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2009 - Cc-Ti

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Contromano<br />

di Alessio del Grande<br />

per La Svizzera un Governo creDibiLe<br />

e autorevoLe in patria e aLL’eStero<br />

Qualche settimana fa prima che il Presidente della Confederazione<br />

Hans Rudolf Merz andasse in Libia per chiedere<br />

umilmente scusa, l’avvocato ginevrino Charles Poncet, legale<br />

del Governo libico nell’affaire Gheddafi, aveva invocato<br />

la mediazione di Jean Ziegler, sociologo e consulente<br />

ONU, per risolvere la vertenza tra Berna e Tripoli innescata<br />

dall’arresto, nel luglio del 2008, di Hannibal Gheddafi<br />

e di sua moglie Aline. Secondo l’avvocato, Ziegler, che da<br />

trent’anni è grande amico del colonnello Muammar Gheddafi,<br />

dopo i continui flop diplomatici di Berna, sarebbe<br />

stata la persona giusta per sbloccare la situazione. Ma<br />

Poncet non aveva risparmiato critiche a Berna, in particolare<br />

alla Ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey e ai<br />

suoi diplomatici accusandoli di non essere stati all’altezza<br />

dei loro compiti. Difficile dargli torto. Ad oltre un anno dal<br />

“fattaccio” di Ginevra, due cittadini svizzeri, dirigenti di<br />

una grossa industria, erano trattenuti in Libia – a tutti gli<br />

effetti considerati degli ostaggi –, i libici per ritorsione<br />

pare abbiano ritirato dalle banche svizzere qualcosa come<br />

cinque miliardi di franchi, e, inoltre, il colonnello Gheddafi<br />

dalla tribuna di un recente vertice mondiale aveva persino<br />

insultato la Confederazione: un Paese – ha detto – che andrebbe<br />

smembrato e diviso tra Francia, Germania e Italia.<br />

Insomma, la Ministra degli Esteri e la sua diplomazia non<br />

stanno facendo una grande figura.<br />

Micheline Calmy-Rey appena insediatasi agli Esteri, era<br />

partita lancia in resta con una frenesia diplomatica che<br />

aveva lasciato sbalorditi gli osservatori, abituati a tutt’altri<br />

profili, ma è poi incappata in alcuni clamorosi scivoloni,<br />

come, ad esempio, le strizzate d’occhio all’Iran, in cambio<br />

di gas, provocando l’indignazione di Tel Aviv che aveva<br />

addirittura escluso la Confederazione dai festeggiamenti<br />

ufficiali per i 50 anni dello Stato israeliano.<br />

Ma sarebbe poco onesto imputare del tutto e soltanto a<br />

Calmy-Rey errori diplomatici, la mancanza di una chiara<br />

strategia nella politica internazionale e la perdita di<br />

credibilità e considerazione che la Svizzera sta subendo<br />

all’estero: caso libico, segreto bancario, fisco, pressioni<br />

OCSE, vertenza UBS–Berna–USA, attacchi di Germania<br />

e Italia. Purtroppo dietro tutto questo c’è un Consiglio federale<br />

che pare aver perso prestigio e autorevolezza internazionale<br />

anche per come ha gestito tutti questi scottanti<br />

dossier. Le polemiche scoppiate all'interno del Consiglio<br />

Federale con le scuse a Gheddafi sono un'ulteriore conferma.<br />

Del resto in questi ultimi anni l’attività e l’unità del<br />

Governo centrale sono state assai travagliate, con gravi ripercussioni<br />

d’immagine sia sul piano interno che su quello<br />

internazionale. Basterebbe ricordare solo la «torbida»<br />

manovra con cui è stato estromesso dal Consiglio federale<br />

Blocher, la crisi che con lo scandalo del capo dell’esercito<br />

Roland Nef ha portato alle patetiche dimissioni di Samuel<br />

Schmid, le frizioni continue tra la ministra Doris Leuthard<br />

e Calmy-Rey, i tentennamenti con cui sono stati decisi<br />

e varati i piani anticrisi, l’indecisione nel fronteggiare le<br />

pressioni dell’OCSE e l’offensiva di alcuni Paesi su segreto<br />

bancario e fisco, l’ambiguo ruolo nel salvare UBS dal crollo<br />

e nel sostenerla davanti la giustizia americana, le dimissioni<br />

anticipate di Pascal Couchepin. E si potrebbe pure<br />

aggiungere il lungo, troppo lungo, silenzio sui contenuti<br />

dell’accordo con gli USA per il caso UBS. Silenzio che ha<br />

dato la stura alle indiscrezioni della stampa internazionale<br />

che hanno ulteriormente danneggiato la piazza finanziaria<br />

elvetica. Episodi che hanno evidenziato vistose crepe non<br />

solo nella formula magica e nella concordanza, ma nella<br />

politica complessiva del Governo, sia sul piano interno che<br />

su quello internazionale, minandone, in definitiva, potere e<br />

tempestività decisionale, credibilità e prestigio.<br />

Il prezzo di tutto questo è una posizione oggi di estrema<br />

debolezza della Svizzera sulla scena mondiale, l’erosione<br />

progressiva di alcune sue storiche prerogative, l’incapacità<br />

o l’inadeguatezza del Consiglio federale nel tutelare interessi<br />

vitali per il Paese, e di conseguenza anche una minore<br />

fiducia e autorevolezza in patria. Che in tutto questo la<br />

classe politica in generale e i singoli partiti in particolare<br />

abbiano la loro parte di responsabilità è fuor di dubbio.<br />

Ma l’impressione è che soprattutto il Governo, inteso anche<br />

come il complesso dell’amministrazione federale, sia<br />

rimasto del tutto spiazzato dai nuovi processi politici e<br />

dai nuovi rapporti tra gli Stati indotti dalla globalizzazione<br />

che, oltre ad avere cambiato l’economia del mondo, sta<br />

anche trasformando radicalmente il concetto di sovranità<br />

statale. Berna sembra rimasta ferma ai vecchi schemi politici<br />

di quando la Svizzera col suo efficiente federalismo<br />

era considerata da tutti lo Stato modello per eccellenza:<br />

stabilità, democrazia, ricchezza, fiducia e peso internazionale.<br />

Insomma, sempre e comunque i primi della classe,<br />

un atteggiamento che ha pregiudicato la capacità di saper<br />

leggere e decifrare la nuova e più complessa trama delle<br />

relazioni internazionali e la sottostante rete d’interessi<br />

nazionali.<br />

Da qui quel continuo rincorrere gli eventi di crisi in crisi, la<br />

mancanza di lucidità e tempestività nel prevenirli o fronteggiarli,<br />

in poche parole l’assenza di una cultura politica e<br />

di una strategia calibrate sugli interessi nazionali rispetto<br />

all’evoluzione dei rapporti di forza con gli altri Paesi. Emblematica<br />

di questa inadeguatezza è stata la pericolosa<br />

sottovalutazione delle pressioni dell’OCSE e di alcuni Stati<br />

per scardinare il segreto bancario.<br />

Ecco perché c’è da augurarsi che la successione a Couchepin<br />

sia anche l’occasione per avviare una nuova fase<br />

politica, che ridia al Consiglio federale la lungimiranza<br />

strategica e l’autorevolezza necessarie a ricostruire l’immagine<br />

di una Svizzera forte, sicura e influente sul piano<br />

internazionale.<br />

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