10.06.2013 Views

Alla cara memoria del p. Carlo PASQUINI, Priore ... - Agostino Trapè

Alla cara memoria del p. Carlo PASQUINI, Priore ... - Agostino Trapè

Alla cara memoria del p. Carlo PASQUINI, Priore ... - Agostino Trapè

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

<strong>Alla</strong> <strong>cara</strong> <strong>memoria</strong> <strong>del</strong> p. <strong>Carlo</strong> <strong>PASQUINI</strong>,<br />

<strong>Priore</strong> Generale <strong>del</strong>l'Ordine agostiniano,<br />

che all'ombra <strong>del</strong> sepolcro di San Nicola<br />

mi ammise al noviziato e alla professione<br />

religiosa,<br />

e mi fu sempre padre.<br />

PREFAZIONE<br />

Scrivendo queste pagine non mi sono mai domandato se costituivano una vita di<br />

San Nicola o non piuttosto riflessioni sulla vita di lui. Se una questione c'è, la sciolga<br />

il lettore.<br />

Io so che sotto la veste <strong>del</strong> taumaturgo, cui le fonti prestarono un'attenzione<br />

prevalente, ho voluto scoprire, attraverso le stesse fonti, l'uomo, il religioso, il<br />

sacerdote, il mistico, che, sempre amabile e sorridente, disse tante cose buone agli<br />

uomini <strong>del</strong> suo tempo, e molte ne ha da dire anche a noi.<br />

Se ho raggiunto lo scopo, me ne rallegro e ne ringrazio il Signore; se no...<br />

pazienza: anche le buone intenzioni, quando sono sincere, valgono qualcosa.<br />

Tolentino, 10 settembre 1984 A. TRAPÈ, O.S.A.<br />

festa <strong>del</strong> Santo<br />

INTRODUZIONE<br />

IERI E OGGI<br />

Prendendo in mano questo libretto il lettore si domanderà certamente se un santo<br />

<strong>del</strong> lontano medioevo qual è il nostro (1245 c - 1305) possa dirci ancora qualcosa<br />

d'interessante, a noi che navighiamo, vento in poppa (!), verso il duemila.<br />

Parafrasando un'espressione di Sant'<strong>Agostino</strong>, potrei rispondere: leggi e vedi. Ma<br />

il lettore potrebbe leggere e non restare soddisfatto. Questo mi dispiacerebbe. Per<br />

risparmiare a lui e a me questo dispiacere voglio aiutarlo a vedere prima di leggere.<br />

1


Vedere che cosa? Il contenuto <strong>del</strong> libro. In sintesi naturalmente. In tal modo, se gli<br />

garba continuerà a leggere, se non gli garba chiuderà il libro e lo metterà da parte:<br />

esso e l'autore non se ne lagneranno.<br />

Farò pertanto due considerazioni, una generale sulla santità e una particolare sul<br />

nostro santo.<br />

1. LA SANTITÀ<br />

La prima è semplice anche se profonda: la santità in qualunque tempo o luogo<br />

fiorisca è tanto divinamente e umanamente grande da meritare l'attenzione e la stima<br />

degli uomini. Non c'è bisogno di essere cristiani o devoti per ammirarla; basta essere<br />

pensosi di sé e <strong>del</strong>le sorti umane. In tal caso non si può non vedere nel santo una<br />

sublimazione <strong>del</strong>la natura umana, sublimazione che non deforma, ma riforma e<br />

perfeziona. Il santo è l'uomo che ha riportato ordine in se stesso e fuori di sé: ha<br />

dominato i propri istinti, ha regolato i propri sentimenti, è diventato l'espressione<br />

costante <strong>del</strong>la bontà, <strong>del</strong>l'equilibrio, <strong>del</strong>la giustizia, espressione, voglio dire, di quelle<br />

virtù che gli uomini in genere apprezzano anche se non le possiedono.<br />

In sostanza può dirsi che il santo è un campione <strong>del</strong>la stirpe umana, non per la<br />

forza di soggiogare i popoli, né per lo splendore <strong>del</strong>l'arte che sa esprimere, né per il<br />

bagliore <strong>del</strong>la scienza che possiede, ma per la nobiltà dei pensieri, per l'equilibrio dei<br />

sentimenti, per la consequenzialità <strong>del</strong>le azioni, per il bene, in una parola, che porta in<br />

sé e diffonde intorno a sé.<br />

I filosofi parlando <strong>del</strong> fine <strong>del</strong>l'uomo lo indicano nella gnosi e sapienza: il santo è<br />

quello che l'ha raggiunta. Altri lo pongono nell'atarassia. Se questa parola non vuol<br />

dire composizione dei soli appetiti sensibili o solo il disprezzo di essi, ma piuttosto<br />

armonia tra l'anima e il corpo, tra l'uomo e l'ambiente che lo circonda, l'atarassia o<br />

imperturbabilità è propria <strong>del</strong> santo che ha raggiunto la vera pace.<br />

Usando un'espressione oggi <strong>cara</strong> a molti, si può dire che il santo è l'uomo<br />

pienamente realizzato, cioè - mi si consenta di spiegare quello che molti ripetono<br />

senza spiegare o che addirittura intendono male - l'uomo nel quale il profondo<br />

<strong>del</strong>l'essere è in piena sintonia con ciò che pensa ed opera, nel quale, in altre parole,<br />

l'ideale coincide col reale e questo con quello.<br />

II santo, ogni santo, è uno splendido capitolo di antropologia. Pone tanti<br />

interrogativi, ma offre anche tante soluzioni. Chiunque pertanto, anche se non crede,<br />

può trovare motivo di ammirazione e di gioia nel considerarne la vita. E forse,<br />

considerandolo attentamente, si accorge che lui, proprio lui, quel santo che sembra<br />

all'esterno così lontano dagli altri, è veramente uomo, è totalmente uomo.<br />

Per il cristiano, si capisce, il santo dice molto di più. Dice interpretazione pratica<br />

<strong>del</strong> Vangelo, imitazione fe<strong>del</strong>e di Cristo, mo<strong>del</strong>lo altissimo che Dio mostra agli<br />

uomini perché vedano come sia possibile vivere integralmente il cristianesimo e<br />

percorrere la via che riconduce a Lui. Per il cristiano il santo non è solo uno<br />

splendido capitolo di antropologia, ma un luminoso trattato di teologia, l'incontro e la<br />

sintesi <strong>del</strong>la natura e <strong>del</strong>la grazia, <strong>del</strong>l'azione divina e <strong>del</strong>la collaborazione umana che<br />

2


fanno l'uomo perfetto «nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef.<br />

4, 13).<br />

2. IL NOSTRO SANTO<br />

Se dalla santità in genere passiamo a considerare il nostro santo, ci accorgeremo<br />

che egli pur essendo immerso nel profondo medioevo è un santo schiettamente<br />

moderno. E vero che il soprannaturale si manifestò in lui straordinariamente con la<br />

potenza dei miracoli, ma non si manifestò in quelle altre forme mistiche che<br />

sembrano allontanare il santo da noi e riservare la santità a pochi. In lui non ci furono<br />

rivelazioni, non estasi, non stimmate. Le fonti ci parlano, in verità, di alcune visioni,<br />

ma queste appaiono così discrete che non cambiano affatto né turbano l'immagine<br />

autentica <strong>del</strong>la sua santità amabile e profondamente umana.<br />

La sua fu una virtù altissima ma fatta di semplicità, di bontà, di sorriso: una<br />

santità, si direbbe, a portata d'uomo. In realtà Nicola fu un santo sul cui volto si<br />

rifletteva la «mansuetudine di Cristo» (2 Cor. 10, 1): ebbe il sorriso sul labbro, la<br />

bontà nel cuore, la mitezza nel tratto. Non ci fu nessuno che non gli volesse bene.<br />

Caso piuttosto insolito anche per un santo. In tutto il processo non c'è una sola voce<br />

che esprima il sentimento contrario, che faccia una riserva, che pronunci un<br />

distinguo.<br />

Certamente fu un grande asceta, ma il suo ascetismo non ebbe nulla di aspro, di<br />

duro, di indisponente; l'osservanza esatta dei voti - la povertà evangelica,<br />

l'obbedienza religiosa, la verginità consacrata -, la gioiosa carità fraterna che nella<br />

vita comune dà senza chiedere il conto, e, per il resto, la cura di ridurre al minimo le<br />

esigenze <strong>del</strong> sonno, <strong>del</strong> cibo, <strong>del</strong>le comodità per lasciare maggior spazio e tempo alle<br />

energie <strong>del</strong>lo spirito e <strong>del</strong>l'amore <strong>del</strong> prossimo. A queste esigenze si ricollegano in<br />

gran parte, come vedremo, i digiuni e le penitenze sui quali e sulle quali il processo si<br />

è fermato con compiacenza.<br />

Fu anche un grande apostolo, ma il suo apostolato non ebbe nulla di straordinario<br />

e di travolgente. Non fu un trascinatore di folle. Queste accorsero tumultuanti e<br />

numerose al suo sepolcro, ma in vita sembrarono aver timore di turbare la pace<br />

<strong>del</strong>l'uomo di Dio che passava in mezzo a loro benedicendo e consolando. Il suo<br />

apostolato si può riassumere in quattro grandi parole che ogni pio sacerdote deve<br />

portare nel cuore ed esprimere nella vita: la Messa, il confessionale, la predicazione,<br />

la casa dei poveri.<br />

La Messa celebrata ogni giorno con profonda pietà e commozione; il<br />

confessionale tenuto con grande disponibilità, assiduità, discrezione; la predicazione<br />

attraente e persuasiva dove non si stancava mai di parlare <strong>del</strong>la mirabile dolcezza<br />

<strong>del</strong>la parola di Dio; la casa dei poveri dove accorreva con sollecitudine anche non<br />

chiamato e sempre con bontà, con umiltà, con generosità.<br />

Fu inoltre un grande contemplativo, ma la sua contemplazione non sfociò, per<br />

quanto ci risulta, o se vi sfociò fu un grande maestro nell'occultarlo, non sfociò, dico,<br />

nelle manifestazioni straordinarie <strong>del</strong> soprannaturale, come l'estasi, quasi un anticipo<br />

<strong>del</strong>la visione di Dio, ma consistette essenzialmente nell'assiduità, veramente<br />

3


straordinaria e quasi incredibile, alla preghiera, nella mediazione, nel colloquio con<br />

Dio, nello sguardo innamorato fisso sul volto di Cristo e di Maria.<br />

Fu infine un grande agostiniano. Del «beato <strong>Agostino</strong>» ebbe sempre il nome sulle<br />

labbra e l'amore nel cuore. Chi dunque ama il vescovo d'Ippona, il suo equilibrio<br />

sapienziale, la sua spiritualità, il suo gran cuore, non può non trovare simpatico<br />

questo suo figlio che, sia pure a distanza di secoli, ha voluto riprodurre con fe<strong>del</strong>tà<br />

«la <strong>cara</strong> e buona immagine paterna».<br />

3. AD UNA CONDIZIONE<br />

Ma per veder tutto questo occorre che si avveri una condizione. Quella di non<br />

lasciarsi abbagliare dalla potenza dei miracoli. Questa è un dono di Dio, e il nostro<br />

santo ne fu largamente dotato: in vita e dopo morte egli fu e restò il grande<br />

taumaturgo. La potenza dei miracoli ha una sua funzione provvidenziale, ma può<br />

anche, se vista in prevalenza, occultare la vita <strong>del</strong> santo, oscurare la sua vera figura,<br />

attenuare il suo insegnamento o, se così vogliamo chiamarlo, il suo messaggio.<br />

A questo inconveniente andarono soggetti, in parte, e ce ne dispiace, il primo<br />

biografo e i commissari <strong>del</strong> processo. Lo vedremo. Intanto occorre dire che la potenza<br />

dei miracoli ha due importantissimi scopi: 1) quello di dimostrare la presenza di Dio<br />

in mezzo al suo popolo, di Dio che ascolta le preghiere degli umili, solleva la<br />

sofferenza degli afflitti, infonde a tutti la speranza, la grande speranza <strong>del</strong>la<br />

liberazione finale che non è quella <strong>del</strong>la morte, così contraria all'umana natura, ma<br />

<strong>del</strong>la risurrezione; 2) quello di richiamare l'attenzione sulla virtù <strong>del</strong> santo per<br />

stimolarne l'imitazione e condurci, attraverso questa, all'imitazione di Cristo.<br />

Ma vedere il santo in funzione dei miracoli, anche se comprensibile in chi è<br />

attanagliato dal dolore e cerca il sollievo dalla sofferenza, costituisce un ostacolo per<br />

riconoscere, si è detto, la figura <strong>del</strong> santo e coglierne l'insegnamento evangelico. Non<br />

cediamo a questo errore - che è tale, cioè errore, se la ricerca <strong>del</strong>la «grazia» diventa<br />

prevalente o, peggio ancora, esclusiva -, e il nostro santo, anche se vissuto nel lontano<br />

medioevo, ci apparirà moderno e avrà molto da dirci, davvero molto: come uomo,<br />

come religioso, come sacerdote. E proprio quello di cui sentiamo più viva la<br />

mancanza o, se non la sentiamo, di cui abbiamo più disperato bisogno.<br />

Ci dirà quanto sia grande il valore <strong>del</strong>le virtù umane, di quelle che chiamiamo<br />

piccole ma che sono invece grandi e indispensabili per l'equilibrio <strong>del</strong>l'uomo e la sua<br />

promozione.<br />

Ci dirà che le virtù cristiane, che s'innestano su quelle, ci assicurano lo sviluppo<br />

omogeneo <strong>del</strong>le potenzialità profonde <strong>del</strong>lo spirito fino alle vette <strong>del</strong>l'eroismo, che<br />

sono le vette <strong>del</strong>l'uomo diventato pienamente se stesso e assisosi ai piedi di Dio.<br />

Ci dirà quanta sia l'importanza insostituibile <strong>del</strong>la preghiera, l'efficacia epidemica<br />

<strong>del</strong>la gioia, la necessità inderogabile <strong>del</strong>l'amore apostolico e, soprattutto, la grandezza<br />

inapprezzabile <strong>del</strong>la bontà che guarisce i nostri meschini egoismi e rompe il cerchio<br />

<strong>del</strong>le nostre piccole o grandi cattiverie; di quella bontà umile e sorridente che dona<br />

senza sapere, che soffre senza apparire, che è in ogni caso la virtù di cui abbiamo<br />

bisogno.<br />

4


Perché il lettore veda San Nicola in questa luce, che è a mio parere la sua, sono<br />

state scritte queste pagine. Le quali non hanno altro pregio che quello <strong>del</strong>l'argomento<br />

e <strong>del</strong>l'affetto riconoscente <strong>del</strong>l'autore.<br />

CAPITOLO I<br />

SULLE ORME DEGLI APOSTOLI<br />

Non si comprende Nicola se non si ricorre ad <strong>Agostino</strong>. L'ordine religioso nel<br />

quale egli entrò poco dopo che era stato riunito e rinnovato dalla Sede Apostolica si<br />

considerò erede e volle continuare il movimento monastico che <strong>Agostino</strong> aveva<br />

introdotto, propagato, difeso e organizzato nell'Africa romana. Giova pertanto darne<br />

qui, subito, una rapida idea.<br />

1. AGOSTINO E IL MONACHISMO<br />

L'itinerario monastico agostiniano si può seguire con i nomi <strong>del</strong>le città nelle quali<br />

si espresse: Cartagine, Milano, Roma, Tagaste, Ippona.<br />

A Cartagine, a 19 anni, leggendo l'Ortensio di Cicerone, gli balenò la prima idea<br />

<strong>del</strong>la dedizione totale alla sapienza (Confess. 3, 4, 7); a Milano, a 33 anni, riconobbe<br />

quell'ideale nelle esortazioni di San Paolo a consacrarsi a Dio rinunciando alla<br />

famiglia e ad ogni speranza terrena e l'abbracciò al momento <strong>del</strong>la sua conversione o<br />

ritorno in seno alla Chiesa cattolica (Confess. 8, 5, 11 s.); a Roma, dopo il battesimo,<br />

lo studiò nei diversi monasteri maschili e femminili che lì erano sorti anche ad opera<br />

di Marcella e di Girolamo (I costumi <strong>del</strong>la Chiesa catt. 1, 33, 70-73); a Tagaste, suo<br />

paese natale, ne fece il primo esperimento. Dice il primo biografo, il contemporaneo<br />

ed amico Possidio: «Ricevuta la grazia (<strong>del</strong> battesimo) <strong>del</strong>iberò di ritornare, con altri<br />

concittadini e amici suoi datisi parimenti al servizio di Dio, in Africa, alla propria<br />

casa e alla propria campagna. Venuto, vi dimorò circa tre anni; rinunziò a quei beni e<br />

insieme a quelli che si erano a lui uniti viveva a Dio nei digiuni, nelle preghiere e<br />

nelle buone opere, meditando giorno e notte la legge <strong>del</strong> Signore; e <strong>del</strong>le verità che<br />

Dio rivelava alla sua intelligenza nella meditazione e nell'orazione egli faceva parte ai<br />

presenti e agli assenti, ammaestrandoli con discorsi e con libri» (Possidio, Vita di S.<br />

<strong>Agostino</strong> 3, 1-2 Ediz. Pellegrino, Edizioni Paoline 1955, p. 49).<br />

Divenuto contro sua voglia sacerdote ad Ippona, chiese al suo vescovo ed ottenne<br />

di fondare ivi un monastero: «il monastero dei laici», dove visse per circa un<br />

quinquennio. Dice di nuovo il primo biografo: «Fatto dunque presbitero, non tardò a<br />

istituire presso la chiesa un monastero e prese a vivere coi servi di Dio secondo la<br />

maniera e la regola stabilite ai tempi dei santi apostoli. Norma capitale che nessuno in<br />

5


quella società avesse qualcosa di proprio, ma tutto doveva essere in comune, e a<br />

ciascuno venir distribuito secondo il bisogno; ciò ch'egli aveva fatto già prima,<br />

ritornando d'oltre mare al suo paese» (ivi, 5, 1, p.53).<br />

Consacrato vescovo e passato per convenienze sociali o di maggiore libertà<br />

ospitale all'episcopio, lo ridusse ad un monastero: «il monastero dei chierici».<br />

«Giunto all'episcopato, dirà di se stesso, vidi la necessità per un vescovo d'offrire<br />

continuamente ospitalità ai visitatori, alla gente di passaggio: se un vescovo non<br />

facesse ciò, s'acquisterebbe la nomea di inospitale; ma se io avessi permesso queste<br />

cose al monastero, sarebbe stato un grande inconveniente. Per questo ho voluto avere<br />

con me, in questa casa <strong>del</strong>l'episcopio, un monastero di chierici » (Serm. 355, 2).<br />

Fondò anche ad Ippona un monastero femminile, dove per molti anni fu superiora<br />

sua sorella «vedova consacrata a Dio» (Ep. 210 e 211). Di queste e a queste<br />

«santimoniali» egli scrive: «Sono solito godere di voi e fra tanti scandali di cui<br />

abbonda questo mondo trovo in voi di che consolarmi: pensando al vostro grande<br />

numero e alla vostra unione, al casto amore, ai santi costumi, alle grazie abbondanti,<br />

onde vi irrorò il Signore; in modo da non curare le nozze terrene, e da eleggere,<br />

inoltre, una vita di piena unione e concordia, avendo una sola anima e un solo cuore<br />

protesi verso Dio. Fermandomi alla considerazione di tali doni <strong>del</strong> Signore a voi<br />

largiti, il mio cuore, scosso da molte tempeste, prodotte da tanti mali, trova un<br />

qualche riposo» (Ep. 211, 2-3).<br />

2. DIFFUSIONE DEL MONACHISMO AGOSTINIANO<br />

Da Ippona il monachismo agostiniano si diffuse in tutta l'Africa, compresa, a mio<br />

parere, Cartagine. <strong>Agostino</strong> stesso ne fu il più entusiasta e più infaticabile<br />

propagatore: «La vostra professione, scrive ai monaci di Cartagine, è tanto buona,<br />

tanto santa che nel nome di Cristo bramiamo che si diffonda per tutta l'Africa come è<br />

ormai diffusa in altre parti» (I monaci e il lavoro, 28, 36).<br />

Insieme a lui diffusero questo alto ideale i sacerdoti e i vescovi che uscirono dal<br />

«monastero dei laici», divenuto per opera di <strong>Agostino</strong> seminario per la chiesa<br />

africana. Ce ne informa, ancora una volta, il primo biografo: «Col progredire<br />

<strong>del</strong>l'insegnamento divino, alcuni di coloro che sotto la direzione <strong>del</strong> santo <strong>Agostino</strong> e<br />

insieme con lui servivano Dio nel monastero cominciarono ad essere ordinati chierici<br />

<strong>del</strong>la chiesa d'Ippona».<br />

Ma non solo per la chiesa d'Ippona. Continua infatti il biografo: «Frattanto, di<br />

giorno in giorno venendo in più chiara luce la verità <strong>del</strong>la predicazione <strong>del</strong>la Chiesa<br />

cattolica, come pure l'ideale di vita dei santi servi di Dio, la loro continenza, la loro<br />

austera povertà, si cominciò con gran desiderio a richiedere e a ricevere dei vescovi e<br />

dei chierici dal monastero che a quel memorabile uomo doveva la sua esistenza e i<br />

suoi progressi; in tal modo ebbero inizio e poi si stabilirono la pace e l'unità <strong>del</strong>la<br />

Chiesa. Io stesso ho conosciuto una decina di santi e venerandi uomini, continenti e<br />

dottissimi, che il beato <strong>Agostino</strong> acconsentì a dare a diverse chiese, talune anche di<br />

molta importanza».<br />

6


Ognuno, poi, che usciva da quel monastero diventava fondatore di altri monasteri.<br />

Lo nota lo stesso primo biografo: «Quelli, a loro volta, ispirati agli ideali di questi<br />

santi uomini, spargendosi nelle Chiese <strong>del</strong> Signore istituirono dei monasteri; e<br />

crescendo lo zelo per l'incremento <strong>del</strong>la parola di Dio, prepararono a ricevere il<br />

sacerdozio dei fratelli che poi furono promossi ad altre chiese» (Possidio, Vita di S.<br />

<strong>Agostino</strong>, 11, 1-4).<br />

Con l'invasione vandalica - <strong>Agostino</strong> morì quando la sua città era assediata da tre<br />

mesi (430) - l'istituzione agostiniana non si estinse. Chi l'ha studiata nei secoli V-VIII<br />

(fino all'invasione araba), può assicurare che non solo sopravvisse, ma ebbe anche,<br />

soprattutto per merito di San Fulgenzio di Ruspe, una certa fioritura 1 . Con l'invasione<br />

araba si estinse in Africa, ma continuò in Europa dove s'era trasferita. Senonché non è<br />

facile, anzi impossibile, seguirne le tracce nei secoli IX-XII, se pur ci furono. Più<br />

facile seguire la sorte <strong>del</strong>la Regola - Regula ad servos Dei - che <strong>Agostino</strong> aveva<br />

scritto per dare stabile struttura ai suoi monasteri. In essa si prescrive che venga letta<br />

una volta la settimana, affinché «possiate rimirarvi in questo libretto come in uno<br />

specchio onde non trascurare nulla per dimenticanza» (n. 49). Essa restò nei secoli<br />

come documento autonomo e influì nelle regole <strong>del</strong> tempo, quella benedettina<br />

compresa.<br />

3. REGOLA<br />

Di questa Regola ho scritto altrove e ripeto qui per comodità <strong>del</strong> lettore: «... è<br />

breve ma ricca di contenuto. I suoi precetti, non molti ma essenziali, danno alla vita<br />

religiosa un orientamento sicuro e forte. Non fissa un regolamento <strong>del</strong>la giornata, ma<br />

lo suppone e ne impone l'osservanza; non descrive la "lectio divina" e lo studio, ma<br />

ne enuncia il principio; non parla <strong>del</strong> ministero sacerdotale, ma ne prepara e ne<br />

arricchisce l'azione attraverso l'organizzazione <strong>del</strong>la vita comune. Rivela una<br />

conoscenza profonda <strong>del</strong> cuore umano e un'intuizione sicura <strong>del</strong>le esigenze più vere<br />

<strong>del</strong>la vita consacrata. Moderazione e austerità, interiorità e ricerca <strong>del</strong> bene comune,<br />

amicizia schietta e ascesa costante verso Dio, autorità umile ed efficiente e fraternità<br />

sincera si fondono in essa per creare un equilibrio mirabile, quell'equilibrio<br />

sapienziale che è proprio, per dono di natura e di grazia, <strong>del</strong> vescovo d'Ippona. Ne<br />

risulta un quadro spirituale che è insieme profondamente umano e autenticamente<br />

evangelico. L'idea-madre <strong>del</strong>la "Regola", è la carità presentata come fine, mezzo e<br />

centro <strong>del</strong>la vita religiosa» 2 .<br />

Punto di partenza e ispirazione di fondo <strong>del</strong>la Regola, l'esperienza <strong>del</strong>la prima<br />

comunità di Gerusalemme di cui parlano gli Atti degli Apostoli: 2, 42-44; 4, 32-35;<br />

esperienza che aveva come base la perseveranza nella dottrina degli Apostoli, la<br />

comunione fraterna, la celebrazione <strong>del</strong>l'Eucarestia, la preghiera, e, inoltre, la<br />

comunanza totale dei beni e la distribuzione proporzionale secondo il bisogno di<br />

ciascuno. <strong>Agostino</strong> volle rinnovare nei suoi monasteri quell'esperienza e farne,<br />

secondo la triplice dimensione <strong>del</strong>la Chiesa, un ricordo <strong>del</strong> passato (gli inizi), un<br />

segno <strong>del</strong> presente (unità nella carità), un preannunzio <strong>del</strong> futuro (l'escatologia,<br />

quando la carità sarà perfetta, e perfetta pertanto la vita comune).<br />

7


4. COMPITI<br />

I compiti che egli assegnò ai suoi monasteri, oltre l'esercizio costante <strong>del</strong>la carità,<br />

sono tre: il lavoro manuale, lo studio e, quando la necessità <strong>del</strong>la chiesa l'avesse<br />

richiesto, il sacerdozio. Sul primo tema scrisse una celebre opera che ha avuto una<br />

grande influenza nella storia: Il lavoro dei monaci 3 ; sul secondo diede, oltre<br />

l'esortazione, un altissimo esempio 4 , sul terzo insieme all'esempio enunciò il<br />

principio, che costituisce una geniale intuizione che precorre i tempi e segna il<br />

cammino al monachismo occidentale: l'unione tra il sacerdote e il monachismo 5 .<br />

Dell'eredità che lasciò il vescovo d'Ippona morendo scrisse il primo biografo:<br />

«Testamento non ne fece, perché, povero di Dio, non aveva di che farne».<br />

Ma, continua il biografo, «lasciò alla chiesa un clero molto numeroso, come pure<br />

monasteri d'uomini e di donne pieni di persone votate alla continenza sotto<br />

l'obbedienza dei loro superiori, insieme con le biblioteche contenenti libri e discorsi<br />

suoi e di altri santi, da cui si conosce quale siano stati per grazia di Dio il suo merito e<br />

la sua grandezza nella Chiesa, e nei quali i fe<strong>del</strong>i sempre lo ritrovano vivo» (Possidio,<br />

o.c., 31,6-8).<br />

5. L’EREDITÀ AGOSTINIANA NEL MEDIOEVO<br />

L'eredità agostiniana rinacque vigorosa nel medioevo quando, oltre i Canonici<br />

Regolari, i Premostratensi, i Domenicani, i Servi di Maria, i Mercedari ed altri<br />

Ordini, per ubbidire alla Chiesa che invitava a scegliere una <strong>del</strong>le Regole antiche,<br />

presero la Regola di Sant'<strong>Agostino</strong>. Ma chi non solo prese la Regola agostiniana, ma<br />

fece di essa anche il mo<strong>del</strong>lo e la forma <strong>del</strong>la propria vita, volgendosi al movimento<br />

monastico africano col proposito di continuarne l'istituzione; che guardò a<br />

Sant'<strong>Agostino</strong> come a legislatore, a padre, a guida e alla ragione stessa <strong>del</strong> suo essere<br />

nella Chiesa, fu l'Ordine dei Frati di Sant'<strong>Agostino</strong>, detto degli eremitani per la loro<br />

origine immediata o semplicemente degli Agostiniani per la loro ispirazione di fondo.<br />

Essi infatti vollero continuare il triplice carisma <strong>del</strong> vescovo d'Ippona - religioso,<br />

teologico, pastorale -, anche nel piano <strong>del</strong>la continuità storica, la quale, quando non<br />

poterono provarla coi documenti, la provarono con le pie leggende. Ma, se mancò la<br />

continuità storica, ci fu quella spirituale, che conta di più. Uno splendido esempio, il<br />

nostro santo.<br />

L'ordine dunque fu organizzato e inserito poi tra gli ordini mendicanti <strong>del</strong>la Santa<br />

Sede coll'unione - la «grande unione » - di alcune congregazioni di eremiti-cenobiti<br />

che seguivano la Regola agostiniana. Le principali furono tre: quella dei giamboniti,<br />

fondata dal B. Giovanni Bono e diffusa nella Romagna e nella Lombardia, quella<br />

<strong>del</strong>la Tuscia (Toscana, alto Lazio e parte <strong>del</strong>l'Umbria), e quella dei Brettinesi, sorta in<br />

un luogo solitario nei pressi di Fano (Brèttino) e diffusasi nelle Marche e anche in<br />

qualche parte <strong>del</strong>l'Umbria. Di questa congregazione Gregorio IX nel 1228 approvò la<br />

scelta <strong>del</strong>la Regola agostiniana e nel 1235 confermò le costituzioni che contenevano,<br />

8


come risulta nella stessa bolla, questi punti: uniformità di vita, povertà individuale e<br />

comunitaria «eccetto l'orto e la selva <strong>del</strong> vostro eremo», i digiuni che erano rigorosi,<br />

il modo di vestire, la forma di governo 6 .<br />

Queste circostanze storiche possono aiutarci a capire meglio la spiritualità di San<br />

Nicola. Per questo sono state ricordate. Il convento nel quale egli entrò giovanetto<br />

apparteneva, fino a qualche anno prima, all'ultima <strong>del</strong>le congregazioni qui ricordate, e<br />

forse anche molti dei conventi nei quali visse ed operò. Nell'Ordine riunito e<br />

rinnovato (dalla vita eremitico- cenobitica si passò alla vita cenobitico-apostolica), il<br />

richiamo al vescovo d'Ippona e alle sue istituzioni africane divenne fondamentale e<br />

normativo, ma perdurò anche il ricordo <strong>del</strong>la vita eremitica, alla quale alcuni, qua e<br />

là, preferirono tornare. Si ricordi l'eremo <strong>del</strong>la Stella nel casciano e di Lecceto nel<br />

senese. Non così il nostro santo; benché anch'egli fu conventuale per qualche tempo<br />

in due conventi solitari o eremi Piaggiolino e Valmanente: il primo alienato poco<br />

dopo dall'Ordine riunito, il secondo esistente ancora -, nei quali doveva esserci poco<br />

posto o nessuno affatto per le opere <strong>del</strong>l'apostolato attivo. Ma chi volesse indagare<br />

fino in fondo nelle pieghe <strong>del</strong> suo animo, come mi sforzerò di fare nelle pagine che<br />

seguono, potrà forse scorgere in lui il punto di fusione <strong>del</strong> nuovo e <strong>del</strong> vecchio.<br />

Da una parte l'amore intenso ad <strong>Agostino</strong> congiunto allo sforzo costante di<br />

imitarne le virtù umane ed apostoliche, il senso <strong>del</strong>icato <strong>del</strong>la vita comune, il culto<br />

<strong>del</strong>l'amicizia, la dedizione totale al bene <strong>del</strong> prossimo - l'agostiniana «necessitas<br />

caritatis» che vuoi dire predicazione <strong>del</strong>la verità, azione per convertire i peccatori,<br />

amore dei poveri -; e dall'altra l'austerità, la riservatezza, la penitenza e la pratica<br />

costante <strong>del</strong>la preghiera fino alle vette <strong>del</strong>la contemplazione.<br />

Passiamo dunque a <strong>del</strong>ineare, dopo aver parlato <strong>del</strong>le fonti che dovranno servirci<br />

di guida, la figura di questo agostiniano così simpatico e così moderno.<br />

_____<br />

NOTE:<br />

1 John Gavigan, De Vita monastica in Africa sept. inde a temporibus S. Aug. usque ad invasiones<br />

Arabum, Roma 1962.<br />

2 S. <strong>Agostino</strong>, Regola - introduzione - commento, a cura di A. <strong>Trapè</strong>, Milano 1971. Per la questione<br />

storica e la tradizione manoscritta P.L.Verheyen, La Règle de St. Augustin, I -II, Parigi 1967.<br />

3 Il lavoro dei monaci, PBA, Città Nuova, Roma 1984.<br />

4 Cfr. Le 83 diverse questioni, Migne PL 40, 11-100.<br />

5 Ep. 48.<br />

6 Cfr. D. Gutiérrez, Los agustinos en la edad media I/1, Roma 1980, pp. 38-59.<br />

9


CAPITOLO II<br />

LE FONTI<br />

Nessuno si meravigli se comincio dalle fonti. Il lettore deve aver subito la<br />

certezza che quanto sto per dire non indulge affatto alla leggenda, ma è aderente,<br />

strettamente, alla storia, la quale <strong>del</strong> resto, questa volta, non è stata avara, anche se,<br />

generosa a suo modo, non ci ha detto quanto avremmo voluto sapere. Siamo dunque<br />

fortunati e sfortunati insieme. Abbiamo tre fonti preziose - il processo apostolico, la<br />

Vita di Pietro da Monterubbiano, contemporaneo, il sommario <strong>del</strong> processo -, ma che<br />

ci rivelano solo una parte <strong>del</strong>la complessa, anche se semplice, personalità di Nicola.<br />

Esaminiamole una per una un po' più da vicino.<br />

1. PROCESSO APOSTOLICO<br />

Finalmente e fortunatamente stampato in edizione critica, è a disposizione di tutti.<br />

Ad esso rimando chi volesse saperne di più 1 . Vi troverà, oltre il testo sempre<br />

interessante anche se spesso necessariamente monotono, buone introduzioni e<br />

utilissimi indici. Qui dirò solo quanto basti per indicarne il contenuto agiografico e i<br />

limiti.<br />

10


Fu indetto da Giovanni XXII con bolla <strong>del</strong> 23 maggio 1325 e iniziato il 7 luglio<br />

<strong>del</strong>lo stesso anno, vi fu raccolta la deposizione giurata di 371 testi, e fu chiuso il 28<br />

<strong>del</strong> seguente mese di settembre. Non fu dunque un processo lungo e faticoso: appena<br />

tre mesi.<br />

Il valore documentario è in ogni caso fuori dubbio. Molti testi erano de visu, cioè<br />

avevano conosciuto Nicola personalmente, almeno una sessantina, e gli altri de<br />

auditu, ma molto vicini ai fatti. Senza dire di quelli che, pur non avendo conosciuto<br />

Nicola personalmente, erano stati testi oculari di qualche miracolo compiuto per sua<br />

intercessione.<br />

A) Articoli <strong>del</strong> processo<br />

La deposizione dei testi fu raccolta su una serie di articoli che i commissari, i<br />

vescovi di Senigallia e di Cesena, avevano composto o fatto comporre e che rivelano<br />

l'idea che si erano formati <strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> santo e sulla quale chiedevano il giudizio<br />

dei testi. Quest'idea, per noi purtroppo riduttiva, è molto importante perché ha<br />

determinato non solo il processo, ma anche, con esso, tutta l'agiografia fino ad oggi.<br />

Perché dunque veda il lettore come sia stata scritta da sempre la vita di San Nicola,<br />

ecco qui il tenore di quegli articoli tradotti alla meglio dal monotono e scialbo latino<br />

cancelleresco medioevale. Ometto il ritornello sulla «pubblica voce e fama» che<br />

viene aggiunto ad ogni articolo, e aggiungo di mio la distinzione degli argomenti per<br />

una più facile intelligenza <strong>del</strong> testo. Al termine alcune brevi considerazioni.<br />

a) Impostazione generale e ragione <strong>del</strong> processo<br />

Articolo 1°. Nicola da Tolentino di veneranda <strong>memoria</strong>, appartenente all'Ordine<br />

degli eremiti di Sant'<strong>Agostino</strong>, <strong>del</strong>la diocesi di Camerino, vissuto a lungo<br />

lodevolmente nell'Ordine, rifulse mentre visse <strong>del</strong>la luce <strong>del</strong>la santità, risplendé per la<br />

vita e le opere, brillò in vita e dopo morte per grandi e molti miracoli, cioè<br />

risuscitando i morti, curando diversi mali, fugando i demoni, donando la vista ai<br />

ciechi, liberando i prigionieri, restituendo l'udito ai sordi e l'andatura agli zoppi e<br />

operando altri molti e vari miracoli. Di tali fatti, mentre visse Nicola e dopo la sua<br />

morte, è pubblica voce e fama non solo a Tolentino ma anche presso l'intera città e<br />

diocesi di Camerino, nell'intera città e diocesi di Fermo e nelle altre città e centri e<br />

paesi <strong>del</strong>la Marca di Ancona.<br />

b) Nascita e vita di Nicola prima <strong>del</strong>l'ingresso nell'Ordine<br />

Articolo 2°. Nicola nacque da legittimo matrimonio contratto a suo tempo tra<br />

Amata e Compagnone di Castel Sant'Angelo, distretto e diocesi di Fermo. I suoi<br />

parenti lo ritennero e trattarono come figlio legittimo.<br />

Articolo 3°. Essi furono considerati pubblicamente e sono considerati nel Castello<br />

come veri cattolici e veri fe<strong>del</strong>i cristiani, imbevuti nella fede e comprovati nelle<br />

opere.<br />

11


Articolo 4°. Nicola si comportò mentre visse da fe<strong>del</strong>e cattolico e come tale fu<br />

considerato dovunque visse.<br />

Articolo 5°. I genitori di Nicola, desiderando avere prole, fecero voto a San<br />

Nicola di Bari di andare in pellegrinaggio alla sua tomba se per i suoi meriti e le sue<br />

preghiere avessero avuto un figlio. Mentre dormivano nel loro letto ebbero la visione<br />

di un angelo che disse loro: Alzatevi, alzatevi ed affrettatevi ad andare a San Nicola<br />

di Bari: ivi vi sarà detto quale debba essere il figlio che presto nascerà da voi. Stanchi<br />

<strong>del</strong>le fatiche <strong>del</strong> pellegrinaggio, si addormentarono sul pavimento <strong>del</strong>la chiesa di San<br />

Nicola, ed ecco il santo in abiti pontificali appare loro nel sogno e dice: L'angelo che<br />

vi ha annunciato che da voi nascerà un figlio, quello stesso mi ha detto di venire a voi<br />

che giacete stanchi nella mia chiesa per annunziarvi subito e confermarvi che vi<br />

nascerà un figlio e sarà chiamato Nicola, perché porti il mio nome colui che nascerà<br />

per mia intercessione nel mondo: sarà un servo accettabilissimo al mio Signore<br />

Cristo, condurrà una stretta vita religiosa, sarà sacerdote, offrirà a Dio Padre il<br />

sacrificio gradito; la sua vita terminerà con un grande miracolo e rifulgerà di<br />

prodigiosi miracoli. Sicuri dunque che la vostra devota domanda è stata ascoltata e<br />

che l'annunzio angelico è certo, tornatevene pure a casa vostra.<br />

Articolo 6°. Nicola quando era piccolo evitava la compagnia <strong>del</strong>le donne e dei<br />

fanciulli e seguiva sempre la condotta dei vecchi e <strong>del</strong>le persone religiose.<br />

Articolo 7°. Prima <strong>del</strong>l'ingresso nell'Ordine riceveva con trasporto i poveri nella<br />

casa di suo padre.<br />

Articolo 8°. Come se fosse di età matura, era vicino con grande entusiasmo alle<br />

cose divine e ascoltava con avidità la parola di Dio. Di lui i santangiolesi dicevano<br />

l'un l'altro, ammirati e con spirito profetico: Se il Signore darà vita a questo fanciullo,<br />

sarà un santo.<br />

Articolo 9°. Nicola condusse precisamente questa vita nella età <strong>del</strong>la fanciullezza<br />

prima <strong>del</strong>l'ingresso nell'Ordine di Sant'<strong>Agostino</strong>.<br />

c) Ingresso nell'Ordine<br />

Articolo 10°. In giovanile età, abbandonando il fasto <strong>del</strong> mondo, entrò con grande<br />

devozione nell'Ordine di Sant'<strong>Agostino</strong> e, finito il tempo <strong>del</strong>la prova, avido di essere<br />

annoverato tra i professi di detto Ordine, emise il voto solenne di obbedienza, di<br />

povertà e di santissima castità.<br />

d) Osservanza religiosa, mortificazione, pazienza<br />

Articolo 11°. Amando la mondezza <strong>del</strong>la castità e volendo evitare le tentazioni<br />

<strong>del</strong>la concupiscenza, crocifisse la propria carne.<br />

12


Articolo 12°. Castigando il suo corpo e inducendolo in servitù più degli altri<br />

confratelli <strong>del</strong> suo Ordine, cominciò a condurre una vita più stretta; infatti, intento ai<br />

digiuni, alle vigilie, alle preghiere, alle dure mortificazioni, trascorse la sua vita<br />

monda e casta tra le asprezze di questo mondo.<br />

Articolo 13°. Tale vita condusse Nicola prima di essere ordinato sacerdote.<br />

