte ai<br />
presenti e agli assenti, ammaestrandoli con discorsi e con libri» (Possidio, Vita di S.<br />
<strong>Agostino</strong> 3, 1-2 Ediz. Pellegrino, Edizioni Paoline 1955, p. 49).<br />
Divenuto contro sua voglia sacerdote ad Ippona, chiese al suo vescovo ed ottenne<br />
di fondare ivi un monastero: «il monastero dei laici», dove visse per circa un<br />
quinquennio. Dice di nuovo il primo biografo: «Fatto dunque presbitero, non tardò a<br />
istituire presso la chiesa un monastero e prese a vivere coi servi di Dio secondo la<br />
maniera e la regola stabilite ai tempi dei santi apostoli. Norma capitale che nessuno in<br />
5
quella società avesse qualcosa di proprio, ma tutto doveva essere in comune, e a<br />
ciascuno venir distribuito secondo il bisogno; ciò ch'egli aveva fatto già prima,<br />
ritornando d'oltre mare al suo paese» (ivi, 5, 1, p.53).<br />
Consacrato vescovo e passato per convenienze sociali o di maggiore libertà<br />
ospitale all'episcopio, lo ridusse ad un monastero: «il monastero dei chierici».<br />
«Giunto all'episcopato, dirà di se stesso, vidi la necessità per un vescovo d'offrire<br />
continuamente ospitalità ai visitatori, alla gente di passaggio: se un vescovo non<br />
facesse ciò, s'acquisterebbe la nomea di inospitale; ma se io avessi permesso queste<br />
cose al monastero, sarebbe stato un grande inconveniente. Per questo ho voluto avere<br />
con me, in questa casa <strong>del</strong>l'episcopio, un monastero di chierici » (Serm. 355, 2).<br />
Fondò anche ad Ippona un monastero femminile, dove per molti anni fu superiora<br />
sua sorella «vedova consacrata a Dio» (Ep. 210 e 211). Di queste e a queste<br />
«santimoniali» egli scrive: «Sono solito godere di voi e fra tanti scandali di cui<br />
abbonda questo mondo trovo in voi di che consolarmi: pensando al vostro grande<br />
numero e alla vostra unione, al casto amore, ai santi costumi, alle grazie abbondanti,<br />
onde vi irrorò il Signore; in modo da non curare le nozze terrene, e da eleggere,<br />
inoltre, una vita di piena unione e concordia, avendo una sola anima e un solo cuore<br />
protesi verso Dio. Fermandomi alla considerazione di tali doni <strong>del</strong> Signore a voi<br />
largiti, il mio cuore, scosso da molte tempeste, prodotte da tanti mali, trova un<br />
qualche riposo» (Ep. 211, 2-3).<br />
2. DIFFUSIONE DEL MONACHISMO AGOSTINIANO<br />
Da Ippona il monachismo agostiniano si diffuse in tutta l'Africa, compresa, a mio<br />
parere, Cartagine. <strong>Agostino</strong> stesso ne fu il più entusiasta e più infaticabile<br />
propagatore: «La vostra professione, scrive ai monaci di Cartagine, è tanto buona,<br />
tanto santa che nel nome di Cristo bramiamo che si diffonda per tutta l'Africa come è<br />
ormai diffusa in altre parti» (I monaci e il lavoro, 28, 36).<br />
Insieme a lui diffusero questo alto ideale i sacerdoti e i vescovi che uscirono dal<br />
«monastero dei laici», divenuto per opera di <strong>Agostino</strong> seminario per la chiesa<br />
africana. Ce ne informa, ancora una volta, il primo biografo: «Col progredire<br />
<strong>del</strong>l'insegnamento divino, alcuni di coloro che sotto la direzione <strong>del</strong> santo <strong>Agostino</strong> e<br />
insieme con lui servivano Dio nel monastero cominciarono ad essere ordinati chierici<br />
<strong>del</strong>la chiesa d'Ippona».<br />
Ma non solo per la chiesa d'Ippona. Continua infatti il biografo: «Frattanto, di<br />
giorno in giorno venendo in più chiara luce la verità <strong>del</strong>la predicazione <strong>del</strong>la Chiesa<br />
cattolica, come pure l'ideale di vita dei santi servi di Dio, la loro continenza, la loro<br />
austera povertà, si cominciò con gran desiderio a richiedere e a ricevere dei vescovi e<br />
dei chierici dal monastero che a quel memorabile uomo doveva la sua esistenza e i<br />
suoi progressi; in tal modo ebbero inizio e poi si stabilirono la pace e l'unità <strong>del</strong>la<br />
Chiesa. Io stesso ho conosciuto una decina di santi e venerandi uomini, continenti e<br />
dottissimi, che il beato <strong>Agostino</strong> acconsentì a dare a diverse chiese, talune anche di<br />
molta importanza».<br />
6
Ognuno, poi, che usciva da quel monastero diventava fondatore di altri monasteri.<br />
Lo nota lo stesso primo biografo: «Quelli, a loro volta, ispirati agli ideali di questi<br />
santi uomini, spargendosi nelle Chiese <strong>del</strong> Signore istituirono dei monasteri; e<br />
crescendo lo zelo per l'incremento <strong>del</strong>la parola di Dio, prepararono a ricevere il<br />
sacerdozio dei fratelli che poi furono promossi ad altre chiese» (Possidio, Vita di S.<br />
<strong>Agostino</strong>, 11, 1-4).<br />
Con l'invasione vandalica - <strong>Agostino</strong> morì quando la sua città era assediata da tre<br />
mesi (430) - l'istituzione agostiniana non si estinse. Chi l'ha studiata nei secoli V-VIII<br />
(fino all'invasione araba), può assicurare che non solo sopravvisse, ma ebbe anche,<br />
soprattutto per merito di San Fulgenzio di Ruspe, una certa fioritura 1 . Con l'invasione<br />
araba si estinse in Africa, ma continuò in Europa dove s'era trasferita. Senonché non è<br />
facile, anzi impossibile, seguirne le tracce nei secoli IX-XII, se pur ci furono. Più<br />
facile seguire la sorte <strong>del</strong>la Regola - Regula ad servos Dei - che <strong>Agostino</strong> aveva<br />
scritto per dare stabile struttura ai suoi monasteri. In essa si prescrive che venga letta<br />
una volta la settimana, affinché «possiate rimirarvi in questo libretto come in uno<br />
specchio onde non trascurare nulla per dimenticanza» (n. 49). Essa restò nei secoli<br />
come documento autonomo e influì nelle regole <strong>del</strong> tempo, quella benedettina<br />
compresa.<br />
3. REGOLA<br />
Di questa Regola ho scritto altrove e ripeto qui per comodità <strong>del</strong> lettore: «... è<br />
breve ma ricca di contenuto. I suoi precetti, non molti ma essenziali, danno alla vita<br />
religiosa un orientamento sicuro e forte. Non fissa un regolamento <strong>del</strong>la giornata, ma<br />
lo suppone e ne impone l'osservanza; non descrive la "lectio divina" e lo studio, ma<br />
ne enuncia il principio; non parla <strong>del</strong> ministero sacerdotale, ma ne prepara e ne<br />
arricchisce l'azione attraverso l'organizzazione <strong>del</strong>la vita comune. Rivela una<br />
conoscenza profonda <strong>del</strong> cuore umano e un'intuizione sicura <strong>del</strong>le esigenze più vere<br />
<strong>del</strong>la vita consacrata. Moderazione e austerità, interiorità e ricerca <strong>del</strong> bene comune,<br />
amicizia schietta e ascesa costante verso Dio, autorità umile ed efficiente e fraternità<br />
sincera si fondono in essa per creare un equilibrio mirabile, quell'equilibrio<br />
sapienziale che è proprio, per dono di natura e di grazia, <strong>del</strong> vescovo d'Ippona. Ne<br />
risulta un quadro spirituale che è insieme profondamente umano e autenticamente<br />
evangelico. L'idea-madre <strong>del</strong>la "Regola", è la carità presentata come fine, mezzo e<br />
centro <strong>del</strong>la vita religiosa» 2 .<br />
Punto di partenza e ispirazione di fondo <strong>del</strong>la Regola, l'esperienza <strong>del</strong>la prima<br />
comunità di Gerusalemme di cui parlano gli Atti degli Apostoli: 2, 42-44; 4, 32-35;<br />
esperienza che aveva come base la perseveranza nella dottrina degli Apostoli, la<br />
comunione fraterna, la celebrazione <strong>del</strong>l'Eucarestia, la preghiera, e, inoltre, la<br />
comunanza totale dei beni e la distribuzione proporzionale secondo il bisogno di<br />
ciascuno. <strong>Agostino</strong> volle rinnovare nei suoi monasteri quell'esperienza e farne,<br />
secondo la triplice dimensione <strong>del</strong>la Chiesa, un ricordo <strong>del</strong> passato (gli inizi), un<br />
segno <strong>del</strong> presente (unità nella carità), un preannunzio <strong>del</strong> futuro (l'escatologia,<br />
quando la carità sarà perfetta, e perfetta pertanto la vita comune).<br />
7
4. COMPITI<br />
I compiti che egli assegnò ai suoi monasteri, oltre l'esercizio costante <strong>del</strong>la carità,<br />
sono tre: il lavoro manuale, lo studio e, quando la necessità <strong>del</strong>la chiesa l'avesse<br />
richiesto, il sacerdozio. Sul primo tema scrisse una celebre opera che ha avuto una<br />
grande influenza nella storia: Il lavoro dei monaci 3 ; sul secondo diede, oltre<br />
l'esortazione, un altissimo esempio 4 , sul terzo insieme all'esempio enunciò il<br />
principio, che costituisce una geniale intuizione che precorre i tempi e segna il<br />
cammino al monachismo occidentale: l'unione tra il sacerdote e il monachismo 5 .<br />
Dell'eredità che lasciò il vescovo d'Ippona morendo scrisse il primo biografo:<br />
«Testamento non ne fece, perché, povero di Dio, non aveva di che farne».<br />
Ma, continua il biografo, «lasciò alla chiesa un clero molto numeroso, come pure<br />
monasteri d'uomini e di donne pieni di persone votate alla continenza sotto<br />
l'obbedienza dei loro superiori, insieme con le biblioteche contenenti libri e discorsi<br />
suoi e di altri santi, da cui si conosce quale siano stati per grazia di Dio il suo merito e<br />
la sua grandezza nella Chiesa, e nei quali i fe<strong>del</strong>i sempre lo ritrovano vivo» (Possidio,<br />
o.c., 31,6-8).<br />
5. L’EREDITÀ AGOSTINIANA NEL MEDIOEVO<br />
L'eredità agostiniana rinacque vigorosa nel medioevo quando, oltre i Canonici<br />
Regolari, i Premostratensi, i Domenicani, i Servi di Maria, i Mercedari ed altri<br />
Ordini, per ubbidire alla Chiesa che invitava a scegliere una <strong>del</strong>le Regole antiche,<br />
presero la Regola di Sant'<strong>Agostino</strong>. Ma chi non solo prese la Regola agostiniana, ma<br />
fece di essa anche il mo<strong>del</strong>lo e la forma <strong>del</strong>la propria vita, volgendosi al movimento<br />
monastico africano col proposito di continuarne l'istituzione; che guardò a<br />
Sant'<strong>Agostino</strong> come a legislatore, a padre, a guida e alla ragione stessa <strong>del</strong> suo essere<br />
nella Chiesa, fu l'Ordine dei Frati di Sant'<strong>Agostino</strong>, detto degli eremitani per la loro<br />
origine immediata o semplicemente degli Agostiniani per la loro ispirazione di fondo.<br />
Essi infatti vollero continuare il triplice carisma <strong>del</strong> vescovo d'Ippona - religioso,<br />
teologico, pastorale -, anche nel piano <strong>del</strong>la continuità storica, la quale, quando non<br />
poterono provarla coi documenti, la provarono con le pie leggende. Ma, se mancò la<br />
continuità storica, ci fu quella spirituale, che conta di più. Uno splendido esempio, il<br />
nostro santo.<br />
L'ordine dunque fu organizzato e inserito poi tra gli ordini mendicanti <strong>del</strong>la Santa<br />
Sede coll'unione - la «grande unione » - di alcune congregazioni di eremiti-cenobiti<br />
che seguivano la Regola agostiniana. Le principali furono tre: quella dei giamboniti,<br />
fondata dal B. Giovanni Bono e diffusa nella Romagna e nella Lombardia, quella<br />
<strong>del</strong>la Tuscia (Toscana, alto Lazio e parte <strong>del</strong>l'Umbria), e quella dei Brettinesi, sorta in<br />
un luogo solitario nei pressi di Fano (Brèttino) e diffusasi nelle Marche e anche in<br />
qualche parte <strong>del</strong>l'Umbria. Di questa congregazione Gregorio IX nel 1228 approvò la<br />
scelta <strong>del</strong>la Regola agostiniana e nel 1235 confermò le costituzioni che contenevano,<br />
8
come risulta nella stessa bolla, questi punti: uniformità di vita, povertà individuale e<br />
comunitaria «eccetto l'orto e la selva <strong>del</strong> vostro eremo», i digiuni che erano rigorosi,<br />
il modo di vestire, la forma di governo 6 .<br />
Queste circostanze storiche possono aiutarci a capire meglio la spiritualità di San<br />
Nicola. Per questo sono state ricordate. Il convento nel quale egli entrò giovanetto<br />
apparteneva, fino a qualche anno prima, all'ultima <strong>del</strong>le congregazioni qui ricordate, e<br />
forse anche molti dei conventi nei quali visse ed operò. Nell'Ordine riunito e<br />
rinnovato (dalla vita eremitico- cenobitica si passò alla vita cenobitico-apostolica), il<br />
richiamo al vescovo d'Ippona e alle sue istituzioni africane divenne fondamentale e<br />
normativo, ma perdurò anche il ricordo <strong>del</strong>la vita eremitica, alla quale alcuni, qua e<br />
là, preferirono tornare. Si ricordi l'eremo <strong>del</strong>la Stella nel casciano e di Lecceto nel<br />
senese. Non così il nostro santo; benché anch'egli fu conventuale per qualche tempo<br />
in due conventi solitari o eremi Piaggiolino e Valmanente: il primo alienato poco<br />
dopo dall'Ordine riunito, il secondo esistente ancora -, nei quali doveva esserci poco<br />
posto o nessuno affatto per le opere <strong>del</strong>l'apostolato attivo. Ma chi volesse indagare<br />
fino in fondo nelle pieghe <strong>del</strong> suo animo, come mi sforzerò di fare nelle pagine che<br />
seguono, potrà forse scorgere in lui il punto di fusione <strong>del</strong> nuovo e <strong>del</strong> vecchio.<br />
Da una parte l'amore intenso ad <strong>Agostino</strong> congiunto allo sforzo costante di<br />
imitarne le virtù umane ed apostoliche, il senso <strong>del</strong>icato <strong>del</strong>la vita comune, il culto<br />
<strong>del</strong>l'amicizia, la dedizione totale al bene <strong>del</strong> prossimo - l'agostiniana «necessitas<br />
caritatis» che vuoi dire predicazione <strong>del</strong>la verità, azione per convertire i peccatori,<br />
amore dei poveri -; e dall'altra l'austerità, la riservatezza, la penitenza e la pratica<br />
costante <strong>del</strong>la preghiera fino alle vette <strong>del</strong>la contemplazione.<br />
Passiamo dunque a <strong>del</strong>ineare, dopo aver parlato <strong>del</strong>le fonti che dovranno servirci<br />
di guida, la figura di questo agostiniano così simpatico e così moderno.<br />
_____<br />
NOTE:<br />
1 John Gavigan, De Vita monastica in Africa sept. inde a temporibus S. Aug. usque ad invasiones<br />
Arabum, Roma 1962.<br />
2 S. <strong>Agostino</strong>, Regola - introduzione - commento, a cura di A. <strong>Trapè</strong>, Milano 1971. Per la questione<br />
storica e la tradizione manoscritta P.L.Verheyen, La Règle de St. Augustin, I -II, Parigi 1967.<br />
3 Il lavoro dei monaci, PBA, Città Nuova, Roma 1984.<br />
4 Cfr. Le 83 diverse questioni, Migne PL 40, 11-100.<br />
5 Ep. 48.<br />
6 Cfr. D. Gutiérrez, Los agustinos en la edad media I/1, Roma 1980, pp. 38-59.<br />
9
CAPITOLO II<br />
LE FONTI<br />
Nessuno si meravigli se comincio dalle fonti. Il lettore deve aver subito la<br />
certezza che quanto sto per dire non indulge affatto alla leggenda, ma è aderente,<br />
strettamente, alla storia, la quale <strong>del</strong> resto, questa volta, non è stata avara, anche se,<br />
generosa a suo modo, non ci ha detto quanto avremmo voluto sapere. Siamo dunque<br />
fortunati e sfortunati insieme. Abbiamo tre fonti preziose - il processo apostolico, la<br />
Vita di Pietro da Monterubbiano, contemporaneo, il sommario <strong>del</strong> processo -, ma che<br />
ci rivelano solo una parte <strong>del</strong>la complessa, anche se semplice, personalità di Nicola.<br />
Esaminiamole una per una un po' più da vicino.<br />
1. PROCESSO APOSTOLICO<br />
Finalmente e fortunatamente stampato in edizione critica, è a disposizione di tutti.<br />
Ad esso rimando chi volesse saperne di più 1 . Vi troverà, oltre il testo sempre<br />
interessante anche se spesso necessariamente monotono, buone introduzioni e<br />
utilissimi indici. Qui dirò solo quanto basti per indicarne il contenuto agiografico e i<br />
limiti.<br />
10
Fu indetto da Giovanni XXII con bolla <strong>del</strong> 23 maggio 1325 e iniziato il 7 luglio<br />
<strong>del</strong>lo stesso anno, vi fu raccolta la deposizione giurata di 371 testi, e fu chiuso il 28<br />
<strong>del</strong> seguente mese di settembre. Non fu dunque un processo lungo e faticoso: appena<br />
tre mesi.<br />
Il valore documentario è in ogni caso fuori dubbio. Molti testi erano de visu, cioè<br />
avevano conosciuto Nicola personalmente, almeno una sessantina, e gli altri de<br />
auditu, ma molto vicini ai fatti. Senza dire di quelli che, pur non avendo conosciuto<br />
Nicola personalmente, erano stati testi oculari di qualche miracolo compiuto per sua<br />
intercessione.<br />
A) Articoli <strong>del</strong> processo<br />
La deposizione dei testi fu raccolta su una serie di articoli che i commissari, i<br />
vescovi di Senigallia e di Cesena, avevano composto o fatto comporre e che rivelano<br />
l'idea che si erano formati <strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> santo e sulla quale chiedevano il giudizio<br />
dei testi. Quest'idea, per noi purtroppo riduttiva, è molto importante perché ha<br />
determinato non solo il processo, ma anche, con esso, tutta l'agiografia fino ad oggi.<br />
Perché dunque veda il lettore come sia stata scritta da sempre la vita di San Nicola,<br />
ecco qui il tenore di quegli articoli tradotti alla meglio dal monotono e scialbo latino<br />
cancelleresco medioevale. Ometto il ritornello sulla «pubblica voce e fama» che<br />
viene aggiunto ad ogni articolo, e aggiungo di mio la distinzione degli argomenti per<br />
una più facile intelligenza <strong>del</strong> testo. Al termine alcune brevi considerazioni.<br />
a) Impostazione generale e ragione <strong>del</strong> processo<br />
Articolo 1°. Nicola da Tolentino di veneranda <strong>memoria</strong>, appartenente all'Ordine<br />
degli eremiti di Sant'<strong>Agostino</strong>, <strong>del</strong>la diocesi di Camerino, vissuto a lungo<br />
lodevolmente nell'Ordine, rifulse mentre visse <strong>del</strong>la luce <strong>del</strong>la santità, risplendé per la<br />
vita e le opere, brillò in vita e dopo morte per grandi e molti miracoli, cioè<br />
risuscitando i morti, curando diversi mali, fugando i demoni, donando la vista ai<br />
ciechi, liberando i prigionieri, restituendo l'udito ai sordi e l'andatura agli zoppi e<br />
operando altri molti e vari miracoli. Di tali fatti, mentre visse Nicola e dopo la sua<br />
morte, è pubblica voce e fama non solo a Tolentino ma anche presso l'intera città e<br />
diocesi di Camerino, nell'intera città e diocesi di Fermo e nelle altre città e centri e<br />
paesi <strong>del</strong>la Marca di Ancona.<br />
b) Nascita e vita di Nicola prima <strong>del</strong>l'ingresso nell'Ordine<br />
Articolo 2°. Nicola nacque da legittimo matrimonio contratto a suo tempo tra<br />
Amata e Compagnone di Castel Sant'Angelo, distretto e diocesi di Fermo. I suoi<br />
parenti lo ritennero e trattarono come figlio legittimo.<br />
Articolo 3°. Essi furono considerati pubblicamente e sono considerati nel Castello<br />
come veri cattolici e veri fe<strong>del</strong>i cristiani, imbevuti nella fede e comprovati nelle<br />
opere.<br />
11
Articolo 4°. Nicola si comportò mentre visse da fe<strong>del</strong>e cattolico e come tale fu<br />
considerato dovunque visse.<br />
Articolo 5°. I genitori di Nicola, desiderando avere prole, fecero voto a San<br />
Nicola di Bari di andare in pellegrinaggio alla sua tomba se per i suoi meriti e le sue<br />
preghiere avessero avuto un figlio. Mentre dormivano nel loro letto ebbero la visione<br />
di un angelo che disse loro: Alzatevi, alzatevi ed affrettatevi ad andare a San Nicola<br />
di Bari: ivi vi sarà detto quale debba essere il figlio che presto nascerà da voi. Stanchi<br />
<strong>del</strong>le fatiche <strong>del</strong> pellegrinaggio, si addormentarono sul pavimento <strong>del</strong>la chiesa di San<br />
Nicola, ed ecco il santo in abiti pontificali appare loro nel sogno e dice: L'angelo che<br />
vi ha annunciato che da voi nascerà un figlio, quello stesso mi ha detto di venire a voi<br />
che giacete stanchi nella mia chiesa per annunziarvi subito e confermarvi che vi<br />
nascerà un figlio e sarà chiamato Nicola, perché porti il mio nome colui che nascerà<br />
per mia intercessione nel mondo: sarà un servo accettabilissimo al mio Signore<br />
Cristo, condurrà una stretta vita religiosa, sarà sacerdote, offrirà a Dio Padre il<br />
sacrificio gradito; la sua vita terminerà con un grande miracolo e rifulgerà di<br />
prodigiosi miracoli. Sicuri dunque che la vostra devota domanda è stata ascoltata e<br />
che l'annunzio angelico è certo, tornatevene pure a casa vostra.<br />
Articolo 6°. Nicola quando era piccolo evitava la compagnia <strong>del</strong>le donne e dei<br />
fanciulli e seguiva sempre la condotta dei vecchi e <strong>del</strong>le persone religiose.<br />
Articolo 7°. Prima <strong>del</strong>l'ingresso nell'Ordine riceveva con trasporto i poveri nella<br />
casa di suo padre.<br />
Articolo 8°. Come se fosse di età matura, era vicino con grande entusiasmo alle<br />
cose divine e ascoltava con avidità la parola di Dio. Di lui i santangiolesi dicevano<br />
l'un l'altro, ammirati e con spirito profetico: Se il Signore darà vita a questo fanciullo,<br />
sarà un santo.<br />
Articolo 9°. Nicola condusse precisamente questa vita nella età <strong>del</strong>la fanciullezza<br />
prima <strong>del</strong>l'ingresso nell'Ordine di Sant'<strong>Agostino</strong>.<br />
c) Ingresso nell'Ordine<br />
Articolo 10°. In giovanile età, abbandonando il fasto <strong>del</strong> mondo, entrò con grande<br />
devozione nell'Ordine di Sant'<strong>Agostino</strong> e, finito il tempo <strong>del</strong>la prova, avido di essere<br />
annoverato tra i professi di detto Ordine, emise il voto solenne di obbedienza, di<br />
povertà e di santissima castità.<br />
d) Osservanza religiosa, mortificazione, pazienza<br />
Articolo 11°. Amando la mondezza <strong>del</strong>la castità e volendo evitare le tentazioni<br />
<strong>del</strong>la concupiscenza, crocifisse la propria carne.<br />
12
Articolo 12°. Castigando il suo corpo e inducendolo in servitù più degli altri<br />
confratelli <strong>del</strong> suo Ordine, cominciò a condurre una vita più stretta; infatti, intento ai<br />
digiuni, alle vigilie, alle preghiere, alle dure mortificazioni, trascorse la sua vita<br />
monda e casta tra le asprezze di questo mondo.<br />
Articolo 13°. Tale vita condusse Nicola prima di essere ordinato sacerdote.<br />
Articolo 14°. Visse a Tolentino per circa 30 anni. Volendo evitare e vincere le<br />
tentazioni <strong>del</strong> diavolo, si astenne dalla carne, dalle uova, dal pesce, dai grassi, dai<br />
latticini, dalla frutta non solo quando era sano ma anche quando era infermo,<br />
respingendo i consigli dei medici, le preghiere dei confratelli <strong>del</strong> suo Ordine e di<br />
qualunque altro importuno; una volta mentr'era infermo, invitato dai medici e dai<br />
confratelli a mangiare carne, ricusò assolutamente di farlo.<br />
Articolo 15°. II mercoledì e il venerdì, e il sabato in onore <strong>del</strong>la gloriosa Vergine,<br />
si rifocillava una volta sola al giorno in pane e acqua.<br />
Articolo 16°. Nelle infermità <strong>del</strong> corpo era paziente e benigno, nonostante le<br />
molte tentazioni e impedimenti <strong>del</strong> diavolo.<br />
e) Assiduità nella preghiera<br />
Articolo 17°. La mortificazione, la disciplina, la preghiera di Nicola non<br />
consistevano solo nel digiuno e nell'astinenza. Con percosse e altre pene riduceva il<br />
corpo in servizio <strong>del</strong>l'anima per amore di nostro Signore Gesù Cristo. Per riposare<br />
qualche ora nella notte si contentava d'un pagliericcio. Si alzava per pregare. Nella<br />
preghiera era tanto assiduo che pregava come segue: da dopo il completorio fino al<br />
canto <strong>del</strong> gallo; dal mattutino fino al far <strong>del</strong> giorno; da dopo la Messa, se non era<br />
occupato con le confessioni, fino a terza; da dopo nona, se non era intento nelle opere<br />
<strong>del</strong>l'obbedienza, fino ai vespri.<br />
Articolo 18°. Oltre le ore stabilite, nelle quali era sempre il primo, pregava<br />
sempre.<br />
Articolo 19°. Il luogo <strong>del</strong>la sua preghiera non era solo l'oratorio presso l'altare<br />
dove ora è sepolto, ma anche la sua camera nella quale aveva posto due pietre di<br />
marmo: su di una genufletteva, sull'altra, quand'era stanco per la troppa fatica,<br />
stendeva le braccia di modo che queste se non erano afflitte dalla spossatezza di stare<br />
elevate, lo erano almeno dal freddo <strong>del</strong>le pietre.<br />
f) Vessazioni diaboliche<br />
13
Articolo 20°. Mentre era assiduo con grande devozione e fe<strong>del</strong>tà alla preghiera, il<br />
diavolo, prendendosi gioco di lui, lo molestava non solo con pensieri cattivi e<br />
tentazioni, ma anche con dure bastonate e apparizioni terribili. In concreto:<br />
- una volta mentre pregava con molta devozione nell'oratorio presso l'altare, il diavolo<br />
non solo estinse la lampada, ma gettandola a terra la frantumò;<br />
- stando sul tetto <strong>del</strong>l'oratorio imitava il grido di bestie selvagge, sconvolgeva le<br />
tegole quasi volesse scoperchiare il tetto: Nicola, sapendo che ciò derivava dal<br />
diavolo, insisteva con più forza nella preghiera;<br />
- entrando con furia e terrore dalla porta <strong>del</strong>la stanza dove Nicola pregava, gli si<br />
avvicinò e lo colpì con bastonate tanto che le cicatrici <strong>del</strong>le ferite gli rimasero in tutto<br />
il corpo per molti giorni;<br />
- il nemico <strong>del</strong>l'umano genere trafugò un pezzo di stoffa, d'una tonaca che Nicola<br />
aveva, e quando questi volle servirsene per rattopparne un'altra, cerca e ricerca, non<br />
la trovò; e andava dicendo: «Santo Dio, chi ha potuto prendersi gioco di me?<br />
Certamente è stato colui che non è degno di essere nominato». A queste parole il<br />
diavolo: «Hai indovinato. Sono stato io a farti lo scherzo e altri te ne farò; ma poiché<br />
con questi sistemi non riesco a nulla, cambierò metodo». Nicola: «Ma tu chi sei? ».<br />
Rispose: «Io sono Belial, incaricato di essere un pungolo per la tua santità ». E il<br />
santo di rimando: «Il Signore è il mio aiuto, non temo ciò che può farmi un uomo»<br />
(Sl 117, 6-7);<br />
- una notte Nicola, non volendo lasciare la sua consueta preghiera e le sue devozioni,<br />
essendo chiuso l'oratorio, volle entrare nel refettorio dove sul limite <strong>del</strong>la porta c'era<br />
dipinta un'immagine <strong>del</strong> Crocifisso. Belial gli diede una spinta tanto violenta che lo<br />
buttò a terra e rimase quasi senza respiro; riavutosi, nel nome <strong>del</strong> Crocifisso, si alzò e<br />
fu percosso di nuovo dal diavolo; ma Nicola sopportò tutto con umiltà, pazienza e<br />
gioia in onore di nostro Signore Gesù Cristo, lo ringraziò e non smise affatto di<br />
pregare.<br />
g) Replica sulla notorietà e fama<br />
Articolo 21°. Di tutte e singole le affermazioni fatte sopra ci fu nella vita di<br />
Nicola e c'è tuttora nei luoghi detti sopra pubblica notorietà e fama.<br />
h) Apostolato e figura morale <strong>del</strong> Santo<br />
Articolo 22°. A proposito <strong>del</strong>le opere di carità e di pietà che compì Nicola mentre<br />
visse:<br />
- visitava gl'infermi e procurava e faceva per essi quanto era loro più gradevole<br />
quantunque egli stesso fosse infermo e impedito, e li confortava con le parole divine<br />
<strong>del</strong>la Scrittura;<br />
- trovandosi tra sani o infermi, non sapeva saziarsi <strong>del</strong>la dolcezza mirabile <strong>del</strong>la<br />
parola di Dio tanto nella predicazione che nella conversazione;<br />
- era anche compassionevole per quelli che fossero spiritualmente infermi, e per i<br />
molti peccatori che si confessavano da lui pregava, digiunava, celebrava, effondeva<br />
lacrime avanti al Signore perché fossero liberati dalle tenebre dei peccati;<br />
14
- amava i poveri con le parole e i fatti, procurava loro le vesti, acquistava per loro i<br />
cibi;<br />
- era letizia per i mesti, consolazione per gli afflitti, pace per quelli divisi dalla<br />
discordia, refrigerio per gli affaticati, aiuto per i poveri, singolare rimedio per i<br />
prigionieri;<br />
- per Cristo e per il prossimo era pronto a morire;<br />
- era pudico, modesto, casto, verecondo, lieto, aperto e quieto, non meschino,<br />
fuggiva l'invidia, respingeva gli scandali; vuoto di cupidigia, ornato di buoni costumi,<br />
privo di ogni fantasticheria, giusto, sapiente, prudente, discreto, nemico <strong>del</strong>l'avarizia,<br />
contrario alla negligenza, pronto nel compiere ogni cosa che gli venisse affidata.<br />
B) Osservazioni<br />
Il lettore che ha avuto la pazienza di giungere fino in fondo nella lettura di questi<br />
articoli, si sarà accorto <strong>del</strong> taglio che i commissari hanno dato al processo, e perciò di<br />
quello che c'è in esso e di quello che manca.<br />
C'è una visione prettamente medioevale <strong>del</strong> santo, quando più <strong>del</strong> quotidiano<br />
contava lo straordinario e il meraviglioso: lunghe preghiere, aspre mortificazioni,<br />
combattimenti col diavolo, strepitosi miracoli. E così è visto Nicola in questo<br />
processo. Questa era «la pubblica voce e fama» e si voleva sapere dai testi se questa<br />
notorietà era vera e corrispondeva alla realtà.<br />
Di tanti altri argomenti sui quali pur c'interesserebbe essere informati per avere<br />
un'idea più completa e perciò più autentica <strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> santo, nulla. Nulla <strong>del</strong>la<br />
sua formazione spirituale, degli studi preparatori al sacerdozio, dei compiti svolti nel<br />
suo Ordine religioso, <strong>del</strong>la meditazione <strong>del</strong>le Scritture come alimento <strong>del</strong>la pietà e<br />
preparazione all'apostolato, <strong>del</strong>la predicazione. Sono lacune spiacenti.<br />
Solo incidentalmente sappiamo che fu maestro dei novizi, che fu presente in un<br />
capitolo provinciale tenutosi a San Ginesio, che fu un predicatore molto ascoltato.<br />
In verità per saperne qualcosa di più su alcuni di questi o su altri argomenti<br />
importanti c'era negli articoli qualche spunto, ma i commissari non ne hanno<br />
approfittato mai o quasi mai. Per esempio, l'ultimo di essi, il più ricco dei 22, è diviso<br />
in ben sette argomenti o temi, e il settimo per di più contiene un vasto panorama <strong>del</strong>la<br />
vita morale <strong>del</strong> santo sul quale i testi, almeno quelli de visti, avrebbero potuto dirci<br />
molte cose, portando esempi, fissando episodi; ma i commissari, pur leggendo ad essi<br />
l'articolo «per ordinem et distincte de verbo ad verbum», non insistono sui particolari,<br />
non provocano risposte più specifiche su questo o quel punto, per cui il teste o<br />
conferma globalmente tutto l'articolo o, fermandosi su l'uno o l'altro argomento, si<br />
serve più o meno, per rispondere, <strong>del</strong>le parole <strong>del</strong>l'articolo.<br />
Il lettore acquista la certezza che il contenuto <strong>del</strong>l'articolo è storicamente vero, ma<br />
resta con la <strong>del</strong>usione di non saperne di più.<br />
Per scendere a qualche particolare, si può osservare che in questo stesso articolo<br />
22 di cui sto parlando c'è un comma - precisamente il secondo - che apre un varco<br />
sulla predicazione di Nicola; dice infatti che non si saziava di parlare <strong>del</strong>la mirabile<br />
dolcezza <strong>del</strong>la parola di Dio. Una preziosa indicazione che suppone molto ma dice<br />
poco. Eppure a nessuno è venuto in mente di testimoniare sulla predicazione di<br />
15
Nicola, la frequenza, i luoghi, l'efficacia. Né i commissari hanno avuto cura di<br />
domandarlo.<br />
Lo stesso dicasi <strong>del</strong> comma sesto che ci fa sapere che Nicola era pronto a morire<br />
per Cristo e per il prossimo: affermazione bellissima ma generica, che attendeva<br />
ampia esemplificazione, che non ci fu.<br />
Ma nonostante questi limiti il contenuto <strong>del</strong> processo è prezioso e cercherò di<br />
sfruttarlo nelle pagine che seguono.<br />
2. «VITA» DI PIETRO DA MONTERUBBIANO<br />
Pietro da Monterubbiano fu un coetaneo di San Nicola, uno dei testi citati nel<br />
processo, anche se poi, non sappiamo perché, non depose; professore di filosofia e<br />
teologia, un uomo quindi di cultura, abituato all'insegnamento e all'uso <strong>del</strong>la lingua in<br />
cui scrive, il latino.<br />
Circa la sua opera interessa fare tre considerazioni, e cioè il contenuto, le<br />
relazioni col processo, l'attendibilità.<br />
a) Contenuto<br />
È una vita encomiastica, scritta in buon latino, ricca di riferimenti biblici e<br />
agostiniani, dal tono qua e là enfatico e un po’ troppo retorico, divisa come al solito<br />
in quel tempo in due parti: virtù e miracoli, rispettivamente cc. 1-5 e cc. 6-8. Ne viene<br />
fuori una prospettiva piuttosto riduttiva <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong> santo ma pur interessante.<br />
Nella prima parte segue (o previene) lo schema <strong>del</strong> processo che già ci è noto: la<br />
nascita di Nicola per intercessione <strong>del</strong>l'omonimo santo di Bari, la giovinezza<br />
innocente e pia, l'ingresso nell'Ordine agostiniano per fuggire le insidie <strong>del</strong> mondo, la<br />
fe<strong>del</strong>tà ai voti emessi, la perfetta osservanza <strong>del</strong>la Regola, l'assiduità alla preghiera, i<br />
digiuni e le penitenze, la pazienza nelle infermità, l'apostolato sacerdotale, la morte<br />
preziosa allietata dall'apparizione di Gesù, Maria e <strong>Agostino</strong>.<br />
Nella seconda parte, dopo aver detto che erano ormai 20 anni - la circostanza<br />
cronologica è importante - che si operavano innumerevoli miracoli per intercessione<br />
<strong>del</strong> santo al punto che i notai si erano stancati di annotarli, espone il proposito di<br />
narrarne alcuni traendoli dal «pelago di tante grazie». E narra di fatto molte<br />
guarigioni dei ciechi, degli zoppi, dei sordi, dei muti, dei rattrappiti, la risuscitazione<br />
dei morti, la salvezza degli impiccati e dei naufraghi.<br />
b) Relazione col processo<br />
Di questa preziosa biografia - preziosa perché la prima e perché di un<br />
contemporaneo -, c'interessa conoscere le relazioni che ha col processo. Queste sono<br />
di aperta somiglianza tanto che una dipendenza è innegabile: ricorrono gli stessi temi<br />
e le stesse parole degli articoli <strong>del</strong> processo. Ma da che parte sta la dipendenza?<br />
Ordinariamente si ritiene che sia la Vita a dipendere dal processo anche se il<br />
tempo intercorso tra l'una e l'altro sarebbe stato poco: forse non più di un anno. I<br />
16
Bollandisti l'assegnano al 1326; altri, richiamandosi a un particolare riferito dal<br />
biografo (Vita, 4, 38), a qualche anno più tardi. A me sembra che debba pensarsi il<br />
contrario, cioè a una dipendenza <strong>del</strong> processo dalla Vita. Eccone la ragione, valga<br />
quel che valga. Mi domando chi ha preparato gli articoli <strong>del</strong> processo. Anche se non<br />
sono molti, sono precisi, complessi e particolareggiati. Suppongo pertanto una<br />
notevole familiarità con la vita di Nicola e una conoscenza attenta e profonda di tutti<br />
gli aspetti che l'avevano interessata. Non si può pensare che questa familiarità e<br />
conoscenza l'avessero i vescovi di Senigallia e di Cesena, commissari <strong>del</strong> processo.<br />
Bisogna pensare ai promotori <strong>del</strong> processo. Questi furono sicuramente frate Pietro di<br />
Castello, provinciale agostiniano <strong>del</strong>la Marca, e frate Pietro da Montecchio (Treia),<br />
priore di Tolentino, i quali il 7 luglio 1325 consegnarono la bolla papale ai legati<br />
pontifici, i suddetti vescovi di Senigallia e di Cesena. Ma furono proprio loro a<br />
compilare gli articoli? Non risulta. Amo pensare che sia stato Pietro da<br />
Monterubbiano il quale andava raccogliendo il materiale per la sua biografia e<br />
conosceva quindi da vicino quanto riguardava il Padre Nicola.<br />
In questo senso la sua biografia sarebbe anteriore al processo; posteriore ad esso,<br />
forse, la stesura definitiva. In ogni caso la precisione cronologica - prima o dopo il<br />
processo - non toglie nulla all'attendibilità <strong>del</strong>la fonte, che è la questione più<br />
importante che qui c'interessa.<br />
c) Attendibilità<br />
Ci chiediamo: quale il valore storico di questa biografia? Quale affidamento<br />
