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2009 - Cc-Ti

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Il tema<br />

di Alessio Del Grande<br />

di grandi magazzini ha registrato per il 2008 addirittura<br />

affari record, tanto da concedere un premio straordinario<br />

di 500 franchi a tutti i dipendenti. Il crollo del prezzo del<br />

petrolio e le campagne di vendita a prezzi speciali hanno<br />

ridato fiato anche all’industria automobilistica europea ed<br />

americana (quest’ultima sostenuta pure con un massiccio<br />

piano di aiuti finanziari del Governo) che da mesi erano<br />

nell’occhio del ciclone. Negli USA le vendite di dicembre<br />

hanno sconfessato le terribili previsioni sulla fine dell’epoca<br />

dell’auto, ed è pure in ripresa la vendita dei suv che si<br />

ritenevano ormai fuori mercato. In Italia, sempre a dicembre,<br />

si sono vendute oltre 140’000 auto: il 13% in meno<br />

rispetto allo stesso periodo del 2007 che era stato però<br />

un mese record, ma si è confermato comunque lo stesso<br />

volume di vendita del dicembre 2006. Quindi anche per<br />

l’industria dell’auto, che più di altre ha risentito della congiuntura,<br />

non c’è stato alcun crollo devastante. Questo non<br />

significa affatto che non ci sia la crisi o che alcuni Paesi<br />

non siano già in recessione tecnica.<br />

Lo zoccolo di questa brutta congiuntura, che ha investito<br />

dapprima la finanza, va ora solidificandosi nell’industria<br />

dei beni durevoli, dall’auto agli elettrodomestici, generi la<br />

cui domanda più risente degli alti e bassi del ciclo economico,<br />

colpisce anche il loro indotto, costringendo molte<br />

imprese a ridurre produzione e orario di lavoro. Ma non siamo<br />

affatto davanti ad una recessione epocale o, peggio, a<br />

qualche passo dalla Grande Depressione. Perciò, sembrano<br />

poco convincenti e poco plausibili la pressante richiesta<br />

per interventi dello Stato, di aiuti pubblici per banche e<br />

industrie, con cui si rischia di statalizzare l’economia - facendo<br />

poi pagare il conto ai cittadini aumentando tasse<br />

e imposte - così come talune forme di aiuto sociale da<br />

“welfare emergenziale” che non rientrano in una strategia<br />

stabile di sostegno dei redditi o ancora politiche monetarie<br />

eccessivamente espansive che, non va dimenticato, sono<br />

state la causa principale del mega crac dei subprime.<br />

Se lo Stato deve intervenire, come è giusto che sia, per<br />

tamponare o allentare i contraccolpi della recessione, non<br />

deve però farlo con misure indifferenziate, ma mirate,<br />

ossia capaci di stimolare la crescita futura al di là della<br />

congiuntura attuale e dei suoi tempi. Questo anche per la<br />

semplice ragione che ogni franco, dollaro o euro speso oggi<br />

dallo Stato, dovranno rimborsarlo domani con gli interessi i<br />

contribuenti, a meno che si voglia credere alla favola delle<br />

10 <strong>Ti</strong>cino Business<br />

banche centrali che stampano moneta da distribuire con<br />

gli elicotteri.<br />

Le recessioni non hanno solo conseguenze negative, ma<br />

anche qualche effetto positivo, come quello di fare pulizia<br />

nel mercato. Eliminando i cattivi investimenti orientati sulla<br />

produzione di beni e servizi non più in sintonia con la domanda,<br />

liberando con ciò risorse per altri investimenti, per<br />

altre produzioni più rispondenti ai bisogni dei mercati che<br />

creano anche nuova e più stabile occupazione. Dunque,<br />

niente assalti alla diligenza con piani miliardari per salvataggi<br />

miracolosi, improbabili politiche occupazionali o per<br />

New Deal fuori corso. Servono, invece, interventi specifici<br />

che incidano positivamente sulle condizioni strutturali, per<br />

innescare una nuova fase di sviluppo e che salvaguardino i<br />

redditi attraverso un’articolata riduzione delle tasse. È così<br />

che si rafforzano la capacità di spesa e di risparmio dei<br />

cittadini e le possibilità d’investimento per le imprese. Ed è<br />

questa la strategia sottolineata in più occasioni dalla <strong>Cc</strong>-<strong>Ti</strong>,<br />

oggi più che mai necessaria per disincagliare il Cantone<br />

dalle secche di una congiuntura che potrebbe avvitarsi<br />

pericolosamente su stessa.<br />

Tre sono le strade sicure verso il futuro e tutte e tre rientrano<br />

nelle competenze del governo ticinese: più formazione,<br />

più innovazione tecnologica e migliore accesso al<br />

capitale di rischio per facilitare la nascita di nuove attività<br />

economiche. Lo Stato deve investire di più sulla formazione<br />

e l’aggiornamento professionale, unica e vera risorsa<br />

della crescita, deve incoraggiare anche le imprese a spendere<br />

di più per questo obiettivo detassando i costi della<br />

formazione, senza aggravi aggiuntivi, quindi, come quelli<br />

previsti dal fondo speciale. Ma vanno pure detassati gli<br />

investimenti delle aziende per l’innovazione tecnologica,<br />

la ricerca e lo sviluppo, se si vuole che esse siano sempre<br />

competitive sui mercati internazionali. Più complesso è il<br />

problema dell’accesso al capitale di rischio. Le esperienze<br />

di venture capital sinora tentate in <strong>Ti</strong>cino non hanno avuto<br />

grandi esiti, anche per la mancanza di una cultura all’intraprendere<br />

che penalizza fortemente il ricambio imprenditoriale<br />

e la nascita di nuove attività produttive. Rafforzare<br />

questa cultura dell’intraprendere, la voglia di fare impresa,<br />

soprattutto a livello di formazione scolastica, sarebbe uno<br />

dei primi passi necessari per incubare la spinta creativa da<br />

cui nascono quelle idee che poi si trasformano in prodotti<br />

e servizi che fanno la ricchezza di tutti.

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