Articolo 14°. Visse a Tolentino per circa 30 anni. Volendo evitare e vincere le<br />

tentazioni <strong>del</strong> diavolo, si astenne dalla carne, dalle uova, dal pesce, dai grassi, dai<br />

latticini, dalla frutta non solo quando era sano ma anche quando era infermo,<br />

respingendo i consigli dei medici, le preghiere dei confratelli <strong>del</strong> suo Ordine e di<br />

qualunque altro importuno; una volta mentr'era infermo, invitato dai medici e dai<br />

confratelli a mangiare carne, ricusò assolutamente di farlo.<br />

Articolo 15°. II mercoledì e il venerdì, e il sabato in onore <strong>del</strong>la gloriosa Vergine,<br />

si rifocillava una volta sola al giorno in pane e acqua.<br />

Articolo 16°. Nelle infermità <strong>del</strong> corpo era paziente e benigno, nonostante le<br />

molte tentazioni e impedimenti <strong>del</strong> diavolo.<br />

e) Assiduità nella preghiera<br />

Articolo 17°. La mortificazione, la disciplina, la preghiera di Nicola non<br />

consistevano solo nel digiuno e nell'astinenza. Con percosse e altre pene riduceva il<br />

corpo in servizio <strong>del</strong>l'anima per amore di nostro Signore Gesù Cristo. Per riposare<br />

qualche ora nella notte si contentava d'un pagliericcio. Si alzava per pregare. Nella<br />

preghiera era tanto assiduo che pregava come segue: da dopo il completorio fino al<br />

canto <strong>del</strong> gallo; dal mattutino fino al far <strong>del</strong> giorno; da dopo la Messa, se non era<br />

occupato con le confessioni, fino a terza; da dopo nona, se non era intento nelle opere<br />

<strong>del</strong>l'obbedienza, fino ai vespri.<br />

Articolo 18°. Oltre le ore stabilite, nelle quali era sempre il primo, pregava<br />

sempre.<br />

Articolo 19°. Il luogo <strong>del</strong>la sua preghiera non era solo l'oratorio presso l'altare<br />

dove ora è sepolto, ma anche la sua camera nella quale aveva posto due pietre di<br />

marmo: su di una genufletteva, sull'altra, quand'era stanco per la troppa fatica,<br />

stendeva le braccia di modo che queste se non erano afflitte dalla spossatezza di stare<br />

elevate, lo erano almeno dal freddo <strong>del</strong>le pietre.<br />

f) Vessazioni diaboliche<br />

13


Articolo 20°. Mentre era assiduo con grande devozione e fe<strong>del</strong>tà alla preghiera, il<br />

diavolo, prendendosi gioco di lui, lo molestava non solo con pensieri cattivi e<br />

tentazioni, ma anche con dure bastonate e apparizioni terribili. In concreto:<br />

- una volta mentre pregava con molta devozione nell'oratorio presso l'altare, il diavolo<br />

non solo estinse la lampada, ma gettandola a terra la frantumò;<br />

- stando sul tetto <strong>del</strong>l'oratorio imitava il grido di bestie selvagge, sconvolgeva le<br />

tegole quasi volesse scoperchiare il tetto: Nicola, sapendo che ciò derivava dal<br />

diavolo, insisteva con più forza nella preghiera;<br />

- entrando con furia e terrore dalla porta <strong>del</strong>la stanza dove Nicola pregava, gli si<br />

avvicinò e lo colpì con bastonate tanto che le cicatrici <strong>del</strong>le ferite gli rimasero in tutto<br />

il corpo per molti giorni;<br />

- il nemico <strong>del</strong>l'umano genere trafugò un pezzo di stoffa, d'una tonaca che Nicola<br />

aveva, e quando questi volle servirsene per rattopparne un'altra, cerca e ricerca, non<br />

la trovò; e andava dicendo: «Santo Dio, chi ha potuto prendersi gioco di me?<br />

Certamente è stato colui che non è degno di essere nominato». A queste parole il<br />

diavolo: «Hai indovinato. Sono stato io a farti lo scherzo e altri te ne farò; ma poiché<br />

con questi sistemi non riesco a nulla, cambierò metodo». Nicola: «Ma tu chi sei? ».<br />

Rispose: «Io sono Belial, incaricato di essere un pungolo per la tua santità ». E il<br />

santo di rimando: «Il Signore è il mio aiuto, non temo ciò che può farmi un uomo»<br />

(Sl 117, 6-7);<br />

- una notte Nicola, non volendo lasciare la sua consueta preghiera e le sue devozioni,<br />

essendo chiuso l'oratorio, volle entrare nel refettorio dove sul limite <strong>del</strong>la porta c'era<br />

dipinta un'immagine <strong>del</strong> Crocifisso. Belial gli diede una spinta tanto violenta che lo<br />

buttò a terra e rimase quasi senza respiro; riavutosi, nel nome <strong>del</strong> Crocifisso, si alzò e<br />

fu percosso di nuovo dal diavolo; ma Nicola sopportò tutto con umiltà, pazienza e<br />

gioia in onore di nostro Signore Gesù Cristo, lo ringraziò e non smise affatto di<br />

pregare.<br />

g) Replica sulla notorietà e fama<br />

Articolo 21°. Di tutte e singole le affermazioni fatte sopra ci fu nella vita di<br />

Nicola e c'è tuttora nei luoghi detti sopra pubblica notorietà e fama.<br />

h) Apostolato e figura morale <strong>del</strong> Santo<br />

Articolo 22°. A proposito <strong>del</strong>le opere di carità e di pietà che compì Nicola mentre<br />

visse:<br />

- visitava gl'infermi e procurava e faceva per essi quanto era loro più gradevole<br />

quantunque egli stesso fosse infermo e impedito, e li confortava con le parole divine<br />

<strong>del</strong>la Scrittura;<br />

- trovandosi tra sani o infermi, non sapeva saziarsi <strong>del</strong>la dolcezza mirabile <strong>del</strong>la<br />

parola di Dio tanto nella predicazione che nella conversazione;<br />

- era anche compassionevole per quelli che fossero spiritualmente infermi, e per i<br />

molti peccatori che si confessavano da lui pregava, digiunava, celebrava, effondeva<br />

lacrime avanti al Signore perché fossero liberati dalle tenebre dei peccati;<br />

14


- amava i poveri con le parole e i fatti, procurava loro le vesti, acquistava per loro i<br />

cibi;<br />

- era letizia per i mesti, consolazione per gli afflitti, pace per quelli divisi dalla<br />

discordia, refrigerio per gli affaticati, aiuto per i poveri, singolare rimedio per i<br />

prigionieri;<br />

- per Cristo e per il prossimo era pronto a morire;<br />

- era pudico, modesto, casto, verecondo, lieto, aperto e quieto, non meschino,<br />

fuggiva l'invidia, respingeva gli scandali; vuoto di cupidigia, ornato di buoni costumi,<br />

privo di ogni fantasticheria, giusto, sapiente, prudente, discreto, nemico <strong>del</strong>l'avarizia,<br />

contrario alla negligenza, pronto nel compiere ogni cosa che gli venisse affidata.<br />

B) Osservazioni<br />

Il lettore che ha avuto la pazienza di giungere fino in fondo nella lettura di questi<br />

articoli, si sarà accorto <strong>del</strong> taglio che i commissari hanno dato al processo, e perciò di<br />

quello che c'è in esso e di quello che manca.<br />

C'è una visione prettamente medioevale <strong>del</strong> santo, quando più <strong>del</strong> quotidiano<br />

contava lo straordinario e il meraviglioso: lunghe preghiere, aspre mortificazioni,<br />

combattimenti col diavolo, strepitosi miracoli. E così è visto Nicola in questo<br />

processo. Questa era «la pubblica voce e fama» e si voleva sapere dai testi se questa<br />

notorietà era vera e corrispondeva alla realtà.<br />

Di tanti altri argomenti sui quali pur c'interesserebbe essere informati per avere<br />

un'idea più completa e perciò più autentica <strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> santo, nulla. Nulla <strong>del</strong>la<br />

sua formazione spirituale, degli studi preparatori al sacerdozio, dei compiti svolti nel<br />

suo Ordine religioso, <strong>del</strong>la meditazione <strong>del</strong>le Scritture come alimento <strong>del</strong>la pietà e<br />

preparazione all'apostolato, <strong>del</strong>la predicazione. Sono lacune spiacenti.<br />

Solo incidentalmente sappiamo che fu maestro dei novizi, che fu presente in un<br />

capitolo provinciale tenutosi a San Ginesio, che fu un predicatore molto ascoltato.<br />

In verità per saperne qualcosa di più su alcuni di questi o su altri argomenti<br />

importanti c'era negli articoli qualche spunto, ma i commissari non ne hanno<br />

approfittato mai o quasi mai. Per esempio, l'ultimo di essi, il più ricco dei 22, è diviso<br />

in ben sette argomenti o temi, e il settimo per di più contiene un vasto panorama <strong>del</strong>la<br />

vita morale <strong>del</strong> santo sul quale i testi, almeno quelli de visti, avrebbero potuto dirci<br />

molte cose, portando esempi, fissando episodi; ma i commissari, pur leggendo ad essi<br />

l'articolo «per ordinem et distincte de verbo ad verbum», non insistono sui particolari,<br />

non provocano risposte più specifiche su questo o quel punto, per cui il teste o<br />

conferma globalmente tutto l'articolo o, fermandosi su l'uno o l'altro argomento, si<br />

serve più o meno, per rispondere, <strong>del</strong>le parole <strong>del</strong>l'articolo.<br />

Il lettore acquista la certezza che il contenuto <strong>del</strong>l'articolo è storicamente vero, ma<br />

resta con la <strong>del</strong>usione di non saperne di più.<br />

Per scendere a qualche particolare, si può osservare che in questo stesso articolo<br />

22 di cui sto parlando c'è un comma - precisamente il secondo - che apre un varco<br />

sulla predicazione di Nicola; dice infatti che non si saziava di parlare <strong>del</strong>la mirabile<br />

dolcezza <strong>del</strong>la parola di Dio. Una preziosa indicazione che suppone molto ma dice<br />

poco. Eppure a nessuno è venuto in mente di testimoniare sulla predicazione di<br />

15


Nicola, la frequenza, i luoghi, l'efficacia. Né i commissari hanno avuto cura di<br />

domandarlo.<br />

Lo stesso dicasi <strong>del</strong> comma sesto che ci fa sapere che Nicola era pronto a morire<br />

per Cristo e per il prossimo: affermazione bellissima ma generica, che attendeva<br />

ampia esemplificazione, che non ci fu.<br />

Ma nonostante questi limiti il contenuto <strong>del</strong> processo è prezioso e cercherò di<br />

sfruttarlo nelle pagine che seguono.<br />

2. «VITA» DI PIETRO DA MONTERUBBIANO<br />

Pietro da Monterubbiano fu un coetaneo di San Nicola, uno dei testi citati nel<br />

processo, anche se poi, non sappiamo perché, non depose; professore di filosofia e<br />

teologia, un uomo quindi di cultura, abituato all'insegnamento e all'uso <strong>del</strong>la lingua in<br />

cui scrive, il latino.<br />

Circa la sua opera interessa fare tre considerazioni, e cioè il contenuto, le<br />

relazioni col processo, l'attendibilità.<br />

a) Contenuto<br />

È una vita encomiastica, scritta in buon latino, ricca di riferimenti biblici e<br />

agostiniani, dal tono qua e là enfatico e un po’ troppo retorico, divisa come al solito<br />

in quel tempo in due parti: virtù e miracoli, rispettivamente cc. 1-5 e cc. 6-8. Ne viene<br />

fuori una prospettiva piuttosto riduttiva <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong> santo ma pur interessante.<br />

Nella prima parte segue (o previene) lo schema <strong>del</strong> processo che già ci è noto: la<br />

nascita di Nicola per intercessione <strong>del</strong>l'omonimo santo di Bari, la giovinezza<br />

innocente e pia, l'ingresso nell'Ordine agostiniano per fuggire le insidie <strong>del</strong> mondo, la<br />

fe<strong>del</strong>tà ai voti emessi, la perfetta osservanza <strong>del</strong>la Regola, l'assiduità alla preghiera, i<br />

digiuni e le penitenze, la pazienza nelle infermità, l'apostolato sacerdotale, la morte<br />

preziosa allietata dall'apparizione di Gesù, Maria e <strong>Agostino</strong>.<br />

Nella seconda parte, dopo aver detto che erano ormai 20 anni - la circostanza<br />

cronologica è importante - che si operavano innumerevoli miracoli per intercessione<br />

<strong>del</strong> santo al punto che i notai si erano stancati di annotarli, espone il proposito di<br />

narrarne alcuni traendoli dal «pelago di tante grazie». E narra di fatto molte<br />

guarigioni dei ciechi, degli zoppi, dei sordi, dei muti, dei rattrappiti, la risuscitazione<br />

dei morti, la salvezza degli impiccati e dei naufraghi.<br />

b) Relazione col processo<br />

Di questa preziosa biografia - preziosa perché la prima e perché di un<br />

contemporaneo -, c'interessa conoscere le relazioni che ha col processo. Queste sono<br />

di aperta somiglianza tanto che una dipendenza è innegabile: ricorrono gli stessi temi<br />

e le stesse parole degli articoli <strong>del</strong> processo. Ma da che parte sta la dipendenza?<br />

Ordinariamente si ritiene che sia la Vita a dipendere dal processo anche se il<br />

tempo intercorso tra l'una e l'altro sarebbe stato poco: forse non più di un anno. I<br />

16


Bollandisti l'assegnano al 1326; altri, richiamandosi a un particolare riferito dal<br />

biografo (Vita, 4, 38), a qualche anno più tardi. A me sembra che debba pensarsi il<br />

contrario, cioè a una dipendenza <strong>del</strong> processo dalla Vita. Eccone la ragione, valga<br />

quel che valga. Mi domando chi ha preparato gli articoli <strong>del</strong> processo. Anche se non<br />

sono molti, sono precisi, complessi e particolareggiati. Suppongo pertanto una<br />

notevole familiarità con la vita di Nicola e una conoscenza attenta e profonda di tutti<br />

gli aspetti che l'avevano interessata. Non si può pensare che questa familiarità e<br />

conoscenza l'avessero i vescovi di Senigallia e di Cesena, commissari <strong>del</strong> processo.<br />

Bisogna pensare ai promotori <strong>del</strong> processo. Questi furono sicuramente frate Pietro di<br />

Castello, provinciale agostiniano <strong>del</strong>la Marca, e frate Pietro da Montecchio (Treia),<br />

priore di Tolentino, i quali il 7 luglio 1325 consegnarono la bolla papale ai legati<br />

pontifici, i suddetti vescovi di Senigallia e di Cesena. Ma furono proprio loro a<br />

compilare gli articoli? Non risulta. Amo pensare che sia stato Pietro da<br />

Monterubbiano il quale andava raccogliendo il materiale per la sua biografia e<br />

conosceva quindi da vicino quanto riguardava il Padre Nicola.<br />

In questo senso la sua biografia sarebbe anteriore al processo; posteriore ad esso,<br />

forse, la stesura definitiva. In ogni caso la precisione cronologica - prima o dopo il<br />

processo - non toglie nulla all'attendibilità <strong>del</strong>la fonte, che è la questione più<br />

importante che qui c'interessa.<br />

c) Attendibilità<br />

Ci chiediamo: quale il valore storico di questa biografia? Quale affidamento<br />

possiamo fare sui fatti che ci narra? Per rispondere occorre distinguere la parte, che è<br />

una gran parte, in cui coincide col processo e che ha lo stesso valore <strong>del</strong> processo:<br />

quello che il biografo afferma è, spesso, il contenuto degli articoli sui quali i<br />

commissari hanno interrogato i testi, e questi, sotto giuramento, ne hanno confermato<br />

la verità.<br />

L'interrogativo si pone invece per i fatti narrati dal solo biografo. E vero che<br />

questi fatti raggiungono per lo più la sfera <strong>del</strong> meraviglioso. È solo il biografo infatti<br />

che ci narra la proposta <strong>del</strong> cugino di cambiare Ordine e l'esortazione celeste che<br />

venne a Nicola di restare fe<strong>del</strong>e alla sua vocazione, l'apparizione <strong>del</strong> defunto<br />

confratello, Pellegrino di Osimo, il settenario di Messe e le ardenti preghiere per le<br />

anime <strong>del</strong> purgatorio, la visione <strong>del</strong>la stella che partendo da Sant'Angelo si posava su<br />

Tolentino.<br />

Cosa pensare di questi fatti? Saranno essi inventati perché meravigliosi? Non lo<br />

credo. Non c'è ragione di dubitare, a mio parere, che il biografo abbia attinto a fonti<br />

sicure. Primo perché contemporaneo e poteva informarsi bene, secondo perché uomo<br />

di cultura e negato per abito mentale alla facile credulità, terzo perché alcuni fatti, di<br />

quelli appartenenti alla sfera <strong>del</strong> meraviglioso, coincidono con quelli ricordati dal<br />

processo. Un esempio. Quando narra la visione di Gesù Bambino nell'ostia consacrata<br />

di cui Nicola fanciullo godeva spesso, si appella alla fonte: «Ho udito da un frate che<br />

lo serviva nella sua infermità...».<br />

Si tratta di Giovannuzzo da Tolentino che aveva di fatto servito Nicola per tre<br />

anni prima <strong>del</strong>la morte, il teste 221 <strong>del</strong> processo. Ora il nostro biografo, narrando la<br />

17


morte di Nicola con l'apparizione - si noti- di Gesù, Maria e <strong>Agostino</strong>, lo fa quasi con<br />

le stesse parole che il teste usa nel deporre sotto giuramento nel processo. Merita<br />

perciò fede anche quando racconta, attingendo alla stessa fonte, un particolare che nel<br />

processo non c'è, come appunto la visione di Gesù Bambino nell'ostia consacrata.<br />

Non c'è bisogno di dire che la fonte di certi fatti non può essere che una: Nicola, il<br />

quale, sempre amabile e buono, li ha raccontati confidenzialmente a qualcuno dei<br />

suoi confratelli. Non mi risulta che l'autore <strong>del</strong>la biografia fosse tra questi, ma egli li<br />

ha attinti sicuramente da chi li aveva sentiti da Nicola stesso.<br />

Per un caso almeno, quello <strong>del</strong>la tentazione di abbandonare l'Ordine e <strong>del</strong>le parole<br />

celesti che vennero a confortarlo, il biografo si appella esplicitamente a questa fonte.<br />

Scrive: «Come egli stesso, dopo molto tempo, lo rivelò con molta semplicità ai<br />

confratelli, preannunziando che sarebbe morto a Tolentino» (Vita, 2,15).<br />

Del resto tra la morte <strong>del</strong> santo e la composizione <strong>del</strong>la biografia c'è troppo poco<br />

tempo per poter pensare alla nascita di leggende. Né si può dire che la retorica un po’<br />

gonfia con cui l'autore si esprime sia in contrasto con la veridicità.<br />

Nelle pagine seguenti attingerò pertanto oltre che al processo anche alla biografia,<br />

grato all'autore per la buona volontà che ha avuto e per la fatica che ha sostenuto<br />

nello scriverla. Non tutti i santi hanno avuto la fortuna di avere un biografo come il<br />

nostro Pietro da Monterubbiano, coevo e bene informato. E penso, spontaneamente, a<br />

Santa Rita che <strong>del</strong> nostro Nicola fu una grande devota.<br />

Non mi resta che notare un particolare: questa prima biografia ha influenzato tutta<br />

la storiografia di San Nicola: i biografi posteriori, come Giordano di Sassonia (1350),<br />

Sant'Antonino da Firenze (1445) e gli stessi Bollandisti (1761) dipendono da essa.<br />

3. IL SOMMARIO DEL PROCESSO<br />

È stato compilato dal card. Guglielmo Godin, vescovo di Sabina, e presentato al<br />

pontefice Giovanni XXII nel 1328. L'avvocato concistoriale lo presenterà poi al<br />

pontefice Eugenio IV per la canonizzazione avvenuta nel 1446. Un documento<br />

fondamentale senza il processo a portata di mano; col processo in mano il suo valore<br />

documentario è pressoché nullo. Ha avuto un'importanza giuridicamente insostituibile<br />

nei preparativi <strong>del</strong>la canonizzazione, ma come fonte d'informazione non è, e non vuol<br />

essere altro, che un sommario che riproduca fe<strong>del</strong>mente il contenuto <strong>del</strong> processo, che<br />

ora per fortuna abbiamo a disposizione.<br />

_____<br />

NOTA:<br />

1 Il processo per la canonizzazione di S. Nicola da Tolentino, ed. critica a cura di N. Occhioni,<br />

Roma 1984.<br />

18


CAPITOLO III<br />

L'AGOSTINIANO<br />

Vorrei cominciare proprio da qui, non solo perché Nicola appartenne all'Ordine<br />

dei Frati di Sant'<strong>Agostino</strong>, quelli che erano chiamati, per la loro origine, eremitani,<br />

ma anche e soprattutto perché ebbe per il suo padre spirituale un amore profondo e<br />

commovente.<br />

In realtà tre furono i grandi amori che arsero nel suo cuore: Gesù, Maria,<br />

<strong>Agostino</strong>. Se comincio da quest'ultimo è perché sono convinto che fu questo ad<br />

aiutarlo a crescere negli altri due. Amando teneramente <strong>Agostino</strong>, ne rivisse lo<br />

spirito, nel cui profondo, incarnata da una grande mente e da un ardente cuore, trovò<br />

la centralità <strong>del</strong> Cristo, e, accanto a Cristo, inseparabile, Maria.<br />

Entrò nell'Ordine ancora giovanetto, a Castel Sant'Angelo - oggi Sant'Angelo in<br />

Pontano -, dov'era nato 14 anni prima; vi entrò, stando a un computo che uno dei testi<br />

ci permette di fare, nell'anno 1259: l'unione <strong>del</strong>le diverse congregazioni agostiniane<br />

era avvenuta appena tre anni prima, e già nell'Ordine rinnovato entrava, evidente<br />

dono di Dio, uno dei suoi membri più celebri e più grandi.<br />

Si ascrive la sua decisione alla predica di un padre agostiniano, di cui si fa anche il<br />

nome - padre Reginaldo che parlava dal pulpito, con profonda persuasione e calda<br />

eloquenza, <strong>del</strong> disprezzo <strong>del</strong> mondo, un tema evangelico molto sentito nel medioevo.<br />

Anche se il motivo - predica e conseguente decisione - appartiene già all'agiografia<br />

antica (si ricordi la vita di Sant'Antonio scritta da Atanasio), la circostanza non ha<br />

nulla di strano. Ma la ragione<br />

più profonda e più vera dovette essere un'altra, precisamente questa: la grande<br />

impressione che fecero nel giovinetto la vita austera e la fama di santità <strong>del</strong>la<br />

comunità agostiniana <strong>del</strong> suo paese.<br />

Da quando questa comunità, proveniente da Brittino nei pressi di Fano, si fosse<br />

stabilita a Castel Sant'Angelo non è facile, per mancanza di documentazione,<br />

stabilirlo. Certamente da qualche decennio. Ed era una bella comunità, se contava,<br />

quando vi entrò il nostro Nicola, una diecina di religiosi. Ma più che il numero valeva<br />

il tenore di vita. Una comunità di eremiti, dediti all'ascetismo cristiano e alla<br />

preghiera contemplativa, desiderosi solo di vivere e mostrare l'efficacia <strong>del</strong>la sequela<br />

Christi, i quali da non molto avevano accettato, per volere <strong>del</strong>la Chiesa, l'esercizio<br />

<strong>del</strong>l'apostolato attivo con lo scopo di comunicare ai fe<strong>del</strong>i i frutti <strong>del</strong>le loro<br />

meditazioni e confermare con l'esempio l'efficacia <strong>del</strong>la parola: la Chiesa aveva visto<br />

giusto quando aveva chiesto ed ottenuto questo esercizio, che non doveva <strong>del</strong> resto<br />

sostituire l'antico, ma emanare da esso e ad esso aggiungersi.<br />

Quando Nicola li incontrò, erano agli inizi di questa vita antica e nuova insieme,<br />

pieni -possiamo crederlo di entusiasmo e di profonde convinzioni. Ascoltando p.<br />

Reginaldo, avrà sentito nelle sue parole l'eco d'una grande passione interiore e avrà<br />

visto nel pallore <strong>del</strong> suo volto i segni <strong>del</strong>l'astinenza e <strong>del</strong> digiuno. Avrà sentito parlare<br />

19


anche - non è fantasia pensarlo ma deduzione storica - di <strong>Agostino</strong>, <strong>del</strong>la sua<br />

conversione, <strong>del</strong>le sue fondazioni monastiche, dei suoi mirabili esempi. E forse quel<br />

nome possiamo pensare anche questo -, sentito per la prima volta e circondato<br />

dall'aureola misteriosa <strong>del</strong>la santità e <strong>del</strong>la dottrina, s'impresse in<strong>del</strong>ebilmente nel suo<br />

animo e divenne la forza e la molla segreta <strong>del</strong>la sua vita religiosa. E un fatto: quel<br />

nome lo ebbe sempre, d'allora in poi, nel cuore e sulle labbra.<br />

1. NOVIZIO<br />

Ma da chi ne apprese l'amore? Penso prima di tutto al suo noviziato. Dove Nicola<br />

l'abbia fatto non sappiamo: forse a San Ginesio, come vuole un'antica tradizione,<br />

forse altrove. La provincia non doveva averne uno solo, se le prime Costituzioni,<br />

quelle promulgate a Ratisbona nel 1290, ma che riproducevano per lo più quelle <strong>del</strong><br />

1284 e codificavano le osservanze e gli usi comuni nell'Ordine rinnovato,<br />

prescrivevano che ogni anno nei capitoli provinciali si stabilissero «due o più luoghi<br />

nei quali si collocassero i novizi perché potessero più opportunamente essere istruiti<br />

dai loro maestri» (n. 114).<br />

Ma quello che qui importa non è il dove ma il come. Il novizio dunque veniva<br />

affidato al maestro per la sua formazione spirituale. Ci domandiamo: di fatto quale<br />

formazione il maestro diede a Nicola? Qui brancoliamo nel buio. Se si trattasse <strong>del</strong>la<br />

formazione religiosa in generale potremmo aiutarci con le Costituzioni or ora citate.<br />

Queste nel lungo capitolo dedicato alla formazione dei novizi prescrivevano molte<br />

cose che quel maestro avrà messo in pratica prima che fossero codificate. Dicevano:<br />

«Il priore designi come maestro dei novizi un religioso dotto e onesto, approvato e<br />

molto zelante <strong>del</strong> nostro Ordine, il quale insegni loro prima di tutto a confessarsi con<br />

schiettezza, discrezione e frequenza, a vivere castamente e senza nulla di proprio. Li<br />

istruisca circa la Regola e le Costituzioni, l'ufficio divino, i costumi, il<br />

comportamento e altre osservanze <strong>del</strong>l'Ordine...».<br />

Le prescrizioni continuano lungamente esponendo sapienti norme circa i voti, la<br />

carità, l'umiltà, l'educazione, la modestia. Verso la fine <strong>del</strong> lungo paragrafo viene<br />

inserito, con nostra sorpresa e gioia, un'esortazione allo studio <strong>del</strong>la Scrittura. Le<br />

parole sono queste: il novizio «legga con avidità la Sacra Scrittura, la ascolti con<br />

devozione, la impari con ardente desiderio» (Const. R., ed. I. Aràmburu, Valladolid<br />

1966, nn. 111-113).<br />

Come si vede <strong>del</strong>la formazione specificamente agostiniana, riguardante cioè<br />

Sant'<strong>Agostino</strong> e il suo monachismo, non si dice molto; anzi, per essere più espliciti,<br />

molto poco. A noi invece interessa proprio questo. Quel buon maestro - e ci dispiace<br />

di non conoscerne il nome spiegò certamente a Nicola e ai suoi eventuali connovizi la<br />

Regola, aiutandosi magari con il commento di Ugo da San Vittore. Bene: era<br />

importante, anzi fondamentale. Ma fino a che punto avrà parlato di <strong>Agostino</strong> stesso<br />

infondendone nel cuore dei giovani l'amore e la devozione? Quali altre opere avrà<br />

usato per spiegare l'ideale monastico agostiniano? Avrà conosciuto Il lavoro dei<br />

monaci, i Discorsi 355 e 356, che nel medioevo correvano ed erano molto letti sotto il<br />

nome de I costumi dei chierici? Avrà conosciuto la Vita di <strong>Agostino</strong> scritta da<br />

Possidio? Vorrei supporlo, ma non ho ragioni per affermarlo.<br />

20


Se Nicola avesse fatto il noviziato alcuni decenni più tardi, nella casa <strong>del</strong> suo<br />

noviziato e nelle mani <strong>del</strong> suo maestro probabilmente sarebbero arrivate alcune opere<br />

destinate a facilitare la conoscenza di <strong>Agostino</strong> e <strong>del</strong> suo monachismo, come il<br />

celebre Milleloquium che raccoglieva tanti splendidi testi agostiniani sulla spiritualità<br />

in genere e sulla vita monastica in particolare, oppure opere come Il trattato<br />

sull'origine e lo sviluppo <strong>del</strong>l'Ordine di Enrico da Friemar, che avrebbero mostrato<br />

l'attaccamento <strong>del</strong>l'Ordine stesso al suo Padre e Legislatore, sia pure, qualche volta,<br />

attraverso pie leggende, le quali, se non avevano, né potevano avere, un valore<br />

storico, ne avevano uno profondamente e grandemente spirituale. I novizi agostiniani<br />

dovevano, nonostante la distanza <strong>del</strong> tempo, imparare ad amare <strong>Agostino</strong> come i<br />

francescani Francesco o i domenicani Domenico: dovevano sentire che egli era «il<br />

mo<strong>del</strong>lo e la norma di tutte le loro azioni» (Vitas fratrum I, 11, p. 36).<br />

Se però né le Costituzioni né le opere pubblicate un poco più tardi ci permettono di<br />

entrare nel clima agostiniano di quel noviziato, alcune disposizioni dei Superiori<br />

Generali, tra le poche rimasteci, o le <strong>del</strong>iberazioni dei capitoli generali, ci danno<br />

qualche utile indicazione.<br />

Il B. Clemente da Osimo, questo austero e mite religioso che fu due volte Generale<br />

(dal 1271 al 1274 e dal 1284 al 1291), visitò tutto l'Ordine a piedi (pedester dice<br />

l'anonimo fiorentino <strong>del</strong> 1336) e promulgò le prime Costituzioni, scrivendo nel 1272<br />

sul progetto di fondare un nuovo convento in Toscana; vuole che sia fondato «a lode<br />

e riverenza di Dio onnipotente e <strong>del</strong>la beata e gloriosa Vergine, sua madre, e <strong>del</strong><br />

beatissimo padre <strong>Agostino</strong>» (An. Aug. XII, 181). Proprio i tre nomi che Nicola avrà<br />

sempre nel cuore e sulla lingua.<br />

Vale la pena poi, per giudicare <strong>del</strong> clima spirituale in cui crebbe il nostro santo fin<br />

dal primo ingresso nell'Ordine, ricordare che il B. Clemente era suo corregionale,<br />

proveniva sicuramente dalla congregazione dei brittinesi e che nel 1269 era<br />

provinciale di quella congregazione diventata una provincia <strong>del</strong>l'Ordine riunito; o,<br />

come dice un documento <strong>del</strong> tempo, «priore universale di tutti i frati <strong>del</strong>lo stesso<br />

ordine (degli eremiti di Sant'<strong>Agostino</strong>) sparsi per la Marca Anconitana » (Don<br />

Celestino Pierucci, Carte agostiniane, 1249-1291, tra le carte di Fonte Avellana, in<br />

An. Aug. 36/1973/1226) Provinciale pertanto <strong>del</strong> nostro Nicola nei primi anni <strong>del</strong>la<br />

sua vita agostiniana, se è vero, come sembra probabile, che sia entrato nell'Ordine nel<br />

1259. E perché non pensare, ma qui la fantasia corre forse troppo, che sia stato suo<br />

maestro dei novizi o posteriormente maestro nel periodo di formazione al sacerdozio?<br />

In ogni modo gli esempi che venivano dall'alto erano affascinanti.<br />

Di questo insigne religioso i primi storici <strong>del</strong>l'Ordine tessono elogi altissimi.<br />

Uno di essi, che lo conobbe personalmente, scrive: «Il terzo Generale fu Fr.<br />

Clemente <strong>del</strong>la Marca d'Ancona... uomo di ammirabile clemenza e pietà, e prudenza<br />

e santa vita.., per mezzo <strong>del</strong> quale Dio fece molti miracoli nel capitolo celebrato a<br />

Ratisbona nel quale io fui presente... E tanto in vita che in morte in presenza <strong>del</strong>la<br />

curia (romana) e di tutti i cardinali - nel tempo <strong>del</strong> Papa Nicolò IV fu illustrato da<br />

grandi miracoli in Orvieto, dove morì. E per la moltitudine e grandezza dei miracoli<br />

restò insepolto molte settimane per ordine <strong>del</strong>lo stesso Pontefice...».<br />

Dopo aver ricordato la moltitudine di popolo, cardinali compresi, che si recava a<br />

venerarlo, ricorda la testimonianza di Benedetto (Caetani), poi Bonifacio VIII, che<br />

21


era stato suo penitente, e che si recò più volte a venerare quel santo corpo e poi,<br />

insieme ad altri cardinali, il suo sepolcro (An. Aug. II, 322).<br />

Indubbiamente, come si è detto, Nicola ebbe tra i suoi correligionari tali esempi di<br />

santità che non potevano non spronano a perseverare nella via intrapresa, austera ma<br />

sicura.<br />

Gli effetti di questi esempi li vedremo subito; intanto torniamo al tema <strong>del</strong>la<br />

formazione specificamente agostiniana. Questa si manifesta in particolare attraverso<br />

le feste liturgiche. Quante se ne celebrassero di Sant'<strong>Agostino</strong> durante il noviziato e la<br />

formazione di Nicola, non è dato saperlo. Certamente quella <strong>del</strong> 28 agosto, giorno<br />

anniversario <strong>del</strong>la morte. Sappiamo però che nel 1341, 36 anni dopo la morte di<br />

Nicola, nell'Ordine se ne celebravano, durante l'anno, cinque. Fin da quando? Non<br />

sappiamo. Sappiamo invece quali erano: il 28 agosto, la principale, poi quella <strong>del</strong>la<br />

duplice traslazione - a febbraio la traslazione da Ippona in Sardegna, a ottobre la<br />

traslazione dalla Sardegna a Pavia -, quella <strong>del</strong>la conversione il 5 maggio e infine il 5<br />

di giugno quella <strong>del</strong>l'anniversario <strong>del</strong>la fondazione <strong>del</strong> convento di Pavia, chiamata<br />

festa <strong>del</strong>la riunione («dei membri al capo, dei figli al padre, dei discepoli al maestro,<br />

dei soldati al capitano», come si esprimeva la bolla di fondazione di quel convento:<br />

20 gennaio 1327). Più tardi (1343) cinque feste all'anno di Sant'<strong>Agostino</strong> sembrarono<br />

troppe e ne soppressero due, ma poi si accorsero che una <strong>del</strong>le soppresse - la<br />

conversione - era troppo importante, e la ristabilirono: si celebri dovunque<br />

nell'Ordine «la festa <strong>del</strong>la conversione <strong>del</strong> beatissimo Padre ed esimio dottore<br />

<strong>Agostino</strong>, il 5 di maggio, con rito doppio» (1371). Perché il 5 maggio non si sa. In<br />

fatto di cronologia quei padri capitolari non dovevano essere troppo forti: è noto<br />

infatti che <strong>Agostino</strong> si convertì verso l'inizio di agosto <strong>del</strong> 386 e fu battezzato nella<br />

notte <strong>del</strong> sabato santo, 24-25 aprile, <strong>del</strong>l'anno seguente.<br />

Ma qui non interessa tanto l'esattezza storica quanto l'intento spirituale. E questo in<br />

quelle prescrizioni c'era, e molto grande. In date più vicine alla vita <strong>del</strong> nostro santo -<br />

1303 e 1306 - due capitoli generali comandavano rispettivamente che la festa <strong>del</strong> 28<br />

agosto si celebrasse in tutte le comunità con l'ottava e che alla vigilia di essa i frati<br />

osservassero il digiuno «a onore e lode di Sant'<strong>Agostino</strong> nostro padre e affinché<br />

interceda sempre efficacemente presso Dio per il nostro Ordine e per tutti i suoi<br />

religiosi come per i suoi figli devoti» (An. Aug. III, 58).<br />

Questa devozione a Sant'<strong>Agostino</strong> il nostro Nicola o la trovò nei monasteri in cui<br />

visse o ve la portò col suo esempio. Esempio lo fu in ogni caso: di fe<strong>del</strong>tà all'Ordine,<br />

di amore al suo padre spirituale, di osservanza regolare. E quello che ci resta da dire.<br />

2. FEDELTÀ ALL'ORDINE<br />

Prova di fe<strong>del</strong>tà all'Ordine la diede in una difficile circostanza. Il primo biografo e<br />

contemporaneo Pietro da Monterubbiano ce la narra con tutti i particolari. Non c'è<br />

ragione di non credergli poiché ha cura di indicare la sua fonte in Nicola stesso, il<br />

quale, <strong>del</strong>icato com'era nell'amicizia, benevolo e aperto alla confidenza, lo avrebbe<br />

narrato con tutta semplicità ai confratelli « molto tempo dopo» mentre stava parlando<br />

<strong>del</strong>la sua morte che sarebbe avvenuta, assicurava, a Tolentino.<br />

22


Prima dunque di essere inviato stabilmente in questa città, mentr'era di famiglia<br />

probabilmente a Fermo o a Montegiorgio - risulta infatti che è stato nell'uno e nell'altro<br />

luogo -, incontrò un suo cugino che era priore d'un monastero, forse di Canonici regolari<br />

di Sant'<strong>Agostino</strong>, situato nella pianura <strong>del</strong> Tenna, non lontano dalla città di Fermo,<br />

chiamato Santa Maria di Iacobo. Egli, vedendo Nicola tanto povero e macilento, ne<br />

ebbe compassione e gli fece la proposta di passare al suo monastero, passaggio che<br />

allora era meno difficile e più frequente di oggi. Secondo il biografo dovette fargli<br />

questo ragionamento: «Perché soffri tanta miseria? La condizione <strong>del</strong> tuo Ordine è<br />

poverissima, né potrai sopportarne le asprezze. Pensa alla tua gioventù, vieni in<br />

questo monastero a godere insieme a me dei beni che non mancano: non posso più<br />

vedere la tua giovinezza circondata da una condizione tanto misera».<br />

Probabilmente Nicola non rispose, ma - dice il biografo - scese nella chiesa <strong>del</strong><br />

monastero dove si trovava per una visita al cugino o per ragioni di ministero, e<br />

s'immerse nella preghiera. Forse avremmo desiderato sentirlo dare una risposta<br />

negativa subito, una risposta pronta, fiera, perentoria. Invece ricorse alla preghiera.<br />

Evidentemente era turbato. Le parole <strong>del</strong> cugino avevano un'insolita forza persuasiva.<br />

Perciò chiese a Dio di illuminarlo e dirigere i suoi passi sulla via che gli aveva<br />

preparata. La risposta non si fece attendere. Mentre pregava, gli parve di vedere un<br />

coro di giovani e di sentire che cantavano ripetendo: «a Tolentino, a Tolentino, a<br />

Tolentino sarà il termine <strong>del</strong>la tua vita; resta nella vocazione in cui sei stato chiamato,<br />

in questa troverai la tua salvezza».<br />

Adesso, confortato dalla preghiera e rinfrancato dalla voce celeste che era<br />

risuonata nel suo animo, Nicola poteva dare una risposta sicura e ferma. E la diede.<br />

Non sappiamo se il cugino sarà tornato altre volte alla carica - un'espressione <strong>del</strong><br />

biografo, in verità un po' ingarbugliata, lo lascerebbe supporre -, ma si ebbe la stessa<br />

risposta: Nicola non si lasciò attrarre dalla prospettiva di un tenore di vita meno<br />

austero né atterrire da quello che, in aggiunta alle austerità <strong>del</strong> suo Ordine, aveva<br />

intrapreso. Restò al suo posto, continuò il suo cammino. In questo gli fu di sostegno il<br />

grande amore che nutriva nel cuore per il suo padre spirituale, il vescovo d'Ippona.<br />

3. AMANTE DI AGOSTINO<br />

È veramente commovente quest'amore che si esprime nell'invocazione frequente,<br />

nella fiducia filiale, nell'obbedienza fe<strong>del</strong>e.<br />

Di salute sempre cagionevole, va incontro spesso ad estreme spossatezze. I<br />

medici intervengono e gli ordinano di mangiare carne per recuperare un poco le forze.<br />

Il santo non vuol venire meno al suo rigido proposito di astinenza e prega di non<br />

insistere. Una volta si fa intervenire il Generale <strong>del</strong>l'Ordine, P. Francesco da<br />

Monterubbiano (1300-1307), presente casualmente o per la visita canonica a<br />

Tolentino, che dà un comando. Nicola non replica più, ubbidisce. «Al Generale, dice,<br />

si deve ubbidire: questo ho promesso e voglio mantenerlo fino alla morte; l'ho<br />

promesso - aggiunge - al mio Salvatore, alla sua santissima Madre e al beato<br />

<strong>Agostino</strong>» (Vita, 3,18; Processo, teste 9, pp. 90-91).<br />

23


Anche quando sta male non vuole affidarsi ai medici terreni ma a quello solo che<br />

può guarire senza medicine chiunque voglia. Prega molto la «beata Maria » e il<br />

«beato <strong>Agostino</strong>», che intervengano. La Vergine insieme al beato <strong>Agostino</strong> gli appare<br />

e gli indica il rimedio: farsi portare un boccone di pane fresco, intingerlo nell'acqua e<br />

mangiarlo «nel nome <strong>del</strong> mio Figlio Gesù Cristo». Così fece e guarì (Vita 3,21-22).<br />