possiamo fare sui fatti che ci narra? Per rispondere occorre distinguere la parte, che è<br />
una gran parte, in cui coincide col processo e che ha lo stesso valore <strong>del</strong> processo:<br />
quello che il biografo afferma è, spesso, il contenuto degli articoli sui quali i<br />
commissari hanno interrogato i testi, e questi, sotto giuramento, ne hanno confermato<br />
la verità.<br />
L'interrogativo si pone invece per i fatti narrati dal solo biografo. E vero che<br />
questi fatti raggiungono per lo più la sfera <strong>del</strong> meraviglioso. È solo il biografo infatti<br />
che ci narra la proposta <strong>del</strong> cugino di cambiare Ordine e l'esortazione celeste che<br />
venne a Nicola di restare fe<strong>del</strong>e alla sua vocazione, l'apparizione <strong>del</strong> defunto<br />
confratello, Pellegrino di Osimo, il settenario di Messe e le ardenti preghiere per le<br />
anime <strong>del</strong> purgatorio, la visione <strong>del</strong>la stella che partendo da Sant'Angelo si posava su<br />
Tolentino.<br />
Cosa pensare di questi fatti? Saranno essi inventati perché meravigliosi? Non lo<br />
credo. Non c'è ragione di dubitare, a mio parere, che il biografo abbia attinto a fonti<br />
sicure. Primo perché contemporaneo e poteva informarsi bene, secondo perché uomo<br />
di cultura e negato per abito mentale alla facile credulità, terzo perché alcuni fatti, di<br />
quelli appartenenti alla sfera <strong>del</strong> meraviglioso, coincidono con quelli ricordati dal<br />
processo. Un esempio. Quando narra la visione di Gesù Bambino nell'ostia consacrata<br />
di cui Nicola fanciullo godeva spesso, si appella alla fonte: «Ho udito da un frate che<br />
lo serviva nella sua infermità...».<br />
Si tratta di Giovannuzzo da Tolentino che aveva di fatto servito Nicola per tre<br />
anni prima <strong>del</strong>la morte, il teste 221 <strong>del</strong> processo. Ora il nostro biografo, narrando la<br />
17
morte di Nicola con l'apparizione - si noti- di Gesù, Maria e <strong>Agostino</strong>, lo fa quasi con<br />
le stesse parole che il teste usa nel deporre sotto giuramento nel processo. Merita<br />
perciò fede anche quando racconta, attingendo alla stessa fonte, un particolare che nel<br />
processo non c'è, come appunto la visione di Gesù Bambino nell'ostia consacrata.<br />
Non c'è bisogno di dire che la fonte di certi fatti non può essere che una: Nicola, il<br />
quale, sempre amabile e buono, li ha raccontati confidenzialmente a qualcuno dei<br />
suoi confratelli. Non mi risulta che l'autore <strong>del</strong>la biografia fosse tra questi, ma egli li<br />
ha attinti sicuramente da chi li aveva sentiti da Nicola stesso.<br />
Per un caso almeno, quello <strong>del</strong>la tentazione di abbandonare l'Ordine e <strong>del</strong>le parole<br />
celesti che vennero a confortarlo, il biografo si appella esplicitamente a questa fonte.<br />
Scrive: «Come egli stesso, dopo molto tempo, lo rivelò con molta semplicità ai<br />
confratelli, preannunziando che sarebbe morto a Tolentino» (Vita, 2,15).<br />
Del resto tra la morte <strong>del</strong> santo e la composizione <strong>del</strong>la biografia c'è troppo poco<br />
tempo per poter pensare alla nascita di leggende. Né si può dire che la retorica un po’<br />
gonfia con cui l'autore si esprime sia in contrasto con la veridicità.<br />
Nelle pagine seguenti attingerò pertanto oltre che al processo anche alla biografia,<br />
grato all'autore per la buona volontà che ha avuto e per la fatica che ha sostenuto<br />
nello scriverla. Non tutti i santi hanno avuto la fortuna di avere un biografo come il<br />
nostro Pietro da Monterubbiano, coevo e bene informato. E penso, spontaneamente, a<br />
Santa Rita che <strong>del</strong> nostro Nicola fu una grande devota.<br />
Non mi resta che notare un particolare: questa prima biografia ha influenzato tutta<br />
la storiografia di San Nicola: i biografi posteriori, come Giordano di Sassonia (1350),<br />
Sant'Antonino da Firenze (1445) e gli stessi Bollandisti (1761) dipendono da essa.<br />
3. IL SOMMARIO DEL PROCESSO<br />
È stato compilato dal card. Guglielmo Godin, vescovo di Sabina, e presentato al<br />
pontefice Giovanni XXII nel 1328. L'avvocato concistoriale lo presenterà poi al<br />
pontefice Eugenio IV per la canonizzazione avvenuta nel 1446. Un documento<br />
fondamentale senza il processo a portata di mano; col processo in mano il suo valore<br />
documentario è pressoché nullo. Ha avuto un'importanza giuridicamente insostituibile<br />
nei preparativi <strong>del</strong>la canonizzazione, ma come fonte d'informazione non è, e non vuol<br />
essere altro, che un sommario che riproduca fe<strong>del</strong>mente il contenuto <strong>del</strong> processo, che<br />
ora per fortuna abbiamo a disposizione.<br />
_____<br />
NOTA:<br />
1 Il processo per la canonizzazione di S. Nicola da Tolentino, ed. critica a cura di N. Occhioni,<br />
Roma 1984.<br />
18
CAPITOLO III<br />
L'AGOSTINIANO<br />
Vorrei cominciare proprio da qui, non solo perché Nicola appartenne all'Ordine<br />
dei Frati di Sant'<strong>Agostino</strong>, quelli che erano chiamati, per la loro origine, eremitani,<br />
ma anche e soprattutto perché ebbe per il suo padre spirituale un amore profondo e<br />
commovente.<br />
In realtà tre furono i grandi amori che arsero nel suo cuore: Gesù, Maria,<br />
<strong>Agostino</strong>. Se comincio da quest'ultimo è perché sono convinto che fu questo ad<br />
aiutarlo a crescere negli altri due. Amando teneramente <strong>Agostino</strong>, ne rivisse lo<br />
spirito, nel cui profondo, incarnata da una grande mente e da un ardente cuore, trovò<br />
la centralità <strong>del</strong> Cristo, e, accanto a Cristo, inseparabile, Maria.<br />
Entrò nell'Ordine ancora giovanetto, a Castel Sant'Angelo - oggi Sant'Angelo in<br />
Pontano -, dov'era nato 14 anni prima; vi entrò, stando a un computo che uno dei testi<br />
ci permette di fare, nell'anno 1259: l'unione <strong>del</strong>le diverse congregazioni agostiniane<br />
era avvenuta appena tre anni prima, e già nell'Ordine rinnovato entrava, evidente<br />
dono di Dio, uno dei suoi membri più celebri e più grandi.<br />
Si ascrive la sua decisione alla predica di un padre agostiniano, di cui si fa anche il<br />
nome - padre Reginaldo che parlava dal pulpito, con profonda persuasione e calda<br />
eloquenza, <strong>del</strong> disprezzo <strong>del</strong> mondo, un tema evangelico molto sentito nel medioevo.<br />
Anche se il motivo - predica e conseguente decisione - appartiene già all'agiografia<br />
antica (si ricordi la vita di Sant'Antonio scritta da Atanasio), la circostanza non ha<br />
nulla di strano. Ma la ragione<br />
più profonda e più vera dovette essere un'altra, precisamente questa: la grande<br />
impressione che fecero nel giovinetto la vita austera e la fama di santità <strong>del</strong>la<br />
comunità agostiniana <strong>del</strong> suo paese.<br />
Da quando questa comunità, proveniente da Brittino nei pressi di Fano, si fosse<br />
stabilita a Castel Sant'Angelo non è facile, per mancanza di documentazione,<br />
stabilirlo. Certamente da qualche decennio. Ed era una bella comunità, se contava,<br />
quando vi entrò il nostro Nicola, una diecina di religiosi. Ma più che il numero valeva<br />
il tenore di vita. Una comunità di eremiti, dediti all'ascetismo cristiano e alla<br />
preghiera contemplativa, desiderosi solo di vivere e mostrare l'efficacia <strong>del</strong>la sequela<br />
Christi, i quali da non molto avevano accettato, per volere <strong>del</strong>la Chiesa, l'esercizio<br />
<strong>del</strong>l'apostolato attivo con lo scopo di comunicare ai fe<strong>del</strong>i i frutti <strong>del</strong>le loro<br />
meditazioni e confermare con l'esempio l'efficacia <strong>del</strong>la parola: la Chiesa aveva visto<br />
giusto quando aveva chiesto ed ottenuto questo esercizio, che non doveva <strong>del</strong> resto<br />
sostituire l'antico, ma emanare da esso e ad esso aggiungersi.<br />
Quando Nicola li incontrò, erano agli inizi di questa vita antica e nuova insieme,<br />
pieni -possiamo crederlo di entusiasmo e di profonde convinzioni. Ascoltando p.<br />
Reginaldo, avrà sentito nelle sue parole l'eco d'una grande passione interiore e avrà<br />
visto nel pallore <strong>del</strong> suo volto i segni <strong>del</strong>l'astinenza e <strong>del</strong> digiuno. Avrà sentito parlare<br />
19
anche - non è fantasia pensarlo ma deduzione storica - di <strong>Agostino</strong>, <strong>del</strong>la sua<br />
conversione, <strong>del</strong>le sue fondazioni monastiche, dei suoi mirabili esempi. E forse quel<br />
nome possiamo pensare anche questo -, sentito per la prima volta e circondato<br />
dall'aureola misteriosa <strong>del</strong>la santità e <strong>del</strong>la dottrina, s'impresse in<strong>del</strong>ebilmente nel suo<br />
animo e divenne la forza e la molla segreta <strong>del</strong>la sua vita religiosa. E un fatto: quel<br />
nome lo ebbe sempre, d'allora in poi, nel cuore e sulle labbra.<br />
1. NOVIZIO<br />
Ma da chi ne apprese l'amore? Penso prima di tutto al suo noviziato. Dove Nicola<br />
l'abbia fatto non sappiamo: forse a San Ginesio, come vuole un'antica tradizione,<br />
forse altrove. La provincia non doveva averne uno solo, se le prime Costituzioni,<br />
quelle promulgate a Ratisbona nel 1290, ma che riproducevano per lo più quelle <strong>del</strong><br />
1284 e codificavano le osservanze e gli usi comuni nell'Ordine rinnovato,<br />
prescrivevano che ogni anno nei capitoli provinciali si stabilissero «due o più luoghi<br />
nei quali si collocassero i novizi perché potessero più opportunamente essere istruiti<br />
dai loro maestri» (n. 114).<br />
Ma quello che qui importa non è il dove ma il come. Il novizio dunque veniva<br />
affidato al maestro per la sua formazione spirituale. Ci domandiamo: di fatto quale<br />
formazione il maestro diede a Nicola? Qui brancoliamo nel buio. Se si trattasse <strong>del</strong>la<br />
formazione religiosa in generale potremmo aiutarci con le Costituzioni or ora citate.<br />
Queste nel lungo capitolo dedicato alla formazione dei novizi prescrivevano molte<br />
cose che quel maestro avrà messo in pratica prima che fossero codificate. Dicevano:<br />
«Il priore designi come maestro dei novizi un religioso dotto e onesto, approvato e<br />
molto zelante <strong>del</strong> nostro Ordine, il quale insegni loro prima di tutto a confessarsi con<br />
schiettezza, discrezione e frequenza, a vivere castamente e senza nulla di proprio. Li<br />
istruisca circa la Regola e le Costituzioni, l'ufficio divino, i costumi, il<br />
comportamento e altre osservanze <strong>del</strong>l'Ordine...».<br />
Le prescrizioni continuano lungamente esponendo sapienti norme circa i voti, la<br />
carità, l'umiltà, l'educazione, la modestia. Verso la fine <strong>del</strong> lungo paragrafo viene<br />
inserito, con nostra sorpresa e gioia, un'esortazione allo studio <strong>del</strong>la Scrittura. Le<br />
parole sono queste: il novizio «legga con avidità la Sacra Scrittura, la ascolti con<br />
devozione, la impari con ardente desiderio» (Const. R., ed. I. Aràmburu, Valladolid<br />
1966, nn. 111-113).<br />
Come si vede <strong>del</strong>la formazione specificamente agostiniana, riguardante cioè<br />
Sant'<strong>Agostino</strong> e il suo monachismo, non si dice molto; anzi, per essere più espliciti,<br />
molto poco. A noi invece interessa proprio questo. Quel buon maestro - e ci dispiace<br />
di non conoscerne il nome spiegò certamente a Nicola e ai suoi eventuali connovizi la<br />
Regola, aiutandosi magari con il commento di Ugo da San Vittore. Bene: era<br />
importante, anzi fondamentale. Ma fino a che punto avrà parlato di <strong>Agostino</strong> stesso<br />
infondendone nel cuore dei giovani l'amore e la devozione? Quali altre opere avrà<br />
usato per spiegare l'ideale monastico agostiniano? Avrà conosciuto Il lavoro dei<br />
monaci, i Discorsi 355 e 356, che nel medioevo correvano ed erano molto letti sotto il<br />
nome de I costumi dei chierici? Avrà conosciuto la Vita di <strong>Agostino</strong> scritta da<br />
Possidio? Vorrei supporlo, ma non ho ragioni per affermarlo.<br />
20
Se Nicola avesse fatto il noviziato alcuni decenni più tardi, nella casa <strong>del</strong> suo<br />
noviziato e nelle mani <strong>del</strong> suo maestro probabilmente sarebbero arrivate alcune opere<br />
destinate a facilitare la conoscenza di <strong>Agostino</strong> e <strong>del</strong> suo monachismo, come il<br />
celebre Milleloquium che raccoglieva tanti splendidi testi agostiniani sulla spiritualità<br />
in genere e sulla vita monastica in particolare, oppure opere come Il trattato<br />
sull'origine e lo sviluppo <strong>del</strong>l'Ordine di Enrico da Friemar, che avrebbero mostrato<br />
l'attaccamento <strong>del</strong>l'Ordine stesso al suo Padre e Legislatore, sia pure, qualche volta,<br />
attraverso pie leggende, le quali, se non avevano, né potevano avere, un valore<br />
storico, ne avevano uno profondamente e grandemente spirituale. I novizi agostiniani<br />
dovevano, nonostante la distanza <strong>del</strong> tempo, imparare ad amare <strong>Agostino</strong> come i<br />
francescani Francesco o i domenicani Domenico: dovevano sentire che egli era «il<br />
mo<strong>del</strong>lo e la norma di tutte le loro azioni» (Vitas fratrum I, 11, p. 36).<br />
Se però né le Costituzioni né le opere pubblicate un poco più tardi ci permettono di<br />
entrare nel clima agostiniano di quel noviziato, alcune disposizioni dei Superiori<br />
Generali, tra le poche rimasteci, o le <strong>del</strong>iberazioni dei capitoli generali, ci danno<br />
qualche utile indicazione.<br />
Il B. Clemente da Osimo, questo austero e mite religioso che fu due volte Generale<br />
(dal 1271 al 1274 e dal 1284 al 1291), visitò tutto l'Ordine a piedi (pedester dice<br />
l'anonimo fiorentino <strong>del</strong> 1336) e promulgò le prime Costituzioni, scrivendo nel 1272<br />
sul progetto di fondare un nuovo convento in Toscana; vuole che sia fondato «a lode<br />
e riverenza di Dio onnipotente e <strong>del</strong>la beata e gloriosa Vergine, sua madre, e <strong>del</strong><br />
beatissimo padre <strong>Agostino</strong>» (An. Aug. XII, 181). Proprio i tre nomi che Nicola avrà<br />
sempre nel cuore e sulla lingua.<br />
Vale la pena poi, per giudicare <strong>del</strong> clima spirituale in cui crebbe il nostro santo fin<br />
dal primo ingresso nell'Ordine, ricordare che il B. Clemente era suo corregionale,<br />
proveniva sicuramente dalla congregazione dei brittinesi e che nel 1269 era<br />
provinciale di quella congregazione diventata una provincia <strong>del</strong>l'Ordine riunito; o,<br />
come dice un documento <strong>del</strong> tempo, «priore universale di tutti i frati <strong>del</strong>lo stesso<br />
ordine (degli eremiti di Sant'<strong>Agostino</strong>) sparsi per la Marca Anconitana » (Don<br />
Celestino Pierucci, Carte agostiniane, 1249-1291, tra le carte di Fonte Avellana, in<br />
An. Aug. 36/1973/1226) Provinciale pertanto <strong>del</strong> nostro Nicola nei primi anni <strong>del</strong>la<br />
sua vita agostiniana, se è vero, come sembra probabile, che sia entrato nell'Ordine nel<br />
1259. E perché non pensare, ma qui la fantasia corre forse troppo, che sia stato suo<br />
maestro dei novizi o posteriormente maestro nel periodo di formazione al sacerdozio?<br />
In ogni modo gli esempi che venivano dall'alto erano affascinanti.<br />
Di questo insigne religioso i primi storici <strong>del</strong>l'Ordine tessono elogi altissimi.<br />
Uno di essi, che lo conobbe personalmente, scrive: «Il terzo Generale fu Fr.<br />
Clemente <strong>del</strong>la Marca d'Ancona... uomo di ammirabile clemenza e pietà, e prudenza<br />
e santa vita.., per mezzo <strong>del</strong> quale Dio fece molti miracoli nel capitolo celebrato a<br />
Ratisbona nel quale io fui presente... E tanto in vita che in morte in presenza <strong>del</strong>la<br />
curia (romana) e di tutti i cardinali - nel tempo <strong>del</strong> Papa Nicolò IV fu illustrato da<br />
grandi miracoli in Orvieto, dove morì. E per la moltitudine e grandezza dei miracoli<br />
restò insepolto molte settimane per ordine <strong>del</strong>lo stesso Pontefice...».<br />
Dopo aver ricordato la moltitudine di popolo, cardinali compresi, che si recava a<br />
venerarlo, ricorda la testimonianza di Benedetto (Caetani), poi Bonifacio VIII, che<br />
21
era stato suo penitente, e che si recò più volte a venerare quel santo corpo e poi,<br />
insieme ad altri cardinali, il suo sepolcro (An. Aug. II, 322).<br />
Indubbiamente, come si è detto, Nicola ebbe tra i suoi correligionari tali esempi di<br />
santità che non potevano non spronano a perseverare nella via intrapresa, austera ma<br />
sicura.<br />
Gli effetti di questi esempi li vedremo subito; intanto torniamo al tema <strong>del</strong>la<br />
formazione specificamente agostiniana. Questa si manifesta in particolare attraverso<br />
le feste liturgiche. Quante se ne celebrassero di Sant'<strong>Agostino</strong> durante il noviziato e la<br />
formazione di Nicola, non è dato saperlo. Certamente quella <strong>del</strong> 28 agosto, giorno<br />
anniversario <strong>del</strong>la morte. Sappiamo però che nel 1341, 36 anni dopo la morte di<br />
Nicola, nell'Ordine se ne celebravano, durante l'anno, cinque. Fin da quando? Non<br />
sappiamo. Sappiamo invece quali erano: il 28 agosto, la principale, poi quella <strong>del</strong>la<br />
duplice traslazione - a febbraio la traslazione da Ippona in Sardegna, a ottobre la<br />
traslazione dalla Sardegna a Pavia -, quella <strong>del</strong>la conversione il 5 maggio e infine il 5<br />
di giugno quella <strong>del</strong>l'anniversario <strong>del</strong>la fondazione <strong>del</strong> convento di Pavia, chiamata<br />
festa <strong>del</strong>la riunione («dei membri al capo, dei figli al padre, dei discepoli al maestro,<br />
dei soldati al capitano», come si esprimeva la bolla di fondazione di quel convento:<br />
20 gennaio 1327). Più tardi (1343) cinque feste all'anno di Sant'<strong>Agostino</strong> sembrarono<br />
troppe e ne soppressero due, ma poi si accorsero che una <strong>del</strong>le soppresse - la<br />
conversione - era troppo importante, e la ristabilirono: si celebri dovunque<br />
nell'Ordine «la festa <strong>del</strong>la conversione <strong>del</strong> beatissimo Padre ed esimio dottore<br />
<strong>Agostino</strong>, il 5 di maggio, con rito doppio» (1371). Perché il 5 maggio non si sa. In<br />
fatto di cronologia quei padri capitolari non dovevano essere troppo forti: è noto<br />
infatti che <strong>Agostino</strong> si convertì verso l'inizio di agosto <strong>del</strong> 386 e fu battezzato nella<br />
notte <strong>del</strong> sabato santo, 24-25 aprile, <strong>del</strong>l'anno seguente.<br />
Ma qui non interessa tanto l'esattezza storica quanto l'intento spirituale. E questo in<br />
quelle prescrizioni c'era, e molto grande. In date più vicine alla vita <strong>del</strong> nostro santo -<br />
1303 e 1306 - due capitoli generali comandavano rispettivamente che la festa <strong>del</strong> 28<br />
agosto si celebrasse in tutte le comunità con l'ottava e che alla vigilia di essa i frati<br />
osservassero il digiuno «a onore e lode di Sant'<strong>Agostino</strong> nostro padre e affinché<br />
interceda sempre efficacemente presso Dio per il nostro Ordine e per tutti i suoi<br />
religiosi come per i suoi figli devoti» (An. Aug. III, 58).<br />
Questa devozione a Sant'<strong>Agostino</strong> il nostro Nicola o la trovò nei monasteri in cui<br />
visse o ve la portò col suo esempio. Esempio lo fu in ogni caso: di fe<strong>del</strong>tà all'Ordine,<br />
di amore al suo padre spirituale, di osservanza regolare. E quello che ci resta da dire.<br />
2. FEDELTÀ ALL'ORDINE<br />
Prova di fe<strong>del</strong>tà all'Ordine la diede in una difficile circostanza. Il primo biografo e<br />
contemporaneo Pietro da Monterubbiano ce la narra con tutti i particolari. Non c'è<br />
ragione di non credergli poiché ha cura di indicare la sua fonte in Nicola stesso, il<br />
quale, <strong>del</strong>icato com'era nell'amicizia, benevolo e aperto alla confidenza, lo avrebbe<br />
narrato con tutta semplicità ai confratelli « molto tempo dopo» mentre stava parlando<br />
<strong>del</strong>la sua morte che sarebbe avvenuta, assicurava, a Tolentino.<br />
22
Prima dunque di essere inviato stabilmente in questa città, mentr'era di famiglia<br />
probabilmente a Fermo o a Montegiorgio - risulta infatti che è stato nell'uno e nell'altro<br />
luogo -, incontrò un suo cugino che era priore d'un monastero, forse di Canonici regolari<br />
di Sant'<strong>Agostino</strong>, situato nella pianura <strong>del</strong> Tenna, non lontano dalla città di Fermo,<br />
chiamato Santa Maria di Iacobo. Egli, vedendo Nicola tanto povero e macilento, ne<br />
ebbe compassione e gli fece la proposta di passare al suo monastero, passaggio che<br />
allora era meno difficile e più frequente di oggi. Secondo il biografo dovette fargli<br />
questo ragionamento: «Perché soffri tanta miseria? La condizione <strong>del</strong> tuo Ordine è<br />
poverissima, né potrai sopportarne le asprezze. Pensa alla tua gioventù, vieni in<br />
questo monastero a godere insieme a me dei beni che non mancano: non posso più<br />
vedere la tua giovinezza circondata da una condizione tanto misera».<br />
Probabilmente Nicola non rispose, ma - dice il biografo - scese nella chiesa <strong>del</strong><br />
monastero dove si trovava per una visita al cugino o per ragioni di ministero, e<br />
s'immerse nella preghiera. Forse avremmo desiderato sentirlo dare una risposta<br />
negativa subito, una risposta pronta, fiera, perentoria. Invece ricorse alla preghiera.<br />
Evidentemente era turbato. Le parole <strong>del</strong> cugino avevano un'insolita forza persuasiva.<br />
Perciò chiese a Dio di illuminarlo e dirigere i suoi passi sulla via che gli aveva<br />
preparata. La risposta non si fece attendere. Mentre pregava, gli parve di vedere un<br />
coro di giovani e di sentire che cantavano ripetendo: «a Tolentino, a Tolentino, a<br />
Tolentino sarà il termine <strong>del</strong>la tua vita; resta nella vocazione in cui sei stato chiamato,<br />
in questa troverai la tua salvezza».<br />
Adesso, confortato dalla preghiera e rinfrancato dalla voce celeste che era<br />
risuonata nel suo animo, Nicola poteva dare una risposta sicura e ferma. E la diede.<br />
Non sappiamo se il cugino sarà tornato altre volte alla carica - un'espressione <strong>del</strong><br />
biografo, in verità un po' ingarbugliata, lo lascerebbe supporre -, ma si ebbe la stessa<br />
risposta: Nicola non si lasciò attrarre dalla prospettiva di un tenore di vita meno<br />
austero né atterrire da quello che, in aggiunta alle austerità <strong>del</strong> suo Ordine, aveva<br />
intrapreso. Restò al suo posto, continuò il suo cammino. In questo gli fu di sostegno il<br />
grande amore che nutriva nel cuore per il suo padre spirituale, il vescovo d'Ippona.<br />
3. AMANTE DI AGOSTINO<br />
È veramente commovente quest'amore che si esprime nell'invocazione frequente,<br />
nella fiducia filiale, nell'obbedienza fe<strong>del</strong>e.<br />
Di salute sempre cagionevole, va incontro spesso ad estreme spossatezze. I<br />
medici intervengono e gli ordinano di mangiare carne per recuperare un poco le forze.<br />
Il santo non vuol venire meno al suo rigido proposito di astinenza e prega di non<br />
insistere. Una volta si fa intervenire il Generale <strong>del</strong>l'Ordine, P. Francesco da<br />
Monterubbiano (1300-1307), presente casualmente o per la visita canonica a<br />
Tolentino, che dà un comando. Nicola non replica più, ubbidisce. «Al Generale, dice,<br />
si deve ubbidire: questo ho promesso e voglio mantenerlo fino alla morte; l'ho<br />
promesso - aggiunge - al mio Salvatore, alla sua santissima Madre e al beato<br />
<strong>Agostino</strong>» (Vita, 3,18; Processo, teste 9, pp. 90-91).<br />
23
Anche quando sta male non vuole affidarsi ai medici terreni ma a quello solo che<br />
può guarire senza medicine chiunque voglia. Prega molto la «beata Maria » e il<br />
«beato <strong>Agostino</strong>», che intervengano. La Vergine insieme al beato <strong>Agostino</strong> gli appare<br />
e gli indica il rimedio: farsi portare un boccone di pane fresco, intingerlo nell'acqua e<br />
mangiarlo «nel nome <strong>del</strong> mio Figlio Gesù Cristo». Così fece e guarì (Vita 3,21-22).<br />
Anche quando interviene a favore dei sofferenti e intercede perché Dio compia un<br />
miracolo, nasconde il suo intervento dietro i nomi di Gesù, Maria e <strong>Agostino</strong>.<br />
«Prega Dio e la sua Madre e il beato <strong>Agostino</strong>, dice a una donna afflitta che gli<br />
presenta la figlia ammalata, e tua figlia sarà restituita a una prospera salute». E, fatto<br />
il segno <strong>del</strong>la croce sulla fanciulla, «va', dice alla madre, il mio Signore Gesù Cristo ti<br />
dia la consolazione che desideri» (Vita, 4, 36). Altre volte chiede ai genitori afflitti<br />
che offrano il loro figlio ammalato «al beato <strong>Agostino</strong> e al suo Ordine e che sia frate<br />
in detto Ordine». E la grazia desiderata arriva (Processo, teste 84, p. 240).<br />
Questa tenera e forte devozione verso il «beato <strong>Agostino</strong>» ottenne il premio<br />
nell'ultima malattia, quando <strong>Agostino</strong> stesso, invocato sempre insieme a Gesù e a<br />
Maria, gli apparve insieme a loro per preannunciargli il giorno <strong>del</strong>la morte ed<br />
invitarlo ad entrare nel gaudio <strong>del</strong> Signore. Narra il processo per bocca di un teste<br />
oculare: alcuni giorni prima di morire Nicola s'immerse più intensamente <strong>del</strong> solito<br />
nella preghiera e «chiese alla Vergine Maria e al beato <strong>Agostino</strong> la grazia di ricevere<br />
la consolazione - ardimenti dei santi! - di un'apparizione di Cristo e <strong>del</strong>la stessa<br />
Vergine Maria e di <strong>Agostino</strong>». I tre santi nomi, in morte come in vita, sono sempre<br />
insieme. La fiduciosa preghiera non restò <strong>del</strong>usa. Il teste, che era poi un giovane<br />
fratello che per disposizione dei superiori lo assisteva, vedendo sul volto emaciato e<br />
pallido di Nicola i segni d'un'ineffabile gioia, domandò insistentemente quale ne fosse<br />
la causa. A tanta insistenza il morente, amabile e buono fino all'ultimo, non seppe<br />
resistere e rispose: «È il mio Dio e mio Signore Gesù Cristo che con la sua madre e il<br />
nostro padre <strong>Agostino</strong> mi ha detto: orsù, servo buono e fe<strong>del</strong>e, entra nel gaudio <strong>del</strong><br />
tuo Dio» (Processo, teste 221, p. 489). Con le stesse parole narra l'accaduto il primo<br />
biografo (Vita, 5, 50). Non abbiamo ragione di dubitarne. Raccogliamo pertanto<br />
quest'ultima testimonianza d'un amore che aveva illuminato tutta la vita, e vediamo<br />
come di fatto lo hanno capito i suoi devoti, i confratelli prima di tutto.<br />
4. IL PREDILETTO<br />
L'amore per l'affascinante figura di <strong>Agostino</strong> non poteva non portare con sé<br />
l'osservanza perfetta <strong>del</strong>la Regola, divenuta motivo e centro di vita, e l'obbedienza<br />
docile ai precetti <strong>del</strong>l'ideale monastico da essa rappresentato. In questo Nicola, come<br />
vedremo, fu esemplare. E tale lo videro sempre i suoi confratelli. Basti un solo<br />
argomento: l'iconografia.<br />
I segni iconografici di San Nicola sono, come si sa, tre: il giglio, il sole, il libro.<br />
Non c'è bisogno di fermarsi sul primo: è il simbolo notissimo <strong>del</strong>la consacrazione a<br />
Dio; né sul secondo, legato evidentemente al sogno profetico <strong>del</strong> santo che vide<br />
spesso una stella luminosa partire dal suo paese natale e posarsi sull'oratorio di<br />
Sant'<strong>Agostino</strong> in Tolentino, città che avrà proprio da lui la sua gloria maggiore.<br />
24
Interessante invece fermarsi sul terzo simbolo: il libro. Lo troviamo già nelle<br />
pitture <strong>del</strong> «Cappellone». La domanda nasce spontanea: perché un libro in mano di<br />
San Nicola? Egli non fu un dottore di Parigi o di un'altra università, anche se seguì<br />
regolarmente e fruttuosamente gli studi di grammatica, di logica e di teologia; né fu<br />
uno scrittore che fece parlare di sé scrivendo grossi volumi; perché dunque il libro?<br />
La risposta non bisogna cercarla da lontano: quel libro è la Regola. La Regola<br />
monastica di <strong>Agostino</strong> che Nicola aveva professato e osservato, facendone il mo<strong>del</strong>lo<br />
<strong>del</strong>la sua santità e diventando egli stesso, attraverso di essa, un mo<strong>del</strong>lo per i suoi<br />
devoti, che furono molti.<br />
Quasi a spiegare l'enigma di quel libro alcuni artisti, fe<strong>del</strong>i in questo alla<br />
tradizione, lo presentano aperto con la scritta significativa: Praecepta Patris mei<br />
servavi semper, ho sempre osservato i precetti <strong>del</strong> Padre mio. E perché quel Padre<br />
mio non risultasse equivoco, altri aggiungono esplicitamente il nome di <strong>Agostino</strong>: Io<br />
ho osservato sempre i precetti <strong>del</strong> mio Padre <strong>Agostino</strong> e resto nel suo amore.<br />
Un'allusione a Gv 15,10, anzi la ripetizione di quelle divine parole, è evidente.<br />
Può far meraviglia, ma non deve sconcertare. L'applicazione a Nicola ed <strong>Agostino</strong><br />
<strong>del</strong>le parole che Cristo disse nei riguardi <strong>del</strong> Padre (Gv 15, 10: «ho osservato i<br />
comandamenti <strong>del</strong> Padre mio e rimango nel suo amore») nascondono una grande<br />
teologia e una, non meno grande, convinzione.<br />
La teologia è questa: seguendo una Regola approvata dalla Chiesa e scritta da un<br />
uomo tanto sapiente e tanto santo quale il vescovo d'Ippona, si è certi di trovarsi alla<br />
scuola di Cristo; pertanto si è autorizzati ad usare le sue stesse parole, anche le più<br />
alte come quelle che qui vengono ripetute.<br />
Nicola, osservando fe<strong>del</strong>mente i precetti <strong>del</strong> suo padre spirituale, è unito a lui ed è<br />
il suo figlio prediletto, ad imitazione di Cristo nei riguardi <strong>del</strong> Padre celeste. C'è in<br />
fondo, in questa ardita applicazione, tutto l'aspetto cristologico ed ecclesiologico<br />
<strong>del</strong>la vita religiosa che il vescovo d'Ippona ha tanto messo in rilievo.<br />
La convinzione è quest'altra: Nicola fu un vero agostiniano, la sua vita<br />
un'interpretazione autentica - autentica, perché confermata da tanti segni dall'Alto -,<br />
<strong>del</strong>l'ideale monastico di <strong>Agostino</strong>, il quale ideale, preposto alla fine <strong>del</strong> secolo V e<br />
rivissuto con fe<strong>del</strong>tà ed amore nel medioevo, poteva rispondere alle nuove esigenze<br />
<strong>del</strong>la società e rendere nuovi servizi alla Chiesa. Nicola aveva mostrato con l'esempio<br />
più che con la dottrina che ciò era non solo possibile ma vero e fecondo.<br />
Vediamo dunque come questo grande agostiniano ha interpretato e vissuto il suo<br />
alto ideale.<br />
25
CAPITOLO IV<br />
UN UOMO DI BUON SENSO, MITE ED AFFABILE<br />
Non sono io a mettere in rilievo, in primo luogo, questa qualità <strong>del</strong> santo. Sono<br />
stati i commissari <strong>del</strong> processo, i quali, uscendo dallo schema prefisso - ciò che<br />
fanno, purtroppo, raramente -, chiedono quasi a bruciapelo al primo teste,<br />
teologicamente e socialmente qualificato - era lettore in teologia ed era stato<br />
superiore provinciale -, un teste che aveva conosciuto bene Nicola, se questi fosse<br />
stato o no un uomo «boni sensus et non fantasticus». C'è da capirli. Ne avevano<br />
sentite tante intorno a questo santo straordinario - miracoli, austerità, combattimenti<br />
col diavolo -, che viene loro la voglia e forse la curiosità di sapere se non fosse stato<br />
per caso un uomo stravagante, bizzarro, singolare.<br />
La risposta fu: «un uomo di buon senso, morigerato - traduco così la strana<br />
espressione (moriosmatus) usata dal teste - e fe<strong>del</strong>e molto» (Processo, teste 1, p. 71).<br />
Non dunque un uomo fantastico, sognatore, esaltato; ma equilibrato, quieto, sereno,<br />
semplice, modesto.<br />
I testi mettono spesso in rilievo queste qualità di fondo. Depone uno che lo aveva<br />
conosciuto personalmente «spesso ho trattato con lui» -: «era molto benigno e<br />
umano..., e molto deferente non solo verso il <strong>Priore</strong>, al quale era obbligato, ma anche<br />
verso tutti i religiosi <strong>del</strong> convento» (Processo, teste 3, p. 77). E un altro - una donna,<br />
questa volta, che lo aveva anch'essa conosciuto -: «era molto benigno e umile e<br />
parlando era molto cordiale, dulcia verba proferebat» (Processo, teste 92, p. 270). Un<br />
terzo, anch'egli teste de visu perché aveva trattato con lui per oltre 15 anni, Don<br />
Corrado di Urbisaglia, si esprime così: «Era modesto, quieto; non meschino, non<br />
invidioso, non egoista, fuggiva volentieri gli scontri; non era sognatore ma saggio e<br />
discreto» (Processo, teste 173, p. 110).<br />
Virtù umane, dirà qualcuno. Appunto. Ma erano queste preziose virtù che<br />
rendevano affascinante e irresistibile la santità di Nicola. Chi legge i processi ha la<br />
netta impressione che nessuno si sia avvicinato a lui senza restarne edificato e<br />
conquistato. Le deposizioni sono un coro di ammirazione e di lode senza riserve,<br />
senza stonature, senza contrasti.<br />
Un teste che lo aveva avuto come maestro dei novizi a Sant'Elpidio ed era stato<br />
con lui conventuale a Fermo, a Montolmo (Corridonia), a Recanati, a Cingoli «e in<br />
molti altri luoghi» e infine a Tolentino, dice che «mai aveva sentito dir male di lui né<br />
dai frati né dai secolari» (Processo, teste 217, p. 460).<br />
Caso raro anche nei santi, i quali, si sa, non possono sempre contentare tutti e<br />
suscitano spesso contrasti, invidie, gelosie. Non così il nostro Nicola. Viene<br />
spontanea una domanda: da dove la forza di tanta simpatia che irradiava dalla sua<br />
persona?<br />
Certo, Nicola possedeva in alto grado le virtù specificamente cristiane: la<br />
consacrazione verginale che dava tanta <strong>del</strong>icatezza al suo tratto e circondava la sua<br />
innocenza d'un inconsapevole alone di santità, la povertà volontaria che era garanzia<br />
di libertà e sorgente di speranza celeste, l'obbedienza umile e generosa che lo<br />
26
avvicinava più intimamente a Cristo, l'amore di Dio e <strong>del</strong> prossimo condotto fino alla<br />
disposizione di sacrificare la propria vita: pro Christo et proximo non dubitabat mori,<br />
dice un comma <strong>del</strong>l'articolo 22 <strong>del</strong> processo, che ho trascritto sopra e che i testi<br />
confermano. Il primo biografo (Vita, 4, 29) ripete le stesse parole, segno evidente che<br />
lo si vedeva come una nota qualificante <strong>del</strong>la sua santità.<br />
Tutto questo è vero, ma la cornice dentro la quale queste virtù brillavano di luce<br />
più pura e più calda erano le altre, quelle umane. Chiamo umane quelle virtù di cui<br />
hanno parlato a lungo i filosofi. Basti ricordare Panezio per i greci e Cicerone per i<br />
romani, ai quali fa eco tra i cristiani Ambrogio col suo I doveri (dei ministri<br />
<strong>del</strong>l'altare). Non già che esse non rientrino nel piano cristiano <strong>del</strong>la salvezza o che,<br />
assunte dal cristianesimo, non acquistino un valore soprannaturale, ma per il loro<br />
oggetto sono o dovrebbero essere il corredo naturale <strong>del</strong>l'uomo come tale.<br />
Per fare qualche esempio: la sincerità che fugge la menzogna e i raggiri, la fe<strong>del</strong>tà<br />
che mantiene la parola data, la bontà che dimentica i propri interessi, la nobiltà<br />
d'animo che non si ferma alle piccole cose e dimentica volentieri i torti ricevuti,<br />
l'amabilità che attrae a sé il cuore degli altri, la cortesia che tratta tutti con proprietà e<br />
garbo, la cordialità che fa sentire ciascuno a suo agio, la gentilezza che non offende<br />
nessuno, neppure il contraddittore o l'avversario, sono virtù umane. Per non parlare<br />
<strong>del</strong>la costanza che persevera nei propositi e <strong>del</strong>la giustizia che dà a ciascuno il suo.<br />
