143 Anno XVIII - 2008 - Marina Militare
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Non esiste una definizione universale di<br />
Stato fallito e, da quando il fenomeno ha<br />
cominciato ad entrare nell’agenda di politica<br />
estera delle varie Nazioni, molti analisti hanno<br />
cercato di precisare cosa sia un failed State e,<br />
conseguentemente, come riconoscerlo.<br />
Probabilmente i primi ad impiegare il termine<br />
failed States furono nel 1993 Gerald Helman 9<br />
e Steven Ratner 10 , che lo definirono come<br />
“fastidioso nuovo fenomeno” legato ad uno Stato<br />
“incapace di auto-sostenersi come membro<br />
della Comunità Internazionale” 11 . Invero, è<br />
già stato evidenziato come gli Stati falliti siano<br />
parte della realtà politica da quando esiste il<br />
sistema internazionale delle Nazioni.<br />
In tempi più recenti, Michael Ignatieff 12 ,<br />
rifacendosi alla teoria di Machiavelli, ha<br />
affermato che il fallimento consiste nella<br />
perdita, da parte del Governo centrale, del<br />
monopolio della violenza, visto come elemento<br />
basico per assicurare altre condizioni come<br />
il rispetto dei diritti umani e la distribuzione<br />
dei servizi sociali. Più ampia è la definizione<br />
data da William Zartman 13 , secondo il quale<br />
uno stato fallisce se non può più garantire le<br />
sue funzioni basiche in una situazione in cui<br />
struttura, autorità, legge e ordine politico sono<br />
crollati 14 .<br />
Uno studio approfondito sul significato di Stato<br />
fallito, condotto dal ricercatore universitario<br />
australiano Shahar Hameiri 15 , individua due<br />
macro-famiglie che delineano differenti<br />
tipologie di approccio e quindi della definizione<br />
del problema: quella neoliberale e quella neo-<br />
Weberiana.<br />
La visione neoliberale poggia la base sulle<br />
relazioni tra il mercato e la sfera sociale,<br />
economica e politica, con particolare enfasi<br />
alla creazione e costruzione della capacità<br />
delle istituzioni di fornire le condizioni per<br />
un efficace funzionamento del mercato stesso.<br />
Il cuore del problema è quindi visto nel<br />
sottosviluppo e nella diffusa povertà, che però<br />
hanno un’incidenza marginale sull’economia<br />
mondiale mentre ha maggiore rilevanza<br />
l’incapacità statale di assicurare l’integrazione<br />
nell’economia globale e, quindi, la ripresa della<br />
Nazione. In questa letteratura, viene più spesso<br />
usato l’aggettivo “fragile” piuttosto che “fallito”,<br />
ancorché vi sia comunque qualche difformità<br />
nella definizione. A titolo d’esempio, il British<br />
Department for International, Development<br />
(DfID) definisce uno Stato fragile come<br />
quello all’interno del quale “il Governo non<br />
può o non vuole fornire le funzioni basiche<br />
alla maggioranza delle sua gente, inclusi i<br />
poveri” 16 , mentre lo United States Agency for<br />
International Development (USAID) impiega<br />
il medesimo termine per indicare “un ampio<br />
spettro di Stati falliti, in fallimento o in fase di<br />
ripresa” 17 , differenziandoli a seconda della loro<br />
vulnerabilità o crisi.<br />
L’approccio neo-Weberiano è, invece, basato<br />
sullo Stato visto come insieme di capacità<br />
istituzionali relazionate ad un ideal-tipo di<br />
Nazione moderna. La difformità nel definire<br />
le funzioni e quindi le capacità che un<br />
Governo dovrebbe esprimere sono alla base<br />
dell’articolazione del pensiero neo-Weberiano,<br />
che assume sfaccettature diverse a seconda<br />
dell’autore. Tra tutte, si riporta Robert I.<br />
Rotberg 18 che elenca le capacità che vengono<br />
a mancare nello Stato fallito, individuabile<br />
secondo le seguenti caratteristiche 19 :<br />
- crescita della violenza criminale e politica;<br />
- impossibilità di controllare i propri confini;<br />
- aumento delle ostilità etniche, religiose,<br />
linguistiche ovvero culturali;<br />
- guerra civile;<br />
- uso del terrore contro i propri cittadini;<br />
- istituzioni deboli;<br />
- infrastrutture insufficienti o degradate;<br />
- incapacità di raccogliere le tasse senza<br />
coercizione;<br />
- elevati livelli di corruzione;<br />
- sistema sanitario collassato;<br />
- livello di mortalità infantile in crescita e<br />
contestuale diminuzione dell’aspettativa<br />
9 Ambasciatore degli Stati Uniti.<br />
10 Insegnante di Diritto Internazionale all’Università del Michigan (USA).<br />
11 Helman Gerald B. e Ratner Steven R., “Saving failed States”, Foreign Policy nr. 89, inverno 1993.<br />
12 Politico canadese, vice-presidente del Partito Liberale, nonché giornalista e storico.<br />
13 Insegnante di Organizzazioni Internazionali e risoluzione di Conflitti nonchè Direttore del Conflict Management Program presso<br />
l’Università Johns Hopkins.<br />
14 Zartman William, “Introduction: Posing the Problem of State Collapse”, in Collapsed States: the Disintegration and Restoration<br />
of Legitimate Authority, Londra, Colorado and Lynne Rienner Publisher, 1995.<br />
15 Hameiri Shahar, “Failed States or a fialed paradigm? State capacity and the limits of institutionalism” in Journal of International<br />
Relations and Development nr. 10/2007, www.palgrave-journals.com, 15/01/08.<br />
16 DfID, Why we need to work more effectively in fragile States, Londra, gennaio 2005, pag. 7.<br />
17 USAID, Fragile States Strategy, Washington DC, gennaio 2005, pag. 1.<br />
18 Presidente del World Peace Foundation, Direttore del Program on Interstate Conflict della John F. Kennedy School of Government<br />
presso l’Università di Harvard.<br />
19 Robert I. Rotberg, “Failed States in a world of terror” in Foreign Affair vol. 81 nr. 4, pag. 132 .