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2009 - Cc-Ti

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Attualita`<br />

di Markus Schär e Daniela Lepori<br />

18 <strong>Ti</strong>cino Business<br />

LeGittima fifa bLu<br />

deL GiGaNte GiaLLo?<br />

«Dopo questa grande crisi il mondo non sarà più lo stesso».<br />

Con quest’affermazione Thomas Held, direttore di Avenir<br />

Suisse ha aperto una manifestazione che ha avuto luogo a<br />

Zurigo ad inizio maggio ed era dedicata alla Cina, potenza<br />

che presumibilmente influenzerà il futuro del globo.<br />

In considerazione della sua vertiginosa crescita economica<br />

il mondo si chiede oggi: sarà un regno comunista che<br />

detterà ben presto le regole del gioco globale?<br />

Un'ufficiale “dittatura popolare”<br />

A partire dal 1978 quando Deng Xiaoping ha iniziato a<br />

promuovere il libero mercato la Cina ha cominciato a vivere<br />

una rinascita senza precedenti. “Il PCC non è però ancora<br />

l’abbreviazione di Partito Capitalista Cinese” ha spiegato al<br />

pubblico Harro von Senger, uno dei relatori della serata e<br />

professore di sinologia dell’università di Friburgo in Brisgovia:<br />

ancora oggi il partito si rifà al marxismo-leninismo. Il<br />

cosiddetto sinomarxismo si fonda, benché arricchito dalle<br />

idee di Mao e dagli insegnamenti pratici di Deng Xiaoping,<br />

sui pensieri di Marx e Lenin. Von Senger ha ricordato come<br />

la Repubblica Federale rappresenti una dittatura dichiarata:<br />

l’articolo 1 della Costituzione cinese, risalente ai tempi<br />

di Mao, contempla infatti la “dittatura democratica del<br />

popolo”. Da esso rimangono esclusi solo i rivali dello Stato;<br />

chi sostiene il regime comunista ne fa invece parte e può<br />

godere dei diritti umani, che la Cina dichiara di tutelare.<br />

“Tra i cinesi non vi è parola preferita a democrazia” indica<br />

Von Senger. Non dovrebbe comunque venir compresa in<br />

senso occidentale perché i cinesi, nelle nostre - ai loro occhi<br />

- “pseudo-democrazie”, non vedono il potere in mano<br />

al popolo, bensì nelle redini della classe capitalista.<br />

Se ognuno gioca al suo gioco…<br />

Come si fa a definire le basi del vivere comune se per le<br />

stesse parole s’intendono concetti differenti? Con questo<br />

quesito il professor Josef Wieland, direttore scientifico<br />

dell’Institut für Wertemanagement dell’università di Costanza<br />

ha aperto il suo intervento.<br />

“Da secoli siamo abituati che è l’occidente che detta le<br />

leggi” indica. “Ci riesce difficile accettare che questo non<br />

sia lo stato naturale delle cose”. Oggi queste norme non<br />

vengono però più imposte dalle potenze occidentali stesse<br />

ma stabilite da accordi globali. Per arrivare a questo<br />

risultato mancano però spesso come detto leggi, morale,<br />

apposite istanze e organizzazioni comuni. “È come se partecipassimo<br />

ad un campionato del mondo di calcio” spiega<br />

Wieland ”dove ogni nazione gioca secondo le proprie rego-<br />

le, le squadre hanno un concetto personale di fair-play, gli<br />

arbitri fischiano pochi falli e la FIFA quale organizzatrice<br />

risulta a tratti assente”.<br />

Wieland ha spiegato come una via percorribile verso un<br />

futuro democratico comune può venir rappresentata dalla<br />

social responsibility (norma ISO 26 000). Questo concetto<br />

può venire applicato a livello globale, anche dal Partito<br />

Comunista Cinese. Ai negoziati che dovrebbero chiudersi<br />

nel 2010 partecipano delegati da 84 Paesi e proprio in<br />

questo contesto essi si scontrano con la cultura cinese,<br />

lontanissima dalla nostra, soprattutto per quanto riguarda<br />

il commercio legale e illegale. I cinesi contestano inoltre<br />

che il modello di sviluppo occidentale sia il solo che porta<br />

al benessere economico e alla libertà.<br />

Crescita sì, ma non ricchezza per tutti<br />

Il corrispondente della Neue Zürcher Zeitung in Estremo<br />

Oriente Urs Schöttli vede quale tallone d’Achille dell’economia<br />

cinese il suo sistema finanziario poco trasparente<br />

e lungimirante. Egli ricorda come nonostante la forte crescita,<br />

solo 500 milioni degli 1,3 miliardi di cinesi vivono<br />

al di sopra della soglia di povertà: poco più di 200 milioni<br />

di loro si possono per esempio permettere un’autovettura,<br />

un televisore o delle vacanze all’estero. I restanti vivono<br />

in estrema povertà e sostengono ancora il sistema nella<br />

speranza di un domani migliore per loro o per lo meno per i<br />

loro figli. Se la crescita economica dovesse cessare – cosa<br />

che in Cina significa un calo dal 9 al 6 percento – questi<br />

poveri, se solo lo volessero, potrebbero anche destabilizzare<br />

il sistema.<br />

Nessuno ha interesse che la Cina fallisca<br />

“Questa grande nazione potrà diventare una superpotenza?”<br />

ha chiesto Katja Gentinetta, vice-direttrice di Avenir<br />

Suisse ai tre relatori. Harro von Senger non lo crede. La<br />

Cina per il 2049, anno del centenario della fondazione della<br />

Repubblica Federale si è posta l’obiettivo di raggiungere<br />

il livello di Paese industrializzato per quanto riguarda, per<br />

esempio, la qualità di vita e le infrastrutture: fino a quel<br />

punto dovrà però prima di tutto chinarsi intensivamente sui<br />

suoi problemi interni. “I cinesi sembrano di primo acchito<br />

molto forti, ma a lungo termine non lo sono” aggiunge<br />

Josef Wieland. “In Occidente nessuno ha interesse che la<br />

Cina fallisca i propri obiettivi. Ma essa con la sua apertura<br />

economica e chiusura politica non diventerà mai una superpotenza<br />

vera” sottolinea Urs Schöttli.

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