1. SAN PAOLO<br />
Di queste e altre virtù umane Nicola era largamente dotato. Su di esse costruì<br />
l'edificio <strong>del</strong>la sua santità, che fu molto grande. Del resto non le aveva raccomandate<br />
San Paolo? E <strong>Agostino</strong> non le aveva mirabilmente proposte ed esercitate?<br />
In quanto all'Apostolo non c'è chi non ricordi le solenni parole ai Filippesi: «In<br />
conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato,<br />
quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil. 4,<br />
8). Con esse San Paolo inserisce nell'ideale cristiano quanto di buono e di bello aveva<br />
trovato in fatto di costumi la sapienza pagana e crea il nuovo umanesimo, che è<br />
insieme umano e divino perché ricupera la vera umanità e innesta su di essa,<br />
sublimandole, la luce e la grazia di Cristo.<br />
Per questo il Concilio Vaticano II parlando ai sacerdoti osserva che per<br />
raggiungere lo scopo <strong>del</strong> loro apostolato «di grande giovamento risultano quelle virtù<br />
che giustamente sono molto apprezzate nella società umana, come ad esempio la<br />
bontà <strong>del</strong> cuore, la sincerità, la fermezza d'animo e la costanza, la continua cura per la<br />
giustizia, la gentilezza e tutte le altre virtù che raccomanda l'Apostolo Paolo ai<br />
Filippesi 4,8» (Presbyterorum ordinis, 3). Lo stesso Concilio quasi con le stesse<br />
parole raccomanda di formare a queste stesse virtù i giovani che si preparano al<br />
sacerdozio: «... siano formati alla fortezza d'animo, e in generale imparino a stimare<br />
quelle virtù che sono tenute in gran conto fra gli uomini e rendono accetto il<br />
ministero di Cristo, quali sono - la ripetizione non dispiacerà al lettore - la sincerità<br />
d'animo, il rispetto costante <strong>del</strong>la giustizia, la fe<strong>del</strong>tà alla parola data, la gentilezza <strong>del</strong><br />
tratto, la discrezione e la carità nel conversare» (Optatam totius, 11).<br />
27
Nicola previene, di tanti secoli, con l'esempio, la raccomandazione <strong>del</strong> Concilio e<br />
la conferma. È un fatto: l'attenzione di molti testi che depongono nel processo è<br />
richiamata proprio da queste virtù. I commissari dovevano esserne informati, se<br />
nell'ultimo comma <strong>del</strong>l'articolo 22, sul quale avrebbero deposto i testi sotto<br />
giuramento, danno <strong>del</strong>la figura morale <strong>del</strong> santo questa sommaria descrizione che ho<br />
riportato sopra e che giova ripetere qui: era «pudico, modesto, casto, verecondo, lieto,<br />
di vedute larghe e quieto, non meschino, lontano dall'invidia, dai litigi, dalla<br />
cupidigia, di buoni costumi, non sognatore, giusto, sapiente, prudente, discreto,<br />
nemico <strong>del</strong>l'avarizia, contrario alla negligenza, fe<strong>del</strong>e nel compimento di quanto gli<br />
venisse affidato». I testi, unanimemente, confermano. Non c'è da meravigliarsi.<br />
Nicola guardava costantemente al suo padre spirituale e voleva imitarne le virtù,<br />
prima di tutto queste piccole e grandi virtù umane che tanto splendore danno alla<br />
santità cristiana.<br />
2. SANT'AGOSTINO<br />
Non c'è chi non sappia quanto il vescovo d'Ippona le abbia praticate e<br />
raccomandate. Si sa che egli fu buono, gentile, generoso, paziente con tutti. Da<br />
professore amò i suoi alunni, da vescovo i suoi fe<strong>del</strong>i. Non seppe dire mai di no a<br />
nessuno nonostante le insonni fatiche che ciò gli costava.<br />
Un giovane di Cartagine, oriundo greco, dovendo tornare in patria, scrive al<br />
vescovo d'Ippona perché gli spieghi, e subito, molte questioni, «innumerevoli »,<br />
intorno ai dialoghi di Cicerone. <strong>Agostino</strong> sente che trattare quelle questioni non è<br />
degno di un vescovo anche se fosse libero, egli invece è occupatissimo. Gli risponde<br />
con una lunga lettera invitandolo a cercare la vera sapienza e spiegandogli molte<br />
questioni di filosofia; per le altre... le altre erano troppo frivole. Eppure non gli regge<br />
l'animo di lasciar <strong>del</strong>uso quel giovane, e risponde anche a quelle; si limita a brevi<br />
accenni scritti in margine alla pergamena in cui erano state scritte, ma risponde (Ep.<br />
118).<br />
Una fanciulla di Cartagine, una certa Florentina, gli fa sapere per mezzo <strong>del</strong>la<br />
madre che vorrebbe proporgli tante domande, ma non osa. Si capisce il perché. Il<br />
santo vescovo le risponde esortandola ad aprirgli liberamente il suo animo: avrebbe<br />
soddisfatto - se era in grado di farlo, aggiunge con mirabile semplicità - a tutti i suoi<br />
desideri (Ep. 266, 1).<br />
La vergine Sapida gli invia una bella tunica preparata per suo fratello diacono<br />
morto improvvisamente, e lo prega di volerla indossare. Il vescovo, facendo<br />
un'eccezione ai suoi principi, l'indossa e risponde; risponde ringraziando ma anche<br />
esortando ad elevare l'animo a più alti pensieri (Ep. 263).<br />
Ancora un esempio: un diacono di Cartagine gli chiede di scrivergli un breve<br />
trattato sulle eresie. <strong>Agostino</strong> risponde che la cosa è difficile e lui è occupatissimo<br />
essendo impegnato a scrivere due opere, una di giorno e una di notte. Ma poi si<br />
commuove e gli promette di farlo appena avrà terminato la prima parte di una <strong>del</strong>le<br />
due che ha tra le mani, lo farà divivendo il suo tempo tra il giorno e la notte (Ep. 224,<br />
28
2). Mantenne la promessa. Poi venne la morte e l'opera, non quella sola, restò<br />
incompleta.<br />
Piccoli esempi, ma che aprono vasti orizzonti sulle grandi virtù umane di cui<br />
<strong>Agostino</strong> era molto ricco. Si ha la netta impressione che questo grande uomo<br />
coniugando le virtù umane con quelle evangeliche abbia raggiunto quella «santa<br />
infanzia », segno di vera grandezza, che egli stesso raccomandava ai neofiti.<br />
Vale la pena di riportare un testo, almeno in parte: «Orsù dunque, vi ammonisco<br />
come una santa infanzia: deponete la malizia, l'inganno, l'adulazione, l'invidia, la<br />
detrazione. Questa innocenza dovete conservarla in modo da non perderla<br />
crescendo... semplice come una colomba e astuta come un serpente non per il<br />
desiderio di nuocere ma per la prudenza di evitare chi nuoce. A questa innocenza vi<br />
esorto. Di tali infatti è il regno dei cieli (Mt. 19, 14), cioè degli umili, vale a dire di<br />
coloro che sono spiritualmente piccoli. Non disprezzate, non aborrite (questa<br />
piccolezza): è la piccolezza dei grandi (magnorum est ista pusillitas)... Il peccatore<br />
non può essere umile, l'innocente non può essere superbo... Conservate dunque la pia<br />
umiltà, che per le Scritture è la santa infanzia, e sarete sicuri <strong>del</strong>l'immortalità dei<br />
beati» (Serm. 353, 1).<br />
Questa santa infanzia investe d'un <strong>cara</strong>ttere di semplicità e di naturalezza tutta la<br />
persona e si manifesta nei gesti, nelle parole, nell'atteggiamento. <strong>Agostino</strong> la descrive<br />
così a proposito <strong>del</strong>le persone consacrate: «Non protervo il viso, non svagati gli<br />
occhi, non ciarliera la lingua, non sguaiato il riso, non scurrile lo scherzo, non<br />
sconveniente l'abito, non sostenuto o languido il comportamento» (De s.virg. 53, 54).<br />
Queste regole contengono in forma negativa come la persona consacrata debba,<br />
con tutta naturalezza, presentarsi, guardare, parlare, ridere, scherzare, vestire,<br />
camminare. Esse vengono riassunte nella Regola con un principio generale che suona<br />
così: «Nel modo di procedere o di stare, in ogni vostro atteggiamento, non vi sia nulla<br />
che offenda lo sguardo altrui ma tutto sia consono al vostro stato di consacrazione»<br />
(Regola, n. 21).<br />
Non so se Nicola conoscesse i primi due testi agostiniani; facilmente il secondo,<br />
contenuto in un'opera destinata alle religiose, più difficilmente il primo. In ogni modo<br />
conosceva, e se la sentiva rileggere ogni settimana, le parole <strong>del</strong>la Regola che aveva<br />
preso come norma di vita. Fino a che punto vi restasse fe<strong>del</strong>e e impersonasse la figura<br />
<strong>del</strong> religioso che la Regola con quelle parole propone ed esige, ce lo dicono i<br />
contemporanei, i quali, stando al processo, ammirarono in lui, in primo luogo, le virtù<br />
umane. Ce lo mostrano infatti dotato <strong>del</strong>la sapiente semplicità <strong>del</strong> bambino,<br />
<strong>del</strong>l'umiltà operosa e schiva <strong>del</strong>l'uomo saggio, <strong>del</strong>l'imperturbabile mitezza di chi ha i<br />
piedi sulla terra e il cuore nel cielo.<br />
Sul volto gli doveva brillare una bellezza singolare, che non era solo effetto<br />
<strong>del</strong>l'armonia <strong>del</strong>le parti - anche se questa, stando ai primi pittori, che probabilmente lo<br />
avevano conosciuto di persona o ne erano stati informati dai testi oculari, non doveva<br />
mancargli: si riveda nel Cappellone di Tolentino l'alta e nobile figura <strong>del</strong> santo che<br />
ridona la vista ad una cieca -, ma era effetto prima di tutto <strong>del</strong>lo splendore che sulle<br />
fattezze somatiche imprimevano la pace interiore, l'abitudine di pensieri solenni e<br />
santi, la bontà verso tutti, la serenità, la speranza ineffabile dei beni eterni. Era questo<br />
splendore che attraeva l'attenzione <strong>del</strong>la gente e ne suscitava l'ammirazione.<br />
29
Alcuni testi si rammaricano di non averne potuto vedere il volto se non quando<br />
diceva la Messa. La ragione era che mentre confessava o s'aggirava per le vie <strong>del</strong>la<br />
città il santo calava il cappuccio avanti agli occhi.<br />
Qualcuno però, anzi in questo caso qualcuna, che era abituata a confessarsi da lui,<br />
non può fare a meno di dire che, quando gli «sedeva vicino per confessarsi », aveva<br />
l'impressione di essere vicina a un angelo (Processo, teste 83, p. 232).<br />
Ho discorso un poco <strong>del</strong>le virtù umane <strong>del</strong> santo perché convinto che sono<br />
proprio esse a rivelare un aspetto profondo <strong>del</strong>la sua personalità e a spiegare il fascino<br />
che essa esercitava intorno a sé. Verrebbe la voglia di dire che era un figlio autentico<br />
<strong>del</strong>la sua terra marchigiana, mite e dolce come i colli che la rallegrano, erede<br />
privilegiato <strong>del</strong>le qualità migliori <strong>del</strong>la sua gente. Quante volte dall'alto dei colli<br />
dov'era nato o era vissuto - Sant'Angelo, Montegiorgio, Fermo, Cingoli, Recanati -<br />
avrà contemplato le valli stupende o l'ampia distesa dei monti digradanti<br />
dall'Appennino al mare, mentre nel cuore gli esplodeva l'inno a Dio per le bellezze<br />
<strong>del</strong> creato, e queste gli si stampavano nell'animo innocente e buono dilatandolo con i<br />
sentimenti più alti <strong>del</strong>l'amore, <strong>del</strong>la gioia, <strong>del</strong>la lode! Dirà qualcuno: poesia! Forse.<br />
Ma è soprattutto la rispondenza profonda che c'è nell'animo <strong>del</strong> santo tra le bellezze<br />
esteriori <strong>del</strong>la natura e quelle interiori <strong>del</strong>la grazia. Solo il santo può goderne<br />
pienamente perché possiede l'occhio limpido e profondo degli amici di Dio.<br />
L'agiografia cristiana è piena di questa esaltante ammirazione <strong>del</strong>la natura da parte<br />
dei santi. Chi non ricorda alcune pagine immortali <strong>del</strong>le Confessioni di Sant'<strong>Agostino</strong><br />
e il Cantico <strong>del</strong>le creature di San Francesco? Non solo poesia dunque, ma alta<br />
spiritualità che trascende l'estetica, benché non l'escluda, per raggiungere le alte vette<br />
<strong>del</strong>la mistica.<br />
30
CAPITOLO V<br />
L'UOMO DELLA VITA COMUNE<br />
Occorre mettere in rilievo un altro aspetto <strong>del</strong>le qualità umane di Nicola - sempre<br />
coniugate, è inutile ripeterlo, con quelle soprannaturali -, se si vuole capirlo<br />
pienamente: lo chiamerei il senso <strong>del</strong>la vita comune, che ebbe, lo vedremo subito, in<br />
grado eminente.<br />
Parlo di senso, e voglio dire: prontezza, attenzione, disponibilità, cura costante di<br />
captare ciò che favorisce la vita comune o la può raffreddare, e la <strong>del</strong>icata sensibilità<br />
per seguire quello ed evitare questo.<br />
Quanto questo senso sia prezioso per uno votato alla vita cenobitica, specialmente<br />
per un agostiniano che lo trova nella Regola come fulcro di tutto l'ideale religioso, è<br />
inutile dirlo. Non si può però non ricordare che la vita comune, fondata sulla carità<br />
oblativa che tende a stabilire quella reciproca, nella quale propriamente consiste<br />
l'amicizia, ha bisogno di una forte carica umana e di tante, se così posso esprimermi,<br />
piccole virtù quotidiane che l'alimentino e la rafforzino, impedendole di appiattirsi in<br />
una coabitazione più o meno accomodante o coatta. Prima di tutto ha bisogno di<br />
quella, importantissima, che consiste nel saper godere con chi gode.<br />
1. «GAUDERE CUM GAUDENTIBUS»<br />
Questo precetto apostolico, di non facile applicazione, si basa su quella nobiltà di<br />
animo che non conosce l'invidia e non conosce perciò quel corteo abominevole di vizi<br />
che l'invidia comporta, ma è sempre pronta, anzi desiderosa di fare oggetto <strong>del</strong>la<br />
propria gioia il bene altrui, anche quello che uno non possiede o non vuol possedere.<br />
Non per nulla i testi <strong>del</strong> processo ci ricordano che tra le tante qualità di Nicola<br />
c'era anche questa: non era invidioso. Uno dei suoi superiori, poi, il p. Natimbene, ci<br />
dà questa descrizione <strong>del</strong> suo spirito comunitario: «Benché Fr. Nicola fosse uomo di<br />
grande astinenza, godeva molto quando il <strong>Priore</strong> rallegrava i frati dando loro un pasto<br />
abbondante, specialmente quando erano stanchi per il gran da fare, come nei giorni di<br />
festa. Più volte, continua il teste, mi pregò, quando ero priore <strong>del</strong> convento - il teste<br />
dunque era ben informato -, che avessi un occhio di riguardo per i frati che si<br />
affaticavano molto nel servizio in Chiesa e fornissi loro buone pietanze in maniera<br />
che potessero vivere con sollievo». Parlando inoltre dei forestieri continua: «Quando<br />
venivano i frati forestieri ugualmente mi pregava che li onorassi e li provvedessi di<br />
cibo e di bevanda meglio degli altri frati. E molto godeva quando vedeva i confratelli<br />
<strong>del</strong> convento e gli altri godersela un poco» (Processo, teste 9, p. 91).<br />
Insistente, come si vede, questo tema <strong>del</strong> godere, che, trattandosi <strong>del</strong> bene altrui, è<br />
indice non solo d'una carità squisita e <strong>del</strong>icata, ma anche, come si è detto, d'un animo<br />
nobile e libero dai torbidi sentimenti <strong>del</strong> male.<br />
L'atteggiamento di Nicola verso gli ospiti viene espresso dal primo biografo con<br />
queste lapidarie parole: «Accoglieva volentieri i confratelli ospiti come angeli» (Vita,<br />
4, 28). Vero figlio di <strong>Agostino</strong>. Si sa quanto il vescovo di Ippona abbia onorato<br />
31
l'ospitalità. Dice Possidio nella Vita Augustini, che «usava d'una mensa frugale e<br />
parca, che ammetteva talvolta, fra erbaggi e legumi (che sarà il vitto abituale di<br />
Nicola), anche le carni, per riguardo agli ospiti e ai fratelli più deboli» (Vita Aug.<br />
22,2). Si sa poi che per esercitare un'ospitalità più aperta verso quelli che venivano a<br />
visitarlo o erano di passaggio si trasferì, appena fatto vescovo, dal monastero dei<br />
laici, che aveva fondato e dov'era vissuto dall'ordinazione a presbitero d'Ippona,<br />
all'episcopio, che divenne anch'esso, ben presto, un monastero, il monastero dei<br />
chierici.<br />
Il culto di <strong>Agostino</strong> per l'ospitalità fu così grande che se ne impossessò la fantasia<br />
popolare e nacque la pia leggenda, immortalata spesso dai grandi pittori, - si pensi al<br />
Guercino nella bella chiesa di Sant'<strong>Agostino</strong> in Roma - di aver incontrato tra i suoi<br />
ospiti lo stesso Salvatore a cui, come faceva con gli altri, avrebbe lavato i piedi. Chi<br />
volesse saperne di più di questa leggenda, non meno bella di quella <strong>del</strong> bambino in<br />
riva al mare, dovrà cercare per suo conto.<br />
2. «FLERE CUM FLENTIBUS»<br />
Questo secondo precetto <strong>del</strong>l'Apostolo, anche se meno difficile <strong>del</strong> primo perché<br />
l'ipocrisia può contraffarlo più facilmente, è necessario alla vita comune. Questa è<br />
scelta, religiosamente, per godere insieme con maggior pienezza, nell'imitazione<br />
costante <strong>del</strong>la Chiesa celeste, dei frutti <strong>del</strong>lo Spirito Santo che sono, principalmente,<br />
l'amore, la gioia, la pace. Troppe volte a causa dei limiti e <strong>del</strong>la debolezza umana, la<br />
vita comune è turbata dall'egoismo che divide e dalla tristezza che abbatte. Pertanto il<br />
buon umore<br />
e la «compassione» sono qualità preziose per riportare la luce dove sono entrate le<br />
tenebre.<br />
Dice <strong>del</strong> nostro santo il primo biografo: «Per i mesti era letizia, per gli afflitti<br />
consolazione, per i divisi pace, per gli affaticati ristoro, per i poveri aiuto, per i<br />
prigionieri rimedio singolare» (Vita, 4,28). C'è <strong>del</strong>la retorica, e un po' gonfia, in<br />
questa enumerazione, ma in fondo ha ragione: i testi <strong>del</strong> processo a modo loro<br />
confermano quanto scrive il biografo. Uno di essi, che abbiamo ascoltato sopra a<br />
proposito <strong>del</strong>la benignità e <strong>del</strong> senso di umanità di Nicola, ci assicura che «era<br />
compassionevole e si doleva molto dei bisogni dei frati e <strong>del</strong>le loro infermità, e<br />
godeva molto <strong>del</strong>le loro gioie» (Processo, teste 3, p. 77).<br />
Mentre un altro, narrandoci una sua esperienza personale, depone: «Era molto<br />
benigno ed umile nel trattare e gran consolatore degli afflitti e degli infermi. Io<br />
stesso, essendomi ammalato in detto luogo - parla di Piaggiolino, un eremo nel<br />
comune di Mondolfo di origine brettinese - venivo visitato e consolato ogni giorno<br />
dal padre Nicola, e ne restavo molto consolato; infatti durante quella malattia ero in<br />
pericolo di vita e piangevo molto» (Processo, teste 154, p. 372). Il teste è Fr.<br />
Guglielmo da Montelparo, professore di teologia nel patrio convento agostiniano.<br />
Un terzo, che aveva avuto padre Nicola come maestro dei novizi ed era stato con<br />
lui in molti conventi - lo abbiamo ricordato -, dichiara che era «molto caritatevole,<br />
compassionevole e paziente » (Processo, teste 217, p. 463). Preziose virtù, queste,<br />
32
che facevano <strong>del</strong> nostro santo un mo<strong>del</strong>lo di vita comune. Ma ne aveva anche un'altra<br />
più preziosa e insieme più <strong>del</strong>icata, che rivelava il fondo <strong>del</strong>la sua ricca umanità.<br />
33
3. IL SENSO DELICATO DELL'AMICIZIA<br />
Spesse volte, parlando <strong>del</strong>la vita comune, particolarmente <strong>del</strong>la vita comune<br />
intesa come <strong>Agostino</strong> l'intese - un sol cuore ed un'anima sola -, si confonde tra carità<br />
ed amicizia. La seconda non può stare senza la prima, ma la prima non s'identifica<br />
con la seconda. Tutt'altro! Quando ci si comanda di amare i confratelli anche se non<br />
ci sono simpatici, di sopportarne i difetti anche se sono fastidiosi, di dissimularne le<br />
stranezze anche se sono frequenti, non si tratta di amicizia, si tratta di carità. Di quella<br />
carità che è, secondo San Paolo, «paziente, benigna, non invidiosa..., che non tiene<br />
conto <strong>del</strong> male ricevuto... tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor.<br />
13, 4-7).<br />
L’amicizia invece, quella vera, cioè, secondo <strong>Agostino</strong>, quella cristiana, è<br />
qualcosa di più alto e, starei per dire, di più sacro. È amore corrisposto - senza<br />
reciprocità infatti non c’è amicizia -, amore che presuppone la stima, ed è insieme<br />
fiducioso, confidente, stabile, sicuro, gioioso. La carità tende a creare questa bella<br />
amicizia, ma non sempre, qui in terra, vi riesce. Allora soccorrono - o devono<br />
soccorrere - le prerogative <strong>del</strong>la carità descritte dall’Apostolo. <strong>Agostino</strong> lo sa, lo<br />
mette in pratica per suo conto e lo raccomanda ai suoi discepoli. Sarebbe istruttivo<br />
rievocarne l’esperienza e l’insegnamento - commovente e molteplice quella,<br />
illuminante e profondamente umano questo -, ma non è possibile, anche se, per chi<br />
scrive, la tentazione è grossa. Basti dire qui che il bisogno struggente <strong>del</strong>l’amicizia e<br />
la necessità di vivere, per amor di Cristo e <strong>del</strong>la Chiesa, lontano dagli amici più cari o<br />
in compagnia di quelli con i quali, per una ragione o per l’altra, una relazione di vera<br />
amicizia non si poteva, a parlar propriamente, stabilire, costituiscono gli aspetti più<br />
affascinanti e spesso più inediti <strong>del</strong>l’animo di <strong>Agostino</strong>. In essi rifulge, più che<br />
altrove, la sua profonda umanità e le risorse inesauribili <strong>del</strong> suo grande cuore. Quante<br />
volte, pur vivendo in comune, sentì il pungolo <strong>del</strong>la solitudine - di quella orizzontale,<br />
voglio dire, perché quella verticale non la conobbe mai -, o il dolore di non aver<br />
capito, anzi non raramente di veder tradito il suo ideale!<br />
In quanto al nostro santo no solo godette <strong>del</strong>l’amore dei suoi confratelli - e come<br />
si poteva non amare un uomo tanto amabile che preveniva tutti con l’amore? -, ma<br />
anche più propriamente, <strong>del</strong>la loro amicizia, di quella di alcuni almeno. Lo deduco da<br />
un fatto singolare. Si sa che una <strong>del</strong>le gioie più grandi <strong>del</strong>l’amicizia - come pure uno<br />
dei segni più veri -, sia quella di avere qualcuno a cui confidare un segreto. Ora molti<br />
episodi <strong>del</strong>la vita di Nicola li conosciamo solo dalle sue confidenze. Ebbe dunque<br />
degli amici a cui farle; e le fece con la certezza di essere compreso senza il pericolo<br />
che ne soffrisse la sua umiltà, cioè con quella serena fiducia che è propria<br />
<strong>del</strong>l'amicizia.<br />
Mi riferisco alla visione <strong>del</strong> Bambino Gesù nell'Eucaristia che Nicola confidò al<br />
fratello religioso che lo serviva nella sua infermità. Questi narra - e il primo biografo<br />
riferisce - che un giorno Nicola gli disse: «Figliuolo, l'innocenza, purtroppo, si perde<br />
col crescere degli anni. Io stesso che sono quel peccatore che tu conosci, quando mi<br />
trovavo nell'età <strong>del</strong>l'innocenza, in chiesa dov'ero solito andare, mentre il sacerdote<br />
celebrante innalzava secondo il costume il Corpo <strong>del</strong> Signore, con questi miei occhi<br />
ho visto apertamente il Bambino Gesù bellissimo in viso, vestito di splendore e<br />
34
sorridente nell'aspetto che mi diceva: gli innocenti e i retti sono uniti a me. Ma<br />
quando raggiunsi l'età adulta, fui privato di questa visione tanto gioconda» (Vita, 1,6).<br />
Per quanto la narrazione sia stata fatta non per mettere in rilievo il fatto stesso ma<br />
piuttosto la sua cessazione, costituisce sempre una confidenza che non si fa se non ad<br />
uno di cui si abbia fiducia e che si consideri veramente amico. E tale doveva essere<br />
quel pio religioso che con tanta amorevolezza e devozione gli era vicino e lo serviva.<br />
Purché non si voglia credere che Nicola, uomo maturo, confessore e predicatore,<br />
fosse tanto ingenuo da credere che la visione <strong>del</strong> Bambino Gesù nella Eucaristia<br />
fosse, nello stato <strong>del</strong>l'innocenza, privilegio di tutti.<br />
Mi riferisco poi ad un'altra confidenza, quella riguardante la voce celeste che lo<br />
confermò nella sua vocazione e gli predisse che sarebbe morto a Tolentino. Ho<br />
ricordato sopra l'episodio narratoci dal primo biografo a cui non abbiamo ragione di<br />
non credere. Un altro segreto dunque confidato a qualcuno dei suoi più intimi. Chi<br />
infatti può averlo rivelato se non Nicola stesso che solo ne ebbe l'esperienza?<br />
Una terza confidenza è quella <strong>del</strong>la stella. Il fatto è noto: ce lo narra il primo<br />
biografo (Vita, 4, 30-32) ed è passato nella iconografia. Nicola vide sovente, in<br />
sogno, una stella luminosa che, sorgendo dal suo paese nativo, volgeva verso<br />
Tolentino e sostava sopra l'oratorio di Sant'<strong>Agostino</strong>. Il ripetersi <strong>del</strong> sogno e l'oscurità<br />
<strong>del</strong> significato lo indussero a confidarlo candidamente ad un confratello. Lo confidò,<br />
è vero, per averne una spiegazione, ma il santo non poteva non pensare che il sogno<br />
si riferisse in qualche modo alla sua vita, il confidarlo dunque, sia pur per avere una<br />
spiegazione più precisa, diventava un atto di grande confidenza che non si dà se non<br />
nell'ambito di un rapporto grande di vera amicizia.<br />
Il quarto caso è quello <strong>del</strong>la visione avuta nell'ultima malattia. Ma di questa<br />
parlerò nelle ultime pagine di questo breve profilo.<br />
4. FUORI DELLA CERCHIA DELLA COMUNITÀ<br />
Giacché sto parlando <strong>del</strong>l'amicizia, è forse utile domandarsi se Nicola la coltivò<br />
anche fuori <strong>del</strong>la cerchia <strong>del</strong>la comunità. L'argomento può servire a fissare un aspetto<br />
nuovo <strong>del</strong>la sua umanità veramente ricca. Che avesse tanti devoti è certo, ma quali di<br />
essi e quanti si possono considerare amici? Non è facile rispondere. Non è facile,<br />
dico, distinguere tra la devozione che raggiunge i limiti <strong>del</strong>l'amicizia e quella, invece,<br />
che resta solo nell'ambito <strong>del</strong>la stima, <strong>del</strong>l'ammirazione e <strong>del</strong>la venerazione.<br />
Applicando il criterio adottato sopra, si può stabilire in qualche caso che la<br />
devozione diventava amicizia, come nel caso di Berardo Appillaterra. Egli si permise<br />
nei riguardi di Nicola certe audacie che solo l'amicizia data e corrisposta può<br />
giustificare. Gli chiese, per esempio, se erano vere le voci che correvano sulla sua<br />
nascita per intercessione <strong>del</strong> santo di Bari. Nicola gli rispose e gli narrò in tutta<br />
confidenza quanto aveva sentito dai suoi genitori -quello che è passato poi nel<br />
processo: il lettore può rileggerlo sopra (p. 23) -, e concluse con le parole che<br />
indicano appunto fiducia e amicizia: «Non volerne sapere di più in questa materia e<br />
non dire ad alcuno ciò che ti ho detto» (Processo, teste 16, P. 118).<br />
35
Un'altra volta saputo dalla moglie Margherita che il santo era stato bastonato dal<br />
diavolo, corse da lui e chiese ed ottenne - ottenne con l'intervento <strong>del</strong> priore, ma<br />
ottenne - di vedere le ferite. Dopo avergliele mostrate, Nicola, supplichevole,<br />
soggiunse: «Ti prego, Berardo, per l'amore di Dio e per l'amore che mi porti, non dire<br />
nulla a nessuno» (ivi, p. 122). Il teste poteva dirsi, ed era veramente, «amico speciale<br />
e devoto» <strong>del</strong> santo (ivi, p. 118).<br />
L'amicizia fu corrisposta, non solo con queste particolari confidenze, che non si<br />
fanno, lo ripeto, se non agli amici, ma anche col potere taumaturgico che Nicola usò<br />
più volte per la famiglia <strong>del</strong>l'amico.<br />
Il teste li narra nel processo con profonda gratitudine e commozione (ivi, pp. 124-<br />
128). Narra altresì che si prese cura <strong>del</strong>la salute <strong>del</strong>l'amico, anche se gli giocò il tiro<br />
di costringerlo, con l'obbedienza scritta <strong>del</strong> padre Provinciale, a mangiare carne (ivi,<br />
p. 120; vedi sotto p. 75), e che fu presente non solo alla morte ma anche alle prime<br />
pietose cure che furono prese <strong>del</strong> corpo <strong>del</strong> defunto. Fu infatti sua moglie a lavargli le<br />
mani e i piedi, la quale volle conservare gelosamente l'acqua <strong>del</strong>la lavatura in una<br />
bacinella: l'acqua continuò e continua ancora, dice il teste nel processo, - dunque<br />
dopo 20 anni - a conservarsi chiara e fresca come se fosse stata attinta da poco alla<br />
fonte (ivi, p. 129; Vita, 4, 38).<br />
Nicola non fu dunque solo un apostolo, ma anche un amico. Nel suo apostolato<br />
portava tutta la carica <strong>del</strong> suo amore e, quando le circostanze lo permettevano, <strong>del</strong>la<br />
sua amicizia; un'amicizia che non turbava ma allargava quella <strong>del</strong>la comunità<br />
religiosa e la faceva ridondare a suo beneficio. Così l'alto ideale <strong>del</strong>l'amicizia<br />
perseguito secondo la Regola all'interno <strong>del</strong>la comunità agostiniana, per merito<br />
soprattutto <strong>del</strong> santo, si dilatava all'esterno e diventava fermento di unità <strong>del</strong>la società<br />
ecclesiale e civile. Come <strong>Agostino</strong> aveva voluto che fosse ogni sua comunità di<br />
consacrati.<br />
36
CAPITOLO VI<br />
UOMO DI STUDIO?<br />
Le fonti sono molto avare in proposito, ma qualche ragionevole supposizione<br />
bisogna pur farla. Ci mette sulla buona strada l'articolo 22 <strong>del</strong> processo, che dice - e i<br />
testi confermano -che Nicola «non si saziava mai <strong>del</strong>la mirabile dolcezza <strong>del</strong>la parola<br />
di Dio sia nella predicazione che nella conversazione: praedicatione et eloquio»<br />
(Processo, p. 21). Ritroviamo le stesse parole nel primo biografo, il quale aggiunge<br />
un avverbio prezioso: «continuo praedicare et loqui» (Vita, 4, 28). Segno evidente<br />
che si trattava d'un particolare importante, anzi fondamentale. Dunque Nicola<br />
conosceva bene la parola di Dio, dunque ne parlava senza stancarsi sia predicando<br />
che conversando, dunque le sue lunghe preghiere non erano solo preghiere vocali, ma<br />
lettura e meditazione <strong>del</strong>la Scrittura, dunque aveva, non foss'altro, la grande cultura<br />
che deriva dalla conoscenza, così preziosa e così necessaria, <strong>del</strong>la Bibbia. Tutto<br />
questo lo concludiamo da noi, e legittimamente, ma i commissari ci hanno aiutato<br />
poco.<br />
Purtroppo i commissari non hanno chiesto ai testi di più di quanto contenevano<br />
gli articoli, che essi si limitavano, di solito, a confermare. Eppure avrebbero potuto<br />
saperne molto di più se avessero chiesto di più. Quando poi si sono ricordati di<br />
chiedere qualcosa che andava fuori <strong>del</strong> contesto degli articoli, la domanda è stata così<br />
generica e la risposta così secca che possiamo concluderne ben poco. Hanno chiesto:<br />
Nicola era una persona letterata o illetterata? La domanda oltre che generica è anche<br />
ambigua. Essa può significare due cose: se fosse colto, dotto, uomo di studio o<br />
semplicemente se sapesse leggere e scrivere e in molti casi, come nel nostro, se<br />
sapesse di latino. Evidentemente, i commissari, trattandosi d'un sacerdote, la intesero<br />
nel primo senso, ma uno dei testi a cui la domanda fu rivolta sembra averla intesa nel<br />
secondo. Rispose infatti: letterato; ma richiesto di come lo sapesse, continuò: più<br />
volte l'ho visto dire la Messa. Il teste, Fr. <strong>Agostino</strong> da Tolentino, che era<br />
probabilmente un fratello illetterato, cioè, per dire la brutta parola, analfabeta - ce<br />
n'erano non pochi, allora -, non deve aver capito la domanda nel senso giusto, ma ciò<br />
non toglie che dalla sua risposta non possiamo trarre vantaggio per risolvere il nostro<br />
quesito. L'altro può aver capito bene, cioè nel primo senso, ma la risposta troppo<br />
breve: persona letterata, non dice molto per noi (Processo, teste 271, p. 561; teste<br />
267, p. 552). Che avesse la fama di dotto? Può essere. Ma la conclusione dev'essere<br />
confermata aliunde. Per venire a capo in qualche modo e saperne qualcosa di più,<br />
occorre seguire altre piste.<br />
1. FORMAZIONE CULTURALE<br />
La prima è quella <strong>del</strong>la formazione culturale. Nicola ne ricevette una<br />
indubbiamente solida. Quei buoni religiosi, usciti dagli eremi dove lo studio non era<br />
d'impellente necessità, compresero che esso diventava indispensabile per l'apostolato<br />
37
- apostolato ministeriale e apostolato scientifico - e per la conoscenza di quel Grande<br />
di cui volevano rivivere e continuare lo spirito, e che chiamavano Padre.<br />
Il card. Ehrle scrive che dopo il 1256 gli agostiniani si diedero con «sorprendente<br />
prontezza» agli studi da porsi in prima fila con i domenicani e i francescani; e<br />
riferendosi a Parigi, grande centro di studi, dice che «li coltivarono con tale impegno<br />
che già dagli ultimi decenni <strong>del</strong> secolo ebbero in Parigi una posizione rispettata» (F.<br />
Ehrle, I più antichi statuti..., p. 94). Non v'è dubbio che di questa sorprendente<br />
fioritura di studi usufruì il nostro Nicola.<br />
Le scuole erano sostanzialmente organizzate così: grammatica, logica, teologia.<br />
La grammatica comprendeva i primi elementi <strong>del</strong> sapere, di cui i principali erano:<br />
imparare a leggere e conoscere il latino; la logica, in cui tenevano il campo le opere<br />
di Aristotele con l'Isagoge di Porfirio e alcuni scritti di Boezio, consisteva nella<br />
logica propriamente detta, nella filosofia naturale e nella metafisica; la teologia aveva<br />
per base lo studio <strong>del</strong>la Scrittura e la conoscenza dei quattro libri <strong>del</strong>le Sentenze di<br />
Pietro Lombardo, che era testo di scuola, il quale proponeva i grandi temi <strong>del</strong>la<br />
Rivelazione - Dio-Trinità, creazione e peccato, incarnazione e redenzione, sacramenti<br />
-, illustrandoli con i testi dei Padri, particolarmente e soprattutto di Sant'<strong>Agostino</strong>.<br />
Nicola seguì certamente questa trafila occupando negli studi circa 15 anni, da<br />
quando entrò nell'Ordine (1259) a quando fu ordinato sacerdote (1274).<br />
I centri di studio nell'Ordine erano di due categorie: «studi generali » e «studi<br />
<strong>del</strong>la provincia». I primi, soggetti al Padre Generale e aperti agli studenti di tutto<br />
l'Ordine, importavano un programma di studio più impegnato e, uniti in genere a<br />
centri universitari - si pensi a Parigi, a Bologna, a Padova, a Oxford -, terminavano<br />
con i gradi accademici di lettore o di maestro. Gli studi <strong>del</strong>la provincia invece<br />
avevano un livello più modesto, come preparazione al sacerdozio, ma sempre serio e<br />
solido. «In ciascuno di questi studi - dicevano le Costituzioni - ci siano due lettori,<br />
uno dei quali spieghi la sacra Scrittura, diriga le tesi o discussioni dottrinali nel tempo<br />
opportuno, faccia qualche lezione di filosofia secondo che lo reputi utile agli studenti<br />
e ordini e diriga lo studio con la dovuta diligenza. Il secondo esponga i libri <strong>del</strong>le<br />
Sentenze e dia lezioni di logica e di filosofia secondo che lo richiedano le necessità<br />
degli studenti» (Const. R. n. 340).<br />
Nicola ha seguito gli studi in provincia: nulla autorizza a pensare che sia stato<br />
inviato in qualcuno degli studi generali sorti in Italia nei primi decenni, o forse nel<br />
primo, dopo la grande unione (1256). Si sa che il primo di essi fu quello di Parigi che<br />
risale al 1260.<br />
Ma l'aver frequentato gli studi in provincia - e forse proprio a Tolentino - non<br />
toglie che essi siano stati seri, anzi severi. Si ricordi che nel 1269, quando Nicola<br />
sedeva sui banchi <strong>del</strong>la scuola, era provinciale il B. Clemente da Osimo, il quale,<br />
diventato generale, fu uno dei più grandi promotori degli studi nell'Ordine: non può<br />
non averli promossi, prima, nella provincia.<br />
Del resto - e questo conta di più - il nostro santo fu un confessore ricercato e un<br />
predicatore molto seguito: ora le prime Costituzioni, che codificarono le usanze<br />
vigenti nell'Ordine, prescrivevano che non si deputassero a confessare se non religiosi<br />
«di buona fama e di sufficiente dottrina» e non si permettesse il ministero <strong>del</strong>la<br />