Anche quando interviene a favore dei sofferenti e intercede perché Dio compia un<br />

miracolo, nasconde il suo intervento dietro i nomi di Gesù, Maria e <strong>Agostino</strong>.<br />

«Prega Dio e la sua Madre e il beato <strong>Agostino</strong>, dice a una donna afflitta che gli<br />

presenta la figlia ammalata, e tua figlia sarà restituita a una prospera salute». E, fatto<br />

il segno <strong>del</strong>la croce sulla fanciulla, «va', dice alla madre, il mio Signore Gesù Cristo ti<br />

dia la consolazione che desideri» (Vita, 4, 36). Altre volte chiede ai genitori afflitti<br />

che offrano il loro figlio ammalato «al beato <strong>Agostino</strong> e al suo Ordine e che sia frate<br />

in detto Ordine». E la grazia desiderata arriva (Processo, teste 84, p. 240).<br />

Questa tenera e forte devozione verso il «beato <strong>Agostino</strong>» ottenne il premio<br />

nell'ultima malattia, quando <strong>Agostino</strong> stesso, invocato sempre insieme a Gesù e a<br />

Maria, gli apparve insieme a loro per preannunciargli il giorno <strong>del</strong>la morte ed<br />

invitarlo ad entrare nel gaudio <strong>del</strong> Signore. Narra il processo per bocca di un teste<br />

oculare: alcuni giorni prima di morire Nicola s'immerse più intensamente <strong>del</strong> solito<br />

nella preghiera e «chiese alla Vergine Maria e al beato <strong>Agostino</strong> la grazia di ricevere<br />

la consolazione - ardimenti dei santi! - di un'apparizione di Cristo e <strong>del</strong>la stessa<br />

Vergine Maria e di <strong>Agostino</strong>». I tre santi nomi, in morte come in vita, sono sempre<br />

insieme. La fiduciosa preghiera non restò <strong>del</strong>usa. Il teste, che era poi un giovane<br />

fratello che per disposizione dei superiori lo assisteva, vedendo sul volto emaciato e<br />

pallido di Nicola i segni d'un'ineffabile gioia, domandò insistentemente quale ne fosse<br />

la causa. A tanta insistenza il morente, amabile e buono fino all'ultimo, non seppe<br />

resistere e rispose: «È il mio Dio e mio Signore Gesù Cristo che con la sua madre e il<br />

nostro padre <strong>Agostino</strong> mi ha detto: orsù, servo buono e fe<strong>del</strong>e, entra nel gaudio <strong>del</strong><br />

tuo Dio» (Processo, teste 221, p. 489). Con le stesse parole narra l'accaduto il primo<br />

biografo (Vita, 5, 50). Non abbiamo ragione di dubitarne. Raccogliamo pertanto<br />

quest'ultima testimonianza d'un amore che aveva illuminato tutta la vita, e vediamo<br />

come di fatto lo hanno capito i suoi devoti, i confratelli prima di tutto.<br />

4. IL PREDILETTO<br />

L'amore per l'affascinante figura di <strong>Agostino</strong> non poteva non portare con sé<br />

l'osservanza perfetta <strong>del</strong>la Regola, divenuta motivo e centro di vita, e l'obbedienza<br />

docile ai precetti <strong>del</strong>l'ideale monastico da essa rappresentato. In questo Nicola, come<br />

vedremo, fu esemplare. E tale lo videro sempre i suoi confratelli. Basti un solo<br />

argomento: l'iconografia.<br />

I segni iconografici di San Nicola sono, come si sa, tre: il giglio, il sole, il libro.<br />

Non c'è bisogno di fermarsi sul primo: è il simbolo notissimo <strong>del</strong>la consacrazione a<br />

Dio; né sul secondo, legato evidentemente al sogno profetico <strong>del</strong> santo che vide<br />

spesso una stella luminosa partire dal suo paese natale e posarsi sull'oratorio di<br />

Sant'<strong>Agostino</strong> in Tolentino, città che avrà proprio da lui la sua gloria maggiore.<br />

24


Interessante invece fermarsi sul terzo simbolo: il libro. Lo troviamo già nelle<br />

pitture <strong>del</strong> «Cappellone». La domanda nasce spontanea: perché un libro in mano di<br />

San Nicola? Egli non fu un dottore di Parigi o di un'altra università, anche se seguì<br />

regolarmente e fruttuosamente gli studi di grammatica, di logica e di teologia; né fu<br />

uno scrittore che fece parlare di sé scrivendo grossi volumi; perché dunque il libro?<br />

La risposta non bisogna cercarla da lontano: quel libro è la Regola. La Regola<br />

monastica di <strong>Agostino</strong> che Nicola aveva professato e osservato, facendone il mo<strong>del</strong>lo<br />

<strong>del</strong>la sua santità e diventando egli stesso, attraverso di essa, un mo<strong>del</strong>lo per i suoi<br />

devoti, che furono molti.<br />

Quasi a spiegare l'enigma di quel libro alcuni artisti, fe<strong>del</strong>i in questo alla<br />

tradizione, lo presentano aperto con la scritta significativa: Praecepta Patris mei<br />

servavi semper, ho sempre osservato i precetti <strong>del</strong> Padre mio. E perché quel Padre<br />

mio non risultasse equivoco, altri aggiungono esplicitamente il nome di <strong>Agostino</strong>: Io<br />

ho osservato sempre i precetti <strong>del</strong> mio Padre <strong>Agostino</strong> e resto nel suo amore.<br />

Un'allusione a Gv 15,10, anzi la ripetizione di quelle divine parole, è evidente.<br />

Può far meraviglia, ma non deve sconcertare. L'applicazione a Nicola ed <strong>Agostino</strong><br />

<strong>del</strong>le parole che Cristo disse nei riguardi <strong>del</strong> Padre (Gv 15, 10: «ho osservato i<br />

comandamenti <strong>del</strong> Padre mio e rimango nel suo amore») nascondono una grande<br />

teologia e una, non meno grande, convinzione.<br />

La teologia è questa: seguendo una Regola approvata dalla Chiesa e scritta da un<br />

uomo tanto sapiente e tanto santo quale il vescovo d'Ippona, si è certi di trovarsi alla<br />

scuola di Cristo; pertanto si è autorizzati ad usare le sue stesse parole, anche le più<br />

alte come quelle che qui vengono ripetute.<br />

Nicola, osservando fe<strong>del</strong>mente i precetti <strong>del</strong> suo padre spirituale, è unito a lui ed è<br />

il suo figlio prediletto, ad imitazione di Cristo nei riguardi <strong>del</strong> Padre celeste. C'è in<br />

fondo, in questa ardita applicazione, tutto l'aspetto cristologico ed ecclesiologico<br />

<strong>del</strong>la vita religiosa che il vescovo d'Ippona ha tanto messo in rilievo.<br />

La convinzione è quest'altra: Nicola fu un vero agostiniano, la sua vita<br />

un'interpretazione autentica - autentica, perché confermata da tanti segni dall'Alto -,<br />

<strong>del</strong>l'ideale monastico di <strong>Agostino</strong>, il quale ideale, preposto alla fine <strong>del</strong> secolo V e<br />

rivissuto con fe<strong>del</strong>tà ed amore nel medioevo, poteva rispondere alle nuove esigenze<br />

<strong>del</strong>la società e rendere nuovi servizi alla Chiesa. Nicola aveva mostrato con l'esempio<br />

più che con la dottrina che ciò era non solo possibile ma vero e fecondo.<br />

Vediamo dunque come questo grande agostiniano ha interpretato e vissuto il suo<br />

alto ideale.<br />

25


CAPITOLO IV<br />

UN UOMO DI BUON SENSO, MITE ED AFFABILE<br />

Non sono io a mettere in rilievo, in primo luogo, questa qualità <strong>del</strong> santo. Sono<br />

stati i commissari <strong>del</strong> processo, i quali, uscendo dallo schema prefisso - ciò che<br />

fanno, purtroppo, raramente -, chiedono quasi a bruciapelo al primo teste,<br />

teologicamente e socialmente qualificato - era lettore in teologia ed era stato<br />

superiore provinciale -, un teste che aveva conosciuto bene Nicola, se questi fosse<br />

stato o no un uomo «boni sensus et non fantasticus». C'è da capirli. Ne avevano<br />

sentite tante intorno a questo santo straordinario - miracoli, austerità, combattimenti<br />

col diavolo -, che viene loro la voglia e forse la curiosità di sapere se non fosse stato<br />

per caso un uomo stravagante, bizzarro, singolare.<br />

La risposta fu: «un uomo di buon senso, morigerato - traduco così la strana<br />

espressione (moriosmatus) usata dal teste - e fe<strong>del</strong>e molto» (Processo, teste 1, p. 71).<br />

Non dunque un uomo fantastico, sognatore, esaltato; ma equilibrato, quieto, sereno,<br />

semplice, modesto.<br />

I testi mettono spesso in rilievo queste qualità di fondo. Depone uno che lo aveva<br />

conosciuto personalmente «spesso ho trattato con lui» -: «era molto benigno e<br />

umano..., e molto deferente non solo verso il <strong>Priore</strong>, al quale era obbligato, ma anche<br />

verso tutti i religiosi <strong>del</strong> convento» (Processo, teste 3, p. 77). E un altro - una donna,<br />

questa volta, che lo aveva anch'essa conosciuto -: «era molto benigno e umile e<br />

parlando era molto cordiale, dulcia verba proferebat» (Processo, teste 92, p. 270). Un<br />

terzo, anch'egli teste de visu perché aveva trattato con lui per oltre 15 anni, Don<br />

Corrado di Urbisaglia, si esprime così: «Era modesto, quieto; non meschino, non<br />

invidioso, non egoista, fuggiva volentieri gli scontri; non era sognatore ma saggio e<br />

discreto» (Processo, teste 173, p. 110).<br />

Virtù umane, dirà qualcuno. Appunto. Ma erano queste preziose virtù che<br />

rendevano affascinante e irresistibile la santità di Nicola. Chi legge i processi ha la<br />

netta impressione che nessuno si sia avvicinato a lui senza restarne edificato e<br />

conquistato. Le deposizioni sono un coro di ammirazione e di lode senza riserve,<br />

senza stonature, senza contrasti.<br />

Un teste che lo aveva avuto come maestro dei novizi a Sant'Elpidio ed era stato<br />

con lui conventuale a Fermo, a Montolmo (Corridonia), a Recanati, a Cingoli «e in<br />

molti altri luoghi» e infine a Tolentino, dice che «mai aveva sentito dir male di lui né<br />

dai frati né dai secolari» (Processo, teste 217, p. 460).<br />

Caso raro anche nei santi, i quali, si sa, non possono sempre contentare tutti e<br />

suscitano spesso contrasti, invidie, gelosie. Non così il nostro Nicola. Viene<br />

spontanea una domanda: da dove la forza di tanta simpatia che irradiava dalla sua<br />

persona?<br />

Certo, Nicola possedeva in alto grado le virtù specificamente cristiane: la<br />

consacrazione verginale che dava tanta <strong>del</strong>icatezza al suo tratto e circondava la sua<br />

innocenza d'un inconsapevole alone di santità, la povertà volontaria che era garanzia<br />

di libertà e sorgente di speranza celeste, l'obbedienza umile e generosa che lo<br />

26


avvicinava più intimamente a Cristo, l'amore di Dio e <strong>del</strong> prossimo condotto fino alla<br />

disposizione di sacrificare la propria vita: pro Christo et proximo non dubitabat mori,<br />

dice un comma <strong>del</strong>l'articolo 22 <strong>del</strong> processo, che ho trascritto sopra e che i testi<br />

confermano. Il primo biografo (Vita, 4, 29) ripete le stesse parole, segno evidente che<br />

lo si vedeva come una nota qualificante <strong>del</strong>la sua santità.<br />

Tutto questo è vero, ma la cornice dentro la quale queste virtù brillavano di luce<br />

più pura e più calda erano le altre, quelle umane. Chiamo umane quelle virtù di cui<br />

hanno parlato a lungo i filosofi. Basti ricordare Panezio per i greci e Cicerone per i<br />

romani, ai quali fa eco tra i cristiani Ambrogio col suo I doveri (dei ministri<br />

<strong>del</strong>l'altare). Non già che esse non rientrino nel piano cristiano <strong>del</strong>la salvezza o che,<br />

assunte dal cristianesimo, non acquistino un valore soprannaturale, ma per il loro<br />

oggetto sono o dovrebbero essere il corredo naturale <strong>del</strong>l'uomo come tale.<br />

Per fare qualche esempio: la sincerità che fugge la menzogna e i raggiri, la fe<strong>del</strong>tà<br />

che mantiene la parola data, la bontà che dimentica i propri interessi, la nobiltà<br />

d'animo che non si ferma alle piccole cose e dimentica volentieri i torti ricevuti,<br />

l'amabilità che attrae a sé il cuore degli altri, la cortesia che tratta tutti con proprietà e<br />

garbo, la cordialità che fa sentire ciascuno a suo agio, la gentilezza che non offende<br />

nessuno, neppure il contraddittore o l'avversario, sono virtù umane. Per non parlare<br />

<strong>del</strong>la costanza che persevera nei propositi e <strong>del</strong>la giustizia che dà a ciascuno il suo.<br />

1. SAN PAOLO<br />

Di queste e altre virtù umane Nicola era largamente dotato. Su di esse costruì<br />

l'edificio <strong>del</strong>la sua santità, che fu molto grande. Del resto non le aveva raccomandate<br />

San Paolo? E <strong>Agostino</strong> non le aveva mirabilmente proposte ed esercitate?<br />

In quanto all'Apostolo non c'è chi non ricordi le solenni parole ai Filippesi: «In<br />

conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato,<br />

quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil. 4,<br />

8). Con esse San Paolo inserisce nell'ideale cristiano quanto di buono e di bello aveva<br />

trovato in fatto di costumi la sapienza pagana e crea il nuovo umanesimo, che è<br />

insieme umano e divino perché ricupera la vera umanità e innesta su di essa,<br />

sublimandole, la luce e la grazia di Cristo.<br />

Per questo il Concilio Vaticano II parlando ai sacerdoti osserva che per<br />

raggiungere lo scopo <strong>del</strong> loro apostolato «di grande giovamento risultano quelle virtù<br />

che giustamente sono molto apprezzate nella società umana, come ad esempio la<br />

bontà <strong>del</strong> cuore, la sincerità, la fermezza d'animo e la costanza, la continua cura per la<br />

giustizia, la gentilezza e tutte le altre virtù che raccomanda l'Apostolo Paolo ai<br />

Filippesi 4,8» (Presbyterorum ordinis, 3). Lo stesso Concilio quasi con le stesse<br />

parole raccomanda di formare a queste stesse virtù i giovani che si preparano al<br />

sacerdozio: «... siano formati alla fortezza d'animo, e in generale imparino a stimare<br />

quelle virtù che sono tenute in gran conto fra gli uomini e rendono accetto il<br />

ministero di Cristo, quali sono - la ripetizione non dispiacerà al lettore - la sincerità<br />

d'animo, il rispetto costante <strong>del</strong>la giustizia, la fe<strong>del</strong>tà alla parola data, la gentilezza <strong>del</strong><br />

tratto, la discrezione e la carità nel conversare» (Optatam totius, 11).<br />

27


Nicola previene, di tanti secoli, con l'esempio, la raccomandazione <strong>del</strong> Concilio e<br />

la conferma. È un fatto: l'attenzione di molti testi che depongono nel processo è<br />

richiamata proprio da queste virtù. I commissari dovevano esserne informati, se<br />

nell'ultimo comma <strong>del</strong>l'articolo 22, sul quale avrebbero deposto i testi sotto<br />

giuramento, danno <strong>del</strong>la figura morale <strong>del</strong> santo questa sommaria descrizione che ho<br />

riportato sopra e che giova ripetere qui: era «pudico, modesto, casto, verecondo, lieto,<br />

di vedute larghe e quieto, non meschino, lontano dall'invidia, dai litigi, dalla<br />

cupidigia, di buoni costumi, non sognatore, giusto, sapiente, prudente, discreto,<br />

nemico <strong>del</strong>l'avarizia, contrario alla negligenza, fe<strong>del</strong>e nel compimento di quanto gli<br />

venisse affidato». I testi, unanimemente, confermano. Non c'è da meravigliarsi.<br />

Nicola guardava costantemente al suo padre spirituale e voleva imitarne le virtù,<br />

prima di tutto queste piccole e grandi virtù umane che tanto splendore danno alla<br />

santità cristiana.<br />

2. SANT'AGOSTINO<br />

Non c'è chi non sappia quanto il vescovo d'Ippona le abbia praticate e<br />

raccomandate. Si sa che egli fu buono, gentile, generoso, paziente con tutti. Da<br />

professore amò i suoi alunni, da vescovo i suoi fe<strong>del</strong>i. Non seppe dire mai di no a<br />

nessuno nonostante le insonni fatiche che ciò gli costava.<br />

Un giovane di Cartagine, oriundo greco, dovendo tornare in patria, scrive al<br />

vescovo d'Ippona perché gli spieghi, e subito, molte questioni, «innumerevoli »,<br />

intorno ai dialoghi di Cicerone. <strong>Agostino</strong> sente che trattare quelle questioni non è<br />

degno di un vescovo anche se fosse libero, egli invece è occupatissimo. Gli risponde<br />

con una lunga lettera invitandolo a cercare la vera sapienza e spiegandogli molte<br />

questioni di filosofia; per le altre... le altre erano troppo frivole. Eppure non gli regge<br />

l'animo di lasciar <strong>del</strong>uso quel giovane, e risponde anche a quelle; si limita a brevi<br />

accenni scritti in margine alla pergamena in cui erano state scritte, ma risponde (Ep.<br />

118).<br />

Una fanciulla di Cartagine, una certa Florentina, gli fa sapere per mezzo <strong>del</strong>la<br />

madre che vorrebbe proporgli tante domande, ma non osa. Si capisce il perché. Il<br />

santo vescovo le risponde esortandola ad aprirgli liberamente il suo animo: avrebbe<br />

soddisfatto - se era in grado di farlo, aggiunge con mirabile semplicità - a tutti i suoi<br />

desideri (Ep. 266, 1).<br />

La vergine Sapida gli invia una bella tunica preparata per suo fratello diacono<br />

morto improvvisamente, e lo prega di volerla indossare. Il vescovo, facendo<br />

un'eccezione ai suoi principi, l'indossa e risponde; risponde ringraziando ma anche<br />

esortando ad elevare l'animo a più alti pensieri (Ep. 263).<br />

Ancora un esempio: un diacono di Cartagine gli chiede di scrivergli un breve<br />

trattato sulle eresie. <strong>Agostino</strong> risponde che la cosa è difficile e lui è occupatissimo<br />

essendo impegnato a scrivere due opere, una di giorno e una di notte. Ma poi si<br />

commuove e gli promette di farlo appena avrà terminato la prima parte di una <strong>del</strong>le<br />

due che ha tra le mani, lo farà divivendo il suo tempo tra il giorno e la notte (Ep. 224,<br />

28


2). Mantenne la promessa. Poi venne la morte e l'opera, non quella sola, restò<br />

incompleta.<br />

Piccoli esempi, ma che aprono vasti orizzonti sulle grandi virtù umane di cui<br />

<strong>Agostino</strong> era molto ricco. Si ha la netta impressione che questo grande uomo<br />

coniugando le virtù umane con quelle evangeliche abbia raggiunto quella «santa<br />

infanzia », segno di vera grandezza, che egli stesso raccomandava ai neofiti.<br />

Vale la pena di riportare un testo, almeno in parte: «Orsù dunque, vi ammonisco<br />

come una santa infanzia: deponete la malizia, l'inganno, l'adulazione, l'invidia, la<br />

detrazione. Questa innocenza dovete conservarla in modo da non perderla<br />

crescendo... semplice come una colomba e astuta come un serpente non per il<br />

desiderio di nuocere ma per la prudenza di evitare chi nuoce. A questa innocenza vi<br />

esorto. Di tali infatti è il regno dei cieli (Mt. 19, 14), cioè degli umili, vale a dire di<br />

coloro che sono spiritualmente piccoli. Non disprezzate, non aborrite (questa<br />

piccolezza): è la piccolezza dei grandi (magnorum est ista pusillitas)... Il peccatore<br />

non può essere umile, l'innocente non può essere superbo... Conservate dunque la pia<br />

umiltà, che per le Scritture è la santa infanzia, e sarete sicuri <strong>del</strong>l'immortalità dei<br />

beati» (Serm. 353, 1).<br />

Questa santa infanzia investe d'un <strong>cara</strong>ttere di semplicità e di naturalezza tutta la<br />

persona e si manifesta nei gesti, nelle parole, nell'atteggiamento. <strong>Agostino</strong> la descrive<br />

così a proposito <strong>del</strong>le persone consacrate: «Non protervo il viso, non svagati gli<br />

occhi, non ciarliera la lingua, non sguaiato il riso, non scurrile lo scherzo, non<br />

sconveniente l'abito, non sostenuto o languido il comportamento» (De s.virg. 53, 54).<br />

Queste regole contengono in forma negativa come la persona consacrata debba,<br />

con tutta naturalezza, presentarsi, guardare, parlare, ridere, scherzare, vestire,<br />

camminare. Esse vengono riassunte nella Regola con un principio generale che suona<br />

così: «Nel modo di procedere o di stare, in ogni vostro atteggiamento, non vi sia nulla<br />

che offenda lo sguardo altrui ma tutto sia consono al vostro stato di consacrazione»<br />

(Regola, n. 21).<br />

Non so se Nicola conoscesse i primi due testi agostiniani; facilmente il secondo,<br />

contenuto in un'opera destinata alle religiose, più difficilmente il primo. In ogni modo<br />

conosceva, e se la sentiva rileggere ogni settimana, le parole <strong>del</strong>la Regola che aveva<br />

preso come norma di vita. Fino a che punto vi restasse fe<strong>del</strong>e e impersonasse la figura<br />

<strong>del</strong> religioso che la Regola con quelle parole propone ed esige, ce lo dicono i<br />

contemporanei, i quali, stando al processo, ammirarono in lui, in primo luogo, le virtù<br />

umane. Ce lo mostrano infatti dotato <strong>del</strong>la sapiente semplicità <strong>del</strong> bambino,<br />

<strong>del</strong>l'umiltà operosa e schiva <strong>del</strong>l'uomo saggio, <strong>del</strong>l'imperturbabile mitezza di chi ha i<br />

piedi sulla terra e il cuore nel cielo.<br />

Sul volto gli doveva brillare una bellezza singolare, che non era solo effetto<br />

<strong>del</strong>l'armonia <strong>del</strong>le parti - anche se questa, stando ai primi pittori, che probabilmente lo<br />

avevano conosciuto di persona o ne erano stati informati dai testi oculari, non doveva<br />

mancargli: si riveda nel Cappellone di Tolentino l'alta e nobile figura <strong>del</strong> santo che<br />

ridona la vista ad una cieca -, ma era effetto prima di tutto <strong>del</strong>lo splendore che sulle<br />

fattezze somatiche imprimevano la pace interiore, l'abitudine di pensieri solenni e<br />

santi, la bontà verso tutti, la serenità, la speranza ineffabile dei beni eterni. Era questo<br />

splendore che attraeva l'attenzione <strong>del</strong>la gente e ne suscitava l'ammirazione.<br />

29


Alcuni testi si rammaricano di non averne potuto vedere il volto se non quando<br />

diceva la Messa. La ragione era che mentre confessava o s'aggirava per le vie <strong>del</strong>la<br />

città il santo calava il cappuccio avanti agli occhi.<br />

Qualcuno però, anzi in questo caso qualcuna, che era abituata a confessarsi da lui,<br />

non può fare a meno di dire che, quando gli «sedeva vicino per confessarsi », aveva<br />

l'impressione di essere vicina a un angelo (Processo, teste 83, p. 232).<br />

Ho discorso un poco <strong>del</strong>le virtù umane <strong>del</strong> santo perché convinto che sono<br />

proprio esse a rivelare un aspetto profondo <strong>del</strong>la sua personalità e a spiegare il fascino<br />

che essa esercitava intorno a sé. Verrebbe la voglia di dire che era un figlio autentico<br />

<strong>del</strong>la sua terra marchigiana, mite e dolce come i colli che la rallegrano, erede<br />

privilegiato <strong>del</strong>le qualità migliori <strong>del</strong>la sua gente. Quante volte dall'alto dei colli<br />

dov'era nato o era vissuto - Sant'Angelo, Montegiorgio, Fermo, Cingoli, Recanati -<br />

avrà contemplato le valli stupende o l'ampia distesa dei monti digradanti<br />

dall'Appennino al mare, mentre nel cuore gli esplodeva l'inno a Dio per le bellezze<br />

<strong>del</strong> creato, e queste gli si stampavano nell'animo innocente e buono dilatandolo con i<br />

sentimenti più alti <strong>del</strong>l'amore, <strong>del</strong>la gioia, <strong>del</strong>la lode! Dirà qualcuno: poesia! Forse.<br />

Ma è soprattutto la rispondenza profonda che c'è nell'animo <strong>del</strong> santo tra le bellezze<br />

esteriori <strong>del</strong>la natura e quelle interiori <strong>del</strong>la grazia. Solo il santo può goderne<br />

pienamente perché possiede l'occhio limpido e profondo degli amici di Dio.<br />

L'agiografia cristiana è piena di questa esaltante ammirazione <strong>del</strong>la natura da parte<br />

dei santi. Chi non ricorda alcune pagine immortali <strong>del</strong>le Confessioni di Sant'<strong>Agostino</strong><br />

e il Cantico <strong>del</strong>le creature di San Francesco? Non solo poesia dunque, ma alta<br />

spiritualità che trascende l'estetica, benché non l'escluda, per raggiungere le alte vette<br />

<strong>del</strong>la mistica.<br />

30


CAPITOLO V<br />

L'UOMO DELLA VITA COMUNE<br />

Occorre mettere in rilievo un altro aspetto <strong>del</strong>le qualità umane di Nicola - sempre<br />

coniugate, è inutile ripeterlo, con quelle soprannaturali -, se si vuole capirlo<br />

pienamente: lo chiamerei il senso <strong>del</strong>la vita comune, che ebbe, lo vedremo subito, in<br />

grado eminente.<br />

Parlo di senso, e voglio dire: prontezza, attenzione, disponibilità, cura costante di<br />

captare ciò che favorisce la vita comune o la può raffreddare, e la <strong>del</strong>icata sensibilità<br />

per seguire quello ed evitare questo.<br />

Quanto questo senso sia prezioso per uno votato alla vita cenobitica, specialmente<br />

per un agostiniano che lo trova nella Regola come fulcro di tutto l'ideale religioso, è<br />

inutile dirlo. Non si può però non ricordare che la vita comune, fondata sulla carità<br />

oblativa che tende a stabilire quella reciproca, nella quale propriamente consiste<br />

l'amicizia, ha bisogno di una forte carica umana e di tante, se così posso esprimermi,<br />

piccole virtù quotidiane che l'alimentino e la rafforzino, impedendole di appiattirsi in<br />

una coabitazione più o meno accomodante o coatta. Prima di tutto ha bisogno di<br />

quella, importantissima, che consiste nel saper godere con chi gode.<br />

1. «GAUDERE CUM GAUDENTIBUS»<br />

Questo precetto apostolico, di non facile applicazione, si basa su quella nobiltà di<br />

animo che non conosce l'invidia e non conosce perciò quel corteo abominevole di vizi<br />

che l'invidia comporta, ma è sempre pronta, anzi desiderosa di fare oggetto <strong>del</strong>la<br />

propria gioia il bene altrui, anche quello che uno non possiede o non vuol possedere.<br />

Non per nulla i testi <strong>del</strong> processo ci ricordano che tra le tante qualità di Nicola<br />

c'era anche questa: non era invidioso. Uno dei suoi superiori, poi, il p. Natimbene, ci<br />

dà questa descrizione <strong>del</strong> suo spirito comunitario: «Benché Fr. Nicola fosse uomo di<br />

grande astinenza, godeva molto quando il <strong>Priore</strong> rallegrava i frati dando loro un pasto<br />

abbondante, specialmente quando erano stanchi per il gran da fare, come nei giorni di<br />

festa. Più volte, continua il teste, mi pregò, quando ero priore <strong>del</strong> convento - il teste<br />

dunque era ben informato -, che avessi un occhio di riguardo per i frati che si<br />

affaticavano molto nel servizio in Chiesa e fornissi loro buone pietanze in maniera<br />

che potessero vivere con sollievo». Parlando inoltre dei forestieri continua: «Quando<br />

venivano i frati forestieri ugualmente mi pregava che li onorassi e li provvedessi di<br />

cibo e di bevanda meglio degli altri frati. E molto godeva quando vedeva i confratelli<br />

<strong>del</strong> convento e gli altri godersela un poco» (Processo, teste 9, p. 91).<br />

Insistente, come si vede, questo tema <strong>del</strong> godere, che, trattandosi <strong>del</strong> bene altrui, è<br />

indice non solo d'una carità squisita e <strong>del</strong>icata, ma anche, come si è detto, d'un animo<br />

nobile e libero dai torbidi sentimenti <strong>del</strong> male.<br />

L'atteggiamento di Nicola verso gli ospiti viene espresso dal primo biografo con<br />

queste lapidarie parole: «Accoglieva volentieri i confratelli ospiti come angeli» (Vita,<br />

4, 28). Vero figlio di <strong>Agostino</strong>. Si sa quanto il vescovo di Ippona abbia onorato<br />

31


l'ospitalità. Dice Possidio nella Vita Augustini, che «usava d'una mensa frugale e<br />

parca, che ammetteva talvolta, fra erbaggi e legumi (che sarà il vitto abituale di<br />

Nicola), anche le carni, per riguardo agli ospiti e ai fratelli più deboli» (Vita Aug.<br />

22,2). Si sa poi che per esercitare un'ospitalità più aperta verso quelli che venivano a<br />

visitarlo o erano di passaggio si trasferì, appena fatto vescovo, dal monastero dei<br />

laici, che aveva fondato e dov'era vissuto dall'ordinazione a presbitero d'Ippona,<br />

all'episcopio, che divenne anch'esso, ben presto, un monastero, il monastero dei<br />

chierici.<br />

Il culto di <strong>Agostino</strong> per l'ospitalità fu così grande che se ne impossessò la fantasia<br />

popolare e nacque la pia leggenda, immortalata spesso dai grandi pittori, - si pensi al<br />

Guercino nella bella chiesa di Sant'<strong>Agostino</strong> in Roma - di aver incontrato tra i suoi<br />

ospiti lo stesso Salvatore a cui, come faceva con gli altri, avrebbe lavato i piedi. Chi<br />

volesse saperne di più di questa leggenda, non meno bella di quella <strong>del</strong> bambino in<br />

riva al mare, dovrà cercare per suo conto.<br />

2. «FLERE CUM FLENTIBUS»<br />

Questo secondo precetto <strong>del</strong>l'Apostolo, anche se meno difficile <strong>del</strong> primo perché<br />

l'ipocrisia può contraffarlo più facilmente, è necessario alla vita comune. Questa è<br />

scelta, religiosamente, per godere insieme con maggior pienezza, nell'imitazione<br />

costante <strong>del</strong>la Chiesa celeste, dei frutti <strong>del</strong>lo Spirito Santo che sono, principalmente,<br />

l'amore, la gioia, la pace. Troppe volte a causa dei limiti e <strong>del</strong>la debolezza umana, la<br />

vita comune è turbata dall'egoismo che divide e dalla tristezza che abbatte. Pertanto il<br />

buon umore<br />

e la «compassione» sono qualità preziose per riportare la luce dove sono entrate le<br />

tenebre.<br />

Dice <strong>del</strong> nostro santo il primo biografo: «Per i mesti era letizia, per gli afflitti<br />

consolazione, per i divisi pace, per gli affaticati ristoro, per i poveri aiuto, per i<br />

prigionieri rimedio singolare» (Vita, 4,28). C'è <strong>del</strong>la retorica, e un po' gonfia, in<br />

questa enumerazione, ma in fondo ha ragione: i testi <strong>del</strong> processo a modo loro<br />

confermano quanto scrive il biografo. Uno di essi, che abbiamo ascoltato sopra a<br />

proposito <strong>del</strong>la benignità e <strong>del</strong> senso di umanità di Nicola, ci assicura che «era<br />

compassionevole e si doleva molto dei bisogni dei frati e <strong>del</strong>le loro infermità, e<br />

godeva molto <strong>del</strong>le loro gioie» (Processo, teste 3, p. 77).<br />

Mentre un altro, narrandoci una sua esperienza personale, depone: «Era molto<br />

benigno ed umile nel trattare e gran consolatore degli afflitti e degli infermi. Io<br />

stesso, essendomi ammalato in detto luogo - parla di Piaggiolino, un eremo nel<br />

comune di Mondolfo di origine brettinese - venivo visitato e consolato ogni giorno<br />

dal padre Nicola, e ne restavo molto consolato; infatti durante quella malattia ero in<br />

pericolo di vita e piangevo molto» (Processo, teste 154, p. 372). Il teste è Fr.<br />

Guglielmo da Montelparo, professore di teologia nel patrio convento agostiniano.<br />

Un terzo, che aveva avuto padre Nicola come maestro dei novizi ed era stato con<br />

lui in molti conventi - lo abbiamo ricordato -, dichiara che era «molto caritatevole,<br />

compassionevole e paziente » (Processo, teste 217, p. 463). Preziose virtù, queste,<br />

32


che facevano <strong>del</strong> nostro santo un mo<strong>del</strong>lo di vita comune. Ma ne aveva anche un'altra<br />

più preziosa e insieme più <strong>del</strong>icata, che rivelava il fondo <strong>del</strong>la sua ricca umanità.<br />

33


3. IL SENSO DELICATO DELL'AMICIZIA<br />

Spesse volte, parlando <strong>del</strong>la vita comune, particolarmente <strong>del</strong>la vita comune<br />

intesa come <strong>Agostino</strong> l'intese - un sol cuore ed un'anima sola -, si confonde tra carità<br />

ed amicizia. La seconda non può stare senza la prima, ma la prima non s'identifica<br />

con la seconda. Tutt'altro! Quando ci si comanda di amare i confratelli anche se non<br />

ci sono simpatici, di sopportarne i difetti anche se sono fastidiosi, di dissimularne le<br />

stranezze anche se sono frequenti, non si tratta di amicizia, si tratta di carità. Di quella<br />

carità che è, secondo San Paolo, «paziente, benigna, non invidiosa..., che non tiene<br />

conto <strong>del</strong> male ricevuto... tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor.<br />

13, 4-7).<br />

L’amicizia invece, quella vera, cioè, secondo <strong>Agostino</strong>, quella cristiana, è<br />

qualcosa di più alto e, starei per dire, di più sacro. È amore corrisposto - senza<br />

reciprocità infatti non c’è amicizia -, amore che presuppone la stima, ed è insieme<br />

fiducioso, confidente, stabile, sicuro, gioioso. La carità tende a creare questa bella<br />

amicizia, ma non sempre, qui in terra, vi riesce. Allora soccorrono - o devono<br />

soccorrere - le prerogative <strong>del</strong>la carità descritte dall’Apostolo. <strong>Agostino</strong> lo sa, lo<br />

mette in pratica per suo conto e lo raccomanda ai suoi discepoli. Sarebbe istruttivo<br />

rievocarne l’esperienza e l’insegnamento - commovente e molteplice quella,<br />

illuminante e profondamente umano questo -, ma non è possibile, anche se, per chi<br />

scrive, la tentazione è grossa. Basti dire qui che il bisogno struggente <strong>del</strong>l’amicizia e<br />

la necessità di vivere, per amor di Cristo e <strong>del</strong>la Chiesa, lontano dagli amici più cari o<br />

in compagnia di quelli con i quali, per una ragione o per l’altra, una relazione di vera<br />

amicizia non si poteva, a parlar propriamente, stabilire, costituiscono gli aspetti più<br />

affascinanti e spesso più inediti <strong>del</strong>l’animo di <strong>Agostino</strong>. In essi rifulge, più che<br />

altrove, la sua profonda umanità e le risorse inesauribili <strong>del</strong> suo grande cuore. Quante<br />

volte, pur vivendo in comune, sentì il pungolo <strong>del</strong>la solitudine - di quella orizzontale,<br />

voglio dire, perché quella verticale non la conobbe mai -, o il dolore di non aver<br />

capito, anzi non raramente di veder tradito il suo ideale!<br />

In quanto al nostro santo no solo godette <strong>del</strong>l’amore dei suoi confratelli - e come<br />

si poteva non amare un uomo tanto amabile che preveniva tutti con l’amore? -, ma<br />

anche più propriamente, <strong>del</strong>la loro amicizia, di quella di alcuni almeno. Lo deduco da<br />

un fatto singolare. Si sa che una <strong>del</strong>le gioie più grandi <strong>del</strong>l’amicizia - come pure uno<br />

dei segni più veri -, sia quella di avere qualcuno a cui confidare un segreto. Ora molti<br />

episodi <strong>del</strong>la vita di Nicola li conosciamo solo dalle sue confidenze. Ebbe dunque<br />

degli amici a cui farle; e le fece con la certezza di essere compreso senza il pericolo<br />

che ne soffrisse la sua umiltà, cioè con quella serena fiducia che è propria<br />

<strong>del</strong>l'amicizia.<br />

Mi riferisco alla visione <strong>del</strong> Bambino Gesù nell'Eucaristia che Nicola confidò al<br />

fratello religioso che lo serviva nella sua infermità. Questi narra - e il primo biografo<br />

riferisce - che un giorno Nicola gli disse: «Figliuolo, l'innocenza, purtroppo, si perde<br />

col crescere degli anni. Io stesso che sono quel peccatore che tu conosci, quando mi<br />

trovavo nell'età <strong>del</strong>l'innocenza, in chiesa dov'ero solito andare, mentre il sacerdote<br />

celebrante innalzava secondo il costume il Corpo <strong>del</strong> Signore, con questi miei occhi<br />

ho visto apertamente il Bambino Gesù bellissimo in viso, vestito di splendore e<br />

34


sorridente nell'aspetto che mi diceva: gli innocenti e i retti sono uniti a me. Ma<br />

quando raggiunsi l'età adulta, fui privato di questa visione tanto gioconda» (Vita, 1,6).<br />

Per quanto la narrazione sia stata fatta non per mettere in rilievo il fatto stesso ma<br />

piuttosto la sua cessazione, costituisce sempre una confidenza che non si fa se non ad<br />

uno di cui si abbia fiducia e che si consideri veramente amico. E tale doveva essere<br />

quel pio religioso che con tanta amorevolezza e devozione gli era vicino e lo serviva.<br />

Purché non si voglia credere che Nicola, uomo maturo, confessore e predicatore,<br />

fosse tanto ingenuo da credere che la visione <strong>del</strong> Bambino Gesù nella Eucaristia<br />

fosse, nello stato <strong>del</strong>l'innocenza, privilegio di tutti.<br />

Mi riferisco poi ad un'altra confidenza, quella riguardante la voce celeste che lo<br />

confermò nella sua vocazione e gli predisse che sarebbe morto a Tolentino. Ho<br />

ricordato sopra l'episodio narratoci dal primo biografo a cui non abbiamo ragione di<br />

non credere. Un altro segreto dunque confidato a qualcuno dei suoi più intimi. Chi<br />

infatti può averlo rivelato se non Nicola stesso che solo ne ebbe l'esperienza?<br />

Una terza confidenza è quella <strong>del</strong>la stella. Il fatto è noto: ce lo narra il primo<br />

biografo (Vita, 4, 30-32) ed è passato nella iconografia. Nicola vide sovente, in<br />

sogno, una stella luminosa che, sorgendo dal suo paese nativo, volgeva verso<br />

Tolentino e sostava sopra l'oratorio di Sant'<strong>Agostino</strong>. Il ripetersi <strong>del</strong> sogno e l'oscurità<br />

<strong>del</strong> significato lo indussero a confidarlo candidamente ad un confratello. Lo confidò,<br />

è vero, per averne una spiegazione, ma il santo non poteva non pensare che il sogno<br />

si riferisse in qualche modo alla sua vita, il confidarlo dunque, sia pur per avere una<br />

spiegazione più precisa, diventava un atto di grande confidenza che non si dà se non<br />

nell'ambito di un rapporto grande di vera amicizia.<br />

Il quarto caso è quello <strong>del</strong>la visione avuta nell'ultima malattia. Ma di questa<br />

parlerò nelle ultime pagine di questo breve profilo.<br />

4. FUORI DELLA CERCHIA DELLA COMUNITÀ<br />

Giacché sto parlando <strong>del</strong>l'amicizia, è forse utile domandarsi se Nicola la coltivò<br />

anche fuori <strong>del</strong>la cerchia <strong>del</strong>la comunità. L'argomento può servire a fissare un aspetto<br />

nuovo <strong>del</strong>la sua umanità veramente ricca. Che avesse tanti devoti è certo, ma quali di<br />

essi e quanti si possono considerare amici? Non è facile rispondere. Non è facile,<br />

dico, distinguere tra la devozione che raggiunge i limiti <strong>del</strong>l'amicizia e quella, invece,<br />

che resta solo nell'ambito <strong>del</strong>la stima, <strong>del</strong>l'ammirazione e <strong>del</strong>la venerazione.<br />

