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2009 - Cc-Ti

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Contromano<br />

di Alessio del Grande<br />

riforma Del coNsiglio feDerale,<br />

tutti la chieDoNo, tutti la voglioNo<br />

A giudicare dalle proposte che si sono susseguite in<br />

questi due ultimi mesi, i tempi sono ormai maturi per<br />

una radicale riforma del Consiglio Federale. Proposte<br />

che, per un verso o per l’altro, mettono in luce tutte le<br />

disfunzioni che stanno contraddistinguendo l’attività<br />

del Governo centrale. Sull’onda della mancata elezione<br />

di un ministro ticinese, il PPD cantonale ha promosso<br />

un’iniziativa per l’allargamento da sette a nove membri<br />

del Consiglio federale; l’UDC all’assemblea nazionale<br />

dei delegati che si è tenuta all’inizio di ottobre a Ginevra,<br />

ha deciso di lanciare un’iniziativa per l’elezione<br />

ogni quattro anni del Governo da parte del popolo e<br />

con il sistema maggioritario; da più parti si è pure<br />

suggerito di prolungare ben oltre un anno la carica, a<br />

rotazione tra ministri, alla Presidenza e di riconoscere<br />

più ampi poteri al Presidente stesso, non relegandolo<br />

al ruolo di semplice primus inter pares tra gli altri Consiglieri<br />

federali; il Presidente del PS ticinese, Manuele<br />

Bertoli, ha invece ripetutamente insistito su una riforma<br />

dell’esecutivo improntata ad un Governo politico<br />

di programma, supportato da una chiara maggioranza<br />

che risponde gli elettori del suo operato. Quella della<br />

riforma del Governo non è storia nuova. Agli inizi degli<br />

anni ‘40 era stato il Partito socialista svizzero, allora<br />

escluso dal Consiglio Federale, a lanciare un’iniziativa<br />

per aumentare il numero dei ministri e farli eleggere<br />

direttamente dal popolo. Iniziativa seccamente bocciata<br />

dal voto popolare. Nuove sono semmai le ragioni<br />

che oggi rendono improrogabile questa riforma per<br />

migliorare la governabilità del Paese e ridare tono ad<br />

un federalismo scaduto spesso in un lamentoso rivendicazionismo<br />

regionalistico.<br />

Se l’aumento da sette a nove dei ministri consentirebbe<br />

innanzitutto al <strong>Ti</strong>cino di avere un suo rappresentante<br />

in Consiglio federale – riconoscimento sacrosanto<br />

ormai ignorato da una decina di anni – permetterebbe<br />

soprattutto una divisione più razionale delle competenze<br />

tra i vari dicasteri, in cui oggi si concentrano<br />

compiti che un singolo Consigliere non può oggettivamente<br />

riuscire a gestire. Talune recenti vicende, dalla<br />

vertenza americana di UBS alle pressioni dell’OCSE e<br />

di alcuni Paesi europei sul segreto bancario, per arrivare<br />

alla beffa libica, solo per ricordare i casi più eclatanti,<br />

hanno evidenziato clamorosamente, non tanto i<br />

16 <strong>Ti</strong>cino Business<br />

limiti personali degli attuali ministri, quanto invece le<br />

disfunzioni strutturali nell’odierno meccanismo di Governo,<br />

per cui ogni Consigliere federale pare marciare<br />

per conto proprio. A complicare la situazione c’è anche<br />

il fatto che, affannandosi a rincorrere l’ordinaria amministrazione,<br />

non è maturata una nuova cultura politica<br />

capace di cogliere il senso di quei cambiamenti nella<br />

sovranità statuale e nelle dinamiche dei rapporti tra<br />

gli Stati che oggi investono pesantemente la Svizzera.<br />

Basterà aumentare il numero dei ministri per risolvere<br />

questo problema? Chissà? Certo è che nove ministri<br />

con una diversa distribuzione delle competenze potrebbero<br />

lavorare meglio, garantendo pure una maggiore<br />

e più sicura rappresentatività del Paese a Berna.<br />

La controindicazione ai due Consiglieri in più sarebbe<br />

l’inevitabile aumento della burocrazia federale, rischio<br />

che, però, potrebbe essere in gran parte scongiurato<br />

con una decisa riorganizzazione degli attuali apparati<br />

ministeriali. Anche la proposta per l’elezione del Governo<br />

da parte del popolo merita un’adeguata riflessione.<br />

L’attuale sistema di elezione è monopolizzato a tal punto<br />

dagli interessi e dalle tattiche dei partiti da rendere<br />

sempre più evanescente il legame con la necessaria<br />

rappresentatività della volontà popolare che un sistema<br />

democratico deve pur sempre garantire.<br />

Per quel che riguarda la durata annuale dell’onorifica<br />

carica presidenziale è evidente che essa è retaggio di<br />

ben altri tempi storici e culturali, mentre ora è necessario<br />

non solo prolungarla, ma dotarla anche di più<br />

poteri in modo tale da rafforzare l’identificabilità politica<br />

del Paese all’estero e avere, inoltre, all’interno un<br />

punto di riferimento più continuativo e meno simbolico.<br />

Insomma, di carne a fuoco ce n’è a sufficienza, ma<br />

la riforma del Governo centrale non può prescindere<br />

da un più profondo ripensamento del federalismo, in<br />

grado di riequilibrare in una nuova ottica i rapporti dei<br />

Cantoni con l’amministrazione federale e di ridare un<br />

nuovo slancio alla Confederazione nelle relazioni con<br />

gli altri Stati. Solo con questo ripensamento la Svizzera<br />

potrà continuare a scrivere la sua storia come la storia<br />

di un “popolo felice”.

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