38
predicazione se non a religiosi «probi e dotti». E tutto questo non benevolmente<br />
supposto, ma severamente comprovato con un esame.<br />
Ecco il testo riguardante la predicazione: «Non sia permesso di predicare la<br />
parola di Dio se non a uomini probi e sufficientemente istruiti (cioè dotti). Perciò il<br />
priore provinciale e i definitori <strong>del</strong> capitolo provinciale ingiungano a due lettori<br />
(professori) di esaminare quelli che devono predicare e di concedere licenza di<br />
predicare solo a quelli che sono stati approvati e non ad altri. Chi osasse predicare<br />
senza questa autorizzazione per ogni volta sia punito con tre giorni di digiuno a pane<br />
e acqua nella settimana, in mezzo al refettorio, sedendo sulla nuda terra, e questo<br />
"sine ulla misericordia" (Const. R. n. 360). Lo stesso dicasi per le confessioni. Si può<br />
esser certi che il nostro santo ha subito questi esami e ha dato buona prova sua<br />
scienza.<br />
2. CASA DI STUDIO<br />
Voglio rilevare un altro particolare. Tolentino era casa di studio. Frate Vittore di<br />
Camerino, che quando deponeva nel processo era lettore e priore a Pesaro, fu<br />
mandato a Tolentino ad studendum in grammaticalibus et postmodum etiam... in<br />
logicalibus et in teologia quando c'era ivi Nicola. E tornato dallo studio generale col<br />
titolo di lettore fu mandato di nuovo a Tolentino ad insegnare (Processo, teste 148, p.<br />
357).<br />
Dunque Tolentino era una casa di studio <strong>del</strong>la Provincia. Non voglio dire che il<br />
nostro santo vi sia stato professore, per non dire a mio rischio ciò che la storia, con<br />
evidente disinteresse e distrazione, non ha detto, ma non so pensarlo estraneo al clima<br />
di studio che c'era in quella casa. Egli, predicatore e confessore, non poteva essere<br />
esempio solo di osservanza regolare senza un particolare amore allo studio.<br />
Del resto le Costituzioni daranno al superiore una norma preziosa sull'amore<br />
verso gli studi. «Il priore <strong>del</strong>la casa di studio, come ama l'onore e lo stato <strong>del</strong>l'Ordine,<br />
così fomenti con sollecitudine ed ardore lo studio, assista gli studenti con<br />
benevolenza e favore e a ciò induca e obblighi i membri <strong>del</strong>la comunità: suos<br />
conventuales inducat et adstringat» (Const. R. n. 345). Si può essere certi che Nicola<br />
non aveva bisogno di essere spinto.<br />
Nel suo processo depongono 23 confratelli, dei quali almeno 6 lettori, ossia<br />
professori. Non parlano di studi perché sull'argomento non c'era, purtroppo, un<br />
articolo tra quelli <strong>del</strong> processo. Ma la loro presenza non può significare un omaggio a<br />
chi aveva condiviso con loro l'ansia <strong>del</strong>lo studio? Sia come sia. Nicola non viveva<br />
nella piccola comunità d'un villaggio sperduto in mezzo a pii contadini o boscaioli ai<br />
quali oltre l'esempio <strong>del</strong>l'ascetismo e <strong>del</strong>la preghiera poteva essere sufficiente la<br />
spiegazione <strong>del</strong> catechismo, ma viveva in una città dove un ambiente culturale non<br />
poteva mancare: salendo il pulpito Nicola non poteva<br />
non tenerne conto. La risposta affermativa di mastro Tommaso Bartolucci da<br />
Tolentino alla domanda se Nicola era un uomo di lettere dev'essere presa nei senso<br />
forte: un uomo colto, un uomo dotto.<br />
39
Se poi qualcuno si domanda quando Nicola poteva studiare se pregava tanto,<br />
rispondo che i santi trovano sempre il tempo per fare tante cose. Dei resto pregare<br />
non vuol dire solo preghiera orale, ma anche «lectio divina », cioè ascolto <strong>del</strong>la<br />
parola di Dio, meditazione, studio, ricerca.<br />
40
CAPITOLO VII<br />
L’ASCETA<br />
L'ascetismo è una parte integrante e insostituibile <strong>del</strong> cristianesimo. Le parole di<br />
Gesù sono esplicite: «Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua<br />
croce e mi segua». Senza questa condizione non si può essere suoi discepoli. La vita<br />
religiosa lo conferma. Essa viene abbracciata per tendere più liberamente e più<br />
integralmente a Dio -vivere Deo o, come dice arditamente <strong>Agostino</strong>, indiari in otio -,<br />
ma suppone l'ascetismo, un ascetismo forte, profondo, generale, quello dei voti<br />
religiosi che investono tutto l'essere <strong>del</strong> consacrato.<br />
Su questo punto <strong>del</strong>l'ascetismo siamo molto informati: Nicola ci appare prima di<br />
tutto un grande asceta. Il processo vi ha insistito con una compiacenza tutta<br />
medievale quando si era abituati a vedere il santo soprattutto sotto il profilo <strong>del</strong>la<br />
fuga dal mondo e <strong>del</strong> lottatore contro le forze <strong>del</strong> male. L'accentuazione un po'<br />
eccessiva di quest'aspetto - ad esso son dedicati ben 3 articoli - può aver deformato in<br />
parte la figura <strong>del</strong> santo facendone dimenticare altri che sono pur essi essenziali e la<br />
completano.<br />
In ogni caso il suo ascetismo, anche se austero, è insieme sapiente e moderato<br />
come quello <strong>del</strong> suo padre spirituale.<br />
1. GLI ESEMPI DI AGOSTINO<br />
Mi riferisco ad <strong>Agostino</strong> convertito, il quale si consacrò a Dio e all'ascetismo.<br />
Questo gli permetteva la grande opera <strong>del</strong>la purificazione interiore, condizione<br />
essenziale per salire verso il sospirato possesso <strong>del</strong>la verità suprema, che è Dio.<br />
Ritiratosi a Cassiciaco (probabilmente nella Brianza) per prepararsi al battesimo,<br />
passava il giorno nelle discussioni filosofiche, nello studio <strong>del</strong>le Scritture, nella cura<br />
<strong>del</strong>le faccende domestiche, trascorreva metà <strong>del</strong>la notte nella meditazione, usava una<br />
mensa tanto parca che «l'inizio coincideva con la fine» (Contra Acad. 3,4,7).<br />
Tornato a Tagaste, «rinunciò ai suoi beni e insieme con quelli che s'erano a lui<br />
uniti, viveva per Dio - vivebat Deo - nei digiuni, nelle preghiere, nelle buone opere,<br />
meditando giorno e notte la legge <strong>del</strong> Signore» (Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong>, 3, 1-2).<br />
Divenuto contro sua voglia sacerdote e poi vescovo, non abbandonò il suo ideale<br />
monastico: visse da monaco insieme a monaci. Conosciamo bene, in grazia <strong>del</strong> primo<br />
biografo, l'amico e confidente Possidio, il suo tenore di vita. Era inesorabile sulla<br />
povertà come rinuncia ad ogni proprietà e impegno di vita comune. Benché vescovo<br />
si serviva <strong>del</strong>la mensa e <strong>del</strong> guardaroba comune. Non soffriva di portare una veste<br />
che non potesse portare l'ultimo dei suoi chierici. In quanto al vitto, dice Possidio,<br />
«usava d'una mensa frugale e parca che ammetteva talvolta, fra erbaggi e legumi,<br />
anche le carni per riguardo agli ospiti e ai fratelli più deboli; sempre poi aveva il<br />
vino» (Possidio, Vita, 22, 7). Erbaggi e legumi erano dunque il vitto ordinario <strong>del</strong><br />
vescovo <strong>Agostino</strong>: gli stessi saranno, come vedremo, di Nicola. La carne e il vino<br />
41
erano usati per un dovere di ospitalità e per una sfida aperta al manicheismo che li<br />
condannava come opera <strong>del</strong> diavolo.<br />
Si sentiva ed era veramente povero: «povero di Dio» o, com'egli stesso dice<br />
anche, «minimo di Cristo». Ma si ricordava sempre dei «compagni di povertà»<br />
(compauperum) «e per dare a loro attingeva ai medesimi proventi che servivano a lui<br />
e a quelli che abitavano con lui» (Possidio, ivi, 23,1).<br />
Dalla stessa fonte erano alimentati i poveri volontari che vivevano in comune nel<br />
monastero e i poveri per condizioni sociali che vivevano fuori.<br />
Chi poi volesse sapere con quanta cura custodisse i suoi sensi e la vita interiore<br />
dovrebbe leggere il libro 10° <strong>del</strong>le sue Confessioni che nella seconda parte contiene<br />
un minuzioso e spietato esame di coscienza a questo proposito.<br />
Nicola si mise decisamente su questa scia. L'esempio <strong>del</strong> «beato <strong>Agostino</strong> » era<br />
per lui uno stimolo e un ammonimento per custodire gelosamente i voti e per imitare<br />
più da vicino il Divino Maestro.<br />
2. L'ASCETISMO DEI VOTI<br />
Si sa che i voti nascono da un grande atto di amore. È l'amore, diceva <strong>Agostino</strong>,<br />
che crea le anime consacrate; e di se stesso: «Ormai io te solo amo, te solo seguo, te<br />
solo cerco e sono disposto ad essere soggetto a te soltanto, poiché tu solo eserciti con<br />
giustizia il dominio, ed io desidero essere di tuo diritto» (Solil. 1, 1, 5).<br />
Questa appartenenza totale ed esclusiva a Dio che si esprime con i voti religiosi di<br />
castità, povertà e obbedienza nasce dunque da un amore sovrabbondante, ma non può<br />
essere custodita se non con altrettanto amore che impegni la persona consacrata in<br />
uno sforzo ascetico sincero e continuo.<br />
Con quanto amore Nicola abbia consacrato a Dio il fiore <strong>del</strong>la sua giovinezza e<br />
tutta la sua vita possiamo bene immaginarlo, ma le fonti non ci aiutano molto. Molto<br />
invece ci aiutano per capire la fe<strong>del</strong>tà, l'impegno e la perseveranza con cui fece dei<br />
voti religiosi la ragione stessa <strong>del</strong>la sua vita.<br />
a) Custodia <strong>del</strong>la castità. Sappiamo che custodì gelosamente la castità con la<br />
ritiratezza, la modestia, la mortificazione, la preghiera.<br />
Non usciva da casa se non per dovere di obbedienza o di carità: quando il priore<br />
lo mandava ad elemosinare il pane o quando si recava a visitare e confortare<br />
gl'infermi, cosa che faceva molto volentieri (Processo, teste 9, p. 91). Uscendo,<br />
calava il cappuccio sulla fronte e procedeva ad occhi bassi e con tanta umiltà da<br />
destare l'ammirazione di tutti. Un teste lo vedeva andare «multum remissum, semper<br />
cum capucio ante faciem tantum quod fere facies sua videbatur» (Processo, teste 77,<br />
p. 209). Lo stesso atteggiamento di umiltà e di modestia al confessionale; ma chi si<br />
avvicinava a lui aveva l'impressione di avvicinarsi ad un angelo (Processo, teste 83,<br />
p. 232).<br />
<strong>Alla</strong> ritiratezza e alla modestia si univano la mortificazione e la preghiera. Di<br />
questa, fulcro e anima di tutta la sua vita, dirò poco appresso. Qui un accenno alla<br />
mortificazione, che faceva di nascosto, ma che non gli fu possibile celare ai suoi<br />
42
confratelli e agli amici che lo frequentavano spesso come Mancino di Forte. Dormiva<br />
poco - penso non più di 3-4 ore, e forse dico troppo -, steso su uno scomodo<br />
pagliericcio, e prima di coricarsi si batteva con verghe e flagelli. Uno di questi<br />
strumenti glielo aveva confezionato, su sua richiesta, il confratello Matteo di<br />
Montolmo (Corridonia), vissuto con lui tanti anni a Tolentino, il quale testifica che<br />
dalla cameretta vicina dove dormiva sentiva i colpi calare sulle spalle <strong>del</strong> santo.<br />
Interrogato se Nicola facesse questo «con l'intenzione di castigare il suo corpo e<br />
resistere alle cattive tentazioni e alle concupiscenze carnali», rispose che lo faceva, a<br />
suo giudizio, «per poter servire integralmente e pienamente - integraliter et mere - a<br />
nostro Signore Gesù Cristo» (Processo, teste 368, p. 639).<br />
Questa risposta, che sembra sfuggire alla domanda, non la esclude ma la<br />
completa, indicando lo scopo più alto di quel tenore di vita - l'imitazione di Cristo e la<br />
piena appartenenza a Lui - e dando una testimonianza preziosa <strong>del</strong>l'equilibrio morale<br />
di Nicola.<br />
Le sue penitenze avevano, sì, lo scopo di assoggettare il corpo allo spirito perché<br />
questo fosse soggetto a Dio, come voleva il «beato <strong>Agostino</strong>», ma anche quello più<br />
alto di partecipare alle sofferenze <strong>del</strong>la passione di Cristo. Vedremo a suo luogo la<br />
grande devozione che Nicola nutriva verso il Crocifisso.<br />
Intanto, per continuare sulla linea <strong>del</strong>la mortificazione, le fonti ci fanno sapere<br />
che aveva in camera un sacchetto di fave sul quale piegava le ginocchia mentre<br />
pregava e che, finita la preghiera, nascondeva attentamente perché nessuno lo<br />
vedesse; scoperto per caso da un amico - il solito Mancino di Forte che lo aveva<br />
incontrato a Sant'Angelo e in tanti altri paesi prima che venisse a Tolentino -, e<br />
interrogato a che cosa servisse, si ebbe la risposta di tutto sapore evangelico:<br />
«Nascondilo e non dire niente a nessuno perché il Pater noster si deve dire in<br />
segreto» (Processo, teste 88, p. 258).<br />
Sappiamo anche che aveva in camera due lastre di marmo sulle quali mentre<br />
pregava posava le ginocchia e le braccia per essere più desto nella preghiera. La<br />
trovata, pur nella sua semplicità, deve aver fatto tanta impressione che i commissari<br />
le hanno dedicato, come si è visto, un apposito articolo nel processo, precisamente il<br />
19°.<br />
b) Pratica <strong>del</strong>la povertà. Non meno interessante e istruttivo è quanto ci dicono le<br />
fonti sull'amore e la pratica <strong>del</strong>la povertà evangelica. Nicola l'amò e la portò alle<br />
estreme conseguenze, quasi ai limiti <strong>del</strong>la miseria. Si sa che la Regola di<br />
Sant'<strong>Agostino</strong> era ed è molto severa. Infatti non solo esclude radicalmente ogni<br />
proprietà - il vescovo d'Ippona era inesorabile su questo punto -, ma prescrive anche<br />
che tutti vivano <strong>del</strong>la dispensa comune e si vestano dal guardaroba comune; anzi<br />
vuole, anche se fa, poi, sia pure a malincuore, un'eccezione per i più deboli, vuole,<br />
dico, che nessuno pretenda di riprendere le stesse vesti che ha mandato a lavare.<br />
Nicola era lieto di avere le vesti più logore e malconce, soprattutto se avevano<br />
qualche toppa qua e là. All'occasione le rammendava da sé, e si può esser certi che<br />
non fosse il più esperto dei sarti. L'atteggiamento «dimesso e umile» o anche<br />
«dimesso e onesto» - remissus et honestus - con cui si presentava girando per le vie<br />
43
<strong>del</strong>la città, dipendeva non solo dalle sue disposizioni interiori, ma anche dal suo<br />
vestito, pulito ma povero e forse sgualcito.<br />
c) Prontezza e ilarità <strong>del</strong>l'obbedienza. L'ascetismo religioso più profondo e, sarei per<br />
dire, più autentico è quello <strong>del</strong>l'obbedienza, con la quale pieghiamo il nostro volere<br />
ad un uomo per amor di Cristo che fu ubbidiente al Padre fino alla morte e alla morte<br />
di croce. L'autorità di comando nella vita religiosa non è arbitraria ma costituzionale;<br />
questo però non toglie che sia autorità e che sia comando che il religioso si è<br />
obbligato, con libera accettazione, ad accogliere ed eseguire.<br />
Se Nicola sapesse comandare non lo sappiamo, non sappiamo che sia stato mai<br />
superiore - e questo ci dispiace -, ma sappiamo che seppe ubbidire. P. Angelo da<br />
Santa Vittoria che era convissuto a lungo con lui ed era superiore <strong>del</strong>la comunità<br />
quand'egli morì, ci dice testualmente: «Mai quand'ero priore gli ho comandato<br />
qualcosa che il santo non abbia ubbidito e non abbia detto subito: Volentieri»<br />
(Processo, teste 10, p. 96). E si trattava spesso di andare per l'elemosina <strong>del</strong> pane; e<br />
Nicola era sacerdote, e forse vecchio, e forse claudicante. È commovente! Ma di<br />
quanto frutto siano stati quei suoi pani, per sé e per le persone che avvicinava, Dio<br />
solo lo sa. A noi non resta che ammirare l'opera di Dio nei suoi santi.<br />
Il nostro santo aveva meditato bene la Regola che aveva professata là dove parla<br />
<strong>del</strong>lo spirito <strong>del</strong>l'obbedienza: «Si obbedisca al superiore come a proprio padre... sia<br />
tenuto in alto per l'onore... obbedendo maggiormente mostrerete pietà non solo di voi<br />
stessi ma anche di lui che si trova in un pericolo tanto più grave quanto più alta è la<br />
sua posizione tra voi» (Regola, c. 7).<br />
Ma dove l'obbedienza di Nicola dà origine a gustosi «fioretti » e si dilata nella<br />
leggenda è nei riguardi <strong>del</strong> suo proposito (o voto) di astinenza perpetua.<br />
3. ASTINENZA E DIGIUNO<br />
Se si trattasse di un proposito o di un voto non è possibile determinarlo in<br />
mancanza <strong>del</strong>la formula <strong>del</strong>la sua professione o di altre informazioni precise.<br />
L'atteggiamento risoluto <strong>del</strong> santo ci porta verso la seconda ipotesi, ma questa<br />
resta un'ipotesi. In ogni caso, proposito o voto, la vita penitente di Nicola che si<br />
asteneva dalla carne, dai grassi, dai latticini, dal pesce, dalla frutta, limitando il suo<br />
vitto a verdure e legumi (proprio come Sant'<strong>Agostino</strong>), e digiunava a pane ed acqua -<br />
e qualche volta addirittura senz'acqua (Processo, teste 7, p. 85) - tre volte alla<br />
settimana, il mercoledì, il venerdì e il sabato in onore <strong>del</strong>la Madonna, dovette fare<br />
una profonda impressione nell'ambiente in cui visse. Se ne ha un'eco nel processo, il<br />
quale dedica all'argomento ben due articoli (uno all'astinenza e l'altro al digiuno) in<br />
modo da offrire ai testi l'opportunità di rendere la loro testimonianza.<br />
Questa è affermativa e corale. Anzi spesso si traduce in episodi che hanno tutto il<br />
gusto <strong>del</strong>la poesia. Come questo: una devota di nome Margherita, moglie di Berardo<br />
Appillaterra, molto amico <strong>del</strong> santo, era solita preparare belle e saporite focacce con<br />
le mandorle e farle portare a Nicola, ormai avanti negli anni e infermo, da una sua<br />
figliola di 6-7 anni, che deporrà poi, a 25 anni, nel processo. Il santo gradiva il dono e<br />
44
ne mangiava. Ma un giorno la brava donna ebbe l'infelice idea di fargli una sorpresa:<br />
preparò la focaccia con il lardo e gliela inviò come al solito. Nicola lo avvertì prima<br />
di provarla, forse all'odore, se ne lagnò con la fanciulla - « tua madre, le disse, s'è<br />
messa in testa di farmi perdere l'anima: sono 45 anni che non mangio di grasso; non<br />
sia mai che cominci adesso » -, e inviò la focaccia intera a un confratello, anch'egli<br />
ammalato; come faceva, aggiunge la teste richiamandosi alla testimonianza dei<br />
confratelli che lo servivano, ogni volta che gli mandavano «un cibo buono e saporito»<br />
(Processo, teste 84, p. 235).<br />
Bello questo «fioretto » che sa insieme di penitenza, di candore, di amicizia, di<br />
semplicità, di carità fraterna!<br />
Un altro episodio è narrato da Don Corrado di Urbisaglia, Cappellano di San<br />
Lorenzo di Colmurano, teste, nel processo, 173. Era amico <strong>del</strong> convento e spesso<br />
veniva invitato a mangiare con i frati. Un giorno, sedendo a refettorio vicino a Nicola,<br />
gli versò <strong>del</strong>l'acqua nell'orciolo. Nicola lo guardò amabilmente e in tono di<br />
rimprovero gli disse: «Non mi fiderò più di te, mi hai ingannato: mi hai versato vino<br />
invece <strong>del</strong>l'acqua. Provalo, se non lo credi»; e gli diede l'orciolo. Il teste lo provò: era<br />
vino squisito.<br />
Questo fatto lo riempì insieme di meraviglia e di curiosità. Volle tentare di nuovo.<br />
Un altro giorno, stando sempre vicino a Nicola al refettorio, mise <strong>del</strong>l'acqua<br />
nell'orciolo di lui e la provò: di nuovo, era vino prelibato. Lo disse - e si può<br />
immaginare con quale stupore - a frate Nicola che gli sedeva accanto, il quale si<br />
limitò a farsi promettere che non lo avrebbe detto a nessuno.<br />
I commissari dovettero restare profondamente increduli - e noi lo saremmo stati<br />
altrettanto - pensando che al buon cappellano fallisse la <strong>memoria</strong> o addirittura che<br />
sognasse.<br />
Di che colore era, gli chiesero, il vino che bevevano i frati in quei giorni?<br />
Risposta: rosso o vermiglio. Chi era presente in quella circostanza? Risposta: Fr.<br />
Tommaso da Tolentino, priore <strong>del</strong>la comunità e altri frati che ora sono morti. Quando<br />
avvenne il fatto narrato? Risposta: 36 anni or sono (1289), nel mese di dicembre. In<br />
quanto al giorno non se lo ricordava (Processo, teste 173, p. 407). Se vogliamo<br />
prestar fede a questo buon cappellano che quando deponeva sotto giuramento aveva<br />
poco più di 60 anni, dobbiamo pensare che il Signore si compiace talvolta di dare<br />
questi segni per dimostrare quanto la vita penitente dei suoi prediletti gli sia <strong>cara</strong>.<br />
Depone infatti lo stesso teste che, essendo spesso commensale <strong>del</strong>la comunità<br />
tolentinate, osservava che Nicola si asteneva dal mangiare carne, formaggio, uova e si<br />
asteneva anche dal vino, mentre egli stesso e gli altri commensali mangiavano<br />
volentieri carne e bevevano vino (Processo, p. 406). E Nicola ne godeva; anzi, come<br />
si è detto, era lui ad esortare il priore perché i frati, e in particolare i forestieri, fossero<br />
trattati bene.<br />
Ma la sua gioiosa astinenza, che non faceva pesare affatto sugli altri, brilla di luce<br />
ancor maggiore quando entra in collisione con l'obbedienza. Il che non accadeva<br />
raramente. Il tenore di vita, che Nicola aveva intrapreso e portava avanti con<br />
inflessibile e generosa volontà, creava non poche preoccupazioni nei suoi confratelli a<br />
causa dei riflessi che aveva o si credeva che avesse nella sua gracile salute. Da qui la<br />
raccomandazione insistente, sia dei medici che dei superiori, di cibarsi qualche volta,<br />
45
almeno nelle infermità, di carne. Ma il santo non si dava per inteso. Ai più importuni<br />
ripeteva la sua filosofia sulla salute. Dio, diceva, non ha bisogno <strong>del</strong>la carne per<br />
sostenere o ridonare la salute, ma può dare, se vuole, lo stesso potere alle erbe e ai<br />
legumi. Filosofia, come si vede, tutta fondata sulla fiducia in Dio e nella sua<br />
provvidenza. Del resto, pensava Nicola, i poveri non hanno tante possibilità per<br />
curare la loro salute: il religioso dev'essere uno di loro.<br />
Vista l'inutilità <strong>del</strong>le raccomandazioni, qualche volta i superiori ricorsero al<br />
comando. A questo punto le cose si mettevano sul serio. Contro l'obbedienza non si<br />
può celiare con la filosofia sia pur soprannaturale: occorre obbedire. Nicola<br />
l'obbedienza l'aveva promessa di cuore e voleva osservarla. Lo ripeté esplicitamente<br />
davanti a un comando <strong>del</strong> <strong>Priore</strong> Generale: «al Generale bisogna obbedire: l'ho<br />
promesso... e voglio mantenerlo fino alla morte» (Vita, 3,18; Vedi sopra p. 42).<br />
Ma egli voleva conservare anche il suo tenore di vita. Il contrasto, che non poteva<br />
essere senza tensione, diventava inevitabile. Come superarlo? Ricorse a tre vie:<br />
pregare perché il comando gli venisse revocato, gustare un poco di carne e mandare il<br />
resto <strong>del</strong>la pietanza ai confratelli infermi, ricorrere, come ci fa sapere un teste sia pur<br />
per sentito dire, alla potenza taumaturgica.<br />
Il primo caso avvenne quando il padre Provinciale a refettorio gli fece inviare un<br />
piatto di carne: dietro le umili e insistenti preghiere <strong>del</strong> santo il piatto fu riportato al<br />
padre Provinciale (Processo, teste 8, p. 88).<br />
Il secondo quando il padre Provinciale - lo stesso o un altro non so - da Treia,<br />
dove risiedeva, su indicazione <strong>del</strong>l'amico Berardo Appillaterra, gli comandò per<br />
iscritto di mangiare carne secondo la prescrizione <strong>del</strong> medico o quando lo stesso<br />
comando gli venne direttamente dal Generale <strong>del</strong>l'Ordine Padre Francesco da<br />
Monterubbiano (1300-1307) di passaggio da Tolentino. Il santo mise insieme<br />
l'obbedienza e la carità: gustò un poco di carne, chiese ed ottenne di essere dispensato<br />
dal comando e mandò il resto <strong>del</strong>la prelibata pietanza ad alcuni confratelli ammalati<br />
(Processo, teste 16, pp. 119-120 [l'episodio narrato va letto per intero come uno dei<br />
più belli nella vita <strong>del</strong> nostro santo, fragrante di semplicità, di bontà, di amicizia];<br />
teste 9, pp. 90-91).<br />
Il terzo caso avvenne quando benedisse due pernici cotte che gli erano state<br />
presentate perché ne mangiasse, e comandò loro di andarsene per la loro strada; e<br />
queste, secondo quanto ricorda un teste, volarono via.<br />
Ritengo che il primo e il secondo caso siano perfettamente conformi alla figura<br />
morale, così equilibrata e serena, <strong>del</strong> nostro santo. Il terzo, pur esso bello ed<br />
estremamente poetico, dovrebbe appartenere all'amplificazione <strong>del</strong>la fantasia<br />
ammirata dei devoti. E vero che a ricordarcelo nel processo è stato un vescovo -<br />
Berardo da Varano vescovo di Camerino (1310-1317) -, il quale doveva essere<br />
abituato a misurare le parole, ma egli parla per sentito<br />
dire - audivit dici - e si appella in genere ai frati di Sant'<strong>Agostino</strong> senza essere in<br />
grado di indicare qualche nome, perché- dice - è passato molto tempo (Processo, teste<br />
327, p. 616). Il «molto tempo» era circa di 25 anni, non molto in verità per ricordare<br />
un fatto storico, ma sufficiente perché le pernici inviate con squisita bontà ai<br />
confratelli ammalati diventassero le pernici che alla benedizione <strong>del</strong> santo spiccarono<br />
il volo e uscirono dalla finestra.<br />
46
A questo punto si deve aggiungere un particolare di grande importanza<br />
psicologica. Come capita spesso a persone <strong>del</strong>icate di coscienza e di forte impegno<br />
ascetico, Nicola soffrì a un certo momento - non è possibile determinare quando - una<br />
crisi di ansia e di dubbio nei riguardi <strong>del</strong> suo tenore di vita. Gli parve che i suoi<br />
digiuni e le sue astinenze non fossero graditi a Dio per il fatto che Dio permetteva che<br />
le tentazioni <strong>del</strong> diavolo - ne parleremo subito appresso - si abbattessero tanto<br />
numerose contro di lui.<br />
Il dubbio non gli toglieva la fiducia in Dio e il ricorso alla preghiera, ma lo<br />
turbava. Il Signore, che aveva permesso questo turbamento per convertirlo in gioia,<br />
gli venne in aiuto. Narra il primo biografo, che deve aver raccolto la notizia almeno<br />
indirettamente dallo stesso Nicola, che gli apparve in sogno Gesù e gli disse: «Nicola,<br />
deponi lo sconforto e sii tranquillo: le tue opere mi sono gradite e il tenore di vita che<br />
hai intrapreso». Il santo si svegliò pieno di gioia e gli fiorirono spontaneamente sul<br />
labbro quelle parole <strong>del</strong> salmo: «Quale gioia, quando mi dissero: Andremo nella casa<br />
<strong>del</strong> Signore» (Sl. 122 [121], 1). Il versicolo era tratto dai salmi <strong>del</strong>le ascensioni tanto<br />
cari, come dirò, a Nicola. Non c'è dubbio che gli sarà tornato nella <strong>memoria</strong> e sul<br />
labbro quando Maria, apparendogli, gli annunciò la fine prossima.<br />
4. PAZIENZA NELLE INFERMITÀ<br />
Il panorama <strong>del</strong>l'ascetismo di cui sto parlando non sarebbe completo se non si<br />
fermasse l'attenzione, come fecero i commissari <strong>del</strong> processo, sull'inalterata pazienza<br />
che ebbe Nicola nel sopportare le infermità corporali e la prova <strong>del</strong>le tentazioni. Di<br />
queste parlerò appresso. Qui fissiamo l'attenzione sull'aspetto più autentico<br />
<strong>del</strong>l'ascetismo di Nicola.<br />
Si sa che la pazienza, al contrario di quanto afferma una certa cultura, è una<br />
grande virtù senza la quale non si può essere cristiani né, a parlar propriamente, veri<br />
uomini, il cristianesimo la sublima fino ai vertici <strong>del</strong>l'eroismo quando insegna ad<br />
accettare la sofferenza non solo con pazienza ma con amore, con gioia, con<br />
gratitudine. Se la filosofia antica diceva: abstine et sustine, il cristianesimo con la<br />
voce stessa di Cristo dice: abneget et tollat, che è molto più intimo, più profondo, più<br />
autentico. Nell'evangelico «rinnega te stesso e prendi la tua croce» non c'è ombra di<br />
orgoglio, ma solo libertà e amore. Il nostro santo giunse a questi alti vertici, il<br />
processo dedica un articolo - il 16° - all'argomento di modo che i testi abbiano<br />
l'opportunità di testimoniare su di esso.<br />
Essi ripetono per lo più i due aggettivi, veramente preziosi, <strong>del</strong>l'articolo: era<br />
molto paziente e benigno (patiens et benignus). I due aggettivi sembrano scelti<br />
apposta per indicare da una parte la fortezza di animo, dall'altra la serenità e la gioia.<br />
Alcuni aggiungono espressioni esplicative che vale la pena rilevare.<br />
Il padre Angelo di Santa Vittoria, priore <strong>del</strong> convento, dice: «Ho visto frate<br />
Nicola gravemente infermo, tormentato da molte e varie infermità, ma non l'ho udito<br />
mai pronunciare una parola di lamento, neppure un: ahi me!» (Processo, teste 10, p.<br />
98).<br />
Un altro, un laico questa volta, l'amico Appillaterra, depone: «Spesso visitavo<br />
padre Nicola durante la sua infermità e mai lo vidi turbato o lamentarsi <strong>del</strong>l'infermità<br />
47
che aveva, ma lo trovavo sempre paziente e benigno» (Processo, teste 16, pp. 120-<br />
121).<br />
Un altro ancora, pur esso laico, teste de visu, aggiunge un particolare molto bello:<br />
«Ho visto molte volte frate Nicola infermo... e mai lo vidi mormorare o lamentarsi;<br />
anzi quanto più il male lo tormentava tanto più lodava il Signore dicendo: Te Deum<br />
laudamus, te Deum laudamus» (Processo, teste 267, p. 553). Era il suo atteggiamento<br />
più vero e più profondo: lodare il Signore, sempre, anche nella malattia.<br />
Atteggiamento che un altro teste, dopo aver ripetuto il binomio processuale - paziente<br />
e benigno -, conferma così: «Frate Nicola aveva una faccia molto angelica e<br />
ringraziava sempre Dio, e tutta Tolentino sapeva che era così» (Processo, teste 369,<br />
p. 640).<br />
Breve quadretto ma di straordinaria efficacia. Tre pennellate: faccia angelica, e<br />
quindi buona, serena, gioiosa anche nelle infermità; ringraziamento a Dio, che è la<br />
forma più alta <strong>del</strong>la pazienza cristiana; fama per tutta Tolentino, che è l'eco e il<br />
riconoscimento d'una vita santa.<br />
Si comprendono allora le risposte che dava agli amici che gli consigliavano di<br />
curarsi: «Ti converrebbe andare, gli disse Mancino di Forte, un amico d'infanzia, ai<br />
bagni di acqua sulfurea e consultare un medico». Rispose il santo: «Amico mio, non<br />
voglio andare né ai bagni né consultare un medico: Dio che mi ha mandato questa<br />
piaga - una brutta piaga alla tibia - me la toglierà quando gli piaccia: sarà Lui il<br />
medico» (Processo, teste 88, p. 257). E ad un altro che aveva osservato la gravità<br />
<strong>del</strong>la ferita nella gamba destra - gliela aveva procurata, dice, il diavolo - e che lo<br />
esortava a farsi curare, rispose: « Lascia andare, figliolo, lascia andare: ci penserà il<br />
buon Dio» (Processo, teste 266, p. 550). E chiuse il discorso.<br />
Commenti? Li farà il lettore. A me basta aver narrato i fatti; per il resto rimango a<br />
considerare, ammirato, la forza sovrumana di questo gracilissimo uomo.<br />
Non posso però tacere quanto narra il primo biografo sulla compiacenza <strong>del</strong> Cielo<br />
per questa «filosofia» di Nicola circa la guarigione dalle malattie, compiacenza che<br />
non dispensa nessuno dall'obbligo di curarsi ma dimostra quanto sia <strong>cara</strong> al Signore<br />
l'eroica fiducia che Egli stesso ispira qualche volta nel cuore dei suoi santi. «Ci<br />
penserà il buon Dio» aveva detto Nicola, e Dio ci pensò, se non in quel caso in un<br />
altro più grave.<br />
Una volta - l'indeterminatezza è <strong>del</strong>la fonte -, Nicola s'ammalò tanto gravemente<br />
da far dubitare <strong>del</strong>la sua vita. Al santo la malattia parve strana al punto che pensò a<br />
una cattiveria <strong>del</strong> diavolo, una <strong>del</strong>le solite. Intensificò pertanto la sua preghiera alla<br />
Vergine Maria e a Sant'<strong>Agostino</strong>. Dopo non molto l'una e l'altro gli apparvero in<br />
sogno. L'infermo, fuori di sé dalla gioia, rivolto alla signora raggiante di luce, le<br />
chiede: chi sei tu, signora, che ti degni di venire a me che sono polvere e cenere?<br />
Maria rispose: «Sono la Madre <strong>del</strong> tuo Salvatore che insieme ad <strong>Agostino</strong>, tu hai<br />
tanto invocato: siamo venuti per curarti». E continuò: «Nel nome <strong>del</strong> mio Figlio Gesù<br />
Cristo fa' chiedere un pane fresco a una donna - e gli indicò il luogo sulla piazza -,<br />
intingilo nell'acqua, mangialo e guarirai».<br />
Svegliatosi, il santo chiamò il fratello che dormiva vicino e, senza dirgli nulla<br />
<strong>del</strong>la visione, lo pregò di andare a chiedere per amore di Cristo un pane fresco alla<br />
persona indicata. Il fratello andò, chiese ed ottenne il pane, lo intinse nell'acqua, lo<br />
48
diede al santo; il santo ne mangiò devotamente un pezzettino e guarì. A guarigione<br />
avvenuta, Nicola, per soddisfare la giusta curiosità <strong>del</strong> fratello infermiere e degli altri<br />
confratelli, avrà raccontato il sogno. Così sogno e guarigione sono arrivati al primo<br />
biografo e da questi a noi.<br />
Ma Nicola deve aver detto di più. Deve aver raccomandato a tutti di prendere un<br />
po' di pane intinto nell'acqua e di mangiarne in onore di Maria, e invocando il suo<br />
nome, quando si vuol chiedere la grazia <strong>del</strong>la liberazione dai mali. Il fatto sta che da<br />
questo episodio è nata la consuetudine, tanto diffusa e tanto benefica, di benedire i<br />
panini di San Nicola.<br />
Il nome di Maria e quello <strong>del</strong> suo servo fe<strong>del</strong>e sono restati strettamente uniti<br />
nell'uso di questi panini e per quest'atto di devozione e di fede Dio ha concesso tante<br />
grazie ai suoi figli nel corso dei secoli. Gioverebbe parlarne, ma per ora urge un altro<br />
argomento.<br />
Il lettore vuoi sapere qualcosa di più sulle cattiverie <strong>del</strong> diavolo a cui si è<br />
accennato.<br />
49
CAPITOLO VIII<br />
«IL POTERE DELLE TENEBRE»<br />
Mi riferisco al fatto più strano e più sconcertante <strong>del</strong>la vita di Nicola: le<br />
vessazioni diaboliche.<br />
Rientrano anch'esse nell'ambito <strong>del</strong>l'ascetismo e danno a questo un crisma di<br />
eroicità.<br />
Nel parlarne occorre, a mio avviso, sfuggire a due scogli: alla facile credulità, che<br />
ascrive a forze ultraterrene fenomeni che trovano la spiegazione nell'ambito <strong>del</strong>la<br />
natura, e all'ostinata incredulità, che esclude a priori o l'esistenza <strong>del</strong> diavolo o la<br />
possibilità che Dio permetta che i suoi santi, a cui è sempre vicino e che divinamente<br />
ama, siano tormentati da forze spirituali avverse. Come sfuggirvi? Mi pare che la via<br />
sia una sola, ma che includa insieme tre ordini di considerazioni: 1) volgere uno<br />
sguardo all'agiografia cristiana, che non è nuova a questi fenomeni; 2) assolvere con<br />
scrupolo il compito <strong>del</strong>lo storico, che ha come guida due leggi: non dire nulla di falso<br />
e non tacere nulla di vero; 3) cercare, senza esclusivismi aprioristici, la spiegazione<br />
dei fatti. E quello che tenterò di fare.<br />
1. AGIOGRAFIA CRISTIANA<br />
Le vessazioni diaboliche costituiscono un capitolo non breve <strong>del</strong>l'agiografia<br />
cristiana tanto antica che moderna. Occorre prenderne atto. E costituiscono altresì un<br />
capitolo difficile <strong>del</strong>la direzione spirituale che insegna il modo di discernere certi<br />
fenomeni e di sostenere e guidare chi ne va soggetto. Sarebbe utile uno sguardo sulla<br />
storia di questa agiografia tanto ricca di eroismi e di tormenti. Dai tempi degli antichi<br />
padri <strong>del</strong> deserto fino ai nostri si raccoglierebbe una larga messe di esempi.<br />
Lasciamo pure da parte i padri antichi che forse qualche volta hanno visto l'opera<br />
<strong>del</strong> diavolo dove questa non c'era e la cui vita, <strong>del</strong> resto, è per noi poco o per nulla<br />
documentata; lasciamoli pure, dico, da parte, ma dal medioevo in poi fino alla soglia<br />