Applicando il criterio adottato sopra, si può stabilire in qualche caso che la<br />

devozione diventava amicizia, come nel caso di Berardo Appillaterra. Egli si permise<br />

nei riguardi di Nicola certe audacie che solo l'amicizia data e corrisposta può<br />

giustificare. Gli chiese, per esempio, se erano vere le voci che correvano sulla sua<br />

nascita per intercessione <strong>del</strong> santo di Bari. Nicola gli rispose e gli narrò in tutta<br />

confidenza quanto aveva sentito dai suoi genitori -quello che è passato poi nel<br />

processo: il lettore può rileggerlo sopra (p. 23) -, e concluse con le parole che<br />

indicano appunto fiducia e amicizia: «Non volerne sapere di più in questa materia e<br />

non dire ad alcuno ciò che ti ho detto» (Processo, teste 16, P. 118).<br />

35


Un'altra volta saputo dalla moglie Margherita che il santo era stato bastonato dal<br />

diavolo, corse da lui e chiese ed ottenne - ottenne con l'intervento <strong>del</strong> priore, ma<br />

ottenne - di vedere le ferite. Dopo avergliele mostrate, Nicola, supplichevole,<br />

soggiunse: «Ti prego, Berardo, per l'amore di Dio e per l'amore che mi porti, non dire<br />

nulla a nessuno» (ivi, p. 122). Il teste poteva dirsi, ed era veramente, «amico speciale<br />

e devoto» <strong>del</strong> santo (ivi, p. 118).<br />

L'amicizia fu corrisposta, non solo con queste particolari confidenze, che non si<br />

fanno, lo ripeto, se non agli amici, ma anche col potere taumaturgico che Nicola usò<br />

più volte per la famiglia <strong>del</strong>l'amico.<br />

Il teste li narra nel processo con profonda gratitudine e commozione (ivi, pp. 124-<br />

128). Narra altresì che si prese cura <strong>del</strong>la salute <strong>del</strong>l'amico, anche se gli giocò il tiro<br />

di costringerlo, con l'obbedienza scritta <strong>del</strong> padre Provinciale, a mangiare carne (ivi,<br />

p. 120; vedi sotto p. 75), e che fu presente non solo alla morte ma anche alle prime<br />

pietose cure che furono prese <strong>del</strong> corpo <strong>del</strong> defunto. Fu infatti sua moglie a lavargli le<br />

mani e i piedi, la quale volle conservare gelosamente l'acqua <strong>del</strong>la lavatura in una<br />

bacinella: l'acqua continuò e continua ancora, dice il teste nel processo, - dunque<br />

dopo 20 anni - a conservarsi chiara e fresca come se fosse stata attinta da poco alla<br />

fonte (ivi, p. 129; Vita, 4, 38).<br />

Nicola non fu dunque solo un apostolo, ma anche un amico. Nel suo apostolato<br />

portava tutta la carica <strong>del</strong> suo amore e, quando le circostanze lo permettevano, <strong>del</strong>la<br />

sua amicizia; un'amicizia che non turbava ma allargava quella <strong>del</strong>la comunità<br />

religiosa e la faceva ridondare a suo beneficio. Così l'alto ideale <strong>del</strong>l'amicizia<br />

perseguito secondo la Regola all'interno <strong>del</strong>la comunità agostiniana, per merito<br />

soprattutto <strong>del</strong> santo, si dilatava all'esterno e diventava fermento di unità <strong>del</strong>la società<br />

ecclesiale e civile. Come <strong>Agostino</strong> aveva voluto che fosse ogni sua comunità di<br />

consacrati.<br />

36


CAPITOLO VI<br />

UOMO DI STUDIO?<br />

Le fonti sono molto avare in proposito, ma qualche ragionevole supposizione<br />

bisogna pur farla. Ci mette sulla buona strada l'articolo 22 <strong>del</strong> processo, che dice - e i<br />

testi confermano -che Nicola «non si saziava mai <strong>del</strong>la mirabile dolcezza <strong>del</strong>la parola<br />

di Dio sia nella predicazione che nella conversazione: praedicatione et eloquio»<br />

(Processo, p. 21). Ritroviamo le stesse parole nel primo biografo, il quale aggiunge<br />

un avverbio prezioso: «continuo praedicare et loqui» (Vita, 4, 28). Segno evidente<br />

che si trattava d'un particolare importante, anzi fondamentale. Dunque Nicola<br />

conosceva bene la parola di Dio, dunque ne parlava senza stancarsi sia predicando<br />

che conversando, dunque le sue lunghe preghiere non erano solo preghiere vocali, ma<br />

lettura e meditazione <strong>del</strong>la Scrittura, dunque aveva, non foss'altro, la grande cultura<br />

che deriva dalla conoscenza, così preziosa e così necessaria, <strong>del</strong>la Bibbia. Tutto<br />

questo lo concludiamo da noi, e legittimamente, ma i commissari ci hanno aiutato<br />

poco.<br />

Purtroppo i commissari non hanno chiesto ai testi di più di quanto contenevano<br />

gli articoli, che essi si limitavano, di solito, a confermare. Eppure avrebbero potuto<br />

saperne molto di più se avessero chiesto di più. Quando poi si sono ricordati di<br />

chiedere qualcosa che andava fuori <strong>del</strong> contesto degli articoli, la domanda è stata così<br />

generica e la risposta così secca che possiamo concluderne ben poco. Hanno chiesto:<br />

Nicola era una persona letterata o illetterata? La domanda oltre che generica è anche<br />

ambigua. Essa può significare due cose: se fosse colto, dotto, uomo di studio o<br />

semplicemente se sapesse leggere e scrivere e in molti casi, come nel nostro, se<br />

sapesse di latino. Evidentemente, i commissari, trattandosi d'un sacerdote, la intesero<br />

nel primo senso, ma uno dei testi a cui la domanda fu rivolta sembra averla intesa nel<br />

secondo. Rispose infatti: letterato; ma richiesto di come lo sapesse, continuò: più<br />

volte l'ho visto dire la Messa. Il teste, Fr. <strong>Agostino</strong> da Tolentino, che era<br />

probabilmente un fratello illetterato, cioè, per dire la brutta parola, analfabeta - ce<br />

n'erano non pochi, allora -, non deve aver capito la domanda nel senso giusto, ma ciò<br />

non toglie che dalla sua risposta non possiamo trarre vantaggio per risolvere il nostro<br />

quesito. L'altro può aver capito bene, cioè nel primo senso, ma la risposta troppo<br />

breve: persona letterata, non dice molto per noi (Processo, teste 271, p. 561; teste<br />

267, p. 552). Che avesse la fama di dotto? Può essere. Ma la conclusione dev'essere<br />

confermata aliunde. Per venire a capo in qualche modo e saperne qualcosa di più,<br />

occorre seguire altre piste.<br />

1. FORMAZIONE CULTURALE<br />

La prima è quella <strong>del</strong>la formazione culturale. Nicola ne ricevette una<br />

indubbiamente solida. Quei buoni religiosi, usciti dagli eremi dove lo studio non era<br />

d'impellente necessità, compresero che esso diventava indispensabile per l'apostolato<br />

37


- apostolato ministeriale e apostolato scientifico - e per la conoscenza di quel Grande<br />

di cui volevano rivivere e continuare lo spirito, e che chiamavano Padre.<br />

Il card. Ehrle scrive che dopo il 1256 gli agostiniani si diedero con «sorprendente<br />

prontezza» agli studi da porsi in prima fila con i domenicani e i francescani; e<br />

riferendosi a Parigi, grande centro di studi, dice che «li coltivarono con tale impegno<br />

che già dagli ultimi decenni <strong>del</strong> secolo ebbero in Parigi una posizione rispettata» (F.<br />

Ehrle, I più antichi statuti..., p. 94). Non v'è dubbio che di questa sorprendente<br />

fioritura di studi usufruì il nostro Nicola.<br />

Le scuole erano sostanzialmente organizzate così: grammatica, logica, teologia.<br />

La grammatica comprendeva i primi elementi <strong>del</strong> sapere, di cui i principali erano:<br />

imparare a leggere e conoscere il latino; la logica, in cui tenevano il campo le opere<br />

di Aristotele con l'Isagoge di Porfirio e alcuni scritti di Boezio, consisteva nella<br />

logica propriamente detta, nella filosofia naturale e nella metafisica; la teologia aveva<br />

per base lo studio <strong>del</strong>la Scrittura e la conoscenza dei quattro libri <strong>del</strong>le Sentenze di<br />

Pietro Lombardo, che era testo di scuola, il quale proponeva i grandi temi <strong>del</strong>la<br />

Rivelazione - Dio-Trinità, creazione e peccato, incarnazione e redenzione, sacramenti<br />

-, illustrandoli con i testi dei Padri, particolarmente e soprattutto di Sant'<strong>Agostino</strong>.<br />

Nicola seguì certamente questa trafila occupando negli studi circa 15 anni, da<br />

quando entrò nell'Ordine (1259) a quando fu ordinato sacerdote (1274).<br />

I centri di studio nell'Ordine erano di due categorie: «studi generali » e «studi<br />

<strong>del</strong>la provincia». I primi, soggetti al Padre Generale e aperti agli studenti di tutto<br />

l'Ordine, importavano un programma di studio più impegnato e, uniti in genere a<br />

centri universitari - si pensi a Parigi, a Bologna, a Padova, a Oxford -, terminavano<br />

con i gradi accademici di lettore o di maestro. Gli studi <strong>del</strong>la provincia invece<br />

avevano un livello più modesto, come preparazione al sacerdozio, ma sempre serio e<br />

solido. «In ciascuno di questi studi - dicevano le Costituzioni - ci siano due lettori,<br />

uno dei quali spieghi la sacra Scrittura, diriga le tesi o discussioni dottrinali nel tempo<br />

opportuno, faccia qualche lezione di filosofia secondo che lo reputi utile agli studenti<br />

e ordini e diriga lo studio con la dovuta diligenza. Il secondo esponga i libri <strong>del</strong>le<br />

Sentenze e dia lezioni di logica e di filosofia secondo che lo richiedano le necessità<br />

degli studenti» (Const. R. n. 340).<br />

Nicola ha seguito gli studi in provincia: nulla autorizza a pensare che sia stato<br />

inviato in qualcuno degli studi generali sorti in Italia nei primi decenni, o forse nel<br />

primo, dopo la grande unione (1256). Si sa che il primo di essi fu quello di Parigi che<br />

risale al 1260.<br />

Ma l'aver frequentato gli studi in provincia - e forse proprio a Tolentino - non<br />

toglie che essi siano stati seri, anzi severi. Si ricordi che nel 1269, quando Nicola<br />

sedeva sui banchi <strong>del</strong>la scuola, era provinciale il B. Clemente da Osimo, il quale,<br />

diventato generale, fu uno dei più grandi promotori degli studi nell'Ordine: non può<br />

non averli promossi, prima, nella provincia.<br />

Del resto - e questo conta di più - il nostro santo fu un confessore ricercato e un<br />

predicatore molto seguito: ora le prime Costituzioni, che codificarono le usanze<br />

vigenti nell'Ordine, prescrivevano che non si deputassero a confessare se non religiosi<br />

«di buona fama e di sufficiente dottrina» e non si permettesse il ministero <strong>del</strong>la<br />

38


predicazione se non a religiosi «probi e dotti». E tutto questo non benevolmente<br />

supposto, ma severamente comprovato con un esame.<br />

Ecco il testo riguardante la predicazione: «Non sia permesso di predicare la<br />

parola di Dio se non a uomini probi e sufficientemente istruiti (cioè dotti). Perciò il<br />

priore provinciale e i definitori <strong>del</strong> capitolo provinciale ingiungano a due lettori<br />

(professori) di esaminare quelli che devono predicare e di concedere licenza di<br />

predicare solo a quelli che sono stati approvati e non ad altri. Chi osasse predicare<br />

senza questa autorizzazione per ogni volta sia punito con tre giorni di digiuno a pane<br />

e acqua nella settimana, in mezzo al refettorio, sedendo sulla nuda terra, e questo<br />

"sine ulla misericordia" (Const. R. n. 360). Lo stesso dicasi per le confessioni. Si può<br />

esser certi che il nostro santo ha subito questi esami e ha dato buona prova sua<br />

scienza.<br />

2. CASA DI STUDIO<br />

Voglio rilevare un altro particolare. Tolentino era casa di studio. Frate Vittore di<br />

Camerino, che quando deponeva nel processo era lettore e priore a Pesaro, fu<br />

mandato a Tolentino ad studendum in grammaticalibus et postmodum etiam... in<br />

logicalibus et in teologia quando c'era ivi Nicola. E tornato dallo studio generale col<br />

titolo di lettore fu mandato di nuovo a Tolentino ad insegnare (Processo, teste 148, p.<br />

357).<br />

Dunque Tolentino era una casa di studio <strong>del</strong>la Provincia. Non voglio dire che il<br />

nostro santo vi sia stato professore, per non dire a mio rischio ciò che la storia, con<br />

evidente disinteresse e distrazione, non ha detto, ma non so pensarlo estraneo al clima<br />

di studio che c'era in quella casa. Egli, predicatore e confessore, non poteva essere<br />

esempio solo di osservanza regolare senza un particolare amore allo studio.<br />

Del resto le Costituzioni daranno al superiore una norma preziosa sull'amore<br />

verso gli studi. «Il priore <strong>del</strong>la casa di studio, come ama l'onore e lo stato <strong>del</strong>l'Ordine,<br />

così fomenti con sollecitudine ed ardore lo studio, assista gli studenti con<br />

benevolenza e favore e a ciò induca e obblighi i membri <strong>del</strong>la comunità: suos<br />

conventuales inducat et adstringat» (Const. R. n. 345). Si può essere certi che Nicola<br />

non aveva bisogno di essere spinto.<br />

Nel suo processo depongono 23 confratelli, dei quali almeno 6 lettori, ossia<br />

professori. Non parlano di studi perché sull'argomento non c'era, purtroppo, un<br />

articolo tra quelli <strong>del</strong> processo. Ma la loro presenza non può significare un omaggio a<br />

chi aveva condiviso con loro l'ansia <strong>del</strong>lo studio? Sia come sia. Nicola non viveva<br />

nella piccola comunità d'un villaggio sperduto in mezzo a pii contadini o boscaioli ai<br />

quali oltre l'esempio <strong>del</strong>l'ascetismo e <strong>del</strong>la preghiera poteva essere sufficiente la<br />

spiegazione <strong>del</strong> catechismo, ma viveva in una città dove un ambiente culturale non<br />

poteva mancare: salendo il pulpito Nicola non poteva<br />

non tenerne conto. La risposta affermativa di mastro Tommaso Bartolucci da<br />

Tolentino alla domanda se Nicola era un uomo di lettere dev'essere presa nei senso<br />

forte: un uomo colto, un uomo dotto.<br />

39


Se poi qualcuno si domanda quando Nicola poteva studiare se pregava tanto,<br />

rispondo che i santi trovano sempre il tempo per fare tante cose. Dei resto pregare<br />

non vuol dire solo preghiera orale, ma anche «lectio divina », cioè ascolto <strong>del</strong>la<br />

parola di Dio, meditazione, studio, ricerca.<br />

40


CAPITOLO VII<br />

L’ASCETA<br />

L'ascetismo è una parte integrante e insostituibile <strong>del</strong> cristianesimo. Le parole di<br />

Gesù sono esplicite: «Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua<br />

croce e mi segua». Senza questa condizione non si può essere suoi discepoli. La vita<br />

religiosa lo conferma. Essa viene abbracciata per tendere più liberamente e più<br />

integralmente a Dio -vivere Deo o, come dice arditamente <strong>Agostino</strong>, indiari in otio -,<br />

ma suppone l'ascetismo, un ascetismo forte, profondo, generale, quello dei voti<br />

religiosi che investono tutto l'essere <strong>del</strong> consacrato.<br />

Su questo punto <strong>del</strong>l'ascetismo siamo molto informati: Nicola ci appare prima di<br />

tutto un grande asceta. Il processo vi ha insistito con una compiacenza tutta<br />

medievale quando si era abituati a vedere il santo soprattutto sotto il profilo <strong>del</strong>la<br />

fuga dal mondo e <strong>del</strong> lottatore contro le forze <strong>del</strong> male. L'accentuazione un po'<br />

eccessiva di quest'aspetto - ad esso son dedicati ben 3 articoli - può aver deformato in<br />

parte la figura <strong>del</strong> santo facendone dimenticare altri che sono pur essi essenziali e la<br />

completano.<br />

In ogni caso il suo ascetismo, anche se austero, è insieme sapiente e moderato<br />

come quello <strong>del</strong> suo padre spirituale.<br />

1. GLI ESEMPI DI AGOSTINO<br />

Mi riferisco ad <strong>Agostino</strong> convertito, il quale si consacrò a Dio e all'ascetismo.<br />

Questo gli permetteva la grande opera <strong>del</strong>la purificazione interiore, condizione<br />

essenziale per salire verso il sospirato possesso <strong>del</strong>la verità suprema, che è Dio.<br />

Ritiratosi a Cassiciaco (probabilmente nella Brianza) per prepararsi al battesimo,<br />

passava il giorno nelle discussioni filosofiche, nello studio <strong>del</strong>le Scritture, nella cura<br />

<strong>del</strong>le faccende domestiche, trascorreva metà <strong>del</strong>la notte nella meditazione, usava una<br />

mensa tanto parca che «l'inizio coincideva con la fine» (Contra Acad. 3,4,7).<br />

Tornato a Tagaste, «rinunciò ai suoi beni e insieme con quelli che s'erano a lui<br />

uniti, viveva per Dio - vivebat Deo - nei digiuni, nelle preghiere, nelle buone opere,<br />

meditando giorno e notte la legge <strong>del</strong> Signore» (Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong>, 3, 1-2).<br />

Divenuto contro sua voglia sacerdote e poi vescovo, non abbandonò il suo ideale<br />

monastico: visse da monaco insieme a monaci. Conosciamo bene, in grazia <strong>del</strong> primo<br />

biografo, l'amico e confidente Possidio, il suo tenore di vita. Era inesorabile sulla<br />

povertà come rinuncia ad ogni proprietà e impegno di vita comune. Benché vescovo<br />

si serviva <strong>del</strong>la mensa e <strong>del</strong> guardaroba comune. Non soffriva di portare una veste<br />

che non potesse portare l'ultimo dei suoi chierici. In quanto al vitto, dice Possidio,<br />

«usava d'una mensa frugale e parca che ammetteva talvolta, fra erbaggi e legumi,<br />

anche le carni per riguardo agli ospiti e ai fratelli più deboli; sempre poi aveva il<br />

vino» (Possidio, Vita, 22, 7). Erbaggi e legumi erano dunque il vitto ordinario <strong>del</strong><br />

vescovo <strong>Agostino</strong>: gli stessi saranno, come vedremo, di Nicola. La carne e il vino<br />

41


erano usati per un dovere di ospitalità e per una sfida aperta al manicheismo che li<br />

condannava come opera <strong>del</strong> diavolo.<br />

Si sentiva ed era veramente povero: «povero di Dio» o, com'egli stesso dice<br />

anche, «minimo di Cristo». Ma si ricordava sempre dei «compagni di povertà»<br />

(compauperum) «e per dare a loro attingeva ai medesimi proventi che servivano a lui<br />

e a quelli che abitavano con lui» (Possidio, ivi, 23,1).<br />

Dalla stessa fonte erano alimentati i poveri volontari che vivevano in comune nel<br />

monastero e i poveri per condizioni sociali che vivevano fuori.<br />

Chi poi volesse sapere con quanta cura custodisse i suoi sensi e la vita interiore<br />

dovrebbe leggere il libro 10° <strong>del</strong>le sue Confessioni che nella seconda parte contiene<br />

un minuzioso e spietato esame di coscienza a questo proposito.<br />

Nicola si mise decisamente su questa scia. L'esempio <strong>del</strong> «beato <strong>Agostino</strong> » era<br />

per lui uno stimolo e un ammonimento per custodire gelosamente i voti e per imitare<br />

più da vicino il Divino Maestro.<br />

2. L'ASCETISMO DEI VOTI<br />

Si sa che i voti nascono da un grande atto di amore. È l'amore, diceva <strong>Agostino</strong>,<br />

che crea le anime consacrate; e di se stesso: «Ormai io te solo amo, te solo seguo, te<br />

solo cerco e sono disposto ad essere soggetto a te soltanto, poiché tu solo eserciti con<br />

giustizia il dominio, ed io desidero essere di tuo diritto» (Solil. 1, 1, 5).<br />

Questa appartenenza totale ed esclusiva a Dio che si esprime con i voti religiosi di<br />

castità, povertà e obbedienza nasce dunque da un amore sovrabbondante, ma non può<br />

essere custodita se non con altrettanto amore che impegni la persona consacrata in<br />

uno sforzo ascetico sincero e continuo.<br />

Con quanto amore Nicola abbia consacrato a Dio il fiore <strong>del</strong>la sua giovinezza e<br />

tutta la sua vita possiamo bene immaginarlo, ma le fonti non ci aiutano molto. Molto<br />

invece ci aiutano per capire la fe<strong>del</strong>tà, l'impegno e la perseveranza con cui fece dei<br />

voti religiosi la ragione stessa <strong>del</strong>la sua vita.<br />

a) Custodia <strong>del</strong>la castità. Sappiamo che custodì gelosamente la castità con la<br />

ritiratezza, la modestia, la mortificazione, la preghiera.<br />

Non usciva da casa se non per dovere di obbedienza o di carità: quando il priore<br />

lo mandava ad elemosinare il pane o quando si recava a visitare e confortare<br />

gl'infermi, cosa che faceva molto volentieri (Processo, teste 9, p. 91). Uscendo,<br />

calava il cappuccio sulla fronte e procedeva ad occhi bassi e con tanta umiltà da<br />

destare l'ammirazione di tutti. Un teste lo vedeva andare «multum remissum, semper<br />

cum capucio ante faciem tantum quod fere facies sua videbatur» (Processo, teste 77,<br />

p. 209). Lo stesso atteggiamento di umiltà e di modestia al confessionale; ma chi si<br />

avvicinava a lui aveva l'impressione di avvicinarsi ad un angelo (Processo, teste 83,<br />

p. 232).<br />

<strong>Alla</strong> ritiratezza e alla modestia si univano la mortificazione e la preghiera. Di<br />

questa, fulcro e anima di tutta la sua vita, dirò poco appresso. Qui un accenno alla<br />

mortificazione, che faceva di nascosto, ma che non gli fu possibile celare ai suoi<br />

42


confratelli e agli amici che lo frequentavano spesso come Mancino di Forte. Dormiva<br />

poco - penso non più di 3-4 ore, e forse dico troppo -, steso su uno scomodo<br />

pagliericcio, e prima di coricarsi si batteva con verghe e flagelli. Uno di questi<br />

strumenti glielo aveva confezionato, su sua richiesta, il confratello Matteo di<br />

Montolmo (Corridonia), vissuto con lui tanti anni a Tolentino, il quale testifica che<br />

dalla cameretta vicina dove dormiva sentiva i colpi calare sulle spalle <strong>del</strong> santo.<br />

Interrogato se Nicola facesse questo «con l'intenzione di castigare il suo corpo e<br />

resistere alle cattive tentazioni e alle concupiscenze carnali», rispose che lo faceva, a<br />

suo giudizio, «per poter servire integralmente e pienamente - integraliter et mere - a<br />

nostro Signore Gesù Cristo» (Processo, teste 368, p. 639).<br />

Questa risposta, che sembra sfuggire alla domanda, non la esclude ma la<br />

completa, indicando lo scopo più alto di quel tenore di vita - l'imitazione di Cristo e la<br />

piena appartenenza a Lui - e dando una testimonianza preziosa <strong>del</strong>l'equilibrio morale<br />

di Nicola.<br />

Le sue penitenze avevano, sì, lo scopo di assoggettare il corpo allo spirito perché<br />

questo fosse soggetto a Dio, come voleva il «beato <strong>Agostino</strong>», ma anche quello più<br />

alto di partecipare alle sofferenze <strong>del</strong>la passione di Cristo. Vedremo a suo luogo la<br />

grande devozione che Nicola nutriva verso il Crocifisso.<br />

Intanto, per continuare sulla linea <strong>del</strong>la mortificazione, le fonti ci fanno sapere<br />

che aveva in camera un sacchetto di fave sul quale piegava le ginocchia mentre<br />

pregava e che, finita la preghiera, nascondeva attentamente perché nessuno lo<br />

vedesse; scoperto per caso da un amico - il solito Mancino di Forte che lo aveva<br />

incontrato a Sant'Angelo e in tanti altri paesi prima che venisse a Tolentino -, e<br />

interrogato a che cosa servisse, si ebbe la risposta di tutto sapore evangelico:<br />

«Nascondilo e non dire niente a nessuno perché il Pater noster si deve dire in<br />

segreto» (Processo, teste 88, p. 258).<br />

Sappiamo anche che aveva in camera due lastre di marmo sulle quali mentre<br />

pregava posava le ginocchia e le braccia per essere più desto nella preghiera. La<br />

trovata, pur nella sua semplicità, deve aver fatto tanta impressione che i commissari<br />

le hanno dedicato, come si è visto, un apposito articolo nel processo, precisamente il<br />

19°.<br />

b) Pratica <strong>del</strong>la povertà. Non meno interessante e istruttivo è quanto ci dicono le<br />

fonti sull'amore e la pratica <strong>del</strong>la povertà evangelica. Nicola l'amò e la portò alle<br />

estreme conseguenze, quasi ai limiti <strong>del</strong>la miseria. Si sa che la Regola di<br />

Sant'<strong>Agostino</strong> era ed è molto severa. Infatti non solo esclude radicalmente ogni<br />

proprietà - il vescovo d'Ippona era inesorabile su questo punto -, ma prescrive anche<br />

che tutti vivano <strong>del</strong>la dispensa comune e si vestano dal guardaroba comune; anzi<br />

vuole, anche se fa, poi, sia pure a malincuore, un'eccezione per i più deboli, vuole,<br />

dico, che nessuno pretenda di riprendere le stesse vesti che ha mandato a lavare.<br />

Nicola era lieto di avere le vesti più logore e malconce, soprattutto se avevano<br />

qualche toppa qua e là. All'occasione le rammendava da sé, e si può esser certi che<br />

non fosse il più esperto dei sarti. L'atteggiamento «dimesso e umile» o anche<br />

«dimesso e onesto» - remissus et honestus - con cui si presentava girando per le vie<br />

43


<strong>del</strong>la città, dipendeva non solo dalle sue disposizioni interiori, ma anche dal suo<br />

vestito, pulito ma povero e forse sgualcito.<br />

c) Prontezza e ilarità <strong>del</strong>l'obbedienza. L'ascetismo religioso più profondo e, sarei per<br />

dire, più autentico è quello <strong>del</strong>l'obbedienza, con la quale pieghiamo il nostro volere<br />

ad un uomo per amor di Cristo che fu ubbidiente al Padre fino alla morte e alla morte<br />

di croce. L'autorità di comando nella vita religiosa non è arbitraria ma costituzionale;<br />

questo però non toglie che sia autorità e che sia comando che il religioso si è<br />

obbligato, con libera accettazione, ad accogliere ed eseguire.<br />

Se Nicola sapesse comandare non lo sappiamo, non sappiamo che sia stato mai<br />

superiore - e questo ci dispiace -, ma sappiamo che seppe ubbidire. P. Angelo da<br />

Santa Vittoria che era convissuto a lungo con lui ed era superiore <strong>del</strong>la comunità<br />

quand'egli morì, ci dice testualmente: «Mai quand'ero priore gli ho comandato<br />

qualcosa che il santo non abbia ubbidito e non abbia detto subito: Volentieri»<br />

(Processo, teste 10, p. 96). E si trattava spesso di andare per l'elemosina <strong>del</strong> pane; e<br />

Nicola era sacerdote, e forse vecchio, e forse claudicante. È commovente! Ma di<br />

quanto frutto siano stati quei suoi pani, per sé e per le persone che avvicinava, Dio<br />

solo lo sa. A noi non resta che ammirare l'opera di Dio nei suoi santi.<br />

Il nostro santo aveva meditato bene la Regola che aveva professata là dove parla<br />

<strong>del</strong>lo spirito <strong>del</strong>l'obbedienza: «Si obbedisca al superiore come a proprio padre... sia<br />

tenuto in alto per l'onore... obbedendo maggiormente mostrerete pietà non solo di voi<br />

stessi ma anche di lui che si trova in un pericolo tanto più grave quanto più alta è la<br />

sua posizione tra voi» (Regola, c. 7).<br />

Ma dove l'obbedienza di Nicola dà origine a gustosi «fioretti » e si dilata nella<br />

leggenda è nei riguardi <strong>del</strong> suo proposito (o voto) di astinenza perpetua.<br />

3. ASTINENZA E DIGIUNO<br />

Se si trattasse di un proposito o di un voto non è possibile determinarlo in<br />

mancanza <strong>del</strong>la formula <strong>del</strong>la sua professione o di altre informazioni precise.<br />

L'atteggiamento risoluto <strong>del</strong> santo ci porta verso la seconda ipotesi, ma questa<br />

resta un'ipotesi. In ogni caso, proposito o voto, la vita penitente di Nicola che si<br />

asteneva dalla carne, dai grassi, dai latticini, dal pesce, dalla frutta, limitando il suo<br />

vitto a verdure e legumi (proprio come Sant'<strong>Agostino</strong>), e digiunava a pane ed acqua -<br />

e qualche volta addirittura senz'acqua (Processo, teste 7, p. 85) - tre volte alla<br />

settimana, il mercoledì, il venerdì e il sabato in onore <strong>del</strong>la Madonna, dovette fare<br />

una profonda impressione nell'ambiente in cui visse. Se ne ha un'eco nel processo, il<br />

quale dedica all'argomento ben due articoli (uno all'astinenza e l'altro al digiuno) in<br />

modo da offrire ai testi l'opportunità di rendere la loro testimonianza.<br />

Questa è affermativa e corale. Anzi spesso si traduce in episodi che hanno tutto il<br />

gusto <strong>del</strong>la poesia. Come questo: una devota di nome Margherita, moglie di Berardo<br />

Appillaterra, molto amico <strong>del</strong> santo, era solita preparare belle e saporite focacce con<br />

le mandorle e farle portare a Nicola, ormai avanti negli anni e infermo, da una sua<br />

figliola di 6-7 anni, che deporrà poi, a 25 anni, nel processo. Il santo gradiva il dono e<br />

44


ne mangiava. Ma un giorno la brava donna ebbe l'infelice idea di fargli una sorpresa:<br />

preparò la focaccia con il lardo e gliela inviò come al solito. Nicola lo avvertì prima<br />

di provarla, forse all'odore, se ne lagnò con la fanciulla - « tua madre, le disse, s'è<br />

messa in testa di farmi perdere l'anima: sono 45 anni che non mangio di grasso; non<br />

sia mai che cominci adesso » -, e inviò la focaccia intera a un confratello, anch'egli<br />

ammalato; come faceva, aggiunge la teste richiamandosi alla testimonianza dei<br />

confratelli che lo servivano, ogni volta che gli mandavano «un cibo buono e saporito»<br />

(Processo, teste 84, p. 235).<br />

Bello questo «fioretto » che sa insieme di penitenza, di candore, di amicizia, di<br />

semplicità, di carità fraterna!<br />

Un altro episodio è narrato da Don Corrado di Urbisaglia, Cappellano di San<br />

Lorenzo di Colmurano, teste, nel processo, 173. Era amico <strong>del</strong> convento e spesso<br />

veniva invitato a mangiare con i frati. Un giorno, sedendo a refettorio vicino a Nicola,<br />

gli versò <strong>del</strong>l'acqua nell'orciolo. Nicola lo guardò amabilmente e in tono di<br />

rimprovero gli disse: «Non mi fiderò più di te, mi hai ingannato: mi hai versato vino<br />

invece <strong>del</strong>l'acqua. Provalo, se non lo credi»; e gli diede l'orciolo. Il teste lo provò: era<br />

vino squisito.<br />

Questo fatto lo riempì insieme di meraviglia e di curiosità. Volle tentare di nuovo.<br />

Un altro giorno, stando sempre vicino a Nicola al refettorio, mise <strong>del</strong>l'acqua<br />

nell'orciolo di lui e la provò: di nuovo, era vino prelibato. Lo disse - e si può<br />

immaginare con quale stupore - a frate Nicola che gli sedeva accanto, il quale si<br />

limitò a farsi promettere che non lo avrebbe detto a nessuno.<br />

I commissari dovettero restare profondamente increduli - e noi lo saremmo stati<br />

altrettanto - pensando che al buon cappellano fallisse la <strong>memoria</strong> o addirittura che<br />

sognasse.<br />

Di che colore era, gli chiesero, il vino che bevevano i frati in quei giorni?<br />

Risposta: rosso o vermiglio. Chi era presente in quella circostanza? Risposta: Fr.<br />

Tommaso da Tolentino, priore <strong>del</strong>la comunità e altri frati che ora sono morti. Quando<br />

avvenne il fatto narrato? Risposta: 36 anni or sono (1289), nel mese di dicembre. In<br />

quanto al giorno non se lo ricordava (Processo, teste 173, p. 407). Se vogliamo<br />

prestar fede a questo buon cappellano che quando deponeva sotto giuramento aveva<br />

poco più di 60 anni, dobbiamo pensare che il Signore si compiace talvolta di dare<br />

questi segni per dimostrare quanto la vita penitente dei suoi prediletti gli sia <strong>cara</strong>.<br />

Depone infatti lo stesso teste che, essendo spesso commensale <strong>del</strong>la comunità<br />

tolentinate, osservava che Nicola si asteneva dal mangiare carne, formaggio, uova e si<br />

asteneva anche dal vino, mentre egli stesso e gli altri commensali mangiavano<br />

volentieri carne e bevevano vino (Processo, p. 406). E Nicola ne godeva; anzi, come<br />

si è detto, era lui ad esortare il priore perché i frati, e in particolare i forestieri, fossero<br />

trattati bene.<br />

Ma la sua gioiosa astinenza, che non faceva pesare affatto sugli altri, brilla di luce<br />

ancor maggiore quando entra in collisione con l'obbedienza. Il che non accadeva<br />

raramente. Il tenore di vita, che Nicola aveva intrapreso e portava avanti con<br />

inflessibile e generosa volontà, creava non poche preoccupazioni nei suoi confratelli a<br />

causa dei riflessi che aveva o si credeva che avesse nella sua gracile salute. Da qui la<br />

raccomandazione insistente, sia dei medici che dei superiori, di cibarsi qualche volta,<br />

45


almeno nelle infermità, di carne. Ma il santo non si dava per inteso. Ai più importuni<br />

ripeteva la sua filosofia sulla salute. Dio, diceva, non ha bisogno <strong>del</strong>la carne per<br />

sostenere o ridonare la salute, ma può dare, se vuole, lo stesso potere alle erbe e ai<br />

legumi. Filosofia, come si vede, tutta fondata sulla fiducia in Dio e nella sua<br />

provvidenza. Del resto, pensava Nicola, i poveri non hanno tante possibilità per<br />

curare la loro salute: il religioso dev'essere uno di loro.<br />

Vista l'inutilità <strong>del</strong>le raccomandazioni, qualche volta i superiori ricorsero al<br />

comando. A questo punto le cose si mettevano sul serio. Contro l'obbedienza non si<br />

può celiare con la filosofia sia pur soprannaturale: occorre obbedire. Nicola<br />

l'obbedienza l'aveva promessa di cuore e voleva osservarla. Lo ripeté esplicitamente<br />

davanti a un comando <strong>del</strong> <strong>Priore</strong> Generale: «al Generale bisogna obbedire: l'ho<br />

promesso... e voglio mantenerlo fino alla morte» (Vita, 3,18; Vedi sopra p. 42).<br />

Ma egli voleva conservare anche il suo tenore di vita. Il contrasto, che non poteva<br />

essere senza tensione, diventava inevitabile. Come superarlo? Ricorse a tre vie:<br />

pregare perché il comando gli venisse revocato, gustare un poco di carne e mandare il<br />

resto <strong>del</strong>la pietanza ai confratelli infermi, ricorrere, come ci fa sapere un teste sia pur<br />

per sentito dire, alla potenza taumaturgica.<br />

Il primo caso avvenne quando il padre Provinciale a refettorio gli fece inviare un<br />

piatto di carne: dietro le umili e insistenti preghiere <strong>del</strong> santo il piatto fu riportato al<br />

padre Provinciale (Processo, teste 8, p. 88).<br />

Il secondo quando il padre Provinciale - lo stesso o un altro non so - da Treia,<br />

dove risiedeva, su indicazione <strong>del</strong>l'amico Berardo Appillaterra, gli comandò per<br />

iscritto di mangiare carne secondo la prescrizione <strong>del</strong> medico o quando lo stesso<br />

comando gli venne direttamente dal Generale <strong>del</strong>l'Ordine Padre Francesco da<br />

Monterubbiano (1300-1307) di passaggio da Tolentino. Il santo mise insieme<br />

l'obbedienza e la carità: gustò un poco di carne, chiese ed ottenne di essere dispensato<br />

dal comando e mandò il resto <strong>del</strong>la prelibata pietanza ad alcuni confratelli ammalati<br />

(Processo, teste 16, pp. 119-120 [l'episodio narrato va letto per intero come uno dei<br />

più belli nella vita <strong>del</strong> nostro santo, fragrante di semplicità, di bontà, di amicizia];<br />

teste 9, pp. 90-91).<br />

Il terzo caso avvenne quando benedisse due pernici cotte che gli erano state<br />

presentate perché ne mangiasse, e comandò loro di andarsene per la loro strada; e<br />

queste, secondo quanto ricorda un teste, volarono via.<br />

Ritengo che il primo e il secondo caso siano perfettamente conformi alla figura<br />

morale, così equilibrata e serena, <strong>del</strong> nostro santo. Il terzo, pur esso bello ed<br />

estremamente poetico, dovrebbe appartenere all'amplificazione <strong>del</strong>la fantasia<br />

ammirata dei devoti. E vero che a ricordarcelo nel processo è stato un vescovo -<br />

Berardo da Varano vescovo di Camerino (1310-1317) -, il quale doveva essere<br />

abituato a misurare le parole, ma egli parla per sentito<br />

dire - audivit dici - e si appella in genere ai frati di Sant'<strong>Agostino</strong> senza essere in<br />

grado di indicare qualche nome, perché- dice - è passato molto tempo (Processo, teste<br />

327, p. 616). Il «molto tempo» era circa di 25 anni, non molto in verità per ricordare<br />

un fatto storico, ma sufficiente perché le pernici inviate con squisita bontà ai<br />

confratelli ammalati diventassero le pernici che alla benedizione <strong>del</strong> santo spiccarono<br />

il volo e uscirono dalla finestra.<br />

46


A questo punto si deve aggiungere un particolare di grande importanza<br />

psicologica. Come capita spesso a persone <strong>del</strong>icate di coscienza e di forte impegno<br />

ascetico, Nicola soffrì a un certo momento - non è possibile determinare quando - una<br />

crisi di ansia e di dubbio nei riguardi <strong>del</strong> suo tenore di vita. Gli parve che i suoi<br />

digiuni e le sue astinenze non fossero graditi a Dio per il fatto che Dio permetteva che<br />

le tentazioni <strong>del</strong> diavolo - ne parleremo subito appresso - si abbattessero tanto<br />

numerose contro di lui.<br />

Il dubbio non gli toglieva la fiducia in Dio e il ricorso alla preghiera, ma lo<br />

turbava. Il Signore, che aveva permesso questo turbamento per convertirlo in gioia,<br />

gli venne in aiuto. Narra il primo biografo, che deve aver raccolto la notizia almeno<br />

indirettamente dallo stesso Nicola, che gli apparve in sogno Gesù e gli disse: «Nicola,<br />

deponi lo sconforto e sii tranquillo: le tue opere mi sono gradite e il tenore di vita che<br />

hai intrapreso». Il santo si svegliò pieno di gioia e gli fiorirono spontaneamente sul<br />

labbro quelle parole <strong>del</strong> salmo: «Quale gioia, quando mi dissero: Andremo nella casa<br />

<strong>del</strong> Signore» (Sl. 122 [121], 1). Il versicolo era tratto dai salmi <strong>del</strong>le ascensioni tanto<br />

cari, come dirò, a Nicola. Non c'è dubbio che gli sarà tornato nella <strong>memoria</strong> e sul<br />

labbro quando Maria, apparendogli, gli annunciò la fine prossima.<br />

4. PAZIENZA NELLE INFERMITÀ<br />

Il panorama <strong>del</strong>l'ascetismo di cui sto parlando non sarebbe completo se non si<br />

fermasse l'attenzione, come fecero i commissari <strong>del</strong> processo, sull'inalterata pazienza<br />

che ebbe Nicola nel sopportare le infermità corporali e la prova <strong>del</strong>le tentazioni. Di<br />

queste parlerò appresso. Qui fissiamo l'attenzione sull'aspetto più autentico<br />

<strong>del</strong>l'ascetismo di Nicola.<br />

Si sa che la pazienza, al contrario di quanto afferma una certa cultura, è una<br />

grande virtù senza la quale non si può essere cristiani né, a parlar propriamente, veri<br />

uomini, il cristianesimo la sublima fino ai vertici <strong>del</strong>l'eroismo quando insegna ad<br />

accettare la sofferenza non solo con pazienza ma con amore, con gioia, con<br />

gratitudine. Se la filosofia antica diceva: abstine et sustine, il cristianesimo con la<br />

voce stessa di Cristo dice: abneget et tollat, che è molto più intimo, più profondo, più<br />

autentico. Nell'evangelico «rinnega te stesso e prendi la tua croce» non c'è ombra di<br />

orgoglio, ma solo libertà e amore. Il nostro santo giunse a questi alti vertici, il<br />

processo dedica un articolo - il 16° - all'argomento di modo che i testi abbiano<br />

l'opportunità di testimoniare su di esso.<br />

Essi ripetono per lo più i due aggettivi, veramente preziosi, <strong>del</strong>l'articolo: era<br />

molto paziente e benigno (patiens et benignus). I due aggettivi sembrano scelti<br />

apposta per indicare da una parte la fortezza di animo, dall'altra la serenità e la gioia.<br />

Alcuni aggiungono espressioni esplicative che vale la pena rilevare.<br />

Il padre Angelo di Santa Vittoria, priore <strong>del</strong> convento, dice: «Ho visto frate<br />

