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2009 - Cc-Ti

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Biblioteca liberale<br />

di Alessio del Grande<br />

12 <strong>Ti</strong>cino Business<br />

i miLLe voLti deL popuLismo<br />

Populismo e populista sono termini assai ricorrenti<br />

nell’odierno lessico politico. Tanto da essere usati a sproposito,<br />

confondendoli spesso con demagogia e demagogo<br />

che, indubbiamente, possono essere una delle caratteristiche,<br />

tra le tante, del populismo. Quest’ultimo ha, però,<br />

un’estensione e implicazioni ben più profonde. Del populismo<br />

americano, ad esempio, si contano, a destra e<br />

a sinistra, ben sei varianti, dalla comunità dei produttori<br />

all’anti-elitarismo, dal Manifest Destiny al ruralismo antistatalista<br />

di Thoreau, come ricorda Nicolao Merker nel<br />

suo illuminante saggio “Filosofie del populismo” (editori<br />

Laterza). Se il populismo nel suo significato moderno<br />

nasce appena un secolo fa negli USA con il “People’s<br />

Party”, il Partito del popolo, le sue radici vanno molto più<br />

lontano nel tempo. Affondano nella reazione del clero e<br />

della nobiltà europea alla rivoluzione francese, attraversano<br />

filosofia, storia e letteratura tra Ottocento e Novecento,<br />

alimentano persino la dittatura nazi-fascista e altri<br />

regimi autoritari, si mascherano con tratti rivoluzionari<br />

nei regimi socialisti delle cosiddette democrazie popolari,<br />

per approdare ai tempi nostri nel cesarismo post moderno<br />

di alcuni capi di Governo o in pericolosissime forme<br />

di etnicismo, come salvaguardia, attraverso l’esclusione,<br />

dell’identità e della tradizione nazionale. Tratto costante<br />

nell’evoluzione del populismo in tutte le varianti storiche<br />

è la sua matrice conservatrice e antimoderna.<br />

La rivoluzione francese, al di là delle successive degenerazioni,<br />

aveva portato alla luce, nota Merker, una concezione<br />

laica e democratica del popolo e con essa la visione<br />

di una repubblica fondata sulla rappresentatività, che fu<br />

osteggiata dapprima da Burke e De Maistre nel nome di<br />

un populismo dinastico e di una concezione teocratica<br />

del potere, poi dai romantici tedeschi, Novalis in testa, da<br />

cui germogliò quel “blut und boden” sangue e suolo, che<br />

costò all’Europa non poche tragedie. Alla base di questa<br />

reazione c’era una concezione antidemocratica, sorretta<br />

da motivazioni metafisiche oppure estetico-lettererarie<br />

con corposi risvolti anticapitalistici, che proiettavano il<br />

popolo in una dimensione mitica e immaginifica. Nobilitata<br />

filosoficamente con l’urvolk, il popolo primordiale,<br />

di Fichte – premessa ideologica del successivo nazionalismo<br />

democratico –, con quel popolo che con Hegel<br />

da massa informe si fa Spirito nello Stato, oppure dalla<br />

plebe, altrettanto informe, di Nietsche secondo cui “popoli<br />

e razza sono il corpo che serve a generare singoli<br />

individui di valore”. Ma il grande uomo che emerge dalla<br />

massa, nella visione elitaria di Nietsche è un super<br />

uomo cosmopolita, disancorato, dunque,<br />

da quello che è il perimetro ideologico<br />

del populismo: popolo, razza, comunità,<br />

territorio. Con Heidegger e Schmitt questo super uomo<br />

sarà, invece, ri-ancorato ad una “comunità di popolo”,<br />

su base nazionale, con una sua storia e una sua precisa<br />

identità, ed ecco l’ideologia völkisch del Terzo Reich, il<br />

Führerprinzip di Hitler che aveva avuto nella Germania di<br />

Guglielmo II un fertile retroterra culturale.<br />

Ma “i populismi di qualunque natura – scrive Merker –<br />

dopo avere molto celebrato il popolo, sono restii a dargli<br />

strumenti con cui possa effettivamente decidere qualcosa.<br />

A decidere sono singoli uomini carismatici, ammantati<br />

dalla finzione di agire in ‘rappresentanza’ del popolo,<br />

talvolta affiancati da comitati popolari decorativi. Il ‘popolo’<br />

resta vaga entità generica, spesso magma miticomistico<br />

evocato nelle sue potenzialità con giaculatorie<br />

sulla razza e stirpe, o sull’antichità del territorio e delle<br />

tradizioni o sull’identità religiosa”. Ciò spiega anche perché<br />

l’antiparlamentarismo, secondo Merker, è uno degli<br />

ingredienti classici del populismo, così come dell’antipolitica,<br />

e le assemblee rappresentative sono sempre viste<br />

e propagandate come luogo d’intrighi, animate e gestite<br />

da uomini mediocri che pretendono di governare senza<br />

avere le necessarie qualità. L’altra faccia della medaglia,<br />

l’altra radicata tendenza del populismo è per forza di cose<br />

la supremazia dell’esecutivo sul legislativo, la tensione<br />

verso forme autocratiche di governo sottratte ad ogni forma<br />

di controllo democratico e istituzionale. Il populismo<br />

si trasforma allora in ogni paese nella politica o meglio<br />

nell’antipolitica che si appella ai sentimenti e ai bisogni<br />

della gente comune contro l’establishment. Ma la sua più<br />

pericolosa deriva è oggi rappresentata da quell’etnicismo<br />

che, nota Merker, postula un’unità di popolo, nella quale<br />

le identità di stirpe, lingua e religione coinciderebbero<br />

per virtù metafisica e perciò, ove non coincidessero, si<br />

devono far coincidere per forza.<br />

<strong>Ti</strong>tolo: “Filosofie del populismo”<br />

Autore: Nicolao Merker<br />

Editore: Laterza<br />

Pagine: 188

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