<strong>del</strong> nostro secolo, per non parlare anche di questo, quando la documentazione è più<br />
ampia e più certa, troviamo una serie di fatti o alte figure di santi e sante, come la<br />
contemporanea e consorella Chiara da Montefalco, Margarita da Cortona, Maria<br />
Maddalena de' Pazzi, Francesco Saverio, Caterina da Siena, Teresa d'Avila, il Curato<br />
d'Ars, Giovanni Bosco e, per citare l'esempio d'una fragile e <strong>del</strong>icata figura ma la cui<br />
breve storia è tanto documentata, Gemma Galgani, nella cui vita occupa un posto più<br />
o meno ampio l'argomento <strong>del</strong>le vessazioni diaboliche. O si tratta di apparizioni<br />
demoniache come narra di se stessa Teresa d'Ávila, o d'insistenti e terrificanti rumori<br />
come si sa essere accaduto al Curato d'Ars e a Don Bosco, o di percosse e ferite come<br />
si legge nelle bolle di canonizzazione di Caterina da Siena e di Francesco Saverio o<br />
tentativi di soffocamento - volebat earn subfocare - come si legge nel processo di<br />
Chiara da Montefalco, (p. 16).<br />
Nel caso <strong>del</strong>la «povera Gemma» sembra che il demonio abbia raccolto e messo in<br />
opera tutte le sue arti nocive. Il p. Zoffoli, scrittore serio e ben documentato, ne parla<br />
50
a più riprese e a lungo nella sua storia di Santa Gemma Galgani (E. Zoffoi C.P., La<br />
povera Gemma. Saggi storico-teologici, Roma 1957).<br />
2. LA STORIA<br />
Noi vediamo un po' più da vicino che cosa dica la storia intorno al nostro santo.<br />
Intanto sappiamo che la sua, anche se triste (e gloriosa insieme), non fu un'esperienza<br />
isolata nella storia <strong>del</strong>la santità.<br />
Il primo a narrarcela fu certamente, a mio parere, Pietro da Monterubbiano.<br />
Questi, raccogliendo le notizie che gli provenivano dai confratelli o dagli amici che<br />
avevano conosciuto Nicola, non solo parla in genere <strong>del</strong>le vessazioni diaboliche<br />
subite dal santo, ma, scendendo ai particolari, le distribuisce in ben cinque sezioni<br />
secondo le cinque forme che esse presero.<br />
Il testo <strong>del</strong> primo biografo passò pari pari ai commissari <strong>del</strong> processo: il lettore<br />
può ritrovarlo (vedi sopra p. 26-7) nei cinque capitoli che costituiscono l'articolo 20°.<br />
Fu un'ottima idea quella dei commissari. I fatti erano così straordinari e così<br />
circostanziati che valeva la pena di venire a chiaro offrendo ai testi l'opportunità di<br />
testimoniare sull'argomento. Così pensarono e così fecero. Con quale risultato? Ecco<br />
il punto.<br />
A una lettura superficiale può sembrare che ne abbiano ricavato poco o nulla, ma<br />
se si legge di nuovo attentamente ci si accorge che i risultati non furono né <strong>del</strong>udenti<br />
né pochi: la sostanza <strong>del</strong>l'articolo deve dirsi confermata, anche se non tutti i capitoli<br />
sono stati confermati alla stessa maniera.<br />
Molti dei testi interrogati in proposito (non tutti deponevano su tutti gli articoli)<br />
risposero di non saperne nulla, altri dissero di non saperne se non de auditu, che era<br />
una formula frequentissima con la quale i testi rispondevano a molte domande.<br />
Questa volta la ragione <strong>del</strong>la risposta era più ovvia. Chi poteva dire di essere stato<br />
presente alle vessazioni diaboliche, almeno a quelle più gravi - le percosse - e di aver<br />
visto il diavolo mentre le metteva in opera? Bene a ragione il teste Giovanni da<br />
Montecchio, che era convissuto molto tempo con Nicola, si appella alle confidenze di<br />
lui. Parlando <strong>del</strong>le tentazioni in genere dice: «Io non le ho viste (!), ma le ho intese<br />
dire più volte dallo stesso frate Nicola»; e <strong>del</strong>le percosse in particolare afferma: «Ho<br />
inteso dire dallo stesso frate Nicola» che più volte il diavolo lo aveva picchiato»<br />
(Processo, teste 7, pp. 86-87).<br />
E la fonte più sicura: di certi fatti, per cui portava sulle membra le gravi ferite, la<br />
ragione la poteva dare solo lui: Nicola. Un altro segno di quella confidente amicizia<br />
di cui ho parlato sopra.<br />
Questo capitolo <strong>del</strong>le percosse torna spesso nella deposizione dei testi. La notizia<br />
viene attribuita ai frati di Tolentino contemporanei <strong>del</strong> santo: il teste 154, padre<br />
Guglielmo da Montelparo, lettore, aveva sentito dire da alcuni frati, di cui non<br />
ricordava il nome, che molto spesso era stato bastonato dal diavolo (Processo, teste<br />
154, p. 374).<br />
Altri si appellano alla stessa fonte per tutto l'articolo, che comprendeva,<br />
ricordiamolo, cinque capitoli, e non dicono altro (Processo, teste 1, p. 73; teste 368,<br />
p. 640); altri, sul tema generico <strong>del</strong>le tentazioni e <strong>del</strong>le percosse temptationes et<br />
51
verberationes - alla notorietà pubblica: est pubblica vox et fama (Processo, teste 15,<br />
p. 116).<br />
Se nel processo ci fosse solo questo potremmo restare <strong>del</strong>usi, benché a torto,<br />
poiché l'appellarsi alla testimonianza di Nicola è una garanzia certa di verità. Ma c'è<br />
di più. Alcuni testi sono stati presenti non già alle percosse (e come potevano<br />
esserlo?) ma alle conseguenze sul corpo gracile e <strong>del</strong>icato di Nicola.<br />
Padre Gualtiero da San Severino, il teste n. 4, che era convissuto con il santo,<br />
dopo aver detto che il contenuto <strong>del</strong>l'articolo 20° lo conosceva per sentito dire dai<br />
frati, aggiunge di scienza propria questo importante particolare: «Una notte Nicola<br />
s'era levato per pregare. Voleva recarsi in chiesa, ma, avendola trovata chiusa, volle<br />
entrare nella sala <strong>del</strong> refettorio dove, sopra la porta, era dipinta una immagine <strong>del</strong><br />
crocifisso, quando fu afferrato e gettato violentemente a terra. Io e molti confratelli<br />
che riposavamo nel dormitorio, sentendo Nicola gemere e gridare, ci alzammo per<br />
soccorrerlo: lo trovammo che giaceva in terra gravemente prostrato e che gemeva.<br />
Non vedemmo nessuno se non lui, e perciò credemmo, io e gli altri confratelli, che<br />
quel male gli era stato fatto dal diavolo» (Processo, teste 4, p. 80).<br />
A padre Gualtiero fa seguito padre Ventura, il quale, anche egli, aveva conosciuto<br />
Nicola: era stato 21 anni con lui a Tolentino e per oltre 3 anni a suo particolare<br />
servizio. Questi depone su tutti e cinque i capitoli <strong>del</strong>l'articolo. Ecco come. Per il<br />
primo - estinzione e frattura <strong>del</strong>la lampada - si richiama a Fr. Giovannuzzo da<br />
Tolentino; per il secondo - strani rumori sul tetto <strong>del</strong>l'oratorio - a Fr. Giovannuzzo e a<br />
Fr. Simone da Belforte che affermavano di essere stati presenti; sul terzo narra quanto<br />
segue: «io non ho visto quanto è detto nel capitolo (si noti la cautela <strong>del</strong> teste per non<br />
dire più di quanto avesse personalmente costatato; cautela inutile però, perché la cosa<br />
era evidente: nessuno poteva pensare che avesse assistito alle percosse; eppure<br />
v'insiste), ma una notte udii Nicola che gridava fortemente e si lamentava. Io e Fr.<br />
Giovannuzzo e Fr. Simone, che dormivamo vicino alla sua camera, accorremmo non<br />
sapendo perché gridasse. Lo trovammo gravemente bastonato e vedemmo in molte<br />
parti <strong>del</strong> corpo le lividure dei colpi. Dicemmo a Nicola: che è successo, fratello?<br />
Rispose: nulla; andate, figlioli miei, andate a dormire e riposate: a me lasciatemi stare<br />
qui. Altro non so, perché non fui presente alle bastonature (!), benché ho visto le<br />
cicatrici e ho udito le grida ». Questo teste, pur temendo di dire troppo, dice molto: ha<br />
udito le grida, è accorso per soccorrere, ha visto le ferite, ha raccolto le umili e serene<br />
parole <strong>del</strong> santo. Non è poco.<br />
Sul quarto capitolo - la rattoppatura <strong>del</strong>la tonaca - rimanda a Fr. Simone da<br />
Belforte, a Fr. Tommaso e Fr. Bentivoglio da Tolentino; sul quinto - le percosse<br />
avanti al refettorio - si rimette agli stessi religiosi, dai quali aveva appreso che le<br />
percosse questa volta furono tanto forti che Nicola non riacquistò più la sua primitiva<br />
salute (Processo, teste 172, pp. 403-404). Il primo biografo ci dice che restò<br />
claudicante e dovette usare, d'allora in poi, il bastone (Vita, 5, 46).<br />
Sulle cicatrici c'è un altro teste che depone: Berardo Appillaterra. Avendo sentito<br />
dire che Nicola era stato percosso dal diavolo, volle andare a sincerarsi: voleva sapere<br />
e vedere. Ne parlò a Nicola e chiese, arditamente, di poter vedere le ferite <strong>del</strong>le<br />
percosse, ma Nicola gli rispose con un'espressione che doveva essergli abituale in<br />
simili occasioni, arguta insieme ed amichevole: «Va' là, bambinone, gli disse, non<br />
52
credere a tali cose!». Berardo insisté. In quel mentre sopraggiunse il <strong>Priore</strong>. Il teste ne<br />
approfittò: chiese che comandasse a Nicola di fargli vedere le ferite. Strana domanda<br />
da farsi a un superiore! Ma Berardo doveva essere un personaggio e un uomo molto<br />
serio e amico <strong>del</strong> convento: il <strong>Priore</strong> cedette. I tre si ritirarono nel refettorio, chiusero<br />
la porta e Nicola, umile e obbediente come sempre, fece vedere le ferite. Unica difesa<br />
alla sua umiltà fu la raccomandazione: «Ti prego, Berardo, per amor di Dio e per<br />
l'amore che mi porti, non dire nulla a nessuno» (Processo, teste 16, pp. 121-122).<br />
Voleva conservare la sua privatezza, voleva restar solo con il suo Dio a<br />
combattere contro le forze <strong>del</strong> male.<br />
Un altro teste che depone diffusamente su questi fatti è Fr. Giovannuzzo. Aveva<br />
10-12 anni quando fu destinato ad infermiere di Nicola, 34 quando deponeva nel<br />
processo. Prestò il suo servizio negli ultimi tre anni di vita <strong>del</strong> santo: ricordava bene i<br />
fatti che lo riguardavano, quelli, soprattutto, più straordinari. Anch'egli, per scrupolo<br />
di sincerità, dichiara di non aver visto il diavolo, anch'egli per qualche capitolo<br />
<strong>del</strong>l'articolo, che pur generalmente conferma, si appella a ciò che ha sentito dire,<br />
come per il capitolo quarto (la rattoppatura <strong>del</strong>la tonaca): «Disse di non saperne nulla<br />
nisi de auditu». Ma in altri capitoli la sua testimonianza è diretta e preziosa, come<br />
sulla estinzione e rottura <strong>del</strong>la lampada che descrive ampiamente. Interessante la<br />
testimonianza sulle bastonature. «Sebbene non vedessi il diavolo corporalmente, più<br />
volte e in ore diverse ho sentito il rumore dei colpi e <strong>del</strong>la violenza che si esercitava<br />
sul corpo di Nicola... Le bastonature avveniva no di notte e nei tre anni in cui assistei<br />
Nicola avvenne infinite volte... Non fui presente alla bastonatura sulla porta <strong>del</strong><br />
refettorio perché ero andato a prendere il fuoco per portarlo all'altare, ma quando<br />
tornai presso Nicola che frattanto era rientrato nella sua camera, lo trovai che<br />
mormorava sommessamente e mi disse con grande bontà: "Figlio mio, aiutami,<br />
perché ho molte battiture nel corpo. Tuttavia, con l'aiuto <strong>del</strong>la beata Maria, il diavolo<br />
non mi vincerà"».<br />
Belle e illuminanti parole! Esse aprono un varco sulla vita interiore <strong>del</strong> santo. Nel<br />
forte <strong>del</strong>la tempesta, quando le forze <strong>del</strong> male si scagliavano furibonde contro di lui,<br />
egli non teme; non teme perché ha fiducia nella protezione di Maria, colei che ha<br />
vinto il demonio.<br />
Interrogato se avesse visto le cicatrici, il teste rispose: «Ho visto le tumefazioni<br />
nere sulla faccia, sulle spalle, sulle braccia di Nicola. A causa di esse dovette tenere il<br />
letto per 20 giorni. Penso che gli altri frati ritenessero che fosse stato percosso dal<br />
diavolo benché egli occultasse le cose con molta vigilanza» (Processo, teste 221, pp.<br />
482-483).<br />
3. TEOLOGIA<br />
A questo punto la storia, dopo aver costatato i fatti e credo che l'abbia costatati<br />
attraverso la testimonianza <strong>del</strong> primo biografo e <strong>del</strong> processo -, passa la mano, per<br />
trovarne una spiegazione, alla teologia. Questa non ricorre subito ai principi che le<br />
sono propri, ma si attarda prima di tutto nell'ambito <strong>del</strong>la ragione. La ragione,<br />
53
chiamata in causa, non ha molto da dire. Può addurre due spiegazioni: l'illusione e<br />
l'incidente naturale. Ma la prima spiega poco, la seconda meno ancora.<br />
L'illusione potrebbe avere una qualche parvenza di vero se applicata ad alcuni dei<br />
fatti narrati, non ne ha nessuna se applicata a tutti: reclamano il rumore <strong>del</strong>le botte, il<br />
lamento di Nicola, l'accorrere dei confratelli, le cicatrici <strong>del</strong>le ferite, il letto tenuto per<br />
giorni e giorni. E l'incidente naturale spiega di più? Proprio no. I testi parlano di<br />
Nicola che dà come spiegazione l'intervento <strong>del</strong> demonio e vuole a tutti i costi<br />
conservare per sé il geloso segreto. È possibile questo quando egli sapeva che la<br />
causa <strong>del</strong> suo male era, per esempio, una caduta? E i confratelli si sarebbero tutti<br />
ingannati pensando che si trattasse di vessazioni diaboliche mentre sapevano o<br />
potevano sospettare che si trattava d'un banale incidente?<br />
Non trovando una spiegazione nell'ambito <strong>del</strong>la ragione, la teologia la cerca<br />
nell'ambito <strong>del</strong>la fede. Da essa emergono tre verità che la teologia stessa difende e<br />
chiarisce: l'esistenza <strong>del</strong> demonio, l'impossibilità che esso nuoccia agli uomini senza<br />
il permesso di Dio, la possibilità che Dio permetta che eserciti il suo influsso perverso<br />
anche sensibilmente, e perfino nei santi, allo scopo, in questo caso, di far risplendere<br />
la loro virtù. È il caso appunto <strong>del</strong> nostro santo.<br />
Che le vessazioni diaboliche fossero permesse da Dio a questo preciso scopo, lo<br />
confessa suo malgrado lo stesso autore. Nicola lagnandosi di subire un brutto scherzo<br />
da «colui che non è degno di essere nominato», come egli chiamava il demonio, si<br />
sentì rispondere: «Sì, ti ho fatto io il brutto scherzo, e te ne farò altri; ma, visto che in<br />
questo modo non riesco a superarti, cambierò registro». «E chi sei tu? » replicò il<br />
santo. La risposta non si fece attendere: «Io sono Belial che sono stato incaricato di<br />
essere uno stimolo <strong>del</strong>la tua santità». Il santo non si confuse, ma replicò fiducioso con<br />
il versetto di un salmo: «Se il Signore è mio aiuto, non temerò ciò che può farmi<br />
l'uomo» (Vita, 3, 26; Processo, p. 20). Uno stimolo <strong>del</strong>la sua santità!<br />
Questo scopo appare più chiaro se si pensa che le infestazioni diaboliche<br />
colpivano Nicola o mentre pregava o mentre si accingeva a pregare; segno evidente<br />
che questo cardine fondamentale <strong>del</strong>la sua vita, la preghiera, mandava sulle furie il<br />
demonio che faceva di tutto per distoglierlo. Con quale effetto lo vedremo subito.<br />
Intanto vorrei aggiungere che, essendo Nicola un confessore assiduo e ricercato a cui<br />
accorrevano molti peccatori - diremo anche questo -, forse lo scatenarsi <strong>del</strong> potere<br />
<strong>del</strong>le tenebre durante la notte era per lui un segno, come lo sarà per il Curato d'Ars,<br />
che qualche «grosso pesce» - così lo stesso Curato d'Ars chiamava i grandi peccatori<br />
che accorrevano a lui - sarebbe venuto il giorno dopo al suo confessionale e avrebbe<br />
ottenuto, mediante il suo ministero, il perdono e la riconciliazione con Dio.<br />
Dirò terminando che i fatti, tristi e gloriosi, che ho ricordato, mi richiamano alla<br />
mente la preghiera a San Michele Arcangelo che si recitava prima <strong>del</strong>l'ultima riforma<br />
liturgica alla fine <strong>del</strong>la Messa. Per chi non l'avesse intesa o non la ricordasse più,<br />
eccola tradotta dal bel latino di Leone XIII: «San Michele Arcangelo, difendici nella<br />
battaglia. Contro la nequizia e le insidie <strong>del</strong> diavolo siici presidio: Dio gli comandi, te<br />
ne supplichiamo. E tu, principe <strong>del</strong>le milizie celesti, satana e gli altri spiriti maligni,<br />
che vagano nel mondo per la perdizione <strong>del</strong>le anime, cacciali nell'inferno».<br />
Non certo questa, ma preghiere simili Nicola le avrà recitate in difesa sua e degli<br />
altri. E fu vittorioso. E molti con lui.<br />
54
CAPITOLO IX<br />
L'UOMO DELLA PREGHIERA<br />
Così possiamo definire il nostro santo; tanto fu assiduo, insistente, incredibile<br />
l'impegno che mise nella preghiera. E chi avrebbe potuto crederlo se i testimoni<br />
oculari non ce lo avessero detto e ripetuto con tanta chiarezza? Anche in questo,<br />
figlio spirituale <strong>del</strong> vescovo d'Ippona che aveva fatto <strong>del</strong>la preghiera l'anima <strong>del</strong>la sua<br />
vita e aveva molto scritto sulla preghiera (cfr. A. <strong>Trapè</strong>, Sant'<strong>Agostino</strong> mistico, in<br />
Mistica, Città Nuova, pp. 315-360). Del resto nella Regola, anche se breve, aveva<br />
inserito principi fondamentali sulla preghiera come quello <strong>del</strong>la necessità - insistete<br />
nella preghiera -, <strong>del</strong>la interiorità - meditate nel cuore ciò che proferite con la bocca<br />
-, <strong>del</strong>la progressività - le vostre preghiere quanto più frequenti tanto più dovete farle<br />
più perfette -, <strong>del</strong>la preghiera privata e <strong>del</strong> canto (cfr. Sant'<strong>Agostino</strong>, La Regola,<br />
Introduzione e commento di A. <strong>Trapè</strong>, Milano 1971, pp. 178-194).<br />
I commissari <strong>del</strong> processo dedicarono all'argomento tre articoli, segno evidente<br />
che la fama di uomo di preghiera era diffusa dovunque, a Tolentino, nelle Marche, e<br />
in molte città fuori <strong>del</strong>la regione. Un articolo riguarda l'assiduità <strong>del</strong>la preghiera, un<br />
altro le ore che impiegava nella preghiera, il terzo i luoghi dove pregava.<br />
1. ASSIDUITÀ DELLA PREGHIERA: «SEMPER ORABAT»<br />
L'articolo riguardante l'assiduità nella preghiera suona così: «Oltre le ore stabilite<br />
(dal regolamento comunitario), nelle quali non mancava mai di essere il primo,<br />
pregava sempre». Non si poteva dire più brevemente né meglio. Per capirne la<br />
portata occorre ricordare che quei religiosi, venuti dagli eremi, dedicavano veramente<br />
molto tempo alla preghiera in comune. Uno storico recente <strong>del</strong>l'Ordine, bene<br />
informato, riassume così la recita <strong>del</strong>l'ufficio: «La divisione <strong>del</strong>l'ufficio divino in<br />
diurno e notturno corrispondeva allora al significato <strong>del</strong>le parole. Durante la notte, in<br />
un'ora che variava secondo le stagioni <strong>del</strong>l'anno e i costumi <strong>del</strong> paese, si recitava il<br />
mattutino in coro o nella chiesa, prima quello <strong>del</strong>l'ufficio <strong>del</strong>la Vergine e poi quello<br />
proprio <strong>del</strong> giorno. Poco prima <strong>del</strong>l'alba si recitavano le lodi, seguite da prima, terza e<br />
dalla Messa conventuale; sesta e nona si recitavano a volte dopo la Messa o in altri<br />
casi nell'ora corrispondente; sempre si recitavano i vespri nel tardo pomeriggio e<br />
compieta alla sera. All'ufficio divino, che era più lungo di quello di oggi (con<br />
riferimento non solo a quello postconciliare ma anche a quello preconciliare), e<br />
all'ufficio <strong>del</strong>la Vergine, di cui si dovevano recitare anche le ore diurne, gli<br />
agostiniani di quell'epoca recitavano ogni giorno la vigilia mariana (chiamata dalle<br />
parole iniziali "Benedicta tu") che comprendeva tre salmi e tre lezioni in onore di<br />
Nostra Signora <strong>del</strong>la Grazia. Recitavano anche tutte le settimane l'ufficio dei defunti<br />
cantando un notturno e la Messa con la processione e le preghiere nel cimitero <strong>del</strong>la<br />
comunità» (D. Gutiérrez, Los agustinos en la edad media, Roma 1977, I/2, p. 114).<br />
L'ufficio, tutto o in parte, veniva cantato. Dicono le Additiones di Tommaso da<br />
Strasburgo (1348) a proposito <strong>del</strong> primo capitolo <strong>del</strong>le Costituzioni: «I priori<br />
55
provinciali in tutti i conventi <strong>del</strong>la loro provincia abbiano una vigilante cura che<br />
l'ufficio divino sia recitato distintamente, con le dovute pause e adagio e che si<br />
osservi in tutto la forma <strong>del</strong>la Curia Romana... E tutte le ore canoniche, le diurne e le<br />
notturne siano cantate cum nota, e anche sesta... Anche la vigilia <strong>del</strong>la Beata Vergine<br />
sia recitata ogni giorno, dopo compieta, sine nota; ma al venerdì cum nota... <strong>Alla</strong> fine<br />
di ogni ora, in ginocchio, si reciti la Salve, Regina col versetto Ave, Maria e la<br />
preghiera: Concedi, o Dio misericordioso... » (Const. c. 1, pp. 32-33).<br />
A questa preghiera si uniformava, non v'è dubbio, la comunità di Tolentino che<br />
doveva essere, quale comunità di formazione e di studio, numerosa ed esemplare. E<br />
Nicola era sempre il primo in coro. Anche se fuori casa per la visita agli infermi, era<br />
sollecito a tornare (Processo, teste 16, p. 123). Ma questa sollecitudine e fe<strong>del</strong>tà non<br />
era che un aspetto <strong>del</strong>la sua vita di preghiera.<br />
Un teste depone: «Ho visto e sono stato presente che non solo pregava (in<br />
comune) alle ore stabilite ma le raddoppiava» (Processo, teste 3, p. 77). Non sarebbe<br />
stato poco: le ore stabilite, come si è visto, non erano scarse. Ma c'è molto di più. E<br />
qui comincia lo stupore. Un altro teste, il confratello Fr. Giovanni da Monticolo<br />
(Treia), afferma: «Ho visto che vegliava molto e dormiva poco perché la maggior<br />
parte <strong>del</strong> tempo lo spendeva pregando tanto di notte che di giorno» (Processo, teste 8,<br />
p. 86). Un altro si esprime così: «Pregava sempre fuori <strong>del</strong>le ore <strong>del</strong> pasto e <strong>del</strong> riposo<br />
dal quale si asteneva per quanto gli era possibile» (Processo, teste 14, p. 108); ed un<br />
altro ancora: «Di giorno, quando non era impedito dalle confessioni e dagli impegni<br />
<strong>del</strong>l'obbedienza, pregava sempre» (Processo, teste 10, p. 95).<br />
2. LA SUA GIORNATA<br />
Questo «pregava sempre», ripetuto con tanta insistenza, ci fa nascere la brama di<br />
sapere quando e quanto pregasse in realtà. I commissari ed i testi <strong>del</strong> processo la<br />
soddisfano ampiamente proponendo e confermando l'articolo n. 17. Dicono in tutte<br />
lettere che egli pregava «da dopo compieta fino al canto <strong>del</strong> gallo, da dopo il<br />
mattutino fino a giorno, da dopo la messa, se non era occupato nelle confessioni, fino<br />
a terza, da dopo nona, se non era intento ai comandi <strong>del</strong>l'obbedienza, fino ai vespri»<br />
(Processo, p. 20; teste 3, p. 76; teste 4, p. 80; teste 9, p. 90; teste 221, p. 481; teste<br />
265, p. 546; teste 271, p. 364; ecc.).<br />
Se ci fosse possibile tradurre con esattezza queste indicazioni liturgiche in termini<br />
di ore, con altrettanta esattezza potremmo sapere qual era la giornata di Nicola e<br />
seguirlo ora dopo ora nell'arco <strong>del</strong> giorno e <strong>del</strong>la notte. Ma a che ora precisamente i<br />
religiosi cantavano il mattutino? E quel canto <strong>del</strong> gallo, che sicuramente era il primo -<br />
alcuni testi si riferiscono al termine <strong>del</strong> primo sonno -, quale ora indica con<br />
precisione?<br />
In ogni modo, senza andare troppo lontano dal vero, si può collocare la compieta,<br />
che era la preghiera <strong>del</strong>la sera e l'ultimo atto comune <strong>del</strong> giorno, alle ore 20; il primo<br />
canto <strong>del</strong> gallo o il termine <strong>del</strong> primo sonno alle 23; il mattutino alle 2 dopo<br />
mezzanotte quando i religiosi avevano avuto l'opportunità di dormire almeno 5 ore<br />
(dopo il mattutino, che durava oltre un'ora, avevano la possibilità di dormire ancora<br />
56
due ore buone, raggiungendo così le 7 ore di sonno che i severi medici <strong>del</strong>la scuola<br />
salernitana concedevano appena ai pigri); la messa alle 6, terza alle 9, sesta a<br />
mezzogiorno prima <strong>del</strong> pasto, nona alle 15, i vespri verso le 18 prima <strong>del</strong>la cena.<br />
Se questo calcolo non si allontanasse molto dalla realtà, Nicola, quando non<br />
intervenivano le confessioni o l'obbedienza (e questa, dico l'obbedienza, includeva<br />
anche la predicazione), pregava dalle 20 alle 23, dalle 2 alle 6, dalle 6 alle 9, dalle 15<br />
alle 18 = 13 ore, santa messa compresa. E il sonno? Non più di tre ore (dalle 23 alle<br />
2) o al massimo quattro, se il mattutino era stabilito in un'ora più tarda <strong>del</strong>la notte, per<br />
es. alle 3. E aveva tempo, inoltre, non solo di partecipare ai pasti comuni e alla<br />
comune ricreazione, dove, ilare e amabile com'era, sarà stato l'anima <strong>del</strong>la<br />
conversazione, ma anche di leggere la Scrittura di cui era avidissimo, di studiare, di<br />
preparare le sue prediche. Tutto ciò perché non sapeva che cosa significasse perder<br />
tempo: nec aliquid perdebat de tempore (Processo, teste 9, p. 90);<br />
e un altro teste assicura che non fu mai trovato, anche per un po' di tempo, ozioso<br />
(Processo, teste 14, P. 108).<br />
Proprio come il suo padre spirituale che ebbe una tale concentrazione di animo e<br />
un tale impegno per non perdere un minuto di tempo - le famose «stillae temporis»,<br />
che gli erano sommamente care (Confess. 11, 2, 2) - da essere a tutti esempio e<br />
oggetto di meraviglia.<br />
Pregava dunque in chiesa, nella sacrestia, nel refettorio, nel chiostro, nella camera<br />
(Processo, art. 19; teste 10, p. 95; teste 3, p. 97).<br />
Il silenzio prescritto dalle Costituzioni avvolgeva la vita <strong>del</strong>la comunità in un<br />
alone di misticismo che conciliava la riflessione e la preghiera.<br />
«In coro, nel dormitorio, nel chiostro, e anche nel refettorio e nelle camere si<br />
osservi sempre nel nostro Ordine sommo silenzio». Era il principio generale.<br />
Vengono poi le specificazioni. «Nel dormitorio, dove i nostri frati possono leggere,<br />
pregare o anche scrivere o impegnarsi in qualche lavoro però senza far rumore e<br />
senza dar fastidio agli altri... In tutti gli altri luoghi adatti e liberi da ogni sospetto<br />
possono dedicarsi alla lettura, alla preghiera, alla salmodia... Nelle proprie camere,<br />
fuori <strong>del</strong> tempo destinato al riposo, leggano o preghino o facciano qualcosa di utile<br />
senza dar fastidio a chi dorme o ad altri che non dormano, e procurando con tutto<br />
l'impegno di conservare sommo silenzio» (Const. cc. 11 e 23). Se non hanno voglia di<br />
dormire.<br />
Bisogna dire che Nicola ha prevenuto il testo <strong>del</strong>le Costituzioni e ne ha superato il<br />
tenore. Vero esempio di preghiera e maestro di preghiera.<br />
Ricordiamo che fu maestro dei novizi. Ma di questo dopo. Per ora vediamo di<br />
enucleare il contenuto <strong>del</strong>le sue preghiere cercando di scoprire in esse le vibrazioni<br />
interiori che animavano la sua pietà.<br />
3. LE SUE DEVOZIONI<br />
Non c'è dubbio che il centro fosse la messa, che celebrava, come si dirà, ogni<br />
giorno e con abbondanza di lacrime, poi l'ufficio divino con i salmi, le letture bibliche<br />
e patristiche, gli inni, i responsori, gli inchini.<br />
57
Ma i testi hanno avuto cura di farci sapere di più. «Ho udito e sono stato presente:<br />
diceva continuamente i salmi graduali, l'ufficio dei defunti, i salmi penitenziali con le<br />
litanie e molte salutazioni alla Vergine Maria, sempre in ginocchio» (Processo, teste<br />
7, p. 86). E un altro che gli era stato molto vicino, il noto Fr. Giovannuzzo, attesta:<br />
«pregava devotissimamente e ogni giorno diceva le litanie con grande abbondanza di<br />
lacrime: faceva lo stesso quando pregava per i morti e soprattutto quando celebrava la<br />
messa; e diceva ogni giorno l'ufficio (votivo) <strong>del</strong>la croce di Nostro Signore Gesù<br />
Cristo» (Processo, teste 221, p. 481).<br />
Le sue devozioni particolari erano dunque: la croce, la Vergine Maria, i defunti; e<br />
poi la recita dei salmi penitenziali e dei salmi graduali. V'è in queste devozioni tutto<br />
un programma di vita spirituale che vale la pena di approfondire: ci rivelano le pieghe<br />
più riposte <strong>del</strong>l'animo <strong>del</strong> santo.<br />
a) La Croce. Per convincersi che la sapientia crucis sia il centro <strong>del</strong>la sapienza<br />
cristiana basta leggere San Paolo, il grande innamorato <strong>del</strong>la croce di Cristo (cfr. 1<br />
Cor 2, 2; Gal 2, 19; 5, 11; 6, 14; 6, 17). Sant'<strong>Agostino</strong>, che lo aveva letto e meditato a<br />
lungo, intraprese e portò avanti per quasi 20 anni la controversia pelagiana sull'unico<br />
motivo <strong>del</strong>la croce di Cristo: ne evacuetur crux Christi (1 Cor 1, 17); disse e ridisse al<br />
suo popolo che è una grande cosa conoscere (di scienza non solo nozionale ma<br />
affettiva) Cristo crocifisso - «Magnum est scire Christum crucijixum!» (Serm. 160, 3)<br />
-, che il cristiano deve pendere dalla Croce per tutta la vita (Serm. 205, 1); e perfino<br />
che è meglio essere attaccati alla Croce, l'albero sorto sulla sponda <strong>del</strong>le cose<br />
temporali per salvarci dal naufragio (In Ep. Io. tr. 2, 10), che disprezzare la Croce e<br />
conoscere con la mente ciò che Cristo è come Verbo (In Io. tr. 2, 3).<br />
Alle anime consacrate poi raccomandava di contemplare con tanto amore Cristo<br />
crocifisso da imprimerselo totalmente nel cuore: «toto vobis figatur in corde qui pro<br />
vobis fixus est in cruce»; vi si configga in tutto il cuore chi per voi è stato confitto in<br />
croce (De s. virg. 56, 56).<br />
Nicola apprese bene questa grande lezione. La croce di Cristo l'aveva proprio nel<br />
cuore. Pregava volentieri a refettorio dove c'era dipinta un'immagine <strong>del</strong> Crocifisso,<br />
al venerdì in sacrestia dov'era esposto alla venerazione un frammento <strong>del</strong> legno <strong>del</strong>la<br />
croce (Processo, teste 10, p. 95). Narra il primo biografo che l'aveva sistemato egli<br />
stesso in una teca argentea in forma di croce fabbricata con le sue stesse mani (Vita,<br />
5,49). In punto di morte se la fece portare per poter vedere ancora una volta e baciare<br />
quel legno che aveva portato il Redentore, e così, stretto ad esso, passare dalle sponde<br />
<strong>del</strong> tempo a quelle <strong>del</strong>l'eternità (Vita, 5, 49-50). Per questo, durante la vita, aveva<br />
recitato ogni giorno, così dice esplicitamente un teste, l'ufficio votivo <strong>del</strong>la croce, che<br />
diventava ovviamente un'intensa, appassionata meditazione <strong>del</strong>la passione di Cristo.<br />
L'amore è assimilativo. La lunga, amorosa meditazione lo portava ad unirsi tanto<br />
profondamente al Crocifisso da diventare, non solo per la dignità sacerdotale ma<br />
anche per quella <strong>del</strong>la imitazione, un alter Christus, e così lo videro i confratelli e le<br />
folle. Nella vita di Nicola non si parla di stimmate come in quella di tanti santi, come,<br />
per esempio, in quella <strong>del</strong>la consorella e contemporanea che viveva nel versante<br />
opposto dei Sibillini, in vista <strong>del</strong>la splendida valle di Spoleto, a Montefalco: Chiara<br />
58
<strong>del</strong>la Croce. Penso che non solo sia bene così, perché così Dio ha voluto, ma che sia<br />
anche, sotto un aspetto, meglio.<br />
Il nostro santo, pur restando un esemplare sublime di amore a Cristo crocifisso, ci<br />
è più vicino, è più simile a ciascuno di noi, più imitabile, anziché essere solo, per le<br />
stimmate, ammirabile.<br />
b) La Beata Maria. L’altro cardine <strong>del</strong>la devozione di Nicola era la Madonna, la<br />
Beata Maria, com’egli amabilmente diceva. È una devozione tenera e<br />
commovente.Da essa traspare l’affetto <strong>del</strong> figlio che si rifugia con piena fiducia nelle<br />
braccia <strong>del</strong>la madre. Nell’infermità invoca con estrema dolcezza: «O Beata Maria,<br />
aiutami»; contro gli assalti <strong>del</strong> demonio esclama sicuro: «Con l’aiuto <strong>del</strong>la Beata<br />
Maria non mi vincerà»; nel compiere un prodigio: «Prega Gesù Cristo, figlio <strong>del</strong>la<br />
Beata Maria e la Madre stessa».<br />
Oltre l’intero ufficio <strong>del</strong>la Madonna che recitava ogni giorno con la comunità<br />
religiosa, rivolgeva a lei molte «salutazioni». Il rosario? Forse. Era stato già<br />
promosso dal grande santo di Caleruega, San Domenico. In ogni modo molte<br />
avemarie. La prima parte senza dubbio, quella che contiene appunto il saluto<br />
<strong>del</strong>l’angelo e le parole ammirate di Elisabetta, parole divine, le une e le altre, che a<br />
ripeterle non stancano mai. E come possono stancare se sono rivolte a colei che è la<br />
più pura, la più bella, la più santa tra le pure creature? Meno ancora poteva stancarsi<br />
un cuore amante come quello di Nicola.<br />
Ma recitava anche la seconda parte, quella che proclama la maternità divina di<br />
Maria e implora la sua misericordia per il momento presente e per quello <strong>del</strong>la morte?<br />
Anche qui occorre rispondere con un forse. Questa seconda parte doveva esser stata<br />
composta - e qualcuno pensa che a comporla sia stato proprio il primo maestro <strong>del</strong>la<br />
scuola agostiniana, Egidio Romano, che Nicola può aver incontrato come Generale<br />
<strong>del</strong>l’Ordine se nel breve tempo <strong>del</strong> generalato ebbe tempo di passare in visita a<br />
Tolentino -, ma affermare che l’abbia recitata è un’altra cosa. Si può dire soltanto che<br />
essa rispondeva intimamente ai suoi sentimenti. Si sa che Nicola pregava molto per<br />
sé che si reputava un gran peccatore - per questo si confessava ogni mattina prima di<br />
celebrare la messa -, e per tutti i peccatori, particolarmente per quelli che si erano<br />
confessati o si sarebbero confessati da lui. E che cosa più naturale allora che<br />
interporre per essi l’intercessione di Maria?<br />
Quanto questa filiale e perseverante devozione fosse <strong>cara</strong> alla Madre celeste lo<br />
vedremo parlando <strong>del</strong>la morte <strong>del</strong> santo, che, come ci narra il primo biografo, fu<br />
allietata dall’apparizione o, per dir meglio, dalle apparizioni di lei.<br />
c) I defunti. Intanto parliamo di un’altra devozione, quella verso i defunti che<br />
esprimeva recitando per loro, come pare ogni giorno, l’ufficio apposito, che non era<br />
breve.<br />
Questa devozione è tra le più belle <strong>del</strong>la pietà cristiana, non solo perché attesta la<br />
fede nel purgatorio e ci mette in relazione con quelli che abbiamo amato in terra ed<br />
amiamo, ma anche perché è un atto di pura carità per coloro che sono, sì, salvi, ma<br />
che per accelerare la propria purificazione non possono far nulla.<br />
59
Dante Alighieri, poeta e teologo, fa dire ad uno di essi come motivo <strong>del</strong>l’ardente<br />
desiderio di essere ricordato ai vivi: «Che qui per quei di là molto s’avanza»:<br />
s’avanza verso la meta sospirata <strong>del</strong>la visione di Dio.<br />
La grande devozione di Nicola per i defunti ebbe origine o ricevette un forte<br />
incremento dalla visione di Valmanente. Non seppe dimenticarla più. Il primo<br />
biografo ce la narra con forti colori che cercheremo di raccogliere nelle pagine<br />
seguenti.<br />
d) I salmi penitenziali. Per ora vorrei mettere in rilievo un altro aspetto, non<br />
secondario, <strong>del</strong>la pietà <strong>del</strong> nostro santo: la recita quotidiana o almeno frequente - un<br />
teste dice: continue dicebat -, dei sette salmi penitenziali, che sono, com’è noto: 6; 32<br />
(31); 38 (37); 51 (50); 102 (101); 130 (129); 143 (142); con le litanie, che penso<br />