Nicola gravemente infermo, tormentato da molte e varie infermità, ma non l'ho udito<br />

mai pronunciare una parola di lamento, neppure un: ahi me!» (Processo, teste 10, p.<br />

98).<br />

Un altro, un laico questa volta, l'amico Appillaterra, depone: «Spesso visitavo<br />

padre Nicola durante la sua infermità e mai lo vidi turbato o lamentarsi <strong>del</strong>l'infermità<br />

47


che aveva, ma lo trovavo sempre paziente e benigno» (Processo, teste 16, pp. 120-<br />

121).<br />

Un altro ancora, pur esso laico, teste de visu, aggiunge un particolare molto bello:<br />

«Ho visto molte volte frate Nicola infermo... e mai lo vidi mormorare o lamentarsi;<br />

anzi quanto più il male lo tormentava tanto più lodava il Signore dicendo: Te Deum<br />

laudamus, te Deum laudamus» (Processo, teste 267, p. 553). Era il suo atteggiamento<br />

più vero e più profondo: lodare il Signore, sempre, anche nella malattia.<br />

Atteggiamento che un altro teste, dopo aver ripetuto il binomio processuale - paziente<br />

e benigno -, conferma così: «Frate Nicola aveva una faccia molto angelica e<br />

ringraziava sempre Dio, e tutta Tolentino sapeva che era così» (Processo, teste 369,<br />

p. 640).<br />

Breve quadretto ma di straordinaria efficacia. Tre pennellate: faccia angelica, e<br />

quindi buona, serena, gioiosa anche nelle infermità; ringraziamento a Dio, che è la<br />

forma più alta <strong>del</strong>la pazienza cristiana; fama per tutta Tolentino, che è l'eco e il<br />

riconoscimento d'una vita santa.<br />

Si comprendono allora le risposte che dava agli amici che gli consigliavano di<br />

curarsi: «Ti converrebbe andare, gli disse Mancino di Forte, un amico d'infanzia, ai<br />

bagni di acqua sulfurea e consultare un medico». Rispose il santo: «Amico mio, non<br />

voglio andare né ai bagni né consultare un medico: Dio che mi ha mandato questa<br />

piaga - una brutta piaga alla tibia - me la toglierà quando gli piaccia: sarà Lui il<br />

medico» (Processo, teste 88, p. 257). E ad un altro che aveva osservato la gravità<br />

<strong>del</strong>la ferita nella gamba destra - gliela aveva procurata, dice, il diavolo - e che lo<br />

esortava a farsi curare, rispose: « Lascia andare, figliolo, lascia andare: ci penserà il<br />

buon Dio» (Processo, teste 266, p. 550). E chiuse il discorso.<br />

Commenti? Li farà il lettore. A me basta aver narrato i fatti; per il resto rimango a<br />

considerare, ammirato, la forza sovrumana di questo gracilissimo uomo.<br />

Non posso però tacere quanto narra il primo biografo sulla compiacenza <strong>del</strong> Cielo<br />

per questa «filosofia» di Nicola circa la guarigione dalle malattie, compiacenza che<br />

non dispensa nessuno dall'obbligo di curarsi ma dimostra quanto sia <strong>cara</strong> al Signore<br />

l'eroica fiducia che Egli stesso ispira qualche volta nel cuore dei suoi santi. «Ci<br />

penserà il buon Dio» aveva detto Nicola, e Dio ci pensò, se non in quel caso in un<br />

altro più grave.<br />

Una volta - l'indeterminatezza è <strong>del</strong>la fonte -, Nicola s'ammalò tanto gravemente<br />

da far dubitare <strong>del</strong>la sua vita. Al santo la malattia parve strana al punto che pensò a<br />

una cattiveria <strong>del</strong> diavolo, una <strong>del</strong>le solite. Intensificò pertanto la sua preghiera alla<br />

Vergine Maria e a Sant'<strong>Agostino</strong>. Dopo non molto l'una e l'altro gli apparvero in<br />

sogno. L'infermo, fuori di sé dalla gioia, rivolto alla signora raggiante di luce, le<br />

chiede: chi sei tu, signora, che ti degni di venire a me che sono polvere e cenere?<br />

Maria rispose: «Sono la Madre <strong>del</strong> tuo Salvatore che insieme ad <strong>Agostino</strong>, tu hai<br />

tanto invocato: siamo venuti per curarti». E continuò: «Nel nome <strong>del</strong> mio Figlio Gesù<br />

Cristo fa' chiedere un pane fresco a una donna - e gli indicò il luogo sulla piazza -,<br />

intingilo nell'acqua, mangialo e guarirai».<br />

Svegliatosi, il santo chiamò il fratello che dormiva vicino e, senza dirgli nulla<br />

<strong>del</strong>la visione, lo pregò di andare a chiedere per amore di Cristo un pane fresco alla<br />

persona indicata. Il fratello andò, chiese ed ottenne il pane, lo intinse nell'acqua, lo<br />

48


diede al santo; il santo ne mangiò devotamente un pezzettino e guarì. A guarigione<br />

avvenuta, Nicola, per soddisfare la giusta curiosità <strong>del</strong> fratello infermiere e degli altri<br />

confratelli, avrà raccontato il sogno. Così sogno e guarigione sono arrivati al primo<br />

biografo e da questi a noi.<br />

Ma Nicola deve aver detto di più. Deve aver raccomandato a tutti di prendere un<br />

po' di pane intinto nell'acqua e di mangiarne in onore di Maria, e invocando il suo<br />

nome, quando si vuol chiedere la grazia <strong>del</strong>la liberazione dai mali. Il fatto sta che da<br />

questo episodio è nata la consuetudine, tanto diffusa e tanto benefica, di benedire i<br />

panini di San Nicola.<br />

Il nome di Maria e quello <strong>del</strong> suo servo fe<strong>del</strong>e sono restati strettamente uniti<br />

nell'uso di questi panini e per quest'atto di devozione e di fede Dio ha concesso tante<br />

grazie ai suoi figli nel corso dei secoli. Gioverebbe parlarne, ma per ora urge un altro<br />

argomento.<br />

Il lettore vuoi sapere qualcosa di più sulle cattiverie <strong>del</strong> diavolo a cui si è<br />

accennato.<br />

49


CAPITOLO VIII<br />

«IL POTERE DELLE TENEBRE»<br />

Mi riferisco al fatto più strano e più sconcertante <strong>del</strong>la vita di Nicola: le<br />

vessazioni diaboliche.<br />

Rientrano anch'esse nell'ambito <strong>del</strong>l'ascetismo e danno a questo un crisma di<br />

eroicità.<br />

Nel parlarne occorre, a mio avviso, sfuggire a due scogli: alla facile credulità, che<br />

ascrive a forze ultraterrene fenomeni che trovano la spiegazione nell'ambito <strong>del</strong>la<br />

natura, e all'ostinata incredulità, che esclude a priori o l'esistenza <strong>del</strong> diavolo o la<br />

possibilità che Dio permetta che i suoi santi, a cui è sempre vicino e che divinamente<br />

ama, siano tormentati da forze spirituali avverse. Come sfuggirvi? Mi pare che la via<br />

sia una sola, ma che includa insieme tre ordini di considerazioni: 1) volgere uno<br />

sguardo all'agiografia cristiana, che non è nuova a questi fenomeni; 2) assolvere con<br />

scrupolo il compito <strong>del</strong>lo storico, che ha come guida due leggi: non dire nulla di falso<br />

e non tacere nulla di vero; 3) cercare, senza esclusivismi aprioristici, la spiegazione<br />

dei fatti. E quello che tenterò di fare.<br />

1. AGIOGRAFIA CRISTIANA<br />

Le vessazioni diaboliche costituiscono un capitolo non breve <strong>del</strong>l'agiografia<br />

cristiana tanto antica che moderna. Occorre prenderne atto. E costituiscono altresì un<br />

capitolo difficile <strong>del</strong>la direzione spirituale che insegna il modo di discernere certi<br />

fenomeni e di sostenere e guidare chi ne va soggetto. Sarebbe utile uno sguardo sulla<br />

storia di questa agiografia tanto ricca di eroismi e di tormenti. Dai tempi degli antichi<br />

padri <strong>del</strong> deserto fino ai nostri si raccoglierebbe una larga messe di esempi.<br />

Lasciamo pure da parte i padri antichi che forse qualche volta hanno visto l'opera<br />

<strong>del</strong> diavolo dove questa non c'era e la cui vita, <strong>del</strong> resto, è per noi poco o per nulla<br />

documentata; lasciamoli pure, dico, da parte, ma dal medioevo in poi fino alla soglia<br />

<strong>del</strong> nostro secolo, per non parlare anche di questo, quando la documentazione è più<br />

ampia e più certa, troviamo una serie di fatti o alte figure di santi e sante, come la<br />

contemporanea e consorella Chiara da Montefalco, Margarita da Cortona, Maria<br />

Maddalena de' Pazzi, Francesco Saverio, Caterina da Siena, Teresa d'Avila, il Curato<br />

d'Ars, Giovanni Bosco e, per citare l'esempio d'una fragile e <strong>del</strong>icata figura ma la cui<br />

breve storia è tanto documentata, Gemma Galgani, nella cui vita occupa un posto più<br />

o meno ampio l'argomento <strong>del</strong>le vessazioni diaboliche. O si tratta di apparizioni<br />

demoniache come narra di se stessa Teresa d'Ávila, o d'insistenti e terrificanti rumori<br />

come si sa essere accaduto al Curato d'Ars e a Don Bosco, o di percosse e ferite come<br />

si legge nelle bolle di canonizzazione di Caterina da Siena e di Francesco Saverio o<br />

tentativi di soffocamento - volebat earn subfocare - come si legge nel processo di<br />

Chiara da Montefalco, (p. 16).<br />

Nel caso <strong>del</strong>la «povera Gemma» sembra che il demonio abbia raccolto e messo in<br />

opera tutte le sue arti nocive. Il p. Zoffoli, scrittore serio e ben documentato, ne parla<br />

50


a più riprese e a lungo nella sua storia di Santa Gemma Galgani (E. Zoffoi C.P., La<br />

povera Gemma. Saggi storico-teologici, Roma 1957).<br />

2. LA STORIA<br />

Noi vediamo un po' più da vicino che cosa dica la storia intorno al nostro santo.<br />

Intanto sappiamo che la sua, anche se triste (e gloriosa insieme), non fu un'esperienza<br />

isolata nella storia <strong>del</strong>la santità.<br />

Il primo a narrarcela fu certamente, a mio parere, Pietro da Monterubbiano.<br />

Questi, raccogliendo le notizie che gli provenivano dai confratelli o dagli amici che<br />

avevano conosciuto Nicola, non solo parla in genere <strong>del</strong>le vessazioni diaboliche<br />

subite dal santo, ma, scendendo ai particolari, le distribuisce in ben cinque sezioni<br />

secondo le cinque forme che esse presero.<br />

Il testo <strong>del</strong> primo biografo passò pari pari ai commissari <strong>del</strong> processo: il lettore<br />

può ritrovarlo (vedi sopra p. 26-7) nei cinque capitoli che costituiscono l'articolo 20°.<br />

Fu un'ottima idea quella dei commissari. I fatti erano così straordinari e così<br />

circostanziati che valeva la pena di venire a chiaro offrendo ai testi l'opportunità di<br />

testimoniare sull'argomento. Così pensarono e così fecero. Con quale risultato? Ecco<br />

il punto.<br />

A una lettura superficiale può sembrare che ne abbiano ricavato poco o nulla, ma<br />

se si legge di nuovo attentamente ci si accorge che i risultati non furono né <strong>del</strong>udenti<br />

né pochi: la sostanza <strong>del</strong>l'articolo deve dirsi confermata, anche se non tutti i capitoli<br />

sono stati confermati alla stessa maniera.<br />

Molti dei testi interrogati in proposito (non tutti deponevano su tutti gli articoli)<br />

risposero di non saperne nulla, altri dissero di non saperne se non de auditu, che era<br />

una formula frequentissima con la quale i testi rispondevano a molte domande.<br />

Questa volta la ragione <strong>del</strong>la risposta era più ovvia. Chi poteva dire di essere stato<br />

presente alle vessazioni diaboliche, almeno a quelle più gravi - le percosse - e di aver<br />

visto il diavolo mentre le metteva in opera? Bene a ragione il teste Giovanni da<br />

Montecchio, che era convissuto molto tempo con Nicola, si appella alle confidenze di<br />

lui. Parlando <strong>del</strong>le tentazioni in genere dice: «Io non le ho viste (!), ma le ho intese<br />

dire più volte dallo stesso frate Nicola»; e <strong>del</strong>le percosse in particolare afferma: «Ho<br />

inteso dire dallo stesso frate Nicola» che più volte il diavolo lo aveva picchiato»<br />

(Processo, teste 7, pp. 86-87).<br />

E la fonte più sicura: di certi fatti, per cui portava sulle membra le gravi ferite, la<br />

ragione la poteva dare solo lui: Nicola. Un altro segno di quella confidente amicizia<br />

di cui ho parlato sopra.<br />

Questo capitolo <strong>del</strong>le percosse torna spesso nella deposizione dei testi. La notizia<br />

viene attribuita ai frati di Tolentino contemporanei <strong>del</strong> santo: il teste 154, padre<br />

Guglielmo da Montelparo, lettore, aveva sentito dire da alcuni frati, di cui non<br />

ricordava il nome, che molto spesso era stato bastonato dal diavolo (Processo, teste<br />

154, p. 374).<br />

Altri si appellano alla stessa fonte per tutto l'articolo, che comprendeva,<br />

ricordiamolo, cinque capitoli, e non dicono altro (Processo, teste 1, p. 73; teste 368,<br />

p. 640); altri, sul tema generico <strong>del</strong>le tentazioni e <strong>del</strong>le percosse temptationes et<br />

51


verberationes - alla notorietà pubblica: est pubblica vox et fama (Processo, teste 15,<br />

p. 116).<br />

Se nel processo ci fosse solo questo potremmo restare <strong>del</strong>usi, benché a torto,<br />

poiché l'appellarsi alla testimonianza di Nicola è una garanzia certa di verità. Ma c'è<br />

di più. Alcuni testi sono stati presenti non già alle percosse (e come potevano<br />

esserlo?) ma alle conseguenze sul corpo gracile e <strong>del</strong>icato di Nicola.<br />

Padre Gualtiero da San Severino, il teste n. 4, che era convissuto con il santo,<br />

dopo aver detto che il contenuto <strong>del</strong>l'articolo 20° lo conosceva per sentito dire dai<br />

frati, aggiunge di scienza propria questo importante particolare: «Una notte Nicola<br />

s'era levato per pregare. Voleva recarsi in chiesa, ma, avendola trovata chiusa, volle<br />

entrare nella sala <strong>del</strong> refettorio dove, sopra la porta, era dipinta una immagine <strong>del</strong><br />

crocifisso, quando fu afferrato e gettato violentemente a terra. Io e molti confratelli<br />

che riposavamo nel dormitorio, sentendo Nicola gemere e gridare, ci alzammo per<br />

soccorrerlo: lo trovammo che giaceva in terra gravemente prostrato e che gemeva.<br />

Non vedemmo nessuno se non lui, e perciò credemmo, io e gli altri confratelli, che<br />

quel male gli era stato fatto dal diavolo» (Processo, teste 4, p. 80).<br />

A padre Gualtiero fa seguito padre Ventura, il quale, anche egli, aveva conosciuto<br />

Nicola: era stato 21 anni con lui a Tolentino e per oltre 3 anni a suo particolare<br />

servizio. Questi depone su tutti e cinque i capitoli <strong>del</strong>l'articolo. Ecco come. Per il<br />

primo - estinzione e frattura <strong>del</strong>la lampada - si richiama a Fr. Giovannuzzo da<br />

Tolentino; per il secondo - strani rumori sul tetto <strong>del</strong>l'oratorio - a Fr. Giovannuzzo e a<br />

Fr. Simone da Belforte che affermavano di essere stati presenti; sul terzo narra quanto<br />

segue: «io non ho visto quanto è detto nel capitolo (si noti la cautela <strong>del</strong> teste per non<br />

dire più di quanto avesse personalmente costatato; cautela inutile però, perché la cosa<br />

era evidente: nessuno poteva pensare che avesse assistito alle percosse; eppure<br />

v'insiste), ma una notte udii Nicola che gridava fortemente e si lamentava. Io e Fr.<br />

Giovannuzzo e Fr. Simone, che dormivamo vicino alla sua camera, accorremmo non<br />

sapendo perché gridasse. Lo trovammo gravemente bastonato e vedemmo in molte<br />

parti <strong>del</strong> corpo le lividure dei colpi. Dicemmo a Nicola: che è successo, fratello?<br />

Rispose: nulla; andate, figlioli miei, andate a dormire e riposate: a me lasciatemi stare<br />

qui. Altro non so, perché non fui presente alle bastonature (!), benché ho visto le<br />

cicatrici e ho udito le grida ». Questo teste, pur temendo di dire troppo, dice molto: ha<br />

udito le grida, è accorso per soccorrere, ha visto le ferite, ha raccolto le umili e serene<br />

parole <strong>del</strong> santo. Non è poco.<br />

Sul quarto capitolo - la rattoppatura <strong>del</strong>la tonaca - rimanda a Fr. Simone da<br />

Belforte, a Fr. Tommaso e Fr. Bentivoglio da Tolentino; sul quinto - le percosse<br />

avanti al refettorio - si rimette agli stessi religiosi, dai quali aveva appreso che le<br />

percosse questa volta furono tanto forti che Nicola non riacquistò più la sua primitiva<br />

salute (Processo, teste 172, pp. 403-404). Il primo biografo ci dice che restò<br />

claudicante e dovette usare, d'allora in poi, il bastone (Vita, 5, 46).<br />

Sulle cicatrici c'è un altro teste che depone: Berardo Appillaterra. Avendo sentito<br />

dire che Nicola era stato percosso dal diavolo, volle andare a sincerarsi: voleva sapere<br />

e vedere. Ne parlò a Nicola e chiese, arditamente, di poter vedere le ferite <strong>del</strong>le<br />

percosse, ma Nicola gli rispose con un'espressione che doveva essergli abituale in<br />

simili occasioni, arguta insieme ed amichevole: «Va' là, bambinone, gli disse, non<br />

52


credere a tali cose!». Berardo insisté. In quel mentre sopraggiunse il <strong>Priore</strong>. Il teste ne<br />

approfittò: chiese che comandasse a Nicola di fargli vedere le ferite. Strana domanda<br />

da farsi a un superiore! Ma Berardo doveva essere un personaggio e un uomo molto<br />

serio e amico <strong>del</strong> convento: il <strong>Priore</strong> cedette. I tre si ritirarono nel refettorio, chiusero<br />

la porta e Nicola, umile e obbediente come sempre, fece vedere le ferite. Unica difesa<br />

alla sua umiltà fu la raccomandazione: «Ti prego, Berardo, per amor di Dio e per<br />

l'amore che mi porti, non dire nulla a nessuno» (Processo, teste 16, pp. 121-122).<br />

Voleva conservare la sua privatezza, voleva restar solo con il suo Dio a<br />

combattere contro le forze <strong>del</strong> male.<br />

Un altro teste che depone diffusamente su questi fatti è Fr. Giovannuzzo. Aveva<br />

10-12 anni quando fu destinato ad infermiere di Nicola, 34 quando deponeva nel<br />

processo. Prestò il suo servizio negli ultimi tre anni di vita <strong>del</strong> santo: ricordava bene i<br />

fatti che lo riguardavano, quelli, soprattutto, più straordinari. Anch'egli, per scrupolo<br />

di sincerità, dichiara di non aver visto il diavolo, anch'egli per qualche capitolo<br />

<strong>del</strong>l'articolo, che pur generalmente conferma, si appella a ciò che ha sentito dire,<br />

come per il capitolo quarto (la rattoppatura <strong>del</strong>la tonaca): «Disse di non saperne nulla<br />

nisi de auditu». Ma in altri capitoli la sua testimonianza è diretta e preziosa, come<br />

sulla estinzione e rottura <strong>del</strong>la lampada che descrive ampiamente. Interessante la<br />

testimonianza sulle bastonature. «Sebbene non vedessi il diavolo corporalmente, più<br />

volte e in ore diverse ho sentito il rumore dei colpi e <strong>del</strong>la violenza che si esercitava<br />

sul corpo di Nicola... Le bastonature avveniva no di notte e nei tre anni in cui assistei<br />

Nicola avvenne infinite volte... Non fui presente alla bastonatura sulla porta <strong>del</strong><br />

refettorio perché ero andato a prendere il fuoco per portarlo all'altare, ma quando<br />

tornai presso Nicola che frattanto era rientrato nella sua camera, lo trovai che<br />

mormorava sommessamente e mi disse con grande bontà: "Figlio mio, aiutami,<br />

perché ho molte battiture nel corpo. Tuttavia, con l'aiuto <strong>del</strong>la beata Maria, il diavolo<br />

non mi vincerà"».<br />

Belle e illuminanti parole! Esse aprono un varco sulla vita interiore <strong>del</strong> santo. Nel<br />

forte <strong>del</strong>la tempesta, quando le forze <strong>del</strong> male si scagliavano furibonde contro di lui,<br />

egli non teme; non teme perché ha fiducia nella protezione di Maria, colei che ha<br />

vinto il demonio.<br />

Interrogato se avesse visto le cicatrici, il teste rispose: «Ho visto le tumefazioni<br />

nere sulla faccia, sulle spalle, sulle braccia di Nicola. A causa di esse dovette tenere il<br />

letto per 20 giorni. Penso che gli altri frati ritenessero che fosse stato percosso dal<br />

diavolo benché egli occultasse le cose con molta vigilanza» (Processo, teste 221, pp.<br />

482-483).<br />

3. TEOLOGIA<br />

A questo punto la storia, dopo aver costatato i fatti e credo che l'abbia costatati<br />

attraverso la testimonianza <strong>del</strong> primo biografo e <strong>del</strong> processo -, passa la mano, per<br />

trovarne una spiegazione, alla teologia. Questa non ricorre subito ai principi che le<br />

sono propri, ma si attarda prima di tutto nell'ambito <strong>del</strong>la ragione. La ragione,<br />

53


chiamata in causa, non ha molto da dire. Può addurre due spiegazioni: l'illusione e<br />

l'incidente naturale. Ma la prima spiega poco, la seconda meno ancora.<br />

L'illusione potrebbe avere una qualche parvenza di vero se applicata ad alcuni dei<br />

fatti narrati, non ne ha nessuna se applicata a tutti: reclamano il rumore <strong>del</strong>le botte, il<br />

lamento di Nicola, l'accorrere dei confratelli, le cicatrici <strong>del</strong>le ferite, il letto tenuto per<br />

giorni e giorni. E l'incidente naturale spiega di più? Proprio no. I testi parlano di<br />

Nicola che dà come spiegazione l'intervento <strong>del</strong> demonio e vuole a tutti i costi<br />

conservare per sé il geloso segreto. È possibile questo quando egli sapeva che la<br />

causa <strong>del</strong> suo male era, per esempio, una caduta? E i confratelli si sarebbero tutti<br />

ingannati pensando che si trattasse di vessazioni diaboliche mentre sapevano o<br />

potevano sospettare che si trattava d'un banale incidente?<br />

Non trovando una spiegazione nell'ambito <strong>del</strong>la ragione, la teologia la cerca<br />

nell'ambito <strong>del</strong>la fede. Da essa emergono tre verità che la teologia stessa difende e<br />

chiarisce: l'esistenza <strong>del</strong> demonio, l'impossibilità che esso nuoccia agli uomini senza<br />

il permesso di Dio, la possibilità che Dio permetta che eserciti il suo influsso perverso<br />

anche sensibilmente, e perfino nei santi, allo scopo, in questo caso, di far risplendere<br />

la loro virtù. È il caso appunto <strong>del</strong> nostro santo.<br />

Che le vessazioni diaboliche fossero permesse da Dio a questo preciso scopo, lo<br />

confessa suo malgrado lo stesso autore. Nicola lagnandosi di subire un brutto scherzo<br />

da «colui che non è degno di essere nominato», come egli chiamava il demonio, si<br />

sentì rispondere: «Sì, ti ho fatto io il brutto scherzo, e te ne farò altri; ma, visto che in<br />

questo modo non riesco a superarti, cambierò registro». «E chi sei tu? » replicò il<br />

santo. La risposta non si fece attendere: «Io sono Belial che sono stato incaricato di<br />

essere uno stimolo <strong>del</strong>la tua santità». Il santo non si confuse, ma replicò fiducioso con<br />

il versetto di un salmo: «Se il Signore è mio aiuto, non temerò ciò che può farmi<br />

l'uomo» (Vita, 3, 26; Processo, p. 20). Uno stimolo <strong>del</strong>la sua santità!<br />

Questo scopo appare più chiaro se si pensa che le infestazioni diaboliche<br />

colpivano Nicola o mentre pregava o mentre si accingeva a pregare; segno evidente<br />

che questo cardine fondamentale <strong>del</strong>la sua vita, la preghiera, mandava sulle furie il<br />

demonio che faceva di tutto per distoglierlo. Con quale effetto lo vedremo subito.<br />

Intanto vorrei aggiungere che, essendo Nicola un confessore assiduo e ricercato a cui<br />

accorrevano molti peccatori - diremo anche questo -, forse lo scatenarsi <strong>del</strong> potere<br />

<strong>del</strong>le tenebre durante la notte era per lui un segno, come lo sarà per il Curato d'Ars,<br />

che qualche «grosso pesce» - così lo stesso Curato d'Ars chiamava i grandi peccatori<br />

che accorrevano a lui - sarebbe venuto il giorno dopo al suo confessionale e avrebbe<br />

ottenuto, mediante il suo ministero, il perdono e la riconciliazione con Dio.<br />

Dirò terminando che i fatti, tristi e gloriosi, che ho ricordato, mi richiamano alla<br />

mente la preghiera a San Michele Arcangelo che si recitava prima <strong>del</strong>l'ultima riforma<br />

liturgica alla fine <strong>del</strong>la Messa. Per chi non l'avesse intesa o non la ricordasse più,<br />

eccola tradotta dal bel latino di Leone XIII: «San Michele Arcangelo, difendici nella<br />

battaglia. Contro la nequizia e le insidie <strong>del</strong> diavolo siici presidio: Dio gli comandi, te<br />

ne supplichiamo. E tu, principe <strong>del</strong>le milizie celesti, satana e gli altri spiriti maligni,<br />

che vagano nel mondo per la perdizione <strong>del</strong>le anime, cacciali nell'inferno».<br />

Non certo questa, ma preghiere simili Nicola le avrà recitate in difesa sua e degli<br />

altri. E fu vittorioso. E molti con lui.<br />

54


CAPITOLO IX<br />

L'UOMO DELLA PREGHIERA<br />

Così possiamo definire il nostro santo; tanto fu assiduo, insistente, incredibile<br />

l'impegno che mise nella preghiera. E chi avrebbe potuto crederlo se i testimoni<br />

oculari non ce lo avessero detto e ripetuto con tanta chiarezza? Anche in questo,<br />

figlio spirituale <strong>del</strong> vescovo d'Ippona che aveva fatto <strong>del</strong>la preghiera l'anima <strong>del</strong>la sua<br />

vita e aveva molto scritto sulla preghiera (cfr. A. <strong>Trapè</strong>, Sant'<strong>Agostino</strong> mistico, in<br />

Mistica, Città Nuova, pp. 315-360). Del resto nella Regola, anche se breve, aveva<br />

inserito principi fondamentali sulla preghiera come quello <strong>del</strong>la necessità - insistete<br />

nella preghiera -, <strong>del</strong>la interiorità - meditate nel cuore ciò che proferite con la bocca<br />

-, <strong>del</strong>la progressività - le vostre preghiere quanto più frequenti tanto più dovete farle<br />

più perfette -, <strong>del</strong>la preghiera privata e <strong>del</strong> canto (cfr. Sant'<strong>Agostino</strong>, La Regola,<br />

Introduzione e commento di A. <strong>Trapè</strong>, Milano 1971, pp. 178-194).<br />

I commissari <strong>del</strong> processo dedicarono all'argomento tre articoli, segno evidente<br />

che la fama di uomo di preghiera era diffusa dovunque, a Tolentino, nelle Marche, e<br />

in molte città fuori <strong>del</strong>la regione. Un articolo riguarda l'assiduità <strong>del</strong>la preghiera, un<br />

altro le ore che impiegava nella preghiera, il terzo i luoghi dove pregava.<br />

1. ASSIDUITÀ DELLA PREGHIERA: «SEMPER ORABAT»<br />

L'articolo riguardante l'assiduità nella preghiera suona così: «Oltre le ore stabilite<br />

(dal regolamento comunitario), nelle quali non mancava mai di essere il primo,<br />

pregava sempre». Non si poteva dire più brevemente né meglio. Per capirne la<br />

portata occorre ricordare che quei religiosi, venuti dagli eremi, dedicavano veramente<br />

molto tempo alla preghiera in comune. Uno storico recente <strong>del</strong>l'Ordine, bene<br />

informato, riassume così la recita <strong>del</strong>l'ufficio: «La divisione <strong>del</strong>l'ufficio divino in<br />

diurno e notturno corrispondeva allora al significato <strong>del</strong>le parole. Durante la notte, in<br />

un'ora che variava secondo le stagioni <strong>del</strong>l'anno e i costumi <strong>del</strong> paese, si recitava il<br />

mattutino in coro o nella chiesa, prima quello <strong>del</strong>l'ufficio <strong>del</strong>la Vergine e poi quello<br />

proprio <strong>del</strong> giorno. Poco prima <strong>del</strong>l'alba si recitavano le lodi, seguite da prima, terza e<br />

dalla Messa conventuale; sesta e nona si recitavano a volte dopo la Messa o in altri<br />

casi nell'ora corrispondente; sempre si recitavano i vespri nel tardo pomeriggio e<br />

compieta alla sera. All'ufficio divino, che era più lungo di quello di oggi (con<br />

riferimento non solo a quello postconciliare ma anche a quello preconciliare), e<br />

all'ufficio <strong>del</strong>la Vergine, di cui si dovevano recitare anche le ore diurne, gli<br />

agostiniani di quell'epoca recitavano ogni giorno la vigilia mariana (chiamata dalle<br />

parole iniziali "Benedicta tu") che comprendeva tre salmi e tre lezioni in onore di<br />

Nostra Signora <strong>del</strong>la Grazia. Recitavano anche tutte le settimane l'ufficio dei defunti<br />

cantando un notturno e la Messa con la processione e le preghiere nel cimitero <strong>del</strong>la<br />

comunità» (D. Gutiérrez, Los agustinos en la edad media, Roma 1977, I/2, p. 114).<br />

L'ufficio, tutto o in parte, veniva cantato. Dicono le Additiones di Tommaso da<br />

Strasburgo (1348) a proposito <strong>del</strong> primo capitolo <strong>del</strong>le Costituzioni: «I priori<br />

55


provinciali in tutti i conventi <strong>del</strong>la loro provincia abbiano una vigilante cura che<br />

l'ufficio divino sia recitato distintamente, con le dovute pause e adagio e che si<br />

osservi in tutto la forma <strong>del</strong>la Curia Romana... E tutte le ore canoniche, le diurne e le<br />

notturne siano cantate cum nota, e anche sesta... Anche la vigilia <strong>del</strong>la Beata Vergine<br />

sia recitata ogni giorno, dopo compieta, sine nota; ma al venerdì cum nota... <strong>Alla</strong> fine<br />

di ogni ora, in ginocchio, si reciti la Salve, Regina col versetto Ave, Maria e la<br />

preghiera: Concedi, o Dio misericordioso... » (Const. c. 1, pp. 32-33).<br />

A questa preghiera si uniformava, non v'è dubbio, la comunità di Tolentino che<br />

doveva essere, quale comunità di formazione e di studio, numerosa ed esemplare. E<br />

Nicola era sempre il primo in coro. Anche se fuori casa per la visita agli infermi, era<br />

sollecito a tornare (Processo, teste 16, p. 123). Ma questa sollecitudine e fe<strong>del</strong>tà non<br />

era che un aspetto <strong>del</strong>la sua vita di preghiera.<br />

Un teste depone: «Ho visto e sono stato presente che non solo pregava (in<br />

comune) alle ore stabilite ma le raddoppiava» (Processo, teste 3, p. 77). Non sarebbe<br />

stato poco: le ore stabilite, come si è visto, non erano scarse. Ma c'è molto di più. E<br />

qui comincia lo stupore. Un altro teste, il confratello Fr. Giovanni da Monticolo<br />

(Treia), afferma: «Ho visto che vegliava molto e dormiva poco perché la maggior<br />

parte <strong>del</strong> tempo lo spendeva pregando tanto di notte che di giorno» (Processo, teste 8,<br />

p. 86). Un altro si esprime così: «Pregava sempre fuori <strong>del</strong>le ore <strong>del</strong> pasto e <strong>del</strong> riposo<br />

dal quale si asteneva per quanto gli era possibile» (Processo, teste 14, p. 108); ed un<br />

altro ancora: «Di giorno, quando non era impedito dalle confessioni e dagli impegni<br />

<strong>del</strong>l'obbedienza, pregava sempre» (Processo, teste 10, p. 95).<br />

2. LA SUA GIORNATA<br />

Questo «pregava sempre», ripetuto con tanta insistenza, ci fa nascere la brama di<br />

sapere quando e quanto pregasse in realtà. I commissari ed i testi <strong>del</strong> processo la<br />

soddisfano ampiamente proponendo e confermando l'articolo n. 17. Dicono in tutte<br />

lettere che egli pregava «da dopo compieta fino al canto <strong>del</strong> gallo, da dopo il<br />

mattutino fino a giorno, da dopo la messa, se non era occupato nelle confessioni, fino<br />

a terza, da dopo nona, se non era intento ai comandi <strong>del</strong>l'obbedienza, fino ai vespri»<br />

(Processo, p. 20; teste 3, p. 76; teste 4, p. 80; teste 9, p. 90; teste 221, p. 481; teste<br />

265, p. 546; teste 271, p. 364; ecc.).<br />

Se ci fosse possibile tradurre con esattezza queste indicazioni liturgiche in termini<br />

di ore, con altrettanta esattezza potremmo sapere qual era la giornata di Nicola e<br />

seguirlo ora dopo ora nell'arco <strong>del</strong> giorno e <strong>del</strong>la notte. Ma a che ora precisamente i<br />

religiosi cantavano il mattutino? E quel canto <strong>del</strong> gallo, che sicuramente era il primo -<br />

alcuni testi si riferiscono al termine <strong>del</strong> primo sonno -, quale ora indica con<br />

precisione?<br />

In ogni modo, senza andare troppo lontano dal vero, si può collocare la compieta,<br />

che era la preghiera <strong>del</strong>la sera e l'ultimo atto comune <strong>del</strong> giorno, alle ore 20; il primo<br />

canto <strong>del</strong> gallo o il termine <strong>del</strong> primo sonno alle 23; il mattutino alle 2 dopo<br />

mezzanotte quando i religiosi avevano avuto l'opportunità di dormire almeno 5 ore<br />

(dopo il mattutino, che durava oltre un'ora, avevano la possibilità di dormire ancora<br />

56


due ore buone, raggiungendo così le 7 ore di sonno che i severi medici <strong>del</strong>la scuola<br />

salernitana concedevano appena ai pigri); la messa alle 6, terza alle 9, sesta a<br />

mezzogiorno prima <strong>del</strong> pasto, nona alle 15, i vespri verso le 18 prima <strong>del</strong>la cena.<br />

Se questo calcolo non si allontanasse molto dalla realtà, Nicola, quando non<br />

intervenivano le confessioni o l'obbedienza (e questa, dico l'obbedienza, includeva<br />

anche la predicazione), pregava dalle 20 alle 23, dalle 2 alle 6, dalle 6 alle 9, dalle 15<br />

alle 18 = 13 ore, santa messa compresa. E il sonno? Non più di tre ore (dalle 23 alle<br />

2) o al massimo quattro, se il mattutino era stabilito in un'ora più tarda <strong>del</strong>la notte, per<br />

es. alle 3. E aveva tempo, inoltre, non solo di partecipare ai pasti comuni e alla<br />

comune ricreazione, dove, ilare e amabile com'era, sarà stato l'anima <strong>del</strong>la<br />

conversazione, ma anche di leggere la Scrittura di cui era avidissimo, di studiare, di<br />

preparare le sue prediche. Tutto ciò perché non sapeva che cosa significasse perder<br />

tempo: nec aliquid perdebat de tempore (Processo, teste 9, p. 90);<br />

e un altro teste assicura che non fu mai trovato, anche per un po' di tempo, ozioso<br />

(Processo, teste 14, P. 108).<br />

Proprio come il suo padre spirituale che ebbe una tale concentrazione di animo e<br />

un tale impegno per non perdere un minuto di tempo - le famose «stillae temporis»,<br />

che gli erano sommamente care (Confess. 11, 2, 2) - da essere a tutti esempio e<br />

oggetto di meraviglia.<br />

Pregava dunque in chiesa, nella sacrestia, nel refettorio, nel chiostro, nella camera<br />

(Processo, art. 19; teste 10, p. 95; teste 3, p. 97).<br />

Il silenzio prescritto dalle Costituzioni avvolgeva la vita <strong>del</strong>la comunità in un<br />

alone di misticismo che conciliava la riflessione e la preghiera.<br />

«In coro, nel dormitorio, nel chiostro, e anche nel refettorio e nelle camere si<br />

osservi sempre nel nostro Ordine sommo silenzio». Era il principio generale.<br />

Vengono poi le specificazioni. «Nel dormitorio, dove i nostri frati possono leggere,<br />

pregare o anche scrivere o impegnarsi in qualche lavoro però senza far rumore e<br />

senza dar fastidio agli altri... In tutti gli altri luoghi adatti e liberi da ogni sospetto<br />

possono dedicarsi alla lettura, alla preghiera, alla salmodia... Nelle proprie camere,<br />

fuori <strong>del</strong> tempo destinato al riposo, leggano o preghino o facciano qualcosa di utile<br />

senza dar fastidio a chi dorme o ad altri che non dormano, e procurando con tutto<br />

l'impegno di conservare sommo silenzio» (Const. cc. 11 e 23). Se non hanno voglia di<br />

dormire.<br />

Bisogna dire che Nicola ha prevenuto il testo <strong>del</strong>le Costituzioni e ne ha superato il<br />

tenore. Vero esempio di preghiera e maestro di preghiera.<br />

Ricordiamo che fu maestro dei novizi. Ma di questo dopo. Per ora vediamo di<br />

enucleare il contenuto <strong>del</strong>le sue preghiere cercando di scoprire in esse le vibrazioni<br />

interiori che animavano la sua pietà.<br />

3. LE SUE DEVOZIONI<br />

Non c'è dubbio che il centro fosse la messa, che celebrava, come si dirà, ogni<br />

giorno e con abbondanza di lacrime, poi l'ufficio divino con i salmi, le letture bibliche<br />

e patristiche, gli inni, i responsori, gli inchini.<br />

57


Ma i testi hanno avuto cura di farci sapere di più. «Ho udito e sono stato presente:<br />

diceva continuamente i salmi graduali, l'ufficio dei defunti, i salmi penitenziali con le<br />

litanie e molte salutazioni alla Vergine Maria, sempre in ginocchio» (Processo, teste<br />

7, p. 86). E un altro che gli era stato molto vicino, il noto Fr. Giovannuzzo, attesta:<br />

«pregava devotissimamente e ogni giorno diceva le litanie con grande abbondanza di<br />

lacrime: faceva lo stesso quando pregava per i morti e soprattutto quando celebrava la<br />

messa; e diceva ogni giorno l'ufficio (votivo) <strong>del</strong>la croce di Nostro Signore Gesù<br />

Cristo» (Processo, teste 221, p. 481).<br />

Le sue devozioni particolari erano dunque: la croce, la Vergine Maria, i defunti; e<br />

poi la recita dei salmi penitenziali e dei salmi graduali. V'è in queste devozioni tutto<br />

un programma di vita spirituale che vale la pena di approfondire: ci rivelano le pieghe<br />

più riposte <strong>del</strong>l'animo <strong>del</strong> santo.<br />

a) La Croce. Per convincersi che la sapientia crucis sia il centro <strong>del</strong>la sapienza<br />

cristiana basta leggere San Paolo, il grande innamorato <strong>del</strong>la croce di Cristo (cfr. 1<br />

Cor 2, 2; Gal 2, 19; 5, 11; 6, 14; 6, 17). Sant'<strong>Agostino</strong>, che lo aveva letto e meditato a<br />

lungo, intraprese e portò avanti per quasi 20 anni la controversia pelagiana sull'unico<br />

motivo <strong>del</strong>la croce di Cristo: ne evacuetur crux Christi (1 Cor 1, 17); disse e ridisse al<br />

suo popolo che è una grande cosa conoscere (di scienza non solo nozionale ma<br />

affettiva) Cristo crocifisso - «Magnum est scire Christum crucijixum!» (Serm. 160, 3)<br />

-, che il cristiano deve pendere dalla Croce per tutta la vita (Serm. 205, 1); e perfino<br />

che è meglio essere attaccati alla Croce, l'albero sorto sulla sponda <strong>del</strong>le cose<br />

temporali per salvarci dal naufragio (In Ep. Io. tr. 2, 10), che disprezzare la Croce e<br />

conoscere con la mente ciò che Cristo è come Verbo (In Io. tr. 2, 3).<br />

Alle anime consacrate poi raccomandava di contemplare con tanto amore Cristo<br />

crocifisso da imprimerselo totalmente nel cuore: «toto vobis figatur in corde qui pro<br />

vobis fixus est in cruce»; vi si configga in tutto il cuore chi per voi è stato confitto in<br />

croce (De s. virg. 56, 56).<br />

Nicola apprese bene questa grande lezione. La croce di Cristo l'aveva proprio nel<br />

cuore. Pregava volentieri a refettorio dove c'era dipinta un'immagine <strong>del</strong> Crocifisso,<br />

al venerdì in sacrestia dov'era esposto alla venerazione un frammento <strong>del</strong> legno <strong>del</strong>la<br />

croce (Processo, teste 10, p. 95). Narra il primo biografo che l'aveva sistemato egli<br />

stesso in una teca argentea in forma di croce fabbricata con le sue stesse mani (Vita,<br />