fossero le litanie dei santi, così belle nel loro universalismo logico-ecclesiale e nella<br />
consapevolezza dei mali che gravano sulla povera umanità.<br />
In questo Nicola, ancora una volta, ha voluto essere imitatore <strong>del</strong> suo padre<br />
spirituale,il quale con la coscienza vigile <strong>del</strong> convertito li ha commentati (vedi<br />
Esposizione sui Salmi, NBA, Città Nuova, voll. 25-28), li ha usati nelle sue<br />
Confessioni come espressione dei propri sentimenti, ne ha parlato spesso al popolo,<br />
all’estremo limite <strong>del</strong>la vita prima <strong>del</strong> passo fatale se l’è fatti scrivere su dei<br />
quadernoni appesi poi nella parete di fronte per poterli leggere dal letto; e li leggeva e<br />
piangeva copiosamente, ubertim flebam, dice il primo biografo, teste de visu<br />
(Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong>, 31, 2; p. 190).<br />
A somiglianza di <strong>Agostino</strong>, Nicola faceva di questi salmi l’espressione<br />
privilegiata dei suoi sentimenti interiori pienamente conformati al Vangelo che ci<br />
comanda di chiedere perdono con umiltà e sincerità dei nostri peccati, nostri e di tutta<br />
la Chiesa: rimetti a noi i nostri debiti.<br />
V’era poi in questa preghiera la consapevolezza <strong>del</strong> proprio sacerdozio, destinato,<br />
in unione con quello di Cristo, ad implorare il perdono per i peccati <strong>del</strong> popolo. Da<br />
questa consapevolezza le lacrime che accompagnavano la preghiera. Nelle litanie dei<br />
santi v’era, poi, l’impetrazione universale per le necessità <strong>del</strong>la Chiesa.<br />
È bello e commovente vedere un santo vissuto tanto innocentemente da poter<br />
supporre che abbia conservato intatta la stola battesimale, prendere le vesti <strong>del</strong><br />
penitente che implora, piangendo, la misericordia di Dio per i peccati <strong>del</strong> mondo.<br />
e) I canti <strong>del</strong>le ascensioni. Ma dove esplode tutta l’anima mistica di questo degno<br />
figlio <strong>del</strong> vescovo d’Ippona, è nella recita quotidiana dei canti <strong>del</strong>le ascensioni o canti<br />
dei gradini. Vanno dal 120 (119) al 134 (133) <strong>del</strong> salterio. Sono brevi ma carichi di<br />
alto lirismo. Furono scritti perché li cantassero i pellegrini che salivano a<br />
Gerusalemme. Si prestano quindi molto bene per esprimere il cammino spirituale <strong>del</strong><br />
cristiano verso la Gerusalemme celeste. Sono pertanto i canti <strong>del</strong>l’amore che sale,<br />
sale, vibrante di gioia, verso la contemplazione <strong>del</strong> volto di Dio.<br />
Furono molti cari ad <strong>Agostino</strong>. Li prese come programma <strong>del</strong>la sua conversione<br />
(Confess., 9, 2, 2), li ricordò nelle pagine più alte ed intense <strong>del</strong>le sue Confessioni, li<br />
spiegò con passione al popolo in altrettanti discorsi.<br />
60
Dice nelle Confessioni là dove paragona l’amore al peso dei corpi: «Il mio peso è<br />
l’amore, esso mi porta dovunque mi porto. Il tuo dono ne accende e ci porta verso<br />
l’alto. Noi andiamo e ci muoviamo. Saliamo la salita <strong>del</strong> cuore (Sl. 83, 6) cantando il<br />
cantico dei gradini. Del tuo fuoco, <strong>del</strong> tuo buon fuoco ardiamo e ci muoviamo<br />
salendo verso la pace di Gerusalemme. Quale gioia per me udire queste parole:<br />
“Andremo nella casa <strong>del</strong> Signore” (Sl. 121, 1). Là, collocati dalla buona volontà,<br />
nulla desidereremo se non rimanervi in eterno» (Confess. 13, 9, 10).<br />
Al popolo poi, nei discorsi su questi salmi, spiega che il cammino di ascesa si fa<br />
nel cuore - è questo il principio fondamentale <strong>del</strong>l’interiorità agostiniana -; si fa<br />
perciò non con i piedi ma con l’amore, partendo dalla valle <strong>del</strong> pianto (Sl. 83, 6), cioè<br />
<strong>del</strong>l’umiliazione e <strong>del</strong>l’afflizione - questa la ragione dei salmi penitenziali che<br />
<strong>del</strong>l’ascensione indicano l’inizio -, e tendente con l’avido desiderio - si ricordi che<br />
<strong>Agostino</strong> identifica desiderio e preghiera -, fino a incontrare il volto di Dio, nella<br />
Gerusalemme celeste, in quella «società ordinatissima e concordissima di coloro che<br />
godono di Dio e l’un <strong>del</strong>l’altro in Dio» (De civ. Dei, 19, 13).<br />
Nicola doveva leggere questi discorsi, forse furono proprio essi suggerirgli o<br />
almeno a confermargli la scelta di questi canti come espressione e nutrimento <strong>del</strong> suo<br />
anelito a Dio.<br />
Il processo purtroppo non ci parla <strong>del</strong>le sue ascensioni interiori, ma le due pietre<br />
che aveva in camera, sulle quali piegava le ginocchia nude e poggiava le braccia pur<br />
esse nude perché la stanchezza e il sonno non lo sorprendessero, furono le mute<br />
spettatrici di una vita di alta contemplazione. Non sapeva leggere le parole dei salmi,<br />
che qui non posso riportare neppure per saggio, senza vibrare interiormente e tendere<br />
con l’impeto <strong>del</strong> cuore - toto ictu cordis disse di sé <strong>Agostino</strong> (Confess. 9, 10, 24) -<br />
verso la pace di Gerusalemme.<br />
Ma si avrebbe torto a vedere in Nicola sono un contemplativo.<br />
61
CAPITOLO X<br />
L’APOSTOLO<br />
Fu anche apostolo, e un grande apostolo. Nulla di straordinario e di strepitoso nel<br />
suo apostolato, ma nel compimento quotidiano <strong>del</strong>la missione sacerdotale, di cui era<br />
profondamente compreso, quanto di straordinario anche se non di strepitoso! Di<br />
straordinario, dico, nell’amore generoso e fe<strong>del</strong>e, consapevole e forte per cui era<br />
sempre pronto a morire per Cristo e per il prossimo: pro Christo ed proximo non<br />
dubitabat mori, come dice, riassumendo tutto un programma di vita, il processo. A<br />
proposito <strong>del</strong> quale c’è da lamentare ancora una volta che questo aspetto <strong>del</strong>la vita di<br />
Nicola, che contiene un messaggio sacerdotale valido per tutti i tempi e da tutti<br />
imitabile, non abbia richiamato l’attenzione che doveva, se si accettui l’amore per i<br />
poveri. Potevamo saperne molto di più. Ma contentiamoci <strong>del</strong> poco che trapela qua e<br />
là dalla deposizione dei testi.<br />
Ho detto sopra che si può riassumere quest’intenso apostolato in quattro parole:<br />
Santa Messa, confessioni, predicazione, visita ai poveri e agli ammalati: quattro<br />
parole in ognuna <strong>del</strong>le quali c’è la storia intima di un sacerdote che si sentiva<br />
veramente, a somiglianza <strong>del</strong> vescovo d’Ippona, uomo di Dio e servo <strong>del</strong>la Chiesa.<br />
1. LA SANTA MESSA<br />
Se metto la Santa Messa in atesta all’apostolato di Nicola, è solo perché ne fu la<br />
fonte e il mezzo principale.<br />
Non mi riferisco evidentemente, almeno in linea principale, all’esempio di pietà<br />
profonda che offriva celebrando devotamente. Questo esempio c’era ed esercitava un<br />
moivo di attrazione. Narra un teste, canonico <strong>del</strong>la collegiata di San Severino in San<br />
Severino: «Mentre frate Nicola era ancora in vita, andai a studiare legge a Tolentino<br />
alla scuola <strong>del</strong> signor Pietro, dottore in giurisprudenza. Nella festa di Santa Lucia mi<br />
recai ad ascoltare le messa nella chiesa di Sant’<strong>Agostino</strong> insieme ad un amico. Entrati<br />
in chiesa, l’amico m’indicò un frate e mi disse: “Quello è frate Nicola che è ritenuto<br />
un uomo molto santo e al quale corrono tutti i peccatori: ascoltiamo la sua messa”.<br />
Ascoltammo la messa celebrata da lui molto devotamente». E continua, aprendoci un<br />
orizzonte sulla vita quotidiana di Nicola: «Quella mattina erano presenti molti per la<br />
devozione che avevano verso di lui» (Processo, teste 120, p. 317). Giudizio questo,<br />
confermato da altri testi. «Quando entravo in chiesa, depone una signora, trovavo<br />
Nicola che pregava devotamente, e molte volte ho ascoltato la sua messa che<br />
celebrava con tanta devozione che i presenti ne restavano molto edificati» (Processo,<br />
teste 100, p. 287).<br />
Il pensiero corre a tanti santi, a tanti pii sacerdoti - per fare un nome recente, a<br />
Padre Pio -, i quali hanno esercitato un grande apostolato solo con la celebrazione<br />
devota <strong>del</strong>la Santa Messa. Chi scrive ricorda di essere entrato ancora adolescente,<br />
insieme ai compagni di collegio, nella chiesa d’un antico e solitario monastero mentre<br />
all’altare maggiore un sacerdote celebrava la messa. La chiesa era quasi deserta o<br />
62
deserta affatto, ma quel pio sacerdote era tutto compreso <strong>del</strong> tremendo mistero che<br />
stava celebrando: si vedeva dall’atteggiamento consapevole e devoto <strong>del</strong>la persona e<br />
dai gesti spontanei e misurati. Non ho mai saputo chi fosse, ma quel modo di<br />
celebrare la messa, e in una chiesa pressoché deserta, - la solitudine non che<br />
diminuirlo ne aumentava il valore -, mi colpì profondamente: tornai a casa rafforzato<br />
nella vocazione e più deciso a continuare il cammino verso il sacerdozio. Perché non<br />
pensare che il nostro santo con l’esempio <strong>del</strong>la celebrazione tanto devota - i testi ci<br />
assicurano che spesso la commozione lo vinceva e versava lacrime -, abbia non solo<br />
edificato i fe<strong>del</strong>i, ma attirato molti ad abbracciare il sacerdozio?<br />
Ma non a questo mi riferivo con l’accenno alla messa e l’apostolato, bensì alla<br />
messa in se stessa come sacrificio di lode e di ringraziamento, di implorazione e di<br />
propiziazione, e perciò centro, anima e sintesi di tutta la vita cristiana, sia essa dedita<br />
alla preghiera che all’apostolato attivo. Nicola lo sapeva e lo sentiva.<br />
Nella celebrazione <strong>del</strong>la messa il sacerdozio acquistava un respiro universale e,<br />
unendosi a Cristo sacerdote e vittima, offriva se stesso a Dio in sacrificio di lode per<br />
la salvezza degli uomini. Possiamo pensare che conoscesse il libro 10° <strong>del</strong>la Città di<br />
Dio dove <strong>Agostino</strong> tratta con maestria l’argomento <strong>del</strong> sacrificio universale <strong>del</strong>la città<br />
redenta. Dio ha voluto che il «il mistero eucaristico fosse il sacrificio quotidiano <strong>del</strong>la<br />
sua Chiesa, la quale, essendo corpo di Cristo che è il suo Capo, impara ad offrire se<br />
stessa per mezzo di Lui: seipsam per ipsum discit offerre» (Città di Dio, 10, 20).<br />
Per questo Nicola celebrava immancabilmente ogni giorno, anche quando la<br />
chiesa era solitaria, immersa nei profondi silenzi dei boschi, anche quando era<br />
infermo e per giungere all’altare aveva bisogno di appoggiarsi al bastone: gli bastava<br />
che fosse in grado di alzarsi dal letto e reggersi in piedi. E prima di celebrare si<br />
confessava e celebrando versava molte lacrime. Era ben compreso <strong>del</strong> mistero che si<br />
compiva tra le sue mani. Ma giova ascoltare la voce dei testi che hanno deposto,<br />
ammirati, sull’argomento.<br />
«Ogni mattina, quando celebrava la messa piangeva e versava lacrime<br />
specialmente nel momento <strong>del</strong>la consacrazione: è un fatto notorio e io stesso l’ho<br />
visto più volte» (Processo, teste 16, p. 119). «Più volte l’ho visto celebrare la messa e<br />
celebrando effondeva lacrime » (Processo, teste 172, p.. 404). «Quando andavo in<br />
chiesa per ascoltare la messa vedevo Nicola in mezzo agli altri confratelli con il<br />
cappuccio avanti agli occhi con molta dignità - multum oneste -; e ogni mattina<br />
diceva la messa non solo quand'era sano, ma anche quand'era ammalato lo vedevo<br />
venire all'altare appoggiandosi al bastone » (Processo, teste 77, p. 209). «Non<br />
ometteva di andare in chiesa a pregare e a celebrare la messa neppure per ragioni di<br />
malattia, purché potesse camminare » (Processo, teste 173, p. 409). «Ogni giorno<br />
immancabilmente, sia quando era sano che quando era infermo, celebrava la messa,<br />
purché non fosse tanto debole da non potersi levare dal letto e reggersi in piedi; e<br />
sempre prima di andare all'altare si confessava; e tanto nelle preghiere che nella<br />
celebrazione <strong>del</strong>la messa piangeva e versava lacrime » (Processo, teste 9, p. 90).<br />
«Mentre ero studente di grammatica nel convento agostiniano di Piaggiolino (comune<br />
di Mondolfo presso Pesaro), Nicola, che era conventuale di quella casa..., celebrava<br />
ogni mattina la messa, benché il convento fosse situato in una selva» (Processo, teste<br />
154, p. 372).<br />
63
Le testimonianze sono molto eloquenti e ricche di particolari; c'invitano a qualche<br />
riflessione. Due in particolare: sulla messa quotidiana e sulla messa celebrata anche<br />
nella selva, cioè - questo il significato <strong>del</strong>l'inciso rilevato dal teste - senza l'assistenza<br />
<strong>del</strong> popolo.<br />
Sul primo particolare si deve osservare che la celebrazione quotidiana non era né<br />
prescritta né abituale. L'insistenza <strong>del</strong>le costituzioni - e non solo di quelle <strong>del</strong>l'Ordine<br />
agostiniano - era sulla messa conventuale: «tutti i frati ascoltino insieme la messa<br />
conventuale, né alcuno di essi rimanga fuori» (Cost. R. c. 6, n. 36).<br />
La messa quotidiana dei singoli era più o meno supposta ma non prescritta. Che<br />
molti non la dicessero lo lascia intendere il Generale Tommaso da Strasburgo nelle<br />
aggiunte alla Costituzione col grave precetto dato ai Provinciali d'intervenire<br />
severamente contro coloro che omettessero «spesso» di celebrare: saepe non<br />
celebrare (Cost. R. c. 1, add.).<br />
Quel «saepe» può avere ed ha un'accezione molto larga. Nicola era l'esempio <strong>del</strong><br />
contrario: ogni mattina, anche se, infermo, gli costava molto recarsi all'altare.<br />
Sul secondo particolare si deve dire che celebrando immancabilmente ogni<br />
giorno, anche senza popolo, il nostro santo mostrava di comprendere il valore <strong>del</strong>la<br />
messa in se stessa, valore che si estende non solo al celebrante ma a tutta la Chiesa. Il<br />
sacerdote infatti celebra la messa nella persona di Cristo ma in nome <strong>del</strong>la Chiesa e<br />
per tutta la Chiesa, e non solo peregrinante ma anche purgante.<br />
Contro la messa cosiddetta privata si è scritto molto da parte di Lutero e dei<br />
riformatori condannandola; alcuni teologi cattolici <strong>del</strong> dopo Concilio hanno sembrato<br />
inclinare verso questa condanna; Paolo VI nella enciclica Mysterium fidei chiarisce<br />
che non esiste propriamente la messa privata ma che ogni messa, anche se «privata»,<br />
è sempre «sociale». Nel lontano medioevo Nicola fu l'interprete sicuro, con<br />
l'esempio, di questa fede e di questa tradizione cattolica.<br />
Ma la celebrazione <strong>del</strong>la messa non fu per lui solo un apostolato, fu anche la<br />
sorgente <strong>del</strong>l'apostolato. Celebrando beveva il desiderio e attingeva la forza di farsi,<br />
come San Paolo, tutto a tutti, per tutti guadagnare a Cristo.<br />
2. AL CONFESSIONALE<br />
Dall'altare al confessionale perché i peccatori potessero dal confessionale tornare<br />
all'altare per cibarsi <strong>del</strong>l'Eucaristia e ricevere la forza necessaria, il fervore <strong>del</strong>la<br />
carità, necessario per non peccare più.<br />
Di Nicola confessore le fonti ci rivelano molti particolari che meriterebbero di<br />
essere illustrati uno per uno. Sono in sintesi: l'assiduità per cui era sempre pronto a<br />
correre al confessionale; la costanza tanto ammirabile che spesso, specialmente nel<br />
tempo di quaresima, non trovava il tempo di rompere il digiuno se non a tarda sera; la<br />
benignità con cui trattava i peccati che correvano volentieri al suo confessionale -<br />
tutta Tolentino, uomini e donne, si confessava da lui, e venivano anche da paesi vicini<br />
-; la cura che poneva per procurare che i penitenti emettessero un sincero atto di<br />
contrizione; l'esiguità <strong>del</strong>la penitenza che imponeva, offrendosi egli stesso a<br />
soddisfare per loro; la penetrazione dei cuori per cui conosceva i peccatori prima<br />
64
ancora che gli venissero manifestati; l'atteggiamento dignitoso ed umile per<br />
descrivere il quale i testi non trovano altra espressione che questa: sembrava un<br />
angelo.<br />
Ma forse il lettore più che leggere le mie parole vuoi ascoltare quelle dei testi nel<br />
processo. Ha ragione. Eccole tradotte alla meglio. Comincio dall'ultimo particolare.<br />
«Mi sono sempre confessata da lui finché visse. Ascoltando le confessioni era tanto<br />
benigno e umile che, sedendogli vicino per confessarmi, mi sembrava di essere vicino<br />
ad un angelo» (Processo, teste 88, p. 112). «Nel tempo di quaresima ogni giorno era<br />
tanto occupato nelle confessioni e nella preghiera che non mangiava se non alla sera»<br />
(Processo, teste 10, p. 95). «Ascoltava volentieri le confessioni nel foro <strong>del</strong>la<br />
penitenza e comunemente tutto il popolo di Tolentino si confessava da lui per la<br />
grande stima che tutta la gente aveva nella sua santità. Ciò avveniva soprattutto nel<br />
tempo di quaresima nel quale si dedicava totalmente a questo ministero» (Processo,<br />
teste 246, pp. 523-524). «Fu un uomo molto misericordioso. A causa di questa grande<br />
misericordia che aveva, quasi comunemente le persone di Tolentino, uomini e donne,<br />
si confessavano da lui per la grande devozione che ne avevano: tanto egli sapeva<br />
attrarre i peccatori alla penitenza e avere misericordia e compassione di loro»<br />
(Processo, teste 172, p. 404). «Nella confessione era molto attrattivo dei peccatori, e<br />
diceva di non peccare più e li confortava e offriva se stesso a fare la penitenza al<br />
posto loro» (Processo, teste 91, p. 265). «Perché i peccatori non diffidassero<br />
<strong>del</strong>l'immensa misericordia di Dio per un gran peccato dava una piccola penitenza: gli<br />
bastava che i penitenti tornassero alla contrizione <strong>del</strong> cuore» (Processo, teste 14, p.<br />
108). «Mi sono confessata a Nicola più volte all'anno e non vedevo la sua faccia. Era<br />
tanto benigno ed umile con le persone che si confessavano con lui che tutte se ne<br />
partivano da lui molto contente e consolate e devote come è voce comune; ed io<br />
stessa, quando andavo a confessarmi, me ne ripartivo molto consolata» (Processo,<br />
teste 100, p. 287). «Molte e molte volte ho confessato i miei peccati a Fr. Nicola e mi<br />
sembrava, per quanto posso sapere, un uomo di santa vita e di buona condotta, e<br />
umile e benigno nel suo modo di fare e di parlare. E quando mi faceva il segno <strong>del</strong>la<br />
croce per licenziarmi mi sentivo molto consolata e mi sembrava di essere leggera<br />
come un uccello».<br />
Ma eccoci al dono <strong>del</strong>la scrutazione dei cuori. La stessa teste lo narra con la<br />
vivacità e la freschezza di un «fioretto». «Un giovedì santo, volendo confessare a Fr.<br />
Nicola un peccato che avevo commesso molto segretamente e che non volevo<br />
confessare se non a lui, chiesi di lui appunto per confessarmi, ma un fratello <strong>del</strong>la<br />
comunità, un certo fr. Simone da Tolentino (ne ricorda anche il nome tanto l'episodio<br />
le aveva fatto impressione), mi disse: Se vuoi, confessati da un altro: Nicola non è<br />
disponibile perché indisposto. Gli risposi: starò qui finché non mi possa confessare da<br />
lui o ritornerò, ma non mi confesserò da un altro. Ed ecco che mentre dicevo questo<br />
venne Nicola col suo bastoncello senza che nessuno l'avesse avvertito. Mi chiamò e<br />
con spirito come di un profeta mi disse: tu ti vergogni di confessare il peccato che hai<br />
commesso; non devi vergognarti; tu hai fatto il tale peccato. E mi rivelò il peccato,<br />
che in realtà avevo commesso, prima che glielo dicessi io. Ora quel peccato nessun<br />
altro poteva conoscerlo se non Dio» (Processo, teste 95, pp. 275-276).<br />
65
E giacché siamo in tema di «fioretti», che pur sono fatti storicamente<br />
documentati, eccone un altro. Narra una teste, di una certa Brunetta che glielo aveva<br />
confidato,<br />
che, recatasi da Belforte a Tolentino, per confessarsi da Nicola gli portò in dono un<br />
(bel) pollastro. Nicola - continua la confidente <strong>del</strong>la teste - l'accolse benignamente,<br />
ascoltò la confessione, ma <strong>del</strong> pollastro non ne volle sapere. Va', le disse, figlia, che<br />
tu sia benedetta; porta questo pollastro a qualche ammalato povero che ne ha più<br />
bisogno di me: a me non si confanno certi cibi» (Processo, teste 99, p. 284).<br />
Questo coro unanime di lodi a San Nicola confessore ci fanno pensare a santi più<br />
vicini a noi o magari contemporanei, al Curato d'Ars per esempio e a Padre Leopoldo,<br />
tutti e due confessori instancabili e strumenti divini di grandi conversioni. Il nostro<br />
santo fu nel medioevo uno di loro.<br />
3. LA PREDICAZIONE<br />
Ma fu anche, come loro o più di loro, un predicatore. Purtroppo su questo<br />
argomento non abbiamo, come per i due toccati sopra, un coro di testimonianze: né il<br />
primo biografo né il processo parlano di questo argomento. Ho detto sopra il perché,<br />
e ho espresso apertamente il mio rammarico: ripetersi non giova.<br />
Abbiamo, e di riflesso - il teste parla di un altro argomento -, una sola<br />
testimonianza, preziosa perché sola e perché apre uno spiraglio di luce su questa<br />
attività apostolica, che non fu secondaria. Trattandosi d'un sol teste, giova riportarlo<br />
per intero: è la deposizione di un illustre personaggio, «il magnifico e potente<br />
cavaliere signor Rodolfo di Camerino». Era <strong>del</strong>la famiglia dei Varano, signori per<br />
molto tempo di questa città. Dice dunque «Ho visto Nicola più e più volte quando<br />
predicava e in altre occasioni. Era uomo umile e benigno. Difatti io con altri giovani<br />
<strong>del</strong>la nobiltà facevamo i tornei <strong>del</strong>l'asta quando egli predicava.<br />
Moltissime volte organizzai questi tornei poiché quando predicava il popolo per<br />
la devozione che aveva verso di lui accorreva ad ascoltarlo, e ci andavano molte<br />
dame; ed io, essendo allora giovane, organizzavo volentieri il torneo <strong>del</strong>l'asta per<br />
attirare l'attenzione <strong>del</strong>le dame che andavano a sentire la predica; e più volte ho<br />
disturbato la sua predicazione in maniera che le dame si alzassero e l'oratore fosse<br />
costretto a smettere di predicare. Mai l'ho visto turbarsi per questo motivo, mentre i<br />
predicatori sogliono irritarsi parecchio quando vengono impediti dal predicare.<br />
Quando poi andavo a chiedergli scusa <strong>del</strong> fastidio arrecatogli, lo trovavo molto<br />
benigno e umile nel perdonare me e i compagni. Affermo anche che le persone che<br />
assistevano alle sue prediche se ne andavano molto soddisfatte. Di quanto contenuto<br />
nell'articolo in parola - il primo articolo sul quale solo il teste ha deposto -, e di<br />
quanto ho detto v'è pubblica testimonianza nella città di Camerino e nelle località<br />
indicate dall'articolo e in tutta la provincia <strong>del</strong>la Marca» (Processo, teste 28, pp. 149-<br />
150).<br />
In questa deposizione c'è molto e c'è poco. C'è che Nicola predicava spesso<br />
(pluries et pluries) , che la gente accorreva alle sue prediche, che se ne partiva molto<br />
soddisfatta, che era benigno e umile con quelli che lo disturbavano. Non c'è invece<br />
dove predicava, né se predicava in diverse città e, meno ancora, un giudizio sulla<br />
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dottrina che esponeva. Peccato! Per di più i confratelli non ci hanno conservato non<br />
dico le sue prediche, ma neppure un accenno, un rigo <strong>del</strong> loro contenuto. Eppure<br />
almeno appunti prima di salire sui pulpito doveva pur prenderne. Perché sono andati<br />
irrimediabilmente perduti? Il santuario conserva gelosamente gli strumenti <strong>del</strong>le<br />
penitenze <strong>del</strong> santo - e va bene -, ma per niente i documenti <strong>del</strong>la sua sapienza<br />
evangelica. Così vanno spesso le cose, voglio dire così andavano al tempo <strong>del</strong> nostro<br />
santo, quando non suscitava interesse tutto ciò che non entrasse nel regno <strong>del</strong><br />
meraviglioso o <strong>del</strong>la sequela penitente di Cristo.<br />
Il primo biografo e il processo ci riferiscono un giudizio che, anch'esso, dice<br />
molto e poco. Lo conosciamo già: «Non sapeva saziarsi <strong>del</strong>la mirabile dolcezza <strong>del</strong>la<br />
parola di Dio tanto nella predicazione che nei colloqui» (Vita, 4,28; Processo, art. 22,<br />
p. 21). Possiamo concludere che la sua predicazione, a somiglianza di quella dei<br />
Padri, e in particolare <strong>del</strong> suo Sant'<strong>Agostino</strong>, aveva un contenuto e un linguaggio<br />
biblico, che era semplice, fluente, persuasiva, specchio <strong>del</strong>la soave bontà che gli<br />
albergava nel cuore. Amo pensare che gli argomenti non fossero solo morali-<br />
esortazione all'osservanza <strong>del</strong>la legge <strong>del</strong> Vangelo e alla pace -, ma anche dommatici<br />
come richiedeva in quei tempi la difesa <strong>del</strong>la verità.<br />
Resta senza soluzione perché senza documentazione la questione <strong>del</strong> dove Nicola<br />
abbia predicato. A Tolentino certo, ma solo a Tolentino? Non è credibile. La<br />
questione va congiunta al problema intricatissimo <strong>del</strong>la sua conventualità. Si fanno<br />
molti nomi, e non solo non si riesce a metterli per ordine ma neppure a saperne<br />
approssimativamente il periodo di tempo.<br />
Un teste, che conosceva Nicola fin dall'infanzia, Mancino di Forte, informa che fu<br />
a Montegiorgio, Corridonia, Macerata, Treia, Cingoli prima <strong>del</strong> sacerdozio e poi<br />
subito dopo a Tolentino, dove restò finché visse (Processo, teste 88, p. 256).<br />
Sappiamo invece da altre fonti, compreso il primo biografo, che dopo il sacerdozio fu<br />
a Valmanente, presso Pesaro, a Recanati, a Fermo, a Sant'Elpidio, a Piaggiolino e,<br />
come aggiunge un altro teste che lo aveva avuto come maestro dei novizi, «in molti<br />
altri luoghi, e in ultimo a Tolentino» (Processo, teste 217, p. 460).<br />
Questa presenza in tanti conventi ha fatto pensare giustamente a Nicola<br />
predicatore-missionario che i superiori inviavano per la quaresima e l'avvento nei<br />
diversi paesi <strong>del</strong>la provincia religiosa. Forse per capir meglio bisognerà non insistere,<br />
per il lungo periodo tolentinate, ad unire conventualità continuativa e permanenza<br />
continua. Nulla toglie che fosse conventuale di Tolentino e inviato a predicare<br />
altrove. Pare dunque certo che questo predicatore evangelico dal sorriso<br />
imperturbabile e dall'incantevole soavità, abbia sparso il seme <strong>del</strong>la divina parola in<br />
molti paesi e città <strong>del</strong>le Marche. Che sia andato oltre i limiti di questa regione occorre<br />
giocar troppo di fantasia per affermarlo.<br />
Ma torniamo a temi dove la fantasia non ha bisogno di giocare se non per<br />
penetrare meglio i fatti narrati e scoprirne il valore.<br />
67
4. «VISITATORE DEGLI INFERMI E CONSOLATORE DEI POVERI»<br />
Sul tema dei poveri e degli infermi siamo fortunatamente informati meglio dalle<br />
fonti.<br />
I commissari intesero il bisogno di dedicare ad esso quasi un intero articolo,<br />
l'ultimo, che parla appunto <strong>del</strong>le opere di carità.<br />
Giova rileggerlo (vedi sopra pp. 15-16). I testi l'hanno ampiamente confermato<br />
aggiungendo particolari commoventi. Ne emerge una figura nuova, inattesa e inedita,<br />
di Nicola, quella di un sacerdote che non attende solo gli uomini al confessionale e<br />
alla predica ma va a cercarli nelle loro case, quella d'un contemplativo, a cui le ore<br />
<strong>del</strong>la preghiera non bastano mai, che sente l'ansia di aiutare i poveri, sollevare<br />
gl'infermi, difendere la pubblica moralità; e s'immerge di fatto nella società sconvolta<br />
e tormentata per portarvi il conforto, la grazia, la dignità <strong>del</strong> messaggio cristiano.<br />
Come al solito farò parlare coloro che lo avevano conosciuto e depongono sotto<br />
giuramento sulla sua condotta. Uno attesta: «Nicola fu un visitatore degl'infermi e<br />
soprattutto un consolatore dei poveri e dei reietti; dai magnati non andava se non<br />
chiamato, ma dai poveri e dai reietti andava spontaneamente anche non chiamato»<br />
(Processo, teste 14, p. 107). «Ho visto, dice un altro, Nicola visitare i poveri e<br />
confortarli affinché la povertà si volgesse a bene <strong>del</strong>l'anima». E perché non si<br />
pensasse che le sue erano solo parole, il teste continua: «e si procurava quello che era<br />
piacevole ed utile ai poveri e lo dava loro» (Processo, teste 229, p. 507). Se lo<br />
procurava bussando alla porta dei ricchi. «Invitava e spingeva i ricchi a fare<br />
elemosine ai poveri per amor di Dio, e soprattutto a quelli (<strong>del</strong>icato e grandemente<br />
umano questo particolare) che si vergognavano di andar mendicando di porta in<br />
porta» (Processo, teste 14, p. 108).<br />
Questi non dovettero esser sordi alla sua voce se egli poteva far fronte ai bisogni<br />
di tanti poveri, i suoi poveri, che non erano pochi. Più di cento (plusquam centum),<br />
dice un teste, e ci dà i nomi di alcuni quasi a conferma <strong>del</strong>la verità <strong>del</strong>le sue parole<br />
(Processo, teste 266, p. 551). Per un altro gli oltre cento poveri diventano tutti i<br />
poveri di Tolentino (Processo, teste 271, p. 545).<br />
Un gran da fare dunque, una rete considerevole di azione sociale a cui non si sa<br />
come quel frate contemplativo e malaticcio potesse far fronte. Eppure, se crediamo ai<br />
testi oculari, vi fece fronte coraggiosamente. Il voto di povertà e la contemplazione<br />
non gli furono d'ostacolo ma di stimolo. Insigne esempio di fusione <strong>del</strong>la vita di<br />
preghiera e di azione, che non è rara nei santi e che ci appare, quando l'incontriamo,<br />
sempre mirabile.<br />
I mezzi dunque per questo suo apostolato se li procurava dai ricchi. Sappiamo che<br />
una signora morendo gli lasciò per testamento 25 lire ravennati, che era una somma<br />
rispettabile. Andò tutta ai poveri. Potevamo esserne certi anche se il teste non ce lo<br />
avesse detto esplicitamente (Processo, teste 271, p. 565). Altre volte raccomandava al<br />
priore di essere largo di elemosina verso i poveri (Processo, teste 9, p. 91). Sapiente<br />
consiglio, tipicamente agostiniano. Si sa che il vescovo d'Ippona manteneva dagli<br />
stessi fondi <strong>del</strong>la chiesa i poveri che erano dentro il monastero e quelli che erano<br />
fuori; e quando non ne aveva a sufficienza chiedeva al popolo dall'ambone di essere<br />
generoso nell'elemosine dichiarando che quanto veniva dato a Cristo - era Cristo<br />
68
infatti che riceveva le loro elemosine - veniva messo al sicuro. Stupendo spettacolo<br />
<strong>del</strong>la povertà religiosa che chiede e dà, chiede, per lo più, ai poveri per dare ai più<br />
poveri.<br />
A questo proposito nella vita di Nicola è fiorito anche il miracolo. Raccontano<br />
Rinalduccio di Andrea e la moglie Alessia che un giorno Nicola entrò nella loro casa<br />
in cerca di pane per la comunità: era il questuante di turno in quest'opera di umiltà<br />
che si trasformava per sua natura in squisita carità: era, parlando agostinianamente,<br />
Cristo che chiedeva e Cristo che dava. In questo spirito la donna, che aveva cotto da<br />
poco il pane, ne scelse uno, il più bello, e lo diede con gioia e venerazione al<br />
questuante. Questi se ne andò con la benedizione sul labbro: «Dio ti ricompensi e<br />
moltiplichi il tuo frumento e il tuo pane». Per mesi la famiglia - c'era con i due<br />
coniugi la sorella di Rinalduccio - continuò ad attingere farina alla madia e a cuocere<br />
pane. Quando il capo famiglia pensò e disse che si dovesse comprare di nuovo il<br />
grano, la moglie gli fece costatare che la farina nella madia non era diminuita. Eppure<br />
il teste e la sorella avevano visto che Alessia attingeva sempre a quella madia per<br />
preparare il pane. Si ricordarono allora <strong>del</strong>le parole che Nicola aveva mormorato<br />
uscendo dalla loro casa, e forse pensarono al miracolo di Elia che era avvenuto nella<br />
loro casa come in quella <strong>del</strong>la vedova di Serepta (Processo, teste 77, pp. 209-2 10).<br />
Sembra un «fioretto» ed è un fatto: lo narra sotto giuramento un teste oculare a cui<br />
non si può non credere.<br />
Non ci sarà nessuno che scriva «i fioretti di San Nicola»? Cioè quei fatti che pur<br />
restando fatti raggiungono i limiti <strong>del</strong>la leggenda? Ne verrebbe fuori una figura di<br />
santo fresca, viva, esaltante la fantasia e il cuore, di un santo, dico, ieri molto<br />
venerato in tutta la chiesa, oggi, sul piano universale, un po' meno, ma tale che più si<br />
avvicina e più non cessa di meravigliare per le sue qualità umane e divine, individuali<br />
e sociali. Non fu in vita un trascinatore di folle, né, umile e dolce com'era, poteva<br />
esserlo, ma lo fu dopo morte e lo è anche ora per chiunque si avvicini a lui per<br />
conoscerlo a fondo, per scrutarne le pieghe segrete <strong>del</strong> cuore: non se ne stacca più.<br />
Ma continuiamo a narrare i fatti. Per i suoi poveri Nicola non solo faceva il<br />
sacrificio, sempre gioioso, di chiedere ai ricchi e di andare a trovarli nelle loro case,<br />
ma anche quello di privarsi ed inviare loro quanto di buono gli veniva offerto:<br />
«Quando veniva offerto a Nicola qualcosa di buono da mangiare, non lo mangiava lui<br />
ma lo mandava ai poveri e infermi» (Processo, teste 95, p. 275).<br />
Ecco, vicino ai poveri gli ammalati, l'altra categoria di sofferenti e, non<br />
raramente, di reietti. Il mondo (uso questa parola in senso evangelico) passa<br />
indifferente vicino a chi soffre e spesso lo schiaccia. Non così certo Nicola che ebbe<br />
per loro una tenerezza struggente. Li visitava volentieri: infirmorum visitationem<br />
multum libenter faciebat (Processo, teste 81, p. 224). Li visitava non solo di giorno<br />
ma anche, quand'era necessario, di notte, e non solo mentre era sano ma anche<br />
quando era ammalato e, per andarvi, aveva bisogno <strong>del</strong> sostegno d'un confratello e<br />
<strong>del</strong> suo inseparabile bastone. «Faceva questo, aggiunge il teste, perché le persone di<br />
Tolentino avevano per lui una somma devozione tanto che gli ammalati e in genere<br />
tutti lo cercavano molto» (Processo, teste 77, p. 209).<br />
Dev'essere stato bello e commovente vedere il buon vecchio - Nicola era esile ma<br />
alto di statura - incurvito un poco dagli anni e mal ridotto dalle infermità, uscire dalla<br />
69
sua cameretta, dove aveva parlato con Dio e implorato per gli uomini, aggirarsi per le<br />
vie <strong>del</strong>la città, simbolo vivente di quella carità cristiana che per quanto dia ha sempre<br />
qualcosa da dare. E non si sa come quest'uomo che non aveva nulla abbia dato tanto!<br />
5. DIFENSORE DELLA PUBBLICA MORALITÀ<br />
Il panorama <strong>del</strong>l'apostolato sociale di Nicola non sarebbe completo se non<br />
dedicassi un accenno ai suoi interventi affinché la moralità pubblica fosse conformata<br />
al Vangelo. S'interponeva per sedare le discordie soprattutto quando c'era il pericolo<br />
di vita per i contendenti; allora non ricusava fatica per far cessare lo scandalo<br />
(Processo, teste 14, p. 107). Il teste ha ragione di parlare di scandalo, perché le<br />
discordie, soprattutto le discordie mortali, sono uno scandalo tra i cristiani.<br />
Nicola, uomo di pace, portava dovunque la pace anche con rischio - si può ben<br />
capirlo -<strong>del</strong>la sua persona.<br />
Interveniva pure per regolare matrimoni: «Quando sapeva che due vivevano in<br />
concubinaggio interveniva perché fosse celebrato il matrimonio: molti che vivevano<br />
in questo stato per opera di Nicola hanno regolato la loro posizione» (Processo, teste<br />
226, p. 500).<br />
Interveniva anche quando veniva a sapere che un marito tradiva sua moglie,<br />
purché, s'intenda, potesse intavolare con quello un discorso amichevole. Come nel<br />
caso d'un tale di cui la moglie, Giovanna di Angeluccio Paoli da Tolentino, depone<br />
nel processo così: «Ero molto angustiata e tribolata perché mio marito mi tradiva. Me<br />
ne lamentai con Nicola. Questi espresse il mio dolore a mio marito e gli disse che<br />
faceva male a trattarmi a quel modo. Da quel momento ci fu piena concordia tra me e<br />
mio marito». Interrogata la teste come sapesse che Nicola aveva parlato a suo marito<br />
rispose: «Fui presente e l'ascoltai, e in cuor mio mi meravigliai altamente che parlasse<br />
in quel modo a mio marito» (Processo, teste 133, p. 511).<br />
Il rapido panorama <strong>del</strong>l'apostolato di Nicola e quello non meno rapido <strong>del</strong>la sua<br />
assidua preghiera mostrano a sufficienza come egli avesse fuso profondamente i due<br />
aspetti <strong>del</strong>la vita consacrata descritti da Sant'<strong>Agostino</strong> nella Città di Dio: l'«otium<br />
sanctum » e il «negotium iustum», cioè la quiete <strong>del</strong>la contemplazione e l'attività<br />
apostolica, che corrispondono alle due dimensioni <strong>del</strong>la vita spirituale, la «caritas<br />
veritatis» (l'amore <strong>del</strong>la verità) e la «necessitas caritatis» (la necessità <strong>del</strong>l'amore); i<br />
due aspetti che, dopo aver lasciato gli eremi per volere <strong>del</strong>la Santa Sede, erano<br />
ambedue essenziali all'Ordine agostiniano.<br />
Ma a questo panorama mancherebbe qualcosa se non si facesse un accenno alle<br />
incombenze avute da Nicola in seno alla sua comunità e alla sua provincia religiosa.<br />
70
CAPITOLO XI<br />
MAESTRO DEI NOVIZI<br />
Queste incombenze o uffici sono uno degli argomenti sui quali il primo biografo e<br />
il processo hanno osservato uno spiacevole e sconcertante silenzio. Sappiamo solo, di<br />
riflesso - gli scolastici avrebbero detto per accidens che Nicola fu maestro dei novizi<br />
(Processo, teste 217, p. 460) - e i biografi dicono per un solo anno -, e che partecipò a<br />
un capitolo provinciale a San Ginesio (Processo, teste 106, p. 199), - e i biografi<br />
aggiungono che vi andò come <strong>del</strong>egato <strong>del</strong>la comunità tolentinate. Dunque non fu<br />
mai superiore, dunque non ricoprì mai un incarico di rilievo, non esercitò mai le<br />
qualità di governo.<br />
Delle due una: o era inadatto a simili compiti o i confratelli sono stati troppo<br />
distratti nel lasciare da parte un uomo di quella levatura morale e spirituale. Ma forse<br />
tra i due termini <strong>del</strong> dilemma passano altre ipotesi: forse i confratelli l'hanno lasciato<br />
libero perché potesse dedicarsi totalmente alla sua intensa vita di preghiera e di<br />
apostolato, o forse incarichi li ebbe ma né il primo biografo né il processo hanno<br />
inteso il bisogno di metterli in rilievo. Lo stesso è accaduto, come sappiamo, per gli<br />
studi e la predicazione che pur furono i primi un obbligo e la seconda un'occupazione<br />
continua o per lo meno frequente <strong>del</strong>la sua vita apostolica.<br />
Sia come sia, i fatti restano.<br />
Pertanto non voglio chiedermi se al capitolo di San Ginesio Nicola andò come<br />
<strong>del</strong>egato <strong>del</strong>la comunità o non piuttosto come superiore; né se le parole di fr. Ventura<br />
sulla faccenda <strong>del</strong> pozzo - «Volendo Nicola, con le elemosine elargitegli, far scavare<br />
un pozzo nel convento dei frati di Tolentino... » (Processo, teste 172, pp. 404-405) -<br />
non vogliano indicare che era incaricato <strong>del</strong>l'economia <strong>del</strong>la casa; e neppure se abbia<br />
ricoperto l'ufficio, tanto <strong>del</strong>icato e fondamentale, di maestro dei novizi per un solo<br />
anno a Sant'Elpidio - cosa che mi pare più supposta che dimostrata - o se ha esercitato<br />
questo ufficio anche altrove, per esempio a Tolentino dove, durante la sua dimora in<br />
quella comunità, ci fu almeno per qualche tempo il noviziato (Processo, teste 9, p.<br />
92); non voglio, dico, fermarmi a queste ipotesi ma solo al fatto certo: fu maestro dei<br />
novizi; e cercar d'indovinare, carpendo qualche indicazione sfuggita qua e là alle<br />
fonti, come li abbia formati i suoi novizi, e quale influsso possa aver esercitato con<br />
l'esempio e il consiglio nella legislazione <strong>del</strong>l'Ordine.<br />
Non c'è dubbio che egli abbia insegnato ai suoi giovani allievi ad amare<br />
Sant'<strong>Agostino</strong>, a gustare la profondità e la bellezza <strong>del</strong>la Regola, ad osservare le<br />
Costituzioni.<br />
1. IL «BEATO AGOSTINO»<br />
Sappiamo quanto Nicola amasse il beato <strong>Agostino</strong>: lo si è detto sopra. Non può<br />
esservi dubbio che questo amore lo inculcasse in tutti i modi ai novizi, e non tanto<br />
con parole laudative generiche, ma attingendo alle fonti agostiniane per farlo<br />
conoscere nella sua autentica grandezza e amabilità.<br />
71
Amo pensare che tra le istruzioni avute da Nicola nel noviziato e quelle che egli<br />
impartiva ai novizi ci fosse un grande progresso in profondità e chiarezza, sia per il<br />
progresso degli studi nell'Ordine sia per l'esempio e la diligente ricerca <strong>del</strong> nostro<br />
santo, il quale, amando intensamente <strong>Agostino</strong>, non poteva non sentire il bisogno di<br />
conoscerlo più a fondo nelle sue opere. Avrà letto sicuramente le Confessioni, che<br />
tanto corrispondevano alle sue aspirazioni interiori, le Esposizioni sui Salmi che gli<br />
servivano per approfondire quegl'inni o suppliche o ringraziamenti che costituivano<br />
tanta parte <strong>del</strong>la sua preghiera quotidiana, i Discorsi, alcuni almeno (tutti insieme non<br />
li avrebbe potuti avere), per es. quelli de tempore o sulle feste liturgiche, molto adatti<br />
per penetrare meglio nei misteri celebrati.<br />
Non continuo per non allontanarmi dal verosimile, ma non si può non ricordare<br />
che Nicola era predicatore, un predicatore seguito e applaudito, e questo gl'imponeva<br />
una severa preparazione: è pensabile che sia ricorso a tutti i mezzi fuorché a quelli<br />
che gli offriva il suo padre spirituale?<br />
I frutti di questa preparazione e di questi progressi li raccolsero i fortunati giovani<br />
novizi. Doveva formarli alla preghiera: era ovvio indicare loro, attraverso le pagine<br />
preziose <strong>del</strong>le Confessioni come pregava Sant'<strong>Agostino</strong>. Doveva insegnare la recita<br />
devota dei salmi: quale mezzo più efficace che la lettura di qualche pagina <strong>del</strong>le<br />
Esposizioni sui Salmi, le quali con la loro interpretazione cristologica ed<br />
ecclesiologica danno ai salmi un significato vivo, pienamente attuale, ricco di<br />
misticismo? Doveva istruirli nella liturgia: i discorsi agostiniani gli offrivano un aiuto<br />
prezioso. Si può pensare che se ne sia privato?<br />
C'era poi la festa o le feste - forse se ne celebravano già più di una nel corso<br />
<strong>del</strong>l'anno (vedi sopra p. 22) - che offrivano l'occasione propizia per rievocarne la<br />
conversione, tesserne l'elogio <strong>del</strong>la virtù, ricordarne le istituzioni monastiche. Si può<br />
esser certi che Nicola ne avrà approfittato con entusiasmo: l'amore e il senso <strong>del</strong><br />
dovere non gli permettevano di fare altrimenti.<br />
2. LA REGOLA<br />
Ma il suo compito principale come maestro dei novizi era quello di spiegare la<br />
Regola. Quanto a lungo e quanto profondamente l'abbia meditata possiamo supporlo.<br />
Non supponiamo invece ma sappiamo dal primo biografo che ne aveva colto e fatto<br />
suo il punto centrale, quello che per <strong>Agostino</strong> è la misura <strong>del</strong> progresso nella<br />
perfezione. Parlando infatti <strong>del</strong>la sua grande carità dice che «riteneva un guadagno il<br />
morire non solo per Cristo ma anche per il prossimo... e che non cercava le cose<br />
proprie ma quelle di Gesù Cristo non preponendo, da perfetto osservante <strong>del</strong>la Regola<br />
<strong>del</strong> Padre Sant'<strong>Agostino</strong>, le cose proprie alle comuni ma le comuni alle proprie.<br />
Questi infatti, esponendo le parole di San Paolo, dice nella Regola: la carità di cui sta<br />
scritto che non cerca il proprio tornaconto, va intesa nel senso che antepone le cose<br />
comuni alle proprie, non le proprie alle comuni» (Vita, 4, 29). Il biografo avrebbe<br />
potuto continuare: «Per cui vi accorgerete di aver tanto più progredito nella<br />
perfezione quanto più avrete curato il bene comune anteponendolo al vostro»<br />
(Regola, c. 5, n. 31).<br />
72
Questo Nicola lo aveva compreso, e con questo aveva colto l'anima <strong>del</strong>la Regola<br />
agostiniana. Guidato da questa intuizione luminosa, tanto luminosa che l'autore <strong>del</strong>la<br />
Città di Dio la pone a base <strong>del</strong>la sua grandiosa concezione <strong>del</strong>la storia, avrà<br />
certamente mostrato ai novizi che il fine, il mezzo, il centro <strong>del</strong>la vita religiosa quale<br />
la concepisce <strong>Agostino</strong> e la esprime nella Regola è la carità.<br />
Il fine è indicato in quelle parole riassuntive di tutto il Vangelo: Prima di ogni<br />
altra cosa si ami Dio e poi il prossimo (n. 1); il mezzo in quelle altre che vengono<br />
subito e indicano l'esercizio <strong>del</strong>la carità nella perfetta vita comune come la via<br />
privilegiata per giungere al perfetto amore di Dio e <strong>del</strong> prossimo: «abbiate un'anima<br />
sola e un sol cuore protesi verso Dio. Non dite di nulla: "E mio", ma tutto sia comune<br />
tra voi» (n. 3-4); il centro poi in quelle altre ancora che prescrivono di far trionfare in<br />
tutto, tra le necessità passeggere <strong>del</strong>la vita presente, quella che permane in eterno: la<br />
carità (cfr. n. 31).<br />
Tutto il resto, avrà continuato Nicola, è un presupposto, un alimento o un motivo<br />
d'ispirazione <strong>del</strong>la vita consacrata: presupposto i consigli evangelici <strong>del</strong>la castità,<br />
povertà e obbedienza (questo inculcato dall'esempio di Cristo, quelli dall'esempio e<br />
dalla parola), che spianano la via all'ascensione <strong>del</strong>l'amore; alimento la preghiera, la<br />
mortificazione, lo studio, il lavoro; motivi d'ispirazione la bellezza eterna alla cui<br />
contemplazione il religioso si consacra, la fragranza <strong>del</strong>le virtù di Cristo che vuol<br />
seguire e diffondere nel mondo, la libertà interiore che sente come fonte perenne di<br />
gioia e di speranza.<br />
Con l'intuito infallibile <strong>del</strong>la santità, Nicola avrà insistito su questi motivi<br />
ispiratori, molto adatti ad entusiasmare in particolare i giovani e illuminanti per tutti.<br />
Avrà riletto spesso, dico, e spiegato quelle splendide parole finali <strong>del</strong>la Regola, dove<br />
vengono riassunte in sintesi serrata le ragioni supreme <strong>del</strong>la vita religiosa: l'amore, la<br />
contemplazione, l'apostolato, la libertà. «Vi conceda il Signore di osservare queste<br />
norme con amore, quali innamorati <strong>del</strong>la bellezza spirituale ed esalanti dalla vostra<br />
santa convivenza il buon profumo di Cristo, non come servi sotto la legge ma come<br />
liberi sotto la grazia» (n. 48). E avrà letto -chi può dubitarne? - quelle altre che<br />
vengono dopo e sono un ammonimento a prendere sul serio la Regola, tanto breve,<br />
ma anche tanto ricca di contenuto e tanto impegnativa: «Perché poi possiate rimirarvi<br />
in questo libretto -la Regola appunto - come in uno specchio, onde non trascurare<br />
nulla per dimenticanza, vi sia letta una volta la settimana» (n. 49).<br />
Avrà insistito anche nello spiegare quelle altre parole che sembrano uscite da una<br />
scuola cinica e contengono invece una grande sapienza umana ed evangelica: «è<br />
meglio aver meno bisogni che aver più cose» (n. 18). Queste parole <strong>del</strong> resto<br />
corrispondono mirabilmente al tenore di vita che Nicola aveva scelto e portava avanti<br />
con incrollabile fe<strong>del</strong>tà. Le sue astinenze, i suoi digiuni, le sue macerazioni avevano<br />
fra l'altro questo scopo - mi pare di averlo detto -: ridurre i bisogni e dilatare gli spazi<br />
<strong>del</strong>la carità. Era in grado pertanto di spiegare la Regola con l'eloquenza<br />
<strong>del</strong>l'erudizione e con quella, più efficace, <strong>del</strong>l'esempio.<br />
73
3. LE COSTITUZIONI<br />
L'altro compito <strong>del</strong> maestro dei novizi era ed è quello di spiegare le Costituzioni.<br />
Inutile ricordarne l'importanza: il novizio deve sapere sulla base di quali disposizioni<br />
o leggi farà la professione religiosa.<br />
In quanto al nostro Nicola, non sapendo in quale anno (o in quali anni) sia stato<br />
maestro dei novizi, non sappiamo quale testo di Costituzioni abbia avuto a<br />
disposizione. Forse quelle proposte ed esaminate nei capitolo generale di Orvieto <strong>del</strong><br />
1284 o quelle - ma la cosa appare meno probabile - promulgate nel 1290 dal suo<br />
corregionale ed ex superiore provinciale Clemente da Osimo. Ma forse neppure le<br />
prime, se dobbiamo mettere la permanenza a Sant'Elpidio prima <strong>del</strong>la sua<br />
destinazione alla comunità di Tolentino dove avrebbe dimorato (almeno come<br />
conventuale se non sempre di fatto) per 30 anni buoni (Processo, teste 88, pp. 250 e<br />
255). In questo caso non possiamo appellarci neppure al capitolo generale <strong>del</strong> 1275 -<br />
anno in cui sarebbe stato trasferito a Tolentino -, nel qual capitolo sappiamo che «si<br />
fecero molte definizioni e furono rinnovate le Costituzioni».<br />
Bisognerebbe ricorrere dunque alle Costituzioni anteriori a quest'anno - se furono<br />
rinnovate vuol dire che c'erano - o addirittura agli statuti <strong>del</strong>la congregazione dei<br />
brittinesi, da cui aveva avuto origine la provincia <strong>del</strong>la Marca, a cui Nicola<br />
apparteneva, approvati nel 1235 da Gregorio IX, e che contenevano alcuni punti<br />
fondamentali, appena otto, riguardanti l'uniformità <strong>del</strong>la vita, la povertà individuale e<br />
comunitaria «eccetto l'orto e la selva dei vostro eremo», i giorni di digiuno, che erano<br />
molti, il modo di vestire e il governo <strong>del</strong>la congregazione 1<br />
Le Costituzioni <strong>del</strong>l'Ordine ebbero, come si vede, una formazione lenta e<br />
indubbiamente faticosa, su cui esercitarono un influsso determinante la sapienza e la<br />
fermezza di tanti superiori generali e l'esempio di tanti santi che, particolarmente in<br />
quei primi tempi, popolarono la rinnovata eredità <strong>del</strong> vescovo d'Ippona. Tra questi<br />
vorrei porre in primo luogo il nostro Nicola, non solo per l'esempio di santità, che fu<br />
altissimo, ma anche per il consiglio come maestro dei novizi e amante <strong>del</strong>lo sviluppo<br />
<strong>del</strong>l'Ordine.<br />
Non so pensare che non abbia conosciuto il B. Clemente da Osimo, suo<br />
provinciale, o che a quest'uomo sagace e anch'egli santo sia sfuggita l'alta figura<br />
spirituale di Nicola che il Signore aveva arricchito di tanti doni. Del resto non è<br />
possibile supporre il B. Clemente come generale prima (1271-1275), poi come<br />
visitatore generale, poi di nuovo come generale (1284-1291) non lo abbia incontrato,<br />
non gli abbia parlato, non ne abbia viste e sentite le ricchezze interiori. Ora questo<br />
superiore è stato l'artefice principale <strong>del</strong>le Costituzioni <strong>del</strong>l'Ordine, presente ed<br />
operante nei capitoli nei quali furono rinnovate (1275), esaminate (1284),<br />
definitivamente promulgate (1290).<br />
Questi incontri non debbono essere restati inutili per la formazione <strong>del</strong>le<br />
Costituzioni, quando si andava cercando, per trascriverlo in leggi interpretative <strong>del</strong>la<br />
Regola, il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>l'agostiniano che inserisse, senza tradirlo, l'antico ideale <strong>del</strong><br />
vescovo d'Ippona nelle nuove necessità <strong>del</strong>la chiesa. Amo vedere quest'influsso, per<br />
esempio, nel lungo e minuzioso capitolo sulla formazione dei novizi. Quella<br />
raccomandazione finale nella lettura e l'ascolto <strong>del</strong>la Scrittura s'intona molto bene col<br />
74
pensiero di chi, a somiglianza di <strong>Agostino</strong>, non si saziava mai <strong>del</strong>la mirabile dolcezza<br />
<strong>del</strong>la parola di Dio (Processo, a. 22; Vita, 4, 28).<br />
Se poi mi si consente un'altra illazione, dirò che l'influsso indiretto di Nicola lo<br />
penso nell'«Ordinario» («Ordinationes») o regolamento <strong>del</strong> culto divino, «composto<br />
<strong>del</strong>la santa <strong>memoria</strong> di fr. Clemente che fu nostro generale» come ricordano i padri<br />
<strong>del</strong> capitolo <strong>del</strong> 1308.<br />
A questo «ordinario» si richiamarono già le Costituzioni <strong>del</strong> 1290 2 .<br />
4. L'ESEMPIO<br />
Ma se è incerto quale testo <strong>del</strong>le Costituzioni Nicola abbia spiegato ai novizi e se<br />
è una mia illazione, non <strong>del</strong> tutto, penso, arbitraria, quella <strong>del</strong>l'influsso sulla loro<br />
progressiva formazione, è indubbio che egli formò i suoi novizi più con l'esempio che<br />
con la parola. Quei novizi furono veramente fortunati: videro riflesso sul volto e negli<br />
atti <strong>del</strong> loro (giovane?) maestro l'ideale di vita a cui volevano consacrarsi. Videro la<br />
bontà, l'amabilità, l'umiltà, la mitezza di cui tanto parlano i testi; videro l'assiduità<br />
quasi ininterrotta nella preghiera, la celebrazione quotidiana, devota e commossa,<br />
<strong>del</strong>la santa messa, la gioia serena <strong>del</strong>la consacrazione, l'amore sincero e forte a Gesù,<br />
a Maria, al beato <strong>Agostino</strong>, l'austerità <strong>del</strong>la vita, l'accoglienza ilare e generosa degli<br />
ospiti.<br />
È veramente spiacevole che chi ci ha ricordato di averlo avuto maestro lo abbia<br />
fatto solo incidentalmente. Possiamo scusarlo perché era intento a dire altre cose;<br />
rispondeva infatti alla domanda se aveva conosciuto Nicola. «Sono già 56 anni che<br />
sono entrato nell'Ordine, e nello stesso anno in cui entrai, fui conventuale, durante il<br />
noviziato, nei paese di Sant'Elpidio dove dimorava il predetto fr. Nicola che mi fu<br />
dato come maestro e così per tutto quell'anno stetti alla sua scuola» (Processo, teste<br />
217, pp. 459-460).<br />
Un'osservazione va fatta nei riguardi <strong>del</strong>l'austerità di vita. Il nostro santo aveva<br />
scelto per sé - come abbiamo visto - un tenore di vita più austero di quello, austero<br />
anch'esso, che prescrivevano le Costituzioni, ma, ricco com'era di equilibrio e di<br />
saggezza, godeva molto nel vedere i confratelli mangiar bene, anzi esortava il priore,<br />
come ci ricorda uno che lo fu a Tolentino, perché li trattasse con larghezza e desse<br />
loro <strong>del</strong>le «buone pietanze» per potersi rifocillare dopo le dure fatiche <strong>del</strong>l'apostolato.<br />
Si può esser certi che lo stesso atteggiamento tenne con i novizi affinché<br />
imparassero, sì, l'austerità religiosa, ma avessero anche di che rallegrarsi, di che star<br />
bene e conservare le energie fisiche tanto necessarie per lo studio, il lavoro, l'impegno<br />
spirituale.<br />
_____<br />
NOTE:<br />
1 Per queste e altre informazioni sulla formazione <strong>del</strong>le prime Costituzioni cfr. D.<br />
Gutiérrez, Los agustinos en la dad media (1256-1356), I/i, Roma 1980.<br />
2 Vedi D. Gutiérrez, ox, p. 133<br />
75
CAPITOLO XII<br />
LA COMUNIONE DEI SANTI<br />
Mancherebbe qualcosa alla dimensione apostolica <strong>del</strong> nostro santo, se non si<br />
raccogliessero dal primo biografo alcuni episodi che ne indicano la profonda fede<br />
nella comunione dei santi e la speciale missione che il Cielo gli affidava.<br />
È la comunione dei santi una <strong>del</strong>le verità più profonde e più consolanti <strong>del</strong>la<br />
nostra fede. Com'è noto, essa abbraccia la chiesa terrena e quella ultraterrena e, in<br />
questa, quella dei beati nel cielo e quella che sta purificandosi nel purgatorio. Non già<br />
che siano tre chiese, ma una sola in diverso stato o condizione, una chiesa nella quale<br />
corre la partecipazione degli stessi beni, quelli che Dio ha elargito agli uomini per<br />
mezzo di Cristo e in Lui e per mezzo di Lui a tutti i membri <strong>del</strong>la sua città, che è<br />
appunto la città di Dio, come la vede e la illustra il vescovo d'Ippona.<br />
<strong>Alla</strong> comunione dei santi il Concilio Vaticano II ha dedicato un intero capitolo, il<br />
settimo, <strong>del</strong>la grande e splendida costituzione sul mistero <strong>del</strong>la Chiesa, la Lumen<br />
gentium. Vi si leggono queste parole riassuntive: «Fino a che... non gli saranno<br />
sottomesse (a Cristo) tutte le cose, alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra,<br />
altri, passati da questa vita, stanno purificandosi, e altri godono <strong>del</strong>la gloria<br />
contemplando chiaramente Dio uno e trino qual è; tutti però, sebbene in grado e<br />
modo diversi, comunichiamo nella stessa carità di Dio e <strong>del</strong> prossimo e cantiamo al<br />
nostro Dio lo stesso inno di gloria» (n. 49). In quanto alla particolare relazione, in<br />
forza di questa comunione reciproca, dei viventi con i defunti vi si dice: «La Chiesa<br />
dei viatori, riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il Corpo mistico di<br />
Cristo, fino dai primi tempi <strong>del</strong>la religione cristiana coltivò con grande pietà la<br />
<strong>memoria</strong> dei defunti e, poiché "santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti<br />
perché siano assolti dai peccati" (2 Macc 12, 46), ha offerto per loro anche suffragi»<br />
(n. 50).<br />
Queste parole <strong>del</strong>l'ultimo Concilio confermano il solenne insegnamento di quelli<br />
precedenti; confermano in particolare quello dei due Concili di Lione celebrati<br />
durante la giovinezza <strong>del</strong> nostro Nicola, il primo nel 1245, anno <strong>del</strong>la sua nascita, il<br />
secondo nel 1274, anno <strong>del</strong>la sua ordinazione sacerdotale. È bello costatare che<br />
proprio negli anni in cui tutta la Chiesa, orientale compresa, ricordava ai suoi figli<br />
l'insegnamento <strong>del</strong>la fede nel purgatorio, Dio suscitava in essa un santo che sarebbe<br />
stato un amante appassionato <strong>del</strong>le anime purganti, suffragatore costante <strong>del</strong>le loro<br />
pene qui in terra, protettore implorante nel cielo. Il primo biografo ci narra a questo<br />
proposito due episodi significativi.<br />
1. VALMANENTE<br />
Era (ed è) Valmanente un eremo agostiniano nei pressi di Pesaro. Ai tempi di<br />
Nicola la solitudine dei boschi vi regnava sovrana. Giù, in fondo alla valle, la città di<br />
76
Pesaro e il mare. II nostro santo vi fu inviato di comunità appena sacerdote. Ma<br />
lasciamo la parola al biografo.<br />
« Nella notte precedente la domenica, Nicola prendeva un po' di sonno nel suo<br />
letto - in strato aliquantulum obdormivit: quel che segue è dunque evidentemente un<br />
sogno -, quando qualcuno con gran voce e grandi lamenti lo chiama: Frate Nicola,<br />
uomo di Dio, guardami. Guardandolo attentamente, non lo riconosce e gli chiede chi<br />
fosse. Quegli rispose: "Sono fr. Pellegrino da Osimo che da vivo tu hai conosciuto.<br />
Sono tormentato in questa fiamma (Lc. 16, 24). Dio, accettando la mia contrizione,<br />
non mi ha condannato alla pena eterna, ma, per sua misericordia, alla pena <strong>del</strong><br />
purgatorio. Ti prego dunque umilmente che voglia celebrare la messa dei defunti<br />
perché venga liberato finalmente da queste fiamme". Nicola rispose: "Ti aiuti,<br />
fratello, il mio Salvatore dal cui sangue sei stato salvato; ma io, incaricato a celebrare<br />
solennemente la messa conventuale, soprattutto domani che è domenica, il cui rito<br />
liturgico si deve rispettare, non posso celebrare la messa dei defunti". Ma quello:<br />
"Vieni, venerando Padre, vieni e considera se ti sembra conveniente respingere senza<br />
pietà l'appello di tanta misera gente che mi ha mandato". Così dicendo, lo portò<br />
all'altra parte <strong>del</strong>l'eremo e gli mostrò la pianura che scende verso Pesaro: era piena di<br />
una moltitudine innumerevole di ambo i sessi, di molte età, di diversi stati ed anche di<br />
diversi ordini (religiosi)». E proseguì: "Abbi pietà, Padre, abbi pietà di una<br />
moltitudine tanto misera che aspetta il tuo aiuto a sé tanto utile. Difatti se vorrai<br />
celebrare per noi, la massima parte di noi sarà liberata da questi atroci tormenti".<br />
«Svegliatosi il sant'uomo - nuova conferma che si era trattato di un sogno, ma tale<br />
che apparve a Nicola come una comunicazione certa <strong>del</strong> Cielo -, si sentì<br />
profondamente commosso e, con molte lacrime, cominciò a pregare per tutti quelli<br />
(che aveva visto) il Salvatore di tutti. <strong>Alla</strong> mattina si presentò con grande riverenza al<br />
priore e umilmente raccontò una parte, non tutto, di quello che aveva, visto, e lo<br />
supplicò che gli permettesse di celebrare per tutta la settimana la messa dei defunti.<br />
Avuto il permesso, per tutta quella settimana celebrò per i defunti e giorno e notte<br />
pregava con grande amore e molte lacrime per quella moltitudine che gli era stata<br />
mostrata». Si può esser certi che alle preghiere aggiunse l'astinenza, i digiuni, le<br />
macerazioni.<br />
Continua il biografo: «Passata la settimana, lo stesso fr. Pellegrino gli apparve di<br />
nuovo -suppongo che sia stato di nuovo nel sonno -, lo ringraziò per aver ottenuto il<br />
favore richiesto e lo assicurò che egli e gran parte <strong>del</strong>la moltitudine di anime che<br />
aveva visto, per la misericordia di Dio, i suoi sacrifici e le sue preghiere piene di<br />
lacrime, erano volate felicemente a contemplare la gloria di Dio» (Vita, 2, 10-12).<br />
A questo punto il biografo non può fare a meno di dare libero sfogo ai suoi<br />
sentimenti e di fare sfoggio <strong>del</strong>la sua arte retorica in cui non doveva essere versato<br />
mediocremente. Seguendo il mo<strong>del</strong>lo di antiche biografie esclama commosso: «O<br />
uomo ineffabile, i cui primordi <strong>del</strong>la santità e gli inizi dei meriti ridondano a<br />
beneficio degli eletti di Dio! Di quest'uomo l'età giovanile si cominciò a riconoscerla<br />
nel purgatorio, la santità <strong>del</strong>la vita senile sappiamo che è venerata nel mondo... »<br />
(Vita, 2,13). E continua di questo passo con altre espressioni enfatiche che non<br />
trascrivo. Battute retoriche, è vero; ma in fondo ha ragione.<br />
77
Quell'episodio non fu più dimenticato. Non lo dimenticò il nostro santo che<br />
pregherà sempre e molto per i defunti dalla messa quotidiana al quotidiano ufficio per<br />
i morti (vedi sopra p. 55); non lo dimenticarono i suoi devoti che lo invocarono e<br />
l'invocano come protettore speciale <strong>del</strong>le anime <strong>del</strong> purgatorio. L'uso <strong>del</strong> settenario di<br />
San Nicola - settenario di messe e preghiere speciali in suffragio dei defunti -, si è<br />
diffuso in tutto il mondo ed è divenuto per molti un'espressione costante <strong>del</strong>la pietà<br />
cristiana. Bonifacio IX (1400) concederà l'indulgenza plenaria sull'esempio di quella<br />
<strong>del</strong>la Porziuncola di Assisi da cui nascerà la festa <strong>del</strong> «Perdono» -, per chi, confessato<br />
e comunicato, avesse visitato la tomba <strong>del</strong> santo, e Leone XIII (1884) approverà la<br />
«Pia unione sotto il patrocinio di San Nicola per suffragare la anime <strong>del</strong><br />
purgatorio». Il segno <strong>del</strong> Cielo è stato dunque raccolto.<br />
2. IL FRATELLO GENTILE<br />
Torniamo al nostro biografo. Per dimostrare il potere di Nicola sulle anime dei<br />
trapassati o, per dir meglio, il potere <strong>del</strong> suo patrocinio presso Dio a loro favore, narra<br />
un altro episodio.<br />
Non c'è ragione di dubitare <strong>del</strong>la storicità <strong>del</strong> fatto narrato: il dubbio cade, questa<br />
volta, sulla sua interpretazione. Infatti prima di narrarlo fa questa premessa: Nicola<br />
«non solo con i suoi meriti ha svuotato il purgatorio, ma con le sue preghiere sembra<br />
spogliare anche l'inferno». Ora in queste parole non dispiace solo la retorica, che si<br />
può sempre scusare, ma anche il contenuto che merita più attenta considerazione.<br />
Prese infatti come suonano, queste parole valicano i limiti d'una sana dommatica. Ma<br />
lasciamo parlar lui.<br />
Nicola era conventuale nella città di Recanati. Qui lo raggiunse la notizia<br />
<strong>del</strong>l'assassinio <strong>del</strong> fratello Gentile, avvenuto, se la lettura <strong>del</strong> testo è giusta, nel<br />
Castello di Montappone. Sembra certo che Nicola abbia avuto un fratello minore: nel<br />
processo un teste, Angeluccio Guarinta, si dichiara nipote carnale <strong>del</strong> santo<br />
(Processo, teste 247, p. 526). Il nunzio gli s<strong>cara</strong>ventò addosso con violenza tutta la<br />
responsabilità di quella morte, <strong>del</strong> corpo, disse, e <strong>del</strong>l'anima, poiché, aggiunse, egli è<br />
dannato. Come lo sapesse, nessuno lo sa. Sembra di capire che era convinto che i<br />
parenti d'un santo simili morti non devono farle. Altrimenti in che consiste la santità?<br />
Nicola restò doppiamente addolorato, non tanto per quella responsabilità<br />
gettatagli sgarbatamente addosso, che non sentiva di avere, quanto per la tragica fine<br />
di suo fratello e per la possibilità che fosse andato davvero nel luogo <strong>del</strong>la perdizione.<br />
Perciò raddoppiò le sue preghiere e le sue penitenze giorno e notte, per quindici<br />
giorni, allo scopo di chiedere al suo Salvatore Gesù Cristo che gli mostrasse -<br />
ardimento dei santi! - se l'anima di suo fratello fosse salva o dannata. Dopo quel<br />
periodo, mentre era in chiesa ad accendere la lampada eucaristica, sentì una gran voce<br />
che gli diceva: «Fratello mio, fratello mio, ero condannato, ma il Signore, per le tue<br />
preghiere e le tue lacrime, mi ha liberato».<br />
Temendo un inganno diabolico, Nicola rispose con tutta tranquillità: «Perché mi<br />
tenti, o nemico maligno? Mio fratello è morto, e Dio soltanto può condannare o<br />
78
salvare». E quello: «Fratello mio, non dubitare; sono veramente Gentile tuo fratello,<br />
che per le tue preghiere sono stato or ora liberato dall'inferno».<br />
Come intendere queste parole? Forse semplicemente così: condannato alla pena<br />
temporale e da essa liberato per le preghiere di Nicola. La parola «inferno» non<br />
sarebbe tecnica per il luogo di perdizione, ma generica per gli «inferi» o luoghi<br />
inferiori, come è usata spesso nella Scrittura, e anche nel Simbolo degli Apostoli.<br />
Inteso così l'episodio, possiamo prendere come profetiche e consolanti, senza<br />
turbamenti o questioni dommatiche, le parole con le quali il fratello morto esortava il<br />
vivo a perseverare nel tenore di vita intrapreso. Furono, secondo il biografo, queste:<br />
«Sii forte, e persisti nelle opere di penitenza che hai intrapreso: le tue opere sono<br />
tanto grate al nostro Salvatore Dio che qualunque cosa chiederai durante la tua vita<br />
terrena otterrai e in questa, nella quale io mi trovo, sarai glorioso» (Vita, 2, 13).<br />
Abbiamo visto finora come Nicola sia restato fe<strong>del</strong>e al suo programma di vita e in<br />
esso e con esso al Signore che lo aveva eletto per farne un esemplare di asceta, di<br />
contemplativo e di apostolo; abbiamo visto altresì come il Signore sia stato con lui<br />
ricco di doni, gli abbia concesso la sua intima e compiacente amicizia fino al dono,<br />
non richiesto ma gratuitamente e largamente concesso, dei miracoli. Ci resta da<br />
vedere come abbia, con una morte preziosa al cospetto <strong>del</strong> Signore, lasciato questo<br />
mondo e sia entrato nella gloria dei cieli.<br />
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CAPITOLO XIII<br />
COSÌ MUOIONO I GIUSTI<br />
Tra quelli che deposero nel processo, tre affermano di aver assistito alla morte di<br />
Nicola: fr. Angelo da Santa Vittoria (Processo, teste 10, p. 95), fr. Tommaso da<br />
Matelica (teste 265, p. 543) e fr. Giovannuzzo da Tolentino (teste 221, p. 478). Tra<br />
essi solo l'ultimo ce ne narra i particolari appellandosi a ciò che aveva visto e a ciò<br />
che aveva udito: «Fui presente, e alcune cose le ho viste, altre le ho udite» (ivi, p.<br />
489).<br />
Non c'è dubbio che da questi testi e dagli altri confratelli e amici che assistettero<br />
all'ultima malattia e alla morte <strong>del</strong> santo - sappiamo che tutta la comunità si raccolse<br />
intorno al suo lettuccio e che la sua nuda cameretta fu meta di molte visite -, il primo<br />
biografo raccolse le notizie che ci trasmise nella sua biografia. Possiamo dunque<br />
seguirlo, tanto più che alcuni particolari coincidono perfettamente con quanto è<br />
narrato da fr. Giovannuzzo nel processo.<br />
1. L'ANNUNZIO<br />
I segni precursori <strong>del</strong>la fine furono tre: l'apparizione <strong>del</strong>la stella; l'ascolto <strong>del</strong>le<br />
armonie celesti; la risposta di Maria.<br />
Se non sappiamo con certezza quando avvenne l'apparizione <strong>del</strong>la stella (vedi<br />
sopra p. 35) - il primo biografo parla di diversi anni prima <strong>del</strong>la morte: per plures<br />
annos ante abitum suum (Vita, 4, 32), e non si sa perché alcuni storici li riducano a<br />
sei mesi -, possiamo supporre senza timor di sbagliare che essa, quando Nicola, dopo<br />
un periodo di dubbio e di scetticismo, si convinse che lo riguardava da vicino, lo<br />
indusse a pensare alla fine. Quell'insistente posarsi <strong>del</strong>la stella sull'oratorio di<br />
Sant'<strong>Agostino</strong> gli fece pensare al luogo <strong>del</strong> suo sepolcro. Difatti, approssimandosi la<br />
morte, pregò con amore i confratelli che volessero seppellire il suo corpo in quel<br />
luogo e non lo rimovessero da lì. La stella poi, fe<strong>del</strong>e all'appuntamento, ogni anno,<br />
per molti anni, nell'anniversario <strong>del</strong>la sua morte tornò a posarsi sull'oratorio di<br />
Sant'<strong>Agostino</strong>, quasi richiamo alle folle, che ad ondate incalzanti accorrevano a quel<br />
sepolcro ormai glorioso, e segno, come bene interpreta il primo biografo, di ciò che<br />
Nicola avrebbe operato, per volere di Dio, qui in terra e <strong>del</strong>la gloria che godeva nei<br />
cieli (Vita, 4,33).<br />
Ma se l'apparizione <strong>del</strong>la stella fu un avviso lontano, più vicino e più immediato<br />
ne giunse un altro: l'armonia celeste. Sei mesi prima <strong>del</strong>la sua morte sul far <strong>del</strong><br />
mattino cominciò a sentire un soavissimo canto angelico. Ecco un altro particolare<br />
<strong>del</strong>la sua vita - e non sarà l'ultimo che solo lui, lui stesso, può aver rivelato ai<br />
confratelli con quel senso abituale di fiducia fraterna e di semplice, gioiosa amicizia<br />
che lo distingueva (vedi sopra p. 35). Era l'invito a passare all'altra sponda, a quella<br />
da dove arrivavano quei segnali divini.<br />
I santi vivono abitualmente nell'orizzonte <strong>del</strong>l'eternità, tra il visibile e l'invisibile,<br />
il temporale e l'eterno, il presente e il futuro. I due poli che costituiscono<br />
80
essenzialmente la vita cristiana sono in loro strettamente congiunti: non dimenticano<br />
il presente per il futuro - si veda sopra la premura sistematica che Nicola aveva per i<br />
poveri e per gl'infermi -, ma neppure, e vorrei dire meno ancora, il futuro per il<br />
presente. Non fa meraviglia allora che, squarciatosi per un poco il velo <strong>del</strong> sensibile<br />
o, come dice bellamente un poeta moderno, «abbattuto il muro d'ombra» che ci<br />
separa dall'eterno, il santo sente parole che non è possibile all'uomo ripetere (cfr. 2<br />
Cor 12, 4) e che noi esprimiamo con la parola più bella che abbiamo nel nostro<br />
linguaggio perché la realtà che indica costituisce la base di ogni bellezza: l'armonia.<br />