5,49). In punto di morte se la fece portare per poter vedere ancora una volta e baciare<br />

quel legno che aveva portato il Redentore, e così, stretto ad esso, passare dalle sponde<br />

<strong>del</strong> tempo a quelle <strong>del</strong>l'eternità (Vita, 5, 49-50). Per questo, durante la vita, aveva<br />

recitato ogni giorno, così dice esplicitamente un teste, l'ufficio votivo <strong>del</strong>la croce, che<br />

diventava ovviamente un'intensa, appassionata meditazione <strong>del</strong>la passione di Cristo.<br />

L'amore è assimilativo. La lunga, amorosa meditazione lo portava ad unirsi tanto<br />

profondamente al Crocifisso da diventare, non solo per la dignità sacerdotale ma<br />

anche per quella <strong>del</strong>la imitazione, un alter Christus, e così lo videro i confratelli e le<br />

folle. Nella vita di Nicola non si parla di stimmate come in quella di tanti santi, come,<br />

per esempio, in quella <strong>del</strong>la consorella e contemporanea che viveva nel versante<br />

opposto dei Sibillini, in vista <strong>del</strong>la splendida valle di Spoleto, a Montefalco: Chiara<br />

58


<strong>del</strong>la Croce. Penso che non solo sia bene così, perché così Dio ha voluto, ma che sia<br />

anche, sotto un aspetto, meglio.<br />

Il nostro santo, pur restando un esemplare sublime di amore a Cristo crocifisso, ci<br />

è più vicino, è più simile a ciascuno di noi, più imitabile, anziché essere solo, per le<br />

stimmate, ammirabile.<br />

b) La Beata Maria. L’altro cardine <strong>del</strong>la devozione di Nicola era la Madonna, la<br />

Beata Maria, com’egli amabilmente diceva. È una devozione tenera e<br />

commovente.Da essa traspare l’affetto <strong>del</strong> figlio che si rifugia con piena fiducia nelle<br />

braccia <strong>del</strong>la madre. Nell’infermità invoca con estrema dolcezza: «O Beata Maria,<br />

aiutami»; contro gli assalti <strong>del</strong> demonio esclama sicuro: «Con l’aiuto <strong>del</strong>la Beata<br />

Maria non mi vincerà»; nel compiere un prodigio: «Prega Gesù Cristo, figlio <strong>del</strong>la<br />

Beata Maria e la Madre stessa».<br />

Oltre l’intero ufficio <strong>del</strong>la Madonna che recitava ogni giorno con la comunità<br />

religiosa, rivolgeva a lei molte «salutazioni». Il rosario? Forse. Era stato già<br />

promosso dal grande santo di Caleruega, San Domenico. In ogni modo molte<br />

avemarie. La prima parte senza dubbio, quella che contiene appunto il saluto<br />

<strong>del</strong>l’angelo e le parole ammirate di Elisabetta, parole divine, le une e le altre, che a<br />

ripeterle non stancano mai. E come possono stancare se sono rivolte a colei che è la<br />

più pura, la più bella, la più santa tra le pure creature? Meno ancora poteva stancarsi<br />

un cuore amante come quello di Nicola.<br />

Ma recitava anche la seconda parte, quella che proclama la maternità divina di<br />

Maria e implora la sua misericordia per il momento presente e per quello <strong>del</strong>la morte?<br />

Anche qui occorre rispondere con un forse. Questa seconda parte doveva esser stata<br />

composta - e qualcuno pensa che a comporla sia stato proprio il primo maestro <strong>del</strong>la<br />

scuola agostiniana, Egidio Romano, che Nicola può aver incontrato come Generale<br />

<strong>del</strong>l’Ordine se nel breve tempo <strong>del</strong> generalato ebbe tempo di passare in visita a<br />

Tolentino -, ma affermare che l’abbia recitata è un’altra cosa. Si può dire soltanto che<br />

essa rispondeva intimamente ai suoi sentimenti. Si sa che Nicola pregava molto per<br />

sé che si reputava un gran peccatore - per questo si confessava ogni mattina prima di<br />

celebrare la messa -, e per tutti i peccatori, particolarmente per quelli che si erano<br />

confessati o si sarebbero confessati da lui. E che cosa più naturale allora che<br />

interporre per essi l’intercessione di Maria?<br />

Quanto questa filiale e perseverante devozione fosse <strong>cara</strong> alla Madre celeste lo<br />

vedremo parlando <strong>del</strong>la morte <strong>del</strong> santo, che, come ci narra il primo biografo, fu<br />

allietata dall’apparizione o, per dir meglio, dalle apparizioni di lei.<br />

c) I defunti. Intanto parliamo di un’altra devozione, quella verso i defunti che<br />

esprimeva recitando per loro, come pare ogni giorno, l’ufficio apposito, che non era<br />

breve.<br />

Questa devozione è tra le più belle <strong>del</strong>la pietà cristiana, non solo perché attesta la<br />

fede nel purgatorio e ci mette in relazione con quelli che abbiamo amato in terra ed<br />

amiamo, ma anche perché è un atto di pura carità per coloro che sono, sì, salvi, ma<br />

che per accelerare la propria purificazione non possono far nulla.<br />

59


Dante Alighieri, poeta e teologo, fa dire ad uno di essi come motivo <strong>del</strong>l’ardente<br />

desiderio di essere ricordato ai vivi: «Che qui per quei di là molto s’avanza»:<br />

s’avanza verso la meta sospirata <strong>del</strong>la visione di Dio.<br />

La grande devozione di Nicola per i defunti ebbe origine o ricevette un forte<br />

incremento dalla visione di Valmanente. Non seppe dimenticarla più. Il primo<br />

biografo ce la narra con forti colori che cercheremo di raccogliere nelle pagine<br />

seguenti.<br />

d) I salmi penitenziali. Per ora vorrei mettere in rilievo un altro aspetto, non<br />

secondario, <strong>del</strong>la pietà <strong>del</strong> nostro santo: la recita quotidiana o almeno frequente - un<br />

teste dice: continue dicebat -, dei sette salmi penitenziali, che sono, com’è noto: 6; 32<br />

(31); 38 (37); 51 (50); 102 (101); 130 (129); 143 (142); con le litanie, che penso<br />

fossero le litanie dei santi, così belle nel loro universalismo logico-ecclesiale e nella<br />

consapevolezza dei mali che gravano sulla povera umanità.<br />

In questo Nicola, ancora una volta, ha voluto essere imitatore <strong>del</strong> suo padre<br />

spirituale,il quale con la coscienza vigile <strong>del</strong> convertito li ha commentati (vedi<br />

Esposizione sui Salmi, NBA, Città Nuova, voll. 25-28), li ha usati nelle sue<br />

Confessioni come espressione dei propri sentimenti, ne ha parlato spesso al popolo,<br />

all’estremo limite <strong>del</strong>la vita prima <strong>del</strong> passo fatale se l’è fatti scrivere su dei<br />

quadernoni appesi poi nella parete di fronte per poterli leggere dal letto; e li leggeva e<br />

piangeva copiosamente, ubertim flebam, dice il primo biografo, teste de visu<br />

(Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong>, 31, 2; p. 190).<br />

A somiglianza di <strong>Agostino</strong>, Nicola faceva di questi salmi l’espressione<br />

privilegiata dei suoi sentimenti interiori pienamente conformati al Vangelo che ci<br />

comanda di chiedere perdono con umiltà e sincerità dei nostri peccati, nostri e di tutta<br />

la Chiesa: rimetti a noi i nostri debiti.<br />

V’era poi in questa preghiera la consapevolezza <strong>del</strong> proprio sacerdozio, destinato,<br />

in unione con quello di Cristo, ad implorare il perdono per i peccati <strong>del</strong> popolo. Da<br />

questa consapevolezza le lacrime che accompagnavano la preghiera. Nelle litanie dei<br />

santi v’era, poi, l’impetrazione universale per le necessità <strong>del</strong>la Chiesa.<br />

È bello e commovente vedere un santo vissuto tanto innocentemente da poter<br />

supporre che abbia conservato intatta la stola battesimale, prendere le vesti <strong>del</strong><br />

penitente che implora, piangendo, la misericordia di Dio per i peccati <strong>del</strong> mondo.<br />

e) I canti <strong>del</strong>le ascensioni. Ma dove esplode tutta l’anima mistica di questo degno<br />

figlio <strong>del</strong> vescovo d’Ippona, è nella recita quotidiana dei canti <strong>del</strong>le ascensioni o canti<br />

dei gradini. Vanno dal 120 (119) al 134 (133) <strong>del</strong> salterio. Sono brevi ma carichi di<br />

alto lirismo. Furono scritti perché li cantassero i pellegrini che salivano a<br />

Gerusalemme. Si prestano quindi molto bene per esprimere il cammino spirituale <strong>del</strong><br />

cristiano verso la Gerusalemme celeste. Sono pertanto i canti <strong>del</strong>l’amore che sale,<br />

sale, vibrante di gioia, verso la contemplazione <strong>del</strong> volto di Dio.<br />

Furono molti cari ad <strong>Agostino</strong>. Li prese come programma <strong>del</strong>la sua conversione<br />

(Confess., 9, 2, 2), li ricordò nelle pagine più alte ed intense <strong>del</strong>le sue Confessioni, li<br />

spiegò con passione al popolo in altrettanti discorsi.<br />

60


Dice nelle Confessioni là dove paragona l’amore al peso dei corpi: «Il mio peso è<br />

l’amore, esso mi porta dovunque mi porto. Il tuo dono ne accende e ci porta verso<br />

l’alto. Noi andiamo e ci muoviamo. Saliamo la salita <strong>del</strong> cuore (Sl. 83, 6) cantando il<br />

cantico dei gradini. Del tuo fuoco, <strong>del</strong> tuo buon fuoco ardiamo e ci muoviamo<br />

salendo verso la pace di Gerusalemme. Quale gioia per me udire queste parole:<br />

“Andremo nella casa <strong>del</strong> Signore” (Sl. 121, 1). Là, collocati dalla buona volontà,<br />

nulla desidereremo se non rimanervi in eterno» (Confess. 13, 9, 10).<br />

Al popolo poi, nei discorsi su questi salmi, spiega che il cammino di ascesa si fa<br />

nel cuore - è questo il principio fondamentale <strong>del</strong>l’interiorità agostiniana -; si fa<br />

perciò non con i piedi ma con l’amore, partendo dalla valle <strong>del</strong> pianto (Sl. 83, 6), cioè<br />

<strong>del</strong>l’umiliazione e <strong>del</strong>l’afflizione - questa la ragione dei salmi penitenziali che<br />

<strong>del</strong>l’ascensione indicano l’inizio -, e tendente con l’avido desiderio - si ricordi che<br />

<strong>Agostino</strong> identifica desiderio e preghiera -, fino a incontrare il volto di Dio, nella<br />

Gerusalemme celeste, in quella «società ordinatissima e concordissima di coloro che<br />

godono di Dio e l’un <strong>del</strong>l’altro in Dio» (De civ. Dei, 19, 13).<br />

Nicola doveva leggere questi discorsi, forse furono proprio essi suggerirgli o<br />

almeno a confermargli la scelta di questi canti come espressione e nutrimento <strong>del</strong> suo<br />

anelito a Dio.<br />

Il processo purtroppo non ci parla <strong>del</strong>le sue ascensioni interiori, ma le due pietre<br />

che aveva in camera, sulle quali piegava le ginocchia nude e poggiava le braccia pur<br />

esse nude perché la stanchezza e il sonno non lo sorprendessero, furono le mute<br />

spettatrici di una vita di alta contemplazione. Non sapeva leggere le parole dei salmi,<br />

che qui non posso riportare neppure per saggio, senza vibrare interiormente e tendere<br />

con l’impeto <strong>del</strong> cuore - toto ictu cordis disse di sé <strong>Agostino</strong> (Confess. 9, 10, 24) -<br />

verso la pace di Gerusalemme.<br />

Ma si avrebbe torto a vedere in Nicola sono un contemplativo.<br />

61


CAPITOLO X<br />

L’APOSTOLO<br />

Fu anche apostolo, e un grande apostolo. Nulla di straordinario e di strepitoso nel<br />

suo apostolato, ma nel compimento quotidiano <strong>del</strong>la missione sacerdotale, di cui era<br />

profondamente compreso, quanto di straordinario anche se non di strepitoso! Di<br />

straordinario, dico, nell’amore generoso e fe<strong>del</strong>e, consapevole e forte per cui era<br />

sempre pronto a morire per Cristo e per il prossimo: pro Christo ed proximo non<br />

dubitabat mori, come dice, riassumendo tutto un programma di vita, il processo. A<br />

proposito <strong>del</strong> quale c’è da lamentare ancora una volta che questo aspetto <strong>del</strong>la vita di<br />

Nicola, che contiene un messaggio sacerdotale valido per tutti i tempi e da tutti<br />

imitabile, non abbia richiamato l’attenzione che doveva, se si accettui l’amore per i<br />

poveri. Potevamo saperne molto di più. Ma contentiamoci <strong>del</strong> poco che trapela qua e<br />

là dalla deposizione dei testi.<br />

Ho detto sopra che si può riassumere quest’intenso apostolato in quattro parole:<br />

Santa Messa, confessioni, predicazione, visita ai poveri e agli ammalati: quattro<br />

parole in ognuna <strong>del</strong>le quali c’è la storia intima di un sacerdote che si sentiva<br />

veramente, a somiglianza <strong>del</strong> vescovo d’Ippona, uomo di Dio e servo <strong>del</strong>la Chiesa.<br />

1. LA SANTA MESSA<br />

Se metto la Santa Messa in atesta all’apostolato di Nicola, è solo perché ne fu la<br />

fonte e il mezzo principale.<br />

Non mi riferisco evidentemente, almeno in linea principale, all’esempio di pietà<br />

profonda che offriva celebrando devotamente. Questo esempio c’era ed esercitava un<br />

moivo di attrazione. Narra un teste, canonico <strong>del</strong>la collegiata di San Severino in San<br />

Severino: «Mentre frate Nicola era ancora in vita, andai a studiare legge a Tolentino<br />

alla scuola <strong>del</strong> signor Pietro, dottore in giurisprudenza. Nella festa di Santa Lucia mi<br />

recai ad ascoltare le messa nella chiesa di Sant’<strong>Agostino</strong> insieme ad un amico. Entrati<br />

in chiesa, l’amico m’indicò un frate e mi disse: “Quello è frate Nicola che è ritenuto<br />

un uomo molto santo e al quale corrono tutti i peccatori: ascoltiamo la sua messa”.<br />

Ascoltammo la messa celebrata da lui molto devotamente». E continua, aprendoci un<br />

orizzonte sulla vita quotidiana di Nicola: «Quella mattina erano presenti molti per la<br />

devozione che avevano verso di lui» (Processo, teste 120, p. 317). Giudizio questo,<br />

confermato da altri testi. «Quando entravo in chiesa, depone una signora, trovavo<br />

Nicola che pregava devotamente, e molte volte ho ascoltato la sua messa che<br />

celebrava con tanta devozione che i presenti ne restavano molto edificati» (Processo,<br />

teste 100, p. 287).<br />

Il pensiero corre a tanti santi, a tanti pii sacerdoti - per fare un nome recente, a<br />

Padre Pio -, i quali hanno esercitato un grande apostolato solo con la celebrazione<br />

devota <strong>del</strong>la Santa Messa. Chi scrive ricorda di essere entrato ancora adolescente,<br />

insieme ai compagni di collegio, nella chiesa d’un antico e solitario monastero mentre<br />

all’altare maggiore un sacerdote celebrava la messa. La chiesa era quasi deserta o<br />

62


deserta affatto, ma quel pio sacerdote era tutto compreso <strong>del</strong> tremendo mistero che<br />

stava celebrando: si vedeva dall’atteggiamento consapevole e devoto <strong>del</strong>la persona e<br />

dai gesti spontanei e misurati. Non ho mai saputo chi fosse, ma quel modo di<br />

celebrare la messa, e in una chiesa pressoché deserta, - la solitudine non che<br />

diminuirlo ne aumentava il valore -, mi colpì profondamente: tornai a casa rafforzato<br />

nella vocazione e più deciso a continuare il cammino verso il sacerdozio. Perché non<br />

pensare che il nostro santo con l’esempio <strong>del</strong>la celebrazione tanto devota - i testi ci<br />

assicurano che spesso la commozione lo vinceva e versava lacrime -, abbia non solo<br />

edificato i fe<strong>del</strong>i, ma attirato molti ad abbracciare il sacerdozio?<br />

Ma non a questo mi riferivo con l’accenno alla messa e l’apostolato, bensì alla<br />

messa in se stessa come sacrificio di lode e di ringraziamento, di implorazione e di<br />

propiziazione, e perciò centro, anima e sintesi di tutta la vita cristiana, sia essa dedita<br />

alla preghiera che all’apostolato attivo. Nicola lo sapeva e lo sentiva.<br />

Nella celebrazione <strong>del</strong>la messa il sacerdozio acquistava un respiro universale e,<br />

unendosi a Cristo sacerdote e vittima, offriva se stesso a Dio in sacrificio di lode per<br />

la salvezza degli uomini. Possiamo pensare che conoscesse il libro 10° <strong>del</strong>la Città di<br />

Dio dove <strong>Agostino</strong> tratta con maestria l’argomento <strong>del</strong> sacrificio universale <strong>del</strong>la città<br />

redenta. Dio ha voluto che il «il mistero eucaristico fosse il sacrificio quotidiano <strong>del</strong>la<br />

sua Chiesa, la quale, essendo corpo di Cristo che è il suo Capo, impara ad offrire se<br />

stessa per mezzo di Lui: seipsam per ipsum discit offerre» (Città di Dio, 10, 20).<br />

Per questo Nicola celebrava immancabilmente ogni giorno, anche quando la<br />

chiesa era solitaria, immersa nei profondi silenzi dei boschi, anche quando era<br />

infermo e per giungere all’altare aveva bisogno di appoggiarsi al bastone: gli bastava<br />

che fosse in grado di alzarsi dal letto e reggersi in piedi. E prima di celebrare si<br />

confessava e celebrando versava molte lacrime. Era ben compreso <strong>del</strong> mistero che si<br />

compiva tra le sue mani. Ma giova ascoltare la voce dei testi che hanno deposto,<br />

ammirati, sull’argomento.<br />

«Ogni mattina, quando celebrava la messa piangeva e versava lacrime<br />

specialmente nel momento <strong>del</strong>la consacrazione: è un fatto notorio e io stesso l’ho<br />

visto più volte» (Processo, teste 16, p. 119). «Più volte l’ho visto celebrare la messa e<br />

celebrando effondeva lacrime » (Processo, teste 172, p.. 404). «Quando andavo in<br />

chiesa per ascoltare la messa vedevo Nicola in mezzo agli altri confratelli con il<br />

cappuccio avanti agli occhi con molta dignità - multum oneste -; e ogni mattina<br />

diceva la messa non solo quand'era sano, ma anche quand'era ammalato lo vedevo<br />

venire all'altare appoggiandosi al bastone » (Processo, teste 77, p. 209). «Non<br />

ometteva di andare in chiesa a pregare e a celebrare la messa neppure per ragioni di<br />

malattia, purché potesse camminare » (Processo, teste 173, p. 409). «Ogni giorno<br />

immancabilmente, sia quando era sano che quando era infermo, celebrava la messa,<br />

purché non fosse tanto debole da non potersi levare dal letto e reggersi in piedi; e<br />

sempre prima di andare all'altare si confessava; e tanto nelle preghiere che nella<br />

celebrazione <strong>del</strong>la messa piangeva e versava lacrime » (Processo, teste 9, p. 90).<br />

«Mentre ero studente di grammatica nel convento agostiniano di Piaggiolino (comune<br />

di Mondolfo presso Pesaro), Nicola, che era conventuale di quella casa..., celebrava<br />

ogni mattina la messa, benché il convento fosse situato in una selva» (Processo, teste<br />

154, p. 372).<br />

63


Le testimonianze sono molto eloquenti e ricche di particolari; c'invitano a qualche<br />

riflessione. Due in particolare: sulla messa quotidiana e sulla messa celebrata anche<br />

nella selva, cioè - questo il significato <strong>del</strong>l'inciso rilevato dal teste - senza l'assistenza<br />

<strong>del</strong> popolo.<br />

Sul primo particolare si deve osservare che la celebrazione quotidiana non era né<br />

prescritta né abituale. L'insistenza <strong>del</strong>le costituzioni - e non solo di quelle <strong>del</strong>l'Ordine<br />

agostiniano - era sulla messa conventuale: «tutti i frati ascoltino insieme la messa<br />

conventuale, né alcuno di essi rimanga fuori» (Cost. R. c. 6, n. 36).<br />

La messa quotidiana dei singoli era più o meno supposta ma non prescritta. Che<br />

molti non la dicessero lo lascia intendere il Generale Tommaso da Strasburgo nelle<br />

aggiunte alla Costituzione col grave precetto dato ai Provinciali d'intervenire<br />

severamente contro coloro che omettessero «spesso» di celebrare: saepe non<br />

celebrare (Cost. R. c. 1, add.).<br />

Quel «saepe» può avere ed ha un'accezione molto larga. Nicola era l'esempio <strong>del</strong><br />

contrario: ogni mattina, anche se, infermo, gli costava molto recarsi all'altare.<br />

Sul secondo particolare si deve dire che celebrando immancabilmente ogni<br />

giorno, anche senza popolo, il nostro santo mostrava di comprendere il valore <strong>del</strong>la<br />

messa in se stessa, valore che si estende non solo al celebrante ma a tutta la Chiesa. Il<br />

sacerdote infatti celebra la messa nella persona di Cristo ma in nome <strong>del</strong>la Chiesa e<br />

per tutta la Chiesa, e non solo peregrinante ma anche purgante.<br />

Contro la messa cosiddetta privata si è scritto molto da parte di Lutero e dei<br />

riformatori condannandola; alcuni teologi cattolici <strong>del</strong> dopo Concilio hanno sembrato<br />

inclinare verso questa condanna; Paolo VI nella enciclica Mysterium fidei chiarisce<br />

che non esiste propriamente la messa privata ma che ogni messa, anche se «privata»,<br />

è sempre «sociale». Nel lontano medioevo Nicola fu l'interprete sicuro, con<br />

l'esempio, di questa fede e di questa tradizione cattolica.<br />

Ma la celebrazione <strong>del</strong>la messa non fu per lui solo un apostolato, fu anche la<br />

sorgente <strong>del</strong>l'apostolato. Celebrando beveva il desiderio e attingeva la forza di farsi,<br />

come San Paolo, tutto a tutti, per tutti guadagnare a Cristo.<br />

2. AL CONFESSIONALE<br />

Dall'altare al confessionale perché i peccatori potessero dal confessionale tornare<br />

all'altare per cibarsi <strong>del</strong>l'Eucaristia e ricevere la forza necessaria, il fervore <strong>del</strong>la<br />

carità, necessario per non peccare più.<br />

Di Nicola confessore le fonti ci rivelano molti particolari che meriterebbero di<br />

essere illustrati uno per uno. Sono in sintesi: l'assiduità per cui era sempre pronto a<br />

correre al confessionale; la costanza tanto ammirabile che spesso, specialmente nel<br />

tempo di quaresima, non trovava il tempo di rompere il digiuno se non a tarda sera; la<br />

benignità con cui trattava i peccati che correvano volentieri al suo confessionale -<br />

tutta Tolentino, uomini e donne, si confessava da lui, e venivano anche da paesi vicini<br />

-; la cura che poneva per procurare che i penitenti emettessero un sincero atto di<br />

contrizione; l'esiguità <strong>del</strong>la penitenza che imponeva, offrendosi egli stesso a<br />

soddisfare per loro; la penetrazione dei cuori per cui conosceva i peccatori prima<br />

64


ancora che gli venissero manifestati; l'atteggiamento dignitoso ed umile per<br />

descrivere il quale i testi non trovano altra espressione che questa: sembrava un<br />

angelo.<br />

Ma forse il lettore più che leggere le mie parole vuoi ascoltare quelle dei testi nel<br />

processo. Ha ragione. Eccole tradotte alla meglio. Comincio dall'ultimo particolare.<br />

«Mi sono sempre confessata da lui finché visse. Ascoltando le confessioni era tanto<br />

benigno e umile che, sedendogli vicino per confessarmi, mi sembrava di essere vicino<br />

ad un angelo» (Processo, teste 88, p. 112). «Nel tempo di quaresima ogni giorno era<br />

tanto occupato nelle confessioni e nella preghiera che non mangiava se non alla sera»<br />

(Processo, teste 10, p. 95). «Ascoltava volentieri le confessioni nel foro <strong>del</strong>la<br />

penitenza e comunemente tutto il popolo di Tolentino si confessava da lui per la<br />

grande stima che tutta la gente aveva nella sua santità. Ciò avveniva soprattutto nel<br />

tempo di quaresima nel quale si dedicava totalmente a questo ministero» (Processo,<br />

teste 246, pp. 523-524). «Fu un uomo molto misericordioso. A causa di questa grande<br />

misericordia che aveva, quasi comunemente le persone di Tolentino, uomini e donne,<br />

si confessavano da lui per la grande devozione che ne avevano: tanto egli sapeva<br />

attrarre i peccatori alla penitenza e avere misericordia e compassione di loro»<br />

(Processo, teste 172, p. 404). «Nella confessione era molto attrattivo dei peccatori, e<br />

diceva di non peccare più e li confortava e offriva se stesso a fare la penitenza al<br />

posto loro» (Processo, teste 91, p. 265). «Perché i peccatori non diffidassero<br />

<strong>del</strong>l'immensa misericordia di Dio per un gran peccato dava una piccola penitenza: gli<br />

bastava che i penitenti tornassero alla contrizione <strong>del</strong> cuore» (Processo, teste 14, p.<br />

108). «Mi sono confessata a Nicola più volte all'anno e non vedevo la sua faccia. Era<br />

tanto benigno ed umile con le persone che si confessavano con lui che tutte se ne<br />

partivano da lui molto contente e consolate e devote come è voce comune; ed io<br />

stessa, quando andavo a confessarmi, me ne ripartivo molto consolata» (Processo,<br />

teste 100, p. 287). «Molte e molte volte ho confessato i miei peccati a Fr. Nicola e mi<br />

sembrava, per quanto posso sapere, un uomo di santa vita e di buona condotta, e<br />

umile e benigno nel suo modo di fare e di parlare. E quando mi faceva il segno <strong>del</strong>la<br />

croce per licenziarmi mi sentivo molto consolata e mi sembrava di essere leggera<br />

come un uccello».<br />

Ma eccoci al dono <strong>del</strong>la scrutazione dei cuori. La stessa teste lo narra con la<br />

vivacità e la freschezza di un «fioretto». «Un giovedì santo, volendo confessare a Fr.<br />

Nicola un peccato che avevo commesso molto segretamente e che non volevo<br />

confessare se non a lui, chiesi di lui appunto per confessarmi, ma un fratello <strong>del</strong>la<br />

comunità, un certo fr. Simone da Tolentino (ne ricorda anche il nome tanto l'episodio<br />

le aveva fatto impressione), mi disse: Se vuoi, confessati da un altro: Nicola non è<br />

disponibile perché indisposto. Gli risposi: starò qui finché non mi possa confessare da<br />

lui o ritornerò, ma non mi confesserò da un altro. Ed ecco che mentre dicevo questo<br />

venne Nicola col suo bastoncello senza che nessuno l'avesse avvertito. Mi chiamò e<br />

con spirito come di un profeta mi disse: tu ti vergogni di confessare il peccato che hai<br />

commesso; non devi vergognarti; tu hai fatto il tale peccato. E mi rivelò il peccato,<br />

che in realtà avevo commesso, prima che glielo dicessi io. Ora quel peccato nessun<br />

altro poteva conoscerlo se non Dio» (Processo, teste 95, pp. 275-276).<br />

65


E giacché siamo in tema di «fioretti», che pur sono fatti storicamente<br />

documentati, eccone un altro. Narra una teste, di una certa Brunetta che glielo aveva<br />

confidato,<br />

che, recatasi da Belforte a Tolentino, per confessarsi da Nicola gli portò in dono un<br />

(bel) pollastro. Nicola - continua la confidente <strong>del</strong>la teste - l'accolse benignamente,<br />

ascoltò la confessione, ma <strong>del</strong> pollastro non ne volle sapere. Va', le disse, figlia, che<br />

tu sia benedetta; porta questo pollastro a qualche ammalato povero che ne ha più<br />

bisogno di me: a me non si confanno certi cibi» (Processo, teste 99, p. 284).<br />

Questo coro unanime di lodi a San Nicola confessore ci fanno pensare a santi più<br />

vicini a noi o magari contemporanei, al Curato d'Ars per esempio e a Padre Leopoldo,<br />

tutti e due confessori instancabili e strumenti divini di grandi conversioni. Il nostro<br />

santo fu nel medioevo uno di loro.<br />

3. LA PREDICAZIONE<br />

Ma fu anche, come loro o più di loro, un predicatore. Purtroppo su questo<br />

argomento non abbiamo, come per i due toccati sopra, un coro di testimonianze: né il<br />

primo biografo né il processo parlano di questo argomento. Ho detto sopra il perché,<br />

e ho espresso apertamente il mio rammarico: ripetersi non giova.<br />

Abbiamo, e di riflesso - il teste parla di un altro argomento -, una sola<br />

testimonianza, preziosa perché sola e perché apre uno spiraglio di luce su questa<br />

attività apostolica, che non fu secondaria. Trattandosi d'un sol teste, giova riportarlo<br />

per intero: è la deposizione di un illustre personaggio, «il magnifico e potente<br />

cavaliere signor Rodolfo di Camerino». Era <strong>del</strong>la famiglia dei Varano, signori per<br />

molto tempo di questa città. Dice dunque «Ho visto Nicola più e più volte quando<br />

predicava e in altre occasioni. Era uomo umile e benigno. Difatti io con altri giovani<br />

<strong>del</strong>la nobiltà facevamo i tornei <strong>del</strong>l'asta quando egli predicava.<br />

Moltissime volte organizzai questi tornei poiché quando predicava il popolo per<br />

la devozione che aveva verso di lui accorreva ad ascoltarlo, e ci andavano molte<br />

dame; ed io, essendo allora giovane, organizzavo volentieri il torneo <strong>del</strong>l'asta per<br />

attirare l'attenzione <strong>del</strong>le dame che andavano a sentire la predica; e più volte ho<br />

disturbato la sua predicazione in maniera che le dame si alzassero e l'oratore fosse<br />

costretto a smettere di predicare. Mai l'ho visto turbarsi per questo motivo, mentre i<br />

predicatori sogliono irritarsi parecchio quando vengono impediti dal predicare.<br />

Quando poi andavo a chiedergli scusa <strong>del</strong> fastidio arrecatogli, lo trovavo molto<br />

benigno e umile nel perdonare me e i compagni. Affermo anche che le persone che<br />

assistevano alle sue prediche se ne andavano molto soddisfatte. Di quanto contenuto<br />

nell'articolo in parola - il primo articolo sul quale solo il teste ha deposto -, e di<br />

quanto ho detto v'è pubblica testimonianza nella città di Camerino e nelle località<br />

indicate dall'articolo e in tutta la provincia <strong>del</strong>la Marca» (Processo, teste 28, pp. 149-<br />

150).<br />

In questa deposizione c'è molto e c'è poco. C'è che Nicola predicava spesso<br />

(pluries et pluries) , che la gente accorreva alle sue prediche, che se ne partiva molto<br />

soddisfatta, che era benigno e umile con quelli che lo disturbavano. Non c'è invece<br />

dove predicava, né se predicava in diverse città e, meno ancora, un giudizio sulla<br />

66


dottrina che esponeva. Peccato! Per di più i confratelli non ci hanno conservato non<br />

dico le sue prediche, ma neppure un accenno, un rigo <strong>del</strong> loro contenuto. Eppure<br />

almeno appunti prima di salire sui pulpito doveva pur prenderne. Perché sono andati<br />

irrimediabilmente perduti? Il santuario conserva gelosamente gli strumenti <strong>del</strong>le<br />

penitenze <strong>del</strong> santo - e va bene -, ma per niente i documenti <strong>del</strong>la sua sapienza<br />

evangelica. Così vanno spesso le cose, voglio dire così andavano al tempo <strong>del</strong> nostro<br />

santo, quando non suscitava interesse tutto ciò che non entrasse nel regno <strong>del</strong><br />

meraviglioso o <strong>del</strong>la sequela penitente di Cristo.<br />

Il primo biografo e il processo ci riferiscono un giudizio che, anch'esso, dice<br />

molto e poco. Lo conosciamo già: «Non sapeva saziarsi <strong>del</strong>la mirabile dolcezza <strong>del</strong>la<br />

parola di Dio tanto nella predicazione che nei colloqui» (Vita, 4,28; Processo, art. 22,<br />

p. 21). Possiamo concludere che la sua predicazione, a somiglianza di quella dei<br />

Padri, e in particolare <strong>del</strong> suo Sant'<strong>Agostino</strong>, aveva un contenuto e un linguaggio<br />

biblico, che era semplice, fluente, persuasiva, specchio <strong>del</strong>la soave bontà che gli<br />

albergava nel cuore. Amo pensare che gli argomenti non fossero solo morali-<br />

esortazione all'osservanza <strong>del</strong>la legge <strong>del</strong> Vangelo e alla pace -, ma anche dommatici<br />

come richiedeva in quei tempi la difesa <strong>del</strong>la verità.<br />

Resta senza soluzione perché senza documentazione la questione <strong>del</strong> dove Nicola<br />

abbia predicato. A Tolentino certo, ma solo a Tolentino? Non è credibile. La<br />

questione va congiunta al problema intricatissimo <strong>del</strong>la sua conventualità. Si fanno<br />

molti nomi, e non solo non si riesce a metterli per ordine ma neppure a saperne<br />

approssimativamente il periodo di tempo.<br />

Un teste, che conosceva Nicola fin dall'infanzia, Mancino di Forte, informa che fu<br />

a Montegiorgio, Corridonia, Macerata, Treia, Cingoli prima <strong>del</strong> sacerdozio e poi<br />

subito dopo a Tolentino, dove restò finché visse (Processo, teste 88, p. 256).<br />

Sappiamo invece da altre fonti, compreso il primo biografo, che dopo il sacerdozio fu<br />

a Valmanente, presso Pesaro, a Recanati, a Fermo, a Sant'Elpidio, a Piaggiolino e,<br />

come aggiunge un altro teste che lo aveva avuto come maestro dei novizi, «in molti<br />

altri luoghi, e in ultimo a Tolentino» (Processo, teste 217, p. 460).<br />

Questa presenza in tanti conventi ha fatto pensare giustamente a Nicola<br />

predicatore-missionario che i superiori inviavano per la quaresima e l'avvento nei<br />

diversi paesi <strong>del</strong>la provincia religiosa. Forse per capir meglio bisognerà non insistere,<br />

per il lungo periodo tolentinate, ad unire conventualità continuativa e permanenza<br />

continua. Nulla toglie che fosse conventuale di Tolentino e inviato a predicare<br />

altrove. Pare dunque certo che questo predicatore evangelico dal sorriso<br />

imperturbabile e dall'incantevole soavità, abbia sparso il seme <strong>del</strong>la divina parola in<br />

molti paesi e città <strong>del</strong>le Marche. Che sia andato oltre i limiti di questa regione occorre<br />

giocar troppo di fantasia per affermarlo.<br />

Ma torniamo a temi dove la fantasia non ha bisogno di giocare se non per<br />

penetrare meglio i fatti narrati e scoprirne il valore.<br />

67


4. «VISITATORE DEGLI INFERMI E CONSOLATORE DEI POVERI»<br />

Sul tema dei poveri e degli infermi siamo fortunatamente informati meglio dalle<br />

fonti.<br />

I commissari intesero il bisogno di dedicare ad esso quasi un intero articolo,<br />

l'ultimo, che parla appunto <strong>del</strong>le opere di carità.<br />

Giova rileggerlo (vedi sopra pp. 15-16). I testi l'hanno ampiamente confermato<br />

aggiungendo particolari commoventi. Ne emerge una figura nuova, inattesa e inedita,<br />

di Nicola, quella di un sacerdote che non attende solo gli uomini al confessionale e<br />

alla predica ma va a cercarli nelle loro case, quella d'un contemplativo, a cui le ore<br />

<strong>del</strong>la preghiera non bastano mai, che sente l'ansia di aiutare i poveri, sollevare<br />

gl'infermi, difendere la pubblica moralità; e s'immerge di fatto nella società sconvolta<br />

e tormentata per portarvi il conforto, la grazia, la dignità <strong>del</strong> messaggio cristiano.<br />

Come al solito farò parlare coloro che lo avevano conosciuto e depongono sotto<br />

giuramento sulla sua condotta. Uno attesta: «Nicola fu un visitatore degl'infermi e<br />

soprattutto un consolatore dei poveri e dei reietti; dai magnati non andava se non<br />

chiamato, ma dai poveri e dai reietti andava spontaneamente anche non chiamato»<br />

(Processo, teste 14, p. 107). «Ho visto, dice un altro, Nicola visitare i poveri e<br />

confortarli affinché la povertà si volgesse a bene <strong>del</strong>l'anima». E perché non si<br />

pensasse che le sue erano solo parole, il teste continua: «e si procurava quello che era<br />

piacevole ed utile ai poveri e lo dava loro» (Processo, teste 229, p. 507). Se lo<br />

procurava bussando alla porta dei ricchi. «Invitava e spingeva i ricchi a fare<br />

elemosine ai poveri per amor di Dio, e soprattutto a quelli (<strong>del</strong>icato e grandemente<br />

umano questo particolare) che si vergognavano di andar mendicando di porta in<br />

porta» (Processo, teste 14, p. 108).<br />

Questi non dovettero esser sordi alla sua voce se egli poteva far fronte ai bisogni<br />

di tanti poveri, i suoi poveri, che non erano pochi. Più di cento (plusquam centum),<br />

dice un teste, e ci dà i nomi di alcuni quasi a conferma <strong>del</strong>la verità <strong>del</strong>le sue parole<br />

(Processo, teste 266, p. 551). Per un altro gli oltre cento poveri diventano tutti i<br />

poveri di Tolentino (Processo, teste 271, p. 545).<br />

Un gran da fare dunque, una rete considerevole di azione sociale a cui non si sa<br />

come quel frate contemplativo e malaticcio potesse far fronte. Eppure, se crediamo ai<br />

testi oculari, vi fece fronte coraggiosamente. Il voto di povertà e la contemplazione<br />

non gli furono d'ostacolo ma di stimolo. Insigne esempio di fusione <strong>del</strong>la vita di<br />

preghiera e di azione, che non è rara nei santi e che ci appare, quando l'incontriamo,<br />

sempre mirabile.<br />

I mezzi dunque per questo suo apostolato se li procurava dai ricchi. Sappiamo che<br />

una signora morendo gli lasciò per testamento 25 lire ravennati, che era una somma<br />

rispettabile. Andò tutta ai poveri. Potevamo esserne certi anche se il teste non ce lo<br />

avesse detto esplicitamente (Processo, teste 271, p. 565). Altre volte raccomandava al<br />

priore di essere largo di elemosina verso i poveri (Processo, teste 9, p. 91). Sapiente<br />

consiglio, tipicamente agostiniano. Si sa che il vescovo d'Ippona manteneva dagli<br />

stessi fondi <strong>del</strong>la chiesa i poveri che erano dentro il monastero e quelli che erano<br />

fuori; e quando non ne aveva a sufficienza chiedeva al popolo dall'ambone di essere<br />

generoso nell'elemosine dichiarando che quanto veniva dato a Cristo - era Cristo<br />

68


infatti che riceveva le loro elemosine - veniva messo al sicuro. Stupendo spettacolo<br />

<strong>del</strong>la povertà religiosa che chiede e dà, chiede, per lo più, ai poveri per dare ai più<br />

poveri.<br />

A questo proposito nella vita di Nicola è fiorito anche il miracolo. Raccontano<br />

Rinalduccio di Andrea e la moglie Alessia che un giorno Nicola entrò nella loro casa<br />

in cerca di pane per la comunità: era il questuante di turno in quest'opera di umiltà<br />

che si trasformava per sua natura in squisita carità: era, parlando agostinianamente,<br />

Cristo che chiedeva e Cristo che dava. In questo spirito la donna, che aveva cotto da<br />

poco il pane, ne scelse uno, il più bello, e lo diede con gioia e venerazione al<br />

questuante. Questi se ne andò con la benedizione sul labbro: «Dio ti ricompensi e<br />

moltiplichi il tuo frumento e il tuo pane». Per mesi la famiglia - c'era con i due<br />

coniugi la sorella di Rinalduccio - continuò ad attingere farina alla madia e a cuocere<br />

pane. Quando il capo famiglia pensò e disse che si dovesse comprare di nuovo il<br />

grano, la moglie gli fece costatare che la farina nella madia non era diminuita. Eppure<br />

il teste e la sorella avevano visto che Alessia attingeva sempre a quella madia per<br />

preparare il pane. Si ricordarono allora <strong>del</strong>le parole che Nicola aveva mormorato<br />

uscendo dalla loro casa, e forse pensarono al miracolo di Elia che era avvenuto nella<br />

loro casa come in quella <strong>del</strong>la vedova di Serepta (Processo, teste 77, pp. 209-2 10).<br />

Sembra un «fioretto» ed è un fatto: lo narra sotto giuramento un teste oculare a cui<br />

non si può non credere.<br />

Non ci sarà nessuno che scriva «i fioretti di San Nicola»? Cioè quei fatti che pur<br />

restando fatti raggiungono i limiti <strong>del</strong>la leggenda? Ne verrebbe fuori una figura di<br />

santo fresca, viva, esaltante la fantasia e il cuore, di un santo, dico, ieri molto<br />

venerato in tutta la chiesa, oggi, sul piano universale, un po' meno, ma tale che più si<br />

avvicina e più non cessa di meravigliare per le sue qualità umane e divine, individuali<br />

e sociali. Non fu in vita un trascinatore di folle, né, umile e dolce com'era, poteva<br />

esserlo, ma lo fu dopo morte e lo è anche ora per chiunque si avvicini a lui per<br />

conoscerlo a fondo, per scrutarne le pieghe segrete <strong>del</strong> cuore: non se ne stacca più.<br />

Ma continuiamo a narrare i fatti. Per i suoi poveri Nicola non solo faceva il<br />

sacrificio, sempre gioioso, di chiedere ai ricchi e di andare a trovarli nelle loro case,<br />

ma anche quello di privarsi ed inviare loro quanto di buono gli veniva offerto:<br />

«Quando veniva offerto a Nicola qualcosa di buono da mangiare, non lo mangiava lui<br />

ma lo mandava ai poveri e infermi» (Processo, teste 95, p. 275).<br />

Ecco, vicino ai poveri gli ammalati, l'altra categoria di sofferenti e, non<br />

raramente, di reietti. Il mondo (uso questa parola in senso evangelico) passa<br />

indifferente vicino a chi soffre e spesso lo schiaccia. Non così certo Nicola che ebbe<br />

per loro una tenerezza struggente. Li visitava volentieri: infirmorum visitationem<br />

multum libenter faciebat (Processo, teste 81, p. 224). Li visitava non solo di giorno<br />

ma anche, quand'era necessario, di notte, e non solo mentre era sano ma anche<br />

quando era ammalato e, per andarvi, aveva bisogno <strong>del</strong> sostegno d'un confratello e<br />

<strong>del</strong> suo inseparabile bastone. «Faceva questo, aggiunge il teste, perché le persone di<br />

Tolentino avevano per lui una somma devozione tanto che gli ammalati e in genere<br />

tutti lo cercavano molto» (Processo, teste 77, p. 209).<br />

Dev'essere stato bello e commovente vedere il buon vecchio - Nicola era esile ma<br />

alto di statura - incurvito un poco dagli anni e mal ridotto dalle infermità, uscire dalla<br />

69


sua cameretta, dove aveva parlato con Dio e implorato per gli uomini, aggirarsi per le<br />

vie <strong>del</strong>la città, simbolo vivente di quella carità cristiana che per quanto dia ha sempre<br />

qualcosa da dare. E non si sa come quest'uomo che non aveva nulla abbia dato tanto!<br />

5. DIFENSORE DELLA PUBBLICA MORALITÀ<br />

Il panorama <strong>del</strong>l'apostolato sociale di Nicola non sarebbe completo se non<br />

dedicassi un accenno ai suoi interventi affinché la moralità pubblica fosse conformata<br />

al Vangelo. S'interponeva per sedare le discordie soprattutto quando c'era il pericolo<br />

di vita per i contendenti; allora non ricusava fatica per far cessare lo scandalo<br />

(Processo, teste 14, p. 107). Il teste ha ragione di parlare di scandalo, perché le<br />

discordie, soprattutto le discordie mortali, sono uno scandalo tra i cristiani.<br />

Nicola, uomo di pace, portava dovunque la pace anche con rischio - si può ben<br />

capirlo -<strong>del</strong>la sua persona.<br />

Interveniva pure per regolare matrimoni: «Quando sapeva che due vivevano in<br />

concubinaggio interveniva perché fosse celebrato il matrimonio: molti che vivevano<br />

in questo stato per opera di Nicola hanno regolato la loro posizione» (Processo, teste<br />

226, p. 500).<br />

Interveniva anche quando veniva a sapere che un marito tradiva sua moglie,<br />

purché, s'intenda, potesse intavolare con quello un discorso amichevole. Come nel<br />

caso d'un tale di cui la moglie, Giovanna di Angeluccio Paoli da Tolentino, depone<br />

nel processo così: «Ero molto angustiata e tribolata perché mio marito mi tradiva. Me<br />

ne lamentai con Nicola. Questi espresse il mio dolore a mio marito e gli disse che<br />

faceva male a trattarmi a quel modo. Da quel momento ci fu piena concordia tra me e<br />

mio marito». Interrogata la teste come sapesse che Nicola aveva parlato a suo marito<br />

rispose: «Fui presente e l'ascoltai, e in cuor mio mi meravigliai altamente che parlasse<br />

in quel modo a mio marito» (Processo, teste 133, p. 511).<br />

Il rapido panorama <strong>del</strong>l'apostolato di Nicola e quello non meno rapido <strong>del</strong>la sua<br />

assidua preghiera mostrano a sufficienza come egli avesse fuso profondamente i due<br />

aspetti <strong>del</strong>la vita consacrata descritti da Sant'<strong>Agostino</strong> nella Città di Dio: l'«otium<br />

sanctum » e il «negotium iustum», cioè la quiete <strong>del</strong>la contemplazione e l'attività<br />

apostolica, che corrispondono alle due dimensioni <strong>del</strong>la vita spirituale, la «caritas<br />

veritatis» (l'amore <strong>del</strong>la verità) e la «necessitas caritatis» (la necessità <strong>del</strong>l'amore); i<br />

due aspetti che, dopo aver lasciato gli eremi per volere <strong>del</strong>la Santa Sede, erano<br />

ambedue essenziali all'Ordine agostiniano.<br />

Ma a questo panorama mancherebbe qualcosa se non si facesse un accenno alle<br />

incombenze avute da Nicola in seno alla sua comunità e alla sua provincia religiosa.<br />

70


CAPITOLO XI<br />

MAESTRO DEI NOVIZI<br />

Queste incombenze o uffici sono uno degli argomenti sui quali il primo biografo e<br />

il processo hanno osservato uno spiacevole e sconcertante silenzio. Sappiamo solo, di<br />

riflesso - gli scolastici avrebbero detto per accidens che Nicola fu maestro dei novizi<br />

(Processo, teste 217, p. 460) - e i biografi dicono per un solo anno -, e che partecipò a<br />

un capitolo provinciale a San Ginesio (Processo, teste 106, p. 199), - e i biografi<br />

aggiungono che vi andò come <strong>del</strong>egato <strong>del</strong>la comunità tolentinate. Dunque non fu<br />

mai superiore, dunque non ricoprì mai un incarico di rilievo, non esercitò mai le<br />

qualità di governo.<br />

Delle due una: o era inadatto a simili compiti o i confratelli sono stati troppo<br />

distratti nel lasciare da parte un uomo di quella levatura morale e spirituale. Ma forse<br />

tra i due termini <strong>del</strong> dilemma passano altre ipotesi: forse i confratelli l'hanno lasciato<br />

libero perché potesse dedicarsi totalmente alla sua intensa vita di preghiera e di<br />

apostolato, o forse incarichi li ebbe ma né il primo biografo né il processo hanno<br />

inteso il bisogno di metterli in rilievo. Lo stesso è accaduto, come sappiamo, per gli<br />

studi e la predicazione che pur furono i primi un obbligo e la seconda un'occupazione<br />

continua o per lo meno frequente <strong>del</strong>la sua vita apostolica.<br />

Sia come sia, i fatti restano.<br />

Pertanto non voglio chiedermi se al capitolo di San Ginesio Nicola andò come<br />

<strong>del</strong>egato <strong>del</strong>la comunità o non piuttosto come superiore; né se le parole di fr. Ventura<br />

sulla faccenda <strong>del</strong> pozzo - «Volendo Nicola, con le elemosine elargitegli, far scavare<br />

un pozzo nel convento dei frati di Tolentino... » (Processo, teste 172, pp. 404-405) -<br />

non vogliano indicare che era incaricato <strong>del</strong>l'economia <strong>del</strong>la casa; e neppure se abbia<br />

ricoperto l'ufficio, tanto <strong>del</strong>icato e fondamentale, di maestro dei novizi per un solo<br />

anno a Sant'Elpidio - cosa che mi pare più supposta che dimostrata - o se ha esercitato<br />

questo ufficio anche altrove, per esempio a Tolentino dove, durante la sua dimora in<br />

quella comunità, ci fu almeno per qualche tempo il noviziato (Processo, teste 9, p.<br />

92); non voglio, dico, fermarmi a queste ipotesi ma solo al fatto certo: fu maestro dei<br />

novizi; e cercar d'indovinare, carpendo qualche indicazione sfuggita qua e là alle<br />

fonti, come li abbia formati i suoi novizi, e quale influsso possa aver esercitato con<br />

l'esempio e il consiglio nella legislazione <strong>del</strong>l'Ordine.<br />

Non c'è dubbio che egli abbia insegnato ai suoi giovani allievi ad amare<br />

Sant'<strong>Agostino</strong>, a gustare la profondità e la bellezza <strong>del</strong>la Regola, ad osservare le<br />

Costituzioni.<br />

1. IL «BEATO AGOSTINO»<br />

Sappiamo quanto Nicola amasse il beato <strong>Agostino</strong>: lo si è detto sopra. Non può<br />

esservi dubbio che questo amore lo inculcasse in tutti i modi ai novizi, e non tanto<br />

con parole laudative generiche, ma attingendo alle fonti agostiniane per farlo<br />

conoscere nella sua autentica grandezza e amabilità.<br />

71


Amo pensare che tra le istruzioni avute da Nicola nel noviziato e quelle che egli<br />

impartiva ai novizi ci fosse un grande progresso in profondità e chiarezza, sia per il<br />

progresso degli studi nell'Ordine sia per l'esempio e la diligente ricerca <strong>del</strong> nostro<br />

santo, il quale, amando intensamente <strong>Agostino</strong>, non poteva non sentire il bisogno di<br />

conoscerlo più a fondo nelle sue opere. Avrà letto sicuramente le Confessioni, che<br />

tanto corrispondevano alle sue aspirazioni interiori, le Esposizioni sui Salmi che gli<br />

servivano per approfondire quegl'inni o suppliche o ringraziamenti che costituivano<br />

tanta parte <strong>del</strong>la sua preghiera quotidiana, i Discorsi, alcuni almeno (tutti insieme non<br />

li avrebbe potuti avere), per es. quelli de tempore o sulle feste liturgiche, molto adatti<br />

per penetrare meglio nei misteri celebrati.<br />

Non continuo per non allontanarmi dal verosimile, ma non si può non ricordare<br />

che Nicola era predicatore, un predicatore seguito e applaudito, e questo gl'imponeva<br />

una severa preparazione: è pensabile che sia ricorso a tutti i mezzi fuorché a quelli<br />

che gli offriva il suo padre spirituale?<br />

I frutti di questa preparazione e di questi progressi li raccolsero i fortunati giovani<br />

novizi. Doveva formarli alla preghiera: era ovvio indicare loro, attraverso le pagine<br />

preziose <strong>del</strong>le Confessioni come pregava Sant'<strong>Agostino</strong>. Doveva insegnare la recita<br />

devota dei salmi: quale mezzo più efficace che la lettura di qualche pagina <strong>del</strong>le<br />

Esposizioni sui Salmi, le quali con la loro interpretazione cristologica ed<br />

ecclesiologica danno ai salmi un significato vivo, pienamente attuale, ricco di<br />

misticismo? Doveva istruirli nella liturgia: i discorsi agostiniani gli offrivano un aiuto<br />

prezioso. Si può pensare che se ne sia privato?<br />

C'era poi la festa o le feste - forse se ne celebravano già più di una nel corso<br />

<strong>del</strong>l'anno (vedi sopra p. 22) - che offrivano l'occasione propizia per rievocarne la<br />

conversione, tesserne l'elogio <strong>del</strong>la virtù, ricordarne le istituzioni monastiche. Si può<br />

esser certi che Nicola ne avrà approfittato con entusiasmo: l'amore e il senso <strong>del</strong><br />

dovere non gli permettevano di fare altrimenti.<br />

2. LA REGOLA<br />

Ma il suo compito principale come maestro dei novizi era quello di spiegare la<br />

Regola. Quanto a lungo e quanto profondamente l'abbia meditata possiamo supporlo.<br />

Non supponiamo invece ma sappiamo dal primo biografo che ne aveva colto e fatto<br />

suo il punto centrale, quello che per <strong>Agostino</strong> è la misura <strong>del</strong> progresso nella<br />

perfezione. Parlando infatti <strong>del</strong>la sua grande carità dice che «riteneva un guadagno il<br />

morire non solo per Cristo ma anche per il prossimo... e che non cercava le cose<br />

proprie ma quelle di Gesù Cristo non preponendo, da perfetto osservante <strong>del</strong>la Regola<br />

<strong>del</strong> Padre Sant'<strong>Agostino</strong>, le cose proprie alle comuni ma le comuni alle proprie.<br />

Questi infatti, esponendo le parole di San Paolo, dice nella Regola: la carità di cui sta<br />

scritto che non cerca il proprio tornaconto, va intesa nel senso che antepone le cose<br />

comuni alle proprie, non le proprie alle comuni» (Vita, 4, 29). Il biografo avrebbe<br />

potuto continuare: «Per cui vi accorgerete di aver tanto più progredito nella<br />

perfezione quanto più avrete curato il bene comune anteponendolo al vostro»<br />

(Regola, c. 5, n. 31).<br />

72


Questo Nicola lo aveva compreso, e con questo aveva colto l'anima <strong>del</strong>la Regola<br />

agostiniana. Guidato da questa intuizione luminosa, tanto luminosa che l'autore <strong>del</strong>la<br />

Città di Dio la pone a base <strong>del</strong>la sua grandiosa concezione <strong>del</strong>la storia, avrà<br />

certamente mostrato ai novizi che il fine, il mezzo, il centro <strong>del</strong>la vita religiosa quale<br />

la concepisce <strong>Agostino</strong> e la esprime nella Regola è la carità.<br />

Il fine è indicato in quelle parole riassuntive di tutto il Vangelo: Prima di ogni<br />

altra cosa si ami Dio e poi il prossimo (n. 1); il mezzo in quelle altre che vengono<br />

subito e indicano l'esercizio <strong>del</strong>la carità nella perfetta vita comune come la via<br />

privilegiata per giungere al perfetto amore di Dio e <strong>del</strong> prossimo: «abbiate un'anima<br />

sola e un sol cuore protesi verso Dio. Non dite di nulla: "E mio", ma tutto sia comune<br />

tra voi» (n. 3-4); il centro poi in quelle altre ancora che prescrivono di far trionfare in<br />

tutto, tra le necessità passeggere <strong>del</strong>la vita presente, quella che permane in eterno: la<br />

carità (cfr. n. 31).<br />

Tutto il resto, avrà continuato Nicola, è un presupposto, un alimento o un motivo<br />

d'ispirazione <strong>del</strong>la vita consacrata: presupposto i consigli evangelici <strong>del</strong>la castità,<br />

povertà e obbedienza (questo inculcato dall'esempio di Cristo, quelli dall'esempio e<br />

dalla parola), che spianano la via all'ascensione <strong>del</strong>l'amore; alimento la preghiera, la<br />

mortificazione, lo studio, il lavoro; motivi d'ispirazione la bellezza eterna alla cui<br />

contemplazione il religioso si consacra, la fragranza <strong>del</strong>le virtù di Cristo che vuol<br />

seguire e diffondere nel mondo, la libertà interiore che sente come fonte perenne di<br />

gioia e di speranza.<br />

Con l'intuito infallibile <strong>del</strong>la santità, Nicola avrà insistito su questi motivi<br />

ispiratori, molto adatti ad entusiasmare in particolare i giovani e illuminanti per tutti.<br />

Avrà riletto spesso, dico, e spiegato quelle splendide parole finali <strong>del</strong>la Regola, dove<br />

vengono riassunte in sintesi serrata le ragioni supreme <strong>del</strong>la vita religiosa: l'amore, la<br />

contemplazione, l'apostolato, la libertà. «Vi conceda il Signore di osservare queste<br />

norme con amore, quali innamorati <strong>del</strong>la bellezza spirituale ed esalanti dalla vostra<br />

santa convivenza il buon profumo di Cristo, non come servi sotto la legge ma come<br />

liberi sotto la grazia» (n. 48). E avrà letto -chi può dubitarne? - quelle altre che<br />

vengono dopo e sono un ammonimento a prendere sul serio la Regola, tanto breve,<br />

ma anche tanto ricca di contenuto e tanto impegnativa: «Perché poi possiate rimirarvi<br />

in questo libretto -la Regola appunto - come in uno specchio, onde non trascurare<br />

nulla per dimenticanza, vi sia letta una volta la settimana» (n. 49).<br />

Avrà insistito anche nello spiegare quelle altre parole che sembrano uscite da una<br />

scuola cinica e contengono invece una grande sapienza umana ed evangelica: «è<br />

meglio aver meno bisogni che aver più cose» (n. 18). Queste parole <strong>del</strong> resto<br />

corrispondono mirabilmente al tenore di vita che Nicola aveva scelto e portava avanti<br />

con incrollabile fe<strong>del</strong>tà. Le sue astinenze, i suoi digiuni, le sue macerazioni avevano<br />

fra l'altro questo scopo - mi pare di averlo detto -: ridurre i bisogni e dilatare gli spazi<br />

<strong>del</strong>la carità. Era in grado pertanto di spiegare la Regola con l'eloquenza<br />

<strong>del</strong>l'erudizione e con quella, più efficace, <strong>del</strong>l'esempio.<br />

73


3. LE COSTITUZIONI<br />

L'altro compito <strong>del</strong> maestro dei novizi era ed è quello di spiegare le Costituzioni.<br />

Inutile ricordarne l'importanza: il novizio deve sapere sulla base di quali disposizioni<br />

o leggi farà la professione religiosa.<br />

In quanto al nostro Nicola, non sapendo in quale anno (o in quali anni) sia stato<br />

maestro dei novizi, non sappiamo quale testo di Costituzioni abbia avuto a<br />

disposizione. Forse quelle proposte ed esaminate nei capitolo generale di Orvieto <strong>del</strong><br />

1284 o quelle - ma la cosa appare meno probabile - promulgate nel 1290 dal suo<br />

corregionale ed ex superiore provinciale Clemente da Osimo. Ma forse neppure le<br />

prime, se dobbiamo mettere la permanenza a Sant'Elpidio prima <strong>del</strong>la sua<br />

destinazione alla comunità di Tolentino dove avrebbe dimorato (almeno come<br />

conventuale se non sempre di fatto) per 30 anni buoni (Processo, teste 88, pp. 250 e<br />

255). In questo caso non possiamo appellarci neppure al capitolo generale <strong>del</strong> 1275 -<br />

anno in cui sarebbe stato trasferito a Tolentino -, nel qual capitolo sappiamo che «si<br />

fecero molte definizioni e furono rinnovate le Costituzioni».<br />

Bisognerebbe ricorrere dunque alle Costituzioni anteriori a quest'anno - se furono<br />

rinnovate vuol dire che c'erano - o addirittura agli statuti <strong>del</strong>la congregazione dei<br />

brittinesi, da cui aveva avuto origine la provincia <strong>del</strong>la Marca, a cui Nicola<br />

apparteneva, approvati nel 1235 da Gregorio IX, e che contenevano alcuni punti<br />

fondamentali, appena otto, riguardanti l'uniformità <strong>del</strong>la vita, la povertà individuale e<br />

comunitaria «eccetto l'orto e la selva dei vostro eremo», i giorni di digiuno, che erano<br />

molti, il modo di vestire e il governo <strong>del</strong>la congregazione 1<br />

Le Costituzioni <strong>del</strong>l'Ordine ebbero, come si vede, una formazione lenta e<br />

indubbiamente faticosa, su cui esercitarono un influsso determinante la sapienza e la<br />

fermezza di tanti superiori generali e l'esempio di tanti santi che, particolarmente in<br />

quei primi tempi, popolarono la rinnovata eredità <strong>del</strong> vescovo d'Ippona. Tra questi<br />

vorrei porre in primo luogo il nostro Nicola, non solo per l'esempio di santità, che fu<br />

altissimo, ma anche per il consiglio come maestro dei novizi e amante <strong>del</strong>lo sviluppo<br />

<strong>del</strong>l'Ordine.<br />

Non so pensare che non abbia conosciuto il B. Clemente da Osimo, suo<br />

provinciale, o che a quest'uomo sagace e anch'egli santo sia sfuggita l'alta figura<br />

spirituale di Nicola che il Signore aveva arricchito di tanti doni. Del resto non è<br />

possibile supporre il B. Clemente come generale prima (1271-1275), poi come<br />

visitatore generale, poi di nuovo come generale (1284-1291) non lo abbia incontrato,<br />

non gli abbia parlato, non ne abbia viste e sentite le ricchezze interiori. Ora questo<br />

superiore è stato l'artefice principale <strong>del</strong>le Costituzioni <strong>del</strong>l'Ordine, presente ed<br />

operante nei capitoli nei quali furono rinnovate (1275), esaminate (1284),<br />

definitivamente promulgate (1290).<br />

Questi incontri non debbono essere restati inutili per la formazione <strong>del</strong>le<br />

Costituzioni, quando si andava cercando, per trascriverlo in leggi interpretative <strong>del</strong>la<br />

Regola, il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>l'agostiniano che inserisse, senza tradirlo, l'antico ideale <strong>del</strong><br />

vescovo d'Ippona nelle nuove necessità <strong>del</strong>la chiesa. Amo vedere quest'influsso, per<br />

esempio, nel lungo e minuzioso capitolo sulla formazione dei novizi. Quella<br />

raccomandazione finale nella lettura e l'ascolto <strong>del</strong>la Scrittura s'intona molto bene col<br />

74


pensiero di chi, a somiglianza di <strong>Agostino</strong>, non si saziava mai <strong>del</strong>la mirabile dolcezza<br />

<strong>del</strong>la parola di Dio (Processo, a. 22; Vita, 4, 28).<br />

Se poi mi si consente un'altra illazione, dirò che l'influsso indiretto di Nicola lo<br />

penso nell'«Ordinario» («Ordinationes») o regolamento <strong>del</strong> culto divino, «composto<br />

<strong>del</strong>la santa <strong>memoria</strong> di fr. Clemente che fu nostro generale» come ricordano i padri<br />

<strong>del</strong> capitolo <strong>del</strong> 1308.<br />

A questo «ordinario» si richiamarono già le Costituzioni <strong>del</strong> 1290 2 .<br />

4. L'ESEMPIO<br />

Ma se è incerto quale testo <strong>del</strong>le Costituzioni Nicola abbia spiegato ai novizi e se<br />

è una mia illazione, non <strong>del</strong> tutto, penso, arbitraria, quella <strong>del</strong>l'influsso sulla loro<br />

progressiva formazione, è indubbio che egli formò i suoi novizi più con l'esempio che<br />

con la parola. Quei novizi furono veramente fortunati: videro riflesso sul volto e negli<br />

atti <strong>del</strong> loro (giovane?) maestro l'ideale di vita a cui volevano consacrarsi. Videro la<br />

bontà, l'amabilità, l'umiltà, la mitezza di cui tanto parlano i testi; videro l'assiduità<br />

quasi ininterrotta nella preghiera, la celebrazione quotidiana, devota e commossa,<br />

<strong>del</strong>la santa messa, la gioia serena <strong>del</strong>la consacrazione, l'amore sincero e forte a Gesù,<br />

a Maria, al beato <strong>Agostino</strong>, l'austerità <strong>del</strong>la vita, l'accoglienza ilare e generosa degli<br />

ospiti.<br />

È veramente spiacevole che chi ci ha ricordato di averlo avuto maestro lo abbia<br />

fatto solo incidentalmente. Possiamo scusarlo perché era intento a dire altre cose;<br />

rispondeva infatti alla domanda se aveva conosciuto Nicola. «Sono già 56 anni che<br />

sono entrato nell'Ordine, e nello stesso anno in cui entrai, fui conventuale, durante il<br />

noviziato, nei paese di Sant'Elpidio dove dimorava il predetto fr. Nicola che mi fu<br />

dato come maestro e così per tutto quell'anno stetti alla sua scuola» (Processo, teste<br />

217, pp. 459-460).<br />

Un'osservazione va fatta nei riguardi <strong>del</strong>l'austerità di vita. Il nostro santo aveva<br />

scelto per sé - come abbiamo visto - un tenore di vita più austero di quello, austero<br />

anch'esso, che prescrivevano le Costituzioni, ma, ricco com'era di equilibrio e di<br />

saggezza, godeva molto nel vedere i confratelli mangiar bene, anzi esortava il priore,<br />

come ci ricorda uno che lo fu a Tolentino, perché li trattasse con larghezza e desse<br />

loro <strong>del</strong>le «buone pietanze» per potersi rifocillare dopo le dure fatiche <strong>del</strong>l'apostolato.<br />

Si può esser certi che lo stesso atteggiamento tenne con i novizi affinché<br />

imparassero, sì, l'austerità religiosa, ma avessero anche di che rallegrarsi, di che star<br />

bene e conservare le energie fisiche tanto necessarie per lo studio, il lavoro, l'impegno<br />

spirituale.<br />

_____<br />

NOTE:<br />

1 Per queste e altre informazioni sulla formazione <strong>del</strong>le prime Costituzioni cfr. D.<br />

Gutiérrez, Los agustinos en la dad media (1256-1356), I/i, Roma 1980.<br />

2 Vedi D. Gutiérrez, ox, p. 133<br />

75


CAPITOLO XII<br />

LA COMUNIONE DEI SANTI<br />

Mancherebbe qualcosa alla dimensione apostolica <strong>del</strong> nostro santo, se non si<br />

raccogliessero dal primo biografo alcuni episodi che ne indicano la profonda fede<br />

nella comunione dei santi e la speciale missione che il Cielo gli affidava.<br />

È la comunione dei santi una <strong>del</strong>le verità più profonde e più consolanti <strong>del</strong>la<br />

nostra fede. Com'è noto, essa abbraccia la chiesa terrena e quella ultraterrena e, in<br />

questa, quella dei beati nel cielo e quella che sta purificandosi nel purgatorio. Non già<br />

che siano tre chiese, ma una sola in diverso stato o condizione, una chiesa nella quale<br />

corre la partecipazione degli stessi beni, quelli che Dio ha elargito agli uomini per<br />

mezzo di Cristo e in Lui e per mezzo di Lui a tutti i membri <strong>del</strong>la sua città, che è<br />

appunto la città di Dio, come la vede e la illustra il vescovo d'Ippona.<br />

<strong>Alla</strong> comunione dei santi il Concilio Vaticano II ha dedicato un intero capitolo, il<br />

settimo, <strong>del</strong>la grande e splendida costituzione sul mistero <strong>del</strong>la Chiesa, la Lumen<br />

gentium. Vi si leggono queste parole riassuntive: «Fino a che... non gli saranno<br />

sottomesse (a Cristo) tutte le cose, alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra,<br />

altri, passati da questa vita, stanno purificandosi, e altri godono <strong>del</strong>la gloria<br />

contemplando chiaramente Dio uno e trino qual è; tutti però, sebbene in grado e<br />

modo diversi, comunichiamo nella stessa carità di Dio e <strong>del</strong> prossimo e cantiamo al<br />

nostro Dio lo stesso inno di gloria» (n. 49). In quanto alla particolare relazione, in<br />

forza di questa comunione reciproca, dei viventi con i defunti vi si dice: «La Chiesa<br />

dei viatori, riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il Corpo mistico di<br />

Cristo, fino dai primi tempi <strong>del</strong>la religione cristiana coltivò con grande pietà la<br />

<strong>memoria</strong> dei defunti e, poiché "santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti<br />

perché siano assolti dai peccati" (2 Macc 12, 46), ha offerto per loro anche suffragi»<br />

(n. 50).<br />

Queste parole <strong>del</strong>l'ultimo Concilio confermano il solenne insegnamento di quelli<br />

precedenti; confermano in particolare quello dei due Concili di Lione celebrati<br />

durante la giovinezza <strong>del</strong> nostro Nicola, il primo nel 1245, anno <strong>del</strong>la sua nascita, il<br />

secondo nel 1274, anno <strong>del</strong>la sua ordinazione sacerdotale. È bello costatare che<br />

proprio negli anni in cui tutta la Chiesa, orientale compresa, ricordava ai suoi figli<br />

l'insegnamento <strong>del</strong>la fede nel purgatorio, Dio suscitava in essa un santo che sarebbe<br />

stato un amante appassionato <strong>del</strong>le anime purganti, suffragatore costante <strong>del</strong>le loro<br />

pene qui in terra, protettore implorante nel cielo. Il primo biografo ci narra a questo<br />

proposito due episodi significativi.<br />

1. VALMANENTE<br />

Era (ed è) Valmanente un eremo agostiniano nei pressi di Pesaro. Ai tempi di<br />

Nicola la solitudine dei boschi vi regnava sovrana. Giù, in fondo alla valle, la città di<br />

76


Pesaro e il mare. II nostro santo vi fu inviato di comunità appena sacerdote. Ma<br />

lasciamo la parola al biografo.<br />

« Nella notte precedente la domenica, Nicola prendeva un po' di sonno nel suo<br />

letto - in strato aliquantulum obdormivit: quel che segue è dunque evidentemente un<br />

sogno -, quando qualcuno con gran voce e grandi lamenti lo chiama: Frate Nicola,<br />

uomo di Dio, guardami. Guardandolo attentamente, non lo riconosce e gli chiede chi<br />

fosse. Quegli rispose: "Sono fr. Pellegrino da Osimo che da vivo tu hai conosciuto.<br />

Sono tormentato in questa fiamma (Lc. 16, 24). Dio, accettando la mia contrizione,<br />

non mi ha condannato alla pena eterna, ma, per sua misericordia, alla pena <strong>del</strong><br />

purgatorio. Ti prego dunque umilmente che voglia celebrare la messa dei defunti<br />

perché venga liberato finalmente da queste fiamme". Nicola rispose: "Ti aiuti,<br />

fratello, il mio Salvatore dal cui sangue sei stato salvato; ma io, incaricato a celebrare<br />

solennemente la messa conventuale, soprattutto domani che è domenica, il cui rito<br />

liturgico si deve rispettare, non posso celebrare la messa dei defunti". Ma quello:<br />

"Vieni, venerando Padre, vieni e considera se ti sembra conveniente respingere senza<br />

pietà l'appello di tanta misera gente che mi ha mandato". Così dicendo, lo portò<br />

all'altra parte <strong>del</strong>l'eremo e gli mostrò la pianura che scende verso Pesaro: era piena di<br />

una moltitudine innumerevole di ambo i sessi, di molte età, di diversi stati ed anche di<br />

diversi ordini (religiosi)». E proseguì: "Abbi pietà, Padre, abbi pietà di una<br />

moltitudine tanto misera che aspetta il tuo aiuto a sé tanto utile. Difatti se vorrai<br />

celebrare per noi, la massima parte di noi sarà liberata da questi atroci tormenti".<br />

«Svegliatosi il sant'uomo - nuova conferma che si era trattato di un sogno, ma tale<br />

che apparve a Nicola come una comunicazione certa <strong>del</strong> Cielo -, si sentì<br />

profondamente commosso e, con molte lacrime, cominciò a pregare per tutti quelli<br />

(che aveva visto) il Salvatore di tutti. <strong>Alla</strong> mattina si presentò con grande riverenza al<br />

priore e umilmente raccontò una parte, non tutto, di quello che aveva, visto, e lo<br />

supplicò che gli permettesse di celebrare per tutta la settimana la messa dei defunti.<br />

Avuto il permesso, per tutta quella settimana celebrò per i defunti e giorno e notte<br />

pregava con grande amore e molte lacrime per quella moltitudine che gli era stata<br />

mostrata». Si può esser certi che alle preghiere aggiunse l'astinenza, i digiuni, le<br />

macerazioni.<br />

Continua il biografo: «Passata la settimana, lo stesso fr. Pellegrino gli apparve di<br />

nuovo -suppongo che sia stato di nuovo nel sonno -, lo ringraziò per aver ottenuto il<br />

favore richiesto e lo assicurò che egli e gran parte <strong>del</strong>la moltitudine di anime che<br />

aveva visto, per la misericordia di Dio, i suoi sacrifici e le sue preghiere piene di<br />

lacrime, erano volate felicemente a contemplare la gloria di Dio» (Vita, 2, 10-12).<br />

A questo punto il biografo non può fare a meno di dare libero sfogo ai suoi<br />

sentimenti e di fare sfoggio <strong>del</strong>la sua arte retorica in cui non doveva essere versato<br />

mediocremente. Seguendo il mo<strong>del</strong>lo di antiche biografie esclama commosso: «O<br />

uomo ineffabile, i cui primordi <strong>del</strong>la santità e gli inizi dei meriti ridondano a<br />

beneficio degli eletti di Dio! Di quest'uomo l'età giovanile si cominciò a riconoscerla<br />

nel purgatorio, la santità <strong>del</strong>la vita senile sappiamo che è venerata nel mondo... »<br />

(Vita, 2,13). E continua di questo passo con altre espressioni enfatiche che non<br />

trascrivo. Battute retoriche, è vero; ma in fondo ha ragione.<br />

77


Quell'episodio non fu più dimenticato. Non lo dimenticò il nostro santo che<br />

pregherà sempre e molto per i defunti dalla messa quotidiana al quotidiano ufficio per<br />

i morti (vedi sopra p. 55); non lo dimenticarono i suoi devoti che lo invocarono e<br />

l'invocano come protettore speciale <strong>del</strong>le anime <strong>del</strong> purgatorio. L'uso <strong>del</strong> settenario di<br />

San Nicola - settenario di messe e preghiere speciali in suffragio dei defunti -, si è<br />

diffuso in tutto il mondo ed è divenuto per molti un'espressione costante <strong>del</strong>la pietà<br />

cristiana. Bonifacio IX (1400) concederà l'indulgenza plenaria sull'esempio di quella<br />

<strong>del</strong>la Porziuncola di Assisi da cui nascerà la festa <strong>del</strong> «Perdono» -, per chi, confessato<br />

e comunicato, avesse visitato la tomba <strong>del</strong> santo, e Leone XIII (1884) approverà la<br />

«Pia unione sotto il patrocinio di San Nicola per suffragare la anime <strong>del</strong><br />

purgatorio». Il segno <strong>del</strong> Cielo è stato dunque raccolto.<br />

2. IL FRATELLO GENTILE<br />

Torniamo al nostro biografo. Per dimostrare il potere di Nicola sulle anime dei<br />

trapassati o, per dir meglio, il potere <strong>del</strong> suo patrocinio presso Dio a loro favore, narra<br />

un altro episodio.<br />

Non c'è ragione di dubitare <strong>del</strong>la storicità <strong>del</strong> fatto narrato: il dubbio cade, questa<br />

volta, sulla sua interpretazione. Infatti prima di narrarlo fa questa premessa: Nicola<br />

«non solo con i suoi meriti ha svuotato il purgatorio, ma con le sue preghiere sembra<br />

spogliare anche l'inferno». Ora in queste parole non dispiace solo la retorica, che si<br />

può sempre scusare, ma anche il contenuto che merita più attenta considerazione.<br />

Prese infatti come suonano, queste parole valicano i limiti d'una sana dommatica. Ma<br />

lasciamo parlar lui.<br />

Nicola era conventuale nella città di Recanati. Qui lo raggiunse la notizia<br />

<strong>del</strong>l'assassinio <strong>del</strong> fratello Gentile, avvenuto, se la lettura <strong>del</strong> testo è giusta, nel<br />

Castello di Montappone. Sembra certo che Nicola abbia avuto un fratello minore: nel<br />

processo un teste, Angeluccio Guarinta, si dichiara nipote carnale <strong>del</strong> santo<br />

(Processo, teste 247, p. 526). Il nunzio gli s<strong>cara</strong>ventò addosso con violenza tutta la<br />

responsabilità di quella morte, <strong>del</strong> corpo, disse, e <strong>del</strong>l'anima, poiché, aggiunse, egli è<br />

dannato. Come lo sapesse, nessuno lo sa. Sembra di capire che era convinto che i<br />

parenti d'un santo simili morti non devono farle. Altrimenti in che consiste la santità?<br />

Nicola restò doppiamente addolorato, non tanto per quella responsabilità<br />

gettatagli sgarbatamente addosso, che non sentiva di avere, quanto per la tragica fine<br />

di suo fratello e per la possibilità che fosse andato davvero nel luogo <strong>del</strong>la perdizione.<br />

Perciò raddoppiò le sue preghiere e le sue penitenze giorno e notte, per quindici<br />

giorni, allo scopo di chiedere al suo Salvatore Gesù Cristo che gli mostrasse -<br />

ardimento dei santi! - se l'anima di suo fratello fosse salva o dannata. Dopo quel<br />

periodo, mentre era in chiesa ad accendere la lampada eucaristica, sentì una gran voce<br />

che gli diceva: «Fratello mio, fratello mio, ero condannato, ma il Signore, per le tue<br />

preghiere e le tue lacrime, mi ha liberato».<br />

Temendo un inganno diabolico, Nicola rispose con tutta tranquillità: «Perché mi<br />

tenti, o nemico maligno? Mio fratello è morto, e Dio soltanto può condannare o<br />

78


salvare». E quello: «Fratello mio, non dubitare; sono veramente Gentile tuo fratello,<br />

che per le tue preghiere sono stato or ora liberato dall'inferno».<br />

Come intendere queste parole? Forse semplicemente così: condannato alla pena<br />

temporale e da essa liberato per le preghiere di Nicola. La parola «inferno» non<br />

sarebbe tecnica per il luogo di perdizione, ma generica per gli «inferi» o luoghi<br />

inferiori, come è usata spesso nella Scrittura, e anche nel Simbolo degli Apostoli.<br />

Inteso così l'episodio, possiamo prendere come profetiche e consolanti, senza<br />

turbamenti o questioni dommatiche, le parole con le quali il fratello morto esortava il<br />

vivo a perseverare nel tenore di vita intrapreso. Furono, secondo il biografo, queste:<br />

«Sii forte, e persisti nelle opere di penitenza che hai intrapreso: le tue opere sono<br />

tanto grate al nostro Salvatore Dio che qualunque cosa chiederai durante la tua vita<br />

terrena otterrai e in questa, nella quale io mi trovo, sarai glorioso» (Vita, 2, 13).<br />

Abbiamo visto finora come Nicola sia restato fe<strong>del</strong>e al suo programma di vita e in<br />

esso e con esso al Signore che lo aveva eletto per farne un esemplare di asceta, di<br />

contemplativo e di apostolo; abbiamo visto altresì come il Signore sia stato con lui<br />

ricco di doni, gli abbia concesso la sua intima e compiacente amicizia fino al dono,<br />

non richiesto ma gratuitamente e largamente concesso, dei miracoli. Ci resta da<br />

vedere come abbia, con una morte preziosa al cospetto <strong>del</strong> Signore, lasciato questo<br />

mondo e sia entrato nella gloria dei cieli.<br />

79


CAPITOLO XIII<br />

COSÌ MUOIONO I GIUSTI<br />

Tra quelli che deposero nel processo, tre affermano di aver assistito alla morte di<br />

Nicola: fr. Angelo da Santa Vittoria (Processo, teste 10, p. 95), fr. Tommaso da<br />

Matelica (teste 265, p. 543) e fr. Giovannuzzo da Tolentino (teste 221, p. 478). Tra<br />

essi solo l'ultimo ce ne narra i particolari appellandosi a ciò che aveva visto e a ciò<br />

che aveva udito: «Fui presente, e alcune cose le ho viste, altre le ho udite» (ivi, p.<br />

489).<br />

Non c'è dubbio che da questi testi e dagli altri confratelli e amici che assistettero<br />

all'ultima malattia e alla morte <strong>del</strong> santo - sappiamo che tutta la comunità si raccolse<br />

intorno al suo lettuccio e che la sua nuda cameretta fu meta di molte visite -, il primo<br />

biografo raccolse le notizie che ci trasmise nella sua biografia. Possiamo dunque<br />

seguirlo, tanto più che alcuni particolari coincidono perfettamente con quanto è<br />

narrato da fr. Giovannuzzo nel processo.<br />

1. L'ANNUNZIO<br />

I segni precursori <strong>del</strong>la fine furono tre: l'apparizione <strong>del</strong>la stella; l'ascolto <strong>del</strong>le<br />

armonie celesti; la risposta di Maria.<br />

Se non sappiamo con certezza quando avvenne l'apparizione <strong>del</strong>la stella (vedi<br />

sopra p. 35) - il primo biografo parla di diversi anni prima <strong>del</strong>la morte: per plures<br />

annos ante abitum suum (Vita, 4, 32), e non si sa perché alcuni storici li riducano a<br />

sei mesi -, possiamo supporre senza timor di sbagliare che essa, quando Nicola, dopo<br />

un periodo di dubbio e di scetticismo, si convinse che lo riguardava da vicino, lo<br />

indusse a pensare alla fine. Quell'insistente posarsi <strong>del</strong>la stella sull'oratorio di<br />

Sant'<strong>Agostino</strong> gli fece pensare al luogo <strong>del</strong> suo sepolcro. Difatti, approssimandosi la<br />

morte, pregò con amore i confratelli che volessero seppellire il suo corpo in quel<br />

luogo e non lo rimovessero da lì. La stella poi, fe<strong>del</strong>e all'appuntamento, ogni anno,<br />

per molti anni, nell'anniversario <strong>del</strong>la sua morte tornò a posarsi sull'oratorio di<br />

Sant'<strong>Agostino</strong>, quasi richiamo alle folle, che ad ondate incalzanti accorrevano a quel<br />

sepolcro ormai glorioso, e segno, come bene interpreta il primo biografo, di ciò che<br />