Questi segni celesti devono aver fatto sorgere nell'animo di Nicola un desiderio<br />
fiducioso insieme ed ardito che solo i grandi santi, che hanno una grande familiarità<br />
con Dio, possono concepire senza peccare di presunzione, il desiderio, dico,<br />
<strong>del</strong>l'apparizione dei suoi tre grandi amori: Gesù, Maria e <strong>Agostino</strong>, e l'altro unito al<br />
primo: la rivelazione <strong>del</strong> giorno <strong>del</strong>la sua morte. Così avvenne. Depone fr.<br />
Giovannuzzo nel processo: «Si diede a pregare con molte lacrime la Vergine Maria e<br />
il beato <strong>Agostino</strong> perché gli fosse concessa la consolazione di un'apparizione di<br />
Cristo e <strong>del</strong>la Vergine e <strong>del</strong>lo stesso <strong>Agostino</strong> e gli fosse rivelato il giorno <strong>del</strong> suo<br />
passaggio da questa vita». L'apparizione avvenne, continua il teste, dopo tre giorni da<br />
questa umile e fiduciosa preghiera, e «Maria gli disse: il terzo giorno dopo la mia<br />
natività (8 settembre) passerai da questo mondo al regno dei cieli: ricevi i sacramenti<br />
<strong>del</strong>la Chiesa e affrettati a prepararti al gran passo» (Processo, teste 221, p. 488).<br />
Era già preparato, perché tutta la sua vita, come quella <strong>del</strong> suo padre spirituale<br />
dopo la conversione, fu una lunga e gioiosa preparazione alla morte. Si è detto sopra<br />
che egli prediligeva i salmi <strong>del</strong>le ascensioni (verso la celeste Gerusalemme) che<br />
recitava, insieme ai salmi penitenziali, ogni giorno (vedi sopra pp. 101-102). In essi<br />
incontrava sempre quelle parole che tante volte avevano fatto vibrare le più intime<br />
corde <strong>del</strong> suo spirito commuovendolo fino alle lacrime: «Quale gioia quando mi<br />
dissero: Andremo nella casa <strong>del</strong> Signore». E avrà ricordato e recitato quelle che<br />
seguono, che avevano per lui, ormai, un significato nuovo e suscitavano, nel cuore,<br />
un affetto nuovo, ineffabile: «Ed ora i nostri piedi si fermano alle tue porte,<br />
Gerusalemme» (Sl.122 [121], 1-2). Ormai era davvero alle porte di Gerusalemme,<br />
non di quella di pietra come gli antichi israeliti, ma di quella <strong>del</strong>lo spirito a cui son<br />
destinati i salvati da Cristo.<br />
L'annuncio di Maria e la sua materna raccomandazione, aggiunti al bisogno più<br />
profondo <strong>del</strong> suo spirito, lo indussero ad immergersi totalmente, più <strong>del</strong> solito, nella<br />
preghiera o, come dice il teste oculare, «a darsi alla preghiera». Proprio come il suo<br />
padre spirituale che gli ultimi giorni <strong>del</strong>la vita volle dedicare esclusivamente alla<br />
preghiera (Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong>, 31, 2).<br />
2. L'INFERMO CHE GUARISCE GLI INFERMI<br />
Ma fino a che punto fosse lasciato libero di darsi tutto alla preghiera non so. Il<br />
primo biografo ci assicura che molti accorrevano a lui «salutationis gratia». Erano gli<br />
amici, erano i beneficati che volevano rivedere il loro amico o il loro benefattore<br />
morente. E chi a Tolentino non era stato beneficato da lui? Quale povero non era stato<br />
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aiutato? Quale infermo non era stato visitato? Quali giovani non avevano ricevuto da<br />
lui sapienti consigli? E quante «grazie» erano cadute dalla sua mano benedicente! Si<br />
può dunque pensare che le visite fossero frequenti e la processione lunga. E forse<br />
Nicola non ebbe il coraggio di chiedere quello che aveva chiesto <strong>Agostino</strong> nell'ultima<br />
malattia, né i confratelli il pensiero di disporlo. Si sa che il vescovo d'Ippona «per non<br />
essere disturbato da nessuno nel suo raccoglimento, un dieci giorni prima di uscire<br />
dal corpo pregò noi presenti, dice il primo biografo, di non lasciar entrare nessuno<br />
nella sua camera fuori <strong>del</strong>le ore in cui i medici venivano a visitarlo o quando gli si<br />
portavano i pasti. Il suo volere fu adempiuto esattamente: e in tutto quel tempo egli<br />
attendeva all'orazione» (Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong> 31, 3).<br />
Ma se non ci fu questa somiglianza di situazioni, ce ne fu un'altra, quella di<br />
ottenere per gli infermi, egli mortalmente infermo, la salute. Il primo biografo narra<br />
due casi.<br />
Una certa Blanda di Tolentino, soffrendo da quindici anni fortissimi dolori di<br />
testa tanto che spesso non poteva né vedere né udire, si recò da Nicola che giaceva<br />
sul letto di morte e lo pregò che si degnasse di posarle la mano sulla testa. Il morente<br />
ve la pose e poi vi tracciò il segno <strong>del</strong>la croce: ogni dolore scomparve come<br />
d'incanto. Forse Nicola non pensò e certamente non ci pensò il primo biografo che<br />
<strong>Agostino</strong> morente aveva fatto lo stesso gesto e con lo stesso risultato. Una madre gli<br />
presentò il suo bambino ammalato pregandolo che gl'imponesse le mani, certa che<br />
sarebbe subito guarito. <strong>Agostino</strong>, non riconoscendo in sé nessun potere taumaturgico,<br />
rispose sorridente: se avessi il potere di guarire gli ammalati lo userei prima di tutto<br />
per me, che, come vedi, sono molto ammalato. La madre non si diede per vinta, disse<br />
che il Signore l'aveva avvertita di portare il suo bambino dal vescovo <strong>Agostino</strong> e che<br />
si sarebbe guarito con la benedizione di lui. Il santo vescovo non si convinse molto,<br />
ma per compiacere la donna posò, con un gesto di benevolenza, la mano sul capo <strong>del</strong><br />
bambino e lo benedisse: il bambino guarì (Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong>, 32). I due fatti<br />
sono troppo simili per non essere ravvicinati. Forse Nicola, a differenza <strong>del</strong> suo padre<br />
spirituale, non sorrise alla richiesta <strong>del</strong>la donna, non scherzò sul potere dei miracoli,<br />
ma sapendo di averlo ricevuto per alleviare le sofferenze degli altri, non le sue,<br />
cedette senza resistere alle preghiere <strong>del</strong>la dolorante e la «grazia», ancora una volta,<br />
fiorì.<br />
Il secondo fatto prodigioso riguarda la sorella di un religioso agostiniano, un certo<br />
fr. Tommaso morto da poco. Questa buona sorella fu tanto addolorata per la morte<br />
<strong>del</strong> fratello che pianse tanto e così a lungo che ebbe un male agli occhi e perdette la<br />
vista. Andò da Nicola per esser guarita. Il santo, appresa la morte di fr. Tommaso, se<br />
ne dolse, perché, disse, con lui l'Ordine aveva perduto un religioso molto utile. Si noti<br />
quest'amabile ed affettuoso pensiero verso il suo Ordine, forse l'ultimo, il segno d'un<br />
lungo, profondo ed operoso amore. Lo aveva veramente amato l'Ordine, lo amava e<br />
avrebbe continuato ad amarlo, e, aggiungiamo pure, a glorificarlo.<br />
Ma torniamo alla donna che implorava il dono di riacquistare la vista. Nicola le<br />
diede la benedizione col segno <strong>del</strong>la croce, le toccò gli occhi e le disse: «Dio e mio<br />
Signore Gesù Cristo abbia pietà <strong>del</strong>la tua tristezza e ti restituisca la sanità degli<br />
occhi». La donna uscì dalla cameretta <strong>del</strong> morente ed entrò in chiesa: qui si accorse di<br />
aver recuperato la vista. Esultante, lo annunziò a tutti i presenti e se ne tornò, guarita,<br />
82
a casa sua. Mentre nella cameretta dove aveva implorato e ottenuto la «grazia»,<br />
Nicola, sempre più debole e spossato, restava ad attendere sereno, pregando e<br />
soffrendo, l'ora di Dio che gli era stata annunziata (Vita, 5, 47).<br />
3. IL SILENZIO DEL CIELO<br />
Nella deposizione di fr. Giovannuzzo c'è un particolare che richiama la nostra<br />
attenzione. Dice il teste: «Fr. Nicola chiese alla Vergine Maria che il nemico con cui<br />
tanto aveva combattuto in vita, non gli fosse vicino nell'ora <strong>del</strong>la morte».<br />
Si sentiva tanto debole, aveva tanta paura. Non già paura che la Madonna non<br />
fosse con lui per ottenergli, come altre volte, la vittoria, ma paura <strong>del</strong>la sua debolezza,<br />
paura <strong>del</strong>la possibilità sempre presente - finché si vive quaggiù non si può mai<br />
escluderla, e Nicola da buon teologo lo sapeva -, di restare sconfitti. Aver combattuto<br />
e vinto tante volte in vita, e restare sconfitto in punto di morte! Il pensiero lo riempiva<br />
di santo terrore. Da esso nasceva l'accorata preghiera che il teste ci ricorda.<br />
In altre parole Nicola chiedeva a Maria di ottenergli quello che il suo padre<br />
Sant'<strong>Agostino</strong> aveva chiamato il «grande dono» <strong>del</strong>la perseveranza. Dono veramente<br />
grande perché corona tutti gli altri doni e li rende operanti per la vita eterna. Ma un<br />
dono che non si merita: si può solo - e si deve - chiedere «supplichevolmente», cioè<br />
con una preghiera d'implorazione umile, insistente, perseverante. Chiedendo di essere<br />
liberato dagli assalti <strong>del</strong> nemico, Nicola chiedeva appunto questo dono. Pareva<br />
dicesse: se la traversata fu lunga e tempestosa, sia almeno tranquillo l'ingresso nel<br />
porto.<br />
Ma il cielo, nota il teste, non rispose. Momento difficile e oscuro per Nicola, forse<br />
il più difficile e il più oscuro <strong>del</strong>la sua vita. La prova era grande. Aveva espresso con<br />
la fiducia di un bambino il filiale desiderio di avere la gioia d'un'apparizione celeste<br />
nonché la certezza <strong>del</strong> giorno <strong>del</strong>la morte, ed era stato ascoltato; ora chiedeva una<br />
grazia molto più importante, tanto importante che da essa poteva dipendere la sua<br />
salvezza, e il Cielo taceva; taceva Maria, nella cui intercessione aveva avuto sempre<br />
un'illimitata fiducia. La prova era grande, l'estrema che Dio richiedeva a lui: una<br />
prova di fede piena e totale. Il santo la diede. «Non avuta la risposta dalla Vergine<br />
Maria, continua il teste, cominciò a pregare più devotamente, s'immerse tutto<br />
nell'orazione: devotius orare incepit et orationi se dedit».<br />
Dopo tre giorni d'intensa, commossa, fiduciosa preghiera la risposta venne.<br />
«Sentì la voce di un angelo che gli diceva: la tua preghiera è stata esaudita»<br />
(Processo, teste 271, p. 489). Ora sapeva di certo che l'ombra <strong>del</strong> nemico s'era<br />
allontanata definitivamente da lui, ora poteva guardare sereno alla sua fine,<br />
all'abbraccio gioioso col suo Signore.<br />
4. GLI ULTIMI GIORNI<br />
Per i santi che hanno avuto, come Nicola ebbe, il grande dono di una morte<br />
consapevole e serena con la possibilità di esprimere fino all'ultimo i sentimenti che<br />
83
coltivavano nel cuore, i giorni o le ore che precedono la morte sono il compendio di<br />
tutta la vita. Così fu per il nostro santo. S'era confessato ogni giorno, ora chiede di<br />
confessarsi per l'ultima volta; aveva celebrato quotidianamente la Santa Messa, ora<br />
non potendo più celebrare chiede di ricevere il Corpo <strong>del</strong> Signore; aveva tanto amato<br />
Maria, ora chiede che la sua immagine che aveva avuto sempre nella cameretta gli<br />
venga posta di fronte nella parete opposta al lettuccio perché possa fissare i suoi occhi<br />
nel volto materno di lei e dirle, prima di andarla a vedere nel cielo, tutto il suo amore;<br />
aveva tanto pregato davanti la reliquia <strong>del</strong>la santa Croce, ora chiede che gli venga<br />
portata perché possa abbracciarla e baciarla ancora una volta e, stretto ad essa,<br />
passare da questa vita all'eternità; aveva recitato con tanta assiduità i salmi, in coro e<br />
in privato, ed ora chiede che gli vengano sussurrate all'orecchio alcune parole, prese<br />
appunto dai salmi, che annunciano la liberazione e l'offerta totale a Dio.<br />
Sentendosi dunque venir meno le forze, fece chiamare il priore e chiese di fare la<br />
confessione. «Ti prego instantemente, padre priore, che mi assolva da tutti i miei<br />
<strong>del</strong>itti». I miei <strong>del</strong>itti! Così parlano i santi, i quali guardano se stessi alla luce di Dio.<br />
Anche il vescovo d'Ippona volle passare da questa vita riconoscendo i suoi peccati e<br />
recitando i salmi penitenziali. Diceva infatti: «Nessuno, laico o vescovo, per quanto<br />
sembri irreprensibile la sua condotta, deve passare da questa vita senza una degna,<br />
cioè adeguata, penitenza» (Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong> 32, 2).<br />
Poi volle avere intorno a sé i confratelli e chiese loro perdono <strong>del</strong>le offese che<br />
avesse loro arrecato. «O dignitosa coscienza e netta, direbbe qui Dante, come t'è<br />
picciol fallo amaro morso!». Quei buoni religiosi che lo avevano visto in mezzo a<br />
loro sempre premuroso e amabile, sempre attento ad evitare ogni ombra di litigio o di<br />
contrasto, sempre sereno e sorridente, un esemplare perfetto, in una parola, <strong>del</strong>la vita<br />
comune, a stento avranno potuto trattenere le lacrime. Eppure egli chiedeva<br />
sinceramente perdono. Lettore assiduo e studioso attento <strong>del</strong>la Scrittura, ricordava<br />
bene le parole di San Paolo: «Non sono consapevole di nessuna colpa, ma non per<br />
questo mi sento giustificato» (1 Cor, 4, 4).<br />
«Ricevuta la solenne assoluzione, circondato da una parte e dall'altra (<strong>del</strong><br />
lettuccio) dai confratelli, che pregavano insieme a lui, ricevette con grande effusione<br />
di lacrime - cum ingenti lachrimarum effusione - il Corpo <strong>del</strong> Signore» (Vita, 5, 49).<br />
Così, in breve, il primo biografo parla <strong>del</strong> santo viatico portato a Nicola morente. Il<br />
commento lo lascio al lettore. L'accenno al profluvio di lacrime è molto eloquente.<br />
Era l'ultima comunione di chi ogni mattina per tanti anni aveva consacrato ed elevato<br />
il Corpo <strong>del</strong> Signore, sacrificio di espiazione dei peccati di tutto il mondo; era l'ultimo<br />
incontro sacramentale col suo Signore prima di andare a vederlo faccia a faccia nel<br />
cielo.<br />
Ricevuto il viatico, volle rivedere, abbracciare e baciare il legno <strong>del</strong>la croce. Era,<br />
come si è detto (pp. 98-99), la croce argentea che aveva fabbricato con le sue stesse<br />
mani, davanti alla quale, in sacrestia, specialmente al venerdì, aveva effuso tante e<br />
tante volte il suo animo traboccante di affetto. Chi poteva resistere a questo<br />
desiderio? Il priore gliela fece portare. Il morente in ginocchio sul letto, sostenuto,<br />
possiamo pensarlo, dal fe<strong>del</strong>e Giovannuzzo, la salutò con parole infuocate che<br />
ricordavano quelle <strong>del</strong>la liturgia di Sant'Andrea, l'abbracciò, la baciò. Poi ricadde nel<br />
suo pagliericcio e rimase lungamente in preghiera. Era ancora tutto presente a se<br />
84
stesso, tanto che raccomandò a fr. Giovannuzzo, che gli era sempre vicino, di<br />
ripetergli le parole <strong>del</strong> salmo: «Hai spezzato, Signore, le mie catene, ti sacrifico<br />
un'ostia di lode» (Sl. 115, 16), affinché quando non avesse potuto ripeterle col labbro,<br />
le avrebbe risentite con l'orecchio e ripetute con la <strong>memoria</strong> e il cuore (Processo,<br />
teste 271, p. 489; Vita, 5, 50). Quelle parole riassumevano le sue ultime disposizioni,<br />
che erano state, poi, quelle di tutta la vita: il cupio dissolvi e la dedizione totale al<br />
Signore.<br />
5. «ECCOMI, SIGNORE»<br />
Vedendo che il santo era ancora presente a se stesso, i confratelli andavano e<br />
venivano, dice il primo biografo, nella sua cameretta. Ma fr. Giovannuzzo non si<br />
staccava mai da lui: era sempre lì, a rilevarne ogni mossa, a soddisfarne ogni<br />
desiderio. Divenne pertanto il fortunato depositario <strong>del</strong>l'ultimo segreto <strong>del</strong> santo.<br />
Quando i confratelli non c'erano - il particolare è notato dal primo biografo -, nella<br />
cameretta di Nicola si udivano voci di gioia e si vedeva il volto <strong>del</strong> santo illuminarsi e<br />
sorridere. Fr. Giovannuzzo, smettendo di ripetergli le parole che aveva avuto in<br />
consegna, gli chiese sorpreso e incuriosito: «Padre, qual’è la causa di tanta felicità e<br />
di tanto godimento?». Il santo restò immerso nella sua visione di gioia e parve non<br />
sentire. L'affezionato e solerte infermiere ripeté la domanda più volte. Nulla.<br />
Finalmente, post multa rogamina, come dice egli stesso nel processo - dopo essere<br />
stato lungamente pregato -, rispose con l'ombra <strong>del</strong>la voce: «Vedo il Signore mio Dio<br />
accompagnato dalla Madre sua e dal nostro padre <strong>Agostino</strong> che mi ha detto: or su,<br />
servo buono e fe<strong>del</strong>e, entra nel gaudio <strong>del</strong> tuo Signore».<br />
Era la fine. I confratelli se ne avvedono e si raccolgono in preghiera intorno al suo<br />
letto. Lo sentono mormorare le parole estreme di Cristo sulla croce: Padre, nelle tue<br />
mani consegno il mio spirito. Detto questo, «con le mani levate al cielo e gli occhi<br />
rivolti alla croce, con sul volto l'espressione <strong>del</strong>la giocondità e <strong>del</strong>la gioia - iucundo et<br />
hilari vultu -, spirò» (Processo, teste 221, p. 489; Vita, 5, 51). Era il vespro <strong>del</strong> 10<br />
settembre <strong>del</strong> 1305. Quel giorno non cadrà più dalla <strong>memoria</strong> degli uomini.<br />
85
CAPITOLO XIV<br />
IL CULTO<br />
Se, come mi pare di aver detto, la gente fu discreta con lui durante la vita,<br />
fuorché, s'intende, al confessionale dove si affollò senza riguardo per le condizioni<br />
fisiche <strong>del</strong> santo, dopo la morte corse al suo sepolcro a torme per ringraziare, lodare,<br />
implorare. La sua fama di santo e di taumaturgo si diffuse rapidamente in Italia, in<br />
Europa e, quando cominciò il movimento missionario <strong>del</strong>la chiesa fuori <strong>del</strong>l'Europa,<br />
nelle Americhe, nelle Indie, nel Giappone e dovunque i missionari agostiniani misero<br />
piede. È commovente oggi, per fare un esempio, tornare sulle alte cime <strong>del</strong>le Ande -<br />
chi scrive c'è stato - e trovare antiche chiese fatiscenti in paesi sperduti tra le gole<br />
<strong>del</strong>le montagne dedicate a San Nicola. O, per fare un altro esempio, questa volta più<br />
vicino nel tempo e nello spazio, a Cascia, nella chiesa di Sant'<strong>Agostino</strong>, dove al<br />
tempo <strong>del</strong>la giovinezza di Santa Rita, verso la fine <strong>del</strong> '300, Nicola era molto<br />
venerato tanto che la santa lo scelse per suo speciale protettore. E occorre notare che<br />
la canonizzazione non era ancora avvenuta.<br />
1.LA DOCUMENTAZIONE DEL PROCESSO<br />
La prima documentazione di questa sorprendente diffusione <strong>del</strong> culto è il<br />
processo posteriore di soli 20 anni alla morte <strong>del</strong> santo. Già il primo articolo <strong>del</strong><br />
processo diceva che la fama di santità di Nicola oltre che a Tolentino era diffusa «in<br />
tutta la città e diocesi di Camerino, in tutta la città e diocesi di Fermo e in altre città e<br />
paesi <strong>del</strong>la Marca d'Ancona». I testi interrogati allargano l'orizzonte a tutta l'Italia.<br />
Berardo Appillaterra, che aveva viaggiato molto e come notaio era stato in molte<br />
regioni, depose che la fama era diffusa nelle località indicate e in molte altre fuori<br />
<strong>del</strong>le Marche. Interrogato in quali altre rispose: «Nella provincia di Romagna: a<br />
Rimini, a Forlì, a Cesena, a Forlimpopoli, a Faenza e in molti altri luoghi, castelli e<br />
città; nella provincia di Toscana: a Firenze (dove nella chiesa di Santo Spirito degli<br />
Agostiniani era avvenuta la guarigione di un paralitico) e Siena; nel ducato di<br />
Spoleto: a Foligno, a Bevagna, a Montefalco, a Spello; nel regno di Napoli: a<br />
Manfredonia, a Barletta, a Trani, a Napoli, a Brindisi, a Bari e in molti altri luoghi;<br />
nelle Marche: ad Ancona, a Iesi, a Fano, a Pesaro, ad Ascoli, a Macerata e loro<br />
rispettive diocesi» (Processo, teste 16, p. 117). Un giureconsulto tolentinate ricorda<br />
alcune città elencate da Berardo e aggiunge Perugia (Processo, teste 15, p. 112). Una<br />
testimonianza simile rende p. Vittore da Camerino, professore di teologia e, quando<br />
testimoniava, priore di Pesaro, che aveva, forse come predicatore, viaggiato molto.<br />
<strong>Alla</strong> notizia <strong>del</strong>la diffusione <strong>del</strong> culto si aggiunge quella <strong>del</strong>le moltitudini di<br />
pellegrini che si recavano a venerare il sepolcro <strong>del</strong> santo, specialmente nel giorno<br />
anniversario <strong>del</strong>la sua morte.<br />
Quando i due vescovi commissari <strong>del</strong> processo «il 9 settembre <strong>del</strong> 1325<br />
cavalcavano da San Severino verso Tolentino incontrarono una gran moltitudine di<br />
gente, uomini e donne, da ogni parte, luogo e provincia che diceva con grande<br />
86
devozione di andare a Tolentino a visitare l'arca nella quale giace sepolto il corpo <strong>del</strong><br />
beato Nicola... Erano <strong>del</strong>le provincie, città e diocesi <strong>del</strong>le Marche, <strong>del</strong> ducato di<br />
Spoleto, <strong>del</strong>la Toscana, <strong>del</strong>la Romagna, <strong>del</strong> Patrimonio e di altre provincie d'Italia...<br />
Molti dichiaravano che andavano per aver fatto voto di fare questo pellegrinaggio,<br />
altri per la riverenza e la grande fede che avevano nell'intercessione di Nicola, che<br />
tutti pubblicamente chiamavano e consideravano santo» (Bibl. Vat. Ms.Vat. lat. 4028,<br />
f. 44 r ; da D. Gutiérrez, o.c., p. 150).<br />
Si può essere certi che questo accorrere di pellegrini era determinato più dalla<br />
fama dei miracoli che da quella <strong>del</strong>la santità, ma in fondo c'era anche questa. L'una e<br />
l'altra mise insieme, anzi con la prima provò la seconda, il medico di Tolentino che<br />
aveva curato Nicola ed era stato presente alla sua morte. In quello stesso giorno, e<br />
forse subito dopo averne constatato il decesso e avergli chiuso piamente gli occhi,<br />
quasi temesse che i confratelli non lo stimassero abbastanza, disse al priore, p.<br />
Angelo da Santa Vittoria che lo racconta: «Onorate Nicola come merita perché fu un<br />
uomo molto diverso da quello che credete: fuit afius homo quam creditis. Poi, per<br />
confermarlo, narrò un miracolo che aveva operato ancor vivo a favore <strong>del</strong>la sua<br />
cognata Donzella» (Processo, teste 10, p. 96; cfr. teste 222, pp. 489-490).<br />
Si può considerare questo laico il primo promotore <strong>del</strong> processo di<br />
canonizzazione <strong>del</strong> nostro santo. Appresso a lui i fe<strong>del</strong>i che lo avevano conosciuto e<br />
che l'avevano conosciuto come santo e taumaturgo. Furono loro, i fe<strong>del</strong>i, ad insistere,<br />
con l'infallibile intuito <strong>del</strong> pio popolo cristiano, perché la Chiesa si pronunziasse sulla<br />
sua santità. Che poi a poco a poco quelli che non l'avevano conosciuto personalmente<br />
insistessero più sul taumaturgo che sul santo, è ovvio. Quello invece che è meno<br />
ovvio è che in quest'ottica entrassero il primo biografo e, dopo di lui, i commissari <strong>del</strong><br />
processo. Ma tant'è, ci entrarono.<br />
II primo biografo parla con entusiasmo dei miracoli. Dice che erano tanti che non<br />
si trovavano più notai che volessero descriverli neppure dietro compenso. «Da questo<br />
mare di grazie, continua, ne sceglierò alcune». E scrive altri tre lunghi capitoli <strong>del</strong>la<br />
sua storia. Il processo poi fu impostato fin dall'inizio sui miracoli, tanto che i<br />
commissari domandarono ad ognuno se avessero qualche fatto prodigioso da narrare.<br />
Lo stesso medico che subito dopo la morte aveva manifestato una grande stima per<br />
Nicola santo - l'ho detto poco sopra -, interrogato nel processo non depose, o i<br />
commissari frettolosi non lo fecero deporre, che sulla prodigiosa guarigione <strong>del</strong>la<br />
cognata (Processo, teste 22, pp. 489-490).<br />
D'allora in poi Nicola passò alla storia come il grande taumaturgo. Ce lo<br />
ricordano, oltre il processo, gli stupendi affreschi <strong>del</strong> Cappellone, le innumerevoli<br />
tavolette ex voto (vedi già nel Processo, teste 83, p. 234) <strong>del</strong>le quali solo 394 si sono<br />
salvate dall'irresponsabile e incomprensibile dispersione (cfr. Gli ex voto per San<br />
Nicola a Tolentino, Tolentino, 1972), le belle tele che ricordano alcuni casi più<br />
clamorosi come la cessazione <strong>del</strong>la pestilenza di Cordova, l'estinzione d'un incendio<br />
nel palazzo ducale di Venezia o il placarsi d'una furibonda tempesta nel porto di<br />
Genova.<br />
C'è da prenderne atto con gioia e gratitudine. È la Provvidenza che assegna ad<br />
alcuni dei suoi santi questa speciale missione: essere gli strumenti <strong>del</strong>la misericordia<br />
di Dio nel sollevare le sofferenze degli uomini. «Dio è Padre, ha detto stupendamente<br />
87
un grande scrittore cristiano sintetizzando una grande verità <strong>del</strong> cristianesimo, Dio è<br />
Padre e non turba mai la pace dei suoi figli se non per procurarne loro una più certa e<br />
più grande» (A. Manzoni). Allo scopo di rafforzare in essi questa ineffabile certezza<br />
Dio per intercessione dei santi fa sentire anche sensibilmente la sua consolante<br />
presenza.<br />
Questa appunto la missione che Dio ha affidato al nostro santo, come ad altri; per<br />
esempio, a Sant'Antonio da Padova e, per restare nell'ambito <strong>del</strong>l'Ordine agostiniano,<br />
a Santa Rita 1 . Rendiamone dunque grazie, ma comprendiamo anche la divina<br />
pedagogia, la quale vuole che dietro il taumaturgo scopriamo il santo per imparare da<br />
lui, che esercitò in grado eroico le virtù umane e divine, ad andare a Cristo, a imitare<br />
il Cristo. Il culto dei santi, per sua natura, ha sempre Cristo per termine.<br />
2. LA MISSIONE ERA COMINCIATA IN VITA<br />
Del resto la missione che Dio gli affidava dopo la morte era già cominciata in<br />
vita. Quante volte aveva alzato la mano benedicente e le infermità se n'erano fuggite!<br />
Dall'animo compassionevole e buono, egli non sapeva resistere allo spettacolo <strong>del</strong>la<br />
sofferenza: si rivolgeva al suo Dio, e Dio interveniva. Condizione <strong>del</strong>l'intervento<br />
erano la fede, la fiducia, la certezza che Dio ama chi soffre. Ad un paralitico che<br />
chiedeva la guarigione dice: «Dio ti ama, e per questo ti ha provato; sta di buon<br />
animo che sarai subito guarito» (Processo, teste 93, p. 272; teste 93, p. 274).<br />
In un altro caso, dopo aver interceduto per un infermo invocando e facendo<br />
invocare Sant'Antonio, a guarigione avvenuta, dice: «Abbiate fiducia nei santi, e<br />
sappiate farveli amici» (Processo, teste 84, p. 240). Ad un altro ancora: «Va' in pace,<br />
figliolo: ti sei fatto una grave ferita. Il mio salvatore Gesù Cristo aiuti la tua fede»<br />
(Vita, 5, 43).<br />
Il taumaturgo riconduce sempre l'animo degli infermi a Dio, che è sempre Padre<br />
anche quando prova nel dolore. Per sé chiede solo silenzio e nascondimento. A<br />
Margherita, moglie di Berardo Appillaterra, amico <strong>del</strong> santo, che era afflittissima per<br />
un'enorme infiammazione alla gola sopravvenuta alla sua figliola Cecca, dice,<br />
nascondendosi sotto il potere taumaturgico di San Biagio: «Confida in Dio e in San<br />
Biagio, la tua figlia Cecca sarà guarita senza che la tocchi ferro alcuno e senza il<br />
consiglio dei medici. Conducila alla chiesa di San Biagio: è un medico migliore di<br />
tutti gli altri medici» (Processo, teste 84, p. 237).<br />
3. LA CANONIZZAZIONE<br />
I miracoli, in vita e dopo morte, richiamarono l'attenzione sul santo e indussero a<br />
chiederne a gran voce la canonizzazione. Ma questa tardò a venire.<br />
Terminato il processo l'8 settembre <strong>del</strong> 1325, come si è detto, fu presentato il 5<br />
dicembre <strong>del</strong>lo stesso anno a Giovanni XXII ad Avignone. Questi ordinò a tre<br />
cardinali di preparare il sommario per il concistoro; il sommario fu preparato dal<br />
Card. Godin, ma il concistoro non fu mai fatto: tristezza dei tempi. S'era accesa la<br />
88
lotta tra la Chiesa e l'Impero e nella Chiesa stessa c'erano molte situazioni, come<br />
quella degli «spirituali», che richiedevano tutta l'attenzione e la preoccupazione <strong>del</strong><br />
Pontefice. La stessa sorte toccò al processo di Santa Chiara da Montefalco, celebrato<br />
qualche anno prima (1317-1319). Anche in questo caso il processo fu presentato al<br />
Pontefice, si preparò il sommario, ma la canonizzazione non ci fu: arriverà nei tempi<br />
moderni. Quella di Nicola attese 121 anni. Negligenza degli uomini? Forse. L'Ordine<br />
agostiniano nei suoi capitoli generali s'interessò di questa causa: nel 1324, prima<br />
ancora che il processo cominciasse, autorizzò il <strong>Priore</strong> Generale ad indire una colletta<br />
straordinaria tra le province «se la questione <strong>del</strong> processo <strong>del</strong> beato Nicola da<br />
Tolentino avrà, come si spera, successo»; nel 1341 comandò «che una volta alla<br />
settimana si celebrasse o cantasse la messa <strong>del</strong>lo Spirito Santo in tutti i conventi<br />
<strong>del</strong>l'Ordine, affinché i carismi <strong>del</strong>la santa Chiesa dispongano felicemente gli animi<br />
<strong>del</strong> Sommo Pontefice e dei cardinali allo scopo di proseguire e portare a termine la<br />
canonizzazione di fr. Nicola da Tolentino, di pia e santa <strong>memoria</strong>». Ma questi<br />
interventi <strong>del</strong>l'Ordine o non furono abbastanza efficaci o le difficoltà furono più forti<br />
di essi.<br />
Intanto il culto di Nicola continuava e cresceva. Bonifacio IX, nel concedere<br />
l'indulgenza plenaria nella forma <strong>del</strong>la Porziuncola per chi visitava il suo sepolcro -<br />
l'ho detto, mi pare, sopra - lo chiamava santo. Questo fatto indusse Bollandisti a<br />
pensare che Giovanni XXII, avuta notizia <strong>del</strong> processo, approvò o almeno permise la<br />
continuazione <strong>del</strong> culto.<br />
La canonizzazione fu celebrata da Eugenio IV alla fine <strong>del</strong> suo travagliato<br />
pontificato, il 5 giugno 1446, festa di Pentecoste, come ringraziamento a Dio per la<br />
sospirata unità e pace raggiunte dalla Chiesa. Questo binomio - unità e pace - che<br />
costituì il grande impegno apostolico di Sant'<strong>Agostino</strong>, e che Nicola certamente portò<br />
sempre nel cuore, ha lasciato un segno espressivo nella liturgia.<br />
La preghiera che in quel giorno il Pontefice rivolse a Dio per intercessione <strong>del</strong><br />
novello santo - preghiera che si vuole composta dallo stesso Pontefice - dice così:<br />
«Concedi, o Dio onnipotente, che la tua Chiesa; resa splendente dalle virtù e dai<br />
miracoli di San Nicola da Tolentino, goda, per sua intercessione, di unità e di pace<br />
duratura».<br />
Questa preghiera impegna i devoti <strong>del</strong> santo, che ancor oggi sono tanti, alla<br />
preghiera assidua e all'azione illuminata e generosa perché la Chiesa raggiunga<br />
l'altissimo ideale <strong>del</strong>l'unità e <strong>del</strong>la pace che sono l'una il sospiro, l'altra il retaggio di<br />
Cristo. Preghiera ed azione che devono essere particolarmente attive in questo tempo<br />
in cui è in atto, dietro la spinta <strong>del</strong> recente Concilio, il movimento ecumenico. Nicola<br />
con la sua intercessione dev'essere sprone, mo<strong>del</strong>lo e guida verso l'unità <strong>del</strong>la Chiesa<br />
e la pace.<br />
4. LE SORTI DELLA SALMA<br />
Prima di terminare non posso non ricordare il fatto più misterioso e sconcertante<br />
che riguarda il culto <strong>del</strong> santo: la recisione <strong>del</strong>le braccia. Quando sia avvenuta non<br />
sappiamo, forse non molto dopo il processo, forse dopo la canonizzazione. Il tempo e<br />
il modo oscurissimi, ma il fatto certissimo: in un certo momento le braccia, recise dal<br />
89
corpo, sono state venerate a parte, racchiuse in un forziere e poste dietro l'altare <strong>del</strong>la<br />
cappella detta appunto <strong>del</strong>le sante braccia. Nella recisione le braccia emanarono<br />
sangue, e poi lungo i secoli tante e tante altre volte (cfr. D. Gentili, Un asceta e un<br />
apostolo - S. Nicola da Tolentino, Tolentino 1978 2 , p. 153s.). Molte volte per<br />
interessamento <strong>del</strong>l'autorità ecclesiastica di queste emanazioni è stata fatta accurata<br />
ricognizione. Nel fascicolo contenente la ricognizione <strong>del</strong> 1657, ci sono scritte le<br />
parole che Alessandro VII avrebbe detto esaminandolo: Come la Chiesa è stata<br />
redenta dal sangue di Cristo così ora è sorretta dalle braccia sanguinanti di San<br />
Nicola.<br />
Tagliate le braccia, non si sa da chi né perché, il corpo fu nascosto, secondo la<br />
tradizione, sotto il pavimento <strong>del</strong> Cappellone, dove di fatti fu ritrovato, dopo tentativi<br />
andati a vuoto, nel 1926. Fu costruita allora un'apposita cripta e le braccia furono<br />
ricongiunte al resto <strong>del</strong> corpo, dopo un accurato processo di autenticazione <strong>del</strong>le<br />
reliquie ritrovate. Nel 1976 la comunità di Tolentino prese la coraggiosa e provvida<br />
iniziativa di fare una ricognizione, eseguita secondo tutte le risorse <strong>del</strong>la scienza<br />
moderna da noti professori <strong>del</strong>le università di Roma e di Genova. L'esito fu<br />
lusinghiero. La scienza, impassibile e fredda, poteva ormai assicurare che il cranio e<br />
le braccia e le altre reliquie appartengono ad un individuo di sesso maschile di 55-65<br />
anni di età, di cm. 173-174 di altezza. La scienza dunque confortava e confermava la<br />
storia, e questa la pietà. Il corpo di San Nicola è dunque lì, sotto l'oratorio di<br />
Sant'<strong>Agostino</strong>, dove la stella ne aveva indicato il sepolcro, nella penombra <strong>del</strong>la<br />
cripta; è lì nella bella urna argentea che attende sempre i suoi devoti. Se la sua mano<br />
non si alza più per benedire come tante volte ha fatto in vita dall'altare, dal<br />
confessionale, nei tuguri dei poveri, nelle case degli ammalati, la sua voce soave, per<br />
chi sa ascoltarla, si sente ancora; una voce che ripete, come faceva in vita, la grande<br />
parola <strong>del</strong>la fede cristiana: abbi fiducia, Dio è Padre, Dio ti ama.<br />
E forse a conferma, come altre volte, fiorisce il prodigio.<br />
_____<br />
NOTA:<br />
1 Cfr. <strong>Agostino</strong> <strong>Trapè</strong>, Santa Rita e il suo messaggio, Edizioni Paoline 1983 2 .<br />
90
NOTA BIBLIOGRAFICA<br />
PIETRO DA MONTERUBBIANO, Historia beati Nicolai de Tolentino, anno 1326 (?); cfr. Bollandisti,<br />
Acta Sanctorum septembris III, Venetiis 1761, 644-664.<br />
GORDANO DI SASSONIA, in Liber Vitas fratrum 1357, ed. R. Arbesmann-W. Humpfner, New York<br />
1943.<br />
ANTONINO DA FIRENZE (santo), Historia Sancti Nicolai de Tolentino, in Historia domini Antonini<br />
archiepiscopi florentini, Lugduni 1543.<br />
CONCETTI NICOLA, Vita di S. Nicola da Tolentino, Tolentino 1932.<br />
GENTILI DOMENICO, Un apostolo e un asceta - S. Nicola da Tolentino, Tolentino 1978 2 (con<br />
bibliografia pressoché completa, tutta a <strong>cara</strong>ttere prevalentemente devozionale).<br />
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TAVOLA CRONOLOGICA<br />
1245 - Nicola nasce a Sant'Angelo in Pontano, diocesi di Fermo.<br />
1259 - Entra nell'Ordine Agostiniano.<br />
1274 - Viene ordinato sacerdote a Cingoli.<br />
1275 - Viene inviato nel convento di Tolentino.<br />
1305 - Anno <strong>del</strong>la sua morte.<br />
1325, 13 maggio - Il papa Giovanni XXII indice il processo di canonizzazione di<br />
Nicola da Tolentino.<br />
1325, luglio-settembre - Viene celebrato il processo di canonizzazione.<br />
1446, 5 giugno - Il papa Eugenio IV procede alla canonizzazione di San Nicola da<br />
Tolentino.<br />
1926 - Viene ritrovato il corpo <strong>del</strong> Santo.<br />
1928 - Processo di autentificazione <strong>del</strong>le reliquie.<br />
1976 - Ricognizione scientifica <strong>del</strong>le reliquie.<br />
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