Nicola avrebbe operato, per volere di Dio, qui in terra e <strong>del</strong>la gloria che godeva nei<br />

cieli (Vita, 4,33).<br />

Ma se l'apparizione <strong>del</strong>la stella fu un avviso lontano, più vicino e più immediato<br />

ne giunse un altro: l'armonia celeste. Sei mesi prima <strong>del</strong>la sua morte sul far <strong>del</strong><br />

mattino cominciò a sentire un soavissimo canto angelico. Ecco un altro particolare<br />

<strong>del</strong>la sua vita - e non sarà l'ultimo che solo lui, lui stesso, può aver rivelato ai<br />

confratelli con quel senso abituale di fiducia fraterna e di semplice, gioiosa amicizia<br />

che lo distingueva (vedi sopra p. 35). Era l'invito a passare all'altra sponda, a quella<br />

da dove arrivavano quei segnali divini.<br />

I santi vivono abitualmente nell'orizzonte <strong>del</strong>l'eternità, tra il visibile e l'invisibile,<br />

il temporale e l'eterno, il presente e il futuro. I due poli che costituiscono<br />

80


essenzialmente la vita cristiana sono in loro strettamente congiunti: non dimenticano<br />

il presente per il futuro - si veda sopra la premura sistematica che Nicola aveva per i<br />

poveri e per gl'infermi -, ma neppure, e vorrei dire meno ancora, il futuro per il<br />

presente. Non fa meraviglia allora che, squarciatosi per un poco il velo <strong>del</strong> sensibile<br />

o, come dice bellamente un poeta moderno, «abbattuto il muro d'ombra» che ci<br />

separa dall'eterno, il santo sente parole che non è possibile all'uomo ripetere (cfr. 2<br />

Cor 12, 4) e che noi esprimiamo con la parola più bella che abbiamo nel nostro<br />

linguaggio perché la realtà che indica costituisce la base di ogni bellezza: l'armonia.<br />

Questi segni celesti devono aver fatto sorgere nell'animo di Nicola un desiderio<br />

fiducioso insieme ed ardito che solo i grandi santi, che hanno una grande familiarità<br />

con Dio, possono concepire senza peccare di presunzione, il desiderio, dico,<br />

<strong>del</strong>l'apparizione dei suoi tre grandi amori: Gesù, Maria e <strong>Agostino</strong>, e l'altro unito al<br />

primo: la rivelazione <strong>del</strong> giorno <strong>del</strong>la sua morte. Così avvenne. Depone fr.<br />

Giovannuzzo nel processo: «Si diede a pregare con molte lacrime la Vergine Maria e<br />

il beato <strong>Agostino</strong> perché gli fosse concessa la consolazione di un'apparizione di<br />

Cristo e <strong>del</strong>la Vergine e <strong>del</strong>lo stesso <strong>Agostino</strong> e gli fosse rivelato il giorno <strong>del</strong> suo<br />

passaggio da questa vita». L'apparizione avvenne, continua il teste, dopo tre giorni da<br />

questa umile e fiduciosa preghiera, e «Maria gli disse: il terzo giorno dopo la mia<br />

natività (8 settembre) passerai da questo mondo al regno dei cieli: ricevi i sacramenti<br />

<strong>del</strong>la Chiesa e affrettati a prepararti al gran passo» (Processo, teste 221, p. 488).<br />

Era già preparato, perché tutta la sua vita, come quella <strong>del</strong> suo padre spirituale<br />

dopo la conversione, fu una lunga e gioiosa preparazione alla morte. Si è detto sopra<br />

che egli prediligeva i salmi <strong>del</strong>le ascensioni (verso la celeste Gerusalemme) che<br />

recitava, insieme ai salmi penitenziali, ogni giorno (vedi sopra pp. 101-102). In essi<br />

incontrava sempre quelle parole che tante volte avevano fatto vibrare le più intime<br />

corde <strong>del</strong> suo spirito commuovendolo fino alle lacrime: «Quale gioia quando mi<br />

dissero: Andremo nella casa <strong>del</strong> Signore». E avrà ricordato e recitato quelle che<br />

seguono, che avevano per lui, ormai, un significato nuovo e suscitavano, nel cuore,<br />

un affetto nuovo, ineffabile: «Ed ora i nostri piedi si fermano alle tue porte,<br />

Gerusalemme» (Sl.122 [121], 1-2). Ormai era davvero alle porte di Gerusalemme,<br />

non di quella di pietra come gli antichi israeliti, ma di quella <strong>del</strong>lo spirito a cui son<br />

destinati i salvati da Cristo.<br />

L'annuncio di Maria e la sua materna raccomandazione, aggiunti al bisogno più<br />

profondo <strong>del</strong> suo spirito, lo indussero ad immergersi totalmente, più <strong>del</strong> solito, nella<br />

preghiera o, come dice il teste oculare, «a darsi alla preghiera». Proprio come il suo<br />

padre spirituale che gli ultimi giorni <strong>del</strong>la vita volle dedicare esclusivamente alla<br />

preghiera (Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong>, 31, 2).<br />

2. L'INFERMO CHE GUARISCE GLI INFERMI<br />

Ma fino a che punto fosse lasciato libero di darsi tutto alla preghiera non so. Il<br />

primo biografo ci assicura che molti accorrevano a lui «salutationis gratia». Erano gli<br />

amici, erano i beneficati che volevano rivedere il loro amico o il loro benefattore<br />

morente. E chi a Tolentino non era stato beneficato da lui? Quale povero non era stato<br />

81


aiutato? Quale infermo non era stato visitato? Quali giovani non avevano ricevuto da<br />

lui sapienti consigli? E quante «grazie» erano cadute dalla sua mano benedicente! Si<br />

può dunque pensare che le visite fossero frequenti e la processione lunga. E forse<br />

Nicola non ebbe il coraggio di chiedere quello che aveva chiesto <strong>Agostino</strong> nell'ultima<br />

malattia, né i confratelli il pensiero di disporlo. Si sa che il vescovo d'Ippona «per non<br />

essere disturbato da nessuno nel suo raccoglimento, un dieci giorni prima di uscire<br />

dal corpo pregò noi presenti, dice il primo biografo, di non lasciar entrare nessuno<br />

nella sua camera fuori <strong>del</strong>le ore in cui i medici venivano a visitarlo o quando gli si<br />

portavano i pasti. Il suo volere fu adempiuto esattamente: e in tutto quel tempo egli<br />

attendeva all'orazione» (Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong> 31, 3).<br />

Ma se non ci fu questa somiglianza di situazioni, ce ne fu un'altra, quella di<br />

ottenere per gli infermi, egli mortalmente infermo, la salute. Il primo biografo narra<br />

due casi.<br />

Una certa Blanda di Tolentino, soffrendo da quindici anni fortissimi dolori di<br />

testa tanto che spesso non poteva né vedere né udire, si recò da Nicola che giaceva<br />

sul letto di morte e lo pregò che si degnasse di posarle la mano sulla testa. Il morente<br />

ve la pose e poi vi tracciò il segno <strong>del</strong>la croce: ogni dolore scomparve come<br />

d'incanto. Forse Nicola non pensò e certamente non ci pensò il primo biografo che<br />

<strong>Agostino</strong> morente aveva fatto lo stesso gesto e con lo stesso risultato. Una madre gli<br />

presentò il suo bambino ammalato pregandolo che gl'imponesse le mani, certa che<br />

sarebbe subito guarito. <strong>Agostino</strong>, non riconoscendo in sé nessun potere taumaturgico,<br />

rispose sorridente: se avessi il potere di guarire gli ammalati lo userei prima di tutto<br />

per me, che, come vedi, sono molto ammalato. La madre non si diede per vinta, disse<br />

che il Signore l'aveva avvertita di portare il suo bambino dal vescovo <strong>Agostino</strong> e che<br />

si sarebbe guarito con la benedizione di lui. Il santo vescovo non si convinse molto,<br />

ma per compiacere la donna posò, con un gesto di benevolenza, la mano sul capo <strong>del</strong><br />

bambino e lo benedisse: il bambino guarì (Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong>, 32). I due fatti<br />

sono troppo simili per non essere ravvicinati. Forse Nicola, a differenza <strong>del</strong> suo padre<br />

spirituale, non sorrise alla richiesta <strong>del</strong>la donna, non scherzò sul potere dei miracoli,<br />

ma sapendo di averlo ricevuto per alleviare le sofferenze degli altri, non le sue,<br />

cedette senza resistere alle preghiere <strong>del</strong>la dolorante e la «grazia», ancora una volta,<br />

fiorì.<br />

Il secondo fatto prodigioso riguarda la sorella di un religioso agostiniano, un certo<br />

fr. Tommaso morto da poco. Questa buona sorella fu tanto addolorata per la morte<br />

<strong>del</strong> fratello che pianse tanto e così a lungo che ebbe un male agli occhi e perdette la<br />

vista. Andò da Nicola per esser guarita. Il santo, appresa la morte di fr. Tommaso, se<br />

ne dolse, perché, disse, con lui l'Ordine aveva perduto un religioso molto utile. Si noti<br />

quest'amabile ed affettuoso pensiero verso il suo Ordine, forse l'ultimo, il segno d'un<br />

lungo, profondo ed operoso amore. Lo aveva veramente amato l'Ordine, lo amava e<br />

avrebbe continuato ad amarlo, e, aggiungiamo pure, a glorificarlo.<br />

Ma torniamo alla donna che implorava il dono di riacquistare la vista. Nicola le<br />

diede la benedizione col segno <strong>del</strong>la croce, le toccò gli occhi e le disse: «Dio e mio<br />

Signore Gesù Cristo abbia pietà <strong>del</strong>la tua tristezza e ti restituisca la sanità degli<br />

occhi». La donna uscì dalla cameretta <strong>del</strong> morente ed entrò in chiesa: qui si accorse di<br />

aver recuperato la vista. Esultante, lo annunziò a tutti i presenti e se ne tornò, guarita,<br />

82


a casa sua. Mentre nella cameretta dove aveva implorato e ottenuto la «grazia»,<br />

Nicola, sempre più debole e spossato, restava ad attendere sereno, pregando e<br />

soffrendo, l'ora di Dio che gli era stata annunziata (Vita, 5, 47).<br />

3. IL SILENZIO DEL CIELO<br />

Nella deposizione di fr. Giovannuzzo c'è un particolare che richiama la nostra<br />

attenzione. Dice il teste: «Fr. Nicola chiese alla Vergine Maria che il nemico con cui<br />

tanto aveva combattuto in vita, non gli fosse vicino nell'ora <strong>del</strong>la morte».<br />

Si sentiva tanto debole, aveva tanta paura. Non già paura che la Madonna non<br />

fosse con lui per ottenergli, come altre volte, la vittoria, ma paura <strong>del</strong>la sua debolezza,<br />

paura <strong>del</strong>la possibilità sempre presente - finché si vive quaggiù non si può mai<br />

escluderla, e Nicola da buon teologo lo sapeva -, di restare sconfitti. Aver combattuto<br />

e vinto tante volte in vita, e restare sconfitto in punto di morte! Il pensiero lo riempiva<br />

di santo terrore. Da esso nasceva l'accorata preghiera che il teste ci ricorda.<br />

In altre parole Nicola chiedeva a Maria di ottenergli quello che il suo padre<br />

Sant'<strong>Agostino</strong> aveva chiamato il «grande dono» <strong>del</strong>la perseveranza. Dono veramente<br />

grande perché corona tutti gli altri doni e li rende operanti per la vita eterna. Ma un<br />

dono che non si merita: si può solo - e si deve - chiedere «supplichevolmente», cioè<br />

con una preghiera d'implorazione umile, insistente, perseverante. Chiedendo di essere<br />

liberato dagli assalti <strong>del</strong> nemico, Nicola chiedeva appunto questo dono. Pareva<br />

dicesse: se la traversata fu lunga e tempestosa, sia almeno tranquillo l'ingresso nel<br />

porto.<br />

Ma il cielo, nota il teste, non rispose. Momento difficile e oscuro per Nicola, forse<br />

il più difficile e il più oscuro <strong>del</strong>la sua vita. La prova era grande. Aveva espresso con<br />

la fiducia di un bambino il filiale desiderio di avere la gioia d'un'apparizione celeste<br />

nonché la certezza <strong>del</strong> giorno <strong>del</strong>la morte, ed era stato ascoltato; ora chiedeva una<br />

grazia molto più importante, tanto importante che da essa poteva dipendere la sua<br />

salvezza, e il Cielo taceva; taceva Maria, nella cui intercessione aveva avuto sempre<br />

un'illimitata fiducia. La prova era grande, l'estrema che Dio richiedeva a lui: una<br />

prova di fede piena e totale. Il santo la diede. «Non avuta la risposta dalla Vergine<br />

Maria, continua il teste, cominciò a pregare più devotamente, s'immerse tutto<br />

nell'orazione: devotius orare incepit et orationi se dedit».<br />

Dopo tre giorni d'intensa, commossa, fiduciosa preghiera la risposta venne.<br />

«Sentì la voce di un angelo che gli diceva: la tua preghiera è stata esaudita»<br />

(Processo, teste 271, p. 489). Ora sapeva di certo che l'ombra <strong>del</strong> nemico s'era<br />

allontanata definitivamente da lui, ora poteva guardare sereno alla sua fine,<br />

all'abbraccio gioioso col suo Signore.<br />

4. GLI ULTIMI GIORNI<br />

Per i santi che hanno avuto, come Nicola ebbe, il grande dono di una morte<br />

consapevole e serena con la possibilità di esprimere fino all'ultimo i sentimenti che<br />

83


coltivavano nel cuore, i giorni o le ore che precedono la morte sono il compendio di<br />

tutta la vita. Così fu per il nostro santo. S'era confessato ogni giorno, ora chiede di<br />

confessarsi per l'ultima volta; aveva celebrato quotidianamente la Santa Messa, ora<br />

non potendo più celebrare chiede di ricevere il Corpo <strong>del</strong> Signore; aveva tanto amato<br />

Maria, ora chiede che la sua immagine che aveva avuto sempre nella cameretta gli<br />

venga posta di fronte nella parete opposta al lettuccio perché possa fissare i suoi occhi<br />

nel volto materno di lei e dirle, prima di andarla a vedere nel cielo, tutto il suo amore;<br />

aveva tanto pregato davanti la reliquia <strong>del</strong>la santa Croce, ora chiede che gli venga<br />

portata perché possa abbracciarla e baciarla ancora una volta e, stretto ad essa,<br />

passare da questa vita all'eternità; aveva recitato con tanta assiduità i salmi, in coro e<br />

in privato, ed ora chiede che gli vengano sussurrate all'orecchio alcune parole, prese<br />

appunto dai salmi, che annunciano la liberazione e l'offerta totale a Dio.<br />

Sentendosi dunque venir meno le forze, fece chiamare il priore e chiese di fare la<br />

confessione. «Ti prego instantemente, padre priore, che mi assolva da tutti i miei<br />

<strong>del</strong>itti». I miei <strong>del</strong>itti! Così parlano i santi, i quali guardano se stessi alla luce di Dio.<br />

Anche il vescovo d'Ippona volle passare da questa vita riconoscendo i suoi peccati e<br />

recitando i salmi penitenziali. Diceva infatti: «Nessuno, laico o vescovo, per quanto<br />

sembri irreprensibile la sua condotta, deve passare da questa vita senza una degna,<br />

cioè adeguata, penitenza» (Possidio, Vita di <strong>Agostino</strong> 32, 2).<br />

Poi volle avere intorno a sé i confratelli e chiese loro perdono <strong>del</strong>le offese che<br />

avesse loro arrecato. «O dignitosa coscienza e netta, direbbe qui Dante, come t'è<br />

picciol fallo amaro morso!». Quei buoni religiosi che lo avevano visto in mezzo a<br />

loro sempre premuroso e amabile, sempre attento ad evitare ogni ombra di litigio o di<br />

contrasto, sempre sereno e sorridente, un esemplare perfetto, in una parola, <strong>del</strong>la vita<br />

comune, a stento avranno potuto trattenere le lacrime. Eppure egli chiedeva<br />

sinceramente perdono. Lettore assiduo e studioso attento <strong>del</strong>la Scrittura, ricordava<br />

bene le parole di San Paolo: «Non sono consapevole di nessuna colpa, ma non per<br />

questo mi sento giustificato» (1 Cor, 4, 4).<br />

«Ricevuta la solenne assoluzione, circondato da una parte e dall'altra (<strong>del</strong><br />

lettuccio) dai confratelli, che pregavano insieme a lui, ricevette con grande effusione<br />

di lacrime - cum ingenti lachrimarum effusione - il Corpo <strong>del</strong> Signore» (Vita, 5, 49).<br />

Così, in breve, il primo biografo parla <strong>del</strong> santo viatico portato a Nicola morente. Il<br />

commento lo lascio al lettore. L'accenno al profluvio di lacrime è molto eloquente.<br />

Era l'ultima comunione di chi ogni mattina per tanti anni aveva consacrato ed elevato<br />

il Corpo <strong>del</strong> Signore, sacrificio di espiazione dei peccati di tutto il mondo; era l'ultimo<br />

incontro sacramentale col suo Signore prima di andare a vederlo faccia a faccia nel<br />

cielo.<br />

Ricevuto il viatico, volle rivedere, abbracciare e baciare il legno <strong>del</strong>la croce. Era,<br />

come si è detto (pp. 98-99), la croce argentea che aveva fabbricato con le sue stesse<br />

mani, davanti alla quale, in sacrestia, specialmente al venerdì, aveva effuso tante e<br />

tante volte il suo animo traboccante di affetto. Chi poteva resistere a questo<br />

desiderio? Il priore gliela fece portare. Il morente in ginocchio sul letto, sostenuto,<br />

possiamo pensarlo, dal fe<strong>del</strong>e Giovannuzzo, la salutò con parole infuocate che<br />

ricordavano quelle <strong>del</strong>la liturgia di Sant'Andrea, l'abbracciò, la baciò. Poi ricadde nel<br />

suo pagliericcio e rimase lungamente in preghiera. Era ancora tutto presente a se<br />

84


stesso, tanto che raccomandò a fr. Giovannuzzo, che gli era sempre vicino, di<br />

ripetergli le parole <strong>del</strong> salmo: «Hai spezzato, Signore, le mie catene, ti sacrifico<br />

un'ostia di lode» (Sl. 115, 16), affinché quando non avesse potuto ripeterle col labbro,<br />

le avrebbe risentite con l'orecchio e ripetute con la <strong>memoria</strong> e il cuore (Processo,<br />

teste 271, p. 489; Vita, 5, 50). Quelle parole riassumevano le sue ultime disposizioni,<br />

che erano state, poi, quelle di tutta la vita: il cupio dissolvi e la dedizione totale al<br />

Signore.<br />

5. «ECCOMI, SIGNORE»<br />

Vedendo che il santo era ancora presente a se stesso, i confratelli andavano e<br />

venivano, dice il primo biografo, nella sua cameretta. Ma fr. Giovannuzzo non si<br />

staccava mai da lui: era sempre lì, a rilevarne ogni mossa, a soddisfarne ogni<br />

desiderio. Divenne pertanto il fortunato depositario <strong>del</strong>l'ultimo segreto <strong>del</strong> santo.<br />

Quando i confratelli non c'erano - il particolare è notato dal primo biografo -, nella<br />

cameretta di Nicola si udivano voci di gioia e si vedeva il volto <strong>del</strong> santo illuminarsi e<br />

sorridere. Fr. Giovannuzzo, smettendo di ripetergli le parole che aveva avuto in<br />

consegna, gli chiese sorpreso e incuriosito: «Padre, qual’è la causa di tanta felicità e<br />

di tanto godimento?». Il santo restò immerso nella sua visione di gioia e parve non<br />

sentire. L'affezionato e solerte infermiere ripeté la domanda più volte. Nulla.<br />

Finalmente, post multa rogamina, come dice egli stesso nel processo - dopo essere<br />

stato lungamente pregato -, rispose con l'ombra <strong>del</strong>la voce: «Vedo il Signore mio Dio<br />

accompagnato dalla Madre sua e dal nostro padre <strong>Agostino</strong> che mi ha detto: or su,<br />

servo buono e fe<strong>del</strong>e, entra nel gaudio <strong>del</strong> tuo Signore».<br />

Era la fine. I confratelli se ne avvedono e si raccolgono in preghiera intorno al suo<br />

letto. Lo sentono mormorare le parole estreme di Cristo sulla croce: Padre, nelle tue<br />

mani consegno il mio spirito. Detto questo, «con le mani levate al cielo e gli occhi<br />

rivolti alla croce, con sul volto l'espressione <strong>del</strong>la giocondità e <strong>del</strong>la gioia - iucundo et<br />

hilari vultu -, spirò» (Processo, teste 221, p. 489; Vita, 5, 51). Era il vespro <strong>del</strong> 10<br />

settembre <strong>del</strong> 1305. Quel giorno non cadrà più dalla <strong>memoria</strong> degli uomini.<br />

85


CAPITOLO XIV<br />

IL CULTO<br />

Se, come mi pare di aver detto, la gente fu discreta con lui durante la vita,<br />

fuorché, s'intende, al confessionale dove si affollò senza riguardo per le condizioni<br />

fisiche <strong>del</strong> santo, dopo la morte corse al suo sepolcro a torme per ringraziare, lodare,<br />

implorare. La sua fama di santo e di taumaturgo si diffuse rapidamente in Italia, in<br />

Europa e, quando cominciò il movimento missionario <strong>del</strong>la chiesa fuori <strong>del</strong>l'Europa,<br />

nelle Americhe, nelle Indie, nel Giappone e dovunque i missionari agostiniani misero<br />

piede. È commovente oggi, per fare un esempio, tornare sulle alte cime <strong>del</strong>le Ande -<br />

chi scrive c'è stato - e trovare antiche chiese fatiscenti in paesi sperduti tra le gole<br />

<strong>del</strong>le montagne dedicate a San Nicola. O, per fare un altro esempio, questa volta più<br />

vicino nel tempo e nello spazio, a Cascia, nella chiesa di Sant'<strong>Agostino</strong>, dove al<br />

tempo <strong>del</strong>la giovinezza di Santa Rita, verso la fine <strong>del</strong> '300, Nicola era molto<br />

venerato tanto che la santa lo scelse per suo speciale protettore. E occorre notare che<br />

la canonizzazione non era ancora avvenuta.<br />

1.LA DOCUMENTAZIONE DEL PROCESSO<br />

La prima documentazione di questa sorprendente diffusione <strong>del</strong> culto è il<br />

processo posteriore di soli 20 anni alla morte <strong>del</strong> santo. Già il primo articolo <strong>del</strong><br />

processo diceva che la fama di santità di Nicola oltre che a Tolentino era diffusa «in<br />

tutta la città e diocesi di Camerino, in tutta la città e diocesi di Fermo e in altre città e<br />

paesi <strong>del</strong>la Marca d'Ancona». I testi interrogati allargano l'orizzonte a tutta l'Italia.<br />

Berardo Appillaterra, che aveva viaggiato molto e come notaio era stato in molte<br />

regioni, depose che la fama era diffusa nelle località indicate e in molte altre fuori<br />

<strong>del</strong>le Marche. Interrogato in quali altre rispose: «Nella provincia di Romagna: a<br />

Rimini, a Forlì, a Cesena, a Forlimpopoli, a Faenza e in molti altri luoghi, castelli e<br />

città; nella provincia di Toscana: a Firenze (dove nella chiesa di Santo Spirito degli<br />

Agostiniani era avvenuta la guarigione di un paralitico) e Siena; nel ducato di<br />

Spoleto: a Foligno, a Bevagna, a Montefalco, a Spello; nel regno di Napoli: a<br />

Manfredonia, a Barletta, a Trani, a Napoli, a Brindisi, a Bari e in molti altri luoghi;<br />

nelle Marche: ad Ancona, a Iesi, a Fano, a Pesaro, ad Ascoli, a Macerata e loro<br />

rispettive diocesi» (Processo, teste 16, p. 117). Un giureconsulto tolentinate ricorda<br />

alcune città elencate da Berardo e aggiunge Perugia (Processo, teste 15, p. 112). Una<br />

testimonianza simile rende p. Vittore da Camerino, professore di teologia e, quando<br />

testimoniava, priore di Pesaro, che aveva, forse come predicatore, viaggiato molto.<br />

<strong>Alla</strong> notizia <strong>del</strong>la diffusione <strong>del</strong> culto si aggiunge quella <strong>del</strong>le moltitudini di<br />

pellegrini che si recavano a venerare il sepolcro <strong>del</strong> santo, specialmente nel giorno<br />

anniversario <strong>del</strong>la sua morte.<br />

Quando i due vescovi commissari <strong>del</strong> processo «il 9 settembre <strong>del</strong> 1325<br />

cavalcavano da San Severino verso Tolentino incontrarono una gran moltitudine di<br />

gente, uomini e donne, da ogni parte, luogo e provincia che diceva con grande<br />

86


devozione di andare a Tolentino a visitare l'arca nella quale giace sepolto il corpo <strong>del</strong><br />

beato Nicola... Erano <strong>del</strong>le provincie, città e diocesi <strong>del</strong>le Marche, <strong>del</strong> ducato di<br />

Spoleto, <strong>del</strong>la Toscana, <strong>del</strong>la Romagna, <strong>del</strong> Patrimonio e di altre provincie d'Italia...<br />

Molti dichiaravano che andavano per aver fatto voto di fare questo pellegrinaggio,<br />

altri per la riverenza e la grande fede che avevano nell'intercessione di Nicola, che<br />

tutti pubblicamente chiamavano e consideravano santo» (Bibl. Vat. Ms.Vat. lat. 4028,<br />

f. 44 r ; da D. Gutiérrez, o.c., p. 150).<br />

Si può essere certi che questo accorrere di pellegrini era determinato più dalla<br />

fama dei miracoli che da quella <strong>del</strong>la santità, ma in fondo c'era anche questa. L'una e<br />

l'altra mise insieme, anzi con la prima provò la seconda, il medico di Tolentino che<br />

aveva curato Nicola ed era stato presente alla sua morte. In quello stesso giorno, e<br />

forse subito dopo averne constatato il decesso e avergli chiuso piamente gli occhi,<br />

quasi temesse che i confratelli non lo stimassero abbastanza, disse al priore, p.<br />

Angelo da Santa Vittoria che lo racconta: «Onorate Nicola come merita perché fu un<br />

uomo molto diverso da quello che credete: fuit afius homo quam creditis. Poi, per<br />

confermarlo, narrò un miracolo che aveva operato ancor vivo a favore <strong>del</strong>la sua<br />

cognata Donzella» (Processo, teste 10, p. 96; cfr. teste 222, pp. 489-490).<br />

Si può considerare questo laico il primo promotore <strong>del</strong> processo di<br />

canonizzazione <strong>del</strong> nostro santo. Appresso a lui i fe<strong>del</strong>i che lo avevano conosciuto e<br />

che l'avevano conosciuto come santo e taumaturgo. Furono loro, i fe<strong>del</strong>i, ad insistere,<br />

con l'infallibile intuito <strong>del</strong> pio popolo cristiano, perché la Chiesa si pronunziasse sulla<br />

sua santità. Che poi a poco a poco quelli che non l'avevano conosciuto personalmente<br />

insistessero più sul taumaturgo che sul santo, è ovvio. Quello invece che è meno<br />

ovvio è che in quest'ottica entrassero il primo biografo e, dopo di lui, i commissari <strong>del</strong><br />

processo. Ma tant'è, ci entrarono.<br />

II primo biografo parla con entusiasmo dei miracoli. Dice che erano tanti che non<br />

si trovavano più notai che volessero descriverli neppure dietro compenso. «Da questo<br />

mare di grazie, continua, ne sceglierò alcune». E scrive altri tre lunghi capitoli <strong>del</strong>la<br />

sua storia. Il processo poi fu impostato fin dall'inizio sui miracoli, tanto che i<br />

commissari domandarono ad ognuno se avessero qualche fatto prodigioso da narrare.<br />

Lo stesso medico che subito dopo la morte aveva manifestato una grande stima per<br />

Nicola santo - l'ho detto poco sopra -, interrogato nel processo non depose, o i<br />

commissari frettolosi non lo fecero deporre, che sulla prodigiosa guarigione <strong>del</strong>la<br />

cognata (Processo, teste 22, pp. 489-490).<br />

D'allora in poi Nicola passò alla storia come il grande taumaturgo. Ce lo<br />

ricordano, oltre il processo, gli stupendi affreschi <strong>del</strong> Cappellone, le innumerevoli<br />

tavolette ex voto (vedi già nel Processo, teste 83, p. 234) <strong>del</strong>le quali solo 394 si sono<br />

salvate dall'irresponsabile e incomprensibile dispersione (cfr. Gli ex voto per San<br />

Nicola a Tolentino, Tolentino, 1972), le belle tele che ricordano alcuni casi più<br />

clamorosi come la cessazione <strong>del</strong>la pestilenza di Cordova, l'estinzione d'un incendio<br />

nel palazzo ducale di Venezia o il placarsi d'una furibonda tempesta nel porto di<br />

Genova.<br />

C'è da prenderne atto con gioia e gratitudine. È la Provvidenza che assegna ad<br />

alcuni dei suoi santi questa speciale missione: essere gli strumenti <strong>del</strong>la misericordia<br />

di Dio nel sollevare le sofferenze degli uomini. «Dio è Padre, ha detto stupendamente<br />

87


un grande scrittore cristiano sintetizzando una grande verità <strong>del</strong> cristianesimo, Dio è<br />

Padre e non turba mai la pace dei suoi figli se non per procurarne loro una più certa e<br />

più grande» (A. Manzoni). Allo scopo di rafforzare in essi questa ineffabile certezza<br />

Dio per intercessione dei santi fa sentire anche sensibilmente la sua consolante<br />

presenza.<br />

Questa appunto la missione che Dio ha affidato al nostro santo, come ad altri; per<br />

esempio, a Sant'Antonio da Padova e, per restare nell'ambito <strong>del</strong>l'Ordine agostiniano,<br />

a Santa Rita 1 . Rendiamone dunque grazie, ma comprendiamo anche la divina<br />

pedagogia, la quale vuole che dietro il taumaturgo scopriamo il santo per imparare da<br />

lui, che esercitò in grado eroico le virtù umane e divine, ad andare a Cristo, a imitare<br />

il Cristo. Il culto dei santi, per sua natura, ha sempre Cristo per termine.<br />

2. LA MISSIONE ERA COMINCIATA IN VITA<br />

Del resto la missione che Dio gli affidava dopo la morte era già cominciata in<br />

vita. Quante volte aveva alzato la mano benedicente e le infermità se n'erano fuggite!<br />

Dall'animo compassionevole e buono, egli non sapeva resistere allo spettacolo <strong>del</strong>la<br />

sofferenza: si rivolgeva al suo Dio, e Dio interveniva. Condizione <strong>del</strong>l'intervento<br />

erano la fede, la fiducia, la certezza che Dio ama chi soffre. Ad un paralitico che<br />

chiedeva la guarigione dice: «Dio ti ama, e per questo ti ha provato; sta di buon<br />

animo che sarai subito guarito» (Processo, teste 93, p. 272; teste 93, p. 274).<br />

In un altro caso, dopo aver interceduto per un infermo invocando e facendo<br />

invocare Sant'Antonio, a guarigione avvenuta, dice: «Abbiate fiducia nei santi, e<br />

sappiate farveli amici» (Processo, teste 84, p. 240). Ad un altro ancora: «Va' in pace,<br />

figliolo: ti sei fatto una grave ferita. Il mio salvatore Gesù Cristo aiuti la tua fede»<br />

(Vita, 5, 43).<br />

Il taumaturgo riconduce sempre l'animo degli infermi a Dio, che è sempre Padre<br />

anche quando prova nel dolore. Per sé chiede solo silenzio e nascondimento. A<br />

Margherita, moglie di Berardo Appillaterra, amico <strong>del</strong> santo, che era afflittissima per<br />

un'enorme infiammazione alla gola sopravvenuta alla sua figliola Cecca, dice,<br />

nascondendosi sotto il potere taumaturgico di San Biagio: «Confida in Dio e in San<br />

Biagio, la tua figlia Cecca sarà guarita senza che la tocchi ferro alcuno e senza il<br />

consiglio dei medici. Conducila alla chiesa di San Biagio: è un medico migliore di<br />

tutti gli altri medici» (Processo, teste 84, p. 237).<br />

3. LA CANONIZZAZIONE<br />

I miracoli, in vita e dopo morte, richiamarono l'attenzione sul santo e indussero a<br />

chiederne a gran voce la canonizzazione. Ma questa tardò a venire.<br />

Terminato il processo l'8 settembre <strong>del</strong> 1325, come si è detto, fu presentato il 5<br />

dicembre <strong>del</strong>lo stesso anno a Giovanni XXII ad Avignone. Questi ordinò a tre<br />

cardinali di preparare il sommario per il concistoro; il sommario fu preparato dal<br />

Card. Godin, ma il concistoro non fu mai fatto: tristezza dei tempi. S'era accesa la<br />

88


lotta tra la Chiesa e l'Impero e nella Chiesa stessa c'erano molte situazioni, come<br />

quella degli «spirituali», che richiedevano tutta l'attenzione e la preoccupazione <strong>del</strong><br />

Pontefice. La stessa sorte toccò al processo di Santa Chiara da Montefalco, celebrato<br />

qualche anno prima (1317-1319). Anche in questo caso il processo fu presentato al<br />

Pontefice, si preparò il sommario, ma la canonizzazione non ci fu: arriverà nei tempi<br />

moderni. Quella di Nicola attese 121 anni. Negligenza degli uomini? Forse. L'Ordine<br />

agostiniano nei suoi capitoli generali s'interessò di questa causa: nel 1324, prima<br />

ancora che il processo cominciasse, autorizzò il <strong>Priore</strong> Generale ad indire una colletta<br />

straordinaria tra le province «se la questione <strong>del</strong> processo <strong>del</strong> beato Nicola da<br />

Tolentino avrà, come si spera, successo»; nel 1341 comandò «che una volta alla<br />

settimana si celebrasse o cantasse la messa <strong>del</strong>lo Spirito Santo in tutti i conventi<br />

<strong>del</strong>l'Ordine, affinché i carismi <strong>del</strong>la santa Chiesa dispongano felicemente gli animi<br />

<strong>del</strong> Sommo Pontefice e dei cardinali allo scopo di proseguire e portare a termine la<br />

canonizzazione di fr. Nicola da Tolentino, di pia e santa <strong>memoria</strong>». Ma questi<br />

interventi <strong>del</strong>l'Ordine o non furono abbastanza efficaci o le difficoltà furono più forti<br />

di essi.<br />

Intanto il culto di Nicola continuava e cresceva. Bonifacio IX, nel concedere<br />

l'indulgenza plenaria nella forma <strong>del</strong>la Porziuncola per chi visitava il suo sepolcro -<br />

l'ho detto, mi pare, sopra - lo chiamava santo. Questo fatto indusse Bollandisti a<br />

pensare che Giovanni XXII, avuta notizia <strong>del</strong> processo, approvò o almeno permise la<br />

continuazione <strong>del</strong> culto.<br />

La canonizzazione fu celebrata da Eugenio IV alla fine <strong>del</strong> suo travagliato<br />

pontificato, il 5 giugno 1446, festa di Pentecoste, come ringraziamento a Dio per la<br />

sospirata unità e pace raggiunte dalla Chiesa. Questo binomio - unità e pace - che<br />

costituì il grande impegno apostolico di Sant'<strong>Agostino</strong>, e che Nicola certamente portò<br />

sempre nel cuore, ha lasciato un segno espressivo nella liturgia.<br />

La preghiera che in quel giorno il Pontefice rivolse a Dio per intercessione <strong>del</strong><br />

novello santo - preghiera che si vuole composta dallo stesso Pontefice - dice così:<br />

«Concedi, o Dio onnipotente, che la tua Chiesa; resa splendente dalle virtù e dai<br />

miracoli di San Nicola da Tolentino, goda, per sua intercessione, di unità e di pace<br />

duratura».<br />

Questa preghiera impegna i devoti <strong>del</strong> santo, che ancor oggi sono tanti, alla<br />

preghiera assidua e all'azione illuminata e generosa perché la Chiesa raggiunga<br />

l'altissimo ideale <strong>del</strong>l'unità e <strong>del</strong>la pace che sono l'una il sospiro, l'altra il retaggio di<br />

Cristo. Preghiera ed azione che devono essere particolarmente attive in questo tempo<br />

in cui è in atto, dietro la spinta <strong>del</strong> recente Concilio, il movimento ecumenico. Nicola<br />

con la sua intercessione dev'essere sprone, mo<strong>del</strong>lo e guida verso l'unità <strong>del</strong>la Chiesa<br />

e la pace.<br />

4. LE SORTI DELLA SALMA<br />

Prima di terminare non posso non ricordare il fatto più misterioso e sconcertante<br />

che riguarda il culto <strong>del</strong> santo: la recisione <strong>del</strong>le braccia. Quando sia avvenuta non<br />

sappiamo, forse non molto dopo il processo, forse dopo la canonizzazione. Il tempo e<br />

il modo oscurissimi, ma il fatto certissimo: in un certo momento le braccia, recise dal<br />

89


corpo, sono state venerate a parte, racchiuse in un forziere e poste dietro l'altare <strong>del</strong>la<br />

cappella detta appunto <strong>del</strong>le sante braccia. Nella recisione le braccia emanarono<br />

sangue, e poi lungo i secoli tante e tante altre volte (cfr. D. Gentili, Un asceta e un<br />

apostolo - S. Nicola da Tolentino, Tolentino 1978 2 , p. 153s.). Molte volte per<br />

interessamento <strong>del</strong>l'autorità ecclesiastica di queste emanazioni è stata fatta accurata<br />

ricognizione. Nel fascicolo contenente la ricognizione <strong>del</strong> 1657, ci sono scritte le<br />

parole che Alessandro VII avrebbe detto esaminandolo: Come la Chiesa è stata<br />

redenta dal sangue di Cristo così ora è sorretta dalle braccia sanguinanti di San<br />

Nicola.<br />

Tagliate le braccia, non si sa da chi né perché, il corpo fu nascosto, secondo la<br />

tradizione, sotto il pavimento <strong>del</strong> Cappellone, dove di fatti fu ritrovato, dopo tentativi<br />

andati a vuoto, nel 1926. Fu costruita allora un'apposita cripta e le braccia furono<br />

ricongiunte al resto <strong>del</strong> corpo, dopo un accurato processo di autenticazione <strong>del</strong>le<br />

reliquie ritrovate. Nel 1976 la comunità di Tolentino prese la coraggiosa e provvida<br />

iniziativa di fare una ricognizione, eseguita secondo tutte le risorse <strong>del</strong>la scienza<br />

moderna da noti professori <strong>del</strong>le università di Roma e di Genova. L'esito fu<br />

lusinghiero. La scienza, impassibile e fredda, poteva ormai assicurare che il cranio e<br />

le braccia e le altre reliquie appartengono ad un individuo di sesso maschile di 55-65<br />

anni di età, di cm. 173-174 di altezza. La scienza dunque confortava e confermava la<br />

storia, e questa la pietà. Il corpo di San Nicola è dunque lì, sotto l'oratorio di<br />

Sant'<strong>Agostino</strong>, dove la stella ne aveva indicato il sepolcro, nella penombra <strong>del</strong>la<br />

cripta; è lì nella bella urna argentea che attende sempre i suoi devoti. Se la sua mano<br />

non si alza più per benedire come tante volte ha fatto in vita dall'altare, dal<br />

confessionale, nei tuguri dei poveri, nelle case degli ammalati, la sua voce soave, per<br />

chi sa ascoltarla, si sente ancora; una voce che ripete, come faceva in vita, la grande<br />

parola <strong>del</strong>la fede cristiana: abbi fiducia, Dio è Padre, Dio ti ama.<br />

E forse a conferma, come altre volte, fiorisce il prodigio.<br />

_____<br />

NOTA:<br />

1 Cfr. <strong>Agostino</strong> <strong>Trapè</strong>, Santa Rita e il suo messaggio, Edizioni Paoline 1983 2 .<br />

90


NOTA BIBLIOGRAFICA<br />

PIETRO DA MONTERUBBIANO, Historia beati Nicolai de Tolentino, anno 1326 (?); cfr. Bollandisti,<br />

Acta Sanctorum septembris III, Venetiis 1761, 644-664.<br />

GORDANO DI SASSONIA, in Liber Vitas fratrum 1357, ed. R. Arbesmann-W. Humpfner, New York<br />

1943.<br />

ANTONINO DA FIRENZE (santo), Historia Sancti Nicolai de Tolentino, in Historia domini Antonini<br />

archiepiscopi florentini, Lugduni 1543.<br />

CONCETTI NICOLA, Vita di S. Nicola da Tolentino, Tolentino 1932.<br />

GENTILI DOMENICO, Un apostolo e un asceta - S. Nicola da Tolentino, Tolentino 1978 2 (con<br />

bibliografia pressoché completa, tutta a <strong>cara</strong>ttere prevalentemente devozionale).<br />

91


TAVOLA CRONOLOGICA<br />

1245 - Nicola nasce a Sant'Angelo in Pontano, diocesi di Fermo.<br />

1259 - Entra nell'Ordine Agostiniano.<br />

1274 - Viene ordinato sacerdote a Cingoli.<br />

1275 - Viene inviato nel convento di Tolentino.<br />

1305 - Anno <strong>del</strong>la sua morte.<br />

1325, 13 maggio - Il papa Giovanni XXII indice il processo di canonizzazione di<br />

Nicola da Tolentino.<br />

1325, luglio-settembre - Viene celebrato il processo di canonizzazione.<br />

1446, 5 giugno - Il papa Eugenio IV procede alla canonizzazione di San Nicola da<br />

Tolentino.<br />

1926 - Viene ritrovato il corpo <strong>del</strong> Santo.<br />

1928 - Processo di autentificazione <strong>del</strong>le reliquie.<br />

1976 - Ricognizione scientifica <strong>del</strong>le reliquie.<br />

92

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!